This is who I really am.

di FraonMars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Primo Settembre 2011 ***
Capitolo 2: *** - 2 Settembre 2011 ***
Capitolo 3: *** - 3 Settembre 2011 ***
Capitolo 4: *** - 4 Settembre 2011 ***
Capitolo 5: *** - 5 Settembre 2011 ***
Capitolo 6: *** - 6 Settembre 2011 ***
Capitolo 7: *** - 7 Settembre 2011 ***
Capitolo 8: *** - 8 Settembre 2011 ***
Capitolo 9: *** - 9 Settembre 2011 ***
Capitolo 10: *** - 10 Settembre 2011 ***
Capitolo 11: *** - 11 Settembre 2011 ***
Capitolo 12: *** - 12 Settembre 2011 ***
Capitolo 13: *** - 13 Settembre 2011 ***
Capitolo 14: *** - 16 Settembre 2011 ***
Capitolo 15: *** - 23 Settembre 2011 ***
Capitolo 16: *** - 3O Settembre 2011 ***
Capitolo 17: *** - 7 Ottobre 2011 ***
Capitolo 18: *** - 16 Ottobre 2011 ***
Capitolo 19: *** -17 Ottobre 2011 ***
Capitolo 20: *** -20 Ottobre 2011 ***
Capitolo 21: *** - 24 Ottobre 2011 ***
Capitolo 22: *** - 1 Novembre 2011 ***
Capitolo 23: *** - 9 Novembre 2011 ***



Capitolo 1
*** - Primo Settembre 2011 ***


- Primo Settembre 2011­­

Erano le 10.00 e la sveglia suonava.

‘No warning sign, no Alibi, we're fading faster than the speed of light.
Took our chance, crashed and burned, no we'll never ever learn.’

Tirai un pugno per fermarla e mi rigirai nel letto. Avevo ancora sonno, come sempre.
Alle 11.48 finalmente mi svegliai.
Appena aprii gli occhi mi resi conto che era pieno giorno, la luce che entrava dalle finestre sul tetto mi accecava. Cercai così di alzarmi per andare in bagno ma non ci riuscii.
La testa mi girava troppo, tanto da non permettermi di stare in piedi. Non ricordavo molto della sera prima, solo una solita serata tra amici, forse con qualche bicchiere di vodka di troppo.
Passai circa dieci minuti a fare respiri molto più che profondi e a massaggiarmi la testa, poi mi alzai.
La mia vescica protestava, doveva essere svuotata, come anche la mia testa. Si, era piena di confusione, non mi lasciava in pace. Mi lavai il viso, presi i primi vestiti stirati che trovai nell’armadio, un filo di trucco e mi decisi a scendere.
Era il primo settembre, il sole era nato da un po’ ormai, ma io ero tristissima.
Solitamente ero triste solo con la pioggia, con le nuvole insomma, ma quel giorno lo ero anche con tutta quella luce.
Perché?
Il motivo non lo sapevo bene, forse perché la fine delle vacanze si faceva sentire?
Forse perché avevo un disperato bisogno di caffè?
Forse perché non trovavo le mie Winston?
No, non lo sapevo.
 
Presi una fetta di pane, ci passai tonnellate di nutella, mangiai e poi si, ero veramente pronta per uscire.
‘Io esco, vado a pranzo dalla Gio!’, avevo urlato a mia sorella prima di aprire la porta di casa.
In realtà ero diretta da tutt’altra parte, il pranzo di certo non l’avrei fatto quel giorno, mi era bastata la colazione.
In cinque minuti scarsi arrivai al pontile sul mare, dove ad aspettarmi c’era appunto Gio.
‘Ehi bella, è mezz’ora quasi che t’aspetto!’
‘Si scusa lo so, è che stamattina ho spento la sveglia e ho ripreso sonno. Dio la testa mi sta uccidendo.’, mi scusai io.
‘Ti credo Fra, con tutto quello che hai bevuto!’
‘La solita vodka al melone no? La bevo sempre Gio, non credo sia per quello.’
‘La solita vodka al melone? Magari fosse solo quello, te ne sei scolato di alcool ieri sera!’
‘Davvero tanto?’, chiesi per capire, o magari ricordare qualcosa.
‘Eh già, ma tranquilla non hai esagerato più di tanto.’
‘Mah, se lo dici tu.’
 
Gio, o meglio, Giorgia era la mia migliore amica. La conoscevo dall’asilo, avevo passato con lei ogni singolo momento della mia vita. L’infanzia e ora l’adolescenza.
Entrambe avevamo quindici anni, quindici anni vissuti assieme, pochi forse, ma abbastanza per dire di conoscerla davvero.
 
‘Eccoti le tue Winston, me le avevi date per tenerle in borsa ieri sera.’
‘Ah, ecco dov’erano!’
Mi ripresi il pacchetto di sigarette e ne accesi una. Lei mi guardava male, come sempre quando fumavo. La capivo si, ero la prima una volta ad odiare il fumo, una volta.
 
‘Allora, pronta per partire?’, le chiesi mentre abbracciata guardavamo il mare.
‘Prontissima direi.’

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Capitolo 2
*** - 2 Settembre 2011 ***


- Due settembre 2011
Mancavano ancora dieci miseri giorni prima di tornare a scuola. Ero stata promossa fortunatamente quindi durante l’estate avevo avuto poco da studiare, solo i soliti esercizi di tedesco e qualche libro da leggere.
Essendo io una persona amante del sole e del mare decisi di andare in spiaggia con la Gio. l’avevo chiamata la sera prima, verso le dieci, e avevamo deciso di andarci dalle 10.30 di mattina fino al pomeriggio.
‘Ohi Fra adesso parto, cinque minuti e arrivo!’, questo era quello che mi aveva scritto, verso le 10.20.
Arrivò come sempre in ritardo, ma quella mattina non di molto, solo di pochi minuti.
 
‘Ciao bella, scusa il ritardo ma mi ha fermato Fede per strada!’
‘Fede a quest’ora? Ma a che ora inizia il turno?’
‘Oggi alle undici perché aveva mezza mattina libera.’
‘Ah ok, beh dai andiamo.’
 
Federico era un nostro amico, un bagnino tra l’altro. Lo conoscevamo da circa inizio giugno, aveva due anni in più di noi.
 
L’acqua era gelata nonostante l’ora, le nuvole un po’ coprivano il sole, non ero triste però, non quando ero con Giorgia. Naturalmente nel giro di due minuti eravamo già a largo, a nuotare lontane da tutti.
‘Ohi mancano solo tre giorni Fraaa!’, urlò lei appena mi decisi a tornare su dall’acqua.
‘Cazzo Gio non vedo l’ora!’, esclamai io entusiasta.
Una coppietta di anziani che nuotavano vicino a noi mi guardarono male. ‘Per la parolaccia?, pensai io. Mah.
Alle 11.45 tornammo su dal mare, erano passate quasi due ore, come sempre d’altronde.
Mangiammo e poi iniziammo a giocare a carte, scala 40 per la precisione.
 
‘Ohi guarda c’è Fede che arriva!’, avvisai vedendolo camminare in riva verso il nostro ombrellone.
‘Dove?’
‘L’unico ebete vestito con braghette e maglietta rosse!’, dissi io ridendo, amavo prenderlo in giro per l’abbigliamento da ‘bagnino’’.
Appena arrivò, mi tirò un pugno sulla spalla, credo mi avesse sentito.
‘Ciao vecchie, sempre a non combinare mai niente voi, vero?’
‘Tra poco inizia quella palla di scuola non rompere eh.’
‘Sentila oh! Beh almeno io ho lavorato!’
‘Si, sai che roba. Andare su e giù per la torretta e uscire in mare col pattino ogni due ore!’
Mi rispose con un altro pugno, questa volta me l’ero cercato.
‘Senti ma, tu hai lavorato giusto? Quindi di soldi da parte ne hai un po?’, chiese a Fede.
‘Si abbastanza, avevo in programma un tatuaggio. Perché?’
‘Noi tra tre giorni partiamo, andiamo cinque giorni giù a Roma da una nostra amica, vieni? Il posto in macchina c’è, puoi dormire in camera con noi se vuoi.’
Io la guardai malissimo, Federico mi stava simpatico si, ma perché invitarlo?
‘Chiedermelo un po’ più tardi no? Beh dai, potrei provare a chiedere ai miei, sta sera uscite?’
‘Ovvio!’, risposi io.
‘Ok, allora poi vi faccio sapere!’, ci rispose lui in fretta perché il capo lo stava chiamando dalla ‘radiolina’’.
 
Verso le cinque salimmo dalla spiaggia, alle sei sarei dovuta andare anche in palestra.
‘Ci vediamo stasera allora, vediamo se Fede viene!’, disse Gio per salutarmi.
‘Ok, sperando che sia fuori con certa gente!’, risposi io facendole l’occhiolino.
Lei capì subito a chi pensavi, così si mise a ridere e poi se ne andò a casa.
A chi mi riferivo? A un ragazzo, ovviamente. Un ragazzo di cui ero innamorata da anni ormai, forse troppi. Un ragazzo come altri, un po’ stronzo si, ma maledettamente bello.
 
La sera ci trovammo (io e Giorgia) come al solito al pontile. Questa volta era arrivata in orario, strano. Mi aveva detto di essere quasi sicura di aver visto Federico in giro con Michele, così si chiamava il ragazzo. Io ovviamente, non vedevo l’ora che arrivassero.
Verso le 10.30 li vidi, stavano arrivando con la loro camminata *son bello son fotomodello*, lenti più che mai.
‘Vi date una mossa o dobbiamo aspettare mezza notte?’, gli avevo urlato io facendomi coraggio. Con Fede ho molta confidenza, con Michele no.
‘Calma pare!’, mi aveva risposto Michele, come sempre parlando in dialetto. Lo adoravo anche per quello, si.
Appena arrivarono davanti a noi Fede ci disse che per lui andava bene, ma ad una sola condizione: doveva venire anche lui, quel ragazzo che amavo.
Realizzai quello che ci aveva proposto e andai in totale crisi, non riuscivo a parlare, respirare, Gio mi aiuto facendolo al posto mio.
‘Per noi va benissimo, staremo un po’ stretti in macchina ma di spazio in camera ce n’è per tutti!’, rispose lei tutta contenta, come faceva ad essere cosi tranquilla? Come?
‘Beh, avrei dormito con qualcun altro!’, aveva risposto Michele scherzando.
Si, era uno stronzo, ma a me non importava, no.
 
‘Bon, quindi si parte assieme. Una bevuta per festeggiare?’, aveva proposto lui.
Ovviamente noi avevamo accettato, o meglio, la mia amica aveva accettato, io come sempre gli andavo dietro, ancora sconvolta.
Ero felice si, perché lui sarebbe partito con noi, perché sapevo che quella ‘condizione’ era tutta una scusa pensata da Fede, per rendermi felice, perché lui sapeva. Sapevo cosa provavo.

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Capitolo 3
*** - 3 Settembre 2011 ***


- Tre settembre 2011
Tre settembre 2011, giornata iniziata non male, di più.
Perché? Beh, tanto per cominciare, mio papà è entrato in camera alle 7.50, svegliandomi con una delle sue frasi ‘urlate’.
Alle sette e cinquanta? Ma ci rendiamo conto? Mah.
Mi alzai, accesi il telefono, i soliti ‘buongiorno’ di qualche amica e un messaggio della Gio.
“Ohi Fra, oggi usciamo? Andiamo a farci un giretto per la laguna così provi la macchinetta nuova e poi ce ne andiamo un po’ al pontile. Passo alle 3.30 come sempre, ok?’
‘Ok(:’, le avevo risposto io.
Mi tornò per un attimo il sorriso. Lei me lo faceva tornare sempre. Andai il bagno, presi paura vedendo la mia faccia rosso fuoco, dovuta alle ore passate in spiaggia il giorno prima, così la riempii di fondotinta, quanto bastava per tornare rosa carne umano.
Mi vestii e scesi le scale fino alla cucina. Io e mia sorella prendemmo the e biscotti e andammo fuori in terrazza, a fare colazione.
Mattinata orribile, perché? Perché l’avrei passata con mio papà, al negozio di elettronica. Doveva chiedere un’informazione per la fotocamera, e come sempre doveva portarsi dietro anche me, che me ne intendo un tantino di più. Se non fosse stato per l’orario magari, mi sarei anche divertita visto quanto amo quella macchinetta.
 
Alle undici eravamo già a casa. Corsi in soffitta, cioè in camera mia, e andai dritta in doccia. Ci passai un’ora buona. Perdevo molto tempo a lavarmi, perché pensavo a tutt’altro, quella mattina pensai alla vacanza che sarebbe arrivata in due giorni, alla mia amica che avrei rivisto, e agli amici che sarebbero venuti con me. Mi venne in mente inoltre, che dovevo ancora ringraziare Fede per aver convinto Michele a venire con noi, sarei uscita con lui la sera.
‘Esco, ciao!’, urlai appena arrivò Gio.
 
‘Sei una grandee, te l’ha lasciata?’, mi urlò lei vedendomi con la macchina fotografica in mano.
‘Ovvio, stamattina l’ho accompagnato al negozio, me la sono guadagnata eh.’, risposi io fiera.
 
Giorgia ha sempre saputo della mia passione per la fotografia, e mi ha sempre ammirato per questo. Capiva quanto mi faceva stare bene fotografare, era spesso una delle mie ‘cavie’, così la definivo.
 
‘Sta sera che si fa?’, mi chiese lei mentre giravamo in bici per la laguna.
‘Io sono fuori con Federico, lo devo ringraziare per ieri sera! Vieni?’
‘No dai, vi lascio da soli. Farò un giro con Luca e poi me ne andrò a casa presto credo, al massimo ci troviamo per bere qualcosa.’
‘D’accordo, le avevo risposto io.’
Per le 16.40 avevamo finito tutto il giro, aravamo dirette al pontile. Sta volta ci sedemmo sugli scogli, perché i turisti ci avevano occupato il posto, come sempre a quell’ora.
 
Iniziai a guardare le foto che avevo fatto prima, e iniziai a farne un po’ li, alla Gio, al mare e mentre cercavo una giusta angolazione vidi Michele.
‘Cazzo Gio, sta arrivando Michele.’, sbottai io agitata.
‘Dove dove?’, chiese lei con il suo solito entusiasmo.
‘Eh dalla spiaggia, credo abbia appena finito il turno.’
‘Ah si può essere, starà venendo a prendere la bici, guardala è li.’
Mi indicò la bici che era parcheggiata a non più di tre metri da noi. Stavo sperando più che mai che non ci vedesse, mi sarei agitata troppo.
Indovinate? Ci aveva viste, e stava venendo da noi.
 
‘Merda!’, avevo bisbigliato prima che arrivasse.
‘Ohi, ciao belle! Niente spiaggia oggi?’, ci chiese lui.
Mi feci coraggio e risposi prima che la mia amica lo facesse per me: ‘Eh no ci siamo state ieri, abbiamo fatto laguna e poi scogli.’
‘Hai appena finito tu?’, gli chiese Gio.
‘Si adesso vado a casa a lavarmi che sono pieno di caldo, sta sera uscite?’
‘Io sono con Fede, lei viene dopo a bere qualcosa. Ci sei?’, dissi io.
‘Ovvio, a dopo.’, mi rispose facendoci l’occhiolino prima di girarsi, e salire nella bicicletta.
 
