Olympus: The Quest for Cheryl

di Bel Riose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Terran Starship Command ***
Capitolo 2: *** 2. L'eco del passato ***



Capitolo 1
*** 1. Terran Starship Command ***


"Non è vero come dicono molti che si può seppellire il passato, il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente."
 

Khaled Hossein

L’immensa insegna al neon faceva bella mostra di sé dinanzi l’ampia finestra.
Oltre, dopo qualche edificio, si intravedeva, già visibile alla luce dell’alba, una delle tante lande desolate di cui ormai la Terra era piena.
- Strano orario per vederci.- disse un uomo, elegantemente vestito di nero, seduto su di una poltrona, mentre osservava il panorama.
Alle sue spalle, nella penombra, un’altra voce replicò, quasi divertita:- Suvvia, non mi dica che stava dormendo.-
Anche l’uomo assunse un tono più divertito, e le sue labbra accennarono un sorrisetto:- Certo che no. Sarei davvero uno stupido.-
- Felice di non averla disturbata, allora. Ma passiamo al vero motivo della sua venuta.-
- Perfetto.- disse l’uomo, facendo un cenno con la mano, come a ordinar qualcosa.
Dalla penombra emerse un robot che manteneva sulle sue mani metalliche un vassoio con sopra una bottiglia ed un bicchiere.
L’uomo li prese entrambi, e lanciò un’occhiata all’etichetta sulla bottiglia:- Whiskey d’annata. I miei complimenti.-
La voce sembrò quasi compiaciuta, ma non mutò di tono:- Solo il meglio.-
Il robot scomparve di nuovo nell’ombra mentre l’uomo iniziava a versare il liquido nel bicchiere e a sorseggiarlo con evidente gusto:- Allora….mi dica tutto.-
- Ho parlato con il nostro comune amico, ieri sera….-
- Le ha detto quello che volevamo sapere?-
- Precisamente: il pacchetto arriverà a destinazione quanto prima.-
L’uomo sembrò soddisfatto della nuova rivelazione:- Direi che rientriamo perfettamente nei tempi previsti.-
- Per il momento si, ma non possiamo sapere gli imprevisti che ci si pareranno davanti. Il mondo, di questi tempi, è imprevedibile.-
- Devo darvene atto.-
- Dunque ora non ci resta che aspettare…-
- Ed è quello che faremo.-
 
 
 
