This Side of Paradise di crazyhorse (/viewuser.php?uid=116878)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Swan ***
Capitolo 2: *** Force of Nature ***
Capitolo 3: *** Broken ***
Capitolo 4: *** Too Much Love Will Kill You ***
Capitolo 5: *** No Time For Loosers ***
Capitolo 6: *** Here I Am ***
Capitolo 7: *** Dancing ***
Capitolo 8: *** Anche Se mi Sbaglio ***
Capitolo 9: *** In Between Is Mine ***
Capitolo 10: *** I Believe the World Is Coming to an End ***
Capitolo 11: *** Roman Holiday ***
Capitolo 1 *** Swan ***
TUTTA QUESTIONE DI ENTROPIA
Una precisazione: i due protagonisti di questa storia sono due
scienziati. Inutile dire che il 90% di quello che di scientifico ho
scritto me lo sono inventato di sana pianta.
SWAN(1)
Le persone possono essere disordinate in modi differenti. C'è
chi è disordinato nella propria mente, nei propri pensieri, nei propri desideri e in
tutto
quello che c'è dentro di loro, per cui queste persone non potranno mai avere ordine neanche
nella propria vita, nel proprio lavoro o nella propria casa. Poi ci sono i disordinati
cronici, quelle persone che fin dal momento in cui riescono a stringere
fra le mani un sonaglietto da neonati a quando esalano l'ultimo respiro
creano caos dal nulla in tutto quello che li circonda. Ci sono
i finti ordinati, quelli che vogliono far credere a tutti, ma proprio a
tutti, loro per primi, di essere persone efficienti, puntuali e che
hanno tutto sotto controllo, ma se ti azzardi ad aprire un cassetto,
che sia un cassetto di casa loro o un cassetto della loro mente, dentro
potresti trovarci cose inimmaginabili. Infine ci sono quelli che negano
il loro stato di disordinati. Questi ultimi sono i peggiori
perchè sono convinti che il loro sia ordine e tutto il resto no.
La dottoressa Maria Luce Medici era un miscuglio di tutto questo, era
una finta ordinata cronica ma lei non se ne sarebbe mai accorta. A
dimostrazione di questo, chiunque le facesse notare che nel suo ufficio
o in uno dei suoi armadi di casa non si sarebbe riusciti a trovare
neanche il proverbiale pagliaio (attenzione non l'ago, ma prorpio
l'intero pagliaio), lei rispondeva candidamente: -Non è vero, io
trovo sempre tutto quello che mi serve!-. Insomma nella vita di Luce
regnava il caos assoluto su tutto: casa, matrimonio, ufficio, famiglia,
tutto. Cioè, quasi tutto, perchè nel suo lavoro era un
genio.
La casa di Luce era un piccolo appartamento di meno di ottanta metri quadrati
vicino all'aeroporto di Bologna che sembrava il posto più
ordinato sulla faccia della terra. Non si sarebbe trovato un granello
di polvere fuori posto neanche a cercarlo con la lente d'ingrandimento.
Tuttavia sarebbe stato utile appendere su ogni anta o pensile di ogni
mobile che arredava quell'appartamentino un cartello con la seguente
scritta: "CHI APRE QUESTO SPORTELLO LO FA A PROPRIO RISCHIO E
PERICOLO". In effetti per evitare la massa di roba ammonticchiata
dentro ogni mobile senza un criterio particolare che avrebbe potuto crollare da un momento all'altro, bisognava essere
dotati di riflessi felini o dello scatto di un centometrista. La sua
macchina, un piccola utilitaria rossa, non era sporca, solo ci si
poteva trovare di tutto: da una bottiglia di acqua minerale a un paio
di scarpe, passando per un compendio di anatomia dei mammiferi. Il suo
ufficio, cioè il suo stanzino più che altro, nel
Dipartimento di Fisiologia Animale dell'Università, era un
sistema caotico per definizione: riviste, libri, tesi di laurea e di
dottorato, compiti da correggere, stampate di dati da analizzare e
cd-rom ovunque, si susseguivano senza soluzione di continuità.
Però c'era un posto, il suo "Regno", come lo chiamava lei, dove
invece tutto era in perfetto ordine. Quel posto era il suo
laboratorio. In esso ogni spruzzetta per l'acqua pura era sempre piena
e riposta sulle mensole di vetro sopra i piani di lavoro candidi, le petri per le colture
cellulari erano impilate una sull'altra perfettamente e ogni pila
differiva da quella accanto per i diversi terreni di coltura che potevano servire,
i puntali delle pipette erano inseriti negli appositi espositori i quali erano poi
ordinati per volumi crescenti, i reagenti erano stoccati nel
ripostiglio in ordine alfabetico o in frigorifero seguendo lo stesso
criterio, i piccoli recipienti trasparenti per effettuare le
centrifughe o le PCR erano riposti in contenitori a fianco di ogni
macchina. Quel laboratorio era l'orgoglio di Luce, in esso aveva svolto
le ricerche per la tesi di dottorato, e dopo aveva portato a termine il
suo primo progetto, quello che le era valso un premio che avrebbe
ritirato durante un congresso organizzato dal CNR che si sarebbe svolto
a Roma a metà aprile.
-Luce!! Dov'è la mia cravatta blu a righe?!-
Gianluca, il marito di Luce, aveva passato l'ultima mezz'ora di quella mattina a cercare
la sua cravatta preferita, ma senza successo e adesso cominciava ad
innervosirsi. Lei gli rispose in tutta fretta afferrando i vestiti
dalla sedia di fianco al suo lato del letto e fiondandosi in bagno per
cambiarsi:
-Al suo posto!!- rispose mentre pensava: "E' mai possibile che
quell'uomo non riesca mai a trovare niente senza che io debba
intervenire?!"
-E qual'è il suo posto?!- ora Gianluca era irritato:
le sue cravatte non avevano mai avuto un "loro posto", come del resto
quasi tutto in quella casa.
-Dov'è sempre stata!- Luce rispose dal bagno infilandosi un paio di jeans neri.
-Già...è proprio quello il problema!- sussurrò
lui sconsolato aprendo per l'ennesima volta l'anta dell'armadio.
Mentre il marito ancora cercava, Luce uscì dal bagno con indosso il
suo solito abbigliamento: jeans, camicia e felpa. Indossò al
volo una giacca leggera, prese la borsa e raggiunse Gianluca in
contemplazione davanti all'armadio.
-Vedi? E' al suo posto nell'armadio!- sentenziò velocemente
mentre faceva scivolare la cravatta di lui da sotto una pila di
lenzuola pulite.
-Ah, non sapevo che il posto delle mie cravatte fosse sotto le lenzuola!- ribattè Gianluca stizzito.
-Beh, almeno è stirata, no? Scappo sono in ritardo...lo sai che
fra tre giorni parto vero?- disse frettolosamente mentre già si
avviava verso la porta.
Nelle ultime due settimane Luce aveva deciso di ripetere al marito
tutti i santi giorni quello che lei doveva e soprattutto voleva fare, ma che
lui temeva: partire per Roma per il congresso del CNR. Il marito di
Luce non era un tipo geloso...finchè lei rimaneva nel raggio di
venti chilometri da lui. Quando tale distanza cresceva, il disagio di
Gianluca aumentava esponenzialmente. Lei, ovviamente, aspettava questo
congresso come la nascita di un bambino e non ci avrebbe rinunciato per
tutto l'oro del mondo, quindi aveva impostato una "tattica di
reiterazione" per abituare il marito all'idea che per due giorni lui
non l'avrebbe avuta sott'occhio. Tattica che aveva avuto come unico
risultato una cresente irritazione dell'uomo. A Luce però non
importava, lui avrebbe dovuto fare anche la fatica di farsela passare
la sua irritazione, perchè lei, cascasse il mondo, avrebbe preso
quel treno per Roma e si sarebbe goduta il suo momento di gloria senza
sensi di colpa, pensò la giovane ricercatrice mentre avviava la macchina e si dirigeva
verso una visita di controllo ad uno dei suoi soggetti sperimentali.
Ovviamente l'idea di chiedere a Gianluca di acompagnarla le aveva
sfiorato la mente, ma solo sfiorato, perchè lui che abbandonava
il suo lavoro anche solo per due giorni sarebbe stato come Bin Laden
che si lascia scappare da sotto il naso una bomba atomica: fantascienza.
Il premio che le avevano assegnato non era un premio qualunque, anche
perchè era accompagnato da una borsa di studio che le avrebbe
permesso di finanziarsi più della metà della sua prossima
ricerca. Luce avrebbe ricevuto quel premio perchè la sua ricerca
sull'utilizzo delle cellule staminali per curare le lesioni ai tessuti
connettivi nei cavalli sportivi aveva dato risultati che avevano
lasciato sorpresi tutti, anche lei fra parentesi, in termini di
successo e tempi di guarigione degli animali. Ma non solo, a quel
premio era stata annessa una menzione speciale del comitato etico, cosa
del tutto straordinaria per gli scienziati che fanno sperimentazioni sugli
animali. Tale menzione l'aveva resa orgogliosa del suo lavoro e di
tutti i suoi sforzi per difendere la salute e la dignità dei
cavalli che erano stati inclusi nel suo studio. Mentre tutti gli altri
ricercatori che lavoravano con gli animali riservavano a questi ultimi un destino
bieco e tremendo, nonostante venisse mascherato con il nome di
"sacrificio", lei aveva organizzato il suo progetto in modo da condurre
i suoi studi su animali che avrebbero continuato a vivere un'esistenza
serena e tranquilla in qualche maneggio dove i loro prorprietari li
avrebbero viziati con mele e zucchero a volontà. Questo
particolare protocollo sperimentale aveva provocato un aumento enorme
del suo lavoro, ma non le era importato perchè dopo tre
lunghissimi anni di viaggi per tutta l'Emilia-Romagna, il Veneto e la
Lombardia fatti di visite preventive, interventi chirurgici e
periodiche ecografie di controllo si era affezionata a quelle bestie
come se fossero state sue. Per questo era orgogliosa di quella menzione
del comitato etico che altri scienziati avrebbo vergognosamente
snobbato.
La visita andò più che bene, anche
perchè quando lei era arrivata a destinazione, il suo "soggetto
sperimentale" era impegnato in un percorso di salto con ostacoli
alti un metro e venti, il che aveva reso la sua ecografia di controllo
del tutto superflua. Quel cavallo rappresentava il suo successo
più grande; secondo Luce, inoltre,
era più intelligente lui della metà degli esseri umani
che popolavano il globo terrestre messi insieme. Nonostante clinicamente l'animale fosse in forma smagliante, Luce aveva
comunque bisogno delle immagini del tendine perfettamente guarito da
inserire nella sua presentazione per il congresso, quindi portò
a termine il suo esame, salutò Fabio, il cavaliere, e raggiunse
l'Università per le dieci di quel grigio e piovoso mattino di aprile.
-Matt! Ciao!-
Matteo, il suo prezioso ed insostituibile assistente, era un ragazzo
alto e magro con il pizzetto ed un cervello dalla perfetta ed
infallibile organizzazione neuronale. Preciso e meticoloso, era
già in laboratorio e stava preparando due colture di cellule da
incubare.
-Ciao Luce!-
-Io vado in aula C a finire la presentazione!- lo avvertì.
-Certo! A dopo!-
Luce si richiuse la porta del laboratorio alle spalle e si
fiondò nella piccola aula C prima che qualche scocciatore la
coinvolgesse in qualche noiosissima conversazione che niente avrebbe
avuto a che fare con il suo lavoro. Tutta bagnata e infreddolita si
sistemò sulla cattedra, accese il suo portatile e comiciò
a modificare la presentazione di PowerPoint per il congresso inserendo
i dati e le foto degli ultimi giorni. Poi passò a cambiare il
suo discorso alla luce delle nuove diapositive inserite. Così
arrivò l'ora di pranzo, che lei passò sempre chiusa in
aula C a buttare giù velocemente un panino al prosciutto
annaffiato da una raffinata bottiglia da mezzo litro di pregiata acqua minerale
presa al distributore automatico del dipartimento, per poi passare a
studiare la nuova versione di suddetto discorso.
Il metodo di studio che Luce utilizzava da sempre, anche quando
frequentava l'Università, era molto semplice: ripetere fino alla
morte quello che doveva imparare. L'unico limite del suo sistema era la
sua stessa voce che dopo due ore di continuo parlare finiva.
Quel giorno, alle tre pomeriggio Luce aveva mal di gola e mal di testa,
ma era soddisfatta di sè: la presentazione era efficace e
coinvolgente, non molto breve, ma il dono della sintesi non le era mai
appartenuto, quindi andava bene così. Spense il portatile,
recuperò appunti ed esami clinici e si avviò direttamente
all'ultimo piano dello stabile dove si sarebbe tenuta la riunione di
dipartimento per organizzare il trimestre entrante di lezioni e la
partecipazione al congresso di Roma. Decise volutamente di non passare
dall'ufficio: la sola idea di entrare in quella confusione le fece
venire il voltastomaco.
La riunione si sarebbe tenuta nella sala conferenze accanto all'ufficio
del capo del dipartimento, la professoressa Camilla Cortesi. In effetti
la definizione "sala conferenze" descriveva quella stanza in modo un
po' ottimistico. In realtà si trattava di una camera di circa
venti metri quadri con un tavolo ovale di legno scuro e sei sedie poste
attorno a quest'ultimo; ma Camilla era così, ottimista,
diplomatica e troppo attenta alle apparenze, per questo lei era Capo
Dipartimento, mentre Luce forse sarebbe riuscita a conquistare faticosamente una
cattedra impiegandoci trent'anni, forse.
Il Capo Dipartimento aprì la riunione alla quale partecipavano cinque professori, oltre a Luce e Camilla stessa:
-Bene, prima di cominciare ad accapigliarci per gli orari delle
lezioni, direi di sbrigare le formalità per il congresso di
Roma. Questi sono i vostri programmi e i vostri biglietti.- disse
facendo scivolare sul tavolo sei cartellette contenenti vari documenti.
Quando Luce ricevette il plico a lei destinato, la prima cosa che fece
fu tirare fuori il foglio del programma del secondo giorno e
scorrerlo fino ad individuare il suo nome:
- ORE 16,00 DOTT.SSA M.L. MEDICI: PRESENTAZIONE E CONFERIMENTO DEL PREMIO
Un brivido le corse lungo la schiena, mentre un sorriso liberatorio si
appropriava del suo volto per restarci diversi minuti, cioè fino
a quando non trovò fra i suoi documenti un volantino di colore
rosa pallido:
-E questo cos'è??!!- esordì in preda al panico rompendo
il religioso silenzio nel quale i professori stavano esaminando i loro
programmi. Lo chiese anche se aveva già capito di cosa si
trattava.
Camilla la guardò irritata e le rispose altrettanto irritata:
-Senti Luce lo so che non ti piacciono i party per la raccolta fondi, ma
questa volta io non ci sarò, quindi dovrai arrangiarti da sola a
trovare i maledetti soldi per le tue ricerche!- s'interruppe un istante, poi
concluse più caustica della soda: -Ti prego di ricordare che
negli ultimi due anni questa cosa l'ho sempre fatta io per te!!-
"Oh dannazione!! Che strazio!!" pensò mentre le sue spalle si
piegavano sotto il peso delle pubbliche relazioni che non era capace di
seguire.
-Bene, se non ci sono domande, darei il via alla guerra per gli orari delle lezioni!- sentenziò Camilla con sarcasmo.
A quel punto Luce, il cui morale aveva subito un duro colpo dopo aver
appreso che sarebbe stata costretta a presenziare alla noiosissima festa
organizzata dal CNR dopo il congresso, decise che la confusione del suo
ufficio sarebbe stata decisamente più confortante rispetto a
quel pensiero:
-Se per me non c'è altro, io andrei...- disse timidamente.
-Certo, certo! A domani!- Camilla la lasciò al suo lavoro.
Rassegnata, Luce raggiunse il suo microscopico ed incasinato ufficio al
pian terreno. Nonostante fosse piccolo e decisamente non in grado di
contenere l'enorme mole di libri e qualunque altra cosa che lei volesse
farci stare, a Luce il suo ufficio piaceva. A parte i tristi mobili che
le aveva fornito l'Università, lei ci aveva aggiunto un paio di
piante grasse (altri tipi di piante non sarebbero sopravvissute a Luce)
e una bella lampada da tavolo con lo stelo dorato ed il
paralume verde che, non sapeva bene perchè, ma era convinta
desse
al suo studio un'atmosfera stile "Rita Levi Montalcini". Oddio lei non
aveva mai conosciuto Rita Levi Montalcini che magari non aveva una
lampada come quella, ma a Luce piaceva immaginarsela nel suo studio
illuminato
da una lampada uguale, mentre scopriva l'NGF e pensava al premio
Nobel. La cosa che le piaceva
di più del suo ufficio, però, era la grande finestra, di
fronte alla
scrivania, che si apriva sul lussureggiante e curato giardino interno
del dipartimento e che rendeva quella stanza particolarmente luminosa;
tale finestra era addobbata con una tenda in tessuto arancio con balze
drappeggiate
che Luce teneva sempre aperta, ma che la metteva di buon umore ogni
volta che la guardava. Il tocco finale era un quadro di circa un metro
per un metro che raffigurava una margherita in diverse combinazioni di
colore in stile Andy Wahrol: un po' kitsch ma rendeva l'ambiente
ospitale ed allegro.
Sbuffando e senza prestare troppa attenzione, la ricercatrice
appoggiò la borsa del portatile sul tavolo, facendo cadere una
pila di riviste scientifiche che da settimane doveva restituire alla
biblioteca. Non l'aveva mai fatto, c'era sempre un dettaglio in
quello o in quell'altro articolo che lei aveva bisogno di verificare,
quindi quelle riviste ormai appartenevano al suo ufficio.
-Oh...accidenti che disastro!-
Si chinò per raccogliere i giornali e l'occhio le cadde su un
numero di "Nature" dell'inizio dell'anno, aperto in corrispondenza di
un articolo pubblicato dal guru della ricerca sulle cellule staminali:
il professor Jay Reynolds dell'Università Statale del Texas.
Luce aveva letto e consultato quell'articolo
così tante volte che ormai le pagine erano consumate. La cosa
che l'aveva colpita la prima volta che l'aveva letto era l'elenco
infinito di ricercatori che avevano partecipato a quella pubblicazione:
sette righe fitte fitte di nomi scritti con caratteri piccolissimi.
Mestamente pensò al suo di
articolo, quello che aveva pubblicato per la sua premiata
ricerca, una scintilla di orgoglio si riaccese in lei. I nomi
delle persone che avevano effettivamente partecipato alla ricerca erano
due, il suo e quello di Matteo. "Solo due, che tristezza" pensò
ancora. Così, un po'
per confondere le acque e far apparire la sua ricerca più vasta
di quello che era, e un po' per "ungere" chi di dovere, Luce e Matteo
avevano deciso di inserire altri nomi: primo fra tutti quello di
Camilla, ovviamente, poi quello di due dottorandi che più che
altro avevano offerto supporto morale a loro due, infine, proprio per non
farsi mancare niente, anche i nomi di due tesiste che avevano svolto
l'ingrato compito della conta delle cellule delle colture. Il tutto si
esauriva in due righe di nomi scritti a caratteri grandi.
Luce aveva pensato spesso al professor Reynolds. Ok, a dire la
verità aveva anche cercato in internet delle foto, ma a quanto
pareva il professore era una persona molto riservata. Va bene, una volta, consumata dalla curiosità come una scimmia,
aveva anche guardato su YouTube. Solo una volta, però, e
comunque non aveva trovato niente neanche lì. Possibile che
della faccia di questo tizio non esistesse neanche un pixel nel
cyberspazio?
Tuttavia, foto a
parte, di lui qualcosa in rete circolava: laurea con il massimo dei
voti, PhD, titolare di ben due cattedre presso l'Università
Statale del Texas a Dallas, DUE, ed ultimo, ma non per questo meno
importante, anzi, l'anno prima era diventato il più giovane
Presidente mai eletto della Società Americana per la Ricerca
sulle cellule staminali, IL PIU' GIOVANE. Trentacinque anni.
TRENTACINQUE! Questo tizio aveva solo un anno più di lei ed era
già arrivato. Luce arrossì pensando al suo microscopico
ufficio, alla sua microscopica ricerca ed al suo microscopico stuolo di
aiutanti: Matteo.
"Che diavolo! Anche io mi sono laureata con il massimo dei voti!
Ed in
una delle migliori università d'Italia! E anche io ho preso
il dottorato! Sto per ritirare un
premio per la mia ricerca! LA PRIMA! Anche lui avrà pur
cominciato in un microscopico ufficio!" pensò per tirarsi su di
morale. Scorse velocemente l'articolo del professor Reynolds: molto
tecnico ed approfondito descriveva nei minimi particolari i protocolli
sperimentali; i rusltati della ricerca erano confutati da un
tripudio di grafici e tabelle, e le conclusioni non solo non facevano
una piega, ma non lasciavano adito a dubbi sul fatto che la tesi del
professore fosse corretta; in quel caso l'articolo trattava della
integrazione delle cellule staminali eterologhe con i tessuti
dell'ospite.
Quell'articolo era talmente razionale ed ordinato da far accapponare la
pelle! Sicuramente questo Jay Reynolds sarà stato anche un
genio, ma Luce era altrettanto sicura che fosse uno di quei topi da
biblioteca,
pallidi, smilzi ed allampanati, con le spalle curve, l'aria ebete e gli
occhiali con due fondi di bottiglia al posto delle lenti.
Sospirando mise da parte il professor Reynolds e le sue sette righe di nomi di
assistenti e prese in mano gli esami scritti di Fisiologia Animale
Generale I che Camilla le aveva dato da correggere. Le tre ore
successive, Luce le passò immersa nel sistema nervoso dei
mustelidi, nell'apparto urinaro dei pesci rossi, nel metabolismo osseo
delle iguane e nei processi omeostatici idrico-salini dei cammelli.
Tutte le volte che apriva un compito provava pena per quei poveri
studenti che avevano dovuto rispondere alle diaboliche domande di
Camilla. Ma come faceva quella donna ad essere così contorta? Poteva passare
l'omeostasi idrico-salina dei cammelli che era un processo
particolarmente caratteristico, ma il metabolismo osseo delle iguane? E
la domanda chiedeva specificatamente di elencare i fattori chimici ed
ambientali che lo favoriscono o lo contrastano! Alla fine di quelle tre
ore Luce aveva due certezze: certe volte Camilla era davvero malefica e
quei poveri studeti avevano tutta la sua solidarietà. La prima
volta che il suo capo le aveva dato degli esami da correggere, lei era
rimasta esterreffatta! Ma davvero anche lei era stata costretta a
rispondere a quelle domande assurde? Non se lo ricordava. In
quell'occasione aveva esposto a Camilla le sue perplessità e lei
aveva riso prima di risponderle in tono divertito: -Tesoro e come credi
che ti abbia scovata?-
Mise da parte l'ultimo esame e guardò l'orologio: le sette e
mezza. Era stanca ma non aveva nessuna voglia di tornare a casa e
discutere con Gianluca del suo viaggio a Roma per la miliardesima
volta. Ragion per cui, andò in macchina, prese uno zaino e si
chiuse in bagno. Si cambiò: i jeans, la camicia e la felpa
lasciarono il posto ad una comoda tuta blu; iPod in tasca ed auricolari
nelle orecchie, uscì dal dipartimento per fare un giro di corsa
all'interno del giardino che univa le facoltà di biologia,
agraria, fisica e l'orto botanico. Ormai era quasi buio e i lampioni
cominciavano ad accendersi dando alle stradine interne dell'ateneo un
aspetto un po' retrò, nel quale Luce si sentiva perfettamente a
proprio agio. Fece due volte il giro dei giardini e dopo un'ora era di
nuovo al dipartimento.
Prima di rientrare fece un po' di stretching sotto un ippocastano un
po' isolato rispetto al portone dell'ingresso posteriore. A quel punto,
però, non aveva più scuse: doveva tornare a casa.
Con molta poca buona volontà, prese la borsa con il computer e
lo zaino con i suoi indumenti e salì in macchina per dirigersi
verso casa. Lungo il tragitto pensò al suo matrimonio. Eppure
quando si era sposata amava Gianluca di questo era sicura, ma ora...ora con
orrore le era capitato diverse volte di chiedersi perchè amasse
suo marito e la risposta era la seguente:
Niente. Uno spazio vuoto, nella sua mente terrorizzata da un'unica
cosa: la lettera scarlatta del divorzio. Ovviamente non aveva
parlato con nessuno di questo suo pensiero, ma non per questo lui
incombeva di meno.
Più si avvicinava a casa e più nella mente di Luce si
faceva vivida l'immagine di lei e suo marito insieme: lui che parlava
del suo lavoro e lei in silenzio. Le prime volte lo ascoltava e gli
rispondeva, ma dopo un po', in particolare dopo aver realizzato che l'unica cosa a cui
lui fosse interessato era lui stesso, Luce aveva smesso non solo di
rispondergli, ma anche di ascoltarlo. Improvvisamente capì
cos'era quella morsa che da mesi le attagnagliava lo stomaco
implacabile e insistente: l'indifferenza di Gianluca verso di lei ed il
suo lavoro, che, nel caso di Luce, coincideva anche con la sua persona.
Svuotata e rassegnata come tutte le volte che pensava al suo matrimonio giunse a casa:
-Ciao!- salutò il marito sdraiato sul divano a guardare la tv, come al solito aveva già mangiato.
-Ciao...ti ho lasciato della bresaola in cucina.-
Conciso, lapidario ed essenziale: questo era suo marito che le dava un
caloroso bentornata a casa, senza neanche guardarla in faccia. Che
soddisfazione!
Rimpiangeva i primi mesi di convivenza, quando lui, perchè lui
sapeva cucinare mentre lei aveva difficoltà a cuocere un uovo al
tegamino, le preparava succulente e fumanti zuppe di cereali e verdure pronte in
tavola. Evidentemente questo pensiero si trasformò in
un'espressione delusa del suo viso, perchè Gianluca
ribattè quasi offeso:
-Guarda che io non sono il tuo cuoco!-
"Guarda che io non sono il tuo cuoco"???? Luce avvampò di collera:
-Già direi che l'hai messo in chiaro più di una volta, grazie! E magari io
sono quella dal lavoro inutile che si fa mantenere vero?-
ribattè inferocita.
-L'hai detto tu, non io!-
Ecco, quelle erano le volte in cui Luce avrebbe volentieri strangolato
Gianluca. Gianluca, che credeva di essere il solo a lavorare, a
fare le cose correttamente e ad avere ragione.
Lei decise di non ribattere; anche se le prudeva violentemente la
lingua, decise di lasciar perdere, per non dare ai vicini qualcosa di
cui spettegolare per il resto della settimana.
Andò in bagno e si concesse una lunga doccia calda sperando che
l'acqua riuscisse a lavare via anche la furia che si stava
moltiplicando dentro di lei. Non fu così, purtroppo.
Trangugiò velocemente la bresaola e si mise a letto, arrabbiata,
anzi inviperita con suo marito, e cioè con la persona che
più di tutti doveva essere fiero di lei per il traguardo che
aveva raggiunto nel suo lavoro e che invece era la persona che meno la
capiva al mondo.
Si addormentò, mentre una silenziosa lacrima bagnava il suo cuscino.
(1) "Swan" - Elisa
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Capitolo 2 *** Force of Nature ***
FORCE OF NATURE 2
FORCE OF NATURE(1)
Dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, in Texas, a Dallas per la
precisione, alle sei e trenta della mattina cominciava la giornata del professor Jay Reynolds. Una giornata
ordinatissima e scandita da una rigida tabella di marcia che prevedeva
un appuntamento dietro l'altro ad un ritmo serrato. La prima cosa che il professore faceva appena sveglio era dare un bacio
a Valery, la moglie, che dormiva, in genere beatamente, al suo fianco dopo il
turno di notte all'ospedale.
Jay non sapeva perchè ma negli
ultimi mesi lei faceva solo ed esclusivamente il turno di notte.
Davanti alle sue insistenti domande, lei rispondeva evasiva: -Ma no,
è che stanno riducendo il personale, quindi...-
"Quindi?" si chiedeva lui che non capiva il perchè dovesse
essere sempre e solo sua moglie a fare la notte. Per caso in tutta
Dallas non c'era uno straccio d'infermiera disposta a fare i turni? E
poi perchè doveva sempre fare il turno delle 18-02? In quel modo
non si vedevano praticamente mai: lui tornava a casa non prima delle
nove di sera, lei non prima delle tre del mattino. Ogni tanto aveva la
sensazione di non essere sposato per niente.
Un altra cosa alla quale ultimamente non sapeva darsi una risposta era
il perchè del suo quotidiano gesto mattutino. Quel bacio non era
mai stato seguito da niente, non un grugnito o un "grazie" nel
corso della giornata. Probabilmente era l'abitudine che lo spingeva a
continuare.
Quella mattina di Aprile non differiva dalle altre per il
programma che lo attendeva, con l'unica differenza che quella sarebbe
stata l'ultima prima di partire per Roma per presenziare ad un
noiosissimo congresso pieno di gente che non voleva altro che mettersi
in mostra davanti a lui, ma che in genere otteneva come unico
risultato quello di rendersi ridicola. Insomma lo attendeva una
settimana durante la
quale avrebbe dovuto attivare il suo "radar anti-rompiscatole".