Ok, da quel momento in poi la giornata aveva preso una bella piega, anzi, la serata ormai. Erano le 6.40 quando arrivai a casa. Appena entrata mia mamma mi aveva chiesto se la sera avevo programmi, io le dissi di si e poi andai su in camera.
Per prima cosa scaricai le foto nel computer, ne scelsi una per lo sfondo, e le aggiunsi al mio blog, poi mi misi ad ascoltare un po’ di musica rilassante pre-serata.

“I don't remember the moment I tried to forget
I lost myself yes is it better not said
Now I'm closer to the edge.”

 
Quella sera uscii stranamente calma, nonostante sapevo che avrei incontrato Michele. Lo avevo visto appena avevo finito la strada, stava andando anche lui in centro.
Io e Fede ci trovammo al pontile. Lo salutai con un abbraccio, come ero solita fare.
‘Fedee, io ti adoro troppo!’, avevo esclamato.
‘Perché?’
‘Per ieri sera, solo tu potresti pensare queste cose per rendermi felice.’
‘Ma figurati. Sono stufo di vederti sognare e besta, lo sai no? Ho voluto darti questa possibilità.’, mi disse lui sorridendo.
‘Non vedo l’ora!’
Passammo quasi un’oretta seduti li, a parlare, a fare foto. Proprio mentre ne facevo una a Fede arrivarono la Gio e Michele che mi rovinarono la foto.
‘Grazie ragazzi, gentilissimi.’, avevo detto io ridendo.
‘Mi scusi fotografa! Posso avere l’onore di farle una foto?’, mi chiese Michele.
Ero sempre stata gelosissima della mia fotocamera, ma per lui potevo fare un’eccezione, così gliela passai in mano.
Scattò la foto, la guardò bene e disse: ‘Perfetta!’
Una vodka alla pesca in compagnia completò quella serata, perfetta, come aveva detto lui.

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Capitolo 4
*** - 4 Settembre 2011 ***


- Quattro settembre 2011
Giornata un po’ strana, sarà per le nuvole?
La mattina quando mi ero svegliata il sole spaccava le pietre, faceva caldo. Nel pomeriggio invece il cielo si era oscurato, quasi pioveva.
Avevo invitato la Gio a casa mia, avremmo passato la giornata in casa a giocare a carte, a discutere degli ultimi preparativi per la vacanza. Si, il giorno dopo saremmo partite, ma io non ne ero molto contenta quel giorno.
Settembre si faceva sentire, e la malinconia di fine estate anche. Avevo una vacanza da fare ancora, chissà quante belle serate, ma io non riuscivo a togliermi quei tristi pensieri dalla testa.
 
‘Da Fra, cinque giorno giù a Roma! E’ tutta l’estate che aspetti di andarci.’, mi aveva detto Gio per tirarmi su il morale.
‘Lo so, infatti non vedo l’ora. Un po’ mi dispiace, lasciare casa mia, volevo passarli qui gli ultimi giorni d’estate. Insomma, quante sere al bar abbiamo passato? Quanti giorni al mare? Quanti pianti al pontile?’
Mi arrivò un messaggio appena finii la frase, era Michele. ‘Pronta per domani? ;) Dai su, che ci divertiremo un botto.’
Nonostante il mio umore gli risposi con finto entusiasmo: ‘Già, non vedo l’ora! ** Pronto tutto?’
‘Si, valigia pronta! Sta sera si esce vero?’
Chiesi alla mia amica se sarebbe venuta con noi, e lei annuì.
‘Certo. Alle nove al pontile, come sempre.’, gli risposi.
 
Ecco, così volevo passare le ultime serate. A casa mia, nel mio paese. Non a Roma, li ci sarei potuta andare benissimo un’altra volta, ma era tardi per cambiare idea.
Alle cinque la Gio tornò a casa, doveva preparare le ultime cose. Io decisi di andare un po’ al pontile, sola.
‘Esco mezz’oretta, torno subito!’, avevo urlato a mia mamma mentre uscivo.
 
Appena arrivai chiusi la bici, e andai a sedermi. Il mare era calmo, non c’era nessuno per via del tempo. Si stava bene. Attaccai la musica, mi misi le cuffiette e presi la fotocamera.
Scattai all’incirca una ventina di foto, fino a quando non arrivò qualcuno che mi tirò un pugno sulla spalla. ‘Questo è Fede, pensai.’ Mi girai e mi trovai davanti Michele.
‘Sempre a fare foto te?’
‘Eh si, tu invece? Come mai da queste parti?’
‘Stavo andando a casa, ma ti ho vista qua da sola e sono venuto.’
‘Caro lui.’, gli dissi sorridendo.
Si era seduto a fianco a me, stava guardando le foto appena fatte. Diceva ‘bella’ ogni volta che ne scorreva una, troppo buono a parer mio.
 
Nel frattempo avevo acceso una sigaretta, mi serviva.
‘Cos’hai Fra?’, mi chiese.
‘Niente, perché?’
‘Fumi.’
Sapeva, sapeva che stavo male.
‘Sto di merda, non voglio partire, voglio stare qui.’
Michele si girò, posò la macchinetta e mi abbracciò. Piangevo. Rimanemmo così per circa cinque minuti, non volevo staccarmi da lui, stavo bene tra le sue braccia. Appena lo mollai mi fece un sorriso e mi fece l’occhiolino: ‘Dai su, domani partiamo e tu stai così? Guarda che non vengo se fai il muso.’
‘No no, se non ci vai tu non vado nemmeno io.’
‘Sorridi allora.’
Lo accontentai, sorrisi per lui.
 
‘Dammi quella ora, non ti serve.’, disse riferendosi alla sigaretta che avevo quasi finito.
‘Ma ormai la tengo, è quasi finita.’
Michele inziò a frugare nella mia borsa, prese in mano il pacchetto dicendo: ‘Allora queste le butto, tanto hai quella.’
‘Noo, le mie Winston!’, urlai. Gli diedi subito la sigaretta e lui mi restituì il pacchetto.
 
Restammo li per quasi due ore, a parlare, a fotografare. Scoprii che anche a lui piacciono quelle ‘cose’, le foto. Ne fece un po’ al mare, un po’ a me. Era bravo.
‘Fra? Quando torni?’, mi aveva chiesto mia sorella al telefono mentre io ero persa a fissare quel bel ragazzo accanto a me.
“Adesso parto scusa, non ho visto l’ora.”
Erano già le 19.20.
 
‘Ehi scusa ma adesso devo andare a casa.’, dissi a Michele appena finii la chiamata.
‘Ok va bene, ci vediamo domani allora.’
‘Eh già, pronto per Roma?’, gli chiesi felice.
‘Si, con quel sorriso poi.’, mi rispose ridendo.

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Capitolo 5
*** - 5 Settembre 2011 ***


- Cinque settembre 2011
Finalmente si partiva.
Erano le sei quella mattina, quando suonò la sveglia. La mia amica di Roma, Deborah, mi aveva chiamata per sapere verso che ora saremmo arrivati da lei; per le quattro le avevo detto, ma non ne ero del tutto certa.
Al volante per tutto il viaggio ci sarebbe stato il fratello della Gio che si era proposto per accompagnarci.
Fede e Michele erano arrivati in orario, alle sette in punto davanti casa mia. Avevano una valigia a testa. Appena si accorsero che sia io che la mia amica avevamo due valige enormi per ognuna ci guardarono malissimo, poi si misero a ridere.
‘Che avete voi due? Già che ridete a quest’ora della mattina?’, chiesi io.
‘Ma dobbiamo andare via per cinque giorni o cinque mesi?’, mi chiese Michele.
Io non risposi, mi limitai a tirargli un pugno sulla spalla, cercando di imitare quelli che lui sempre mi tirava, ma con scarsi risultati.
Appena salita in macchina aveva messo su il disco dei Mars, Vox Populi per la precisione. Adoravo quella canzone, riusciva a non farmi pensare a quella voglia che avevo di fare foto. Cosa che mi era stata proibita di fare in macchina. Si, perché tutti erano strastufi, così si definivano, di vedermi all’opera con la fotocamera. Povera me.
 
Il viaggio è durato quasi sette ore, tra ruote bucate, benzina finita quattro volte e tante fermate all’auto grill perché si, morivamo di fame. Nonostante tutto è stato piacevole, almeno per me. Mi sono divertita a canticchiare tutte quelle belle canzoni, a dare qualche lezione di inglese a quegli ignorantoni dei miei amici. C’era una cosa che non sopportavo, le canzoni dei Mars storpiate, non si potevano sentire. Così persi un po’ di ore ad insegnarli qualche cosa base.
 
Arrivammo quindi verso le quattro e mezza. Roma era bellissima. C’era stata l’anno scorso, sempre a fine estate, ma sembrava tutta un’altra cosa. Presi di corsa la macchina fotografica e scattai quasi una cinquantina di foto nel giro di cinque minuti.
‘Ecco, immaginavo.’, avevano detto tutti in coro vedendomi impazzire con quelle foto.
 
‘Amoreee!’, avevo urlato nell’esatto momento in cui la mia amica di Roma era uscita dalla porta di casa. Subito dopo le sono saltata addosso.
‘Ehi tesoro, bella tu!’
Circa cinque minuti di abbracci e baci e mi decisi di passare alle presentazioni.
‘Deborah, questa è la Gio, lui è Fede e lui è Michele.’
Lei sapeva tutto di Michele, infatti appena glielo presentai mi fece l’occhiolino.
‘Dove si dorme allora?’, chiedemmo.
‘Sono due minuti di strada da qui all’appartamento, vi do un passaggio così vi sistemate e stasera usciamo.’, rispose lei.
L’appartamento era molto bello, moderno se così si può dire. Il quartiere a sentir lei era abbastanza tranquillo, tranne la sera. Salutammo Deborah e cominciammo ad ambientarci.
 
Per le otto di sera le valige erano svuotate, noi ci eravamo lavati e cambiati per la sera. Eravamo pronti insomma, per uscire.
Avevo indossato un vestito a balze color petrolio, ai piedi avevo un semplicissimo paio di ballerine bianche. I capelli li avevo raccolti in una coda di cavallo, notai tra l’altro che si erano tremendamente schiariti col sole, sembravo bionda. Inorridii al pensiero.
Quando Michele era entrato in camera si era messo a fissarmi, sorrideva.
‘Beh?’, dissi io facendo un giro su me stessa per mostrargli il vestito svolazzante. Ero sorpresa dalla calma con cui riuscivo a parlargli, solitamente impazzivo.
‘Direi perfetta. Da quando sei cosi bella scusa?’
‘Ma zitto.’, risposi io ridendo e facendogli segno di seguirmi.
 
Una volta scesi al piano di sotto prendemmo borse, chiavi e uscimmo. Ad aspettarci li fuori c’erano la mia amica assieme a suo fratello Giacomo. Carino pensai, non lo ricordavo così, bellino. Gli sorrisi e lo salutai con un bacio sulla guancia, che bastò a farmi diventare rossa come un pomodoro. Michele mi guardò malissimo, quanto mi piaceva vederlo geloso.
Che poi, geloso di cosa? Mah.
Cenammo con pizza e coca cola, niente di più buono.
‘Beh ragazzi, voi che avete voglia di fare?’, ci chiese Giacomo.
‘Cosa proponi?’, gli chiese Gio.
‘Io direi un giretto qui intorno e poi una bella bevuta, no?’
‘Per me va benissimo, magari non più di una vodka che altrimenti la Fra mi va in coma poi.’, disse lei ridendo.
La guardai non male, malissimo: ‘Shh!’
‘Che c’è? Non reggi?’, mi chiese sempre Giacomo.
Non feci in tempo a rispondere che tutti si misero a ridere.
‘Diciamo che se esagero di poco poi impazzisco, ahah.’
‘Una volta si è spogliata nuda!’, esclamò Federico.
‘Ma che cazzo dici scemo?!’, gli urlai io.
Passammo la serata così, tra scherzi e alcool.

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Capitolo 6
*** - 6 Settembre 2011 ***


- Sei settembre 2011
Il primo giorno a Roma era passato ormai, me ne rimanevano altri quattro e, quella mattina, avevo deciso che li avrei vissuti al meglio.
‘Tornerò e dovrò andare a scuola, dai cazzo Fra! Goditi tutto questo!’, pensavo mentre stesa nel letto guardavo il panorama dalla finestra della camera. Erano le 11.00 e sembravo essere la sola ancora a ‘dormire’.
Ad un tratto sentii qualcuno arrivare, mi venne automatico chiudere gli occhi e fingere di dormire, come ero solita fare a casa. Era Federico, l’avevo capito dalla voce, canticchiava.
Cosa udivano le mie orecchie? Canticchiava i Mars! Non riuscii a trattenermi, mi girai e continuai la canzone assieme a lui.
‘Lo sapevo!’, esclamò lui.
‘Sapevi cosa?’
‘Che eri sveglia! Non sei brava a fingere di dormire, sai?’
Scocciata gli feci il broncio e mi rigirai, coprii la testa col lenzuolo. Lui venne da me, era seduto nel bordo del letto e mi fissava, lo vedevo da li sotto. Ridevamo.
Arrivò Michele a rovinarci il momento.
‘Ehi, giù le mani.’, aveva detto parlando a Fede.
Credeva stessi ancora dormendo, così feci finta di niente e rimasi ad ascoltarli. Federico naturalmente mi assecondava.
‘Non le ho mica fatto niente. E poi scusa, mica state assieme!’
‘Non l’ho mica detto.’, rispose lui per scusarsi.
‘Dai dai ti ho visto come la guardi eh.’
‘Macchè, è solo un’amica. Tutto qui.’
E uscirono entrambi dalla stanza.
 
Mi ero vestita normalmente quel giorno per uscire. Oltretutto era giorno, non potevo di certo andarmene in giro con un vestitino svolazzante, troppo appariscente. Pantaloncini e canottiera. Infradito ai piedi.
L’appartamento la mattina era bellissimo, sembrava molto uno di quelli americani con vista sulla spiaggia. Il sole illuminava tutte le stanze e io adoravo tutta quella luce.
 
‘Buongiorno Fra!’, urlò Gio appena mi vide scendere le scale.
Michele dal divano girò di scatto la testa per salutarmi. Che sorriso, perfetto!
‘Ciao belli!’, così avevo risposto io.
In tv c’erano i cartoni animati. Io e Fede passammo quasi  mezz’ora a cantarci le sigle, le sapevamo tutte.
‘Qui nella nostra classe abbiamo un gruppo di ragazzi, che trattan gli insegnanti come fossero pupazzi. Ragazze state buone altrimenti la pagate, perché a noi piace far così perciò non vi impicciate. No noi non stiamo zitte e prendiamo la parola, per dire a tutti quanti che non vi vogliamo a scuola. Potete dirlo e poi ridirlo ma noi continuiamo, si continuiamo a fare in classe quello che vogliamo!’
‘Non sono normali.’, bisbigliò Giorgia a Michele.
Li guardammo malissimo, per poi finire a ridere.
 
