Questo orribile bellissimo mondo - vincitrice del 21° concorso di EFP

di Dk86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo - Il buongiorno si vede dal letto ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo - Elefanti e scale ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo - Televisione intelligente ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto - I due improbabili ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto - La stanza delle assurdità, parte terza ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto - Questo bellissimo mondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo - Il buongiorno si vede dal letto ***


Questa storia mi è stata ispirata dalla serie di libri “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams. La nave spaziale sulla quale viaggiano i protagonisti di quei romanzi, la Cuore D’Oro, è alimentata con un Motore ad Improbabilità, che provoca spesso bizzarre e divertenti mutazioni alla nave stessa e ai suoi occupanti.
Hogwarts è già di per sé un luogo di follie, ma se queste aumentassero in modo esponenziale? Come se la caverebbero studenti e professori? La mia fanfiction vuole rispondere a questa domanda.
La storia è ambientata durante il sesto anno, anche se gli avvenimenti narrati in "Harry Potter e il Principe Mezzosangue" non verranno presi in considerazione.
Buona lettura!




CAPITOLO PRIMO – IL BUONGIORNO SI VEDE DAL LETTO


Ci sono dei giorni in cui alzarsi dal letto sembra la cosa più dura, ma si è costretti a farlo. Vuoi per una noiosa riunione di lavoro, vuoi per un ancor più noioso compito in classe, o semplicemente per una noiosissima giornata in cui non si deve fare nulla, ma ci si sentirebbe colpevoli a rimanere a poltrire sotto le coperte.
Essere svegliati e scaraventati a terra dal proprio letto è invece un’esperienza che non è dato provare a molti. Qualcuno potrebbe pensare che sia praticamente impossibile, e invece no. E’ solo molto, molto improbabile.
Infatti è proprio ciò che successe ad Harry Potter in una mattina che si rivelò – appunto – molto, molto improbabile.
Quel giorno, comunque, cominciò in un modo assolutamente normale. Harry aprì gli occhi.
Dalle tende color porpora filtravano degli invitanti frammenti di sole tardo autunnale, che creavano degli arabeschi multiformi sul soffitto del baldacchino. Harry, ancora al confine fra il sonno e la veglia, seguì il cammino delle gocce di luce per un paio di minuti, poi sbadigliò e biascicò fra sé e sé: “Per fortuna oggi è sabato… Posso dormire ancora un po’…”. Poi richiuse gli occhi e affondò la testa nel cuscino, prima che i dolci tentacoli di sonno si ritirassero dalla sua mente.
“Io, se permette, non sarei affatto d’accordo con questa sua ultima affermazione”.
Harry scattò a sedere. Una voce profonda, giusto un po’ soffocata, era appena risuonata da un punto imprecisato sotto il materasso. “Chi c’è?” chiese Harry, tastando la federa per cercare di capire come qualcuno potesse essere riuscito a nascondersi lì sotto.
“La pregherei di smetterla, se non le dispiace” disse ancora il letto (che dava del lei in quanto era un letto molto educato) “Mi sta causando un fastidiosissimo solletico. Ora, se la cosa non le crea eccessivo disturbo, potrebbe alzarsi?”.
“Ma non è giusto, oggi è sabato!” protestò debolmente Harry, come se non fosse per nulla strano discutere con un mobile.
“Probabilmente le sembrerò brusco” proseguì paziente il letto “ma lei davvero non ha idea di quanto sia duro per me dover sostenere il suo peso tutte le notti, una dopo l’altra. Ormai ho una certa età, e i tarli non mi danno requie…”.
Lo sguardo annebbiato di Harry si era nel frattempo fissato su una delle colonne intarsiate che sostenevano il baldacchino. “Mh” disse, incerto. Poi si sdraiò di nuovo, richiudendo gli occhi come se nulla fosse successo.
Il letto sospirò profondamente, scricchiolando lugubre per accentuare la propria sofferenza: “Vedo che non sono riuscito a convincerla con le parole… Mi perdoni ciò che sto per fare ora, ma è necessario… I miei tarli, lei comprende…”.
All’improvviso le tende del baldacchino si spalancarono, e il materasso si inclinò di scatto, facendo cadere Harry, che era riuscito a ripiombare nel sonno in pochi secondi e nonostante l’esperienza di aver parlato con il proprio letto. Il ragazzo atterrò sul pavimento con uno schiocco viscido, e si svegliò con la sgradevole sensazione di qualcosa di umido e appiccicaticcio che gli impregnava il retro del pigiama. “Mh!” ripetè sorpreso, mentre tastava freneticamente il comodino dietro di lui alla disperata ricerca degli occhiali. Dopo che fu riuscito ad inforcarli, Harry abbassò lo sguardo sul pavimento: la soffice moquette color crema che normalmente ricopriva il pavimento era ancora al suo posto. Il problema è che sembrava completamente cosparsa di un liquido denso e rossastro.
“Possibile che sia…” pensò Harry con un brivido. No, era da escludere. Eppure…
Il ragazzo abbassò lentamente una mano, intingendo l’indice e il medio nella sostanza; portò le dita alle narici e annusò a fondo. Poi se le infilò in bocca. “Come pensavo” biascicò pochi secondi dopo “Sciroppo alla ciliegia”. Harry si leccò diligentemente i polpastrelli, poi aggiunse: “E della miglior qualità…”.