Mentre pensava queste cose, che gli fecero cominciare la giornata non
nel migliore dei modi, Jay indossò una t-shirt nera ed un paio
di comodi pantaloni Adidas, quindi, iPod fissato al braccio destro
tramite una fascia elastica regolabile con velcro, e cuffie nelle
orecchie uscì di casa per la consueta corsa mattutina: nove
chilometri e ottocento metri misurati che lui percorreva tutte le sante
mattine seguendo lo stesso identico percorso, dopo un
paio di minuti di streching di riscaldamento.
Moglie e turni di notte a parte la sua vita gli piaceva. Cioè a
dire la verità se escludeva il suo matrimonio della sua vita
rimaneva solo il suo lavoro, che comunque gli dava grandi soddisfazioni
e gli studenti facevano la fila fuori dal suo ufficio per chiedergli di
poter fare la tesi nel suo laboratorio. Gli piaceva seguire gli
studenti...quando questi erano motivati e spinti da una vera passione
per la scienza. Se poi non erano particolarmente svegli non importava,
per esperienza aveva imparato che un anno di lavoro con lui, che li
seguiva passo per passo e faceva fare loro le ore piccole nel suo
ufficio per studiare insieme gli argomenti, faceva miracoli. Insegnare
lo entusiasmava, la trovava un'attività stimolante, e poter
comunicare agli studenti la meraviglia del funzionamento di ogni
meccanismo biologico lo elettrizzava letteralmente, soprattutto se i
ragazzi che si trovava di fronte assorbivano quello che lui trasmetteva
loro come delle spugne, come accadeva nella maggior parte dei casi.
Come Daniel per esempio. Daniel era un tesista che si sarebbe laureato
a giugno. Era intelligente e sveglio, tuttavia era stato troppo
ottimista nella scelta dell'argomento della tesi. Daniel si sarebbe
laureato in medicina e un medico dovrebbe fare una tesi sulla
fisiologia di qualche apparato o sulle nuove cure per gravi patologie,
ma decisamente non avrebbe dovuto scegliere una tesi sperimentale sui meccanismi
molecolari alla base dell'integrazione delle cellule staminali con i
tessuti dell'ospite. Jay sapeva che Daniel sarebbe diventato un ottimo
medico, con una buona visione del paziente nel suo insieme e con una
capacità molto sottile nel scegliere una cura piuttosto che un
altra, ma si era letteralmente perso fra geni, mutazioni, geni
regolatori, geni inibitori, proteine di superficie, fattori trofici e
quant'altro era alla base dell'utilizzo delle cellule staminali nella
cura delle malattie. Per questo motivo da settimane incontrava il ragazzo
nel suo ufficio sia la mattina che il pomeriggio: per ficcargli in
quella testa di medico che se lui sarà in grado di curare la
gente con le cellule staminali sarebbe stato merito di una baraonda di
roba che andava sotto il nome di DNA.
Tuttavia, per quanto cercasse di distrarsi pensando al suo lavoro la
mente tornava sempre là. Al suo matrimonio. Cioè al suo
non-matrimonio. Giorno dopo giorno si intensificava la sensazione
che lui e Valery fossero diventati degli estranei. Come era successo?
Eppure all'inizio della loro convivenza, lei organizzava i
turni sulla base dei suoi impegni di lavoro e andava in ospedale
la notte solo quando lui era fuori città o all'estero. Ora no;
ora non sapeva neanche che cosa avrebbe fatto Valery mentre lui
sarebbe
stato a Roma, e non lo sapeva perchè erano settimane che si
parlavano solo per telefono e non si vedevano se non per quel rapido
istante durante il quale lui si alzava e le dava un bacio sulla
guancia. Praticamente era sposato non con Valery, ma con il suo
cellulare e un casto bacio sulla guancia era l'unico contatto fisico
che avevano da....non si ricordava più neanche quanto tempo.
Ancora una volta si chiese come era potuto succedere. Poi si chiese
cosa potesse fare lui per cambiare le cose, ma la risposta fu che lui
stava già cercando con tutte le sue forze di migliorare la
situazione. Nelle ultime settimane aveva fatto uno sforzo immane per
rompere i suoi programmi giornalieri e cercare di arrivare a casa prima
che Valery uscisse per andare al lavoro, ma tutte le volte lei si era
fiondata in bagno, si era cambiata e, dicendo che c'era stata
un'emergenza in ospedale, l'aveva lasciato impalato nel mezzo del
soggiorno di
casa. Da solo. Una volta le aveva fatto addirittura una sorpresa in
ospedale. Lui che faceva sorprese? SORPRESE? L'ultra-razionale,
ordinato, abitudinario professor Jay Reynolds, che metteva nel
portafoglio le banconote in ordine di valore, si era messo a fare
sorprese alla moglie. Risultato? Nessuno. Valery non aveva neanche
pensato di anticipare la pausa caffè nonostante una
collega glielo avesse proposto.
Tutte quelle riflessioni lo accompagnarono per i tre quarti della sua
corsa, fino al punto dove, nel parco pubblico a un paio di chilometri
da casa sua, c'era uno di quei "castelli" fatti di tubi di lamiera dove
i bambini si arrampicavano. Lui lo utilizzava per fare le flessioni.
Cinquanta. Sempre. Non quarantanove e neanche cinquantuno. Cinquanta.
Tutti i giorni.
Raggiunse la sua villa su due piani con un bel giardino tutt'intorno
dieci minuti dopo aver lasciato il parco pubblico. Un altro po' di
stretching mentre riprendeva fiato, poi doccia, colazione con latte e cereali e succo
d'arancia, dopo di che silenziosamente entrò in camera, si
vestì ancora più in silenzio e, alle otto in punto come
ogni mattina, prese la macchina e si avvò verso
l'Università Statale del Texas.
Jay aveva tarato la sua sveglia interiore alle sei e mezza del mattino,
in modo da raggiungere l'università alle otto e mezza,
cioè mezz'ora prima dei suoi pigri colleghi. Gli piaceva godersi
il silenzio dei sentieri lastricati del campus e la tranquillità
dei grandi e luminosi corridoi del Dipartimento di Fisiologia Cellulare
dove lui aveva l'ufficio.
Sistemò la sua Chevrolet Malibu blu nel posto a lui riservato al
parcheggio del campus e s'incamminò verso il suo studio, dove
ultimamente si sentiva più a casa che nella sua vera casa.
Il Capo del Dipartimento, un anno prima, gli aveva offerto un ufficio
ampio e sofisticato all'ultimo piano dello stabile. Lui aveva
rifiutato. Nonostante il suo capo pensasse che lui fosse la "rock star"
dell'università, Jay non si sentiva tale, per niente. Per questo
aveva rifiutato. Preferiva il suo solito ufficio, comodo e funzionale
al piano terra, di fianco ai bagni. Ok, era l'ufficio più grande
fra quelli dei piani sotto all'ultimo, ma lui aveva un bisogno quasi
vitale di un enorme tavolo, oltre alla sua scrivania, dove poter
organizzare le sue ore di studio con i ragazzi e dove poteva aprire
decine di libri e riviste da consultare.
-Buongiorno professore.-
La voce della sua iper-professionale, iper-precisa, iper-efficiente e
iper-tutto segretaria, Caludia, lo salutò prima ancora che lui
si rendesse conto della sua presenza. Claudia ci aveva impiegato un
giorno per capire che Jay arrivava all'università prima degli
altri professori e, dal suo secondo giorno di lavoro, lei arrivava
dieci minuti prima di lui in modo da fargli trovare il programma degli
appuntamenti della giornata già sulla scrivania.
-Ciao Claudia! Come stai?-
Lei non rispose, ma si limitò a fissarlo. Jay si divertiva a
metterla in difficoltà
cercando di stabilire un rapporto un po' più umano di quello che
lei voleva, e lei tutte le volte reagiva stampandosi in faccia qualcosa
che voleva essere un sorriso, ma che risultava invece essere una
smorfia.
Jay, divertito, entrò in ufficio e si richiuse la porta
alle spalle. Fece scorrere lo sguardo per tutta la stanza, facendolo
scivolare sui preziosi mobili di legno chiaro in stile inglese: la sua
ampia scrivania, i tre capaci armadi pieni di libri, la libreria aperta
a sette ripiani anch'essa piena fino in alto ed il famigerato
"tavolone" sgombro e perfettamente pulito nonostante la sera prima
avesse fatto le ore piccole con Daniel per spiegargli il funzionamento
del gene della fibrina (eppure a lui quell'argomento non sembrava una
cosa così difficile come al ragazzo...). Infine c'era una bella
lavagna bianca appoggiata su un treppiedi. Il tutto era condito con
due enormi piante di ficus che la sua assistente provvedeva ad innaffiare
quotidianamente e due grandi vetrate che si aprivano sul giardino
interno del campus. Quattro tende biache garantivano un po' di privacy.
Si sedette dietro la sua scrivania e, prima di controllare gli appunti
lasciati da Claudia, accese il computer. Il server era posizionato
sotto il tavolo, mentre lo schermo piatto ultimo
modello era sistemato in diagonale a 45° nell'angolo a destra. A fianco,
il porta penne, che per inciso conteneva solo una biro e una matita,
era messo in modo da creare un perfetto angolo di 90° con il
temparamatite automatico che a sua volta formava un altro angolo
perfetto di 90° con l'agenda. Sulla scrivania non c'era altro a
parte il telefono, posizionato nell'angolo a sinistra in perfetta
simmetria con lo schermo del computer.
Avviò la ricezione della posta eletronica e cominciò a
sfogliare i memo di Claudia. Gli appuntamenti non erano molti quella
mattina: Daniel dalle nove e trenta alle dodici e trenta, Mitch, un
dottorando, alle quattordici per mettere a punto gli ultimi dettagli
della sua presentazione per il congresso di Roma, poi ancora
Daniel dalle quindici e trenta alle....qualunque ora fosse stata
necessaria
per fargli entrare in testa il meccanismo di regolazione della
produzione della membrana basale. Gli vennero i brividi al solo
pensiero di quel testone che gli faceva una domanda dalla quale lui
capiva che il suo studente non aveva capito niente fino a quel
momento. Per quel giorno non sarebbe andato in laboratorio. Un po' gli
dispiaceva, ma d'altra parte lui in trentacique anni aveva passato
più tempo in un laboratorio di tutti i suoi presuntuosi colleghi
che avevano il doppio della sua età, per cui se per un giorno o
due al laboratorio ci avessero pensato i suoi assistenti non sarebbe
stata la morte di nessuno.
Sotto la tabella degli appuntamenti, trovò il biglietto aereo
per Roma ed il programma del congresso. Partenza: ore 7,30 del giorno
successivo, arrivo: ore 15,00 che con il fuso orario diventavano le
22,00. Praticamente avrebbe perso un giorno di vita, che avrebbe
recuperato nel viaggio di ritorno: non vedeva l'ora! Passò ad
analizzare il programma del congresso: una serie infinita di presentazioni,
discussioni, party per reperire i fondi per le ricerche, pranzi formali
con i capi del CNR, insomma tutta vita per una settimana. Poi,
però, la sua attenzione fu attratta da un punto in particolare,
e cioè la presentazione che sarebbe avvenuta alle ore 16,00 del
secondo giorno: "4,00 p.m. Dr. PhD Maria Luce MEDICI:
EXPOSITION AND CONSIGNMENT OF THE PRIZE WITH A SPECIAL MENTION OF THE
ETHIC COMMITTEE".
Jay fissò quella riga per diversi istanti, riflettendo. Maria
Luce Medici. Dove aveva già visto quel nome? Di sicuro non in un
libro, quindi doveva trattarsi di un articolo in una qualche rivista.
Menzione speciale del comitato etico. Se un comitato etico le aveva
dato un premio di sicuro non si trattava di una ricerca
qualunque...dove accidenti aveva già letto quel
nome....più cercava di ricordare, più aveva la sensazione che quel
nome si allontanasse...niente. Decise di alzarsi e vedere se passare in
rassegna alcune riviste lo avesse aiutato. Aprì l'armadio contro
la parete di fronte alla scrivania e comiciò a tirare fuori i
vari "Nature", "Science", "Journal of Cell Phisiology",....e poi una
lampadina gli si accese fra i neuroni:
-Ma certo!! Stem Cell Research!!-
Si avventò con sicurezza sul numero di Gennaio e lo aprì
a pagina 67. Non aveva bisogno di consultare l'indice: aveva letto e
riletto quell'articolo varie volte, senza tuttavia prestare troppa
attenzione agli autori. Quella ricerca lo aveva colpito per due motivi.
Primo l'accuratezza con cui l'esperimeto era stato pianificato nei
minimi
dettagli, dalla selezione dei soggetti sperimentali, cavalli in questo
caso, alla preparazione delle colture, alla riabilitazione degli
animali che erano stati seguiti scrupolosamente ed in prima persona
dalla titolare del progetto. Probabilmente il motivo per cui i
risultati dell'esperimento
erano stati così positivi era proprio la dedizione che
lei aveva messo nella sua ricerca. Inoltre lo aveva colpito molto
il sistema che questa ricercatrice italiana aveva utilizzato per dare
un valore numerico all'elasticità dei tendini trattati. Aveva
fatto ricorso ad un metodo messo appunto alcuni anni prima da uno
scienziato
inglese che permetteva di stabile quanto fosse elastica una struttura
dell'apparato muscolo-scheletrico in base alla percezione del dolore
dell'animale. Interessante. Lo aveva utilizzato anche lui in uno dei
pochi studi su "soggetti in vivo" che aveva fatto in passato.
Secondo motivo per cui trovava quell'articolo molto interessante, era
il modo in cui era stato scritto. A Jay veniva in mente solo un modo
per descrivere quello stile: quell'articolo era stato scritto
con il cuore. Ovviamente non mancava nessun dettaglio tecnico e
l'analisi statistica dei dati era impeccabile, tuttavia ogni parola di
quelle colonne, in effetti un po' troppe per i suoi gusti,
trasudava passione e coinvolgimento emotivo nel progetto e negli
animali trattati. Il programma di riabilitazione dei soggetti
sperimentali era stato personalizzato e adattato in corso d'opera per
adeguarsi meglio al ritmo di ripresa di ciascuno di loro. Jay era
rimasto impressionato da quel lavoro. Se quella dottoressa avesse
continuato su quella linea anche in progetti futuri e se le limitate
risosre dell'università italiana non le avessero tagliato le
gambe, era sicuro che avrebbe rivisto quel nome molto spesso negli anni a venire.
Non ci mise molto ad immaginare il motivo per cui il comitato etico le
aveva assegnato una menzione speciale. Anche quella era stata una
buona idea. Invece di fare le sue ricerche su animali che poi sarebbero
stati "sacrificati" (come odiava quella parola), aveva ricercato cavalli
sportivi infortunati e poi aveva lasciato ai loro scrupolosi padroni il
compito di rieducarli seguendo le sue rigide tabelle di
marcia. Rilesse una seconda volta quell'articolo e mentre i suoi
occhi
scivolavano su quelle parole si immaginava una ragazza presa fra
ecografie e visite e concentrata nel dispensare consigli ai proprietari
dei cavalli. Doveva essere una di quelle ragazze grassoccie e
impacciate che quando ti chiedono "Che tipo è?", tu per non dire
che è brutta, grassa e brufolosa perchè sta male, rispondi "Ma no, ha
personalità!" oppure "Ma no, è simpatica!". Rise fra
sè e sè.
Poi gli venne un'idea. Fece una botta di conti per calcolare il fuso
orario, quindi, risoluto raggiunse il telefono e compose un numero.
Aveva ancora la cornetta in mano e stava parlando, quando Caludia
bussò ed aprì timidamente la porta. Daniel era arrivato.
Il professore fece un cenno alla donna perchè facesse accomodare
il ragazzo mentre lui
terminava la sua telefonata.
Lo studente, un ragazzo snello e alto con capelli nerissimi e occhi
altrettanto neri e brillanti, entrò e cominciò a
sistemare libri e quaderni di appunti sul tavolone. Poi prese fuori il
suo portatile e lo accese, mentre Jay, nel suo stentato ma accettabile
italiano stava salutando la persona dall'altro capo del filo:
-Ok, grazie mille! Aspetto la tua e-mail! Ciao!!- riagganciò poi
si riapproppriò della sua lingua madre per salutare il ragazzo: -Ciao Daniel! Allora pronto per la membrana basale?-
Le tre ore successive non furono così male come Jay si
aspettava, evidentemente la notte aveva portato a Daniel molto
consiglio. Lui aveva dovuto ripetergli le cose solo due volte, invece
delle solite quattro o cinque corredate da ogni dimostrazione possibile
e immaginabile. In ogni caso, Jay alle dodici e trenta era stanco
morto.
Ed era solo a metà della giornata.
Salutato il ragazzo, il giovane professore avviò nuovamente la ricezione delle
e-mail, poi, mentre il computer lavorava, lui sistemò
quell'insopportabile confusione che la lezione aveva lasciato dietro di
sè sul tavolone. Una volta finito di sgomberare si sentì
molto meglio.
Tornò a sedersi alla scrivania, salvò il documento che
stava aspettando per e-mail su una pen drive, quindi prese la borsa con
il suo portatile ed uscì dall'ufficio per la pausa
pranzo.Direzione: "l'Asilo" a circa un quarto d'ora di strada in
macchina dall'università.
Se il suo ufficio era il posto in cui Jay si sentiva più libero
che in ogni altro, "l'Asilo" era quello in cui riusciva a rilassarsi
completamente.
"L'Asilo" era una specie di fattoria, appena a nord della città,
che lui ed il suo collega Simon avevano messo in piedi appena laureati.
Era costituita da una grande casa padronale con stalla annessa, ma la
cosa più bella era l'enorme terreno che circondava le due
costruzioni e che loro avevano trasformato in pascoli e paddock per gli
animali. Infatti, gli animali. "L'Asilo" si chiamava "Asilo"
perchè ospitava tutti gli animali che lui e, all'inizio anche
Simon, avevano utlizzato per le loro ricerche. In
pratica si trattava di animali che i padroni avevano quasi abbandonato
a loro stessi e per questo avevano finito per infortunarsi, ammalarsi,
ferirsi,
indebolirsi e quant'altro. Così, sentendosi un po' buoni
samaritani e un po' superman, arrivavano loro due, prelevavano baracca
e burattini e portavano tutti gli animali all'Asilo per curarli. Dopo un anno dalla sua
apertura, però, Simon aveva avuto un grave incidente d'auto ed
era rimasto paralizzato. Ora girava su una sedia a rotelle, si era
trasferito nella casa padronale, era diventato il direttore
dell'Asilo (o
General Manager come recitava una targhetta sulla porta del suo
ufficio/salotto) ed era felice come non lo era mai stato. Simon usava
dire: "Mentre Jay si occupa di ricerche e provette e si prende tutto il
merito, il lavoro sporco
tocca a me. Qual'è il lavoro sporco? Il letame ovviamente." Al
momento l'Asilo contava: trenta cavalli, dieci mucche, nove maiali,
otto furetti, venti galline, tredici asini e due oche che Simon odiava
con tutto sè stesso perchè diceva che non lo facevano
dormire.
L'Asilo era il modo di Jay per dare una vita dignitosa e decente a
tutti quegli
straordinari esseri viventi che senza mai lamentarsi erano costretti a
subire le follie e i vizi dei loro padroni. Anzi in quel momento la
loro vita era
più che dignitosa e decente a giudicare dal generoso strato di
grasso che stava sotto il loro pelo o le loro penne.
Dopo un saluto veloce a Simon, perchè in effetti aveva solo
un'oretta scarsa per buttare giù un sandwich e leggere il
documento appena arrivato per e-mail, Jay si accomodò nel suo
posto preferito: sotto un salice nel paddock di Betsy la mucca.
Accese il suo computer ed aprì il file, una tesi di dottorato.
Sul frontespizio c'era scritto che l'autrice era la dottoressa Maria
Luce Medici, mentre il titolo era "USO DELLE CELLULE STAMINALI NELLA
CURA DELLE PATOLOGIE DELLE STRUTTURE DI AUSILIO ALL'APPARATO
MUSCOLO SCHELETRICO NEGLI UNGULATI".
Cominciò a leggere, e fin dalle prime righe risultò evidente lo
stesso stile con cui era stato scritto l'articolo che aveva scorso
quella mattina. L'introduzione era precisa e discorsiva. Lunga come la
messa cantata, ma scorrevole. Decisamente questa ragazza non poteva
annoverare tra le sue qualità il dono della sintesi. Il
protocollo sperimentale era descritto minuziosamente ed i risultati con
una accuratezza quasi maniacale. Il pezzo forte però erano le
conclusioni. Non solo il suo studio confermava l'ottimismo che lui
stesso da anni stava cercando di trasmettere ad altri scienziati circa
l'uso delle cellule staminali, ma addirittura questa tizia si era
addentrata in previsioni relative all'uso di queste tecniche per curare
varie patologie umane. Coraggiosa. Decisamente coraggiosa. E coraggiosa
era stata anche la sua relatrice, che per inciso Jay conosceva
benissimo, che le aveva fatto pubblicare un parere così audace.
Ora il giovane professore era molto più impressionato da questa ragazza di quanto
non lo fosse quella mattina.
Non aveva comunque il tempo di rimuginarci troppo, perchè
l'appuntamento con Mitch incombeva.
Mentre il portatile si spegneva, si guardò intorno, respirò profondamente quell'aria e si chiese
come mai non ci avesse mai portato Valery in quel posto. No, no. Jay
corresse immediatamente quel pensiero: era stata lei a non volerci mai
venire. Chissà perchè, lui si sentiva quasi in paradiso,
immerso com'era in quella calma lontana dalla caotica città e con quel profumo di fieno ed erba
appena tagliata. Infilò nella borsa il computer, chiuse la pen drive
nella sua taschina
e fece un grattino dietro le orecchie di Betsy la mucca, la sua
preferita. Salutato Simon, fece ritorno al dipartimento.
Il pomeriggio passò senza intoppi fra Mitch che stava diventando
isterico per la sua prima presentazione, che per altro sarebbe stata
internazionale niente meno, e Daniel che continuava a fargli domande sul
perchè, per il successo di una cura con le cellule staminali,
fosse così importante trattare il paziente con stimolatori del
gene per la laminina e per i recettori integrinici. Alla quarta volta
che gli poneva quella domanda, Jay respirò profondamente e, con
calma e pazienza, rispose:
-Perchè bisogna stimolare sia le cellule in sito che quelle
staminali a produrre le molecole di adesione in modo da cementarsi
correttamente le une alle altre. Capito?- Ebbe un brivido mentre
attendeva il cenno affermativo del capo del ragazzo. "Vittoria!!"
esultò Jay fra sè e sè senza scomporsi.
La lezione con Daniel finì alle otto, prima di quanto Jay
pensasse; avrebbe avuto tutto il tempo per andare a casa, preparare la
valigia e cenare, in tutta calma e da solo, come sempre. Prima di
uscire sistemò il tavolone sgomberandolo e spolverandolo,
pulì la lavagna da un sacco di disegni schematici di superfici
cellulari adese l'una all'altra, poi,
già che c'era, spolverò anche la sua scrivania. Si
sentì soddisfatto quando tutto fu perfettamente in ordine e
pulito, solo allora chiuse l'ufficio e fece ritorno a casa.
La preparazione del bagaglio era un'occupazione nella quale Jay metteva
tutta la sua concentrazione e maniacale pignoleria, che lui però definiva
semplicemente precisione: prima distese sul letto in
pile perfette la biancheria, poi mise in una busta il necessario per
la toilette (sapone, rasoio elettrico che dalla forma sembrava un astronave, pettine, spazzolino e dentifricio,
dopobarba e salviettine imbevute per pulire gli occhiali da vista), quindi prese
a tirare fuori dall'armadio i vestiti. Due giacche (non si sarebbe
messo una cravatta neanche sotto minaccia di morte) per le cene a cui
sarebbe andato (il suo capo aveva insistito fino allo sfinimento
perchè andasse a tutte e quattro, ma lui si era categoricamente
rifiutato, per cui si erano incontrati a metà strada, due; una
sarebbe stato meglio, odiava quegli eventi), due pantaloni eleganti il
cui colore si accompagnasse a quello delle giacche e due camice scelte
con lo stesso criterio. Per gli eventi diurni optò per sobrii
jeans blu con giacca sportiva di colore neutro, beige per esempio, e
camicia azzurra o bianca. Scarpe: un paio nere per la sera e un paio di comode
hogan, nere anche quelle, per il giorno. A questo aggiunse tre
tute, cinque magliette e le sue Nike, nel caso Dio avesse voluto
lasciargli una pidocchiosa mezz'ora per una corsetta.
A quel punto, tutto sembrava pronto per andare in valigia. Mentre
sistemava vestiti e oggetti, mettendo quelli meno fragili sul fondo e
lasciando quelli più delicati in cima, l'unica cosa a cui
riusciva a pensare era il silenzio assordante che lo circondava. Che
tristezza. E pensare che quando lui e Valery si erano trasferiti in
quella casa, circa quattro anni e mezzo prima, all'inizio lei non faceva
altro che girargli intorno allegramente e prendendolo in giro per le
sue ossessioni in fatto di angoli retti, simmetria e quant'altro di
geometrico si potesse usare per preparare una valigia. Ora invece sua
moglie praticamente lo ignorava. Perchè? Aveva fatto qualcosa di
male? Non gli sembrava, per quanto avesse pensato, lui si era sempre
comportato come al solito. Ok, il suo lavoro lo portava spesso fuori
casa anche per diversi giorni, ma lei lo sapeva anche prima di sposarlo
e sapeva anche molto bene che non ci avrebbe rinunciato. Poi un
pensiero orrendo attraversò la sua mente come una bomba atomica:
magari Valery aveva trovato un'altro. Smise di fare la valigia e, quasi senza
fiato, si sedette sul letto. Quasi senza fiato, sì,
perchè quello che lo lasciò completamente senza fu il
panico che quella riflessione NON scatenò in lui. Sua moglie
poteva avere un amante e lui cosa provava? Rabbia? Gelosia? Voglia di
prendere qualcuno a pugni? Collera? Voglia di gridare? No, niente di
tutto quello. Assolutamente NIENTE. Quello sì, che lo
lasciò senza fiato. Era davvero finito tutto?
Faticosamente si impose di tornare alla sua valigia, ma mentre vi
riponeva pantaloni, camicie, calzini e slip riusciva solo a pensare a
quanto liberatorio sarebbe stato poter fare quelle stesse cose senza
doversi preoccupare di Valery e di quello non c'era più fra di
loro.
Completato il bagaglio, cenò e si mise subito a letto. Smise di
pensare al suo matrimonio solo quando Morfeo lo prese per mano e lo trascinò con sè nel mondo dei sogni.
(1) "Force of Nature" - Pearl Jam - Vedder / McCready - 2009
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Capitolo 3 *** Broken ***
BROKEN 3
BROKEN (1)
Erano quasi le cinque del pomeriggio, dell'ultimo pomeriggio di passione
prima che i suoi colleghi rompiscatole del dipartimento se ne andassero
a quel benedetto congresso a Roma, lasciando lei, Camilla, in pace nel
suo territorio. Erano mesi che sognava quei quattro giorni di
libertà, durante i quali non avrebbe ricevuto telefonate minatorie a
causa di fondi tagliati, orari di lezione impossibili, guasti nelle
aule o nei laboratori e quant'altro potesse succedere di catastrofico, ma anche non.
Quell'anno lei a Roma non ci sarebbe andata. Aveva inventato
un'inesistente operazione ai denti del giudizio che non aveva più da
sei anni, cioè da quando il dentista glieli aveva tolti. Al congresso i
fondi per le loro ricerche avrebbero dovuto trovarli i diretti
interessati, lei era stanca di fare delle moine a imprenditori vecchi come il mondo ed il cui
unico scopo era pagare meno di quelle cose fastidiosissime, che tutti odiano e che si
chiamano tasse.
Tra i suoi collaboratori, la più contrariata
dall'obbligo di doversi improvvisare diplomatica era sicuramente Luce.
Pazienza, si sarebbe arrangiata. Dopo l'ennesima protesta di un'ora
prima lei l'aveva liquidata minacciandola con il licenziamento se non
si fosse presentata a quella dannata cena vestita come Dio comanda e
cioè non in felpa e jeans, ma possibilmente con un sobrio vestito da
sera, magari corto visto che lei le gambe da mostrare con orgoglio ce
le aveva.
Stava spegnendo il computer e mettendo da parte gli esami
che la sua migliore ricercatrice le aveva appena riconsegnato dopo la correzione, quando il
telefono squillò facendole prendere un colpo. Quando la frequenza
respiratoria tornò normale, Camilla rispose senza troppo entusiasmo:
-Pronto...- quasi ringhiò.
Dall'altra parte risuonò una giovane voce maschile dall'accento americano:
-Camila!!-
Il
professor Jay Reynolds la chiamava con una "l" sola perchè due non
riusciva a pronunciarle nè di seguito nè distanziate. Il suo italiano
era un po' scarso in effetti.
-Il professor Reynolds! Che piacere! Sono contenta che mi dedichi un minuto del suo preziosissimo tempo!-
Camilla
amava prendere in giro quel ragazzo, che ormai era un uomo ed un genio
nel suo campo. Non si sarebbe mai dimenticata di quando lo aveva
conosciuto, neolaureato, più o meno una decina di anni prima in occasione di un convegno a Berlino. Sveglio e
brillante aveva tenuto una presentazione perfetta e precisa sotto
ogni
punto di vista e aveva anche messo in difficoltà molti
professori che
avevano avuto qualcosa da dire sui suoi risultati. Li aveva distrutti
tutti. KO. Era rimasta impressionata, in tutti i senti. Se non fosse
che
lei
aveva vent'anni in più e avrebbe potuto passare per sua madre, certo una
madre particolarmente in forma e sexy, ma pur sempre sua madre, ci
avrebbe
fatto un
pensierino.
