La Caduta di Milano

di IlMalee
(/viewuser.php?uid=151499)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Veri Sabbat ***
Capitolo 2: *** Vicissitudine ***
Capitolo 3: *** Giuda ***
Capitolo 4: *** Servo ***
Capitolo 5: *** Consiglio di guerra ***
Capitolo 6: *** Voci nel buio ***
Capitolo 7: *** Ascendente ***
Capitolo 8: *** la Stria de Milan ***
Capitolo 9: *** Vero Amore/Vera Schiavitù ***
Capitolo 10: *** La casa dei mostri ***
Capitolo 11: *** Caccia Grossa ***
Capitolo 12: *** La logica dei coccodrilli ***
Capitolo 13: *** Sangue(1) ***
Capitolo 14: *** Sangue(2) ***
Capitolo 15: *** Faccia a Faccia ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Veri Sabbat ***


(every time i die- we'rewolf)

"Spegni quella merda di musica."
"Ma a me piace"
"Spegnila ho detto.Non so nemmeno come cazzo fai a definirla musica, quella merda. "


Doveva essere un lavoretto facile. Così gli avevano detto, un lavoretto facile facile. Uno stronzo di nome Bruno, Bruno Medici, Veronesi o qualche merda di cognome da sfigato. Un Nosferatu che aveva osato alzare troppo la testa e i capoccia di Milano, Vescovo compreso, lo volevano morto.
Quello che non gli avevano detto, era che Bruno  aveva più di 400 anni alle spalle e se la cavava piuttosto bene con la spada. Ed ora erano lì in macchina,imbrattati di sangue e con un corpo senza vita nel bagagliaio.
 A dire la verità quel corpo era senza vita anche prima, ma vai te a spiegare la differenza tra un non morto in torpore e un non morto attivo ad un diligente carabiniere del cazzo.
"Ho fame, ho fame."
"Stà zitto, idiota. Fra un pò mangiamo. Intanto metti via quel fucile, e vedi di non attirare l'attenzione. Porca troia, giriamo già in una macchina che sembra un mattatoio, ti pare il caso di sollevare quel cannone fuori dal finestrino?"
Non gli piaceva, Enrico. Non gli era mai piaciuto, ma era nel branco ormai da troppo tempo. Lunatico schizzato del cazzo. Avrebbe comunque dovuto farci l'abitudine dato che lui e Gabriella erano gli unici superstiti del gruppo. Per Gabriella il discorso era diverso. Lei era come lui. A parte gli occhi rossi, quelli gli mettevano i brividi. E non aiutava di certo il fatto che al posto della normale pelle umana avesse del pelo, come di cane, ciuffi che spuntavano qua e là a chiazze. Raramente le aveva visto il volto o il corpo, girava sempre avvolta in abiti sporchi e gonne lunghe come le zingare della metro.
"Fermati al prossimo autogrill." sussurrò da dietro la gangrel. Pareva che un cane rabbioso avesse appena ringhiato.
"Va bene."
Lo Tzimisce e il Lasombra che li avevano accompagnati quella sera erano morti.
Uno era un sacerdote di alto rango, e difatti aveva celebrato lui tutti i preparativi prima della caccia. Renzo, Renato... Bah, tanto quello stronzo era cenere ormai.
Era stato tra i primi a morire, e nemmeno in maniera troppo elegante. Quel vecchio stronzo di Bruno gli aveva staccato di netto la testa dal collo e in pochi secondi dello Tzimisce erano rimasti solo un mucchietto di polvere e qualche vestito sadomaso sul pavimento. Non se lo aspettavano, proprio non se lo aspettavano.
La villa non prometteva nulla di buono, un'abitazione enorme fuori Varese e probabilmente ben sorvegliata, forse da qualche ghoul. La avevano sorvegliata da giorni, e avevano concluso che al caro Bruno non piaceva avere compagnia nè ricevere visite, inoltre aveva installato un antifurto così patetico che perfino una vacca da due soldi sarebbe stata in grado di disattivarlo.
Così il terzo giorno decisero di agire. Enrico e Gabriele avevano tirato fuori l'armamentario pesante, e poco prima la truppa aveva fatto il pieno con una ignara coppetta che aveva deciso di appartarsi al momento sbagliato in un parco lì vicino.
Disattivato l'antifurto erano entrati nell'atrio da una finestra. Buio totale, chiaramente (si erano già muniti di torce), e un silenzio di tomba.  Solo quando avevano iniziato a salire su per le  scale Bruno aveva fatto la sua comparsa.
Era sbucato dal nulla quel figlio di puttana, e aveva tranciato di netto la testa al Dragone brandendo una spadone più grande di lui, di quelli che si vedono solo nei film del cazzo di Conan il barbaro.
"Cristo santo!" aveva urlato, e  assieme a lui avevano imprecato gli altri del branco. Enrico era stato il primo a scattare, e aveva pensato bene di riempire il culo di Bruno di piombo. Peccato che dopo una fucilata in pieno petto Bruno non si fosse scomposto nemmeno un pò e avesse mandato a gambe all'aria il malkavian, scaraventandolo dall'altra parte della sala con un calcio.
Nello stesso istante dello sparo, era riuscito a vedere Bruno in faccia. Ne aveva visti anche all'interno del sabbat di Topi, ma ogni volta che ne vedeva uno nuovo non poteva fare a meno di pensare che era ancora più ributtante del precedente, la sua faccia sembrava un opera di picasso vomitata da un cazzo di ratto radioattivo. Un lebbroso o qualcosa del genere.
Il resto se lo ricordava confuso, avevano iniziato a combattere ma non era sicuro sulla esatta scaletta degli eventi. Sapeva di certo che la troietta Lasombra (Sara? Mara? Bah) ad un certo punto aveva iniziato a fare i suoi giochetti con le ombre, spuntavano tentacoli neri dal pavimento e lei li scagliava contro Bruno. Chiaramente l'anziano non aveva gradito la cosa, e dopo essersi divincolato dalla morsa di quei "cosi" d'ombra le aveva trapassato il petto da parte a parte con la spada. Lei aveva sputacchiato un pò di sangue e poi si era accasciata al suolo, mormorando qualcosa del tipo"Gloria alla spada di Caino".
La cosa lo aveva scosso, davvero. Lo aveva costretto a pensare seriamente al perché facevano tutto ciò che stavano facendo. Che poi non è che lui era rimasto lì immobile per tutto quel tempo.
Stava sforacchiando (o almeno così credeva) quello stronzo da parte a parte da almeno due minuti buoni, ma senza apparente risultato. Ricordava che ad un certo punto aveva spezzato la lama del machete nel costato di quel bastardo ma non si era fermato nemmeno per un attimo, e aveva iniziato  a colpirlo violentemente con l'elsa, poi con pugni alla testa. Sembrava che i colpi non sortissero alcun effetto, e dopo un pò infatti le sue nocche erano del tutto sbucciate e sanguinanti. Gabriella gli si era avvinghiata  e tentava di morderlo e di graffiarlo in faccia, Enrico continuava a sparare, ma quel figlio di puttana non accennava a cedere, anzi, lottava con sempre maggior furore, liberandosi dalla presa di Gabriella. Il loro Ductus, Alessio, era morto. Bruno lo aveva colpito alla vita con la spada, tranciandolo a metà come  l'ananas della pubblicità del Miracle Blade . Allora avevano cominciato ad avere paura. Ci aveva provato Stefano, per ultimo, ad un assalto frontale. Lui aveva sempre rispettato e temuto Stefano all'interno del branco. Un cazzo di armadio, un negro enorme e cattivo, pieno di tatuaggi piercing e cicatrici. Aveva portato la sua arma preferita, una grossa mazza chiodata dotata anche di lame. Era riuscito a colpire Bruno alla spalla, ma anche quel colpo sembrava non avergli fatto un cazzo. Un istante dopo, Stefano si ritrovava senza un braccio: Bruno gliel'aveva staccato. C'era sangue ovunque, ed erano tutti sporchi. Stefano si era messo a urlare, e loro erano rimasti sconvolti ad assistere a quella scena: non avevano mai visto Stefano avere paura.
Il loro compagno aveva provato a scappare, ma nello stesso istante in cui aveva girato le spalle a Bruno, lui gli aveva mozzato entrambe le gambe in un sol colpo. In quel preciso momento, lui e Gabriella si erano guardati negli occhi e avevano iniziato a correre.
Correre a più non posso, sfruttando tutta la velocità soprannaturale di cui le loro gambe erano capaci. Avevano sfondato la finestra ed erano schizzati via più veloci del vento. Dietro di loro, sentivano ancora le urla disperate di Stefano provenire dalla casa, urla disumane di una bestia sofferente, ma non si erano fermati.
Si erano fermati solo più tardi, all'uscita dell'autostrada. Nei loro occhi si leggeva la paura, una paura che anche i mostri possono sperimentare. Ad un certo punto era ricomparso Enrico, e con lui aveva il cadavere della Lasombra. Sembrava sconvolto anche lui. Diceva che comunque non voleva abbandonare una sua "sorella" a quel mostro, e che la avrebbe salvata.
Poi avevano rubato quella macchina, il suo proprietario giaceva col collo spezzato tra i cespugli ai lati della strada. Non ci avevano giocato, e non avevano nemmeno pensato di nutrirsi con lui. Erano ancora sotto shock.

Nessuno aveva ancora aperto bocca, fino a quel momento. Non si guardavano neppure negli occhi.
"Allora mi fermo" disse Michele, imboccando al strada per l'autogrill.
Enrico sbuffò:
"Dovremo pulirci, le vacche potrebbero giustamente insospettirsi se ci presentiamo così. Sembriamo usciti da un cazzo di film di Saw."
"Cretino, mica entriamo dentro e ordiniamo un caffè. Michele, accosta dietro quel camion lì in fondo, dove è più buio."
 Gabriella lo stava facendo arrabbiare. Chi aveva stabilito che era lei a dare gli ordini, ora? Il ductus era morto, ma sarebbe stato lui d'ora in poi a comandare  quello che rimaneva del branco. Stupida troia con gli occhi rossi.
Dopo aver accostato, scesero dalla macchina e si incamminarono verso un boschetto ai lati della strada. Dovevano nutrirsi e discutere.
"Enrico, portaci da mangiare, e alla svelta. Vedi di non combinar casini, ne abbiamo passate abbastanza per questa notte."
"Da quando sei tu a dare ordini qui, Michele?" Gabriella si era seduta su un tronco caduto. La luce dei lampioni in lontananza bastava a rischiarare quel piccolo spiazzo.
"Da quando Alessio è morto, e per diritto di anzianità sono io ad essere il ductus ora."
"Diritto di anzianità?"
Gabriella ora era in piedi, e i suoi occhi rossi luccicavano nel buio.
"Non mi pare di aver mai sentito stronzate del genere all'interno della spada di Caino, e penso proprio che la crociata che stiamo portando avanti sia per andar contro puttanate come il diritto di anzianità. Parli come una spia della camarilla ."
"Già..." Michele si era fatto avanti, per nulla timoroso, e si era sistemato la giacca di pelle, accarezzandosi i lunghi capelli neri. Sorrideva.
"Hai ragione, e credo ci sia solo un  modo per risolvere la cosa da veri sabbat."
Rimasero in silenzio.
Enrico per tutto quel tempo era rimasto in silenzio ad osservare ora uno, ora l'altro, con crescente preoccupazione. Poi era scattato in avanti, frapponendosi fra i due.Aveva i grandi occhioni blu spalancati, come un bambino spaventato.
"Hei, ehi ! Vi sembra il momento di litigare e mettersi a discutere su queste stronzate? Volete saltarvi alla gola proprio ora? Non capite che è proprio ciò che LORO vogliono? Vogliono metterci l'uno contro l'altro, e farci uccidere!"
"Stà zitto idiota, e levati di torno. Questa faccenda non ti riguarda."
"Ma..."
Uno squillo di cellulare ruppe la tensione.
Enrico senza muoversi tirò fuori di tasca il telefono. Prima di rispondere, si rivolse ai due sabbat pronti ad azzannarsi.
"Ne riparliamo dopo, non fate cazzate. Questo dev'essere Ettore, vorrà sapere come è andata. Non fate cazzate." Enrico fece qualche passo e si allontanò.
Michele e Gabriella ora erano soli, e sul volto di entrambi era dipinto un ghigno animalesco, minaccioso.
"Allora, come lo vuoi fare? Con un'arma? Mani nude?"
"Direi mani nude, almeno per me. Usa pure tutti i giochetti che conosci coi tuoi coltelli, non ti serviranno a molto."
"Lo vedremo."

"FERMI!"

Era stato Enrico ad urlare. Spinse i due contendenti dividendoli ulteriormente.
"Insomma, si può sapere che cazzo ti prende? per caso vuoi finire anche tu a pezzi?"
"Milano è caduta."

"Cosa?"
"Milano è caduta. Gian Galeazzo ci ha traditi. La Camarilla ha preso la città."

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Vicissitudine ***


"Mmmh"
Si era svegliato, ne era sicuro. L'unico problema ora era stabilire se quello in cui si era risvegliato fosse un incubo o il mondo reale.
Non riusciva ad aprire gli occhi, era come se qualcuno gli avesse calato una patina, qualcosa di caldo e appiccicoso sulle palpebre.
"Mmmh"
Le labbra erano incollate, sigillate quasi, e in bocca aveva il sapore schifoso del sangue marcio, inutilizzabile per nutrirsi.
Provò ad alzarsi, ma con stupore e un lieve giramento di testa, si accorse in qualche modo di essere già in piedi.
L'unico problema era che non gli era possibile muovere alcunché, come se il suo intero corpo fosse attaccato a una parete.
Il tanfo era insopportabile, riconosceva l'odore, lo aveva già sentito simile a Berlino nel '45. Odore di corpi morti  in putrefazione.
Ne era come impregnato, penetrava su per le narici. Ne era immerso, totalmente, come in una gelatina.
Gli sembrava che l'odore arrivasse anche da quella patina che gli chiudeva gli occhi e la bocca.
Fu in quel momento che iniziò a sentire le voci.
All'inizio pensò che qualcuno fosse entrato nella stanza, ma poi si rese conto che le voci provenivano direttamente dalla sua testa.
"Aiutami, ti prego"
"I miei occhi, i miei occhi fermo!"
"Dov'è la mia bambina?"
"Padre, Signore nostro che sei nei cieli, abbi pietà.."
"Devo riuscire… devo vedere…"
Era insopportabile, ma la cosa più insopportabile era che quelle voci gli impedivano di pensare. Era come se spezzassero il filo dei suoi pensieri, come se prendessero il posto dei suoi pensieri e facessero lentamente a pezzetti la sua coscienza. Cominciò a lottare e le voci smisero di perseguitarlo, ma sapeva che si erano semplicemente acquattate in silenzio in un angolo remoto della sua mente.
Poi arrivò un'altra voce, e stavolta era sicuro che a parlare non fossero stati "gli altri".
"Risvegliati, lurido verme."
Assieme alla voce gli arrivò un'altra consapevolezza, la consapevolezza di essere come immerso in una sostanza calda e viscida.
Fino a quel momento aveva semplicemente pensato di essere in qualche modo legato a una parete, ma ora si rendeva conto di essere quella parete. Il suo corpo non era più una identità indistinta e separata, ma oramai faceva parte di qualcosa di più grande, di gelatinoso e caldo, puzzolente e schifoso, come quella patina che gli copriva occhi e bocca.
"E' ora che io ti faccia delle domande. E tu, figlio indegno del tuo sangue, mi risponderai."
"Mmmh!"
"Giusto, ritengo sia appropriato ridarti una voce, in fondo mi servi. Sarai accontentato."
Delle mani fredde lo toccarono ai lati della bocca, e poi squarciarono quella patina che gli bloccava le labbra. Era come se la sua stessa pelle ormai fosse diventata  gelatina, un tutt'uno di quella patina schifosa e maleodorante.
"aaah…" i primi suoni che riuscì a emanare furono del tutto disarticolati e privi di senso.
"Ora rispondi."
"Chi sei? Anzi no, credo di sapere chi sei, lurida troia."
"Fino a prova contraria sono io a far le domande, qui. E tu, misero insetto non sei che un moscerino nelle mie mani."
"Eh eh, va bene. Facciamo così" faceva la voce grossa, ma in realtà tremava e sapeva bene di non avere grosse speranze.
"Lasciami andare, liberami subito ora e forse chiederò al Principe di graziarti, quando tutti gli altri tuoi amichetti verranno ridotti in cenere."
Seguì una risata gelida, la voce era scoppiata a ridere non appena aveva finito la frase.
"Così limitata dunque è la tua comprensione del mondo, piccolo infante? Non comprendi  di essere caduto in pieno nella tana del Dragone, e continui a dibatterti inutilmente tra le sue spire.Ma non importa, presto ti sarò tutto chiaro."
"Fanculo. Uccidimi."
"Presto, presto mio caro.  Non temere, non morirai. Io ti salverò. Ti farò un grande dono, verrai finalmente redento e reso degno del tuo sangue."
"Immagino ti girino un pò i coglioni, eh, vacca psicopatica del cazzo? Quanti ne sono morti dei tuoi soldatini stasera?"
Finì la frase con un urlo. Qualcosa di freddo e viscido gli aveva penetrato il costato, e il dolore era lancinante.
"Bada a ciò che dici. I guerrieri che sono morti stanotte erano santi e devoti a una giusta causa. Ma non importa. Non potresti comprendere. La morte di pochi non è che un piccolo contrattempo. Per ogni crociato caduto, ne risorgeranno altri! Così come il Cristo è risorto e ha ricostruito il suo tempio dopo tre giorni, allo stesso modo la spada di Caino risorgerà dalle sue ceneri e dal suo sangue chiedendo vendetta. La nostra causa è sacra, e la nostra spada giusta."
Un' altra fitta al petto, la troia aveva rigirato la lama.
"Ora, piccolo Fratello mio, dovrai rispondermi. Dei  codardi come voi, così occupati a orchestrare tradimenti e pugnalarsi alle spalle non avrebbero saputo organizzare tutto questo. Qualcuno dei nostri ha parlato, lo so. Ha tradito, e pagherà col sangue."
"Lurida stronza, ammazzami."
"Vedo che non vuoi tradire i tuoi compagni, per quanto la vostra causa sia già persa. Questo ti rende  onore. Ti ridarò i tuoi occhi."
Delle fredde dita armeggiarono con le sue palpebre, e la membrana che gli impediva la vista fu rimossa.
Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco la stanza, ma quello che vide non gli piacque affatto.
Era  un sotterraneo, uno scantinato di qualche fabbrica sporco e in disordine, con casse sparse qua e là. La stanza era illuminata da delle candele nere sul pavimento. Ma quello che più lo terrorizzò erano gli occhi, e in generale il volto della cosa che lo stava fissando.
I tratti non avevano nulla di umano, se non la forma, ma solo apparentemente. La pelle era bianca, perfetta e levigata come il legno. Al posto dei capelli, dalla sommità della fronte partivano come dei lunghi fili, troppo grossi per essere capelli, anch'essi bianchissimi. Ciò che veramente lo inquietava però erano gli occhi, grigi e freddi, a fessura come quelli di un serpente. Luccicavano in lontananza, simili a due fari in mezzo a un pozzo, ed erano così scavati nella faccia che pareva di esser di fronte a un vero e proprio alieno.
"Ora tu mi risponderai."
"Sì…sì…" la sua volontà si andava spegnendo, era come se quegli occhi lo avessero spezzato, come una bambolina indifesa.
"Di quanti rifugi vi hanno informato?"
"Più di una dozzina…di più. Forse quindici."
"Cos'altro vi hanno detto?"
"Sapppiamo…tanto, tutto. I vostri rifugi dei branchi. Gli spostamenti di quelli solitari, e anche il rifugio di qualche anziano. Sappiamo chi sono i vostri contatti e i vostri alleati, le facciate e i corrotti che avete pagato."
"Non è possibile che sappiate tutto, chi è stato a parlare?"
"…"
"CHi è stato?? PARLA ho detto!!"
"Gian.. Gian Galeazzo. Ci ha detto tutto."
Il volto bianco e alieno rimase in silenzio.
I suoi occhi e le sua labbra, totalmente inespressive, non si mossero di un millimetro.
Poi si girò e scomparve alla vista, inghiottito nel buio.

"Sei stato bravo, figlio indegno. Per questo ti ricompenserò."
La figura ricomparve, e portava al guinzaglio qualcosa, come una bestia…
Con orrore, il prigioniero si rese conto che non si trattava di un animale bensì di una… persona.
Camminava su quattro zampe, ma le fattezze erano certamente umane, per quanto mostruose. Era nuda e zampettava come una scimmia, con una faccia di donna pelata. Teneva la lingua a penzoloni sbavando, ma aveva tre occhi in fronte, il cranio era decisamente deformato per far spazio a quell'orribile terzo occhio che lo guardava, fisso. Sul petto non aveva due bensì tre enormi seni, tutti uniti assieme  e penzolavano in modo osceno, coprendole la parte inferiore del corpo. Al posto delle mani aveva dei piedi, e riuscì a scorgere anche che doveva avere almeno quattro gambe mentre arrancava.
"Paa…p-p-p Padronaaaa…" disse la "cosa".
Quel mostro gli dava il disgusto , e quelle parole appena pronunciate in un modo così ebete lo terrorizzarono.
"Presto anche tu verrai redento, stolto. Ti farò vedere la vera luce e la gloria del Sabbat, trasfigurandoti e riformandoti a miglior vita. Allora la tua anima verrà illuminata e comprenderai, e mi servirai, e mi adorerai come un dio. Sono il tuo dio, ora, e ti distruggerò ricostruendoti in tre giorni."
Le voci stavano ricominciando a perforagli il cranio. "Basta! Basta!" avrebbe voluto urlare, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
Stava risprofondando nella gelatina,in mezzo ai corpi e al fetore.
"Mi appartieni, carne, sangue, ossa e anima. Ora ti purificherò dai tuoi peccati."

"Ridatemi il mio bambino… per favore… ridatemi…"
"Aiuto vi prego, aiutatemi…"
"Basta fateli smettere!  I miei occhi!"
"E rimetti a noi i debiti, così come noi li rimettiamo ai nostri debitori…"

Poi il buio lo avvolse, e la sua coscienza si spense  nell'oblio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Giuda ***


"Avanti"

La pesante porta di mogano si aprì, e nella stanza entrò un uomo.
Fino a quel momento, non una sola mosca era volata nel lussuoso appartamento in centro a Milano, di fronte alla stazione centrale.
Nonostante le enormi vetrate che davano sulla piazza, le luci delle macchine e il suono di qualche clacson in lontananza, sembrava quasi che il tempo si fosse fermato all'interno di quella stanza.
Certo, rispetto alle magioni e ai rifugi che aveva abitato in passato quella non era che una misera topaia.
L'individuo che entrò non gli fece una impressione migliore dei due che erano alle sue spalle.
Per quanto insignificanti, le sentinelle che gli erano state affidate avevano comunque un portamento marziale, nei loro occhi brillava un qualche orgoglio nascosto, un codice d'onore interiore che lui  rispettava. Il loro portamento esprimeva una fierezza e una rigidità di tipo militare.
Uno somigliava a un troll norreno, alto quasi due metri, con una barba e lunghi capelli rossicci,  un ghigno da mastino.L'altro invece ricordava più una faina, un volto secco e crudele, volgare , solcato per metà da un orribile cicatrice.
Doveva trattarsi di due esperti combattenti o assassini.
Calcolò che probabilmente avevano la stessa età del suo vecchio servo, Ettore. Il paladino. Colui che gli aveva giurato fedeltà eterna. E che lui aveva tradito, assieme a tutti gli altri.
Lì, nel cortile, illuminato dalla luce di alcune torce sul balcone, gli era parso di tornare indietro coi secoli.
Gli era sembrato di essere tornato giovane, mentre aizzava la folla sottostante, torce alla mano, per lanciarsi all'attacco dei nemici a cavallo armati di picche e spade.
Non gli era costato molto fare a pezzi il Codice di MIlano.
Ridacchiava, al pensiero: come se il Papa da un momento all'altro avesse deciso di sputare sul crocifisso e strapparsi le vesti in piazza San Pietro.
Non lo aveva scosso più di tanto quell'atto blasfemo.
Ciò che davvero lo aveva colpito erano gli occhi, gli sguardi attoniti degli astanti.
Era come se qualcuno avesse spezzato qualcosa in loro, non riuscivano a capire.
Aveva rinnegato tutti i suoi giuramenti, la sua affiliazione al sabbat. Aveva fatto a pezzi il Codice, simbolo stesso della setta e di ciò in cui tutti loro credevano.  Aveva giurato fedeltà alla Camarilla.
Tra i vari branchi e cainiti presenti, vi era anche Ettore. Il suo sguardo era quello che lo aveva divertito più di tutti.
Ma non aveva lasciato molto tempo ai quei poveri folli per meditare sul suo gesto.
Le cariche erano state piazzate in maniera perfetta, lui stesso aveva supervisionato i preparativi.
In pochi secondi del cortile non erano rimaste che macerie, e tra lampi e odore di carne bruciata aveva udito le urla dei vampiri sottostanti.
Non ne sarebbero scampati molti alla carneficina.
Ma l'intermezzo più godurioso, ancor più delle urla agonizzanti provenienti dal cortile, era stato incontrare Cassandra mentre si allontanava dalle sue stanze.
Era nel corridoio, sconvolta. Forse piangeva, non ricordava bene.
i suoi capelli in genere perfetti erano tutti scarmigliati, e aveva il volto macchiato di sangue ( o forse erano lacrime).
"Eminenza…Maestro… perché?"
Aveva sorriso.
Povera Cassandra. Non le aveva lasciato il tempo di dire altro. Aveva subito richiamato le ombre e gliele aveva scagliate contro.
Mentre i suoi tentacoli freddi e inarrestabili le stritolavano le ossa e le membra, riducendola in cenere, volle vedere i suoi bellissimi occhi per un'ultima volta.
Aveva assaporato fino alla fine l'agonia e la morte di quella giovane vampira,  lo spegnersi della luce nel suo sguardo mano a mano che il buio la inghiottiva.
Quello che davvero lo deliziava non era tanto la sua sofferenza fisica, le urla strozzate di dolore e il sangue che sprizzava dal suo corpo. Il piacere derivava dal fatto che quella povera sciocca le aveva dato tutto, fedeltà, sangue e piacere, ed ora veniva fatta a pezzi proprio da lui. Ciò che stava distruggendo non era tanto il suo corpo, quanto le sue speranze e ciò in cui lei aveva risposto tutta sè stessa.  Sarebbe morta così, affogando in un mare di tenebre, senza risposta, presa dalla disperazione.

E ora si trovava lì, nel covo dei suoi vecchi nemici.
Colui che era appena entrato si presentò.
Indossava  un lungo impermeabile grigio, un cappello fuori moda scuro e aveva dipinto sulla faccia un sorriso così falso e mellifluo da dagli la nausea.
Almeno aveva avuto la decenza di accennare un inchino, prima di rivolgergli la parola:
"Mi permetta di presentarmi, il mio nome è Serafino, e sono qui per parlare a nome dei miei padroni. Gente molto, molto in alto. Non so se capisce…"
Per chi lo avevano preso?
"Capisco molto bene."
Tacque.
"La stanno aspettando in un'abitazione fuori città. I miei padroni mi hanno mandato qui a prenderla e accoglierla con i dovuti onori. A dire la verità siamo piuttosto in fermento, sa, non capita tutti i giorni un evento simile…"
"Lo posso immaginare."
"Bene, allora direi che possiamo anche andare senza indugi. C'è una macchina che la attende qui fuori. Ci saranno molte persone  liete di fare la sua conoscenza. Ho sentito dire che anche vari membri del Circolo Interno saranno presenti, tra gli altri anziani. Questo d'altronde è un evento di portata storica, nel mondo dei Fratelli."
"Direi di sì."
"Probabilmente ci saranno ancora dei dettagli da definire, ma è quasi certa la sua piena affiliazione alla camarilla, e la carica di consigliere personale del principe di Milano."
Nella sala calò il silenzio.
Ciascuno degli astanti percepì chiaramente che la temperatura si era improvvisamente abbassata nella stanza.
Era come se d'un tratto le ombre avessero avuto un sussulto, cambiando angolazione, ma solo per una frazione di secondo.
Le sentinelle si erano messe in allerta, e entrambe avevano infilato la mano sotto i loro cappotti.
Serafino sobbalzò.
"Forse non ci siamo capiti, mio piccolo amico."
L'ex Cardinale fece un passo in avanti, e questa volta le ombre si mossero chiaramente ad avvolgere Gian Galeazzo.
"Prima ancora che la tua misera esistenza da vacca avesse inizio, io regnavo sul ducato di Milano e su altri dodici domini. Prima ancora che tu conoscessi il dono di nostro padre Caino, io avevo già fatto a pezzi con le mie mani gli anziani e avevo bevuto il loro sangue. Quando l'Antico del mio clan cadde, ero lì."
Le ombre avvolsero totalmente la stanza, come degli spettri inquieti.
"Il mio nome è Gian Galeazzo Visconti, Signore e Principe di Milano. Ho regnato su Milano da vivo, e continuerò anche da morto. Ti è stato dato l'onore di servirmi, e lo farai.Ora, servo, portami dai tuoi padroni, così che io possa finalmente rivolgermi a gente degna del mio rango."