“Ciao, Harry! Finalmente sveglio, eh?”.Qualcosa di alto e un po’ sgraziato proiettò all’improvviso la sua ombra sulla moquette rossa. Harry alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare nei piccoli occhietti rotondi un robusto esemplare di fenicottero (per la precisione un Phoenicopterus Ruber, famiglia dei Fenicotteridi, ordine dei Fenicotteriformi, classe degli Uccelli, phylum dei Cordati; Harry, però, non sapeva nulla di tutto questo e probabilmente non gli sarebbe neppure importato. Era già abbastanza bizzarro trovarsi di fronte un fenicottero parlante, credetemi).
“Dean?” chiese Harry, aggrottando le sopracciglia.
Il fenicottero inclinò leggermente la testa: “Come sei riuscito a capirlo?” chiese poi.
“Ho riconosciuto la voce…” spiegò Harry laconico. Il fenicottero lo fissò deluso, per quanto un enorme uccello rosa possa sembrare tale.
“Ehm… non fraintendermi, Dean…” cercò di rincuorarlo Harry “Non dico che non sia strano parlare con un fenicottero, ma prima ho avuto una discussione con il mio letto, e questo mi sembra parecchio più assurdo!”.
“Gradirei che non ci si riferisse a me come se io non fossi presente. Non è per nulla educato” puntualizzò il letto in questione. Gli altri due lo ignorarono.
Harry si sfilò la giacca del pigiama per controllare i danni che lo sciroppo di ciliegia aveva prodotto. Sembrava che qualcuno lo avesse pugnalato ripetutamente alla schiena. Con un sospiro, Harry recuperò la bacchetta magica dal comodino, la puntò contro la macchia più estesa e mormorò: “Gratta e netta”.
Il pigiama prese fuoco.
Harry fissò per un paio di secondi le lingue di fiamma che danzavano allegre sull’indumento, poi decise che era un buon momento per farsi prendere dal panico. Fece cadere la giacca del pigiama in fiamme per terra, gettò via anche la bacchetta, la raccolse, e reggendola con entrambe le mani che tremavano all’impazzata gridò con voce stridula: “Aexstinguo!”.
Come se non aspettassero altro, i brandelli fumanti del pigiama di Harry si trasformarono in un osso di gomma.
Il ragazzo scrutò inebetito il giocattolo per cani, appoggiò con cautela la bacchetta magica sul copriletto come se si trattasse di una pistola carica, alzò gli occhi verso Dean e disse: “Meglio non usare la magia, oggi, vero?”. Il fenicottero convenne con lui.
“Non giocate con il fuoco in mia presenza, sono alquanto infiammabile…” protestò il letto di Harry. Inutile dire che la sua opinione non venne presa in considerazione.
“E dimmi…” continuò Harry, cercando di dimenticare ciò che era appena successo ad uno dei suoi capi di vestiario “Da quanto tempo sei… ecco, insomma… un fenicottero?”.
“Da quando mi sono svegliato” rispose l’enorme uccello “Non è male, sai? Ma c’è una cosa che mi dà davvero fastidio…”. Improvvisamente Dean ripiegò una delle zampe sul petto e restò in equilibrio su una gamba. “Ecco, vedi? E’ un riflesso condizionato, non riesco proprio a farne a meno… Come quando bisogna chiudere gli occhi mentre si starnutisce, hai presente?”.
“E Ron e gli altri dove sono?” chiese Harry.
“Sono scesi nella Sala Grande… Sono piuttosto sconvolti, sai?”.
“Anche loro sono dei fenicotteri?” si informò l’altro, chinandosi sul suo baule per recuperare una divisa pulita.
“No, no!” esclamò il fenicottero, come se Harry avesse appena detto che il cielo è arancione (cosa che, in quel particolare giorno, non era per nulla improbabile) “Ma anche loro non sono del tutto “normali”… Harry, che succede?”.
Harry in effetti si era congelato (metaforicamente, non fisicamente. E’ bene specificarlo, perché anche trasformarsi spontaneamente in una statua di ghiaccio non era un evento da escludere), fissando sbigottito il contenuto del suo baule. O meglio, gli sarebbe piaciuto fissare il normale contenuto del suo baule, ma non poteva, dato che era stato rimpiazzato da un paio di decine di litri d’acqua, nei quali galleggiava placido un cucciolo di alligatore (Alligator Siniensis). Mentre Harry lo guardava, il piccolo rettile si girò verso di lui, spalancò le minuscole fauci munite di microscopiche, inquietanti zanne appuntite ed emise un fischio acuto degno di una pentola a pressione.
Harry lasciò cadere pesantemente il coperchio del baule e si girò verso il fenicottero: “Dean, posso prendere in prestito la tua divisa?”.
L’uccello annuì. “Tanto per me sarebbe piuttosto difficile indossarla” aggiunse. Avrebbe probabilmente fatto spallucce, gesto che però è precluso agli animali dotati di ali per l’evidente mancanza della componente necessaria, ovvero le spalle.
Qualche secondo dopo Harry aveva finito di infilarsi la divisa di Dean, che gli andava leggermente larga, e si avvicinò alla porta della stanza. “Che fai, non vieni?” chiese al fenicottero.
Dean gli si avvicinò, camminando a lunghi passi lenti: “Veramente ho già provato a scendere… Ma è come se le scale non portassero da nessuna parte! Sembra impossibile, eh?”.
Harry scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Calcolando che l’ultima frase era stata pronunciata da un fenicottero, che la moquette era cosparsa di sciroppo alla ciliegia e che il suo letto aveva deciso autonomamente di svegliarlo, no. Non sembrava impossibile.
Quel giorno, pensò tetro Harry, l’aggettivo “impossibile” sembrava essere stato privato di qualunque significato.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo - Elefanti e scale ***