-Allora come mai il genio indiscusso delle cellule
staminali cerca una povera capo-dipartimento di una scassata università
italiana?-
-Tu scierzi, ma lo so che i geni li avete tutti voi!- l'"h" proprio non gli riusciva di pronunciarla.
-Sì, peccato che vengano tutti da voi!-
Risero entrambi, Jay non poteva darle torto. Passò al motivo della sua chiamata:
-Senti ho visto che una tua ricercatrice riceverà un premio a Roma...-
-Sì, la dottoressa Medici...inconsueta direi! E brillante..per
essere un veterinario!- rispose lei sarcastica per nascondere il fatto
che qualcosa le cominciava puzzare.
-Ah, come sono snob questi biologi...- continuò a scherzare lui. Lei gli diede corda:
-Già...ne conosco uno...un americano...li batte tutti in quanto ad arroganza!-
Risero ancora entrambi di gusto. A Jay piaceva Camilla. Alcuni, quelli
dotati di scarsa autoironia, la
consideravano cinica, ma lui no,
scherzava volentieri con lei, ed il suo senso dell'umorismo decisamente
sardonico lo faceva ridere. Riprese cercando di non arrivare
direttamente al motivo della sua
chiamata:
-Ho letto l'articolo della dottoressa Medici su "Stem Cell Research"...-
"Mmmhh ma perchè non arriva al punto??" pensò lei innervosendosi, ma disse:
-Sì, e ha fatto tutto da sola...ma il risultato è stato sorprendente!-
-Mi è piaciuto molto la sua ricerca, infatti...ma dove li trovi
dei collaboratori così?- il genere dei nomi era
un'opinione per Jay.
-Ho
i miei metodi! Segreto professionale, mi dispiace professore!- scherzò
ancora Camilla nonostante si stesse irritando sempre di più perchè lui si ostinava a non arrivare
al punto.
Finalmente:
-Mi potresti inviare un'e-mail con la sua
tesi di dottorato? Sono piutos..to curioso!- non gli riusciva nè la doppia t e nemmeno l'st.
"Oh, eccoci arrivati finalmente!" il cervello di Camilla fece la ola.
-Certo, subito...-
-Ok, grazie mille! Aspetto la tua e-mail! Ciao!!-
Jay ringraziò e
riappese senza darle il tempo di salutarlo. Tipico del giovane professore, magari avrà
avuto uno studente in ufficio per una delle sue lezioni private. Un genio dal cuore d'oro.
Ecco,
ora avrebbe dovuto accendere il computer un'altra volta! Succedeva sempre
così
quando era pronta per andare a casa ad un orario decente. Però
era
contenta di farlo, qualcosa le diceva che dopo il congresso di Roma lei
e Jay si
sarebbero sentiti più spesso; e fu anche contenta di aver
spedito Luce da sola nella fossa dei leoni. E lo fu ancora di
più quando la giovane ricercatrice, la sera successiva,
cioè quella prima della sua partenza, si presentò quasi
in lacrime alla porta di casa sua.
Il pomeriggio del giorno che precedeva la partenza per Roma, Luce
lo passò a ripetere fino alla morte la sua presentazione. Prima
da sola, poi aveva chiamato a fare da pubblico anche Matteo, tutti i
dottorandi del dipartimento, tutti i tesisti e anche Daniela, la
bidella. Voleva esercitarsi con del pubblico davanti, anche se sapeva
che quello al congresso sarebbe stato più vasto,
molto più vasto. In pratica quel pomeriggio tre quarti del
dipartimento era stato costretto
per un'ora o giù di lì a sorbirsi il suo discorso, che
fra parentesi la metà di loro non capiva neanche. Alle quattro
era andata a salutare Camilla e a portarle gli esami corretti. Poi,
già che c'era, l'aveva scongiurata, anzi implorata di
risparmiarle l'obbligo di presenziare alla cena per la raccolta
fondi. Non nutriva molte speranze nella clemenza del suo capo, ma tanto
valeva provare. Purtroppo:
-Non m'interessa, ci andrai altrimenti ti licenzio! Ah, e già
che ci sei sarebbe meglio che ci andassi vestita come Dio comanda, e
cioè non in jeans e felpa, ma con un bel vestito da sera,
possibilmente corto, visto che tu puoi permetterti di mostrare le gambe
con orgoglio!-
Quella risposta lasciò Luce sconsolata e basita; non solo
avrebbe dovuto
ingoiare un rospo di proporzioni titaniche e subire in silenzio quella
tortura, ma avrebbe dovuto farlo anche con uno scomodissimo
abbigliamento. Oltre il danno anche la beffa: Luce si convinse
che in una qualche vita precedente doveva essere stata molto
cattiva.
A quel punto non le rimaneva che tornare a casa e preparare la valigia.
Avrebbe preferito di gran lunga subire un'aggressione in stile "Arancia
Meccanica", ma non aveva alternative.
Per Luce preparare la valigia significava tirare fuori dagli armadi
tutto quanto, ma proprio tutto, selezionare quello che doveva portare
via e
ammonticchiarlo da una parte, per poi risistemare alla bell'e meglio il
resto nuovamente nell'armadio. In pratica radeva al suolo
l'intero appartamento nel giro di un secondo netto per cercare
vestiti, scarpe,
biancheria, libri e tutto quello di cui aveva bisogno (senza contare
che poi puntualmente dimenticava lo spazzolino da denti e il
dentifricio), impiegava un quarto d'ora per preparare il bagaglio, mentre le due ore
successive le utilizzava per sistemare tutto il resto di nuovo in
quello che per lei era il "suo posto".
Alle sette di quella sera la valigia era pronta accanto al letto con il biglietto del treno sopra.
Andò in cucina per cercare di prepare qualcosa da mangiare. Per
sua fortuna qualche anno prima Dio aveva ficcato nella testa del Signor
Findus l'idea di cucinare e congelare le pietanze, così erano
nati i "4 salti in padella" che per Luce erano una vera manna dal
cielo. Tortelloni e spinaci filanti costituirono la sua cena. Stava
rassettando la cucina quando Gianluca, stanco morto ovviamente visto
che lavorava solo lui al mondo, rientrò a casa. Un getto di
acido invase dolorosamente lo stomaco di Luce, che si aspettava la
piazzata finale per tenerla a casa. Invece Gianluca la sorprese: le si
avvicinò e l'abbraccò. Lei riprese a respirare mentre pensava:
"Ecco
adesso mi dice che gli dispiace e che è contento che abbia vinto
questo premio e mi augura di divertirmi e di stenderli tutti quei
professoroni tronfi!" pensò lei al settimo cielo. E invece:
-Non andare!- disse lui semplicemente.
Il mondo le crollò addosso. Non andare!!!??? NON ANDARE!!!????
"Come può chiedermi di non andare, ma no sa quanto sia
importante per me questa cosa?" pensò mentre il suo sgardo
si fissava negli occhi di suo marito.Quello che vi lesse la
paralizzò letteralmente e le gelò il sangue nelle vene.
Si liberò con decisione dalla stretta di lui, ma senza
distogliere lo sguardo dai suoi occhi e:
-Ma Gianluca non puoi chiedermi di non andare! Come fai a non capire quanto
sia importante per me questa cosa?-
Poi un bagliore negli occhi
di Gianluca le diede la risposta. Luce decise di precedere le parole
del marito, che sarebbero comunque state inutili. Disse, con un filo di
voce
perchè stentava a crederci lei per prima: -Tu non capisci
perchè non t'importa nulla...non t'interessa niente nè
della mia vita nè di me...-
Inorridita, non ci pensò su due volte: prese una borsa e
lanciò dentro i vestiti per il viaggio del giorno successivo, si
mise scarpe e giacca, agguantò borsa e valigia e senza dire niente
uscì di casa con gli occhi gonfi di lacrime.
Solo quando fu in macchina fuori dal cancello del palazzo riuscì
a dare libero sfogo al pianto. Suo marito non provava nessun interesse
per lei. Per lui, lei era una specie di proprietà sulla quale
esercitare i propri diritti. In pratica se al suo posto ci fosse stata
una qualunque fanciulla sgallettata, stupida e con le tette rifatte per
Gianluca sarebbe andata bene lo stesso, anzi meglio perchè
sarebbe sicuramente stata troppo idiota per prendere da sola delle
decisioni.
Luce sapeva che Gianluca non aveva gli orizzonti mentali di Ghandi, ma
l'aveva comunque sposato sperando che, con il tempo e l'amore,
sarebbe riuscita a cambiarlo, almeno un poco. Si era sbagliata. Aveva
preso un granchio di dimensioni bibliche, e se non voleva che fosse
Gianluca a cambiare lei, c'era solo una cosa che doveva fare.
Senza pensare ma affidandosi ad un riflesso automatico, si diresse verso l'unico posto possibile: casa di Camilla.
Camilla aveva rappresentato nella vita di Luce le seguenti figure,
nell'ordine: professoressa, mentore e capo e poi amica. Camilla era una
donna che decisamente non dimostrava i suoi cinquatacinque anni. Bionda
naturale e ancora senza nessun capello grigio, era alta e formosa, a
causa di un paio di chili che potevano anche non esserci, ma che lei
portava in giro con orgoglio e con disinvoltura. Ricca di famiglia, non
si era mai sposata, ma non se n'era comunque restata con le mani in mano
a godersi la sua lauta eredità. Aveva studiato e lavorato sodo
fino a diventare la donna più giovane messa a capo di un
dipartimento dell'Università di Bologna. La cosa che Luce
apprezzava in lei era la schiettezza incondizionata ed il suo
proverbiale sarcasmo che spesso sfiorava il cinismo. Da quando era
diventata ricercatrice effettiva del dipartimento a capo del quale
c'era Camilla, Luce aveva scoperto una donna coerente e che la
sosteneva sempre, nonostante spesso fossero in disaccordo. E Gianluca
era una delle cose sulle quali loro si erano trovate in quella
condizione, anche se la parola "disaccordo" in questo caso, non rendeva
bene l'idea dell'entità dell'avversione che Camilla provava per
il marito dell'amica, cioè un uomo che nascondeva la sua spocchia dietro un
sorriso finto come la faccia di una qualuqnue attrice di Hollywood e
dietro battute che Camilla riteneva essere di pessimo gusto.
Quando Luce suonò il campanello del lussuoso appartamento in
pieno centro a Bologna, dopo aver parcheggiato la macchina in divieto
di sosta, Camilla si stava godendo il suo relax serale davanti a un
vecchio film, "Casablanca" quella sera, sorseggiando un bicchiere di
vino rosso. "Mmmhh chi è che scoccia a quest'ora?" pensò
mentre, decisamente contrariata, si alzava dall'immenso divano
dell'immenso salotto, grande più o meno come l'intero
appartamento di Luce, e andava ad aprire la porta. Quando dallo
spioncino vide il fantasma di Luce con due occhi che sembravano due
mongolfiere rosso pomodoro, non fece una piega. Se l'aspettava. Per la
verità erano mesi che si aspettava di vedere l'amica sulla
soglia di casa in condizioni disastrose a causa di quell'inetto
ignorante del marito, solo sperava che questo non accaddesse il giorno
prima della presentazione più importante della sua vita.
Sospirando, aprì la porta e fissò Luce con uno sguardo
quasi di rimprovero. Non disse niente, solo aprì l'uscio per
farla entrare e poi lo richiuse alle sue spalle.
Luce si lasciò cadere distrutta e svuotata in un angolo del
divano che, con lei sopra, sembrava ancora più grande.
-Hai magiato?- le chiese Camilla senza troppa emozione nella voce.
Luce annuì e basta. A quel punto per Camilla la cosa migliore
per la sua amica sarebbe stato bere un po' di sano e ristoratore alcool sotto
forma di succo d'uva, ma poi ricordò come, tre anni prima per
festeggiare il suo dottorato, la ragazza era andata fuori di testa solo
per un bicchiere di birra ed era stata in condizioni pietose per tre
giorni di seguito, quindi dirottò i suoi programmi verso una
bevanda più salutare: -Ti faccio una camomilla, dai, vieni in
cucina.-
Luce raggiunse l'amica in una ultra moderna e ultra pulita cucina e si
abbandonò su una sedia. Mentre aspettava ubbidiente la sua
camomilla, piano piano dentro di sè la giovane sentì la
disperazione per quella che ormai poteva solo essere la fine del suo
matrimonio tramutarsi in collera. Collera verso Gianluca che era un
deficiente e collera verso di sè per non essersi accorta di che
tipo d'uomo fosse lui. Improvvisamente scattò; come un
centometrista al suono dello sparo prese a vomitare tutti i suoi
sentimenti addosso all'amica. Incontenibile, implacabile e impetuosa investì
Camilla con una serie impressionante di insulti verso sè stessa
e verso il marito. Camilla non intervenne, ma ascoltò Luce
in silenzio o al massimo annuendo con il capo. Alla fine cercò
di consolarla, a suo modo ovviamente:
-Tesoro, gli uomini sono dei bambini con la taglia maggiore o uguale di
56. Quello che vogliono è una madre che non creda di fare la
madre ma la moglie. Sono buoni solo per una cosa. Sesso
occasionale....- s'interruppe, pensò un secondo, poi: -...e
molti di loro non riescono a fare nemmeno quello putroppo!- concluse malinconica.
Luce rise. Un sorriso si abbozzò sul suo viso arrossato tanto
dal pianto quanto dalla rabbia. Lentamente quel sorriso si
trasformò in una risata di gusto, contagiosa, perchè
anche Camilla prese a ridere senza ritegno. Risero finchè il mal
di pancia non prese il sopravvento; a quel punto Luce riprese a
sorseggiare la sua camomilla, mentre la sua saggia amica proseguiva
nella sua opera di consolazione:
-Senti Luce, io ti voglio un gran bene, lo sai, ma sai anche cosa penso
di Gianluca! Tu non lo meriti bambina! Tu sei sveglia e brillante,
emotivamente dimostri cinque anni, ma la tua intelligenza ed il tuo
intuito scientifico sono immensi! E io di studenti pivelli ne ho visti
tanti, credimi! Lo sai che dico sempre quello che penso e ti ripeto che
quel microcefalo di Gianluca non è alla tua altezza e non lo
sarebbe neanche con un trapianto di cervello!-
Mentre parlava una lampadina si accese nei meandri della sua mente;
un brillio comparve negli occhi di quella vecchia volpe di Camilla,
mentre con estrema cura sceglieva le parole da dire:
-Adesso ti preparo la stanza degli ospiti, tu vai a dormire e ti
riposi. Domani andrai a Roma, ritirerai quello stramaledetto premio che nessuno si merita più di te e
farai vedere a tutti di che pasta sei fatta. Poi andrai a quello
stramaledetto party e ti divertirai, parlerai con un sacco di uomini
interessanti, quindi stranieri...e magari ci fai scappare anche del
buono e sano sesso occasionale, così quell'idiota di Gianluca
impara! Quando tornerai a casa la prima cosa che farai sarà
chiamare un avvocato! Luce, tu devi vivere, non puoi rimanere legata ad
un ominide del mesozoico che in sei anni non è stato in grado di
capire quanto tu sia fantastica! Il mondo è pieno di uomini
intelligenti e attraenti nello stesso tempo...- avrebbe voluto
aggiungere anche texani, porfessori e geniali, ma non voleva essere
troppo esplicita, quindi lasciò la frase in sospeso.
Luce sorrise annuendo con il capo. Era contenta di essere andata da
Camilla, la sua amica, con i suoi modi franchi e sbrigativi, sapeva
sempre come tirarla su di morale.
La mattina della partenza per l'Italia Jay si svegliò alle
cinque. Prima di alzarsi rimase seduto sul letto un istante, fissando
Valery che, come sempre, dormiva come un sasso. Poi si alzò.
Quella mattina non baciò la moglie sulla guancia, contravvenendo
alla sua rigidissima routine quotidiana.
Dovendo essere in aeroporto alle sei e trenta per fare il check-in
sarebbe dovuto partire alle cinque e trenta. Aveva appuntamento a casa
sua con Mitch: la madre di quest'ultimo li avrebbe accompagnati
all'aeroporto. Alle cinque e venticinque spaccate Jay era pronto
per partire, quindi entrò silenziosamente in camera e
chiamò la moglie:
-Val...Val...io vado....- disse piano.
Lei rispose solo dopo un momento, senza aprire gli occhi e con la voce impastata dal sonno:
-Ok...ciao...- si girò dall'altra parte. Basta. Quello fu tutto
il saluto che Jay ricevette prima di partire e non vederla per una
settimana...non che quando fosse a casa le cose fossero molto diverse in
effetti, pensò mestamente mentre scendeva le scale.
La madre di Mitch era un donnone enorme: bassa e sovrappeso dava un
nuovo significato alla parola "esuberante". Passò tutta l'ora di
viaggio verso l'aeroporto a parlare ininterrottamente dei sacrifici che
il figlio stava facendo per prendere il dottorato. In effetti
però Jay percepì solo una parola ogni dieci di quelle che
uscivano dalla bocca di lei; smise di ascoltare quando casa sua era
ancora visibile dal lunotto posteriore della macchina. Arrivati a
destinazione la signora scaricò i due viaggiatori davanti
all'ingresso destinato alle partenze intercontinentali e, dopo aver
salutato Mitch, si fiondò con impeto su Jay abbracciandolo e gridandogli
tutta la sua gratitudine per aver dato fiducia al figlio seguendolo nei
suoi studi. Ancora rintronato, perchè la voce penetrante di
quella donna non smetteva di trapanargli il cervello, Jay quasi non
sentì le scuse del suo studente per il comportamento della madre.
Il volo partì in orario e Jay trascorse tutta la prima
metà del viaggio ignorando Mitch che lo tartassava di domande
sulla ricerca che avrebbe presentato a Roma, e pensado a Valery e al
suo presunto amante, cercando un barlume anche microscopico di gelosia
dentro di sè. Niente. Ogni tentativo fallì; persino
l'immagine costruita nella sua mente di lei avvinghiata a un altro uomo
non risvegliò in lui nessuna reazione negativa. EEG ed ECG
perfettamente nella norma, nessun segno di emozione. Semplicemente non
provava niente. Da quanto era cominciata la fine? Ripercorse
mentalmente gli ultimi mesi del suo matrimonio, ma la risposta non
arrivò.
-Professore, ma siamo sicuri che...-
La possibilità che si fosse trattato di una morte lenta
cominciata molto prima di qualche mese fa si fece strada nella mente di
Jay, mentre contemplava l'oceano sotto di lui. Ok, lui era un tipo un
po' abitudinario che amava l'ordine e l'organizzazione in ogni cosa.
Persino i pochi oggetti sul tavolino aperto davanti a lui in quel
momento erano stati sistemati con metodo: nell'angolo in alto a destra
c'era un libro quasi nuovo, nonostante gli mancassero poche pagine per
finire di leggerlo, e sopra esattamente al centro aveva messo l'iPod
con gli auricolari perfettamente avvolti attorno al dispositivo in
cerchi così concentrici che avrebbero fatto invidia perfino a Giotto. In
alto a sinistra, un bicchiere di spemuta d'arancia era posizionato
esattamente al centro della depressione circolare che costituiva il
punto dove mettere le bevande. Il resto del tavolino era sgombro.
-Professore....?-
E allora? Che male c'era nel voler avere tutto sotto controllo? E
poi non aveva mai fatto pesare questa cosa a Valery; per esempio non le
aveva mai detto di sistemare le sue calze in ordine di colore nel suo
cassetto...quello lo faceva lui. Non aveva mai imposto il suo comportamento a
nessuno, men che meno a sua moglie. Ma il punto centrale di tutta la
questione non era lei, era lui. Perchè lui non provava
assolutamente niente al pensiero che Valery potesse avere un amante?
Stava per concentrarsi su sè stesso e sul quando aveva smesso di
amare Valery, se mai lo avesse fatto, quando si accorse che una voce, lontanissima da dove si
trovava lui in quel momento, lo stava chiamando:
-Professore....?-
Jay si riscosse e si voltò verso Mitch:
-Ehm...scusa...ero sopra pensiero...cosa hai detto?- gli chiese
rendendosi conto solo in quel momento dell'espressione di puro panico
dipinta sul volto del suo studente.
-Professore, ma lei è sicuro che le cellule staminali si possono integrare con i tessuti dell'ospite?-
Jay respirò profondamente. Ma anche lui era stato così
sensibile all'isterismo da pre-conferenza come i suoi studenti? Non se
lo ricordava.
-Io sono sicuro, ma dovresti esserlo anche tu dal momento che sei stato
tu a portarmi i risultati.- mentì, in effetti l'esperimento che
Mitch doveva esporre a Roma lo avevano condotto insieme, ma se voleva
che il suo studente non ci rimanesse a causa di un ictus, doveva
mentire. Per
esperienza sapeva che il panico in certi casi si
poteva
combattere meglio con un'iniezione di fiducia ed autostima più
che con dati sperimentali e grafici; motivo per cui continuò fissando il
ragazzo davanti a lui negli occhi: -Senti Mitch, sai tutto, non
è necessario
che ripassi ancora la presentazione. Domani te la caverai benissimo.
Lo sai cosa distingue un oratore eccellente da uno mediocre?-
l'espressione interrogativa di Mitch lo indusse a continuare: -La
freddezza e la razionalità! Devi solo avere fiducia in te e in
quello che sai che sarà
più che sufficiente per stendere tutti quei palloni gonfiati che
non capiranno una parola di quello che dirai perchè quello che
dirai sarà troppo difficile per loro. Tranquillo, spegni il
computer e goditi il viaggio!-
Mitch respirò profondamente come a volersi impadronire anche di
un po' di quella positività che il suo professore aveva messo in quel
discorso, poi finalmente si calmò, spense il computer, e trasse
dal suo zaino l'iPod.
Jay a quel punto tornò alle sue riflessioni esistenziali su di
sè e sul perchè non amasse più Valery, cosa, questa,
ormai chiara e cristallina nella sua mente.
(1) "Broken" - Elisa - 2003
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Capitolo 4 *** Too Much Love Will Kill You ***
TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU 4
TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU (1)
La mattina della partenza Luce non sapeva se si sentiva più
scombussolata per gli eventi della sera prima o per la sua
presentazione di quel pomeriggio. Di certo non sembrava una fresca rosa
di bosco mentre alle sei, ferma sul binario 7 della stazione di Bologna di fianco a
Camilla, aspettava il treno per Roma. Espresso 987C, perchè i
fondi dell'Università passavano quello; se uno voleva prendere
l'Eurostar, come Matteo per esempio, doveva pagarsi il biglietto con i
propri di fondi. Luce aveva deciso di indirizzare i suoi soldi per
restare a Roma un giorno in più, quindi l'Espresso 987C le
andava a pennello.
-Allora Luce, come stai? Ti prego non farmi fare una brutta figura! Mi
raccomando stai concentrata e non guardare il pubblico durante la
presentazione. Guarda le tue diapositive e falli tutti secchi, ok?
Rendimi fiera, per la miseria!!- la incoraggiò Camilla, poi
rincarò la dose della sera prima: -Divertiti e rimorchia qualche
pezzo
grosso straniero, così magari ci scappa un gemellaggio con
qualche capoccione che ha più soldi di noi!- ovviamente le
parole "rimorchiare", "pezzo grosso straniero" e "gemellaggio" non
finirono nella stessa frase a caso.
Luce sorrise piena di gratitudine per la sua amica che aveva trasformato una situazione devastante in un nuovo inizio:
-Grazie Cam...davvero!- e l'abbracciò. Ripetè il gesto prima di salire sul treno.
Una volta messasi a sedere prese il suo portatile e l'iPod, ma invece
che ripassare la presentazione, lasciò che i suoi pensieri vagassero molto
lontano dall'Espresso 987C che stava uscendo pigramente dalla stazione. Il suo problema stava nel fatto che lei era
troppo romantica e aveva troppa fiducia nelle persone. Ripensò
ai ragazzi con cui era stata prima di conoscere Gianluca, ci mise poco
a ripercorrere quelle poche storie in effetti, ma la conclusione a cui giunse
fu comunque la stessa: troppa fiducia e troppo romanticismo, ed
entrambi troppo in fretta. Le sue
storie, e il matrimonio non faceva eccezione, erano finite
perchè, mentre lei aveva messo tutta sè stessa e
aveva dato a quelle persone tutto quello che aveva da dare subito e
tutto insieme, loro, nei suoi confronti, avevano usato il
contagoccie e non si erano nemmeno presi il disturbo di guardare
più in là del loro naso per accorgersi che lei era
lì ad aspettare di essere amata e basta; alla fine lei si scocciava di sentirsi praticamente
ignorata e li mollava. Ci metteva sempre quei tre o quattro anni...ok,
con Gianluca erano stati sei, quasi sette. Era stata una stupida,
tutte le volte!
Dopo essersi
insultata si ripromise di non farsi mai più prendere in giro da
un uomo, anzi si impose di non innamorarsi mai più...forse la
"Filosofia del Sesso Occasionale" di Camilla poteva anche non
essere del tutto sbagliata. Si sentì subito meglio, quello
sarebbe stato di sicuro un nuovo inizio. Quella sensazione durò
poco, un secondo, forse neanche. No, decisamente lo stile di vita di
Camilla non si addiceva a lei, neanche in po'. Lei amava e basta.
Incondizionatamente. Ok, la sua "Filosofia dell'Amore Incondizionato"
le aveva procurato delusioni cocenti e un divorzio, ma non ci poteva
fare niente, lei era così e anche provandoci non sarebbe
riuscita a cambiare, nanche avendo avuto a disposizione secoli e
secoli.
Si sgonfiò. Era stanca; era stanca di uomini stupidi, pieni di
sè e innamorati solo di loro stessi. Ma da dove diavolo uscivano
quelle coppie così felici che dopo anni e anni di vita
insieme dicevano di amarsi ancora come il primo giorno? Se queste
coppie
esistevano davvero significava che anche l'amore, quello vero, esisteva
davvero...ma
dove? Insomma le bastava pensare ai suoi genitori per avere la prova
vivente di come fosse possibile amare profondamente una persona per
sempre: loro stavano insieme da quanto? Quarant'anni? Più o
meno. Comunque, Luce non aveva mai visto vacillare i loro sentimenti
reciproci neanche una volta; non è che non litigassero mai, ma
avevano lo straordinario potere di capirsi con un solo sguardo e di
rimettere tutto a posto, senza esitazioni.
Forse lei era stata solo sfortunata fino a quel momento? Magari
la proverbiale altra metà della sua mela lei non l'aveva ancora
incontrata, ma era là fuori da qualche parte? O forse
doveva solo centellinare di più i suoi sentimenti? Forse doveva
imparare a razionare i suoi sentimenti, mostrandoli poco per volta?
Forse tutto l'amore che lei dava fin da subito metteva gli uomini in
uno stato di tranquillità in virtù del quale poi lei
diventava una cosa scontata nella loro vita? Forse...ma
non era sicura che ci sarebbe riuscita. Come avrebbe fatto a cambiare
sè stessa dopo trentaquattro anni che era così? E poi
perchè doveva essere colpa sua per la miseria!! Camilla aveva
ragione! Insomma, perchè un uomo non dovrebbe essere contento di
avere vicino una donna bella, intelligente, intraprendente e in gamba
come
lei! Oddio non che lei fosse perfetta, e le condizioni da post-tsunami
in cui versavano gli armadi di casa sua ne erano la dimostrazione, ma
non voleva neanche essere perfetta! Nessuno era perfetto a questo
mondo! E poi non le sarebbe andato bene un
uomo qualunque!
A quel punto però Luce tirò con forza il guinzaglio dei
suoi pensieri. Primo perchè la sua testa cominciava a ronzare,
secondo perchè il treno stava già ripartendo dalla
stazione di Empoli e lei doveva ripassare e terzo perchè doveva
ancora dire a suo marito che voleva il divorzio e non aveva voglia di
pensare a come avrebbe dovuto essere il suo uomo ideale. Ragion per cui,
con gli Alice in Chains nelle orecchie, accese il computer ed
aprì la sua presentazione.
Il congresso del CNR si teneva nella sontuosa sala conferenze
dell'Hotel Hilton di Roma(2), sito nel centralissimo Corso Italia. La sala
era enorme, poteva contenere circa quattrocento persone ed era
provvista di un palco e di un sipario in spesso velluto blu.
Praticamente un teatro con lussuosi lampadari in vetro di murano
sfumato nello stesso colore del sipario e plafoniere nello stesso
stile fissate nella parte alta delle pareti rivestite di velluto, blu
anche quello. L'hotel era proprio di
fronte all'ingresso di Villa Borghese, uno dei posti più belli
del mondo, pensava Jay, mentre la mattina del secondo giorno si faceva
la doccia nella sua camera di quello stesso hotel. Era stato in Italia
diverse volte; Milano, Firenze, Bologna, Palermo, ma Roma aveva
un'atmosfera tutta sua. Beh, se qualcuno la riteneva la città
più bella del mondo, La Città Eterna per la precisione, una ragione ci doveva pur essere,
pensò il giovane professore. Era appena tornato
dalla sua corsa, che in quei giorni di trasferta romana faceva nel
parco di Villa Borghese, e non vedeva l'ora che cominciassero le
presentazioni di quella seconda giornata che sarebbe stata interamente
dedicata alla ricerca sulle cellule staminali. In verità Jay
era convinto che tutte le ricerche serie fossero comunque
utli, ma era altrettanto sicuro che lo studio dell'andamento degli
episodi di sonno REM nei roditori non sarebbe servito alle sue ricerche
almeno per un po' di tempo ancora, quindi il giorno prima aveva
presenziato alle varie esposizioni ascoltando e non
ascoltando quello che i suoi colleghi dicevano.
