Il profumo dei lillà

di etienne86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 Epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


capitolo 1

CAPITOLO 1

Oscar aprì gli occhi, nel vano tentativo di interrompere quel continuo flusso di pensieri che non l'abbandonava dalla sera precedente. La luce che filtrava dai tendaggi alle finestre le confermò che era ormai giorno, un giorno piovoso. Nel silenzio della sua stanza percepiva con chiarezza l'incessante picchiettio della pioggia battente sulle vetrate.
Richiuse gli occhi e sospirò. Inutile cercare di riposare, con tutti i dolori che sentiva in ogni parte del corpo. Inutile cercare di evitare i ricordi di quegli attimi che incessantemente, dalla sera prima, la torturavano. Ma diversamente da quanto si potesse credere non era la furia della folla ad averla scossa, e neanche aver rivisto il Conte di Fersen dopo tanto tempo. No. Era stato il pensiero di perdere Andrè ad averla fatta sentire disperata, come non le era mai capitato.
E anche questo non era vero.
Il suo cuore riportò alla luce un altro ricordo, di almeno quindici anni prima, la voce di Girodelle nei corridoi antistanti gli appartamenti reali che le comunicava l'imminente condanna di Andrè per l'incidente occorso alla Delfina, quando aveva insistito per cavalcare, nell'intento di imitare la sua rivale, la Contessa Du Burry. Anche allora aveva ignorato tutto, le parole del suo secondo, il dolore lancinante alla spalla, la debolezza che aumentava man mano che perdeva sangue, perchè il pensiero di Andrè sul patibolo era per lei inaccettabile.
Ma non aveva riconosciuto le reali motivazioni del suo sentire. Era per il suo innato senso di giustizia, per la generosità verso un servo cresciuto comunque accanto a lei da sempre, come un fratello. Così si era convinta e così il mondo aveva accettato la sua spropositata reazione, che si era spinta fino a sfidare apertamente il Re. E per lo stesso motivo la sera prima aveva cercato di attirare su di sé la folla inferocita, per un puro senso di giustizia e verità, perchè Andrè non poteva morire per qualcosa che non era...

Si mise seduta sul letto, appoggiò i piedi a terra e fissò lo sguardo sconsolato sulle mani mollemente abbandonate sulle gambe. Quelle mani sottili, che Nanny aveva amorevolmente avvolto in bende qualche ora prima, su indicazione del dottore, quelle mani inutili, che non le erano servite, perchè questa volta non era riuscita a salvare lei Andrè. L'aveva fatto il suo cuore, gridando in faccia a lei stessa e a Fersen la sua verità. Una verità negata e custodita per tanti anni, lo sentiva chiaramente. Perchè anche quando si diceva che Fersen fosse l'unico uomo che avrebbe mai potuto amare, era Andrè il sole che riscaldava i suoi giorni.
Si prese la testa tra le mani. Lei lo aveva respinto! Dopo una vita insieme l'aveva trattato come un inutile servo! Dopo esserle stato accanto, sempre, coerente con se stesso ma accettando le sue decisioni, dopo averle salvato la vita innumerevoli volte, senza gloria, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se le fosse dovuto, dopo averle sacrificato un occhio, senza recriminazioni, anzi, mitigando i suoi sensi di colpa e il suo desiderio di vendetta! E adesso che il suo sentimento aveva un nome, e anche un volto, adesso che la verità era lì, tra le sue mani vuote, fasciate, adesso non sapeva cosa farsene. Si sentiva imbambolata, incapace di decidere, incapace di muoversi.

Un sommesso colpo alla porta della sua camera la riportò alla realtà. Con la coda dell'occhio vide una cameriera posare timidamente un vassoio nel salottino accanto alla sua camera e allontanarsi rapidamente. In un attimo la raggiunse l'inconfondibile e familiare profumo della cioccolata di Nanny. Quindi si alzò, si vestì e si accomodò per gustare la bevanda che la vecchia governante le aveva preparato, forse con l'intento di addolcire il suo risveglio. La giornata era davvero buia e piovosa, come aveva intuito a letto. Chissà come stava Andrè, se era riuscito a riposare, se era già sveglio... Chissà come avrebbe occupato quella lunga giornata piovosa lontano dalla caserma.

Il pensiero di loro due di nuovo insieme in quella casa per quella convalescenza forzata la fece sorridere felice, involontariamente. Le era sempre piaciuto poter stare a casa con Andrè, quando fuori il tempo imperversava e non c'erano impegni di lavoro a costringerli sotto le intemperie. Spesso ascoltava i suoi discorsi, da sempre più loquace di lei, oppure leggevano insieme qualcosa, a lungo stavano semplicemente vicini, in silenzio, ed il piacere di quella intimità ormai persa la rattristò nuovamente.
Persa per colpa sua, ormai non provava neanche più a negarlo. Persa perchè non aveva capito che non era scontata, che non era facile da provare ancora, con qualcun altro. Quanto le mancava il vecchio Andrè, quel sorriso dolce e rassicurante, il modo garbato che aveva di prenderla in giro, la saggezza con cui frenava i suoi impulsi, la capacità di aiutarla nelle difficoltà senza che neanche se ne accorgesse, senza intaccare minimamente il suo orgoglio. E tutto questo a senso unico. Lei non si era mai chiesta se lui avesse dei problemi, o dei progetti o delle idee. Anche quando aveva condiviso con lei l'esperienza delle riunioni clandestine in cui si discuteva del futuro della Francia, aveva liquidato le sue osservazioni ricordandogli che non era un nobile, che non se ne doveva preoccupare. Che meschina egoista!

Nanny la raggiunse per sincerarsi delle sue condizioni e lei cercò subito di sdrammatizzare e chiese di Andrè. Era svenuto mentre in carrozza lo portava in salvo verso Palazzo Jarjayes, giusto prima di chiederle se stava bene, se le avevano fatto qualcosa. Poi, giunti a destinazione, era stata immediatamente portata nelle sue stanze da Nanny, che capeggiava uno stuolo di cameriere agitate e lo aveva letteralmente perso di vista. Avrebbe voluto che il medico, dopo averlo visitato, l'avesse raggiunta per aggiornarla sulle sue condizioni, ma Nanny era stata irremovibile sul fatto di lasciarla tranquilla a riposare.

“E' pieno di lividi e fasciature, ma ha detto che tre giorni gli basteranno per tornare in caserma” rispose Nanny liquidando in fretta le sue domande. Fu quasi delusa di saperlo a casa con lei per così poco tempo, però non sarebbe andata a trovarlo nella sua camera per tutto l'oro del mondo! Nanny si accomiatò con i soliti modi ossequiosi e rimasta sola Oscar continuò a bere la cioccolata, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri un po' contraddittori.

Non lo sentì entrare e quasi sobbalzò quando lo vide a pochi metri da lei. Le sembrò formale, distaccato. Aveva un braccio appeso al collo e fasciature ovunque,dalla testa ai piedi. Il suo sguardo era imperturbabile. Le comunicò in modo asciutto di essersi sincerato del rientro del Conte di Fersen nei suoi alloggi, sano e salvo.
“Mi fa piacere” rispose in maniera altrettanto formale e non potè evitare di domandarsi, mentre lo fissava, se pensava che nel suo cuore albergasse ancora un tenero sentimento per il nobile svedese. Certo Andrè non le diede modo di scoprirlo e dopo aver rifiutato una tazza di cioccolata si congedò da lei. Impeccabile come il più esemplare dei domestici. “Perchè non ti ho chiesto di farmi compagnia comunque? Perchè tutta la mia prontezza di decisione e la mia capacità di azione svaniscono se devo svelarti un po' dei miei sentimenti?”


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Capitolo 2
*** Capitolo2 ***


Capitolo 2

Piccola premessa. Spero di non offendere le fan di Fersen, che non esce molto bene da questo capitolo. Ho scritto quella che è sempre stata l'opinione  che mi sono fatta sul suo personaggio, in particolare nell'episodio dell'incidente a cavallo di M.Antonietta.

CAPITOLO 2

La giornata proseguì lentamente. All'ora di pranzo la pioggia diede una tregua e suo padre la raggiunse per accertarsi delle sue condizioni. Già verso la fine del pranzo la nubi avevano lasciato il posto ad un cielo terso e ad un tiepido sole. Oscar si sistemò con un libro sulla balconata che sovrastava l'ingresso posteriore di Palazzo Jarjayes, verso il prato e la fontana vicino alle scuderie. Leggeva distrattamente, aspettando in realtà di scorgere Andrè fuori dalla sua stanza. Le sarebbe bastato un ordine per averlo seduto di fronte a lei, a farle compagnia. Ma non riusciva più a pensare a lui come a qualcuno a cui impartire comandi, almeno al di fuori di quelli militari. Voleva vederlo e nel contempo temeva si sarebbe sentita impacciata, voleva guardarlo, ammirare quel suo triste sguardo e tuttavia aveva paura che lui le leggesse dentro, scoprendo la verità sui suoi sentimenti. E si dava della stupida per questo atteggiamento puerile e da femminuccia, che non avrebbe mai creduto potesse appartenerle.
Alzò lo sguardo al rumore degli zoccoli di un cavallo che lo scudiero dei Jarjayes stava conducendo alle stalle. Riconobbe in un istante lo stallone del Conte di Fersen e mentre ancora si chiedeva cosa potesse significare, fu raggiunta in terrazza da un servitore che annunciava la visita per lei del conte svedese. Oscar chiuse il libro con un colpo secco, lo appoggiò sul tavolo e diede sbrigativamente indicazioni su dove condurre l'ospite.
Perchè Fersen era lì? Forse voleva solo sincerarsi delle sue condizioni, ma perchè venire di persona? Come lo avrebbe affrontato dopo aver letto tutta la sua incredulità la notte precedente, quando gli aveva rivelato i suoi più segreti sentimenti con una sola piccola parola di tre lettere, che valeva più di mille discorsi?

Fersen entrò nell'ampio salone di Palazzo Jarjayes con un vago senso di disagio. Ricordava perfettamente la circostanza della sua ultima visita, anche se erano trascorsi parecchi mesi ormai.
Quando il cameriere tornò con le disposizioni di madamigella Oscar, fu interrotto da Andrè, che si offrì di accompagnarlo.
“Salve Andrè, sono felice di vedervi già in piedi dopo il tragico accidente occorso ieri a voi e a Madamigella Oscar”. Andrè alzò lo sguardo dopo un rapido inchino e lo fissò in un modo che Fersen non riuscì a decifrare, denso di una certa inquietudine ed amarezza.
“Vi ringrazio immensamente per aver salvato la vita a Madamigella Oscar e aver impedito che le conseguenze dell'aggressione subita fossero più gravi. Con permesso..” e si congedò rapidamente.
Fersen rimase allibito dal tono formale di Andrè, con cui aveva condiviso cene e brindisi, corse a cavallo e sfide con la spada, ma soprattutto che non avesse fatto cenno al salvataggio della sua stessa vita. Ricordava un giovane solare ed allegro, di compagnia gradevole e molto discreto, così diverso dall'uomo cupo con cui aveva da poco parlato. La ferita e la cecità dell'occhio sinistro sembravano aver spento qualcosa anche nell'animo di Andrè. Era ancora perso i questi pensieri quando sentì aprirsi la porta e gli comparve Oscar, anche lei con vistose fasciature al capo ed alle mani, anche lei con uno sguardo spento, infelice, nonostante il sorriso con cui lo accolse.
“Grazie Conte von Fersen della visita, mi spiace che vi siate disturbato di persona, le strade saranno ancora difficoltose a causa delle piogge di stanotte”, continuò osservando i numerosi schizzi di fango sull'immacolata divisa del conte. Anche Oscar gli sembrò eccessivamente formale nei suoi riguardi. “Lieto di rivedervi in buone condizioni, Oscar; avete davvero corso un grave pericolo ieri...” “Si, è stato incredibilmente imprudente da parte mia” ammise, abbassando lo sguardo.
Fersen non indugiò ulteriormente sul vero scopo della sua visita.
“Oscar, tanti anni fa, in nome della vostra fedeltà ed amicizia per la regina Maria Antonietta, vi siete permessa di venire a parlarmi di faccende private ma molto importanti, con garbo ed estrema franchezza”. Si interruppe all'ingresso di un servitore con il the. Oscar si alzò e si diresse alle vetrate, voltando le spalle al suo ospite ed ignorando il vassoio lasciato lì per loro.
“Voi sapete perchè sono qui, Oscar. Sono venuto perchè credo di poter ricambiare il vostro gesto di amicizia e di poter essere io, questa volta, a darvi un consiglio, spinto dall'affetto e dalla stima che non ho mai cessato di nutrire per voi” Tacque un istante, in attesa di una replica che non venne. Oscar continuava a fissare fuori dalle vetrate, senza voltarsi, senza muovere un solo muscolo.
Fersen si avvicinò di un passo ed abbassò leggermente il tono di voce.
“Quello che inconsapevolmente mi avete confessato ieri notte mi ha sorpreso, Madamigella Oscar, è vero, ma è qualcosa che ho sempre sospettato, da quando vi conosco, ed è forse stato il vero motivo per cui non ho realizzato i vostri sentimenti per me” Oscar si girò di scatto e sgranò gli occhi.
“Su voi ed il vostro attendente si è sempre fatto un gran pettegolezzo a corte e finchè ho ignorato la vostra vera natura, ho ritenuto fosse una di quelle relazioni che non potevano che rimanere segrete, e non certo per la differenza di rango...” Sorrise al ricordo di questa sua iniziale considerazione su Oscar e Andrè e non resse lo sguardo sempre più scandalizzato della giovane.
“Quando poi ho scoperto che eravate una donna , in occasione del vostro ferimento conseguente all'incidente a cavallo della principessa, il vostro legame mi è sembrato l'ennesima relazione tra servo e padrone” continuò, mentre Oscar era tornata a voltargli le spalle. “Ed è stato chiaro che era amore, e non un banale passatempo da parte di entrambi” Sentì Oscar emettere una leggera risatina sarcastica.
“Andrè non fece nulla per nascondere la sua disperazione per le vostre condizioni e voi, Oscar, vi siete gettata in sua difesa con un impeto che al momento non compresi, ma che in seguito mi fu chiaro...”
“Credevo aveste compreso che il mio era un moto di ribellione verso un'assurda ingiustizia, altrimenti perchè appoggiarmi di fronte all'intera corte? Fu proprio in virtù di quel vostro gesto che cominciai a guardarvi con occhi diversi...”
“Vi debbo una confessione, Oscar-la interruppe Fersen, mentre tornava ad accomodarsi-in quel frangente ignoravo che sotto la divisa di Capitano delle Guardie Reali si celasse una fanciulla, ed il mio intento era quello di conquistarmi la vostra simpatia. Francamente non capivo tutta quella agitazione per il destino di un anonimo servitore, ma ho pensato di sfruttare l'occasione per entrare nelle vostre grazie. Dovevo godere della vostra benevolenza per poter avvicinare la regina, eravate sempre molto attenta e solerte nell'intervenire e proteggerla” A queste parole Fersen smise di sorridere, divenendo molto serio. Oscar si era nuovamente voltata, con uno sguardo insieme deluso e scandalizzato.
“A essere sincero fino in fondo- continuò- se avessi saputo che eravate una donna avrei certamente fatto ricorso ad espedienti più seduttivi ed adatti al gentil sesso....Non guardatemi così, Oscar, pensavate che non avessi mai sfruttato il mio fascino per accontentare i capricci di qualche dama di compagnia pur di assicurarmi discrezione e silenzio?”
Oscar non credeva alle sue orecchie. Aveva tante volte sentito pettegolezzi sula condotta morale di Fersen , ma li aveva attribuiti alle malelingue invidiose che crescevano in ogni angolo di Versailles. Non lo credeva capace di simili bassezze e di tradire così il suo amore per la Regina. Non era forse per questo che non si era mai sposato? Per essere solo suo?
“Voi mi avete idealizzato, Oscar, ed io vi ho assecondato in questo per il mio personale tornaconto, ma questo non toglie che vi abbia davvero stimato, ancor più per l'integrità che realmente vi appartiene e a cui io ho solo potuto aspirare. Forse , se non mi fossi intromesso nella vostra vita e non vi avessi coinvolto nelle mie vicende amorose con la regina Maria Antonietta, forse avreste capito prima a chi appartiene il vostro cuore”
Con questa frase rialzò lo sguardo verso Oscar, che continuava a voltargli le spalle, ma intanto si era appoggiata con la mano sulla fronte contro la vetrata, come se soffrisse per qualcosa che rimbalzava su di lei a distanza di anni. Pensò a come Fersen le fosse sembrato simile a lei e diverso da tutti i cortigiani e approfittatori che avevano infestato la reggia e la vita stessa dei sovrani. Invece l'amante segreto della regina era molto più simile a loro e benchè i suoi intenti fossero dettati da un grande amore, non aveva esitato a comportarsi come tutti gli altri pur di raggiungere ciò che voleva.
E realizzò, tristemente, che l'unico animo puro che aveva davvero incontrato nella sua vita era Andrè. Non era assetato di ricchezza o potere, non nutriva sentimenti di vendetta per nessuno, anelava solo al suo amore e nell'attesa aveva invece amato senza riserve, senza mai pensare alle conseguenze per sé, senza calcoli. Era questa consapevolezza che le faceva sentire un sordo dolore nel petto. I loro cuori erano cresciuti insieme, vicini ed affini, finchè lei non si era allontanata, presa da miraggi ingannevoli: la sua carriera militare, prima e infine una platonica attrazione per il conte svedese.
“So che state pensando alla incolmabile differenza di classe sociale tra voi e Andrè, al fatto che la vostra non sarà mai un'unione da vivere alla luce del sole, ma per quanto dolore vi possa procurare, sarà anche l'unica possibile fonte di felicità per voi.”
“No, non è questo...” sussurrò Oscar , senza quasi avere la forza di dire a voce alta la verità che le si era presentata innanzi in quei momenti.
“Ditelo Oscar” la incalzò Fersen. Solo allora si girò a guardarlo, e fu colpito dalla autentica disperazione che lesse negli occhi della donna, di solito così fieri e impenetrabili.
“Non lo merito...io il suo amore non lo merito più!” e suo malgrado, nonostante la vergogna, sentì un fiume di lacrime solcarle il volto. Istintivamente si girò nuovamente verso la finestra e fu allora che lo vide.
Andrè, con la divisa dei soldati della guardia, conduceva il suo cavallo fuori dalla scuderia. Si muoveva lentamente e aveva sciolto dalla fascia di sostegno il braccio sinistro. Montò a cavallo con un movimento rapido, sistemò nuovamente il braccio ferito immobilizzandolo e con la mano destra guidò l'animale verso il cancello della tenuta. Quando in lontananza sentì sua nonna che lo chiamava incredula, spronò il cavallo con un colpo di talloni e scomparve rapidamente dalla sua vista, senza voltarsi. Oscar rimase come inebetita, troppo sorpresa per reagire, con un senso di vuoto e di perdita spropositati, mentre la voce di Fersen le arrivava come ovattata. “Andrè...” le sfuggì ed appoggiò entrambe le mai sul vetro della finestra, come se quel gesto avesse potuto fermarlo. Poi si riscosse, e, ignorando le ultime parole del Conte lo ringraziò e uscì senza aspettare che si accomiatasse da lei.
Si diresse stancamente sulle scale, verso la sua camera, mentre il suo ospite la osservava nell'androne con l'assoluta certezza che il sentimento che aveva solo intuito la notte precedente, era più forte e devastante per Oscar di quanto immaginasse lei stessa.

Andrè rientrò nella camerata sotto lo sguardo indifferente dei suoi compagni. Gettò il sacco in un angolo e si coricò sulla branda gemendo a denti stretti per il dolore. La cavalcata fino a Parigi era stata durissima, ai dolori fisici si era aggiunto il solito tormento per Oscar. L'aveva vista con il viso trasognante quella stessa mattina, ancora persa nei pensieri derivanti dalla vista del suo antico amore, e quando Fersen era giunto a Palazzo Jarjayes per una visita, aveva sentito l'impulso irrefrenabile di fuggire da loro. Non avrebbe resistito ad assistere ancora una volta ai postumi di questo rapporto così dilaniante per lei, alla tristezza che avrebbe scorto sul suo viso per tutto quello che avrebbe voluto essere e non era mai stato tra lei e il nobile svedese, alla malinconia che sempre seguiva ai loro incontri. Un tempo era stato la spalla discreta di questi sfoghi, aveva fatto suo il dolore di Oscar, ma adesso sentiva tutto questo come un peso insostenibile, una sofferenza che non era più in grado di sopportare senza temere di impazzire.
Alain rientrò dopo circa un'ora dal suo turno di guardia e fu l'unico a avvicinarsi e rivolgergli la parola: “Allora, Grandier, l'avete scampata bella tu e il biondo comandante l'altra notte! Com'è che sei già tornato tra noi? Credevo avresti fatto la convalescenza a casa con la tua lei...”
“Palazzo Jarjayes è la dimora del comandante, non mia...e comunque è tanto tempo che non mi prendo cura di lei e non potrei più farlo neanche se volessi”
Alain stava già per rispondergli stuzzicandolo nuovamente, ma qualcosa nella voce di Andrè lo fece desistere. Poveraccio, pensò, è già conciato per le feste e costretto a passare il tempo in questi scomodi giacigli, deve aver buoni motivi per rinunciare alle comodità di palazzo,meglio non infierire...e con un sorrisino sarcastico stampato in faccia si diresse verso la propria branda.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Questo capitolo è melassa pura, perdonate l'eccesso zuccherino...ma si inizia ad accennare a qualcosa che Andrè ha in mente.

CAPITOLO 3

Il colonnello D'Agoult entrò educatamente nell'ufficio di Oscar.
“Lieto di vedervi così presto tra noi, comandante. Non vi aspettavo per oggi e ho quindi provveduto personalmente alle consegne dei turni e delle ronde”
“Parigi è diventata davvero una polveriera... raccomandate agli uomini la massima prudenza”
“Certamente, comandante. Ah, a proposito: il soldato Grandier è rientrato 3 giorni fa, ho firmato al vostro posto la sua riammissione, ma ho preferito assegnarlo a servizi interni, mi è sembrato ancora debilitato dall'incidente” Tacque in attesa di un commento, infine concluse “Si è offerto di occuparsi dei cavalli”
“Avete adempiuto a tutto perfettamente, colonnello, vi ringrazio per il vostro impeccabile servizio”
“Credo fareste meglio a non uscire di ronda per oggi, comandante”
Oscar lo guardò e gli sorrise. Il colonnello D'Agoult aveva dei modi quasi paterni nei suoi confronti, più di quanti ne avesse  il suo vero padre.
“Grazie, colonnello -lo rassicurò-  seguirò il vostro consiglio”.
Si salutarono velocemente e Oscar fu di nuovo sola.
Avrebbe di gran lunga preferito uscire per le strade di Parigi, dove la sua attenzione sarebbe stata occupata a perlustrare la situazione, piuttosto che rimanere in caserma a far niente. Dopo aver firmato gli ultimi documenti che il colonnello le aveva lasciato sulla scrivania, si avviò con lo sguardo diritto a fare un giro all'armeria e ai posti di sentinella. Al suo arrivo i soldati si irrigidivano nel saluto militare.
Era una giornata tiepida, con un sole caldo ed una leggera brezza, tipica della stagione primaverile. 
Oscar chiuse gli occhi e respirò profondamente. 
Sentiva il vento sospingerle dolcemente i capelli, l'aria era fresca e pulita, dopo le prolungate piogge dei giorni precedenti, e si sentiva, quasi impercettibile, il profumo dei fiori di lillà provenire dai piccoli cespugli selvatici, cresciuti negli angoli più trascurati della caserma . 
Il silenzio di quel momento, l'aria tra i capelli e il delicato profumo dei fiori la portarono con la mente lontano da Parigi, ai giorni spensierati in cui si prendeva una pausa e con il suo attendente raggiungeva la sua tenuta di Arras. Ricordò la sua risata sincera ed allegra, era così reale, le sembrava di sentirla veramente...
Spalancò gli occhi. Udiva davvero la risata di un uomo, ed era quella di Andrè, mescolata ad un vociare infantile. Dio, da quanto non sentiva Andrè ridere così! Non potè resistere alla curiosità di capire cosa lo divertisse e seguì quei suoni.
Davanti alle stalle della caserma c'era un'ampia fontana, non elegante come quella di Palazzo Jarjayes, una grossolana vasca rettangolare, scrostata. Andrè si trovava lì dentro con un cavallo dal pelo scuro, e lo spazzolava ritmicamente, dandole le spalle. 
Ma non era solo. Cinque o sei ragazzini dall'età indecifrabile, tutti di piccola statura, dall'aria smunta ed emaciata, coperti di vestiti logori, gli stavano attorno, imitando i suoi gesti. Il più piccolo era sulle sue spalle, anche lui con una spazzola, e strigliava goffamente la criniera del cavallo.
Andrè dava indicazioni su come compiere il lavoro e i ragazzini lo seguivano con attenzione. Dovevano essere i figli dei soldati, venuti insieme alle madri a trovare i genitori.
Ad un certo punto Andrè condusse fuori dalla vasca il cavallo e lo riportò nella stalla. Tornò con la sua borsa ed estrasse alcune mele rosse. Oscar immaginò le avesse portate lì dopo il suo breve rientro a Palazzo. I bambini gridarono di gioia come di fronte al più inestimabile dei tesori. Andrè calcolò che non ne aveva una per tutti e per evitare discussioni, estrasse un piccolo coltello e le tagliò a metà. Adesso erano tutti seduti attorno a lui, sul bordo della vasca, e si godevano un piccolo momento di felicità, nella loro vita fatta di stenti.
Oscar guardava la scena seminascosta all'ombra di una colonna. Si sentiva una ladra colta a spiare qualcuno, ma ne era come rapita e non riusciva ad allontanarsi. Senza accorgersene, stava sorridendo. Andrè era così dolce, sembrava perfettamente a suo agio con quei bambini e lei era estasiata a guardarlo in un ruolo che non aveva mai immaginato per lui. Era bellissimo, questo le disse il suo cuore. E lei non lo mise a tacere, ascoltò le dolci parole che le sussurrava e guardò l'uomo che conosceva da sempre, con la camicia bagnata aderente alla pelle, i capelli arruffati e quella meravigliosa risata, in mezzo ad un nugolo di mocciosi adoranti. Allora il suo cuore la condusse più lontano, altrove, in un'immagine dove c'era anche lei, e i bambini erano bellissimi, con i capelli scuri e profondi occhi verdi, come i suoi...
“Ciao, Oscar” la sua voce la risvegliò come uno schiaffo e la riportò alla realtà. I bambini si stavano allontanando con le madri verso l'uscita della caserma e lui si stava asciugando le mani, mentre le si era avvicinato di qualche passo.
Oscar si sentì avvampare le guance, come se lui le avesse letto nel pensiero. Gli sorrise, quasi timidamente. 
Andrè pensò che era incantevole, che non la vedeva così serena e dolce con lui da tanto tempo. Ricambiò il suo sorriso, poi considerò che probabilmente era felice per la visita di Fersen, forse il loro era stato un incontro di riconciliazione, magari con buone prospettive per il futuro. E lui, lui era solo un povero illuso, destinato alla miseria e alla cecità, inabile ormai anche a fare il soldato semplice. Ma questa era la realtà, inutile continuare a negarlo. Era giunto il momento di affrontarla e anche di mantenere la sua promessa. In fondo, pensare che potesse essere felice almeno lei, era quasi una consolazione.
Con un passo si fece più vicino. Adesso, nonostante le pessime condizioni del suo occhio destro, poteva vederla nitidamente, in pieno sole. I riflessi dorati dei suoi capelli, mossi dal vento, il blu trasparente dei suoi occhi, la sua pelle diafana, con le guance lievemente arrossate...Riconobbe in quei lineamenti la sua Oscar, quella che era sempre stata, fin da quando l'aveva conosciuta, bambina. E controllando un dolore sordo ma profondo, suo compagno ormai da una vita, le disse piano “Rientro nei miei alloggi, per sistemarmi...”
Oscar teneva i suoi occhi inchiodati nello sguardo profondo di Andrè, quasi ipnotizzata. L'uomo esitò un istante, poi, con un movimento leggero della mano, le sistemò una ciocca sfuggita alla sua chioma e trattenuta sulle sue labbra e le sussurrò
“Sii felice, Oscar”
Rimase sconcertata da quelle parole, ma non fece in tempo a replicare che Andrè si era già diretto alla sua camerata. 
Nonostante l'intensità di quel breve incontro, Oscar percepiva un fondo di definitiva tristezza nelle parole dell'amico e una stretta allo stomaco che aveva il sapore di un addio.