 I cumuli di pietrisco cedevano sotto gli incessanti colpi dei piedi che freneticamente li risalivano, uno dopo l’altro, tentando di evitare le buche dell’antica strada quasi completamente dissestata, accompagnati nel loro movimento dal continuo respiro quasi spasmodico.
Uno spuntone di ferro emergente da ciò che restava di un muro precipitato sulla strada lacerò d’un tratto la caviglia del piede destro, che cedette.
Il dolore lancinante provocò un urlo soffocato di voce femminile.
La ragazza cadde a terra, riparando appena il viso con le mani, salvo poi usarle per alzarsi immediatamente e riprendere la corsa disperata.
I corti capelli castano scuro, sporchi e pieni di polvere come i vestiti consunti, avevano perso quasi il loro colore, divenendo cinerei. Dal viso, contratto dal dolore e dalla fatica, i lineamenti femminili sembravano quasi scomparsi.
Un sibilo riempì per un velocissimo istante l’aria attorno alla fuggitiva, ed ella potè vedere il proiettile che si frantumava su di un muro vicinissimo a lei.
C’era mancato poco.
Un grugnito in lontananza, gutturale, inumano, rivelò la delusione del cacciatore per il colpo fallito.
I sinistri scheletri degli alti edifici in rovina iniziavano a farsi via via più fitti, mano a mano che la giovane procedeva sulla via verso la costa.
Sentiva il sangue scorrere copioso dalla ferita alla caviglia, il dolore a malapena tenuto a bada dall’adrenalina, insieme a quello di una decina di altre ferite su tutto il corpo.
Un altro sibilo, un altro proiettile; ancora una volta il colpo la mancò di poco.
Il relitto di un autobus sbarrò improvvisamente la strada.
Senza neppure fermarsi, la ragazza si infilò nello stretto passaggio  tra di esso ed un edificio, mentre un nuova gragnola di colpi si dirigeva implacabile verso di lei.
Poco dopo aver superato l’ostacolo, poté sentire il bus venire crivellato e perforato; pochi attimi, ed i proiettili raggiunsero l’antico motore atomico.
Il boato dell’esplosione fece tremare le rovine silenti, mentre l’onda d’aria calda sbalzò nuovamente la giovane fuggitiva per terra, rovinosamente.
Mentre si accorgeva di avere un braccio fratturato, e tentava di rialzarsi penosamente da terra, il dolore al piede ormai insostenibile, sentì dietro di lei un ruggito, evidentemente una sorta di grido di vittoria.
Era ormai perduta. Mentre delle lacrime di paura le bagnavano il viso pieno di ferite, si decise a voltarsi, ancora per terra, ad affrontare un fato ineluttabile.
Dinanzi a sé vide la mostruosa mole verdastra del supermutante dirigersi verso di lei con il consueto passo pesante intriso di morte.
Il rivoltante volto del mostro era coperto da quello che sembrava essere un grosso ghigno.
- Sei mia.- grugnì il mostro, ad alta voce, le parole appena percettibili in quell’ammasso di suoni gutturali.
Dietro di lui, altri due supermutanti si appressavano alla preda inerme.
Il fumo dell’esplosione ancora volava alto disperdendosi nell’opprimente cielo grigiastro.
Il mostruoso vincitore raggiunse finalmente la ragazza, e allungò il possente braccio per metà senza pelle, con solo i muscoli ingrossati in vista, verso di lei.
Ma si ritrasse immediatamente, reclinando la testa come se fosse stata colpita da qualcosa.
La ragazza lo guardò, e vide una ferita sulla fronte: un foro di proiettile.
Un altro colpo, silenzioso come il primo, ed il gigante arretrò di qualche passo, ruggendo per il dolore.
La giovane era incredula, ma non perse tempo. Raccogliendo le ultime forze rimastegli, si rialzò, digrignando i denti nel tentativo di reprimere il dolore, e iniziò a trascinarsi verso l’edificio più vicino.
Nel frattempo, nuovi colpi, stavolta ben udibili, andavano a segno, e ben presto la zona fu immersa nel boato di una vera e propria battaglia.
Ancora una volta, la ragazza cadde a terra, ormai quasi priva di conoscenza.
Si voltò nuovamente verso i supermutanti: uno di loro, quello che l’aveva quasi presa, giaceva a terra, morto, mentre gli altri due si difendevano scatenando una tempesta di fuoco in direzione dei loro assalitori.
Con la vista annebbiata, cercò di capire chi fossero: vide almeno cinque soldati, in uniformi verde e nere che non aveva mai visto prima, sparare dai loro ripari verso i supermutanti.
Un secondo supermutante cadde abbattuto al suolo.
Poi comparve un altro uomo, che indossava quella che sembrava essere una vera armatura atomica. Brandiva una pistola, e la puntò verso l’ultimo superstite.
Tra la nebbia sempre più fitta che le calava sugli occhi, in mezzo allo stordimento provocato dal dolore, la ragazza vide un raggio di luce blu scaturire dalla pistola e colpire in pieno volto il mostro.
Anche l’ultimo dei suoi inseguitori era così morto.
La preda ormai sfuggita si accasciò definitivamente per terra.
Fece appena in tempo a vedere il volto dell’uomo in armatura atomica, biondo scuro, dai lineamenti abbastanza dolci e dai penetranti occhi grigi, chinarsi su di lei e sussurrarle qualcosa, mentre altre ombre iniziavano ad avvicinarsi, prima di chiudere gli occhi.
 