CAPITOLO SECONDO – ELEFANTI E SCALE


Harry scoprì che Dean aveva ragione solo in parte: non era affatto vero che le scale non portavano più da nessuna parte (anche perché, dato che la caratteristica principale delle scale è quella di permettere alla gente di andare da un punto A ad un punto B, se smettessero di farlo non sarebbero più scale ma qualcos’altro); semplicemente, non sembravano avere una particolare fretta di arrivare al punto B.
Dopo dieci minuti buoni di discesa a rotta di collo Harry, con la sgradevole sensazione che i suoi polmoni avessero eseguito un doppio salto mortale all’indietro annodandosi insieme, e con l’ancor più sgradevole sensazione che una cosa del genere quel giorno poteva effettivamente succedere, si lasciò cadere sconsolato su uno degli innumerevoli gradini.
Il fenicottero lo raggiunse poco dopo. Solo che non era più un fenicottero.
“Se non altro sto risalendo la scala evolutiva…” commentò un orango (Pongo Pygmaeus), andando ad accovacciarsi accanto ad Harry. Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia. Decisamente non era un buon momento per parlare di scale.
Per tutta risposta Dean gli allungò un’amichevole pacca sulla spalla e sollevò il labbro superiore, mettendo in mostra i denti scimmieschi in un sorriso piuttosto grottesco. “Se avessi una banana te la offrirei, sono sicuro che ti farebbe sentire meglio!” esclamò gioviale. Harry non era dello stesso parere, ma non volendo offendere i sentimenti dell’orango si guardò bene dal tradurre il pensiero in parole.
Proprio mentre Harry stava meditando se la finestra del dormitorio potesse essere abbastanza grande da potervisi lanciare a cavalcioni della sua Firebolt, salvo poi ricordare che la scopa in questione era stata sostituita da un cucciolo di alligatore, come da una distanza infinita, ridotta a poco più di un sussurro, ma nondimeno perfettamente riconoscibile, giunse la voce di Ron. “Che faccio, Hermione? Vado a vedere perché non scende?”.
“RON!” Harry balzò in piedi gridando, e facendo sobbalzare l’orango che stava nel frattempo scoprendo i misteri delle sue dita dei piedi “SONO QUASSU’, RON! RIESCI A SENTIRMI?”.
La risposta giunse subito, debole e fioca: “Certo che ti sento! Adesso arrivo!”. Harry, con un sospiro di sollievo, si risedette sulla scala, aspettando pazientemente l’arrivo di Ron, che sicuramente avrebbe impiegato qualche minuto a salire tutte quelle scale.
Proprio in quell’attimo Ron girò l’angolo.
“Come diavolo hai fatto a salire così velocemente?” esclamò Harry, stupefatto.
L’amico lo fissò con espressione piuttosto confusa: “Ho dovuto fare sì e no sei gradini, anche Goyle ci sarebbe riuscito senza sbagliare strada… Piuttosto, tu che fai lì seduto? Le tue gambe sono diventate di pietra? No, perché a Neville prima è successo…”.
Harry scosse la testa: “No, non riuscivo più a scendere, era come se i gradini si fossero moltiplicati a dismisura!”.
“Beh, adesso dovrebbe essere tutto a posto!” esclamò Ron in tono leggero “Voglio dire, io sono riuscito a salire! Quindi non vedo perché non dovremmo scendere! Ehi, ma quello è Dean?” chiese poi, indicando l’orango e ridendo sotto i baffi “L’ultima volta che l’ho visto era rosa e ricoperto di piume!”. La scimmia rispose alzando un braccio in un gesto non proprio cortese.
“Tu invece sembri perfettamente normale, Harry…” constatò Ron.
“Beh, anche tu, no?” chiese l’altro.
Ron sbuffò: “Perché non lo dici a lei?” e si voltò, mettendo in mostra una lunga coda da dalmata (Canis Familiaris) che spuntava da un buco nei pantaloni e che iniziò a dimenarsi, frustando l’aria con foga. “Ho dovuto rovinare i miei jeans meno vecchi a causa sua…” si lamentò Ron. La coda smise di scodinzolare e si abbassò con aria contrita.
“Ron, sei riuscito a trovarlo?” la voce di Hermione, ansiosa ed indispettita nel contempo, distolse l’attenzione di Harry dalla coda di Ron.
“Sì, stiamo arrivando!” gridò il rosso di rimando, iniziando a scendere le scale seguito a ruota da Harry e Dean.
“Che strano, eppure mi sembrava di aver salito meno gradini, prima…” mormorò Ron trentadue scalini più in basso.
“Questo vuol dire che siamo intrappolati tutti e tre…” osservò lugubremente l’orango.
“Non riuscite a scendere, vero?” chiese Hermione dalle infinite profondità della Sala Comune, con il tono di chi conosce tutte le risposte di un compito in classe ma aspetta la fine dell’ora per dirtele “Temo che dovrete aspettare che la scala si trasformi di nuovo, allora!”.
“Già, ma quando lo farà?” si lamentò Ron fissando con astio il soffitto.
A questo punto, se ci fossimo trovati in un film o in un libro, sicuramente qualcosa sarebbe intervenuto a sbloccare la situazione di modo che lo spettatore o il lettore di turno non si annoiasse e decidesse di spegnere la tv o di usare il libro per pareggiare l’altezza delle gambe del tavolo. Quella invece era la vita vera. Era molto improbabile che le scale si trasformassero proprio in quel momento.
Infatti fu proprio quello che fecero.
Tutto ebbe inizio con un lieve borbottio che aumentò progressivamente d’intensità fino a raggiungere lo stesso suono prodotto da un centinaio di elefanti africani (Loxodonta Africana) lanciati al galoppo in preda ad un’acuta gastrite. I muri e il soffitto sembrarono sciogliersi e dilatarsi, finchè il corridoio non divenne largo come un campo da tennis e tanto alto che due giganti avrebbero potuto tranquillamente passarci stando uno sull’altro. Nel frattempo il frastuono si faceva sempre più forte e più vicino; intuendo il pericolo, Harry afferrò Ron per una mano e Dean per un arto peloso e li trascinò contro la parete con una notevole prontezza di riflessi. Meno di due secondi dopo, infatti, un branco composto da un centinaio di elefanti in corsa passò a tre centimetri dal naso di Ron. A giudicare dall’espressione sofferente dipinta sui loro musi rugosi, sembravano soffrire di un intenso attacco di gastrite.
Dopo che gli enormi pachidermi furono lontani, i due ragazzi e la scimmia notarono che i gradini color antracite avevano lasciato il posto ad una larga striscia di sabbia bruna e sottile, e che il corridoio era ritornato alle dimensioni usuali. Ron, Harry e Dean ripresero la discesa con circospezione, stando attenti a non scivolare (le suole delle scarpe di Harry, sporche di colloso sciroppo alla ciliegia, attraevano come calamite la polvere circostante) e in pochi secondi misero piede nella bolgia tumultuosa che aveva sostituito la solitamente tranquilla Sala Comune.
Per prima cosa, arredamento e pareti erano cambiati. O sarebbe meglio dire che continuavano a mutare. Durante i pochi secondi nei quali Harry riuscì a concentrarsi sulla carta dalla parati prima di essere costretto a distogliere lo sguardo a causa della nausea, il suo colore virò dal nero assoluto all’azzurro pallido, che lasciò poi il posto a diverse sfumature di verde fino a diventare giallo paglierino; su di essa, in uno sfacciato carminio, pulsava, ripetuta centinaia di volte, la parola “attizzatoio”.
Lo spettacolo più sconvolgente era però offerto dal vasto campionario di studenti di Grifondoro, ognuno dei quali sembrava essersi alzato con ben più che un piede sbagliato: si andava da Seamus, che aveva due ferri da stiro al posto delle mani, a Calì e Lavanda, che sembravano essersi fuse insieme in un petulante e grottesco ibrido a due teste, fino a Ginny, la quale aveva perso (inavvertitamente, si spera) la terza dimensione e si aggirava sconsolata per la Sala Comune come una grottesca fotografia su due gambe.
“Credevo che non sareste scesi più…” osservò Hermione emergendo dalla calca. Sembrava quasi del tutto normale tranne per i capelli, che si erano ulteriormente increspati e si erano tinti di blu; crepitavano in maniera poco rassicurante emettendo delle minuscole scintille nervose quando la ragazza muoveva la testa di scatto. “Direi che adesso possiamo anche uscire di qui” aggiunse poi a bassa voce, mentre Dean caracollava verso Seamus.
”Ma la McGranitt ha detto che…” incominciò Ron, ma Hermione lo interruppe con un brusco gesto della mano e con un intenso sfrigolio.
“So cos’ha detto, ma mi sento inutile a rimanere qui con le mani in mano. I miei libri si sono trasformati in una colonia di champignon durante la notte, e dato che la magia non funziona correttamente non voglio tentare di Trasfigurarli, prima di perderli del tutto. Spero che i volumi della Biblioteca siano protetti meglio contro simili inconvenienti magici, mi servono dei dati per confermare la mia teoria…”.
“Teoria?” esclamò Harry “Intendi dire che pensi di sapere che cosa sta succedendo?”.
Hermione annuì: “Ve lo spiegherò per strada. Ho già detto tutto a Ginny, e lei preferisce rimanere qui, almeno finchè non sarà riuscita a recuperare la profondità… Comunque noi quattro siamo più che sufficienti per una ricerca”.
“Quattro?” esclamarono Harry e Ron, guardandosi attorno.
In una delle tasche della divisa di Hermione qualcosa iniziò ad agitarsi, e dall’apertura si affacciò una microscopica familiare faccetta tonda. “Neville!” esclamò Harry.
“Non mi fido a lasciarlo qui, qualcuno potrebbe calpestarlo…” disse la ragazza, abbassando la mano in modo che Neville potesse accucciarsi nel palmo.
“Preferivo tenermi le gambe di granito…” borbottò il lillipuziano con aria cupa. Ron ridacchiò, ma smise quando i capelli di Hermione iniziarono a crepitare minacciosi.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo - Televisione intelligente ***


