Cose Turche

di Jezabel_89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Noah, il biondino ***
Capitolo 3: *** Hector: l'intellettuale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Cose Turche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno in cui mi resi conto di essere malato, fu il giorno stesso in cui guarii.

Strano malore, direte voi, e lo è stato. C'è voluta un'intera vita per raccorgermene e neanche un istante per liberarmene.

Quando accadde, pensai che avrei dovuto essere arrabbiato. Non sapevo bene con chi avrei dovuto prendermela – con mia madre, probabilmente, o con mio padre. Ecco: avrei davvero voluto essere incazzato nero con mio padre, ma non sentivo per niente dentro di me la necessità di scagliare le mie freccette su un bersaglio senza un vero volto. Allora rimuginai che magari avrei potuto essere arrabbiato con Adam, ma quando lo cercai con lo sguardo mi accorsi che stava piangendo e non ne ebbi il cuore. Così pensai alla nonna, ma con lei non si poteva essere arrabbiati: ero al suo funerale, dopotutto.

L'amavo come se davvero fossi stato suo nipote e avrei sentito così tanto la sua mancanza che alcune volte, dopo essermi seduto al mio solito tavolo vicino al bancone del Turkish avrei ordinato due tazze di thè bianco, come se lei fosse stata ancora lì con me. Ovviamente, mentre la seppellivano, non lo sapevo ancora. Mi tornarono alla mente, in un solo momento, gli ultimi mesi trascorsi insieme e dimenticai la rabbia. Invece, ero felice.

 

 

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Capitolo 2
*** Noah, il biondino ***


1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adam era un normale ragazzo turco.

I suoi genitori la Turchia non l'avevano mai davvero vista, sia ben chiaro, ma questo non aveva davvero molta importanza, per loro: la cosa che davvero contava, era il contenuto puramente turco del sangue contenuto nelle loro vene ed in quelle dei loro otto figli. Possedevano un locale in una zona ben frequentata, il "Turkish", e ci lavoravano tutti e dieci a turni, così il locale era sempre aperto e vi si potevano ascoltare i più disparati generi di musica.

La mattina, ad esempio, quando erano proprio il signor Hikmeth e sua moglie ad essere padroni dell'impianto stereo, si ascoltava solo musica turca. Dall'ora di pranzo in poi, invece, era Adam, l'ultimo figlio maschio, ad occuparsi del locale insieme a due delle sue tre sorelle, e si ascoltavano solo standard jazz e classici della prima metà del secolo scorso. Dalle sei alle dieci c'era il pop del figlio maggiore, al quale della musica non importava un fico secco e, da bravo business-man sceglieva solo i pezzi che sapeva essere popolari fra la clientela. Il venerdì, il sabato e la domenica non c'era molta scelta dalle dieci in poi, visto che i tavoli venivano spostati ai lati della sala per aprire le danze e si alternavano serate a tema rock, dance o latino-americano e non si chiudeva prima di mattina, così finiva sempre che chi aveva passato la notte a ballare aspettava che arrivassero le cinque per farsi fare un bel caffè, magari accompagnato da un cornetto, dai signori che davano il cambio ai figli.

Insomma, il Turkish non chiudeva praticamente mai.

Adam aveva, per fortuna, un orario che non gli pesava per niente. Inoltre andava davvero d'accordo con le sue sorelle Yasmin, di ventuno anni, e Ajda di ventisette.

Aveva venticinque anni, spalle da nuotatore, altezza notevole, pelle ambrata, naso lievemente importante, labbra carnose come se fosse stato appena baciato, capelli corti e neri e occhi verdi da mozzare il fiato. Tra tutti i suoi cinque fratelli maschi era il più bello e, ovviamente in quanto minore, il più coccolato. I suoi genitori ed i suoi fratelli maschi pensavano che la sua vita fosse praticamente perfetta e non avrebbero nemmeno avuto tutti i torti, se non fosse stato per il suo oscuro segreto.