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 Capitolo 4

Nel tardo pomeriggio un messaggero del Generale Bouille raggiunse gli uffici del Comandante della Guardia Nazionale con un dispaccio urgente. Dal giorno successivo gli uomini  comandati da Oscar avrebbero avuto il compito di tutelare l'ordine pubblico durante l'insediamento dei rappresentanti dei Tre Stati  nel Palazzo che ospitava la riunione degli Stati Generali, nonchè di sorvegliarlo all'esterno per tutta la durata dei lavori, con turni sicuramente prolungati oltre il dovuto.
Oscar lesse le indicazioni del Generale e pensò subito a come organizzarsi.  
Voleva avvisare immediatamente i suoi uomini e, sebbene fosse l'ultima serata di libera uscita,  intendeva assicurarsi  che non rientrassero  troppo tardi e ubriachi fradici, dal momento che non sapeva  quando avrebbe potuto permettere loro una pausa per ritemprarsi.
Decise quindi di convocare il colonnello D'Agoult nel suo ufficio.
"Colonnello, abbiamo ricevuto ordini pressanti, e molto gravosi, a partire da domani. So che gli uomini sono già in libera uscita, vorrei tuttavia il loro rientro per le dieci di stasera, allo scopo di aggiornarli prima che siano troppo ubriachi  o disfatti dall'ennesima rissa. Immagino conosciate i locali  dove sono soliti trascorrere le serate di libertà.  Vi chiedo di accompagnarmi per radunarli all'ora stabilita"
Il colonnello la fissò con un leggero imbarazzo.
"Comandante, concordo pienamente con voi, ma lasciate che mi occupi da solo di richiamare i soldati. Ecco...vorrei evitare di farvi addentrare  in quartieri della città che godono  di pessima reputazione e dove la vostra divisa di alto ufficiale non passerebbe inosservata..."
"Neanche la vostra, se è per questo" gli ribattè, aggrottando le sopracciglia.
"Comandante, vorrei aggiungere che, ehm, forse i soldati, che già non gradiranno l'interruzione  dai loro svaghi, potrebbero risentirsi e...insomma, non gradire la vostra presenza in locali dove gli incontri sono, come dire..."
"Ho capito, preferite evitare che metta piede in qualche squallido bordello..."
"Si, comandante" ammise D'Agoult , abbassando lo sguardo.
Riflettè un attimo e pensò che probabilmente il suo secondo aveva ragione.
Sapeva che, nonostante si fosse conquistata la loro stima,  i suoi militari non dimenticavano mai che fosse una donna.
"D'accordo, colonnello, vi aspetterò qui in caserma. Agite nei limiti che potete con discrezione. Non voglio uomini tirati fuori dai letti dei postriboli in mutande! Mi basta che siano tutti di rientro per le dieci"
Il colonnello chinò il capo in senso affermativo ed uscì.
Oscar si alzò e si diresse alla finestra.
Doveva organizzare le idee, pensare a un discorso per comunicare qualcosa di sgradito e gravoso per i suoi uomini, qualcosa che probabilmente molti di loro non condividevano, ma la sua mente fu presto rapita da altri pensieri.
Si chiedeva se anche Andrè quella sera fosse in qualche squallida taverna a bere vino scadente e a divertirsi con qualche sgualdrina...Perchè no? In fondo l'aveva visto uscire  con i suoi commilitoni, al tramonto, e dove altro poteva essere andato?
E' assurdo-pensava-mi fa male immaginarti con un'altra, anche se a pagamento, e se questo mio ordine potesse mandare a monte un  simile incontro , sarei quasi sollevata . Dio, ma cosa vado pensando! Sorrise, ridendo di se stessa.

Finalmente  sentì il rumore dei cavalli rieccheggiare  nel cortile deserto della caserma.
Si infilò i guanti, si abbottonò la giacca dell'uniforme  e si accinse a raggiungere i suoi uomini.
All'ingresso l'aspettava il colonnello D'Agoult: "Tutti presenti, tranne due, che stanno comunque rientrando"
"Ottimo, colonnello" rispose Oscar, e varcò la soglia della camerata.
Fu accolta da una scia di borbottii e lamentele, da sguardi già spenti dal troppo alcool.
"Soldati, ho purtroppo  ricevuto ordini molto impegnativi per noi dal Comando Generale di Parigi".
Ancora lamentele.
"Da domani saremo in servizio permanente  fuori dal palazzo degli Stati Generali"
Le sue parole furono seguite da un coro di NO.
Cercò invano tra quelle facce sfatte e rabbiose il volto solidale di Andrè, e non lo trovò. Ignorò a fatica una fitta di dolore.
"Cercate di riposare per questa notte, vi attendo pronti domani mattina alle 8.00 nel cortile"
Si girò per uscire, stavolta in un silenzio glaciale.
Prima di varcare definitivamente la porta si voltò a guardare i suoi uomini e con tono sincero aggiunse
"Vi avrei davvero voluto risparmiare tutto questo".

Era quasi mezzanotte ed Oscar non riusciva a dormire.
Nel corridoio fuori dal suo ufficio, avvolta nell'oscurità, fissava l'ingresso della caserma, attendendo il rientro di Andrè.
Era lì da più di un'ora, ormai.
Prima che si unisse ai suoi compagni, aveva incrociato Alain.
Cercando di dissimulare la sua ansia gli aveva chiesto di Andrè.
"Il colonnello D'Agoult ci ha trovati  tutti nello stesso bordello a Parigi, ma Andrè non è mai venuto a putt.. ,volevo dire,  a spassarsela con noi"
Spiò la reazione  di Oscar, che guardava imperturbabile l'oscurità davanti a lei.
"A parte che non penso Andrè abbia problemi a trovare una femmina disponibile, senza bisogno di pagarla,  perchè attira le donne come il miele le api... quando lo abbiamo provocato a riguardo ci ha risposto che non potrebbe mai divertirsi con  ragazze che si vendono, poco più che bambine, per povertà e disperazione! Ci ha detto che a guardarle gli torna in mente una certa Rosalie, conosciuta anni fa, e invece di sentirsi eccitato prova solo una grande tristezza "
Oscar abbassò il capo e non nascose un leggero sorriso.
Alain le si avvicinò, e chinandosi verso di lei aggiunse  " Ben strano il nostro Grandier, vero? Ma non so se vi convenga aspettarlo in piedi, domani sarà una giornata pesante anche per Voi, e torna sempre tardi quando va da Madame Dressie"
Non attese  la sua reazione e si allontanò salutandola "Buonanotte, Comandante"
Non era più riuscita a staccarsi dalla finestra.
Al sollievo per aver saputo che non frequentava donne di strada  era seguita la curiosità per la signora nominata dal suo amico.
Era ovvio che non si trattava della tenutaria di un  casino, ma allora chi era?
Andrè che attira le donne come il  miele le api... 
Maledizione, in parte sapeva che era vero.  
A Palazzo Jarjayes non c'era giovane cameriera che non avesse fatto un pensiero su di lui, e a Versailles  i sorrisini dietro ai ventagli di dame annoiate di tutte le età, rivolti al suo attendente, si sprecavano.
Non le era mai importato. L'indifferenza di Andrè per quei sordidi richiami  le aveva permesso di non sentirsi mai minacciata.
Lui non mancava mai, l'attendeva con quel dolce sorriso che c'era sempre per lei, solo per lei.
In quel momento lo vide rientrare. Le sembrò più stanco del solito, curvo sul suo cavallo.
Vorrei scendere adesso per riferirti io quello che ci attende domani, per darti la buonanotte con una carezza, ma ho paura che qualcunaltro ti abbia già consolato stanotte.
Dio, Oscar, domani ti aspetta una missione complicata, dovrai guidare i tuoi uomini cercando di evitare la necessità di un loro intervento contro la popolazione e tu stai qui a fantasticare su Andrè  e le sue avventure sotto le lenzuola!
Sei un soldato, maledizione, resta concentrata sui tuoi doveri!

Alle 8,00 in punto tutti i soldati erano schierati davanti a lei, ed il colonnello D'Agoult  al suo fianco.
Seria e concentrata,  questa volta si rivolse a loro evitando  appositamente di cercare lo sguardo di Andrè.
"Seguitemi al Palazzo dell'Assemblea degli Stati Generali e fate esattamente ciò che vi ordinerò.
A nessuno interessa, in fondo, se scoppieranno dei disordini e degli scontri tra noi e la popolazione.
Siamo gli unici in grado di evitarlo e forse i soli  davvero interessati a farlo". Girò il suo cavallo e si diressero a Parigi.
Dopo un paio d'ore  tutti gli uomini erano ai loro posti,  e Oscar assolutamente concentrata e determinata  ad eseguire gli ordini in modo impeccabile.
Il loro turno si protrasse per l'intera giornata e continuò per buona parte della notte, fortunatamente senza incidenti.
Solo alle prime luci dell'alba, la compagnia A dei Soldati della Guardia giunse sul posto per dare il cambio agli uomini di Oscar.
Era esausta per la tensione accumulata, per la pioggia che quel giorno non aveva dato un attimo di tregua, per tutti i problemi che emergevano  nell'assemblea e che ritardavano l'inizio dei lavori.
Se la convocazione degli Stati Generali, in cui il popolo riponeva tutta la sua fiducia per risollevarsi  dalla miseria, avesse fallito, non riusciva ad immaginare le conseguenze per la Francia e la Corona.
Avrebbe desiderato tornare a Palazzo Jarjayes, magari facendosi accompagnare da Andrè, ma non sapeva per quanto tempo gli avrebbero lasciati tranquilli, in caserma, così decise di fermarsi a Parigi e, dopo una rapida rinfrescata, si recò nel suo ufficio per firmare le ultime carte che il colonnello D'Agoult le aveva preparato.
Leggeva rapidamente i documenti, tenendo a mezz'aria  la penna intinta di inchiostro, ed altrettanto rapidamente apponeva la sua firma.
Poi improvvisamente si fermò, e si sentì gelare il sangue.  
"Congedo definitivo del soldato semplice Andrè Grandier"...Oscar  sbarrò gli occhi e scorse rapidamente il foglio  per arrivare a  leggere le motivazioni.
"...causa cecità imminente, comprovata da lettera del dottor..." Spostò la sua attenzione  su quest'ultimo foglio: era davvero la calligrafia del medico che anche lei conosceva.
Dalla penna sgocciolava lentamente l'inchiostro, ma lei restava immobile, impietrita.
Rammentò di non averlo visto  per tutta la giornata, ma in fondo di non averlo nemmeno cercato, volontariamente.
Andrè se ne era andato, e stava perdendo definitivamente la vista.  
Ricordò di come l'aveva salutata  solo due giorni prima  e capì che già allora sapeva  che si sarebbe congedato, e non gliel'aveva detto.
Non era stata felice  di vederlo tra i soldati della Guardia Nazionale   dopo la dolorosa confessione del suo amore per lei, ma in realtà questa sensazione era durata davvero poco,  sostituita da una sorta di sollievo e serenità, sulle cui origini   non si era, ovviamente,  fermata a riflettere , come sempre, quando  qualcosa faceva vibrare le corde del suo cuore
E adessso sentiva una voce  martellare nella sua testa che era rimasta  definitivamente sola.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5 Entra in scena un nuovo personaggio femminile, determinante per questa fic... e si capisce che Andrè sta per dare una svolta alla sua vita (o almeno crede)
Domani parto, se vorrete potrete leggere il resto della storia tra una settimana
Grazie a tutte/i i fanlettori , senza di voi scrivere non avrebbe senso!

Capitolo 5

Andrè arrivò alla tenuta di Madame Dressie  con le prime  luci dell'alba.
Era un'elegante ma sobria dimora alle porte di Parigi, immersa nel verde ai piedi delle dolci colline che delimitavano la periferia settentrionale della capitale.
Oltre alla villa padronale era dotata di una piccola depandance, dove Andrè aveva insistito per sistemarsi, nonostante l'offerta della proprietaria di ospitarlo nell'edificio principale.
Therese Dressie era stata l'unica luce in un periodo terribilmente buio della sua vita.
Non si frequentavano da molto, ma l'intelligenza e la sensibilità della donna avevano contribuito  a farlo sentire immediatamente a suo agio con lei.
L'aveva conosciuta subito dopo essersi arruolato nella Guardia Nazionale, tramite la dolce Diane, sorella di Alain.  
Andrè le aveva confidato le sue difficoltà nella lettura, a causa del progressivo peggioramento della vista, e di quanto ne soffrisse,  tanto più che i libri erano diventati la sua unica compagnia  nei momenti liberi, dopo la rottura con Oscar.
E l'unico passatempo che riuscisse ad attenuare le sue angosce ed il bisogno di affogarle nell'alcool.
Therese Dressie aveva fatto della lettura e della scrittura per gli altri una sorta di lavoro (1) .
Le si rivolgevano facoltosi commercianti analfabeti per la loro corrispondenza; nobili o facoltosi  borghesi per  la lettura di un romanzo o di un recente trattato  letterario; amava lei stessa intrattenersi con la musica e la letteratura e poterle  condividere con chi non aveva avuto i mezzi per ricevere un'adeguata educazione, ma aveva la naturale sensibilità per apprezzarle.  
E non disdegnava  di leggere le lettere appassionate e i teneri messaggi amorosi che giovani e fanciulle, come Diane, le portavano, contando sulla sua discrezione e la sua affettuosa complicità.
Quando le era stato presentato il giovane soldato, aveva immediatamente riconosciuto il ragazzo dai lunghi capelli scuri e dai sinceri occhi verdi che frequentava, come lei, le riunioni clandestine nella piccola chiesetta di campagna  qualche tempo addietro.  
L'aveva notato perchè non era mai riuscita a capire chi fosse e cosa facesse nella vita.
Arrivava da solo, non interveniva mai, ma non si perdeva una sola parola.
Ricordò di averlo visto una sola volta in compagnia di una persona, evidentemente  un personaggio importante, dal momento che faceva di tutto per mimetizzarsi e nascondere il suo volto, diversamente da lui.
Poi era sparito nel nulla e a lei erano rimaste aperte tutte le domande sulla sua identità.
In memoria di questa iniziale "conoscenza" e della simpatia che già allora le aveva ispirato, Therese non aveva mai voluto accettare compensi da lui.  
Andrè  le piaceva: era dolce e determinato, aveva modi gentili ma spontanei, emanava la grandezza che solo  un forte sentimento e un grande cuore conferiscono ad un uomo.
Lui aveva sostituito in breve  tempo le nottate ad ubriacarsi per dimenticare gli occhi blu del suo comandante con le serate da Therese, ad ascoltare le sue letture, a commentare insieme gli avvenimenti di quel periodo o semplicemente a rilassarsi godendo del suo talento al pianoforte.
Era una donna piena di vita e di ottimismo, che irradiava una forza solare, così  diversa dalla cieca determinazione  autodistruttiva che ormai guidava le scelte di Oscar.
Il primo romanzo che Therese gli aveva proposto  per le loro letture fu "La nuova Eloisa" (2) di Russeau.
Andrè rimase colpito dalla perspicacia della donna e di lì a poco le aveva aperto il suo cuore, parlandole di Oscar e della vita trascorsa  al suo fianco.
Era incredibile come la possibilità di confidarsi  ed essere ascoltato avesse alleggerito il suo animo.
Sua nonna e Alain avevano intuito i suoi sentimenti e mai cercato di approfondire con lui; Oscar gli aveva severamente precluso  ogni possibilità di aggiungere  una sola parola a quelle già dette.
Therese non aveva fatto molti commenti ai suoi racconti, ma una sera, poco prima dell'incidente a St. Antoine, aveva affermato, con tono sicuro "Oscar vi ama, Andrè"
"No, vi sbagliate. Per Oscar  sono un fratello che, innamorandosi di lei, ha commesso un peccato mortale, incestuoso".
Therese si era limitato a fissarlo, scuotendo la testa.
"Ho visto Oscar innamorata, con gli occhi sognanti  e un tumulto nel cuore trattenuto a stento, ovviamente per un altro uomo, e non si è mai comportata così con me"
"Suvvia, Andrè, siete stato voi a raccontarmi che ha offerto la sua vita in cambio della vostra davanti a Sua Maestà,  che ha liberato il Cavaliere  Nero perchè voi gliel'avete chiesto, deludendo le aspettative di suo padre, e anche adesso non vi ha allontanato  dalla Guardia Nazionale, quando le basterebbero poche righe per farvi trasferire ad un altro reggimento.
Lei vi ama, come sa fare. Ricordate che è stata allevata come un uomo..."
"Ma per un uomo si è vestita da donna- la interruppè Andrè- una sola volta..."
E si coprì gli occhi con la mano, perchè la visione di Oscar in abito da sera  era così vivida nella sua memoria,  come la sofferenza di sapere per chi lo aveva fatto.
"Occhi sognanti, abiti e lustrini! Andrè, queste sono le fantasie di una ragazzina, non l'amore di una donna..."
"E se anche fosse? Se aveste ragione voi e Oscar mi amasse, quasi senza saperlo, che cosa cambierebbe, per me?"
"Su questo concordo con voi, Andrè- aveva concluso Therese- una amore che non sia riconosciuto e vissuto è come un fiore lasciato a seccare e dimenticato tra le pagine di un libro"

Dopo l'episodio dell'aggressione a St. Antoine,  quando aveva preso la sua decisione, Therese era stata la prima ed unica persona con cui si era confidato e la sola a cui sentisse di poter  chiedere  aiuto.
"Non approvate vero, M.me Dressie?" le aveva chiesto subito dopo averle rivelato i suoi propositi.
Therese gli si era avvicinata con un dolce sorriso, gli aveva accarezzato il viso, sfiorando la cicatrice sulla guancia sinistra e gli aveva  semplicemente  risposto "Potete venire qui quando volete  e per tutto il tempo che vi servirà, Andrè. Disponete  di casa mia come fosse vostra"
Andrè era commosso da tanta generosità, e aveva interpretato come un segno del destino la possibilità di risolvere così rapidamente  il problema della sua futura sistemazione.
Era rientrato in seguito all'ordine di D'Agoult, al quale aveva chiesto una licenza prima della firma del Comandante sul suo congedo definitivo.
Infine, col cuore a pezzi, ma senza esitazioni,  aveva riempito un sacco delle sue poche cose, aveva scritto due righe ad Alain e prima che fosse giorno era uscito dalla caserma e dalla vita di Oscar.

Due piccole note:
1-  la figura di Therese è ispirata ad un ruolo realmente esistente  nelle società con un diffuso analfabetismo, che riguardava tutte le classi sociali, come nella Francia di fine '700, dove pochissime persone venivano istruite a leggere e scrivere
2- Storia d'amore tra una giovane  nobile e un popolano; lei è costretta a sposare un marchese che prende come precettore l'innamorato segreto della moglie. Passano la loro esistenza desiderandosi senza però cedere al peccato. Solo in punto di morte lei gli confiderà tutto il suo amore.  Nel manga è Girodel a consigliare ad Andrè la lettura del romanzo di Russeau, quando chiede la mano di Oscar, per fargli capire come possono andare a finire le cose quando si ama una persona di diversa classe sociale...che simpatico! 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6 Eccomi tornata nel caldo africano! Nel frattempo è arrivato l'aggiornamento del mio nuovo nickname, ma sono sempre io...


Capitolo 6

I giorni che seguirono  furono molto impegnativi per la Compagnia B  dei Soldati della Guardia.
Ore ed ore  in servizio  fuori dal Palazzo dove erano riuniti i rappresentanti dei Tre Stati, senza peraltro che la situazione dei lavori si sbloccasse.
Oscar visse quelle settimane completamente assorbita dai suoi compiti,  concentrata ad occuparsi unicamente delle condizioni dei suoi uomini.
Trascorse molte ore sotto la pioggia,  con la divisa ed i capelli  zuppi d'acqua, ignorando la debolezza che sentiva crescere, la febbriciattola persistente, mangiando poco e riposando ancora meno. E non per senso del dovere, o almeno non solo per quello.
E' che nulla le importava più, non sentiva altro scopo che eseguire gli ordini e non c'era pasto o ora di sonno che la facesse sentire ritemprata.
Alain era l'unico ad aver notato il suo comportamento e, senza troppe riflessioni, lo aveva associato al congedo di Andrè.
Sull'argomento il comandante  gli aveva rivolto la parola solo una volta.
"Da quanto  sapevi che Andrè stava perdendo la vista dall'occhio destro?"
Gliel'aveva gettato in faccia quasi fosse   responsabile di come erano andate  le cose tra loro. E Alain si era irritato, e nonostante i gradi e il titolo nobiliare le aveva risposto in modo velenoso
"Non l'ha mai detto apertamente, ma ce ne eravamo accorti tutti, comandante.  Se solo ogni tanto voi l'aveste guardato, guardato veramente..."
Sapeva di farle male e aveva voluto fargliene. Oscar si era come rinchiusa in sè dopo quella risposta e non aveva più aggiunto una parola a riguardo.
Adesso la guardava  passeggiare davanti a loro, avanti e indietro col suo passo marziale,  sotto  la pioggia battente, con lo sguardo glaciale e il viso pallidissimo, e si convinse che stesse cercando di punirsi, in qualche modo.
Un soldato la raggiunse correndo e la informò che era attessa dal colonnello Le Baume, inviato dal generale Bouille, all'ingresso principale del palazzo per ricevere aggiornamenti. Alzò lo sguardo su Alain e gli ordinò di venire con lei.
"L'ordine del Re è di sgombrare il palazzo con la forza, se necessario. I rappresentanti del Clero e della Nobiltà stanno già lasciando il salone, ma i rappresentanti del popolo rifiutano di considerare sciolta l'assemblea"
"Mi state chiedendo di entrare lì dentro e di alzare le armi su uomini inermi, che si trovano lì per volere del popolo francese?"  replicò la donna urlando, e accompagnò queste parole con un gesto del braccio ad indicare la folla radunata davanti a loro.
"Non ve lo sto chiedendo, comandante, ve lo sto ordinando, perchè questa è la volontà del Re!"
"No, non lo farò, non darò MAI un simile ordine ai miei uomini!"
Girò sui tacchi  e si allontanò, prontamente seguita da Alain, mentre rieccheggiavano le grida del colonnello
"La pagherete, Jarjayes, questa è insubordinazione!"
Oscar si avviò a grandi passi verso il colonnello D'Agoult.
"Alain, porta qui il mio cavallo" poi rivolgendosi al suo secondo continuò "vi lascio il comando. Devo parlare con la massima urgenza a Sua Maestà la Regina" concluse, montando in groppa a Cesar, e si allontanò rapidamente, sola nella pioggia.

Quando raggiunse Versailles era il primo pomeriggio e aveva smesso di piovere.
Oscar si sistemò i capelli e l'uniforme mentre aspettava l'arrivo della regina, con uno strano stato d'animo.
Doveva solo alla sua antica amicizia il fatto di essere ricevuta da sua Maestà senza preavviso, e ciononostante non sapeva più se si sentisse amica di quella donna...
Troppe scelte, troppo diverse...ma in fondo Maria Antonietta su tanti aspetti della sua vita non aveva potuto scegliere, come lei, d'altronde. Poi pensò alla miseria  di migliaia di francesi, senza possibilità di riscatto, e si sentì meschina per le sue giustificazioni.
Alla fine il rumore della porta e l'arrivo della sovrana la riportarono alla realtà e allo scopo della sua visita.
Guardò Maria Antonietta e la trovò così cambiata, quasi sfiorita; non era passato un mese dalla morte di suo figlio Joseph.
"Penserà lo stesso di me, fradicia di pioggia e di fatica"  
La regina le si avvicinò, sfoggiando il suo miglior sorriso
"Sono così lieta di vedervi, Oscar"
"Spero stiate bene Maestà, e grazie per avermi ricevuto senza preavviso"
Maria Antonietta le sorrise con simpatia
"Maestà,  sono qui per supplicarvi di intercedere presso il Re per  revocare lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale"
A queste parole la regina parve quasi infastidita.
"I rappresentanti del Terzo Stato  sono una massa di reazionari che intendono semplicemente  esautorare il Re dei suoi poteri,  poteri che gli sono stati conferiti da Dio! Come potete difendere la causa di quella plebaglia, proprio voi, madamigella,  che siete stata quasi linciata senza nessun motivo e nessuna colpa!"
"E invece è proprio perchè ho sperimentato la violenza di cui il popolo  è capace che eviterei di provocarlo, screditando i suoi rappresentanti!"
"Mi dispiace, madamigella Oscar, ma non posso accontentarvi, ormai è tutto deciso..."
Calò un lungo minuto di silenzio  tra le due donne, in cui entrambe pensarono a quanto si fossero sentite vicine anni addietro e a come  fossero ora irrimediabilmente lontane.
Oscar concluse il loro incontro con un inchino, e si allontanò senza aggiungere una parola.
Mentre rimontava in sella a Cesar vide in lontananza un uomo  con la divisa della sua compagnia  che si avvicinava al galoppo.
Quando riconobbe il  colonnello D'Agoult gli corse incontro.
"Cosa è successo, colonnello? Perchè siete qui? Dove sono i miei uomini?"
"Comandante, il generale Bouille in persona ha voluto assumere il comando, considerando la vostra assenza un atto di insubordinazione e sospendendo me per non aver fatto eseguire gli ordini. La maggior parte dei soldati si è rifiutata di ubbidire al generale, ribadendo la loro fedeltà a voi e sono stati arrestati dai soldati della Guardia Reale e condotti alle prigioni di Abbaye. Verranno condannati a morte per diserzione"
Oscar lo  fissava col viso terreo, stringendo le redini.
"Voi tornate in caserma, io cercherò un modo per tirare fuori di prigione  i nostri ragazzi" e con un colpo di talloni ripartì al galoppo, lasciando la reggia alle sue spalle.

Le ci vollero pochi minuti per raggiungere la sede del Comando della Guardia Reale,  sita a pochi chilometri da Versailles.
Chiese di essere ricevuta dal colonnello Girodel, che non la fece attendere.
"Madamigella Oscar, è così bello rivedervi, anche se in una situazione così tragica. Il generale Bouille  era letteralmente furioso con voi e non so se vi rendiate conto in quale tremenda posizione  avete messo la vostra persona e l'intera Compagnia, per non parlare della vostra famiglia".
Oscar cercò di reprimere l'irritazione  provocata da quelle parole.
"Sono qui per questo, Girodel. I miei soldati non c'entrano niente. Arrestate me e liberate loro. Hanno semplicemente seguito i miei ordini"
Girodel le si avvicinò sorridendo
"Non cambierete mai, vero, Oscar? Ma qui non si tratta di salvare la testa di un attendente per il capitombolo di una principessa, lo capite? I vostri uomini sapevano bene che gli ordini del generale annullavano i vostri, conoscono le gerarchie militari. Il generale ne vuole fare un esempio per disincentivare analoghi  comportamenti in altri corpi dell'esercito, i cui membri provengono dal popolo.  L'ultima cosa che gli serve è prendersela con una nobile, figlia di un caro amico  e da sempre nelle simpatie della regina"
Oscar avrebbe voluto urlare dalla rabbia, per il senso di impotenza che provava.
Cadde sulle ginocchia ed abbassò il capo, sforzandosi di trattenere le lacrime.
Girodel si chinò davanti a lei.
"Oscar..." e allungò una mano per sfiorarle i capelli, ma si fermò trafitto dal gelido sguardo che gli rivolse mentre alzava di scatto la testa.
"Concedetemi almeno una visita per vederli e...congedarmi da loro"
Girodel si alzò e si avvicinò alla porta
"Come volete, madamigella Oscar. Attendete qui. Vi farò consegnare il lasciapassare con la mia firma. Ma poi sparite, ve ne prego- concluse voltandosi verso di lei- lasciate che si spenga il clamore di questa vicenda, non armate  i vostri nemici di validi pretesti per chiedere al re la corte marziale anche per voi!"
Oscar lesse quasi una supplica negli occhi del suo ex vice, dettata dallo stesso sentimento  che qualche mese prima lo aveva indotto  a chiederla in moglie, e annuì senza parlare.
Girodel fu di parola, e pochi minuti dopo Oscar cavalcava spronando Cesar, diretta alla prigione militare di Abbaye.

Una guardia la condusse  stancamente lungo una scala a chiocciola verso la cella della torre.  
Oscar dovette appoggiarsi all'umido muro della prigione, colta da un senso crescente di spossatezza.
"Non posso mollare ora"  andava ripetendosi nella mente. 
Quando giunsero al pesante portone in ferro  che rinchiudeva Alain e gli altri, il carceriere lo aprì e la spinse dentro malamente sibilando "Avete due minuti"
Oscar piombò nella quasi totale oscurità e le ci vollero alcuni secondi  di adattamento prima  di scorgere le sagome di una dozzina  dei suoi uomini addossate alle pareti e, tra queste, il volto familiare di Alain.
"Alain, soldati, sono io! Il vostro comandante!"
Li vide muoversi, come scuotendosi da una sorta di torpore. Fu Alain a parlare sopra il vociare sorpreso dei suoi compagni.
"Hanno arrestato anche voi? Non intendono  eseguire un regolare processo nemmeno con voi?"
"No, Alain, non mi hano ancora arrestato, ma non ci vorrà molto.  Devo tentare il tutto per tutto  prima che sia troppo tardi.
Ascolta Alain, non ho tanto tempo per parlare con voi , però ho un piano che potrebbe funzionare e, ecco,  io volevo chiederti se... insomma, avrei bisogno di sapere dov'è Andrè, se tu lo sai..."
Anche nel buio della cella l'uomo potè notare  che aveva tenuto gli occhi bassi nel fargli questa domanda e che le sue pallidissime guance si erano di colpo colorite.
In un'altra occasione  non si sarebbe trattenuto dal punzecchiarla per questa  sua piccola dimostrazione di imbarazzo e vergogna, ma consapevole del momento critico e della serietà della sua richiesta, le rispose come di fronte ad un ordine.
"Vive da Madame Dressie" e le fornì rapidamente le indicazioni per raggiungere la nuova dimora del suo amico.