Finita la doccia, aprì l'armadio della camera e studiò
con attenzione i vestiti che vi erano appesi in ordine di colore,
pantaloni da una parte, giacche dall'altra e camice al centro,
ovviamente. Mentre decideva cosa indossare, ripensò a come aveva
convinto la ragazza alla reception dell'Hilton a farsi dare quella
camera. Era una stanza non grande ma comoda e con l'indispensabile.
Quando, due giorni prima, lui e Mitch erano arrivati in hotel
dall'aeroporto, Jay aveva scoperto che l'università aveva
prenotato per lui una suite al penultimo piano (il settimo per
inciso) per tutta la durata del congresso, mentre per il suo studente
una misera stanzetta al secondo piano per tre giorni. Quel poveretto
già era stravolto per il fatto di aver praticamente perso sette
ore della sua vita a causa del fuso orario, il giorno dopo avrebbe
dovuto tenere la sua prima presentazione in un paese straniero di
fronte a quattrocento persone e il giorno dopo ancora avrebbe
recuperato con il viaggio di ritorno le sette ore perse
precedentemente. Ma come faceva
il rettore ad essere così sadico? Per quel motivo Jay aveva
allungato l'occhio sulla targhetta della ragazza alla reception e aveva
letto "TIZIANA", quindi:
-Senti Tiziana...non sarebbe possibile cambiare la mia suite con una
stanza più pratica e piccola ai piani bassi e prolungare la
prenotazione del mio amico fino alla fine del congresso?-
La ragazza aveva reagito con sorpresa, ma aveva risposto in un inglese abbastanza fluente:
-Beh...veramente...non saprei...dovrei chiedere...-
A quel punto a Jay era bastato alzare un sopracciglio. Non
perchè fosse il suo di sopracciglio, ma perchè era il
sopracciglio di un tizio che stringeva in mano la chiave di una
superlussuosa suite al penultimo piano prenotata e già pagata
per cinque giorni. Per esperienza il giovane professore aveva imparato
che se un tizio con quelle credenziali alzava un sopracciglio, la
persona alla reception cominciava a far scorrere le dita sui tasti del
computer ad una velocità supersonica. Anche in quell'occasione
era stato così. Due secondi dopo che il sopracciglio di Jay era
tornato al suo posto:
-Certo. Posso darle la stanza 345. Terzo piano.-
-Perfetto! Grazie Tiziana. Molto gentile!-
Mitch si era profuso in ringraziamenti a non finire, dopo tutto era
figlio di sua madre. Al sesto ringraziamento, Jay, mantenendo un
comportamento contenuto e gentile, gli aveva risposto: -Aspetta a
ringraziarmi dopo che ti avrò costretto ad assistere a cinque
giorni di presentazioni fitte fitte!-
-Grazie professore! Grazie ancora!-
Ringraziamenti numero sette e numero otto. Come volevasi dimostrare: Mitch era decisamente figlio di sua madre.
Jay ritornò con la mente al presente, sentendosi pronto e carico per trasmettere tutta la
positività di cui era capace al suo studente.
Uscito dalla stanza raggiunse il ragazzo nella sala conferenze al piano
terra dell'albergo.
Alle nove e venticinque del mattino il
professore ed il suo allievo, ancora una volta a rischio di ictus,
erano dietro
le quinte del palco e Jay stava
cercando di mettere in atto un'opera di distensione psicologica che
assomigliava di più ad un rito d'ipnosi di qualche strana
religione indiana:
-Allora Mitch....respira...così inspira ed
espira...ancora....bene...non smettere mai, capito? Guarda le
diapositive e non parlare in fretta, ok? Prima pensa e poi parla, ok? Pensa e poi parla, capito?-
Mitch annuiva ad ogni consiglio del suo insegnante con sguardo fisso
nel vuoto mentre cercava di concentrarsi. Ad un certo punto una donna
tutta in ghingheri con i capelli raccolti ed un microfono a cuffia si
avvicinò a loro e chiese:
-Pronto Dottor Anderson?-
Mitch annuì agguerrito e la donna gli ficcò fra le mani
senza troppe cerimonie un microfono. Jay si avviò verso il suo
posto
in prima fila, fra un professore tedesco con una pancia di
dimensioni imbarazzanti cresciuta negli anni a suon di Oktober Fest ed
uno spocchioso professore francese che lui proprio non riusciva a farsi
piacere. Lo ignorò e si concentrò su Mitch. Il ragazzo
condusse una presentazione pulita e quasi senza incertezze, dopo un
iniziale secondo di panico durante il quale s'impappinò, ma si
riprese egregiamente e Jay fu più che soddisfatto di come il
suo studente aveva reagito nel momento della tensione.
Il resto della mattina passò fra altre esposizioni più o
meno interessanti e domande del pubblico: insulse quelle del francese e
divertenti quelle del tedesco.
Jay, dal canto suo, aspettava solo una cosa.
(1) "Too Much Love Will Kill You" - Queen
(2) Questo posto me lo sono inventato. A Roma esiste davvero un Cosro Italia, ma dubito che lì ci sia un Hotel Hilton.
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Capitolo 5 *** No Time For Loosers ***
NO TIME FOR LOOSERS 4 BIS
NO TIME FOR LOOSERS(1)
Alle quindici e cinquantacinque del giorno della sua presentazione,
Luce, dietro le quinte del palco della sala conferenze dell'Hotel
Hilton di Roma,
era sull'orlo di una crisi psicotica. Cercava di respirare come le
diceva in continuazione Matteo da venti minuti buoni, ma l'ossigeno non
sortiva nessun effetto. La vista di circa quattrocento persone sedute
in platea che
avrebbero ascoltato ogni sua singola parola l'aveva gettata nello
sconforto e nel panico più totali. Ad un certo punto:
-Matteo! Vacci tu!! Vai tu là fuori!- disse Luce rossa in volto.
-Ma scherzi, non ci penso neanche!!!??- per un secondo la proverbiale freddeza dell'assistente
andò a farsi benedire, ma per poco; dopo un istante Matteo si ricompose e
continuò: -Nessuno al mondo conosce questa ricerca come te! Devi
solo rimanere concentrata e vedrai che andrà tutto bene!-
-Ok, ok...hai ragione...concentrata e respirata....va bene.- ribattè la
ricercatrice mentre il suo nervosismo toccava livelli disumani: il
telecomando che Luce aveva in mano e che le
avrebbe permesso di passare da una diapositiva ad un altra stava
per passare la peggior mezz'ora della sua vita.
La stessa ragazza che aveva mandato sul palco Mitch quella mattina, si avvicinò a loro e:
-Dottoressa Medici è pronta?-
Luce impallidì violentemente e le si seccò la bocca in un tempo da record, mentre diceva timidamente:
-S-s-i-i-ì...-
La hostess le piantò sgarbatamente in mano un microfono e se
andò. Così Luce, con la spinta di un condannato a morte
che si sta avviando verso
la sedia elettica, si portò lentamente al centro del palco.
Dietro di lei, come un'enorme spada di Damocle, incombeva su uno schermo bianco la diapositiva iniziale
della sua presentazione, ingrandita in modo che fosse visibile anche
nelle ultime file della sala gremita di spettatori. Rimase ferma
immobile a guardare la terrificante
visione di quell'oceano di persone che pendevano dalle sue labbra;
paralizzata e con lo stomaco che aveva raggiunto le dimensioni di un
granello di sabbia mentre la saliva era ormai un lontano ricordo.
Poi un rumore la distrasse. Qualcuno, Matteo, da dietro il sipario si
schiarì rumorosamente la voce. Luce si voltò verso la
fonte di quel suono e distinse il volto del suo assistente che la
incitava a
cominciare il suo discorso. Come per magia la fitta nebbia che
avvolgeva il suo cervello si alzò e lei cominciò a
parlare sicura e spedita come un pompiere.
*******************
Quando il moderatore del congresso, un uomo sui sessant'anni in doppio
petto, con un'invidiabile criniera di capelli bianchi ed una pancia che
lasciava intendere che negli anni avesse strizzato troppo spesso
l'occhio a tiramisù e profitterol, annunciò la
presentazione
della dottoressa Medici, Jay, dalla sua poltrona in prima fila, si
sitemò per bene: stare seduto comodo e composto lo aiutava a
concentrarsi. Tuttavia quando la dottoressa Medici apparve al centro
del palco lui decisamente rimase stupito. Per due motivi. Primo, per
come si ricordava il suo articolo e la sua tesi di dottorato, non si
aspettava di vederla in difficoltà; in realtà aveva
pensato di
vedere una donna esuberante che avrebbe tenuto in scacco il pubblico
con il suo discorso. Secondo, lei non era per niente la ragazza
grassoccia e bruttina (ma simpatica e con personalita!!!) che lui si
era immaginato. Era bella. Anzi, molto bella. Ok, in quel momento il
suo viso aveva un colorito verdognolo che si addiceva di più ad
un cadavere, ma a parte quel dettaglio era quanto di più lontano
ci potesse essere da una ragazza grassoccia e bruttina. Fisico snello
ed atletico, aveva i capelli rossi
e ricci raccolti in una coda sulla nuca. Indossava una camicetta
leggera, beige, semplice ma d'effetto grazie al
luccichio della seta ed era fasciata in una gonna nera, lucida anche
quella,
aderente, lunga fino sotto il ginocchio e con uno spacco posteriore
abbastanza profondo che le dava un'aria allo stesso tempo professionale
ed estremamente sensuale, almeno per i gusti di Jay. L'abbigliamento
si completava con un paio di calze nere velate e un
paio di scarpe sempre nere con il tacco alto. Jay rimase senza fiato
mentre il suo stomaco faceva la ola.
La dottoressa Medici, però, continuava a stare ferma al centro
del palco quasi senza respirare. Braccia rigide lungo i fianchi, con una
mano stringeva il microfono, mentre con l'altra stava torturando il telecomando del
proiettore. Poi un rumore arrivò da dietro il sipario, lei si
voltò e da quel momento tutto cambiò. Il colore
del suo viso assunse una sfumatura più umana e i suoi
occhi si accesero improvvisamente. Solo in quel momento Jay si accorse
che erano di una
tonalità di verde che lui pensava solo le pietre preziose potessero assumere.
La ricercatrice cominciò a parlare descrivendo lo scopo della sua ricerca ed il
protocollo sperimentale utlizzato. Sicura ma non automatica, diapositiva dopo
diapositiva acquistava sempre più sicurezza e precisione mentre
il suo viso diventava sempre più rosso per la concentrazione.
Muoveva il puntatore laser sullo schermo come se avesse anni e anni di
esperienza in presentazioni di calibro internazionale. Il pubblico
sembrava veramente pendere dalle sue labbra e l'avrebbero ascoltata
rapiti anche se avesse fatto il riassunto di una puntata dei Puffi.
Qunado arrivò il momento di spiegare le conclusioni della sua
ricerca si fece più seria, si schiarì la voce e, con una
semplicità disarmante, espose quello che Jay erano anni che
stava cercando di ficcare nella mente ottusa di chirughi vogliosi di
fare a fette i loro pazienti:
-In sostanza signori, in questa ricerca mi sono occupata di cavalli e
di tendini , ma le cellule staminali hanno un potenziale
sconfinato ancora inesplorato. Tuttavia con le menti giuste e le
risorse adeguate potrebbero salvare la vita di milioni di persone
affette da patologie oggi incurabili e che vanno dalle cardiopatie
più severe a malattie neurodegenerative come il morbo di
Parkinson o il morbo di Alzheimer.-
La presentazione si concludeva con un
tocco personale: una clip di pochi fotogrammi che mostrava uno dei
soggetti sperimentali impegnato in un percorso di salto ostacoli a riprova dei sorprendenti risultati della sua ricerca.
Ma il meglio di sè Luce lo diede quando il pubblico le fece
alcune domande. Il primo fu lo spocchioso francese accanto a Jay:
-Non le sembra un po' azzardato fare delle previsioni del genere
dottorrrressa Medisci?- l'accento francese aggiunse tre "r" al titolo di Luce e strascicò il finale del suo
cognome. Lei, tuttavia, non fece una piega:
-Forse, ma le grandi scoperte non sarebbero mai avvenute se i loro
artefici non ci avessero creduto veramente. Magari mi sbaglio, ma
magari no...- lasciò la frase in sospeso mentre il professore
francese inorrdiva per la sfacciataggine di Luce. Lui comunque non
mollò l'osso, ma s'impuntò scostante come un verme a
colazione:
-Mi scusi, ma come ha fatto a stabilire dei dati numerici...voglio dire
la lesione o guarisce o non guarisce.-
Luce sorrise prima di travolgere il malcapitato con un fiume di parole:
-Oh, accidenti pensavo di averlo spiegato, prima! Perdonatemi!!-
Jay rise. Lei era stata chiarissima, la colpa era di qeull'idiota che
non aveva capito un'h di tutta la presentazione, ed il problema non
era la madre lingua del professore francese.
Luce continuò perfettamente a suo agio: -Beh, guardi lei
sicuramente saprà che nel diciassettesimo secolo i medici
potevano misurare
l'elasticità delle componenti dell'apparato muscolo-scheletrico
con un attrezzo fatto da molle e carrucole...- si guardò
intorno, poi: -...glielo mostrei ma non ho una lavagna...casomai dopo
le
posso fare un disegno se vuole! Comunque io per ovvie ragioni non
potevo fare così...anche perchè i tendini sono ancora
dentro i cavalli...fortunatamente...- sorrise -....così ho
dovuto utilizzare
un altro sistema per la misurazione dell'elasticità del tendine.
In diverse pubblicazioni gli autori utilizzano i flex degli arti. Lei
sicuramente saprà cosa sono i flex...c'è un
interessantissimo articolo ormai scientifcamente accettato da tutti che
ha studiato come varia l'elasticità dei tendini nei mammiferi in
funzione della reazione dolorosa
dell'animale alla flessione dell'arto. Non è stato difficile...-
concluse poi con
sufficienza.
Jay rise di nuovo mentre il suo vicino francese si agitava nervosamente sulla sua poltrona.
Fuori uno. Chi è il prossimo? Luce cominciava a prenderci gusto,
ormai era lanciata a tutta velocità come un treno in corsa con i
freni rotti. Arrivò una domanda dal fondo del salone:
-Scusi ma la riabilitazione è stata personalizzata se ho capito bene?-
-Sì! Per il principio secondo il quale tutti gli esseri
viventi sono diversi fra loro anche se appartengono alla stessa specie,
ogni ca...soggetto sperimentale ha avuto bisogno di una riabilitazione
personale. O più veloce o più lenta. Veniva decisa di
volta in volta a seconda dei risultati ecografici. Si poteva aumentare
il lavoro quotidiano o aggiungere dell'esercizio in piscina. In tutti i
casi ho cercato di ridurre il più possibile il trattamento
farmacologico, ricorrendo a rimedi antiinfiammatori ad uso esterno come
pomate o
impacchi di creta. Nella maggior parte dei casi si è rivelata
una strategia vincente. In ogni modo per non falsare i risultati ho
escluso i dati dei cav...soggetti sperimentali trattati al di
sopra di un certo quantitativo di antiinfiammatori iniettabili.- Si
fermò come se avesse concluso la sua risposta, ma poi ci
ripensò: -Ah...e se qualcuno di voi si stesse preoccupando,
vorrei
tranquillizzarlo dicendo che in ogni caso questi soggetti non sono
stati abbandonati a loro stessi, ma anche se non inclusi
nello studio sono comunque stati seguiti fino al completamento della
riabilitazione.- sorrise e scoccò un'occhiata al francese di
fianco a Jay che dovette concentrarsi per non scoppiare a ridere.
Fuori due. Chi è il terzo?
-Ma che tipo di analisi statistica ha utilizzato?- una tizia al centro
della sala. A quel punto Jay non afferrò una sola parola di Luce
che
discorreva di analisi di varianza, scarti quadratici medi, media
quadratica e legge di Bernoulli, tanto era concentrato sui suoi
brillanti occhi e su un ricciolo rosso che, sfuggito dalla coda sulla
nuca, aveva preso a muoversi seguendo i delicati gesti del capo di
lei.
Stesa anche la tizia dell'analisi statistica dei dati. "Strike!!"
pensò Luce.
Nessuno aveva più niente da chiedere, per cui
la ricercatrice stava per ritirasi contenta come una Pasqua dietro le
quinte, ma il moderatore la trattenne:
-No aspetti dottoressa...no lo vuole il suo premio?-
Il viso di Luce avvampò in un nanosecondo e, insultandosi per la
troppa fretta che aveva avuto di ripristinare un normale livello di
ossigenazione dei tessuti, guadagnò nuovamente il centro del
palco accanto al moderatore. Una ragazza alta e magra che sembrava un
clone di quella che le aveva dato il microfono prima dell'inizio della presentazione
raggiunse i due al centro del palco e porse all'uomo una scatola e
una busta. Il premio consisteva in una semplice targa dorata chiusa in
un
cofanetto rivestito di velluto blu. Sulla targa c'era la seguente
incisione:
23° CONGRESSO CNR
ROMA 13-17 APRILE 2011
PREMIO CONFERITO ALLA DOTT.SSA MARIA LUCE MEDICI
PER LA RICERCA:
"TRATTAMENTO CON CELLULE STAMINALI DELLE LESIONI TENDINEE ACUTE NEI CAVALLI SPORTIVI"
MENZIONE SPECIALE DEL COMITATO ETICO PER LA PARTICOLARE SENSIBILITA' MOSTRATA
NEI CONFRONTI DEI SOGGETTI SPERIMENTALI.
Targa a parte il moderatore consegnò a Luce anche la cosa
più importante: una busta con un assegno a due cifre e tre zeri.
Mentre stringeva nelle sue mani busta e cofanetto il cuore di Luce fece una
capriola mentre lei ricordava tutti i sacrifici, i chilometri fatti, le ore
spese a tranquillizzare iper-apprensivi proprietari di cavalli per non
parlare delle notti in bianco che aveva passato con Matteo in
laboratorio per preparare le colture di cellule per gli interventi.
Tutto quello per tre lunghi anni. Dovette concentrarsi per impedire a
due ingombrabti lacrime di non inondarle gli occhi, comunque già
lucidi.
Jay, seduto sulla sua poltrona, si unì all'applauso dell'intera
sala mantenendo un decoroso contegno, ma cominciò a pregare affinchè alla festa di quella
sera ci fosse anche quell'inconsueta ragazza, come l'aveva definita
Camilla.
(1) Da "We are the Champions" - Queen
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Capitolo 6 *** Here I Am ***
HERE I AM 5
HERE I AM(1)
Dopo la presentazione Luce si sentiva come un caleidoscopio impazzito.
Era felice, anzi euforica al limite dell'esaltazione. Mentre, insieme a
Matteo attraversava Villa Borghese per rientrare in hotel, non riusciva
a smettere di saltellare attorno al suo assistente lanciando gridolini come fosse stata una
cheer-leader americana dalle dubbie capacità intellettive
durante una partita di football.
Dire che l'hotel in cui alloggiavano i collaboratri del Dipartimento di
Fisiologia Animale dell'Università di Bologna era più
modesto dell'Hilton sarebbe riduttivo....per l'Hilton. Tanto per cominciare l'Hilton si
chiamava Hilton, poi si
trovava nel centralissimo Corso Italia ed aveva una quantità di
stelle che non riuscivano a stare su una riga sola della targa dorata
posta dietro la sontuosa reception occupata da efficienti assistenti in
divisa impeccabile; l'hotel di Luce e dei suoi colleghi, invece,
si chiamava "Albergo Italia", era situato sul centralissimo Viale dei
Due Sarcofagi(2) e le sue tre stelle riuscivano a stare tutte quante e
senza problemi su una sola riga della targa dorata avvitata
all'ingresso impreziosito da un antico tendone da sole personalizzato. Quando si
dice "I potenti mezzi dell'Università italiana"!!
-Hai visto quel presuntuoso di un fracese come l'ho sistemato?- disse Luce incontenibile.
-Già...poveretto...gli auguro di incontrarti ancora in futuro!-
rispose Matteo che invece si sentiva sfiancato da tanto stress.
-Senti ma chi era quel tizio seduto vicino al francese?- chiese lei ritrovando il passo di un normale essere umano.
-Chi? Quello alto, con gli occhiali?-
Luce annuì.
-Boh...non lo so, ma sembrava molto interessato a quello che dicevi, ti ha fissato tutto il tempo!-
Luce si fermò e guardò il suo assistente con uno sguardo
malizioso che valeva mille parole. In particolare: "E come mai tu hai
passato tutto il tempo a fissare lui che fissava me?". Matteo se ne
accorse e si difese innervosito:
-E allora? Non sono gay! Cioè immagino che quel tale possa
sembrare attraente a chi apprezzi un cromosoma X e uno
Y, ma io non faccio parte di quell'universo! Smettila di guardarmi così!-
ribattè lui irritato, poi diede il colpo di grazia
all'entusiasmo di Luce: -Magari sarà alla raccolta fondi di
stasera!-
Bravo Matteo! Mille modi per smontare la gioia di una persona in due secondi netti! A quelle parole Luce si sgonfiò:
-Maledizione, mi ero completamente dimenticata di stasera! Oh che
strazio...non mi va di dover andare là e stamparmi in faccia un
finto sorriso mentre chiedo soldi alla gente!-
Matteo guardò l'orologio prima di controbattere:
-Dai vedrai non potrà essere peggio che parlare davanti a
quattrocento persone! Accidenti sono già le sei e il party
è alle nove...fra il taxi e tutto il resto siamo già in
ritardo.-
Luce decise di tenere per sè i suoi pensieri:
"In ritardo? Alle sei? Ma quanto ci mette a prepararsi? Io che pensavo di andare a farmi una corsetta!"
Raggiunto il modesto (però centralissimo) "Albergo Italia"
Matteo si fiondò in camera sua per dare inizio ai preparativi
per la serata, mentre Luce si attenne ai suoi programmi: gonna, calze e
tacchi assassini lasciarono il posto a tuta, maglietta e benedette
scarpe da ginnastica. Con il fedele iPod in tasca e i Pearl Jam nelle
orecchie fece una corsetta di una mezz'ora abbondante attraverso i
prodigiosi giardini di Villa Borghese resi ancora più
sorprendenti dall'incalzante primavera. Quando rientrò in camera
aveva sfogato gran parte dell'adrenalina accumulata sul palco e si
sentiva decisamente più sulla terra. Fece una lunga doccia e poi
si dedicò anche lei ai preparativi per quella sera; depose sul
letto il vestito e le calze e tirò fuori dalla valigia le
scarpe: ancora tacchi assassini. Per i successivi tre anni decise che
non avrebbe mai più voluto vedere delle scarpe alte, nemmeno in
foto.
Le buone regole delle donne di mondo imponevano di sistemare trucco e
parrucco prima di vestirsi; tuttavia Luce poteva essere tutto tranne
che una donna di mondo: con il trucco proprio non ci sapeva fare
e con il parrucco ancora meno. Ragion per cui quelle due
operazioni richiesero sì e no cinque minuti dei dieci totali che
lei impiegò per preparasri. La prima fase consistette in un velo
di crema idratante colorata, un filo di mascara e un po' di
lucidalabbra brillante ma rigorosamente trasparente. Tempo: 170 secondi
cronometrati. Siccome i suoi ricci normalmente facevano quello che
volevano, l'acconciatura per quella sera si tradusse in due semplici
forcine con qualche strass sistemate in posizioni strategiche in
modo da tenerle sollevati i capelli sopra le tempie. Il resto
della chioma, o criniera come la chiamava lei, le ricadeva sulle spalle
arrivando a metà schiena. Tempo: 130 secondi.
A quel punto toccava al vestito. Si ricordava perfettamente di quando
l'aveva comprato in un negozio sotto il Portico del Pavaglione in pieno centro a
Bologna. Doveva partecipare alla sua prima raccolta fondi e Camilla
l'aveva trascinata contro la sua volontà a cercare un abito
adatto all'occasione. Così, dopo un estenuante sabato pomeriggio
durante il quale lei e la sua amica avevano litigato praticamente di
fronte ad ogni vetrina dove si erano fermate, Luce aveva ceduto per
sfinimento ed aveva acquistato quello che sia Camilla che la commessa
snob del negozio avevano chiamato "abito da cocktail", ma che per lei
era solo uno strumento di pura tortura che non le permetteva di
muoversi come voleva. Quando la commessa le aveva presentato il conto
per poco non era svenuta; avrebbe preferito pagare con il suo sangue,
ma in quel negozio accettavano solo soldi, per cui era stata costretta
ad
adeguarsi. Ad ogni modo era un vestito oggettivamente bello, quello
Luce non poteva certo negarlo e le stava anche bene. Fatto di
taffetà di seta beige lucente aveva un corpetto senza spalline
sobriamente ricamato tono su tono con sottili motivi floreali che andavono
diradandosi sempre di più fino a scomparire del tutto
all'inizio della gonna leggermente svasata e che le arrivava al
ginocchio. Semplice
ma d'effetto. Inoltre il colore neutro le faceva risaltare il verde
degli occhi ed il rosso dei capelli. A fare pandane con l'abito c'era
una stola dello stesso tessuto e colore e con lo stesso leggero ricamo
del corpetto. Con gioia constatò che,
nonostante fossero due anni che non lo indossava, le andava ancora a
pennello: evidentemente trottare a destra e a manca fra interventi,
laboratorio ed ecografie a qualcosa era servito. Indossate con
riluttanza anche le scarpe, si osservò soddisfatta allo
specchio. Faceva la sua bella figura; Gianluca era proprio un idiota e
non capiva niente!
Cercando di ignorare le grida di protesta dei suoi piedi, Luce
raggiunse Matteo fuori dall'albergo: doppio petto gessato nero, camicia
immacolata e cravatta grigia, il suo assistente era talmente "leccato" da non avere nè un capello
nè un pelo del pizzetto fuori posto. Anche lui, corporatura
nella media ma altezza decisamente superiore, faceva la sua figura.
Presero un taxi per raggiungere il locale dove si sarebbe svolto il
party. Già, perchè sarebbe stato troppo bello sfruttare
la sala dedicata esclusivamente a feste per la raccolta fondi messa
gentilmente a disposizione del CNR dall'Hilton sensa costi aggiuntivi. No, in fondo quella sala poteva
accogliere solo duecento persone che sarebbero state rimpinzate con le
leccornie cucinate dai venti premiati chef dello stesso hotel mentre a
quella festa ce ne sarebbero state ben cinquanta di persone...forse. E
poi vuoi mettere una sontuosa sala affrescata, con lampadari di
cristallo e tendaggi di pregiati tessuti impreziositi con swarosky
rispetto ad un locale qualunque con lampadari qualunque fatti con fondi
di bottiglia qualunque e tende qualunque non impreziosite da swarosky?
Sarebbe stata una cosa inaccettabile, quindi il CNR aveva
addirittura pagato delle persone per trovare un "locale trendy". In
ogni caso quel posto, qualunque o non qualuqnue, distava cinque minuti
di macchina da Villa Borghese, per cui Luce e Matteo arrivarono alle
nove spaccate.
Prima di entrare Luce prese un respiro profondo e ripassò
mentalmente la sua strategia per rendere quella serata meno
insopportabile: tracannare subito e a stomaco vuoto due bicchieri di
vino così da anestetizzare con l'alcool il suo rifiuto per
quel genere di cose.
-Ok, andiamo!- sentenziò decisa incamminandosi verso una porta a
vetri nera, imponente e con due sottili maniglie di alluminio satinato.
Il locale si trovava all'ultimo piano, il tredicesimo per
l'esattezza, di quel palazzo, ultimo ritrovato dell'architettura
moderna in centro a Roma.
Fuori dall'ascensore Luce e Matteo si trovarono in un piccolo atrio
dove una donna composta e sorridente diede loro il benvenuto da dietro un piccolo
banco per l'accoglienza dei clienti:
-Siete qui per la festa del Consiglio, vero?- chiese con voce gentile
senza smettere di sorridere. Luce annuì in silenzio e lei:
-Prego.- con un gesto del braccio sinistro indicò loro la porta al suo fianco.
Il "WHITE ELEPHANT" non sarà stato classico ed artistico come
la sala dell'Hilton, ma non era neanche da buttare via: luce non
invadente ma neanche soffusa stile night club, musica jazz rilassante
in sottofondo, pareti, soffitto e tende di un colore blu molto di
classe e riposante, ma soprattutto un'enorme vetrata che del
panorama mozzafiato di Roma
illuminata di sera non lasciava nulla all'immaginazione. L'atmosfera
decisamente poco rinascimentale ma sofisticata era completata da diverse piante dalle
verdeggianti fronde posizionate in punti strategici, più che
altro per nascondere le piantane che contribuivano ad illuminare il
salone.