Deborah era arrivata verso le tre per chiederci se volevamo uscire o se preferivamo andarcene al mare li vicino. Decidemmo insieme di rimandare la spiaggia al giorno dopo, e farci un giro di negozi. Shopping, shopping e ancora shopping!
Finii per spendere quasi tutti i soldi che i miei mi avevano dato per le vacanze. Mi erano rimasti si e no duecento euro. Bene insomma.
 
‘Dai ci vediamo stasera allora!’, ci disse Debby una volta tornati a casa. Erano quasi le sei.
‘Ok ma, tu dove vai adesso?’, le chiesi io.
‘Ho palestra alle sei e mezza, ci vado tutti i giorni. Volete venire?’
‘Ma figurati se vengo. Sono in vacanza!’, esclamò Gio. Non era tipo da corse o cose varie. Preferiva la sua vita sedentaria.
Io no, ero abituata ad andarci così decisi di farle compagnia e con me, anche Fede e quello stupido di Michele.
Arrivammo in questa ‘palestra’ in circa dieci minuti. Era enorme, quasi il triplo di quella del mio piccolo paesino di mare. E poi li non c’erano i soliti vecchi a camminare a lentezza di lumachina bavosa sul tappeto da corsa. No, c’erano i cosiddetti ‘fighi’.
Iniziai a farmi gli occhi con un biondino tutto addominali che era steso a fare pesi. E che pesi.
I ragazzi, i miei amici intendo, notarono che ero un tantino persa.
‘Fra, sveglia tesoro.’, mi continuavano a ripetere ridendo.
Risposi con una risata, e me ne andai in spogliatoio.
 
‘Tu adesso mi spieghi bene le cose. Perché quel ragazzo ti mangia con gli occhi? Non eri triste perché non ti si filava?’
‘Difatti non mi si fila, fa solo lo stronzo.’
‘No no fidati, quello è perso.’
Passai quasi venti minuti a correre, poi mi andai a stendere, toccava agli addominali. Michele arrivò in contemporanea e si sedette a fianco a me.
‘Addominali? Pff, ma da quando sei così attiva tu?’, mi chiese.
‘E’ inutile che sfotti tesoro mio, scommettiamo che ne faccio più di te?’, gli dissi io sicura di batterlo, ero allenata.
‘Fatta.’
Iniziammo con la sfida. Deborah teneva il conto per me, uno dei figoni della palestra lo teneva per Michele. Dopo cinque minuti di sforzo totale avevo vinto!
‘Ma vienii!’, avevo urlato ridendo e battendo il cinque alla mia amica.
Federico che stava arrivando esclamò: ‘Sei proprio sfigato eh.’
Tra fatica, risate e belle viste erano passate quasi due ore, era tempo di tornare all’appartamento.
Verso le nove e mezza i ragazzi stavano uscendo.
‘Che fate voi, non venite?’, ci avevano chiesto Giorgia e Federico.
‘No siamo stanchi, abbiamo già dato troppo per oggi.’, rispose Michele, parlando anche per me.
‘D’accordo.’
 
Michele era steso nel divano, indossava un paio di pantaloncini, niente maglietta. Decisi di attaccare i Mars per distrarmi, era troppo bello, troppo per contenermi.
Presi in mano il telecomando, e iniziai a cantare a squarciagola. Lui mi guardò malissimo, poi però si mise a cantare con me. Ridevamo, ridevamo tantissimo. E lui sapeva la canzone! Quale onore pensai.
‘Sei strana sai?’, mi disse finita l’esibizione.
‘Perché?’
‘Boh, di solito le ragazze come te sono ignoranti e ascoltano canzoni tipo Hannnah Montana.’
‘Sarebbe un complimento?’
‘Si.’
Lo guardai, eravamo seduti nel divano, vicini, vicinissimi. Lui appoggiò la sua mano nel mio viso, voleva baciarmi?
Mi alzai prima che potesse fare qualsiasi cosa, non ero pronta ancora. O forse avevo paura.
 
Alle 24.30 non erano ancora tornati, così me ne andai a letto. Michele si stava facendo la doccia.
Ad un tratto entrò in camera, venne a stendersi da me.
Mi girai, lo trovai a pochissimi centimetri da me, lo guardavo negli occhi. Occhi marroni, i più belli del mondo. Si avvicinava a me, sempre di più.
‘Siamo solo amici, no?’, dissi io.
‘E chi l’ha detto?’
‘Tu stamattina, mentre parlavi con Fede.’
‘Ma non stavi dormendo?’
‘No’, scoppiai a ridere. Ci era rimasto male.
Lo abbracciai, lui mi diede un bacio in fronte, poi mi girai e iniziai a sognare.

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Capitolo 7
*** - 7 Settembre 2011 ***


- Sette settembre 2011
Quella mattina mi ero svegliata tra le braccia di Michele. Avevamo dormito assieme.
Ero li, stesa con gli occhi chiusi, stavo decidendo se ‘svegliarmi’ oppure no. Lui era già sveglio, l’avevo sentito parlare con Fede.
Decisi di aprirli.
Lui era li, mi stava guardando, i suoi occhi fissi nei miei. Cazzo se era perfetto.
‘Buongiorno!’, mi disse quasi ridendo.
‘Shh, non urlare!’, gli risposi io sottovoce.
Lui si mise a ridere, prese in mano il telefono e me lo passò per indicarmi l’ora. Erano le 14.27.
‘Oddio! Così tardi?’, chiesi io iniziando ad alzarmi. Lui mi fermò prima che potessi farlo.
‘Ferma la, non ti puoi alzare.’
Non capivo: ‘Perché scusa? E gli altri dove sono?’
‘Sono a mangiare a casa della Deborah, e tu non puoi uscire perché hai la febbre.’
‘Cosa?’, iniziai a tastarmi la fronte, scottavo.
‘Prima ti ho dato un bacio, sulla fronte, e ho sentito che eri calda. Ho detto a Fede e alla Gio che sarei rimasto con te oggi, loro più tardi vanno in spiaggia.’
‘Ma dai! Sei in vacanza no? Tu vacci, io sto qui comunque.’
‘E secondo te io ti lascio qui da sola? Neanche per sogno bella.’
Io ovviamente ero strafelice di quella sua decisione. In così poco tempo mi ero ritrovata amica di quel ragazzo che tanto desideravo. Certo però, non potevo correre troppo, quindi evitai di mostrargli quella mia gioia.
‘In bagno ci posso andare?’, chiesi io ridendo.
Michele tolse le sue braccia dal mio corpo, mi sentivo nuda senza quella stretta attorno a me. Lo guardai sorridendo, non riuscii a resistere dal baciarlo. Poggiai le mie labbra sulla sua guancia per due brevissimi secondi che mi bastarono per tutta la mattinata.
 
Inorridii vedendomi allo specchio. Mi misurai la febbre, 38 e due linee.
Presi una tachipirina e poi andai dritta sotto la doccia. Mentre canticchiavo sotto l’acqua fredda sentii bussare alla porta.
‘Si?’, urlai io per farmi sentire.
‘Esco dieci minuti, vado a comprare due tre cose per il pranzo!’
‘Ok!’
Ero rimasta sola, così feci tutto con la mia solita calma. Uscita dalla doccia presi un paio ti pantaloncini in tuta e una canottiera per stare in casa.
Ero stranamente agitata questa volta. Forse perché Michele iniziava a darmi qualche attenzione in più?
Non volevo correre troppo con lui. Insomma, non ci conoscevamo da molto e le cose stavano andando più che bene. Quando stavo con lui poi stavo serena, era così esageratamente dolce.
Era tornato circa un quarto d’ora dopo. Aveva preso patatine e una minestra già pronta.
‘Scommetto che questa è per me!’, dissi io ridendo e maneggiando quella specie di composto pronto.
‘Beh di sicuro non ti mangi le patatine con la febbre.’
‘Ma dai, sembra vomito!’, esclamai io disgustata.
‘La commessa mi ha detto che è buona.’
‘La commessa è pagata per dire che è buona.’, dissi io ridendo.
‘Fai a meno di mangiarla allora.’, mi rispose serio. Si era offeso? Permalosetto eh.
Mi avvicinai a lui, sorridendo. Era di spalle così lo abbracciai da dietro, stretta.
Lui si girò, ricambiò l’abbraccio. Quanto adoravo. Sembrava di sognare, forse era la febbre, sorrisi al pensiero.
‘E questo?’, mi chiese lui.
‘Eh sai, siccome la minestra non la mangio mi sono sentita in colpa.’, ridevo.
‘E basta ridere tu! Vai a stenderti vai, io preparo ste patatine.’
Sapeva pure cucinare? Mah, non prestai molta attenzione alle sue doti culinarie. Andai a stendermi nel divano. Accesi ‘Forum’.
 
Avevo pranzato con un po’ di patatine crude rubate dal piatto di Michele. Non mi saziarono, anzi, mi fecero venire il mal di pancia. Non glielo dissi però, altrimenti avrebbe dato la colpa a me. Verso le quattro tornarono Federico e Giorgia.
Fede e Michele rimasero in salotto a parlare, io salii con la mia amica.
‘Oh ma avete dormito assieme?’, mi chiese lei entusiasta.
‘Magari non urlare grazie, comunque si.’, risposi io con il mal di testa che saliva.
‘Scusa, ma non sei felice?’
‘Si ovvio. Ma sai no, che l’ho sempre voluto. Adesso non vorrei correre troppo, poi magari finisce che non succede niente e perdo tutto.’
‘Ma va Fra, tu stai tranquilla. Non sto di certo dicendo che ci devi fare famiglia, ma non aver paura di avvicinarti a lui.’
Finalmente era arrivata lei. Si, perché sapevo che mi avrebbe convinta ad andare avanti con lui. Era quello di cui avevo bisogno.
‘Grazie Gio, davvero.’
‘E figurati, bel lavoro  amica mia!’, esclamò facendomi l’occhiolino.
Proprio in quel momento Fede stava entrando in camera.
Mi guardò ridendo, aveva capito tutto. Diventai rossa per un attimo, poi tornai al mio bianco pallido naturale.
‘Bene, noi andiamo al mare. Ci vediamo sta sera, ok?’, così ci avevano salutati.
 
Passammo il pomeriggio stesi fuori, a prendere un po’ di sole. Tra gli argomenti c’era la scuola.
‘Ma quindi te hai finito scuola?’, gli chiesi io per chiarire quel mio dubbio.
‘Eh si, ho finito i tre anni.’
‘Ah.’, risposi io triste. Mi piaceva vederlo tutte le mattine alla stazione delle corriere, era un buon modo per iniziare la giornata.
‘Che c’è?’
‘No niente, è che così non ci vediamo più.’
‘Ma va, di sicuro poi ci troveremo in giro. Poi scusa, basta uno squillo e io arrivo.’, mi disse tranquillizzandomi.
 
La sera andai a stendermi presto, erano le dieci passate da poco.
Michele era venuto a stendersi con me, mi accarezzava la testa. Ero in paradiso.
Federico e Giorgia erano tornati per cena, poi erano riusciti. Andavano al cinema.
Mi girai nel letto, verso di lui. Mi guardava, io lo mangiavo con gli occhi. Sorrideva.
Mi avvicinai. Lui capì le mie intenzioni e iniziò ad avanzare con me. Millimetri ci separavano. Posai le mie labbra sulle sue. Lo baciai.

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Capitolo 8
*** - 8 Settembre 2011 ***


-Otto settembre 2011
Penultimo giorno a Roma. La mia vacanza stava per finire, non era stata poi così male, se non per la febbre.
Mi svegliai la mattina con un forte mal di testa, il termometro fortunatamente però diceva ’37.3’, stavo meglio.
Erano le 8.30 e dormivano tutti ancora. Mi srtololai letamente dalle braccia di Michele e scesi a preparare la colazione. La casa era silenziosa, tutto era silenzioso. Mi piaceva.
Presi la fotocamera che il giorno prima avevo tristemente abbandonato, andai in giardino e iniziai a scattare un po’ di foto, c’era nuvolo però. Pensai che in quei giorni non avevo passato molto tempo con Deborah, che era uno dei motivi principali che mi avevano convinta ad andare a Roma così decisi di mandarle un messaggio: ‘Ohi bella, ti va oggi se ce ne andiamo un po’ al parco? Quello dove mi portavi l’anno scorso, ti ricordo?’
Le avevo scritto perché credevo stesse ancora dormendo, ma mi rispose subito.
‘D’accorso tesoro, alle quattro ci troviamo li!’
Programma della giornata fatto.
Verso le 10.38 scese Giorgia, stranita dal fatto di vedermi sveglia.
Venne ad abbracciarmi: ‘Come stai oggi?’, mi chiese sorridendo.
‘Meglio, la febbre è scesa.’
Ci sedemmo nel tavolo della cucina a chiacchierare un po’: ‘Beh, ieri sera allora? Com’è andata a finire?’
Pensai a quel bacio, sorrisi maliziosamente. Lei aveva capito tutto.
‘L’hai baciato?’, esclamò lei tutta contenta.
‘Shh, così li svegli!’, gli risposi io ridendo. Proprio in quel momento mi accorsi che Federico stava scendendo le scale, aveva sentito tutto naturalmente. Iniziammo così a ridere assieme.
 
Alle 11.30 Michele ancora non si era svegliato. Decisi così di andare a chiamarlo.
Entrai in camera, dormiva. Sembrava un angelo. Mi avvicinai a lui, come facevo a svegliarlo? Era perfetto, mai avrei interrotto quel momento.
Ad un tratto iniziò a ridere. Era sveglio. Me l’aveva fatta. Iniziai a ridere con lui.
‘Cosa fai mi imiti? Solo io posso dormire per finta!’, gli dissi io.
‘Io sono il migliore!’, mi rispose lui rigirandosi nel letto. Aveva messo la sua testa sotto il cuscino.
‘Hai intenzione di alzarti? Siamo tutti già svegli dai.’
‘Parla lei! Oggi cosa facciamo?’, mi chiese una volta rigiratosi verso di me.
‘Io sono a casa della Deborah, passiamo il pomeriggio assieme e la sera non saprei.’
‘La sera sei con me!’, mi disse sorridendo.
‘D’accordo.’, accettai io.
Uscii dalla stanza col sorriso in faccia, adesso si che ero felice.
 
