Emilia e Martino: il sogno di un amore

di _Nica89_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 40: *** Capitolo XL ***
Capitolo 41: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLVII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***









Declaimer: i personaggi della serie non mi appartengono, e alcuni sono stati modificati. Nel testo sono inserite anche frasi tratte dalle prime due serie della fiction.

Elisa era in piedi davanti alla grande finestra della biblioteca, e fissare il parco sottostante, sapeva che doveva smettere di sperare che da un momento all'altro da quel cancello ritornasse Fabrizio... il suo Fabrizio. Erano passati ormai sei anni da quel maledetto giorno di Natale, un giorno che doveva essere pieno di gioia, che avrebbe dovuto segnare l'inizio di una nuova vita in tre... invece, le cose erano andate diversamente da quello che si era aspettata. Nulla di quello che aveva sognato per sua figlia e Martino si era realizzato, e ora lei si sentiva persa. Sapeva che avrebbe dovuto risposarsi come era solita fare una vedova dell'alta società, ma lei non riusciva ad accettare tutte quelle convenzioni, che la volevano maritata con un uomo che non amava, pur di poter continuare a permettersi una vita agiata...
In quel momento venne distratta da uno strattone dell'abito. Si voltò verso dove proveniva il richiamo, e vide sua figlia. La piccola aveva voglia di uscire a giocare, così, lasciatasi travolgere dalla spensieratezza della figlia uscì a vederla giocare con Martino ed Emilia, entrambe tornati a Rivombrosa dopo una lunga assenza, Lei era tornata qualche giorno prima dal collegio di Parigi, dove studiava letteratura, lui aveva ottenuto una licenza di qualche settimana dall'accademia militare. Giocarono tutti insieme, finché Amelia non li chiamò per il tè. Il gruppetto si diresse verso il gazebo dove, rimasta sola con Martino Elisa iniziò ad informare il figlio delle scelte che aveva preso.

"Come ben sai, purtroppo Rivombrosa è ancora gravata dal debito che Alvise aveva contratto con i signori Benac, le cose stavano lentamente migliorando, ma ci vorrebbe tropo tempo per ripagarlo, soprattutto ora Che Armand è tornato, e ha iniziato a sollecitare il pagamento. Come ben sai Victor mi ha assicurato che aspetterà tutto il tempo necessario, ma non so quanto potrà resistere all'insistenza del fratello... " la donna fece un profondo respiro e alzò gli occhi sul ragazzo per vedere la sua reazione, ma lui si limitò a dire:
"Non capisco, credo di non aver afferrato qualche parte della conversazione". Elisa iniziò a giocherellare con le mani e continuò a fatica:
"Vedi ho deciso che sia giunto il momento di risposarmi... " fu interrotta da uno scatto d'ira di Martino che iniziò senza nemmeno darle modo di spiegarsi. "Risposarti? E con chi? Perché poi? Spero non per quelle convenzioni alle quali avevi detto che non ti saresti sottomessa! E ora! Cosa è cambiato? Forse il titolo di mio padre non ti basta più? Sarebbe forse meglio diventare duchessa o principessa?" così dicendo si alzò e fece per andarsene, amareggiato da quella scoperta, ma Elisa glielo impedì cercando di farlo ragionare lo costrinse a sedersi e ad ascoltare le sue motivazioni: "Sai benissimo che non è il titolo al quale sto puntando, e non credo di doverti ricordare quello che ho passato per stare insieme a Fabrizio, l'uomo che amavo, e che AMO tutt'ora. Ma voglio che i miei figli possano vivere in una famiglia, pensa a tua sorella" così dicendo indicò Agnese che stava giocando allegra poco più in là con Emilia "Sto solo cercando di pensare al tuo e al suo futuro, di dare ai miei figli ciò che gli spetta di diritto, e sopratutto sto cercando di mantenere la promessa che ho fatto sulla tomba di tuo padre, di proteggere e far rifiorire questa tenuta. Ma mi sono resa conto che da sola non posso farcela, ed è per questo che ho deciso che devo incominciare ad accettare qualche invito di Anna dalla capitale". Martino sembrava essersi calmato, ma i suoi gesti tradivano la rabbia che ancora provava. Non accettava il fatto di vedere Elisa con nessun altro uomo che non fosse suo padre. Così senza dire nulla si alzò e si diresse verso il palazzo.
Aveva bisogno di rimanere un po' solo per capire meglio quello che stava provando, così si chiuse in camera sua. Emilia Aveva notato lo scatto d'ira del cugino, e fece molta fatica a non lasciare Agnese da sola e seguirlo, invece si costrinse a portare la cuginetta da Elisa, per poi rientrare anche lei a palazzo, dove Giannina le disse la direzione presa da Martino. La ragazza era davanti alla porta del cugino, indecisa sul da farsi, avrebbe voluto entrare e parlare con li, ma qualcosa glielo impediva, da quando era tornata da Parigi rivedere il cugino le faceva uno strano effetto, si sentiva arrossire, e un nodo alla gola sembrava strozzarla, senza poi considerare le farfalle nello stomaco quando lui e sorrideva! Scosse violentemente la testa, per scacciare quei pensieri, che ormai erano sempre più frequenti nella sua mente, e bussò alla porta, ma non ottenendo risposta l'aprì ed entrò lentamente, Martino la fissò e sorrise:
"Ti sei decisa finalmente ad entrare, eri fuori da parecchio tempo". Emilia arrossì, e cercando di nascondere l'imbarazzo iniziò timidamente:
"Scusa, spero di non averti disturbato, ma ti ho visto lasciare il gazebo, piuttosto seccato e... " non fece in tempo di finire che lui le rispose:
" Elisa ed io abbiamo avuto una discussione, non lo nego" Emilia alzò le sopracciglia, come sarebbe stato possibile negare una reazione simile? Ma non disse niente, lasciando che Martino finisse "Ma ora è tutto passato”.
"Non direi dal tuo atteggiamento" si fece scappare Emilia, che si pentì subito dopo.
"Ti ho detto... " Iniziò Martino alzando la voce irritato, sapeva bene di non riuscire a nascondere le proprie sensazioni, e la cosa che lo irritava ancora di più era che gli altri glielo facessero notare, poi si raddolcì guardando la cugina "Ti ho detto che ora è tutto a posto è stato solo un acceso scambio di opinioni tutto qui, davvero".
Emilia fece finta di crederci e cambiò discorso. "Guarda, questo pomeriggio ho ricevuto una lettera da mia madre e Antonio, ci invitano a Torino per un ricevimento, in onore del loro fidanzamento, ti piacerebbe venire?" ed arrossì ancora stupendosi del coraggio che aveva avuto, nell'invitarlo al ballo, di solito erano i cavalieri ad invitare le dame, e non viceversa... Martino sembrò leggerle nel pensiero e rispose:
"No, devi essere tu a concedermi l'onore di accompagnarti" così dicendo fece un scherzoso inchino, ed entrambe scoppiarono a ridere.

Il pomeriggio seguente due carrozze partivano alla volta di Torino; nella prima c'erano Elisa, Amelia e la piccola Agnese, nell'altra Martino ed Emilia.
"Non sei contento? Per la prima volta partecipiamo ad un ballo!" disse Emilia, cercando di attirare l'attenzione del cugino, che sembrava turbato da qualche pensiero molesto.
"Come scusa?" domandò Martino distogliendo lo sguardo dal panorama e fissando la cugina; era bellissima: l'elegante abito color pesca le faceva risaltare il colorito perlaceo della pelle e i capelli legati in un’elaborata acconciatura le facevano risaltare i grandi occhi castani.
"Stai per partecipare al tuo primo ballo e non riesci a fare un sorriso?" lo rimproverò dolcemente lei. Martino scosse le spalle e borbottò qualcosa. Emilia si fece seria e gli chiese:
"Cosa c'è che non va?"
La stessa domanda attendeva una risposta anche nella carrozza di Elisa. La contessa scosse il capo iniziando a scusarsi:
"Niente Amelia, davvero sto bene" "Piccolina, lo sai che io i guai li sento venire da lontano... " l'ammonì Amelia, mentre prendeva in braccio Agnese che si era addormentata strada facendo. Elisa abbassò gli occhi e continuò giocando nervosamente con le mani.
"Ecco... credo che sia arrivato il momento di... ecco... insomma... di iniziare a frequentare la nobiltà piemontese, per cercare un padre ad Agnese e Martino, sino adesso non ho avuto il coraggio di ricominciare a vivere, ma lo devo fare per loro!Sono loro la mia vita... ma, ho paura, dopo Fabrizio non riesco più amare nessuno... “. Lo sguardo di Amelia si raddolcì.
"Non riesci ancora ad accettarlo, vero?"
"E come potrei!" esclamò Elisa "Era mio marito, l'uomo che ho amato più della mia stessa vita" tornò a rabbuiarsi "Ma gli ho anche promesso che avrò cura di Rivombrosa e dei suoi figli, e per farlo mi serve un uomo al mio fianco... " La governante strinse affettuosamente il braccio di Elisa "Elisa, lo sai, io sono sempre stata una serva... ma, non ti preoccupare, andrà tutto bene, se segui il tuo cuore e la voce dei sentimenti. Ma ora è meglio svegliare questa piccolina, siamo quasi arrivati"
"Hai ragione" sorrise Elisa, apprestandosi a svegliare la figlia con mille baci "Amore siamo arrivate, tra poco incontriamo la zia e Antonio, sei contenta?"
"Si" rispose una voce allegra di bimba.

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Capitolo 2
*** capitolo II ***









Giunti a palazzo il gruppetto venne accompagnato in una grande sala, dove venne annunciato. L'entrata della contessa fece ammutolire subito tutti e fu seguita da diversi mormorii. Fu Antonio a placare le varie maldicenze annunciando l'inizio di alcuni giochi pirotecnici, approfittando della disattenzione degli ospiti per saluti molto meno formali. Alla fine dei fuochi, si aprirono le danze e il salone si riempì delle dolci note dei minuetti nelle quali furono coinvolti anche i due giovani cugini. Tra un ballo e l'altro, Anna cercava la cognata, come per assicurarsi che la festa fosse di suo gradimento. Non vedendola danzare le si avvicinò
"Non hai ancora fatto un ballo!"
"E' che stavo osservando tua figlia e Martino. Sono bellissimi insieme" Anna si voltò in direzione della giovane coppia ed ammise "Hai ragione, ma adesso vieni, che ti voglio presentare alcune persone... " così dicendo la presentò ad una coppia che stava discutendo animosamente tra loro.
"Permettete?" attirò la loro attenzione Anna; l'uomo si voltò e riconoscendo la padrona di casa sfoggiò uno dei suoi sorrisi più eleganti "Ma certamente, cara marchesa Radicati" e lasciando scivolare uno sguardo ambiguo al decolté di Elisa continuò "Posso avere l'onore di conoscere la vostra ospite?" "Subito, marchese, lei è Elisa Ristori di Rivombrosa, mia cognata" poi rivolgendosi ad Elisa "Elisa questi sono il marchese Ercole Salvati di Cerreto e madame Rossana Chevallier" "Lieta di conoscervi" disse Elisa porgendo la mano per un obbligato baciamano, e salutando subito dopo la dama, ma prima che riuscisse a liberarsi della compagnia indesiderata, il marchese la intrattenne on uno dei suoi discorsi "Così siete voi la famosa Elisa di Rivombrosa, che ha salvato la vita al nostro amatissimo vecchio sovrano" Elisa annuì cercando di deviare il discorso. Ad un certo punto il marchese si scusò con Rossana e invitò la contessa Ristori a ballare. Elisa, inizialmente restia si fece convincere e ballò un minuetto con l'uomo che ormai aveva iniziato a farle una corte serrata.