 
 
- Gli uomini sono ansiosi di tornare sulla Olympus, signore.-
La voce dell’uomo, in uniforme verde-nera, risuonò tra la pareti metalliche arrugginite, ferma, e senza alcuna particolare intonazione. Era chiaramente la voce di un soldato.
- Non posso certo biasimarli, maggiore: una settimana intera nel cuore della Zona Contaminata della Capitale da molti è ritenuta alla stregua di un suicidio, e di questo sono perfettamente consapevole.-
L’interlocutore indossava l’uniforme completamente nera da ufficiale. Il berretto era posato sul tavolo, accanto ad un bicchiere vuoto. Su di esso campeggiava il simbolo di una spada alata, rivolta verso il basso.
- Così come è consapevole, spero, che i miei uomini si sono posti più di una domanda sul motivo di questa nostra “scampagnata”. E non sono gli unici….-
L’ufficiale, ad un primo sguardo sulla quarantina, non esitò a replicare con tono piatto:- Sono ordini diretti dell’Ammiraglio Supremo. Lui stesso ha guidato la missione, o sbaglio? Mi dispiace che sia toccato ai suoi uomini, stavolta, ma la squadra Thunderfist era già impegnata.-
Il maggiore sembrò punto nell’orgoglio dalle parole del suo superiore:- I miei uomini sono la miglior squadra di marine del TSC.- rispose, mal celando i suoi sentimenti.
- E dal rapporto che ho letto hanno mantenuto fede alla loro reputazione, maggiore.- sospirò:- Sa com’è: gli ordini sono ordini. Comunque, lei ed i suoi uomini avrete un po’ di tempo da passare sulla Olympus. Verrete trasferiti domani stesso.-
Il maggiore stavolta non nascose la soddisfazione:- Grazie, signore.-
- Non ringrazi me, l’Ammiraglio Supremo se ne è fatto personale garante. Tornerete su con uno dei nostri mezzi, portando con voi la ragazza che avete salvato ieri.-
Il maggiore assunse un’aria pensierosa, annuendo:- E’ stata davvero una fortuna per lei che capitassimo proprio da quelle parti. Mi sorprende che sia ancora viva: quando l’abbiamo portata qui a Rivet City era conciata parecchio male. D’altronde, non riesco a capire perché mai una ragazza si sia avventurata da sola proprio tra le rovine della Capitale.-
- Non possiamo sapere se fosse sola o meno, quando vi è entrata, maggiore.- l’ufficiale si alzò, aggiustandosi appena il colletto dell’uniforme:- Inoltre, la sua vita è ancora a rischio. Qui non hanno le strumentazioni e le conoscenze adeguate, per questo verrà portata sulla Olympus. Sono sicuro che il Dr. O’Farrell la rimetterà a nuovo, e questo è ciò che crede anche l’Ammiraglio.-
Prese il berretto dal tavolo e se lo sistemò sui capelli castani, tagliati corti.
Il maggiore si alzò in segno di rispetto.
- Ci rivedremo a bordo.- disse l’ufficiale, dirigendosi verso l’uscita, mentre il maggiore lo salutava militarmente.
- Certo, comandante Harkin.-
Aprì la vecchia porta a tenuta stagna cigolante, quindi si ritrovò all’aperto.
Il ponte di lancio dell’antica portaerei che in seguito alcuni coloni intraprendenti trasformarono in Rivet City era ancora ingombro dei relitti dei suoi numerosi aerei, rimasti parcheggiati, per sempre attendendo di combattere una guerra ormai finita da trecento anni.
Ma accanto ad essi, vi era ora qualcosa di decisamente più avanzato: un grosso velivolo, dalle forme arrotondate e dalla colorazione rosso-nera, con ben in vista sulle ali il simbolo della spada alata: si trattava di uno dei diversi velivoli da combattimento e da trasporto Valkirye del TSC
La spina dorsale del Terran Starship Command, pensò tra sé il comandante.
Poco più in là, diverse tende militari ospitavano le attrezzature ed il sistema di teletrasporto per la Olympus.
Alcuni soldati, supervisionati dal loro ufficiale, facevano esercizi fisici a pochi metri dal comandante.
Oltre il ponte, le vaste rovine di Washington D.C. si mostravano in tutto il loro sinistro splendore.
Un improvviso turbamento prese Harkin; gli succedeva spesso quando ripensava al passato.
- Comandante Harkin!-
Una voce lo chiamava da dietro.
Harkin si voltò, e vide il volto della dottoressa Li.
- Dottoressa.- disse:- Notizie della paziente?-
La donna annuì:- E’ per questo che la cercavo. Siamo riusciti a stabilizzare le sue condizioni abbastanza perché possa sostenere il viaggio, ma le condizioni restano critiche.-
Harkin annuì:- Benissimo. Farò preparare immediatamente tutto l’occorrente.-
 