CAPITOLO TERZO – TELEVISIONE INTELLIGENTE


Il corridoio era in condizioni molto migliori rispetto a quanto Harry si sarebbe aspettato. Le torce, le finestre e i quadri erano ancora al loro posto, ma sia il pavimento che il soffitto erano diventati uguali a quelli di una grotta. “Hermione, è da un sacco di tempo che me lo chiedo… Qual è la differenza fra stalattiti e stalagmiti?” chiese Harry appoggiando il palmo sulla formazione calcarea più vicina a lui.
“Le stalagmiti hanno la g, mi sembra ovvio…” rispose Hermione imperturbabile, facendo scivolare Neville nella tasca. Il lillipuziano si affacciò guardandosi intorno con aria spaesata.
“Che diavolo è successo alla Signora Grassa?” esclamò Ron, facendo voltare gli altri tre.
Al posto della familiare custode dipinta c’era un incubo astrattista in tutte le possibili sfumature di rosso; l’effetto era quello di una pizza margherita frullata e poi spalmata sul muro con una cazzuola da muratore. “Benkee wa, dore desu ka?” gracchiò con voce metallica la grottesca opera, mentre i contorni delle chiazze vermiglie pulsavano seguendo ritmi tutti loro.
“Che ha detto?” chiese Ron, improvvisamente pallido.
“Credo che fosse giapponese…” mormorò Hermione “Ci ha chiesto la parola d’ordine in giapponese!”.
“Beh, allora basta dirgliela e poi potremo rientrare, no?” incalzò l’altro, infilandosi le mani tremanti nelle tasche “Non mi piace stare qui, è tutto troppo assurdo…”.
Hermione lo fissò furiosa, mentre i capelli le si dispiegavano come un’aureola elettrica intorno al capo: “Beh, traducila tu la parola “platelminto” in giapponese, Ronald!”.
“Scusate, ma perché dovremmo rientrare?” chiese Harry “Non dovevamo andare in biblioteca?”.
“Certo!” esclamò Hermione “Non sono io quella che tutto d’un tratto vuole ritornare indietro perché se la fa sotto!”. La ragazza fissò Ron con uno sguardo che doveva essere eloquentemente accusatorio, ma che invece risultò estremamente stupefatto.
La testa di Ron era diventata grigia e quadrata. Il rosso cercava nel frattempo di capire perché i suoi due amici (in realtà erano tre, contando anche Neville) lo fissassero con quell’espressione incredula, dato che lui non si sentiva per niente diverso dal solito. Avvertiva giusto un leggero prurito al viso, e quando sollevò una mano per grattarsi, notò che buona parte della sua faccia era ricoperta da un qualcosa che sembrava uno schermo trasparente di vetro. Fece per dire qualcosa ma proprio in quell’istante la sua bocca sparì. La sua testa si era trasformata in un grosso televisore vecchio stile.
Hermione si concesse qualche attimo per riprendersi dall’esperienza alla quale aveva assistito, poi alzò la destra e ruotò una delle manopole che erano appena sbocciate lungo il fianco destro dello schermo; su di esso apparve una fitta maglia di righe di interferenza, in mezzo alle quali galleggiava la faccia di Ron, che fissava gli amici con aria piuttosto sollevata. “Phew, per fortuna!” esclamò, e la sua voce leggermente distorta uscì dai piccoli altoparlanti posti sotto lo schermo “Per un attimo ero convinto di essere diventato cieco!”.
La ragazza girò intorno a Ron con aria meditabonda, fissò il suo fondoschiena per un paio di secondi, poi cominciò ad armeggiare con le varie manopole. La faccia di Ron sullo schermo iniziò ad oscillare e la sua voce si ridusse ad un ronzio altalenante. Dopo un paio di tentativi finalmente Hermione riuscì a visualizzare un canale televisivo, che stava trasmettendo la sigla di un telegiornale. “Perfetto! Proprio quello che ci serviva!” esclamò Hermione soddisfatta (i suoi capelli crepitarono gioiosi).
Poi lei, Harry e Neville scoppiarono a ridere. La giornalista sullo schermo, una giovane donna vestita con un sobrio abito grigio, era perfettamente normale, se non si contava il fatto che la sua faccia fosse in realtà quella di Ron. La donna/Ron sollevò lo sguardo dai fogli stampati che formavano un ordinato mucchietto davanti a lei e iniziò a parlare con una voce calda e professionale: “Buon giorno, e benvenuti all’edizione mattutina del nostro telegiornale. La notizia del giorno è, come saprete, l’imminente matrimonio, che si celebrerà questo pomeriggio, fra le due star di Hollywood Brad Pitt e Angelina Jolie. La Jolie, che aspetta un figlio da Pitt, ha dichiarato che…”.
Hermione spense la televisione, senza riuscire a smettere di ridacchiare. Ruotò a caso le manopole e la riaccese, così che la testa di Ron si ritrovasse di nuovo a galleggiare nell’ammasso di avanzi catodici. “Si può sapere che cos’avete da ridere?” chiese il rosso con aria stizzita. Harry ed Hermione si guardarono in faccia e scoppiarono di nuovo in una risata fragorosa.
Quando furono riusciti a calmarsi, Hermione si schiarì la voce, gettò un’occhiata a Ron, trattenne un risolino, si ricompose e disse: “Bene, avevo promesso che vi avrei spiegato che cosa io penso stia succedendo ad Hogwarts. Molto probabilmente, anche se non ne sono del tutto sicura, la scuola è stata colpita da una Tempesta Ironica”.
“Vorrai dire “tempesta ionica”…” chiese Harry, che comunque non aveva la minima idea di che cosa fosse una tempesta ionica. Semplicemente, gli suonava meglio.
La ragazza scosse la testa, spargendo scintille bluastre qua e là: “No, proprio Tempesta Ironica. I maghi dell’Antica Grecia che l’hanno battezzata così credevano che si trattasse della punizione celeste di un dio dotato di un gran senso dell’umorismo. In realtà si tratta più semplicemente di nube di improbabilità concentrata che…”.
“Improbabilità?” la interruppe Ron, cercando di sturarsi le orecchie, salvo poi accorgersi che erano scomparse.
“Sì… E’ per questo che oggi stanno capitando tutte queste cose bizzarre, ovviamente…” continuò Hermione, mentre sopra la sua testa passò svolazzando uno stormo di caffettiere alate che tubavano garrule “Non si sa come la Tempesta Ironica abbia origine, ma di solito colpisce i luoghi con la maggior concentrazione di energia magica. Temevo che il suo effetto si fosse esteso anche alla comunità Babbana, ma dato che la notizia più importante del giorno è il matrimonio fra due attori…”.
“Un momento… Come fai a sapere che quello che abbiamo visto in televisione era vero? Non potrebbe essere un altro degli scherzi dell’improbabilità?” domandò Harry.
“Sono quasi sicura di no…” rispose Hermione “Se noti, la coda da dalmata di Ron è scomparsa, e ora al posto della testa ha un televisore. Se l’effetto dell’improbabilità fosse cumulativo, la coda non avrebbe avuto ragione di sparire; dunque pensa al corpo umano come ad un bicchiere e all’energia della Tempesta Ironica come a dell’acqua: se cerchi di riempire un bicchiere con più acqua di quanta ne possa contenere, beh… semplicemente non si può. Dunque, dato che la quantità di improbabilità in Ron aveva raggiunto il suo massimo durante la trasformazione della testa, era logico aspettarsi che il prodotto del processo, ovvero la televisione, funzionasse correttamente. Chiaro, no?”.
Harry annuì lentamente, anche se non condivideva del tutto l’idea di logicità che aveva Hermione. “E quindi?” chiese alla fine “Sai come eliminare il problema?”.
“E’ proprio questo il punto” disse la ragazza in tono cupo “Di solito la Tempesta Ironica si esaurisce da sé, ma il problema è che, nei due casi di cui sono a conoscenza, ci ha messo circa sette anni…” (la bocca di Ron, all’interno dello schermo, si spalancò come se le giunture fra mandibola e mascella fossero scomparse) “Ma si tratta di avvenimenti molto antichi… Spero che nel corso della storia più recente qualche mago abbia trovato un rimedio efficace per affrontare il problema!”.
“Bene, allora è meglio sbrigarsi!” pigolò Neville dalla tasca “Essere alti otto centimetri e mezzo non è un’esperienza così piacevole come potrebbe sembrare…”.
I quattro si misero in cammino, zigzagando fra le stalagmiti umidicce ed evitando le planate irruenti di qualche oggetto che la Tempesta Ironica aveva imprudentemente dotato di ali. Passarono davanti alla porta della Stanza delle Necessità, dipinta di un bel viola acceso a grandi fiori arancioni, incrociarono Pix, che aveva assunto l’aspetto di una bambina bruna e ricciuta vestita con una lunga vestaglia che canterellava con aria svagata una canzoncina che parlava di casseruole, e giunsero infine allo scalone principale, che in quel momento aveva l’aspetto di un enorme tapis-roulant.
Harry vi montò con circospezione: per quel che ne sapeva, un buco avrebbe potuto aprirsi dal nulla e farlo precipitare per i sette piani sottostanti; e, anche se c’era sempre la probabilità che la Tempesta Ironica decidesse di trasformarlo in un pellicano, una libellula o in un grifone durante la caduta per impedirgli di sfracellarsi al suolo, Harry non avrebbe di certo scelto di vivere volontariamente un’esperienza del genere.
Nelle scale mobili non si spalancò nessuna fessura improvvisa, comunque. I quattro studenti scesero in tranquillità, passando accanto al sesto piano.
Poi al secondo piano.
Poi ai sotterranei.
Poi al reparto surgelati di un supermercato.
Poi di nuovo al sesto piano.
Poi davanti ad una sorta di gigantesco acquario, nel quale nuotavano tutti i pesci esistenti (e anche una buona metà di quelli che non esistevano). Ron cercò di appoggiare la mano sul vetro dell’enorme vasca. Vetro che però non c’era, dato che il braccio del ragazzo affondò quasi fino alla spalla. Il rosso rabbrividì e ritrasse immediatamente la mano, giusto un attimo prima che uno squalo tigre (Galeocerdo Cuvier), incuriosito dall’apparizione di quella buffa stella marina rosata, decidesse di sgranocchiarla un po’ per sentire se era di suo gusto.
E, alla fine, i quattro riuscirono a sbarcare al quarto piano. “Bene, eccoci arrivati!” disse Hermione, varcando la familiare porta della biblioteca (che era bizzarramente uguale al solito) “Vediamo di venire a capo di questa faccenda!”.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto - I due improbabili ***