Dall’altra parte del salone Martino fremeva "Guardalo! Non le toglie gli occhi di dosso per un solo secondo, e lei che sta lì a cinguettare!" sbottò "Basta Martino!" lo interruppe seccata Emilia "Elisa è una donna, non ha bisogno dei tuoi consigli... Martino, ma dove stai andando?! Martino fermati!" Il ragazzo, infatti, si stava dirigendo verso la coppia che parlava, e non ascoltando gli insistenti richiami della cugina interruppe quel pericoloso gioco che Salvati aveva cominciato "Scusate, signore, potrei rubarvi la contessa Ristori per qualche momento?" Lo sguardo di Elisa s’illuminò, all'idea di potersi allontanare da quella corte, sapeva bene che non sarebbe riuscita a mascherare ancora per molto il ribrezzo che quella situazione le suscitava. "Veramente io e la contessa, ci stavamo apprestando per andare a prendere una boccata d'aria in giardino, dopo le danze, non è così contessa Ristori?" iniziò Salvati dopo avere scrutato dall'alto in basso quel ragazzino impertinente "Sì, ma se il ragazzo ha necessità di parlarmi, potrebbe unirsi a noi, non credete?" cercò di mediare Elisa che ormai stava perdendo il suo auto controllo. Fu Martino a rifiutare l'invito "Veramente, è Agnese, vostra figlia a chiedere di voi... " "Agnese?" domandò Elisa preoccupata "Scusate marchese ma credo sia qualcosa di urgente, e temo anche piuttosto lungo, spero di riuscire a tornare alla festa prima che voi partiate, se così non fosse, permettetemi di dire che è stato un onore passare la serata in vostra compagnia". Disse la donna, in direzione del marchese porgendogli la mano per i saluti di circostanza, dei quali avrebbe fatto volentieri a meno. "l'onore è stato tutto mio signora, spero di rivedervi al più presto ad un altro ballo, o magari nel mio salotto, in compagnia di vostra cognata" fu la risposta del marchese "Temo sia difficile, non frequento molto i balli, ma scusatemi, ora devo andare" Così dicendo ritirò la mano da quella di lui e si diresse verso la porta che conduceva al piano superiore. Salita la prima rampa di scale Elisa, sempre accompagnata da Martino tirò un sospiro di sollievo "Mi hai salvata! Non so quanto avrei potuto resistere ancora!" Martino non rispose limitandosi ad accompagnarla nella stanza destinata a lei ed Agnese, dove Amelia cercava invano di mettere a letto la piccola. "Faccio io, grazie" disse Elisa, congedando l'anziana balia, iniziando a coccolare la figlia che aveva smesso di fare i capricci "Però piccolina, non puoi fare così, devi dormire anche con Amelia, la mamma sarebbe arrivata dopo... " "Ma io voglio te a leggermi le favole" "Perché quelle che ti racconta Amelia non sono belle?" "Sì, ma lei non è la mia mamma" disse la piccola appoggiando la testa sul seno di lei. Elisa la baciò ancora, poi, quasi ricordandosi improvvisamente di Martino, gli disse "Grazie, torna pure alla festa, e per favore inventati una scusa in caso il marchese chieda di me" Martino non si mosse "Veramente volevo parlarti" "Va bene metto a letto Agnese poi parliamo d'accordo?" propose Elisa che nel frattempo si era sdraiata vicino alla bambina e iniziava a leggerle una storia. Poco dopo Agnese si era addormentata e d Elisa aveva tutto il tempo che voleva per parlare con martino. "Allora di cosa volevi parlarmi?" domandò "Della festa, ho notato che ti sei data subito da fare" esordì lui senza molti preamboli, Elisa rimase muta per qualche secondo poi gli domandò "come scusa?" "Fai anche finta di non capire! Ti ho visto con quell'uomo!" disse il ragazzo, alzando la voce "Martino, abbassa la voce che tua sorella sta dormendo, e comunque non è come credi tu" "Davvero? Stai cercando di dirmi che non ti stava forse corteggiando?E soprattutto tu non stavi ricambiando?" "Non mi sembra di doverti delle spiegazioni sul mio comportamento, in ogni caso non davo segni di apprezzare il corteggiamento" ribatté secca "E' vero, scusa, ammetto di aver sbagliato, tu non stavi dando segni di apprezzare il suo corteggiamento, stavi solo amoreggiando! Sembravi come le ragazze del Gatto nero! Se lo sapesse Checca, probabilmente ti pagherebbe abbondantemente per riaverti là sotto questa nuova veste, e magari troveresti velocemente anche i soldi per salvare la tenuta!" continuò furibondo Martino, la gelosia del ragazzo gli aveva tolto la lucidità e aveva lasciato che le parole uscissero dalla sua bocca, senza cercare di moderarle. Elisa, sconcertata e ferita dall'ultima affermazione del figlio agì anche lei d'impulso schiaffeggiandolo sulla guancia "Modera i termini" disse in tono gelido per poi continuare altrettanto freddamente " Non ho bisogno di qualcuno che mi faccia la predica, soprattutto perché so badare a me stessa, e adesso puoi andare" Martino non rispose, si portò solo la mano al volto massaggiandosi la parte colpita e senza dire una parola si diresse verso la porta, ma fu fermato dalla voce di Elisa che aggiungeva: "L'unica cosa che mi dispiace è averti considerato abbastanza maturo da poter comprendere".

Ora Elisa era sola nella stanza, e cercava di chiarire a se stessa cosa fosse veramente successo; Martino era appena uscito sbattendo la porta, e l'unica cosa che lei era in grado di fare era quella di reggersi in piedi, la mano ancora sospesa a mezz'aria. Si sentiva in colpa, avrebbe voluto rincorrere quel ragazzo e dirgli che le dispiaceva averlo colpito, che aveva agito d'istinto, senza controllarsi, ma le sue parole continuavano a farle male. Decise di sdraiarsi, sperando che una dormita offrisse la possibilità di vedere le cose sotto una luce diversa, ma appena chiuse gli occhi rivide passare davanti e sé la sua vita con Fabrizio, la sua rabbia quando le aveva detto di essere una serva, il loro primo bacio, la festa di San Giovanni, la dichiarazione sulle scale, tanto criticata da Anna, ancora Fabrizio ferito moribondo nel letto, la sua partenza per l'esercito e la paura di averlo perso per sempre... e ancora, i due tentativi di matrimonio, la scoperta e la perdita del loro bambino, gli inganni di Lucrezia, l'arresto di Fabrizio, la disperata corsa contro il tempo per salvarlo, e il riconoscimento ufficiale del loro amore, il matrimonio, festeggiato da tutta Rivombrosa, la nascita di Agnese! E poi il giorno di Natale, La stella Elisa, lei a messa, mentre si crucciava del ritardo del marito, l'attesa nel grande salone, insieme ad Anna, Antonio, Emilia e tutta la servitù, il nitrito di Hermes, e la corsa liberatoria verso le scale, poi trasformatasi in grido di dolore non appena l'aveva visto morente al suolo. Il funerale, e la promessa che gli aveva fatto sulla tomba, infine vide la corte serrata del marchese e la lite con martino, non stavi dando segni di apprezzare il suo corteggiamento, "... stavi solo amoreggiando! Sembravi come le ragazze del Gatto nero! Se lo sapesse Checca, probabilmente ti pagherebbe abbondantemente per riaverti là sotto questa nuova veste, e magari troveresti velocemente anche i soldi per salvare la tenuta!" le immagini si fecero meno nitide ed Elisa scattò a sedere sul letto spaventata. Si alzò, e iniziò a camminare per la camera cercando di calmarsi. Dal piano sottostante le giungevano attutiti i suoni della festa. Se fosse stata sicura di non essere vista, si sarebbe messa il mantello sulle spalle e sarebbe andata a passeggiare in giardino, si limitò, invece ad aprire la finestra e a respirare l'aria fredda dei primi di Febbraio, ripromettendosi che il giorno dopo sarebbe andata a Rivombrosa, per chiedere consiglio a sua madre. Anche Martino era combattuto tra la rabbia e il rimorso, ma i suoi doveri di cavaliere gli imponevano di tornare alla festa. Raggiunto il salone, la sua attenzione venne subito catturata dalla conversazione tra Salvati e Madame Chevallier "Ma caro Ercole, non vi sembra che il gioco si possa rivelare noioso, insomma, la vostra "Preda" ha anche una figlia, una gran seccatura, non trovate?" stava dicendo la dama.
"Al contrario, cara Rossana, il gioco si fa più intrigante, ora voglio farla pagare a quel damerino che si è messo in mezzo, probabilmente è il figlio, ma non mi interessa, io voglio lei, la contessa... " "e poi?" domandò divertita la donna "Poi si vedrà... “.

Martino non poté più ascoltare nulla, perché aveva notato Emilia che si stava avvicinando. "Martino! Finalmente, dove sei stato?" gli chiese appena Martino la raggiunse "ho discusso con Elisa, ma ho sbagliato... " Emilia notò il segno rosso che il ragazzo aveva sulla guancia "E quello che cos'è?" domandò "nulla" tagliò corto Martino, per poi aggiungere "Ti andrebbe di uscire?" emilia accettò volentieri, la sala si stava facendo troppo calda per lei, inoltre la stanchezza iniziava a renderle fastidioso qualsiasi rumore che percepiva. I due passeggiarono lentamente tra il labirinto di siepe. Lei solo col leggero mantello, lui nell'elegante divisa di ufficiale francese. Ad una folata di vento Emilia rabbrividì e a Martino venne spontaneo togliersi la giacca e appoggiarla delicatamente sulle spalle della cugina, che a quel tocco rabbrividì ancora, ma stavolta i brividi non erano di freddo. Si strinse la giacca intorno al collo e lui non poté non ispirare la sua fragranza, poi quasi sentendo che quel "gioco" stava diventando tropo serio, e il silenzio che era calato tra di loro sembrava infrangibile, cercò di alleggerire la situazione, ma riuscì solo a mormorarle nell'orecchio "Ti ho già detto che sei bellissima?" Emilia sorrise, lusingata da quel complimento, e si voltò verso il cugino "Così mi fai arrossire... "stava dicendo allegramente quando la mano di lui si posò sul suo viso. Lei si bloccò, mosse solo leggermente la testa, come per cercare la mano che le stava sfiorando l'orecchio, mentre il cugino si avvicinava lentamente al suo viso, prima le sfiorò le labbra, la fissò un secondo, esitante, come per cercare nei suoi occhi un'ulteriore conferma, e la baciò. Emilia si fece trasportare da quel nuovo sentimento che da mesi cercava di soffocare e rispose al bacio del cugino, compiendo i gesti che tante volte aveva sentito raccontare dalle sue amiche in collegio, ma che non credeva avrebbe mai provato, un giorno, in prima persona. Infine Martino si staccò, lui stesso turbato da quel gesto "Non avevo mai baciato nessuno prima d'ora"mormorò Emilia, quasi parlando a se stessa. "Nemmeno io" ammise Martino. Il silenzio sembrava dover calare ancora su quella giovane coppia, ma fu Emilia a impedirlo "Adesso rientriamo, starai congelando solo con la camicia "In effetti fa abbastanza freddo" Ammise Martino stringendo a sé la cugina e insieme si incamminarono verso il castello, dove il loro rientro era passato inosservato. I due si congedarono dalla festa, e ora ognuno era nelle rispettive camere. Martino era deciso a chiarirsi con Elisa, anzi ci sarebbe andato immediatamente, aprì la porta e attraversò il corridoio, socchiuse la porta della madre, e vedendola dormire ritenne più opportuno rimandare le scuse al giorno seguente. Emilia, invece nella sua stanza, non riusciva a pensare ad altro che non fosse il suo primo bacio, quante volte l'aveva immaginato, addirittura sognato, ma quello che aveva provato era stato sicuramente oltre ogni previsione, sebbene nulla era andato come si era immaginata; le tornarono in mente le parole della madre alla partenza verso Parigi "non tutte le cose sono scritte nei libri" Ora quella frase iniziava ad assumere un vero significato, e felice si addormentò profondamente.