Molti ospiti erano già arrivati e diversi camerieri si
aggiravano discretamente fra di loro offrendo vassoi pieni di bicchieri
di vino bianco e rosso oppure tartine. Appena dentro Luce prese Matteo
per un braccio e lo trascinò contro una parete in modo da poter
avere una visione chiara della situazione da dietro una pianta:
-Allora vediamo un po'....- disse scrutando i presenti. Poi aguzzò la vista e: -Guarda ci sono Stecco e Boiler!-
Matteo annuì spostando lo sguardo da uno all'altro dei due
soggetti menzionati da Luce, la quale proseguì: -Ok facciamo
così, tu ti lavori un po' Stecco, io prendo Boiler, va bene?-
Per Matteo non faceva alcuna differenza, quindi deciso e con aria estremamente professionale si gettò nella mischia.
Stecco e Boiler erano i due più grossi benefattori del progetto
per il quale Luce aveva ricevuto il premio quel pomeriggio.
Evidentemente Camilla aveva allungato i loro nomi al tizio pagato dal
CNR per rifiutare la sfarzosa sala per le raccolte fondi dell'Hilton.
Luce aveva conosciuto Stecco all'inizio del suo progetto, ma dopo, di
lui aveva visto solo quello che le interessava di più: la sua
firma su un assegno. Sapeva che era titolare di una grossa ditta
lombarda che produceva cioccolatini d'inverno e gelati d'estate, per
questo lei e Matteo lo chimavano "Stecco", anche se il suo vero nome era
Giulio Qualchecosa. Conosceva decisamente meglio Boiler. Il motivo era
molto semplice: Boiler era appassionato di cavalli da corsa; lui stesso
ne possedeva cinque, ed anzi uno di loro era rientrato anche nello
studio di Luce dopo un infortunio. Boiler, alias Cavaliere del Lavoro
Ulisse Bagnoli, era il più grosso produttore di scaldabagni di
tutto il nord Italia e Luce lo chiamava a quel modo non solo per il suo
lavoro, ma anche perchè assomigliava fisicamente ad uno
scaldabagno in modo impressionante: basso e cilindrico erano gli
aggettivi che gli si adattavano meglio.
Respirò profondamente un'altra volta prima di uscire da dietro
la pianta e fermare un cameriere con in mano un vassoio pieno di bicchieri di
vino bianco. Luce ne agguantò uno e cominciò subito a
berlo, mentre con una mano faceva cenno al ragazzo di aspettare.
Svuotato il primo bicchiere tutto d'un fiato, lo ripose sul vassoio e
ne prese subito un altro prima di avvicinarsi a Boiler. L'alcool
cominciò a fare effetto velocemente:
"Cavaliere del Lavoro un accidenti...forse sono Cavalieri del Lavoro i
suoi dependenti che lavorano più di lui permettendogli di
seguire i suoi cavalli su e giù per l'Italia" pensava Luce
mentre si avvicinava a Boiler stampandosi in faccia il sorriso
più smagliate che potè. Boiler la vide avvicinarsi e
rispose al sorriso. A quel punto però il vino stava per giocare
alla giovane ricercatrice un brutto scherzo:
-Buonasera Boi....- inorridì al pensiero di quello che stava per
dire, per fortuna era riuscita a fermarsi in tempo così da non
destare sospetti schiarendosi la voce in modo troppo plateale e concludendo: -....ehm....Cavaliere!-.
-Dottoressa Medici! Che piacere! Mi hanno detto che ha fatto faville oggi pomeriggio, complimenti!-
-Beh, grazie Cavaliere! Come sta Quick Planet?- cambiò discorso, non le piaceva adularsi troppo.
-Bene, buoni progressi, la sua terapia ha fatto miracoli! Grazie mille dottoressa!-
Quella conversazione per Luce poteva bastare per tenersi buono Boiler,
ma era convinta che Camilla non avrebbe approvato un colloquio
così corto, per questo la giovane si trattenne con Boiler ancora
una ventina di interminabili minuti. Per fortuna non dovette trovare
una scusa per allontanarsi, dal momento che il suo interlocutore vide
una persona con la quale voleva scambiare due parole. Con immensa gioia
di Luce fu lui ad andarsene, non dopo averle promesso una donazione.
Meno male!
Era già sfiancata da quella serata ed era arrivata solo da
mezz'ora! Mezz'ora sarebbe bastata per Camilla? Mentre pensava a quanto
tempo ancora avrebbe dovuto rimanere, prese da un vassoio sopra la mano
di una cameriera una tartita al salmone e sbocconcellandola si
avvicinò alla grande vetrata. Da lassù Roma sembrava un
campo di lucciole; milioni di brillanti luci dietro le quali ci poteva
essere un avvocato che lavorava fino a tardi, una coppia che imbiancava
la sua nuova casa, un bambino che faceva i capricci perchè non voleva andare a letto, insomma la
vita di tante persone che andava avanti, implacabile verso un futuro
tutto da scoprire e scartare come un pacco di Natale. Al centro di
quella vista che avrebbe tolto il fiato anche al più cinico ed
insensibile clone di Hitler, il Colosseo illuminato, maestoso e
magnifico, contemplava la città eterna come un anziano e saggio
nonno che, con occhi emozionati, segue i turbolenti nipotini nei loro
giochi. La mente di Luce si stava perdendo per quelle strade, quei
vicoli e quei giardini immaginando cosa stessero facendo gli abitanti
di Roma, quando una voce giovane e dallo spiccato accento inglese la
chiamò alle sue spalle:
-Dottoressa Maria Luce Medici?-
Prima di voltarsi gli occhi di Luce si cimentarono in un'alzata verso
il cielo da record: "Ok, ora sistemo questo scocciatore e me ne torno
in albergo! Che Camilla e le sue pubbliche relazioni vadano al
diavolo!"
Si voltò e nell'istante in cui mise a fuoco l'uomo che le stava davanti il suo cervello si spense. Black out assoluto.
Lui si presentò educatamente:
-Jay Reynolds, piacere di conoscerla.- disse in un italiano un po' stentato ma corretto, sorridendo e porgendole la mano.
Luce, come un automa, rispose alla stretta di mano, ma dovette fare uno sforzo disumano per impedire alla sua mandibola
di toccare il pavimento del locale. Di fonte a lei c'era la più
grossa autorità internazionale nel campo della ricerca sulle
cellule staminali. Universalmente considerato un genio nel suo campo,
quell'uomo era anche un autentico schianto. Era alto, con un fisico
asciutto e decisamente in forma smagliante. I capelli castani e
leggermente mossi gli arrivavano sopra le spalle e avevano l'aria
di essere un po' ribelli. Dietro gli occhiali dalle sottili lenti
lucide c'erano due occhi strepitosi, di un colore nocciola con delle
pagliuzze verdi che si sarebbero viste anche di notte a chilometri di
distanza. Decisamente molto lontano dall'immagine che Luce si era
fatta di lui come di un tizio allampanato con occhiali spessi, spalle
curve, pallido e dall'aria ebete. No, Jay Reynolds era il ritratto
della salute, in tutti i sensi.
Luce rimase ferma, interdetta per un tempo che le sembrò
infinito, fissando la persona davanti a lei in perfetto silenzio.
Forse smise anche di respirare per diversi secondi.
Lui continuò, questa volta ritornando alla più confortevole lingua inglese:
-Ho apprezzato molto il suo lavoro!-
Un neurone nel cervello di lei si riaccese: "Ecco, adesso posso morire in pace!" pensò.
(1) "Here I Am" - Bryan Adams
(2) Non esite un "Albergo Italia" in quella via di Roma.
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Capitolo 7 *** Dancing ***
DANCING 6
DANCING(1)
Tornato nella sua stanza dopo il termine della seconda giornata del
congresso, Jay fece un'altra volta la doccia. Fisicamente non ne aveva
bisogno, ma il suo cervello sì. Sentire l'acqua scorrergli
addosso, sulla pelle, gli dava un senso di liberazione infinito e Dio
solo sapeva quanto bisogno aveva lui di sentirsi libero in quel momento
della sua vita. Generalmente dopo una bella e rilassante doccia stava molto meglio, tranquillo e
in grado di pensare lucidamente.
Non quella sera, però; quella sera dopo aver fatto la doccia, si stese sul
letto ed accese la televisione sintonizzandola sulla CNN. La spense
subito dopo; il suo cervello non riusciva a sincronizzare le immagini
con le parole.
Allora si alzò e prese dal suo zaino portadocumenti un plico di fogli: la
tesi di dottorato di Mitch. Comiciò a leggerla stendendosi
nuovamente sul letto, ma la richiuse nel giro di tre secondi netti. Non
capiva niente di quello che stava leggendo.
Sbuffando infastidito si alzò ancora e prese altri documenti dallo zaino: gli
esami di fine semestre dei suoi studenti. Iniziò a correggerli. Smise
immediatamente dopo aver fatto una X rossa enorme come una casa accanto
alla seguente affermazione: "Il DNA è situato nel nucleo delle
cellule." Aveva appena fatto un segno rosso incancellabile di fianco
ad un'affermazione corretta che i ragazzini imparano in prima
media. Se l'avesse saputo, il suo capo l'avrebbe licenziato in tronco. Rimise gli
esami al loro posto senza chiedersi come avrebbe giustificato quel
segno con il povero studente. Avrebbe improvvisato qualcosa come:
"Stavo cadendo" oppure "Mi è scivolata la penna", già che poi da
sola ha scritto una X....molto credibile come giustificazione.
Non sapeva cosa fare, ma soprattutto non sapeva cosa gli stava
capitando. Perchè il suo cervello era partito per la tangente
abbandonandolo? E perchè il suo cuore aveva cominciato a battere
più in fretta del solito? E perchè nel suo stomaco si era
trasferito un intero sciame di farfalle? E perchè sentiva un
nodo nei visceri che se ne sarebbe andato solo gridando? Non si era mai
sentito così, neanche quando a sedici anni si era preso la prima
cotta per la capo cheeer-leader della sua scuola, e, di sicuro, non si
era sentito così neanche quando
aveva conosciuto Valery.
Sospirò e guardò l'orologio. Le otto. Per fortuna. Almeno
adesso avrebbe avuto qualcosa di poco impegnativo da fare: vestirsi per il
party di quella sera. Aveva già deciso cosa indossare: pantaloni
beige di cotone tipo jeans, camicia bianca e giacca marrone. Semplice
ma comodo,e quella sera lui voleva sentirsi prima di tutto
comodo.
Aveva dispensato Mitch dall'accompagnarlo, per due motivi. Primo
perchè se il ragazzo avesse deciso di intraprendere la carriera accademica
avrebbe avuto milioni di raccolte fondi a cui dover presenziare volente
o nolente, e secondo perchè voleva gestire i suoi programmi per
la serata senza doversi preoccupare anche del suo studente. Qualcosa
gli diceva che preoccuparsi per sè stesso lo avrebbe tenuto
impegnato a sufficienza.
Prese un taxi e raggiunse in cinque minuti il locale dove avrebbe avuto
luogo il party: il "WHITE ELEPHANT". Che fantasia! Nel paese dell'arte
per eccellenza il CNR organizzava una festa in un locale in perfetto
stile americano. Il tizio che aveva avuto
quell'idea doveva essere un genio.
Arrivò in anticipo di circa venti minuti, ma una signora con un
brillante vestito color cipria completamente fuori moda lo
invitò comunque ad entrare. Una volta dentro l'atmosfera del
locale lo rilassò un poco, con le sue luci discrete e la musica
in sottofondo. Ignorando i pochi presenti, la prima cosa che fece fu
scorrere
il locale con lo sguardo, che sembrava essersi trasformato in un sonar
ultimo ritrovato tecnologico di un sommergibile. Putroppo non
trovò quello che stava cercando.
Respirò profondamente e si diresse verso un ragazzo che offriva
con volto impassibile da bere. Dal vassoio prese un bicchiere di vino
rosso e pregò che nessuno lo disturbasse. Purtroppo:
-Professor Reynolds!!- riconobbe la voce immediatamente: apparteneva al
professore tedesco di fianco al quale era seduto quel pomeriggio.
-Professor Zimmer, buonasera!-
Per la seguente mezz'ora il collega intrattenne Jay parlando di
lavoro. Geni, proteine, molecole di adesione, filamenti e quant'altro
cominciarono a colonizzare il cervello del giovane professore a vanvera e senza alcun criterio,
tanto lui era impegnato a controllare chi entrasse nel locale. Jay intrattenne educatamente Zimmer con risposte universali del
tipo "Sì, sono d'accordo!, "Buona idea", "Ha perfettamente ragione!"
oppure "Ha provato con un incubazione più lunga?".
Poi, finalmente!
Era a metà della frase: "Certo, il gluco..." quando la parola
"glucosio" gli andò di traverso; la persona che stava aspettando
entrò nel locale assieme ad un ragazzo. Non cominciava molto
bene la serata. Chi era quel tizio?! Il viso di Jay arrossì
lievemente ed il suo stomaco si contrasse. Il suo interlocutore evidentemente se ne accorse:
-Tutto bene professore?- s'informò Zimmer da qualche parte nel raggio di cinquanta chilometri da Jay.
-Sì, certo grazie...mi perdoni ho bisogno della toilette.- ribattè quest'ultimo sempre educatamente, ma
allontanandosi senza aspettare che il tedesco panciuto rispondesse.
Si fiondò in bagno e si sciacquò il viso con acqua
fredda, poi, prima di uscire, si fissò allo specchio un istante. Cosa
diavolo gli era preso? Perchè improvvisamente tutto il suo
autocontrollo e la sua freddezza sembravano essere evaporati?
Insomma lui teneva discorsi davanti a centinaia di persone da anni
senza fare una piega, e adesso una donna da sola era in grado di
gettarlo nel panico puro, com'era possibile? Perchè non aveva
più autorità sulle proprie
emozioni?
Respirando profondamente uscì dalla toilette e ritornò in sala, giusto in
tempo per averne ancora bisogno. A pochi metri da lui Luce, con in mano
un bicchiere di vino bianco si stava avvicinando ad un uomo che
sembrava uno scaldabagno. Sorrideva. Il cuore di Jay gli balzò
prepotente in gola, mentre lui realizzava in quel preciso istante che
quella donna era la cosa più perfetta che avesse mai visto sulla
faccia della terra.
Accidenti allo scaldabagno, adesso gli sarebbe toccatto aspettare chissà quanto tempo ancora!
La mezz'ora successiva fu per lui interminabile. Parlando un po' con
uno e un po' con l'atro dei presenti, ogni cinque minuti Jay buttava
l'occhio
verso Luce e lo scaldabagno per controllare la situazione. Non pensava
che il tempo si potesse dilatare così tanto, aveva la sensazione
che lei stesse parlando con quel tizio/scaldabagno da un secolo per la
miseria! Poi finalmente lui si allontanò e Luce piano piano si
avvicinò alla vetrata nord del locale per osservare il panorama.
Ok, ora o mai più! Respiro profondo, e:
-Dottoressa Maria Luce Medici?- salivazione azzerata, ghiandole sudoripare spremute come arance.
Lei si voltò e rimase ferma immobile fissandolo. D'istinto Jay fece ricorso alle buone maniere, si presentò:
-Jay Reynolds, piacere di conoscerla.- e allungò la mano.
Come un robot al quale è stato dato un comando, Luce, senza
distogliere lo sguardo dal viso di lui e dai suoi occhi, ricambiò la stretta di
mano. A quel contatto improvvisamente Jay sentì una specie di scossa elettrica scorrergli lungo tutto il corpo,
ma comandò ai suoi muscoli di rimanere immobili. Loro
ubbidirono, a fatica, ma ubbidirono. Un turbine di input ambientali e
neurotrasmettitori si riversarono nel suo cervello senza un criterio
preciso.
Siccome lei non diceva niente, lui proseguì decidendo che si sentiva più a suo agio parlando in inglese:
-Ho apprezzato molto il suo lavoro!-
Ancora nessuna reazione da parte di lei che non sembrava intenzionata a mollare i suoi occhi. Poi si riebbe improvvisamente:
-Ehm...grazie...grazie professore.-
Luce non capiva più niente, nel suo cervello regnava l'anarchia
più totale. Qualche neurone le stava comandando di scappare,
qualcun'altro di saltare addosso all'uomo che le stava di fronte mentre
qualcun'altro ancora di chiudere gli occhi per assicurarsi che non
stesse sognando. Non sapeva cosa fare o dire. Insomma cosa bisogna dire
ad
un genio che alla tua stessa età ha già raggiunto il
raggiungibile al di sotto del Nobel e che ti dice che ammira il tuo
lavoro? Luce non ne aveva la più pallida idea. Optò per
la prima cosa che le passava per la mente:
-Devo ammettere che le sue pubblicazioni mi hanno dato una grossa mano...- bocca arida come il Sahara.
-Mi è piaciuta molto la sua presentazione di questo pomeriggio!- Jay dirottò il discorso lontano da sè.
Luce rispose di getto quasi senza pensare: -Già...a parte l'era
geologica durante la quale sono stata al centro del palco come una
statua...- arrossì e spostò lo sguardo sul pavimento.
-Il trucco è concentrarsi sulle diapositive e non guardare il pubblico davanti a sè...-
-Infatti, peccato averlo capito un po' troppo tardi!- continuò lei senza abbandonare il pavimento.
-E' la reazione quello che conta! Chieda a Camilla com'è andata la mia prima esposizione!-
A quel punto, però, Luce entrò in confusione:
-Camilla? Camilla Cortesi? Lei...Camilla...lei conosce? Ma...come...come....Camilla?-
In effetti se le parole che le uscivano dalla bocca non avevano un
ordine nè grammaticale nè logico, i suoi pensieri
cominciavano ad incastrarsi come le tessere di un puzzle: "...rimorchia
un
qualche pezzo grosso straniero così ci scappa un
gemellaggio...": la voce del suo capo prese a risuonarle nelle
orecchie. Maledetta!
Quella vigliacca di Camilla! "Pezzo grosso straniero"!!! La sua amica
le doveva un favore grande come una casa!
-Sì anzi ci siamo conosciuti proprio in quell'occasione!
Presentazione perfetta, impeccabile....anche grazie al fatto che prima
di salire sul palco avevo dato di stomaco tre volte!- raccontò
ridendo divertito e finalmente rilassato.
Ormai il ghiaccio era rotto. Jay contnuò: -Mi fa piacere che ci
sia qualcun'altro nel mondo che ha un po' di rispetto per gli
animali...in fondo se la scienza ha raggiunto grossi traguardi è anche
per merito loro!-
Siccome la voce di Camilla non si era ancora completamente spenta nelle
orecchie di Luce, lei ci mise un po' per capire il vero significato
delle parole di Jay:
-Sono d'accordo, per questo io preferisco lavorare con gli animali grossi,
paradossalmente sono più facili da gestire senza prendere in
considerazione una fine indegna....aspetti aspetti un attimo....ma lei ha detto
qualcun'altro....perchè lei...lei....come fa? Voglio dire,
pensavo che lei facesse solo ricerche in vitro.-
-Beh, per la maggior parte sì, ma in alcuni casi per confermare
certi risultati abbiamo avuto bisogno di animali, così ho creato
l'Asilo!-
Ok, l'inglese non sarà stata la lingua madre di Luce, ma lei lo
sapeva comunque abbastanza bene da riuscire a sostenere una normale
conversazione con un altro essere umano civilizzato ed acculturato. Ma,
davvero il professor Reynolds aveva detto
"Asilo"? Asilo, asilo tipo scuola materna?
-Ehm...mi scusi professore...ma cos'è esattamente l'Asilo?- chiese sorridendo nervosamente.
-L'ho creato assieme al mio collega e amico Simon Wash. Praticamente
è una grande fattoria a nord di Dallas in cui gli animali si godono la loro meritata
pensione. La gestisce Simon!-
Luce era ammirata.
"Centellina Luce, centellina!", questa frase sarebbe diventata un mantra
che lei si sarebbe ripetuta durante tutta la sera e ne avrebbe avuto
un gran bisogno.
Gli chiese di raccontarle nei minimi dettagli
com'era fatto l'Asilo e Jay non se lo fece dire due volte. Per la
mezz'ora successiva il professore parlò ininterrottamente di
ogni paddock e di ogni animale che lui e Simon avevano recuperato qui e
là quasi su tutto il territorio degli Stati Uniti. Poi le
raccontò dell'incidente di Simon e del suo difficile
recupero, durante il quale ad occuparsi dell'Asilo era stato
lui. Col tempo il suo amico si era ripreso e adesso aveva
trasformato l'Asilo in un posto quasi paradisiaco dove c'era anche un
orto e dove le scuole organizzavano gite quasi giornalmente.
A Luce non sfuggì che mentre parlava di quel posto gli occhi di
Jay si erano illuminati e in quel momento splendevano come due stelle
("centellina Luce!!"), fra l'altro di uno strano colore verde-nocciola del
tutto particolare. Era evidente che il professore amava molto l'Asilo,
sia per quello che significava sia per il fatto che l'aveva messo
sù con le sue mani, metaforicamente parlando ovviamente.
-Oh accidenti mi dispiace moltissimo. E adesso come sta?- chiese Luce davvero preoccupata riferendosi a Simon.
-Chi, Simon? Oh, Simon ora è più contento di prima. Se non lo chiami General Manager non ti risponde neanche!-
Risero.
-Dev'essere un posto fantastico, come mi piacerebbe vederlo!- disse
Luce con aria sognante mentre s'immaginava distese sconfinate di
prati, l'aria pulita, il profumo dei fiori e dell'erba...magari anche
il profumo di letame, ma tanto a quello lei era abituata, quindi non la
impressionava più di tanto. Poi realizzò che a parte le
due cattedre, le cinque righe di nomi di collaboratori in più sulle pubblicazioni e una serie
infinita di articoli e premi vinti, la differenza fra lei ed il
professore che aveva di fronte era che lei doveva spremersi le meningi
per trovare il sistema più economico per mandare avanti le sue
ricerche, mentre lui poteva permettersi di tirare su un posto come
l'Asilo. Che mondo ingiusto!
Neanche lui le avesse letto nel pensiero:
-Abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere tutt'ora delle sovvenzioni statali e federali, io e Simon non
potremmo mai permetterci di mantenere un posto come quello altrimenti!-
Meno male! Quello Luce non lo disse, si limitò a sorridere educatamente.
-Camilla mi ha detto che sei veterinaria. Posso chiederti come mai hai scelto questi studi?-
Quella domanda arrivò come uno schiaffo sulla faccia di Luce.
Lei si era sempre trovata bene fra gli animali e ci sapeva fare, ma mai
in tutta la sua vita nessuno, neanche i suoi genitori, men che
meno suo marito, le aveva chiesto come mai avesse scelto di
iscriversi alla facoltà di veterinaria. Semplicemente tutti
avevano data per scontata quella decisione. Non era vero; in
realtà la sua decisione di studiare veterinaria era derivata da
un processo mentale a sè stante e del tutto particolare.
Ok, il professor Reynolds non la conosceva e non poteva sapere
che lei amava gli animali più delle persone, ma l'uomo che le
stava di
fronte fra un po' avrebbe saputo una
storia sulla quale suo marito non si era mai neanche preso la briga di
indgare. Mentre con un balzo violento il suo cuore minacciò di
uscirle dal torace, gli occhi di Luce agganciarono quelli di Jay. Ma
davvero gli interessava, o era solo una domanda così, tanto per
fare conversazione? No, dal suo sguardo era evidente che voleva proprio
saperlo. In quel preciso momento la fede che le stringeva l'anulare
sinistro cominciò a pesare come un blocco di cemento armato da
dieci tonnellate.
"Centellina Luce!!"
-Beh, è una storia un po' lunga e risale a tanto tempo fa...-
Non proseguì, ma continuò a fissare Jay negli occhi,
pensando che lui avrebbe cambiato discorso. Invece no, lui rimase fermo
mentre evidentemente dava per scontato che lei continuasse il
suo racconto. Un altro balzo del cuore.
"Centellina Luce!!"
Continuò:
-Io andavo a cavallo, ho cominciato a dieci anni e ho continuato fino a
poco dopo la laurea. Comunque a quindici anni avevo questo cavallo,
Trickster si chiamava...- se era davvero interessato tanto valeva non
tralasciare i particolari -...insomma una sera prima che tornassi a
casa
ha cominciato a stare poco bene. Sembrava una normale colica ma
continuava a peggiorare. Allora ho chiamato il veterinario. Lo
stronzo...- nonostante fossero passati praticamente vent'anni Luce
provava ancora del rancore verso quello che si spacciava per
veterinario ma che per lei era solo un cialtrone -...non venne. Diceva
che
bastava farlo passeggiare un po' e tenerlo a digiuno..in realtà
non voleva muovere quel suo c...insomma non voleva scomodarsi a
quella tarda ora nonostante anche mio papà continuasse a
insistere. A quel punto abbiamo chiamato un altro medico, ma quando è arrivato era
già troppo tardi. Colica fulminante, a un certo punto Trickster
si è sdraiato e piano piano...- quello era il punto peggiore del
racconto e Luce cominciò a fare fatica per tenere a bada le
lacrime -...insomma lui stava male, davvero,
soffriva, glielo leggevo negli occhi e io non sapevo cosa fare...-
prima di finire respirò profondamente -Beh, insomma, quella notte ho
giurato a me stessa che mi sarei impegnata per evitare sofferenze
come quelle di Trickster.- sorrise, ma era un sorriso amaro.
Jay percepì quasi fisicamente il suo dolore, attutito dal tempo certo,
ma ancora troppo invadente. Era evidente che lei voleva ancora bene a quella
bestia che le era praticamente morta fra le braccia, ma la cosa che
più di tutte la faceva stare male, a parte la morte in sè
del cavallo, era il fatto che lui doveva aver sofferto molto prima di
morire. Per Jay era chiaro come il sole che lei aveva sofferto e soffriva ancora perchè
il suo cavallo aveva sofferto. "Accidenti, questa donna ha un
cuore grande come una casa!" pensò lui mentre cercava qualcosa
da dire che non sembrasse banale o che non fosse quello che avrebbe
veramente voluto dire e cioè: "Vorrei riportare indietro il
tempo per impedirti di stare così male!". Avrebbe anche voluto
abbracciarla forte e dirle che se voleva piangere lo poteva fare,
perchè non ci sarebe stato niente di male, ma tutti i suoi
neuroni, in massa, cominciarono a protestare, così optò
per un neutrale:
-Mi dispiace molto...-
Altro sorriso amaro di lei mentre: -Oh, grazie, ma è passato tanto tempo...-
"Già, tanto ne è passato ma immagino che per quanto ne possa
mai passare, non sarà mai sufficiente!" pensò Jay,
decidendo anche in quell'occasione di non dire niente. Ok, bisognava
smuovere la situazione, per cui:
-E come mai una veterinaria ha deciso di fare della ricerca invece di
coprirsi di soldi aprendo uno studio privato?- cercò dentro di
sè il tono più allegro e contemporaneamente delicato che poteva. Non fu
sicuro del risultato però.
Ancora uno schiaffo in faccia per Luce.
"Centellina Luce!!"
"Ma come fa quest'uomo a farmi sempre le domande giuste? Da dove le
pesca, per la miseria?" pensò mentre ormai il suo cuore si
prodigava in esercizi circensi.
-Camilla!-
-Camilla?!- ripetè Jay ridendo, poi: -Non mi fraintendere, stimo
molto Camilla, ma quella donna ha un qualcosa di diabolico...in senso
buono ovviamente!-
-Oh no, invece secondo me è diabolica in senso cattivo!-
replicò lei pensado ancora alle parole dell'amica "rimorchia qualche pezzo grosso
straniero". Continuò: -Insomma lei mi ha fatto entrare in un
laboratorio per la prima volta ed è stato amore a prima vista!-
ora si sentiva meglio, decisamente meglio -Mi è piaciuto
così tanto che ho deciso di fare una tesi di laurea
sperimentale. E' stata l'esperienza più stimolante e meravigliosa di tutta la
mia vita. No, aspetti il dottorato è stato anche meglio!- mentre
parlava il suo viso si illuminò, sembrava euforica di poter
condividere con lui quelle cose: -Organizzare un progetto, fare gli
esperimenti e poi dover ricominciare da capo perchè il risultato
non è quello che ti aspettavi e allora devi pensare come
mai, cosa è successo, cosa hai
tralasciato...è...è..- non riusciva a trovare la parola
adatta. Ma Jay ci riuscì:
-E' eccitante- disse con calma e fissandola negli occhi. In
realtà la sua non era per niente calma, ma paura. Paura
perchè la donna che gli stava di fronte gli sembrava troppo
bella per essere vera.
-Già...- concordò Luce quasi sottovoce riportando i suoi occhi di nuovo dentro quelli di lui. Quella risposta
di Jay, così semplice ma che descriveva esattamente quello che
lei porvava per il suo lavoro l'aveva colta in contropiede.
"Centellina
Luce!!"
Quel momento, in cui loro due avrebbero potuto raccontarsi tutta la loro
vita solo guardandosi negli occhi, fu interrotto dal suono del cellulare
di Jay.
Contrariato, il giovane professore trasse di tasca il suo iPhone (ecco
una altra differenza fra lui e Luce: lui aveva un iPhone ultimo modello che probabilmente avrebbe
fatto anche il caffè se si fosse riusciti a trovare il comando
giusto, mentre lei aveva un normalissimo cellulare che aveva la fotocamera
solo perchè quelli senza ormai non li facevano più); la
scritta "Valery" lapeggiava sul touch screen.
"Eh no però Val!! Fai quello che ti pare per settimane
ignorandomi e adesso che io sto davvero parlando con una donna, che
è intelligente e per pura coincidenza anche dannatamente
attraente, decidi di tefonarmi? Questa volta no!"
Rispose freddo come un cubetto di ghiaccio appena tolto dal congelatore:
-Ciao.-
Qualche secondo, prima di: -No, ora sono impegnato!- più gelido di prima.