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Servo ***


"Non riesco ancora a capacitarmene, ispettore."
"Non temere, figliolo, presto ci arriveremo. E' solo questione di tempo."
Erano le tre del mattino, e la squallida stanza dove si trovavano puzzava di prodotti chimici e fumo. Da qualche parte dovevano esserci probabilmente dei carboni ardenti ancora fumanti.
"Sa perché quelli della scientifica ci stanno mettendo così tanto? Dovrebbero esser già qui da un pezzo.Di solito arrivano qui prima di noi."
"Mi ha appena contattato Carletti, dalla centrale. Dicono che hanno appena fatto un incidente."
"Come, scusi?"
Il giovane allarmato si alzò. Era rimasto chino sul pavimento per oltre un quarto d'ora, armeggiando con i suoi campioni e le pinze, e aveva le gambe indolenzite.
"Un incidente? Di che tipo? E' successo qualcosa di grave?"
"Niente di cui preoccuparsi, ragazzo. Un ubriaco li ha tamponati, nessun ferito. Solo un'enorme seccatura, molti degli strumenti si sono danneggiati e hanno dovuto far ritorno alla centrale. Presto saranno qui, a minuti."
L'ispettore capo sorrise, poi si lisciò la barba incolta.
Armeggiò un po' con l'impermeabile e tirò fuori un sigaro, di quelli che fumava sempre, alla vaniglia.
Nicola riprese ad esaminare il pavimento borbottando.
Faceva sempre così quando era concentrato.
"Comunque la cosa ha dell'incredibile a  mio parere, ispettore. Non mi è mai capitato di assistere a una scena simile."
"Dici, Manfrin? A me sì, invece. A Pavia, nel '72. Ero ancora un giovane imberbe, fresco d'Accademia come te."
"Davvero, signore?"
Senza distrarsi, Nicola prelevò un piccolo campione di polvere dal cumulo sul quale si era accucciato.
"E come si chiusero le indagini?"
"Con un nulla di fatto, alla fine. Arrivammo a una pista morta. Seguivamo l'ipotesi di una setta satanica dedita ad omicidi e rituali sacrificali. Ma nonostante tutto il sangue, nella stanza non vi era  nemmeno un corpo. Solo cumuli di cenere, come ora. E pentacoli e croci storte ovunque, sulle pareti. Cristo, roba da farti venire i brividi."
"Però non capisco, ispettore."
"Cosa?"
"Il perché di tutti questi vestiti. Che senso ha? Qui ci sono solo vestiti, quattro completi di quattro persone che certamente si trovavano qui, al momento della colluttazione. Ora però sono abbandonati al suolo, vuoti, e al loro interno vi è solo un cumulo di questa strana polvere, sembra cenere.Dove sono i corpi?"
" Potrebbero averli messi lì apposta e riempiti di cenere in seguito.Potrebbe non esserci alcun corpo da cercare."
"No, non può essere." Il giovane si alzò e si mise a camminare frettolosamente per la stanza. Afferrò una giacca nera, pregna di sangue .
"Ecco, guardi. I segni che ci sono su questa giacca, ad esempio. Come dei tagli profondi, macchiati di sangue. Non è stato fatto apposta, o dopo. Questi segni indicano che si trattava di un qualche oggetto affilato, un arma da taglio. Ma soprattuto, questi segni indicano che chiunque abbia ricevuto questa ferita si trovava all'interno dei vestiti, al momento della colluttazione."
"Va bene, ammettiamo che questo sia vero. Dove sono i corpi? E perché darsi la briga di farci trovare questi vestiti zuppi di sangue e tutti i simboli sul muro?"
"Non so… Non capisco. Ma i corpi erano qui. Ne sono sicuro. Questi vestiti appartengono a vittime, gente che di sicuro se a quest'ora non è morta, perlomeno è ridotta in fin di vita a giudicare dal sangue."
L'ispettore tacque. Aveva quasi finito il sigaro, ma lo tolse dalla bocca prima di parlare:
"Ti dico io invece che cosa penso. Penso che qualche ragazzino strafatto assieme ai suoi amichetti abbia preso dei vestiti, qualche povero cane o gatto selvatico, della sabbia e della polvere trovata in qualche cantiere, e abbia deciso di farci un bello scherzo. Poi hanno provato a dar fuoco all'appartamento, con dell'alcool forse, ma gli è andata male. Il sangue, le croci e i simboli sul muro sono stronzate di qualche mitomane che credeva di impressionarci."
"Ma.. perché? E le casse, come le spiega?E… questi?"
Nicola trasse fuori da una delle casse un paletto di legno, acuminato e rosso, avvolto dal sangue rappreso.
"Tu che ne pensi, si può sapere?"
"Penso che in questa stanza siano morte almeno quattro persone, tre delle quali hanno ricevuto una ferita mortale al cuore con questi affari di legno. E che i corpi, in qualche modo, siano stati fatti letteralmente sparire. Le scritte sul muro, i pentacoli sono solo messi lì per sviarci."
"Morte? E come, impalettate? Dove sono i corpi? Non ci sono né tracce di sanguinamento né di trascinamento. Perché non dici subito a che conclusione ti portano le tue riflessioni?"
L'ispettore capo tacque, e spense ciò che rimaneva del mozzicone. Fissò il giovane con aria interrogativa, poi riprese a parlare:
"I corpi non sono stati fatti sparire, non ci sono mai stati corpi da far sparire. Si sono letteralmente sbriciolati, e hanno riempito di cenere i vestiti. Quello è ciò che rimane dei  proprietari."
Silenzio. Nicola fissò il suo superiore con un'espressione tra l'ebete e l'inquieto.
"Ispettore?"
"Sai, ti ho sempre ammirato, Nicola. sapevo che eri promettente, e per questo ho accettato l'incarico di farti da superiore."
Nicola ripose con lentezza i paletti e la giacca nella cassa, poi si alzò in piedi a fronteggiare il capo ispettore.
Una ipotesi  remota e terribilmente ridicola, ma al contempo assolutamente terrificante, si stava facendo strada nella sua mente. Un brivido gli corse su per la schiena, ma tentò di scacciare quei pensieri.
"Ispettore, fra quanto arriveranno quelli della scientifica?"
"Mio caro ragazzo, penso proprio che non arriveranno."
"Come?"
Era arretrato, ora la figura dell'ispettore gli appariva più che mai minacciosa. L'unico problema era che l'ispettore si trovava esattamente davanti alla porta, l'unica uscita. Al terzo piano, calarsi dalla finestra era impensabile.
"Che cosa sta succedendo qui, ispettore?"
L'uomo più anziano tacque, poi si riaccese un altro sigaro.
"Credo dovremmo contattare la centrale, signore. E se lei non ha intenzione di farlo, lo farò io."
"Dici? Io non credo, ragazzo."
Fu questione di un attimo, fu più veloce di lui.
Udì lo sparo nello stesso attimo in cui un dolore lancinante lo colpì al braccio, facendolo accasciare a terra.
La fitta lo aveva stordito, quando riaprì gli occhi gli girò la testa e non riuscì a rimettersi in piedi.
L'ispettore era sopra di lui. La berretta scintillava nella penombra, lo teneva sotto tiro.
"Questa la prendo io."
L'altro aveva preso la sua pistola, e lui ormai era indifeso e disarmato, oltre che ferito.
Si tastò, il colpo doveva aver spezzato l'osso dell'avambraccio.
Sul pavimento sotto di lui cominciava a formarsi un piccolo rivolo di sangue.
Con un enorme sforzo, riuscì a sedersi, mugolando per il dolore. Teneva stretto il braccio per fermare l'emorragia, ma non sapeva  quanto sarebbe servito.
"Ti prego, non costringermi a spararti. Lo farò se necessario."
L'ispettore spostò una cassa e vi si sedette.
"Caro ragazzo, speravo non arrivassimo a questo punto. Anche se in fondo, sapevo che prima o poi ci saremmo arrivati."
"Devo dire che data la situazione, spiace anche a me signore."
"Eheh! Non perdi mai la voglia di scherzare, eh ragazzo? Nemmeno in situazioni come questa."
"Cerco sempre di vedere il lato ottimista della situazione, signore. Anche se in questi frangente mi riesce piuttosto difficile."
Prendi tempo, fallo parlare. Forse arriveranno i rinforzi, qualcuno avrà sentito lo sparo.
"Prima che tu ti faccia delle illusioni, non c'è nessuno qui. Per sicurezza abbiamo già fatto evacuare lo stabile. E nel raggio di chilometri, a parte qualche barbone o puttana, non può sentirci nessuno. Sai anche tu come vanno le cose in questo quartiere, la gente si fa gli affari propri."
"Ha organizzato tutto alla perfezione, lo devo ammettere signore. E ora mi ucciderà immagino."
"Io? Ucciderti?"
L'uomo si alzò e misurò a lunghi passi la stanza, accarezzandosi la barba con la pistola.
"Non ho alcuna intenzione di ucciderti, ragazzo. Tutt'altro. Per stabilire questo, però, dovremo aspettare l'arrivo dei miei padroni."
"Padroni?"
Non riusciva a capire, non riusciva a pensare. Le tempie gli pulsavano e il dolore al braccio non accennava a diminuire.
"Mi spiace che tu non capisca la portata degli eventi di queste notti, ragazzo, ma non importa. Presto capirai anche tu. D'altronde loro mi hanno aperto gli occhi tanto tempo fa, e ci son alcune cose che non afferro chiaramente nemmeno ora."
"E' pazzo, totalmente folle. E' un assassino e ora mi ucciderà, come ha fatto con quelle persone."
"So cosa pensi, tu pensi che io sia pazzo. Ma ti assicuro che non è così. Magari lo fossi."
"Non credo di afferrare bene, signore. Ma, a quanto mi pare di capire, stiamo parlando di un culto vasto e influente, con gli agganci giusti. "
"Tu dici? Un culto influente? Diciamo di sì, sono secoli che le loro famiglie sono vaste e influenti, e controllano segretamente buona parte delle nostre vite. D'altronde il tempo e le risorse per loro non sono un problema."
"Ma a che scopo, Signore? Perché uccidete le persone e poi lasciate solo un mucchio di cenere dietro di voi? Vi mascherate dietro la facciata del satanismo?"
"Lo scopo? Credo proprio che tu non abbia afferrato, ragazzo. E' comprensibile, data la tua situazione. Non era chiaro nemmeno a me, quando mi ci ritrovai dentro.
Lo ricordo ancora come se fossi ieri. A san Daniele, ero nel battaglione della dodicesima divisione. Era il 1917. I mie compagni erano tutti morti, e presto anche io avrei fatto la loro fine. Una pallottola tedesca mi aveva colpito il polmone. Fu allora che loro vennero da me, di notte. Mi fecero un dono."
Silenzio.
"Mi duole informarla che lei è pazzo, signore. Mi uccida pure, se vuole, ma questi deliri se li può tenere per sé."
"Pazzo?"
Il superiore lo fissò: aveva gli occhi sbarrati, come un vero e proprio folle. In quegli occhi brillava una luce malata, un fervore quasi religioso, ma più invasato che pio.
"Non sono pazzo, non lo sono mai stato, grazie al cielo. Quella notte, loro mi aprirono gli occhi. Capii finalmente il vero scopo della mia vita, e di come fossi stato un pazzo a non accorgermene prima."
Nicola smise di ascoltarlo, e si chiuse nei suoi pensieri.
Ripensò ad Annamaria, la sua dolce Anna. Le aveva detto di non aspettarlo alzata, di non preoccupassi. Avrebbe voluto rivederla.
Correrle incontro, abbracciarla e dirle che la amava, che la aveva sempre amata.
Avrebbe voluto stringerla a sé un'ultima volta.
Con le lacrime agli occhi, e raccogliendo tutte le forze che gli rimanevano, urlò:
"Insomma, la smetta! Lei è un pazzo, voi… voi siete pazzi! E se proprio vuole ammazzarmi, le consiglio di farlo subito, oppure…"
La porta si aprì, e sia lui che l'ispettore capo si voltarono.
Non riusciva a intravedere bene le figure in controluce, dovevano essere in tre.
Poi l'ispettore fece una cosa che lui non si sarebbe mai aspettato. Quando uno dei tre uomini entrò nella stanza, lui si inginocchiò e sussurrò:
"Sire, mio Signore… Padrone mio."
Quello appena entrato estrasse un coltello, e si tagliò il polso.
Il superiore si rialzò e si mise senza ritegno a succhiare da quel polso tutto il sangue che colava, dapprima lappando come un cane, poi risucchiando e stringendo la mano in maniera oscena.
Quella scena gli diede il voltastomaco, e si chiese se per caso non fosse frutto di un'allucinazione.
Ad un certo punto l'ispettore cadde a terra, come stordito. Aveva la bocca imbrattata di sangue, e negli occhi uno sguardo beato, sognante, simile a quello dei drogati.
Quando le tre figure cominciarono ad avanzare verso di lui, sentì una morsa di gelo stringerli il cuore e capì che ogni speranza era perduta
.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Consiglio di guerra ***


Si sentiva un dio, ora. Una vera e propria divinità greca del cazzo.
Gliela avrebbe fatta vedere, agli altri, a quei codardi. Gli avrebbe fatto il culo.
A Bruno, agli anziani della Camarilla e a tutti gli altri.
E pure a quel bastardo di Gian Galeazzo, il traditore.
Gli altri assieme a lui sembravano scioccati, ma sinceramente non li capiva.
Non si era mai fidato di quel bastardo dalla prima notte in cui lo aveva visto, e in cui gli aveva (teoricamente) giurato fedeltà.
Aveva visto che quelli erano gli occhi di un vero e proprio figlio di puttana.
Peggio ancora, di un figlio di puttana  vivo da secoli e che aveva avuto tutto il tempo del mondo per diventare ancora più figlio di puttana.
Li aveva messi a novanta, il sabbat e tutti gli altri. Ed ora aveva dato loro il ben servito. Fine della storia.
La vita  girava così, ed era meglio per tutti capirlo il prima possibile. Specie da morti.
"Adesso svolta, siamo quasi arrivati. Ci aspetta in Viale Monza."
"D'accordo, ho capito."
Stranamente, quell'ordine da Gabriella non gli dava più così tanto fastidio.
Forse si trattava dello sballo, del sangue che si era appena ciucciato e gli aveva dato alla testa.
Aveva deciso così, e nessuno si era opposto.
"Dopotutto,"aveva detto "E' la cosa migliore anche per lei. Così non ci serve più, ne a noi nè alla setta. E poi  continuerà a vivere in me. Sarà una morte gloriosa da vero sabbat."
Si era deliziato fino all'ultima goccia del sangue di quella… come si chiamava? Sara, forse?
Si era fermato solo quando aveva sentito che quello che aveva in bocca non era altro che cenere, e stava stingendo un paio di vestiti neri sgualciti.
Ma ora si sentiva forte, oh se si sentiva forte. Avrebbe potuto rompere anche il culo a Bruno seduta stante.
Nelle sue vene ora scorreva il sangue della Lasombra, e percepiva un potere e una volontà che non gli appartenevano.
"Se lo dite a qualcuno, vi ammazzo."
Aveva detto proprio così, dopo essersi sbarazzato dei vestiti.
Era vero che la setta stessa incoraggiava a rompere le tradizioni e disobbedire agli anziani, ma era permesso solo nei confronti dei nemici.
Probabilmente se lo avessero beccato non se la sarebbe cavata con una semplice ramanzina. L'omicidio di un altro sabbat prevedeva la morte.
Nel migliore dei casi.
Ora non voleva pensarci, e poi era stato chiaro con Gabriella e Enrico.
I due dal canto loro non erano rimasti poi così scandalizzati dal suo gesto, probabilmente ci avevano pensato anche loro, lui era stato solo più veloce.
"Eccolo, è lì, fermati." esclamò Enrico.
Sotto a un lampione era seduto un barbone, uno dei tanti che si trovavano a Milano.
"Ma figurati se è quello là."
"Ti dico che è lui, tu non capisci. Ma io lo vedo."
Aveva pronunciato quelle ultime parole con il solito tono inquietante che usava quando era in trance, o subentrava una delle sue solite crisi mistiche.
Cazzate da Malkavian che Michele personalmente non sopportava.
Bestemmiando si era comunque fermato.
"Va bene, ora do un occhiata. Ma se non è lui, tu le pigli dopo."
Era sceso e si era avvicinato a quel relitto.
Con sorpresa e anche leggero allarme, si era reso conto che quello ormai era morto da un pezzo.
Non gli serviva avvicinarsi e tastargli il polso,  avrebbe riconosciuto quella piccola incisione sul collo richiusa anche al buio.
Sembrava un lavoro fatto in fretta, però. Si riusciva ancora a intravedere il segno del morso.
"Finalmente siete arrivati. Avevo paura vi avessero catturati."
Si girò di scatto, il sangue gli si era gelato nelle vene.
Nonostante avesse riconosciuto la voce, rimase comunque spaventato nel trovarsi Ettore alle spalle così di sorpresa. Era come sbucato fuori dal nulla.
Si diede una scrollata, e poi fece un lieve inchino.
Quasi si dimenticava delle buone maniere, da quanto era scosso.
"Signore, siamo qui, ai suoi ordini. Gli altri sono in macchina."
"Non indugiamo, allora. Saliamo, Akin è già  assieme ai tuoi compagni."
Solo per un attimo, osò alzare la testa e guardare negli occhi Ettore.
La sua figura esprimeva autorità e fierezza, avvolto in un anonimo impermeabile nero di pelle pieno di tasche e laccetti, sembrava un militare. Teneva il volto coperto da una lunga sciarpa nera e una berretta calata fino agli occhi.
 Per qualche motivo gli sembrava che fosse enormemente stanco.
"Prego, Signore, si sieda."
"Benvenuto, Signore" ripeterono assieme Gabriella e Enrico.
Akin era già sull'auto, seduto dietro assieme a Enrico.
Non conosceva bene Akin, ma conosceva le voci che giravano su di lui, e quello gli bastava. Sembrava un fricchettone, ma al contempo era molto più inquietante rispetto agli altri sbandati umani. Era pelato ma teneva dei rasta dietro la schiena, solo tre. Indossava un paio di occhiali neri, simili a quelli dei saldatori o degli operai. I tratti gli ricordavano il medio oriente, Al Quaeda o cazzate simili. Un terrorista frichettone insomma.
"Oh merda! Signore si sente bene?"
Era stata Gabriella a strillare e girandosi verso Ettore MIchele aveva capito il perché.
Aveva visto già diverse volte il paladino in faccia, e gli era sempre sembrato inquietante. Ma ora il bel volto da ispanico era totalmente sfregiato da un orribile scottatura,  un'ustione che tagliava a metà il suo viso, cancellando anche i capelli neri da una parte.
"Non ti preoccupare, ragazza, non è nulla. Tu Michele pensa a guidare, dobbiamo raggiungere il vescovo Voinescu, fuori Milano. Non il rifugio per le riunioni, quello è compromesso ormai.Segui le mie indicazioni."
"Agli ordini, signore."
Aveva iniziato a guidare, senza più voltarsi per non vedere quel volto.
Così erano diretti dal vescovo Voinsarcazzo in persona, ora.
Non che la cosa gli facesse più di tanto piacere, la aveva vista due o tre volte forse in vent'anni, e sinceramente provava un sano schifo a pensare alla sua faccia. Ma certo in momenti come quello i mostri era meglio averceli come amici che come nemici.
Erano arrivati in circa un'ora di macchina, e nessuno aveva più aperto bocca dopo la scoperta sul volto di Ettore.
"Ci siamo, scendete e rimanete dietro di me."
Il posto era un enorme stabile ormai in disuso, come stavano a testimoniare i rifiuti e le macerie che lo circondavano tra le erbacce.
All'interno doveva esserci qualcuno,  vedeva delle luci accese.
Fecero qualche passo in direzione del portone mezzo illuminato, quando da dietro dei bidoni di ferro comparvero due sentinelle. Uno lo conosceva, lo aveva visto a qualche raduno della setta. I due sembravano sospettosi all'inizio, ma poi vedendo che si trattava di Ettore e degli altri cambiarono atteggiamento.
"Signore, credevamo non ce l'aveste fatta. Venite, prego. Entrate anche voi. Gli altri vi stanno aspettando dentro."
C'era  gente in giro, nascosta nell'ombra, lo percepiva. Non aveva mai visto una simile sorveglianza ad un raduno prima d'ora.
"Sono presenti anche il vescovo Gabriele Castelli e sua eccellenza Beatrice Pozzi."
"Avete notizie di ser Martino?"
"Purtroppo nessuna, signore. Sospettiamo che sia stato catturato o ucciso."
"Capisco…"
Ettore si era come irrigidito, e poi aveva proseguito all'interno con passo più spedito.
Erano scesi per un pò su una scala sudicia e buia, e ora attraversavano un corridoio mal illuminato da dei freddi neon intermittenti.
C'erano delle porte, alcune chiuse, altre aperte che davano su delle stanza buie lungo il corridoio.
Michele poteva giurare di aver sentito dei lamenti,  dei mugolii di dolore provenire da quelle stanze mentre camminavano, ma non si era fermato per indagare oltre. L'odore di corpi in decomposizione e del sangue mezzo marcio non lo attiravano per niente.
"Sono qui, dietro questa porta."
Entrarono da dove proveniva il fascio di luce.
Era una stanza enorme, un tempo probabilmente adibita a magazzino.
Per terra era pieno di candele, alcune enormi e altre piccole. Alle pareti erano state appese delle torce.
Non c'erano molte persone, Michele ne conosceva più della metà.
Con alcuni aveva fatto qualche raid o qualche festino di sangue, con altri ci aveva litigato. Saranno stati in tutto una ventina, loro compresi.
Gli anziani erano tutti seduti in un angolo, circondati dagli altri cainiti a rispettosa distanza.
Rubavano interamente la scena, sembrava quasi che gli altri vampiri più giovani non fossero altro che pallide imitazioni rispetto a quei tre mostri veri e propri, esseri che di umano oramai non avevano più nulla se non il nome.
Di certo tra i tre per stazza fisica e imponenza spiccava Gabriele. Lo si sarebbe potuto benissimo immaginare su un campo di battaglia, a mozzare teste tra le tribù pagane del nord, sembrava di avere di fronte a sè un vichingo in carne e ossa e giubbotto da motociclista. I capelli biondi li aveva raccolti in trecce, e sul volto aveva dipinto un pallore mortale innaturale.
Beatrice invece colpiva per l'assoluto fascino e al contempo l'espressione totalmente assente sul suo volto. La sua pelle era pallida, liscia e perfetta come un arma, i seni prosperosi e i capelli corti neri. Gli occhi erano verdi, ma di un verde alieno, innaturale, scintillavano come se fossero fosforescenti, a malapena li si distingueva dal bianco che li circondava. Era vestita con un abito da sera rosso purpureo. Stava giocherellando con una testa tra le mani, un povero disgraziato con la lingua fuori ormai blu.
Il vescovo Voinescu invece non spiccava nè per bellezza nè per statura, ma cazzo se faceva schifo.
Il volto era troppo squadrato, e gli occhi sembravano brillare come dal fondo di un tunnel. Al posto dei capelli aveva un lungo fascio di tentacoli bianchissimi che le cadevano sulla schiena a coda di cavallo, ma Michele avrebbe potuto giurare che si trattava di vere e propria ossa.
Addosso aveva un qualcosa di indefinibile che gli ricordava i vestiti fantasy di maghi e stregoni, una tunica o qualcosa di simile piena di simboli.
Lui e gli altri assieme ad Ettore si erano avvicinati in silenzio davanti ai tre e si erano inginocchiati.
" Vescovo Voinescu, sua eccellenza Beatrice, sua eccellenza Gabriele, siamo qui ai vostri ordini."
"Benvenuti, figli del Sabbat. Sia lodata la spada di Caino."
Il Vescovo Voinescu si era alzata in piedi e aveva appoggiato la sua mano scheletrica sulla spalla di Enrico.
"Comprendo il vostro sconforto, giovani fratelli. Ho sentito di ciò che è accaduto al vostro branco, e me ne dolgo. Ma non temete, la morte dei vostri compagni verrà presto vendicata."
Poi aveva rivolto lo sguardo ad Ettore.
"E tu non scoraggiarti, giovane Ettore.  L'onore tuo e di tutto il tuo nobile clan sarà riscattato. Ho profonda stima nelle tue capacità, e so che non deluderai le mie aspettative."
Michele era un pò sobbalzato quando il vescovo si ere rivolto con un "giovane" ad Ettore. Per quanto ne sapeva, quel bastardo era in vita fin dai tempi di Napoleone almeno.
"Ora sedetevi, figli di Caino. Dobbiamo discutere, tenere consiglio. E questo sarà un consiglio di guerra."
Gabriele si era come riscosso dal suo apparente torpore, e seguiva interessato le parole degli altri.
"Dite bene, Madre. Sangue chiama sangue, ma il coniglio si è nascosto. Ho già contattato  l'arcivescovo Renzo, in Germania. E' rimasto dolorosamente colpito dalla notizia, e promette supporto sia spirituale che militare."
"Renzo è sempre stato un valido alleato e  amico tra i Lasombra a differenza di quel codardo di Gian Galeazzo. Purtroppo a causa dei suoi cattivi rapporti con la famiglia Radu e le altre famiglie in Germania e in Austria sarà difficile perfino per me persuadere gli altri del mio clan a darci il loro appoggio."
"Eppure dovrebbero, mia cara.  E' in momenti come questi che si dimostra la propria devozione alla setta." Questa volta era stata la Toreador a parlare, e si era alzata in piedi lasciando cadere la testa che teneva in mano.
"Stanotte degli uomini,  vacche hanno osato entrare in casa mia e tentare di dare fuoco al mio rifugio. Alcuni sono riusciti a scappare, altri no. Ma due dei miei personali servitori compreso un templare sono morti, periti tra le fiamme.
Questo affronto è imperdonabile."
"Tutto verrà ripagato, madama Beatrice. L'onta subita da noi e dai nostri compagni verrà lavata nel sangue."
"Gian Galeazzo ha fatto bene i suoi conti."
La voce di Gabriele era forte e autoritaria, e quando parlò tutti si voltarono a guardarlo, vescovi compresi. Il vescovo si alzò, passeggiando tra i cainiti più giovani.
"Il nostro nemico ci conosce bene. Chi meglio di un generale conosce i suoi uomini? Solo in due notti più della metà dei nostri rifugi sono stati dati alle fiamme o assaltati. La maggior parte degli attacchi è avvenuta di giorno, quindi dovreste essere sollevata, Beatrice, di aver incontrato quelle vacche di notte." L'anziano vichingo si voltò a guardare Beatrice, che impassibile si sedette intenta ad ascoltarlo.
"Almeno quattro branchi sono stati completamente annientati da Gian Galeazzo in persona, nel cortile della sua villa. L'infame aveva piazzato delle cariche e aveva attirato lì quei fratelli con l'inganno. Pochi, quasi nessuno è scampato alla carneficina, e dei sopravvissuti solo il nobile Ettore è qui."
Tutti si voltarono per un attimo a rimirare Ettore, che  non rispose agli sguardi.
"Come se non bastasse abbiamo  motivo di sospettare che Martino detto il Folle di Milano, nostro stimato vescovo e ambasciatore presso i Sabbat di Parigi, sia caduto in un agguato e abbia trovato la morte ultima."
"Eccellenza, di questo posso dare conferma io, personalmente."
Una giovane cainita, vestita come una skinhead e con parte dei capelli rossi rasati si fece avanti facendo un inchino.
"Mi presento, sono Roberta, vero sabbat dell'ex branco dei segugi di Abele. Stavamo personalmente scortando sua eccellenza il vescovo Martino assieme alla sua guardia personale dopo che nel suo rifugio era divampato un incendio. Io e il mio branco siamo stati attaccati, era gente preparata. Mercenari al soldo della camarilla o specialisti dell'omicidio silenzioso. Hanno prima mandato avanti delle vacche dominate, semplici servi armati da armi da fuoco. Mentre ce ne occupavamo, gli altri sono spuntati fuori dalle ombre. Non abbiamo avuto scampo, tre del mio branco sono morti, uno è caduto in torpore. Quando siamo riusciti a riorganizzarci, abbiamo trovato i vestiti del vescovo a terra e solo un mucchio di cenere e un paletto di legno."
Si fece silenzio, per un attimo. Tutti conoscevano Martino, almeno di fama. La sua morte era un duro colpo da digerire.
"La sua morte ci addolora come non mai, giovane sabbat. Martino era mio amico personale e confidente, e ne sentirò molto la mancanza."
"La cosa peggiore però è che non solo un altro anziano è morto, ma dalla Francia ora non potremo aspettarci alcun aiuto.Morto Martino, muoiono anche tutti i nostri contatti e alleati lì."
L'anziano biondo Gabriele si sedette pensieroso.
"Gian Galeazzo ci ha tagliati fuori. Progettava tutto questo da anni. Ha voluto tagliarci fuori dagli affari e dai trattati coi Sabbat tedeschi e austriaci,  ha voluto intavolare cattive relazioni con gli Tzimisce. Siamo soli, ora, e gli aiuti arriveranno comunque troppo tardi, che giungano dall'estero o dalla Sicilia non cambia. A Padova abbiamo amicizie, ma so per certo che non e la passano per nulla bene e non potrebbero aiutarci nemmeno se lo volessero."
"La Mano Nera potrebbe intervenire." La Toreador anziana e aliena si mise a passeggiare nervosamente per la stanza, mentre parlava.
"La Mano agisce proprio quando accade qualcosa del genere."
"Figuriamoci se si scomodano per venirci ad aiutare. Sanno che sarebbe solo uno spreco di tempo e risorse, contro un avversario come Gian Galeazzo. No, la Mano è inattiva da secoli e non si metterà di certo in azione solo perché lo vogliamo noi. Inoltre" Gabriele guardò dritta negli occhi Beatrice " Gian Galeazzo era colui che teneva ufficialmente i rapporti con i membri della Mano. "
"Siamo soli, Fratelli."
Nella sala calò il silenzio.
"E allora facciamo sì che siano i sabbat di Milano a occuparsi dei propri traditori!"
Gabriele si era come riscosso, e ora guardava fiammeggiante il gruppo dei cainiti astanti.
"Siamo soli, ma non per questo siamo meno pericolosi, anzi."
"Giusto" l'anziano vescovo Tzimisce si era alzato, scuotendo la criniera di capelli ossei "Non abbiamo bisogno di alcun aiuto. Dimostreremo al mondo come combattono dei veri sabbat. Come muoiono dei veri sabbat." Tutti rivolsero lo sguardo al volto terribile del demone che pareva scintillare nel buio "Uccideremo Gian Galeazzo, quel lurido traditore, e tutti coloro che oseranno opporsi, mortali o cainiti che siano. Avremo la nostra vendetta, vendicheremo i nostri compagni caduti.  Sguazzeremo nel sangue di quei pezzenti e ne berremo dai loro teschi."
"Si tratterà chiaramente di una missione durissima,al limite del suicidio. Avremo molte perdite. Ma faremo tremare quei codardi della Camarilla."
Gabriele si guardò attorno, dubbioso.
"Siamo in troppi, qui. Dovremo agire di soppiatto,dividendoci. Distrarli con azioni diversive di guerriglia, come quando si assalta una città nuova. Poi, mentre saranno troppo intenti a orchestrare una contromossa e a mantenere i mortali all'oscuro di tutto, noi li colpiremo e cattureremo Gian Galeazzo. Ci vorrà un branco speciale, apposito, al massimo due per questo compito. Chi se la sente?"
"Noi signore!"
Non sapeva perché lo aveva fatto, ed il secondo immediatamente dopo quando l'anziano lentamente lo fissò negli occhi (uno sguardo da cavar l'anima) seppe di aver forse commesso un enorme sbaglio.
"Sei pazzo?" sussurrò da dietro Gabriella, ma lui non le diede retta.
Le parole gli uscivano da sole, come una macchinetta. Non sapeva, forse si trattava dell'atmosfera, del luogo, o dello sballo del sangue. Ma aveva cominciato a parlare, ormai, e non si sarebbe tirato indietro. Lo guardavano tutti.
"Eccellenza, perdoni la mia irruenza.Sono Michele,vero sabbat, ductus dell'ormai decimato branco dei Venti di Pestilenza. Siamo stati quasi uccisi, e i nostri compagni sono morti. Desideriamo vendetta, e  metteremo il nostro odio al servizio di questa causa."
Gabriele lo squadrò, poi diede un occhiata ai suoi compagni di branco dietro di lui, infine disse:
"Molto bene, giovani fratelli. Avrete la vostra vendetta e gloria imperitura all'interno del sabbat. Chiunque di voi riuscirà a vedere altre notti dopo questa missione, verrà promosso ufficialmente a mio assistente e comandante sul campo."
"Il vostro entusiasmo e la vostra devozione alla setta è lodevole, giovani sabbat, e sono certa farete del vostro meglio. Ma mi sento di raccomandare personalmente Ettore, per quanto riguarda lo svolgimento di questo incarico. Verrete guidati da lui,durante questa missione.Dopotutto, credo che per Ettore si tratti di una questione più che personale."
"Ha totalmente ragione, eccellenza." Ettore fece un passo in avanti, uscendo dalla penombra "Non troverò pace fino a che quel bastardo del mio vecchio maestro non avrà trovato la morte con queste mani."
"Molto bene allora, è deciso direi."
"Eccellenza Voinescu, avrei solo una richiesta" Gabriele si era inginocchiato stringendo la mano alla Tzimisce "Mi benedica personalmente, e mi lasci scendere in guerra con questi giovani valorosi. Non voglio offendere nessuno, ma credo che le mie abilità e capacità in battaglia siano note ormai ai più. Dopotutto è grazie a questo che mi sono guadagnato il titolo di vescovo di Bergamo. Le prometto che guiderò questo nuovo branco con giudizio e farò a pezzi i nostri nemici con la mia stessa spada."
Il demone fissò il vescovo biondo con curiosità e stupore, seppur freddo e distaccato. Chinò la testa di lato.
"La tua richiesta è più che ragionevole, ed è giusto che i giovani seguano l'esempio dei più veterani. Hai la mia personale benedizione. Guida questi guerrieri alla vittoria."
Detto ciò si alzò in piedi e sollevò le mani.
"Fratelli e compagni Sabbat, così come morendo rinascemmo a vita nuova  nel corpo e nel sangue di Caino nostro padre, in egual modo stanotte rinasciamo per un solo scopo: vendetta. Scriveremo la storia delle prossime notti nel sangue, e i nostri nemici impareranno a temerci come l'alba e il fuoco. Desiderio di vendetta,  sacro furore e odio riempiano le vostre menti e i vostri cuori. Presto strapperemo gli scalpi ai traditori e caveremo loro gli occhi. Rimpiangeranno di non esser riusciti prima a sterminarci completamente, e questa sarà la loro rovina. Non temete la morte o la tortura, perché non sarà nulla rispetto a ciò che infliggeremo loro."
Qualcuno iniziò a urlare qualcosa, e tutti gli altri nella stanza lo seguirono in coro, un urlo sguaiato e disumano, l'urlo di bestie assetate di sangue pronte al massacro.
Anche Michele urlava, e prima ancora di rendersene conto aveva tirato fuori i coltelli e li aveva sventolati in aria come un esaltato.
"Ora Fratelli uscite. Che rimangano qui solo i ductus dei branchi e i paladini assieme ai vescovi. Presto vi verranno comunicate istruzioni dai vostri capiranco."
la gente dopo un pò cominciò ad uscire, tutta eccitata. Ognuno parlottava con gli altri, ogni tanto si sentiva uno strillo. Tutti discutevano di come avrebbero fatto il culo alla Camarilla e di cosa avrebbero fatto a Gian Galeazzo una volta catturatolo.

Michele rimase lì nella stanza, assieme ad altri tre o quattro vampiri, Ettore, Akin e i vescovi.
Prima di uscire Gabriella lo aveva graffiato.
"Ahí! MI fai male."
"Stà zitto, coglione. Dopo fuori ne parliamo, preparati."
Aveva sorriso, e si era diretto vicino ai Vescovi.
Era piuttosto emozionato.
Da una parte era eccitatissimo di partecipare a quella missione, voleva che il suo nome fosse annoverato tra i grandi e gli anziani della setta, finalmente l'avrebbero rispettato. Dall'altra cominciava a rendersi conto del pericolo di ciò in cui si era immischiato, e a dire il vero anche la reazione di Gabriella lo preoccupava un pò.
"Devo dire che è stato un discorso molto ispirato, mia cara."
"Grazie, Beatrice, voi mi lusingate."
"Ora però, bei discorsi a parte, rimane comunque l'interrogativo: dove si trova Gian Galeazzo?"
"Di certo avranno già scovato le nostre talpe al loro interno, quel bastardo gli avrà detto tutto. Le nostre spie e i nostri contatti sono già saltati. Non abbiamo modo di scoprire dove si nasconda… Potrebbero averlo portato ovunque, anche fuori dalla Lombardia."
"Un modo c'è, invece."
"Come dite, vescovo Voinescu?In che modo?"
"C'è ancora qualcuno che può rintracciare Gian Galeazzo, ovunque si trovi. L'odore del sangue e delle ombre lo seguono. Basterà chiedere ai morti."
"Non comprendo, eccellenza." Gabriele fissava la Tzimisce con aria interrogativa.
"Basterà chiedere a Lei, la strega. Lei lo chiederà alle ombre. Trovate le Stria, e troveremo quel bastardo traditore."

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Voci nel buio ***


Camarilla-[ca-ma-rìl-la] s.f.
: 1 Gruppo di persone che esercita un'azione occulta e sempre interessata su un sovrano, un governo e simili
2In Spagna, consiglio privato dei re
3 estens. Cerchia di persone che trama per ricavare vantaggi personali dall'amicizia con personaggi politici.




"E così è qui che i pezzi grossi si ritrovano a fare le loro cosucce in segreto eh?"
"Come dice, prego?"
La ragazza si sistemò i capelli castani. Avrebbe potuto facilmente fare la modella, anche se c'era qualcosa di inquietante in quello sguardo serio, vuoto e professionale che rivolgeva a Bruno. Nonostante tutta quella formalità e serietà, la ragazza non riuscì comunque a fissare per molto il volto del Nosferatu.
Abbassò lo sguardo imbarazzata, per non offendere l'anziano.
"Che c'è tesoro? Non ti piace la mia faccia?"
Ridacchiò con voce rauca.
"No, no non intendevo…"
"Lascia stare boccuccia di rose. Purtroppo non ho una faccia carina come la tua, ma ti assicuro che dopo più di seicento anni  uno ci si abitua."
Bruno sorrise,forse per sembrare gentile, ma l'effetto era quello di un piranha deforme che mostrava i denti.
"Non sono abituato a tutto sto sfarzo, e questo coso è scomodissimo."
L'anziano si sistemò meglio la giacca. Indossava uno di quegli abiti che oggi chiamavano "smoking" o qualcosa del genere, grigio. Ci aveva pure messo un fiore fuori dal taschino, una rosa bianca. Gli avevano detto che ora si usava così, in occasioni come quella.
Dal canto suo, si sentiva un imbecille ed effettivamente sembrava un mostro piranha vestito elegante.
Erano saliti su per le scale col tappeto rosso, roba da veri signori. I lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto abbagliavano quasi la vista, davano troppa luce.
"Ecco, siamo arrivati signore. Qui dentro la stanno aspettando. Non occorre che le ricordi che deve mantenere un decoro e un linguaggio appropriato e…"
"Ragazzina, alla tua età trattavo con Primogeniti e anziani ben più vecchi di me. Direi che me la saprò cavare, tu che dici?"
Sorrise ancora, divertito.
Ci provava gusto a mettere in imbarazzo quella povera infante.
"Ah un ultima cosa. Le armi non sono ammesse, all'interno."
Era da più di venti minuti che l'accompagnatrice osservava l'enorme fodero che Bruno portava al suo fianco, da cui spuntava l'elsa di una spada.
"Ah, ma certo. Dopotutto siamo qui per parlare, mica a mozzar teste no?"
Rise ancora, ma la ragazza rimase seria.
"Molto bene, ecco qua" consegnò la spada alla cainita"Ora però lascia che ti dica io una cosa, zuccherino."
La strinse a sè, portandola vicinissima al suo volto. La ragazza provò a liberarsi, ma Bruno la teneva stretta come in una morsa d'acciaio, era fortissimo. La guardò dritta negli occhi e poi disse "io ti lascio qui la mia cara Bernarda, ma sai, ci sono affezionato. Tu fai qualche scherzetto a questa lama, qualche giochetto di voi Stregoni, sigilli, rune o stronzate del genere… E io vedrò di fare qualche giochetto  alla tua faccia, e credimi ne conosco tanti di divertenti.L'ho già preso in quel posto una volta da un bastardo del tuo clan, e non ho intenzione di ripetere l'esperienza. Siamo intesi?"
"Sì…S-s-sì signore. La prego, mi lasci andare"
"Ma certo." La liberò, ma prima di entrare dalla pesante porta di legno le diede una palpata al sedere.