Il sole era vicino al tramonto quando finalmente Oscar varcò i cancelli della tenuta di Madame Dressie.
La pioggia del mattino le si era asciugata addosso, non aveva mangiato nulla per l'intera giornata, era stata per ore in sella al suo Cesar e tutta la stanchezza accumulata le calò addosso, come un pesante mantello.
Smontò da cavallo  e si diresse all'ingresso della villa, improvvisamente titubante.
Non sapeva quale situazione  l'attendeva oltre quella porta. Soprattutto, non era certa che l'avrebbe sopportata. Per quel che ne sapeva lei, avrebbe potuto aprire la porta  Madame Grandier.
"Al diavolo!- si disse-c'è in gioco la vita di dodici uomini, tra i quali un suo caro amico. Anche se si è rifatto una vita, Andrè rimane un uomo generoso e altruista, mi aiuterà"
E con questo pensiero trovò il coraggio di battere alla porta.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7 E finalmente l'incontro tra Oscar  e Therese....

Capitolo 7

Oscar si guardava attorno, nervosa. In lontananza, oltre la porta, le giungevano chiaramente le note di un pianoforte, che con il suo arrivo aveva interrotto.
Tuttavia non dovette attendere molto. 
Le aprì una signora, sulla cinquantina, i cui lineamenti tradivano una evidente bellezza in età giovanile.
Aveva una folta chioma argentata raccolta in una semplice acconciatura, che conferiva tuttavia una notevole eleganza al suo volto.
Di sicuro non aveva l'aspetto ed il portamento di una domestica. Oscar rimase un attimo interdetta  e la sua ospite  approfittò di questa esitazione per rompere il silenzio, sorridendole.
"Buonasera , Colonnello de Jarjayes. Sono Therese Dressie, prego, accomodatevi!"

 Lo stupore della giovane crebbe ulteriormente.
Andrè doveva aver parlato a lungo di lei perchè riuscisse a riconoscerla senza averla mai vista prima.
Ma che tipo di rapporto poteva esserci tra lui e una donna così? E perchè una persona  che viveva in una dimora signorile apriva personalmente la porta di casa, senza lasciare l'incombenza a  domestici?
Questi furono i suoi ultimi pensieri coerenti prima di avvertire un intenso capogiro e la sensazione di perdere le forze.   

 
Quando si riprese, Oscar era sdraiata  in un letto, vestita solo della sua camicia e, dalla luce delle candele accese, capì che il sole  era tramontato da un pezzo. A fatica mise a fuoco la sagoma di una persona accanto a lei, poi, riconosciuta la figura di Madame Dressie, ricordò immediatamente  il motivo per cui si trovava lì.
"Devo  urgentemente parlare con Andrè Grandier" le disse con un filo di voce, ma determinata.
Therese  si alzò, voltando lo sguardo ai piedi del letto.
Fu allora che si accorse di Andrè.
Appoggiato alla colonna di legno del baldacchino, fissava un punto indefinito davanti a se.
"Oh, Andrè..." le uscì dalle labbra, come un sussurro di sollievo.
Il solo vederlo le scatenò una tempesta nel cuore: gioia perchè era lì con lei, mescolata alla terribile nostalgia  che aveva provato per lui e che aveva represso  durante  quel periodo di separazione e il desiderio di essergli vicino, di confortarlo per la perdita dell' unico occhio rimastogli.
Andrè le si avvicinò,  mantenendo lo sguardo fisso davanti a se, seguendo con le dita il bordo del letto.
Therese gli tocco il braccio, lasciandogli il suo posto  e si congedò da loro.
L'uomo  si avvicinò ulteriormente, sfiorando le lenzuola con la mano destra, poi le sue dita  incontrarono quelle affusolate  e sottili di Oscar, che gli prese la mano, attirandolo verso di se. Sentì alle sue spalle la sedia lasciata vuota da madame Dressie e si accomodò, mentre Oscar continuava a trattenere la mano nella sua.
Non riusciva a parlare, sopraffatto dalle emozioni che provava; il cuore gli martellava nel petto, come non gli capitava da qualche settimana e sentiva  quell'attrazione irresistibile verso di lei e la sua vita, quel laccio  che lo legava a lei contro ogni ragionevolezza e quasi contro gli eventi, che tendevano a separarli . Ma soprattutto si sentì semplicemente felice.
Ormai con la flebile luce di una candela Andrè  distingueva appena la sagoma della donna e non poteva  vedere con quali occhi colmi di lacrime ed emozioni lo fissava.
"Devo parlarti, Andrè -pensava - devo spiegarti il mio piano per salvare Alain e gli altri soldati, devo raccontarti in che guaio sono finita, ma è così bello averti qui, vicino a me, e non riesco a staccarmi dal calore della tua mano. E i tuoi occhi, Andrè! Perchè non mi hai parlato dei tuoi occhi, perchè non mi hai voluto vicino?"
L'uomo interruppe il flusso dei suoi pensieri rompendo il silenzio
"Hai detto di dovermi parlare, Oscar. Sono qui, ti ascolto"
Oscar non fu certa di interpretare il tono con cui  le si rivolse e, quasi riscuotendosi, ritirò la mano dalla sua.
"Ho ignorato l'ordine del generale Bouille di sgomberare i rappresentanti del Terzo Stato dall'aula dell'Assemblea"
"Lo so" la interruppe Andrè e, quasi intuendo la sua incredulità spiegò "Madame Dressie era tra la folla fuori dal palazzo dell'Assemblea, questa mattina"
Oscar provò per l'ennesima volta stupore ed incredulità per ciò che riguardava quella donna, ma non si fece distrarre.
"Alain e altri 12 tuoi compagni sono stati arrestati e verranno condannati a morte per insubordinazione  per essermi stati fedeli.
Io stessa sarò presto, diciamo, "ricercata" dall'esercito e comunque mi hanno attualmente destituita.
Vorrei mettermi in contatto con Bernard per chiedergli aiuto, e tu sai dove trovarlo.
Se richiamasse una folla fuori dal carcere militare chiedendo la liberazione dei prigionieri, forse il Re la decreterebbe, per evitare inutili disordini. Puoi garantire a Bernard che l'esercito non interverrà  con la forza per sedare i manifestanti, spiegherò al colonnello D'Agoult come agire. E' una persona affidabile e di buon senso"
Quando ebbe concluso, Oscar si sentì esausta.
Andrè attese che finisse il suo discorso, poi si alzò dicendole
"Ho capito perfettamente, Oscar. Andrò subito a parlare con Bernard. Tu cerca di riposarti" e si alzò per andarsene.
"Andrè, aspetta" L'uomo si fermò, voltandosi appena.
"Adesso è troppo buio per la tua vista, vai pure quando sorgerà il sole..."
"Per me Oscar è ormai quasi sempre buio, mi sto abituando" sorrise ironico, girandosi nuovamente verso la porta.
"Ancora una cosa, Andrè. " Questa volta il giovane si bloccò con la mano sulla maniglia, senza voltarsi .
"Farei qualsiasi cosa per salvare i miei uomini, anche offrire la mia stessa vita, se servisse.
Ma se qualcosa andasse storto, se tu dovessi trovarti in pericolo, ti prego, lascia perdere e torna qui.
Io non potrei...la tua vita per me vale....vale più di tutto, Andrè"
L'uomo sentì un tremito, come se una scossa lo avesse attraversato e percepì nuovamente il desiderio di spingersi oltre il confine che sentiva esistere tra loro, da sempre.
Ma poi ricordò il dolore per come lo aveva respinto, la promessa che le aveva fatto allora e il suo giuramento durante la notte di St.Antoine. Annuì stancamente e uscì, senza una parola.
Dalle cucine lo raggiunse nell'ingresso la padrona di casa.
"Devo andare a Parigi da un amico, per conto di Oscar" le riferì laconico.
"Porta con te Gustave" rispose Therese, indicando un ragazzino in piedi vicino alle scale, che senza attendere risposta, uscì per preparare i cavalli.
Andrè prese due mantelli, in previsione dell'ennesimo  temporale.
"Andrè" lo richiamò Therese
"Si?"
"Torna presto, ha la febbre alta" disse la donna indicando la stanza dove riposava Oscar.
Andrè si avviò  verso Parigi insieme al suo fedele compagno, con l'intenzione di tornare il prima possibile a casa Dressie.

Era quasi mezzanotte e Andrè tornava sul suo cavallo, affiancato dal puledro cavalcato da Gustave.
Avrebbe voluto  lanciarsi al galoppo, correre più veloce del vento per tornare da Oscar. Ma sapeva che non gli era più possibile.
E che se poteva muoversi a quell'ora della notte lo doveva alla preziosa compagnia di Gustave.
Il suo giovane amico era un orfano dall'età sconosciuta,  che  aveva salvato dal suo sfruttatore settimane addietro, pochi giorni dopo il suo trasferimento a casa Dressie, quando aveva accompagnato Therese al mercato, con l'intenzione di aiutarla e fare un saluto a Rosalie. Non aveva retto alla scena del piccolo preso a frustate da un uomo che vendeva fascine di legna, ed era intervenuto strappandogli la frusta in modo rabbioso. Si era rivolto al ragazzino chiedendogli se fosse suo padre, ma prima che potesse rispondere si era sentita la fragorosa risata dell'uomo
"Figlio mio questo cane rognoso che non sa nemmeno parlare?"
Andrè non lo aveva neanche degnato di uno sguardo e tendendo la mano al bambino gli aveva semplicemente detto "Vieni con me"
Il piccolo si era messo subito al suo fianco, nascondendosi dietro al suo corpo, intimorito.
"Ehi, un momento, bellimbusto! L'ho regolarmente pagato per cinque monete!"
"Tu cosa?" gli ringhiò Andrè, pieno d'ira.
L'uomo lo fissò attentamente per un istante. Non poteva esserne certo, ma dal suo abbigliamento e dai modi poteva trattarsi di un ricco borghese e perfino di un nobile, in vena di gesti generosi. Spostò lo sguardo sul suo schiavo vestito di stracci e pensò che non ne valeva la pena.
E fu così che Andrè portò a casa Dressie un nuovo ospite e poichè non sembrava possedere nemmeno un nome, lo chiamò Gustave.
Doveva avere supergiù 11 o 12 anni. Difficile capire da dove venisse; pur comprendendo perfettamente quello che gli veniva detto, Gustave parlava molto poco, e male.
Dal momento del loro incontro Gustave non si era più separato da Andrè; lo aiutava in tutte quelle incombenze rese difficli dalla sua vista, spesso anticipando le sue richieste, e nel contempo Andrè gli insegnava a fare tutto quello che sapeva, soprattutto con i cavalli. E gli insegnava a parlare. L'aveva ripulito, gli dava da mangiare e tra i due era nato subito un affetto reciproco.
Madame Dressie aveva guardato Andrè con aria interrogativa, quando era intervenuto di fronte ai maltrattamenti  su quel piccolo sconosciuto. "Mi farò carico io di tutto ciò che lo riguarda" aveva chiarito subito.
"Non mi preoccupo di questo, Andrè. Mi chiedevo solo perchè..."
"Perchè potevo essere io, poteva essere il mio destino se non mi avessero voluto a Palazzo Jarjayes"
Lei gli aveva posato una mano sulla spalla, con un gesto complice.
"Se penso che questa gente, così crudele con gli orfani, è la stessa che inveisce contro i soprusi  dei nobili...Io sono cresciuto al servizio di una famiglia di conti, molto in vista, e non sono mai stato trattato così" aveva riflettuto quasi tra se e se.
"E' così, Andrè. Il bene e il male non sono mai tutti da una parte" aveva replicato la donna.

Quando finalmente varcò i cancelli della tenuta, Gustave smontò da cavallo e prese le redini di quello di Andrè, anticipando la sua richiesta e lasciandolo così libero di raggiungere subito  la sua amica.
Andrè fu accolto da Madame Dressie, che usciva dalla stanza dove  riposava Oscar.
"La febbre è salita, continuava ad agitarsi e a delirare. Adesso le ho dato un infuso di valeriana e passiflora, riposerà."
Andrè si fermò sulla porta, quasi indeciso se entrare o meno. Le ultime parole di Therese lo convinsero.
"Ha continuato a chiamarti, Andrè"
La stanza era praticamente buia, era rimasta accesa  solo una lanterna ad olio sul comodino.
L'uomo si sedette sul bordo del letto, sospirando. Percepiva l'mmobilità della donna, il respiro regolare dettato dal sonno.
"Ho parlato con Bernard, Oscar, come mi  hai chiesto. Verrà qui domani per prendere accordi con te "
Non si decideva ad allontanarsi e ad andare a letto.
"Sono felice di averti incontrato nuovamente,  e ancor di più di esserti stato di aiuto. Non capitava ormai da tanto tempo.
Ma anche se mi sono allontanato, se ho rinunciato all'unica cosa che mi era rimasta del mio amore per te, accompagnarti e stare al tuo fianco, non ho mai smesso di pensare a te...tu, Oscar sei il mio solo destino, e io posso soltanto amarti, senza mai nessun freno"(1)
Si chinò su di lei e la baciò, delicatamente, trattenendo le sue labbra in un tenero bacio, che non avrebbe mai voluto concludere.
Ma si staccò infine da lei, sfiorandole il viso con la mano e col sapore delle sue labbra raggiunse le sue stanze.


(1) da una canzone bellissima di Marco Mengoni, che mi ha  fatto  pensare ad Oscar ed Andrè dalla prima volta che l'ho sentita

 


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8 Questo è un capitolo un po' lento , centrato su un dialogo tra oscar e therese.  Emergono dettagli sul personaggio di M.me Dressie e , dopo l'accenno nel capitolo 3,  si dovrebbe capire  a cosa si riferisce il titolo della fic....


Capitolo 8

Oscar si svegliò lentamente. Sentì dapprima il cinguettio degli uccelli, proveniente dal giardino, poi i raggi di luce smorzati dal tendaggio parzialmente accostato ai vetri, infine passi veloci e leggeri aldilà della porta.
Le ci vollero alcuni secondi per ricordare dov'era, e questa consapevolezza la riempì di gioia.
Era da Andrè. A  casa di una signora gentile e generosa, che non era la sua donna!
Si sentiva bene, riposata e in forze.
Sul comodino accanto al suo letto qualcuno aveva lasciato un semplice vaso con fiori bianchi e violetti, il cui delicato profumo riempiva la stanza.
Allontanò le lenzuola e scese dal letto. Vestiva unicamente con la camicia  che portava sotto la divisa: non c'era traccia dei pantaloni, della giacca e dei suoi stivali.
In compenso, su una poltrona vicino al letto, era stata lasciata una vestaglia da camera, di taglio maschile. Oscar la indossò e si avvicinò alle finestre, per scostare le tende ed aprire le vetrate.
La camera dava su un ampio balcone pieno di fiori, con un piccolo tavolino e due sedie, dal quale si godeva una deliziosa quanto intima vista del giardino della tenuta.
Rimase qualche minuto in quel piccolo angolo di paradiso, con una sensazione di beatitudine che le era sconosciuta, così  in contrasto col momento critico che stava vivendo e con la drammaticità della situazione che doveva affrontare.
Eppure non avvertì più l'ansia e la frustrazione che l'avevano accompagnata il giorno precedente.
Che fosse l'effetto di questa signora misteriosa, che ospitava Andrè e che le aveva aperto le porte di casa sua come fosse una amica di vecchia data, pur non avendola mai vista prima?
Rientrò nella camera e si guardò attorno, con l'inevitabile occhio investigatore del soldato, alla ricerca di qualche dettaglio che le parlasse di lei.
La stanza era arredata in modo semplice, ma con un accostamento dei colori e con la presenza di alcuni elementi d'arredo che la rendevano davvero graziosa ed accogliente.
Tra questi la colpì un quadro collocato sopra il camino.
Non sembrava l'opera di un artista famoso, era piuttosto piccolo, pur volendo imitare lo stile rococò dei ritratti dell'epoca. Rappresentava una scena molto di moda in quel periodo: una piccola immagine  bucolica, con due giovani fanciulle vestite elegantemente che tenevano in grembo la prima un cestino di fiori, la seconda un coniglietto, mentre ai loro piedi una servetta della stessa età era intenta a porgere una ciotola di cibo ad un gattino infiocchettato.
Oscar sorrise in silenzio. Aveva sempre considerato ridicole queste scenette dove principesse e contessine imitivano contadinelle  con i loro abiti sfarzosi, rendendo l'immagine tutt'altro che credibile; tuttavia questo stile era molto diffuso, e persino Maria Antonietta aveva prediletto questa messinscena ai rigidi e formali ritratti da lasciare ai posteri.
Stava per allontanarsi dal quadro quando una piccola scritta vicino alla cornice catturò la sua attenzione.
Maggio 1748, Le contessine De Sauvignon e seguiva lo scarabocchio dello sconosciuto autore dell'opera.
In quel momento sentì bussare alla porta e, dopo aver risposto, vide entrare Madame Dressie.
"Buongiorno, colonnello. Sono molto felice di vedervi in piedi, ieri notte ci avete fatto preoccupare"
Oscar non ricordava molto, ma le sembrava improbabile essere stata così male da come si sentiva quella mattina.
"Vi ringrazio per la vostra gentilezza, e mi rammarica molto avervi causato disagio con la mia indisposizione"
"E' stato un piacere potervi soccorrere, colonnello"
Oscar non potè ignorare il fatto che Madame Dressie le si rivolgeva sempre al maschile, pur sapendo con certezza, avendola spogliata, che fosse una donna.
Therese si accorse che Oscar stava guardando il quadro.
"Non possiedo grandi opere d'arte, colonnello, ma quel quadro è davvero di cattivo gusto. Non lo getto nel camino sopra il quale è appeso solo per motivi affettivi..."
Oscar la osservò con sguardo interrogativo.
"Accomodatevi sul terrazzo, dovete fare colazione per rimettervi in forze"
Oscar seguì la padrona di casa e quando si sistemarono furono raggiunte da una cameriera, coi capelli grigi che sfuggivano alla cuffietta copricapo, pressapoco della stessa età della sua signora.
"Se volete qualcosaltro, colonnello, non avete che da chiedere"
"Va benissimo, grazie"
"Bene, Marie, grazie molte"
Oscar riportò il discorso sul quadro.
"Stavate dicendo, Madame, che quella tela ha per voi un valore affettivo. L'avete forse acquistata insieme alla tenuta?"
Madame Dressie rise.
"No no, colonnello, questa casa è stata progettata e costruita da mio marito, Armand Dressie. Quel quadro  mi è caro  perchè ritrae me e mia sorella da bambine, insieme a Marie..."
Oscar rimase con la tazza sospesa in aria, stupita per l' ennesima volta da quella donna.
"Voi... voi siete di famiglia nobile?"
"Sono nata come la figlia del Conte de Sauvignon, ma la mia famiglia sono stati mio marito, i miei figli e la mia fedele Marie"
"Conte de Sauvignon...." Oscar cercava nella memoria tracce di questo cognome nobiliare.
"Non lo conoscete di certo, colonnello. La mia famiglia di origine non ha mai brillato per ricchezza e notorietà. Mio padre era un uomo pavido e incapace, con il terrore di tutte le possibili malattie e i disturbi più inverosimili. Spendeva tutto il suo tempo, e il suo denaro, in cure costosissime quanto inutili e sempre circondato da medici e studiosi,  dei cui consigli non riusciva a fare a meno.
Questa sua debolezza mi ha tuttavia permesso di conoscere l'amore della mia vita, Armand.
Era l'aiutante dello speziale che procurava a mio padre erbe ed infusi curativi.
Quando lo conobbi avevo tredici anni e lui quattordici. Mi colpì subito con i suoi folti capelli, biondi e ribelli, e gli occhi scuri che tradivano una grande intelligenza ed un'acuta sensibilità.
Mentre il suo dominus, il noto farmacista Antoine  Baumè  (1) si intratteneva con mio padre, vagava per il giardino osservando le piante che vi crescevano. Si avvicinò sentendomi suonare al pianoforte e per entrambi fu subito amore"
"Amore..." ripetè Oscar
"Be', non lo capimmo allora. Eravamo poco più che bambini, entrambi digiuni di faccende sentimentali.
Ma ricordo perfettamente che appena incrociai il suo sguardo mi sentii a casa, capii che non sarei stata mai più sola...
Non so esprimerlo diversamente, non credo che possiate capire"
Oscar  chinò il capo. La capiva, certo che la capiva: aveva provato esattamente la stessa cosa quando aveva visto per la prima volta il suo Andrè.
Madame Dressie notò la reazione di Oscar, ma finse indifferenza e continuò
"Per farla breve il nostro rapporto maturò col tempo e diventammo amanti. Sapevamo entrambi che la mia famiglia non avrebbe mai acconsentito ad un matrimonio con un popolano, per quanto colto, ma ad un certo punto una scelta definitiva fu inevitabile.
Mio padre non aveva i mezzi per  concedermi una dote sostanziosa e quindi non poteva aspirare ad un partito prestigioso;  quando compii sedici anni scelse come mio futuro marito un cugino di mia madre, vedovo. "
Oscar la fissava senza toccare cibo.
"Scelsi l'amore e lasciai la mia famiglia ed il mio titolo nobiliare, e non mi sono mai pentita, nemmeno un secondo"
"E vostra sorella? Non vi è dispiaciuto separarvi da lei?"
"Mia sorella aveva un anno meno di me. Morì a tredici anni di tifo. L'unica persona a cui ero davvero affezionata era Marie, figlia della nostra cuoca e da sempre nostra domestica. Mi seguì dimostrando un affetto ed una fedeltà che non mi hanno mai abbandonato. Per me è come una sorella, mangiamo insieme e ci dividiamo i compiti domestici, da quando sono rimasta sola..."
"Vostro marito?"
"Armand è mancato quattro anni fa. Un malore improvviso. Era seduto alla sua scrivania, intento a scrivere le sue ennesime annotazioni sulle proprietà delle erbe medicinali. Non ha mai smesso di studiare le piante  e devo ammettere che certe sue osservazioni sono davvero geniali.
Mi ha sempre coinvolto  nei suoi studi e nella sua attività di farmacista, mi ha insegnato a curare tante malattie. L'idea di costruire questa tenuta nacque dal desiderio di crearsi un proprio orto botanico ed una serra per poter coltivare direttamente le piante che utilizzava per i suoi medicamenti e i suoi esperimenti. Era un uomo davvero unico... la mia metà! "
Oscar era impressionata dal racconto della sua ospite.
Quella storia lasciava come un eco dentro di lei, la sensazione che contenesse le risposte a domande che si erano affacciate alla sua mente e che lei aveva ricacciato nell'oblio. L'amore al di là dei ranghi e delle classi sociali; la propria metà, come Madame Dressie l'aveva definita, che si trova dove non avremmo mai creduto.
Therese Dressie si riprese dai suoi pensieri e si scusò per aver intrattenuto così a lungo la giovane convalescente.
"Purtroppo, comandante, ho fatto pulire la vostra divisa ma non è ancora pronta e... non possiedo abiti di taglio maschile che si adattino alla vostra esile figura"
"Non preoccupatevi, Madame Dressie, nell'attesa questa vestaglia andrà benissimo, non intendo darmi alle mondanità!" rispose
 La donna stava lasciando la stanza quando Oscar la richiamò
"Mi scusi, madame. Che fiori sono questi che avete lasciato nella mia stanza?"
Therese si fermò e la fissò.
"Li ha colti per voi Andrè, quando è rientrato da Parigi. Sono fiori di lillà, ne crescono molti  qui nel giardino"
Oscar non potè evitare di sorridere, felice.
"Sapete, colonnello, i cespugli di lillà crescono selvatici, negli angoli più impervi, tenaci e resistenti,  e nessuno li nota, sembrano comune sterpaglia..ma quando fioriscono, sono tra gli spettacoli più belli della natura, con il loro inconfondibile profumo e le delicate varietà di colori dei loro petali ! Non credete  anche voi?"
La lasciò senza attendere la sua risposta.

(1) Farmacista francese realmente esistito, uno dei fondatori della farmacopea moderna...tanto per essere sempre aderente alla "realtà"

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9 Capitolo cruciale. Andrè finalmente spiega cosa si cela dietro al suo addio all'esercito,  ma rinfaccia alla sua bella tutta la sua indifferenza degli ultimi tempi...e la costringe ad un po' di sana autocritica!

Capitolo 9

Terminata la colazione Oscar uscì a fare una passeggiata in giardino.
La tenuta era davvero molto curata, ma originale, lontana dallo stile "all'inglese" che conosceva per aver frequentato negli anni passati le dimore dei nobili più in vista e  Versailles stessa.
Ad un certo punto si girò di scatto, con la sensazione di essere seguita, e si trovò di fronte un ragazzino molto magro, con i capelli corti e dritti e le orecchie a sventola , che le sorrideva timidamente.
"Ciao" lo salutò Oscar, guardandolo con aria interrogativa.
Il giovinetto si appoggiò la mano al petto e disse "Gustave" poi puntò il dito verso di lei e disse "Andrè?" con tono interrogativo.
Annuì, senza essere sicura di aver capito il messaggio del ragazzetto, il quale si voltò e cominciò a camminare.
Oscar lo seguì lungo un viottolo che portava ad una piccola costruzione  immersa nel verde.
Quando la raggiunse, Gustave  indicò  la porta e si allontanò.
Oscar divenne titubante. Dall'interno non proveniva alcun rumore e improvvisamente non seppe cosa fare.
Si avvicinò ad una finestra con le tende scostate,  e ciò  che vide la lasciò senza fiato.
Andrè dormiva in un ampio letto, supino, abbracciando con le mani il guanciale.
Era nudo, completamente, con il lenzuolo che gli copriva parzialmente le gambe e lambiva i  suoi glutei. Si soffermò a guardare il volto incorniciato dai capelli scuri, le spalle ampie, la schiena muscolosa e si sentì avvampare.
Il suo corpo di donna, avvolto nella vestaglia da uomo, desiderava essere in quel  letto, tra le sue braccia, sotto quel corpo che stava ammirando, in segreto.
Non si rese conto che Gustave nel frattempo aveva bussato e aperto la porta . Vide dalla finestra Andrè sollevare il volto,  scendere rapidamente dal letto e, di fronte alla sua nudità, Oscar distolse lo sguardo bruscamente.
L'uomo  indossò i pantaloni e la camicia che il ragazzino gli allungava e corse fuori scalzo, mentre Oscar, imbarazzata, si stava allontanando.
"Oscar!Aspetta!"
La giovane si fermò, ma ancora confusa dalle sue stesse emozioni preferì non voltarsi.
Lui la raggiunse e le si mise davanti.
"Come stai Oscar? Sei già in piedi?"
"Si grazie, Andrè" rispose, sfuggendo il suo sguardo. Nonostante la sua pessima vista , temeva quegli occhi che da sempre leggevano dentro la sua anima come su un libro aperto.
"Immagino volessi sapere com'è andato il mio incontro con Bernard..."
Annuì, alzando finalmente gli  occhi su di lui .
"Vieni, sediamoci" e la condusse sui gradini in marmo della piccola depandance.
Si sedettero vicini, e mentre Andrè le ripeteva gli accordi presi con l'amico rivoluzionario per quel pomeriggio, Oscar lo fissava, pensando a come era incredibile essere seduta lì, con lui, e come si sentisse in grado di fronteggiare qualsiasi avversità, con lui accanto.
E quando Andrè terminò il suo resoconto, decise, senza pensare, di affrontare una questione che la tormentava dal momento del suo congedo dall'esercito.
"Andrè, ascolta, io...io volevo chiederti una cosa"
Lo vide voltarsi e aggrottare le sopracciglia, mentre lei si fissava le mani.
"Considerando le tue condizioni fisiche ritengo sia stato corretto, da parte tua, lasciare la Guardia Nazionale, ma mi chiedevo, ecco...perchè non me ne hai parlato?" Tacque un momento, giocherellando nervosamente con un filo d'erba.
"Per tanti motivi, Oscar..."
"Dimmene qualcuno" lo incalzò.