Riattaccò senza salutare.
-Scusa...-
-Non c'è problema!-
Ma ormai il momento se n'era andato lontano da lì. In ogni caso
se a far scappare il momento non ci avesse già pensato Valery,
sarebbe stato un cameriere. Un signore distinto con giacca bianca e
cravattino nero, impettito e rigido come il tronco di un alto pioppo,
si
avvicinò loro e disse molto diplomaticamente:
-Signori, chiedo scusa, posso offrirvi qualcosa prima di chiudere?-
Contemporaneamente Luce e Jay si voltarono verso la sala. Era
completamente vuota. Totalmente assorbiti dalla loro conversazione,
non si erano accorti che tutti gli altri ospiti erano andati via
già da tempo. A dire il vero non si erano neanche accorti che
non c'era più la musica di sottofondo da una buona mezz'ora.
-Oddio Matteo!!- fu il primo pensiero di Luce.
Lo stomaco di Jay si contrasse per un secondo. Matteo?? E adesso chi è questo Matteo??!!!
Evidentemente
lei si accorse dell'improvviso disagio di Jay, perchè precisò subito: -Ehm...Matteo, il mio
assistente, eravamo venuti insieme, poi ci siamo separati...-
pensò un secondo poi si fece passare tutti i sensi di colpa:
-Beh, è maggiorenne e vaccinato! Si sarà arrangiato!-
Dopo essersi scusati con il cameriere, uscirono dal "WHITE ELEPHANT"
scherzando sul manico di scopa che probabilmente l'uomo che li aveva
sbattuti fuori teneva sotto la divisa da cameriere.
Usciti anche dal palazzo che ospitva il locale, a nessuno dei due
passò neanche per l'anticamera del cervello di prendere un taxi;
semplicemente s'incamminarono in direzione di Villa Borghese
continuando a parlare. Jay le raccontò dei suoi studenti e di
come gli piaceva fare lezione e trasmettere ai ragazzi la sua passione
per la scienza, mentre Luce si sfogò un po' per tutte le
difficoltà che la limitazione dei fondi dell'università
stava creando ai suoi progetti e del ricatto che Camilla le aveva
fatto dopo la laurea. Il suo capo voleva che lei in ogni caso superasse l'esame
di stato per esercitare la libera professione anche se avesse intrapreso la carriera accademica. Per riuscire a prendere il
dottorato aveva dovuto passare un anno infernale fra ricerca e
preparazione per l'esame.
-Però ora sono in grado di curare
piccioni ed elefanti...casomai ti servisse!- concluse alla fine
ridendo. Lui le chiese su cosa avrebbe
lavorato ora che la sua prima sperimentazione era finita. Lei rispose scrollando le spalle e dicendo
che non lo sapeva bene ancora. Mentì, in realtà una
qualche idea ce l'aveva, eccome, ma aveva anche una paura folle che lui le
trovasse inutili, per cui si tenne sul vago.
Così arrivarono all'Albergo Italia.
-Grazie di avermi accompagnato...ehm professore.-
-Per favore chiamami Jay..non è che poi sia così vecchio!-
Luce sorrise pensando che stava per dare del tu ad un uomo con due
cattedre e sette righe di nomi nelle sue pubblicazioni e che era sensuale
come...come...come cosa? Pensò lei mentre lo fissava attraverso
gli occhiali che non guastavano affatto il suo viso dai lineamenti
proporzionati e perfetti. La risposta che trovò fu la seguente: "Come
niente...quest'uomo è praticamente perfetto!"
"Centellina Luce!!"
-Beh, allora grazie...Jay!- ripetè mentre il suo viso arrossiva violentemente.
Lui sorrise dolcemente ed ignorò una flebile voce che gli diceva
di avvicinarsi e baciarla. Al posto di quella vocina, Jay
ascoltò la sua logica razionalità:
-Non dirlo neanche! Buonanotte.-
-Buonanotte.-
(1) "Dancing" - Elisa
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Capitolo 8 *** Anche Se mi Sbaglio ***
ANCHE SE MI SBAGLIO 7
....ANCHE SE MI SBAGLIO ALMENO SBAGLIO BENE....(1)
Dopo aver lasciato Jay all'entrata dell'Albergo Italia Luce passò una delle peggiori notti della sua vita. Al di
là del fatto che non chiuse occhio ma che continunò a
girarsi e rigirarsi nervosamente nel suo letto, la
cosa peggiore furono i pensieri che continuarono ad ossessionarla fino
che non decise di alzarsi alle sei e mezza per la disperazione e anche
per un'imminente crisi isterica.
Non era possibile che al mondo esistesse un uomo come Jay Reynolds, che
già di per sè sembrava troppo bello per essere vero. Ma,
quell'uomo le aveva anche fatto i complimenti per il suo
lavoro e aveva trovato lei, ricercatrice morta di fame di una
boccheggiante università italiana, sufficientemente interessante
per passare tutta la sera a chiacchierare di tutto. No, da qualche
parte doveva esserci un trucco, e bello grosso anche. Ah già,
ecco cos'era. Quella maledetta cosa che si chiama matrimonio!
Accidenti! Allora è vero che tutti i migliori uomini se li sono
già presi altre donne! Ovviamente non le era
sfuggita, stretta attorno all'anulare sinistro di lui, la stessa
pesantissima fascetta dorata che aveva anche lei.
A quel punto, per evitare che una depressione maniacale di proporzioni
bibliche si impadronisse di lei, alle quattro del mattino Luce
cominciò a pensare a quali difetti il giovane e attraente professore potesse avere.
In fondo era pur sempre un mortale, quindi per definizione fallibile ed
imperfetto. Certo tutti gli uomini appena li conosci sono dolci, pieni
di attenzioni ed interessanti, ma dopo...già dopo si trasformano
in esseri presuntuosi, egoisti, con un ego ingiustificatamente
eccessivo e l'unica cosa che di perfetto hanno è l'indifferenza
verso chi sta loro accanto. Quindi, se Jay era un uomo, e Luce su
quello
non aveva dubbi in merito, allora in virtù della proprietà
transitiva che regolava tutti gli esseri umani e che lei si era appena
inventata per cacciare quell'uomo sposato dalla sua mente, anche
lui
doveva essere presuntuoso, egoista, e
assolutamente indifferente verso chi gli stava accanto. Ok, visto che
era un genio forse il suo ego eccessivo poteva avere una piccola
giustificazione.
Con la convinzione che tutti gli uomini sono uguali, e quindi bastardi,
Luce
si
alzò alle sei e mezza del mattino, nervosa come non lo era mai
stata, e si preparò
per fare una corsa a
Villa Borghese. Corsa, il cui unico scopo era quello di sfinirsi
fisicamente; voleva ritornare in albergo strisciando, talmente stanca
da non avere
la forza neanche di pensare. Era stanca di pensare; pensare a
com'era incasinata la sua vita. Indossò una tuta azzurra e, con
sconfinata gioia dei suoi piedi, le scarpe da ginnastica.
Prese l'iPod e lo impostò su una playlist di brani di
Ligabue. In
genere
Ligabue la faceva sentire meglio. Con gli auricolari nelle orecchie
uscì
dall'albergo e si avviò di corsa verso Villa Borghese che aveva
appena aperto. Per tutta la durata della corsa, cercò di
concentrarsi sul suo respiro e sugli odori dei fiori e della primavera
che
inspirava e che la rilassavano enormemente. Scelse le stradine a caso,
senza nessun criterio, perchè non aveva voglia di pensare a
niente; semplicemente andava a sentimento, facendosi guidare dai colori
delle piante e dei fiori, da dove il cielo terso si vedeva meglio o da
dove c'era il laghetto. Senza rendersene conto corse per un'ora, e
si fermò solo quando le sembrava di morire. Si concesse due
minuti di tregua passeggiando per un sentiero asfaltato fiancheggiato
ad entrambe i lati da due bei prati perfettamente curati; una volta che
il ritmo respiratorio ritornò alla normalità, scavalcando
una bassa recinzione, entrò in uno dei prati per fare un po' di
stretching. Dopo aver eseguito alcuni allungamenti a terra dei bicipiti
femorali, dei
quadricipici e dei muscoli mediali delle cosce, decise di alzarsi per
esercitare un po' l'equilibrio stando in piedi su una gamba sola
mentre con le mani teneva l'altra piegata indietro. In genere
quell'esercizio le riusciva bene, anche senza dover fissare un punto
fermo. Non quella mattina. Quella mattina, mentre faceva un esercizio
che aveva fatto in miliardi di altre occasioni, rischiò la vita
due
volte.
*********************
Il professor Jay Reynolds lasciò Luce davanti all'Albergo
Italia alle due del mattino e s'incamminò verso l'Hilton senza nessuna
fretta. Durante il percorso si godette l'aria frizzante di una notte di
aprile e l'atmosfera
dell'instancabile Roma che viveva a quella tarda ora, come se fosse
pieno giorno. In ogni caso raggiunse la sua stanza troppo presto: non
aveva per
niente sonno, anche perchè il suo cervello aveva passato le
ultime cinque ore a combattere quello che gli diceva il suo cuore, per
cui si trovava in uno stato di iperattività difficile da sopprimere.
Prima di quella sera non sapeva che il suo cuore potesse avere
voce in
capitolo nella sua vita, in fondo si trattava solo di una pompa
idraulica che aveva il compito di distribuire il sangue nei vari
distretti corporei. Lui era diventato il più giovane
presidente mai eletto della Società Americana per la Ricerca
sulle Cellule Staminali, solo ed esclusivamente perchè aveva
sempre preso decisioni razionali e meditate e quella sera realizzò che
quello era accaduto non solo per il suo lavoro, ma anche per la sua vita privata.
Ripensandoci, non si ricordò di aver mai chiesto a Valery di
sposarlo. Forse era stata lei? Proprio non se lo ricordava.
Semplicemente stavano insieme da quattro anni, nessuno dei
due...cioè per quanto lui ne sapesse, nessuno dei due sentiva
l'esigenza di uscire con altre persone, quindi sposarsi gli era
sembrata la cosa più naturale da fare. Comunque fosse andata di
sicuro non le aveva fatto una proposta romantica o in grande stile, tipo scivere su una
mongolfiera "SPOSAMI" a caratteri cubitali, ma neanche più
modestamente le aveva fatto trovare l'anello in una coppa di champagne.
Di sicuro non si era messo in ginocchio. No, decisamente quelle cose
romantiche non gli si addicevano, anche perchè lui sapeva
esattamente cosa fosse l'amore.
Un miscuglio dosato ad arte di
neurotrasmettitori. Niente di più. Un po' di serotonina per
attivare i centri del piacere, un po' di acetilcolina per creare la
sensazione di "farfalle nello stomaco", un po' di adrenalina per far
crescere la frequenza cardiaca e respiratoria, un pizzico di dopamina
per inibire qualche pudore qua e là e, tanto per non farsi
mancare prorpio nulla, un po' di endorfine per non sentire il dolore.
Questo era l'amore per il professor Jay Reynolds.
Ma allora perchè per tutto il giorno appena concluso era stato
letteralmente investito da una serie di sensazioni che non aveva mai
provato prima? Di sicuro non con Valery. E tutto per quella donna.
Santo cielo erano le cinque del mattino ed il suo cuore ancora non
aveva trovato una frequenza normale per un essere umano. Come poteva
essere possibile? Appunto, erano le cinque del mattino e lui era
seduto sulla sedia della sua camera d'albergo ancora vestito come al
party. Una volta rientrato, non si era cambiato, non si era coricato,
non aveva fatto la terza doccia. Niente. Si era seduto ed era rimasto
fermo a pensare.
Inaccettabile. Lui doveva riprendere sotto il suo controllo i suoi
sentimenti e fare in modo che i suoi nerutrasmettitori cominciassero a
fare come lui comandava. E quale cosa migliore per attivare i centri
encefalici di comando, se non correggere la tesi di dottorato di Mitch?
Proprio niente. Così, aprì il suo zaino ed estrasse una
serie di fogli. Cominciò a leggere. Di tanto in tanto scriveva
qualche appunto a margine, sottolineava qualche frase oppure ne
cancellava un'altra. Il tutto richiese un'ora del suo tempo, trascorso
il quale cominciò a guardare fuori dalla finestra. Ormai era l'alba. Il
cielo era perfettamente sereno e stava assumendo i colori giallo
aranciati tipici del sorgere del sole. Sarebbe stata una bella
giornata. Già una bella giornata da passare rinchiuso in una
sala piena di gente ad ascolatare una presentazione dietro l'altra,
invece di fare un bel giro turistico di Roma insieme a Luce. Un
piccolissimo neurone sfuggito ai suoi centri del comando buttò
lì quel pensiero senza ritegno. Senza sapere perchè, la
prima persona che gli era venuta in mente con la quale
fare qualcosa che veramente gli andasse di fare era stata Luce.
No, così non andava, doveva restare concentrato! Decise di anticipare di un po' la sua corsa
mattutina a Villa Borghese, quindi indossò la sua tuta nera, una
maglietta nera come i pantaloni, si sistemò la fascia elastica
per l'iPod al braccio e con i Pealr Jam che rockeggiavano nelle
orecchie si avviò verso il parco appena aperto. Sei e quindici
minuti del mattino, Jay non aveva chiuso occhio da quasi ventiquattro ore ormai, ma non era per niente
stanco: un intero allevamento di farfalle nello stomaco lo stava
tenendo più che sveglio. Tutta colpa dell'aceticolina.
Quello
era il terzo giorno che avrebbe passato a Roma; nei due giorni
precedenti il suo percorso a Villa Borghese era stato lo stesso e quella
mattina non avrebbe fatto eccezzione.
Un'ora di corsa fra i giardini di uno dei posti più belli del
mondo avrebbe riportato in vita chiunque, perfino Tutankhamon. Il
problema fu che, esattamente nel prato dove lui per due mattine di
seguito si era fermato a fare stretching ora c'era Luce. Concentrata
con lo sguardo su un punto fisso sul terreno era in piedi su una gamba
sola stirando il quadricipite destro. Il cuore di Jay fece una
capriola. Maledetta adrenalina! Tutto il suo cervello cominciò a
gridare: "Non fermarti! Prosegui!", ma lui, colto da un raptus
improvviso che sorprese lui per primo, decise di ammutinare i suoi
neuroni:
-Ciao!-
Quel saluto colse di sorpresa Luce, la quale già non si aspettava di
incontrare qualcuno, tanto meno il proprietario di quella voce. Scordandosi completamente di essere in equilibrio su una
gamba sola, Luce girò il busto verso la voce e in meno di un
secondo rischiò di morire o per infarto vedendo Jay davanti a
lei o per il sonoro capitombolo che fece a terra.
-Ahi!!- fu la sua risposta al saluto di lui.
Rossa in viso, per la vergogna più che altro, si rialzò massaggiandosi i glutei.
-Ti sei fatta male? Scusa non volevo spaventarti!- rispose lui avvicinandosi a lei.
-No, figurati!-
Vedere Jay davanti a sè in tenuta da corsa, che per inciso gli
stava uno schianto perchè metteva in risalto le spalle larghe ed il fisico atletico,
mandò a farsi benedire la "Proprietà Transitiva degli
esseri umani" in un tempo da record.
-Anche tu corri?- la prima cosa da dire che venne in mente a Luce per impedirsi
di saltargli addosso non brillava certo per intelligenza ed originalità.
-Ah, sì e poi devo dire che in un posto come questo è
ancora meglio che nel grigio parco dietro casa!- rispose lui
guardandosi attorno.
-Già, è splendida!- concordò Luce chiudendo gli
occhi e respirando a fondo quell'aria intrisa di profumi inebrianti.
Jay la guardò godersi quel momento di relax e fu lì
lì per farsi travolgere da un secondo raptus e prendere Luce fra
le sue braccia stringendola fino a soffocarla. Improvvisamente un
neurotrasmettitore del quale lui fino ad allora aveva ignorato
l'esistenza gli aveva fatto insorgere un bisogno fisico di stabilire
un contatto con lei. Che diavolo! Ma cosa gli stava succedendo.
Ricacciò quel bisogno da dove era venuto e disse solo:
-Peccato dover passare la giornata fra noiosi professori!-
-Oh, non ti invidio neanche un po'!- sorrise lei fissandolo negli occhi.
Non portava gli occhiali in quel momento ed il colore delle iridi era
ancora più splendente della sera prima. Lo stomaco di Luce si
chiuse tutto in una volta. Dannazione, ma dov'era finita la
convinzione che tutti gli uomini sono uguali e che fino a cinque minuti
prima Luce pensava fosse saldamente attaccata nella sua mente? Svanita.
-Tu riparti oggi?-
Ecco fatto! Di sicuro non poteva dirgli che aveva in programma di
ripartire il giorno successivo, e cioè non prima di aver fatto un veloce
giro turistico in un paio di posti che non voleva assolutamente
perdersi. E se gli fosse venuto in mente di accompagnarla? Come avrebbe
fatto lei a resistere ad una lista infinita di tentazioni che si stava
piano piano allungando sempre di più? No, non poteva far
accadere una cosa del genere, quindi:
-Ehm...sì ho il treno alle...ehm...dieci!- improvvisò, ma
riuscì malissimo a nascondere un imbarazzo colossale.
-Beh, buon rientro allora!-
-Grazie!-
"Grazie? Grazie? Ma che cavolo di conversazione sta venendo fuori! Ci
manca solo che ora lui mi dica di salutargli Camilla e che io gli
auguri un buona conclusione di congresso e poi abbiamo ufficialmente
aperto la fiera delle banalità!!" pensò Luce mentre
cercava di guardare da un'altra parte che non fossero gli occhi di Jay.
Accidenti avrebbe passato le ore a guardare quegli occhi!
Poi
improvvisamente anche il suo buon proposito di centellinare i suoi
sentimenti raggiunse la "Proprietà transitiva degli esseri
umani" ed andò anch'essa a farsi benedire. Con uno scatto che
sorprese il giovane professore fermandogli il cuore, Luce gli si
avvicinò e, posandogli una mano sul torace, agganciò nuovamente i
suoi occhi:
-Senti Jay...- s'interruppe. In un nanosecondo, rivide gli ultimi sei
anni della sua vita: il primo incontro con Gianluca, il primo
appuntamento con Gianluca, il primo bacio con Gianluca, la prima...con
Gianluca, il loro matrimonio e la lunga ed inarrestabile discesa fino a
toccare il fondo quando lei aveva capito che a Gianluca non importava
niente che lei fosse una delle menti più promettenti della
ricerca in Italia. Ebbe paura e si ritrasse velocemente come gli si era avvicinata. Mise la mano in tasca e spostò
lo sguardo a terra alla velocità della luce. Con un filo di voce
ed il cuore in gola:
-Ehm...niente, ti auguro una buona continuazione a Roma e al congresso.- e stirò le labbra in un aborto di sorriso.
Alla fine il contatto fisico lo aveva stabilito lei. Per un secondo Jay
fu convinto di vedere la mano di Luce rimbalzare sul suo torace sipinta
dal suo cuore che sembrava volesse saltare fuori. Non credeva che ci
fosse al mondo una sensazione così esplosiva come quella che una
semplice mano gli aveva appena provocato. Era davvero possibile
sopravvivere ad un uragano così violento di emozioni?
Improvvisamente la sua idea di amore come miscuglio ben dosato di
neurotrasmettitori non gli sembrò più così
corretta. O per lo meno, lui di quel miscuglio ne voleva ancora e
ancora, come se fosse una specie di droga.
Basta! Basta! Ancora una volta il suo centro encefalico del
comando lo riportò sui binari:
-Grazie. E tu salutami Camilla!-
"Benvenuti Signore e Signori! Oggi inauguriamo la Fiera delle
Banalità! Prego entrate, alla vostra destra potete osservare
"Non ci sono più le mezze stagioni", alla vostra sinistra
c'è "Non ci sono più i giovani di una volta", mentre di
fronte a voi potete ammirare "Gli uomini preferiscono le bionde"! Entrate Signore e
Signori entrate!!"
Luce sorrise, fece un gesto con la mano in segno di saluto e si
avviò di corsa verso una direzione qualunque, dal momento che si
era perfettamente persa dentro Villa Borghese e non sapeva più
da che parte fosse il suo albergo. Ma non le importava. Voleva solo
scappare via da quell'uomo il più in fretta possibile sperando
di non rivederlo mai più. Non che avrebbe voluto dirgli
chissà che cosa qualche istante prima, ma voleva solo ringraziarlo perchè la
sera prima lui non l'aveva fatta sentire perfettamente inutile come
invece la faceva sentire suo marito. Ok, quest'ultima precisazione
l'avrebbe tenuta per sè, ma aveva comunque sentito il desiderio
di comunicargli la sua sincera gratitudine. Però aveva avuto
paura.
Per la prima volta in vita sua aveva avuto paura di amare.
Corse
via da Jay giusto il minimo indispensabile per non rientrare più
nel suo campo visivo, poi dovette fermarsi. Con gli occhi pieni di
lacrime che le impedivano di vedere dove stesse andando, si appoggiò al tronco di una betulla e lasciò
sfogare un pianto silenzioso.
************************
Jay rimase fermo e impalato nel bel mezzo di un prato di Villa Borghese
mentre guardava la schiena di Luce allontanarsi inesorabilmente da lui.
Ok, magari le sue teorie sull'amore non saranno state condivisibili da
molti, ma non era stupido. Lei era stata sul punto di dirgli qualcosa,
quello l'avrebbe capito perfino un cieco. Inoltre di sicuro non sarebbe
stata una cosa qualunque, ma poi si era tirata indietro. Perchè?
Lo aveva toccato, sparandodogli il cuore in gola, e lo aveva guardato negli
occhi come nessun'altra donna aveva mai fatto prima di allora e aveva
comiciato a parlare, poi...più nulla. Perchè? Forse lui
aveva fatto qualcosa di sbagliato? Non gli sembrava.
Rimase immobile per un tempo che non riuscì a quantificare. Di
sicuro fino a quando la schiena di Luce non sparì dal suo campo
visivo, ma probabilmente anche dopo continuò a guardare in
quella direzione, giusto per essere sicuro che lei non ci ripensasse e
tornasse indietro per dirgli quello che prima non gli aveva detto.
Realizzò che moriva dalla voglia di sapere cosa avrebbe voluto
dirgli e per un secondo pensò addirittura di correrle dietro per
chiederglielo direttamente, ma poi...ma poi alla fine anche lui si
voltò e corse via verso la sua camera dell'Hilton, verso gli
ultimi due giorni di congresso e verso la sua vita da professore con due
cattedre all'Università Statale del Texas.
(1) Da "Ci Sei Sempre Stata" - Ligabue
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Capitolo 9 *** In Between Is Mine ***
IN BETWEEN IS MINE 8
I KNOW I WAS BORN AND I KNOW I WILL DIE.....IN BETWEEN IS MINE(1)
Luce fece ritorno in albergo giusto in tempo per incrociare Matteo nella hall che stava pagando il suo conto.
-Ciao! Allora chi era il tipo di ieri sera? Se non sbaglio era lo
stesso che c'era in prima fila alla tua presentazione!- esordì lui senza troppi convenevoli
mentre metteva via il portafogli.
Un pugnale entrò nelle viscere di Luce come se fossero state di burro:
-Non ne voglio parlare!- abbaiò lei al povero Matteo che non
c'entrava niente. Infatti lui rimase interdetto per qualche secondo;
non era da lei innervosirsi così per un'innocente domanda.
Doveva esserci sotto qualcosa. Ragion per cui Matteo decise di
sorvolare, stringi stringi Luce era pur sempre il suo capo anche
se la maggior
parte delle volte si comportava più come una sua amica:
-Io vado in stazione. Camilla mi ha detto che tu torni domani, giusto?-
-Ehm, sì o domani o questa sera, non so ancora!-
-Ok, in ogni caso ci vediamo in dipartimento!-
Luce agitò una mano al suo assistente in segno di saluto, mentre lui usciva
dall'albergo, e si avviò su per le scale. Le dispiaceva essere
stata brusca con lui, ma come avrebbe fatto a dimenticare Jay se la
gente continuava a chiederle chi era il tizio con cui parlava alla
festa?
Distrutta fisicamente, ma letteralmente devastata emotivamente, si fece
una doccia, pigiò le sue cose nella valigia, indossò
abiti comodi e leggeri ed uscì verso il suo breve giro
turistico.
Prima tappa: Colosseo. Era già stata a Roma qualche volta, ma il
Colosseo l'aveva sempre visto di sfuggita, magari passandoci davanti
sopra un auto in corsa. Ma questa volta non se lo sarebbe fatto
scappare. Dribblò non senza difficoltà una mezza dozzina
di centurioni che volevano offrirle delle foto (accidenti qualcuno
di loro aveva addirittura gli occhi a mandorla...ma dove andremo a
finire!? si chiese.) ed acquistò il biglietto per la visita guidata.
Tuttavia, una volta dentro non sentì una parola di quello che la
guida diceva a proposito di gladiatori, animali feroci, pollici versi e
quant'altro. Fu letteralmente sopraffatta dalla grandiosità di
quella maestosa costruzione che aveva retto duemila anni, lustro più lustro meno, gli ultimi
dei quali addirittura sotto la supervisione del Ministero dei Beni
Culturali del governo italiano ed era ancora in piedi! Stupefacente, chi l'aveva progettato
doveva essere un genio.
Mentre si trovava al centro di quell'immenso
foro (da sola perchè aveva perso il resto del suo gruppo) si sentì piccola piccola di fronte a tanta
grandezza. Incantata cominciò a guardarsi intorno a bocca aperta,
fissando una per una quelle pietre che avevano fatto la storia di Roma.
Quella costruzione era sopravvissuta per due millenni a calamità
naturali e umane e non solo era ancora in piedi, ma dominava l'intera
città in forma smagliante come un gigante buono. E lei invece? Il paragone le venne quasi naturale. Lei che prospettive
aveva? Scorrendo attentamente ogni tassello della sua vita capì
che si stava rassegnando; stava chinando il capo di fronte ad un
destino che inesorabile l'avrebbe inghiottita legandola per sempre ad
una vita noiosa e sempre uguale a sè stessa. In quel
preciso momento Luce
capì quello che voleva fare e che avrebbe fatto ad ogni
costo. Doveva cambiare la sua vita; doveva dare al mondo qualcosa di
buono. Ok, magari la frase "dare qualcosa di buono al mondo intero"
poteva sembrare leggermente presuntuosa, ma per raggiungere un
traguardo anche piccolo, bisognava puntare in alto, no? L'istante dopo
capì anche che cosa glielo avrebbe impedito, o meglio chi: suo
marito. Era evidente che suo marito non credeva nè il lei
nè nel suo lavoro e Luce capì che se fosse rimasta anche
un solo giorno in più accanto a quell'uomo, piano piano avrebbe
finito anche lei per non credere più in sè stessa. La sua
vitalità e la sua creatività si sarebbero lentamente
spente e lei sarebbe morta vecchia, inacidita e frustrata accanto ad un
uomo che la
credeva una perdente.
Senza pensarci, si avviò verso l'uscita; nel frattempo estrasse il cellulare dalla sua borsa e
compose il numero dell'ufficio di Camilla:
-Ciao, sono io!- non diede il tempo all'amica di ribattere: -Mi devi un favore!-
Camilla, dall'altra parte della linea, decise di soprassedere sul fatto che lei non doveva favori a nessuno e rispose:
-E tu mi devi una ricerca. Ora che la prima si è conclusa voglio
un altro progetto sul mio tavolo nel giro di dieci giorni!-
-Sì, sì ci sto già lavorando!- in effetti di
ufficiale non aveva ancora buttato giù niente, ma nella sua
mente brillava tutto come in un negozio di cristalli, per cui sorvolò sul suo nuovo progetto e
ripetè con più decisione di prima -Mi devi un favore!-
*********************
Alle diciasette Camilla era ferma sul binario 1 della stazione di
Bologna ed aspettava che la freccia rossa che stava riportando a casa
Luce arrivsse. Già, freccia rossa, Luce aveva strafatto in quell'occasione, pernsò Camilla, ma
sembrava davvero impaziente di rientrare.
Il treno arrivò puntuale e ripartì nel giro di cinque minuti.
-Camilla!!- la voce esagitata della sua amica la chiamò da dietro le spalle.
-Ciao! Ma cosa ti succede, sembra che ti sei bevuta un quintale di caffè!-
-Già, senti ho bisogno che mi accompagni prima a casa mia, poi a
casa dei miei e poi a casa tua perchè per un po' starò da
te!- sentenziò Luce come se fosse già stato tutto prestabilito da tempo.
Camilla rimase a bocca aperta davanti a quel tornado di nome Luce, ma
non protestò, neanche davanti alla prospettiva di ospitarla in
casa sua. A Camilla bastarono quelle poche parole per capire
cosa frullava nella testa di Luce come una gallina impazzita;
conosceva la situazione in cui si trovava la sua amica e
conosceva la sua amica meglio di chiunque altro, quindi sapeva che lei
avrebbe
preferito togliere il male tutto in una volta. Probabilmente già
l'indomani sarebbe andata da un avvocato. Ebbe la conferma delle
sue previsioni mentre si dirigevano spedite verso l'uscita della
stazione dei treni e poi verso la
sua macchina parcheggiata in seconda fila con le quattro frecce
accese:
-Senti tu non hai il nome di un avvocato?- le chiese Luce. Siccome a Camilla
non
sembrava il momento oppurtuno per fare del sarcasmo rispose che avrebbe
controllato nell'agenda. Ma Luce non si arrese, anzi sembrava in preda
ad un euforia, neanche si stesse facendo un viaggio a base di LSD, e una
volta salite in macchina tornò alla carica:
-Dimmi Cam...immagino che il tuo piano era quello di farmi rimorchiare un pezzo grosso straniero a caso, vero?-
A quel punto Camilla capì era perfettamente inutile negare, per
cui rispolverò il suo normale modo di affrontare la situazione:
-Già e dammi torto tesoro! A quanto capisco il pezzo grosso ha fatto
centro! Allora com'è il sesso occasione con un genio?-
-Smettila! Non ho fatto sesso occasionale proprio con nessuno!-
ribattè Luce arrossendo e cercando meglio che poteva di
ostentare irritazione.