Alle quattro meno un quarto ero uscita di casa. Avrei fatto la strada a piedi, così da poter scattare qualche foto e ascoltarmi un po’ di Mars.
‘Ehi, finalmente!’, aveva esclamato lei appena ero arrivata.
‘Già, con tutte le cose che dobbiamo raccontarci!’
Entrammo in casa. Mi ero dimenticata quanto bella fosse la villetta della mia amica. Enorme, luminosissima e rigorosamente bella. Aveva una piscina nel retro e una terrazza nel soffitto. Li passammo il tempo, come sempre.
‘Beh, adesso mi racconti tutto eh. Ho visto come ti guarda quel Michele.’
‘L’hai notato? Non so neanche io perché lo fa.’, le dissi io imbarazzata.
‘Mmmh, amore?’, chiese lei abbozzando un sorriso malizioso.
‘Ma va, ci conosciamo appena.’
‘Si si certo come no, adesso mi dici anche che non vi siete mai baciati e non hai nemmeno il suo numero magari.’
‘Ehm, non riuscirei a mentire così spudoratamente con te!’, esclamai io ridendo.
‘Ma quindi? Ti ha baciata?’
‘Ieri sera, eravamo stesi a letto, assieme. E si, mi a baciata.’
Lei iniziò ad urlare dalla gioia, suo fratello era perfino salito per vedere se fosse successo qualcosa e lo avevo tranquillizzato dicendo: ‘Tranquillo, è normale.’
‘Non ti sembra di esagerare Deborah?’, le chiesi io divertita.
‘Ma neanche un po’. Dai, ti piace da così tanto tempo. Finalmente s’è svegliato sto ragazzo!’
Così continuammo a parlare per ore delle ultime cose che erano successe tra di noi.
Verso le sette e mezza avevamo cenato e poi mi riaccompagnò fino all’appartamento. Proprio mentre arrivavamo Giorgia e Federico stavano uscendo e Michele invece stava steso nello sdraio a leggersi un giornale.
‘Carino comunque!’, mi disse Deborah sottovoce, parlando di Michele ovviamente.
‘Dove andate voi?’, chiesi io.
‘Al bar dei miei genitori, mio fratello ha voglia di una bevuta.’, mi rispose Deborah.
‘Ah ok.’
‘Tu?’, mi chiese Federico ridendo. Probabilmente sapeva che dovevo stare con Michele.
‘Io..’, iniziai imbarazzata.
‘Lei è con me.’, rispose Michele per me.
 
Dopo essere entrata in casa e essermi cambiata uscii da lui che nel frattempo aveva finito il giornale.
‘Allora, che si fa stasera?’, chiesi io sedendomi affianco a lui.
‘Stasera si fa che siccome ho voglia di conoscerti parliamo un po’, sempre se ti va.’
Wow, adesso si che ero spaventata. Dov’era quel ragazzo stronzo e tanto superiore che conoscevo io? Mi piaceva si, ovvio che mi andava.
‘Mi va.’, risposi io sorridendo.
 
‘Cosa pensi di me?’, mi chiese tra una domanda e l’altra mentre giocavamo a carte.
‘In che senso?’, chiesi io imbarazzata e allo stesso tempo nervosissima.
‘In tutti i sensi.’
‘Beh, io ti ho sempre visto come il ragazzo più grande irraggiungibile. Si insomma, tu hai la tua compagnia, i tuoi amici, le tue amiche.’
‘Ma?’
‘Ma adesso che ho iniziato a conoscerti credo di aver cambiato idea. Sei, diverso. Sembri come tutti, sei simpatico e molto socievole, con me stranamente dolce.’
Stava arrossendo, impazzivo a vederlo così.
‘Perché stranamente? Non sarai mica..fidanzata?’
Sorrisi al pensiero di come era riuscito ad arrivare a quella domanda.
‘No no, non c’è nessuno. E’ solo che sta succedendo tutto così in fretta, poi io non sono il tuo tipo di ragazza.’
‘Che ne sai tu di che ragazze mi piacciono?’
‘Bionde, magre, occhi azzurri?’, chiesi io pensando alle sue ex.
‘Ma stai zitta va, non pensarci neanche.’
‘Beh è vero dai..’, dissi io.
‘Solo perché sono stato con ragazze così non vuol dire che siano il mio tipo. Altrimenti non sarei qui, a cercare di far colpo su di te.’
Tirai un respiro profondo, stava riuscendo a famri impazzire.
‘Ok basta, cambiamo discorso? Mi fai morire così’
Lui aveva capito, rideva.
Accesi una sigaretta per calmarmi. Un tiro dopo l’altro sentivo i miei nervi meno tesi.
‘La spegni adesso?’, mi chiese.
‘E perché?’
‘Se davvero vuoi sapere che tipo di ragazza mi piace, devi sapere che non sopporto quelle che fumano. Se poi a te non interesso allora continua pure a fumare.’, mi disse serio, guardandomi negli occhi.
Spensi la sigaretta.

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Capitolo 9
*** - 9 Settembre 2011 ***


-Nove settembre 2011
Ultimo giorno a Roma, ultimo giorno di vacanza. Il mio paesino di mare mi era mancato si, ma dopotutto questi giorni mi erano serviti. Avevo passato del tempo con Deborah, che non vedevo da molto, e avevo iniziato un ‘qualcosa’ con Michele.
La sveglia suonò alle 9.30
Gli altri erano già svegli. ‘Strano’, pensai.
Ad un tratto entrarono in camera Federico assieme a Giorgia. Credevano stessi ancora dormendo. La capii perché non mi calcolavano proprio. Poi, si baciarono. Per non dover continuare ad assistere a quella scena mi girai nel letto, per fargli capire che ero sveglia. Federo uscì dalla stanza, io mi alzai.
‘Beh?’, chiesi alla mia amica. Ero sia sorpresa che confusa.
Lei sorrise, era rossissima in viso. Mai l’avevo vista così. Lei era quel tipo di ragazza con la risposta sempre pronta, mai in imbarazzo. Eppure sta volta lo era eccome.
Mi misi a ridere e la abbracciai.
‘Insomma, facciamo progressi noi due eh?’, le dissi contenta.
‘Eh già.’, riuscì a rispondermi lei.
‘Ma perché non mi hai detto niente? Non sapevo nemmeno che ti piacesse.’
‘Non lo sapevo nemmeno io credimi. E’ successo tutto così all’improvviso.’
‘Ti capisco.’, le risposi.
 
Mezz’ora dopo arrivò in camera Michele.
‘Buongiorno eh!’, mi disse sorridendo.
‘Ehi, l’hai saputa l’ultima?’, esclamai io riferendomi ala relazione tra Gio e Fede.
Giorgia mi diede uno spintone, era tornata rossa.
Lui si mise a ridere vedendola: ‘La so da giorni ormai!’
‘Cioè? Da quant’è che va avanti scusa?’, chiesi io non capendo.
‘Ehm, dal primo giorno a Roma.’, mi rispose Giorgia prima di uscire dalla stanza di corsa.
La chiamai ma non tornò.
‘Perché non mi ha detto niente?’, chiesi a Michele
‘Più che altro tu non te ne sei accorta. Basta vedere come si guardano. L’altra notte hanno dormito assieme.’
‘E io dov’ero scusa?’
‘Eri nel mondo dei sogni tra le mie braccia.’, rispose lui ridendo.
Ero stranamente delusa, anche triste. Andai a sedermi nel letto, pensavo a come avevo potuto ignorarla così. Ho sempre capito tutto di lei, ero sempre stata la prima a starle vicino in qualsiasi situazione, bella o brutta. Forse perché mi distraevo troppo con Michele?
Non ne ero sicura, ma avevo deciso che da quel momento le cose sarebbero cambiate.
‘Ehi, cosa c’è?’, mi chiese lui vedendomi triste.
‘Mi sono concentrata troppo su noi due e ho dimenticato cosa vuol dire essere una vera amica.’
Mi interruppe prima che potessi continuare, aveva capito dove volevo andare a parare.
‘Tu sarai sempre una vera amica per lei. Vi abbiamo viste sai? Come vi adorate. Anche prima di partire, quando c’eravate sempre l’una per l’altra. Non hai per niente dimenticato lei, hai solo trovato qualcun altro a cui dedicare un po’ di te. Se poi credi di aver spazio solo per una persona allora io sono il primo a togliermi da tutto questo. Di certo non voglio vederti così a causa mia.’
Sentirlo dire quelle cose mi aveva fatto stare peggio. Come poteva pensare di essere lui la causa? Lui mi aveva resa felice.
‘Mai, tu non ti toglierai mai dalla mia vita. Sono io che devo cambiare. Possibile che non sono capace di amare due persone allo stesso tempo? Due persone completamente diverse tra l’altro..’
Lui non rispose. Perché non parlava?
Cazzo, avevo detto di amarlo.
 
La giornata aveva preso una strana piega. La sera peggiorò.
Dovevo già salutare Deborah, di nuovo. Non l’avrei rivista per mesi. Roma mi è sempre piaciuta, fin da piccola, amavo quella città alla follia. Adesso però dovevo andarmene.
‘A presto tesoro.’, così ci eravamo salutate. Così mi ero girata verso la macchina piangendo.
Mi sedetti dietro, con Michele. Guidava Federico sta volta.
 
‘Ehi, vedi che voglio tornare a casa viva.’, dissi a Fede per sdrammatizzare la situazione.
‘Tranquilla Fra!’
Il pomeriggio avevo parlato con Giorgia, le avevo spiegato cosa provavo. Lei mi disse che non era per niente delusa di me, che ero sempre la stessa. ‘Sei innamorata Fra, stai tranquilla che appena ti ci abituerai ti renderai conto di quanto perfetta sei, con me e con lui.’, così mi aveva tranquillizzata.
Mi addormentai con la testa sulla spalla di Michele. Finalmente potevo stare con lui, vivere di lui. Si, perché con Giorgia avevo chiarito, era innamorata anche lei. Non potevo chiedere di meglio.
Fu la prima volta che pensai: ‘Vita? Ti adoro.’

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Capitolo 10
*** - 10 Settembre 2011 ***


- Dieci settembre 2011
Casa dolce casa.
Eravamo arrivati verso le undici e mezza di notte. Distrutti ci eravamo salutati e dati appuntamento al giorno dopo. Ci saremmo incontrati alle cinque e avremmo passato la serata assieme.
Ero andata a letto subito dopo aver salutato i miei genitori e fatto un breve riassunto della vacanza. Non si erano preoccupati più di tanto visto che, da anni ormai, andavo sempre giù a Roma.
 
La mattina mi svegliai senza sveglia. Era mezzogiorno passato da poco.
Aprii gli occhi. Ero di nuovo nella mia soffitta, nel mio letto comodo. La luce entrava forte dalle finestre e mi dava un po’ di fastidio.
Non sapevo se essere felice o no. La normalità di sempre non mi era mancata più di tanto, però è anche vero che prima di partire avevo avuto qualche momento di tristezza riguardo il partire.
Pian piano mi alzai, andai in bagno a lavarmi il viso e poi mi decisi a scendere.
Trovai mia sorella in cucina a cucinare il pranzo.
La salutai con un abbraccio, poi mi sedetti e mentre facevo colazione iniziai a raccontargli un po’ di cose di Roma.
Certo non le raccontai niente di Michele e storie varie. Avevo sempre avuto un bel rapporto con mia sorella, ma non molto ‘intimo’.
 
La prima cosa che feci, tornata in camera, dopo aver svuotato le valigie, fu accendere il computer per dedicarmi a tutte quelle foto che avevo scattato. La macchinetta ne segnava 938, avrei impiegato più di un’ora per scaricarle tutte e modificarle.
Proprio mentre mi sedetti pronta per iniziare il lavoro squillò il telefono. Alzai gli occhi. Non sopportavo le persone che mi scrivevano proprio mentre mi mettevo d’impegno a fare qualcosa. Appena vidi il nome sul telefono cambiai espressione, sorridevo. Era Michele.
‘Ehi, hai da fare oggi? Ti va di venire da me per le tre? Così poi alle cinque usciamo assieme e andiamo dagli altri.’
Non avevo voglia di andare fino da lui, avrei anche dovuto vestirmi da sera e farmi la strada in bici fino casa sua. Sarei arrivata sudata e distrutta.
‘Vieni tu da me?’, sapevo che in casa il pomeriggio sarei stata sola quindi non avrei avuto problemi a farlo venire.
‘Ok, a dopo.’
Iniziai ad agitarmi. Michele a casa mia?
Mi alzai di corsa dal letto iniziai a riordinare la camera con una velocità assurda. Mia mamma era entrata e non mi aveva nemmeno salutata per approfittare di quel momento di pazzia. Non ordinavo mai niente, essendo disordinata di mio amava il mio ‘ordine’.
In circa mezz’oretta i pantaloni erano con gli altri pantaloni, le maglie con le maglie e l’intimo con l’intimo. Ordinai i libri di scuola che mi erano arrivati probabilmente pochi giorni dopo essere partita e tornai a sedermi nel letto.
Erano già le 14.30. I miei e mia sorella tutti già a lavoro.
Michele arrivò puntuale alle tre fuori casa. Gli aprii il cancello e corsi giù.
‘Ciao!’, esclamò sorridente. Si avvicinò a me e mi stampò un bacio in bocca. Non me l’aspettavo, gli sorrisi anche io.
‘Ciao, entra pure.’ Ero, imbarazzata. Credo fosse la prima volta che invitai un ragazzo a casa mia. Le cose con lui sembravano serie, ero agitatissima.
Mentre facevamo le scale per andare in camera mia disse ridendo: ‘Belle mutande comunque!’
Abbassai lo sguardo sul mio corpo. Avevo addosso una canottiera bianca, mi arrivava giusto sotto il sedere. Niente pantaloncini!
‘Merda!’, esclamai imbarazzata.
Lui rideva: ‘Tranquilla eh, non mi dispiace mica.’
Dopo averlo spintonato aprii di corsa l’armadio e indossai i primi pantaloncini che trovai. Blu con le meline. ‘Che merda.’, pensai.
Michele andò a sedersi nel divanetto e io mi stesi nel letto col computer.
‘Io avevo in programma di scaricarmi le foto e modificarle un po’, ti secca se ci lavoro un po’?’, gli chiesi vedendolo nullafacente.
‘Oh si si fai pure, posso vedere?’
Non amavo le persone che mi fissavano mentre lavoravo, ma per lui avrei fatto ovviamente un eccezione. Annuii.
Lui si alzò dal divano e venne a stendersi affianco a me. Mi ero dimenticava come si stava vicino a lui. Emanava quel calore che ti sarebbe piaciuto anche con 40 gradi.
‘Ehi, guarda quella!’, interruppe il silenzio indicando una foto.
La aprii. Il soggetto era lui, dormiva.
‘Quando me l’hai fatta questa?’, mi chiese.
‘Ehm, era il quarto giorno mi pare. La mattina che sono venuta a svegliarti, quando hai fatto finta di dormire.’
Mi fissava sorpreso. Iniziava forse a capire che quello che provavo per lui era serio, non scherzavamo insomma.
‘Quando la smetterai?’, mi chiese sorridendo.
Io non capivo: ‘Di fare cosa?’
‘Di imbarazzarti ogni volta che mi guardi. Abbiamo fatto una vacanza assieme a Roma, abbiamo parlato. Abbiamo anche dormito assieme. Perché continui a fare così?’
Cosa dovevo dirgli? Che ero innamorata persa di lui? No, avrebbe pensato che fossi una di quelle ragazzine stupide che dopo due giorni proclamano il loro amore. No, io da anni provavo qualcosa, e finalmente quel qualcosa iniziava a crescere.
Lo guardai sempre più intimidita: ‘Sono fatta così, scusami. Sono timida e mi ci vorrà un po’ prima di abituarmi a tutto questo.’
Il suo volto diventò dubbioso: ‘Tutto questo? Quindi noi, io e te, stiamo insieme?’
Ecco, era rosso anche lui. Adoravo quando diventava così, mi piaceva fargli quell’effetto. Non mi capitava tutti i giorni di far imbarazzare un ragazzo con argomenti del genere.
Non riuscii a trattenere la risata vedendolo così. Iniziò a ridere anche lui.
‘E’ un si?’, mi chiese.
‘Si.’