CAPITOLO 4 – I DUE IMPROBABILI


Ovviamente non vennero a capo di nulla.
Almeno, non in biblioteca.
Anche approfittando del fatto che per colpa della Tempesta Ironica Madama Pince era stata trasformata in uno sgabello, e potendo quindi accedere alla Sezione Proibita, i quattro ragazzi non scoprirono nulla sul bizzarro fenomeno.
“E’ inutile, questo libro non ha nessun senso…” sbottò Ron stizzito, chiudendo con un forte colpo un volume intitolato Contrarre la scarlattina in dodici facili mosse (lo sgabello lì vicino sussultò di rabbia).
“Non è l’unico, a quanto sembra…” mormorò Hermione sconsolata. Appoggiò Consigli per la coltivazione dei lecca-lecca in precario equilibrio su di una pila di tomi ugualmente assurdi.
Harry stava facendo scorrere le pagine assolutamente bianche di un libro dal titolo Gelatina di more, il cui contenuto sembrava costituito solo da una grossa A seguita da due punti esclamativi in bella mostra sulla prima facciata.
“E ora, che si fa?” chiese Ron, fissando attraverso lo schermo televisivo Hermione, con il volto elettronico atteggiato in un’espressione quasi di supplica.
La ragazza sospirò e scosse i capelli, che ora erano rosa intenso e sempre più crespi: “Non lo so, Ron… Speravo che qui avremmo potuto scoprire qualcosa di utile, e invece, niente!” e con un gesto improvviso colpì col dorso della mano la decina di volumi ammonticchiati accanto a lei, facendoli crollare miseramente per terra. Lo sgabello si agitò più forte, emettendo dei forti pigolii di disapprovazione.
“Sono sicuro che i professori riusciranno a risolvere il problema…” disse Neville, che percorreva a grandi (per lui) passi il piano del tavolo.
Hermione alzò gli occhi: “Non è affatto detto… Quando prima la McGranitt è venuta ad avvertirci di non uscire si stava trasformando in un appendiabiti, non ti ricordi? Magari adesso lei, Silente, Piton e gli altri sono sparsi per il castello sotto forma di comuni oggetti di uso domestico… Più potenziale magico una persona possiede, più improbabilità è propensa a contenere…”.
“Questo vuol dire che Harry sarebbe una schiappa?” chiese Ron ridacchiando. Harry gli lanciò un’occhiataccia.
“Cosa intendi dire?” domandò Hermione soprappensiero.
“Beh, da quando l’ho incontrato prima a lui non è successo ancora nulla, niente arti supplementari, niente bizzarre appendici, niente mutazioni improvvise…” si affrettò a rispondere il rosso, mentre la sua testa tornava normale, ma in compenso la sua pelle assumeva una gradevole colorazione viola tenue.
Hermione iniziò ad osservare Harry con sguardo meditabondo: “In effetti, adesso che me lo fai notare, hai ragione… Tu sei l’unico fra noi ad essere rimasto esattamente com’eri prima dell’avvento della Tempesta Ironica…”.
Harry arrossì, come se la normalità fosse una colpa passibile di denuncia: “Beh, ma questo non si può sapere, no? Magari i miei organi interni sono diventati dei calzini o roba simile…” si affrettò ad aggiungere.
“No, impossibile, saresti già morto!” ribattè la ragazza lanciandogli uno sguardo torvo.
Harry fu tentato di rispondere che anche andarsene in giro con un televisore al posto della testa non era una caratteristica che poteva essere vantata da molte specie viventi, ma si trattenne e si alzò. “Beh, è inutile stare qui, questi libri sono diventati paccottiglia inutile” (lo sgabello protestò debolmente).
In quel momento fuori dalla biblioteca si udì un urlo e un tonfo, come se qualcuno fosse crollato sul pavimento. Ron ed Hermione scattarono come due saette in direzione della porta; Neville si aggrappò giusto in tempo alle falde della divisa della ragazza; ed Harry rimase lì in piedi, con la sgradevole impressione di essere stato assolutamente ignorato. Dopo qualche secondo di perplessità, il ragazzo si riscosse e si diresse nella direzione in cui i suoi amici erano spariti.
“Ti senti bene, adesso?” la voce di Hermione, tesa e preoccupata, si fece largo attraverso la porta della biblioteca che si stava richiudendo. Harry la spalancò e vide i suoi due amici accovacciati a terra, Neville che faceva nuovamente capolino dalla tasca dell’uniforme di Hermione, e Luna, seduta ansante contro il muro. La sua uniforme era sgualcita e strappata all’altezza delle ginocchia.
“Che è successo?” esclamò Harry, chinandosi verso la ragazza spossata.
Lei lo fissò con i suoi occhi sempre un po’ troppo grandi e boccheggiò: “L’ho visto… l’ho visto…”.
“Cos’hai visto, Luna?” chiese Hermione, accarezzando piano la guancia dell’amica con fare materno.
Luna fece un paio di respiri profondi, tirò su con il naso e disse: “Il Ricciocorno Schiattoso*. L’ho visto”.
“E com’era?” si informò Neville.
Luna spostò lo sguardo su di lui, e lo fissò come se fosse perfettamente naturale che un ragazzo di diciassette anni un po’ sovrappeso se ne andasse in giro comodamente alloggiato in una tasca: “Più schiattoso di quanto immaginassi…” rispose alla fine.
“Come mai sei anche tu in giro per il castello?” chiese Ron, tendendo un braccio per aiutare la ragazza ad alzarsi.
“Dovevo trovare Silente o uno dei professori…” rispose Luna, una volta in piedi, mentre si spazzolava con la destra la divisa impolverata; nel pugno sinistro teneva stretta con forza una rivista arrotolata “Stamattina Vitious è venuto ad avvertirci di non uscire dal dormitorio… Almeno, credo che fosse lui, in realtà era una piastra per le cialde che parlava come lui… però, quando ormai se ne era andato, mi è venuto in mente che avevo già letto di un fenomeno molto simile a ciò che sta succedendo ora, e allora sono uscita dalla Sala Comune nella speranza di raggiungerlo. Però poi mi sono persa, la posizione di stanze e corridoi sembra cambiare in continuazione…”.
“Vuoi dire che lì sopra spiegano come combattere la Tempesta Ironica?” sbottò Hermione con impeto indicando il giornale, e tenendo a stento sotto controllo l’impulso di strapparlo dalle mani dell’amica.
Luna annuì con lentezza. “Aspettate, vi faccio vedere…” disse, srotolando la rivista. Che, manco a dirlo, si rivelò l’ultimo numero del Cavillo. In copertina era rappresentato un disegno piuttosto suggestivo di una galassia vista dall’alto, che ruotava pigramente intorno al proprio centro. A lato, brillanti lettere rosse avvertivano: Tempeste Ironiche: anche la logica dell’Universo ogni tanto va in vacanza!
“Ma dici che possiamo fidarci di quello che c’è scritto qui sopra?” chiese Ron, mentre Luna sfogliava le pagine della rivista alla ricerca dell’articolo.
“Certo” rispose l’altra “Era già così quando me l’ha spedito mio padre… Oh, ecco qua!” annunciò. Si schiarì la voce e iniziò a leggere:

Il nostro Universo non è estraneo a cose bizzarre. Fra gli avvenimenti più sconcertanti e inspiegabili abbiamo l’estinzione di massa dei progenitori dei draghi (noti presso i Babbani come “dinosauri”), l’aurora boreale e l’incomprensibile successo di alcuni programmi televisivi Babbani chiamati “reality-show”. Pochi però, anche all’interno della comunità magica, hanno anche solo sentito nominare quello che è il più improbabile di tutti i fenomeni dell’Universo, ovvero la Tempesta Ironica.
Dato che l’ultimo caso documentato di Tempesta Ironica risale al periodo dell’Impero Romano (e che portò fra l’altro alla distruzione di parte dell’Urbe, imputata dai Babbani ad un banale incendio), molti eminenti studiosi asseriscono che questo fenomeno in realtà è un parto delle menti fin troppo fantasiose dei maghi dell’antichità, che cercavano in tal modo di giustificare i loro esperimenti falliti.
MA E’ DAVVERO COSI’?
Il fatto che la Tempesta Ironica non si manifesti con relativa frequenza è quasi certamente dovuto alla sua componente fondamentale: essendo costituita da improbabilità allo stato puro, è pertanto estremamente difficile che si faccia viva. E per fortuna, aggiungiamo noi, dato che essa, pur essendo di per sé innocua, può provocare alterazioni della realtà tali da sconvolgere lo spazio, il tempo, nonché le tabelle di marcia dei treni, gettando nel panico gli ignari pendolari.
Attualmente non è noto alcun metodo su come liberarsi di una Tempesta Ironica, il cui periodo d’azione prima della dissipazione è tradizionalmente fissato intorno ai sette anni. Nel caso essa colpisca la vostra casa, ecco alcune regole utili:
1) Non fatevi prendere dal panico.
2) Mettetevi seduti (se avete ancora delle sedie) e respirate profondamente (se possedete ancora un apparato respiratorio).
3) Contattate il prima possibile il Ministero della Magia, sezione Catastrofi Magiche.
Alcuni sostengono inoltre che una concentrazione di improbabilità diversa dalla Tempesta potrebbe riuscire a dissolverla anzitempo, esattamente come quando si avvicinano due poli uguali di una calamita (per sapere tutto su questo straordinario ritrovato Babbano, rimandiamo al numero di Ottobre scorso); tale affermazione non è però stata provata.