 
 
Due paia di occhi color porpora risaltavano nel buio, fissi nel loro puntare verso di lei.
La ragazza si guardava attorno, preda di una angoscia indescrivibile, ma solo il buio impenetrabile l’avvolgeva.
Delle voci iniziarono ad emergere da esso, tutt’attorno a lei.
Non riusciva a capire cosa dicessero, ma erano concitate, quasi emozionate. E pronunciavano continuamente un nome. Un nome a lei sconosciuto.
Gli occhi continuavano a fissarla.
Poi sentì la fredda presa di guanti di metallo sulle sue braccia. Non poteva vedere di chi si trattasse, ma iniziò a dimenarsi disperatamente.
La presa si faceva più stretta, e lei emise un grido di terrore.
Ma divenne un circolo vizioso: più urlava, più la presa si faceva stretta; lentamente, il buio iniziò a schiarirsi ed una innaturale, accecante luce bianca ne prese pian piano il posto.
 
 
 
Il primo urlo aveva preso di sprovvista O’Farrell ed i suoi assistenti che in quel momento erano completamente presi dall’improvvisa irruzione dell’Ammiraglio Supremo nella camera d’osservazione dove la giovane paziente era stata portata, sedata, dopo essere stata sottoposta ai delicati interventi che la sua situazione disperata richiedeva.
Immediatamente, essi si precipitarono verso di lei. Controllando nei sofisticati monitor la situazione.
La ragazza emise un altro urlo, alzando la testa e mettendosi quasi a sedere.
L’Ammiraglio le si fece accanto, cercando di trattenerle le mani, che si dimenavano nell'aria, e fissando il suo sguardo negli occhi scurissimi di lei, che sembravano persi nel vuoto.
- Calmati.- le sussurrò, mentre O’Farrell completava i suoi accertamenti.
La ragazza respirava affannosamente, ma lentamente si accorse di essere fuggita dal suo incubo.
Si guardò attorno, spaesata, osservando la camera in cui si trovava, bianca, e piena di attrezzatture che lei non aveva mai visto prima.
Poi si accorse dell’uomo in uniforme che le parlava, e si ricordò di aver già visto quegli occhi grigi. Lo riconobbe.
- D-dove mi trovo?- gli chiese, tra le lacrime.
- Sei al sicuro, adesso.- fu la risposta. L’Ammiraglio lanciò una veloce occhiata interrogativa in direzione di O’Farrell, che annuì in segno di rassicurazione: tutto era nei parametri, relativamente.
- Ma che posto è questo?- continuò lei, riprendendo a guardarsi attorno, lentamente calmandosi mano a mano che riprendeva contatto con la realtà.
- Sei a bordo della Olympus, nave ammiraglia del Terran Starship Command.- rispose finalmente lui.
All’inizio lei sembrò non capire, ma poi protese una mano, esile e pallida, verso di lui. Lui gliela strinse, cercando di rassicurarla il più possibile.
La ragazza sorrise: era al sicuro, finalmente.
Dopodiché, svenne.



Nota: ringrazio di cuore Nylonathathep, creatore del mod "Mothership Zeta Crew" per l'ottimo lavoro che ha fatto, e per la sua disponibilità nell'autorizzarmi ad usare il suo mod per questa mia fanfiction.

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Capitolo 2
*** 2. L'eco del passato ***


“Nell’anno 2277, circa due secoli dopo che la Grande Guerra Nucleare ebbe devastato la gran parte della Terra, Alexis, un giovane eroe della Zona Contaminata della Capitale, già veterano di molte battaglie, si trovò nell’incredibile situazione di essere vittima di un rapimento alieno. Come riuscì a scoprire in seguito, durante la sua rocambolesca fuga, egli non era l’unico prigioniero: centinaia di persone erano state rapite nel corso dei secoli, studiate, analizzate e sottoposte a crudeli esperimenti da parte degli alieni. Messosi a capo di un gruppo di prigionieri, egli si impegnò in una durissima battaglia a bordo del vascello alieno, ed infine riuscì a sconfiggere i suoi aguzzini. Poco dopo, di nuovo sulla Terra, rispondendo ad una chiamata di soccorso, incontrò un piccolo contingente di soldati disertori dell’Enclave. Insieme ad essi, ed al loro comandante Harkin, Alexis fondò il primo nucleo della vasta organizzazione che venne poi chiamata Terran Starship Command. Da allora, il TSC si è espanso, e annovera centinaia di soldati, ingegneri, scienziati…Le migliori menti, le migliori attrezzature, le migliori armi, e l’immenso potere della tecnologia extraterrestre sono i pilastri su cui il TSC conta per portare a termine la propria missione: riunificare l’umanità nella pace e nella prosperità.”
 