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Capitolo 11
*** - 11 Settembre 2011 ***


-11 settembre 2011
L’undici settembre per me è sempre stato un giorno triste. Quel ricordo delle torri gemelle. A dir la verità non ricordavo niente, ricordavo però quello che mi raccontò mia mamma.
Avevo solo cinque o sei anni, e ad un tratto in televisione tutto si era bloccato per annunciare quella tragedia. Io fissavo la televisione, avevo i brividi.
Per scrollarmi di dosso quei brutti pensieri decisi di alzarmi dal letto e andare sotto la doccia.
La sera prima io Michele, Giorgia e Fede eravamo usciti per cena come in programma. La serata migliore di tutta l’estate credo.
Di cose da raccontarci dopo la vacanza ne avevamo fin troppe. Tra risate e pianti per la fine di quella bellissima vita iniziata troppo tardi ci eravamo salutati. A 00.27 ero davanti al cancello di casa, Michele mi aveva accompagnata.
‘Beh, buona notte allora, grazie per avermi accompagnata!’, gli dissi scendendo dalla bici.
‘Ma figurati, domani allora? Non ci vediamo?’
Il mio sorriso se ne era andato. Un attacco di tristezza mi stava prendendo e non mi lasciava serena. Pensavo a quello che stava per succedere, io super impegnata con la scuola, lui con chissà quale lavoro. Lo guardai, sentii scendere una lacrima nella guancia.
Appena se ne accorse si avvicinò a me. Appoggiò la sua mano sul mio viso e asciugò quella lacrima. Ecco, quello era il mio desiderio, che continuasse ad asciugarmela per sempre.
‘Perché piangi adesso?’, mi chiese dolcemente.
Non riuscii a rispondere, lo abbracciai. Stringevo forte, non volevo perderlo.
Mi feci coraggio e iniziai a parlargli: ‘Mi sembra che tutto questo sia troppo bello per essere vero, ho paura che tutto possa finire da un momento all’altro. Io, con la scuola sarò piena di impegni e tu con il lavoro credo. Non ci vedremmo neanche la mattina in stazione.’
Mi interruppe appoggiando le sue labbra sulle mie. Poi mi rispose.
‘Una relazione secondo te può finire per colpa di una cazzo di scuola? Io pur di vederti ti vengo a prendere li, mi sveglio alle sei per darti il buongiorno prima che tu parta. Farei qualsiasi cosa credimi. Ma tanto non sarà necessario, di tempo ne troveremo vedrai. Poi io, mica scappo.’
Ok, mi aveva convinta come sempre. Mi scusai per la scenata e ci salutammo di nuovo. Lo guardai correre con la sua bici verso casa sua. ‘A domani.’, sussurrai.
 
Uscii dalla doccia alle 11.48.
Ultimo giorno di vacanza, ultimo giorno di libertà. Non avevo ancora deciso cosa farne di quella giornata così alle tre circa presi la bici e andai fino al pontile.
Scattai qualche foto al paesaggio ancora pieno di turisti e poi accesi una sigaretta.
Mentre la accendevo vidi Michele arrivare, come faceva a trovarmi sempre?
Lo guardai sorridendo e urlai un ‘Ciao’.
Lui arrivò con la sua camminata in sciallezza e mi stampò un bacio in bocca. Lo guardai malissimo, nessuno doveva sapere di ‘noi’, ma apprezzai il gesto.
Si sedette affianco a me e mi disse: ‘Beh?’, fissando la sigaretta che avevo appena acceso.
Odiava il fatto del fumo, ma io non riuscivo a farne a meno.
Mi prese la sigaretta di mano e fece un tiro. Perché? Lui non aveva mai fumato, e mai avrebbe iniziato. Non glielo avrei permesso.
Lo guardai confusa.
‘Che c’è? Se puoi fumare tu allora posso anche io.’
‘Ma io non voglio. Di certo non ti rovinerai la vita per una sigaretta.’, dissi seria togliendola dalle sue mani.
‘E secondi te perché non voglio che fumi? Per lo stesso motivo.’, mi rispose altrettanto serio.
La sigaretta ormai era finita, la buttai a terra.
‘Adesso direi che possiamo andare.’, disse alzandosi e prendendomi le mano.
Mi alzai e iniziai a seguirlo.
‘Dove andiamo?’
‘In centro, no? Un attimo dietro la salagiochi che saluto Riccardo e poi ce ne andiamo.’
Lo guardai malissimo, non ero abituata a girare con lui, a far parte della sua ‘compagnia’.
‘Dai sta tranquilla, non ti mangia mica.’
Lo osservavo mentre camminava affianco a me, sorrideva. Sembrava felice, perché non lo ero anch’io? Non riuscivo a togliermi quella convinzione che l’avrei perso, ma non volevo farglielo sapere. La sera prima mi aveva rassicurata, e se avessi insistito ancora probabilmente sarebbe finita male.
Arrivammo dai suoi amici e mi sedetti nel muretto, un po’ in disparte. Lui stava parlando con Riccardo e Luca, di cosa non lo so, non capivo.
‘Perché sei seduta la tu?’, mi chiese ad un tratto uno dei suoi amici.
Diventai rossa tutto in un secondo e iniziai a ridere guardando Michele.
‘E’ timida, non vuole mettersi in mezzo, è fissata.’, gli aveva risposto Michele venendo verso di me e facendomi alzare.
Dopo le brevissime presentazioni tra me e quei ragazzi ce ne andammo.
‘Bon, adesso noi andiamo. Ci vediamo domani!’, così li aveva salutati.
‘Ma come, non esci stasera?’, gli chiesi io.
‘Non  ho tanta voglia, poi non esci nemmeno tu, sarebbe solo noioso.’
 
Passammo assieme quell’ultima giornata. Quell’ultima giornata prima che tutto ricominciasse. Eravamo felici assieme, non potevo desiderare altro.
Avevamo parlato di noi, della nostra relazione. La decisione era di non dir niente a nessuno però un po’, finché le cose non si sarebbero stabilizzate definitivamente.
 
Verso le sei mi aveva portata a casa sua. Stavo li, seduta nel suo letto a guardarlo mentre si cambiava la maglietta.
“Cazzo se sei perfetto”, pensavo tra me e me guardandolo.
‘Perché mi guardi così?’, mi chiese ridendo.
‘Sei, bello.’, non riuscivo a crederci, gliel’avevo detto.
Lei allora si avvicinò a me, mi fece stendere e lui si sedette vicino a me.
‘Sei bella.’, mi rispose baciandomi dolcemente.

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Capitolo 12
*** - 12 Settembre 2011 ***


Primo giorno di scuola.
Mi svegliai alle sei, o meglio, mia mamma mi svegliò perché la sveglia non l’avevo sentita.
La notte non avevo dormito per niente. Avevo scritto con Michele fino all’una, poi ci eravamo dati la buonanotte.
Mi alzai dal letto con fatica e andai in bagno a lavarmi il viso.
Accesi il telefono e vidi tre messaggi, tre buongiorno: uno della Giorgia, uno di Fede e uno di Michele.
Michele? Alle sei di mattina?
‘Cosa ci fai già sveglio tu?’, gli avevo scritto scendendo le scale.
Salutai mio papà e iniziai la colazione. Subito mi arrivò la risposta di Michele.
‘Chi è già a quest’ora?’, mi domandò mia mamma.
‘La Gio.’, gli risposi facendo l’indifferente.
Lessi il messaggio. ‘Volevi vedermi la mattina? Beh, mi sono svegliato, mi sto vestendo e alle sette meno dieci sono davanti casa tua. Facciamo la strada fino in stazione, così ti saluto prima che parti(:’
Mi partì un sorriso enorme e i miei mi guardarono male. Mi alzai e corsi di sopra per poi arrivare in bagno e iniziare a canticchiare spensierata una delle canzoni dei Mars.
Mi aveva reso la giornata felice, di nuovo.
Avevo ricontrollato la borsa velocemente prima di uscire e appena aprii la porta di casa lo vidi fermo ad aspettarmi seduto sulla moto, nascosto nell’angolo.
Sorrisi.
‘Buongiorno!’, esclamò lui abbracciandomi.
‘Buongiorno bel ragazzo!’
‘Non credevo che saresti stato capace di fare una cosa del genere. Sei un romanticone Michele!’, esclamai io ridacchiando.
‘Se serve a farti stare bene.’
Con quella frase mi aveva fatta sorridere di nuovo. Arrivammo in stazione in cinque minuti scarsi e parcheggiammo li dietro.
‘Così ci vedono però.’, gli avevo sussurrato mentre andavamo incontro agli altri.
‘Eh, vuoi che vado via? Ci vediamo oggi pomeriggio se vuoi.’
‘No no tu rimani!’, gli avevo risposto tirandolo verso di me. Lui si era messo a ridere.
Appena diventammo ‘visibili’ a tutti ci separammo un po’. Michele era andato dai suoi amici con la scusa che voleva salutarli e io andai dalla Gio e le altre.
‘Scusa ma, eri con Michele?’, mi chiese una delle mie amiche.
Sorrisi vedendo Giorgia che aspettava la mia risposta.
‘Eh magari, no era solo in parte a me tutto qui.’
‘Ma lui non ha finito scuola?’, mi chiese Giorgia per mettermi alla prova.
‘Eh che ne so io!’, risposi indifferente.
La corriera arrivò dopo cinque minuti. Mentre tutti salivano io andai dietro da Michele che mi aspettava.
‘Allora buona fortuna.’, mi disse sorridendomi.
Lo baciai, credo fosse la prima volta che lo feci di mia volontà.
‘Graziee! A dopo.’
 
Salii in corriera e andai a sedermi affianco a Giorgia che mi aveva tenuto il solito posto.
‘Uff, non ho mica voglia di iniziare io. Alle sei tutti i giorni.’, la guardai sconvolta.
Si mise a ridere della mia faccia: ‘Dormito poco eh?’
‘Si vede tanto si?’, chiesi preoccupata.
‘Abbastanza, dormito con lui?’
‘Shh, zitta! No ma che, abbiamo solo scritto fino all’una. Tu con Fede invece?’, li risposi urlando l’ultima parte della frase.
‘Vuoi urlare un po’ di più?’
‘Eh l’hai fatto pure tu tesoro.’, passammo il viaggio a stuzzicarci e a raccontarci le ultime novità di Michele e Federico.
 
Arrivammo in stazione alle otto meno dieci. In perfetto orario iniziammo ad incamminarci verso la scuola. In quel momento mi arrivò un messaggio: ‘Ohi, ricordati di me eh.’, era di Michele.
‘In che senso? :D?, gli risposi subito.
‘Eh la è stra pieno di ragazzi so com’è.’
Faceva il geloso? Che bella cosa pensai. ‘Tranquilloo, figurati sono tutti cessi.’
‘Ahah, a dopo scema<3’
Entrai in classe ancora con il cellulare in mano, sorridevo.
‘Oh, la Fra sorride col cellulare, come mai?’, urlò subito una mia compagna.
Feci finta di non aver sentito per evitare l’argomento e iniziai a salutare tutti i miei compagni. Mi erano mancati? Si, tantissimo.
Le tre ore della mattinata passarono veloci, durante l’ora di supplenza avevo scritto a Michele, tanto in ultima fila non mi avrebbero vista.
‘Ohi bulla, stai attenta alla lezione!’, così mi aveva scritto lui.
‘Ahah, ma stai zitto te.’
‘A che ora esci che ti chiamo?’
‘Alle undici, perché mi chiami?’
‘Eh…’
‘Dai dimmi!’
‘No no a dopo, segui il professore. :D’
 
Finite le tre ore uscii di corsa assieme a Giorgia per andare a prendere la corriera. La strada la facemmo con un'altra nostra amica, una compagnia di classe.
‘Dai ma mi dici chi è sto tipo?’
‘Ma chi ti dice che è un tipo?’, chiesi ridendo per il termine che aveva utilizzato.
‘Ma si capisce.’
‘Ma nessuno va.’
Ci salutammo e salimmo in corriera. Era piena. Piena di tutti quei ragazzini con la sola voglia di far confusione.
Arrivai a casa per mezzogiorno e mezzo, pranzai e alle tre e mezza uscii.
Il pomeriggio lo passai con Michele, Giorgia e Fede, come eravamo soliti fare.
Ci raccontammo un po’ di scuola e poi ci dividemmo. Restai quindi sola con Michele.
‘Alla fine non mi hai più chiamata.’
‘Eh no, non mi servivi più.’
Lo guardai con aria interrogativa.
‘Niente lascia stare. Tu piuttosto vedi di non farti beccare col cellulare a scuola!’, mi disse scherzando.
‘Scemo.’, risposi io tirandogli un innocuo pugno inutile.
 
La giornata finì presto. Alle sei e mezza mi aveva accompagnata a casa.
‘A domani. Vengo su con te.’
‘Davvero?’, gli avevo chiesto con un tono simile ai bambini quando aprono il loro regalo di Babbo Natale.
‘Si.’