Dentro la stanza era buio.
Solo il centro del posto era illuminato, ma la luce non si capiva da dove provenisse. Si riuscivano comunque a intravedere in penombra delle persone sedute in cerchio, attorno al cono di luce. Dovevano essere almeno in sei.
Bruno si posizionò al centro della stanza sorridente.
Fece un inchino plateale ed esagerato, e poi sempre sorridendo si girò fissando ora una, ora l'altra figura seduta nel buio.
"Buongiornooo. O dovrei dire buonasera?"
"Benvenuto, Bruno. Avreste dovuto bussare, prima di entrare."
"Ooh, andiamo. non ci formalizziamo mica. Siamo tra amici, no?Era da un sacco di tempo che non vedevo tutta questa bella gente riunita. Questa è davvero una rimpatriata tra compagni di classe! Dove sono gli stuzzichini?"
"La prego di moderare i termini, messer Borgia. Immagino lei si renda conto di chi ha davanti, ora, e del titolo che portiamo."
"Ooh, andiamo Hardy, volevo dire messer Hardestadt. Ti ho già salvato il culo una volta, tre secoli fa. Ricordi?Cos'era, Vienna?"
"Il debito che io avevo nei suoi confronti è stato ampiamente ripagato. Credo che…"
"Posso chiamarti Hardy?"
"Insomma SILENZIO!"
A parlare ora era stata una voce profonda, cavernosa e gutturale simile a quella di Bruno.
"Oh, ci sei anche tu allora? Tutto bene a Padova?"
"Bruno, ci conosciamo da una vita e sai che ti rispetto. Ora però vediamo di non perdere altro tempo e parliamo di cose serie. Renditi conto della tua posizione e di chi hai davanti."
"Già, parliamo di cose serie." Bruno si sistemò la rosa sul petto e poi continuò a parlare:
"Parliamo ad esempio degli stronzi che hanno osato metter piede in casa mia."
"Abbiamo saputo qualcosa al riguardo."
"Già già. Anche io ho sentito qualcosa. Un uccellino mi ha confidato che qualcuno avrebbe intenzione di nominare un certo Gian Gaelazzo ex mister sabbat-numero uno Principe di MIlano."
"E quali sono i suoi pensieri al riguardo?"
"I miei pensieri? Nessuno, direi. Credo semplicemente che di botto vi siate ammattiti. Forse troppi anni nei vostri rifugi vi hanno fatto male, sapete dovreste arieggiare ogni tanto le bare altrimenti.."
"Risparmiati l'ironia! Rispondi ora, cosa ti fa pensare che siamo stupidi?"
"E me lo chiedete anche? Avete davvero intenzione di mettere una carogna come quella a capo di MIlano? Dovete veramente essere fuori di melone per pensare che sia una buona idea."
"Non vedo dove sia il problema. Dopotutto gli dobbiamo molto, è lui che ci ha permesso di conquistare Milano."
"Non vedi dove sia il problema? Cristo santo ma sono io qui l'unico a vederlo, il problema? Stiamo parlando di Gian Galeazzo. Gian Galeazzo. Quello che abbiamo combattuto per secoli, e che ha ammazzato un botto dei miei, dei vostri amici e alleati."
"Noi non siamo stati da meno, solo in questa notte almeno dieci dei branchi del sabbat sono stati spazzati via."
"Con voi non si può veramente ragionare.State commettendo un errore non grosso, grosso come una cazzo di montagna! Se c'è una persona di cui non dico la Camarilla, ma qualsiasi Fratello sano di mente non si dovrebbe fidare quella è proprio Gian Galeazzo! E' uno stronzo, un codardo e un bugiardo. E della peggior specie, di quelli davvero cattivi."
"Si possono dire molte cose, su Gian Galeazzo, ma non che sia un codardo, quello no. La sua fama di combattente in prima linea è nota a chiunque."
"Cristo santo, cos'è, gli leccate pure il culo ora?"
"Moderate i termini, messer Bruno."
"Moderare? Io credo che le vostre zucche siano da moderare, signori. I miei termini sono più che adatti. Ammettiamo pure che ci si possa fidare di un Lasombra marcio come mister Visconti (e badate bene, non ci si può fidare di quello lì) come credete reagiranno gli altri? I Primogeniti, i clan e i Fratelli di tutta la fottuta Lombardia, e di tutta la merdosa Italia? Credete rimarranno fermi lì, e accetteranno senza batter ciglio che uno come quello salga al trono?Voi non avete idea dei casini che scoppieranno."
"Gian Galeazzo è un simbolo."
"Cosa?"
"Gian Galeazzo non è solo un traditore, una canaglia o uno spudorato doppiogiochista. E' un simbolo, e una doppia vittoria per la Camarilla."
"Cosa stai farneticando?"
"Immaginate, Bruno. Immaginate se all'improvviso Fidel Castro avesse rinnegato tutta l'ideologia comunista, e fosse passato dalla parte degli americani. Non sarebbe stato forse un simbolo fortissimo, di portata storica?"
La voce rauca fece seguito a quella raffinata che aveva appena parlato:
"Lui è un simbolo, Bruno. Il simbolo di un'era, di un'ideologia che cade. Se perfino Gian Galeazzo, Cardinale e capo supremo del Sabbat in Italia rinnega la setta e passa dalla nostra parte, cosa può significare? Forse il Sabbat alla fine non è altro che una farsa, e perfino uno dei loro capi anziani se ne è reso conto. Per i giovani, è un simbolo, il simbolo che stare dalla nostra parte conviene, dato che Gian Galeazzo non è certo il primo pollo che passa e abbocca alle nostre offerte. Per gli anziani è un alleato insostituibile, una miniera di informazioni e la risorsa definitiva per spazzare via la spada di Caino una volta per tutte. Ci scommetto la testa che conosce più cose lui sui vertici della setta che tutti i sabbat milanesi messi assieme. Potrebbe perfino rivelarci il nascondiglio e l'identità del Reggente della Spada in persona."
"Per il Sabbat lui è una minaccia, la minaccia numero uno ora. E' uno schiaffo, una vera e propria sberla e sputo in faccia ai vertici e agli ideali della setta. Una vergogna e un'onta da cancellare a tutti i costi. Ma soprattutto, egli è la chiave per distruggere tutto ciò in cui i nostri avversari credono."
Bruno fissò uno ad uno le figure nel buio, pensieroso.
"Abbiamo già contattato gli anziani e gli altri Primogeniti di Milano. Sono d'accordo con noi con l'insediarsi di Gian Galeazzo come leader del dominio."
"Immagino in che modo li abbiate convinti, ad esser d'accordo con voi."
"I nostri metodi non si discutono. Potranno non piacere, ma sono stati questi a far sì  che la nostra organizzazione sia sopravvissuta fino ad oggi."
"E va bene, è inutile discutere con voi lo so. E poi chi sono io per parlare? Ma lasciatemi dire una cosa: state commettendo uno sbaglio. Avete fatto entrare nel vostro nido una serpe, e presto ve ne renderete conto. Gli altri, anziani e infanti compresi, vi saranno tutti addosso.Nemmeno io so se riuscirò a tenere buoni quelli del mio clan."
"…"
"Inoltre,"aggiunse l'anziano Nosferatu prima di varcare ancora la porta:
"Quel bastardo ha fatto entrare degli insetti in casa mia. Ne andrò a discutere personalmente con lui, pretendo le sue scuse."
"Come fate ad esserne sicuro? Avete delle prove che sia stato proprio lui il mandante?"
"Prove? Mi è bastato impalare il disgraziato del sabbat che avevo ridotto a un moncherino e assicurargli che gli avrei fatto vedere l'alba. Sapete, anche io ho i miei metodi per convincere le persone.Ha cantato, e ha fatto i nomi."
"Dove si trova ora?"
"Lo stronzo? Ah, non so. Sapete, io di giorno dormo e non amo molto affacciarmi al balcone la mattina."
Qualcuno ridacchiò nella stanza, poi la voce rauca parlò rivolta a Bruno:
"Mi Raccomando, Bruno. Vedi di non combinare guai. E' già tutto prestabilito, tu puoi solo facilitare il processo. Niente scortesie."
"Nessuna scortesia, ti pare? Solo che voglio parlarci un pò, e avere le sue scuse, tutto qui. Tranquilli, so bene che non posso mettermi contro la volontà del Concilio."
L'anziano si fermò ancora, dopo aver messo un piede già oltre la soglia.
"Lascerò Bernarda a casa,potete stare tranquilli."
Poi uscì e nella sala calò il silenzio.

Le voci nel buio tacquero per un pò, poi la voce rauca parlò:
"Allora, voi che ne dite?"
Un voce di donna che prima era rimasta in silenzio, rispose in un forte accento francese:
"Personalmente non lo sopporto, quel Bruno. Non riesco a capire come mai mantenga ancora i titoli e le cariche che gli avete assegnato."
"Lui è un tipo a posto, e soprattutto è un tipo sveglio. Ci serve il suo appoggio, almeno qui a Milano. Certo non è un mostro di simpatia." la voce aveva calcato la parola mostro con una certa ironia.
"C'è da dire  però che il mostro ha ragione, almeno in parte" era stata una voce nuova, con una forte pronuncia tedesca a parlare.
"Non possiamo ignorare il rischio di una faida, o di una guerra civile tra i Fratelli della Camarilla di Milano. Quando si saprà la notizia, molti la prenderanno come uno scandalo o un'offesa. C'è gente che ha perso infanti e amanti sotto le zanne di quel bastardo di Galeazzo."
"Potrebbero scoppiare anche rivolte."
La voce raffinata che dava sempre del lei a Bruno parlò:
"No, non scoppieranno."
"Come fate a dirlo?"
"Semplicemente perché non scoppieranno, perché noi non lo vogliamo."
"La minaccia più impellente per una sommossa chiaramente viene dai soliti. I Brujah non vedranno l'ora di scatenare una rivolta, e Franco coglierà l'occasione al volo. E' molto popolare tra i giovani,anche degli altri clan."
"Di questo non dobbiamo preoccuparci. Me ne sono già occupato personalmente.
Domani, con enorme sconforto di infanti e anziani, verrà ritrovato il corpo incenerito del compianto Franco, tra le macerie del suo rifugio dato alle fiamme."
"Siamo sicuri che sia sicuro? Se qualcosa va storto e si scopre la verità, altro che rivolta qui scoppia una vera e propria guerra."
"State tranquilli, andrà tutto liscio ho affidato il lavoro a gente affidabile.Se proprio qualcosa verrà a galla, la colpa verrà data al Sabbat. Piuttosto, mi stavo chiedendo se in fondo Gian Galeazzo fosse così manipolabile come credevamo."
"E' ovvio che non ci possiamo fidare di lui, è un vero bastardo approfittatore. L'importante è che lui si fidi di noi."
"Nel caso ce ne dovessimo sbarazzare, affideremo il lavoro ai nostri professionisti."
"No, stavo pensando a qualcosa di diverso. Gli approcci diretti non funzionano, con quel maledetto. Sembra che abbia sette vite."
"Cosa intendete dire?"
"Una volta (parliamo di almeno due secoli fa), l'allora Principe di Milano era riuscito a scovare tramite un Primogenito Gangrel il rifugio di Gian Galeazzo e aveva assoldato un gruppo di Assamiti direttamente dal medio oriente, un vero Falaqi come lo chiamano loro...Professionisti, gente seria dedita all'omicidio da secoli, insomma normale amministrazione per gente del loro clan. Chiaramente la somma pagata era enorme per un incarico del genere e non prevedeva solo un compenso monetario."
"E dunque? Cosa è successo?"
"Gli assassini non sono mai più tornati, ma il Principe ha personalmente ricevuto per raccomandata una scatola contenente gli occhi e le falangi strappate dei poveri malcapitati che aveva assoldato."
"Notevole."
"Non è finita qui. Il Prinicipe dopo pochi giorni sparì, e non fu mai più ritrovato.  I ghoul della sua scorta personale furono ritrovati poco distante dal suo rifugio privi di gambe, braccia e occhi.  Dall'autopsia è venuto fuori che ci avevano messo ore a morire, erano stati torturati prima.Solo un suo servo personale, un ragazzo fu ritrovato ancora in vita illeso. Farneticava e aveva totalmente perso il lume della ragione, fu impossibile fargli spiegare cosa era successo, ma per il resto dei suoi giorni non volle mai più rimanere da solo o in una stanza buia, e le ombre gli davano terribili attacchi di panico. Fu ritrovato anche un biglietto assieme ai corpi e al sopravvissuto "Stanotte mi sento magnanimo. Vi lascio questo regalo, ancora vivo, cosicché forse in futuro non commetterete altri errori."
"E il Primogenito? Che fine ha fatto?"
"E' scomparso anche lui, nessuno lo ha mai ritrovato o ha saputo che fine abbia fatto. Questa comunque è solo una storia, forse esagerata, ma è esemplificativa per capire con chi abbiamo a che fare."
"C'è anche un'altra cosa che mi preoccupa." La voce femminile francese aveva ripreso a parlare:"Ho sentito delle voci piuttosto inquietanti su Gian Galeazzo, e non si tratta delle solite spacconate da Sabbat."
"Che voci?Cosa dicono?"
"Ufficialmente lo sapete, la Camarilla e anche il Sabbat, compresi tutti i Fratelli sani di mente, tendono ad evitare contatti con gli Altri lì fuori. Sapete a chi mi sto riferendo, lupini, streghe, spettri e quant'altro.Certo, ogni tanto stipuliamo qualche accordo con loro e qualche breve alleanza, ma la politica comune che adottiamo sempre in questi casi è "non disturbateci così noi non disturbiamo voi"."
"E con ciò?"
"Voglio dire che gira voce, e più di una, che Gian Galeazzo non mantenga rapporti solo con Fratelli e Sabbat, ma anche con lupini e gente simile. Pare che abbia stretto un'alleanza segreta con un'intera tribù di quei mostri, e che sia anche per questo che Milano non è mai stata un territorio preso di mira dai lupini. Si dice anche che Gian Galeazzo in persona abbia una guardia, una sua guardia del corpo personale che lo segue ovunque, non vista e non sentita. Ma appena qualcuno prova a toccarlo, spunta dal nulla e fa a pezzi tutto ciò che incontra."
"Oh, andiamo ora stiamo chiaramente esagerando. Sai anche tu come funzionano queste voci "uno mi ha detto…" e poi la storia si ingrossa fino a diventare una storia di licantropi. Suvvia, non crederai mica a queste cose."
"Resta il fatto che quel bastardo è intoccabile, non so quante volta abbiano provato ad ammazzarlo compresi i rivali della sua stessa setta, e lui ogni volta la ha scampata."
"intendevo proprio questo prima. Dovremo evitare l'approccio diretto. Non saremo noi ad occuparcene, sarà Milano stessa."
"Come scusa?"
"Non spetta a noi freddare quel bastardo, se osasse alzare troppo al testa. Basterà muovere i giusti fili, e lui si ritroverà tutta Milano contro. Il Sabbat lo vuole morto. La Camarilla lo vuole sotto controllo.Nessuno si fiderà totalmente di lui e molti tra gli anarchici e i rivoltosi lo vorranno fuori dai piedi il prima possibile, compreso Bruno e i Primogeniti. Semplicemente, quando non ci servirà più lo lasceremo ai suoi carnefici."
"Mi sembra una buona idea."
"Lo è. Lui senza la nostra protezione non è nulla, è spacciato e lo sa. Per questo è venuto da noi e ci ha rivelato tante cose,  ci ha chiesto aiuto. Vuole fare il Principe? E lasciamoglielo fare! Dopotutto è secoli che regna su Milano, e nessun cainita può dire di conoscerla meglio di lui. Coccoliamolo, teniamocelo stretto. Che si fidi di noi. Al momento giusto ce ne le libereremo."
"Allora faremo così. Comunque io per sicurezza gli metterei qualcuno di fidato alle costole."
"Certo, assolutamente. Ho già in mente le persone giuste. Chiaramente gli diremo che lo facciamo per la sua sicurezza, non per altro."
"Ovvio, dopotutto la Camarilla tiene ai suoi membri e alla loro incolumità."
Nella sala ci fu un attimo di silenzio, poi ciascuna delle voci scoppiò in una risata.
Non si trattava di risate genuine, sane e innocenti come quelle degli uomini, ma di risa volgari, oscene, risate di mostri che sghignazzano compiacendosi della propria malvagità.
"Lavoriamo per un mondo migliore." disse la voce gentile e raffinata.
"Certo, il nostro." gli fece eco un'altra voce, dal fondo della sala


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ascendente ***


Nicola non riusciva ancora a capacitarsi.
La sua vita era cambiata, totalmente stravolta.
Dopo ieri sera, in cui aveva scoperto l'inquietante verità sul suo ispettore capo e sui suoi padroni, aveva cominciato ad avere paura anche di sè stesso.
Sentiva che nel suo corpo qualcosa stava cambiando, minuto dopo minuto.
Lo avevano preso e lo avevano portato in un altro posto, fuori  Milano. Ci avevano messo almeno un'ora di macchina, non sapeva dire quanto di preciso perché ogni tanto perdeva conoscenza, e le poche volte che riusciva a rimanere focalizzato su cosa gli stava succedendo arrivavano le fitte di dolore del braccio a stordirlo.
Poi la stanza, un ufficio con mobili di legno e scrivania, fredda, la luce lo abbagliava.
E infine lei.
Non aveva voluto dirgli il nome, o forse non lo aveva sentito nella fretta.
Era bellissima, una vera e propria dea, uno schianto da copertina, vestita con un tailleur nero e occhiali.
"Da ora in poi mi appartieni. Sarai il mio apprendista."
"vi prego… Aiutatemi chiamate la polizia."
Era riuscito a dire solo quello, prima che la donna gli premesse il polso sulla bocca.
Non riuscì a ribellarsi, nè si rese ben conto di ciò che stava accadendo.
Senza nemmeno pensarci, aveva cominciato a succhiarle il polso.
Sentiva un fluido scendergli giù per la gola, caldo, caldissimo. era come bere alcool, ma al contempo l'alcool non era nulla al cofnronto, sentiva quasi la gola ustionarsi. Poco dopo, percepì un'altra sensazione oltre al bruciore, come una scossa. La testa gli girava, ma al contempo provava un piacere incredibile, come quello di un atto sessuale.
Forse aveva raggiunto l'orgasmo, anche se quel pensiero gli faceva venire il voltastomaco.
Non aveva mai sperimentato qualcosa di simile, e sebbene non avesse mai fatto uso di droghe, immaginava che ci si dovesse sentire così sotto l'effetto di una dose particolarmente potente.
"Ora tu mi appartieni. Il tuo primo compito, sarà seguire il tuo superiore e fare come ti dirà, senza discutere."
Gli avevano fasciato il braccio e lo avevano scaricato davanti la porta di casa sua.
A casa non aveva detto nulla alla moglie, e con la scusa di star male si era buttato subito a letto.
Aveva la nausea, e difatti la mattina dopo aveva vomitato. Meno male che Annamaria era al lavoro, altrimenti non sapeva proprio cosa le avrebbe detto.
Il volto che lo fissava dall'altra parte dello specchio era stravolto, completamente pallido e assente.
Il braccio non gli faceva più male. Si tolse le benda e con stupore e un pò di paura scoprì che la ferita si era quai del tutto rimarginata, c'era solo una piccola cicatrice.
Sentiva un cerchio terribile stringergli la testa e non riusciva a dare un senso ai suoi pensieri.
Era uscito di casa, così, senza nemmeno farsi la barba. Davanti al vialetto di casa sua lo aspettava l'ispettore. Fumava il solito sigaro.
"Buongiorno, ragazzo. Bella giornata, vero? Forza, sali in macchina."
Gli aveva obbedito, senza discutere. Non sapeva perché lo aveva fatto, era come se non gli importasse più di nulla.
In macchina c'era il solito puzzo di vaniglia e fumo.
"Dormito bene?"
"Cosa mi avete fatto?"
"Devi mangiare, ragazzo, Stanotte avrai avuto gli incubi?"
"Che cosa mi avete fatto???"
"Calmati, calmati. Ora ci mettiamo in moto e ne parliamo subito. Intanto mangiati quella brioche, è ancora calda."
"Volete spiegarmi cosa è successo ieri notte, ispettore?"
"Immagino di doverti delle spiegazioni, ragazzo. Diciamo che sei stato reclutato."
"Reclutato?"
"C'è una guerra in corso, ragazzo. E noi siamo in prima linea, assieme a tutti gli altri. Non una guerra di quelle che leggi nei giornali o vedi alla televisione, no di certo. Questa è una guerra occulta, un complotto, una faida che dura da secoli se non forse addirittura da millenni."
L'ispettore lo fissò, aveva gli stessi occhi spiritati della sera prima.
"Loro sono dappertutto, sai? E' inutile che ci nascondiamo, o che scappiamo. Ovunque andiamo, loro ci saranno. E combatteranno la loro guerra, con  noi in mezzo. Ma ci siamo anche noi ora in mezzo ragazzo. E combatteremo."
"Mi piacerebbe sapere per chi o cosa combattiamo."
"Per cosa? Ciò che ti deve interessare è contro chi stiamo combattendo, ragazzo. Ti conforterà sapere che noi lottiamo dalla parte dei buoni. Beh, buoni è una parola grossa. Ho visto uno dei miei padroni staccare la testa a un servo  solo perché gli aveva fatto uno sgarbo."
"Buono a sapersi."
"Non pensare che dall'altra parte siano più gentili, ragazzo. I nostri nemici sono dei mostri veri e propri, esseri che valutano la vita mia e tua come quella di uno scarafaggio. La nostra è una giusta guerra, e stiamo dalla parte giusta. I nostri padroni potranno sembrarti crudeli o inumani, ma ti assicuro che a confronto del resto della loro gente e soprattutto dei nostri nemici, sono ben più civilizzati e comprensivi della media."
"Insomma, io ancora non capisco. E vi aspettate veramente che io combatta questa… guerra?"
"Non hai scelta, ragazzo. Ci sei dentro anche tu, ora, che lo voglia o no."
Nicola tacque, la testa gli scoppiava. Per una buona mezz'ora non dissero altro, e l'ispettore continuò a guidare.
"Ecco, siamo arrivati."
Si erano fermati, si trovavano in un vicolo secondario, erano usciti vicino Bovisio. Davanti a loro c'era una bella villetta con giardino, tipica da quelle parti fuori Milano.
"Dove siamo? Che cosa facciamo qui, ispettore?"
"Scendi, ragazzo."
Fuori dalla macchina spirava un leggero venticello.
"E' proprio una bella giornata, non è vero?"
"Cosa sta facendo, ispettore?"
Nicola aveva osservato con crescente allarme l'armeggiare dell'anziano ispettore nel bagagliaio.
Aveva tirato fuori varie cose, tra cui una tanica di benzina e una bottiglia con della stoffa imbevuta di alcool, lo sentiva dall'odore.
"Ci siamo, ragazzo E' arrivato il momento."
"Il momento per cosa, ispettore?"
"Il momento di combattere, che diamine. Ora seguimi e fai come ti dico io."
Mentre seguiva l'ispettore su per il vialetto di pietra che attraversava il giardino, Nicola non riusciva a capacitarsi delle sue azioni.Solo poche ore prima aveva assistito a cose orribili ed ora si accingeva a seguire un  folle mentre si accingeva a fare senza dubbio qualcosa di illegale.
Sapeva solo che la sua volontà dopo la scorsa notte aveva subito un vero scossone, e non era più lui padrone della sua vita.
Ma soprattuto, si sentiva al contempo terrorizzato ed eccitato, e voleva saperne di più.
"Si può sapere cosa…"
"Sssh!"
L'ispettore lo zittì e tirò fuori la pistola.
Nicola allarmato si tastò subito il fianco, di riflesso, ma poi si ricordò che l'ispettore aveva preso la sua pistola.
"Ah, sei tu, meno male."
Da dietro una siepe, spuntò un uomo.
Doveva avere sulla trentina d'anni, indossava una maglietta nera e dei jeans bianchi, un orecchino di diamanti. Sembrava abbastanza un classico tamarro milanese, muscoloso.
"Ho trovato tutto aperto, perfetto. Lui dove è?"
"Al piano di sopra, sta dormendo. Ho mandato via tutti quanti, siamo solo noi."
"Ottimo."
"Lui chi è?"
"Un mio assistente, è stato preso solo di recente. Un'amica del mio padrone."
"Ah, bene allora ci possiamo fidare. Io sono Luca."
"Piacere, Nicola." rispose incerto il giovane ispettore.
"Bene, allora voi sapete cosa fare. Io vi aspetterò col motore acceso, e darò un occhio se le cose si mettono male o se qualcuno viene a curiosare in giro."
Nicola non capiva nulla, e più andavano avanti le cose più sentiva di essersi immischiato in qualcosa di molto, molto pericoloso.
Il ragazzo aprì la porta, e loro entrarono nell'appartamento. Era tutto buio, stanze e finestre erano sigillate.
"Mi raccomando, aprite tutte le finestre. Non lasciate nemmeno una penombra nella stanza." sussurrò Luca prima di uscire.
"Certo, certo" gli rispose l'ispettore. Aveva cominciato a tirare su le tapparelle e spalancare le finestre.
"Si può sapere cosa stiamo facendo qui, signore? Non mi sento per nulla a mio agio, e potremmo essere arrestati per questo."
"insomma ragazzo, ti vuoi sbrigare? Apri bene quelle finestre,e  vedi di non lasciare nessuna tenda."
"Perché stiamo facendo questo?"
"Questa è una guerra, ragazzo. E questa sarà la tua prima vittima. Ti ci abituerai molto presto vedrai."
"Cosa diavolo significa?"
"Questa casa appartiene a uno dei nostri nemici. Un mostro, un mostro che ci vuole morti e che si nutre di gente come me e te, di esseri umani. Normalmente, non avremmo alcuna speranza, nè contro di lui nè contro i nostri padroni. Ma vedi, si dà il caso che a loro non piaccia molto la luce solare, e nemmeno il fuoco."
"Quindi ora daremo anche fuoco a questa abitazione?"
"Un sacro fuoco, il fuoco di una giusta causa.Bruceremo quel verme nel suo stesso rifugio. Vedi, ci trattano anche come servi a volte, ma la realtà è che senza di noi non sono nulla. Di giorno sono praticamente impotenti, dormono ed è quasi impossibile che si sveglino, per questo hanno bisogno di gente come noi."
"Lei sta di nuovo delirando, signore."
"Ora vedi di star zitto e di fare come dico io. Seguimi di sopra, e ti darò la riprova che non sono un folle. Fai assolutamente silenzio. Non il minimo rumore, o qua succede il putiferio."
Salirono delle scale che portavano di sopra. Nicola aveva il cuore in gola, ed era completamente in preda al panico e all'agitazione. Non sapeva esattamente a cosa stessero andando incontro, ma sapeva per certo che si trattava di qualcosa di pericoloso e di mostruoso.
"Sssh"
Alla fine delle scale vi era un corridoio, buio. In fondo al corridoio, una porta.
Camminarono in punta di piedi fino alla porta, poi la aprirono. Non cigolò fortunatamente.
La stanza in cui entrarono era sempre buia, ma grazie alla luce che proveniva dal piano di sotto Nicola riusciva a distinguerne i contorni generici.
C'era una terribile puzza di chiuso, e sfiorando un mobile Nicola notò che c'erano almeno due dita di polvere sopra.
Appeso al muro, vi era un enorme scudo con un fregio medievale, un cavallo rampante. Sembrava autentico, Nicola pensò che il suo proprietario probabilmente era un appassionato d'armi antiche. La sua attenzione fu anche richiamata dalla enorme ascia sotto lo scudo, inchiodata al muro. Era scheggiata ma conservava ancora un aspetto più che minaccioso e non sembrava per nulla finta, doveva essere affilata.
L'ispettore gli indicò un punto nella stanza, in un angolo.
C'era un enorme cassa, lunga, appoggiata al muro. Inizialmente Nicola pensò si trattasse di un mobile messo in obliquo, ma poi si rese conto che si trattava di una vera e propria bara di legno, come quelle del cimitero.
La cosa non gli piacque molto e sentì un brivido corrergli su per la schiena.
L'ispettore aveva iniziato a cospargere la stanza e la bara di benzina, c'era un tanfo quasi insopportabile ora.
"Mi raccomando ragazzo" sussurrò" Le finestre, spalancale per bene. Quelle due, lì in fondo…"
Non appena finì la frase, un suono acuto squarciò il silenzio della stanza.
Un trillo di cellulare, altissimo, fece gelare il sangue di Nicola nelle vene.
"Merda,non..NO!"
Nicola non aveva nemmeno fatto in tempo a tirare fuori il telefono dalla tasca, che un altro rumore irruppe prepotentemente, quello di un colpo secco e dello spezzarsi del legno. Il legno di una bara.
Il coperchio era andato completamente in pezzi, e una figura ora stringeva l'ispettore sollevandolo per la giacca.
Nicola provò un moto di puro terrore quando la figura fu parzialmente illuminata dalla penombra della porta aperta.
Si trattava di un uomo nudo, sulla trentina d'anni almeno apparente.
Il corpo era senza dubio quello di un morto e l'impressione era quella di un vero e proprio cadavere rianimato. Gli occhi erano spenti, neri, circondati da terribili occhiaie. Aveva i capelli corti e una barbetta nera ben curata.
Il corpo nudo era scultoreo, perfetto come una statua greca. I muscoli erano risaltati come solo un Canova sarebbe stato in grado di fare.
Sembrava, a tutti gli effetti, una statua vivente.
"Nooooo!"
Il morto  aveva stretto l'ispettore sollevandolo da terra, e poi gli aveva assestato un colpo al ventre.A Nicola parve di sentire un rumore sordo come di qualcosa che si spezzasse.
Poi vide l'ispettore volare attraverso la stanza, e sbattere la schiena contro lo scudo. Si accasciò a terra come un sacco di stracci.
La figura della bara si rivolse a lui, e parlò, con una voce cavernosa e strozzata, terrificante a sentirsi:
"Morirete…Ora…"
Era come se facesse fatica  a parlare ed esprimersi, e i suoi movimenti erano molto lenti.
La "cosa" stava camminando verso di lui, e sebbene avanzasse con estrema lentezza, Nicola era completamente paralizzato dal terrore, come ipnotizzato da quegli occhi neri semispenti.
"La finestra" urlò l'ispettore:"Apri la finestra!!!Presto!!!"
Nicola ebbe come una scossa, e si riprese. Era come se quella figura avesse risucchiato tutta la sua volontà e capacità di reagire, ma le urla dell'ispettore lo riportarono alla realtà.
Con uno scatto fu subito alla finestra, e la spalancò. Poi senza nemmeno riflettere su cosa stesse facendo, con un pugno abbattè la tapparella e strappò ciò che ne rimaneva. in seguito si stupì lui stesso di quell'atto e dell'estrema facilità con cui era riuscito a sradicare quel pezzo di plastica.
Udì un urlo altissimo, straziante, che lo costrinse a tapparsi le orecchie.
La "cosa" ora era illuminata dalla luce del sole, e sembrava patire le pene dell'inferno, urlava a squarciagola contorcendosi come un pazzo.
La sua pelle andava via a via mutando, come avvizzendo, e ogni tanto uscivano delle fiamme dal suo corpo. In pochi secondi, dal corpo del morto cominciò a fuoriuscire della povere, finissima, grigia.
Nicola tentò di distogliere lo sguardo, e corse a soccorrere l'ispettore. Sembrava messo piuttosto male, se lo caricò in spalla.
Allo stremo delle forze, l'ispettore gli sussurrò:
"Brucia tutto, presto."
Nicola gli trasse di tasca l'accendino e lo lasciò cadere sulla benzina, poi corse come un fulmine fuori dalla stanza, quasi inciampando.
Sentì una vampata di calore alle sue spalle, e le urla che continuavano a perforagli i timpani.
Corse fuori dalla casa, e trovò ad attenderlo Luca, pallido e sudato:
"Presto, via da qui!"
gli aveva urlato, ed erano saliti in macchina sgommando come dei razzi.
Quando si voltò a guardare la villetta, notò che dal piano superiore usciva del fumo e le fiamme cominciavano a lambire anche i contorni del balcone.