“E questo articolo è stato pubblicato esattamente nel momento in cui ci può essere utile per risolvere la faccenda?” chiese Ron incredulo, scuotendo la testa “Non ci credo, è impossibile!”.
“No, Ron… Solo molto, molto improbabile” rispose Hermione.
“E come spieghi il fatto che la rivista sia rimasta perfettamente normale? E così anche Harry e…” Ron fissò Luna con aria critica “Luna?”.
“Oh, non credo sia vero…” intervenne la diretta interessata “Quando stamattina mi sono svegliata ho notato che i miei capelli erano leggermente più lunghi dell’ultima volta in cui li ho guardati…”.
“Non me lo spiego, in effetti…” rispose Hermione.
Il silenzio cadde sul gruppetto; davanti a loro rotolò pigramente una palla di sterpi; tutti (tranne Hermione, immersa nelle sue elucubrazioni) la seguirono con lo sguardo, finchè una palla più grande non la raggiunse, le saltò addosso, la divorò, fece un ruttino e proseguì la sua corsa tranquilla lungo il corridoio.
“Ma certo!” il grido di Hermione fece sobbalzare tutti “Adesso ho capito tutto! Se colleghiamo il fatto che la rivista è rimasta uguale a prima con il fatto che… certo, non potremmo mai vederla, in condizioni normali, quindi dev’essere per forza lì…”.
“Hermione, potresti evitare di parlare in modo tanto criptico e darci delle informazioni un po’ più chiare?” chiese Harry, che personalmente non vedeva l’ora di risolvere tutto quel casino, tornare nel dormitorio, gettarsi su di un letto rigorosamente non parlante e dormire per tutto il giorno. Hermione si riscosse, annuì e spalancò la bocca, pronta a rendere partecipe il gruppo della sua teoria.
In quel momento però successe un’altra cosa. La tasca della sua divisa si ruppe.
Questo, naturalmente, perché Neville aveva cominciato a crescere.
Dopo meno di un secondo era già alto cinque metri e mezzo, la sua testa aveva raggiunto il soffitto e non aveva trovato una buona accoglienza, a giudicare dal bernoccolo grosso come un’anguria che si stava formando sulla testa del ragazzo. “Sdraiati, svelto!” gridò Hermione, facendo un balzo all’indietro e travolgendo Ron; Harry afferrò Luna, la più vicina a lui, e la trascinò qualche metro più in là.
Un minuto più tardi, Neville sembrava essersi stabilizzato. Le sue dimensioni erano approssimativamente quelle di un tir con un notevole numero di rimorchi, e il suo corpo occupava l’intero spazio del corridoio. Harry si guardò intorno e scoprì con sommo orrore che Ron ed Hermione si trovavano dall’altra parte di Neville.
“Harry, mi senti?” la voce di Hermione giunse attutita, ma comunque comprensibile.
“Sì!” rispose lui, mentre Luna fissava con aria trasognata le mastodontiche suole delle scarpe di Neville.
“Noi siamo bloccati da questa parte, e dobbiamo aspettare che Neville torni normale… sì, ovvio che non è colpa tua… Nel frattempo tu e Luna dovrete fare ciò che sto per dirvi, dato che siete gli unici in grado di combattere il potere della Tempesta Ironica!”.
“Che cosa?” esclamò Harry, sicuro di non avere capito bene.
“Voi due non vi siete trasformati perché siete già naturalmente predisposti verso l’improbabilità, e quindi essa non ha alcun effetto su di voi!”.
Harry spostò lo sguardo su Luna, che aveva perso interesse alle enormi scarpe e stava canterellando a bassa voce la stessa melodia sulle casseruole che Pix aveva intonato poco prima, e dovette convenire che lei era se non altro una ragazza bizzarra.
“Ma io in che cosa sarei improbabile, scusa?” chiese il ragazzo in tono offeso.
Dall’altro lato di Neville la voce di Hermione risuonò alquanto scocciata: “E lo chiedi pure? Pensaci un attimo, Harry: in questi sei anni qual è la qualità che hai dimostrato maggiormente di possedere?”.
Harry ci pensò su un attimo, mentre Luna si era immersa nella lettura della sua rivista: “Ehm… la mia abilità nel Quidditch?” chiese poi, non sapendo però come la cosa potesse essere utile ai fini della lotta contro la Tempesta Ironica.
“Certo che no, idiota!” sbottò Hermione “Sto parlando della tua fortuna! Sei sfuggito quattro volte a Voldemort, l’anno scorso hai tenuto non si sa come testa ad una ventina di Mangiamorte, e cosa ancora più importante, ti sei salvato da un’espulsione certa in almeno una ventina di occasioni. Ora dimmi se un tale quantitativo di buona sorte può essere posseduto da un essere umano comune!”.
“Ah” rispose Harry, sapendo che non sarebbe riuscito a trovare una risposta migliore. “Ah” ripetè, per ribadire meglio il concetto.
“Ora, muoviti!” esclamò la ragazza “Mentre scendevamo non hai notato anche tu qualcosa di strano? Qualcosa che non doveva esserci ma che invece c’era?”.
“Vuoi dire la porta della Stanza delle Necessità?” domandò Harry “In effetti non avremmo dovuto vederla, a meno che non ci fosse stato dentro qualcuno…”.
“Allora non sei così stupido come pensavo! E’ lì che si nasconde la Tempesta Ironica. D’altronde, è la stanza più improbabile dell’intero castello… Tu e Luna siete la nostra unica speranza… temo”.
“Farò finta di non avere sentito la tua ultima frase…” disse Harry. Hermione non rispose.
Cinque minuti e dieci assurdi piani dopo, Harry e Luna erano davanti alla porta della Stanza delle Necessità, che per l’occasione era divenuta verde acido a chiazze bluastre. “Che facciamo? La apriamo?” chiese Luna, fissando il pomello della porta, che in realtà non era un pomello ma un’enorme caramella dura.
“Hermione mi ucciderebbe se non lo facessimo…” rispose il ragazzo appoggiando la mano sul gigantesco dolce e facendolo ruotare piano.
Harry iniziò a tirare a sé l’uscio, poi si bloccò e si voltò, fissando Luna: “E’ il grande momento. Hai paura?”.
La ragazza inclinò leggermente la testa: “No, non direi… Tutto questo è piuttosto divertente, in fondo…”.
“Io non l’avrei messa in questi termini, ma…” rispose lui, finendo di aprire la porta. Poi si girò lentamente e







* Il nome scientifico del Ricciocorno Schiattoso è ignoto all’autore, che si scusa per questa grave mancanza.



Doverosa precisazione: il capitolo finisce con la frase sospesa a metà, non è un mio errore...

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto - La stanza delle assurdità, parte terza ***