A pensarci bene, faceva rabbia anche a lui: avrebbe potuto metterci tutti gli scheletri che voleva, nel suo armadio – tutti lo facevano – ma lui no. Lui, nell'armadio, ci si era ficcato con tutte le scarpe, talmente in fondo che i suoi amici più stretti e le sue sorelle, il Turkish lo avevano ribattezzato Narnia.

Uno dei sopracitati amici, Evan per la precisione, entrò, quel pomeriggio, nel locale.

-"Evy!"- salutò Yasmin con il solito entusiasmo, mentre Adam sospirava.

-"Ciao. Quel sospiro affranto significa che non vedi l'ora di raccontarmi gli ultimi sviluppi con il biondino?"- fece l'ultimo arrivato.

-"Non proprio"- rispose, prima di essere interrotto dalla sorella maggiore.

-"Ma come, ancora non lo sai? E' tutta la settimana che prova a lasciarlo e non ci riesce!"-.

Evan lo guardò con sguardo inquisitore.

-"Come non ci riesci? Come si fa a non riuscire a lasciare qualcuno?"-.

-"Si fa, invece! Tutte le volte che Adam prova a dirgli "Ti devo parlare" quello se ne esce con uno dei suoi discorsi ispirati sul loro amore indistruttibile ed eterno!"- rispose la più piccola ridendo

-"Una volta l'ha fatto anche qui: dovevi vederlo."- disse Adam, con una mano fra i capelli -"Era così carino che lasciarlo mi avrebbe fatto sentire come un cacciatore che uccide cuccioli di foca"-.

-"Sai che non me l'hai ancora detto come vi siete conosciuti?"- chiese l'amico.

-"Eravamo..."-.

-"Zitto tu!"- lo interruppe Ajda -"Erano alla festa sulla spiaggia...

 

 

 

 

 

Il falò ardeva illegalmente sulla sabbia, mentre la musica della chitarra di Adam faceva da sottofondo alle chiacchiere dell'allegra brigata che stava festeggiando la fine dell'estate.

Era una sera chiara ed anche abbastanza fredda e lui stava suonando sovrapensiero finchè il suo sguardo non si spostò su un fagotto bordeaux che stava tremando.

Chiaramente non era un vero fagotto, ma una persona infagottata in una felpona di diverse taglie più grande. Quando qualcuno gli si avvicinò e gli abbassò il cappuccio, una nuvola di capelli biondi esplose tutta intorno alla testa di quello che si rivelò essere un ragazzo. E che ragazzo!

Adam aveva praticamente l'acquolina in bocca quando questi alzò lo sguardo che si andò ad incrociare col suo, e gli sorrise timidamente.

Gli fece un cenno con la testa, avendo le mani impegnate con la chitarra, e lui si andò a sede lì vicino.

-"Ciao"- fece quasi sottovoce, arrossendo tutto.

"Che carino", pensò, mentre con fare disinvolto gli chiedeva quale canzone avrebbe potuto suonare per riscaldarlo un pochino.

-"Una canzone non mi riscalderebbe poi così tanto"- rispose il biondino, storcendo il nasino alla francese -"Un bacio, invece: quello sì che mi aiuterebbe a sopravvivere a questo freddo polare"-.

Adam rise del suo tono drammatico ed accantonò la chitarra al suo fianco per avvicinarsi fino a sfiorare le labbra dello sconosciuto.

All'inizio sembrava tutto perfetto. Lui si chiamava Noah e studiava Filosofia all'Università. Era attraente, rideva a tutte le sue battute e non diceva mai di no.

Ci mise un po' ad accorgersi che ridere non era altro che un escamotage per nascondere la sua completa mancanza di argomenti di conversazione.

In pratica, Noah era tanto carino quanto stupido.

 

 

 

 

 

-"Stupido?"- Evan interruppe il racconto -"Addirittura?"-.

Adam sospirò di nuovo.

-"Non è che sia proprio stupido"- fece imbarazzato -"Più che altro è poco interessante. Insomma: non ha hobby particolari, ha avuto una vita assolutamente normale, nessun talento, nessuna ambizione..."-.