Questo era il breve testo propagandistico scritto sul foglietto che l’Ammiraglio Supremo Alexis teneva in quel momento in mano, seduto sulla sua poltrona, all’interno del suo studio personale a bordo della Olympus.
Si lasciò sfuggire un sorriso, sul viso quasi pallido, che appariva segnato da un alone di tristezza:- Ammetto pure che laggiù ci sono molti creduloni….ma i rapimenti alieni non sono esattamente il massimo della verosimiglianza.-
Harkin, di fronte a lui, non nascose la perplessità:- Ma è solo la verità, Ammiraglio. Questo è quanto accaduto…-
- Lo so, lo so, Harkin.- il sorriso sul volto di Alexis si ampliò:- Solo immagino come la gente recepirà questa propaganda. Forse è meglio darle qualche altra occhiata.-
- Come vuole, signore.-
Si alzarono entrambi.
- La nostra ospite?-
- Si è ripresa pienamente, e sta già iniziando a imparare i primi rudimenti su questa nave. Ma, mi dica signore- improvvisamente il tono di voce di Harkin si era fatto preoccupato:- E’ sicuro introdurla così nel TSC?-
Alexis fissò i suoi occhi grigi sul suo primo ufficiale: - Non c’è nessun pericolo, Harkin.-
- Non sappiamo neppure chi è…..lei crede che possa essere….-
- Cheryl?- l’interruppe l’Ammiraglio.
Harkin non rispose. Deglutì.
Per tutta risposta l’Ammiraglio si mise a guardare oltre il finestrone cui la sua scrivania dava le spalle, osservando il pianeta Terra in tutto il suo desolante splendore: del “Pianeta Blu” ormai non restava nulla; quasi tutto era coperto da grigie nubi perenni, che nascondevano alla vista una superficie devastata dalla follia dell’uomo.
- No, non è Cheryl.- disse infine:- Non ho idea di chi sia, ma sento che la sua comparsa improvvisa, ora, non è una coincidenza.-
- Cosa intende dire?-
Alexis scosse il capo:- Non lo so, Harkin. E’ una sensazione, solo una sensazione. Comunque sia le parlerò io personalmente. Nel frattempo, verranno riprese le spedizioni di ricerca.-
Harkin sospirò:- Signore, gli uomini sono stanchi, e iniziano a farsi delle domande…-
L’Ammiraglio si voltò di scatto, lo sguardo ora glaciale:- Che se le facciano pure. Hanno una missione, e devono portarla a compimento.-
- Ma, signore, questa missione….-
- Ne abbiamo già discusso, Harkin. Questa missione è importante, fondamentale. Quindi deve essere eseguita al più presto.-
Il primo ufficiale abbassò appena il capo, lasciandosi sfuggire un altro sospiro:- Certo, signore. Preparerò immediatamente una nuova squadra di ricerca.-
- Bene. Può andare.-
Harkin salutò militarmente ed uscì, quasi di fretta, dallo studio.
L’Ammiraglio si sedette nuovamente sulla sua poltrona, quasi gettandovisi sopra.
Reclinando appena il capo, socchiuse gli occhi.
Era stanco.
L’ultima spedizione nella Zona Contaminata lo aveva spossato.
Alexis poteva ancora rievocare, nitidi, i ricordi di quando, solitario viaggiatore, capitò per Washington la prima volta.
La maestosità di quelle rovine lo aveva colpito fin da subito.
Improvvisamente, nei suoi pensieri balenò anche un altro ricordo, più recente, più vivido.
Tanto vivido, da sembrare reale.
Tutt’attorno a lui l’aria sembrò impregnarsi di un odore acre, mentre la vista gli si annebbiava, e la stanza e le cose all’interno di essa assumevano uno strano colorito giallastro.
Alexis iniziò a sentire dei dolori lancinanti al petto. Si aggrappò con entrambe le mani alle scrivania, respirando affannosamente.
Con un disperato sforzo mentale, tentò di ricacciare le immagini che iniziavano ad assalirlo, e di fare mente locale.
Il tutto durò pochi attimi, ma per lui furono interminabili. Il dolore cessò, improvvisamente com’era venuto, e tutto tornò alla normalità.
Alexis trasse un profondo respiro:- Un’altra volta….- disse tra sé sottovoce, scuotendo il capo.
“Forse” pensò “sarebbe meglio andare in infermeria per un controllo.”
Ma ricacciò subito quest’idea. Non aveva bisogno di controlli: lui sapeva esattamente di cosa si trattava.
Invece dell’infermeria, la sua prossima destinazione sarebbe stata un’altra.
 