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Capitolo 13
*** - 13 Settembre 2011 ***


Secondo giorno di scuola. Iniziato più che bene.
Perché? Ovviamente perché lui sarebbe venuto con me.
Mi alzai dal letto quella mattina con una voglia assurda di fumare ma riuscii a farmela passare. Felice al riguardo scesi a fare colazione e poi tornai su in camera per truccarmi velocemente e vestirmi.
Scesi verso le 6.40 e dovetti sedermi per l’anticipo. Da casa mia alla stazione erano cinque minuti scarsi in bici e la corriera partiva alle 7.10
‘Come mai così presto oggi?’, mi chiese mia mamma stupita.
‘Ah niente.’, risposi io cercando di fare l’indifferente.
Mi arrivò il messaggio di Michele con scritto che lui già era li così mia alzai, salutai mia mamma e partii.
La strada la feci correndo come una matta per arrivare li da lui, prima che arrivassero anche tutti gli altri.
Parcheggiai la bici e mentre ero piegata per chiuderla mi sentii toccare i fianchi. Rabbrividii per quel minuscolo tocco e mi girai di scatto. Era li.
Occhi marroni, i più belli che avessi mai visto. Capelli corti castani e un fisico assurdo. Mi fissava sorridendo, se non fosse per quel brutto piercing sotto il labbro.
Lo abbracciai forte per circa due minuti che sembravano eterni finché non mi baciò quando sentì che stava arrivando qualcuno.
Subito ci staccammo e ci mettemmo a ridere. Era arrivato un vecchietto che andava verso il bar della stazione.
‘Guarda di trattarle bene le donne eh.’, disse il signore a Michele.
Lui cercò di trattenere la risata: ‘Si si stia tranquillo!’
Appena girò l’angolo scoppiò a ridere dicendo che mai non gli era capitata una cosa del genere.
‘Sai a frequentarmi succedono ste cose.’, dissi io ancora ridendo.
‘Ah quindi farò amicizia con i vecchi tutte le mattine?’
‘Si, può essere.’
Finimmo di ridere appena ci accorgemmo che la stazione si era riempita. Meno male che eravamo dietro noi.
‘Ma quindi vieni su anche tu? E che fai li da solo poi?’
‘No vabbeh io ti accompagno fino a scuola e poi sto con degli amici, compagni di classe dell’anno scorso. A che ora finisci tu?’
‘A mezzogiorno, ma quindi mi accompagni? Ma così ci vedono tutti.’
‘E a me me ne frega.’, mi rispose stampandomi un altro bacio in bocca e girandosi per poi andare dalla sua compagnia.
Io andai da Giorgia che nel frattempo aveva cercato di tenerci le mie amiche lontane.
‘Ohi, guarda che viene anche lui oggi, mi accompagna.’
Le se illuminarono gli occhi, adorava quel tipo di cose: ‘Davvero?’, esclamò entusiasta.
‘Ma zitta dai! Si si davvero.’ Michele aveva sentito Giorgia urlare e si era messo a ridere nonostante fosse lontano da noi.
Salimmo in corriera e lui venne a sedersi con me. Una delle mie amiche che era davanti noi si girò e mi guardo malissimo. Sapeva che lui mi piaceva e in quel momento probabilmente pensava di delirare. Al pensiero riiniziai a ridere.
‘Perché ridi sempre oggi?’, mi chiese lui.
‘Eh boh.’
Durante il viaggio nessuno ci guardò più, o meglio, nessuno ci disse più niente.
Michele aveva appoggiato la sua mano sulla mia gamba e non aveva fatto altro che fissarmi. Io stavo seduta dalla parte del finestrino e avevo cercato di non incrociare il suo sguardo, sarei impazzita.
Ad un tratto prese sonno. Caro. Sembrava un angelo, era perfetto. Mi misi a fissarlo sorridendo.
La mia amica approfittò e si girò per chiedermi spiegazioni.
‘Perché sei seduta con Michele? E perché vi parlate cos’ apertamente?’
‘Se ti dicessi che non te lo posso dire ti arrabbi?’
‘Ah ma allora c’è qualcosa?’, mi chiese con un tono eccitato simile a quello solito di Giorgia.
Dopo quella domanda Michele fece una smorfia per trattenere un sorriso e aprì gli occhi.
‘Oh cazzo.’, esclamò la mia amica che aveva sempre avuto timore di lui. Era fissata, ogni ragazzo più grande a lei metteva ‘paura’.
‘Non ti mangia mica.’, le dissi scherzando.
‘Dipende.’, continuò Michele, ‘Comunque si c’è qualcosa.’, gli rispose lui.
In quel momento lo guardai malissimo. Avevamo deciso di non dirlo a nessuno. Perché adesso le aveva risposto così?
Mah, arrivammo in stazione e scesi con lui.
La strada fino a scuola non fu difficile come il viaggio, nessuno ci conosceva e riuscimmo a parlarci tranquillamente.
‘Ti ha dato fastidio?’, mi chiese riguardo a quello che aveva detto prima.
‘No no, è che non me l’aspettavo. Insomma, dovevamo tenercelo per noi, no?’
‘Si lo so, ma cazzo è più forte di me, non riesco a non dirlo. Lo urlerei al mondo.’,mi rispose serio.
‘Ehi ma tranquillo, nessun fastidio, anzi.’
Camminavamo mano nella mano, finché non arrivammo di fronte la sede centrale della mia scuola, io sarei dovuta andare nella succursale.
Il problema? Marta.
Marta era una mia compagna di classe, e anche una mia cara amica. Sapeva di Michele ma non  l’aveva mai visto, ne conosciuto. Appena ci vide spalancò gli occhi e ci venne incontro.
‘Lui chi è?’, mi chiese con la sua solita vocina curiosa.
‘Michele.’, si presentò lui.
‘Marta.’, rispose lei contenta.

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Capitolo 14
*** - 16 Settembre 2011 ***


Venerdì. Ho sempre odiato quel giorno della settimana, il motivo non lo sapevo.
Mi alzai come ormai facevo da cinque giorni alle sei. Il suo messaggio del buongiorno arrivò, non mancava mai. Feci un sorriso e ributtai il telefono in borsa. Stavo correndo in bici, verso la stazione.
Quel giorno Michele non sarebbe venuto con me, ma mi aveva promesso che il pomeriggio mi avrebbe spiegato il motivo. Passai così tutte e cinque le ore di scuola a sbadigliare e a pensare a lui.
‘Francesca, cos’hai?’, mi chiese la prof. di italiano vedendomi distratta.
Giorgia, seduta in parte a me iniziò a ridere.
‘E’ l’amore prof.’, rispose lei per me.
La guardai malissimo ma la ringraziai per aver risposto per me. Essendo in ultima fila riuscivo benissimo ad usare il cellulare e proprio mentre mi chiamava la prof stavo rispondendo ad un messaggio, mi aveva salvata insomma.
Sorrisi alla prof e tornai ai miei pensieri.
Tornai a casa verso le due e venti distrutta per quegli orribili orari delle corriere e corsi a casa a mangiare e a cambiarmi.
Con Michele mi dovevo trovare alle tre al pontile.
Finii di vestirmi verso le tre meno cinque e lo avvisai che stavo partendo.
Lo vidi seduto li, nel pontile. Era bello, sempre di più. Sorrisi vedendolo.
‘Ehi, scusa il ritardo.’, gli dissi abbracciandolo.
‘Tranquilla, allora come va?’, mi rispose dolcemente.
Mi ero seduta avanti a lui, mi teneva le mani.
‘Insomma, mi sono già rotta della scuola. Poi non ti vedo più la mattina e a scuola mi perdo troppo.’
‘Perché ti perdi?’, mi chiese sorridendo, aveva capito che il motivo era lui.
‘Dai scemo, hai capito.’, gli risposi imbarazzata.
‘Beh, e se ti dicessi che avrei un modo per farti stare meglio?’
‘Scappiamo?’, gli chiesi io ridendo.
‘No, ma da domani mi vedrai tutte le mattine in stazione, vado a lavoro in corriera.’
‘Scherzi?’
‘No no, sul serio. Non prendo la tua corriera ma ho gli stessi orari tuoi più o meno.’
‘Come fai?’, gli chiesi io dopo aver realizzato la cosa.
‘A fare cosa?’
‘A farmi sempre sorridere.’
Non mi rispose. Si avvicinò a me e mi diede un bacio. Poi ci alzammo e andammo verso il centro.
 
Verso le sei mi riaccompagnò a casa e lo invitai dentro, non c’era nessuno tanto.
‘Io dovrei fare due esercizi di matematica, ti secca?’
‘No fai pure tranquilla.’
Mi sedetti nel letto col libro appoggiato sulla gamba e iniziai a scrivere. Lui intanto stava girando per la camera, apriva cassetti, guardava ovunque.
‘Starei facendo i compiti.’, gli dissi ridendo quando si avvicinò a me e iniziò a baciarmi sul collo.
Mi tolse il quaderno dalle gambe e lo lanciò nel divanetto.
Ad un tratto ci trovammo uno sopra l’altro nel letto. Mi baciava, non si fermava, non si sarebbe fermato per niente al mondo.
La mia maglia finì presto nel pavimento e così anche la sua.
‘Complimenti ragazzina, per essere una di quelle secchione non sei niente male.’, mi disse tra un bacio e l’altro.
‘Ehi, piano con le offese!’
Finimmo così per ritrovarci seduti nel letto a ridere per chissà quale motivo.
Ad un certo punto suonò il telefono di Michele.
‘Pronto?’
‘Ohi ma non dovevi uscire?’, era uno dei suoi amici.
‘Si ma ho avuto un problema.’
‘Balle, sei con lei?’
Iniziai a diventare rossa, sentivo tutto e mi faceva strano che i suoi amici sapessero di me.
‘Si.’, rispose lui altrettanto imbarazzato.
‘Oh dai venite tutti e due, devi ancora presentarcela bene sta ragazza.’
‘Va ben, arriviamo.’
Si alzò e fece per uscire dalla camera, lo fermai prima che aprisse la porta.
‘Io non vengo.’, dissi seria.
‘Si invece.’
‘No, non centro con voi, sono più piccola, sarei di troppo.’
‘Ma stai scherzando? Tu sei con me, vieni per forza.’
Mi prese il volto tra le mani e mi stampò un bacio in bocca.

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Capitolo 15
*** - 23 Settembre 2011 ***


Come sempre la sveglia suonò alle sei. Accesi il telefono, il suo buongiorno era li che mi aspettava.
Feci una colazione più che veloce a causa del mio solito ritardo, mi infilai il primo paia di jeans e la prima maglia che trovai e uscii di casa.
Appena arrivai lo vidi salire nella sua corriera, stava per partire.
Corsi verso di lui e lo chiamai urlando il suo nome. Si girò sbuffando ma appena mi vide riapparse quel suo sorriso.
Scese dalla corriera e mi abbracciò forte, davanti a tutti. No, non mi aveva dato fastidio, anzi. Mi ero stufata di nascondere la nostra storia, non avrei più frenato i miei sentimenti.
Ci salutammo e corsi nella mia corriera che partì due minuti dopo.
‘Ehi, scusa il ritardo.’, dissi col fiatone a Giorgia che mi aveva tenuto il posto.
‘Tranquilla nessun problema.’
I Mars a tutto volume mi fecero addormentare durante il viaggio. Mi svegliai con gli strattoni delle mie amiche quando la corriera era ferma davanti la scuola.
Le ore di scuola passarono lentissime e mi riempirono la testa di parole inutili.
 
‘Puoi uscire oggi?’, mi chiese Michele per telefono con un tono stranamente serio.
‘Si credo di si, ma perché?’
‘Niente niente, alle tre al pontile allora.’, così mi rispose e riattaccò.
Puntuale mi feci trovare all’appuntamento e quando lo vidi arrivare presi paura.
Era serio, triste forse. Non l’avevo mai visto così. Mai. Il cuore iniziò a battermi fortissimo, avevo paura di chissà cosa.
‘Ehi.’, dissi io preoccupata prendendogli le mani.
Non mi rispose, mi strinse forte tra le sue braccia ma non parlò. Appena mi lasciò vidi una lacrima scendere sul suo viso.
Piangeva?
‘Stai..piangendo?’, chiesi quasi balbettando, vederlo così mi faceva quasi morire.
Si asciugò in fretta la lacrima.
‘Rispondimi!’, urlai quasi in preda al panico.
‘Non ce a faccio, no non sono così.’
Quella frase. Cosa? Che senso aveva? Cosa voleva dirmi?
‘Cosa?’, gli chiesi sta volta con gli occhi pieni di lacrime.
Il suo viso era tristissimo, sentivo sincerità tra le sue parole.
‘Ti faccio stare troppo male, non riesco ad essere quello che dovrei essere.’, parlava quasi come se fosse arrabbiato a morte con se stesso.
‘Perché litighiamo? A me non importa niente delle nostre discussioni, ci fanno solo bene! Col tempo andrà meglio, no? Stiamo insieme da pochissimo, non è neanche un mese.’
‘Appunto, neanche un mese e ti faccio sempre incazzare. Ti chiedo di uscire e poi ti do buca, ti faccio litigare con i tuoi, basta!’
‘Basta un cazzo! Io voglio stare con te, quello che pensano i miei non è niente! Mi piaci punto, possono dire quello che vogliono loro io non cambio.’
‘Perché continui a volermi? Hai visto come sono, non sono capace di essere costante, non ti merito.’
‘Smettila di piangere e sorridi.’, gli dissi ad un tratto.
Si asciugò le lacrime e mi abbracciò più forte che mai.
‘Possiamo rallentare tutto almeno?’, mi chiese con lo stesso triste tono di prima.
Non volevo rispondere, no. Cosa significava ‘rallentare’? Chiuderla li?
Mi feci forza, tirari un bel respiro: ‘Non voglio perderti Michele, no ti prego no.’
‘Non mi perderai mai tranquilla!’
Il sorriso gli tornò e mi dopo avermi dato il permesso di fumarmi una sigaretta la accesi.
Eravamo ancora li, seduti nel muretto, ad osservare quel bellissimo tramonto.
Erano le sette e qualcosa, era ora di andare a casa.
‘Beh, ci vediamo domani?’, gli chiesi ansiosa per la risposta.
‘Si si, ti accompagno a casa?’
‘Io veramente avrei bisogno di passare dalla Giorgia, mi accompagni da lei?’
Annuì.
Arrivai a casa della mia amica in dieci minuti scarsi, salutai Michele con un ‘ciao’ e corsi a suonare.
Sentii i rumori dei passi, aprì subito la porta.
Appena mi salutò, mi accorsi che piangevo.

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Capitolo 16
*** - 3O Settembre 2011 ***


Ultimo giorno di settembre, la tristezza riempiva ogni parte del mio corpo.
L’estate era finita da un pezzo ormai, ma io non volevo farmene una ragione. Il caldo c’era ancora, ma non era quello di prima, io non ero quella di prima.
Con Michele le cose non andavano molto bene, Giorgia mi stava aiutando a non pensarci, ma io piangevo, piangevo sempre.
Nonostante questo mi svegliai stamattina alle 10 un po’ più serena. Era venerdì, e io fortunatamente ero a casa da scuola per qualche assurdo motivo.
Scesi giù, presi un bicchiere, lo riempii di the e tornai in camera. Salutai mia sorella che stava studiando e mi presi il portatile.
Solo dopo aver ascoltato tre canzoni dei Mars, il che significa circa dopo mezz’ora vista la durata delle loro canzoni, mi ricordai di accendere il telefono.
Il buongiorno di Giorgia non mancava mai ovviamente. Lei era a scuola. Purtroppo nessun’altro messaggio, o meglio, nessun’altro suo messaggio.
Persi la mattinata tra facebook e cazzate varie, poi decisi di uscire.
 