-"Oh"-.

-"Esatto. Oh."- ribadì Ajda.

-"Noioso come un comizio elettorale"- annuì Yasmin.

Evan lanciò al suo amico uno sguardo pieno di comprensione.

-"E tu cosa hai fatto?"-.

-"Ah! Adesso arriva il bello!"- disse la sorella minore battendo le mani.

-"Lui ha avuto la brillante idea di...

 

 

 

 

 

Adam, che aveva sempre avuto la passione per la poesia, probabilmente per via del suo cognome, a cui avanzava una acca per combaciare perfettamente con quello di uno dei suoi poeti preferiti, lo portò con sè in un pub frequentato da gente smunta e vestita di nero, in cui a turno, chi voleva poteva salire sul piccolo palco e recitare poesie proprie o altrui.

All'inizio Noah non sembrava particolarmente divertito, ma Adam gli fece capire quanto lui apprezzasse la poesia e lui, accecato dalla frenesia di compiacerlo, cominciò ad interessarsi a quelle serate.

Tirò fuori dal suo armadio tutti i suoi vestiti neri ficcando i soliti capi colorati nei cassetti più in basso, comprò dozzine di libri di poeti d'avanguardia e prese a girare sempre con un taccuino in cui scriveva cose che ad Adam non era concesso di leggere.

Nel giro di un mese, il ragazzo carino e sorridente che aveva conosciuto alla festa sulla spiaggia, si tramutò in una delle creature emaciate che infestavano quel pub e, a giudicare dalla carnagione grigiastra e dalle occhiaie, smise di dormire troppo preso a scrivere i suoi capolavori.

La prima volta che ne lesse uno davanti a quei giovani acculturati, Adam avrebbe voluto sprofondare in un buco nero: l'opera consisteva in un'accurata descrizione dei sentimenti d'amore eterno ed assoluto che Noah provava per il poveraccio. Una schifezza, insomma.

Col passare del tempo, la situazione peggiorava di volta in volta.

Quando i versi cominciarono a contenere, fra le altre cose, dettagliate descrizioni delle loro imprese sessuali, Adam cominciò a rifiutarsi di accompagnarlo.

 

 

 

 

 

A quel punto, tutti si stavano scompisciando dalle risate, tranne Adam, che poverino aveva l'aria di chi davvero non sapeva come fare.

Quando Evan riuscì a smettere di singhiozzare, anche se la pancia gli faceva male dal troppo ridere, disse finalmente la sua.

-"Ascolta me, amico"- fece -"Mollalo per sms"-.

 

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Capitolo 3
*** Hector: l'intellettuale ***





Hector: l'intellettuale

 

 

 



 

 

 

-"Insomma, sei riuscito alla fine a mollare il biondino?"-.

A parlare era stato Tom, tra tutti gli amici di Adam, il più virile. Quel pomeriggio, in particolare, aveva la barbetta di chi non si rade da un paio di giorni, che era un piacere a vederla e si intonava benissimo con la sua aria sportiva e un po' trasandata e ancora meglio con la canottiera bianca da muratore. Praticamente il mio sogno (etero) di ragazzino. Questo, però non c'entra nulla con la storia di cui sto parlando.

Ricapitolando, Tom andava ogni giorno a prendere il caffè a Narnia, durante la pausa pranzo dal lavoro: era uno degli istruttori della palestra vicina al locale.

-"Stendiamoci un velo pietoso"- rispose Adam -"Ho dovuto mandargli un sms con scritto nel dettaglio cosa non mi piaceva delle sue poesie e lui c'è rimasto talmente male che non si è più fatto sentire. La cosa migliore di tutto questo è che non ha neanche più messo piede al circolo dei poeti, così io sono di nuovo libero di partecipare agli incontri del mercoledì"-.