La mattina seguente, mentre facevano colazione Emilia iniziò a raccontare alla zia la splendida festa che si era persa "E' stato davvero un peccato che tu non sia potuta restare" stava dicendo "Lo so, ma conosci bene Agnese, se si mette in testa una cosa è difficile farle cambiare idea, e così sono rimasta con lei" minimizzò una stanca Elisa. La donna infatti non aveva chiuso occhio, ogni volta che si addormentava, era presa da incubi che la costringevano ad alzarsi, si era assopita solo alle prime luci del giorno, e poco dopo era stata Agnese a svegliarla.
 "Ci saranno altre occasioni" la rincuorò la nipote e si alzò da tavola. Elisa finì di sorseggiare il suo latte e si diresse dalla piccola; oggi avrebbe iniziato a insegnarle a leggere, e nel pomeriggio sarebbe andata da sua madre per parlare di Martino. La sera prima era stata punta sul vivo, e ora più che mai sentiva il bisogno di aprirsi con qualcuno, e chi meglio poteva consigliarla se non Artemisia? Scese in giardino con alcuni libri e richiamò la figlia sotto il gazebo, la giornata era particolarmente bella per rimanere chiusi in casa. Stavano iniziando a sillabare quando Martino le raggiunse e dopo aver salutato la sorella che gli era volata tra le braccia cercò di farsi ascoltare da Elisa "Posso parlarti?" domandò esitante, e dall'espressione che aveva fatto appena lo aveva notato capì che era ancora molto ferita dalla sera precedente. "Per dirmi cosa? Che mi hai trovato un lavoro nel ‘gatto nero’? come ragazza di Checca?" rispose secca fissando seriamente il ragazzo negli occhi, Martino non riuscì a sostenere il suo sguardo "Elisa mi dispiace, non pensavo tutto quello che ho detto ieri sera, ma ci sono della cose che devi sapere..." continuò, ma Elisa scocciata si alzò e, presi i libri di Agnese, le disse di precederla in biblioteca dove avrebbero continuato la loro lezione, poi rivolta verso Martino aggiunse:
 "Emilia mi ha fatto una descrizione molto dettagliata della festa,non credo che tu possa aggiungere molti particolari, e adesso se vuoi scusarmi... stai sottraendo tempo alla lezione di tua sorella" così dicendo gli voltò le spalle e si diresse verso il castello. Martino l'avrebbe trattenuta per un braccio se solo non si fosse controllato; l'aveva ferita nell'orgoglio, e sapeva bene quanto quelle ferite potessero bruciare, soprattutto ad una donna come Elisa, estremamente orgogliosa; ma doveva parlarle, e non si sarebbe arreso così facilmente. Infatti aspettò fuori dalla biblioteca finché Agnese non finì di leggere, poi vedendola uscire, ripartì alla carica:
 "Ora posso parlarti?"
 "Veramente non abbiamo niente da dirci" rispose Elisa passandogli davanti a testa alta. Stava fuggendo, era assurdo, pensò Elisa, le ricordava tanto quando tentava di sfuggire alle aveances di Fabrizio, e si sentiva sciocca a fare altrettanto con degli impulsi di gelosia di un ragazzino, ma non poteva farne a meno.

Emilia era tornata nella sua stanza per prendere il suo set da ricamo, decisa a continuare nell'opera certosina alla quale stava lavorando già da parecchi giorni, quando il suo sguardo fu colpito da una splendida rosa bianca appoggiata sulla scura toeletta di mogano intarsiata; la prese in mano e inspirò profondamente quella fragranza che le faceva ricordare la parte più bella e felice della sua infanzia trascorsa a Rivombrosa, poi trascurando il ricamo si diresse a cercare Martino. Dopo molto cercare lo trovò in biblioteca intento a misurare la stanza a grandi passi. Il ragazzo sentendo il rumore dei passi si fermò e si voltò verso la porta con aria seccata, ma alla vista della cugina un sorriso sincero gli affiorò alle labbra e gli colorì i grandi occhi chiari. "Emilia!" riuscì solo a dire vedendola entrare con la rosa tra le mani. Lei ricambiò il sorriso e timidamente avanzò verso di lui "Volevo ringraziarti è bellissima" arrossì, mentre cercava una qualsiasi frase da dire, ma le parole non volevano uscirle di bocca. Martino alzò leggermente le spalle "Sono contento che ti piaccia" rispose Martino avvicinandosi al volto della cugina; i due si stavano per baciare, quando lei improvvisamente si bloccò e si allontanò di scatto. Martino la guardò con aria interrogativa; di li a pochi secondi anche Martino poté capire la reazione della cugina, infatti Agnese stava correndo verso di loro Emilia la prese in braccio mentre Martino le mormorava all'orecchio divertito "Hai un ottimo udito!", ma la sua allegria durò poco, perché poco dopo entrò nella stanza anche Elisa. Emilia non poté ignorare l'espressione dura che aveva assunto Martino, ma decise che, per il momento, sarebbe stato meglio sorvolare.
Martino invece colse al volo l'occasione per ritentare di allacciare i rapporti con Elisa; e approfittando della presenza della cugina, che sicuramente si sarebbe rivelata un punto a suo favore, chiese ad Elisa di parlare per un attimo da solo con lei. Elisa era in trappola e lo sapeva, sapeva benissimo che questo sotterfugio la obbligava a restare, così chiese ad Emilia se era disposta a tenere compagnia alla cugina per qualche minuto, assicurandole che sarebbe tornata molto presto. Emilia accettò volenterosa; adorava stare con la cuginetta. Appena le due uscirono dalla stanza Elisa chiuse le porte della biblioteca, e iniziò a parlare "Prima di ascoltare ciò che mi volevi dire, permettimi almeno di dirti che usare così tua cugina è stato davvero molto meschino" disse fissandolo negli occhi, poi incrociando le braccia e facendo qualche passo verso di lui continuò "allora cosa vuoi dirmi di tanto importante?" "Volevo scusarmi con te" disse Martino semplicemente, quelle semplici parole non solo catturarono l'attenzione della donna, ma le raddolcirono lo sguardo, anche se non erano bastate per risanare la ferita d'orgoglio che Martino le aveva procurato.
 "Vedi, ieri sera ero così arrabbiato per quello che ho visto, che non riuscivo a controllarmi, non pensavo quello che ho detto, e a ripensarci ora mi sento uno stupido, avevi ragione tu Elisa ieri non sembravo un ragazzo, ma un bambino viziato, è che vederti con un altro uomo che non sia mio padre mi irrita" ammise mestamente. Elisa abbozzò un sorriso e rispose dolcemente:
 "Molto spesso le persone dicono cose che non pensano,ma tu devi avere fiducia in me, e ti posso garantire che col marchese Salvati non stavo affatto accondiscendendo" Martino si irrigidì di nuovo, domandandosi se fosse più o meno saggio raccontare ad Elisa del discorso che il marchese aveva tenuto con la dama dopo che lei si era ritirata. Dopo una breve pausa decise di raccontarle tutto:
 "Devo dirti ancora un'altra cosa, stai lontana da quel damerino" disse senza preamboli. Elisa non capiva "Ti ho già detto che non ho alcuna intenzione di discutere con te della mia vita" rispose secca; in procinto di andarsene fu bloccata dalla voce di Martino, che disse "L'ho sentito parlare con madame Chevallier, per lui sei il suo nuovo gioco, la sua 'preda'..." Elisa non gli permise di finire la frase che si voltò di scatto "Mi consideri una donna tanto facile, o tanto ingenua? Non credi che avessi già capito ieri sera che razza di uomo era il marchese?" Martino cercò di ribattere:
 "Elisa hai frainteso, io volevo solo..."
 "Avvisarmi?" completò la frase lei prima che Martino potesse terminarla "Sì" ammise il ragazzo "Grazie infinite, allora!"iniziò sarcasticamente Elisa "da sola non avrei proprio saputo come fare!" "Elisa sai benissimo che non intendevo questo..." La discussione fu nuovamente interrotta, stavolta dall'arrivo di Amelia che annunciava la visita dei due fratelli Benac. La donna chiese all'anziana governante di farli accomodare e si preparò a riceverli.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***









I due uomini entrarono nella stanza; il più giovane, iniziò a guardarsi intorno, come pregustando una vita da signore. Il fratello invece, molto più umile e ligio al senso morale, salutò i conti e iniziò a trattare d'affari con Martino, che era stato delegato dalla stessa Elisa di seguire l'andamento della tenuta. La donna rimase comunque molto attenta ai vari problemi sollevati dal borghese, ma il colpo più duro le arrivò quando le trattative stavano per terminare; fu lo stesso Victor che ammise di aver subito una grave perdita, a causa di alcune navi naufragate mentre stavano tornando da quelli che sarebbero dovuti essere degli affari molto cospicui. "Purtroppo, io e la mia famiglia ora siamo costretti a chiedervi la restituzione del credito, almeno in parte...."
"Oppure esproprieremo la vostra tenuta, come sarebbe già dovuto accadere da molto tempo" gli fece eco Armand, prima che il fratello lo potesse zittire e avesse la possibilità di scusarsi per quell'uscita tanto inopportuna, quanto terribilmente vera.
 Elisa cercò di darsi un contegno pria di promettere la parziale restituzione dei soldi. Dopo che i due fratelli furono ripartiti, Elisa si diresse a passo spedito verso le scuderie dove trovò Angelo che stava tornando da un controllo dei possedimenti.
"Elisa ho delle ottime notizie!" esclamò raggiante, scendendo dal cavallo. La donna si asciugò una lacrima che stava scendendo; notandolo Angelo si fece serio:
 "Cosa c'è Elisa?" domandò appoggiandole delicatamente una mano sulla spalla.
"Nulla, Angelo, ho solo bisogno di fare una cavalcata, tutto qui, che belle notizie hai?" domandò mentre il ragazzo l'aiutava a sellare il cavallo.
"Abbiamo abbastanza soldi per saldare il debito con i Benac" .Esclamò raggiante angelo mostrandole alcune carte con uno stemma che Elisa non conosceva, poi continuò "Me le ha consegnate oggi stesso un messo del duca d'Avis,insieme a questa lettera per te" disse porgendole una lettera sigillata. Elisa era sorpresa, come poteva essere che un nobile francese fosse a conoscenza della sua situazione economica, e soprattutto l'aiutasse senza nemmeno sapere chi fosse? Prese la lettera e chiese ad Angelo:
 "Tu sai chi è questo duca?"
"Veramente no, Elisa, credevo lo conoscessi" la donna alzò le spalle.
 "Io no, forse sarà opera di Martino, va a dargli la bella notizia, ma non parlargli assolutamente di questa lettera, inoltre digli di non riferire nulla ai Benac, prima di accettare voglio sapere di chi siano quei soldi, potrebbe anche essere una coincidenza" disse rompendo la ceralacca del sigillo
 "Come vuoi Elisa, ma quante contesse possono chiamarsi "Elisa Ristori di Rivombrosa?"
"Forse hai ragione tu, ma per adesso fa come ti dico, così dicendo salì sul cavallo e si preparò per una lunga cavalcata. "Ma Elisa è quasi ora di pranzo, cosa dirà Amelia se non ti vede tornare?" "Dille che vado da mia madre, ho bisogno di parlarle, ora più che mai" e spronò il cavallo. Angelo non avrebbe potuto in nessun modo impedirle di partire, così si diresse prima da Amelia, e poi da Martino, per comunicargli le novità.

"Il duca d'Avis? non so chi sia, ma questi documenti sembrano proprio indirizzati a noi, Elisa cosa ha detto?" domandò Martino osservando attentamente i fogli che angelo gli aveva posto, come per cercare la conferma delle sue ipotesi.
 "Afferma di non saperne niente, eppure è strano. Un nobile francese  che si dà tanta pena per i Ristori, con tutto il dovuto rispetto," commentò angelo sperando di non aver esagerato "E' vero" ammise Martino "Da quando il vecchio re è morto la nostra casata no gode di molta stima nel regno sabaudo, e men che meno in Francia, anche se il nome di mio padre viene ancora pronunciato con un certo rispetto nell'accademia, lo ricordano come un grande soldato, leale e coraggioso, ma non mi sembra che al di fuori della caserma venisse ricordato" rifletté il ragazzo a voce alta, poi si risolse a parlarne a tavola col resto della famiglia.