- Valkyrie?- ripeté a mo’ di domanda  la ragazza.
Il Comandante Mallore fece cenno di si con il capo:- Esatto: Valkyrie. Nome azzeccato non trovi?- le sorrise.
La ragazza per tutta risposta lo guardò con sguardo perplesso, al che il comandante si sentì leggermente imbarazzato, ed il sorriso scomparve.
- Le valchirie nell’antica mitologia nordica portavano i guerrieri morti sul campo di battaglia in paradiso. E’ sicuro che sia un nome veramente indovinato?-
Mallore tossicchiò, distogliendo lo sguardo:- Non sono stato io a sceglierlo…- sussurrò, quasi a scusarsi.
Un battere di mani alle sue spalle distolse la ragazza dall’imbarazzato ufficiale.
- Molto bene, signorina. Vedo che la sua cultura è decisamente di buon livello.-
Mallore si fece immediatamente sull’attenti mentre il Supremo Comandante si faceva avanti verso di loro.
- Signore, stavo spiegando alla nostra ospite il ruolo svolto dai nostri mezzi.-
Alexis annuì:- Buona idea, comandante. Ma ora si prenda pure una pausa. E veda di preparare un Valkyrie al più presto. Entro due giorni torneremo sulla superficie.-
Mallore annuì, salutò militarmente il superiore, lanciò un fugace sguardo alla fanciulla, quindi sparì su di una passerella dietro lo strano velivolo.
- Spero si trovi bene, qui a bordo.- disse poi Alexis alla ragazza.
Lei annuì:- E’ tutto così straordinario….stare su questa nave è un viaggio nel Paese delle Meraviglie, e poi…..- fece una pausa:- Mi avete salvato la vita. -
Alexis sorrise:- E’ stato nostro dovere. Non potevamo certo abbandonarla in mano a quei mostri.-
Con una mano, le indicò la porta che conduceva all’altra sezione degli hangar. Lei si incamminò, seguita a ruota dal comandante.
Mentre si avviavano per gli stretti corridoi, Alexis non poté fare a meno di posare lo sguardo su di lei, e notare quanto fosse diversa rispetto a quando l’aveva fortunosamente salvata dalle grinfie dei supermutanti.
Gran parte delle ferite erano guarite, con solo una o due cicatrici a malapena visibili subito sotto il collo. I capelli, tornati al loro colore naturale, quasi splendevano, allungatisi di qualche centimetro tanto da coprirle tutta la nuca; gli occhi rilucevano, su di un viso che finalmente mostrava tutta la bellezza di una giovanissima donna.
Lei sembrò accorgersi dello sguardo di Alexis, e improvvisamente si girò verso di lui, fissandosi sui suoi occhi grigi:- Lei quindi è il Supremo Comandante?-
Alexis le sorrise, per nulla imbarazzato dallo sguardo della ragazza:- Alexis. Non c’è bisogno di usare questi titoli magniloquenti.- disse, accennando un inchino:- E il tuo nome? Mi sembra che tu non l’abbia detto ancora a nessuno.-
Ora fu lei a sembrare imbarazzata. Abbassò gli occhi, fissandoli sul freddo pavimento metallico mentre si avvicinavano alla sezione della Sala Motori.
- Io…..non lo ricordo…..-
- Non ricordi nulla di prima che ti abbiamo trovata?-
Scosse il capo:- Nulla. Cerco di sforzarmi, giorno e notte, ma non mi viene mai nulla. L’unica cosa che riesco a ricordare è la mia corsa tra le rovine, ed un pensiero che era fisso in me mentre correvo.-
- Quale?-
Si fermarono.
- Rivet City. -
Alexis aspettò qualche secondo prima di incalzare, cauto:- Dovevi raggiungere la città?-
Lei annuì.
- Sai il perché?-
Cenno negativo.
Alexis sospirò:- Il nostro medico afferma che non soffri di alcun tipo di amnesia. Nessuna lesione, tra quelle che hai subito, è compatibile con essa. Quindi, ci sono due casi: o stai mentendo, o stai dicendo la verità.-
Lei alzò di scatto lo sguardo verso di lui:- Io non sto mentendo.- disse, con voce ferma.
- Ed io voglio crederti. Ma allora bisogna scoprire cosa si cela dietro questo mistero.-
- Perché mi credi?- fece lei, mantenendo il tono fermo.
Il Supremo Comandante non rispose subito.
- Non lo so. - disse poi:- Ho una sensazione che mi dice di farlo, dentro di me. -
- E ti fidi così delle tue sensazioni?-
- Sempre. Tu no?-
La ragazza rimase perplessa:- Come posso saperlo?-
- Non hai nessuna sensazione in questo momento?-
-Una.-
-Quale?-
Gli occhi grigi erano fermi su di lei.
- Se vorrete, resterò in questa organizzazione.-
Alexis accennò una smorfia:- Non è così semplice: tutti i membri del TSC sono sottoposti a rigorosi test, e ad un addestramento completo di alto livello.-
- Farò ciò che devo.-
Il comandante rimase colpito dalla determinazione che traspariva da quella ragazza, ma non rimase a rifletterci sopra a lungo.
- Affare fatto. Ma avrai bisogno di un nome….-
- Helmwige.-
- Helmwige?- ripeté Alexis, visibilmente stupefatto.
- Wagner, lo conosci?-
Alexis sospirò:- Non ricordi nulla del tuo passato ma possiedi una cultura stupefacente. Questo come lo spieghi?-
- Non lo spiego, infatti.- ribatté secca la ragazza:- Allora?-
- Vada per Helmwige, anche se avrei preferito un nome più semplice.- Alexis sorrise.
- Puoi sempre chiamarmi Helm, per abbreviazione.-
L’Ammiraglio annuì.
 