"Ho accusato i primi disturbi poco dopo la liberazione di Bernard, ma non volevo far preoccupare nessuno, il dottore non sapeva quale fosse la prognosi..." Il tono della sua voce si tinse di amarezza e di un velo di rancore.
"Quando i dolori e i momenti di cecità sono aumentati, tu...tu eri stravolta  per la fine della tua amicizia con il conte di Fersen, determinata a  dare questa assurda svolta alla tua vita. Di me non ti importava niente, Oscar, anzi in realtà credo che in quel periodo non ti importasse neanche di te stessa! Ignoravi i miei suggerimenti già da tanto tempo, alla fine per te risultavo superfluo anche come attendente, che senso avrebbe avuto dirti che stavo diventando cieco? Per aumentare i tuoi sensi di colpa ed indurti a compatirmi? No, grazie- continuò, scuotendo la testa in un gesto di diniego- Potevo sopportare, anche se a fatica, il mio tremendo destino, ma non avrei mai potuto accettare la tua pietà.
Io non ho rimpianti per come sono andate le cose nella vicenda del Cavaliere Nero... e nemmeno per quello che è successo dopo"
Oscar si strinse nelle spalle. Sapeva che Andrè si riferiva alla notte del loro diverbio, finito con la sua confessione d'amore.
Non ne avevano mai più parlato, per sua volontà, ma capì che era una questione che avrebbe dovuto affronatare se voleva ristabilire un rapporto sincero con lui. Ed era certa di volerlo, con tutto il cuore. Lo lasciò continuare.
"Non mi perdonerò mai per la violenza  con cui ho esternato i miei sentimenti, ma..."
"...ma io avevo superato tutti i limiti, Andrè. Lo so. La prima a essere violenta sono stata io. Ho sfogato su di te tutta la mia amarezza e la mia frustrazione, come ho sempre fatto, sin da bambina. E ho sbagliato, senza più l'attenuante della mia immaturità.
Mi dispiace, mi dispiace tanto"
Andrè rimase interdetto per la piega che aveva preso quella conversazione, ma soprattutto per le scuse di Oscar su di un episodio lontano nel tempo, che aveva irrimediabilmente segnato il loro rapporto. E per il quale era certo di essersi attirato tutto il suo disprezzo.
"E sempre perchè temevi di farmi pena che ho dovuto sapere del tuo congedo attraverso un documento ufficiale?"
"Non ho chiesto il tuo parere quando mi sono arruolato, e comunque me lo hai espresso chiaramente quando mi hai visto il giorno del tuo arrivo. Non vedo perchè avrei dovuto farlo quando ho deciso di mollare!"
C'era rabbia ora nelle sue parole, un rancore a lungo represso che finalmente usciva allo scoperto. Si alzò con l'animo in fiamme, dandole le spalle.
"Tu non hai semplicemente lasciato l'esercito, Andrè- disse piano- tu hai lasciato ME, senza dirmi nulla, senza che neanche sapessi dov'eri finito!"
"Aveva qualche importanza per te, Oscar?" ribattè sarcastico, pronto a ricevere la solita  stoccata dal suo comandante.
Invece seguì uno strano silenzio, popolato solo dei rumori  provenienti dal giardino, intorno a loro.
La sua vista era ormai compromessa, ma il suo udito si era affinato molto, e fu certo di sentire Oscar piangere sommessamente.
Si voltò e si riavvicinò, inginocchiandosi davanti a lei.
Le sue lacrime lo intenerivano. Quanto era donna nelle sue reazioni emotive! (1)
"Scusami, Oscar, non volevo essere così duro con te"
Lei scosse la testa, mordendosi le labbra, con gli occhi bassi.
"Mi sono arruolato perchè ero davvero convinto che avresti avuto bisogno di me, dei miei consigli, del mio appoggio.
Ma da quella maledetta sera non mi hai più aperto  il tuo cuore e quanto a difenderti...per te ci vorrebbe un uomo come il conte di Fersen, o il colonnello Girodelle, qualcuno che comandi un esercito!" cercò di ironizzare, per farla sorridere.
Oscar fissò lo sguardo in quello di Andrè, con gli occhi lucidi di lacrime. E lui vi si perse, come sempre, come era accaduto dal primo momento in cui l'aveva vista, quasi trent'anni prima.
Riconobbe quella sensazione così familiare di resa totale davanti a lei, il crollo di tutte le difese che un uomo può erigere davanti ad un amore così assoluto....la rabbia che evapora, l'orgoglio che si ammorbidisce...
Avrebbe voluto stringerla a sè, accarezzarle i capelli e rassicurarla, ma sapeva che Oscar  aveva sempre negato a se stessa quel genere di manifestazione di affetto. Sentì tuttavia che era finalmente giunto il momento di essere sinceri, fino in fondo.
"Ricordi quando ci hanno aggredito a St. Antoine?"
Oscar sgranò gli occhi. Certo che lo ricordava, non era stata più la stessa da quella notte!
"In quella occasione ho finalmente realizzato che non potevo più illudermi di riuscire  a proteggerti come avevo sempre fatto, per una vita. Mi sono sentito in balia di forze sovrumane, dove persino la mia morte non sarebbe stata sufficiente a salvarti.
Quando mi sono trovato ai piedi della forca a cui volevano impiccarmi, sicuro che per me non ci fosse più scampo, disperato all'idea che ti stessero facendo lo stesso, o peggio, ho pregato. Si, ho pregato Dio che ti salvasse!" e chinò il capo, mentre lacrime silenziose  solcavano il suo viso di fronte a quel ricordo.  
"In momenti come quelli, un uomo è disposto a qualsiasi sacrificio pur di essere ascoltato, ma io a cosa potevo rinunciare? Avevo solo la felicità di stare con te, di fare ancora parte, anche se poco, anche se in modo marginale, della tua vita. E ho giurato che se ci fossimo salvati ci avrei rinunciato, perchè sebbene fosse poca cosa, per me era tutto...E sai una cosa, Oscar? - continuò, quasi ridendo - la risposta alle mie preghiere è stato l'arrivo di Fersen e del suo reggimento!"
Adesso il tono della sua voce era colmo di amarezza, quella confessione cominciava a graffiargli il cuore.
Oscar era ammutolita.
Aveva temuto che il suo sentimento per lei si fosse affievolito,  addirittura che si fosse legato  ad un'altra donna e invece era stato più forte di tutto, aveva resistito al suo rifiuto, alla sua freddezza  e si era infine consumato in un ultimo gesto estremo, prima di una morte che sembrava inevitabile.
Avrebbe voluto aprirgli il suo cuore, ma non trovava le parole. Andrè non sembrava aspettarsi una risposta, tornò verso i gradini, che cominciò a salire per tornare in casa. Oscar si riscosse.
"Aspetta, Andrè, parlami ancora... Raccontami di Madame Dressie. Come sei arrivato a stare qui con lei?"
"Sai quante cose  non sei più in grado di fare, Oscar, quando stai diventando cieco? Non puoi più leggere,  non puoi cavalcare o tirare di scherma. Avevo finito col passare tutto il mio tempo libero da solo, ad ubriacarmi, maledicendo il mio destino.
E' stata la sorella di Alain a presentarci e Therese ha fatto per me tutto quello che mi sarei potuto aspettare da un amico sincero.
Soprattutto mi ha ascoltato, senza mai giudicarmi.
E' una donna intelligente, colta, aperta. E' la madre che non ho avuto, l'amico che non ho incontrato. La persona grazie alla quale non ho finito per sentirmi una nullità.
Non so perchè lo faccia.
Forse perchè, dopo una vita  accanto ad un marito  che si occupa delle sofferenze umane, ha imparato come prendersi cura degli altri. Forse perchè le ricordo suo figlio, come mi ha detto una volta, rimasto a vivere in America dopo aver combattuto la Guerra di Indipendenza. Forse perchè vede in me qualcosa di buono, da non lasciare sprecato.
Non lo so, sinceramente. Posso solo dirti che da quando la conosco, e da quando ho Gustave vicino a me, non mi sono sentito più solo. Ed era tanto tempo che trascorrevo i miei giorni in totale solitudine..."
Oscar ascoltò tutte quelle parole come una serie di schiaffi.
Una sconosciuta e un povero orfano avevano fatto per Andrè quello che lei, valoroso soldato, erede di un prestigioso casato, al fianco di Andrè fin dall'infanzia, non aveva nemmeno immaginato.
Si rese conto di quanto si può far male, non facendo nulla.
Di quanto si fosse, in effetti, concentrata solo su di sè, dopo la chiusura dei suoi rapporti con Fersen e la regina Maria Antonietta. Non aveva solo interrotto il circolo vizioso di quell'infelice triangolo amoroso, aveva escluso dalla sua vita tutte le persone che le volevano bene.
Ma se il destino voleva concederle un'altra occasione con Andrè, pensò, non se la sarebbe lasciata scappare.


(1) Non datemi della maschilista! Lungi da me affermare che le lacrime siano prerogativa delle donne!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10 Capitolo lungo, con numerosi flash back e diversi punti di vista.
Volevo dividerlo ma non mi piaceva come veniva...anche così non mi convince del tutto
Come per il capitolo 9, anche qui la mia Oscar fa qualcosa che mi sarebbe tanto piaciuto vedere..

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Capitolo 10

Andrè attendeva  all'esterno delle scuderie, stringendo nervosamente le briglie del suo cavallo, in un'evidente  stato di ansia.
Il giorno precedente Bernard si era incontrato con Oscar a casa Dressie.
La sentenza di condanna a morte  per i soldati della guardia ribelli era stata emessa, come previsto, senza un regolare processo, e sarebbe stata eseguita due giorni dopo, 1 luglio 1789.
Si erano quindi accordati per scatenare una manifestazione di protesta il giorno seguente.
Oscar aveva voluto che Andrè fosse presente al loro incontro e gli aveva chiesto di accompagnarla  davanti alla prigione di Abbaye per seguire gli eventi.
"Sei impazzita, Oscar? Fino a ieri sera avevi la febbre e domani vuoi unirti  ad una protesta  di piazza, magari sotto l'acqua battente?
E poi cosa succederebbe se la grazia del Re non arrivasse? Se qualcuno ti riconoscesse? Hai pensato alle conseguenze?"
La donna lo aveva fissato senza parlare, felice, nonostante la sfuriata, che si preoccupasse così per lei.
"Ascolta, Andrè, non voglio discutere con te.  Non sono incosciente come pensi, vedrai che non mi noterà nessuno!"
"Maledizione, Oscar! Non mi ascolti mai!"
"Su questo ti sbagli,  e tanto. In passato mi sono comportata come una bambina testarda, ma non stavolta. Fidati di me!" 
Queste ultime parole gli risuonavano di continuo nella testa, ma non sortivano l'effetto di restituirgli tranquillità.
Anche il monito con cui li aveva salutati Bernard ("Lasciate questo paese e trasferitevi all'estero!"(1) ) era stato allarmante.

Gustave lo fissava, con aria indagatrice, ma Andrè non vedeva sufficientemente bene  da notare quello sguardo.
Da quando era arrivata la sua eccentrica amica - non aveva mai visto una donna bellissima vestire da uomo  e per di più fare il soldato- non era più lui. La sua inquietudine era palpabile, era diventato taciturno, spesso sembrava altrove con la testa. Però una cosa era chiara anche ad un ragazzetto come lui: tutto questo era la conseguenza del suo amore per quella donna.
Anche a lui piaceva, sebbene potesse sembrare fredda e scostante in un primo momento.
Il giorno prima lo aveva raggiunto nelle stalle, intento a strigliare Cesar. Lo aveva ringraziato.
"Mi ha insegnato Andrè" aveva detto con fierezza.
Oscar gli aveva risposto con uno sguardo carico di dolcezza, poi gli aveva fatto una proposta.
"Se vuoi, quando torneremo da Parigi, potrei darti qualche lezione di.."
"Pianoforte? Andrè mi ha raccontato voi bravissima" la precedette col suo idioma stentato.
Lei aveva riso. "Stavo per dire spada, ma se preferisci il pianoforte va benissimo. In effetti le tue mani magre e le tue dita lunghe sembrano più adatte alla musica che ai duelli!"
Gustave temeva di averla offesa. Ma lei si era avvicinata e gli aveva accarezzato i capelli ispidi e ribelli.
Poi gli aveva scaldato il cuore con il complimento più bello che potesse sentire.
"Anche se non sei suo figlio, mi ricordi tanto Andrè da piccolo. Anche lui non era bellicoso e credo mi seguisse nei duelli di scherma e nelle scazzottate per accontentarmi..."
Adesso era lì con lui, ad attendere  la nuova ospite di Madame Dressie: dovevano andare a Parigi, poi li avrebbe aspettati in un quartiere tranquillo, insieme ai cavalli.  Non si potevano lasciare incustoditi i due animali in una città assediata dalla fame  e dalla disperazione!
In realtà avrebbe anche dovuto compiere una piccola missione segreta per madamigella, nell'attesa del loro ritorno.

Andrè cercava di controllare l'agitazione che quella sortita con Oscar gli aveva messo addosso, ma sapeva che anche il suo protetto l'aveva notata.
Se solo la sua vista non fosse stata così compromessa! Erano un trio scalcagnato: un uomo quasi cieco, un ragazzino gracile ed indifeso ed una donna tanto bella, quanto spavalda ed irragionevole!
Finalmente vide Gustave, a cui aveva affidato le redini di Cesar, alzarsi e restare impalato: Oscar doveva essere arrivata!
Si alzò per voltare il suo cavallo e partire, e dovette richiamare  il ragazzo, che sembrava una statua di gesso.
"Forza Gustave, muoviti! Lascia Cesar e monta in sella davanti a me!"
Quasi non credette alle sue orecchie quando udì la voce del suo giovane amico, mai così limpida,  rivolgersi ad Oscar
" Siete bellissima , Madamigella"
Andrè si voltò di riflesso, ma davanti agli occhi non vide l'immagine familiare, per quanto sfuocata,  del suo comandante, con la divisa  blu ed i galloni scintillanti: a pochi metri da lui si stagliava la sagoma di una fanciulla, con le vesti  coperte da un ampio mantello. 
Quando questa figura misteriosa abbassò il copricapo,  riconobbe la chioma dorata di Oscar.
"Bene, Andrè. Sono convinta che in abiti civili, femminili perdipiù, non potrà riconoscermi nessuno! Possiamo andare? "
L'uomo non rispose, e si voltò immediatamente.
Se si fosse soffermato un istante di più  avrebbe potuto inquadrare un dettaglio, mettere a fuoco un particolare e non voleva. Sarebbero stati dei ricordi maligni, come insidiosi strumenti di tortura per quando si fosse trovato solo, a pensare a lei, a soffrire ancora, e ancora.
Non si scambiarono una parola per l'intero tragitto.  
Dopo aver lasciato Gustave e i cavalli in un luogo sicuro, si incamminarono a piedi verso la prigione militare.
Oscar suggerì di sistemarsi sul tetto dell'Abbazia di St.Germain, da cui si godeva un'ampia visuale dell'ingresso del carcere e delle vie antistanti. Erano entrati nella chiesa e da qui, lungo una scala a chiocciola avevano raggiunto il punto desiderato senza essere notati da nessuno.
Era ancora presto, ma Bernard aveva già comiciato la sua orazione davanti a Palais Royal, attirando un capannello di circa 50 persone. La sua voce risuonava forte e vibrante nelle strade, fino a loro. Andrè stava con le braccia conserte davanti al basso parapetto ornato di piccole statue  di santi e demoni, mentre Oscar, alle sue spalle, si era seduta sulle tegole leggermente inclinate del tetto in stile gotico della chiesa. Lo fissava, sperando che si voltasse a guardarla, che parlasse con lei, ma sembrava volutamente assente e disinteressato.

Pensò alla conversazione avuta con Madame Dressie mentre le preparava l'abito che avrebbe indossato quel giorno.
Aveva pensato che senza la sua divisa da ufficiale si sarebbe mimetizzata meglio  e avrebbe evitato di essere riconosciuta, ma non era il solo motivo di quello stratagemma.
Voleva vestirsi da donna, voleva farlo per Andrè. E Therese lo aveva capito, senza chiederle nulla, e aveva scelto un vestito semplice, per consentire alla giovane  di cavalcare senza difficoltà, ma elegante, in un delicato raso di seta, color carta da zucchero, per mettere in risalto l'incarnato e gli occhi di Oscar, al quale aveva abbinato un lungo mantello scuro, con copricapo, per renderla meno appariscente in mezzo ad una folla di popolani.
Mentre Therese, insieme a  Marie, si dava da fare con ago e filo per  adattare l'abito alle misure di Oscar, aveva approfittato dell'occasione di trovarsi sola con lei per parlarle con franchezza.
"Madamigella Oscar..."
Per la prima volta da quando era arrivata le si rivolgeva con quell'appellativo.
"Non mi chiamate più 'colonnello', Madame Dressie?" la provocò
"No, perchè non mi sto rivolgendo al soldato , ma alla donna che siete.
Spero di non apparirvi indelicata con le mie parole, ma sono abituata alla sincerità.
Non sono certo un medico, ma ho visto passare  tra queste mura molte persone sofferenti, ed ho imparato a riconoscere i sintomi di certe malattie..."
Malattie? Di cosa diavolo stava parlando? Perchè  diceva certe cose a lei?
"Perdonate, madame, non vi seguo..."
"Il vostro pallore, madamigella, la debolezza che avete accusato, insieme  al vostro stato cagionevole ed alla febbre, costituiscono i primi segni della consunzione "(2)
Oscar la guardava incredula:  cosa stava farneticando quella donna?
"Vi prego di credermi, Oscar. Non mi permetterei mai di gettare su di voi una diagnosì così grave se non fossi certa di ciò che dico. Se non volete ascoltarmi, almeno sentite il parere di un dottore..."
Oscar rimase in silenzio, a riflettere. Aveva lei stessa avuto il sentore che i suoi disturbi non fossero un problema passeggero. 

E madame Dressie non era una persona che parlava a vanvera. In effetti negli ultimi giorni il riposo forzato le aveva giovato, ma le
settimane precedenti erano state molto dure, nonostante fosse abituata da anni alle condizioni della vita militare.
"Non è una malattia incurabile - continuò Therese - se si interviene in tempo utile. Mio marito aveva steso una serie di  annotazioni per i suoi pazienti, che comprendevano un soggiorno in montagna, dove l'aria è più fine, il riposo assoluto, un'alimentazione ricca di carne (3) , l'assunzione di sostanze rinforzanti, come la pappa reale o gli estratti di radici...
Io credo sia giunto il momento  per voi di fare una scelta. Potete prendervi cura di voi stessa  e dell'uomo che amate, oppure ignorare tutto e continuare la vostra vita così come l'avete vissuta finora..."
"Siete molto diretta, Madame Dressie"
"Volete che vi rassicuri raccontandovi fandonie? Volete sentire  frivolezze come nei salotti di Versailles, così da non guardare in faccia la realtà?"
"Mi state dicendo che dovrei lasciare tutto quello che sono stata per diventare qualcosa...qualcuno che...Non so, non so se ne sono capace..."
"Capace di cosa?"
"Di renderlo felice!"
"Come potete avere dei dubbi? Vi ha amata sempre, con i vostri difetti e le vostre virtù, le vostre scelte e i vostri errori! Dovete solo dare spazio  ai sentimenti che provate per lui. Perchè voi lo amate, vero?"
Oscar la fissò "Si, lo  amo"
Che effetto le faceva dirlo a voce alta, dirlo a qualcuno!  
"Ma questo non mi aiuta, madame Dressie, mi confonde! L'ho deluso così tante volte, adesso non potrei sopportarlo! Se non fossi in grado di curarmi ed occuparmi di lui? Vorrei che fosse libero di seguire i suoi ideali, di prendere parte a questa nuova era che si prepara per la Francia! Come faccio, se gli dico che l'amo ma che sono malata?"
"Continuate a non capire, Oscar. La ricetta per la felicità non esiste, non avrete mai garanzie su questo. Ma la vostra educazione militare dovrebbe avervi insegnato che esistono sempre margini di incertezza. In battaglia come nella vita.
Meglio osare e pentirsi, che non osare e pentirsi. L'ha scritto  Machiavelli, un abile stratega  politico e militare, non un  poeta!
Andrè non è un bambino da accudire  e proteggere, è in grado di affrontare la realtà, forse più di voi! E comunque, in amore il sostegno è reciproco, le difficoltà sono condivise e la felicità è...tanta, madamigella Oscar, più di quanto il vostro cuore possa contenere!" 
Tornò con i pensieri al momento presente, al suo Andrè che ostinatamente le voltava le spalle. Forse vestirsi da donna non era stata una buona idea. Di nuovo le tornarono alla mente le parole  di Madame Dressie a riguardo
"Ricordate, Oscar, che Andrè vede molto male. Siete una donna di poche parole, abituata a controllare le proprie emozioni. Se Andrè un tempo poteva leggerle nei vostri occhi, ora per lui è più difficile, non sempre è nelle condizioni di farlo. Dovete trovare il modo di comunicargli i vostri sentimentie. Se mi permettete, dovete essere più diretta, dovete trovare altre strade per arrivare a lui..."

"Oscar,vieni a vedere come procede la situazione -la distolse Andrè. "Dai rumori mi sembra che si sia già raccolta parecchia gente, ma non sono sicuro"
In effetti erano ormai numerose le persone assiepate davanti al portone del carcere, e i soldati di guardia  continuavano a scambiarsi sguardi carichi di preoccupazione. Di lì a poco si levarono grida  a favore della liberazione  dei militari condannati.
La situazione andò progressivamente peggiorando, venne rafforzato il numero di guardie al portone della prigione, Oscar era sicura che ormai anche i capi dei secondini  fossero informati della protesta  che si svolgeva quel giorno. Finalmente vide uscire un messaggero a cavallo diretto alla reggia di Versailles.
Ci siamo  Pensò, e dal quel momento lo stomaco le si chiuse  in una morsa,  che crebbe  quando il cavaliere ricomparve per le vie di Parigi, stringendo tra le mani una pergamena col sigillo reale.
Oscar  si avvicinò ad Andrè, e senza parlare gli prese la mano. Lui ricambiò, senza distogliere lo sguardo dalla prigione e dalla folla urlante.
"Per volontà di sua maestà Luigi XVI e della regina Maria Antonietta, i soldati della Guardia Nazionale hanno ricevuto la grazia ed il loro comandante, Oscar Francois de Jarjayes, potrà riassumere i suoi gradi ed il suo ruolo. I sovrani si auspicano, per il futuro, una maggiore lealtà verso la corona!"
Oscar si gettò istintivamente tra le braccia di Andrè
"Sono salvi, sono salvi" ripeteva tra le lacrime.
"Forza, raggiungiamo l'ingresso, voglio salutarli, anche se da lontano"
Andrè non fece in tempo a ribattere, che Oscar già lo stava  tirando per le scale della chiesa, senza abbandonare la sua mano.
Quando Alain e gli altri soldati sfilarono festanti tra le due ali di folla che si erano aperte al loro passaggio, Andrè lo chiamò e l'amico, voltandosi, non riconobbe immediatamente il suo comandante. Poi sgranò gli occhi, rivolse loro una strizzatina di intesa  e fece finta di niente, scoppiando in una fragorosa risata.
"Adesso possiamo tornare a casa" sospirò la giovane, e si allontanò da Abbaye a passo leggero, con le dita ancora intrecciate a quelle di Andrè.
Da lontano, un cavaliere col volto nascosto dal bavero di un mantello, li osservava e li seguiva con lo sguardo.
La cercava da giorni, da quando aveva disatteso gli ordini impartiti dal generale Bouille.
Si trovava a Versailles proprio quando era giunta notizia della rivolta per la liberazione dei soldati della Compagnia B.
Era certo che ci fosse lei dietro a quella  protesta e che sarebbe stata presente, in qualche modo. La conosceva bene.
Al punto di poterla individuare, anche vestita da donna.

(1) frase tratta dal manga
(2) termine dell'epoca per definire la tubercolosi
(3) solito tocco realistico: erano i rimedi effettivamente suggeriti fino all'avvento degli antibiotici per attenuare il decorso della malattia

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11 Capitolo 11

Erano circa le cinque del pomeriggio quando raggiunsero i loro cavalli, e una fine pioggerellina aveva cominciato a bagnare le strade.
"Sarà  meglio sbrigarci, Andrè"
Rivolse uno sguardo furtivo a Gustave, che fece un segno affermativo con la testa: aveva eseguito la piccola incombenza che la donna gli aveva richiesto senza incontrare ostacoli.
Mentre raggiungevano la tenuta di Madame Dressie la pioggia divenne più violenta e giunsero alle scuderie lanciando i cavalli al galoppo.
Oscar smontò rapidamente e  lasciò le redini di Cesar al ragazzo.
"Occupati tu dei cavalli, noi corriamo a ripararci!"
Gustave le rispose con un sorriso complice e prima che Andrè potesse dire qualcosa, la giovane lo stava guidando verso la sua depandance, tenendolo per mano.
Fecero l'ultimo tratto correndo, obbligati a saltare per evitare le pozzanghere che si erano già formate. Quando arrivarono alla tettoia dell'ingresso, si fermarono ansanti e scoppiarono a ridere. Ad  Andrè sembrò di essere tornati ragazzi, quanti acquazzoni avevano preso durante le loro scorribande! Sarebbe stato sotto quella tettoia, a tenerla per mano  tutto il giorno, ma rammentò il malessere che l'aveva colpita solo pochi giorni prima e la invitò ad entrare.
"Vieni, Oscar. Accendo il fuoco, così potrai asciugarti"
Mentre Andrè armeggiava con la legna chino davanti al camino, Oscar si liberò del mantello e si avvicinò, fino a lambire con la gonna del suo vestito  il corpo dell'uomo, inginocchiato.
"Non hai detto niente...di come sto con quest'abito" disse piano.
Andrè rispose, mentre le prime fiammelle si sprigionavano dalla legna secca.
"So che sei vestita come una signora, ma vedo solo colori sfumati, non riesco a farmi un'idea di come stai... e ringrazio Dio che sia così-aggiunse con amarezza- perchè la prima ed unica volta che ti ho visto in abiti femminili mi ha segnato l'anima, irrimediabilmente e-alzò gli occhi verso di lei- crudelmente. Non era per me, ma per l'amore di un altro uomo..."
"Di quella serata l'unica sensazione felice che ricordo è stato il momento in cui il tuo sguardo si è posato su di me"
"Se lo dici tu, Oscar... Io non ho mai saputo niente di quello che è successo dopo, al ballo" replicò, aggiungendo nuova legna al fuoco che via via si animava.
"Fersen mi ha notato, mi ha invitato a danzare e mi ha raccontato che assomigliavo al suo migliore amico" buttò fuori lei, tutto di un fiato. "Sono letteralmente scappata dal ballo in lacrime. Volevi sapere altri dettagli?" concluse con tono pungente, ma in realtà sentiva le lacrime  negli occhi, pronte a tradirla ancora.
Tra loro calò il silenzio.
"Vorrei che tu mi ammirassi ancora, Andrè, come quella sera. Io adesso sono qui, e sono vestita così, per te"
L'uomo sospirò e, alzando la testa verso di lei, rispose sorridendo amareggiato.
"E' troppo tar..." ma non finì la frase, perchè sentì l'indice di Oscar posarsi sulle sue labbra, per zittirlo.
Rammentò le parole di Therese: dovete trovare altre strade per arrivare a lui...
"Chiudi gli occhi, Andrè"
"Guarda Oscar che non c'è bisogno..."
"Chiudi gli occhi, ti prego"
Il giovane la assecondò, ancora in ginocchio davanti al camino.
Trattenne il fiato quando sentì le mani di Oscar prendere le sue e guidarle sulla sua gonna.
La sua voce riempì la stanza, come un dolce sussurro.
"E' un abito semplice ma raffinato, di seta, lo senti? con tanti piccoli fiori impunati sulla gonna"
Le dita di Andrè scorrevano  sul pregiato tessuto e si soffermavano sui piccoli ricami che lei descriveva.
Lo invitò ad alzarsi in piedi, mentre  portava le sue mani fino alla vita.
"Qui la gonna è trattenuta da un nastro, legato sulla schiena, dov'è decorato da una cascata di piccoli fiori."
Andrè fece scivolare le mani fino a quel punto e sentì la gonna del vestito premere sulle sue gambe.
In quella posizione la stava praticamente abbracciando, i loro volti, vicinissimi, si sfioravano sulle tempie. Il cuore cominciò a martellargli nel petto: così era ancora più intenso  che ammirarla semplicemente!
Sentiva il suo profumo, e i suoi capelli, leggeri,  sfiorargli la guancia. Percepiva il suo respiro, quasi affannoso, evidenziato dai movimenti, sempre più rapidi,  del corpino che la stringeva.
Adesso anche Oscar aveva chiuso gli occhi. Il delicato tocco di Andrè, il suo corpo così vicino al suo le regalavano sensazioni nuove  ed intense, come se fiamme di fuoco lambissero la sua pelle di ghiaccio.
Riprese le sue mani e le appoggiò sul bustino.
Andrè la sfiorò con delicatezza, portandosi dalla vita alla scollatura dell'abito. Oscar deglutì a fatica e continuò
"Il corpino è rivestito dall'intreccio di questi nastri di raso e il decolletè  è impreziosito da una sottile rima di pizzo"
L'uomo esitò quando sentì sotto i polpastrelli le rotondità del seno di Oscar, ma lei continuva a guidarlo, trattenendolo dolcemente per i polsi. Quando infine toccò la sua pelle, seguendo l'orlo della scollatura,  si sentì come bruciare, mentre i loro volti erano così vicini , che gli sembrava di sentire le sue labbra tremare.  Allungò le sue mani dal petto fino al collo e alla nuca della donna, scoperti dalla coda con cui tratteneva i suoi lunghi capelli e percepì chiaramente il suo abbandono sotto le sue carezze, il capo  leggermente  reclinato indietro, sui suoi palmi. Sentì  la sua pelle fredda, percorsa da sottili brividi sotto le sue dita.
"Hai freddo Oscar, la tua pelle è gelata come il ghiaccio" queste parole  le giunsero come svegliandola da un sogno.
Senza allontanarsi di un centimetro, Andrè si sfilò la giacca e la avvolse, coprendole le spalle.
Fu immediatamente circondata dal calore del suo corpo, dal profumo  di lui che le inebriava i sensi. Senza pensare afferrò le mani di Andrè, che le accostava il  bavero sul petto, e se le portò alle labbra.
"Perdonami!"
La voce di Andrè le arrivò come una calda carezza vicino all'orecchio, che scivolò lungo il collo, togliendole il fiato.
"Perdonarti cosa?"
Gli lasciò le mani per aggrapparsi al suo petto.
"Per tutte le volte che non ho visto, non ho ascoltato, non ho detto e non ho sentito.
Per tutto il tempo che ho lasciato passare senza dirti..."
Ad un tratto esitò.
Ma Andrè non la lasciò andare, le si fece ancora più vicino, e muovendo le lebbra sul suo orecchio le sussurrò.
"Dimmelo, Oscar"
Allora chiuse gli occhi, lo strinse ancora di più.
"Che ti amo, Andrè Grandier. Come nessuno prima"

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12 Finalmente l'amore. Il sesso scritto non è il mio forte, spero di non deludere nessuno. Anche qui ho trascritto come l'ho immaginato, visto che nella storia originale  mancano i dettagli (e per fortuna, così ognuno può sognarselo come vuole...)