Elisa aveva spronato al galoppo il sauro che la stava portando al villaggio di Rivombrosa, quando la curiosità del contenuto della lettera si fece tanto irresistibile, da convincerla a deviare e trovare un posto tranquillo dove poterla leggere. Raggiunse allora il laghetto con la cascata, dove tante volte era andata a rinfrescarsi durate le calde giornate estive, quando era una semplice dama di compagnia, dove Fabrizio l'aveva spiata e dove i due si erano amati. I ricordi i stringevano in gola e la mente viaggiava persa nei ricordi di quell'amore così forte da vincere ogni pregiudizio ed ogni ordine sociale. La donna legò il cavallo ad un ramo poco distante dalla strada e si sedette su una roccia in riva al laghetto. Il rumore delle acque cristalline che cadevano dalle svariate cascatelle, creavano un'atmosfera surreale e incantata; se il clima fosse stato più caldo Elisa si sarebbe sicuramente svestita e tuffata in quelle acque sempre freddissime, ma ristoratrici, invece si limitò ad aprire la lettera misteriosa e a leggerla.
"Carissima contessa Elisa Ristori,
Sono onorato di poterle finalmente comunicare che finalmente non dovrà più temere per la sua tenuta. Probabilmente vi starete chiedendo chi io sia, e perché vi abbia aiutato, purtroppo non posso dare risposta a queste vostre domande, ma credo che concorderete con me sul fatto che i nobili dovrebbero aiutarsi tra loro,così credo di aver risposto,almeno parzialmente ai vostri, dubbi.
Spero di potervi rivedere molto presto
Il duca D'Avis"
Elisa lesse e rilesse più volte la lettera, come per assicurarsi che fosse vera; la scrittura elegante sembrava sicuramente maschile e soprattutto credeva di averla già letta altre volte, ma non avrebbe saputo dire dove. Inoltre quell'ultima frase l'aveva lasciata molto perplessa: il duca d'Avis affermava di averla già conosciuta, ma lei era quasi certa di non aver mai conosciuto nessun'uomo con quel nome. Un nitrito la fece sobbalzare, si girò di scatto, ma fece solo in tempo a vedere qualche ramo muoversi; qualcuno la stava spiando. Per qualche istante pensò che fosse Fabrizio, si diede della sciocca, sapeva che suo marito era morto e non poteva essere stato lui, ma qualcosa le diceva che la sua prima impressione poteva non essere completamente sbagliata. Risalì a cavallo e si diresse verso il borgo di Rivombrosa dove avrebbe fatto una bella sorpresa a sua madre e sua sorella. 





Note: è tutta la sera che sto litigando col codice html (so che non ve ne può fregar di meno) però mi interessa cosa ne pensate dell'impaginazione: della serie, si legge bene, o preferireste altre soluzioni? Sono aperta ad ogni proposta grazie!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***









Intanto, a Torino, Martino aveva chiesto agli zii e alla cugina di aspettarlo nella sala bianca, dove aveva da comunicare alcune novità, riguardo alle sorti di Rivombrosa. Il gruppetto era in attesa di spiegazioni. Martino esordì:
 "Stamattina monsieur Benac è venuto a chiederci il saldo del debito" iniziò. Anna si sentì mancare, l'idea di perdere la casa dove era vissuta le faceva mancare il fiato. Martino continuò:
 "Fortunatamente, questa stessa mattina è arrivata dalla Francia una donazione di un certo duca d'Avis, pari alla somma del debito contratto con i Benac". Le guance di Anna ripresero colore a quella notizia; invece Antonio sembrò irrequieto, sapeva a chi apparteneva in realtà quel nome, e non capiva come mai si fosse esposto a tanto. Non disse nulla, ma tra sè e sè stava già cercando un modo per chiarire personalmente la situazione con quell'uomo così spericolato.
 La voce di Martino lo riportò alla realtà:
 "Antonio tu conosci questo duca?"
 "Solo di nome" si lasciò sfuggire l'uomo, poi cercò di dare una spiegazione più convincente, senza svelare il bruciante segreto che si portava con sè da anni:
 "Quando fui diseredato, e abbandonato dalla mia famiglia per aver sposato Lucia, per un breve periodo riuscii a mantenere un contatto epistolare con un mio cugino, il quale mi parlava molto spesso del conte, che lo aveva ospitato in Francia quando era solo un ragazzino. Purtroppo poco dopo si ammalò di una malattia incurabile, e io persi tutti i legami, e fino ad oggi non avevo più sentito quel nome" precisò, come per estraniarsi da quella vicenda.

Elisa raggiunse la casa dove era vissuta. Bussò alla povera porta di legno che, paradossalmente, sembrava la parte meglio conservata dell'abitazione. Artemisia andò ad aprire, meravigliata di ricevere visite a quel'insolita ora, e la sua meraviglia crebbe nel trovarsi davanti la figlia.
"Elisa, cosa ci fai qui?" domandò stringendola a sé.
 "Dovevo parlarvi" rispose Elisa entrando nell'umile casa. Si guardò attorno. La povertà regnava sovrana, ma Elisa non si scandalizzò, anzi si sentì al sicuro tra quelle quattro pareti apparentemente prossime a crollare; l'aria che si respirava là dentro, sebbene non profumasse di fiori di campo, era molto più serena di quella che in quei giorni si respirava a Rivombrosa. La madre le offrì un piatto di zuppa che Elisa mangiò molto volentieri. Finito il pranzo le due donne si trovarono faccia a faccia a parlare:
 "Allora Elisa cosa dovevi dirmi di così importante?" domandò l'anziana donna.
 "Si tratta di Martino" iniziò la ragazza, assumendo un'aria triste:
 "Vedete è da qualche giorno che non riesco a fare altro che a litigare con lui, temo di non essere adatta a fargli da madre. Anche oggi voleva scusarsi, ma alla fine ho rovinato tutto" continuò mestamente. Artemisia la fermò e dolcemente la invitò a raccontarle cosa fosse accaduto. Elisa le raccontò della festa, della discussione, e dello schiaffo dato al ragazzo, la sua ostinazione a non dargli retta e la lite di poche ora prima. Artemisia sorrise e cercò di consolarla:
 "Ha preso da suo padre, è un ragazzo geloso e protettivo, e anche se ti ha detto quelle cose, sono certa che non le pensava davvero, presto ti richiederà perdono, e questa volta tu sarai disposta ad accettarlo" Elisa sospirò profondamente.
 "Vedete madre, non è un problema di scuse, io l'ho già perdonato, ma ho paura che se mi mostro sempre comprensiva lui ne approfitterà, e una volta che resto impassibile sento di sbagliare ugualmente. Cosa devo fare?" domandò con la voce incrinata.
 "Non sempre si è certi di fare la cosa giusta, e se me lo permetti, sono contenta che tu ti sia rivolta a me per un consiglio, nonostante io sia solo una semplice popolana".
"Ma voi siete mia madre" esclamò Elisa come per giustificarsi, poi continuò "e siete la persona che credo più esperta in queste situazioni! Vedete, io non voglio che i miei figli abbiano solo un'educazione rigida che rispetti l'etichetta nobiliare, altrimenti li avrei già affidati a qualche precettore, io voglio che loro imparino a capire cosa vuol dire il rispetto, la dignità e l'amore. Solo così potranno farsi onore nella vita. Questo è quello che voi mi avete insegnato, e questo va sicuramente oltre ogni ordine sociale stabilito dall'uomo".  Artemisia sorrise, vedendo che la giovane donna aveva conservato i suoi consigli, anche se tanto era cambiato da quando era la semplice dama di compagnia a casa Ristori.
 "A quanto pare hai capito che essere madre non è semplice" poi si rabbuiò "Non sempre si è i genitori che avremmo voluto essere per i nostri figli..." si interruppe.
 "Ma voi siete stata una madre meravigliosa, io e Orsolina non avremmo potuto sperare di meglio, se non fosse stato per voi e per mio padre, probabilmente mi sarei persa nella locanda di Checca"controbatté Elisa, stringendole le mani. Artemisia distolse lo sguardo da quello della figlia, poi continuò:
 "Non è come credi" Elisa la fissò perplessa.
 "Madre non capisco, vi prego spiegatemi, ho bisogno di sapere!".
 L'anziana donna si asciugò le lacrime col fazzoletto, poi, sforzandosi di sorridere cercò di cambiare argomento:
 "Niente, non pensarci".  Elisa non sembrava convinta e le sue domande incalzanti costrinsero la donna a rivelarle la verità.
 "Va bene" iniziò a raccontare:
 "Tutto iniziò una sera di circa venticinque anni fa. Io e tuo padre avevamo appena dato l'addio al nostro piccolo. Era morto pochi giorni dopo il parto. Eravamo distrutti. Quando un pianto, fuori dalla porta, attirò la nostra attenzione. Devo ammettere che per qualche secondo, credevo si trattasse del mio Filippo, invece, trovammo un piccolo fagotto stretto in una coperta di lana. Quel fagotto eri tu" Elisa era basita.
 "Mi state forse dicendo...?" riuscì solo a dire.
 "Si Elisa, io non sono la tua madre naturale, ma permettimi di spiegare..." Elisa non aveva a forza di impedirglielo e annuì, Artemisia allora continuò:
 "Con te tra le braccia mi sembrava di aver trovato qualcosa che mi impedisse di impazzire, eri così bella e così perfetta che non riuscimmo a non affezionarci a te" Elisa scosse leggermente il capo.
"Probabilmente i miei genitori naturali erano talmente poveri che hanno preferito abbandonarmi, sperando in qualche misericordioso ricovero piuttosto che farmi morire di fame" dedusse la ragazza, come per giustificare quell'inspiegabile gesto. La voce di Artemisia si fece più rigida:
 "No, Elisa. I tuoi genitori non erano poveri". Elisa rimase ammutolita da quella notizia, poi quando riuscì a parlare riuscì solo a domandare chi fossero e Artemisia continuò nel suo terribile racconto "Non so chi fossero, solo che tu eri vestita troppo elegantemente per essere figlia di due poveri disgraziati, inoltre la lettera che avevi con te..."
 "Quale lettera?" la interruppe Elisa.
 "Avvolta insieme a te nella coperta c'era una lettera, nella quale qualcuno ci implorava di salvarti. Veniva brevemente raccontato, come tuo padre, dopo la tua nascita ti avrebbe voluta morta. La levatrice che ti aveva aiutato a venire al mondo, però, non ebbe il cuore di gettarti nelle fredde acque del torrente, ma non poteva certo tenerti con sé. Così sei diventata a parte della nostra famiglia. Non nascondo le svariate minacce che abbiamo ricevuto per averti tenuta con noi, ma ormai senza di te la nostra vita non avrebbe avuto più alcun senso.” Elisa rimaneva in silenzio, ascoltando attenta le parole di Artemisia.
“Cercai di educarti nella maniera migliore che potevamo offrirti, ma temevamo che non fosse abbastanza, poi la contessa Ristori ti ha presa a servizio, e in qualche modo fui felice i poterti bene o male, far rientrare nel mondo al quale appartenevi sin dalla vostra nascita. Il titolo nobiliare, concesso direttamente dal re, mi era sembrata la cosa più gratificante. Finalmente eravate riconosciuta come nobile davanti al mondo intero".
 La donna, quasi inconsapevolmente aveva dato del "voi" a quella giovane che, sino a pochi istanti prima, aveva chiamato "figlia", quasi ad accentuare il distacco che inevitabilmente c'era, e ci sarebbe stato per sempre tra loro due, poi tacque. Un silenzio carico di dubbi, ancora da chiarire.
 Fu Elisa che trovò il coraggio di parlare ancora, dopo un tempo che sembrava essere infinito:
 "Vi prego madre, continuate a darmi del tu. Anzi, vorrei che vi trasferiste a Rivombrosa per aiutarmi con Agnese, e anche con Martino, se è possibile" L'anziana sembrò sorpresa.
 "Non sei arrabbiata per quello che hai scoperto?" domandò incredula a quella proposta.
 "Devo ancora ragionarci sopra, ma voi siete la donna che mi ha cresciuta, e l'avete fatto in modo egregio, sia che io fossi o non fossi vostra figlia naturale, e io mi sono sentita amata".  Artemisia sembrò sollevata da quella risposta così sincera, quanto insperata.
"Non posso, Elisa" rispose . Fu Elisa a cambiare discorso:
 "Come volete, ma spero che non vi dispiaccia se verrò a vivere qui con Agnese per qualche tempo. Prima o poi la tenuta sarà nelle mani sue e di suo fratello, e come faranno a farsi rispettare se non conoscono le condizioni in cui vive la loro gente?"
 "Non credo sia necessario farla vivere qui, basterà portarla di tanto in tanto. Più ti sento parlare, e più mi sembra che tu sia quelle che ora chiamano una regina illuminata" disse abbracciandola forte. La paura di perderla a causa della verità, ora sembrava scemare, e l'affetto le stava legando ancora più di quello che erano state fino adesso. Prima di uscire Elisa domandò alla madre se conoscesse il duca d'Avis. La dona negò dispiacendosi di quella risposta, ma era la pura verità. Le due donne si congedarono con la promessa di rivedersi presto, ed Elisa spronò il cavallo verso Torino, deve l'attendeva un invito ad un ballo mascherato che avrebbe cambiato le carte in tavola.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***