Erano le 11 e 30 circa quando mi sedetti sul pontile e accesi una sigaretta. Era tutto così calmo, non c’erano più turisti, bagnini che camminavano sulla spiaggia, macchine sulle strade, più niente.  Accesi una sigaretta per scacciare quei pensieri, alzai la testa e vidi Federico arrivare verso di me.
‘Ehi!’, esclamai sorridente, mi mancava.
‘Fra, da quanto tempo.’, disse con un tono nostalgico. Mi abbracciò.
‘Ma te non vai a scuola?’
‘Faccio le serali io, tu piuttosto? Perché non sei in classe?’
‘Eh sai, ogni tanto si può stare a casa.’, gli dissi ridendo.
Ero più felice, era da tanto che non lo vedevo e mi era mancato.
Gli raccontai tutta la storia di Michele e appena finii mi disse che già sapeva tutto.
‘E lui cosa dice?’, gli chiesi riferendomi a Michele.
‘Eh, lui ci sta malissimo. Vorrebbe tornare da te, ma ha troppa paura. L’ultima volta che ha rotto con la sua ragazza ha sofferto per mesi, è fatto così. Si sente in colpa per cose che neanche fa, non vuole farti star male.’
‘Ma io sto male senza di lui, se tornasse sarebbe perfetto, perché non lo capisce?’
‘Non lo so, io ci provo, a fargli cambiare idea, ma gli  ci vuole tempo.’
‘Adesso dov’è?’
‘A scuola. Finiva alle undici oggi, adesso dovrebbe essere appena arrivato in stazione.’
Ci pensai, potevo andare da lui, no?
‘Vieni con me?’, chiesi a Federico che aveva capito le mie intenzioni.
Annuì sorridendo.
 
Arrivammo in stazione in tre minuti scarsi e ci sedemmo ad aspettarlo, nel frattempo accesi un’altra sigaretta.
Appena arrivò la sua corriera, e lo vidi scendere passai la sigaretta a Federico che stava tornando a casa e andai da lui.
‘Ohi, come mai qui?’, mi chiese sorridendo.
‘Ti secca?’, volevo stuzzicarlo io.
‘No ma va, è da un po’ che non ci si vede.’
Uno dei suoi amici ci interruppe per chiedergli se aveva programmi per il pomeriggio. Lui mi guardò, voleva capire se avevo intenzione di uscire con lui. Odiai me stessa in quel momento ma dovetti dirgli di no, aveva uno shopping noiosissimo pre matrimonio da fare.
‘Chi si sposa?’
‘Mia cugina.’
‘Oh mi raccomando, voglio vederti con un bel vestito e tacchi.’, mi disse scherzando, sapeva che non ero il tipo.
‘Beh, potrei farci un pensierino.’
‘Mmmh, dipende! Ci sono ragazzi giovani invitati?’, mi chiese curioso.
‘E io cosa ne so, non conosco mica tutti i parenti e gli amici dello sposo! Perché? Sarai mica geloso?’, gli chiesi imbarazzata.
‘Posso esserlo?’
Cosa intendeva con quella domanda? Se fosse stato geloso, avrebbe significato qualcosa? Forse che mi vuole solo per lui?
Azzardai: ‘Devi esserlo.’

 
 

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Capitolo 17
*** - 7 Ottobre 2011 ***


Un’altro venerdì. Un’altra sveglia suonata alle sei, un’altra giornata persa a scuola.
La giornata era iniziata abbastanza bene, il pomeriggio aveva iniziato a migliorare, la sera a peggiorare.
‘Oggi esci?’, mi aveva scritto Michele verso le dieci e mezza, durante lezione.
Gli avevo ripsosto di no, non mi andava molto di vederlo. Le cose miglioravano si, ma avevo troppa paura di come sarebbero migliorate.
‘Esci con lui Fra, sai benissimo di volerlo.’, così invece mi aveva risposto Giorgia quando le avevo detto la mia risposta.
‘No Gio, oggi preferisco stare a casa credimi.’
‘Perchè?’
‘Perchè si, sono abituata ad uscire con te il pomeriggio ormai, e tu adesso parti quindi non mi va di vederlo.’
‘Ma dai scema, torno martedì mica il mese prossimo.’
Il professore ci interruppe prima che potessimo continuare a discuterne. Passai il resto dell’ora a pensare a lui, a quanto mi mancava.
Alle tre del pomeriggio ero già stesa in camera, gli occhi si chiudevano da soli per la stanchezza. Squillò il cellulare.
‘Pronto?’, chiesi odiandomi per non aver guardato chi era.
‘Ehi ma allora oggi non esci?’
Era Giorgia, con lei si che sarei uscita. ‘Ovvio che usciamo!’
‘Non ho detto se esci con me, comunque passo tra mezz’oretta, ok?’, mi chiese ridendo.
‘Ok tesoro!’
Mi alzai più allegra dal letto. La mia migliore amica doveva partire. Sarebbe stata via solo per due giorni ma io non riuscivo ada accettarlo. Quello non era un bel periodo per me e lei era l’unica che riusciva a farmi sorridere sempre. Presi i leggins neri che avevo indossato la mattina a scuola e la prima felpona pesante che trovai.
Purtroppo il freddo era arrivato. Fino a pochi giorni prima giravo in canottiera, a ottobre. Ero felice che fosse arrivato finalmente quel clima ma non vedevo l’ora che l’autunno se ne andasse e arrivasse il favoloso inverno.
Alle tre e mezza puntuale suonò il campanello. Ero a casa da sola così mi tocco correre ad aprire il cancello e fare le scale in modalità superveloce. Guardai fuori dalla finestra del salotto per controllare che fosse Giorgia. Spalancai gli occhi di scatto quando al suo posto vidi Michele.
‘Che faccio adesso? Lei dovrebbe arrivare fra poco e a lui avevo detto che non sarei uscita.’, pensai.
Aprii la porta e andai verso di lui.
‘Come mai hai cambiato idea?’, mi chiese Michele.
‘Ho cambiato idea?’, non capivo.
‘Si, stamattina non volevi uscire. E adesso mi scrivi col telefono di Giorgia per dirmi che hai cambiato idea.’
Lo guardai, capimmo subito che era stata lei a fare tutto quello. Scoppiammo a ridere.
‘Dai vado a prendere la borsa e arrivo.’, gli dissi io sorridendo ancora.
‘Magari ti metti anche un paio di scarpe.’
Abbassai lo sguardo, ero scalza. Scoppiai di nuovo a ridere e corsi in casa. Infilai il primo paia di scarpe che trovai e presi la borsa. Feci per uscire e prendere la bici quando mi disse che dovevo salire con lui, nella moto.
‘Scherzi vero?’
‘No dai sali!’
‘Ma neanche morta! Ho troppa paura, corri come un matto tu.’
‘Ma va, dai sali, ti prometto che vado piano, fidati.’
Col ‘fidati’ mi aveva convinta. Salii. Infilai il casco senza preoccuparmi dei capelli che poi sarebbero stati improponibili e lo strinsi forte con le mie braccia. Fortunatamente la strada non era lunga, anzi. Dopo neanche cinque minuti era fermo, ma io non me ne ero accorta. Ero talmente ansiosa che mi ero completamente stretta a lui e avevo chiuso gli occhi dalla paura.
‘Puoi mollare adesso.’, mi disse lui ad un tratto ridendo e afferrandomi le mani.
Solo in quel momento aprii gli occhi e mi accorsi di dover scendere. Diventai rossa paonazza e subito mollai la presa.
‘L’hai rifatto, sei di nuovo imbarazzata.’
Ricordai quando me lo aveva fatto notare, quando mi aveva detto che non dovevo sentirmi così con lui. Mi scusai.
‘Mi rispondi sinceramente a due domande?’, mi chiese lui mentre camminavamo verso il pontile.
‘Ci provo.’ Avevo paura di cosa mi avrebbe chiesto, qualcosa riguardo a noi due sicuramente.
‘Perchè oggi non volevi uscire con me?’
‘Perchè il pomeriggio sono abituata a uscire con Giorgia. Ti sembrerà anche una stupidata, ti sembrerò io una stupida forse ma adesso lei parte, e io non avevo voglia di uscire senza lei. Le voglio un gran bene.’
‘E a me ne vuoi?’
Quella era la seconda domanda? Cosa dovevo rispondere? Dovevo essere sincera.
‘Fin troppo.’

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Capitolo 18
*** - 16 Ottobre 2011 ***


Ok, premetto che tutto quello che vedete scritto qui è vero. Tutto. Mi scuso per come ho scritto, non è il solito capitolo, è uno sfogo, ne avevo bisogno. 



- 16 Ottobre
Sedici ottobre duemila undici: una delle giornate più brutte della mia vita.
No, Michele non centra minimamente in tutto questo, stranamente. Chi centra? Centra Giorgia e quella specie di ‘migliore amica’ con cui non parlo da più o meno un mese: Sara.
Abbiamo litigato, ha detto le cose peggiori che mai avrebbe potuto dirmi, mi ha detto di non rivolgerle più la parola, è quello che ho fatto.
Ho sofferto, ho pianto anni per lei, mi sentivo sollevata per quanto brutto possa essere di non dover più aver a che fare con lei. Giorgia è rimasta con me, mi è stata sempre vicino, ha preso la mia parte fregandosene di che fine avrebbe fatto la sua amicizia con lei. 
Oggi è finito tutto. Mi rendo conto che facevo bene a star male, ad aver paura di perderla. Facevo bene ad essere gelosa di qualsiasi persona le volesse bene.
Oggi Sara ha finito quella che per me era l’amicizia più importante, quella che mi faceva andare avanti.
Eravamo fuori, in centro. Stavamo parlando tranquillamente prima che succedesse tutto. Eravamo io, Giorgia e un’altra amica. E’ arrivata lei, ci ha chiesto se potevamo parlare un attimo. Io non volevo, no. Non le avrei mai più parlato, non avrei mai più ascoltato una parola, una scusa. Non l’avrei perdonata, e neanche Giorgia, o così credevo. 
Si è alzata, è andata con lei.
Perchè? Perchè mi ha lasciata da sola? Perchè ha avuto il coraggio di ascoltarla? 
Diceva che l’aveva cancellata dalla sua vita, mai più l’avrebbe considerata. E adesso?
Ho visto il mondo crollarmi addosso. Tutte quelle paure, quelle gelosie che provavo, quelle sofferenze. Era da un pò che mi ero legata a Giorgia, legata davvero. Era da un pò che avevo iniziato a vederla sempre più lontano da me, dalla mia vita. Tutte quelle persone attorno a lei. Mi dicevano di non aver paura. Mi diceva che mai mi avrebbe abbandonata, mi voleva bene. 
E’ andata da lei, è andata da lei. Continuavo a ripetermi quella stupida frase cercando di capire qualcosa di quello che stava succedendo. 
Quando è tornata me ne sono andata, non avevo voglia di stare li. Non le ho chiesto cosa si erano dette. Non le ho detto nulla, sono andata. 
Ho pianto, ho pianto tanto. 
Sono qui a casa, non mi scrive, non mi parla.
Ho visto Sara andare a casa prima, non l’ho salutata.

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Capitolo 19
*** -17 Ottobre 2011 ***


Ieri sera ho parlato con Giorgia. Le ho scritto io naturalmente, lei con quel suo carattere non l’avrebbe mai fatto per prima. Le ho detto tutto. Sapeva che stavo male ma non capiva il perchè. In qualche modo ho cercato di farglielo capire.
Oggi ci siamo viste. Abbiamo chiarito. Non avevamo mai veramente litigato. Era colpa mia, colpa di quella mia mente che sempre pensa al peggio. Non  mi aveva abbandonata, è bastato un suo abbraccio per capirlo, per capire che era ancora li con me, come sempre.
Se sto bene adesso? No, per niente.
Odio me stessa. Odio la stupida gelosia che mi riempie il cuore.
Odio dover vivere così, con la paura di perderla.
E vorrei trovare qualcuno a cui dirlo, qualcuno con cui parlare. Non riesco no.
Ho quel fottutissimo carattere timido che mi impedisce di farle queste cose. Penso ad un modo per riuscire ad aprirmi.
Solo al pensiero piango. Le lacrime scendono e sono qui sola. Se fossi con qualcun’altro sarebbe peggio, mi vergognerei troppo di me stessa, troppo.
Oggi ho visto Michele, gli ho raccontato tutto. Con lui riuscivo a parlare, ma non era quello di cui avevo bisogno purtroppo. Mi aveva detto che lui ci sarebbe sempre stavo, gli credevo.
Qual’era il problema? Io avevo bisogno della mia migliore amica. Si, senza di lui non riuscirei a stare ma avevo altrettanto bisogno di quella figura chiamata amica.
Mi sono sempre ritenuta fortunata, ho sempre saputo cos’è la vera amicizia. So tutt’ora cos’è e sto rovinando tutto.
Perchè? Perchè non riesco a convincermi che devo essere felice? Che posso essere felice?

Ero li, stesa nel divano, nella mia soffitta vuota quando era arrivato lui.
Si era seduto affianco a me. Stava li a fissarmi, capiva che stavo male.
‘Puoi almeno cercare di parlarmi?’, mi chiese per l’ennesima volta volendo aiutarmi.
Scoppiai a piangere prima di dire ‘a’. Ecco, lo sapevo. Sapevo che non sarei riuscita ad aprirmi più di tanto.
Cercai in qualche modo di rispondergli: ‘Ho paura, troppa paura.’, dissi singhiozzando tra una lacrima e l’altra.
‘Paura di cosa?’, mi chiese lui prendendomi il volto tra le mani. Le sue dita asciugavano la mia sofferenza. I suoi occhi riempivano il mio cuore.
‘Paura di perderla.’
‘Ci tieni tanto a lei?’
Feci cenno di si con la testa che nel frattempo avevo appoggiato al suo petto.
‘E allora diglielo, spiegale cosa provi. Spiegale il motivo per cui stai male, vedrai che ti servirà per quanto difficile possa essere per te. E’ l’unico modo, no? Solo lei può negare e scacciare quei brutti pensieri dalla tua testa, solo lei.’
Pensai a quelo che mi stava dicendo senza rispondergli, non era necessario.
Passai la serata con lui. Mi aveva aiutata molto, mi aveva chiarito un pò le idee. Sapevo che parlarle sarebbe stato difficile ma mi stavo convincendo sempre di più, volevo farlo, ne avveo bisogno. Non le avrei detto niente per adesso però, era ancora troppo presto.
Avrei avuto bisogno di qualche giorno per calmare tutto. Dovevo prepararmi, non volevo di certo scoppiare a piangere davanti a lei come mi era successo con Michele, non avrebbe aiutato.

Una buonanotte di Giorgia e una di Michele completarono la giornata, brutta si, ma intensa.
Una buonanotte dalla mia migliore amica, una da quel ragazzo che ultimamente mi aveva un pò rifiutata, ma che amavo alla follia.