CAPITOLO 5 – LA STANZA DELLE ASSURDITA’, PARTE TERZA


vide qualcosa di assolutamente bizzarro.
A prima vista sembrava un enorme vortice, largo chilometri e profondo altrettanti, che però al tempo stesso era delle esatte dimensioni del vano della porta. Al suo interno turbinavano tutti i colori che la mente umana ha la capacità di concepire, più alcune sfumature di arancione che Harry era sicuro di non avere mai visto prima di allora (tanto che non era nemmeno sicuro che si trattasse effettivamente di sfumature di arancione).
“Dici che facciamo bene ad entrarci?” domandò Luna.
“Non penso che abbiamo molta scelta, no?” rispose Harry in tono lugubre. Fece un passo in avanti ed entrò nel vortice.
Harry si era aspettato di rimanere ucciso, di venire trasformato in qualcosa di assurdo, di ritrovarsi in un paesaggio da incubo; perciò non era per nulla pronto per quello che successe.
Ovvero assolutamente niente.
Harry si ritrovò semplicemente in un corridoio uguale a quello che aveva appena lasciato. “Credi che qualcosa non abbia funzionato?” chiese Luna, apparendo accanto a lui.
Harry si voltò: il vortice di colori ruotava pigramente dietro di loro. “No, credo che siamo dentro la Stanza delle Necessità. O della personale versione che ne ha la Tempesta Ironica, perlomeno…”.
Un gruppo di budini alla vaniglia passò in volo sulle loro teste, e borbottando qualcosa in tono corrucciato andò a spappolarsi su un enorme quadro nel quale un birillo verde e uno lilla facevano ruotare degli hoola-hoop.
“Mi sento decisamente avvilito” disse Luna.
“Che?” esclamò Harry.
“E’ quello che dicevano i budini: “Mi sento decisamente avvilito”. Era ungherese” rispose lei, con la massima naturalezza.
“Tu conosci l’ungherese?” chiese il ragazzo stupito: Luna era una continua fonte di sorprese.
“Giusto qualche frase utile…” fece lei, rimettendosi a camminare lungo il corridoio. Ad Harry quella non sembrava un’espressione granchè utile in una normale conversazione, ma non lo disse e si limitò a seguire la ragazza.
“Non senti anche tu qualcosa di strano?” chiese Harry qualche minuto dopo. I due stavano ancora camminando nel corridoio che sembrava estendersi all’infinito, girando intorno a sculture decisamente bizzarre ed evitando delle piccole pozze di quella che sembrava marmellata di albicocche ribollente.
“Come se una mano ti stesse premendo sulla fronte, vero?” convenne Luna “La sento anch’io. Probabilmente è il segno che ci stiamo avvicinando all’occhio del ciclone”.
“Beh, credevo che sarebbe stato più difficile” osservò Harry, tirando un mezzo sospiro di sollievo “Invece fin qui tutto è andato bene”.
Come Hermione ha avuto modo di osservare nello scorso capitolo, la buona sorte è una qualità che a Harry non manca. Ma anche le persone più fortunate dovrebbero saper tenere la bocca chiusa in situazioni che invece richiederebbero solo il silenzio, o perlomeno una risposta sensata. Pronunciare una frase come “Fin qui tutto bene” è invece una condanna a morte sicura. Soprattutto in un mondo governato dall’improbabilità.
Infatti lo squalo tigre (Galeocerdo Cuvier, per chi non se lo ricordasse) scelse proprio quel momento per materializzarsi a mezz’aria e pinneggiare con vigore assassino verso le sue due nuove prede.
Il cervello di Harry riuscì a registrare la presenza di un enorme carnivoro marino davanti a sé in un tempo brevissimo (l’agilità è un’altra delle sue maggiori doti), e prima ancora che la sua parte razionale potesse formulare la domanda: “Ma come diavolo fa uno squalo tigre a nuotare fuori dall’acqua?”, il suo corpo aveva reagito prontamente, afferrando Luna e facendola abbassare.
Giusto un secondo e mezzo dopo le tagliole irte di denti nella bocca dello squalo schioccarono solo due centimetri a sinistra del punto in cui si trovava la testa della ragazza. Harry si infilò una mano in tasca, alla ricerca della bacchetta magica. Frugò febbrilmente ogni centimetro dell’uniforme, mentre lo squalo faceva dietrofront e si dirigeva a velocità doppia verso di loro, prima di ricordarsi di essersi dimenticato la bacchetta nel dormitorio.
Fortunatamente per Harry, Luna non aveva lasciato la propria bacchetta dove non poteva servire a nulla. “Evanesco!” gridò la ragazza, puntandola contro lo squalo.
L’enorme pesce divenne due volte più grosso.
La raggiunta stazza si rivelò però un ostacolo: lo squalo non sembrò più in grado di controllare con esattezza la propria traiettoria, ma si inclinò di lato, percorrendo una larga parabola e mancando completamente i due ragazzi. Questione di secondi, però, e l’enorme carnivoro sarebbe riuscito ad abituarsi alle nuove dimensioni, divenendo due volte più pericoloso. “Presto, Luna, usa un incantesimo!” urlò Harry nervoso, mentre lo squalo riusciva a raddrizzarsi e puntava famelico contro di loro.
“Quale?” chiese la ragazza in tono svagato.
“Uno qualsiasi, basta che fai presto!”. “Tanto avrà sicuramente qualche altro effetto assurdo…” pensò cupo.
“Okay… uhmm… fammi pensare un attimo…”; le sopracciglia di Luna erano talmente inarcate da giocare a rimpiattino fra i suoi capelli.
Lo squalo nel frattempo era a cinquanta metri. Quarantacinque. Quaranta.
“Luna, sbrigati!”.
Trentacinque metri. Trenta. Venti.
“E’ che sotto pressione tendo a dimenticare le cose…”.
Diciotto metri. Quindici. Dieci.
“…no, aspetta, ci sono!” Luna sollevò la bacchetta con espressione di trionfo “WINGARDIUM LEVIOSA!”.
Lo squalo, lanciato a tutta velocità, si trasformò in un blocco di marmo. Harry afferrò Luna e la spostò di lato, manovra assolutamente inutile, dato che l’enorme lastra si era schiantata sul pavimento un buon metro prima. “Grazie…” disse Luna, rinfoderando la bacchetta “Senza di te, a questo punto non avrei più la testa…”.
“Stai scherzando? Sono io che devo ringraziarti!” ribattè Harry con un sorriso “Se non fossi stata così pronta ad usare la bacchetta, saremmo in due a non averla più, la testa!”.
Luna lo fissò con i suoi grandi occhi nebulosi, il volto atteggiato in un’espressione di completa ed assoluta sorpresa: “Stai… dicendo sul serio?” chiese, con la voce che le tremava debolmente.
Harry annuì: “Certo… Ehi, c’è qualcosa che non va? Non ti senti bene?”.
Luna si riscosse ed abbassò precipitosamente gli occhi: “No, nulla… Credo che dovremmo procedere, piuttosto…” e detto questo si voltò ed iniziò a camminare a passo svelto. Harry fissò la schiena della ragazza per qualche secondo, poi fece spallucce e la seguì.
Man mano che i due ragazzi avanzavano, i particolari improbabili non cessavano di moltiplicarsi: le mura iniziarono a stillare grosse gocce di liquido scuro che dopo un attento esame di Luna si rivelò essere inchiostro, mentre grossi pipistrelli verdi e azzurri erano impegnati in accese partite a carte; ma, dato che tentavano di giocare appesi al soffitto, le carte finivano sempre per cadere a terra, di solito sulla testa di Harry o di Luna.
Anche la sensazione di pressione andava aumentando, tanto che alla fine avanzare divenne piuttosto arduo ed Harry e Luna dovettero prendersi per mano, cosa che ad Harry non dispiacque affatto. Il calore e la stretta di lei gli trasmettevano sicurezza.
Quando ormai Harry aveva la sensazione di procedere con delle enormi scimmie attaccate alle braccia e alle gambe (perché proprio scimmie e non qualche altro tipo di animale non è ben chiaro), il ragazzo finalmente vide la fine del corridoio, e una porta a strisce viola, marroni e dorate proprio al centro della parete di fondo, che palpitava come un bizzarro cuore rettangolare.
Con un ultimo sforzo di volontà, ma soprattutto di gambe, i due ragazzi riuscirono ad arrivare fino all’uscio. Lì la forza respingente era tanto intensa che dovettero aggrapparsi alla maniglia per evitare di essere trascinati via.
”E’ qui dietro?” chiese Luna, il volto contratto per lo sforzo.
Harry annuì debolmente: “Lo spero, perlomeno…” aggiunse con un mezzo sorriso. Poi abbassò la maniglia e tirò a sé la porta con decisione.




“Oh, Hermione, non sai quanto mi dispiace, davvero…” il colossale volto di Neville era una maschera di tristezza e delusione.
Hermione dal canto suo era molto scocciata. “Per l’ennesima volta, non-è-affatto-colpa-tua!” sbottò in tono nervoso, scandendo le ultime parole. I suoi capelli, ora neri e lunghi fino a terra, iniziarono a sibilare di rimando.
“Dai, Herm, cerca di calmarti!” una versione di Ron verde e squamosa era seduta a terra a gambe incrociate, e giocherellava con un Frisbee Zannuto rosso e oro che aveva trovato lì per terra. “Dubiti così tanto di Harry e Luna?”.
“Non è questo il problema, sono sicura che ce la faranno! Ma non riesco proprio a stare qui, senza poter fare nulla di utile!” lo aggredì Hermione esasperata “E in più mi sono anche dimenticata di dire loro il modo di liberarci della Tempesta Ironica!”. La ragazza sferrò un pugno contro il muro, a pochi centimetri di distanza da una delle orecchie di Neville, che si affrettò a ripetere: “Scusami, Hermione, è tutta colpa mia…”.
“STAI ZITTO, O GIURO SU QUANTO HO DI PIU’ CARO CHE TI INFILERO’ RON IN BOCCA!”.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto - Questo bellissimo mondo ***