Il sole stava ormai calando sulla città, e il freddo della sera stava prendendo il posto al timido tepore di inizio primavera, quando Elisa arrivò a Torino. Ora più che mai doveva capire chi fosse il duca d'Avis. Le poche righe della lettera assumevano di minuto in minuto nuovi significati, ma nessuno sembrava abbastanza convincente. La contessa trovò Martino nelle scuderie, intento a rifocillare il proprio cavallo. Elisa gli si avvicinò e lui l'aiutò a scendere. Fu lei a parlare per prima:
 "Martino devo parlarti" mentre dentro di sè pregava che il ragazzo non si comportasse nella stessa maniera, nella quale si era comportata lei quella stessa mattina. Il giovane si mostrò disposto a discutere e i due si diressero nel salone bianco, a quell'ora sempre deserto.
"Spero che Angelo ti abbia avvertito delle novità riguardo i debiti di Rivombrosa" disse con una lieve nota d'ansia nella voce.
 "Sì, e ne sono felice, anche se non so il motivo per cui il duca ci sta aiutando..." ammise, Elisa lo bloccò:
"Dunque tu lo conosci?" chiese, sempre in preda ad un sottilissimo senso di ansia, del quale non seppe darsene una ragione.
 "Purtroppo no, ma ho chiesto ad Anna e Antonio, e il dottor Ceppi ha detto che anni addietro aveva ospitato un suo parente in Francia, ma che non aveva più sue notizie da quando questi si era ammalato ed era morto nel giro di poco tempo".
 "Non ti ha detto nient'altro?” lo incalzò Elisa, che sperava di ottenere qualche informazione in più. "Purtroppo no, ma era strano, nervoso, e continuava a definirlo conte" rispose cercando di fare mente locale alla reazione del medico. Per Elisa questo non sembrava essere un particolare determinante, al contrario, il fatto che il duca fosse un uomo piuttosto anziano, le fece credere di aver ritrovato il suo padre naturale. Così decise che al ballo in maschera, della quale era venuta a conoscenza, sarebbe stato l'occasione giusta per scoprire l'identità del misterioso duca.

Il compito si rivelò più difficile del previsto. Nel grande salone del marchese Salvati, illuminato a giorno da migliaia di candele era impossibile riconoscere l'identità degli invitati, e tantomeno decifrarne, sebbene approssimativamente, l'età. Gruppetti di nobildonne stavano ciarlando vacuamente tra loro, e altrettanto facevano i gentiluomini. Elisa fu trascinata dalla cognata in un gruppetto dove poté  riconoscere la voce di madame Chevallier, quando sentì un paio di occhi che continuavano a fissarla insistentemente; si voltò di scatto, fu solo un attimo,un guizzo di occhi di ghiaccio che sembrava essersi dileguato tra le varie maschere riccamente decorate. La nobildonna continuava a sentirsi osservata, e nemmeno l'apertura delle danze riuscì ad alleviarle quel senso di disagio, che quella situazione le suscitava. Antonio condusse Anna a ballare sulle note di un dolce minuetto, e di lì a poco la maggior parte delle coppie si esibiva nella danza, mettendo in evidenza lo sfarzo dei propri abiti e dei propri monili. Elisa era in un angolo della sala, vicina ad una grande finestra che osservava le danze, quando notò un uomo dal volto completamente coperto dalla maschera, avanzare elegantemente verso di lei, e in perfetto francese, chiederle di ballare. Elisa si era sentita mancare alla vista di quel nobile. Per tutta la serata cercò di capire la vera identità di quell'uomo così simile a Fabrizio. Ma lui sembrava essersi ammutolito. Elisa cercò di liberarsi dalla presa del cavaliere, quando questi le cinse la vita avvicinandola a sè, più di quanto la danza avrebbe richiesto. Alla donna sembrava di rivivere il suo primo ballo, con l'uomo che amava, ma ancora una volta, si impedì di credere a quelle fantasie. Suo marito era morto sei anni prima, e nulla avrebbe potuto cambiare quella realtà.

Il giorno dopo, Elisa tornò a Rivombrosa con Agnese e Martino. Ormai la tenuta le sembrava tropo vuota, e trovava insopportabile rimanerci chiusa per molto tempo; così decise di andare a cavalcare nei boschi. Una bella passeggiata le avrebbe fatto bene, si disse. Sellato il cavallo, partì. Vagava ormai senza meta, quando una strana sensazione la condusse al"capanno fuori dal mondo".
 Facendosi coraggio, e lottando contro i fantasmi del passato, aprì la porta ed entrò. Si guardò attorno,cercando di capire cosa fosse accaduto in quel luogo. Era tutto in ordine, fin troppo! Pensò Elisa, considerando il tempo dal quale non ci andava più. Ormai erano passati almeno più di cinque anni dall'ultima volta che vi era entrata, e nemmeno l'idea di qualche contrabbandiere di passaggio sembrava essere presa in considerazione. Infatti la piccola abitazione era perfettamente riordinata, e non c'era segno di polvere o ragnatele date dell'incuria del luogo. Qualcuno doveva esserci passato di recente. Uscì dal capanno e galoppò veloce verso casa. Trovato Martino gli corse incontro, e senza fiato, gli domandò: "Sei andato di recente al capanno?" Il ragazzo la fissò sbalordito:
 "Veramente è da quando sono guarito dal colera che non ho più messo piede là dentro". Elisa era sempre più confusa. Decise di ritirarsi nella sua stanza dove, forse quella situazione le sarebbe stata più chiara dopo una lunga riflessione.
I giorni passavano velocemente a Rivombrosa, ma il mistero del duca d'Avis sembrava infittirsi sempre di più. Elisa aveva scritto una lettera al misterioso salvatore e ad invitarlo alla tenuta per poterlo ringraziare personalmente, ma ormai attendeva una risposta da più di una settimana; inoltre quando era tornata al suo "capanno fuori dal mondo" il perfetto ordine della prima volta era mutato in un disordine, che dava l'idea di una fuga. Sul tavolo di legno erano sparsi molti fogli di carta stropicciati, apparentemente copie di lettere non riuscite, nelle quali Elisa riconobbe alcune versioni molto simili a quella ricevuta insieme ai soldi per la tenuta. E come se non bastasse ogni volta che tentava di parlare con Antonio del misterioso benefattore, l'uomo si irrigidiva e cercava di cambiare argomento. Così la pura curiosità di Elisa si era trasformata in un leggero stato d'ansia e preoccupazione.
Altri problemi erano discussi in quel momento in giardino, dove Emilia e Martino passeggiavano abbracciati, tra il labirinto dei giardini all'italiana.
"Perchè devi partire? Non puoi mancare al matrimonio di tua madre, ci rimarrebbe male. Potremmo partire insieme, il giorno dopo la cerimonia, in fondo anche io devo tornare all'accademia". Emilia si sciolse da quell'abbraccio così rassicurante, ma contemporaneamente così pericoloso, "Lo sai benissimo che non mancherei per nessuna ragione al mondo al matrimonio di mia madre, tornerò giusto qualche giorno prima per poter essere presente, ma il collegio di Saint Cyr non mi concede permessi troppo lunghi, quindi non chiedermi, ti prego, di rimanere" così dicendo fece per allontanarsi dal cugino che la bloccò delicatamente.
 "Dove stai andando?" domandò come se quella momentanea separazione gli costasse molto.
 "A preparare i bagagli, devo partire domani mattina presto" rispose in tono rassegnato Emilia. Martino non si diede per vinto, ma tentò un'ultima carta per trattenerla ancora con sé.
 "Se proprio vuoi partire, almeno vieni con me". Così dicendo la trascinò verso le scuderie. Lei si fece trascinare, curiosa da quell'inaspettata reazione del cugino. Arrivati trovarono Titta, che chiese alla marchesina se necessitasse di qualcosa. Fu Martino a rispondere per lei.
 "No grazie Titta, per favore sellaci due cavalli..." Emilia lo tirò lievemente per una manica, e arrossendo ammise:
 "Veramente, io non so cavalcare..."
 "Allora Titta, basterà che tu ci selli Hermes". Il giovane eseguì gli ordini ed aiutò Emilia a montare a cavallo, poi vide i due innamorati varcare i cancelli di Rivombrosa e sparire tra gli alberi. Appena fuori dal cancello, Martino bendò Emilia, e spronò il cavallo al galoppo. Il viaggio fu breve, e presto arrivarono in una radura dove Martino sbendò la cugina, e osservò con piacere l'espressione meravigliata della giovane, nel trovarsi in quel posto meraviglioso.
 Poco distante una cascata scrosciava allegra e sugli alberi gli uccellini cinguettavano dando la sensazione di essere fuori dal tempo. I due innamorati si sdraiarono sull'erba, assaporando la magia di quel luogo, apparentemente eterno.
 "Non credevo ci fossero posti così qui vicino" mormorò la ragazza, mettendosi a sedere.
 "Sei tu a renderlo così meraviglioso" ribatté il ragazzo stringendola a sè e inspirando profondamente la sua fragranza delicata, poi scostandola delicatamente da sè, quel tanto che bastava per fissarla negli occhi, diede sfogo ai suoi sentimenti:
 "Emilia, io..." abbassò lo sguardo per un momento, facendolo girare tutt'attorno, per poi stringere le sue mani e fissandola nuovamente negli occhi continuò:
 "Ti amo" Emilia arrossì, ed accennò un timido sorriso, poi, senza nemmeno dare una risposta al ragazzo si protese verso di lui e lo baciò. Un bacio dolce e romantico, che ben presto si trasformò in baci sempre più esigenti, una mano di lui le stava lentamente scivolando lungo il fianco, e lei reclinò il capo all'indietro, per permettere a Martino di baciarle il collo. La passione sembrava aver preso il sopravvento sui due ragazzi, quando Emilia bloccò il ragazzo. Col respiro ancora affannato dal desiderio lo respinse, si mise a sedere e tentò di sistemarsi.
 "Martino, non possiamo..." furono le uniche parole che riuscì a dire, come per scusarsi. Il ragazzo continuò a baciarle il collo, ma sapeva che quel momento magico era stato interrotto definitivamente. Così montarono a cavallo, ma invece che dirigersi verso il castello, andarono verso il capanno, dove una sorpresa li attendeva.