Capitolo 12

Dopo le sue parole, il silenzio, riempito unicamente dal picchiettio della pioggia, sui vetri, e dal crepitio della legna, che ardeva nel camino.
Sentì le braccia di Andrè stringerla, con forza e dolcezza insieme, e le sua labbra posarsi tremanti sulla sua spalla nuda, per poi risalire, come in una leggera carezza, fino all'orecchio, sotto al quale si fermò in un primo bacio.
Senza interrompere il contatto con la sua pelle, le sue labbra seguirono una strada invisibile  lungo il suo viso, fino ad incontrare la sua bocca. Fu un bacio leggero, di un attimo, bruciante, poi Andrè si staccò da lei, fermandosi vicinissimo, come in attesa.
Oscar fu travolta dal desiderio di quel contatto; si alzò sulle punte e colmò quell'impercettibile spazio che ancora li separava.
Fu subito un bacio profondo, in cui si mescolavano i loro respiri, le loro lingue, i loro nomi sussurrati.
E in quel momento Oscar si sentì cadere, come quando  da ragazza si gettava sulla spiaggia, in Normandia, e la risacca delle violente onde della Manica  le toglieva con forza la sabbia da sotto i piedi. Come allora, anche adesso Andrè la sosteneva, e lei si aggrappò al suo collo e affondò le mani nei suoi capelli. Caddero infine sulla superficie morbida del suo letto, il corpo di Andrè sul suo.
Si separò immediatamente da lei, sostenendosi con le braccia, e le rivolse uno sguardo incerto, ansimando.
Temeva di essersi spinto troppo oltre, temeva di non riuscire a leggere nei suoi occhi le sue intenzioni.
Oscar capì, e allungando una mano verso di lui gli sorrise, sfiorandogli le labbra.
"Tienimi con te"
Lui fermò le sue dita e le baciò i polpastrelli. La sua voce risuonò profonda e calda.
"Se ti avrò stanotte, non riuscirò più a lasciarti andare"
"Allora tienimi con te, per sempre"
Si chinò su di lei e catturò nuovamente la sua bocca, mentre affondava le mani tra i suoi capelli.
Sentì il corpo di Andrè colmo di passione stringersi  sul suo  e la voglia prepotente della sua pelle addosso alla propria.
Si mise seduta, voltandogli le spalle, e spostò la coda di capelli per  mostrargli   l'allacciatura dell'abito lungo la schiena.
Poi chiuse gli occhi, sentendo  le dita del giovane sciogliere uno ad uno i lacci del corsetto e aprirlo delicatamente, coprendo di baci la pelle che via via scopriva. Oscar si alzò, lasciò che l'abito si ammucchiasse ai suoi piedi e si sfilò le scarpe.
Si volse nuovamente verso Andrè e senza distogliere lo sguardo dal suo, si sciolse i capelli con un unico movimento fluido del capo, lasciandoli  ricadere sulle  spalle.
Gli sfilò gli stivali e lui si sedette con le gambe sul letto e la schiena appoggiata alla testata. Come ipnotizzato, seguiva i lenti movimenti della donna, che adesso aveva acceso due lampade ad olio e le aveva sistemate ai due lati del letto.
Poi lo raggiunse, vestita solo della camiciola e delle culotte di cotone leggero, con le calze che le avvolgevano le gambe  sopra il ginocchio.  Allungò una gamba verso di lui, come per  una tacita richiesta.
Andrè slacciò i nastri  e lentamente le sfilò le calze.
Oscar gettò indietro la testa, con gli occhi chiusi, travolta dal piacere  del tocco di Andrè che si sostituiva al tessuto sulla sua pelle, dalla coscia fino all'incavo del ginocchio  e poi ancora lungo i polpacci, fino alla caviglia.
Si lasciò scivolare sul lenzuolo, mentre l'uomo ripercorreva a ritroso con le labbra la strada appena tracciata dalle sue mani, e proseguiva poi sul suo ventre fino al petto, abbassandole la camiciola fino a scoprire i seni, mentre le sue mani si insinuavano sotto il tessuto delle culotte e le stringevano i fianchi.
Con un movimento rapido si mise di schiena e la portò sopra di lui.  Oscar si sfilò la camiciola davanti ai suoi occhi bramosi   ed infine si liberò delle culotte.
Si distese nuda, sul suo corpo, e gli aprì la camicia sul petto, sfilandola dai pantaloni. Mentre gliela toglieva completamente lo baciò ancora sulla bocca, a lungo, poi si staccò e con le labbra lucide di saliva gli sfiorò il mento, scese lungo il collo, poi il petto, finalmente scoperto, e con la lingua lasciò una scia sottile fino all'ombelico. Sentiva la voce di Andrè in gemiti trattenuti, il suo nome invocato, come in una dolce supplica. Prese il bordo dei pantaloni e glieli tolse, insime alle calze.
Andrè la afferrò dolcemente per le spalle e se la riportò addosso, tenendola per i fianchi. I loro volti erano vicinissimi e sorrise di gratitudine perchè a quella distanza poteva ancora vedere gli occhi blu della giovane, limpidi e pieni d'amore, le labbra rosse, schiuse in un sorriso che era una conferma, i capelli fluenti che le incorniciavano il viso e quasi pudicamente le coprivano i piccoli seni.
Le accarezzò il viso, poi la avvicinò lentamente alla sua bocca tenendola per la nuca.
Seduta a cavalcioni su di lui, Oscar poteva percepire tutta la passione del giovane premere tra le sue cosce, quasi in attesa che lei si sentisse pronta. L'ennesimo gesto d'amore che quell'uomo le donava.
Si alzò leggermente sulle ginocchia e gli parlò sulla labbra.
"Sono tua, Andrè e tu, tu mi appartieni" e scese lentamente, fino a sentire i loro corpi finalmente uniti, ed un'onda di calore irradiarsi  dal suo ventre fino alla radice dei capelli.
Non ci fu paura. Non ci fu dolore.
Dopo alcuni movimenti lenti, in cui Andrè la sosteneva e guidava, la spinse dolcemente supina, sotto di lui.
Oscar chiuse gli occhi,  allungò le mani sulla sua schiena, fino ai lombi, di cui seguiva il movimento, ritmico, dapprima lento poi sempre più veloce e deciso, finchè  lo sentì  tremare dentro di lei e soffocare una gemito tra i suoi capelli.
Un'ultima stretta.
"Ti amo, Oscar. Ti amerò per sempre"

Andrè scivolò fuori dal suo corpo e si sdraiò al suo fianco.
Ancora con un residuo di dubbio, non tanto sul suo desiderio, quanto sul fatto che le fosse piaciuto, che non ne fosse rimasta delusa. Non sapeva cosa si aspettasse Oscar dall'amore carnale, non ne avevano mai parlato.
 
Lei si voltò, e senza dire una parola appoggiò il viso sul suo petto, all'altezza del cuore, e lo sentì battere, ancora veloce e irregolare, per lei, per averla  amata.  
Quel rumore sordo sotto il suo orecchio fu come una nenia per il suo corpo stanco, spossato da tutte le emozioni di quella giornata, e i movimenti regolari del petto del suo uomo come il dolce dondolio di una culla.
Mentre la mente di Andrè si affollava di domande sul loro futuro, il cuore di Oscar si addormentava nel piacere del presente, stretta a lui ma già rapita da Morfeo.  
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13 Capitolo in cui si chiarisce il piccolo segreto tra oscar e gustave...

Capitolo 13

Fuori era buio, ma la luce delle due lampade ad olio era ancora intensa.
La guardava, appoggiato sul gomito, placidamente addormentata, con i capelli sparsi sul cuscino e le labbra socchiuse,  persa nei suoi sogni. Gli sembrava incantevole, come non era mai stata,  al punto che gli occhi da soli non potevano bastare a comprendere tutta la sua bellezza.
Sentiva già rinnovarsi il desiderio di lei, la voglia di perdersi nella sua carne, di sentirla aprirsi e riempirsi di lui.
Un brivido  corse lungo la sua schiena. Il fuoco del camino era ormai ridotto ad un cumulo di cenere e braci, e a malincuore si allontanò dal corpo caldo della donna  e scese dal letto.
Si infilò  i pantaloni e la camicia ed aggiunse altra legna, ravvivando le braci a colpi di soffietto.
Si voltò a guardare nuovamente il corpo addormentato di Oscar, la sua Oscar. I suoi pensieri tornarono ai tanti avvenimenti di quella giornata. Alain e gli altri soldati  erano stati graziati, e al loro comandante erano stati restituiti i gradi ed il posto di comando. C'era certamente la mano della regina dietro tanta benevolenza!
Adesso lei poteva tornare a guidare i soldati della Guardia Nazionale, in una posizione difficile, schiacciata tra le pressioni  del popolo, ormai deciso  a pretendere i propri diritti, e la resistenza della monarchia, che unita al clero ed alla nobiltà, perseverava nella difesa dei propri privilegi. E lui non avrebbe potuto più seguirla.
Nel suo cuore, così nascosto da non volerlo quasi ammettere con se stesso, albergava il desiderio segreto che lei scegliesse di stare con lui, con tutto quello che comportava. L'avrebbe sposata all'alba di quello stesso giorno, se avesse acconsentito.  Ma si rendeva conto che per Oscar era una decisione più drastica, significava rinunciare a  tutto quello che era stata, il suo titolo nobiliare, la sua carriera militare  ed anche al potere che ne derivava. Significava abbandonare la lotta, proprio nel momento in cui diventava determinante schierarsi. E in tutta la sua vita insieme a lei,  non l'aveva mai vista tirarsi indietro  davanti ad una sfida.
Voleva che sapesse che l'avrebbe amata sempre, fino all'ultimo battito del suo cuore,  anche se avesse indossato nuovamente l'uniforme da ufficiale, anche se fosse tornata alla sua vita da uomo. Temeva che si lasciasse guidare dalla pietà per le sue condizioni, così come vent'anni prima aveva intrapreso la carriera militare per compiacere le cieche ambizioni paterne.
Si infilò la giacca e gli stivali ed uscì, nella completa oscurità. Sentì l'aria fredda sul viso, mista alle goccioline che il vento scuoteva dagli alberi sui suoi capelli, e con passo deciso raggiunse casa Dressie.
Erano circa le nove di sera e preferì passare  dalle cucine, dove sapeva avrebbe trovato Gustave e le due donne.
Erano tutti lì, in effetti, attorno al tavolo. Avevano finito di cenare, e si volsero sorpresi quando lo videro varcare la soglia, solo.
"Buonasera, Andrè. Pensavo di mandare Gustave con qualcosa da mangiare, per voi e madamigella Oscar" e indicò con lo sguardo una cesta di vimini, coperta con un tovagliolo, già pronta sulla dispensa.
L'uomo abbassò la testa, colto da un improvviso imbarazzo: era chiaro a tutti i presenti quello che era accaduto tra loro due quel pomeriggio.
Madame Dressie cercò di stemperare il suo disagio. Gli allungò la cesta e cercando i suoi occhi gli disse a bassa voce
"Siamo tutti felici che vi siate ritrovati, Andrè. Eravate due metà dello stesso cuore, divise da troppo  tempo"
L'uomo strinse i pugni.
"Sono venuto qui a prendere una cosa, Madame Dressie"
Therese lo guardò con aria interrogativa: era teso, e non ne capiva il motivo.
"Consegnatemi la divisa di Oscar, e la sua spada. Saranno pronte, ormai"
La donna rimase sconcertata, e si voltò verso Gustave, quasi chiedendo un suo intervento.
Andrè pensò che si opponesse, per qualche motivo.
"Oscar ha indossato abiti femminili, oggi, ma quella non è... non è la sua natura, la condizione che ha scelto, a cui è abituata.
So che lo ha fatto per amor mio, ma non voglio obbligarla ad essere diversa da quella che è. L'ho sempre amata, e l'amo tuttora, così com'è. Senza condizioni. Voglio che sappia che non la costringo a scegliere tra me e la sua vita."
Therese rimase immobile.
"Vi prego, so che non siete d'accordo, ma per me è importante. Datemi la sua uniforme!"
Adesso la sua voce suonava come una supplica.
"Ascoltate, Andrè. Io...non mi permetterei mai di scegliere cos'è giusto al vostro posto, o al posto di madamigella Oscar, ma - e di nuovo girò lo sguardo in direzione di Gustave, che abbassò gli occhi, quasi colpevole -la sua divisa e la sua spada non sono più qui!"  Andrè la guardò esterefatto, non riusciva a capire il senso di quelle parole.
"Che significa?"
Si rivolse a Gustave, ma il ragazzino si strinse nelle spalle, perseverando nel suo mutismo. Intervenne Therese.
"Gustave le ha riportate stamattina a Palazzo Jarjayes, su richiesta di Oscar, insieme ad una lettera per il Generale, suo padre. Lo ha pregato  di non dirti nulla..."
L'uomo spalancò gli occhi per lo stupore, interdetto, come se la comprensione di quel gesto faticasse a raggiungere il suo cuore.
Therese sorrise e sospingendolo verso la porta, in un tacito invito a tornare da lei, gli disse
"Scegliere è saper rinunciare. E la tua Oscar ha già scelto"
Fu allora che il giovane capì appieno il significato di quella consegna, del suo abbigliamento di quel giorno, di decisioni messe in pratica, prima ancora di avergli rivelato di amarlo!
Sentì l'urgenza di tornare da lei, e, dimenticando il cibo preparato per loro, si precipitò fuori dalle cucine.
Dopo che la porta si richiuse, sbattendo dietro di lui, Therese si rivolse a Gustave, ancora confuso, accarezzandogli la testa
"Portagli il cestino e lascialo fuori, sui gradini...prima che il nostro Grandier faccia morire di fame la sua amata!"

Andrè correva nel buio, rapito da una felicità che rasentava la follia, e raggiunse la depandance, entrando come se lo stesse inseguendo un fulmine.
Quasi si strappò gli abiti di dosso, mentre Oscar alzava il capo, svegliata dal trambusto. Gettò malamente gli stivali e si infilò nudo nel letto.
"Hai le mani fredde, dove sei st..."
Non riuscì a finire la frase, travolta dalla foga con cui lui la strinse, entrando in lei, senza una parola.
Solo quando lo circondò con le sue gambe e lo abbracciò a sua volta, assecondando il suo imperioso desiderio, Andrè si calmò e riprese ad amarla lentamente, con dolcezza, tenendola però saldamente per i fianchi, completamente abbandonato sul suo corpo.
E quando infine il piacere si spense, rimase sopra di lei, col volto nascosto sul suo seno e le braccia allacciate dietro la sua schiena, mentre sentiva le sue dita affondare tra le ciocche dei suoi capelli, accarezzandolo teneramente e la sua voce sussurrare come un eco "Ti amo, Andrè...quando siamo insieme, sento di vivere, sento di vivere" (1)



(1) Direi che è superfluo indicare la fonte di questa citazione...

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14 Capitolo di transizione, dove  si spiega l'identità di quello che alcune di voi hanno definito il  cavaliere misterioso..
e dove inizia un nuovo giorno per oscar e andrè.


Capitolo 14

Era  l'alba del 30 giugno 1789 .
L'enorme palazzo giaceva ancora nel silenzio.  Augustin de Jarjayes aveva trascorso quella notte insonne, come la precedente.
All'ira che lo aveva accecato qualche giorno prima, si era aggiunta la necessità di ricevere spiegazioni, e l'ansia di non sapere a chi rivolgersi per averle.
Non poteva credere  al resoconto del colonnello Le Baume e nemmeno alla parola del suo amico, il generale Bouille: quella che avevano descritto non poteva essere sua figlia Oscar.
Dopo l'incontro  coi massimi vertici militari, al cospetto di sua maestà Luigi XVI,  durante il quale i suoi nemici storici  avevano chiesto addirittura l'abrogazione del suo titolo nobiliare e gli amici di una vita  avevano taciuto, imbarazzati, era rientrato a palazzo, preparandosi ad affrontare la figlia ribelle e a punirla personalmente.
Ma Oscar non era rientrata a casa, nè in caserma, dove l'aveva fatta cercare. Sembrava svanita nel nulla, e così il suo ex attendente, che aveva lasciato l'esercito da tempo.
Si era persino rivolto a Nanny, la vecchia governante, intimandole di parlare, ma questa gli aveva giurato, in lacrime, di non sapere nulla, che Andrè le faceva recapitare  brevi messaggi in cui la rassicurava sulle sue condizioni, senza mai indicare dove si fosse trasferito.
Imprecò a voce alta. Ancora una volta maledisse la decisione di fare di sua figlia un soldato, e la sua debolezza per averle permesso di mandare in fumo il matrimonio col conte Girodel.
"Se adesso fosse sua moglie, tutto questo non sarebbe successo!"
In lontananza udì i primi rumori della servitù muoversi  per la casa.
Si accasciò su una poltrona  e, tenendosi la testa tra le mani, crollò in un sonno profondo ma agitato.
Si svegliò di soprassalto, poche ore dopo. Qualcuno bussava delicatamente ma con insistenza alla porta.
Possibile che i domestici  non comprendessero un ordine tanto semplice quanto quello di non disturbarlo MAI, per nessun motivo?
"Avanti!" gridò, già in preda all'ira.
Nanny fece timidamente capolino.
"Generale, vi chiedo umilmente scusa! Sono mortificata per avervi svegliato, ma...è arrivato  per voi questo..." e allungò verso l'uomo un sacco di iuta, chiuso da uno spago. Il generale la fissava, senza modificare  la sua espressione di totale disappunto.
"...da parte di madamigella Oscar"
All'udire quel nome, si gettò sull'involucro e poi immediatamente alle finestre, allontanando le tende con violenza.
"Dov'è? Chi l'ha portato?"
"Un ragazzino, padrone, mai visto prima. Ha detto solo 'Da parte di Oscar per il Generale'  ed è sparito"
"Sparito?"
"Si, generale, era a cavallo..."
"A cavallo? Cos'altro mi nascondi?" l'aggredì con furia, notando il suo tono esitante.
"Era Cesar. Se n'è andato col cavallo di Oscar, ne sono certa"
L'uomo era ancora più confuso. Le fece un gesto sbrigativo, per dirle di allontanarsi, e non appena sentì la porta chiudersi dietro di lei, strappo con foga lo spago e aprì il sacco.
Si ritrovò tra le mani l'uniforme della figlia, perfettamente lavata e ripiegata. Sentì il rumore della sua spada cadere per terra.
"Ma che diavolo...."
Dal sacco scivolò fuori un foglio ripiegato, senza sigilli. Riconobbe subito la calligrafia di Oscar. Lesse velocemente, mentre sentiva il cuore  pulsare impazzito nel petto. Quando ebbe finito alzò gli occhi, sbarrati e stringendo la lettera nel pugno della mano, uscì gridando a gran voce "Sellate il mio cavallo!"

Quando raggiunse Versailles, trovò sua moglie ad attenderlo vicino al Bacino di Latona, nei giardini della reggia.
Marguerite  sapeva  che doveva aver ricevuto notizie di Oscar per precipitarsi  a corte senza preavviso, e gli spazi aperti erano anche i più discreti per parlare.
Il generale rimase in piedi davanti a lei, mentre le allungava un foglio stropicciato. Poi le voltò le spalle, lasciandola leggere a bassa voce, fissando l'orizzonte.
Caro padre,
da quando sono nata
, ad oggi, ho cercato di condurre la mia vita seguendo i vostri ideali, pensando sempre di scegliere ed agire in modo da rendervi orgoglioso di me. Non so se ci sono riuscita, ma vi posso giurare che ogni volta è stato nelle mie intenzioni.
Non l'ho fatto per dovere, o per paura.
L'ho fatto per amore, per dimostrarvi tutto l'affetto che nutro per voi.
Allo stesso modo, oggi, devo fare una scelta diversa e separarmi dalla strada che ho percorso finora, accanto a voi, per voi.
Non lo faccio perchè sono una figlia ribelle o ingrata. A condurre le mie decisioni è il motivo di sempre: l'amore.
L'amore per un uomo, che non siete voi.
L'amore più forte che abbia mai provato nella mia vita, più di quello che mi legherà a mio padre, finchè vivrò.
Non so se avete mai sperimentato  qualcosa di così intenso, e bello, che ti fa piegare, senza soggiogarti, che diventa il tuo padrone, senza farti sentire schiavo.
Se avete mai provato un sentimento così, capirete, senza che aggiunga altro. Se ignorate cosa sia, non potrò trovare parole per spiegarvelo, non lo capirete mai.
E in entrambi i casi, vi chiedo solo il perdono per la delusione che vi arreco, rinnovandovi il mio più sincero affetto.
Oscar
La madre di Oscar alzò gli occhi sul marito, sospirando.
"Sapete di chi parla?"
L'uomo annuì.
"Cosa intendete fare?"
"C'è  solo una cosa che possa fare, come padre e come fedele servitore dei miei sovrani..."
Furono interrotti da un messo reale.
"Sua maestà l'attende, Conte de Jarjayes"
Si allontanò senza guardarla, lasciandole la lettera tra le mani.

Luigi XVI teneva sospeso il sigillo reale, mentre fissava lo sguardo negli occhi imperturbabili del generale.
"Siete certo, generale, della vostra richiesta? Non conosco molti padri che vorrebbero questo per la propria figlia..."
Il conte si inchinò leggermente.
"Sarò sempre grato a sua maestà per avermi esaudito"
Alle spalle del sovrano, Maria Antonietta lo scrutava severamente.
Il re appose il sigillo e consegnò la pergamena al padre di Oscar.
Furono interrotti da grida concitate provenienti dai corridoi. I tre si guardarono confusi.
Sembrava fosse scoppiato un tumulto all'esterno della prigione di Abbaye: il popolo chiedeva la grazia per i soldati di Oscar Francois de Jarjayes.

Mimetizzato tra la folla all'esterno del carcere, ma a debita distanza, cercava con gli occhi una giovane donna dai capelli biondi, sua figlia. Era certo che avesse architettato la sommossa per ottenere la grazia dei suoi uomini, e che avrebbe voluto assistere di persona all'evento. E sapeva che non avrebbe indossato la divisa da ufficiale.
Solo al termine di quella assurda giornata, quando i soldati sfilarono tra le vie di Parigi, riuscì finalmente a vederla. Stringeva la mano di un uomo che gli era altrettanto familiare, Andrè.
Senza farsi notare li seguì fino ai cancelli di una tenuta  alla periferia della città, a lui sconosciuta. Li osservò dirigersi di corsa alle scuderie, mentre iniziava a piovere con insistenza.
Rimase a fissarli finchè non uscirono dalla sua vista.
Poi girò il cavallo e si diresse al galoppo verso palazzo Jarjayes.
Forse, finalmente, quella notte sarebbe riuscito a dormire. 

Era l'alba del 1 luglio 1789.
Oscar si svegliò felice, ma assolutamente affamata.
Uscì dal letto per cercare qualcosa nella piccola dispensa della stanza, infilandosi in fretta la camicia di Andrè.
L'odore del suo uomo sulla pelle le inebriò i sensi.
Si voltò a guardarlo. Dormiva  con un'aria beata e soddisfatta, un braccio piegato dietro la testa e l'altro mollemente appoggiato sul ventre. Quante volte lo aveva visto riposare così, gettato sull'erba, quando, poco più che bambini, uscivano a cavalcare nelle ore di svago! Obbligato ad alzarsi all'alba per assolvere a numerose mansioni prima di occuparsi di lei, era sempre pronto a recuperare un po' di sonno nei momenti di pausa.
Se non fosse stato per il suo stomaco, che reclamava di essere ascoltato, sarebe tornata subito nel letto per fare ancora l'amore con lui. Non credeva potesse essere così appagante. Non  credeva avrebbe più potuto vivere senza.
Si stava perdendo in queste fantasie quando avvertì una sorta di bruciore  dal petto risalire fino alla bocca. Cominciò ad essere scossa da violenti colpi di tosse, che la costrinsero a piegarsi, colta da un'improvvisa fame d'aria.
Fissò il palmo della sua mano: piccole gocce di sangue scuro  si stagliavano sul pallore della sua pelle.
Chiuse la mano a pugno, e si lasciò lentamente scivolare lungo il muro. Appoggiò la testa alle ginocchia, in preda  ad un dolore lacerante misto a rabbia.
Perchè proprio adesso? E alzò il pugno pronta a sferrare un colpo a terra per la frustrazione.
Una presa ferma e gentile blocco il suo braccio. Alzò la testa e ritrovò lo sguardo limpido e sereno di Andrè. Non era più il ragazzino addormentato, era l'uomo che l'aveva soccorsa sempre, senza che lei  dovesse chiedere, o spiegare. L'uomo che sapeva consolarla con piccoli gesti discreti ma importanti. Era il suo Andrè. Aprì delicatamente la sua mano e con un fazzoletto la pulì delle tracce lasciate dalla sua malattia. Sfiorò con le labbra il palmo della sua mano poi la prese in braccio e la adagiò sul letto. Lei lo trattenne in una stretta con le braccia.
"Sono qui Oscar, sono con te. Adesso niente può più dividerci *."
La donna sentì per la prima volta nella sua vita la paura della morte.
"Andrè, vorrei...vorrei che mi dicessi che un giorno diventerò tua moglie*"
La strinse ancora di più e le rispose sorridendo, parlandole piano vicino all'orecchio.
"Certo Oscar, lo diventerai! E' la cosa che più desidero al mondo*!"
Si allontanò per prendere una cesta lasciata fuori dall'uscio.
"Gustave ci ha portato la colazione
, ti preparo qualcosa"

* varie frasi tratte dall'anime

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15 Capitolo breve, che definirei di transizione, centrato ancora su un confronto tra Oscar e Therese. Necessario per legare due fasi diverse della fic (diciamo che da qui in avanti si discosta dalla trama dell'anime, per ovvii motivi), ma in cui fondamentalmente non succede niente.
Leggetelo di giorno, potreste addormentarvi...
A breve  aggiungerò quindi il capitolo 16.