Non riusciva a darsi pace, il cuore gli batteva ancora a mille.
L'infermiera gli aveva detto di attendere, che presto sarebbe arrivato qualcuno a fargli delle domande.Era sera ormai.
Riusciva a intravedere l'ispettore attraverso il vetro della stanza, collegato a un respiratore, gli occhi chiusi e la flebo inserita nel braccio.
Luca non voleva portarlo in ospedale, ma Nicola era stato irremovibile.
"Non credo sia una buona idea. Aspetta che sia notte, e lo porteremo da Loro. Loro sapranno come fare, basterà dargli da bere! Tornerà come nuovo, subito."
"Non se ne parla, cazzo! Se continua così non ci arriverà, a notte!"
Luca se ne era lavato le mani, ed era sceso dalla macchina.
"Non saranno contenti, loro. Vedrai, ti faranno domande. Forse qualcuno chiamerà la polizia, e finirai in un mare di guai."
"Fanculo a te e loro, io questo qui non lo lascio morire."
Lo avevano ricoverato d'urgenza, e gli avevano trovato fratture multiple e scomposte. Le costole erano quasi tutte andate, e forse qualche organo interno si era danneggiato.Era grave.
"Allora è vero, forse non sei così sveglio come sembri."
Nicola alzò gli occhi, e capì chi aveva appena parlato.
Era lei.
Era vestita con un cappotto di pelle bianco, calze e decoltè nere.
I suoi occhi fiammeggiavano da dietro le lenti degli occhiali.
"Cosa dovevo fare?Stava morendo."
"Stà zitto, deficiente. Per fortuna siamo arrivati qui noi prima della polizia."
"Come…"
"Silenzio!Ora seguimi."
Lo aveva trascinato per un braccio, aveva delle mani esili ma una stretta micidiale.
Erano entrati in una stanza che probabilmente doveva essere l'ambulatorio di un medico, che infatti si trovava lì.
Questi si voltò a squadrarli con aria interrogativa, scocciato:
"Si può sapere cosa succede qui?"
"Stà zitto, tu." aveva risposto la ragazza, senza nemmeno guardarlo.
Aveva fatto sedere Nicola su una sedia e poi si era voltata a fronteggiare il dottore.
"Ora, vattene."
Il medico la aveva fissata con un aria ebete, quasi sonnambulo, e poi aveva risposto: "Sì… Sì me ne andrò."
"Vai a casa, e dimenticati di avermi visto. Dimenticati tutto. Dormi."
"Sì."
Sempre con aria assente, il dottore uscì dalla stanza lentamente simile a uno zombie.
"Ora, veniamo a noi due."
Una mano aveva schiaffeggiato Nicola, e la guancia aveva iniziato a bruciargli.
"Ehi! perché lo hai fatto?"
"Silenzio! Avrai il permesso di parlarmi solo quando te lo dico io."
"Cosa?Come…"
"Mi sa che non hai ancora capito come stanno le cose, qui.Ora lo capirai.In ginocchio."
Nicola non avrebbe voluto obbedire, ma si ritrovò comunque in ginocchio non appena la donna ebbe pronunciato quelle parole con tono autoritario.
Era come se qualcuno o qualcosa gli avesse improvvisamente offuscato la mente, spezzando la sua volontà di reagire.
"Ora, servo, tu mi ubbidirai."
"Sì..Sì…"
"Forse ti perdonerò, non ho ancora deciso.Striscia fino a qui."
Senza nemmeno comprendere il perché, Nicola cominciò a strisciare carponi fino a sotto la gambe della donna.
"Bacia."
La vampira aveva messo la decoltè in faccia a Nicola, che impotente cominciò a baciarle la scarpa e poi il collo del piede.
Poi si scostò, la ragazza gli aveva fatto girare la testa con un calcio.
"Cos'è, ti stai innamorando di me per caso?"
"Io.. Io… Ti prego smettila… Per favore basta."
"Fai bene ad implorare, ora per te ci sono solo io."
"Ma io… Io ho…A casa mi aspetta Anna… la mia Anna…"
"Me ne frego di quella puttana di tua moglie, per me può anche crepare. Tu sei mio."
"Sì…Sì…"
"Sei stato bravo, comunque, ora alzati. Hai quasi compromesso la missione, ma in fondo hai anche salvato la vita a un servitore di un mio amico. Ti ricompenserò, per questa volta."
Nicola si alzò, era totalmente stordito e aveva ancora in bocca il sapore della scarpa misto a quello della pelle morta, la pelle di un cadavere.
Era solo un burattino, un burattino nelle sue mani.
Le sue bellissime mani.
Con orrore, Nicola sentiva che dentro di lui qualcosa andava mano a mano a prender forma, provava qualcosa per quella donna.
Una sorta di attrazione, seppure ripugnante, un'attrazione morbosa, un fascino imposto, crudele e malvagio, osceno e al contempo irresistibile.
Sentiva che in qualche modo quelle sensazioni non erano veramente sue, e che era stata Lei a mettergliele dentro.
La guardò negli occhi, totalmente succube.
Lei lo baciò, ma era un bacio freddo, la pelle era gelida come quella di un cadavere. Poi sentì un dolore prendergli le labbra, lo aveva morso e ora gli stava squarciando la bocca.
Tentò di ribellarsi, ma finì solo col cadere a terra.
Sopra di lui, la sua padrona lo guardava trionfante, con la bocca insanguinata.
"Ecco la tua ricompensa."
Prese dal tavolino dell'ambulatorio un bisturi, e si tagliò delle vene sul polso.
Il sangue cominciò a sgorgare dalla ferita, e Nicola istintivamente cominciò a succhiare da dove fuoriusciva il liquido rosso scuro.
"Molto bene, ora puoi andare."
L'incanto era  svanito, ora a Nicola girava solo la testa, era come ubriaco.
La donna si era rivestita pulendosi la faccia ed aveva ripreso ad avere un'aria distaccata e fredda.
"Presto riceverai altri ordini, ragazzino. Ora vai pure e torna a casa,ma ricordati a chi appartieni."

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** la Stria de Milan ***


Samonios,
le cime scintillano di strani bagliori,
la realtà al suo confine è mutata ormai,
uomo di fede non guardare cosa accade fuori.

Sulle montagne c'è una strana danza,
voci d'inferno, strider di catene,
che l'eco riporta di balza in balza,
c'è chi dice siano spiriti, o dannati cacciatori.


(Furor gallico-La caccia morta)

"Sarei molto curioso di saperne di più su questa strega, signore.Personalmente non ho mai avuto a che fare con gente simile. Si tratta davvero una strega o è una figlia di Caino come noi?"
"Una cosa non esclude per forza l'altra, soldato."
Quella parola, "soldato" mise sull'attenti Michele che si ricordò improvvisamente perché avevano viaggiato fin lì.
Erano in guerra, ora. Le strade erano chiuse, per tutti, alleati e non, e non ci si doveva fidare di nessuno, forse nemmeno dei propri  compagni.
Gabriella in realtà aveva fatto tanto baccano per nulla, era scattata la legge marziale ormai e la sua opinione non contava  dato che Ettore in persona  guidava il branco.
La ferita sulla faccia del paladino stava lentamente guarendo, ma rimanevano ancora dei piccoli segni qua e là, e l'occhio era ancora ridotto a un globo bianco, cieco.
Dopo un po', per non destare sospetti, Ettore aveva deciso di coprirlo con una benda.
Viaggiavano armati, tenevano i ferri sotto i vestiti per non dare nell'occhio.
Assieme a loro si era definitivamente unito Akin.
Non che gli desse molto fastidio, anzi.
Da quando si erano incontrati, MIchele era sicuro di non avergli sentito pronunciare nemmeno una parola, sembrava un'ombra silenziosa.
"Comunque sia, signore, non so cosa ne pensi sua eccellenza Voinescu, ma non capisco perché dovremmo fidarci di questa fantomatica strega. Nessuno di noi la ha mai vista, e a quanto ho capito non si tratta di un membro o di un alleato del Sabbat."
"No, diciamo pure che lei non è propriamente un nostro alleato. Ma non ci è nemmeno ostile, se è quello che ti spaventa. Più che altro è troppo vecchia e sola per comprendere appieno il significato di parole come "Sabbat", "anarchici" o "Camarilla". Per lei queste definizioni non hanno molto senso, e probabilmente non le interessano nemmeno."
"Forse capisco, ma se così fosse si tratterebbe  di un vero e proprio relitto, un anticaglia di ere passate! Altro che anziano!"
Ettore tacque, nessuno in macchina aveva molta voglia di continuare la discussione. Solo Michele sembrava piuttosto elettrizzato.
Guidavano da più di due ore ormai  e non sapeva bene dove erano diretti. Akin al volante seguiva le indicazioni di Ettore. Ogni  tanto il paladino consultava un foglietto, poi annuiva pensieroso.

Avevano abbandonato la strada principale, ed ora si stavano inerpicando su per una strada di campagna, sterrata.
Le luci erano scomparse, guidavano attraverso le siepi grazie all'aiuto dei fari.
"Avete predisposto tutto come previsto, spero. La ragazza è ancora viva vero?"
"Sissignore, respira ancora."
Avevano legato e imbavagliato la piccola vacca pochi chilometri fuori MIlano.
Era veramente un bocconcino delizioso, Michele se la sarebbe bevuta subito ma dovevano rispettare gli ordini del vescovo.
"Questo ad esempio mi è molto difficile da afferrare, se posso permettermi signore."
"Che cosa?"
"Posso capire la ragazza,  è un regalino più che apprezzabile, un pasto ben confezionato. Ma le teste, quelle veramente non le ho capite. Che cosa ci deve fare con tutte quelle teste?E poi perché solo donne?"
Ettore tacque, sembrava non lo stesse ascoltando.
"Fermati qui, forse ci siamo."
La strada era finita, e ormai l'erbaccia invadeva ogni centimetro di terreno. Tutto attorno a loro vi era un silenzio di tomba, e la foresta era totalmente inghiottita dal buio.
"Scendete. Da qui proseguiamo a piedi."
Erano scesi dalla macchina. Fuori c'era una brezza gelida. Non brillava nemmeno una stella in cielo,  la luna era coperta  dalle nuvole. Per fortuna si erano portati dietro delle torce elettriche.
"Gabriella, Enrico. Voi prendete la vacca e le teste, vedete di non perderne nemmeno una."
"Certo signore."
Enrico aveva tirato la povera ragazza fuori dal bagagliaio, e la aveva stesa con un pugno.
"Vedi di star buona."
"Aiuto.. Polizia, aiutatemi…"
La aveva imbavagliata di nuovo, e poi le aveva puntato una lama alla gola.
Lei era rimasta ferma immobile, gli occhi fissi sul coltello.
Gabriella intanto aveva tirato fuori il sacco nero pieno fino all'orlo di teste. Umane, rigorosamente di donna. Possibilmente carine, ma spesso si erano accontentati.
Rimediarle era stata un vero lavoraccio, ci avevano messo tre notti.
Avevano preso di mira prostitute, donne isolate, immigrate  di cui nessuno avrebbe sentito troppo la mancanza. Inoltre avevano dovuto viaggiare un sacco e scegliere sempre posti nuovi per scegliere le proprie vittime, dato che  mortali e polizia sono piuttosto inclini a notare degli omicidi in serie negli stessi luoghi, a distanza di ore.
Alcune teste iniziavano ad avere la lingua blu e puzzare anche un pò, nonostante il ghiaccio. Dovevano sbrigarsi.
"Seguitemi, ora. Tu stammi a fianco, Michele. Gabriella ed Enrico seguiteci a breve distanza. Tu Akin, chiudi la fila e tieni gli occhi ben aperti. Non è territorio nostro, questo."
L'ultima frase aveva messo sul chi vive un po' tutti, avanzavano lentamente con gli occhi ben aperti, fermandosi ad ogni minimo rumore.
Dopo qualche minuto che camminavano nel buio, Ettore si rivolse a Michele e gli parlò a voce bassa in modo che gli altri non sentissero:
"A dirla tutta, nemmeno io la ho mai vista questa strega, e non so bene chi sia. Ho sentito solo delle voci, e sempre di seconda mano. A quanto ne so, dei nostri solo sua eccellenza Voinescu la ha incontrata di persona. Tutto ciò che conosco su di lei non è altro che una vecchia leggenda. Ce la raccontavano da bambini, ai miei tempi, quando ancora ero in vita. La Stria de Milan, si diceva, veniva a prendere i bambini che si comportavano male, specie le bambine vanitose e carine. Rubava loro la faccia e la indossava, per coprire la sua incredibile bruttezza."
" Lei crede a cose del genere signore?"
"Pensi siano solo favole? Non direi, soldato. Giravano anche altre storie, tra i Fratelli all'epoca. Diciamo una versione più macabra e inquietante della solita storiella per bambini."
"Che tipo di storia, se posso chiederle signore?"
"Si parlava di una cosa realmente avvenuta, anche se oramai si erano persi i nomi e i luoghi precisi. Secoli e secoli fa, in era precristiana, la Strega di Milan, (che a quel tempo non esisteva ancora), aveva ricevuto una visione e la aveva comunicata agli spiriti della foresta, suoi alleati e compagni:
"Chiunque mi saprà omaggiare come una vera dea quale sono e amarmi come un autentico innamorato, avrà in dono eterno la futura città che sorgerà da queste terre e tutti i domini ad essa soggiogati. La sua stirpe rimarrà nella storia, e Medhelan e il suo regno saranno per sempre suoi. Andate, e spargete la voce." Gli spiriti fecero quello che era stato loro ordinato e la profezia si sparse in giro, tra veggenti e profeti.
Finalmente si fece avanti un giovane, si trattava di un sovrano di una tribù pagana, probabilmente di origine celta o nordica. La sua fama era enorme e tutti lo rispettavano, si diceva che perfino gli dei lo temessero in battaglia. Era famoso soprattuto per aver sconfitto e sottomesso tutte le altre tribù barbare della regione.
Lui andò dalla strega, e sebbene l'aspetto di quella vecchia fosse ributtante e la sua pelle puzzasse di cadavere, la omaggiò con sacrifici degni di una dea e le dedicò poesie e serenate d'amore. Giunse perfino a baciarla. Ma un giorno la strega gli disse: "Se davvero mi ami tanto, fammi dono del bel viso di tua figlia, la donna più desiderata della tua tribù. Allora il regno di Medhelan sarà tuo e regnerai su queste terre per sempre." Udendo quelle parole, il fiero guerriero rabbrividì e rifiutò seccamente, inorridito dalla richiesta di quella megera.
Allora la Strega lo maledisse e gli cavò gli occhi e la lingua e lo ridusse a un povero cieco balbuziente costretto ad elemosinare per vivere. La figlia di quel capotribù morì pochi anni dopo, di malattia. In seguito, passarono altri anni prima che qualcuno si presentasse dalla strega, e dopo più qualche secolo, quando ormai le antiche usanze erano state dimenticate e gli dei erano stati soppiantati dal cristianesimo, un altro giovane si presentò dalla vecchia per chiederle il dominio della Lombardia. Si trattava di un cavaliere di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta. Anche lui si inginocchiò dinanzi alla strega e la ricoprì di lodi e di carezze, di baci e di doni provenienti dal lontano oriente. Ma la strega gli disse: "Se davvero mi ami tanto, fammi dono del bel viso di tua figlia, è davvero bella e tutti nel tuo castello la desiderano. Allora io ti farò signore di Milano, e questo regno sarà tuo per sempre." Ma il cavaliere, udite quelle parole, ne rimase scandalizzato e fuggì dalla strega. Ritornò il giorno dopo, assieme al sacerdote del suo villaggio, con l'intenzione di catturarla e metterla al rogo. La strega allora lo maledisse ed egli non poté più né parlare né vedere, inoltre per il resto dei suoi giorni non poté più nemmeno avvicinarsi all'ombra di una chiesa senza che la pelle gli bruciasse in maniera indicibile. Il prete invece fu ritrovato impiccato alla campana del suo stesso campanile, la sera dopo.
Passarono ancora gli anni, fino a che non si presentò un nobile davanti alla porta della strega.Con sé aveva portato la figlia, una ragazza bellissima che aveva già preso i voti per divenire suora.
Bussò, e  la strega gli aprì.
Lui la ricoprì di attenzioni e di lodi, facendola invaghire. Poi un giorno, tagliò la testa di sua figlia e ne fece dono alla strega, cosicché potesse indossarne il bel volto: era la ragazza più desiderata del suo dominio. Dopo aver fatto ciò, prese la strega in parte e le disse: "Mia signora, la vostra bellezza non ha paragoni in questo mondo, ma la vostra pelle è vecchia e stanca, lasciate che vi prepari un bagno." Fece portare i suoi figli al completo al cospetto della megera, e lì davanti li sgozzò, uno ad uno. Li dissanguò e con il loro sangue riempì una vasca per la strega, dopodiché la fece immergere e la sciacquò personalmente lavandola in ciò che restava dei suoi stessi figli. Finito il bagno, disse: "Ora siete perfetta, lavata e profumata. Ma avrete ancora freddo e fame, lasciate che ci pensi io."
Egli fece portare al cospetto della strega suo padre e sua madre, e li uccise.
Scorticò il padre, e con la sua pelle ne ricavò un vestito che fece indossare alla vecchia.Alla madre strappò di petto il cuore ancora palpitante e lo diede in pasto alla strega, che lo divorò con sommo piacere. Quella stessa notte, i due fecero l'amore e si dice che i morti si risvegliassero dalle tombe per unirsi in una oscena orgia tra cadaveri. La strega in cambio di tutto ciò consegnò infine allo spietato nobile il dominio eterno sul Ducato di Milano, giurandogli che nessuno, uomo o dio che fosse, sarebbe mai riuscito a strapparglielo, né da vivo né da morto."
Ettore tacque, sempre pensieroso, scrutando nel buio.
Sarà stato per l'atmosfera, il buio, la foresta e il vento freddo, ma a Michele erano cominciati a venire i brividi.
"Che storia, signore. E di chi si trattava, qual era il nome di quel nobile così figlio di puttana?"
"Ci son varie versioni della storia, a seconda dei clan e delle zone in cui è narrata. Ma ciò su cui quasi tutte concordano, è l'identità di quel nobile tanto crudele e tanto spietato."
Ettore si voltò a guardare Michele, i suoi occhi scintillavano nel buio come se avessero luce propria:
"La leggenda vuole che sia stato Gian Galeazzo Visconti a far innamorare la strega, e che sia per questo che anche da morto egli continui a regnare su Milano."
Michele tacque, poi deglutì lentamente.
Non gli piaceva più di tanto quella storia, non gli piaceva per niente.
Fece spallucce, poi ridendo per sdrammatizzare disse rivolto ad Ettore:
"Davvero una storiella interessante, signore, lo ammetto.Ora sono proprio curioso di incontrare questa famigerata strega."
"Forse presto la tua curiosità sarà soddisfatta, ragazzo."
Ettore si era fermato. Si trovavano ora in uno spiazzo totalmente privo di alberi. C'era solo un tronco caduto, disteso al centro di quella piccola radura spoglia.
"Portatemi la ragazza" disse Ettore.
Enrico gliela consegnò, ed Ettore la strinse a sè portandole le unghie alla gola.
"Sii lieta, piccola mortale. Il tuo sacrificio sarà utile alla nostra causa, morirai per la gloria di Caino."
Dopo aver pronunciato quelle parole, diede un forte strattone e le squarciò la gola con le unghie affilate.
Uno sprizzo di liquido rubino serpeggiò nell'aria, e la giovane rimase per qualche secondo in piedi, come stordita, mentre il sangue cominciava a scorrerle giù per il vestito e la gonna. Lo sguardo era vitreo, assente. Poi cadde a terra, e l'erba cominciò a tingersi di rosso.
Ettore allora con la mano sporca di sangue, tracciò un cerchio sul tronco caduto, poi parlò a voce alta:"Vecchia Madre, strega e custode degli spiriti di queste terre, ascoltaci! Sotto i venti di Imbolc noi, figli di Caino, siamo venuti  chiederti consiglio e aiuto. Ascoltaci, Signora di Medhelan, ascolta la preghiera di chi non ha ancora dimenticato le antiche usanze e le vecchie vie. Accoglici, noi che come te non ci piegammo all'Unico Dio e che per questo fummo maledetti sette volte.Chiediamo udienza."
Detto ciò Ettore tacque, ma per un bel pò non accadde nulla.
Poi, all'improvviso, una strana brezza cominciò a soffiare tra le fronde degli alberi poco più distanti.
Michele sapeva che ormai il suo corpo non morto poteva resistere anche alle temperature più estreme, compreso il congelamento, eppure quella brezza lo colpì come una morsa pungente di gelo, facendogli battere i denti dal freddo.
Una voce fece sobbalzare tutti i presenti, mettendoli in allerta. Tutti tranne Ettore, che non si scompose.
"Giuin, tegni coragg' a ciamà la stria de Milan. Se ghù de fà cusè?"
Nello stesso momento in cui la voce rauca e sinistra aveva parlato, una figura era comparsa davanti ad Ettore.
Michele non riusciva a capire bene di cosa trattasse, ma era quasi sicuro che si trattasse di un vero e proprio fantasma.
Poi si accorse che quello che stava guardando era una donna, magrissima, così magra da sembrare estremamente malnutrita o deforme. La pelle era grigia, pallida, come quella di un vero e proprio corpo morto, simile a quella degli altri vampiri, ma a differenza di questi ultimi sembrava proprio un cadavere in decomposizione, era tutta butterata e piena di  pustole e piaghe. Il volto era interamente coperto da dei capelli bianchissimi,lunghi fino alla vita. indossava una tunica bianca, simile a quella dei chierichetti o qualcosa del genere. Non sapeva come mai, ma la vista di quella donna magra gli faceva venire ancora più schifo della figura aliena del vescovo Voinescu.
Ettore si inginocchiò, poi fece segno agli altri di fare altrettanto.
"Inginocchiatevi, presto!"
Michele e gli altri, dopo un attimo di sgomento, si prostrarono a terra come Ettore.
La figura si era mossa, lentamente, abbassandosi sul corpo della ragazza appena uccisa.
"Pora tusa. Però l'è na bela tusa."
Michele vide la strega avventarsi sopra la gola della malcapitata, e poi udì un suono familiare, il rumore di carne umana che viene squarciata.
"Bela e bona."
La donna aveva cominciato poi ad armeggiare con la testa della ragazza, e Michele sentiva  il rumore di altra pelle che veniva strappata a forza dal corpo della ragazza.
Poi finalmente la vecchia si alzò, e Michele con un lieve conato di disgusto poté finalmente vederle il volto, ma non si trattava del suo volto,  bensì di quello della ragazza appena uccisa. Michele poteva riconoscere perfettamente i tratti, il naso alla francese e il mento gentile, la pelle liscia e perfetta.Sopra quel corpo, però, l'effetto era tremendamente grottesco e gli occhi apparivano freddi e distanti, come due buchi neri. Sembrava, a tutti gli effetti, che quella vecchia strega avesse indossato una maschera simile a quelle delle tragedie greche o romane.
Poi la figura sollevò le braccia rivolte al cielo, e pronunciò delle parole che Michele non riuscì bene a sentire, o forse si trattava di una lingua a lui sconosciuta.
La brezza spirò di nuovo forte, facendolo rabbrividire un'altra volta.
La strega si rivolse a Ettore e gli parlò:
"Bene. Le ombrie giovani m 'insegnan el vostre parlà, piccoli bambini. Ora possiamo andare, tusi miei. Mi raccomando, Gussà l'occ che là fora ghè i lupi. Seguitemi, e non perdetemi di vista."
Michele non riusciva bene a capire tutte le parole pronunciate da quella vecchia, era come se parlasse a scatti, a volte comprensibili, a volte no.
Cominciarono a seguire quella anziana magra, ma non è che la cosa lo facesse impazzire. Anzi, cominciava ad avere un po' di paura. Cos'erano tutte quelle cazzate da magia nera? Chi era quella "cosa" e dove la stavano seguendo? C'era davvero da fidarsi a seguire quella vecchia pazza nel mezzo della foresta? Inoltre una parola la aveva capita bene, in mezzo a tutto quel cianciare sconclusionato della strega: lupi. Sperava vivamente di non incontrarne nemmeno uno, specie se si trattava dei lupi che lui aveva in mente.
Svoltando ad un angolo, dietro una folte siepe, arrivarono improvvisamente davanti a una casa. Non aveva nulla di particolare, anzi era del tutto anonima, quattro finestre, una veranda e un tetto, simile a quelle  villette di campagna che si vedono in Lombardia. Quello che non era assolutamente spiegabile era cosa ci facesse lì, in mezzo al nulla, lontanissima da strade e vie di comunicazioni.
Michele sapeva che la cosa non era molto plausibile, e gli puzzava non poco.
Le finestre erano chiuse, e dall'interno dell'abitazione non proveniva nessuna luce.
"Entrate, figlioli."
La porta si aprì da sola, una volta che la strega ebbe pronunciato quelle parole.
Sulla porta c'era un simbolo in rilievo. Avvicinandosi, Michele si rese conto che non si trattava di un fregio, ma di un vero e proprio teschio umano inchiodato al legno.
Non voleva entrare, e difatti rimase indietro, titubante, ma quando vide che anche Enrico e Gabriella varcavano la soglia, prese coraggio ed entrò anche lui.
Dentro faceva freddo, quel freddo pungente della brezza di prima, e il gelo perforava anche la sua pelle da non morto.
La stanza era totalmente vuota, non c'erano nemmeno una lampada o un mobile, ma solo un tavolo rotondo, di pietra, con sei sgabelli attorno, sempre di pietra.
C'era una luce opaca, fredda e aliena, grigia, ma Michele non sapeva dire da dove provenisse.
Enrico, che fino a quel momento era rimasto sempre in silenzio, parlò rivolto ad Ettore:
"Non mi piace qui, capo. Ci sono troppe voci. E gli spifferi. Ma soprattutto le voci, le sentite anche voi? Non la smettono di parlarmi, sanno che io li sento."
"Calma, figlio di Caino. Mantieni un comportamento adatto, siamo ospiti ora."
La strega sorrise e mise una mano avvizzita sulla fronte di Enrico:
"Por tusitt, piccolo bambino mio. Non preoccuparti delle voci, non ti faranno nulla."
Ma Enrico non parve calmarsi affatto, anzi, dopo che la vecchia lo ebbe toccato, schizzò via come un pazzo urlando, dimenandosi al suolo, come colpito da un dolore incredibile:
"Fateli smettere, vi prego!!! Loro mi parlano, ma non sono qui, lo so lo so! Sono andate via! Via! Lontano, e noi non potremo mai raggiungerle. Ma allora perché continuano a parlarmi, PERCHE'?Vecchia stolta, lasciaci andare. Non vogliamo verderle, le ombre!!!
SMETTERE!!!"
"Ora piantala, soldato!"
Pareva che nulla riuscisse a farlo stare calmo, nemmeno le minacce di Ettore. Dopo un minuto Enrico si mise in un angolino, ciondolando con la testa, lo sguardo assente perso nel vuoto.
Michele non lo aveva mai visto così agitato.
"Va tutto bene, ho detto agli Altri di lasciarlo stare. Ora sedetevi, piccoli fratellini miei."
Finalmente si sedettero, ed Ettore parlò rivolto alla strega:
"Madre, siamo qui per chiedere il vostro aiuto. Ma non siamo venuti a mani vuote."
Ettore fece segno a Gabriella e lei vuotò l'enorme sacco che si era portata dietro fino a quel momento. Le teste caddero sul tavolo, alcune rotolarono  sul pavimento.
La strega rimase in silenzio per qualche secondo, poi sorrise e accadde una cosa che fece accapponare la pelle a Michele.
Le teste cominciarono a muoversi una ad una. Sbattevano gli occhi, si dimenavano, aprivano e chiudevano la bocca proprio come se fossero ancora vive. Tutte assieme parlarono rivolte verso Gabriella:
"E' davvero un dono gradito e grazioso!"
Perfino Ettore strabuzzò gli occhi, e Akin si sistemò gli occhiali neri, sedendosi meglio sulla sedia.
"Potete pure chiedere ora, bambini miei. La Strega vi ascolta, cosa siete venuti a fare qui?"
"Abbiamo bisogno di trovare una persona, dama oscura. Un traditore, un verme che ha tradito noi e tutti i suoi compagni, consegnandoci ai nostri nemici. Le ombre e il sangue lo seguono ovunque vada, e molto probabilmente voi lo conoscete. Ve ne preghiamo, madre dei venti, chiedete ai vostri spiriti se lo hanno visto o sanno come trovarlo."
"Aaah, ora comprendo. Voi cercate un uomo, ormai morto ma ancora vivo, colui che un tempo è riuscito a rubarmi il cuore. Avete fatto bene a venire da me.Solo io posso trovare quel ragazzo, un vero discolo. Da giovani ci siamo divertiti, sapete? Lui sì che sapeva come trattare una damigella, una volta…"
Nessuno rispose a quell'ultima affermazione, ma a Michele parve che Ettore di nascosto avesse fatto una smorfia di disgusto, mentre la strega non lo fissava.
"Dato che mi avete omaggiato adeguatamente, io farò questo piccolo favore per voi. Ma devo richiamare i miei amici, sapete. Lo chiederò a loro, e di certo  troveranno chi cercate, ovunque si nasconda."
La luce si era abbassata, e la strega aveva chinato il capo, come se stesse meditando o concentrandosi.
La cosa non piaceva per nulla a Michele, e dietro di lui Enrico aveva ricominciato ad urlare.
"Signore, la prego, andiamocene via." aveva sussurrato al paladino.
"Non essere ridicolo, soldato. Mantieni un contegno adatto al titolo che porti."
Cercò con gli occhi lo sguardo di Gabriella, e vide che anche lei aveva stampato sul volto un'espressione allarmata.
"Non mi piace, signore, non mi piace per nulla questa cosa."
"Insomma, la vuoi piantare di…"
"SONO QUI! SILENZIO!"
Era stato Enrico a strillare, e Michele non fece in tempo a girarsi per vedere che cosa intendesse dire, perché fu costretto a stringere con tutte le sue forze il tavolo di pietra.
Qualcosa lo stava risucchiando, spingendolo lontano dal tavolo.
Era come se qualcuno avesse improvvisamente acceso un ventilatore gigante nella stanza, e la stanza stessa avesse cominciato a girare furiosamente.
Con la coda dell'occhio intravide Gabriella, i suoi capelli lunghi vorticavano nel vuoto, come scossi da raffiche di vento. Ettore digrignava i denti, tentando di rimanere il più possibile avvinghiato al tavolo.
Nella furia del vento gelido che ora li investiva, Michele riuscì a udire qualcosa.
Era come se delle voci, lontane e indistinte, urlassero, tentassero di dirgli qualcosa, ma quelle urla si perdevano in un caos generale, un vero e proprio pandemonio che squassava quella stanza, facendola tremare fin dalle fondamenta.
Con uno sforzo incredibile, riuscì a staccare gli occhi dal tavolo e sollevare lo sguardo per vedere cosa stesse facendo la Strega.
Questa aveva alzato lo sguardo, ed ora sembrava fosse in una specie di trance.
Parlava, le sue labbra si muovevano velocemente, sembrava una posseduta.
Poi accadde una cosa che Michele avrebbe rivisto per il resto dei suoi giorni nei suoi incubi: le teste, che dapprima si agitavano  inquiete sopra il tavolo, cominciarono a sollevarsi in aria, poi andarono a circondare la strega. Ora la megera era avvolta da un nugolo di teste che le vorticava attorno come fossero dei pianeti, e nel contempo quelle stesse teste di donna urlavano, con gli occhi strabuzzati, come se stessero per esplodere.
All'improvviso, la Strega ebbe come un sussulto e si alzò in piedi. Nello scatto però, la maschera della ragazza morta che aveva indossato le scivolò di dosso, e cadde sul tavolo. Allora Michele poté vedere finalmente il vero volto di quell'essere, e la cosa gli sconvolse interamente le budella, sentiva che stava per vomitare. Sotto il macabro trofeo della maschera della ragazza circondato dai capelli bianchi non vi era nessun volto, ma un vero e proprio teschio, quasi totalmente scarnificato. La pelle era presente solo ai bordi del volto, come una cornice, e nei fori oculari non vi erano degli  occhi, ma solo due buchi neri, nerissimi, più scuri del buio stesso. Dal fondo di quei pozzi neri brillava una luce lontanissima, un lumicino verde.
Sentì che anche gli altri, Enrico e Gabriella, si erano messi ad urlare, vide Akin che si copriva il volto con le mani ed Ettore che invece ringhiava alla vista di quel volto come una bestia feroce, con  sguardo assassino, mostrando le zanne.
Poi tutti subirono un tremendo scossone e furono costretti ad abbassare la testa, quasi cadendo dagli sgabelli. Sembrava fosse arrivato un  terremoto.
Quando Michele riaprì gli occhi, scoprì di essere seduto sull'erba fredda e umida della radura. La casa, la strega e le teste erano sparite, come se non fossero mai esistite.
Gli altri erano anche loro per terra, e si stavano rialzando, scuotendo la testa.
Akin lo aiutò a rimettersi in piedi, ma tremava anche lui.
Ettore era immobile, con un espressione indecifrabile dipinta sul volto.
Michele notò che stringeva qualcosa in mano, sembrava un pezzo di carta o una pergamena.
"Andiamocene da questo posto, mi mette i brividi."
Gli altri non se lo fecero ripetere due volte, e cominciarono a mettersi in cammino sulla strada del ritorno.