I due ragazzi erano ormai giunti in prossimità del capanno, quando videro due cavalli legati alla staccionata. Martino rimase meravigliato, arretrò col cavallo e lo legò ad un albero nella boscaglia lì vicino, ed insieme ad Emilia si nascosero dietro alla costruzione dove sentirono una strana discussione. Dall'interno provenivano le voci di due uomini
"Come ti è saltata in testa una follia simile?" stava dicendo una voce familiare ai due ragazzi,
"e cosa avrei dovuto fare?" fu la risposta dell'altro.
"Per esempio non spedire quei soldi! in quel modo" L'altro lo contraddisse:
 "Sei stato tu ad avvisarmi che stavate per perdere la tenuta"
 "Dovevo dirti che lei stava bene e che il debito era stato risolto?" domandò sarcastico il primo uomo.  Nel frattempo Martino si affacciò alla finestra e lo riconobbe, senza molte difficoltà: era il dottor Ceppi, ma l'altro era girato di spalle e non riuscì a vederlo in volto. Il misterioso interlocutore scosse la testa, fece per ribattere, ma Antonio, gli fece cenno di interrompersi, tenendo lo sguardo fisso alla finestra di fronte a sé. Martino si nascose in tempo, e riuscì a trascinare anche Emilia verso i cavalli, aspettando che i due uomini uscissero dal capanno.
Antonio rientrò.
“Chi c’era?” domandò l’uomo, che per tutto il tempo era rimasto immobile, con le spalle alla finestra.
“Nessuno, solo qualche gioco di luce, ma sarà meglio sospendere i nostri incontri per qualche tempo, e soprattutto niente più colpi di testa” iniziò il medico.
"Stiamo parlando di mia moglie, sto facendo di tutto per salvarla, e per proteggere i miei figli". Rispose l’uomo, facendo intendere che per lui il discorso non era ancora finito.
 "tu non hai più dei figli!" esclamò Antonio, poi continuò "Hai smesso di essere padre nel momento stesso che  hai deciso di fare questa messa in scena. Per tutti, quella che tu chiami tua moglie è la tua vedova, una donna distrutta dal dolore della tua perdita che ha rischiato di non sopravvivere al duro colpo".
 "Era l'unico modo per non farci uccidere tutti" rispose amaramente, per poi continuare:
 "Ricordati che in ogni caso tu mi hai protetto le spalle, senza di me, ora la tenuta sarebbe persa" così dicendo fece intendere che il discorso era chiuso e che Antonio doveva andarsene.  Appena prima che il medico aprisse la porta la voce dell'uomo lo fece voltare:
 "Sai bene anche tu, che chi perde deve sparire, e questo è quello che è successo a me, anche se durante l'agguato poteva andare peggio. Quello non era programmato e ha stravolto parzialmente i piani, altrimenti, forse la contessa sarebbe stata avvertita." Antonio sorrise sarcastico:
 "Dubito che se le avessi parlato di questo folle piano ti avrebbe permesso di effettuarlo" poi ironicamente, si inchinò.
 "Duca" salutò e si chiuse la porta alle spalle.
Per poco Emilia e Martino non furono colti in flagrante a spiare, ma la fortuna sembrava essere dalla loro parte, così rimontati a cavallo galopparono verso Rivombrosa. Durante tutto il tragitto non fecero altro che discutere su ciò che avevano udito, facendo mille ipotesi diverse l’una dall'altra, senza però riuscire a cavare un ragno dal buco.
 "Ti dico che Ceppi si è cacciato in qualche grosso guaio" stava dicendo Martino, mentre stavano entrando nelle scuderie.
 "E' assurdo!" esclamò Emilia poi, dirigendosi verso la sua stanza continuò "Non è il tipo" Martino tentò di fermarla, ma inutilmente, così la inseguì sulle scale.
 "Hai sentito anche tu quello che ho sentito io".  La ragazza si bloccò improvvisamente, e si girò col fato mozzo verso il cugino.
 "Si sta per sposare!Non è così pazzo!" disse cercando di trovare il fiato che le veniva sempre meno. Subito Martino l'aiutò a salire gli ultimi gradini e la portò in braccio fino alla biblioteca, dove l'adagiò sul divano e la lasciò alle cure di Elisa, mentre lui andava a cercare Antonio. I due arrivarono qualche minuto dopo, quando la crisi era ormai quasi completamente passata. L'uomo fece uscire il ragazzo dalla biblioteca, e dopo aver accuratamente tirato le tende, si accinse a visitare la ragazza.
 Martino misurava a grandi passi la parte del corridoio antistante la biblioteca, quando Elisa lo chiamò e gli consentì di andare dalla cugina. Il sentimento che legava i due, era ormai evidente. Il ragazzo si precipitò in biblioteca, dove Emilia aveva ripreso colore, e cercava di tranquillizzarlo. Martino chiese ad Antonio come stesse la cugina. L'uomo rispose:
 "Come ti ha già detto Emilia è stata solo una leggera crisi, ma nulla di preoccupante, e poi, come tu stesso puoi notare sta molto meglio, anche se..."
“anche se?" domandò preoccupato Martino.
 "Sarebbe meglio che si fermasse ancora qualche giorno a Rivombrosa, il collegio dovrà rassegnarsi aspettarla ancora per qualche giorno". Ceppi si congedò lasciandoli soli in biblioteca. Emilia fu la prima a parlare:
 "A quanto pare, sembra che debba seguire il tuo invito a rimanere" Martino le sorrise, e accovacciandosi accanto a lei, le propose:
 "Stavo pensando di chiedere a tua madre il permesso, di..." proprio in quel momento, entrò in biblioteca la contessa Anna che non poté ignorare la romanticità di quella coppia.
 "Cosa dovresti chiedermi?" domandò, sforzando di dissimulare la sua gioia. I due si girarono i scatto.
Emilia arrossì violentemente, e si irrigidì cercando in tutti i modi di celare l'imbarazzo. Martino iniziò a balbettare qualche scusa, senza riuscire mai a guardare la zia negli occhi:
 "Beh... ecco... volevo accompagnare Emilia al collegio, in fondo anche io devo fare quella stessa strada e inoltre..." Anna lo interruppe:
 "Per ora Emilia non può partire, anzi, forse sarebbe meglio che si distenda nella propria stanza, non appena sarà in grado di rimettersi in piedi" Emilia lanciò uno sguardo di sollievo al cugino che contraccambiò, non prestando più quasi nessuna attenzione alle parole della donna.
 "Comunque considereremo questa ipotesi, che ne dici Emilia?" La ragazzina sembrò risvegliarsi da uno stato di torpore ed annuì. Anna uscì dalla biblioteca sorridendo. Non poteva immaginare un luogo più felice per la sua nuova famiglia con Antonio. Si sfiorò la pancia, consapevole che tra pochi giorni avrebbe avuto le prove definitive di ciò che già sentiva come certo: una nuova vita stava crescendo dentro di lei, e che in un prossimo futuro avrebbe potuto stringere tra le sue braccia. "Ancora pochi giorni", si disse "Poi Antonio potrà ricevere la bella notizia, e questa volta, cascasse il mondo, vedrà crescere suo figlio."

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***









Antonio stava misurando a grandi falcate l'area della sua stanza, ripensando al discorso avuto qualche ora prima al capanno, quando nella stanza entrò Martino. L'uomo si fermò. Il ragazzo, esitando, entrò subito nel vivo dell'argomento, senza tanti giri di parole:
 "Oggi, io ed Emilia stavamo cavalcando dalle parti del lago e del capanno, quando ci è sembrato di vederti cavalcare in direzione di dove Elisa e mio padre mi avevano portato quando ero malato di colera”. L'uomo iniziò a prestare maggiore attenzione per il discorso, e soppesando bene le parole ammise che, probabilmente aveva percorso quella strada, per arrivare prima a prestare soccorso ad una giovane gravemente malata. Martino non sembrava soddisfatto di quella risposta e iniziò a fargli domande sempre più assillanti, alle quali Antonio rispondeva sempre più evasivamente, per poi congedarlo  piuttosto seccamente. Allora Martino decise di confidarsi con Elisa. La trovò nelle stanze della sorella, intenta a leggere un libro di fiabe alla bambina che l'ascoltava avidamente. Rimase sulla porta ad ascoltare il suono melodioso e accattivante della sua voce, raccontare di avventure magiche in paesi lontani e fatati, e per un attimo rimpianse di non aver goduto della stesa fortuna di Agnese di vivere una vita agiata, e di aver dovuto, invece, lavorare fin da piccolo per poter guadagnarsi da mangiare. Ma fu subito intenerito da quella scena familiare, nella quale si sentiva inserito, e il freddo ricordo, cedette subito il posto all'amore di quella famiglia così particolare.
 Elisa si voltò, e vedendolo, lo invitò a sedersi insieme a loro sul grande tappeto con un ampio gesto della mano. Il ragazzo non obbiettò, e sedutosi vicino alla madre le mormorò:
 "Dopo vorrei parlarti" allo sguardo perplesso e preoccupato di Elisa si limitò ad aggiungere:
 "Stai tranquilla, no si tratta di Salvati" la donna sembrò rilassarsi, e dopo aver finito di leggere la storia, propose ad Agnese di disegnare, intanto che lei avrebbe parlato con Martino. La piccola accettò senza fare capricci, ed Elisa poté finalmente dedicarsi al figlio maggiore.
 Entrati in un'altra stanza, dopo aver chiuso la porta, Martino esordì:
 "Elisa ti ricordi che qualche tempo fa mi avevi chiesto se frequentavo il capanno dove mi avete portato tu e papà quando ero malato di colera?"
 "Certo che mi ricordo" rispose sorpresa la contessa, che non capiva dove il figlio volesse andare a parare. "Ecco, oggi pomeriggio io ed Emilia eravamo giunti al capanno, mentre due uomini stavano discutendo, e abbiamo ascoltato di nascosto".
 "E allora?" domandò ancora Elisa sempre più smarrita.
 "Ecco, vedi uno dei due uomini era il dottor Ceppi!" Elisa scosse la testa incredula.
 "Ti sarai sbagliato, Martino, capita"
 "No. Era proprio lui, è stato anche chiamato per nome e poi, anche Emilia si starebbe sbagliando?" Elisa si arrese al'evidenza e con un filo di voce domandò:
 "E conosci l'altro uomo?" Martino continuò nel suo racconto:
 "No, era di spalle e non ho potuto vederlo in faccia, ma il tono di voce assomigliava molto a quello di papà".
"Martino, capisci che quello che stai dicendo è incredibile" mormorò Elisa, confusa e stordita; ora non era l'unica a credere di aver riconosciuto Fabrizio, ma per la logica umana questo era assolutamente inconcepibile. L'uomo era morto ormai da sei anni, e nulla avrebbe cambiato questa dura realtà, se non un miracolo, e lei sapeva che a volte i miracoli possono accadere, era già accaduto per Agnese, dopo che Antonio le aveva detto che non avrebbe più potuto avere figli, e ancora la guarigione di Martino, che forse un'altro miracolo si stesse svolgendo a Rivombrosa sotto gli sguardi distratti dei suoi abitanti?
 "Ma è così ti dico!" esclamò il ragazzino. La discussione stava per degenerare quando Agnese entrò nella stanza reclamando la sua mamma.

Elisa dovette assecondarla, ma mentre giocava con la piccola continuava a ripensare alle parole di Martino. Decise che quella notte sarebbe tornata al capanno fuori dal mondo. Non sapeva perché ma sentiva che doveva farlo. Così chiese alla piccola:
 "Amore, ti piacerebbe andare in un posto nuovo?" la piccola sgranò gli occhi piacevolmente colpita dalla proposta materna ed esclamo:
 "Con Fedro?" Elisa soppesò l'ipotesi:
 "Ma sì, con Fedro" poi la prese per le braccia impedendole di scappare a dare la bella notizia a tutto il castello.
 "E che ne dici se dormiamo là?" Agnese, emozionata all'idea di questa nuova avventura accettò subito e aggiunse "Vado a dirlo alla mia bambola, può venire con noi?"
 "Certo, allora vado a dire ad Amelia che non mangiamo al castello. La bambina lanciò un gridolino di gioia e corse a prendere la bambola regalatale dal padre, quando lei era ancora in fasce.
Avvisare Amelia, invece, non fu altrettanto semplice, e ora la governante stava inseguendo Elisa per i corridoi del castello, cercando di dissuadere la padrona:
 "Ma Elisa! io non so proprio cosa ti è saltato in mente! Portare una bimba così piccola in quel posto!E per di più di notte!"
 "Fidati Amelia, andrà tutto bene, so cosa aspettarmi" mentì cercando di tranquillizzarla. Martino che aveva sentito tutto si intromise:
 "Dove vuoi andare?" Elisa si sentiva braccata, ma nulla le avrebbe potuto far cambiare idea.
 "Al capanno, devo controllare una cosa..."
 "Allora vengo con te e Agnese" disse il ragazzo in tono che non rimetteva repliche Elisa si fermò di scatto e Amelia, per poco, non le finì addosso.
 "No! tu stai qui con Emilia, Anna e Antonio, non puoi lasciare gli ospiti senza nemmeno un padrone di casa" disse Elisa, in modo che Martino dovette arrendersi al forzato invito.
Non appena furono pronte, Elisa e Agnese montarono a cavallo e si diressero verso il capanno. Lungo la strada Agnese guardava avida il paesaggio che le circondava. Gli alberi non ancora completamente gemmati sembravano dei buffi personaggi, appena usciti da qualche strana fiaba; un lieve venticello primaverile giocava con i suoi capelli, legati solo in una morbida mezza coda da un nastrino colorato. Arrivarono al capanno verso ora di cena, ed Elisa si accinse ad accendere il camino, dove poco dopo sarebbe stato cucinato un pasto frugale. Servito in tavola, le due mangiarono con appetito, e con gran sollievo di Elisa, Agnese non fece capricci. Dopo qualche gioco, arrivò l'ora di coricarsi, e per la prima volta dall'inizio di quella, che per Agnese era una semplice avventura, la bambina fu intimorita all'idea di dormire in un luogo sconosciuto, e chiese alla madre di coricarsi vicino a lei. Elisa accettò, e si rintanò sotto le pesanti coperte, ma non riuscì a prendere sonno; così, attese che la piccola si fosse addormentata e, avvoltasi in una coperta di lana, per proteggersi dall'aria fredda della notte che contrastava con le miti temperature giornaliere, si accoccolò vicino al camino, dove si addormentò parecchie ore dopo, mentre leggeva un libro.
Così la trovò Fabrizio, indifesa e rannicchiata sotto la coperta accanto alle braci morenti del focolare, che le dovevano aver tenuto compagnia in quella fredda notte di inizio primavera. Il libro ancora aperto a pochi centimetri da lei. L'uomo avrebbe voluto svegliarla e dirle che era tutto finito e che lui sarebbe stato con lei per sempre, ma sapeva che non era possibile, così raccolto un piccolo ramo con dei boccioli rossi appena accennati, lo posò in mezzo alle pagine e ripose il libro sul tavolo, poi prese in braccio la moglie e la coricò nel letto accanto alla piccola che dormiva serenamente. Fabrizio ammirò la bellezza delle sue due donne: la moglie dalle sembianze così dolci e fragili, e la piccola, bellissima, totalmente simile alla madre, e si pentì di non aver potuto vederla crescere. In quei sei anni avevo solo potuto immaginare i progressi di quella neonata, abbandonata così precocemente al suo destino. Non le era stato accanto quando balbettava timidamente le prime parole, o quando muoveva i primi passi. Non l'aveva mai vista ridere o piangere, e questo rendeva quell'incontro ancora più straziante. Ma di una cosa era certo, che in quel momento la piccola era serena, e questo era solo merito di Elisa, che aveva saputo darle le sicurezze necessarie, e iniziò a domandarsi come avrebbe potuto accettare l'idea di trovarsi nuovamente con un padre. Si sdraiò accanto alla moglie e, dopo aver contemplato ancora le due figure dormienti, si addormentò a sua volta. Fu risvegliato dalle prime luci dell'alba, timide ma inesorabili, che sancivano il necessario momento della separazione dalla sua famiglia. Così dopo aver baciato la moglie sulla fronte uscì dal capanno, sperando che nessuno lo notasse.