- Dunque l’ha accettata nel TSC, comandante?-
Archangel scrutava il volto del suo superiore attraverso le lenti dall’aspetto tanto antiquato quanto il resto dell’abbigliamento del loro proprietario.
Alexis si era sempre chiesto se il vecchio, sgualcito impermeabile beige d’anteguerra, il cappello ad ampia falda e quelle lenti fossero semplice vestiario o parte integrante del suo ufficiale capo dell’intelligence.
- Ho fatto quello che ho ritenuto giusto, Archangel.-
- Non voglio mettere in discussione il suo giudizio, signore. Ma ci sono molti elementi da considerare: per iniziare, da dove viene? E perché dice di non ricordare nulla del suo passato?-
Mentre poneva queste domande con il suo consueto tono enfatico, si sedette sulla poltrona (anch’essa decisamente retro) che fronteggiava quella dov’era seduto Alexis, all’interno del suo alloggio: un piccolo, bel museo dell’era prebellica.
- Lo scopriremo. Ma il punto non è questo….-
- E qual è, ammiraglio?-
Archangel assunse un’aria inquisitoria.
Un brutto vizio, che non probabilmente l’avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni, pensò Alexis.
- C’è un collegamento tra lei e Cheryl?-
Archangel trasse un profondo respiro:- Cosa le fa pensare che ci sia un collegamento?-
- Lo sento.-
- Non sempre le sensazioni hanno ragione, signore.-
Ci fu una breve pausa, in cui Alexis sembrò per un attimo preso nel vortice dei sui pensieri.
Ma riemerse subito.
- Anche tu non sei d’accordo con la mia decisione?-
- Mi chiedo se sia saggio fare quello che stiamo facendo.-
Alexis si fece cupo, come sempre, quando si toccava quell’argomento:- La saggezza c’entra poco. Molte altre volte abbiamo dovuto seguire linee d’azione tutt’altro che sagge. Come quando Shadow entrò nel TSC. -
- La situazione non era affatto simile…-
- Lo era.- il tono di Alexis non lasciò adito a dubbi: la discussione era terminata.
Archangel non volle tastare oltre il terreno:- A proposito, signore, l’agente Shadow tornerà domani a bordo della Olympus, come da routine.-
L’Ammiraglio non rispose subito.
- Dovrò farlo venire a rapporto da lei?- incalzò Archangel.
- Ovviamente. Nella sua ultima comunicazione ha segnalato qualcosa di interessante?- il tono dell’Ammiraglio era più cupo che mai.
- In effetti si, signore.- rispose il capo dei servizi segreti, cauto ora nella voce. Provocare ulteriormente l’Ammiraglio in quella situazione sarebbe stato a dir poco imprudente.
- Ebbene, di che si tratta?-
- Pensa di aver localizzato un altro tumulo, signore.-
Al sentire questa notizia, Alexis sembrò improvvisamente riprendersi, in una maniera tutt’altro che naturale:- Un tumulo? E dove?-
- Stava ancora cercando di localizzarne la posizione esatta quando ce lo ha comunicato. Ma sono sicuro che le riferirà tutto personalmente.-
Ora l’Ammiraglio assunse un tono assente (come il suo sguardo):- Si….lo farà. -
Fissò un punto poco oltre il cappello di Archangel.
Poi si alzò, e senza dire nulla, si avviò verso l’uscita della stanza.
Archangel non disse nulla. Sapeva che era inutile, e che avrebbe destato solo fastidio nel comandante. Quando Alexis si perdeva in quella maniera, bisognava solo lasciarlo fare.
L’Ammiraglio uscì dalla stanza e si avviò per il corridoio, senza una meta.
Quando la porta automatica si richiuse alle sue spalle, Archangel scosse il capo, mesto.
 