Capitolo 15

Oscar visse quei primi giorni  a casa Dressie come sospesa in un limbo, tra un mondo esterno  che si sgretolava inesorabilmente e l'oasi felice racchisa tra quelle mura, insieme ad Andrè.
Nessuno degli altri ospiti le permetteva di fare alcuno sforzo.
Trascorreva le sue giornate passeggiando per la tenuta, leggendo e suonando il pianoforte, spesso intrattenendo in questo modo Gustave e le altre due donne o aiutandole nelle incombenze meno gravose.
A causa  della spirale di violenza che si era abbattuta su Parigi, teatro quotidiano di saccheggi e aggressioni, sempre più di rado si aggiravano all'esterno della tenuta, e per qualsiasi commissione si prestava Andrè, a volte insieme al suo giovane protetto.
Per questo Oscar durante il giorno non lo vedeva per ore. La sera, però,  era per loro due: la trascorrevano inizialmente insieme a Therese, ma la donna era sempre più spesso stanca e andava a coricarsi presto. Allora era Oscar che leggeva ad Andrè, che suonava per lui, oppure lo ascoltava raccontare gli avvenimenti della giornata,  abbracciandolo. Spesso questi momenti erano il preludio a notti infuocate dalla passione, consumata nella piccola depandance.
Nonostante l'uomo la avesse rassicurata  sul fatto che potesse continuare ad usare un abbigliamento maschile, Oscar aveva immediatamente apprezzato gli indubbi vantaggi  delle vesti feminili, che le consentivano di esporsi alle sue carezze leggere; ai suoi baci rubati, sul collo e sul seno; alle sue sortite sotto le gonne, quando si amavano furtivamente negli angoli più disparati, travolti da un  desiderio che non poteva aspettare.
Andrè si stava adoperando nell' organizzare il loro matrimonio, atto necessario prima di partire per raggiungere una località più consona alla salute di Oscar.  Purtroppo  non era semplice, considerando che si trattava di un'unione illecita, che comportava il ripudio obbligato da parte della famiglia della sposa.
Vivevano quindi in una situazione di  peccaminoso concubinato (1), e proprio per non offendere la sensibilità della loro generosa ospite, Oscar aveva delicatamente affrontato la questione con lei, dopo la sua prima notte con Andrè.
Madame Dressie stava raccogliendo alcune verdure nel piccolo orto della tenuta, mentre Oscar le faceva compagnia, seduta  all'ombra di una pianta di fichi. Le aveva chiesto, tenendo gli occhi fissi sulla  piccola cesta che aveva in  grembo,  se avesse qualcosa in contrario al fatto che dividesse la depandance con Andrè.
La donna aveva interrotto il suo lavoro e l'aveva guardata negli occhi.
"Madamigella Oscar, se fossi assennata e piena di giudizio, vi direi che non si conviene, finchè non sarete legalmente uniti in matrimonio. Ma la verità è che... penso sia meglio così,  per tutti e due.
Da quando siete arrivata non ho più sentito Andrè lamentarsi per la sua vista, mette gioia in tutto quello che fa  e...fischietta continuamente, non trovate?"
Oscar rise con lei.
"E anche voi, se mi permettete, avete una luce negli occhi che prima non c'era. Ritengo - continuò con un finto accento di serietà -che il caldo abbraccio in cui lui vi avvolge la notte  abbia dei benefici anche sulla vostra salute..."
Oscar la guardò di sottecchi. Era di certo cambiata, un tempo non avrebbe permesso a nessuno di prenderla  affettuosamente in giro così, su un argomento tanto delicato...
Therese era davvero una persona eccezionale, come non ne aveva mai conosciute prima.  E lo era tanto più perchè aveva condotto un'esistenza pari a quella delle altre donne. Non era come lei, che risultava straordinaria per l'educazione maschile  ricevuta e per la sucessiva carriera militare. No.  La caratteristica che rendeva Therese diversa da tutte le dame che aveva conosciuto stava nella sua mentalità, nel suo pensiero. Era lì che esprimeva tutto il suo coraggio e la sua forza, non con la spada.
Aveva sfidato le leggi secolari della sua società, laddove lei si era limitata a duelli  e a caccia al ladro.
E pur vivendo una fase della sua vita piena di felicità, quella felicità completa che aveva sognato per tanto tempo,  Oscar sentiva una strisciante inquietudine, svincolata  dalla sua malattia.
Temeva che un amore come quello che la univa ad Andrè, così disdicevole  e contro le regole, potesse esistere solo  tra le mura di quella casa, protetto dalla forza d'animo della sua proprietaria.
Come i  fiori di lillà, rigogliosi  nel suo giardino, calpestati altrove. 

(1) giudizio ovviamente riferito alla mentalità dell'epoca, non fraintendetemi...
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 166 Capitolo  16

Quando Alain, Bernard e altri tre soldati della guardia varcarono i cancelli di casa Dressie, il campanile di Montmartre batteva le tre del pomeriggio.
Entrarono nel viale della tenuta,  seguendo le note di un pianoforte in lontananza.  
Dapprima una breve melodia, fluida e scorrevole, seguita a breve distanza da una sua ripetizione, con qualche pausa e qualche steccata di troppo. Sembrava di sentire un maestro col proprio allievo.

Mentre Bernard e gli altri si avviarono all'ingresso,  Alain seguì la musica dirigendosi nel giardino.
Da un'ampia vetrata, aperta, si vedevano le spalle di un ragazzetto  seduto al pianoforte accanto ad una giovane donna, con i capelli biondi, raccolti, ed un leggero abito rosa pastello. Alain si tolse il cappello e  fece scorrere gli occhi sull'esemplare di femmina che aveva davanti, soffermandosi sul collo esile, sulla  pelle chiarissima lasciata scoperta dai capelli, sulla vita sottile e sulle dita che faceva scorrere sui tasti con tanta maestria. Stava immaginando quelle dita intente in qualcos'altro, quando la donna si voltò ed Alain riconobbe nella fonte dei suoi turpi pensieri il suo comandante.

"Che mi venga un colpo..." esclamò l'uomo.
Oscar si alzò di scatto, ed altrettanto repentinamente il soldato le fece il  saluto militare. Poi abbassò la mano, incerto, sentendosi un po' stupido.  In quel momento furono raggiunti da Andrè insieme a Bernard e agli altri uomini.
Si accomodarono nei due piccoli sofà vicino al pianoforte, mentre Andrè rimase leggermente in disparte.
Dopo  i saluti e i ringraziamenti, fu Bernard a prendere la parola, rivolgendosi direttamente ad Oscar, senza manifestare alcuna sorpresa nel trovarla vestita con abiti femminili, insieme al suo ex attendente, o comunque senza darlo a vedere.
"Parigi è una capitale sotto assedio. Il re ha richiamato in città tutti i corpi militari dell'esercito, che si stanno insediando nai vari quartieri. Non solo i reggimenti dalle diverse province, ma anche i contingenti stranieri, gli ussari e le guardie svizzere (1).  Probabilmente qualche battaglione si accamperà anche qui, hanno bisogno di spazio e approvvigionamenti, e di certo non andranno a disturbare nelle lussuose ville dei nobili."
Oscar ascoltava in silenzio.
"Sta per scoppiare la Rivoluzione, - continuò Bernard-  una guerra tra il popolo francese e l'esercito al servizio dei nobili e della famiglia reale. Noi siamo certamente più numerosi, ma disarmati e senza alcuna preparazione  militare"
"Comandante, - continuò Alain- abbiamo saputo dal colonnello D'Agoult che avete lasciato l'esercito e rinunciato ai vostri titoli nobiliari. Avete lottato con tutte le vostre forze per farci liberare dal carcere militare. Noi siamo qui per invitarvi ad unirvi al popolo ed essere al suo fianco.
Abbiamo bisogno di cervelli come il vostro se vogliamo avere almeno una speranza di contrastare  l'esercito!"
"Io ho fatto la mia scelta" replicò Oscar, indicando con la mano il suo abito femminile.
"Nessuno vi chiede di indossare l'uniforme, o di rinunciare alla vostra vita da donna! Vorremmo solo che voi foste la nostra guida e vi uniste ai capi  dei rivoluzionari. Voi siete addestrata per condurre un attacco o organizzare una difesa, conoscete le caserme militari, i magazzini in cui sono custodite le armi..."
La giovane si voltò istintivamente verso Andrè, che finora era stato in silenzio, appoggiato al muro.
Bernard lo invitò a sbilanciarsi
"Andrè è dalla nostra parte, vero? Lo è sempre stato, dai tempi del Cavaliere Nero"
L'uomo alzò lentamente lo sguardo e lo puntò negli occhi di Bernard.
"Sono dalla parte dei miserabili, degli affamati, dei disperati che non sanno nemmeno se arriveranno a domani. Come voi. Ma tu chiederesti una cosa del genere a Rosalie? E tu, Alain, manderesti davanti ai cannoni tua sorella Diane?"
"Avanti Andrè, non puoi paragonare le doti e le capacità di Oscar a quella di una donna comune!"
"Non stavo facendo un paragone di meriti, Bernard, ma di sentimenti. Perchè qualsiasi cosa sia in grado di fare Oscar, nel mio cuore lei vale quanto Rosalie nel tuo! "
"Lo so che non vorresti mai esporre la donna che ami al pericolo di una battaglia, ma credimi, Andrè, non potrete rimanere immuni dai disordini e dalle sommosse che si scateneranno a Parigi nei prossimi giorni.  E' imminente l'allontanamento da parte del Re del ministro Necker e tu sai cosa significa. Finora l'esercito ha controllato la situazione perchè siamo praticamente disarmati, ma ci stiamo organizzando per impossessarci delle armi e delle munizioni e a quel punto la guerriglia sarà inevitabile, e sarete costretti a  schierarvi! La lotta armata non risparmierà nessuno, nè donne nè bambini. E se vuoi saperlo, Rosalie sarà al mio fianco, insieme a mio figlio, che porta in grembo!"
Oscar si portò le mani alla bocca, pensando alla sua piccola Rosalie in procinto di diventare madre, mentre Andrè rimase impassibile.
"Bernard, ho seguito tante riunioni e assemblee sulla tragica situazione del nostro paese. Trovo intollerabili le condizioni di vita a cui è costretta la maggior parte dei francesi, per consentire un lusso sfrenato  a pochi eletti. Ma questa rivoluzione, come la chiami tu, ha mille anime e troppi capi. Tra di voi ci sono persone come Saint Just, che uccide indiscriminatamente i nobili solo in quanto tali. Senza neanche immaginare le conseguenze. Vi siete mai domandati  che ne è  stato dei contadini  che lavoravano le loro terre? Credete davvero che averli lasciati a se stessi senza nessuno che li amministrasse sia stato un bene? Qualcuno di voi è in grado di produrre ricchezza? Siete solo capaci di strapparla ai nobili, ma quando sarà finita, quando sara stato tutto saccheggiato, cosa darete da mangiare al popolo? Lo aizzate come una bestia feroce ed affamata, ma non lo controllate e ...vi sfuggirà di mano, forse addirittura vi si ritorcerà contro! Perchè l'altro giorno hai detto ad Oscar di lasciare il paese?"
Bernard non rispose, preso in contropiede dal veemente discorso di Andrè.
"Perchè sai benissimo che si scatenerà una guerra contro i nobili che non risparmierà nessuno, che non terrà conto delle persone, di come sono, di quello che hanno fatto,  ma solo del titolo che portano! Oscar è stata ostacolata al suo arrivo alla Guardia Nazionale solo perchè aristocratica e donna, senza che nessuno considerasse le sue capacità e il suo grande cuore, mentre  io sono stato pestato a sangue dai miei commilitoni e chiamato cane dei nobili (2) solo per aver servito presso la famiglia Jarjayes, che mi ha sempre trattato come un figlio!   Gustave, invece,  è stato comprato, come un animale, da un popolano che lo usava come schiavo! Davvero pensi che lo sfruttamento stia solo dalla parte dei ricchi? Davvero ritieni che gli aristocratici siano tutte persone senza meriti?"
"Se Oscar fosse una rivoluzionaria a tutti gli effetti, diventerebbe un'eroina del popolo francese, nessuno le torcerebbe un capello!" replicò Bernard.
"E a suo padre? A sua madre, da anni dama di compagnia della tanto odiata regina austriaca? Alle sue sorelle?
Una volta armati vi scaglierete contro tutto il suo mondo, i suoi affetti. Oscar avrà anche rinunciato al suo titolo, ma non può cancellare i sentimenti dal suo cuore.
Se proprio vuoi saperlo,  Bernard, io per primo devo la vita alla regina, quanto tu la devi a me. Se non si fosse inginocchiata davanti a Luigi XV e non avesse supplicato per risparmiarmi dalla pena di morte, forse non sarei qui. E anche tu Alain,- continuò volgendosi all'amico- credi che saresti stato graziato se non fosse per l'antica amicizia tra Oscar e Maria Antonietta? Certo, la sommossa scatenata davanti alle carceri ha messo a conoscenza i sovrani della situazione, ma sono sicuro che nella loro decisione ha avuto peso la riconoscenza che nutrono per Oscar e la sua famiglia."

Nessuno osò replicare.
"Comunque Oscar non è solo un abile soldato ed un comandante con esperienza: è una donna in grado di pensare con la sua testa e di prendere le sue decisioni...ed io non sarò certo di intralcio alle sue volontà!"
E terminata la frase si voltò come per andarsene.
In quel momento entrò Gustave gridando verso di lui.
 "Andrè, i soldati, stanno arrivando i soldati!"

Bernard, Alain e gli altri si alzarono immediatamente.
"Meglio non farci trovare qui!" esclamò Bernard.
Andrè indicò loro rapidamente l'uscita dalle cucine, che portava al retro della tenuta.
"Sarò sempre tuo amico, Bernard, ma rifletti su ciò che ti ho detto e ....abbraccia per me Rosalie!"
Si scambiarono una stretta di mano.
Prima di allontanarsi, Alain si avvicinò ad Oscar ed accennò un baciamano.
"Spero di rivedervi presto, mio comandante!"
Oscar gli sorrise imbarazzata.
"Dì a Bernard che gli farò avere una risposta e portate i miei saluti a Rosalie!"
Quando i loro amici furono in salvo e si avvicinarono i nuovi arrivati, si accorsero che si trattava di un piccolo drappello di sei uomini guidati da un alto ufficiale.
Gustave guardava ammirato le loro scintillanti divise, simili a quelle create dalla sua fantasia, quando Andrè raccontava storie  di avventure cavalleresche, lette da bambino.
Lo colpirono soprattutto gli occhi azzurri e severi del generale al comando, che , nonstante incutessero soggezione, gli sembravano tanto familiari.

(1) In effetti esistevano già dai tempi del Re Sole  piccoli reggimenti di milizie straniere "a pagamento" che comprendevano, oltre ai dragoni  svedesi del nostro caro Fersen, mercenari prussiani (noti come ussari) e svizzeri
(2) frase dell'anime in lingua giapponese del noto episodio di pestaggio in caserma, ovviamente modificata dalla traduzione italiana perchè troppo "violenta"

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 16 Capitolo 17

Oscar si avvicinò al drappello di soldati, chiedendo ad Andrè e Gustave di allontanarsi.
Il padre non potè ignorare quanto la figlia avesse mantenuto uno sguardo fiero e coraggioso, nonostante l'abbigliamento le conferisse grazia e delicatezza. Non erano certo la divisa e la spada l'origine della sua forza d'animo. Provò una punta di orgoglio nell'ammirare la giovane donna che gli si parava innanzi e notò qualcosa di inedito nei suoi occhi e nell'espressione del suo viso, quella particolare bellezza che solo l'amore può portare.
"Siete venuto per arrestarmi?" chiese Oscar, spostando lo sguardo  dai soldati  dietro al generale alla pergamena che il padre stringeva in una mano. 
"No, Oscar" le rispose con voce rassegnata, mentre smontava  da cavallo.
"Voglio solo parlare con te"
C'era un tono di tristezza e rimpianto nella sua voce.
Seguì la figlia verso una piccola panca di marmo bianco in mezzo al giardino di Therese Dressie.
Il generale si sedette e cominciò a guardarsi attorno. Sembrava prendere tempo.
Oscar pensò che non lo aveva mai visto così, le parve persino invecchiato.
"Quanti fiori, qui attorno. E' certamente un luogo un po'...selvatico" commentò.
"Madame Dressie  adora la natura..."
"Già, Madame Dressie- ripetè il generale in tono sarcastico- la notorietà dello scandalo di cui fu protagonista trentanni fa è seconda solo alla fama di suo marito come farmacista..."
La figlia non rispose, infastidita da quel commento.
"Ti ha già sposato?" Chiese bruscamente
voltandosi verso Andrè, che li osservava in lontananza.
La donna scosse la testa.
Seguì un momento di silenzio.
"Ascolta, Oscar. Come ti ho già detto quando ricevesti l'offerta di matrimonio del conte de Girodel, sono sinceramente pentito di averti cresciuto come un uomo. Lo sono ancor di più adesso che il nostro paese versa in una situazione così critica. Quanto mi sarebbe stato di conforto saperti lontano dagli scontri, protetta nella casa di uomo che si prendesse cura di te!"
"Purchè quell'uomo fosse nobile..." aggiunse Oscar.
"Io ti ho messo accanto Andrè, ed è l'unica scelta di cui non mi sono mai pentito. Non credo esista al mondo qualcuno che possa amarti quanto lui, e se fosse stato un aristocratico avrei caldeggiato la vostra unione da sempre. Ho saputo che ti avrebbe reso felice prima che lo capissi tu..." concluse con amarezza.
"Un tempo mi sarei scagliato con violenza contro una vostra relazione, ma oggi, coi cambiamenti che incalzano, mi rendo conto che una differenza di rango che mi appare incolmabile può davvero non significare nulla. Il mondo in cui sono cresciuto e in cui ho vissuto sta crollando e forse, nella nuova era che lo seguirà, un rapporto come il vostro sarà considerato accettabile.
Ma il tuo titolo nobiliare, Oscar, non è come un' uniforme, che ti puoi togliere e gettare via. Fa parte di te, parla delle tue origini, racchiude quello che sei. Non voglio che ci rinunci! Non devi farlo per Andrè!"
"Padre, io ho deciso..."
La interruppe, alzandosi e dirigendosi verso il giovane.
"Lo sai che se un popolano vuole sposare un nobile deve chiedere il permesso del Re?"
Gli chiese bruscamente.
Senza aspettare la sua risposta, gli allungò la pergamena col sigillo dei Borboni.
"Questo è il permesso per l'unione tra la contessa Oscar Francois de Jarjayes ed Andrè Grandier, uomo privo di titolo nobiliare"
Andrè era sinceramente senza parole.
"Ricordati che grazie a questo documento lei rimarrà sempre mia figlia, anche quando sarà tua moglie!"
Poi si sfilò dalla sella un cofanetto di legno e glielo consegnò.
"Questo ve lo regala mia moglie e so che tua nonna ha voluto aggiungere qualcosa"
Andrè aprì la piccola scatola di legno. Era un carillon che aveva sempre amato da bambino, a cui non osava nemmeno avvicinarsi, perchè di proprietà della contessa... Conteneva la statuetta di una creatura mitologica, una piccola sirena dai lunghi capelli biondi, come  Oscar. Nel piccolo vano al di sotto di questa, la madre di Oscar aveva messo diverse banconote.
Ma Andrè fu colpito da un piccolo sacchetto di velluto consunto, che rammentava  gelosamente custodito da Nanny nel suo portagioie. Sentì sotto le dita la forma di un piccolo anello.
"Credo fosse  di tua madre" spiegò il generale, distogliendo lo sguardo.
Andrè lo sfilò dall'involucro e si trovò tra le mani un anello d' argento, annerito, con un cameo di corniola.
Si sedette ammutolito, mentre una lacrima sfuggiva al suo occhio e solcava silenziosa il suo volto.
Il generale  si avvicinò al suo cavallo, pronto ad andarsene.
"So che le darai tutte le gioie che una giovane donna merita. Ti chiedo solo una cosa"
Il giovane tornò a fissarlo con la vista appannata dalle lacrime.
"Lasciate Parigi! E prenditi cura di lei come del più prezioso dei fiori!"
Poi rivolse un ultimo sguardo alla figlia.
"Addio, Oscar"
La giovane gli prese la mano, prima che spronasse il cavallo.
"Non ditemi addio, padre. Sono certa che ci rivedremo"
Ma l'uomo non riuscì a risponderle, tormentato, suo malgrado, da un triste presentimento.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18 Capitolo 18

Le note di una musica veloce e potente, suonata con vigore e maestria, arrivavano quasi con prepotenza fino alle cucine.
Madame Dressie puntò gli occhi su Andrè, con fare interrogativo, mentre tra le sue mani  si  formava velocemente un gomitolo di lana. Gustave l'aiutava, seduto davanti a lei, con  la matassa di filato trattenuta dalle sue braccia alzate.
"Fa così quando è nervosa..." spiegò l'uomo.
"Pensavo si fosse rasserenata dopo l'incontro col padre"
"Oscar è combattuta tra la richiesta di unirsi ai rivoltosi e la necessità di condurre una vita diversa per la sua malattia"
"Ma Andrè, le sue condizioni sono molto serie, non c'è neanche da avere il minimo dubbio su cosa..."
"Madame- la interruppe Andrè- da quando la conosco, Oscar non ha mai seguito le indicazioni di un medico: di fronte ad una ferita che richiedeva un mese di riposo, lei si alzava dopo quindici giorni. E a essere sincero, nemmeno io...benchè sapessi a quali conseguenze sarei andato incontro" Therese capì che si riferiva alla perdita del suo occhio sinistro.
Gustave ascoltava in silenzio, e non appena terminò la sua incombenza con la padrona di casa, si alzò e lasciò la stanza.
Quando Oscar terminò il brano, era quasi sfinita. Sentiva la pelle del collo madida di sudore e leggeri formicolii lungo tutte le dita.
Ebbe quasi un sobbalzo quando vide Gustave seduto sul pavimento  davanti  a lei, con  le ginocchia raccolte e la schiena appoggiata al muro.
"Bella...un po' forte" fu il suo semplice commento.
"Non vai ancora a letto?"
Scosse piano la testa, senza distogliere gli occhi dai suoi.
"Allora andrete con gli uomini  che ho visto oggi? Tornate a fare il soldato?"
Oscar sorrise, intenerita dall'evidente preoccupazione del suo giovane amico.
"Vieni qui, Gustave" e lo invitò a sedersi accanto a lei.
"Ti ricordi come stavi prima di incontrare Andrè?"
"Io...ricordo solo tanta fame, tanto freddo in inverno e -quasi si vergognò ad ammetterlo- tante bastonate"
"Io non voglio che altri bambini patiscano quello che hai passato tu, per questo vorrei fare la rivoluzione"
Cercava di esprimersi nel modo più semplice possibile, pensando ai limiti del ragazzino.
"Io...non capisco cos'è questa rivoluzione" replicò scandendo l'ultima parola.
"La rivoluzione è una cosa che va fatta per cambiare completamente la vita di tutti "
Vide che aveva l'aria ancora più confusa.
"E' qualcosa che quando arriva fa stare meglio chi soffriva, come te"
"Andrè!" esclamò, come colto da un'illuminazione.
"Andrè è stato la mia rivoluzione! Prima di lui stavo male, poi è arrivato e la mia vita è- si fermò cercando il vocabolo- felice..."
"Ecco, qualcosa del genere"
"E dopo la rivoluzione staranno tutti meglio, nessuno soffrira più?"
"Io spero di si" gli rispose
Lo vide perplesso.
"Io ho conosciuto tanta gente cattiva..staranno meglio anche loro?"
Oscar rimase un attimo spiazzata da quella osservazione.
"Sai, Gustave, è facile diventare cattivi, quando si ha fame..."
"Voi lo diventereste? O Andrè ? Madame Dressie? "
Oscar sorrise.
"No, credo di no...ma sai, devi avere qualcuno che nella vita ti insegni a non diventarlo, capisci cosa intendo?"
"Non so... io sono piccolo, ma non ho mai visto qualcuno cattivo diventare buono, con la fame o senza..."
E mestamente si alzò   e si diresse alla porta.
"E Andrè verrà con voi?"
Oscar lesse la paura nel tono della sua voce, l'antico, infantile timore dell'abbandono.
"Non ti lascerà mai, Gustave. Stanne certo"
  
 Si separò dalla sua bocca a malincuore, col fiato corto, mentre l'intensità del piacere appena provato si spegneva lentamente, come un'onda del mare che piano scivola via. Restò ancora sopra di lui ed aprì gli occhi.
Lo guardò, i capelli scuri sparsi sul cuscino e la pelle di un irreale colore verde azzurro, illuminata dalla fredda luce lunare. Le ricordò per un momento le statue di bronzo  dei personaggi mitologici, che emergevano dalle acque dei bacini  nei giardini di Versailles. In lontananza si udiva il verso di una civetta solitaria.
Era ancora dentro di lei. Sembrava che quella notte non volesse separarsi dalla profondità del suo corpo. Oscar si fece scivolare piano sopra di lui, cercando il conforto delle sue braccia strette attorno alla sua schiena. Non osava parlare. Tanto Andrè  leggeva nel suo animo, come sempre.
Le accarezzo dolcemente i capelli.
"Hai pensato alla proposta di Bernard?" le chiese, riportandola inevitabilmente alla realtà.
"Ho pensato soprattutto alle tue parole, Andrè. Perchè non hai spiegato della mia malattia? Questo avrebbe indotto certamente Bernard a desistere..."
"Non credo che la malattia lo avrebbe fermato, come non credo che fermerebbe te..."
"Cosa intendi dire?"
"Sappiamo entrambi che avresti bisogno di riposo assoluto per guarire, e altrettanto bene sappiamo  che non sei in grado di stare senza far niente, come in questi ultimi giorni, se non per breve tempo."
Sospirò."Non ho mai pensato fosse facile amarti, Oscar. Non ho mai creduto  ti sarebbe bastato essere semplicemente madame Grandier"
"Meritavi una donna diversa,  una che ti seguisse nei tuoi sogni, un angelo del focolare..."
" Sei tu i miei sogni, Oscar. Sei tu il mio focolare. Ti ho sempre amata e ti amo per quella che sei. Non è l'uniforme a renderti impavida e generosa, non è una veste femminile a fare di te  una donna. Una donna unica e meravigliosa. Ai miei occhi lo sei sempre stata, fin da quando ti ho conosciuto la prima volta, sulle scale del grande salone del palazzo, con la tua piccola spada legata alla cintola e i capelli corti"
Oscar sorrise ripensando quel momento della loro infanzia.
"Spero di sbagliarmi riguardo all'esito della rivoluzione, ma le avvisaglie non sono incoraggianti. So che rappresenta la sfida più importante per la tua vita, so che credi negli ideali che difende, e che non vuoi rinunciarci, costi quel che costi. Vorrei solamente che non ci dovessimo separare per questo. Vorrei venire con te, come sempre. So che la mia vista è un ostacolo, ma troverò il modo..."
Sentì le braccia di Oscar avvolgerlo in un abbraccio improvviso.
"Io voglio diventare tua moglie, Andrè, lo voglio sopra ogni cosa!"
"Ascolta Oscar. Con  il permesso del re, dovrebbe essere più semplice trovare un prete disposto a sposarci. Madame Dressie mi ha suggerito di rivolgermi a qualcuno nei dintorni di Parigi, visto che qui in città i prelati sono tutti nascosti nelle loro canoniche, spaventati dall'odio del popolo per i loro secolari privilegi. Andrò con Gustave e poi lo farò tornare da te per dirti quando raggiungermi e  per accompagnarti. E' meglio che io non torni. In città si stanno riversando reggimenti da tutte le province, con posti di blocco e frequenti scontri coi soldati. Quando saremo sposati potremo tornare e unirci a Bernard, Alain e gli altri.
Se invece vorrai partire, credo che ormai la figlia di Madame Dressie abbia ricevuto la lettera  di sua madre, e abbia preparato tutto per il nostro arrivo a Montreaux, come avevamo pattuito. "
Interpretò il silenzio della donna come un assenso.
La sentì sdraiarsi al suo fianco e appoggiare come sempre il capo sul suo petto, all'altezza del cuore.