-"Questo non è per niente interessante, però"- sbuffò Yasmin, che quel giorno portava i capelli neri e ricci sciolti sulle spalle, ma non si era ancora decisa a togliersi gli occhialetti da scolaretta studiosa. Sembrava un topino. -"Raccontagli dell'incontro di ieri sera, piuttosto!"-.

Ajda si avvicinò al terzetto con aria maliziosetta.

-"Scommetto che voi due sapete già tutto nei minimi dettagli"- rise Tom. La fossetta che gli fece capolino sul viso, sulla guancia destra, per poco non mi fece perdere il resto del racconto.

-"Ovvio!"- rispose la minore -"E' successo proprio ieri sera..."-.

 

 

 

 

 

 

 

 

Al circolo dei poeti finalmente si poteva tornare alla solita routine di finta svogliatezza ed erudizione ostentata: le performance tenute dal giovanotto biondo negli incontri delle settimane precedenti, avevano fatto calare all'interno del locale una nebbia di imbarazzo che superava di gran lunga quelle di Avalon.

Insomma: Adam poteva nuovamente godersi le sue serate ad alto tasso culturale. Non aveva fatto i conti, però, con Hector.

Era il tipico frequentatore del circolo: alto, cinereo e occhialuto, il suo guardaroba consisteva in una serie di jeans consunti e giacche da professore universitario. Sfoggiava sempre barba incolta e sigaretta e tra tutti gli pseudo-intellettuali del mercoledì era l'unico che gli faceva aumentare la salivazione con una sola occhiata. Non era una questione di bellezza fisica o di modi: era la scintilla che quel ragazzo aveva nello sguardo quando recitava una delle sue poesie, la lacrima che gli scendeva dall'occhio se uno dei suoi pezzi preferiti veniva interpretato come si deve, le sopracciglia corrugate quando era attento e concentrato nell'ascolto.

Ora che Noah era fuorigioco, Adam si sentiva di nuovo libero di sbavare dietro a quello pseudo-intellettuale.

 

 

 

 

 

 

 

-"Ti piacciono gli intellettuali?"- chiese Tom, interrompendo il discorso di Yasmin -"Non l'avrei mai detto"-.

Rispose Ajda al posto del diretto interessato.

-"E' stata in parte colpa tua. Diceva di essersi stufato dei muscoli, ma io credo sia perchè mentre stavate insieme, era gelosissimo di tutte le ragazze che ti facevano gli occhi dolci in palestra"-.

-"Non è questo"- fece Adam imbarazzato -"Erano gli occhi dolci che faceva lui a quelle sgallettate mezze nude, che non sopportavo"-.

In quel momento smisi di ascoltare.

Tommy era bisessuale. Se da ragazzino pensavo che la mia cotta per lui fosse una causa persa, dopo quella rivelazione mi sembrava ancora meno plausibile. Se c'era una cosa al mondo che io davvero non sopportavo, erano i bisessuali.

Molti pensano che la bisessualità non esista, che in realtà una persona che dice di essere bi, non è altro che un omosessuale che non vuole abbandonare l'ultimo barlume di eterosessualità. Io non sono di questa opinione. Il mio problema, all'epoca, era tutt'altro: già ero insicuro per conto mio, come avrei potuto sopportare di stare con uno che aveva il doppio delle chance di farmi cornuto? Beh, il problema, in ogni caso, non si poneva perchè mai nessuno ci aveva provato con me, tantomeno Tommy.

Fortunatamente, quando ripresi a seguire il discorso, non erano andati avanti più di tanto per via di un cliente che era entrato nel locale con quattro bambini.

 

 

 

 

Alla fine, Adam, non dovette sbavare poi molto: dopo nemmeno quaranta minuti Hector stava già indirizzando verso di lui i suoi bellissimi occhi.

Quando recitò il suo pezzo, Adam non stava nemmeno ascoltando: quello sguardo lo teneva praticamente incollato al pavimento riducendolo ad una massa di cera che si stava decisamente scaldando e pericolosamente sciogliendo. Il processo cominciò quando una vampata di calore gli infiammò le guance, poi cominciò a sentire se stesso rabbrividire e la sua pelle fremere dal desiderio di fare qualcosa, senza sapere con precisione cosa. Si accorse che la situazione era del tutto nuova quando un dolorino si presentò alla bocca dello stomaco, leggero all'inizio, che aumentò fino a fargli quasi mancare l'aria.