 






Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Vero Amore/Vera Schiavitù ***


Aveva litigato con Annamaria, e gli dispiaceva molto.
Ma che ci poteva fare?
La lite era scoppiata ieri sera, ma in realtà tra loro due le cose non andavano bene da quasi una settimana ormai. Grossomodo da quando la sua vita era andata a puttane e Nicola si era reso conto che ormai non era più nemmeno padrone dei suoi sentimenti.
Non facevano più l'amore la sera, e non riusciva a ricordarsi bene quand'era stata l'ultima volta che si erano baciati o anche solo guardati negli occhi. D'altronde ormai non era praticamente mai a casa,  aveva degli orari impossibili.
Rincasava sempre tardissimo, e capitava anche che dormisse fuori, nei posti più improbabili.
Riceveva ordini: in genere era sempre Lei, la sua nuova padrona, a chiamarlo. Un numero anonimo, o un messaggio da un numero sconosciuto sempre diverso. Certe volte si trattava semplicemente di portarla da una parte all'altra di Milano, in macchina. Poi doveva attendere e riportarla indietro a casa sua. Altre volte si trattava di consegnare qualcosa, dei pacchi o delle scatole chiuse, imballate, che Nicola non aveva mai osato aprire perché gli era stato espressamente proibito. Dal peso e dal rumore, comunque, sembrava si trattasse di armi o attrezzi molto pesanti, metallici, e la gente a cui gli era stato detto di consegnare il tutto aveva una faccia tutt'altro che raccomandabile, quindi non gli era sembrato il caso di fare domande. Tutto rigorosamente di notte. Di giorno dormiva, o almeno tentava di riposarsi. Aveva perso più di tre chili in meno di una settimana, era pallido, smunto, e gli occhi erano circondati da delle terribili occhiaie.
Lo avevano licenziato dal lavoro, così all'improvviso e senza alcuna apparente giustificazione. Il suo superiore gli aveva gentilmente intimato di non sporgere alcun reclamo o causare problemi al dipartimento "L'ordine arriva dai piani alti, è sospeso a tempo indeterminato per alcuni accertamenti sulla sua carriera". Nicola non aveva idea di cosa diavolo potesse significare tutto ciò, ma poteva ben immaginare da che "piani alti" potesse arrivare l'ordine.
Pensavano a tutto Loro, anzi Lei. Lei gli consegnava dei soldi, e non si trattava certo di somme basse. In una sola settimana Nicola aveva guadagnato ben più di quello che un capo ispettore anziano si potesse aspettare a fine mese.
I soldi non sembravano un problema, per Lei. Ma a Nicola importava poco dei soldi. Specie dopo la litigata di ieri sera.
"Insomma, mi vuoi dire che cosa sta succedendo?"
"Non capisco a cosa tu ti riferisca."
"Ah no? Perché non mi dici cosa ti sta succedendo? Quando la pianterai di raccontarmi balle?"
"Insomma Anna… Lo sai che lavoro e sono stanco, è un periodo difficile."
"Lavoro, dici?"
"Sì… A questo proposito, volevo dirti che forse anche stanotte farò tardi…"
"Piantala di raccontarmi stronzate."
Annamaria lo fissò con le lacrime agli occhi.Aveva sbattuto a terra il piatto che stava finendo di sciacquare nel lavandino.I cocci si erano sparsi ovunque, fin sotto la tavola.
"Smettila, smettila ti prego! Non ce la faccio più a sentire tutte queste bugie."
Era rimasta a fissarlo in silenzio.
"Perché non mi vuoi parlare? Che cosa ti sta succedendo? Che ne è del Nicola che conoscevo, che eri fino a una settimana fa?"
"Non capisco, io sono sempre lo stesso, lo sai."
"Smettila, ti prego. Dimmelo almeno. Dimmelo che hai un'altra."
"Come ti vengono in mente certe cose?"
"Credi che io sia scema, per caso? Lo pensi sul serio?"
"Cosa…"
"Ho chiamato, al lavoro. Ho chiamato al tuo ufficio. So tutto. So che ti hanno licenziato."
"Io…"
"Che cosa combini, la sera? Perché torni tardi? In che cosa ti sei immischiato, per chi lavori ora?C'è una donna di mezzo?"
"E' complicato, è complicato…"
"Ti droghi? E' per questo che sei sempre così pallido ed esaurito?"
"No, no…Però non posso spiegarti tutto ora, ti prego capiscimi…"
"Capire? Cosa devo capire? Che è più di una settimana che tu nemmeno mi tocchi, nemmeno mi sfiori? Non facciamo più niente la sera, a letto. Mi sembra ci coricarmi con un estraneo, un estraneo in casa mia."
"Annamaria…Io ti amo. Lo sai."
"Sì, almeno questo è quello che dici."
Erano rimasti in silenzio per almeno un minuto, fissando il pavimento.
L'acqua del lavandino continuava a scorrere.
"Ha a che fare con l'incidente avvenuto al tuo capo ispettore? Malavita, per caso?"
"Questo non c'entra nulla, no. Come ti è venuto in mente che io abbia un'altra?"
"Ti ho sentito, sai, la notte. All'inizio ho fatto finta di niente, ma poi la cosa è diventata insopportabile."
Era scoppiata in singhiozzi. Nicola aveva provato ad abbracciarla, ma lei si era ritirata irrigidendosi.
"Stammi lontano, non mi toccare."
"Scusami." la sua reazione lo aveva lasciato basito.
"La notte all'inizio sussurravi, ti agitavi. Poi hai iniziato a parlare a voce alta. 'Padrona, vi prego usatemi. Sono vostro, sono il vostro schiavo. Ti amo, sono solo tuo padrona mia…' Così dicevi, nel sonno."
"Io… Non so che mi è preso. Ti… Ti posso spiegare…"
"No, non c'è nulla da spiegare.Da quanto va avanti questa storia? Chi è?"
"Non…"
"Come si chiama?"
"Io… Non te lo posso dire, almeno ora.Non so nemmeno io il suo nome."
"Ti rendi conto delle stronzate che dici?"
"Ti prego ascoltami se puoi…"
"Lo sto facendo, sei tu che non vuoi spiegarti."
Ma in fondo cosa poteva dirle? Lei si era spazientita, e non aveva più voluto sentir ragioni.
"Me ne vado. Fattene una ragione, e vedi di dare una regolata alla tua vita."
"Dove vai?"
"Dai miei, da un'amica, da qualcuno, non lo so! Basta che tu non mi stia più davanti agli occhi."
"Possiamo rivederci?"
"Solo se avrai delle spiegazioni convincenti da darmi, e ti deciderai a dirmi la verità."
Lei aveva sbattuto la porta, e quella sera stessa Nicola si era voluto recare dalla sua padrona.
Aveva notato un cambiamento nel suo atteggiamento, non era più così severa o gelida nei suoi confronti, anzi. I suoi modi erano più gentili ora, ed era arrivata addirittura ad accarezzarlo ogni tanto e a dargli qualche bacio sulla guancia. Non lo aveva più chiamato servo o schiavo.
Quella sera era andato da lei furioso, convinto a dirle finalmente in faccia che il loro rapporto, qualunque cosa fosse, doveva finire immediatamente, e che di quella faccenda non ne voleva più sapere.
Era salito al quinto piano dell'appartamento in centro dopo aver suonato il campanello. Lei gli aveva aperto la porta, e Nicola se la era ritrovata davanti in camicia da notte.
La sua figura era più che provocante, ma lui era così furioso che cacciò subito di mente tutti i pensieri che quel corpo formoso gli suscitava.
"Sono venuto qui a parlarti, per l'ultima volta. Io e te dobbiamo discutere, e adesso."
"Ma certo, caro. Siediti pure. Ti prendo qualcosa da bere."
"No, grazie sto pure in piedi e non disturbarti, non bevo nulla."
"Ne sei sicuro? Fa freddo fuori, vieni. Siediti e togliti il cappotto."
"Io…"
Lei gli aveva solo sfiorato la mano, fissandolo negli occhi, e senza nemmeno rendersene conto lui si era ritrovato seduto sul familiare divano in pelle della sua sala.
Gli aveva offerto un bicchiere di vetro, pieno fino all'orlo di un liquido rosso scuro, sembrava vino.
"Bevi."
Nicola non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, e riusciva a malapena a parlare.
"Sono qui…Per dirti…Che non possiamo più vederci…"
Mano a mano che lo sguardo si posava sul suo corpo, fissando ora i seni, ora le gambe, ora gli occhi di quella splendida donna, Nicola cominciava a perdere il filo dei suoi pensieri e gli riusciva sempre più difficile ricordarsi del perché si trovava lì.
"Io… Non voglio più…"
"Bevi, poi parleremo."
Lei gli appoggiò il bicchiere sulle labbra, e Nicola istintivamente inghiottì.
Il liquido bruciava, la sensazione era quella che Nicola ben ricordava, e immediatamente avvertì uno stordimento . Per qualche secondo non fu più in grado di distinguere i colori e le forme della stanza.
Quando riuscì a mettere a fuoco ciò che lo circondava, Nicola si accorse di essere sdraiato sul divano. Aveva la testa appoggiata sulle sue gambe.
Tutto sembrava così placido, tranquillo e inoffensivo, come ovattato.
"Ti vedo stanco, piccolo mio. Per stanotte forse è meglio che ti riposi qui con me. Che ne dici?"
"Sì…"
"Ecco, vedo che ci intendiamo ora. Ma tu prima volevi parlarmi, si trattava di qualcosa di importante?"
"No, no, niente di importante. Non ha importanza ormai."
"Molto bene. Ora vedi di rilassarti."
Lei cominciò ad accarezzargli i capelli, la sua mano non era fredda come al solito, ma calda, viva.
Poi gli diede un bacio in fronte.
"Sei stato bravo questa settimana, lo sai? Meriti qualcosa. Ti dirò il mio nome."
"Sì… Dimmi… Ditemi il vostro nome…"
"Mi chiamo Cecilia. Ricordati questo nome, perché tu sei mio."
"Sì… Cecilia."
"Bravo, così. Ora, ho saputo che tu e tua moglie avete litigato, e che è fuggita di casa. Mi dispiace molto."
"E' fuggita... se ne è andata."
"Mi è dispiaciuto molto, e volevo essere sicura che tu stessi bene."
"Io credo…"
"Lei non ti merita, piccolo mio. Tu meriti di meglio."
"Io merito di meglio."
"Esatto, ci sono io qui ora per te. Lei è andata, ma in fondo non è meglio così, per tutti e due?"
"E' meglio per tutti e due, in fondo…"
"Già. E poi lei non potrebbe mai darti quello che posso darti io."
"Voi… Voi mi potete dare…"
"Molte, molte cose Nicola. Lo vedrai molto presto, se deciderai di seguirmi. Se deciderai di venire con me. Se deciderai di servirmi."
"Sì…"
"Però voglio che tu sia convinto, in fondo si tratta di una scelta importante che devi essere tu a fare. Sei tu a dovermelo dire. Voglio che tu ne sia certo, fino in fondo. Voglio che sia tu a chiedermelo."
"Sì, io ne sono convinto, fino in fondo. Sono vostro, ve ne prego…"
"Molto bene allora, ora siediti."
Si era alzato, ancora mezzo stordito per le sensazioni di poco prima.
Lei ora era in piedi davanti a lui, e aveva appoggiato delicatamente  la gamba e il piede sopra la coscia di Nicola. Ora aveva la gamba vicinissima alla faccia, riusciva a intravedere i contorni perfetti e la lucentezza della sua pelle. Assieme a ciò, Nicola riuscì anche a intravedere, sotto la camicetta di pizzo, che non indossava le mutandine.
Lei aveva iniziato a sfregare il piede tra le sua cosce.
Si era sbottonata la camicetta.
Nicola vide due seni perfetti, sodi.
Poi Cecilia aveva fatto una cosa che in seguito Nicola avrebbe trovato aberrante, ma che al momento trovò invece irresistibile.
Lei prese dal tavolino di vetro un coltello, piccolo e affilato, e cominciò a incidersi uno dei seni. Tagliò buona parte della carne, e andò anche a sfregiare parte del capezzolo.
Dalla ferita cominciò a sgorgare del sangue.
"Prendilo."
Nicola si avventò sul seno con un impeto quasi animalesco, e iniziò a succhiare.
Sentiva il sangue scorrergli giù per la gola, e più ne mandava giù più sentiva di volerne ancora. Si fermò solo quando perse i sensi, e lo stordimento fu tale che la testa gli cadde sul divano.

Quando sì svegliò, Lei era già rivestita.
Aveva un mal di testa familiare, simile a quello dei doposbronza.
Nicola si tastò la bocca, era tutta sporca di sangue.
Lei era al telefono, parlava animatamente con qualcuno.

"Come sarebbe a dire?"
"…"
"Capisco, pure la scorta a quel bastardo. E va bene. Dove si trova il posto?"
"…"
"Va bene, ve lo mando subito. Attenderò istruzioni."
Lei lo guardò, con lo stesso sguardo glaciale con cui lo aveva fissato all'ospedale, la prima volta.
"Sei sveglio, finalmente. C'è bisogno di te, muoviti a darti una ripulita."
"Ma come, io…"
" Silenzio ora, deficiente. Ti riposerai dopo. Adesso andrai dove ti dirò, ed eseguirai gli ordini. Si tratta di una villa vicino al lago di Como."
"Io credevo… Cecilia…"
"Chi ti ha detto di rivolgerti a me in quel tono?Fallo un'altra volta e mi incazzo, idiota. Io per te sono la tua padrona, e nient'altro. Ora vedi di sbrigarti, ti aspettano."
Nicola ancora sconvolto e stordito per il sangue di prima e il suo improvviso cambio d'atteggiamento, quasi inciampando si mise in piedi e cominciò a rimettersi la giacca.
"Un'ultima cosa, prima che tu te ne vada. Vedi di non dire nulla a tua moglie, altrimenti quella troia è morta. Ci siamo capiti?"
Poi sbattè la porta e Nicola si ritrovò ancora confuso e stordito fuori dall'appartamento, al freddo.





















Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La casa dei mostri ***


Il posto in sè non era niente male.
L'unico problema erano i suoi inquietanti abitanti.
Si trattava di una villa in stile neoclassico, con tanto di statue in giardino, anche se in realtà a Nicola pareva esagerata per certi versi.
Chiunque avesse arredato tutte quelle stanze e curato il giardino, doveva avere veramente un gusto al limite del pacchiano.
I mobili di mogano, le scrivanie di marmo e le poltroncine in velluto rosso la facevano sembrare la casa di Tony Montana. La facciata invece era semplice e al contempo maestosa,  un portico con tanto di colonnato e ampie finestre dal secondo piano in poi.
La scalinata dava sul giardino, e tutta l'area era circondata da alberi.
Erano piuttosto lontani dal lago, anche se a volte lì in fondo, tra gli alberi, aveva visto il tipico scintillio delle acque colpite dal sole.
Gli erano stati presentati altri, lì, come lui.
Lo aveva intuito dalle loro facce che erano come lui.
Lo fissavano con uno sguardo interrogativo,dubbioso, e molti si vedeva chiaramente che non avevano la minima idea del perché si trovavano lì.Vide anche  Luca, seduto in disparte sulle sedie del portico. Saranno stati in tutto una dozzina.
Poi c'erano gli Altri.
Non occorreva che qualcuno gli dicesse di chi si trattava, capì dalla deferenza e dai modi di fare che quelli erano esattamente come la sua padrona.
Si trattava dei suoi padroni, e dei padroni di tutti quelli presenti lì. Erano Loro.
"Molto bene, signori. Immagino che molti di voi si stiano chiedendo perché vi abbiamo chiesto di venire fin qui, e cosa ci facciamo in questa villa da sogno."
Era stato un tipo strano a parlare. Nicola era sicuro che si trattasse di uno di "Loro", ma stranamente sembrava avere un aspetto più "umano" e dei modi di fare più comprensivi rispetto agli Altri lì presenti, e a dirla tutta, sembrava molto più gentile di Lei, di Cecilia.
Era vestito con un lungo impermeabile grigio-giallognolo, sgualcito e macchiato. Era leggermente curvo, e camminava con l'aiuto di una bastone scuro finemente intagliato, con una testa di cane argentea. I capelli erano sul castano chiaro quasi biondo, corti. Negli occhi grigi brillava una luce che Nicola avrebbe definito "vispa" e "furba". Sorrideva, mentre fissava gli astanti, Nicola compreso.
Aveva una cicatrice sul collo che arrivava fino al labbro inferiore, deformandogli la parte sinistra della bocca in un sorriso distorto. Nicola pensò che gli ricordava un pirata, aveva qualcosa che gli richiamava alla mente le figure e i personaggi di Salgari o Stevenson, una specie di Long John Silver.
"Il mio nome è Riccardo, Riccardo Brambilla. Chiamatemi pure "signor Riccardo". Pretendo rispetto, e in cambio vi darò il mio di rispetto, perché ho la massima fiducia in voi. Non occorre che mi facciate l'inchino o mi diate del "voi", come magari molti dei vostri superiori vi impongono" sorrise, ridacchiando un pò "ma esigo che ubbidiate ai miei ordini senza discutere. Un "sissignore" andrà più che bene. Non chiedetevi il perché degli ordini. Non fate domande. Vi assicuro che se seguirete le mie istruzioni ce ne torneremo tutti a casa felici, contenti e al sicuro." Sorrise ancora, guardandoli uno ad uno. Molti abbassarono lo sguardo.
"Ora, abbiamo fatto le presentazioni. I vostri nomi me li direte dopo. Se siamo qui, è per uno scopo ben preciso: i vostri, e i miei superiori, ci hanno affidato un incarico molto importante. La protezione di una persona, di un personaggio molto influente e assolutamente vitale per la nostra organizzazione. Vi basti sapere questo per ora. L'ingresso alle stanze private dal secondo al terzo piano è riservato solo agli ufficiali come me di rango superiore, non dovete ficcare il naso lì dentro per nessun motivo, a meno che non sia io ad ordinarvelo. I nostri ospiti non amano essere disturbati.  Fatelo, e lo farete a vostro rischio e pericolo."
Qualcuno nel gruppo deglutì, e a Nicola salirono dei brividi su per la schiena.
"Presto vi comunicheremo nel dettaglio i turni di guardia, la parola d'ordine e la lista di cose da fare. Per ora potete andare, ma non allontanatevi di troppo oltre la foresta. Siamo intesi?"
Risposero di sì, e poi l'assemblea si sciolse.



Erano passate due notti da quella serata "introduttiva".
A Nicola avevano assegnato un posto in un cottage vicino alla villa, tra gli alberi.
Non era male, anche se chiaramente non era all'altezza del resto delle stanze lussuose nell'edificio principale.
Aveva cominciato a familiarizzare con Luca, erano diventati quasi amici.
Luca sembrava sapere un sacco di cose su chi c'era dietro in realtà, ma non ne voleva parlare.
"Una cosa che ho imparato a mie spese, è questa: Non fare mai domande. Le risposte, se vogliono, te le daranno loro."
Al posto delle risposte avevano dato  loro delle armi. All'inizio Nicola era rimasto stupito dalla quantità di armi presenti in quella villa.
Fucili, pistole di vario calibro, perfino un mitra.
Lui aveva scelto una desert eagle in perfette condizioni. Era di un calibro maggiore rispetto alla sua solita Beretta di ordinanza, ma non appena la impugnò Nicola riconobbe tra sè e sè che si sentiva forte con quell'arma in mano.

C'erano vari tizi, piuttosto sinistri, che giravano in quell'edificio.
Ovviamente i più spaventosi comparivano rigorosamente la sera, di giorno non uscivano mai dai piani superiori, e le finestre erano sempre chiuse.
Uno di questi lo chiamavano "il macellaio". Aveva provato a chiedere in giro chi fosse e perché lo chiamassero così, ma nessuno glielo aveva saputo dire.
"Perché non glielo provi a chiedere?"
Non parlava quasi mai, ed effettivamente non sembrava un tipo a cui rivolgere domande indiscrete.
Quando proprio parlava, lo faceva a bassa voce, e sempre e solo con gli Altri, mai con Nicola o i suoi compagni.
Era un vero e proprio toro, alto e nerboruto.
La faccia somigliava a un qualche tipo di cane, ed era schiacciata come quella di certi pugili. I capelli rossi lunghi lo avvolgevano come una criniera leonina, e indossava un impermeabile che perfino il nonno di Nicola avrebbe trovato fuori moda. Non sembrava particolarmente felice di essere lì,  quando fissava qualcuno sembrava lo volesse spolpare.
Era sempre seguito a ruota da un altro tipo, bassetto, pelato e con una bruttissima cicatrice sul volto.
Lo chiamavano "il colonnello". Nicola non chiese il perché del nome, gli sembrava una cosa stupida. Comunque non sembrava per nulla più chiacchierone del suo compagno, e aveva anche lui un'aria tutt'altro che affidabile.
Quando il colonnello e il macellaio passavano, calava un aura di gelo e silenzio tra loro, anche mentre stavano fumando.
Aveva ripreso anche lui a fumare. Un po' per socializzare, un po' per lo stress.
Non riusciva a credere di non essere ancora crollato, eppure era lì. Ed obbediva pure agli ordini.
Gli sembrava di esser tornato ai tempi dell'Accademia militare.
Una sera era anche arrivata Lei. La sua padrona.
Era arrivata tardi, verso le due, accompagnata in macchina da uno sconosciuto. Un tipo che fu presentato agli altri come Massimo. Vestiva di grigio elegante, un completo gessato e un impermeabile, e aveva lunghissimi capelli biondi, quasi bianchi. Gli ricordava il cattivo di un film di Harry Potter, un mago coi capelli chiarissimi lunghi.
Lei non lo aveva nemmeno degnato di uno sguardo, e si era diretta assieme al bel tomo nelle stanze dei piani superiori.
Quello che in genere parlava dando ordini secchi non era Riccardo, che girava sempre di fretta ballonzolando e salutando sempre tutti con un "come va?", ma un altro tipo, un certo Serafino.
Non gli piaceva molto, sembrava stesse lì solo perché era un qualche tipo di raccomandato. Gli dava l'impressione di una persona viscida e untuosa. Vestiva sempre in abiti eleganti, gilet e scarpe da ballo.
Lì dentro comunque sembrava che anche tra gli Altri Serafino non godesse di una grande reputazione. Riccardo invece  proiettava un'aura di superiorità e autorità che Serafino poteva solo sognarsi.
Non sapeva bene perché, ma aveva come l'impressione che con Riccardo avrebbe potuto perfino parlare ed aprirsi.
La sua impressione venne confermata alla quinta notte in cui si trovava lì.

Era tardi, quasi le due. A Nicola era stato assegnato il turno notturno, doveva sorvegliare il perimetro dell'ingresso e del portico.
In realtà stava quasi per addormentarsi, intorpidito dal freddo. Riusciva a intravedere lontano, nel buio tra gli alberi, le luci delle sigarette degli altri che come
lui erano stati assegnati alla ronda della sera.
All'improvviso, Nicola aveva sentito un fruscio provenire da sopra un albero.
Poi un tonfo, e sotto la luce del portico comparve una figura. Da lontano Nicola non riusciva a inquadrarlo bene, doveva essere un uomo, coi capelli lunghi e un cappotto lungo di pelle.
"Ehi! Fermo!"
Aveva intimato a voce alta, anche se era piuttosto incerto. Come aveva fatto a sorpassare tutti i controlli e le guardie prima di lui?
L'altro comunque non sembrò dargli retta ed entrò tranquillamente dalla porta principale. Camminava velocemente.
Ma Nicola fu più veloce. Varcò la soglia ed entrò, con la pistola in mano.
"Fermo, non ti muovere."
L'altro si fermò, sul tappeto rosso, ma non volle voltarsi.
Qualcuno al piano di sopra stava suonando un pianoforte.
"Sì?"
la figura si voltò. Era un barbone. Un senzatetto, col volto incrostato di sporco, i capelli castani unti e bisunti e gli occhi arroossati, semichiusi. Sotto il cappotto non aveva nulla, era seminudo. Sul petto lercio pieno di macchie, compariva un enorme tatuaggio. Una specie di cerchio, una spirale nera, che si chiudeva su uno dei suoi capezzoli.
Nicola riusciva anche a sentirne la puzza. Una puzza che  gli ricordava quella dei cani, degli animali e delle feci.
C'era qualcosa però, in quegli occhi spenti, che a Nicola incuteva timore.
Innanzitutto il tipo non sembrava per nulla spaventato dalla pistola di Nicola, anzi, sorrise divertito quando la vide.
In secondo luogo, Nicola notò che quelli non erano per nulla gli occhi di un essere umano. Avevano dei contorni animaleschi, occhi di una qualche belva feroce, una tigre o un lupo.
Il barbone parlò di nuovo:
"Cercavi qualcosa?"
"Sì. Chi diavolo sei tu, come hai fatto ad entrare?"
"Chi sono io non ti interessa. Sono qui per parlare con Gian Galeazzo. Mi stanno aspettando"
"Come sarebbe? Chi è questo Gian Galeazzo? E tu, vuoi dirmi il tuo nome?"
"Il mio nome…"
la figura avanzò senza timore verso la canna della pistola,  poi, con calma, la afferrò dalle mani di Nicola e se la appoggiò sulla fronte
"Te lo posso dire, ma poi dovrei ucciderti, piccolino."
"C-Cosa? G-guarda che dico sul serio!"
Nicola era piuttosto agitato e sconcertato dal comportamento di quell'uomo, e soprattutto dal fatto che non sembrava per nulla sconvolto dall'avere una canna di una desert eagle puntata alla testa. Ora che gli era vicino, riusciva a sentire interamente il suo puzzo. Sembrava un misto tra odore di cane e uova marce, sudore e cibo avariato.
Poi accadde una cosa che fece accapponare la pelle al giovane ispettore.
Qualcosa sembrò contorcersi appena sotto la pelle dell'individuo, vicino l'occhio. Poi da sotto la palpebra dell'occhio sinistro spuntò un verme, che andò a coprire la pupilla del bulbo oculare. Era un verme viola scuro, piuttosto grosso.
A Nicola venne un conato di vomito. Il tizio aveva afferrato il verme e se lo era strappato dall'occhio, per poi mangiarlo. Lo stava masticando di gusto.
Proprio in quell'istante, Nicola udì una voce familiare alla sue spalle.
"Riposo, soldato."
Era stato Riccardo a parlare, e difatti voltandosi Nicola lo vide, zoppicante, avanzare verso di loro.
"E' con noi, può passare. Lui è un nostro alleato."
"Ah. Molto bene, agli ordini signore."
Nicola  abbassò l'arma e fece un lieve inchino.
"Mi scusi, signore,."
"Tranquillo, figliolo."
Era stato il barbone a parlare, prima di deglutire ciò che aveva in bocca.
"Normalmente, sai, ti avrei ucciso. Ma stanotte sono di buon umore, e poi ho già cenato."
Il tipo trasandato fissò Nicola negli occhi, e Nicola non poté fare a meno di sobbalzare. Aveva già visto quelli occhi gialli, nei documentari, nei film dell'orrore e  nei suoi incubi a volte. Ne era certo. Quelli erano gli occhi di un lupo, un vero e proprio animale, gli occhi di un mostro. Di certo non gli occhi di un essere umano.
"Bene, puoi andare direi. Ti sta aspettando di sopra." Disse Riccardo, con aria piuttosto seccata.
"Sì, me ne vado, è meglio."
Il barbone animalesco diede una manata sulla spalla a Nicola (che cadde quasi per terra) e poi cominciò a salire la scalinata di marmo.
Nicola vide che sul tappeto rosso dove prima era passato quel misterioso tipo ora era pieno di quei vermi viola, si dimenavano sul tappeto.
"Accidenti, ma tu guarda che porcheria. Dirò di farlo lavare, dopo."
Riccardo pensieroso si grattò la testa con il bastone, poi si rivolse ancora a Nicola.
"Ti vedo scosso, ragazzo."
"Mi perdoni, signore."
"Non c'e nulla di cui devi scusarti. Hai fatto il tuo dovere. Perché non vieni di là e non beviamo qualcosa assieme?"
"Come?Io… Certo, certo con molto piacere signore!"
Nicola aveva sorriso, sollevato. Era la prima volta dopo più di una settimana che qualcuno gli faceva un complimento e lo trattava in modo gentile. Seguì Riccardo, sempre tenendo a mente però l'ultimo episodio avvenuto con la sua padrona.
"Vieni, sediti."
Ora si trovavano in una piccola saletta arredata con mobili e divanetti bianchi. Al muro erano appesi vari quadri che ritraevano scene marine di velieri e mari in tempesta.
"Bevi."
Aveva versato del rum (non del sangue, come constatò lieto Nicola) in un bicchiere.
Nicola prima di bere chiese
"Lei non favorisce, signore?"
"'Io? Oh no, ragazzo. Io ho sempre la mia scorta personale con me, e bevo solo quella." ridacchiando trasse di tasca una bottiglietta ripiena di un liquido rosso scuro che versò in un bicchiere.
"Alla salute!"
Bevvero, e poi Riccardo esclamò:
"Aaah, ci voleva. E' ancora caldo, una vera fortuna."
Nicola non capì bene il senso dell'ultima frase, anche se lo poteva intuire.
Poi stettero per qualche minuto in silenzio, sorseggiando dai bicchieri e guardando il fondo.
"Sai, a volte mi chiedo…"
"Che cosa, signore?"
"Mi domando come sia stare dall'altra parte della barricata. Sì, insomma, come vi sentite voi ragazzi lì fuori."
"In che senso?"
"E' passato molto tempo, ormai. Non mi ricordo più bene come era. Ricordo però che doveva essere frustrante. Sempre ubbidire agli ordini, mai discutere. Non capivo ancora in cosa era veramente incappato."
"Lo può dire, signore."
"E tu, cosa ne pensi ragazzo? A proposito, come ti chiami?"
"Nicola, signore. Nicola Manfrin. E sinceramente non so cosa pensare al riguardo signore."
"Veneto, eh?"
"Mio nonno era veneto, sissignore."
"Ti sarai pur fatto un'idea, figliolo. Da quanto tempo sei un ghoul?"
"Un cosa, signore?"
"Lascia perdere, non ha importanza. La tua padrona probabilmente non ti avrà spiegato un bel niente."
"Effettivamente, non ho nemmeno idea contro cosa stiamo combattendo o chi stiamo proteggendo, signore."
"Dannazione, non cambiano mai. Effettivamente, te ne devo dare atto, in genere i Fratelli non sono proprio creature altruiste e comprensive, specie nei confronti di voi mortali."
"Noi…Noi mortali signore?"
"Esatto."
"Ho già sentito da altri… Vi chiamate Fratelli tra di voi signore, dico bene?"
"Sì, anche se durante i secoli le definizioni sono variate ogni tanto, oggigiorno il termine che va per la maggiore è quello di Fratelli."
"Siete… Siete immortali, signore?"
"Sì. tecnicamente, sì."
"Ma io… Io  ho ucciso uno di voi giorni fa, signore."
"Lo immagino, in genere siete voi ad essere mandati in prima linea, di giorno. Sei stato terribilmente fortunato, ragazzo."
"Ma… Ma… Ci sono tante cose che non capisco, se mi permette. Che cosa fate, signore, qual è  il vostro obiettivo finale?"
"Il nostro obiettivo finale?"
Riccardo rise, poi bevve un altro sorso dalla sua bottiglietta
"Non c'è nessun obiettivo finale, figliolo.  Non nel senso che intendi tu, perlomeno.
Siamo qui, con voi, e vogliamo semplicemente sopravvivere. Da sempre. La lotta per la sopravvivenza è qualcosa che ci accomuna, accomuna i vivi come i morti. Per questo ci nascondiamo, e voi non sapete assolutamente nulla su di noi."
Nicola tacque, deglutì e poi prese coraggio:
"Voi… Voi siete vampiri, signore?"
"Diciamo di sì. Siamo stati noi a dar origine a quelle leggende, perlomeno."
"Cavoli." Non sapeva cosa dire, o chiedere.
"Sconvolgente, non è vero? Lo pensavo anche io, quando aprii finalmente gli occhi."
"Ma… Quanti siete, signore? Da quanto siete qui, e da dove venite?"
Nicola tacque, pensava di averla fatta grossa e di essere stato sgarbato a fare tutte quelle domande in una volta.
Riccardo invece parve divertito alle sue domande:
"Ti rivelerò un segreto, ragazzo, e vedi di ricordartelo bene: non esistono segreti. Non fidarti di quello che ti dicono i Fratelli, nemmeno di quelli che ti sembrano affidabili. Nessuna verità nascosta. Chi siamo? Da dove veniamo? Cosa c'è dopo la morte? La verità è che nessuno ne sa un cazzo, nè tra i vivi nè tra i morti. Da dove veniamo? Non ne ho idea. Perché esistiamo? E che ne so! So solo che prima ero vivo, adesso sono morto, e non morirò più."
"Credo di capire, signore… Quindi in fondo non siete tanto diversi dal resto dell'umanità."
"Insomma, non saprei se condividere o meno questa tua ultima affermazione. Abbiamo anche noi le nostre teorie, le nostre leggende e la nostra fede. Ma vedi, se vuoi un parere spassionato e fuori dai denti, la vita fa schifo anche da morti. Quello sì."
"Quindi in qualcosa credete, allora?"
"Io personalmente non credo in un bel niente, ragazzo. Dio, gli angeli, l'inferno? Caino? Tutte cazzate, se vuoi la mia opinione. Non credo che esista alcun dio, e se c'è, penso farebbe meglio a nascondersi."
"Come fate a dirlo, signore?"
"Eh?"
"Come fate a dire una cosa simile signore? Insomma… Immagino.. Posso dedurre che anche molte altre leggende che ho sentito da bambino siano vere, in fondo, o sbaglio? Streghe, spettri, vampiri, licantropi…"
"Non voglio farti fare le ore piccole, ma in generale hai ragione. Diciamo che esistono forze a questo mondo di cui voi non siete nemmeno al corrente, e che agiscono a vostra insaputa."
"E dunque perché Dio, gli angeli, i demoni non dovrebbero esistere? Dopotutto, sarebbe più che plausibile."
Riccardo sorrise, poi alzò la testa e rimase a fissare Nicola.
"Conoscevo un amico, una volta, che tentava di convertirmi con discorsi simili. Si trattava di un vampiro."
"E che fine ha fatto il vostro amico?"
"Morto. Lo hanno preso e bruciato sul rogo assieme ad una donna accusata di stregoneria."
Nicola tacque, aveva paura di aver toccato un'argomento che non avrebbe dovuto sfiorare.
Dopo un po' fu Riccardo stesso a rompere il silenzio.
"Sai, a volte mi chiedo anche io perché continuo a combattere questa stupida guerra." Il vampiro scostò il cappotto, e Nicola vide che metà della gamba destra era finta, si trattava di una protesi di qualche tipo." Poi mi ricordo del figlio di buona donna che mi ha fatto questo, e le domande e i brutti pensieri passano."
"Posso chiederle una cosa signore?"
"Certo, dimmi."
"Contro chi stiamo combattendo esattamente, signore?"
"Eh," Riccardo sospirò "non è certo una domanda facile. I nostri nemici sono ovunque, anche tra quelli della nostra razza. Interni ed esterni. Non tutte le forze di questo mondo amano noi Fratelli, compresi voi umani."
"Ma, per esempio, chi stiamo proteggendo da cosa?"
"E' una vicenda piuttosto complessa, e ripeto, non voglio farti fare le ore piccole. Diciamo che ci sono delle divisioni, anche tra di noi. E che i nostri nemici principali, nemici giurati, sono un gruppo di vampiri che si fa chiamare Sabbat. Quando senti parlare seriamente di questo nome, e sei certo che non si tratti di un qualche scherzo o di un mitomane della magia nera, vedi di alzare le chiappe e andartene alla svelta, perché quelli del Sabbat non scherzano."
"Chi sono, signore?Sono vampiri anche loro?"
"Non morti, e della peggior specie. incazzati col mondo e con sè stessi. Vedi, a noi le cose stanno bene così. Ci va bene nasconderci, far sì che voi non sappiate nulla. Tutelarvi, in un certo modo. Non fare l'errore di considerarci "buoni", perché non lo siamo, almeno non secondo i tuoi standard morali da piccolo mortale. Diciamo però che non siamo nemmeno i più bastardi, se vogliamo proprio metterla così."
"E chi sono i veri bastardi, signore?Questo… Sabbat?"
"Sono tipi disumani, cani sciolti e selvaggi che non hanno alcun rispetto delle regole che noi imponiamo per la salvaguardia di tutti, umani e Fratelli compresi. Gente crudele e sociopatica, che considera la tua e la mia esistenza al pari di quella di una formica, o di un giocattolo se vuoi. Amano depredare l'umanità terrorizzandola. Sono loro che probabilmente hanno dato origine a molte leggende urbane su vampiri e serial killer."
"E perché fanno così, signore?"
"Hanno scelto di abbracciare la bestia, gli impulsi più bassi e istintivi dei non morti. Dicono di farlo in nome di una santa causa,in nome di una non meglio specificata "libertà", ma la realtà è che si tratta di un branco di malati e deviati psicopatici del cazzo."
"Come è possibile che il mondo non lo sappia signore, che non sappia nè di voi nè di questo Sabbat?"
"La maggior parte non lo sa, figliolo, o lo sospetta al massimo. L'altra parte non lo vuole sapere. D'altronde pensaci seriamente, tu crederesti davvero a tutte queste cose, se non ci fossi in mezzo?"
"Effettivamente no, signore."
"C'è da dire anche che dietro c'è un durissimo lavoro da parte dei nostri agenti. Ti stupiresti di sapere quanto le vostre informazioni vengono vagliate e messe a tacere dai nostri contatti e alleati. E il Sabbat non è stupido, sa di non poter fare carneficine in giro per le città. Chi osa parlare, semplicemente viene considerato un pazzo dalla maggior parte delle persone, o, nei casi più gravi, viene messo a tacere."
"Dovete avere molta influenza, signore."
"Non puoi nemmeno immaginare quanta, ragazzo. Vedo che sei un tipo sveglio."
"Grazie."
"Bene,  direi che si è fatto tardi, Manfrin."
Riccardo si alzò, poi diede un'occhiata all'orologio.
"Devo scappare, probabilmente mi aspettano."
"Certo, signore. Grazie mille per la bevuta, signore."
"E di cosa, figliolo? Grazie a te che hai voluto far compagnia e stare a sentire i deliri di un povero vecchio, solo."
Qualcuno bussò alla porta.
"Avanti."
Era il colonnello, la sua brutta faccia fece capolino dall'uscio.
"Generale, è arrivato il carico da lei richiesto."
"Molto bene. Spero sia più vecchia dell'altra volta."
"Certo, abbiamo controllato. Non dovrebbe avere meno di sessant' anni."
"Perfetto, perfetto.Dopotutto, quello stagionato è il migliore. Fate preparare la stanza e i vestiti, voglio che tutto sia perfetto."
"Certo."
Nicola ascoltò quella conversazione con crescente timore e poi disgusto.
"Molto bene, Nicola Manfrin. E' stato un onore bere con voi. Ah, un ultima cosa."
"Mi dica, signore."
"Ti do un ultimo consiglio: quando vedi uno di noi, lascia perdere le pistole."
"Come, scusi?"
"Lascia perdere quei giocattoli: sui vivi potranno anche fare scena, ma per noi sono semplicemente inopportune. Meglio un buona spada affilata, o in alternativa un coltello. O meglio ancora, un paletto." Riccardo sorrise ancora e fece l'occhiolino a Nicola.
"Mira sempre al cuore, mi raccomando. Sempre al cuore. E' lì che ci fate più male, in tutti i sensi."
Poi il colonnello e Riccardo uscirono, e nella stanza calò il silenzio.















Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Caccia Grossa ***


"Finalmente ci siamo. Ferma qui."
"Ma manca ancora un sacco alla villa!!"
"Stupido, pensi che stiamo andando a fare una visita di cortesia? Ferma questo affare prima che vedano i fari."
Avevano rubato il furgoncino da un padre di famiglia, probabilmente: sul cruscotto era pieno di giocattoli.
Gli altri dietro avevano cominciato a fare casino.
"Silenzio! Dimostrate di essere degni guerrieri del Sabbat, quindi chiudete quelle cazzo di bocche."
Michele ridacchiò, tra sè e sè. Sapeva che ben pochi di quelli la dietro sarebbero sopravvissuti dopo quella notte, ma dopotutto quella era la regola della setta.
Abbraccio di massa, lo si faceva soprattutto in situazioni estreme come quella.
Era così che lui si era guadagnato il titolo di vero sabbat.
All'inizio, tutti erano carne da cannone.  Chi sopravviveva, portava a casa il titolo di vero sabbat oltre alla pellaccia.
A onor del vero, avevano pure speso del tempo ad addestrarli e far loro un bel lavaggio del cervello. Subito dopo l'abbraccio, li avevano malmenati e maltrattati, e costretti a combattere tra di loro per vedere chi erano i più tenaci.
Li avevano dominati e umiliati, e, specie dopo il "trattamento speciale" di Enrico, quei poveretti erano del tutto convinti di stare combattendo per la gloria di Caino in persona.
Nei loro sguardi si leggeva la gioia e la sete di potere tipica delle prime notti da non morti. A malapena comprendevano la grandezza del dono che era stato loro concesso, ma istintivamente sapevano di essere molto più forti e potenti di prima.
Erano una decina scarsa in tutto.
Probabilmente nemmeno un quarto di loro sarebbe sopravvissuto.
Erano stati tutti costretti, Ettore compreso, ad abbracciare almeno un candidato.
Lui e il resto del suo branco, Akin compreso, avevano fatto una scommessa.
Ciascuno aveva puntato su uno di quei disgraziati "dieci sacche di sangue che il mio sopravvive e riesce pure ad ammazzare un bastardo della Camarilla."
"Sfida accettata!"
Lui aveva puntato sul suo infante, un meccanico robusto anche se ormai prossimo al pensionamento. Lo aveva caricato per bene e gli aveva inculcato personalmente tutti gli insegnamenti del Sabbat.
Gabriella invece aveva voluto scommettere su di una donna, una veterinaria. L'abbraccio doveva averla sconvolta in qualche modo, perché ora se ne andava sempre in giro coi capelli tagliati e con i suoi bisturi in mano, strillando come una pazza. Era insopportabile.
Enrico invece aveva scommesso su un barbone che avevano raccattato in stazione centrale.Blaterava qualcosa riguardo il Signore che lo aveva chiamato e gli aveva detto di combattere, era totalmente fuori di melone anche lui.
Non invidiava di certo quei poveri bastardi.
"Il vescovo ed Ettore dovrebbero già essere qui. Ecco Ettore."
Scesero, e fecero scendere anche gli altri dal bagagliaio prendendoli un pò a calci.
La veterinaria si mise subito a strillare, ma Gabriella la stese con un cartone ben assestato.
"Zitta, cretina, non dobbiamo farci scoprire."
Ettore avanzò, era vestito in tenuta da guerra. Indossava un giubbotto antiproiettile e portava al fianco una spada.
"Molto bene, veri sabbat. Attaccheremo fra poco. Il tempo per Akin e gli altri di ispezionare il perimetro ed eliminare eventuali sentinelle. Vedete di tener buona la vostra mandria di cani indisciplinati."
"Sarà fatto, signore." rispose Enrico, mollando un calcio alla veterinaria.
"Ho sentito che all'ultimo minuto si sono uniti anche gli Adepti della Corruzione, oltre al branco di Giorgio."
"Sì. Sono stati raccomandati personalmente dal vescovo Voinescu in persona, ed erano molto eccitati all'idea di prender parte alla spedizione."
"Se posso permettermi, signore, credo sia stata una pessima idea."
"Perché dici questo, soldato?"
"Conosco Giorgio e i suoi ragazzi, i Cani Neri, sono gente a posto. Ma gli Adepti, quelli sono solo dei pasticcioni, signore. A loro interessa solo torturare, violentare e distruggere tutto ciò che incontrano.Non che ci sia niente di male, ma stasera dovremmo lavorare di fino senza combinare casini. Sono un branco di Lunatici e Tzimisce psicopatici veri e propri, spero non compromettano l'assalto."
"Non temere. Le "qualità speciali" degli Adepti saranno più che valide stanotte. Faranno tremare e piangere i nostri nemici."
"Lo spero, Signore."
Erano rimasti zitti, ora.
Dall'ombra degli alberi erano spuntate due figure.
Uno era Akin, teneva tra le mani una testa mozzata. L'altro era Giorgio, il ductus dei Cani Neri.
Avanzarono e Giorgio sorridendo si inchinò davanti a Ettore.
"Siamo qui, signore ai vostri ordini. Abbiamo ispezionato il perimetro, e trovato solo una sentinella ghoul" indicò la testa dell'uomo ucciso"evidentemente non si aspettano un assalto vero e proprio, sennò avrebbero messo una vigilanza molto più rigida."
"Molto bene. Ora andrò a definire i dettagli dell'assalto assieme a sua eccellenza Gabriele e il branco degli Adepti, e controllerò la situazione del loro territorio. Rimanete qui, in attesa di ordini. Per qualsiasi cosa contattatemi alla radio."
"Agli ordini, signore."
Ettore e Gabriele camminarono e furono inghiottiti dall'oscurità degli alberi, erano soli ora, Michele, il suo branco, Akin e Giorgio.
"Bèh, è da un pò che non ci si vede Michele."
"Puoi dirlo forte, brutto bastardo."
MIchele diede una pacca sulla spalla a Giorgio, che sorridendo ricambiò.
"Allora, come te la passi?Ho sentito che sei diventato ductus, ora!"
"Diciamo che è una cosa ancora da definire…"
Gabriella si era intromessa, fissando con sguardo glaciale Michele.
Giorgio la fissò, poi diede un fischio, di quello rivolto tipicamente alle donne piacenti.
"Bellezza, permettimi di baciarti la mano. E' da tanto che non vedo anche te."
"Tu invece sei veramente conciato male. Dove credevi andassimo, a una festa in maschera?"
Effettivamente il look di Giorgio ricordava quello dei pirati: era vestito con stivali neri militari, pantaloni grigi, una fascia nera sopra la cintura, bandana in testa e due enormi machete infilati nella cintura.
"Bèh, mi vesto così quando vado al'assalto per i quattro mari, tesoro."
"Dove sono  gli altri del tuo branco?"
"Stanno arrivando. Non stanno più nella pelle."
Akin improvvisamente fece loro segno di far silenzio.
"Che succede?"
Anche Gabriella si era messa in allerta, e Giorgio aveva estratto le lame dalla cintura.
Michele si scrutò attorno, aguzzando la vista. Erano circondati dagli alberi, e la luna in cielo illuminava un pò lo spiazzo in cui si trovavano, ma il resto era buio totale.
"Avete sentito?"
Era stato Enrico a parlare, col suo solito tono da spiritato. Aveva estratto il fucile.
"Sta arrivando.Sta arrivando."
"Di che stai parlando?" aveva chiesto Giorgio al Lunatico.
Michele aveva deciso di vederci chiaro. Concentrandosi, sentì il sangue scorrergli veloce attorno agli occhi, poi sulla fronte, e infine vicino le orecchie.
Il suo campo visivo si allargò enormemente, e i suoni attorno a lui si fecero più prorompenti, riusciva a sentire anche il rumore dei vestiti che sfregavano tra loro.
Era come se qualcuno avesse aumentato il volume e al contempo allargato lo schermo e la risoluzione di ciò che lo circondava.
"Ssssh. Lo sento."
"Cosa, senti?"
Giorgio era allarmato. Anche gli altri, la carne da cannone, avevano iniziato ad agitarsi.
Michele percepiva qualcosa, tra gli alberi.
Si muoveva velocissima, eppure era al contempo molto silenziosa.
Riusciva a sentirne anche l'odore.
Puzzava di marcio.
Enrico riprese a parlare, agitato.
"E' qui. Sta arrivando, oddio. Oddio. Fermatelo."
"Insomma, si può sapere che cazzo stai blaterando?"
"Il tuo branco è morto. Tu presto morirai. E queste sono solo le cicatrici che lascia sull'Arazzo! Come sarebbe incontrarne uno davvero? Oddio, è qui!!!!!""
Finalmente Michele capì, anche dall'odore, cosa era quella creatura che si stava avvicinando a loro.
"State indietro."
Aveva appena finito quella frase, quando la testa di una donna dai capelli biondi rotolò al centro dello spiazzo illuminato.
Non appena la vide, Giorgio esclamò:
"Jessica!"
La testa ebbe un sussulto e parlò a voce alta:
"Scappate!"
Poi si sbriciolò e rimase solo della cenere al suo posto.
Michele e gli altri non fecero nemmeno in tempo a voltarsi o dire alcunché, che dall'ombra degli alberi spuntò una figura.
Era gigante, alta di sicuro più di due metri.
Una massa oscura con due occhi che scintillavano nel buio.
Michele udì un ringhio, profondo, poi l'enorme ammasso di pelo e zanne li travolse in pieno.
Era stato scaraventato via, vedeva tutto attorno a lui girare vorticosamente.
Andò a schiantarsi contro un albero con la schiena, e rovinò al suolo.
Quando riuscì a rialzarsi, vide una scena raccapricciante.
Il mostro si trovava esattamente al centro dello spiazzo illuminato dalla luna: era un essere di almeno tre metri, coperto di pelo, la testa da lupo, furioso, sbavava e ringhiava come una furia.
Giorgio aveva iniziato a colpirlo, e Michele vide che i due enormi machete erano infilzati nel petto della bestia. Poi però il lupo aveva colpito Giorgio con una zampata, e il ductus era stato scaraventato via anche lui. Enrico aveva iniziato a sparare, colpendo il lupo alla testa. Sembrava avergli fatto qualcosa, il bestione ora era stordito. Gabriella invece lo aveva azzannato al braccio, gli si era avvinghiata e tentava di rimanergli aggrappata.
Akin era scomparso.
Michele non perse tempo a chiedersi dove fosse finito, richiamò a sè il sangue e, una volta estratti i coltelli che teneva sotto la camicia, si lanciò all'assalto.
Spiccò un balzo di quasi due metri, ed andò a colpire l'ammasso di muscoli e peluria alla gola.
Non fece nemmeno in tempo a rigirare la lama, che una terribile zampata lo stese nuovamente al suolo, e stavolta vide chiaramente che la sua gamba era stata squarciata. Faceva un male cane, bruciava da morire, e riusciva chiaramente a intravedere i contorni dell'osso.
"Merda."
Da terra riusciva a vedere gli altri combattere, e non sembrava se la passassero tanto meglio. Giorgio era senza un braccio. Il bestione gliel'aveva staccato con un morso, e lui per tutta risposta era andato a riprenderselo
"E' mio, brutto stronzo, hai capito? E' il mio braccio!!!"
Gabriella si era staccata dall'enorme braccio peloso ed ora tentava di graffiarlo a distanza, era tutta imbrattata di sangue.
Anche la carne da cannone si era mossa. Tre di loro erano rimasti lì, sconvolti, paralizzati dal terrore, mentre gli altri avevano iniziato a colpire il lupino con ciò che avevano, denti, bastoni, artigli e coltelli.
Ad un certo punto Michele vide una scena terrificante:
Il suo infante, quello su cui aveva puntato, era stato afferrato dal lupo, che lo aveva sollevato in aria.
In un attimo con un rumore agghiacciante, la belva aveva azzannato la gola del povero meccanico vampirizzato, e gli aveva staccato di netto la testa dal collo.
Del poveretto rimase solo un pò di cenere nell'aria, prima che il lupino decidesse la sua prossima vittima. La veterinaria, alla vista di quella scena, si era ritratta come tutti, poi però si era voltata e aveva tentato di fuggire, abbassando la guardia.
L'ammasso peloso allora la aveva colpita con una zampata, squarciandole la schiena. Un enorme sprizzo di sangue esplose a mezz'aria, poi la donna cadde al suolo e diventò cenere.
Fu allora che ricomparve Akin.
Era spuntato fuori dal nulla, sopra il bestione, teneva in mano uno dei suoi coltelli orientali. Lo colpì alla testa perforandogli il cranio tra sprizzi di sangue.
Il lupo allora lo afferrò, togliendoselo di dosso, e lo scagliò lontano nel buio.
"Cazzo, è davvero un mostro!"
Si era rialzato nuovamente, anche se la gamba gli faceva un male indicibile.
Era deciso a farlo a pezzi o essere fatto a pezzi, non gliene importava. Sapeva solo che voleva fargli un male cane.
Si mise proprio davanti al mostro, lo avevano circondato, lui, il branco, Akin e Giorgio. Gli altri, la carne da cannone, erano rimasti dietro di loro, terrorizzati.
Sembrava che fosse stanco. Respirava affannosamente, ed era interamente ricoperto di tagli e sangue.
Aveva ancora le lame di Giorgio conficcate nel petto.
"Ora, o mai più!"
Aveva gridato Michele, lanciandosi di nuovo all'attacco.
Sentì che i suoi coltelli squarciavano la carne del lupo, ma poi si rese conto che quello che stava colpendo era il suo braccio, mentre lui aveva mirato al cuore.
Poi tutto si fece confuso, stava lottando sull'erba con il mostro, e sentiva sopra di lui altre urla, Enrico, Gabriella, Giorgio. Non riusciva a vedere nulla, aveva la faccia immersa nel pelo lercio, l'odore gli dava la nausea.
Ad un certo punto un enorme fiotto di sangue lo investì, seguito da una nube di cenere.
Sentì il suo braccio che si spezzava, e quando finalmente riaprì gli occhi era steso sul terreno con il bestione sopra di lui.
Non riusciva a staccare gli occhi da quello sguardo terrificante, giallo, furioso.
Sentiva il suo fiato puzzolente alitargli sul volto, e con un conato di vomito si accorse che il mostro stava sbavando su di lui, ricoprendolo di bava. Poteva vedere perfettamente le sua fauci spalancate, la dentatura perfetta, letale, le zanne che da lì a qualche momento lo avrebbero sbranato facendolo a pezzi.
Poi udì un altro rumore familiare, quello di una lama che perfora un corpo.
Il lupo spalancò gli occhi, sconvolto, smettendo di fissarlo.
Il rumore si ripetè, prima, una, poi due, tre volte. Ad ogni colpo il lupo spalancava sempre di più gli occhi, poi cacciò un guaito terribile che lo assordò, accasciandosi sopra di lui. Era caldo, puzzolente ed umido, zuppo di sangue.
Non riusciva a scrollarselo di dosso, era pesantissimo.
"Una mano sarebbe gradita."
Aveva sussurrato, tutto dolorante.
"Volentieri."
Sopra di lui vide torreggiare i volti severi di Ettore e del vescovo Gabriele.
"Oh, eccellenza, non sapevo si trattasse di voi. Mi perdoni."
"Non devi preoccuparti, soldato. Chiunque abbia il fegato di andare corpo a corpo con un lupino merita tutta la mia stima e rispetto."
Lo aiutarono ad alzarsi, e Michele vide che il vescovo ed Ettore avevano le spade rosse dal sangue.
Giorgio in disparte teneva stretto a sè il suo braccio, ed aveva recuperato le lame.
Gabriella si leccava le ferite, letteralmente.
Enrico dondolava la testa in un angolo, lo sguardo assente.
Akin invece stava ripulendo il coltello.
"La prossima volta però, ricordati di avere sempre dell'argento con te."
mormorò il vescovo, asciugando la lama.
"Funziona sempre, quello."
Michele voltandosi a rimirare il corpo di quella lurida bestia, rimase stupito:
Al posto dell'enorme ammasso di peli, era rimasto sul terreno un uomo nudo, coi capelli lunghi, estremamente magro e sporco.Aveva una spirale tatuata sul petto.
Puzzava un sacco.
"Merda, pure i lupi ora."
Michele fissò quelli appena abbracciati.
Erano rimasti in cinque.
Il barbone di Enrico era ancora vivo. Forse avrebbe vinto lui la scommessa.
"E adesso che si fa, eccellenza?"
"Che si fa, figliolo? Procediamo chiaramente."
Michele si tastò, la ferita alla gamba continuava a sanguinare e gli faceva un male cane. Il braccio invece tra qualche minuto si sarebbe rimesso in sesto, riusciva già a sollevarlo.
"Ora come non mai abbiamo un motivo in più per fare a pezzi quel traditore di Gian Galeazzo."
"Avete ragione, eccellenza."
Gabriele si avvicinò ad Enrico.
"Ci saranno altre guardie, all'ingresso. Lascerò il compito a te e agli Adepti di occuparvene. Divertitevi pure, giocateci un po' se volete."
"Mi divertirò, sissignore. Farò loro vedere il mondo attraverso occhi nuovi."
Enrico si era come riscosso dal suo torpore di prima, ed ora sorrideva sfregandosi le mani.
"Tutto bene Giorgio?" chiese Michele al ductus in disparte.
"Sì, anche se ti dirò, preferirei che questo dannato braccio fosse ancora attaccato al suo proprietario."
"Non preoccuparti. Non vedo l'ora di incontrare quel figlio di puttana e fargli sputare tutti i denti, canini compresi."
Ettore battè la spada su un tronco, rivolgendosi agli altri:
"Andiamo, bando alle ciance. Alla gloria, figli del Sabbat!"
Il gruppetto ora decimato cominciò ad avviarsi attraverso gli alberi, diretti verso le luci distanti della villa.





Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La logica dei coccodrilli ***


Luca era contento del ruolo che gli era stato affidato.
In fondo in fondo sapeva di meritarselo.
Era anni che faceva quel lavoro, e lo faceva bene, lui serviva sempre bene i suoi padroni.
Riccardo gli aveva dato il controllo e la supervisione nientemeno che dell'ingresso principale, con tanto di scrivania in marmo, telefono e caffè.
Il suo padrone gli aveva da poco dato la sua dose di sangue, e si sentiva forte e riposato.
Assieme a lui, sedute sui divanetti, sonnecchiavano altre tre guardie.
In fondo in fondo, sapeva di disprezzarli.
Non erano come lui.
Quelle erano mezze calzette, reclutate lì per l'occasione, nient'altro.
Nemmeno sapevano qual era la posta in gioco, e contro cosa stavano combattendo.
Di certo se lo avessero saputo non avrebbero sonnecchiato così spudoratamente, abbassando la guardia.
Meno male che c'era lui lì, a supervisionare il tutto.

Fu proprio mentre faceva questo tipo di pensieri che si accorse che la sua pistola era improvvisamente diventata una banana. Bella, gialla e matura al punto giusto.
La cosa inizialmente lo lasciò perplesso, ma poi si dovette ricredere.
Effettivamente, non riusciva a trovare un motivo per il quale quella povera pistola non potesse decidere da sé cosa diventare o meno.
Più che altro era una scocciatura.
Cosa avrebbero detto i suoi padroni, vedendolo con una banana nella fondina?
Di certo lo avrebbero sgridato.
Cominciò a salirgli l'ansia.
Si guardò attorno, furtivo. Gli altri non sembravano essersi accorti di nulla.
Doveva nasconderla.
Fortuna volle che di lì passasse un tipo.
"Hei tu!"
Lo chiamò, e questo si voltò a guardarlo.
Era vestito come i gentiluomini di una volta, di quelli che ricordava di aver visto nei film. Cappello, sciarpa e cappotto scuro, sembrava un uomo d'affari, un tipo in gamba. Aveva due enormi occhi blu.
"La prego, mi scusi se la disturbo. Non potrebbe tenermi questa per un po'?"
L'altro lo fissò, inizialmente stupito dalla richiesta, poi acconsentì:
"Normalmente non mi occupo di cose di questo genere, ma se proprio devo aiutare un altro gentiluomo in difficoltà, volentieri."
Prese la banana e se la mise in tasca, borbottando.
"Grazie mille, non so come ringraziarla."
"Si figuri. Lei però ora farebbe meglio a rispondere al telefono."
"Come dice, prego?"
"Massì, il telefono. Non vede che sta squillando?"
"Uh, ha ragione mi scusi!"
Effettivamente il telefono aveva iniziato a squillare. Sembrava impaziente, Luca vide che la cornetta quasi si sollevava da sola, saltellando.
"Ah, i giovani d'oggi!" mormorò l'uomo d'affari, e poi cominciò ad andarsene dalla stanza, scuotendo la testa.
Luca sorrise, poi tirò su la cornetta.
"Pronto? Chi parla?"
"Sono io, scemo."
"Chi parla?"
"Sono io, te l'ho detto."
"Io chi?"
"Io, il telefono, moscardino!"
"Ah!"
"E' da un pò che non ci sentiamo, io e te. Ce ne hai messo di tempo a rispondere."
"Devi scusarmi, sono occupato sto lavorando. Cosa vuoi?"
"Sono stufo di starmene qui! Voglio andare un po' in giro, sgranchirmi la cornetta, non so se mi spiego."
"Come?"
"Massì, insomma! Viaggiare, scoprire cose nuove, vedere Montecarlo, Londra, Parigi! Il Louvre, l'Avenue de Champs Èlysèes!"
"Scusami, ma adesso sto lavorando, vedi di non disturbarmi più."
"No! Non riattaccare, idiota!"
Aveva messo giù, seccato, sbattendo la cornetta.
Figurarsi, lui e il telefono sulla torre Eiffel! Lo avrebbero ci certo preso per un pazzo, lo avrebbero licenziato!
Poi si rese conto di qualcosa. I pensieri, le voci cominciavano a bombardargli il cervello.
"Oh mio dio, cosa sto facendo? Cosa mi succede? Devo…Devo riprendere il controllo, sta succedendo qualcosa qui. Qualcuno mi aiuti, mi sembra di impazzire!!!"
Si tappò la bocca.
Diede un rapido sguardo agli altri, stavano sonnecchiando beatamente.
Solo uno di loro stava leggendo un giornale.
Sentiva il cuore esplodergli nel petto, e l'ansia lo paralizzava.
Respirava affannosamente.
Doveva calmarsi.
"Calmarmi, devo calmarmi e chiedere aiuto. Sta succedendo qualcosa, mi sta accadendo qualcosa. Ho bisogno di aiuto. Dai l'allarme, comportati razionalmente."
Fu allora che un pensiero lo colpì, lampante e inaspettato, ma luminoso come un astro di luce.
Che sciocco era stato!
Non aveva ancora considerato il punto di vista davvero importante.
La logica dei coccodrilli!
Che stupido, si era davvero comportato come uno stupido. Se lo avesse visto ora, l'uomo d'affari! Probabilmente si sarebbe fatto beffe di lui.
Forse lo avrebbero licenziato. Per fortuna che se ne era accorto in tempo.
Si mise a quattro zampe, immaginando cosa avrebbe fatto un coccodrillo nella sua situazione.
Gli vennero alla mente le immagini dei documentari e la voce di Piero Angela che parlava.
Innanzitutto avrebbe dovuto trovare un posto caldo e umido, al riparo da occhi indiscreti.
Poi avrebbe dovuto cercarsi una compagna e farle la guardia mentre deponeva le uova.
Si appiattì il più possibile al pavimento, e cominciò a strisciare a quattro zampe.
Doveva concentrarsi, forse le scaglie gli sarebbero ricresciute in poco tempo.
Chiuse gli occhi, e spremette le meningi con tutte le sue forze, ma l'unico risultato che ottenne fu mollare una pernacchia.
Pazienza, gli sarebbero cresciute prima o poi.
Si guardò attorno, annusando l'aria.
Gli altri si erano svegliati, finalmente, ma la cosa non gli importava.
Era un coccodrillo ormai.
Tentò di sbattere la coda, ma pure quella doveva ancora ricrescere.
Accidenti, era un disastro come coccodrillo!
Ma gli altri non sembravano cavarsela molto meglio.
Due di loro avevano iniziato a baciarsi, poi si erano sdraiati assieme sul divano.Che indecenza!
Il terzo invece era appeso al lampadario a testa in giù, e fischiettava un motivetto accattivante.
Forse avrebbe fatto carriera, un giorno.
Poi qualcosa lo interruppe.
Qualcuno lo aveva sollevato da terra, e lui aveva cominciato a dimenare le zampe.
Vide che si trattava dell'uomo d'affari, con gli occhi blu.
Solo che ora non era più vestito elegante, indossava una maglietta lercia dei led zeppelin e dei jeans strappati. Erano imbrattati di sangue.
Luca vide che in una mano stringeva la banana. Nell'altra aveva un fucile a canne mozze.
L'uomo gli parlò:
"Spero ti sia goduto il viaggio, tesoro della mamma. Però il biglietto è di sola andata."
Poi l'uomo distinto gli puntò il fucile alla tempia, e fece fuoco.
Allora Luca il coccodrillo non riuscì più a vedere nè sentire niente, perché a tutti gli effetti, Luca era morto stecchito.











Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sangue(1) ***


Da dietro la porta non proveniva alcun rumore.
Evidentemente li aspettavano a cannoni spianati.
Michele sorrise, lisciando per bene il coltello con la lingua.
Ci sarebbe stato da divertirsi.
Spalancò la porta con un calcio, e poi si gettò subito di lato.
Aveva percepito ancora prima di entrare il battito di almeno otto persone in quella stanza. Vive. Quello era il meno.
Il problema erano quelli che non emettevano alcun battito.
Ci sarebbe stato da divertirsi, sul serio.
Non appena lui e i suoi compagni entrarono, rotolando ciascuno su un angolo diverso della stanza, aveva già messo a fuoco il posto in cui si trovavano.
Un'ampia stanza, probabilmente un salone relax.
Sotto di lui sentiva il fruscio morbido di un tappeto.
Erano in otto. Non appena si era scansato, avevano cominciato a far fuoco.
Uno di loro aveva in mano un mitra, vomitava proiettili come una cazzo di contraerea.
Quelli avrebbero potuto far male anche a lui.
Si era messo dietro un divano.
Sentiva che i proiettili ormai lo stavano riducendo a un formaggio di groviera, e ad un certo punto avvertì un bruciore al braccio sinistro. Una pallottola lo aveva colpito di striscio.
"Ci siamo, tesorini."
Sentì il sangue scorrergli attraverso le gambe e poi inondargli le braccia. I muscoli stavano per esplodere.
Spiccò un balzo, era sollevato almeno di due o tre metri da terra.
Rise quando vide il volto dello stronzo col mitra in mano, giusto un secondo prima che i suoi pugnali lo trafiggessero al petto.
"Ah!"
riuscì solo a emettere un grido strozzato, poi il moretto vestito da pappone cominciò a sputare sangue mentre lui rimaneva inginocchiato a rigirargli le lame.
Avrebbe voluto tagliargli la gola e berne un po', ma un bastardo davanti a lui lo aveva preso di mira.
Sentì un colpo esplodergli vicino la testa.
"!Mi hai fatto male, troietta!"
La testa ora gli bruciava, sentiva che gli stava per spuntare un bernoccolo.
Si rialzò e mollò un ceffone alla bionda che gli aveva appena sparato.
Quella ruzzolò via sbattendo la testa su un tavolino, e non si rialzò.
Michele diede un occhio di sfuggita dietro di sè.
Gli altri se la stavano spassando, esattamente come lui.
Gabriella stava squarciando rumorosamente la gola di un tizio con la faccia stravolta, pistola in mano, paralizzato dal terrore.
Enrico stava dando del suo meglio con il fucile,  vide che mirava alle gambe di un tizio, fece fuoco e poi lo lasciò agonizzante al suolo a raccogliere i resti di ciò che rimaneva delle sua membra. Che bastardo. Gli piaceva vederli soffrire.
Akin… Beh, era scomparso.Come al suo solito.
La carne da cannone che si erano portati appresso aveva iniziato a seguire il buon esempio, si erano avventati su uno e lo stavano smembrando, prosciugando fino all'ultima goccia quel figlio di puttana. Si leccavano pure le dita, zuppe di sangue.
Principianti.
Proprio mentre si chiedeva che fine avessero fatto Ettore, il vescovo e Giorgio, un'altra porta a doppia anta di legno massiccio si spalancò, dall'altro lato della stanza.
Non entrò nessuno. Quella fu la cosa che più lo lasciò stranito.
Poi, quando vide l'enorme mannaia lunga almeno quanto il suo braccio sfiorargli la  fronte mentre si abbassava all'ultimo secondo, capì.
Erano arrivati i veri stronzi.
Fece una capriola all'indietro e tentò di mettere a fuoco chi aveva davanti.
Era un armadio, un muro d'uomo. Capelli rossi, faccia da culo e una mannaia gigantesca. E cosa ancor peggiore, era veloce almeno quanto lui.
Il gigante attaccò di nuovo, stavolta tentando di mozzargli una gamba che incautamente teneva in avanti.
Riuscì a malapena a scansarsi, poi tentò di contrattaccare, mirando alla faccia del bastardo con un affondo.
Lo mancò vistosamente, quello si era abbassato prima ancora che vibrasse il colpo, e lo aveva mandato gambe all'aria con una spallata.
Andò a schiantarsi contro un tavolo di vetro, mandandolo in mille pezzi.
Era veloce. Perfino più veloce di lui.
Fottutamente più veloce.
Sopra di lui, sentì Giorgio urlare.
"Non preoccuparti lo sistemo io lo stronzo!"
Lo vide che balzava superando sia lui che il tavolino di vetro in frantumi.
Aveva attaccato frontalmente il bestione rosso con il braccio buono, l'unico rimasto, e uno dei suoi machete. L'altro parò il colpo con la mannaia, arrancando.
"Ah no, questo lo sistemiamo assieme."
Si era rialzato, ed aveva iniziato ad attaccare anche lui.
La cosa che più lo sconvolgeva non erano tanto la potenza dei colpi di quell'ammasso di muscoli, quanto la sua velocità. Era rapidissimo, e mentre parava contemporaneamente i colpi suoi e di Giorgio, trovava pure il tempo di contrattaccare.
Poi ad un certo punto, vide Giorgio sputare sangue.
"Che cazzo ti prende?" riuscì a malapena a voltarsi un millesimo di secondo, per notare che un pugnale aveva raggiunto Giorgio alla gola.
"No!"
Avrebbe voluto capire da che parte provenisse il colpo, e chi li avesse attaccati ai fianchi, ma fu costretto a fare un balzo per evitare l'ennesimo attacco  del colosso armato di mannaia.
"Cazzo!!!"
Aveva lanciato uno dei suoi coltelli, mirando al volto.
L'altro riuscì però a scansarsi, la lama gli si conficcò solo nel braccio.
Michele riuscì a prendere distanza.
Era stremato, e sapeva che se fosse stato ancora vivo il suo cuore sarebbe stato sul punto di scoppiare, e il fiatone gli avrebbe fatto girare la testa.
Fu proprio quando il rosso sollevò la mannaia che vide una cosa enorme passargli accanto e colpire in pieno il suo avversario, spazzandolo via. Era una scrivania.
Si girò.
Era stata Gabriella, aveva la bocca imbrattata di sangue e gli occhi rossi fiammeggianti.
"Vedi di non farti ammazzare, cretino!"
Aveva ragione.
Doveva concentrarsi.
Michele vide che ne erano entrati altri, nella stanza.
Vide Enrico che stava tentando di colpire un tipo bassetto, pelato, armato di una katana in miniatura o qualcosa del genere.
L'altro però era più veloce, e schivava tutti i colpi di fucile.
Sentì un terribile frastuono davanti a sè e vide che la scrivania ora era in frantumi.
Il colosso dai capelli rossi era di nuovo in piedi, sulla faccia aveva un espressione più che eloquente.
"Forza, vieni da paparino."
Gli si era lanciato contro, e stavolta vide di non essere da solo.
Akin era ricomparso, come sempre alle spalle, e aveva colpito il gigante al cuore.
Michele vide scintillare la lama del pugnale dell'assassino mentre perforava il petto del rosso, e senza nemmeno dare il tempo a quello stronzo di reagire lo aveva trafitto alla gola con uno dei suoi coltelli.
Lui rimase paralizzato, per qualche secondo, poi si accasciò al suolo.
"Bel lavoro, Bin Laden."
Non aveva nemmeno fatto in tempo a congratularsi con l'Assamita, che qualcosa di invisibile lo sollevò da terra e lo scagliò dall'altra parte della stanza.
Ne erano arrivati altri.
Dal portone, erano in due. Una donna e un uomo.
L'uomo teneva le mani indirizzate verso Akin, e difatti vide che il cainita non riusciva più a muoversi, sgambettava impotente mentre una mano invisibile lo stritolava.
Dietro di lui, udì il rumore di una lama che cozzava e riuscì a intravedere con la coda dell'occhio che Gabriella era intenta a parare i colpi di un tipo in impermeabile armato di una spada sottile. Sembrava in difficoltà.
Fu allora che finalmente arrivarono gli altri.
Sentì dietro di sè la voce di Ettore urlare:
"Morte ai nemici del Sabbat!!!"
Quell'urlo gli diede nuova carica, e si lanciò all'assalto del tipo che aveva preso il controllo di Akin.
Proprio mentre stava per fargliela pagare, un fiotto di sangue gli riempì la gola e i polmoni.
Lo avevano colpito al petto.
Cadde stramazzando al suolo.
Quando riaprì gli occhi vide il tipo basso e pelato sorridere sopra di lui con i canini ben in vista. Aveva una cicatrice orribile in volto, e gli stava puntando un pugnale alla gola.
"E' finita, coglione."
"No!"
Sentì uno sprizzo di sangue investirgli il volto e poi un cumulo di cenere ricoprirgli il corpo. Qualcuno aveva mozzato di netto la testa del pelato.
"Tutto bene, vero sabbat?"
Era il vescovo Gabriele, sopra di lui. Sembrava un vero vichingo nel pieno della battaglia, il volto dipinto di sangue.
Stava per ringraziarlo, ma vide che all'improvviso la sua faccia aveva preso fuoco.
Letteralmente.
Era come se  qualcuno lo avesse colpito in pieno con un lanciafiamme.
"Aaaaaaagghhh!!!"
si era messo ad urlare, e  a battersi la faccia nel disperato tentativo di estinguere le fiamme, ma la sua testa ormai era un globo infuocato.
Michele vide che quel bastardo coi capelli lunghi ora era concentrato sul vescovo Gabriele, e mano a mano che agitava le mani le fiamme aumentavano.
Era una scena terrificante, lì davanti ai suoi occhi il vescovo stava venendo arso vivo.
"Lurido bastardo! Morirai con me!"
Aveva urlato così il vescovo, poi si era lanciato addosso al vampiro e lo aveva abbracciato.
L'altro aveva tentato di dimenarsi, ma era troppo tardi. Entrambi ora bruciavano emettendo urla assordanti, rotolando per terra.
Dopo un po' a terra erano rimasti dei vestiti bruciati e un cumulo di polvere grigia.
Michele si rialzò e vide che lì davanti era rimasta ad assistere la vampira, scioccata.
"Ma ciaooo…"
"No!"
Le aveva afferrato i capelli, e poi la aveva sbattuta al suolo.
"Ora morirai qui, puttana!"
"No!Pezzente!"
Lei tentò di afferrargli la testa e guardarlo negli occhi, poi urlò:
"Lasciami andare, subito!"
Nello stesso istante in cui la non morta aveva urlato quelle parole in tono autoritario, Michele aveva distolto lo sguardo continuandola a tenere ferma al suolo.
"Questi giochetti non funzionano con me, troia."
Michele tirò fuori dalla cintura altri due coltelli e li infilzò entrambi nei polsi della cainita, piantandola al suolo. Poi prese un pezzo di legno della scrivania in pezzi, e le trafisse il cuore.
Quella rimase lì, paralizzata a bocca aperta.
Era proprio carina.
Per sicurezza Michele le piantò altri due pugnali sulle braccia, in prossimità dei muscoli, e altri due alle gambe, bloccandola completamente. Era immersa in una bagno di sangue. Una gnocca da paura, vestita da segretaria, con tanto di seni enormi, occhiali e tacchi a spillo. Si fermò per un attimo a contemplarla.
Solo allora si rese conto che attorno a lui vi era il silenzio più totale.
La stanza era un cumulo di macerie, vi era puzza di fumo, carne bruciata e un fortissimo odore di sangue. Quelli della carne da cannone erano tutti morti.
Michele vide sparsi qua e là tre o quattro mucchietti di cenere e riconobbe i vestiti.
I ghoul erano tutti stecchiti, avevano gli occhi spenti e assenti.
Camminò per un po', e vide che Akin era morto, o perlomeno in torpore. Sembrava che qualcuno gli avesse slogato ogni articolazione e lo avesse ridotto a un burattino male assemblato.
Giorgio era crepato pure lui. La gola completamente squarciata e lo sguardo vitreo sul suo volto stava a testimoniare che quel non morto non si sarebbe più mosso per un bel pezzo.
Da dietro un divanetto ricoperto di sangue e crivellato dai proiettili, comparve Gabriella.
Non lo salutò con un suono o un'espressione umana, ma con un ringhio vero e proprio, da animale. Ea esausta, si trascinava a fatica a quattro zampe.
Michele vide che aveva la schiena ricoperta di lame infilzate e pezzi di legno acuminati. Sembrava un puntaspilli.
"Quei…Quei bastardi mi hanno fatto male."
Si era chinato e le stava togliendo tutta quella roba di dosso.
"Non preoccuparti, adesso ce ne andiamo."
Sentì un rumore dietro di lui, e voltandosi vide che si trattava di Enrico.
"Ciao ragazzi" sorrideva, beato. Accanto a lui c'era anche il barbone. Sembrava illeso.
"Cazzo, ma sei ancora vivo pure tu?Vieni a darmi una mano qui, è un macello."
"Sì, arrivo, un momento."
"dove diavolo sono finiti gli altri, Ettore, gli Adepti?Il vescovo?"
"Il vescovo è morto."
"Vorrei tanto sapere dove si trova Ettore. Nel casino ho perso di vista tutti."
"Io non lo so dove si trova Ettore. Ma so dove si trova lui."
A Michele venne quasi un colpo.
Enrico aveva indicato la porta, spalancata. Lì davanti, con una faccia a metà tra lo schifato e il divertito, vide Bruno. Era proprio lui.
"Bruno! Brutto stronzo!"
Si era rialzato, ma quello sghignazzando aveva preso a salire le scale.
Anche Gabriella si era rialzata, e saltellando aveva iniziato a rincorrere l'anziano.
Ridendo, Enrico si era messo a correre assieme a loro.
Salirono le scale di fretta, Michele era tutto un ammasso dolorante ma sentiva una furia  bruciargli da dentro le viscere che lo faceva andare avanti.
Quando arrivarono alla sala superiore, scoprirono che vi era un enorme stanzone, semibuio, con delle grandi finestre.
Sembrava una sala da ballo, non c'erano mobili.
Con circospezione, avevano iniziato a camminare timorosi scrutando nel buio.
La voce li fece quasi sobbalzare.
"Andatevene, non ho tempo da perdere con voi."
Michele per un attimo rimase in silenzio, poi replicò:
"Codardo, perché non vieni fuori e ci affronti? La facciamo finita una volta per tutte."
"Molto volentieri."
Qualcosa si era mosso nel buio e Michele, seguito da Gabriella, si era voltato in quella direzione, pronto allo scatto.
Si bloccarono quando videro che si trattava di un grosso ratto di fogna, che squittendo schizzò via.
Poi alle loro spalle udirono un rumore di vetri infranti.
Una delle finestre era stata rotta.
Un buco largo abbastanza perché un uomo vi potesse passare attraverso.
"Merda, ci ha giocati!"
Michele aveva bestemmiato, conficcando il pugnale sul legno del parquet.
"E adesso che si fa?"
Enrico sbuffò, grattandosi il sedere con il fucile.
"Non si fa un bel niente, non si fa. Ce ne torniamo a casa."
"Come scusa? E la missione?"
"Fanculo la missione. Il vescovo è morto, Bruno è scappato. Di sicuro anche Gian Galeazzo se ne è andato e scommetto  che anche Ettore se l'è svignata o è stato fatto a pezzi."
"Merda."
"Io sinceramente sono stufo."
E cosa intendi fare?" Gabriella si era sistemata un pò i capelli, sedendosi ad ascoltare Michele. Sembrava interessata.
"Io direi di andarcene da Milano. Questo posto è fottuto, ormai. Presto i sabbat verranno tutti fatti fuori. Ammettiamolo, la Camarilla ci ha presi per le palle. Non c'è speranza di vittoria."
"Hai ragione. Con Gian Galeazzo dalla loro poi…"
"Io dico di andare a Torino. O in Sicilia. Ho sentito che non se la passano tanto male da quelle parti, i sabbat."
"Ehi," li interruppe Enrico."Però una cosa c'è."
"Che cazzo intendi dire?"
"Ho vinto la scommessa!"
Il malkavian indicò tutto contento il barbone che li aveva seguiti fino lì. Sembrava terrorizzato, le gambe gli tremavano.
Michele sputò per terra.
"Cazzo! Pure questa adesso. E va bene, hai vinto."
"Yeeeee!!!" Enrico cominciò a saltare per la stanza e fare piroette.
"posso tenerlo con me, posso? Prometto che gli baderò io, gli darò da mangiare e lo vestirò…"
"E va bene, portatelo pure dietro quel derelitto. Tanto ormai, per quello che conta.."
"Allora ductus, qual'è la prossima mossa?"
Michele rimase interdetto per un attimo.
Era stata Gabriella a parlare. Sorrideva nel buio, anche se l'immagine era piuttosto agghiacciante.
Sorrise anche lui.
"Bèh, innanzitutto direi di andarcene da questo posto di merda il più velocemente possibile. Poi credo che sarebbe meglio progettare un piano per dare la caccia a quel bastardo di Bruno."
Staccò il pugnale dal pavimento e se lo rimise nella cintura.
"Dopotutto, prima o poi lo ritroveremo quel bastardo. E gli faremo vedere cosa significhi fare incazzare dei veri sabbat."

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Sangue(2) ***


Nicola si era svegliato di soprassalto.
Aveva sentito dei rumori provenire dalla villa, ma ora attorno a lui vi era solo il silenzio. Forse era stato solo un incubo.
Gli altri suoi compagni sonnecchiavano ancora.
Fuori brillava la luna attraverso la finestra della sua stanzetta, ma lui non si sentiva tranquillo.
Per sicurezza, decise di chiamare la sorveglianza dell'ingresso.
Era Luca di turno quella sera.
Il telefono squillò tre volte, poi sentì dall'altra parte della cornetta la voce familiare del suo compagno.
"Pronto?Chi parla?"
"Sono io, Nicola."
"Chi parla?"
"Sono Nicola, dai non fare lo scemo.Volevo sapere se andava tutto bene."
"Io chi?"
"Non mi senti bene? Ho detto che sono io Nicola, ti chiamo dalla camera."
"Ah!"
"Sì ecco, volevo solo sapere se era tutto a posto, o avevi bisogno di qualcosa."
"Devi scusarmi, sono occupato sto lavorando. Cosa vuoi?"
"Ti ho già detto, volevo solo…"
"Scusami, ma adesso sto lavorando vedi di non disturbarmi più."
"Ma io…"
Luca mise giù.
Nicola era piuttosto confuso e non sapeva bene cosa pensare.
Forse quel tamarro aveva alzato troppo il gomito e ci era andato pesante con la grappa dopocena.
Ma c'era qualcosa nel tono della voce di Luca, e nelle sue parole, qualcosa che lo inquietava. Come mai non lo aveva riconosciuto? E perché non gli aveva risposto in maniera sensata?
Poi un rumore in lontananza gli fece gelare il sangue nelle vene.
Stavolta ne era certo.
Era il rumore di uno sparo.
Senza perdersi d'animo, Nicola balzò giù dal letto e tolse la sicura alla pistola.
Non aveva bisogno di cambiarsi, dormiva in tuta da ginnastica. Indossò l'impermeabile e poi diede uno scossone agli altri due che ancora dormivano.
"Che c'è?"
"Ci attaccano, ecco che c'è!!!"
"Come dici??"
"Non c'è tempo, date l'allarme muovetevi!"
Gli altri due si erano riscossi anche loro ed avevano tirato fuori le armi.
"Ne sei sicuro?"
"Sì, al cento per cento. Ora muovetevi, alla villa presto!"
Si misero a correre a perdifiato verso le luci in lontananza.
Dopo più di venti metri circa, Nicola si fermò.
C'era qualcosa per terra, o meglio qualcuno.
"Oh, merda!"
Era Carlo, uno delle guardie. Ci aveva fumato assieme la sera prima.
Non occorreva tastargli il polso, aveva la gola completamente squarciata, era in un lago di sangue.
"Cazzo!!"
"Brutti bastardi!"
"Muoviamoci, è inutile stare qui. Saranno già dentro."
Ora erano tutti furiosi, lo vedeva nei loro occhi.
Non sapeva bene perché, forse in fondo stava cominciando ad affezionarsi a loro, sapeva che condivideva un fardello in comune.Sapeva che anche loro come lui dovevano ubbidire a dei padroni.
Erano arrivati. Il portone era chiuso, e le luci al piano terra erano spente. Brutto segno.
"Ok, adesso con calma..."
"Bastardi!!!"
Uno dei due, il più giovane, un ragazzo sulla ventina, aveva spalancato la porta con un calcio.
Dentro era semibuio.
Erano entrati, e Nicola maledicendo la loro impulsività li aveva seguiti.
La stanza era in penombra, la luce della luna passava dalle finestre.
Nicola vide che vicino alla scrivania in mogano c'era un corpo.
Era Luca. O meglio, quello che rimaneva di Luca.
La testa non c'era più, al suo posto vi era una pozza di sangue con i resti sfracellati delle cervella e del cranio.
Ma Nicola non fece in tempo a compiangere i resti del suo collega.
Li vide.
Non aveva mai visto nulla di simile, ma nella sua mente emerse a chiari caratteri una parola: "demoni".
Uno di loro era enorme, altro quasi tre metri, la pelle era chiarissima, pallida, bianca come l'avorio. Era seminudo, quel poco che aveva addosso erano stracci. Aveva due enormi corna che gli spuntavano sulla testa e vari spuntoni, come gli aculei di un riccio, che spuntavano dalla schiena e dalle braccia. Gli altri erano anche loro coronati di spine e spuntoni in fronte e sulla schiena, e sul volto di ognuno brillavano un paio di lucenti occhi rossi.
"Oh, oh mio Dio."
Uno degli altri aveva fatto fuoco.
Anche Nicola si era messo a sparare, così, istintivamente.
Ma le pallottole non sembravano avere alcun effetto su quei mostri.
Uno di loro, quello più alto e grosso, scoppiò a ridere.
"Divertenti. Venite, giochiamo assieme."
La voce era gelida, aliena, distaccata come quella di un robot.
Avevano sparato altri colpi, indietreggiando sempre di più.
Le pallottole sembravano rimbalzare sul corpo biancastro del colosso,  a malapena lo rallentavano.
Poi, con un balzo, l'abominio aveva afferrato uno dei suoi due compagni, Giovanni, e lo aveva perforato al petto con uno dei suoi artigli.
"Aaaah!!!"
Il sangue cominciò a sgorgare dal petto del poveretto sollevato a mezz'aria e Nicola sentì la paura paralizzargli ogni muscolo.
Con uno sforzo sovrumano si costrinse a muoversi e riuscì a mettere una gamba in avanti, prima un passo, poi un altro. Cominciò a correre.
Dietro di sè sentiva le urla del suo compagno e gli spari.
Poi ad un certo punto i colpi smisero e, dopo pochi istanti, anche le urla.
Non si voltò. Sapeva dove andare.
Il capanno degli attrezzi.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma avrebbe almeno dovuto provarci.
Proprio mentre tentava di aprire la pesante porta di legno incrostata, vide un pugnale conficcarsi a qualche centimetro dalla serratura.
Non era un pugnale, sembrava… Era un osso umano. Affilatissimo.
Si voltò e vide avanzare a passi lenti il colosso fatto d'ossa, perché ora riusciva  a vederlo bene al chiaro di luna, e capì che tutto quel candore e quegli spuntoni non erano altro che ossa umane, deformi e abnormi, ma comunque ossa.
"Non preoccuparti, entrerai a far parte della mia collezione. Vedrai, ci divertiremo un mondo."
"Nooo!!"
Con un calcio, riuscì finalmente a smuovere la porta, strappando l'impermeabile Nicola entrò dentro.
Era buio. Accese l'accendino, doveva sbrigarsi.
"Scappa, nasconditi pure. Altrimenti mi stufo subito e ti uccido."
La porta era andata in pezzi.
Ma a Nicola non importava: aveva trovato quello che gli interessava.
Un tanica di benzina, nascosta sotto il tavolo da falegnameria, tra i vari attrezzi.
Con le mani che gli tremavano, tolse il tappo e spruzzò il liquido addosso al mostro.
"Muori!"
Gli aveva scagliato contro l'accendino zippo acceso.
Tra sè e sè benedisse di aver ricominciato a fumare.
Il bestione aveva preso fuoco, le fiamme gli lambivano il braccio destro col quale si era riparato e parte del volto.
"Lurida vacca del cazzo, ti farò a pezzi vedrai!!" il mostro stava urlando, ma non riusciva più nè a vedere nè a muoversi bene. Era caduto in ginocchio sull'erba, fuori dal capanno, e si stava dimenando come un ossesso, in preda ad atroci dolori.
Poi Nicola vide a terra, inflizato in un pezzo della porta, l'osso di prima.
Allora gli vennero alla mente le parole di Riccardo.
"Mira al cuore".
Come preso da una furia improvvisa, afferrò l'osso affilato e lo tirò fuori dal legno.
L'osso si tinse di rosso.
Si era tagliato la mano nel farlo, ma non gli importava.
Gridando, si era avventato sul mostro bianco, e lo aveva colpito con tutte le sue forze, mirando dove supponeva si trovasse il cuore.
Sentì un rumore secco,come il suono di qualcosa che si spezzasse, poi l'osso sprofondò nel corpo del mostro.
"Oooohhh…"
L'essere aveva emesso una specie di sibilo prolungato e  si era accasciato del tutto al suolo.
Nicola invece dovette ritrarsi subito perché si era quasi ustionato, le fiamme avevano preso a lambirgli il cappotto.
Quando riuscì a spegnere il fuoco si sedette, ansimando.
Era esausto.
Davanti a lui, l'enorme corpo trafitto non si muoveva più, e a poco a poco il fuoco lo stava consumando.
Nicola vide chiaramente quel corpo sbriciolarsi, scoppiettando come un legno ardente mano a mano che le fiamme lo avvolgevano, fino a che dell'enorme mostro non rimasero che un mucchio di ceneri.
Sentiva il cuore scoppiargli in gola, e i muscoli tutti doloranti.
Ma era vivo.
Era vivo, cazzo.
E aveva appena fatto il culo a uno di quegli esseri… di quei… Mostri.
Si sentiva un eroe.
Come quelli delle leggende, spada alla mano, che andavano affrontando draghi in epiche battaglie. Aveva vinto.
La consapevolezza di poter reagire, di non essere più impotente davanti a quegli esseri lo colpì, e gli diede la forza di rialzarsi.
Doveva finire il lavoro.
Doveva vendicare i suoi compagni.
Ma la benzina era finita, stava bruciando sull'erba e la tanica ormai era quasi vuota, si era sparsa sul terreno.
L'accendino si era sciolto, bruciato assieme a quel mostro.
Sconfortato e piuttosto allarmato, Nicola vide che gli era rimasto soltanto un caricatore per la desert eagle.
Rientrò nel capanno degli attrezzi, cercando qualcosa che lo avrebbe aiutato a combattere quei bastardi.
Poi la vide, in un angolo. Enorme, grigia, scintillava nel buio, illuminata dalle fiamme di fuori.
La sollevò.
Era piuttosto pesante, ma ce l'avrebbe fatta a trasportarla fino alla villa.
Lo fece.
Si fermò solo quando fu davanti a una delle finestre.Guardò dentro e li vide.
Erano tutti chini sui corpi degli altri, nelle ombre.
Chini sui resti di Luca, di Giovanni.
Sapeva cosa stavano facendo, stavano banchettando sui corpi dei suoi compagni.
Con un altro impeto di rabbia, sollevò la pesante bombola del gas e la scagliò dentro la stanza.
I vetri della finestra andarono in mille pezzi e la bombola  rotolò fino al centro del tappeto.
Quelli alzarono gli occhi rossi, e lo scrutarono nel buio con uno  sguardo carico di odio.
Vide che avevano ancora le fauci lorde di sangue.
"Vedete di succhiare questo, bastardi!!!"
Non sapeva nemmeno lui perché si era messo ad urlare.
Mentre si gettava a terra, mirando con la pistola al contenitore di ferro, si rese conto che forse aveva commesso un errore.
L'esplosione avrebbe potuto ucciderlo, era troppo vicino.
Non gli passò tutta la vita davanti, come tutti dicono accada in momenti del genere.
Tutto quello che i suoi sensi percepirono fu lo sparo, aveva fatto fuoco.
Poi un lampo, accecante, e un dolore incredibile.Perse conoscenza.

Si svegliò parecchio tempo dopo, o almeno così gli sembrava.
In realtà potevano essere passati pochi minuti così come delle ore, non lo sapeva.
Sapeva solo che la testa gli girava in maniera incredibile.
Vide il cielo stellato sopra di sè, era ancora notte.
Le orecchie gli fischiavano.
Per qualche minuto non riuscì nemmeno a rialzarsi in piedi, si sentiva tutto dolorante e allo stremo delle forze.
Doveva concentrarsi.
Cominciò a tossire, i polmoni gli bruciavano. Doveva aver respirato un bel po' di fumo.
Dopo un po' di tentativi, riuscì finalmente a sedersi.
Si tastò e fu lieto di constatare che, a parte molti tagli superficiali e varie bruciature, non sembrava aver subito danni ingenti.
Era un miracolo.
Istintivamente, si fece il segno della croce.
Non si ricordava nemmeno una delle preghiere che gli avevano insegnato da bambino, eppure aveva anche fatto il chierichetto.
Si ricordò di sua nonna che gli insegnava le preghiere prima di andare a letto e gliele faceva ripetere.
Fece spallucce.
Il Padreterno, se davvero c'era, avrebbe capito.
"Giuro che se ne esco vivo ricomincio ad andare a messa."
Si rialzò, ma poi ricadde a terra: le gambe non sembravano voler collaborare.
Vide che aveva fatto un bel volo, si trovava ad almeno dieci metri di distanza dalla villa.
Dalle finestre del primo piano usciva del fumo e l'ingresso era del tutto distrutto, alcune colonne erano state spazzate via.
Riprovò ad alzarsi, e stavolta ci riuscì.
Camminava lentissimo, si sentiva un vecchio dolorante.
Ogni passo gli costava una fatica enorme. Sapeva che avrebbe potuto andarsene, anzi, che avrebbe dovuto farlo.
Ma non poteva, non ancora.
Lì dentro c'erano altri, altri suoi compagni. Forse avevano bisogno di lui. Forse erano ancora vivi.
Dalla villa proveniva un odore  di fumo e carne bruciata, era disgustoso.
Entrò nell'ingresso.
Le scale erano ridotte a un cumulo di macerie, si dovette quasi arrampicare.
Dentro era tutto invaso dal fumo e dal calore delle fiamme, non restava quasi nulla del tappeto. Si coprì il volto con un pezzo del suo impermeabile.
Non riusciva a vederci ma sapeva che era inutile controllare la stanza dove aveva fatto esplodere la bombola.
Salì al piano di sopra, anche se a gran fatica.
La porta era aperta, o meglio divelta.
Il fumo era meno intenso, e copriva solo il lato superiore della stanza.
Ciò che vide però lo lasciò sgomento.
La stanza era ridotta a un vero e proprio disastro, i mobili erano in pezzi, crivellati di proiettili o divelti, i divanetti ridotti a brandelli. A terra vi erano i corpi di molte persone, e tra di loro riconobbe anche il volto di molti dei suoi  compagni.
"Oh, no, merda…"
Sentì  un conato salirgli, ma lo ricacciò in gola.
Erano tutti morti. Vide che nella stanza c'erano anche degli sconosciuti. Vide il Macellaio, morto.
Erano tutti immersi in un bagno di sangue e budella.
Poi vide Lei.
Era vicino alla porta dall'altra parte della stanza.
Si avvicinò, incerto.
Era proprio Lei.
Aveva lo sguardo fisso, vitreo.
Qualcuno la aveva trafitta con dei pugnali.
Le lame la tenevano infilzata al suolo, inoltre Nicola vide che aveva anche un pezzo di legno conficcato nel petto, in corrispondenza del cuore.
Non sapeva come comportarsi.
In fondo in fondo al cuore sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa di molto simile alla rabbia, alla gioia della rivincita e della rivalsa.
Ma non riuscì a gioire.
Anzi, l'immagine di quella vampira, impalettata, crocifissa a terra, gli faceva pena.
Provava pena per quella creatura, così potente e crudele con lui, e così debole e indifesa adesso, immersa nel suo stesso sangue.
Le si avvicinò.
Con un sussulto, sentì che Cecilia gli stava parlando.
Era solo un sussurro, le sue labbra si muovevano a malapena.
Si avvicinò per sentire meglio.
"A…Aiuta…Aiutami…"
Non appena udì quelle parole, nuovamente provò quel sentimento di amore, o sudditanza, che in qualche modo quella donna era riuscito a imprimergli nel cuore.
Rimase fermo, paralizzato dalle contraddizioni e dai sentimenti contrastanti che crescevano dentro di lui.
Poi lei parlò di nuovo.
"Te…Te lo ordino…"
Quelle parole misero a tacere tutti gli altri pensieri, e Nicola sentì il suo cuore chiudersi in una morsa di crudeltà.
Sorrise.
"E se non lo facessi?"
Si era alzato in piedi, era sopra di lei.
"Come vedi, ora la situazione è piuttosto cambiata."
"C-c--c- come osi?"
"Oso eccome, credo che sia arrivato il momento di salutarci."
"Cosa?"
Nicola si abbassò, negli occhi aveva dipinta un'espressione selvaggia. Cominciò a leccare sul tappeto, lappando il sangue della sua padrona impotente. Non si fermò fino a quando quasi tutta la chiazza di liquido rosso non fu prosciugata.
Gli girò la testa e sentì nuovo vigore scorrergli nelle membra, e i dolori di prima erano del tutto spariti.
"C-cosa fai?"
"Niente, mi prendo semplicemente ciò che mi spetta."
"T-tu…"
Nicola vide che le fiamme avevano raggiunto anche il piano superiore. Le tende dell'ingresso stavano prendendo fuoco, presto anche quella stanza sarebbe stata invasa dalle fiamme.
Guardò giù, fuori dalla finestra in frantumi.
Era un balzo niente male, saranno stati almeno sei metri.
"I-idiota, io posso… posso salvarci… tutti e due…"
Si voltò a fissarla, gelido.
"Preferisco crepare piuttosto che continuare ad essere il tuo schiavo."
"Fermo! Io…" il corpo della sua padrona aveva avuto  un sussulto, e il sibilo della voce si era fatto più acuto "Io… Ti amo."
"Sì, certo. Questo almeno è quello che dici."
Aveva inspirato a fondo e poi si era gettato fuori dalla finestra, nel buio della notte, finalmente libero.











Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Faccia a Faccia ***



L'uomo correva senza voltarsi.
Evitava accuratamente le zone illuminate dalla luna, e balzava velocissimo immergendosi nelle penombre e nei fasci di buio proiettati dagli alberi.
Era uno strano spettacolo, l'abbigliamento dell'uomo non si addiceva certo ad una corsa rocambolesca come quella: giacca nera, camicia grigia, pantaloni eleganti e mocassini, ormai ricoperti di erba e fango.
Ad un certo punto  Gian Galeazzo si fermò di colpo, voltandosi a scrutare minaccioso il buio dietro di sè. Non vi era nessuno dietro di lui.
"Ora basta, fatti vedere."
Dopo che ebbe pronunciato quelle parole in tono autoritario, dalle ombre comparve un altro uomo. Era vestito di nero, con addosso un giubbotto antiproiettile e una spada sguainata in mano. Un occhio era bianco, cieco probabilmente.
"Sapevo che saresti arrivato, prima o poi."
Ettore avanzò con calma e si fermò a  circa due metri da Gian Galeazzo. Entrambi rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi per qualche secondo. Sul volto del paladino era dipinta un'espressione impassibile, mentre l'ex cardinale di Milano sorrideva divertito. Fu Gian Galeazzo a rompere il silenzio:
"Immagino tu sia qui per uccidermi."
"Immagini bene, sporco Giuda."
"Che parole grosse per un ragazzino. E' questo il modo di rivolgersi al tuo vecchio maestro? A colui che ti ha creato?"
"Non mi servono le parole." Ettore accarezzò il filo della sua spada.
"Fai attenzione però, giovane Ettore. Potresti scoprire che il tuo maestro ha ancora qualcosa da insegnarti." mentre pronunciava quelle parole, il corpo di Gian Galeazzo mutò. Le ombre attorno a lui si mossero ad avvolgerlo come se fossero vive, poi andarono a coprire interamente il suo volto, trasformandolo in un teschio nero senza fattezze. Dal torace e dall'addome spuntarono quattro tentacoli, grossi filamenti neri che si muovevano minacciosi nell'aria.
Ettore si lanciò all'attacco. Aveva mirato alla gola con un affondo a mezz'aria, ma Gian Galeazzo si era abbassato e lo aveva colpito al petto con i suoi filamenti ombrosi, sferzandolo e facendolo cadere a terra.
Mentre il suo infante si rialzava aveva sollevato le braccia al cielo e dall'ombra proiettata dall'albero dietro di lui erano spuntati altri cinque tentacoli scurissimi.
Ora quei tentacoli erano andati ad avvolgere Ettore stritolandolo in una morsa d'ombra. Il paladino era sollevato a mezz'aria dalle tenebre avvinghiate al suo corpo.
"Hai visto?"
"Non così!"
Ettore aveva urlato dimenandosi, poi Gian Galeazzo era stato costretto a scansarsi.
Altri tentacoli erano comparsi dalle ombre attorno a lui, e avevano tentato di avvolgere l'ex cardinale.
Il paladino con un urlo disumano si divincolò dalle ombre che lo stringevano, facendone a pezzi qualcuna con la sua spada.
Quelle ombre ora erano solide e, mentre la lama le trapassava, esplodevano dissolvendosi in un fumo nero e denso.
Quando i due combattenti tornarono a debita distanza, i tentacoli di ciascuno si mossero a difesa del proprio padrone, come in agguato, in attesa che l'altro facesse la sua mossa.
Chiunque avesse assistito a quelle scene di certo avrebbe creduto di essere precipitato in un incubo.
Tutte le ombre attorno a Ettore e Gian Galeazzo  si agitavano inquiete, distorcendosi e spostandosi di zona in zona, cosicché a volte si creavano chiazze  di oscurità dove invece avrebbe dovuto esserci luce,  con effetti ottici e giochi di luce impossibili secondo le normali leggi delle fisica. Ogni volta che uno dei due si muoveva, una porzione dell'oscurità circostante si muoveva  ad avvolgerlo, come un muro.
I tentacoli ora spuntavano ovunque vi fosse una penombra o un'ombra sul terreno, e si muovevano sferzando l'aria. A volte invece di tentare di attaccare il nemico, si colpivano e si stritolavano tra di loro, con suoni terribili, per poi esplodere in nubi di fumo nero.
In mezzo a tutto quel caos, i due combattenti lottavano ancora. Ettore tentava di colpire Gian Galeazzo con la spada, mirando sempre al petto o alla gola, mentre il suo sire era costretto a schivare e  poi contrattaccare con i tentacoli che spuntavano dal suo corpo. Entrambi ogni tanto dovevano separarsi e scansare all'ultimo minuto gli assalti delle tenebre attorno a loro.
Ad un certo punto Ettore mirò alle protuberanze scure sul petto di Gian Galeazzo tranciandole di netto, in uno sbuffo di fumo nero.
Il suo sire non cacciò nemmeno un urlo, ma fece un enorme salto indietro, atterrando tra le ombre.
"Basta così!"
I tentacoli erano scomparsi, e l'oscurità attorno a Gian Galeazzo tornò immobile.
Ettore fece altrettanto, pure continuando a rimanere in guardia con la spada in mano.
"Volevo solo farti una domanda, prima di darti la morte ultima."
"Un'ultima richiesta? Te la concedo, in fondo sei un mio allievo."
"Perché lo hai fatto?"
Gian Galeazzo tacque, poi dopo qualche istante rispose.
"Se mi fai questa domanda, evidentemente non hai appreso a pieno ciò che ti ho insegnato."
L'ex maestro scoppiò in una risata gelida, poi a poco a poco cominciò a sprofondare nel terreno. Attorno a lui si era creata una pozza di buio liquido ed ora lui si stava immergendo in quella massa oscura.
Ettore strinse la spada e si mise in guardia. Sul volto aveva dipinta un'espressione a metà tra il furioso e lo spaventato.
La voce di Gian Galeazzo risuonò attorno al paladino, come se provenisse da ogni angolo.
"Avanti, mostrami davvero chi sei. Mostrami l'allievo che io stesso ho forgiato."
Ettore sobbalzò.
La voce ora proveniva da dietro di lui.
Fece a malapena in tempo a gettarsi di lato,  Gian Galeazzo era rispuntato alle sua spalle emergendo dalla sua stessa ombra a fauci spalancate. Gli aveva graffiato la gamba con le  unghie.
"Attaccare alle spalle? E' la tua specialità, dopotutto."
"Mi giudichi male, Ettore."
Gian Galeazzo si rialzò in piedi. Ora scrutava serio il volto del suo infante.
"Pensi che io sia un vigliacco, non è così? Credi davvero che io abbia regnato per secoli su queste terre semplicemente scappando e nascondendomi? Ti sbagli di grosso, ragazzino. Ed ora te lo dimostrerò."
L'ex vescovo si strappò di dosso la giacca rivelando un petto pieno di cicatrici. Poi si concentrò, le vene del collo e della testa stavano per scoppiare.
"Ti consiglio di farmi davvero vedere ciò che sei, mostrami la tua anima. Altrimenti verrai divorato e basta."
Il corpo di Gian Galeazzo aveva ricominciato a mutare, la pelle diventava sempre più scura, mano a mano che le ombre la avvolgevano.
Ettore sorridendo gettò la spada a terra.
"Molto bene, maestro." Anche Ettore ora era concentrato e aveva chinato il volto a terra. Mano a mano che i secondi passavano, il corpo di Ettore si faceva via via più scuro e diafano. Poi entrambi i combattenti furono avvolti da una coltre di oscurità totale, e quando ne riemersero erano totalmente trasfigurati.
Gian Galeazzo ora si era dissolto e al posto suo si trovava uno scheletro, nero come l'ebano, avvolto da un fuoco di colore nero. Sopra il teschio vi era una corona. Ettore invece era diventato un'armatura ricoperta ombre, diafana, trasparente come uno spettro.
Le due figure si scagliarono una addosso all'altra e caddero a terra avvinghiate, impegnate in una lotta furiosa.
Poi improvvisamente entrambi tornarono alle forme originarie.
Ettore era a terra con il volto pallido e sanguinante. Gian Galeazzo lo stringeva al collo, perforandogli la gola con le unghie.
"M-maledetto…"
L'ex vescovo sorrise trionfante.
"Hai visto? Hai perso. E tutto questo per cosa?"
"I-il Sabbat ti ucciderà."
"Io non credo."
"Vedrai…"
"Prima che io mi riprenda ciò che mi appartiene di diritto, voglio rispondere a una tua domanda."
"C-cosa…"
"Mi piacerebbe sai", sussurrò Gian Galeazzo all'orecchio del suo infante " mi piacerebbe dirti che ho tradito perché ero stanco degli ideali del Sabbat, perché dopo secoli ho visto che si trattava di idee obsolete e ridicole, perché la setta ormai si è corrotta e i giovani non comprendono più nemmeno cosa significhi l'espressione "spada di Caino". Ma non è così. la verità…"
Gian Galeazzo strinse a sé il suo infante, costringendolo a fissarlo negli occhi.
"La verità è che non ho alcuna ragione in particolare per cui lo ho fatto. La verità è che un vero figlio di Caino, così come Caino stesso, non ha alcun bisogno di giustificare le sue azioni, né davanti a Dio, né davanti agli altri."
Ettore non poteva muoversi, ma i suoi occhi scintillavano di rabbia e disgusto per quel cainita.
"L-lurido…Figlio di…"
"Piccolo ragazzo mio… Questo è l'ultimo insegnamento, che evidentemente non sono riuscito a darti del tutto: vivi per te stesso, e per nessun altro. Non piegarti dinanzi a nessuno, nemmeno davanti a Dio. Figurarsi davanti a una patetica setta."
"Infame."
"Abbastanza, te lo concedo. Ora, se mi vuoi scusare, mi riprendo ciò che mi appartiene. Dopotutto è il mio sangue, quello che scorre dentro le tue vene."
Gian Galeazzo si chinò su di Ettore e azzannò il collo robusto del paladino.
Ettore strabuzzò gli occhi, poi urlò di dolore. Dai suoi occhi cominciarono a sgorgare delle lacrime di sangue. Non passarono molti secondi, che il corpo del paladino si sbriciolò in finissima cenere tra le braccia di Gian Galeazzo. A terra rimasero soltanto i vestiti e il giubbotto antiproiettile.
L'anziano si rialzò, fissando il cielo con gli occhi spalancati, la bocca  e il torace sporchi di sangue.
Poi si guardò attorno. Aveva un'espressione scocciata.
"Perché non vieni fuori anche tu, ora?"
Da un albero balzò con un tonfo una figura.
Era un altro uomo, terribilmente deforme e sfigurato in volto come un lebbroso.Stringeva in mano una spada enorme.
"Dunque è vero che i topi come voi non fanno altro che strisciare e spiare."
"Uh,uh, puoi risparmiati le tue stupide sentenze da nobile viziato del cazzo. Con me non attaccano."
"Da quanto tempo sei lì?"
"Abbastanza da riuscire a sentire il tuo discorso. Davvero toccante, sul serio. Hai un fazzoletto?"
"Facciamola breve, pezzente. Cosa vuoi da me?"
"Anche chiamarmi pezzente è fuori luogo, te lo assicuro. Comunque sia, io sono qui solo perché pretendo le tue scuse."
"Cosa?"
"Esatto, le tue scuse. Scuse per aver mandato i tuoi scagnozzi nel mio rifugio, senza nemmeno chiedermi il permesso."
"Non so di cosa parli."
"Io dico invece di sì. Progettavi questo colpo da un bel po' di tempo, non è vero mister Visconti? E sapevi bene che tra i Primogeniti io non sarei stato di certo un entusiasta fautore della tua elezione."
"Sei pazzo."
"Oh, questo è più che certo, amico mio. Ma ciò non cambia assolutamente nulla. Sono qui per sentire le tue scuse e, se non le avrò, mi porterò un braccio o due a casa stasera."
"Sei un illuso se speri di avere le mie scuse. Vedi di chiedere perdono o sarò costretto a rimuoverti il titolo di Primogenito. Sai chi hai davanti vero?"
"Ooh, non serve usare quel tono con me, principe. Non ho mai leccato il culo al tuo predecessore, e non vedo perché lo dovrei fare con te. A dirti la verità, speravo dicessi qualcosa del genere." Bruno afferrò saldamente la spada a due mani, sogghignando. "Ecco, ora ti presento la mia amica, Si chiama Bernarda."
Si era lanciato velocissimo all'attacco mirando al busto, e Gian Galeazzo aveva appena fatto in tempo a scansare il colpo gettandosi di lato rotolando. Era riuscito però ad afferrare la spada di Ettore.
"Ooh, adesso siamo pari!" ridendo, Bruno aveva nuovamente sollevato la spada in aria facendola sibilare, per poi farla ricadere sulla testa di Gian Galeazzo. Lui fu costretto ad alzare la lama in parata, ma quella si spezzò a mezz'aria cozzando contro lo spadone di Bruno.
Trattenne a stento un urlo. Il bastardo gli aveva ferito una gamba e parte del ventre. Il sangue cominciò a scorrere, macchiandogli i vestiti.
Non fece in tempo a fare alcunché,  Bruno aveva preso a bersagliarlo con una tempesta di colpi, era velocissimo, molto più veloce di Ettore.
Dopo aver schivato un colpo diretto alla gamba, Gian Galeazzo sbottò:
"Al diavolo!"
Con un gesto delle mani, l'oscurità avvolse prima lui poi Bruno calando in mezzo a loro come una nebbia nera. Ora entrambi i combattenti erano avvolti dal buio più totale, chiunque li avesse osservati dall'esterno non avrebbe visto nulla, l'intero spiazzo erboso era totalmente privo di luce stretto in una morsa di pura notte.
Nel buio, risuonò la voce di Bruno:
"Davvero divertenti, i tuoi trucchetti!!"
Poi vi furono dei colpi, il suono della carne squarciata, e le tenebre si dissolsero.
I due erano entrambi a terra. Bruno si teneva la spalla, aveva la lama spezzata e l'elsa della spada di Ettore conficcata sopra il braccio destro. Gian Galeazzo invece non riusciva bene a rialzarsi in piedi, la sua gamba sinistra era quasi del tutto mozzata e sprizzava sangue ovunque.
"Crepa, miserabile…"
Gian Galeazzo aveva sollevato la mano in direzione del Nosferatu, e i tentacoli erano spuntati da un'ombra vicino a lui. Stavano per avvinghiare il suo avversario.
"Ah, non così in fretta!"
Bruno aveva spiccato un balzo, schivando la presa delle ombre, e le aveva colpite tutte in un sol fendente, facendole esplodere in una nebbiolina nera.
Poi aveva puntato la lama verso Gian Galeazzo:
"Ora tocca a te!"
Furioso, l'ex cardinale si rialzò in piedi, la ferita ormai gli si era rimarginata del tutto.
Richiamò ancora le ombre per stritolarlo, e stavolta Bruno non fece in tempo a scansarsi. Ma le ombre si strinsero attorno alla sua figura inutilmente, non appena lo toccarono Bruno scomparve senza lasciare alcuna traccia. Avevano colpito solo l'aria.
"Patetico..." al suo fianco vide ricomparire l'anziano, poi sentì un dolore lancinante al petto. Lo aveva trafitto vicino alle costole.
Fece un salto avvolgendosi dell'oscurità circostante, atterrando nel buio. Continuava a sanguinare pesantemente.
"Non pensavo ci saresti cascato, sul serio. Non eri tu il principe degli inganni?"
Gian Galeazzo lo fissava con occhi folli. Riusciva a malapena a controllarsi.
Si concentrò, mentre Bruno lo fissava con aria interrogativa.
Sentì le ombre scorrergli sulla pelle e penetrare in lui. Il suo corpo stava mutando, e al suo posto compariva lo scheletro d'ebano avvolto dalle fiamme di tenebra.
Un improvviso boato assordante lo stordì e lo spazzò a terra. Gian Galeazzo urlò dal dolore.
Aveva ripreso le sembianze originali, ora si dimenava a terra con la pelle del petto e delle braccia squarciata e bruciata, i suoi vestiti avevano preso fuoco e in parte si erano fusi con la  carne ustionata.
"Fa male, non è vero?"
Bruno avanzava lentamente verso di lui, sorridendo. Aveva qualcosa in mano. Sembrava una sfera metallica.
"Si chiamano bombe. Sai, gli umani le hanno inventate da un bel po' di tempo."
Mollò un calcio sonoro in faccia  a Gian Galeazzo sollevandolo di mezzo metro da terra.
Il Lasombra stramazzò al suolo, impotente, sputando sangue e parte dei denti.
"B-b…Bastardo. Figlio di una lurida cagna…"
"Queste le ho inventate io appositamente, da usare contro gli altri Fratelli. Si chiamano "ti brucio il culo, Lasombra di merda". Ti piace come nome?"
Gli mollò un altro calcio, poi lo trafisse al petto con la spada.
Gian Galeazzo sputò altro sangue, e strinse la lama tentando di liberarsi, ma era troppo tardi.
Lo aveva inchiodato al terreno.
"Ti…Ti ucciderò."
"Certo, certo. Comunque, prima di ridurti a un moncherino, volevo rivelarti un segreto: le tue scuse in realtà non mi interessavano molto."
"C-cosa?"
"Massì, La verità è che sono andato a trovare una tua vecchia amica. Anzi, ex amica oserei dire, dato che ora ti vuole morto, o meglio vivo, nelle sue grinfie. Te la ricordi? Si chiama Angela Voinescu. Una vera bellezza, detto tra noi.
L'ho trovata in salute. Un po' incazzata, a dir la verità."
"V-Voinescu?"
"Sì, insomma quella vecchia mattacchiona! Vedi, ha messo una bella taglia sulla tua testa, ed io sinceramente non volevo perdermi quest'occasione. Pensa: ha detto che se ti porto da lei mi nominerà subito vescovo! Non è uno sballo?"
Bruno tirò fuori dalla tasca dell'impermeabile un paletto di legno acuminato.
"Non prendertela, in fondo te lo sei meritato. Mi ha detto di dirti che entrerai a far parte della sua collezione privata, qualsiasi cosa voglia dire. Certo non vorrei essere nei tuoi panni quando userà su di te tutte le maestrie della sua "arte".
"L-lurido... carogna. Quindi hai tradito la Camarilla?"
"Senti chi parla! Di certo tu non puoi venire a farmi la predica."
"Hardestadt e gli altri ti saranno addosso. Morirete tutti."
"Ooh, questo è tutto da vedere. Quei vecchi babbioni non sospettano nulla, sono troppo occupati a metterselo in quel posto a vicenda. E poi, detto tra noi…"
Il volto terribile e deforme di Bruno si avvicinò a quello di Gian Galeazzo
"La verità è che sarei passato più che volentieri al Sabbat già anni fa, ma la cosa che mi dava più fastidio era quella di dover servire sotto feccia come te. Ed ora, piuttosto che riconoscerti come Principe di MIlano e sapere di stare ubbidendo agli ordini di un pezzo di merda, preferisco passare dall'altra parte."
Bruno sorrise, mostrando i canini.
"Gloria al Sabbat, amico mio."
Sollevò il paletto di legno.
Ma Gian Galeazzo vide che qualcosa  aveva spinto via il Nosferatu.
Udì degli spari, poi si accorse che un uomo, sbucato dal nulla, stava colpendo Bruno con una pistola. Era un ragazzo, avrà avuto massimo trent'anni. Era vestito con i resti stracciati di un impermeabile e una tuta da ginnastica mezza bruciacchiata.
"Ahí! Brucia da morire, bastardo!"
Bruno si era coperto il volto con le mani, evidentemente il giovane aveva mirato alla testa.
Poi l'uomo si chinò su di lui:
"Non si preoccupi, signore, la proteggo io!"
"Ma sei rincoglionito?"
Bruno aveva provato ad avvicinarsi ma il ragazzo aveva ripreso a sparare mirando agli occhi.
Gian Galeazzo si rialzò. Stentava a credere a ciò che vedeva.
Il ragazzo avanzava mentre sparava, e ad un certo punto aveva tirato fuori un pezzo di legno affilato.
"Indietro, lurido mostro!"
Sorrise, la scena era quasi patetica. Poi scoppiò a ridere.
"Ma tu guarda un po'..."
Il ragazzo smise di sparare e si girò a guardare Gian Galeazzo.
Anche Bruno smise di coprirsi il volto. Aveva un'espressione furiosa, le vene sul collo gli stavano per scoppiare.
"Che cazzo hai da ridere? Ora ammazzerò te e pure questo idiota che si è messo in mezzo!" Sollevò l'enorme spada in procinto di attaccare. Una voce lo bloccò, alle sue spalle.
"Ti consiglio di non farlo, Bruno."
Tutti si voltarono in direzione della voce. Era la voce fiera e autoritaria di Riccardo.
"Tu qui?"
Dal buio, spuntò la figura di un uomo in impermeabile e giacca, imbrattato di sangue. Zoppicava e andava avanti appoggiandosi ad una spada sottile, con l'elsa decorata da una testa di cane.
"Ho sentito tutto, non hai bisogno di spiegare nulla. Hai attentato alla vita del Principe, e lo sai cosa prevede la legge in questi casi."
"Uh, il generalino è venuto in soccorso del suo amato padroncino? Quanto ti pagano, per leccare le scarpe a questo stronzo?"
"Nessuno mi paga per ciò che faccio, lo sai bene."
"Ceerto, come no. Risparmiati le stronzate. Cosa vorresti fare, fermarmi?"
"Hai solo due scelte, messer Borgia. Consegnarti di tua spontanea volontà alla Camarilla e subire un regolare processo, o morire qui, per mano mia."
"Ugh…"
Bruno era rimasto immobile, fissando ora Riccardo, ora Gian Galeazzo.
Forse erano troppi anche per lui.
"Esiste anche una terza opzione."
"E sarebbe?"
Bruno aveva abbassato la spada, chiudendo gli occhi per un attimo.
All'improvviso dalle ombre spuntarono dei ratti, prima cinque, poi dieci e poi venti.
Erano veloci e cominciarono a mordere le gambe di tutti i presenti, Gian Galeazzo compreso.
Quando riuscirono a liberarsene Bruno era scomparso.
Riccardo sorrise, mentre infilzava un ratto fuggitivo.
"Quel bastardo…"
Il ragazzo  cadde al suolo, stringendo ancora la pistola fumante e il paletto.
"Uffff…."
L'unico che  non si era mosso era Gian Galeazzo. Continuava a scrutare il giovane, pensieroso.
"State bene, eccellenza?"
"Sì, ho solo qualche graffio."
"Vi vedo scosso, signore."
"Tu dici, generale?" Gian Galeazzo aveva fissato con sguardo gelido Riccardo, che per tutta risposta aveva abbassato la testa.
"Mi scusi, eccellenza. Ci sarebbe una macchina pronta ad attendervi su una strada poco distante da qui. Questa zona è stata compromessa, non sappiamo se vi sono altri sabbatici in giro."
"Ora andremo, c'è tempo. Prima devo fare una cosa."
"Eccellenza, con tutto rispetto…"
"Dammi la tua spada, generale."
Riccardo rimase a fissarlo per un attimo, poi gliela porse.
Gian Galeazzo si avvicinò al giovane ancora a terra.
Quello appena lo vide si rialzò e tentò di mettersi sull'attenti.
"Agli ordini, signore!"
"Sei stato bravo, poco fa, ragazzo. Come ti chiami?"
"I-i-io signore? Volevo dire, eccellenza!"
"Qual'è il tuo nome?"
"Mi chiamo N-nicola , Nicola Manfrin, vostra eccellenza."
"Molto bene. Inginocchiati"
Nicola non sapeva cosa fare, ma quel tipo imbrattato di sangue e mezzo ferito gli dava i brividi. Ubbidì.
"Ora, Nicola, ti dirò una cosa che non ho mai detto ad alcun mortale, in più di seicento anni."
"Mi dica, e-e-eccellenza."
"Tu" Gian Galeazzo pesò bene le parole, e lo fissò con severità, " tu mi hai salvato, stanotte. Ti devo la vita. Anche se sei un misero mortale, il tuo coraggio ha fatto sì che quel topo non mi consegnasse ai suoi nuovi padroni. E Gian Galeazzo non è tipo da dimenticare questi gesti."
"G-g-grazie, eccellenza, non… non so cosa dire…"
"Non serve che tu dica altro. Ma fai parola con qualcuno di ciò che ti ho detto, e morirai. Moriranno tutti i tuoi amici, gli amanti, i familiari e i tuoi conoscenti. Non lo ripeterò un'altra volta, quindi tieni bene a mente le parole che ti ho detto."
"C-certo, non lo dirò a nessuno."
"Ora, china il capo."
Nicola abbassò la testa e sentì la lama fredda poggiare sul suo collo.
"Io, Gian Galeazzo Visconti, Signore e Principe di Milano e dei suoi domini, ti nomino ufficialmente supervisore della mia guardia personale e capo supremo della  servitù e dei ghoul da me approvati. "
"Uh, io…Io… La ringrazio, signore, ma non so se sarò all'altezza…"
"Ora alzati."
Gian Galeazzo si tagliò uno dei polsi con la spada, poi porse la ferita a Nicola.
"Bevi."
Dentro di sé Nicola pensò "Ancora?" ma poi si chinò e bevve. La sensazione di stordimento e di vigore era centinaia di volte molto più potente rispetto a quella di Cecilia, e difatti si ritrovò in ginocchio a barcollare come un ubriaco dopo un solo sorso.
"Molto bene. Gioisci  piccolo uomo. Perché ora sei il vivente più potente di Milano. Sei mio servo, e porti le mie volontà,  nessuno oserà sfidare il tuo titolo fintanto che mi sarai fedele."
Tutto quello che Nicola fu in grado di dire, mentre arrancava, fu un "Eh?". poi cadde e qualcuno lo sostenne. Era Riccardo.
"Su, avanti figliolo!"
Lo fecero sedere in una macchina, doveva essere un macchinone nero da veri signori. Oltre alla loro ce n'erano altre, assieme a un sacco di gente armata.
Riccardo si sedette davanti a lui e la macchina si mise in moto.
"In che senso il vivente più potente di Milano?"
 






Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Epilogo ***


Quella mattina il sole splendeva e c'era un cielo limpidissimo, nemmeno una nuvola. Il tempo ideale.
La grossa Bmw nera rallentò per poi parcheggiare vicino al marciapiede, seguita da due fuoristrada neri con i vetri oscurati.
Nicola scese dalla macchina.
"Tu aspettami qui."
"Sei sicuro?"
"Sì, non muoverti per nessun motivo."
Dalle macchine scure dietro di lui scesero altri uomini, erano in sei.
Tutti vestivano con abiti neri o grigi, indossavano giubbotti di pelle o giacche scure, e portavano gli occhiali da sole.
"Quali sono i suoi ordini, signore?"
"Restate fuori, copritemi e non fate casino. Intervenite solo se strettamente necessario. Vedete che nessuno venga a ficcare il naso."
Squadrò la casa che avevano davanti. Sembrava un'abitazione d'epoca ormai abbandonata. Le finestre erano chiuse serrate. Il giardino era completamente ricoperto d'erbacce.
Non c'era nessuno per strada in quella zona. Evidentemente avevano scelto apposta quel luogo per rimanere indisturbati.
Forzò la porta con un piede di porco che si era portato dietro, poi entrò.
Non appena mise piede nell'ingresso, fu quasi travolto dal terribile puzzo di chiuso del corridoio. La polvere sembrava coprire ogni cosa, e ad ogni passo vedeva che sollevava un nugolo di nebbiolina grigia.
Tirò fuori la pistola.
Poi accese la torca e cominciò a camminare lentamente.
Il salottino era in condizioni disastrose, c'erano calcinacci e mobili distrutti ovunque. C'era anche un uomo a terra. Inutile controllare. Aveva il petto completamente squarciato con le costole di fuori, ed era immerso in una pozza di sangue. Puzzava in una maniera incredibile, e Nicola fu costretto ad allontanarsi mentre tratteneva un conato di vomito.
Non riuscì però a trattenersi quando vide che all'uomo mancava non solo una porzione del petto, ma anche la parte inferiore del corpo, addome e gambe.
Tossì e sputacchiò un pò di saliva, per fortuna non aveva fatto colazione.
Corse a spalancare tutte le finestre della stanza, poi passò al bagno,e infine alla cucina anch'essa in condizioni pessime. Ora la luce entrava da ogni lato, non ci sarebbero state vie di fuga.
Arrivò in fondo al corridoio davanti a un bivio.
Una scala portava al piano di sopra, un'altra di sotto.
Scelse di scendere la rampa verso il basso.
Mano a mano che scendeva, la puzza di cadaveri in decomposizione aumentava incredibilmente.
Arrivò al piano sottostante. Era buio anche lì, a terra riusciva a intravedere solo sporcizia e macchie di sangue.
Ogni tanto trovava qualche candela.
Poi vide l'enorme cassa di legno, appoggiata alla parete.
Sapeva cosa fare. Tirò fuori  la bottiglia di alcool e benzina, ma non fece in tempo ad accendere lo zippo.
Qualcuno l'aveva colpito alle spalle, facendolo cadere.
La bottiglia era in pezzi, e il liquido si spargeva ovunque.
Si rialzò subito girandosi e puntando la torcia e la pistola dietro di sè.
Vide di sfuggita qualcuno, o qualcosa scattare e sparire nel buio non appena gli ebbe puntato la luce contro, sembrava un grosso animale di colore giallo pallido.
La cosa lo colpì di nuovo, stavolta alle gambe, e lo fece ricadere.
Poi la vide.
Era un uomo, ma ormai negli occhi e nelle fattezze di quell'essere acquattato nel buio non vi era più nulla di umano. Sembrava un individuo particolarmente alto e magro, nudo, pieno di cicatrici, pelato. Con orrore si accorse che non era l'uomo ad essere alto, ma che si trattava in realtà di due uomini incollati l'uno assieme l'altro.
Il tronco e l'addome erano troppo oblunghi e deformi per apparire anche solo definibili come malformazioni, era come se qualcuno avesse preso la metà superiore di un essere umano, allungandola, e vi avesse poi ricucito le gambe e la parte inferiore di un altro uomo, creando così una sorta di lombrico umanoide.
La "cosa" lo fissò con occhi vuoti, folli, e poi sibilò tirando fuori la lingua.
"Ssssh!!!"
Aveva una lingua biforcuta e lunghissima.
Fece fuoco mirando alla testa, ma era quasi sicuro di averla mancata. Sentì che il  corpo enorme gli ricadeva addosso,e si mise ad urlare in preda al panico.
Vide poi che nella stanza erano entrate altre persone munite di torce,e avevano fatto fuoco anche loro.
"Tutto bene signore?"
Lo aiutarono a rialzarsi.
Voltandosi Nicola vide l'enorme lombrico a terra con le fauci spalancate, crivellato dai proiettili.
"Grazie, ma ora… Attenti!!!"
Premette il grilletto, stavolta era certo di aver fatto centro.
Dietro le spalle di alcuni di quelli vestiti di nero cadde a terra un corpo.
Tutti puntarono le torce in quella direzione.
Si trattava di una donna, o almeno sembrava essere una donna per i tre seni enormi che spuntavano dal petto nudo. Aveva tre occhi al posto di due. E cosa ancor più strana, al posto delle mani aveva dei piedi.
Si stava trascinando a fatica, con un buco in fronte.
"P…padronaaa…"
Stramazzò poi al suolo con la lingua fuori e gli occhi sbarrati.
"Mio Dio, cosa diavolo…"
"Sssh… Lo sentite?"
Avevano fatto silenzio, poi Nicola aveva puntato la luce in direzione della cassa. Si era aperta, ed era vuota.
Il cuore gli si era quasi fermato nel petto.
"Dobbiamo andarcene. Date fuoco a tutto subito."
Uno di loro cominciò a muoversi in modo strano.

"Ggll-glgrrll…"
"Che diavolo ti succede??"
"Stategli lontano!!!" gridò Nicola,  ma ormai era troppo tardi.
Con un grido, tutti avevano puntato le torce sul loro compagno ed erano rimasti paralizzati dal terrore.
Era interamente ricoperto di sangue, ma la cosa più terribile era che quel sangue si muoveva sul suo corpo, come scorrendo di propria volontà. Poi il liquido rosso
sparì, penetrando attraverso la bocca e dell'uomo.
Gli era entrato in gola.
Il povero malcapitato cominciò a dimenarsi e contorcersi come un posseduto.
Poi la sua testa esplose. Con un rumore disgustoso e una vera e propria fontana zampillante di sangue, il cranio si fece in mille pezzi a lì davanti a loro rimase solamente un corpo decapitato in preda alle convulsioni.
La pozza di sangue che si era formata a terra  si mosse, come se fosse dotata di vita propria, e andò a formare una faccia nel sangue. Si riuscivano a distinguere i tratti di un volto femminile. Una voce gelida e sinistra parlò:
"Feccia, cani mortali. Pagherete per la vostra insolenza."
"Via di qui, subito!!!"
Nicola accese l'accendino e poi lo gettò a terra.
La vampata di calore quasi travolse anche loro. Vide che il liquido infiammabile in parte si era mischiato anche a quel sangue, e il volto aveva preso fuoco.
Cominciarono  a correre su per le scale. Quando furono al piano superiore, Nicola tirò fuori di tasca un'altra piccola bottiglia con uno straccio infilato nel collo.
La accese con un altro accendino, e poi la scagliò lontano in direzione delle scale.
Quella esplose appiccando il fuoco alle pareti e al tappeto.
"Via!Via!"
Gli altri entrarono in macchina, non prima di aver lanciato altre molotov attraverso le finestre della casa. Ormai cominciava a uscire un sacco di fumo.
Nicola salì e accese la macchina sgommando con l'acceleratore a tavoletta.
"Si può sapere che è successo???"
Annamaria lo fissava sconvolta, era pallida in volto.
"Non preoccuparti, ce l'abbiamo fatta."
"Ho sentito degli spari, ero preoccupatissima."
"Niente, non è successo niente. Solo…"
"Solo?"
"Uno dei nostri è stato preso."
"Come? E' ferito? Sta bene???"
"Diciamo che non soffrirà più."
"..."

Rimasero in silenzio per un pò mentre Nicola imboccava una strada secondaria a tutta velocità.
"Sai, ci ho riflettuto su,"
"Su cosa, tesoro?"
"Su quello ce mi hai detto, e su quello che stiamo facendo ora. Credo di aver deciso, voglio farlo."
"Dici sul serio?"
"Sì, voglio incontrare questo Gian Galeazzo di cui parli sempre."
"Questa è bella."
"Perché?"
"In realtà anche lui voleva conoscerti.Dice che ci sarebbe qualcosa da fare anche per te."
"Bene allora."
"Ti avverto però, è un tipetto abbastanza suscettibile e tutt'altro che gentile."
"Ah, di quello non mi preoccupo. Riesco a sopportare te, non credo avrò problemi."
"Ma smettila!"
Le diede un buffetto sulla guancia ridendo.
"Ah, senti, ci sarebbe da pagare l'affitto e le bollette…"
"Lascia stare, non ci riguardano più queste cose."
"Perché?"
"Ci trasferiamo."
"Che cosa???"
" Sai la villa da ricconi che hai sempre sognato? Quella con piscina,  giardino, siepe e colf? Bèh, credo proprio che manchi poco per finire di arredarla."
"Dici sul serio?"
Lei lo guardò con tanto d'occhi, poi lo abbracciò baciandolo in fronte.
"Dai, guarda che così mi fai andare fuori strada!"
"Non ci posso credere. Cioè, sono terrorizzata all'idea di conoscere il tuo capo e tutto il resto, ma cavoli questa è davvero una figata."
"Già. Ci ho anche fatto mettere un pianoforte, sai, ho pensato che potresti riprendere a dare lezioni come facevi quando ci siamo conosciuti…"
"In realtà.. a me basta solo sapere una cosa."
"Che cosa?"
"Che ci sei tu.Sei tornato. E questo è ancora meglio di qualsiasi villa e pianoforte a coda del mondo."
Gli strinse il braccio.
Nicola sorrise, poi svoltò e si diressero verso una strada sterrata.
Si fermò quando furono davanti all'enorme cancello in ferro di una villa.
"Ti amo Anna."
"Sì certo, questo almeno è quello che dici."
Sorrisero entrambi, poi si baciarono.
In lontananza, si udì l'abbaiare festoso di un cane.


-----------------------------------------------------------------------------

Molto bene. Questa è ufficialmente la fine del ciclo della caduta di MIlano.
Spero vi sia piaciuta, vi abbia divertito, inquietato o anche solo intrattenuto un pò. Volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito i capitoli e che sono rimasti con me fino alla fine di questa avventura.
 Devo dire che mi sono veramente divertito a scrivere questa storia, a inventarmi personaggi, intrecci e quant'altro. I migliori complimenti che ho ricevuto credo siano quando nelle recensioni trovavo scritto "sembra un film!" XD perché effettivamente è quello il taglio che ho voluto dare alla storia, abbastanza tamarro diciamo.
Volevo anche fare una piccola annotazione: questa storia non è una storia horror, almeno non nell'accezione che do io al termine di horror. Finisce anche bene! E' una storia semplice, di avventura, senza troppe pretese di profondità psicologica, filosofica o morale- anche se in realtà ogni tanto conflitti interiori ce ne sono, accennati- Ho voluto scrivere una storia semplice e divertente, in grado (spero) di intrattenere e dare anche quel senso di soddisfazione quando ci si alza dal cinema e si torna a casa dopo un bel film.
Credo e spero vivamente di aver dato un bello stralcio di quel meraviglioso mondo  che è Masquerade. Un magnifico gdr e fandom assolutamente sottovalutato e che meriterebbe molta più attenzione, specie di questi tempi.
 Il mondo di tenebra ha molte sfaccettature, e tra queste vi è ovviamente il lato più "tamarro", pulp, punk oltre che gotico e tenebroso. Il mio obiettivo principale è sempre stato di scrivere una buona storia,  piacevole da leggere non solo per chi conosce bene Vampire the masquerade e il world of darkness ma anche per un lettore occasionale che volesse immergersi ogni tanto in un mondo cupo controllato da vampiri sanguinari pronti a farsi guerra.
Che ne sarà di Milano? Rimarrà davvero in mano alla Camarilla e al traditore Lasombra? Questo lo lascio decidere ai lettori, così come i vari clan, discipline e intrighi che non ho voluto illustrare chiaramente- non credo ce ne fosse il bisogno, e mi piace sempre lasciare un margine di interpretazione al lettore.

Avrei potuto continuare con altri capitoli? Effettivamente sì, ma mi sembrava di aggiungere e diluire una storia in sè già conclusa, e a me non piace mai strafare, specie quando scrivo. E' vero che i Fratelli sono creature dai piani contorti e intrighi machiavellici di secoli, ma a volte semplicemente hanno un approccio molto più cinico e diretto specie nei conflitti tra Sabbat e Camarilla.

Devo dire che scrivere questa storia è stata un'ottima palestra per affinare il mio stile e ricominciare a scrivere, confesso che ero piuttosto arrugginito quando ho ingenuamente iniziato a scrivere del primo assalto sabbat. Ora però sto ingranando e probabilmente continuerò a pubblicare su efp, anzi lo sto già facendo :)

Ancora un grazie a chi mi ha accompagnato in questa avventura,tutti i recensori, e anche i lettori occasionali.
Un grazie sentito a Ottonovetre :D che si è sorbita tutti i capitoli in anteprima per betaggio e commento :D

Scriverò ancora di Vampire the Masquerade? Può essere, anzi è più che probabile ma per ora credo di volermi prendere una pausa e dedicarmi ad altro. Cose tipo one shot e follie varie… Chiaramente sempre di stampo world of darkness, nel quale ricordo che non esistono solo i vampiri!  =)
 A presto ragazzuoli e mi raccomando salutatemi Bruno se lo trovate ogni tanto.




Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=834160