Il Supremo Ammiraglio del TSC Alexis continuò a camminare per un po’, completamente immerso nel turbine della sua mente, incurante di dove andasse, o di chi incontrasse.
Solo una cosa occupava i suoi pensieri: l’agente Shadow aveva trovato un altro tumulo.
Un altro.
L’Ammiraglio avanzava nel corridoio della sezione riservata agli ufficiali degli alloggi della nave, in direzione delle sue camere.
Un altro tumulo.
Mentalmente, cercò di ricordare quanti ne avessero già trovati. Tre, o quattro forse.
Tutti membri di una stessa spedizione. Tutti morti mentre cercavano di ritrovare Cheryl.
Cheryl.
Questo nome non abbandonava mai la mente dell’Ammiraglio. Di giorno, come di notte. Quando era sveglio, come quando dormiva.
Era Cheryl il punto fisso di ogni cosa, ormai.
Un paio di ufficiali lo incrociarono nel corridoio. Salutarono militarmente, come da procedura, senza ottenere repliche, e procedettero avanti.
Per un attimo, un’altra delle sue fitte al cuore impedì ad Alexis di proseguire.
Mentre si fermava, appoggiandosi con un braccio ad una paratia, la vista gli si oscurò.
Cheryl.
Frammenti di immagini gli balenarono dinanzi, veloci, come un film che venisse bruscamente riavvolto.
Rovine, macerie, rottami. La Zona Contaminata, il suo grigio cielo. I tumuli.
E poi un cielo stellato, in una notte senza nuvole. Delle luci, in lontananza, fioche. Un suono di grilli.
Le immagini scomparvero.
Alexis respirò profondamente.
Quelle improvvisi visioni gli lasciavano sempre un senso di vertigine.
Cosa fossero, o cosa rappresentassero, non lo aveva mai capito.
Riprese a camminare, lentamente.
Che quello trovato da Shadow fosse il tumulo di Cheryl?
Scosse il capo. No, non poteva essere.
Ma da dove gli veniva quella certezza?
E perché stava facendo tutto quello?
In un raro momento di lucidità, questa domanda gli saltò in mente quasi come se qualcun’altro gliel’avesse posta in quel preciso istante.
E, lucido, Alexis non poté rispondere.

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