 Una folata di vento gelido obbligò Elisa a svegliarsi. La donna si stupì di trovarsi nel letto accanto alla figlia; era convinta di essersi addormentata accanto al camino. La donna non ebbe molto tempo per ragionare sui ricordi della sera prima, che un'altra raffica di vento spalancò l'entrata e l'obbligò ad andare a chiudere la porta. Ancora assonnata stava tornando verso il letto dove la piccola dormiva ancora, quando la sua attenzione fu colpita dal libro sul tavolo. Qualcosa al suo interno gli impediva di chiudersi completamente. Lo aprì e vide il ramoscello gemmato; ancora una volta come primo pensiero ebbe un miracoloso ritorno del marito, e ancora una volta dovette obbligarsi a guardare in faccia la realtà. Non appena Agnese si fu svegliata ed ebbe mangiato la colazione, le due ripartirono per il castello, dove tutti le stavano aspettando per salutare Emilia che , non ostante i consigli di Antonio, aveva deciso di partire ugualmente per il collegio.
"Sei proprio sicura di voler partire?Non sarebbe meglio aspettare qualche giorno?" stava domandando Anna alla figlia.
 "Tua madre ha ragione, è un viaggio lungo, qualche giorno in più di riposo non può di certo farti male" le fece eco Martino
 "Sto bene, e voglio partire" rispose risoluta Emilia scendendo gli ultimi gradini che la separavano dalla carrozza, quasi pronta, dove Angelo stava fissando gli ultimi bagagli. Poi fu la volta dei saluti; la ragazza venne sommersa da mille raccomandazioni e passò di braccia in braccia per i vari auguri. Si strinse forte a Martino che la baciò sul collo chiedendole con un filo di voce appena udibile:
 "Allora sei certa che non ti posso accompagnare?" Emilia si staccò leggermente da lui e con gli occhi che stavano iniziando ad inumidirsi, rispose
 "No è meglio così, davvero" Poi salì in carrozza e diede ordine al cocchiere di partire. Appena la carrozza sparì oltre i cancelli della tenuta, gli abitanti di Rivombrosa tornarono alle loro attività abituali. Anna ed Elisa passeggiarono ancora un po' nel grande parco parlando del più e del meno; le due donne adoravano quei momenti solo per loro, che ultimamente si concedevano sempre meno.
 "Come vanno i preparativi per il matrimonio?" domandò Elisa
 "Proseguono" si limitò a rispondere la cognata, poi si decise a confidarle i suoi presentimenti:
 "Senti, vorrei che mi aiutassi a scegliere la stoffa per l'abito da sposa...e magari anche un modello adatto" Elisa rimase perplessa:
 "Un modello adatto?" domandò
"Sì perché, vedi, aspetto un figlio" spiegò la donna con un espressione raggiante. Elisa l'abbracciò forte, e insieme si diressero nella stanza della donna per vedere i campioni di stoffe che erano giunti a palazzo.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***









Quando la carrozza di Emilia entrò in Francia era ormai calata la notte, e la ragazza decise di cercare un alloggio dove riposare, prima di riprendere il viaggio verso il collegio; ma poco prima che la carrozza entrasse nel piccolo paese, qualcosa di inaspettato accadde: un uomo moribondo in mezzo alla strada costrinse la carrozza a fermarsi. Emilia aprì lo sportello, per conoscere il motivo di quella sosta improvvisa, quando altri quattro uomini, col volto coperto da un fazzoletto, sbucarono dalla boscaglia circostante. Angelo, che la stava scortando, sguainò la spada nel tentativo di proteggerla, ma i cinque ebbero presto la meglio; Emilia sentì una mano che le tappò la bocca, poi solo il buio più profondo e in lontananza dei rumori ovattati.

La carrozza invertì direzione e riprese il viaggio come se nulla fosse successo. All'interno Emilia era accasciata priva di sensi, circondata da tre dei suoi aggressori. Dell'assalto alla carrozza non era rimasta alcuna traccia, se non Angelo, moribondo in mezzo alla strada. Era ormai giorno fatto quando una giovane ragazza passò per quel sentiero a raccogliere erbe per i suoi intrugli. Celeste, riconobbe subito l'uomo riverso e, caricatolo sul suo carretto lo trasportò in una radura poco distante, dove iniziò a curarlo con le sue arti. Angelo sembrava ormai in punto di morte, quando inaspettatamente riaprì gli occhi e fissò la fanciulla che gli stava rinfrescando il volto con in fazzoletto umido. La visione, prima appannata, poi sempre più limpida ebbe forse più potere delle arti magiche della donna. "Celeste" mormorò il moribondo, cercando di alzare una mano per sfiorarle il viso. La ragazza intrecciò le dita di lui con le sue, e cercò di tranquillizzarlo:
 "Sono io" sorrise, quasi timidamente; per la prima volta qualcosa in lei si era mosso al contatto con quel ragazzo, e uno strano sfarfallio allo stomaco la pervase quando questo biascicò ancora qualche parola.

Intanto che la carrozza proseguiva il suo viaggio, i tre uomini all'interno osservavano la giovane che ancora non dava segni di ripresa.
 "Non hai esagerato con quell'intruglio?" domandò uno dei tre all'uomo che l'aveva addormentata.
 "Stai tranquillo, ho solo eseguito gli ordini della signora, e poi se ancora dorme è meglio per tutti. Meno grattacapi" rispose l'altro. Il più giovane dei tre, un ragazzo sulla ventina d'anni, appena passati, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Non riusciva a capacitarsi che era stato assoldato per far del male a quella creatura, così innocente, e fine ed esternò i suoi dubbi agli altri due compagni:
 "Ma siete certi che sia lei ciò che la signora voleva?" l'unica risposta che ottenne fu una bestemmia e una grande risata di scherno. Poi, per paura che gli saltassero in testa strane idee, cacciarono il ragazzo alla guida della carrozza.

A Rivombrosa, la mancanza di Emilia si faceva già sentire, ma Anna decise che anche il futuro papà dovesse essere messo a conoscenza della felice novità, che presto sarebbe giunta a rallegrare Rivombrosa. Così cercò Antonio per buona parte della mattina, e, quando finalmente lo vide tornare da una delle sue visite, gli corse in contro e lo baciò sulle labbra. L'uomo contraccambiò, e tentò di scusarsi per essere sparito per gran parte della mattinata. Anna non prestò molto ascolto alle sue parole, e lo portò vicino ai cancelli del parco, dove il prato all'inglese lasciava spazio ad intricati percorsi immersi in un piccolo boschetto. Antonio si fermò, immerso nei ricordi: quello era il luogo preferito dove i due, da ragazzi, si rifugiavano per scappare alle ferree regole del loro ceto sociale, e Anna sapeva che lì avevano concepito Emilia, al riparo da sguardi indiscreti. Ed era sempre lì che la donna andava per ritrovare serenità quando le vicende della vita sembravano esserle avverse. L'uomo la fissò negli occhi: uno sguardo stupito e interrogativo la pregava mutamente di spiegare. Anna trasse un profondo respiro, poi iniziò:
 “Ti ricordi? Questo era la nostra via di fuga dalla realtà" Antonio annuì sorridendo, ma non fece in tempo a proferire parola che Anna continuò:
 " e ancora oggi vengo qui per riconciliarmi col mondo, ma questo posto sarà ancora una volta il custode della mia, anzi ,spero, della nostra gioia..." si fermò per un attimo esitante, poi disse tutto d'un fiato, come temendo di non trovare più il coraggio di dirlo:
 "Aspetto un bambino" poi, come correggendosi "Nostro figlio".
 Antonio rimase un po' spiazzato, e ripeté più volte la frase "Nostro figlio" prima di capire effettivamente il reale valore di quelle due parole, e dopo alcuni momenti, che ad Anna sembrarono interminabili, la strinse forte a sè, e dopo averla baciata ebbe solo la forza di mormorare:
 "E' meraviglioso". Finalmente la tensione di Anna si sciolse e una lacrima di sollievo le scivolò sul volto. Antonio le asciugò delicatamente la guancia e con la voce ancora malferma dall'emozione aggiunse "Torniamo dentro, c'è una bella notizia da dare..."
Quando Emilia riprese i sensi era ormai sera. Inizialmente non ricordò nulla di quanto era successo, e la forte emicrania e i sensi di nausea le impedirono di rendersi conto di dove si trovasse. Solo alcune ore dopo si accorse di essere stata rapita. tre dei suoi rapitori la stavano sorvegliando, mentre giocavano d'azzardo. La ragazza stesa su una tavola di legno coperta da qualche straccio poteva vederli, ma i volti coperti le impedivano di riconoscerli. Terminata la partita, il più vecchio dei tre, probabilmente il capo diede ordine di rimettersi in marcia, poi si accorse che la giovane era rinvenuta, e rivolto ai compagni esclamò ironicamente:
 "Guardate chi ci fa l'onore della sua presenza!" poi si diresse verso la ragazza, che cercò di allontanarsi il più possibile dall'uomo.
 "Almeno ci risparmierete la fatica di dovervi portare in spalle fino alla carrozza...ma vi avverto, niente scherzi oppure..." e si passò un dito alla base della gola in un inequivocabile gesto di minaccia. Emilia deglutì a vuoto e prima che l'uomo le si avvicinasse ulteriormente per slegarla domandò:
 "Chi siete? cosa volete da me?"
 "No sono affari che ti riguardano mocciosa, e ora fatti slegare, o vuoi arrivare alla carrozza saltellando?" la derise ancora l'uomo. Emilia era in preda al panico ma il suo orgoglio non le permetteva di farsi parlare in quel modo, così tentò di intimorire gli uomini:
 "lasciatemi immediatamente, appena il conte Ristori verrà a saperlo..." Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che l'uomo l'obbligò violentemente e scendere da quel giaciglio improvvisato e la costrinse a salire in carrozza rammentandole di evitare colpi di testa, se aveva cara la pelle. La ragazza eseguì senza fiatare e salì in carrozza che si mosse velocemente verso la sua meta.