-Oh, Luce! No! Però almeno non dirmi che non ci hai pensato!-
-Sì...cioè no! CAM! Per l'amor del cielo!- si ribellò Luce arrabbiata e confusa. Camilla aveva
il potere di metterla in crisi. Arrossì ancora mentre l'immagine
di Jay in tenuta da jogging le ritornava alla mente.
-Senti Luce, lo so che tu non sei il tipo da sesso occasionale, e forse
va bene così perchè sei una persona speciale, ma pensa un
secondo il tuo amore dove ci sta portando adesso! Certe
opportunità vanno colte al volo! Magari ora non ti
capiterà più di incontrare....un altro Jay Reynolds!-
-Ecco infatti l'hai detto tu! Io non sono il tipo da sesso occasionale!
Quindi ora fammi concentrare su quello che devo dire a mio marito per
lasciarlo, ok?- ribattè Luce spazientita. Non aveva intenzione di discutere
con Camilla della sua vita sentimentale, ma ancora meno voleva discutere del fatto che
quello che avrebbe voluto fare con Jay non sarebbe stato solo del sesso
occasione, anche se aveva la netta sensazione che quello sarebbe stato ottimo.
Arrivarono in quella che di lì a poco non sarebbe più
stata la casa di Luce dopo una ventina di minuti. Il progetto era
quello di radunare tutte le sue cose e caricarle in macchina prima che
Gianluca tornasse a casa, lasciarlo e poi dare la notizia ai suoi
genitori nella speranza che questi non si facessero venire un infarto.
Alle sette era già tutto pronto e Luce e Camilla stavano bevendo un tè in soggiorno: la
prima in piedi appoggiata allo stipite della porta della cucina, la
seconda seduta a tavola.
Quando Gianluca rientrò lanciò uno sguardo pungente ad entrambe e:
-Pensavo che Halloween fosse ancora a novembre!- disse alludendo
alla presenza di Camilla, la quale non fece una piega. Simpatico come
una scheggia sotto le unghie; basti dire che la simpatia che Camilla
provava verso Gianluca era un sentimento del tutto ricambiato.
Poi lui
salutò la moglie con un glaciale: -Ciao- e si diresse in
camera da letto. Luce neanche rispose, ma aspettò che l'uomo si
rendesse conto che da quel momento in poi avrebbe avuto un sacco di
spazio in più in quella casa. Dovette attendere solo un minuto, e poi:
-Ma la tua roba dov'è?- chiese sgomento lui affacciandosi sul
soggiorno. Luce non rispose, ma aspettò ancora che lui capisse da
solo. Gli fu necessario un altro minuto: -Mi stai lasciando?- chiese
ancora più sgomento. Camilla non si lasciò sfuggire
l'occasione:
-Accidenti Gianluca, come sei intelligente! Cos'è dall'ultima
volta che ci siamo visti ti sei annaffiato il cervello per farlo
crescere?-
Lui la ignorò continuando a fissare la moglie. Luce scoccò un'occhiataccia all'amica che si difese:
-Checc'è? Me l'ha servita su un piatto d'argento!!-
-Tu non puoi lasciarmi!!- continuò l'uomo sempre più in preda al panico.
Ancora una volta intervenne Camilla, ironica e caustica come suo solito:
-Tesoro, le palle forse avresti dovuto tirarle fuori un sacco di tempo
fa!-
Con quel commento si beccò la
seconda occhiataccia da parte di Luce. -Va bene, va bene sto zitta...-
si arrese infine Camilla.
A quel punto Luce decise che era il momento di intervenire.
Parlò con voce calma, misurata e scegliendo con cura ogni parola:
-Senti Gianluca, non vedi che non ha più senso andare avanti
così? Non capisci che tu non hai bisogno di me?- intraprese una
strategia appositamente elaborata per addossarsi tutte le colpe e
contemporaneamente fargli credere di essere lui a soffrire per quello
che stava succedendo -Tu hai bisogno di una donna che si prenda cura di
te in tutto, che ti sostenga in ogni cosa tu decida di fare.-
praticamente una badante, pensò, ma non lo disse ad alta voce.
Continuò: -E io non solo quel tipo di donna. Io dico quello che
penso e ragiono con la mia testa.- quella frase usciva un po' dalla
strategia, ma non riuscì a resistere. In ogni caso tornò
in carreggiata subito: -Non possiamo andare avanti così a farci
del male a vicenda per sempre, non sarebbe giusto. L'unica cosa che
possiamo fare è chiudere questa cosa senza farci la guerra ed
andare avanti. Sono sicura che tu troverai una persona in grado di
amarti come tu meriti in pochissimo tempo.-
Lui la fissò a bocca aperta incredulo:
-Ma...ma io ti amo!-
-No, tu credi di amarmi. Tu hai bisogno di una donna completamente
diversa! Io non sono in grado di diventare quel tipo di donna, G lo
sai...anche tu. E l'unica cosa di sensato che io possa fare è
lasciarti libero.-
Oddio era finita un'altra volta nella Fiera delle Banalità,
però sembrava che stesse funzionando e sembrava anche che
lui credesse davvero alle sue parole.
Ancora incerto di quello che
stava capitando, Gianluca si
avvicinò a Luce e l'abbracciò. In silenzio
l'abbracciò.
Era finita.
Davvero? Era già finita? Era stato davvero così facile?
Ma come cavolo aveva fatto a sposare quella larva? Lei si era aspettata
piatti e bicchieri che volavano per la casa e armadi sbattuti a terra,
per questo aveva passato tutte le due ore e mezza del viaggio di
ritorno da Roma a spremersi le meningi su cosa dire per non rischiare
di prendersi in faccia qualche sopramobile. Si era aspettata una
reazione di qualche tipo. E invece, niente. Lui si era rassegnato. O
magari aveva fatto finta in modo che fosse lei a prendersi la colpa di
tutto? Non che tale differenza le interessasse particolarmente in
effetti, l'unica cosa che voleva era andare via da quella casa, che le
faceva venire il voltastomaco, il più in fretta possibile. Motivo
per cui:
-Senti io vado. Ho preso tutte le mie cose...-
Lui tentò un'ultimo colpo di reni: -Sei proprio sicura?-
-Gianluca, apri gli occhi sono mesi e mesi che praticamente non ci
parliamo, a te non interessa nulla di quello che faccio e che sono! Non
vedi che non ha più senso stare insieme? Senti non dico che
sarà una passeggiata. Ma dobbiamo sforzarci di ricominciare
perchè sono sicura che tu abbia molte più
possibiltà di essere felice senza di me che con me! Capisci?-
Lui annuì. Accidenti, ma era lei ad essere straordinariamente intelligente o lui ad essere stratosfericamente stupido?
Luce lanciò un'occhiata furtiva a Camilla che colse al volo
l'invito e si alzò dirigendosi quatta quatta verso la porta
d'ingresso.
-Senti ti ho preparato qualcosa da mangiare...- ok, la frase corretta
sarebbe stata "Ti ho scongelato il pollo alla diavola di 4 salti in
padella" ma lui non avrebbe notato la differenza neanche se
gliel'avesse detta il pollo stesso -mangia, capito?-
Lui annuì, per cui Luce piano piano raggiunse Camilla che aveva già socchiuso la porta.
-Vedrai che andrà tutto bene...- le sembrava di consolare un bambino che si era sbucciato un ginocchio.
Infine uscirono. Luce riprese a respirare solo in ascensore.
-Che larva!!- protestò Camilla quasi disgustata. -Scusa tesoro...ma non sono capace di mordermi la lingua..lo sai!-
Luce non rispose, ma guardò l'amica con occhi lucidi. Non ce
l'aveva tanto con Gianluca, quanto con se stessa, per essere stata
così stupida e cieca e non aver capito con che uomo stava per
impegnarsi prima che fosse troppo tardi.
Prima di salire in macchina e raggiungere la casa dei genitori di Luce,
Camilla si avviciò all'amica e l'abbracciò forte per cercare
di trasmetterle un po' di ottimismo:
-Forza tesoro, vedrai che tutto passerà e tu a quel punto sarai
pronta per splendere ad anni luce di distanza dalla terra!-
I genitori di Luce erano due persone con tante qualità, fra le
quali la bontà spiccava sopra le altre. Anche Luce era una
donna dalle tante qualità, ma fra di esse di sicuro non c'era
l'impulsività. Lei era più che altro il tipo di persona
che ragionava mille volte su una cosa prima di prendere una decisione.
Tuttavia, una volta presa la decisione andava dritta per la sua strada
implacabile come uno schiacciasassi. Come quella volta, per esempio, in
cui aveva deciso che voleva cominciare ad andare a cavallo. I suoi
genitori si erano opposti...all'inizio. Ma Luce non si era arresa;
aveva deciso che avrebbe cominciato a prendere lezioni di equitazione,
così durante l'estate, invece
che andare a studiare a casa di un'amica come diceva ai suoi genitori,
andava alle scuderie per aiutare a pulire le lettiere dei cavalli o
fare quello che in un maneggio c'era da fare, in modo da pagarsi il
corso per tutto l'anno.
Sfruttamento di lavoro
nero minorile. E' vero, ma i proprietari di maneggi, che generalmente
sono sempre in bolletta, non vanno tanto per il sottile su certe cose.
Comunque quando i suoi genitori avevano scoperto il sotterfugio,
si erano arresi di fronte a tanta
cocciutaggine. In effetti il carattere di Luce avrebbe potuto condurre
a crudi spargimenti di sangue nel rapporto con i suoi genitori, se
questi ultimi non fossero stati condiscendenti oltre l'umana
immaginazione. Così,
nel corso degli anni loro si erano semplicemente fatti travolgere
dall'uragano che era la loro figlia senza contestare più di
tanto, anche perchè in ogni caso Luce era sempre stata una
persona giudiziosa. Emotivamente aveva parecchi difetti, ma aveva
comunque la testa sulle spalle. Ulteriore riprova del temperamento dei
genitori di Luce fu la loro reazione di fronte alla notizia che la
figlia si era separata dal marito:
-Oh!- basta, non dissero altro per i primi cinque minuti. Erano scioccati.
-Sentite lo so che è un fulmine a ciel sereno e che avrei dovuto
parlarvi di questa situazione molto tempo fa....ma ormai non potevo
più vivere così...- Luce cercò di giustificarsi,
ma poi sua madre disse una frase che per lei fu come essere
scaraventata giù per un pozzo profondo chilometri:
-Beh, se non altro non avete figli!-
Certo, come se lei, dopo mesi passati a rodersi il fegato e farsi
venire i buchi nello stomaco, non stesse soffrendo abbastanza o non si
sentisse sufficientemente in colpa. E poi cosa cavolo voleva dire
quella frase? Che la sua vita valeva qualcosa solo perchè non
aveva dei figli? E se li avesse avuti? Forse la sua vita non avrebbe
più voluto dire niente? Luce avrebbe voluto sfogare tutta la sua
rabbia e la sua frustrazione di fronte a quella maledetta frase,
tuttavia si contenne e non rispose, lasciando che la lava incandescente
che quelle parole le avevano messo nelle vene al posto del sangue si
raffreddasse almeno un poco.
Lei e Camilla lasciarono i genitori di Luce intorno alle nove e mezza, dopo le
raccomandazioni di rito del tipo "Mi raccomando mangia!" oppure "Domani
telefono a Riccardo e mi faccio dare il numero di un buon avvocato!" o
ancora "Tesoro, ricordati che noi ti vogliamo sempre bene!" (quel
"sempre" risuonò nelle orecchie di Luce come un "NONOSTANTE
TUTTO" grande come una casa) e infine la cigliegina sulla torta
"Camilla, per favore tienila d'occhio!".
Arrivarono a casa entrambe in uno stato pietoso: Camilla era talmente
stanca che, dopo una doccia veloce svenne a contatto con il cuscino
senza neanche mangiare; Luce, invece, era annientata emotivamente e
fisicamente. Si sentiva tremendamente sola, inutile e frustrata. Sapendo
già che non
sarebbe riuscita a dormire, una volta nella camera degli ospiti
che la sua amica le aveva messo a disposizione a tempo
indeterminato, accese il portatile: tanto valeva cominciare a
buttare giù qualche idea per il suo nuovo progetto. Mentre
aspettava che il computer fosse pronto per iniziare, in genere gli ci
volevano dei tempi biblici, Luce realizzò che, nonostante avesse
appena lasciato suo marito, il suo pensiero in quel momento andava ad
un'altra persona.
Quella fu la prima di una serie di notti in bianco
che Luce passò durante i venti giorni successivi.
(1) Da "I am Mine" - Pearl Jam
|
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Capitolo 10 *** I Believe the World Is Coming to an End ***
I BELIVE THE WORLD IS COMING TO AN END 9
I BELIEVE THE WORLD IS COMING TO AN END(1)
Il viaggo che riportò Jay a Dallas durò come quello di
andata: sette ore e mezza, la sola differenza fu che, causa il fuso
orario opposto, quando mise piede in Texas erano le sette e mezza
di sera
nonostante lui e Mitch
fossero partiti da Roma alle sette. Orari a parte il
viaggio
di ritorno differì da quello di andata per i pensieri che
affollarono la mente del giovane professore. La prima mezz'ora la
impiegò per decidere cosa avrebbe fatto una volta a casa: e
cioè fare una bella improvvisata a Valery all'ospedale. Non
aveva intenzione di sprecare un'ora in più della sua vita col
dubbio che lei lo tradisse. Le rimanenti sette ore le passò a
pensare a Luce e alla
serata che avevano passato insieme parlando di tutto e scoprendo
di avere in comune una vagonata di cose, prima fra tutte la passione
per il loro lavoro che per entrambi coincideva anche con la loro vita.
Ma soprattutto passò quelle ore a chiedersi come mai quella
donna era stata capace, in una manciata di ore, di fargli provare un
caleidoscopio di emozioni che lui non pensava neanche un essere umano
potesse provare. Senza considerare il fatto che con Valery non ci si
era mai neanche avvicinato a sensazioni di quel genere. Cosa
significava? Il pensiero di passare tutto il resto della sua vita
accanto a una donna che aveva le stesse capacità emotive
di un iceberg gli fece venire i brividi. Ma davvero sua moglie era
sempre stata così distaccata oppure lo era diventata con il
tempo? Boh! E
poi lui aveva solo trentacinque anni, per la miseria, non
settantacinque; aveva ancora tutta la vita davanti e, non poteva
mentire a se stesso dicendosi che non gli sarebbe piaciuto vivere
provando tutti i giorni quello che aveva provato qualche sera prima con
Luce. Improvvisamente si sentì impaziente di arrivare a casa e
fare qualcosa perchè quello accadesse davvero e il più in
fretta possibile. Un secondo dopo, però, il suo cervello fece un
fischio e lui pensò che ribaltare tutta la propria vita sulla
base di una sola sera, ovviamente, non sarebbe stata una cosa
sensata da fare. Accidenti, Luce lo aveva gettato nella confusione
più nera e profonda; lui, il razionalissimo professore Jay
Raynolds stimato scienziato di fama mondiale, era confuso e non aveva
la minima idea di dove andare a sbattere la testa per risolvere la
questione. Forse avrebbe dovuto solo far passare un po' di tempo e
lasciare che tutte quelle emozioni decantassero per conto loro,
dimenticare Luce e dedicarsi ancora di più al suo lavoro,
nonostante concedere alla scienza ancora più tempo di
quello che già faceva avrebbe voluto dire vivere un giorno fatto
da 36 ore.
La madre di Mitch era venuta a prenderli all'aeroporto e
riaccompagnò Jay a casa sua, lasciandolo ai suoi progetti solo
dopo avergli espresso nuovamente e con esuberanza tutta la sua
gratitudine per
aver dato al figlio quella grossa opportunità. Jay fu contento
come una pasqua quando vide i fanali della macchina di Mitch scomparire
dalla sua vista. Erano le otto e mezza e lui aveva un sacco di
cose da fare. Quella che più gli premeva era andare a trovare Valery;
ovviamente però lo avrebbe fatto solo dopo aver disfatto la valigia
ed ordinato tutto il suo contenuto nuovamente nell'armadio. In ogni
caso cercò di sbrigare quelle operazioni in più in fretta
possibile, e alle dieci e mezza Jay era già nell'ascensore
dell'ospedale
diretto al reparto di cardiologia dov'era assegnata sua moglie.
"DIN"
Un campanello avvisò gli occupanti dell'ascensore che
avevano raggiunto il piano indicato nel visore sopra le porte, il
settimo, cioè quello dove Jay doveva scendere. Al primo passo che mosse in reparto, Jay fu
investito da quella calma operosità che caratterizza gli
ospedali di notte, quando in genere i pazienti dormono e le visite
sono state tutte concluse. Si avvicinò al bancone
dell'accettazione dove aveva riconosciuto Melody, una collega di Valery
che aveva incontrato un paio di volte anche lui:
-Ciao Mel!- la salutò come se dentro di sè fosse tutto normale anche se in realtà era parecchio nervoso.
Melody decisamente non ebbe una reazione normale: spalancò la
bocca, sgranò gli occhi e fece cadere a terra una pesante
cartella clinica di un tizio la cui salute era riassunta in almeno
duecento pagine, poveretto.
-Jay..- cominciò a balbettare sudando freddo -ma...ma cosa c-i...fai...pensavo fo-ssi in I-Itali-a...-
-Sono tornato stasera...Valery?- chiese ignorando il fatto che a Melody stava per venire un colpo apoplettico.
-Ehm...Val...certo, l'ultima volta che l'ho vista...era....fammi
pensare...dunque...- la sua risposa non fu necessaria, perchè
Jay notò la moglie che usciva da una porta con un cartello
"PRIVATE" attaccato.
-Oh, non importa è là...-
Valery, una donna senz'altro attraente, bionda e con le curve nei punti
giusti, era ferma davanti alla stanza dove i medici si concedono
qualche momento di relax durante il turno di notte. Mentre si
aggiusntava la divisa rosa pesca da infermiera, si guardò
attorno e quasi
svenne quando vide Jay di fianco al bancone dell'accettazione. Stava
per andargli incontro, quando dalla porta dietro di lei, sbucò
la testa di un uomo. Nonostante quest'ultimo fosse stato attento ad
aprire l'uscio il minimo indispensabile, Jay, dalla sua
posizione, vide quanto gli bastava per intuire che addosso di sicuro non aveva la divisa
dell'ospedale. Il tizio toccò Valery sul braccio destro in
modo da attirare la sua attenzione, poi rientrò lasciando aperta
la porta e, da dentro, cominciò a sventolare un reggiseno. Jay
aguzzò la vista e...eh sì non c'erano dubbi quello era
proprio un reggiseno e non un reggiseno qualunque, ma uno di quelli che
anche a lui era capitato di togliere...tanto tempo fa. E,
dall'espressione del suo viso di lui, sembrava proprio che volesse
dire a Valery: "Ehy hai dimenticato un
pezzo!"
Tutti gli organi e sistemi di Jay si bloccarono improvvisamente mentre
vedeva sua moglie farsi bianca come la neve. Alla fine lei gnorò l'uomo nudo
nella cameretta e si avvicinò velocemente al marito dicendo:
-No, Jay aspetta non è quello che sembra!-
Jay, accecato dalla rabbia, non esitò neanche un nanosecondo per rispondere:
-Non m'interessa quello che sembra! Fai una cosa Val...tieni tu la casa!
Domattina di mio non troverai più niente!-
Dopo di che girò sui
tacchi e lasciò la moglie ferma impalata di fianco alla povera Melody che
inorridiva per quello che era appena successo.
Si fiondò nel parcheggio, prese la macchina e, imponendosi
faticosamente di rispettare le regole del codice della strada, fece
ritorno per l'ultima volta in quella che, da quel momento in poi, non
sarebbe più stata
casa sua. Inferocito come non lo era mai stato in tutta la sua vita,
Jay prese fuori tutte e tre le sue valigie, le poggiò sul letto, le aprì e
cominciò a lanciarci dentro le sue cose, così
a vanvera, senza criterio e alla rinfusa. Non aveva voglia di
pensare a
quello che stava facendo, l'unica cosa a cui riusciva a pensare
era il fatto che aveva sprecato sei lunghissimmi anni con una donna che
poi aveva preso la sua vita, l'aveva buttata nella toilette e aveva anche
tirato lo sciacquone! Ormai era sicurissimo del fatto che non gliene
importava un fico secco di chi Valery si portava a letto; che si
facesse perfino un'intera squadra di football, la cosa non lo avrebbe
toccato minimamente. Il punto però era che Valery lo aveva preso
in giro tenendolo legato a se ed impedendogli di vivere la sua
vita. Si sentiva derubato di tutto quel tempo che
invece lui avrebbe potuto impiegare con qualcun'altro...qualcun'altro
come Luce, per esempio. Già, l'unico pensiero nella mente di Jay
in quel momento non era tanto il tradimento della moglie o da quanto
tempo la tresca di Valery andava avanti; piuttosto il fatto che lui
aveva la sensazione di aver sprecato tutti quegli anni invece di
viverli accanto a qualcuno che lo amasse davvero e che lui potesse
contraccambiare. Che fine aveva fatto improvvisamente la sua teoria
sull'amore come miscuglio ben dosato di neurotrasmettitori? Evaporata
insieme al suo contegno mentre lanciava in valigia pantaloni e giacche.
Quella notte Jay se la prese anche con se stesso. Più di un
collega
lo aveva definito una delle menti più brillanti della scienza
del ventesimo e ventunesimo secolo messi insieme e lui si era fatto fregare sei anni
della sua vita da sotto il naso come un ragazzino qualunque! Ma come
aveva potuto non accorgersi di niente!? Era imbufalito. Con Valery e
con
se stesso. Ok, più con se stesso anche
perchè forse se lui fosse stato più sveglio, a Roma
le cose sarebbero andate diversamente.
Senza prestare la benchè minima
attenzione a quello che stava facendo gettò nella valigia anche
spazzolino, dentifricio e schiuma da barba mischiati a biancheria e
scarpe, dopo di che passò in rassegna la casa, stanza per
stanza, per
vedere che cosa ci fosse di suo: lo stereo, che caricò in
macchina senza avere la minima idea di dove metterlo una volta uscito
da quella dannata abitazione, e tutta la sua roba nello studio.Una
tonnellata
di libri, un computer, appunti vari, schedari e riviste, per non
parlare dei tre capienti armadi, delle due ampie scrivanie e della
lavagna. Oddio dove
avrebbe messo tutta quella roba? Dopo un iniziale secondo di sconforto,
decise che per il momento avrebbe preso con se solo le sette
memorie esterne del computer che contenevano i risultati di tutte le
sue ricerche, poi chiuse a chiave la porta. L'indomani mattina, per
prima cosa avrebbe incaricato una società di facchinaggio di
prelevare tutto quanto, mobili compresi. Del fatto che gli operai
avrebbero svegliato Valery o che i mobili li avevano presi loro due
insieme non
gliene importava un beneamato cavolo.
Caricate le valige in macchina, si diresse verso l'unico posto, oltre
all'Asilo, dove si sentiva veramente a casa: il suo ufficio.
*************************
Caludia amava il suo lavoro. Per diverse ragioni. Prima fra tutte il
fatto che il suo capo era una persona precisa, puntuale ed
abitudinaria. Inoltre lavorare per il professor Reynolds era un
privilegio. Non ci aveva impiegato molto tempo per imparare che
l'intero universo scientifico lo teneva in grande considerazione. Per
questo motivo lei era in grado di ottenere qualunque cosa. Un biglietto
aereo o una stanza per un congresso due giorni prima dell'inizio?
Nessun problema! Una fornitura di strani aggeggi da laboratorio
consegnati il giorno successivo davanti alla porta del dipartimento?
Come già fatto! Le bastava dire che lei lavorava per il
professor Jay
Reynolds che le si spalancavano davanti agli occhi opportunità
inimmaginabili e le persone con cui parlava diventavano improvvisamente
riverenti e servizievoli. Questo di sicuro appagava grandemente il suo
amor proprio.
Ma più di ogni altra cosa amava il fatto che tutte le sue
giornate erano scandite da una taballa di marcia programmatta con
grande anticipo. Nessuna sorpresa, nessun cambiamento improvviso di
piani o appuntamenti, nessun imprevisto. Mai. Lei si alzava la mattina
sapendo esattamente cosa sarebbe successo durante il giorno, e per
Claudia, una persona metodica e regolare come un orologio
svizzero di una guardia svizzera, quell'aspetto del suo impiego era
fondamentale, anzi no,
vitale. Già il secondo giorno di lavoro aveva sincronizzato i
suoi orari in modo da arrivare in ufficio un quarto d'ora prima del
professore così da poter sistemare la sua agenda, e mai nel
corso dei
quattro anni durante i quali lo aveva assistito per organizzare i suoi
impegni, lui aveva sgarrato di un solo minuto anche uno solo dei suoi
appuntamenti. Questa caratteristica del suo lavoro era enormemente
gratificante e rassicurante.
Per questo motivo, la mattina del rientro del suo capo dal congresso di
Roma non cominciò per niente bene, dal momento che la macchina
del professore era già parcheggiata nel posto a lui riservato
quando lei arrivò al campus. Le vennero i brividi. Spinta da una
autentica angoscia, si lanciò in una corsa tanto forsennata
quanto il suo abbigliamento da irreprensibile assistente (tailleur
marrone e scarpe con un tacco da 8) le permetteva e raggiunse
velocemente la sua postazione, una specie di anticamera che era stata
ricavata riducendo un poco l'ufficio del professor Reynolds.
Buttò la borsa sullo schedario senza fare a
caso a cosa questa potesse colpire, accese il computer e comincio a
sfogliare nervosamente la sua agenda trascrivendo gli
appuntamenti per quel giorno su una tabella che lei stessa aveva
ideato anni prima. Quando quella
macchina infernale che si dice in giro sia dotata di qualcosa che
dovrebbe assomigliare ad un'intelligenza artificiale ma che quando ne
hai veramente bisogno finisce di accendersi alle calende greche fu
pronta, avviò la ricezione della posta elettronica. L'unica cosa
di utile era il programma del congresso di Praga: alla buon ora,
l'aveva chiesto dieci giorni prima! Claudia stampò le cinque
pagine del programma, poi raccolse i suoi appunti e prese un profondo
respiro per calmarsi. Si sistemò per bene lo chignon che
raccoglieva i suoi capelli castani e raddrizzò gli occhiali sul
naso prima di bussare alla porta dell'ufficio del professore. Era in
anticipo sulla tabella di marcia di tre minuti: decisamente la giornata
non era cominciata per niente bene!
-Avanti!- la voce del professore la invitò ad entrare.
Quando
Claudia entrò Jay era in piedi davanti alla più grande
delle due vetrate del suo studio. Pensieroso.
Il giovane professore si voltò verso la sua assistente e si accorse
immediatamente che il viso serio, sottile e leggermente allungato di lei
sembrava più nervoso del solito, quella
mattina; capì subito che la minuziosa Claudia era stata
scombussolata dal fatto che lui era arrivato prima di lei. La
tranquillizzò, tenendosi comunque sul vago:
-Ciao Claudia, non ti preoccupare! Ehm..sono arrivato prima questa mattina.-
Lei non fece una piega, e quasi ingorò le parole di Jay:
-Buongirno professore. Questi sono gli appuntamenti di oggi.- e fece
quattro passi dentro l'ufficio per posare alcuni fogli sulla
scrivania. Lui sorrise:
-Grazie.-
C'era qualcosa che non andava, però. In genere il suo capo era
abbastanza sereno la mattina e sempre disponibile, ma quel giorno
sembrava molto teso e....triste. Sì, la parola che a Caludia
venne in mente era proprio quella, triste. Negli occhi di lui in quel momento era calato un velo di grigia tristezza.
-Ha bisogno di qualcosa professore?- chiese contravvenendo al loro
solito dialogo che si teneva identico tutte le mattine da quattro anni a quella
parte.
Lui sorrise. Ancora una volta non era il suo solito sorriso luminoso,
ma era un sorriso tirato, quasi stanco. Infine disse: -No grazie.-
Così Claudia uscì. Richiusa la porta dell'ufficio, si
lasciò cadere sulla sua sedia sopraffatta da tante emozioni accumulate
tutte insieme e di prima mattina. Ma non era ancora finita, anzi quello
sarebbe stato solo l'inizio di un lungo calvario che per lei sarebbe
durato molto a lungo.
Non fece in tempo a voltarsi verso il suo computer che il professore
comparve sulla soglia del suo ufficio. Anche quello era strano, se lui
aveva qualcosa da dirle in genere alzava la cornetta del telefono.
Stringeva fra le mani la tabella dei suoi impegni per quel giorno, quando disse, senza staccare gli occhi dal foglio:
-Claudia ho bisogno che mi annulli degli appuntamenti. Oggi devo fare delle cose fuori dal campus.-
L'assistente inorridì:
-Proprio annullare? Non posticipare per esempio?- chiese con un filo di voce tremante.