Insomma, alla fine della poesia, lui era già cotto a puntino e sapeva già che qualsiasi cosa Hector gli avesse chiesto, lui avrebbe accettato di farla.

 

 

 

 

-"...peccato che, al dunque, quello voleva solo avere informazioni di quel ragazzino tanto carino che Adam si portava dietro, che aveva decisamente bisogno di una bella lezioncina di letteratura e di scrittura creativa!"- terminò Ajda, cercando con tutta se stessa di trattenersi dal ridere, per non umiliare troppo suo fratello. Ma ci pensò la sorella minore a dare al povero ragazzo la botta finale.

-"Già. E a lui, a Hector, non è che gli sarebbe proprio discpiaciuto fargli un bel ripasso approfondito!"-.

Così dicendo tutti scoppiarono a ridere, tranne il poverino in questione a cui invece veniva da piangere.

-"Ridendo e scherzando si sono fatte le quattro meno un quarto"- disse Tom guardando l'orologio sul display del suo telefonino -"Io vado, ho un sacco di sgallettate mezze nude che mi aspettano per farmi gli occhi dolci"-.

Ammiccò verso il suo amico e facendosi strada tra i tavolini per uscire, mi notò.

-"Naomi!"- mi chiamò raggiungendomi tutto sorridente -"Saranno almeno cinque anni che non ci vediamo"-.

-"Sei"- precisai.

Quelle erano le situazioni che io cercavo di evitare come la peste: io, i ragazzi carini proprio non li sapevo affrontare.

Quando qualcuno come Tommy mi parlava, perdevo del tutto il controllo del mio apparato fonatorio: il mio cervello ragionava come al solito ma dalla mia bocca uscivano parole di ogni genere, anche quelle che non avrei mai voluto dire a nessuno, ma mai quelle che intendevo dire. La mamma diceva sempre che era una cosa normale per le persone timide come me, sproloquiare per l'imbarazzo ma io avevo comunque tentato in tutti i modi di trattenermi, alle superiori, quando ho cominciato a notare che le persone che mi stavano attorno non apprezzavano moltissimo la mia loquacità incontrollata. Non ci riuscii e decisi che allora sarebbe stato meglio stare zitto e basta, anche a costo di rimanere solo, pur di non rendermi ridicolo. A forza di non parlare, adesso la situazione era addirittura peggiorata: mi esprimevo a monosillabi e dicevo comunque cose inappropriate.

-"Hai ragione"- disse Tommy -"Sei. Che fine hai fatto? Dopo la fine della scuola ti abbiamo chiamato tante volte, ma tu non rispondevi mai"-.

-"Infatti ho cambiato numero"-.

Quando mi accorsi di quello che avevo appena sottointeso, lui sembrava già ferito dalle mie parole.

-"Non in quel senso!"- mi affrettai a precisare -"Non l'ho fatto perchè non mi piacevate voi, anzi: tu mi piacevi. Un sacco, anche!"-. Merda.

Arrossii ed abbassai lo sguardo.

-"Quello che volevo dire è che..."-.

-"Non ti preoccupare"- mi interruppe lui, vedendo che ero sull'orlo delle lacrime dal disagio e dal nervosismo -"Ho capito quello che volevi dire. Mi è dispiaciuto non vederti per tutto questo tempo"-.

Non riuscii a dire nulla. Annuii.

Lui mi porse un biglietto da visita. -"Qui c'è il mio numero di telefono"- mi disse -"Chiamami, ok?"-.

Io guardai il foglietto tra le mie mani e annuii di nuovo mentre lui se ne andava. Poi ci ripensò.

-"Facciamo che mi dai il tuo, di numero: non si sa mai"-.











 

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