CAPITOLO SEI – QUESTO BELLISSIMO MONDO


Onestamente, Harry si sarebbe aspettato qualcosa di un po’ più spettacolare. Qualcosa che prevedesse fuochi d’artificio, visioni oniriche e/o spaventose, o perlomeno una discreta quantità di esplosioni.
Invece il nucleo della Tempesta Ironica era semplicemente costituito da una grossa sfera di energia dalla superficie cangiante, simile ad una bolla di sapone, che pulsava con lo stesso ritmo della porta dalla quale erano entrati; intorno vi gravitava un anello di pulviscolo multicolore, che rifrangeva i raggi luminosi emessi dal globo sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto, creando una danza di minuscole aurore boreali.
I due ragazzi furono improvvisamente schiacciati contro le pareti, mentre una mano invisibile schiacciava i loro petti, tentando di spremere ogni molecola d’aria, nonché un paio di dozzine di alveoli, dai loro polmoni.
Dato che, però, Harry e Luna in quel momento stavano già trattenendo il respiro per lo stupore, il tutto non ebbe grande effetto. D’altronde, essere contattati telepaticamente da una Tempesta Ironica è un’esperienza che stupirebbe chiunque, perfino l’avventuriero più navigato, anche se il messaggio fosse solamente: “Salve a voi, chi siete?”, come effettivamente fu in questo caso.
Luna fu la prima a riprendersi dallo shock. Boccheggiò, tossì un paio di volte, prese un respiro profondo e disse: “Tu… tu sei viva?”.
“Possibile” rispose la Tempesta “Se il pensiero e la capacità di comunicare sono da considerarsi identificative degli esseri viventi, allora noi siamo effettivamente vivi”.
“Ma questo è impossibile!” si lasciò scappar detto Harry.
Il nucleo della Tempesta ebbe uno spasimo, assumendo dei deprimenti toni bruno grigiastro; la pressione sul corpo dei due ragazzi si allentò un poco, permettendo ai due di respirare più agevolmente. “No, è solo molto improbabile” la voce telepatica suonava un po’ infiacchita “Cionondimeno noi esistiamo e siamo vivi”.
“Chi siete voi?” chiese Luna. “Noi siamo gli Improbabili” rispose il nucleo “Noi esistiamo dall’inizio dell’Universo, e fino alla sua fine esisteremo. Noi siamo eterni”.
“State dicendo… che voi siete Dio?” domandò incredulo Harry.
“Molto improbabile” disse la Tempesta, mentre i colori del nucleo turbinavano agitati “Noi, al contrario di Dio, non siamo onniscienti e non siamo noi ad aver creato l’Universo, ma siamo venuti al mondo insieme ad esso”.
“E come mai siete qui?” fece di nuovo Harry.
“Qui? Dove saremmo, noi?” chiesero gli Improbabili, in tono di educata perplessità.
“Ad Hogwarts. E’ un castello, e una scuola di magia” spiegò succintamente Harry.
“Scuola? Castello? Queste parole non hanno alcun significato per noi. Abbiamo semplicemente seguito le tracce di un grande campo di energia. Essa vibra in maniera piacevole, ci nutre, ci sostiene, ci rafforza; e allo stesso tempo ci permette di riposarci, disperdendo l’improbabilità in eccesso”.
“E quanto durerà questo vostro riposo?” chiese Harry, anche se in cuor suo sapeva già la risposta.
“Sette dei vostri anni, se non andiamo errati” risposero gli Improbabili, serafici.
“E non potreste, come dire… andarvene prima?” tentò Harry.
“Possibile, in linea teorica. Molto improbabile, sul piano pratico. Un campo di energia pura di questa intensità è molto difficile da trovare. Comunque sia, non avete ancora risposto alla nostra domanda: chi siete? Nessuno ci ha mai disturbato, durante il nostro riposo!”.
“Noi siamo venuti qui per chiedervi cortesemente di andarvene” disse pacata Luna, prima che Harry avesse il tempo di aprire bocca.
Il nucleo vibrò emettendo un acuto suono tintinnante che era molto probabilmente una risata: “Come ho già detto, è veramente poco probabile che noi decidiamo di andarcene, dato che…”.
“Beh, se non ve ne andrete volontariamente, credo che dovremmo costringervi” lo interruppe Harry, improvvisamente folgorato da un’idea. Era possibile che… No. E appunto perché era qualcosa di impossibile che avrebbe funzionato.
“Non credo davvero che ci possiate riuscire, sul serio…” disse il nucleo, sulla difensiva. La sicurezza dei due umani lo infastidiva parecchio.
“Luna, presto, dì la prima cosa impossibile che ti viene in mente!” mormorò Harry nell’orecchio dell’amica, approfittando dell’attimo di distrazione della tempesta.
“Perché?” chiese Luna. “Credo che l’impossibilità sia l’unica arma per batterlo. Forza, dì la prima frase che ti ronza in testa, basta che sia qualcosa di completamente assurda!”. Luna annuì, si schiarì la voce, e gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo: “IL PROFESSOR PITON E’ UN UOMO VERAMENTE GENTILE!”.
Harry non aveva detto alla ragazza di urlare, ma dovette convenire che era una gran bella pensata: il nucleo singhiozzò forte e divenne di un funereo grigio antracite. “Per favore, potreste non fare più…” protestò in tono petulante.
“I DURSLEY SONO I MIGLIORI PARENTI CHE SI POSSANO AVERE!” lo interruppe Harry con voce squillante.
“Vi prego di smetterla, per favore…”.
“GAZZA E’ SIMPATICISSIMO!”.
“MILLICENT BULSTRODE E’ LA PIU’ CARINA DELLA SCUOLA!”.
“ELOISE MIDGEON NON HA NESSUN PROBLEMA DI ACNE!”.
La Tempesta Ironica pulsava febbrilmente, mentre la superficie del nucleo si sgretolava e si riempiva di crepe. “No… no… basta, ve ne preghiamo…” pigolò, ormai ridotto allo stremo.
Luna ed Harry si guardarono negli occhi con aria di intesa, riempirono d’aria i polmoni e gridarono, in un impeto di vittoria: “DRACO MALFOY E’ IL MIO MIGLIORE AMICO!”.
Sdong. Stoccata finale.
Con un grido ultraterreno di rabbia e di sconfitta il nucleo di improbabilità svanì, portandosi dietro l’anello di polvere colorata, lo squalo di marmo, lo sciroppo alla ciliegia, le caffettiere volanti e tutto il corteo di assurdità con il quale aveva riempito Hogwarts.
Una luce sfolgorante esplose al centro della stanza, abbagliando le pupille dei due ragazzi, che furono costretti a chiudere gli occhi per non rimanere accecati. Riuscirono a trovarsi cercando a tentoni, si presero la mano, finché




“Niente più squame, niente più capelli assurdi, Neville è ritornato al suo peso forma… e non avrei mai immaginato che il Frisbee Zannuto potesse essere lei, professor Silente!” esclamò Hermione, passando in rassegna i due ragazzi e l’anziano preside, alla scrupolosa ricerca di qualche anomalia superstite.
“E’ terribile quando si vorrebbe essere disperatamente lanciati e non c’è nessuno nei dintorni che abbia voglia di giocare! Un’esperienza che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico… beh, a lui forse sì!” concesse Silente con aria divertita “Comunque sia, devo ringraziarvi per avere risolto questa situazione… diciamo pure piuttosto improbabile!”.
“Oh, non ringrazi noi!” intervenne Neville, mentre Hermione stava già assumendo una posa orgogliosa “Sono stati Harry e Luna, sicuramente!”.
“Per fortuna hanno capito che l’unica forza più potente dell’improbabilità è l’impossibilità!” esclamò Hermione, un po’ delusa dal fatto di non essere stata riconosciuta come contributo valido alla risoluzione del problema.
“Chissà perché non sono ancora tornati… Non saranno mica svenuti o peggio?” domandò Ron, l’aria improvvisamente preoccupata.
“Non sia sciocco, signor Weasley!” lo rassicurò Silente, con aria stranamente gioviale “Sono sicuro che Harry e la signorina Lovegood ci raggiungeranno subito… D’altronde, hanno diritto a riposarsi un po’, dopo quello che hanno dovuto affrontare!”.





si ritrovarono uno sopra l’altra in un angusto sgabuzzino per le scope.
“Oh…” esclamò Luna, arrossendo leggermente.
Harry, imbarazzatissimo a sua volta, si affrettò ad alzarsi. “Allora, è finita?” chiese poi. “Credo… credo di sì…” rispose la ragazza, appoggiando una mano al pomello della porta e accennando a voler uscire.
“Aspetta un attimo…” Harry la fermò, appoggiando la sua mano sopra quella di lei “C’è una cosa che devo dirti, prima di…”.
“E non puoi dirmela fuori?” si informò Luna, sinceramente incuriosita.
Harry si passò una mano sulla bocca: “Beh, sì, in effetti potrei, ma…”. “Ma se non lo facessi ora” pensò “Poi non credo che ne avrei più il coraggio…”.
Il silenzio cadde sui due, mentre Luna aspettava paziente che Harry parlasse, e il ragazzo cercava disperatamente di raccogliere tutte le parole adatte ad esprimere al meglio ciò che voleva dire, senza però riuscire a trovare nulla che lo soddisfacesse. Alla fine decise che continuare a pensarci non sarebbe servito che a peggiorare le cose, quindi si decise ad aprire la bocca. “Ecco, quello che volevo dirti è…” balbettò in tono insicuro “Quando ti ho conosciuta, credevo che tu fossi semplicemente una ragazza un po’ svitata, ma poi… poi ti ho osservato meglio. Ti ho vista combattere al Ministero, e ti ho vista lottare oggi. Sei stata la prima persona con la quale sono riuscito a parlare liberamente di Sirius dopo la sua morte… ma solo oggi ho compreso quanto io e te siamo simili. Credo… credo che tu mi piaccia molto, Luna”.
La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre, ma sostenne lo sguardo di lui: “Se quella che stai dicendo è una cosa impossibile, posso ricordarti che la Tempesta Ironica se ne è già andata?” rispose poi, in tono assolutamente normale, come se si aspettasse una dichiarazione del genere.
Harry sorrise: quella ragazza non finiva mai di stupirlo… e non avrebbe mai finito di farlo. “Credo di non aver mai detto una cosa tanto probabile in vita mia…” disse.
Il volto di Luna si allargò in un’espressione di gioia. “Ho cambiato idea, sai? Non ho nessuna fretta di uscire da qui…”.
“Già” convenne Harry, mentre avvicinava il suo viso a quello della ragazza “Neanch’io. Nessunissima fretta”.




FINE

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