Il suo sogno fu interrotto da un bacio delicato sulla guancia. La debole luce dell'alba entrava dalla finestra illuminando il letto disfatto.
"Io e Gustave siamo pronti, Oscar"
Gli sfiorò il viso con una mano.
"Ci vediamo presto, amore mio" gli sussurrò con la voce ancora impastata dal sonno, e sentì la porta richiudersi dietro di lui.
Altre voci la risvegliarono, più tardi. Alzò la testa dal cuscino, cercando di decifrare i suoni che provenivano dal giardino.
Rumore di zoccoli e nitriti di cavalli. Molti cavalli.
Scese dal letto, indossò una vestaglia e si avvicinò alla finestra, scostando leggermente le tende.
Da quel punto della depandance non poteva avere un'ampia visuale del giardino. 
Stava per uscire quando si bloccò. Riconobbe  la voce di Madame Dressie rispondere alle richieste di un uomo, dal tono energico e vibrante, come quello di un militare.
E dall'accento  inconfondibile.
Quello degli ussari.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19 Capitolo 19

Con le braccia conserte, appoggiata al muro dele cucine, Oscar osservava Madame Dressie e Marie lavorare alacremente  attorno ad un enorme pentolone, già  sul fuoco a quell'ora della mattina.
"Adesso ci toccherà cucinare per venti persone!" si lamentò la cameriera.
"Purtroppo, staranno qui  finchè non avranno consumato tutte le scorte di cibo e i prodotti dell'orto, poi se ne andranno- disse Therese rivolta ad Oscar- Come le cavallette! Siamo davvero piombati in uno stato di guerra!"
Oscar fremeva. Non sopportava di trovarsi in quella situazione e di  non poter fare nulla per aiutare le due donne, che  con tanta generosità si erano prodigate per lei. Therese notò la sua insofferenza.
"Vado a vedere cosa combinano" concluse  la giovane, nel tentativo di distrarsi.
"State attenta, madamigella" la ammonì Therese. Oscar si voltò  con sguardo interrogativo. La donna la guardava carica di materna apprensione.
"Non siete avvezza a valutare i pericoli che correte, in quanto donna in mezzo a tanti uomini, soldati mercenari oltretutto..."
"State tranquilla, sono meno sprovveduta di quanto crediate!"
Si diresse  nei giardini dietro la villa e li trovò tutti a bivaccare. Qualcuno sonnecchiava all'ombra di un albero, un gruppetto giocava ai dadi accucciato per terra, altri disfavano i pochi bagagli.
L'attenzione di Oscar fu attirata da una coppia che si trovava in disparte:parlavano a voce bassa , mentre si  guardavano  attorno, indicando ogni tanto  col dito un punto imprecisato verso la città.
Uno era alto e slanciato, coi capelli brizzolati: dai gradi e dalle medaglie appuntate sulla divisa, doveva essere il loro ufficiale. L'altro, che suppose fosse il suo vice, era più basso, corpulento, con i capelli rossicci e gli occhi di un colore indefinibile, feroci. Non era un ragazzo, come gli altri, doveva avere supergiù l'età di Oscar. La donna passò loro davanti con aria distratta e avvertì immediatamente lo sguardo dell'uomo  puntare su di lei e seguirne il percorso.
Si avviò  verso le scuderie, da cui provenivano i nitriti nervosi  di Cesar. La vicinanza di tutti gli altri cavalli lo rendenvano irritabile. Strappò ciuffi di erba fresca  ed entrò nella stalla, con l'intento di consolarlo, lasciando la porta aperta per permettere alla luce di entrare.
"Stai tranquillo, Cesar- gli disse accarezzandogli il muso- appena Gustave farà ritorno ce ne andremo".
Sentì il cigolio della porta alle sue spalle e rapidamente piombò nella semioscurità. Cesar allontanò la testa dalle sue mani e cominciò a scalpitare, nervoso.
"Chi è là?" intimò Oscar, socchiudendo gli occhi  per adattarsi al buio improvviso.
La risposta fu il rumore di passi pesanti verso di lei.
Quando fu a pochi centimetri da lei, riconobbe l'uomo che aveva notato appena prima insieme all'ufficiale. Non parlava, e la fissava con gli occhi di chi si sente padrone della situazione.
Oscar lo fissò a sua volta.
"Cosa volete?"
Alla sua domanda il ghigno del soldato si trasformò in un sorriso malevolo.
Che caratterino- pensò-ha il tono di un comandante dell'esercito! Sarà il caso di toglierle tutta questa baldanza.
Le si fece addosso, e con un forte accento germanico le sussurrò nell'orecchio "E' il vostro cavallo?". Cesar nitrì, quasi volendo rispondere.
"Siete una puledra che sa scegliere i suoi stalloni. Scommetto  che vi piace essere montata a dovere..." E fece scivolare l'indice lungo il collo di Oscar fino a raggiungere l'insenatura del suo petto, scoperta dalla scollatura dell'abito , dove lo infilò.
"Credevo che solo le nobili di Francia avessero una pelle così  liscia e bianca..."
"Toglietemi subito le mani di dosso" gli intimò, scandendo piano le parole.
Avrebbe riso di un ordine così ridicolo se non fosse stato per gli occhi di quella donna. Lo fissavano senza cedimenti, senza tradire la minima paura.  Non era abituato ad essere guardato così dalle fanciulle. Esitò un attimo ad allontanarsi, quasi a voler saggiare la forza della sua resistenza, quando sentì  qualcosa di freddo e duro premere  al centro delle sue gambe.
Una pistola. Quella femmina  stava puntando un'arma direttamente sui suoi attributi.
Oscar lo vide sbiancare e lentamente sfilare il dito dalla sua scollatura.
"E adesso volete essere così gentile da aprire la porta della scuderia?"
L'uomo obbedì.
"Uscite immediatamente e non provate mai più ad avvicinarvi a me o a qualsiasi altro ospite di questa casa!"    


Andrè uscì  dalla piccola cappella e si trovò nel chiostro del convento, dove Gustave lo stava aspettando. Era felice, al limite dell'incredulità.
"Oggi devo fare delle visite al villaggio,venite domani, se volete con un testimone , altrimenti chiederò a qualche confratello, e celebreremo questo matrimonio"
Così aveva detto padre Vincent.  
E Andrè andava ripetendosi nella mente questa frase, quasi inebetito. Il giorno seguente, 14 luglio, lui ed Oscar sarebbero stati marito e moglie, uniti per sempre davanti a Dio e agli uomini. La loro unione sarebbe stata inviolabile.
Aveva fatto bene a rivolgersi al convento dei frati di Rebais, nel piccolo villaggio di Meaux, che gli avevano persino offerto ospitalità per la notte. Andrè conosceva perfettamente  il luogo: da piccolo  sua nonna lo obbligava a recarvisi tutti gli anni, la prima domenica di maggio, a venerare una preziosa statua della Madonna, a cui era particolarmente devota.
Sorrise pensando a sua nonna. Avrebbe voluto che fosse lì con loro, ma si rendeva conto che era un'idea impraticabile.
Non voleva pensare a cosa sarebbe successo dopo le nozze.
Non voleva immaginare Oscar al comando dei rivoluzionari, con lui al seguito, quasi cieco.
Non voleva ricordare la sua malattia, che avrebbe seguito  il suo decorso, senza freni.
Chiuse gli occhi, col volto baciato dal sole.
Niente preoccupazioni, Andrè. Goditi questo momento, sarà un giorno perfetto.
Gustave lo guardava in attesa.
"Allora, ragazzo sei pronto? Credo ti ci vorranno un paio d'ore per fare ritorno a piedi a casa Dressie. Dì ad Oscar di prepararsi e domani mattina, di buon'ora, vi aspetto qui".
Mentre Gustave si allontanava di buona lena, fiero dell'incarico affidatogli, Andrè  mise la mano in tasca e prese tra le dita il piccolo anello di sua madre, che Marie aveva ripulito con tanta premura. Ancora poche ore e quel piccolo gioiello d'argento avrebbe sugellato il sogno che si  portava nel cuore da una vita.    

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20 Capitolo 20

Era ormai buio.
Il giardino di Madame Dressie era illuminato da un grossò falò acceso proprio davanti alla casa, attorno al quale si erano riuniti gli ussari, completamente ubriachi. Le loro voci sguaiate riempivano l'aria con canzoni volgari. Dove avessero trovato l'acquavite per ridursi così era un mistero, in una città dove ormai scarseggiava tutto.
Madame Dressie, insieme a Marie e a Gustave, stava ormai relegata in cucina, cercando di dissimulare l'ansia crescente per quella situazione, mentre Oscar aveva dovuto cedere la depandance in cui aveva condiviso i suoi giorni con Andrè  all'ufficiale del reggimento straniero.
 Era stata felice delle notizie portate da Gustave. Soprattutto di sapere Andrè lontano da quel covo di mercenari senza scrupoli.
Rintanata nel sottotetto della villa, nascosta nell'oscurità, dietro un abbaino lasciato aperto, spiava da ore i soldati accampati sotto di lei, cercando di capire quali ordini avessero ricevuto e come avrebbero agito i giorni successivi. Se ne stava rannicchiara nel buio, perfettamente immobile, con le orecchie tese. Era allenata a condizioni del genere: quante conversazioni private di suo padre aveva spiato da bambina, a volte spingendosi fin sui cornicioni del palazzo. Come quella volta che il generale si era recato nella camera di Andrè, quando lei, quattordicenne, non voleva diventare capitano delle Guardie Reali! Andrè, Andrè... continuava a fare capolino nei suoi pensieri, ma in quel momento non poteva distrarsi. Domani sarà il nostro giorno, ma oggi...oggi devo restare coi piedi per terra, devo sfruttare al massimi questa situazione!
Fino a quel momento, tuttavia,  non aveva sentito nulla di rilevante.
Finalmente vide  l'ufficiale allontanarsi da quella chiassosa marmaglia, accompagnato dal suo secondo. Cambiò posizione, seguendo i loro spostamenti.
Parlavano la loro lingua madre,  a voce piuttosto alta, certi che nessuno potesse capirli.
In quel momento Oscar ringraziò mentalmente il padre per averla costretta a studiare i testi di strategia militare scritti dai generali prussiani. Fu in grado di tradurre poche parole, sufficienti tuttavia per farsi un'idea del contenuto della loro conversazione.
Si aspettavano un attacco dei rivoluzionari alla fortezza della Bastiglia, con lo scopo di procurarsi armi e munizioni. Proprio per questo, all'interno del carcere, non era stato  lasciato neanche  un granello di polvere da sparo, e si supponeva che il piccolo contingente di guardie svizzere, assegnato al governatore De Launay (1), fosse in grado di disperdere una folla disarmata per quanto numerosa. Il compito del reggimento degli ussari era quello di intervenire, con altri corpi dell'esercito francese,  qualora il popolo fosse riuscito a penetrare nella fortezza: con la cavalleria leggera avrebbero chiuso la strada ai rivoltosi, bloccandoli dentro le mura della Bastiglia.
Se il popolo avesse vinto l'assedio, sarebbe stato un bagno di sangue.

Le sue dita scorrevano veloci sui tasti d'ebano e avorio del pianoforte, diffondendo nell'aria una musica celestiale. Lui stesso si sentiva come un angelo, una creatura ultraterrena. Nemmeno madamigella Oscar aveva mai suonato così bene...
"Gustave, Gustave!"
Qualcuno lo stava chiamando, scuotendogli con insistenza la spalla e facendo sfumare il suo splendido sogno.
Aprì gli occhi. Oscar era davanti a lui, con un mantello ed un cappuccio a coprirle la testa.
Era l'alba del 14 luglio 1789.
Adesso l'avrebbe accompagnata da Andrè per celebrare il loro matrimonio nel piccolo monastero fuori città.
"Ascolta, Gustave. Devi vestirti immediatamente, sellare Cesar e condurlo fuori dalla scuderia senza farti scoprire dagli ussari. Dormono pesantemente, ma è meglio essere prudenti"
Il ragazzino sorrise. La tenera impazienza della donna, che evidentemente non vedeva l'ora di raggiungere il suo amore, gli fece perdonare quel brusco risveglio e la fine del suo magico sogno.
"Su, vai. Io ti aspetto fuori dalla tenuta"
Si alzò dal letto e guardò fuori dalla finestra. Oscar stava superando l'accampamento degli ussari con agili balzi, perfettamente a suo agio nell'oscurità.  In un attimo uscì dalla sua vista.
Rimase un momento a pensare a come  sembrasse più un abile soldato che una promessa sposa.

Quando montò sul suo cavallo, dietro di lui, gli sussurrò
"Portami da Bernard"
Gustave si voltò di scatto, incredulo
"Ma, madamigella...Andrè vi aspetta al monastero di Rebais, è tutto  pronto!"
"Non preoccuparti, faremo in tempo. Devo solo dare delle informazioni al mio amico. Ne va della sua vita e di quella di molte altre persone"
La accontentò, sentendosi tuttavia in difetto nei confronti di Andrè, come  se stesse venendo meno ad una promessa.
Giunti vicino al quartiere dove abitavano Bernard e Rosalie, smontarono da cavallo e nascosero Cesar nel cortile di una casa abbandonata. Proseguirono a piedi, percorrendo le strade rasenti ai muri, spesso dovendosi rifugiare in qualche anfratto per  evitare le ronde di soldati che, dopo i pattugliamenti notturni, facevano ritorno alle rispettive caserme.
Quando finalmente furono arrivati, Oscar picchiò piano sulla porta. Aprì Rosalie, lasciando solo uno spiraglio per vedere di chi si trattava.
"Madamigella Oscar!" esclamò, con gli occhi già colmi di lacrime di commozione.
"Shhh!" le intimò l'amica, mentre entrava seguita da Gustave.
"Ascolta Rosalie, Bernard è in casa? Ho delle informazioni importanti per lui!"
"Ah, bene Oscar, sei tu!" disse Bernard, comparendo dall'altra stanza.
"Ascoltami, Bernard, è di vitale importanza. Tu e gli altri capi della rivoluzione dovete sapere
una cosa. Domani..."
L'uomo la interuppe.
"Andiamo al nostro quartier generale- le disse sospingendola verso la porta- così  potrai comunicare a tutti le informazioni di cui sei in possesso"
Si voltò a salutare rapidamente Rosalie ed uscì, tenendo sottobraccio Oscar, seguiti da Gustave.
"Sapevo che avresti  sposato la causa del popolo francese!" la apostrofò, quasi euforico.
Camminarono per circa dieci minuti. Ormai la maggior parte dei soldati era rientrata e le strade si stavano ripopolando di cittadini.
Nessuno fece caso a loro, sembravano un'innocua famigliola.
Giunti ad un vecchio edificio, scesero una rampa di scale, fatiscente, che conduceva  ad un locale seminterrato. Appena varcarono la soglia,  le narici di Oscar furono investite  dall'odore di chiuso e di fumo del locale. Era una stanza con le poche finestre sbarrate, sedie sparse un po' d'ovunque, ed un ampio tavolo al centro, disseminato  di bicchieri e bottiglie vuote, insieme a resti di cibo.
L'aria era riempita dal vociare  di diversi gruppetti di uomini, dall'aspetto più disparato.
L'ingresso di Bernard, accompagnato da una donna, generò un silenzio immediato  (2).
Solo uno dei presenti sembrò riconoscerla.  Era un giovane dai capelli fluenti e lisci, con labbra carnose  e due occhi quasi femminili, con lunghe ciglia.  Ma in contrasto con questi lineamenti quasi fanciulleschi , l'espressione del suo viso emanava crudeltà e sadismo.
Sbucando da un angolo buio le si avvicinò con sorriso beffardo.
"Ohohi! Che onore! Niente di meno che il Colonnello Oscar Francois de Jarjayes!"
Oscar lo fissò. Era certa di non averlo mai visto prima, eppure qualcosa in lui le era familiare. Socchiuse gli occhi, studiando i lineamenti del suo viso.
Lo sconosciuto sembrò accorgersene e spostò la sua attenzione su Bernard.
"Allora Bernard, cosa ci porti? Una povera donna col suo orfanello?" disse ridendo e facendosi gioco del suo compagno. Bernard lo ignorò.
"Ascoltate tutti. Lei è Oscar Francois de Jarjayes, l'ex comandante dei soldati delle Guardia che abbiamo fatto liberare pochi giorni fa"
Tutti cominciarono a bisbigliare e ad annuire con la testa.
"Ha informazioni rilevanti per la nostra causa, stiamola tutti a sentire"
Al suo invito calò il silenzio.
Oscar si fece avanti ed appoggiò le braccia sul tavolo, voltando lo sguardo su tutti i presenti.
"Ho saputo che domani avete intenzione di guidare la folla contro la Bastiglia"
"Si, è vero" esclamarono in molti
"Bene, le vostre intenzioni sono quelle di procurarvi munizioni per continuare la lotta e difendervi dai soldati schierati contro di voi. Ma questa informazione è arrivata al Comando Generale dell'Esercito, che ha svuotato completamente il carcere, lasciandovi solo il necessario per difendersi da un eventuale attacco! Se realizzerete i vostri piani, rischierete la vita di molti per niente" 
Fu interrotta da un coro di imprecazioni e di dissenso.
"Ma allora cosa ci consigli di fare?" le chiese Bernard.
Oscar lo fissò, ed un lampo attraversò i suoi occhi.
"Andare a prenderci le armi al Palazzo degli Invalidi. Non si aspettano di essere colpiti proprio lì, li coglieremo di sorpresa!"
Questa volta le sue parole scatenarono grida di giubilo ed entusiasmo.
Bernard la  prese per le spalle, quasi scuotendola.
"Allora, comandante? Cosa aspettiamo?"

Poche ore dopo un fiume di popolani urlanti si riversava correndo nelle strade verso il Palazzo degli Invalidi, poco lontano dall'argine meridionale della Senna.
Erano uomini, donne, bambini di tutte le età, con gli occhi che ardevano di entusiasmo, pieni di energia nonostante la fame e la miseria che li affliggevano.
Oscar, in sella al suo cavallo, li ammirava con orgoglio. Stava regalando loro un sogno, quello di diventare padroni del loro destino, di possedere la forza per poterlo cambiare.
Giunti nel magazzino dell'esercito, seguì personalmente la razzia di tutte le munizioni, indicando quali prelevare e spiegando come trasportarle. Imbracciò un fucile e davanti a decine di uomini diede istruzioni su come caricare l'arma  e su come puntare e sparare.
Si sentiva anche lei contagiata dall'euforia generale, anche lei parte di quel meraviglioso movimento che stava prendendo corpo e che si chiamava Rivoluzione.
Tutti inneggiavano a lei, le ubbidivano, guardavano a lei come a una guida.
Solo gli occhi di un ragazzino, spaurito e incredulo, la seguivano con apprensione, con lo stesso doloroso stupore di chi vede crollare un castello di carta faticosamente costruito.

(1): Marchese de Launay, governatore del carcere della Bastiglia il famoso 14 luglio 1789
(2): il movimento rivoluzionario fu un movimento assolutamente "maschilista", eravamo ancora lontani dalla parità tra i sessi

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21 Il precedente capitolo non è stato accolto molto bene dalle lettrici che seguono la mia fic. Per questo temo la lapidazione...
Credo che ognuno abbia una sua idea di come Oscar avrebbe dovuto comportarsi di fronte agli eventi storici di quel periodo. Questa è la mia visione, che non vuole essere nè assoluta nè per forza veritiera. L'unica vera è quella della Ikeda , il resto può piacere oppure no, ma resta semplicemente una questione di gusti.
Grazie a tutte quelle che vorranno arrivare fino in fondo e a quelle arrivate sino a qui.

Capitolo 21

Una folla multicolore si dirigeva verso la città. Davanti i bambini, con l'allegria di chi va ad una festa, in fondo gli uomini più giovani e robusti, che trainavano i cannoni.
Il campanile di una chiesetta lungo il percorso battè mezzogiorno.
Era in ritardo al suo appuntamento con Andrè. Lo avrebbe trovato sicuramente imbronciato, e sorrise tra sè pensando  a come farsi perdonare, quella notte...
Girò il cavallo e sussurrò a Gustave " Seguiamo Bernard fino a Parigi, poi da lì proseguiremo per il monastero di Rebais"
Il bambino non rispose. Era taciturno, non sembrava minimamente coinvolto dal giubilo che si era diffuso tra i manifestanti.
Le sarebbe piaciuto salutare madame Dressie; si era allontanata alle prime luci dell'alba come un ladro, ma non voleva correre rischi coi mercenari accampati nella sua tenuta.
Quando furono in prossimità della Senna, spronò Cesar e raggiunse gli uomini  a capo del corteo, per salutare Bernard.
"Andrè mi aspetta al monastero di Rebais: oggi diventerò sua moglie" affermò, arrossendo suo malgrado. "Porta i miei saluti a Rosalie e abbiate cura di voi !"
L'uomo che marciava al fianco del suo amico la fissò con malcelata cattiveria.
"Chissà cosa direbbe vostro padre, colonnello, a vedervi aiutare i rivoltosi mentre ripuliscono l'esercito delle sue scorte di munizioni?!" e scoppiò in una risata maligna.
"E' stata una fortuna non riuscire ad ammazzarvi, qualche tempo fa, però mi resterà sempre il rammarico che mi abbiate tolto di mano i reali di Spagna, quando li avevo in pugno..."
"Piantala, Saint Just!" lo redarguì Bernard.
Oscar spalancò gli occhi per lo stupore. Ecco chi era: il misterioso assassino dal volto mascherato, che seminava il terrore tra i nobili di Parigi e che  per sbaglio aveva ferito suo padre! 
Le tornarono alla mente le parole di Andrè. Questa rivoluzione ha mille anime e troppi capi.
Ricordò come aveva definito Saint Just. Lei non aveva creduto possibile che fosse così vicino al marito di Rosalie.

E mentre realizzava questi pensieri, fermò Cesar e lasciò che i due uomini, e il popolo dietro di loro, le sfilassero davanti.
Non appena furono sul ponte del fiume, Saint Just saltò sul parapetto e  cominciò ad aizzare la folla.
"Abbasso i tiranni! Alla Bastiglia! Distruggiamola!!"
Con un balzo tornò sulla strada e cominciò a correre, seguito dalla gente urlante, che agitava in aria le armi appena conquistate.
Oscar assistette alla scena incredula: non capiva perchè volessero dirigersi alla Bastiglia quando lei aveva spiegato loro le conseguenze di un simile attacco, e soprattutto , quando li aveva informati che non c'erano munizioni e nemmeno prigionieri politici. Quella decisione le sembrò una sorta di ripicca da parte di Saint Just nei suoi confronti, una specie di gioco di potere per dimostrarle  il suo ascendente sulle folle, e la sua capacità di condurle dove lui voleva.
Quel uomo è un pazzo- pensò-non mi farò coinvolgere in questo gioco al massacro!
Eppure, come se un misterioso passaparola si fosse diffuso per le vie di Parigi, cominciarono a confluire da tutte le strade e le viuzze dei vari  quartieri, orde di cittadini armati di fucile o di semplici bastoni, insieme a donne e bambini, diretti sulla riva settentrionale della Senna, dove si trovava l'antica fortezza, da secoli emblema dell'assoluto potere monarchico.
Oscar, che doveva attraversare il fiume, si ritrovò praticamente bloccata con Cesar e Gustave, preoccupata per il nervosismo del cavallo, sempre più difficile da controllare.
Quando finalmente oltrepassò il Ponte de Sully,  era completamente imprigionata dalla folla.
Decise di fermarsi col cavallo in un vicolo laterale. Guardava le persone che sfilavano come un'esercito interminabile sotto i suoi occhi e le rimasero impressi i loro sguardi: non c'era più la gioia e l'entusiasmo che vi aveva letto quella mattina, al Palazzo degli Invalidi, ma una rabbia cieca e incontrollata, quasi animalesca, che le incuteva disagio.  Sentì come non mai l'assenza di Andrè al suo fianco,  la mancanza della sua incredibile capacità di "vedere"la realtà e le persone, nonostante fosse quasi cieco.
Ad un tratto si sentì chiamare.
"Comandante! Comandante! Oscar!"
Dall'altra parte della strada vide alcuni soldati della Guardia, senza la giacca ed il cappello della loro divisa, tra cui  Alain e Lasalle. Questi ultimi si distaccarono dal gruppo e la raggiunsero a fatica.
"Alain, Lasalle, andatevene subito! L'attacco alla fortezza è un gesto folle ed inutile! L'esercito si aspetta che il popolo si concentri alla prigione, farà intervenire la cavalleria e potrebbe esserci una strage! " I due si guardarono increduli, e le rivolsero un'occhiata dubbiosa.
"Credimi Alain. Ho parlato stamattina con Bernard e l'ho guidato al Palazzo degli Invalidi per procurarsi le munizioni. La Bastiglia è stata svuotata  di tutto, prigionieri compresi!"
"Ma se abbiamo le armi potremo difenderci e anche conquistarla!" esclamò Lasalle.
"Se forzerete le mura  l'esercito aspettarà che un mare di gente si riversi nel cortile per chiudere loro la strada. Vi massacreranno, per niente!"
Le sue ultime parole furono coperte da un sordo frastuono proveniente dalla piazza alle loro spalle.
Le si gelò il sangue. Era un colpo di cannone.
"Credo sia troppo tardi per tornare indietro, comandante" le disse Alain, che come lei aveva capito.
"Ha mancato il bersaglio" gli rispose, attenta a sentire il rumore  di un eventuale secondo tiro.
"Non sono capaci di utilizzarli, si faranno solo del male... con tutte quelle donne e quei bambini al seguito!" esclamò spazientita.
"Comandante, dobbiamo raggiungere la piazza e voi dovete prendere il comando!"
"No, Alain. Io e Gustave raggiungeremo Andrè, che ci aspetta al villaggio di Meaux, da ieri! Vi ho spiegato come stanno le cose: se voi volete farvi ammazzare non è un problema mio!" E fece voltare Cesar.
"Ma comandante, che ne sarà di Bernard e Rosalie?"
Si fermò di colpo. "Rosalie?"
"Certo, ha raggiunto suo marito proprio ora, insieme a Diane, era poco davanti a noi..."
Oscar si spinse col cavallo fino alla fine del vicolo. La strada principale era ancora ocupata da una miriade di persone. Scorse con gli occhi quella moltitudine, cercando la figura familiare della sua giovane amica. Infine la vide, insieme ad un gruppo di altre donne, la mano a sostenere il ventre rotondo, mentre  percorreva il lungofiume, ormai irraggiungibile.
Si voltò nuovamente verso i due uomini e smontò da cavallo.
Alain lesse nei suoi occhi la determinazione e la prontezza di azione che ormai conosceva,  ed ammirava.
"Lasalle, prendi il mio cavallo e fatti guidare da Gustave al convento di Rebais. Devi avvisare Andrè di quello che sta succedendo in città"
Digli di non tornare, di aspettarmi lì, che lo raggiungerò...
Queste furono le parole che le suggerì il suo cuore, ma le morirono in gola.
Era inutile recapitare un messaggio simile ad Andrè. Non l'avrebbe mai lasciata sola a combattere, non l'avrebbe mai lasciata sola...in qualunque caso. Non era giusto per loro due, non era giusto per il piccolo Gustave, ma il suo reale desiderio era che venisse da lei, il prima possibile.
Lasalle  la guardava, aspettando ulteriori indicazioni.
"Digli che è scoppiata la rivoluzione e ....che ho bisogno di lui!"
Mentre il soldato prendeva le redini, Gustave saltò giù dalla sella.
"Che fai, Gustave? Devi andare con lui, devi metterti al  sicuro, nel monastero!"
"Io resto qui, con voi" fu la sua semplice risposta.
Avrebbe dovuto sgridarlo, convincerlo, e invece gli sorrise.
"Sei proprio tale quale a lui!"
Poi  si rivolse ad Alain. "Noi invece dobbiamo raggiungere la postazione dei cannoni. Forse, con tiri mirati, andati a segno,   riusciremo a indebolire le torri, e a  convincere il governatore  de Launay alla resa, senza che sia necessario abbassare il ponte levatoio e invadere  l'interno della fortezza con centinaia di persone..."
L'uomo  la osservò senza fiatare: era davvero la persona più intelligente e coraggiosa che avesse mai incontrato.

Era inutile starsene lassù, tanto non vedeva niente. Eppure non poteva fare a meno  di rimanere sul piccolo campanile e guardare verso la strada che dal borgo conduceva all'abbazia. La strada da cui doveva arrivare Oscar, insieme a Gustave.
Ma ormai le campane avevano suonato mezzogiorno  da un pezzo e la sua futura sposa avrebbe dovuto essere già lì.
Sentì padre Vincent alle sue spalle.
"Vedete qualcosa, padre?" gli chiese serrando dolorosamente i pugni, con la voce velata di disperazione.
"No, mi dispiace, Andrè"
Appoggiò la fronte al muro del campanile e in silenzio sferrò un pugno contro le pietre secolari con cui era costruito.
"Ascolta, Andrè. Stamattina sono passate di qui alcune famiglie, in fuga da Parigi. Hanno raccontato  che la città è invasa dai soldati, che i rivoltosi si sono armati, che continuano saccheggi e disordini. Forse la tua Oscar non ha potuto lasciare la dimora della sua ospite o ha trovato qualche difficoltà ad allontanarsi, ma vedrai che è al sicuro ..."
"Non la conoscete, padre. Lei non è come le altre donne, lei non è... come nessun altro! Non riesco a immaginare qualcosa  che avrebbe potuto fermarla, oggi.  E'  in pericolo, lo sento!" E si avvicinò alla scala del campanile, per andarsene.
"Non puoi tornare a Parigi, da solo.  Vedi così male, Andrè. Dalle ancora un po' di tempo, aspetta fino a domani!"
"No, non voglio attendere oltre! Meglio adesso, con la piena luce del sole!"
Scese i primi gradini, poi si voltò verso il prete.
"Grazie di tutto, padre. Io...io spero di rivedervi!"
"Quando riuscirete io sarò qui, pronto a celebrare il vostro matrimonio!"
Il giovane si allontanò.
"Che Dio vi protegga!" mormorò, quando lo vide  scendere a cavallo lungo i campi,  verso la città.

Lasalle faticava a muoversi. Le vie erano occupate da barricate improvvisate, fatte  di  mobili e carrozze rovesciate. Nelle strade vicino alla Bastiglia l'affollamento era tale che il cavallo di Oscar rimaneva fermo per lunghi minuti nella calca. Era sempre più nervoso, e  Lasalle insieme a lui. Sentiva i muscoli dell'animale fremere sotto le sue gambe, e la sua testa scuotersi con colpi violenti,  come a voler sfuggire alla  stretta delle redini.
Stava sudando copiosamente, pensando all'incombenza che il suo comandante gli aveva affidato e alla sua incapacità di uscire da quella intricata situazione.
Di fronte all'ennesimo drappello di cittadini che gli bloccava il passaggio, esasperato dal cavallo ormai insofferente ai suoi comandi,  prese il fucile e sparò in aria, convinto di aprirsi rapidamente un varco nella folla.
Ma non aveva previsto la reazione dello stallone, che, spaventato dal rumore, tentò dapprima di correre ed infine, bloccato nella fuga, inarcò con forza la schiena fino a liberarsi del suo goffo cavaliere.
L'uomo cadde pesantemente sul selciato, battendo la fronte.
L'ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, furono gli zoccoli di Cesar, che trovato finalmente un varco, si allontanava al galoppo. 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


capitolo xx Finalmente questo lungo 14 luglio sta volgendo al termine. La descrizione di ciò che avvenne è in parte vera, in parte assolutamente inventata. Anche se ultimamente, come introduzione ai miei capitoli, invoco la  clemenza delle lettrici, ci tengo a dirvi che apprezzo qualsiasi commento vi venga in mente.  