-Sì, proprio annullare. Prima di tutto in laboratorio non ho
tempo di andare. Dì a Gillian di cominciare senza di me e che la chiamo io quando mi sarò
organizzato. Poi non ho neanche tempo di rivedere il nuovo progetto con
lei, Mitch e Bryan. Dì loro che mi farò vivo io.-
Claudia lo interruppe sempre con voce tremante:
-Ehm..professore mi scusi, ma Mitch e Daniel hanno bisogno di lei. A
fine giugno ci saranno le sessioni di laurea e dottorato....-
-Sì, hai ragione....- Jay pensò un secondo poi continuò: -Fai così. Mitch alle quattro e Daniel
alle sei. Io ora esco. Riesci a trovarmi l'indirizzo di una compagnia
di facchinaggio per favore?-
Claudia annuì a bocca aperta e, mentre il suo capo rientrava in
ufficio, si mise subito a battere velocemente sulla tastiera del
computer per eseguire gli insoliti ordini che le erano stati dati.
La prima cosa che Jay fece fuori dal campus fu incaricare la compagnia
di traslochi "FAST SNAIL", che Claudia aveva trovato su internet alla
velocità della luce, di andare a svuotare il suo studio a casa
di
Valery. Ok, il nome non prometteva niente di buono, ma era l'unica
compagnia che aveva un paio di uomini liberi subito. Dopo di che si
diresse all'Asilo. Aveva voglia di parlare con Simon come di
prendere un pugno in un occhio, ma d'altronde non poteva continuare a vivere
nel suo ufficio. Già s'immaginava il suo amico cosa avrebbe
detto. Infatti:
-Oh, finalmente amico!! La regina del congelatore non faceva proprio
per te! Te l'ho sempre detto bello! Ce ne hai messo di tempo
però!!- urlò l'incontenibile Simon.
-Grazie del supporto Simon!-
-Senti cosa dovrei fare? Mettermi a piangere e dirti che mi
dispiace e farti notare che questa decisione improvvisa non è da
te e magari convincerti a ripensarci?
Scordatelo Jay! Questa è la cosa migliore che potevi fare!
Quella là non merita neanche uno dei tuoi capelli!- s'interruppe
per un istante mentre un'espressione furba prendeva possesso del suo
viso, poi: -Già,
aspetta un secondo. Dimmi Jay, come mai il freddo e riflessivo professor
Reynolds, PhD, ha deciso di lasciare la moglie dalla sera alla mattina?-
Jay e Simon erano nello studio del "General Manager" dell'Asilo, il
primo
seduto su un comodo ma consunto divano in pelle, il secondo dietro la
sua scrivania e la domanda di quest'ultimo lasciò Jay senza
fiato. Il giovane professore si agitò nervosamente sul divano e
lì per lì rispose con la prima cosa che gli venne
in mente:
-Ehm...beh...mi sono reso conto che in effetti...noi...non eravamo
più sposati da parecchio tempo...voglio dire...- parlò
con evidente difficoltà, tuttavia non riuscì a finire
la frase perchè Simon lo stava guardando con gli occhi sgranati.
Un senso di vertigine colse quest'ultimo alla sprovvista, almeno quanto
la sua domanda aveva colto alla sprovvista Jay. Simon conosceva il suo
amico da quasi vent'anni, cioè dal liceo, e mai una sola volta
l'aveva visto nervoso come in
quell'occasione:
-Senti Jay, per caso mi stai mentendo? No, te lo dico perchè
anche un cieco sordo se ne accorgerebbe e io sono solo storpio!-
-Macchè...dai Simon...- ok, era vero si stava arrampicando su vetri che minacciavano di rompersi da un momento all'altro.
-Jay?...- ora fu Simon a lasciare la frase in sospeso mentre
un'illuminazione da stadio si accendeva nel suo cervello: -Oh oh oh...-
rise sadicamente -Aspetta...hai conosciuto qualcuna....sì
assolutamente!- rise ancora -Accidenti dev'essere stato a Roma! Ma certo!
Maledizione dev'essere proprio un portento questa donna se ti ha
sconvolto così tanto da farti decidere di lasciare la regina del
congelatore così in fretta!-
-Dai Simon, ma cosa dici?- Jay cercò ancora di uscire dal pantano in
cui l'amico l'aveva spinto. Per fortuna il sadismo non rientrava fra
i difetti di Simon:
-Ok, come vuoi amico, se vuoi mentire a me è un conto, ma
almeno non mentire a te stesso!- poi continuò: -Comunque, qui
all'Asilo ti aspettiamo a braccia aperte! Betsy non vede l'ora di darti
una bella leccata di benvenuto!-
Così quel pomeriggio Jay si trasferì all'Asilo. Per
fortuna la compagnia di traslochi risultò essere molto FAST e
poco SNAIL, così alle tre era già sistemato tutto.
Una camera da letto con bagno annesso entrambi in stile country ed
un'altra stanza dove Jay mise tutti i mobili e le sue cose prelevati
dagli operai da Valery diventarono la sua nuova casa. Il tutto era
completato da una cucina e una sala da pranzo nelle quali Simon, giorno
dopo giorno, gli avrebbe fatto qualunque tipo di ricatto per sapere chi
fosse mai questa italiana misteriosa conosciuta a Roma. Jay,
ovviamente, avrebbe respinto fino alla morte tutte le allusioni dell'amico, ma
senza mai negare apertamente. Questo piccolo particolare fu più
che sufficiente per convincere Simon che Jay non gliela stesse
raccontando tutta.
(1) Da "How Far We've Come" - Matchbox Twenty
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Capitolo 11 *** Roman Holiday ***
ROMAN HOLIDAY 10
ROMAN HOLIDAY(1)
Erano passati più o meno venti giorni da quando Luce era tornata
da Roma e aveva lasciato suo marito, ma lei non stava per niente bene e
Camilla cominciava ad essere seriamente preoccupata. Tanto per
cominciare la giovane ricercatrice aveva
accumulato un debito di sonno imbarazzante; lavorava ventidue ore al
giorno e le restanti due le suddivideva fra le improrogabili
necessità fiologiche di ogni essere vivente. Era dimagrita e
sempre più pallida, ma, sopra ogni cosa, Camilla era preoccupata
perchè Luce sembrava aver perso la sua proverbiale allegria. Era
sempre nervosa, scontrosa e sull'orlo di una crisi isterica un giorno
sì e
l'altro pure. Inizialmente Camilla aveva pensato che la causa di tanta
sofferenza
fosse il divorzio, per cui era spaventata dalla possibilità che Luce si
fosse pentita di aver
lasciato quello stordito di Gianluca e volesse ritornare sui suoi
passi. Tuttavia lei era convinta che
senza il marito Luce sarebbe sicuramente stata meglio,
quindi elesse ad unico scopo della sua vita far tornare il sorriso a
Luce, ad ogni costo. Purtroppo tale missione risultò
più ardua del previsto. Nonostante avesse elaborato un piano d'azione
degno di una spia russa del KGB nei suoi anni migliori, la metà delle
sue proposte, che andavano da una cena
in pizzeria o al ristorante a gite al mare o sull'appennino alla
ricerca
di
locande sperdute nella nebbia dove però si mangiano delle
crescentine che
sembrano il cibo degli dei, passando per una semplice serata al pub o
un giro in centro la
domenica pomeriggio, furono declinate, educatamente, ma pur sempre
rifiutate, mentre l'altra metà si rivelò un completo
fallimento. Solo per un caso fortuito Camilla scoprì che l'unica cosa in grado
di tirare fuori Luce dal suo bozzolo di solitudine e depressione
era la minaccia di licenziamento, per cui, da quel momento in poi,
Camilla non si fece certo scupoli nell'usarla.
Due volte l'agguerrita
capo-dipartimento riuscì a far uscire l'amica di casa. Una notte
rientrarono alle quattro del mattino, ma non perchè erano
state a ballare tutta la notte, piuttosto perchè si erano perse per le
strade dell'appennino in cerca di un agriturismo. Dopo quattro ore di vagabondaggio senza risultati erano sbucate come per
magia davanti all'ingresso
di Piacenza dell'autostrada del sole; erano partite dal centro di
Bologna. Un
sabato pomeriggio, invece, erano andate a fare un giro in centro sotto i portici,
attività generalmente riservata ai teen ager, ma ormai niente
più spaventava Camilla. Luce cosa aveva fatto in
quell'occasione? Era
rimasta in silenzio quasi tutto il tempo e l'unica cosa che aveva
comprato era stato uno stupido portachiavi a forma di cappello da cow-boy! Un
cappello da cow-boy? In quell'occasione Camilla capì che il cervello di Luce doveva
essersi prorpio fuso.
Tuttavia fu solo il lunedì successivo al cappello da cow-boy che
Camilla capì cosa stesse realmente divorando di dolore Luce.
La mattina, a colazione, i segni scuri sotto gli occhi di Luce gridavano
che la notte era stata passata in bianco, per l'ennesima volta. A fare
cosa
Camilla non lo sapeva, o meglio lo imparò solo in ufficio.
Alle undici la capo-dipartimento era al telefono con Jay (per la
miseria ma questi genii non
dormono mai? si era chiesta quando aveva sentito la voce allegra del
dottor Reynolds provenire dall'altro capo dell'oceano), quando la sua premiata
ricercatrice, con
un'espressione in viso identica a quella di Ivan Drago mentre
minacciava Rocky di "spiezzarlo in due", entrò di
prepotenza nel suo ufficio facendole fare un salto sulla sedia per lo
spavento:
-Ja...-
Camilla si congelò; oddio se Luce avesse scoperto con chi stava
parlando le avrebbe
tolto il saluto oppure le avrebbe dato il tormento? Decisa a non
scoprirlo cercò di confondere le acque schiarendosi la voce
platelamente e biascicando qualche parola fuori contesto:
-...ehm!!!...già ma forse le proteine non erano del tutto
denaturate....perchè...non....provi ad una temperatura maggiore?-
Infarto sfiorato.
In realtà era evidente che Luce non stava ascoltando la sua telefonata ma, senza proferire
parola, lanciò sulla sua scrivania un plico di fogli
rilegati, poi, sempre senza emettere suono alcuno, uscì.
-Camila?
Camila ma cosa stai diciendo?- la voce di Jay nella cornetta risultava
un po' disorientata, per cui Camilla si affrettò a scusarsi:
-Scusa, Jay!- si scharì ancora la voce per poi capire che la telefonata
ormai era conclusa: -scusa...ehm...ma ti devo richiamare dopo...-
-Ok, a dopo!-
Entrambi riagganciarono
Lo sfortunato plico finito sulla sua scrivania altro non era che il
nuovo progetto di ricerca di Luce. Sulla copertina campeggiava il
titolo:
"EFFETTI E CONSEGUENZE DELLA TERAPIA CON CELLULE STAMINALI IN ANIMALI AFFETTI DA SINDROME DI JENSEN"
Quando Camilla lesse il titolo e le prime pagine del progetto
sfiorò un secondo infarto. Possibile che Luce fosse così
audace? No, di sicuro era stata lei a confondere la Sindrome di
Jensen con un'altra mallattia. Si alzò dalla scrivania, e dalla
libreria prese un volumone che trattava le malattie genetiche dei
mammiferi. Sfogliò pagine e pagine fino a che non trovò il capitolo che le interessava. No, non si era
confusa, la Sindrome di Jensen era una rara malattia genetica che
poteva colpire qualunque specie di mammifero, quindi anche
l'uomo. La mutazione alla base della patologia riguardava un gene per la regolazione della produzione
di polisaccardi che venivano poi attaccati a varie proteine di
adesione fra gli epiteli e la sottostante membrana basale. Insomma era
tutta una questione di mancanza di cose che avrebbero duvuto essere attaccate
ad altre cose ma che non c'erano. Risultato: adesione scarsa di
qualunque epitelio o mucosa ai connettivi sottostanti con conseguenze
disastrose, a dir poco. In parica questo nuovo progetto si proponeva di verificare come
le cellule staminali potessero essere accolte da un organismo che
già di per sè aveva delle difficoltà a tenere
insieme i propri pezzi(2).
Luce doveva essere impazzita.
Prima di scendere a darle una strigliata Camilla decise di leggere a
fondo il documento. Due ore dopo aveva tutti i capelli dritti in testa;
il protocollo sperimentale che Luce aveva ideato era straordinario,
anzi di più, spaziale. In venti pagine aveva snocciolato tutta
una serie di modifiche genetiche da apportare alle cellule staminali
per fare in modo che queste potessero sopperire alle carenze
dell'organismo ospite. In pratica una cosa che non solo non sarebbe
stata possibile nei laboratori del loro dipartimento, ma Camilla
sospettava che nessun ateneo italiano avesse delle apparecchiature
così avanzate. Per non parlare del fatto che avrebbe avuto
bisogno di
un biologo molecolare o ingegnere genetico per assisterla. Sì,
decisamente Luce doveva rivedere
qualche punto della sua idea, anche perchè con tutta la buona
volontà e per quanto generose, le donazioni di Stecco e Boiler
non le avrebbero permesso neanche di sfogliare i cataloghi dei
produttori di
quelle astronavi che Luce le stava chiedendo di comprare.
Decisa e risoluta scese al piano terra dove un'altra sorpresa la stava
attendendo: fduori dall'ufficio della sua amica c'erano quattro grandi
scatoloni pieni di libri, riviste e qualunque altra cosa il genio umano
abbia inventato nel corso dei secoli.
"Oddio si vuole licenziare!" pensò Camilla sfiorando il terzo infarto della giornata. Un quarto non l'avrebbe retto.
Per fortuna però, Luce non voleva licenziarsi, stava "solo" pulendo e riordinando il suo ufficio.
Luce che riordinava il suo ufficio?! No, impossibile! Luce che riordina
il suo ufficio non sarebbe potuto accadere neanche nel mondo di "Blade
Runner"; della serie "Io ho visto cose che
voi umani non potreste mai immaginare." Diavolo, la sua amica
aveva proprio bisogno di riposo. Preoccupata come non mai, Camilla
si affacciò sulla porta e vide Luce che, spray
detergente e panno umido in mano, stava pulendo forsennatamente la sua
scrivania. Quasi timidamente le disse:
-Luce, tesoro...ho letto il tuo progetto.-
-Sì?- ribattè l'altra senza smettere di pulire e senza guardare Camilla in faccia.
-Beh...lo sai che noi non abbiamo tutto quello che ti serve, vero?-
Niente. Silenzio. Sapeva cosa stava pensando la sua amica: "E allora tu
trovamelo, è il tuo lavoro!". Provò con un altro approccio:
-E poi non puoi lavorare con soggetti affetti dalla Sindrome di Jensen.
E' praticamente certo che il tasso di rigetto della terapia sia del
100%...- non riuscì a finire la frase, perchè Luce la investì:
-Non con le modifiche che ho in mente di fare. Per esempio se hai letto
bene a pagina 16 vedrai che il gene degli enzimi di sintesi dei proteoglicani sarà
iperespresso...-
Secondo approccio fallito. Camilla non la lasciò finire e provò con un terzo:
-Senti questa sindrome è molto rara, non troverai mai una
quantità sufficientemente alta di soggetti sperimentali per
ottenere dei dati statisticamente accettabili!-
Luce non fece una piega:
-Ho gia contattato tutte le cliniche private e i veterinari delle ASL
su tutto il territorio nazionale. Qualcuno ha già risposto. Lo
so sarà dura e forse mi ci vorranno un po' di più di tre
anni...- per la prima volta da quando Camilla era
entrata nel suo ufficio la giovane smise di strofinare e fissò i suoi occhi verdi e
lampeggianti sul viso del suo capo. Emanavano una determinazione e una
sicurezza quasi tangibili; riprese: -...ma sono sicura che ci
saranno dei risultati, e che saranno
stratosferici! Camilla tu lo sai cosa vorrebbe dire! Sarebbe un passo
avanti anche per la ricerca sulla versione umana della malattia!-
Terzo approccio fallito miseramente....certe volte avere sotto di se
una ricercatrice brillante e intelligente poteva essere perfino
irritante.
Provò con un compromesso:
-Sì, okay hai ragione. Facciamo così, io ci penso, ma nel
frattempo tu vai a casa a riposarti, anzi fai così, prenditi il
resto della settimana! Pensa se vuoi davvero questo progetto.
Lunedì ne riparliamo, va bene?-
Luce, continuò a guardare Camilla, che in quel momento aveva
smesso le vesti di suo capo a favore di quelle di sua amica, per un istante e si
rese conto che aveva ragione. Non sul
progetto. Doveva riposarsi.
-Va bene, finisco qui e poi vado a casa. Promesso.- disse ubbidiente.
Camilla fece per voltarsi per ritornare ai piani alti, ma:
-Camilla!- Luce la trattenne -Ehm...grazie! Per tutto!- e sorrise.
Camilla tirò un sospiro di sollievo, quello che aveva appena
ricevuto era un sorriso, triste, ma pur sempre un sorriso, ed era
sempre meglio della perenne espressione corrucciata che Luce portava in
giro da settimane ormai. Rispose:
-Figurati tesoro...sei pur sempre il mio pezzo da novanta in questo
dipartimento di scienziati sopravvalutati, non posso permettermi di
perderti!-
scherzò lei sorridendo affettuasamente prima di tornare nel suo
ufficio. Tuttavia una volta seduta dietro la sua scrivania, Camilla
decise di non riprendere subito la
telefonata che Luce aveva interrotto con la grazia di un elefante in
una cristalleria. Decise invece che la cosa migliore da fare sarebbe
stata inviare il progetto di Luce a Jay e solo dopo telefonargli.
Così scansionò tutte le pagine della nuova ricerca
tranne la prima, quella dove compariva il nome dell'autore, ed inviò il
tutto al suo collega a Dallas per e-mail.
Accidenti che giornata stressante! Quando sarebbe finita? Comunque troppo tardi.
Luce lasciò il dipartimento alle due del pomeriggio, cioè
tre ore prima di Camilla. Al suo rientro a casa, però,
quest'ultima non trovò la sua coinquilina beatamente addormentata nel
suo letto o sul divano. Cioè, era sul divano, solo che non stava
dormendo, ma piangendo a dirotto. Quella sera il salotto di Camilla faceva
sembrare "una valle di lacrime" robetta da dilettanti: Luce in
sighiozzi era seduta sul divano con occhi così rossi e gonfi da assomigliare spaventosamente a due mongolfiere,
una tazza vuota di tè era sul tavolino, un tappeto di fazzoletti di
carta usati rivestiva il pregiato tappeto persiano e una scatola di kleenex vuota era accanto alla tazza.
Una devastazione in tutti i sensi.
-Santo cielo! Luce ma che succedde?- chiese la padrona di casa
ugualmente preoccupata per le condizioni sia della sua amica che del
suo tavolino del salotto in puro cristallo costatole un occhio della testa.
Luce non rispose, si limitò a singhiozzare indicando il
televisore. Camilla spostò lo sguardo verso lo schermo piatto a trentadue pollici e
vide Audry Hepburn, in bianco e nero, seduta su una vespa che veniva
scorrazzata per le vie di Roma abbracciata a Gregory Peck.
-Vacanze Romane?!- gridò inorridita -Perchè stai
guardando Vacanze Romane? Sei proprio una masochista! E poi avevo
nascosto quel DVD!-
-Beh allora non dovevi metterlo nella custodia della Carica dei 101!- singhiozzò Luce asciugandosi le lacrime.
In quel momento Camilla cominciò a capire cosa stesse afliggendo la sua amica nelle
ultime settimane e con sconfinato sollievo capì che quel qualcosa non era il suo
ormai-ex-marito. Okay, Luce non era americana, ma non ci voleva un genio
per immaginare cosa, o meglio chi occupava la sua mente. A quel punto
anche il portachiave a forma di cappello da cow-boy assunse un
significato ben preciso:
cow-boy...Texas...Texas...Jay Reynolds! Oh per l'amor del cielo,
altrochè divorzio, Luce si era innamorata di Jay come una
ragazzina!
Meno male!
-Ma perchè guardi questo film...tesoro sei uno
schifo...guardati!- disse
Camilla con la sua incrollabile sincerità sedendosi di fianco alla sua amica ed abbracciandola.
Quest'ultima rispose senza smettere di piangere e, abbandonandosi fra
le braccia di Camilla, indicò lo schermo del televisore con
l'indice destro. Disse:
-Guarda...come sono innamorati...- un istante per tirare su col naso
-E...si sono conosciuti a Roma...come...come...- un singhiozzo
più violento degli altri le mozzò le parole in gola.
Camilla l'abbracciò un'altra volta. Poi decise di usare le maniere forti:
-E' tutto qui? Ti sei presa una cotta per Jay!?- chiese.
Luce non rispose, semplicemente smise di singhiozzare e prese a fissare il pavimento con aria colpevole.
-Diavolo e io che pensavo che volessi tornare con quel verme! Che
sollievo!- sospirò la padrona di casa abbandonandosi contro lo
schienale del divano.
Luce continuava a fissare il pavimento senza rispondere, così Camilla proseguì:
-Senti, prenditi una vacanza! Vai a Dallas, fagli
un'improvvisata, fate due settimane di sano sesso occasionale e vedrai
che quando ritorni sarai come nuova!-
Luce sgranò gli occhi spostandoli dal pavimento all'amica e gridò inorridita:
-CAM!! NO! Premesso il fatto che lo sai che non potrei mai fare una
cosa del genere...con nessuno, figurati con...con...e poi....Cam,
è
sposato!!-
-E allora?!- ribattè Camilla per nulla impressionata da quella cosa che si chiama "sacralità del matrimonio".
-CAM!!- ululò Luce ancora più forte.
-Togliti lo sfizio per la miseria! Se fossi io al tuo posto!!- la
rimproverò Camilla con un filo di invidia mal celata nella voce.
-CAM!!!-
I vetri delle finestre tremarono ed il tavolino di cristallo rischiò di rompersi in mille preziosissimi pezzi.
********************
La mattina dopo, Luce aveva appuntamento con l'avvocato che le
aveva consigliato Riccardo, l'amico di suo padre. Al numero di telefono aveva anche anche aggiunto l'appunto che era un
vero squalo.
Una volta chiarito con lo squalo che a lei non importava nulla della
casa e neanche degli alimenti ma le bastava chiudere quella maledetta
faccenda il
più in fretta possibile, alle dieci e mezza Luce era già
libera. Decise di andare a fare un giro rilassante ai Giardini
Margherita; era una bella giornata di sole e il suo capo le aveva dato
il resto della settimana di ferie.
O così credeva.
Mentre oltrepassava il cancello d'ingresso del parco più amato
dai bolognesi, Luce non riusciva a non pensare a quanto si sentisse
incasinata in quei giorni. Prima di tutto il suo nuovo progetto.
Per elaborarlo nei
minimi dettagli e scriverlo in modo presentabile perchè Camilla
glielo approvasse aveva impiegato quasi tutti i venti giorni dopo il
congresso lavorando praticamente ventiquattro ore al giorno. Alla fine
era rimasta soddisfatta del risultato, anche se doveva ammettere
che Camilla aveva ragione, quel progetto era un po' rischioso, senza
contare il fatto che le attrezzatture richieste erano a dir poco
considerevoli. In
ogni caso non era per niente spaventata dalla mole di lavoro che
avrebbe dovuto affrontare ed era fiduciosa del fatto che avrebbe
potuto ottenere un buon successo.
In effetti l'idea di studiare l'utilizzo di cellule staminali su
animali con una patologia la cui caratteristica principale era impedire
l'adesione cellulare non era stata la sua prima idea, ma dal momento
che il suo lavoro era l'unica cosa che le era rimasta dopo il rovinoso
naufragio del suo matrimonio, tanto valeva
metterci dentro tutto quello che aveva, cioè se stessa.
Poi il divorzio. Per quanto fosse
vero che per Gianluca ormai non
provasse più niente, Luce aveva completamente perso la sua
fiducia nella vita e si vergognava. Si vergognava per non essere stata
in grado di evitare il disastro, per non aver capito subito che lei e
Gianluca non avrebbero dovuto sposarsi per niente, per non essere stata
capace di capire quello che doveva e voleva fare quando era il momento
giusto. Okay, Camilla le aveva detto che
sarebbe stata una sensazione passeggera, ma tutte le volte che sua
madre la chiamava e le parlava con quel tono condiscendente, Luce si
sentiva compatita. Quello, insieme alla frase "Beh almeno non avete
figli!" che sempre sua madre le ripeteva tre volte al giorno erano la
causa del fatto che ormai Luce non rispondeva più alle
telefonate dei genitori. Maledizione se avesse sentito ancora una sola
volta quella dannata frase avrebbe ucciso la fonte, anche se la fonte
fosse stata in buona fede.
Inoltre i sensi di colpa che provava stavano cominciando ad assumere,
giorno dopo giorno, proporzioni inquietanti. Si sentiva colpevole per
tutto, per la sofferenza che stava causando a Gianluca, ma anche per
quella che provava lei. Aveva sempre pensato che un matrimonio, se
doveva finire, doveva finire per cause che andavano, come minimo, dal
tradimento alla morte, e non perchè il sentimento era svanito o
perchè si realizzava di aver fatto un errore nel valutare
l'altra persona. Insomma, per la farla breve, lei non si sentiva in
diritto di soffrire; in fondo era una donna sana, intelligente e
indipendente, e con un lavoro che amava sopra ogni cosa, mentre al
mondo c'era gente che soffriva davvero per una malattia grave, per la
morte di una persona cara o perchè aveva perso il lavoro e non
sapeva come fare a mantenere la famiglia. Quelli erano problemi che
davano il diritto a soffrire, ma non il suo che lei considerava come un
semplice capriccio. Ma allora perchè stava male?
Camminando e pensando raggiunse, quasi senza accorgersene, il laghetto che si trova
più o meno al centro dei giardini e sulla riva del quale
c'è un bar. Entrò, ordinò un tè freddo ed
andò a sedersi in un tavolino all'aperto. Nonostante fino a quel
momento aveva quasi ignorato quello che accadeva intorno a lei, in
quel momento non potè fare a meno di notare una coppia di
ragazzi che avevano deciso di passare quella bella mattina di fuga da
scuola(3) a sbaciucchiarsi ai Giardini Margherita. Erano seduti uno di fronte
all'altra e dividevano un frappè dal colore "verde Shreck" che
Luce non avrebbe osato bere neanche nel deserto e in punto di morte per
disidratazione; tuttavia quei due ragazzi sembravano essere al setimo cielo, come se al
mondo nulla avesse importanza a parte loro. Sorrise e realizzò
che negli ultimi giorni i pochi momenti
di serenità li aveva vissuti quando aveva pensato a Jay. Okay, quella faccenda
aveva tutto di negativo e niente di positivo; e la cosa peggiore non
era l'oceano che li separava. Tanto per cominciare lui era sposato, ma
quel piccolo e insignificante particolare non le era stato comunque
sufficiente per toglierselo dalla testa, anzi nonostante le avesse
provate tutte, perfino imporsi di odiarlo, alla fine lui era sempre
presente nella sua mente e attaccato al suo cuore come l'edera ad una
vecchia villa di campagna. E poi c'era il fatto che quasi non si
conoscevano. Ma allora perchè una sola sera con Jay le aveva
dato sensazioni d'intesa e complicità molto più forti
di quelle che era riuscita a stabilire con suo marito dopo sei anni che
stavano insieme? Decisamente tutti i suoi buoni propositi di razionare
le sue emozioni e andarci piano erano andate a farsi benedire. Luce non era
capace di amare solo un po'; lei amava istintivamente ed
incondizionatamente, non poteva farci niente. Aveva sempre fatto
così e avrebbe continuato a farlo, nonostante tutto; nonostante
le tante delusioni, la rabbia e la sofferenza che aveva provato in
passato, avrebbe continuato ad amare completamente.
Tanta gente chiama
queste emozioni "esperienza"; definizione
saggia e molto diplomatica, non c'è dubbio. Luce però,
che "sentiva" mille volte più di un normale essere umano, non
era d'accordo. Per lei tanti ricordi dolorosi altro non erano che
cicatrici che si sarebbe portata dietro per sempre, che la facevano
ancora stare male e lo avrebbero sempre fatto, indipendentemente da
quanto tempo potesse passare.
"Il tempo è la miglior cura, guarisce tutto". No, quasi tutto.
Luce sperava solo che la prossima volta, con Jay, se Dio avesse
voluto, o con qualcun'altro, quelle cicatrici non le avrebbero impedito
di essere sè stessa. Come invece era successo una
mattina di venti giorni prima a Villa Borghese.
Tutti quei pensieri, che si agitavano instancabili nella mente di Luce come un torrente di montagna,
furono interrotti dal suono del suo cellulare che l'avvertiva di un SMS
in arrivo. Luce prese il telefono, con poco entusiasmo perchè
quelle ore di libertà se le era meritate, ed aprì il
messaggio.
Camilla.
"VIENI SUBITO IN DIPARTIMENTO. HO DELLE NOVITA'!"
Addio giro al parco!
(1) "Roman Holiday" - Film di William Wyler - Paramount Pictures
(2) Ovviamente questa patologia me la sono inventata di sana pianta!
(3) A Bologna marinare la scuola si dice "fare fuga"....cioè ai
miei tempi si diceva così, ma negli anni il termine potrebbe
aver subito delle modifiche....il che vi farà capire che da
quando ho finito la scuola io è passato un sacco di tempo,
ahimè!
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