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Capitolo 20
*** -20 Ottobre 2011 ***


Giorgia ha detto di volermi bene oggi.
Non ho fatto altro che pensare a quella frase che mi aveva detto, al perchè me l’avesse detta.
L’avevo semplicemente abbracciata, sapeva che riprovavo quel sentimento per lei, non aveva bisogno di sentirselo dire, al contrario di me.
Era da un pò di giorni che il pomeriggio non uscivamo più, il freddo era arrivato. I pinguini erano arrivati, come dicevo io.
Avevo deciso di passare il pomeriggio tra foto e ricordi. Avevo ancora un pò di quelle scattate a Roma da scaricare e alcune fatte nell’ultima settimana.
Accesi il computer verso le quattro. Collegai la macchinetta e scaricai tutto nella certellina.
Le divisi per data e iniziai ad aprirle una per una. Avevo la mania di aggiungere una descrizione ad ognuna scrivendo i nomi delle persone nella foto e il luogo.
Arrivai a quei scatti di Michele, quelli che gli avevo fatto la sera in appartamento in vacanza. Che bello che era, che bello che è tutt’ora pensai.
Rimasi cinque minuti a fissare quell’immagine, quanti ricordi. Ancora non ci conoscevamo, eravamo solo all’inizio. Tante cose non erano ancora successe, belle e brutte che sia.
Iniziai a pensare che non mi pentiva di niente di quello che era successo, compreso l’ultimo periodo. Insomma, ero io la prima all’inizio a non voler correre troppo, forse aveva fatto bene ad allontanarmi per un pò.
Ultimamente poi, nonostante tutto, ci stavamo riavvicinando e credo che il nostro rapporto stesse migliorando.
Passai alla foto sucesssiva prima di fissarmi con quella e mi ritrovai davanti il viso di Giorgia.
Come potevo non volerle bene? Era troppo bella. Quel suo sorriso sempre fisso nel suo volto. Quella sua gioia di vivere la sua vita. Forse la invidiavo un pò, forse.
Iniziai a modificarne un pò, quelle che più mi piacevano. Notai e sorrisi al pensiero, di aver scattato più foto ai miei amici che alla città, era sempre così. Partivo con la convinzione e la voglia di fare foto su foto a paesaggi vari e tornavo con sorrisi su sorrisi di quelle persone che amavo.
Squillò il telefono mentre sistemavo le ultime cose, erano le sei quasi.
‘Pronto?’, non avevo guardato chi era, di nuovo.
‘Sei a casa?’
‘Michele?’
‘Si scema.’
Figura di merda.
Tra le risate risposi a stento: ‘Si si, ma perchè?’
‘Posso passare a prenderti?’
‘D’accordo lasciami cinque minuti che mi cambio e scendo.’
‘Ok, io sono già qui.’
Riattaccai all’istante. Era già sotto casa?
Mi alzai di corsa dal letto, non spensi nemmeno il computer, non ne avevo tempo. Infilai su il primo paia di jeans e una felpa forse troppo leggera per il gelo che c’era fuori, soprattutto a quell’ora.
Sorrisi appena lo vidi seduto sulla moto per nulla annoiato dall’attesa. Fortunatamente mia mamma ancora non era tornata e in casa non c’era nessuno.
Salii dopo averlo salutato con un bacio nella guancia che mi gelò le labbra. Strinsi forte le mie braccia su di lui e partimmo.
Mi portò in spiaggia. Stese un asciugamano e mi fece sedere. Dopo avermi interrotta mentre cercavo di aprir bocca iniziò a parlarmi.
‘Ricordì, quando ti ho detto di voler rallentare il nostro rapporto?’
Feci segno di si con la testa, non avevo forza di parlare con quel freddo.
‘Ecco, credo sia arrivato il momento di dirti a cosa mi è servito tutto questo. So di averti ferita, so di averti fatta star male. Mi sono pentito moltissimo di questo ma credo che abbia avuto un risultato. Hai imparato a volermi bene nonostante ti avessi detto quelle cose. Quello che mi spaventava era che potessi escludermi dalla tua vita davanti alla prima discussione che avremmo avuto.’
‘Non l’avrei mai fatto, lo sai.’
‘Si, adesso lo so. E ti giuro che mai più mi comporterò così.’
Avevo capito dove voleva arrivare. Decisi di interrompere quel suo discorso per facilitargli la cosa.
Mi alzai e interruppi la sua voce con un bacio.

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Capitolo 21
*** - 24 Ottobre 2011 ***


Mi sono svegliata quella mattina stranamente forte.
Era da giorni ormai che per me un sorriso era una cosa lontana, sconosciuta.
Ho aperto gli occhi con la voglia di cambiare le cose, di sistemarle.
Avevo bevuto una tazza di tè e dopo essermi vestita ero uscita. Erano le sette di mattina, anzi, sette meno un quarto. Faceva freddo ma avevo detto a mia madre che mi sarei fatta una camminata volentieri.
Il motivo reale era un’altro, avevo da pensare.
La cosa che più volevo fare era parlare con Giorgia, dovevamo chiarire una volta per tutte. Avevo troppe cose da dirle e da troppo tempo le tenevo dentro.
Accesi una sigaretta per scacciare il nervoso e iniziai a pensare a come avrei parlato alla mia migliore amica. Sapevo che non sarei mai riuscita ad aprirmi così tanto con qualcuno ma dovevo farlo.
Impiegai meno tempo del solito per arrivare in stazione. Erano le sette meno due minuti e la corriera sarebbe partita tra dieci minuti scarsi.
Mi fermai dietro, avevo acceso un’altra sigaretta e non volevo farmi vedere. Notai Michele seduto nella panchina con attorno una decina dei suoi amici figoni.
Lo guardavo, ancora non credevo di poterlo anche solo salutare. Fino a pochi mesi prima non sapeva nemmeno il mio nome, o così credevo.
Federico ad un tratto mi vide e gli fece cenno che ero li. Michele si alzò e li iniziarono a passarmi per la mente una serie di parole non molto carine nei confronti di Fede. Stavo fumando cazzo, non doveva vedermi.
Notai con poca sorpresa la faccia di quel ragazzo perfetto che rimaneva per l’ennesima volta deluso da me. Feci l’ultimo tiro e spensi la sigaretta prima che potesse dire a.
Si avvicinò a me e mi salutò con il suo solito abbraccio più che intenso.
Dopo avermi avvisata che il pomeriggio sarebbe dovuto restare a scuola per qualche motivo che non avevo capito scappò via per non perdere l’autobus.
Salii altrettanto in fretta nella mia corriera e mi sedetti al solito posto. Giorgia sarebbe salita alla fermata sucessiva.
Passai la prima ora  a scuola continuando a ragionare, non ero certa di doverlo fare. Molto probabilmente a lei nemmeno interessava come stavo. Da giorni diverse amiche avevano notato in me qualcosa di diverso. Ero solita essere sempre allegra con tutti, ma non ultimamente.
Giorgia non se ne era accorta di questo, perchè?
Le dissi tutto, cercò di capirmi e forse in parte lo fece. Durante la pausa era uscita dall’aula e io ero rimasta li, sola. Mi sentivo bene, nonostante non fosse li con me, ero riuscita a dirle tutto. Sarei tornata a star male nel giro di un giorno, non era cambiato niente d’altronde, ma le avevo parlato.

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Capitolo 22
*** - 1 Novembre 2011 ***


-1 Novembre 2011
Nuovo mese. L’inverno sempre più vicino, il Natale sempre più vicino. Un primo novembre che mai credevo di poter vivere. Era stato strano. La mia testa sognava quell’aria natalizia, quell’aria in cui tutti, grandi e piccoli, diventano più buoni.
Perchè? Forse perchè avevo bisogno di quella bontà. Volevo tornare felice come prima.
Erano già passati due mesi abbondanti dall’inizio della mia storia con Michele. In quel breve periodo di tempo eravamo riusciti a confrontarci diverse volte, litigare, chiarire. Eravamo forti ormai, ne ero certa.
Avevo perso un’amica, un’amica importante, Sara. Sentivo la sua mancanza giorno dopo giorno. Era stata una delle prime persone a cui mi ero affezionata veramente. L’avevo conoscita come una ragazza semplice, onesta, sempre sorridente. Era stata per me un punto di riferimento. Aveva perso sua madre all’età di nove anni. Vedevo la sua voglia di vivere, di andare avanti nonostante tutto. Le sarei stata vicino sempre. Poi d’un tratto le cose cambiano, le persone cambiano. Vedi davanti a te una ragazza farsi condizionare dal mondo, da quello cattivo. Quel mondo l’ha rovinata, è diventata un’altra. L’ho persa. La vedo ogni mattina andare a scuola, nemmeno ci salutiamo. ‘Le voglio ancora bene’, pensai.
Stavo passando un brutto periodo da quando mi era presa quella stupida gelosia. Soffrivo al pensiero di perdere Giorgia come avevo perso Sara. Ultimamente ci eravamo avvicinate molto, eravamo sempre più unite. Vedevo tutte quelle persone attorno a lei, da quelle più importanti a quelle meno. Parlavano, lei sorrideva, come sempre. Ogni singola giornata passata lontano da lei mi sembrava un passo verso il nulla. Ero forse, malata?
Si, ero malata. Mi faceva male il cuore. Non avevo mai provato quel tipo di malattia, non prima d’ora. Mi chiedevo se potesse esistere una medicina, una cura.
Era Novembre. Carcavo di autoconvincermi che quel mese sarebbe andato meglio.
Le persone volevano sapere come stavo. Bene. Si, quella parola di quattro lettere era l’unica cosa che riuscivo a dire. Forse avrei dovuto essere sincera. Ci provavo ogni tanto, ma la fine era sempre quella, lacrime.

Ho passato tutta la giornata in casa. Avevo litigato di nuovo con mia mamma, nulla di grave sta volta. La sera prima l’avevo passata assieme ad un amica. Era Halloween. Tra un film horror e una bella pizza ero riuscita a scacciare tutti quei brutti pensieri dalla testa e divertirmi un pò.
Verso le quattro del pomeriggio era arrivato Michele da me. Mi ha raccontato un pò della sua serata in discoteca, per quello che ricordava. Ha ammesso con sincerità di essersi ubriacato fin troppo. Non ha negato la possibilità di essersi fatto qualcuna.
‘Lo so, stai passando un periodo di merda e io con queste cose non ti aiuto. Preferisco dirtelo però.’
Avevo apprezzato l’onestà: ‘Tranquillo amore, va bene così.’
Era giusto che si divertisse ogni tanto, no? Mi stava sempre accanto, sempre li ad ascoltare i miei problemi. Per una volta potevo anche fargliela passare.
Iniziò ad accarezzarmi la testa facendomi riviviere tutti quei bei momenti che tanto mi mancavano.
‘Sai cos’è? Mi mancano quelle giornate d’estate.’
‘Lo so, lo so. Credi che non capisca vero? Rimmarrai anche stranita ma so benissimo come ti senti. Ti si legge negli occhi quello che provi sai? Stai male e io sono qui per te. Ti aiuterò finchè non tornerai come prima.’
‘Odio tutto questo, neanche fossi malata.’
‘Può succedere a tutti, di passare un brutto periodo. L’importante è che tu non ti vergogni di mostrarti debole, devi lasciarti aiutare.’
Mi abbracciò forte, quasi mi tolse il respiro.
‘Adesso ti alzi, ti vesti e vieni con me.’
Sbuffai ma alla fine vinse lui. Riuscì non so come a farmi alzare dal letto, a farmi infilare i soliti leggins e la solita felpona. Non mi diede il tempo nemmeno di truccarmi, gli andavo bene così.
Mi portò fuori. Niente di romantico, nessun posto in particolare, semplicemente fuori.
Mi era mancata l’aria del mio piccolo paese. Stare tra la gente mi faceva sentire meglio, stare con lui mi faceva stare bene.

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Capitolo 23
*** - 9 Novembre 2011 ***


Fino a quel momento nella mia vita erano state poche le persone a colpirmi davvero. Poche erano state capaci di farmi stare bene, di rendermi felice. Non mi era mai capitato di avere una relazione o un’amicizia ‘a distanza’. Non avrei mai creduto di poter voler così tanto bene a qualcuno che mai avevo visto o incontrato.
Quel giorno, nove novembre duemilaundici, ho potuto dire che io ci credevo. Credevo nel sentimento che nasce a chilometri di distanza. Credevo anche che questo fosse molto più profondo di quello che si prova per qualcuno che conosci di persona.
Affezionarsi a qualcuno nonostante tu non l’abbia mai visto vuoleva dire, secondo me, essere realmente colpiti dal carattere o dalle parole di quella persona.
Francesca.
Ricordavo benissimo come ci siamo conosciute. Un modo strano si.
Francesca aveva un anno in meno di me ma questo non contava. Era simpatica, pazza e molto sensibile.
Mi piaceva per la sua semplicità. Una distanza enorme ci separava, mai l’avevo vista realmente. Avevo letto le sue parole, sentito la sua voce per telefono.
Mi era sempre stata vicina nei momenti di difficoltà, stranamente mi capiva più di altri. Sembrava mi conoscesse davvero.
Mi aveva chiamata per la prima volta pochi giorni prima. Parlava moltissimo. Aveva una voce allegra, se così si può dire, tante cose da raccontarmi. Avevamo trattato gli argomenti più assurdi, dal mio accento simile a quello della madre alla scuola.
Quel pomeriggio purtroppo non siamo riuscite a sentirci.
Avevo avuto da studiare molto e la sera sarei dovuta andare ad una ‘festicciola’.
Michele aveva invitato alcuni suoi amici e me a casa sua dove avremmo guardato un film e passato la notte.
Avevo portato con me anche Giorgia ovviamente. Di certo non me ne sarei stata tutta la sera in mezzo a quel gruppetto pieno di fighi con almeno due anni in più di me.
‘Non ti mangiano mica.’, mi aveva detto Michele scherzando mentre a piedi facevamo la strada dal centro a casa sua.
‘Ma non li conosco nemmeno dai! Io non faccio parte della vostra compagnia poi.’, risposi io intimidita.
‘Ma fai parte di me.’
Stampai un bacio nella guancia di quel bel ragazzo e per non badare troppo a quella sua dolcezza assurda tornai al discorso.
‘E comunque c’è anche Fede! La Gio non è mica di troppo.’
‘No ma figurati, è che ti ci dovrai abituare prima o poi.’
‘Appunto, prima o poi.’, dissi specificando ad alta voce il ‘poi’.
In venti minuti eravamo arrivati all’appartamento. I genitori di lui erano separati e Michele viveva con sua mamma. Quella sera però la casa l’avrebbe avuta libera.
‘Certo che per una volta che hai casa libera potevi evitare di invitare compagnia bella.’
Michele mi guardò confuso: ‘Se ti secca tanto posso riportarti a casa.’
‘Intendevo, potevi invitare solo me no?’
‘Saresti venuta?’
‘Conoscendo i tuoi pensieri pervertiti ci avrei pensato due volte ma la risposta sarebbe stata un si.’, dissi io cercando di combattere l’imbarazzo.
Sentimmo entrambi qualcuno arrivare mentre Michele cercava le chiavi del portone d’entrata.
Ci voltammo di scatto e vedemmo davanti a noi l’intero gruppetto di amici che ci osservava divertito.
Merda. Una volta ero riuscita a fare una battuta non del tutto pulita con il mio ragazzo e una volta l’avevo fatto davanti a tutti loro.
Corsi in casa piena di vergona senza aspettare nemmeno che ci salutassero.
Sentii Michele chiamarmi ridendo ma non ebbi il coraggio di scendere.
Presi il cellulare dalla tasca e non esitai a chiamare la Fra.
‘Pronto?’
‘Ohi Fra, non hai idea di che figura di merda ho appena fatto!’

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