Capitolo 22

Il sole era ancora alto  quando finalmente Andrè fece  ritorno a casa Dressie. Stava per raggiungere la villa, quando fu quasi travolto da un piccolo reggimento di cavalleria che sfrecciava fuori dalla tenuta. Faceva fatica a distinguere le divise, ma i colori sgargianti delle loro uniformi e l'alto cappello con pennacchio gli tolsero ogni dubbio: erano ussari.
Il suo cuore cominciò a tremare: se avevano occupato le proprietà di madame Dressie, potevano aver fatto del male  ad Oscar, o a qualcunaltro. Forse le avevano impedito di lasciare la casa per raggiungerlo.
Mentre indugiava su  questi pensieri,  fu raggiunto dal boato di una cannonata. Seguì un silenzio spettrale, non si udiva il cicalio dei grilli o il cinguettio degli uccelli. Una breve pausa, poi un secondo boato.
Andrè rimase come paralizzato, incredulo. Non capiva cosa stesse succedendo, l'unica cosa certa era che quel frastuono proveniva dal centro della città. Avvertì il rumore di passi di corsa sul selciato  davanti a casa Dressie: si stava avvicinando un gruppo numeroso, costituito da uomini e donne. Quando furono abbastanza vicini li sentì gridare "Alla Bastiglia! Alla Bastiglia!"
Una terza cannonata.
In un barlume di lucidità la sua mente cominciò a girare  velocemente: la Bastiglia era sotto assedio, aggredita da colpi di cannone. Il popolo non possedeva armi simili. Il popolo non era in grado di farle funzionare. Questo significava che alcuni militari si erano uniti ai rivoluzionari, e chi se non i suoi compagni della Guardia Nazionale? I colpi non erano casuali, erano studiati, seguivano una strategia...Oscar...era l'unica a poter guidare i suoi ex soldati e la folla contro la fortezza, simbolo della tirannia monarchica.
Si voltò un attimo verso il verde della tenuta. Non un solo rumore proveniva da quella parte. Entrò di pochi passi, giusto quelli necessari per raggiungere le scuderie e, senza entrare,  fischiò il suo abituale richiamo per Cesar. Silenzio. Solo il sordo nitrito degli altri cavalli.
Si voltò ed iniziò a correre.

Fece allineare tutti i cannoni.
"Più vicino, e sollevate le bocche di 45°!"
La scena che si presentava sotto le mura della Bastiglia era davvero incredibile. Una fila di cannoni, sacchi di sabbia come protezione tra questi, e una donna, con i lunghi capelli biondi ormai sciolti, agitati dal vento, a dirigere  quelle potenti armi, insieme ad un ragazzino, poco distante da lei.
"Puntate. Uno, due, tre...FUOCO!" e accompagnò l'ordine alzando una spada col braccio destro.
Due colpi a segno, e le postazioni dei cannoni della torre meridionale della Bastiglia era completamente sgretolate. Nascosto dietro le mura, il Marchese de Launay osservava preoccupato la moltitudine ammassata oltre il fossato della prigione. Aveva solo meno di cinquanta guardie svizzere a difesa della rocca, e non voleva colpire a cannonate la popolazione. In fondo non doveva difendere niente: non custodiva armi di sorta, e nel carcere rimanevano sette prigionieri, piuttosto insignificanti. Non vedeva l'ora di porre fine a quell'assedio.
"Alzate bandiera bianca e fate entrare una delegazione del popolo per trattare la resa"
La vista del lenzuolo bianco che sventolava attraverso il fumo grigio che si levava dalla torre della Bastiglia fu accolto da un grido di entusiasmo.
Bernard si avvicinò al ponte levatoio per incontrarsi con de Launay, seguito da Saint Just.
"No, Saint Just, verrà lei con me" affermò Bernard, indicando Oscar.
"Come desideri" rispose l'uomo, fingendo accondiscendenza .
Senza farsi vedere, Gustave sgattaiolò dietro ad Oscar, si arrampicò sulle mura e si nascose in una feritoia.
La trattativa fu rapida. Il Marchese de Launay chiedeva l'incolumità per se e i propri uomini in cambio delle chiavi della fortezza.
Quando ormai si stavano congedando, Oscar vide il volto del governatore sbiancare improvvisamente, mentre fissava qualcosa alle sue spalle. Si voltò: Saint Just e altri sei rivoltosi si erano arrampicati sulle mura, approfittando della tregua, e stavano abbassando il ponte levatoio.
In pochi secondi si scatenò l'inferno. Decine di manifestanti, armati di spade e bastoni, si riversarono nel cortile della Bastiglia. Le guardie svizzere non fecero in tempo a reagire, che de Launay era già stato preso e trascinato  via.
"Jarjayes, la vostra parola! Mi avete dato la vostra parola!!!" fu l'ultimo grido disperato del marchese, poi fu inghiottito dalla folla. Oscar cercò di intervenire, ma non poteva nulla contro quella muraglia umana, dalla quale alla fine si levò, come un macabro trofeo, la testa di de Launay issata su una picca .
I soldati iniziarono a sparare dalle mura, ma furono presto raggiunti e trascinati di sotto, dove subirono lo stesso trattamento del loro superiore. Nel frattempo i rivoltosi si impossessavano del carcere, liberando i pochi prigionieri residenti  e conducendoli all'esterno come degli eroi.
Oscar rimase tutto quel tempo immobile, nel mezzo del cortile, la sua mente non riusciva ad assimilare ciò che i suoi occhi vedevano. Perchè? Perchè? Perchè? Questo interrogativo continuava a martellare nella sua testa, senza trovare risposta.  Quella che era nata come una legittima lotta per la libertà e l'uguaglianza si stava trasformando in una barbarie.
Non potè dire per quanto tempo rimase così, come estraniata da ciò che le accadeva attorno.
Poi, così come erano entrati, i popolani cominciarono a correre disordinatamente verso l'uscita:  stava arrivando  la cavalleria, come aveva loro preannunciato.
Ancora incapace di reagire, Oscar fu urtata e gettata a terra, calpestata nel caos generato dall'arrivo dell'esercito. Si coprì la testa come potè, mentre udiva attorno a lei grida di uomini e donne feriti, corpi che cadevano, colpiti dai proiettili, il leggero tremore sul terreno, per il peso dei cavalli che si muovevano attorno a lei.
Quando le parve che quella carneficina fosse finalmente finita, alzò il capo e si mise in ginocchio, la spada ancora stretta nella mano, a fissare il cortile popolato solo dai numerosi cadaveri, quelli dei rivoltosi uccisi, insieme a quelli dei soldati svizzeri e del Marchese de Launay, orrendamente mutilati.
Fu in quel momento che l'ussaro la vide.
Stava ormai ritirandosi col suo reggimento, ma guidato dall' istinto del cacciatore, si era voltato un'ultima volta verso l'interno della Bastiglia, prima di salire sul ponte levatoio. La riconobbe subito: era la donna dagli occhi di ghiaccio che aveva osato umiliarlo il giorno prima.
Senza chiedere permesso al suo ufficiale, girò il cavallo e lo spronò verso di lei, sfoderando la spada.
"Muori, lurida cagna francese!" le urlò nella sua lingua madre, avventandosi su di lei.
Solo allora la donna si voltò. E fu un attimo. Lo sguardo assassino dell'ussaro, il luccichio della spada...e un urlo disperato a riempirle le orecchie, coprendo ogni altra sensazione. L'urlo dell'innocenza  martoriata in quel lungo pomeriggio alla Bastiglia, proveniente da una feritoia.

Andrè correva confuso, in preda al terrore. Da una vita era in grado di percepire il pericolo, quando minacciava la sua Oscar. E in quei momenti lo sentiva chiaramente allungare gli artigli su di lei,  capiva di avere poco tempo. Malediceva la sua pessima vista, che lo rallentava nella sua corsa,  e che lo aveva portato fuori strada diverse volte.
Quando si ritrovò a poche centinaia di metri dalla fortezza avvenne l'inverosimile. Una folla disordinata si riversò per la strada,
fuggendo dalla Bastiglia, inseguita dalla cavalleria leggera dell'esercito,  mentre urlava in preda al terrore.
Andrè inizialmente tentò di resistere e continuare ad avvicinarsi, ma  rischiava di essere gettato a terra e calpestato, dovette rifugiarsi in un portone e attendere  che il fiume umano davanti a lui si disperdesse . Passarono alcuni minuti che per lui durarono ore, dilaniato dalla consapevolezza che se la gente fuggiva, se non si udiva più il rombo dei cannoni, significava che il popolo aveva perso i propri capi.
Appena gli fu possibile, incurante del pericolo di essere colpito dai militari,  si rigetto nella mischia e faticosamente raggiunse la rocca.
Salì sul ponte levatoio tremando. La cavalleria aveva sì disperso i manifestanti, ma non si era impossessata della Bastiglia, l'aveva abbandonata a se stessa, come la carcassa di un animale.
Ed ora che tutto era finito, Andrè scorgeva, tra il fumo e la polvere, le ombre di uomini che si aggiravano come avvoltoi, spogliando i cadaveri di ciò che poteva essere rubato, trafugando tutto quello che poteva essere portato via: sacchi di farina, vecchie armi medioevali, suppelletili e persino pentole e candelabri. Nel cupo silenzio che avvolgeva la scena,  gli pareva di sentire il verso sinistro dei corvi, appollaiati sulle mura.
"Oscar!" gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sentendosi già bruciare gli occhi  per le lacrime.
Nessuno rispose, nessuno lo degnò di uno sguardo. Poi alle sue spalle, sentì una timida presa sul suo braccio.
"Andrè, sono io, Lasalle"
Si voltò immediatamente, e lo afferrò per le spalle, scuotendolo.
"Dov'è Oscar, dimmi dov'è!"
"Non lo so- rispose quasi tremando- mi aveva dato il suo cavallo per venire ad avvisarti, ma sono caduto e...l'ho perso" ammise con vergogna. "Quando mi sono ripreso sono tornato qui, fuori dalle mura, ma lei non c'era...era dentro con Bernard, per trattare la resa"
Andrè si stava allontanando, il suo ex commilitone non gli era di nessun aiuto, quando udì un lamento, un urlo di dolore represso e contenuto, ma proprio per questo carico di violenza e intensità. E riconobbe la voce del suo vecchio compagno Alain.
"Alain dove sei? Alain?" chiese Andrè voltandosi, cercando per terra il corpo dell'amico.
"E' laggiù" gli indicò Lasalle.
Lo intravide, inginocchiato di spalle, sotto le mura, chino sul corpo di una donna, di cui scorgeva l'ampia gonna e le gambe. Lasalle sembrava aver perso il coraggio di parlare. Dovette avvicinarsi per riconoscere il volto angelico e i lunghi capelli castani di Diane, con gli occhi vitrei spalancati sul cielo sopra di lei, la mano appoggiata sul petto squarciato dal colpo di un fucile.
Non riuscì a dire una parola: troppo crudele la morte di una fanciulla che ancora doveva sbocciare, che ancora doveva  vivere, e amare, e che nella sua breve esistenza non aveva mai fatto del male a nessuno.  
"Dio, ti prego, fammi trovare Oscar, fa che la trovi viva..."
Come se un angelo lo avesse ascoltato, una piccola mano riempì la sua. Gustave.
Senza dire una parola lo condusse  in un punto preciso del cortile, scavalcando con una calma inquietante i cadaveri gettati ovunque.
Andrè la riconobbe subito. Il corpo abbandonato, prono,  il volto nella polvere. Accanto a lei, una spada spezzata a metà, come da una mossa di difesa.
Si gettò su di lei, la prese tra le braccia, con le dita sfiorò il suo volto, liberandolo dai frammenti di terra, bagnandolo di lacrime. Appoggiò la fronte alla sua, invocando piano il suo nome, come una preghiera. Sentì la mano della donna appoggiarsi al suo braccio. Fu travolto dalla gioia davanti al blu dei suoi occhi, che lo guardavano e lo riconoscevano,  e pianse ancora di più, senza riuscire a fermarsi. Oscar alzò la mano, bianca di polvere, sul suo viso, come a voler fermare quelle lacrime.
"Tienimi con te...per sempre" 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23 Siamo praticamente giunti al termine. Ho limato molto questo capitolo, dove inizialmente  mi dilungavo in un dialogo "filosofico" tra oscar e andrè. Ma poi ho pensato che tra loro non c'erano mai molte parole e ho preferito accorciare. Seguirà un breve epilogo, col quale approfitterò per salutarvi tutte...


Capitolo 23

Prese coscienza di dov'era lentamente, come quando ci si risveglia dopo un sogno molto coinvolgente. Fai fatica a capire se sei ancora addormentato o già dentro la realtà.
Fissava il soffitto sopra di lei, quelle decorazioni familiari, e intanto sentiva, nel silenzio assoluto, il rumore dell'acqua che cadeva nella vasca, mentre Andrè strizzava la spugna. Lo guardò. Con gesti leggeri e delicati, la stava lavando della sporcizia accumulata sulla sua pelle quel giorno. Sembrò ignorare il suo risveglio.
"Andrè.." lo chiamò. Il giovane continuò, come se lei non avesse parlato.
"Ti prego, Andrè, guardami! Lo so che ti ho deluso, che mi hai aspettato..." Come le costava parlare, si sentiva la gola secca e la testa così pesante!
"Lo so, Oscar. Non sono arrabbiato".
La sollevò dal bordo della vasca e versò una brocca d'acqua tiepida sui suoi lunghi capelli. Notò i petali di rosa galleggiare attorno al suo corpo: di certo un'attenzione di Nanny per la sua bambina!
"Perchè mi hai portato qui?"
Tutto si sarebbe aspettata, tranne di ritrovarsi a Palazzo Jarjayes.
"Ho visto gli ussari da Madame Dressie, questo pomeriggio,  non volevo tornare da loro. Ho chiesto a Lasalle di farle avere nostre notizie, spero che stavolta gli riesca..." concluse in tono sarcastico.
"Già..."annuì  la donna.
"Comunque ho ritrovato Cesar mentre tornavamo qui. Dopo aver disarcionato il povero Lasalle deve aver  seguito la via di casa"
La fece alzare, la avvolse in un telo e la portò in braccio nell'adiacente camera da letto. La aiutò a infilarsi una camicia da notte pulita e le rimboccò le coperte, come ad una bambina.
"Buonanotte Oscar"
Lo trattenne per un braccio e gli disse piano, titubante.
"Non resti con me stanotte?"
"Siamo a casa di tuo padre, Oscar, e non siamo nemmeno sposati"
Sentì il suo corpo tendersi mentre pronunciava  quest'ultima parola.
"Ho dovuto litigare con mia nonna per potermi occupare di te, prima, e non voglio oltremodo urtare la sensibilità di nessuno. Se avrai bisogno di me puoi trovarmi nella mia vecchia stanza, nell'ala della servitù. Ho fatto mettere un giaciglio anche per Gustave"
Il piccolo Gustave! Aveva ancora nelle orecchie il grido che aveva lanciato di fronte al soldato prussiano, nel piazzale della Bastiglia. Dal suo nascondiglio aveva assistito a tutti gli orrendi avvenimenti di quel pomeriggio.
"Come sta?" chiese, investita dai sensi di colpa.
"Non è ferito, ma...non parla. Non parla più."

Stava correndo sul lungofiume, rasente il muro dell'argine. Indossava la sua vecchia divisa di comandante della Guardia Metropolitana, e impugnava una pistola. Poco distante la seguivano i suoi fedelissimi, Andrè ed Alain in testa. Dall'altra riva della Senna un soldato nemico la vide e le puntò il fucile contro. Le sembrò di vedere la traiettoria del proiettile, certa che ormai l'avrebbe colpita. Ma un suo soldato si gettò davanti a lei, facendole scudo col proprio corpo e cadde colpito ai suoi piedi. Quando si chinò  e lo voltò, vide il volto di Andrè. Le sorrideva, un sorriso che conosceva da sempre, che non era mai cambiato, che aveva impresso nell'anima.
Si stringeva una mano al petto, ma non riusciva a trattenere un copioso getto di sangue. Sembrava non soffrire nemmeno, pur essendo consapevole della vita che fuggiva da lui. E lei gli stringeva la mano, senza tuttavia riuscire a trattenerlo."Non lasciarmi, Andrè!Ti prego, non lasciarmi!"
Si svegliò di soprassalto, gridando. I capelli appiccicati alla fronte madida di sudore, le membra ghiacciate. Un incubo. Era stato solo un terribile incubo, ma il cuore le batteva furiosamente nel petto e sentiva le guance bagnate di lacrime.
Si prese la testa tra le mani. Scottava, e percepiva quell'improvvisa sensazione di fame  d'aria che ormai sapeva riconoscere. La malattia, che le aveva concesso una breve tregua durante il suo soggiorno  a casa Dressie, era infine sopraggiunta a reclamare dazio per quella giornata di fatica.
Si era sempre nascosta al mondo intero quando stava male, come se ammalarsi fosse il segno di una debolezza  che non poteva permettersi, ma in quel momento il suo corpo e il suo cuore reclamavano la vicinanza  dell'unica persona in grado di dare un senso a tutto quello che accadeva nella sua vita: Andrè. Non le importava che non fossero legalmente uniti davanti al mondo, o che fossero a casa di suo padre, o che tra quelle mura lei fosse la figlia del padrone e lui un semplice servitore, doveva andare da lui.
Si alzò dal letto e per poco non cadde a terra. Si sentiva debole e dolorante, ma lentamente, aggrappandosi  alle pareti, percorse il lungo corridoio che conduceva alle camere della servitù.
La porta della sua stanza era socchiusa, la aprì con una leggera pressione delle dita. La finestra era spalancata, le tende agitate dal vento. Fu investita da una folata di aria fredda, primo segnale di un temporale in arrivo, e un brivido la scosse.
Gustave dormiva rannicchiato  su un piccolo letto improvvisato, vicino allo scrittoio. Poco lontano vide la sagoma di Andrè, sdraiato, con le braccia incrociate dietro la testa, la camicia aperta e sfilata dai pantaloni. Entrò quasi strisciando i piedi, con le ultime forze che le rimanevano.
"Oscar!" La riconobbe subito, anche nell'oscurità.
Lei non disse una parola e gli si sdraiò accanto, come fosse la cosa più naturale di questo mondo, come se fosse da sempre il suo posto.
Andrè esitò solo un attimo, poi la strinse a sè. E sentì la pelle fredda e sudata, i brividi che la scuotevano, i pugni stretti per lo sforzo di arrivare fino a lui. La sistemò sotto le coperte, si spogliò e la raggiunse.
Oscar non avrebbe potuto descrivere le sensazioni che le regalò quel contatto col calore del suo corpo, come se lui fosse l'unica fonte di vita possibile, per lei, come se fosse una parte di sè, di cui sentiva la mancanza non appena si allontanava. E come un rito, appoggiò la testa sul suo petto, ascoltò quel cuore che era anche suo, quel costante rumore così vicino, che le raccontava di una vita spesa al suo fianco, spesa per amarla, come nessuno aveva saputo fare.
Andrè non parlò, e non ci fu bisogno di parole.  Perchè in quel abbraccio Oscar trovò il conforto per tutte le ferite che quella terribile giornata le aveva inferto, e la forza per lasciare andare il dolore e la paura, sotto forma di un silenzioso fiume di lacrime.

L'alba la trovò sola. Aveva dormito un sonno pesante e senza sogni, ma si sentiva indolenzita e dolorante. La febbre, però, era passata.
Gustave riposava ancora, ma le coperte gettate per terra e i cuscini scomposti tradivano una notte agitata. Oscar si avvicinò alla finestra e guardò all'esterno. La camera di Andrè si affacciava sul giardino posteriore della casa, verso le scuderie. Lo vide sullo stesso terrazzo in cui si trovava  lei, dopo l'aggressione a Saint Antoine,  nel momento in cui Fersen era venuto a parlarle.
Seduto, con la schiena appoggiata al muro, lanciava  piccole manciate di granaglie ad uno stormo di colombi bianchi.
Lo raggiunse, scalza, coprendosi le spalle con una coperta. La salutò con un sorriso, mentre gli uccelli si alzavano in volo al suo arrivo.
Si sedette per terra, insieme a  lui, tra le sue gambe, appoggiando la schiena al suo petto, e lui chiuse le braccia e affondò il volto nei suoi capelli. Poteva sentire i pensieri agitarsi  dentro di lei, come le ali di un uccello trattenuto tra le mani.
"Andrè, dimmi, che cosa devo fare? Dimmelo tu, Andrè..."(1)
L'uomo sospirò.
"Segui il tuo cuore, Oscar!
Gli ideali di questa rivoluzione devono essere vissuti col cuore, altrimenti si trasformeranno  in una cieca rivalsa, in un capovolgimento di potere, che non cambierà le sorti della Francia.
So che credi nell'uguaglianza tra gli uomini, non potresti amarmi, diversamente.
So che saresti disposta a morire per difendere quello in cui credi, e per me."
Improvvisamente abbassò la voce, e le parlò quasi sussurandole nell'orecchio.
"Ma  vorrei che per me trovassi anche il coraggio di vivere...
Io so qual è il mio compito, ciò per cui credo di essere nato. Amarti, occuparmi di te, renderti felice  e proteggerti. L'ho fatto per una vita e continuerò a farlo. Sia che voglia  dire cercarti tra i caduti su un campo di battaglia, o tenerti  stretta la notte,  quando ti assale le febbre. Ma preferirei una vita intera da servo insieme a te che vivere da  uomo libero, in un mondo più giusto, dove non ci sia tu! "
Oscar non rispose, appoggiò mollemente la testa sulla sua spalla e insieme attesero il nuovo giorno.
Quando il sole illuminò completamente i loro corpi abbracciati, fu lei a rompere il silenzio.
"Credi che padre Vincent sia ancora disposto a sposarci, oggi?"
Andrè tacque, ma la stretta attorno a lei si fece più forte, stava sorridendo.
"Vado a svegliare Gustave..."
Oscar si alzò con lui  e si avvicinò alla balaustra, lo sguardo perso nel verde davanti a lei.
Forse non avrebbe più potuto combattere per i suoi ideali, ma avrebbe potuto viverli.
Improvvisamente, un sorriso le increspò le labbra. Non se ne era mai accorta, fino a quel momento, ma anche nel giardino di palazzo Jarjayes, dove aveva trascorso un'intera esistenza, lontano dalle aiuole curate e dai roseti dalle varietà più rare, i cespugli di lillà in fiore regalavano la loro bellezza a chi sapeva notarli.
 
 
 


(1) frase tratta dall'anime (puntata 39)


 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 Epilogo ***


Capitolo 24-Epilogo E con questo sono davvero arrivata alla fine. Ringrazio chi mi ha seguito fin qui, chi ha apprezzato la mia versione di questa meravigliosa storia d'amore, chi ha commentato, chi ha dissentito, ma è arrivato fino in fondo.
Grazie della compagnia che mi avete fatto, chiudere questa fic è un po' come salutare tante amiche. Vi ringrazio per avermi fatto scoprire un mondo  di persone che condividono la stessa identica passione, spesso da decenni, come me, che porta il nome di Lady Oscar

Epilogo

Montreaux, settembre 1789
Dalla finestra che si affacciava sul lago Lemano, Oscar guardava  i boschi che ormai si tingevano di colore rosso e giallo. Le prime temperature autunnali la costringevano in casa per lunghe ore, mentre Andrè e Alain si occupavano delle varie incombenze.
L'ex soldato  li aveva raggiunti in Svizzera alla fine di agosto. L'avevano trovato fuori dalla loro casa, come un cane randagio, con i capelli e la barba lunghi e l'aspetto di un vagabondo, al punto che era stato Andrè a riconoscerlo per primo, dal rumore dei suoi passi. Dopo la presa della Bastiglia si era unito al gruppo di Saint Just, abbandonandosi a  terribili episodi di violenza per vendicare la morte di sua sorella Diane.  In seguito, resosi conto che quella serie di efferate aggressioni non leniva minimamente il suo dolore, aveva improvvisamente deciso di lasciare Parigi e di ritrovare i suoi vecchi amici.
Oscar e Andrè si erano sistemati nella casa sul lago di proprietà di Monsieur Bouget, genero di Madame Dressie. Quando la sua famiglia si era ingrandita con la nascita di quattro figli, aveva deciso di trasferirsi in una dimora più spaziosa, lasciando la vecchia villa, agibile solo in parte, alla coppia giunta da Parigi.  Alain stava aiutando Andrè nella ristrutturazione  della casa e nella sistemazione dei terreni circostanti,  e in quella nuova vita fatta di piccoli risultati concreti aveva ritrovato un po' di serenità.
Gustave seguiva i due uomini  dappertutto, ma da quel lontano 14 luglio non aveva più pronunciato una singola parola. Durante il loro viaggio  sul Rodano avevano fatto tappa a Chancy e Andrè aveva cercato un notaio cui far redigere un legale atto di adozione del bambino. Gustave era stato visibilmente felice, ma non era bastato a fargli tornare il desiderio di esprimersi.
Mentre si accingeva a rispondere ad una lettera di madame Dressie, Oscar lo osservava, seduto sul molo, le gambe penzoloni, mentre muoveva le dita sulle assi di legno, come se stesse suonando un ipotetico pianoforte. Aveva rinunciato ad insegnargli la lettura delle note, tale era la sua   abilità   nel memorizzare i movimenti delle mani  mentre la osservava al piano, e suonava per ore, in solitudine, dando prova di un talento eccezionale.
Ad  un tratto gli si avvicinò  una ragazzina, all'incirca sua coetanea, con due lunghe trecce di capelli rossi dalle quali sfuggivano ciocche disordinate, con la gonna alzata e legata in vita, imbracciando arco e frecce, come  una piccola divinità della caccia. Oscar la riconobbe: era Eleonore, la nipotina di Madame Dressie. Ultima nata dopo tre fratelli maschi, era una vero terremoto, più simile ad un elfo dei boschi che ad una leggiadra fanciulla in fiore. Probabilmente cercava di coinvolgere Gustave in qualche gioco bellicoso, e lo vide rifiutare, scuotendo il capo. La bambina si allontanò, senza troppo rammarico,  ma Oscar notò come il ragazzo si fosse voltato e la seguisse con lo sguardo. Era tempo che non lo vedeva mostrare interesse per qualcuno.
Tornò alla sua corrispondenza, e quando lo cercò nuovamente sul molo, vide che si era allontanato.
Pochi minuti dopo fu raggiunta dalla musica proveniente dal salone e sorrise tra sè per questa sua inguaribile passione.
Si alzò per raggiungerlo, ma sulla soglia si fermò. Non era solo. Eleonore  aveva abbandonato le sue armi e si era seduta accanto a lui, le gambe incrociate, il mento appoggiato sul palmo delle mani.
Oscar lo guardò con affetto. Suonava divinamente, e lo faceva per lei. Ogni tanto i loro sguardi si incrociavano: il ragazzo mite e taciturno e la bambina vivace  e combattiva.  E in quello scambio di sguardi Oscar riconobbe il seme di un sentimento grande e potente, che a volte germoglia dentro di noi, frutto del fugace incontro in un momento della fanciullezza, per sfociare, da adulti, in un amore che diventa un destino, e ti riempie la vita.
Quando la musica terminò, Oscar sentì le lacrime offuscarle la vista.
Una piccola mano, tesa verso la ragazzina seduta ai suoi piedi, e un sorriso colmo di tenerezza, denso di promesse.
"Ciao, mi chiamo Gustave Grandier..." 



Oscar e Andrè vissero a Montreaux durante gli anni più accesi della Rivoluzione Francese, ed ospitarono nella loro casa molti connazionali in fuga dalle epurazioni radicali dei diversi movimenti politici  rivoluzionari, che si susseguirono nel corso degli  anni, compreso Bernard Chatelet e la sua famiglia, dopo il suo allontanamento ideologico da Robespierre e Saint Just.
Anche il Conte di Fersen fu loro ospite, durante i suoi peregrinaggi per le corti d'Europa , alla ricerca di appoggi per salvare la famiglia reale di Francia.
Therese Dressie lasciò Parigi e li raggiunse nel 1791, quando imperversò il periodo del Terrore.  Augustine de Jarjayes morì difendendo i sovrani durante l'attacco al Palazzo delle Tuileries il 10 agosto 1792.
Quando Luigi XVI fu condannato alla ghigliottina il 21 gennaio 1793, Oscar decise che non sarebbe mai più tornata in Francia.

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