A Rivombrosa l'oscurità avvolgeva ormai tutto il castello. Dalle finestre chiuse non perveniva nessuna luce, se non dalla camera di Anna e Antonio. I due stavano assaporando quella nuova intimità quando Anna ruppe quel silenzio magico:
 "Non mi sono mai sentita così..." disse appoggiando la testa sul petto dell'uomo. Antonio l'accolse tra le braccia e scostandole una ciocca di capelli domandò:
 "Così come?"
 "Così felice, anche se i problemi sono sempre alla porta, sento che tutto andrà bene, e poi l'idea che questo piccolino tra un po' verrà a movimentarci le giornate mi fa uno strano effetto. E' fantastico sentirlo crescere dentro di te..." Antonio sorrise e intrecciò le sue mani con quelle della donna e appoggiando la mano sul ventre impercettibilmente rigonfio di lei, continuò:
 "A sentirti parlare, sembra quasi che questo sia il tuo primo figlio”
 "Con Emilia è stato diverso" si confidò la donna "L'ho avuta con un uomo che non mi amava, e che io avevo sposato solo per i suoi interessi verso di me, o meglio, verso la mia eredità, ma questo lo scoprii soltanto dopo il matrimonio...Ma ti confesso che sono preoccupata, di solito a quest'ora Angelo è già tornato..." disse alzandosi leggermente per poterlo fissare negli occhi. L'uomo la trasse a sé.
 "Non ti preoccupare, Emilia è partita più tardi rispetto le altre volte, e quindi si sarà dovuta fermare per la notte, in qualche alloggio, ma sono certo che sia comunque arrivata al collegio, e Angelo, starà tornando qui, solo che per non disturbarci avrà sostato da qualche parte" La donna si abbandonò completamente alle carezze dell'uomo, che avevano sempre il potere di rassicurarla. Questa volta fu Antonio a rompere il silenzio:
 "Da quando lo sai?"
"Cosa?" domandò la donna.
 "Di essere incinta"rispose lui lei sorrise maliziosa:
"Da abbastanza tempo per esserne sicura".
 "Sai una cosa? Quando seppi che era nata Emilia, per un po' ho creduto che potesse essere mia figlia" disse continuando ad accarezzarle i morbidi boccoli scuri che le ricadevano ribelli lungo la schiena. Anna si irrigidì e sperò che Antonio non se ne accorgesse, e domandò:
 "Davvero?"
 "Sì lo so che è stupido, ma parecchie volte sono stato addirittura tentato di venirtelo a chiedere...che stupido vero?" Anna sorrise:
 "Io avrei fatto la stessa cosa..." poi vinta dal sonno si abbandonò completamente alle braccia dell'uomo e si addormentò profondamente.

La carrozza proseguiva imperterrita verso la sua meta; al suo interno, Emilia era talmente terrorizzata dalle minacce fattele dall'uomo, che non aveva neppure il coraggio di piangere. Passò la notte insonne, senza alzare lo sguardo sui suoi carcerieri e a pregare.

Ad ormai molte miglia di distanza un'altra persona stava pregando. Forse, per la prima volta nella sua vita, Celeste sentiva che le sue "magie" non potevano bastare per salvare quel ragazzo che giaceva febbricitante sul suo carro. Quasi subito le sue preghiere sembrarono esaudite; infatti Angelo, dopo tutta la notte perso nella completa incoscienza, parve riprendere i sensi.
"La marchesina..." biascicò in un momento di lucidità tentando di mettersi a sedere. Celeste dolcemente, ma in modo che non ammetteva repliche, glielo impedì obbligandolo a rimanere sdraiato, poi domandò:
"Quale marchesina? Non c'era nessuno con te quando ti ho trovato".
 Il ragazzo sembrava perplesso e preoccupato al contempo, e iniziò a farfugliare frasi apparentemente senza senso:
"La marchesina...la carrozza...i banditi...l'hanno portata via...la marchesa...devo avvertirli...l'hanno portata via..." Celeste tentò di tranquillizzarlo:
"Calmati, non devi agitarti, avviseremo la marchesa non appena sarai nelle condizioni di poter viaggiare, ma ora non affaticarti, cerca di riposare; quando ti sarai calmato, mi racconterai cosa è successo. Ma ora devi assolutamente riposare". Disse passandogli una pezza bagnata sulla fronte nella speranza che la febbre lo abbandonasse completamente.

A Rivombrosa la mattina trascorse lentamente, carica di tensione e di speranze, via via sempre più flebili man mano che le ore passavano, lente, ma inesorabili. L'assenza di Angelo gettava nel panico tutti gli abitanti della tenuta, ma in particolar modo Anna, che camminava avanti e indietro nel salone da tutta la mattina. Martino, Elisa ed Antonio cercavano inutilmente di tranquillizzarla con un ottimismo che mal celava tutta la loro ansia per la sorte dei due. Altre lunghe ore passarono, e il sole scese dietro le dolci colline all'orizzonte, segnando la fine di quella giornata di ansia e aspettative deluse.
 Anna si fece prendere dallo sconforto e, staccatasi dalla finestra da dove aveva sperato di vedere, da un momento all'altro, iniziò a torturarsi le mani esclamando:
"Lo sapevo che non avrei dovuto lasciarla partire!"
"Anna ti prego, calmati" iniziò invano Antonio alzandosi dal divanetto.  Anna si voltò di scatto verso di lui e lo fissò severamente prima di iniziare a singhiozzare.
"Calmarmi?... e come posso?" poi riprese "Mia figlia ha deciso di partire ugualmente per la Francia, nonostante tu le abbia detto di aspettare qualche giorno e ora..." Non riuscì a terminare la frase che fu scossa da violenti singhiozzi; ormai non cercava nemmeno più di ricacciare indietro le lacrime, ma piangeva disperata. Antonio la strinse a sè senza dire una sola parola e lei tra un singhiozzo e l'altro riuscì solo a mormorare
"La mia povera Emilia...Chissà dove sarà in questo momento, cosa ne sarà di lei?"
Antonio cercò di trarla ancora più vicina a sè ma il vestito glielo impedì, così accarezzandole il capo cercò ancora di tranquillizzarla, sperando di non dover ricorrere al laudano.
"Amore mio, devi cercare di calmarti"
"E come faccio? Sento che le è accaduto qualcosa di brutto!"
"Emilia è una ragazza forte e coraggiosa, e sono sicuro che se le è capitato qualcosa starà già sicuramente tentando in tutti i modi di ritornare a Rivombrosa...Ma tu ora devi pensare al piccolo che porti in grembo: è lui che in questo momento ha bisogno di te" Anna aveva smesso di singhiozzare, ma lacrime silenziose continuavano a rigarle il viso, che abbassò portandosi una mano sul ventre, e per la prima volta, riuscì a sentire il suo piccolo e alzando lo sguardo su Antonio incrinò gli angoli della bocca in un tentativo di sorriso e annunciò:
"Si è mosso"
"Visto?" iniziò Antonio ringraziando tra sè a sè il cielo per quel'aiuto insperato.
"Il piccolo ti reclama già tutta per sè..." continuò baciandola, poi aggiunse:
“ ma adesso è meglio che tu vada a distenderti, hai passato tutta la giornata in piedi, dovrai essere stanca. La donna non obiettò, e si lasciò condurre in camera dove poco dopo fu vinta dalla stanchezza e cadde in uno sonno agitato.

Antonio rimase a vegliarla per un po' di tempo per poi tornare in salone da Elisa e Martino, a rassicurarli sulle condizioni della donna e a cercare con loro un piano per tenerla occupata la maggior parte del giorno in modo di non farle pensare, per quanto fosse possibile, alla preoccupazione per la sorte di Emilia. Nel salone Elisa e Martino cercavano di farsi forza tra loro, quando Antonio entrò nella stanza. La donna gli si fece subito incontro e si preoccupò delle condizioni della cognata e del piccolo che portava in grembo; il ragazzo rimase stupito da questa notizie ed esclamò:
"Ho sentito bene? La zia è in stato interessante?"
"Sì" rispose il medico con un sorriso che valeva più di molte spiegazioni. Il ragazzo lo abbracciò felicitandosi sinceramente:
 "E' fantastico quando l'avete saputo?"
"Veramente l'abbiamo annunciato ieri a cena..."
Lo sguardo del ragazzo si incupì sforzandosi di ricordare quel particolare, apparentemente impossibile da dimenticare, questa volta fu Elisa a venirgli in aiuto:
"Vedi cosa vuol dire rientrare tardi dalla battuta di caccia con monsieur Benac?" disse la donna in un tono più o meno scherzoso. Il ragazzo si fece improvvisamente serio e iniziò a scusarsi dell'accaduto, elogiando il borghese che lo stava crescendo come un figlio.
"Non hai bisogno di scusarti" lo interruppe Elisa "Tutti sappiamo che in lui hai trovato..." la contessa si interruppe un momento per soppesare le parole poi riprese:
"Una sorta di secondo padre, e di questo ne sono felice, davvero" aggiunse, per poi cambiare argomento, cercando di coinvolgere anche Antonio nella discussione.
"A proposito del debito che abbiamo con quella famiglia, stavo pensando di accettare l'aiuto del duca D'Avis per saldarlo".
Il medico iniziò ad innervosirsi.
"Hai scoperto qualcosa su di lui?" domandò sperando di non tradirsi. Elisa non fece caso alla reazione che l'uomo aveva avuto nel sentire quel nome e continuò come se nulla fosse
"No, ma...ho dei confortevoli sospetti che mi inducono ad accettare l'offerta". Il ragazzo e l'uomo si scambiarono uno sguardo perplesso, poi Antonio domandò:
 "Indizi?"
"In un certo senso sì" continuò la donna "Insieme al denaro ho ricevuto una lettera indirizzata a me, dove il duca accennava ad una possibilità di rincontrarci, e se devo sbilanciarmi, credo che sotto lo pseudonimo del duca d'Avis possa nascondersi il marchese Maffei".
 Antonio era incredulo, se non avesse realmente saputo chi si celasse dietro quello pseudonimo non sarebbe stato così sorpreso infatti la interruppe, quasi sollevato:
"Il marchese Maffei?"
"Sì" scosse le spalle Elisa poi spiegò il suo ragionamento logico:
"Può essere che Margherita gli abbia parlato delle nostre situazioni che nell'ultimo periodo si sono aggravate, e lui ci abbia voluto aiutare, e dato che il Piemonte non è ancora un luogo sicuro per lui, in quanto aveva fatto parte dei congiurati verso il vecchio re, ha preferito usare un diversivo, nel caso la lettera fosse stata intercettata..."

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***









Era ormai passata quasi una settimana da quando Emilia era stata rapita. Angelo si stava rimettendo molto velocemente, e presto sarebbe potuto tornare a Rivombrosa, con la donna che amava, e che gli aveva salvato la vita. Celeste non era sicura che il ragazzo potesse già sostenere un viaggio simile, ma le sue insistenze la obbligarono ad assecondarlo e i due si incamminarono verso il Piemonte.

Anche per Emilia arrivarono alcuni cambiamenti: dopo quattro giorni trascorsi a viaggiare esclusivamente di notte, venne condotta in una rocca dove, portata in una cella insieme ai suoi bauli, le venne ordinato di cambiarsi e indossare l'abito più elegante che aveva. Emilia non obbiettò, e, appena pronta si meravigliò di essere attesa da uno solo dei suoi rapitori. Il più giovane, che si era scoperto il volto e cambiato, assomigliando così più ad un gentiluomo che al bandito di poco prima. Il ragazzo la condusse in una carrozza, probabilmente presa a nolo dai compagni, misteriosamente svaniti nel nulla
"Sali" le intimò il giovane, porgendole la mano per aiutarla. Emilia lo fissò titubante e rimase immobile davanti alla carrozza aperta.
"Ho detto sali!" ripeté il ragazzo, in tono più duro strattonandola per un braccio. La ragazza tentò di ribellarsi ma lui la bloccò e le mormorò all'orecchio:
"Se ci tieni a questo trattamento privilegiato sali senza fare storie, non sono solo come sembra"
La ragazza si scostò con un altro strattone e prese posto in carrozza. Poco dopo che le tende furono tirate e due degli altri rapitori si misero a cassetta e ripartirono, seguiti a cavallo dagli altri due. All'interno della carrozza Emilia temeva il peggio, e sbirciava le azioni del suo compagno. Il ragazzo sorrise:
"Principessa! vi conviene mangiare qualcosa" disse in tono quasi amichevole porgendole del pane. lei lo fissò poi rispose freddamente :
"Non ho fame" .
Allora il ragazzo si alzò dal suo posto e si sedette accanto a lei; la ragazza si schiacciò nell'angolo della carrozza cercando di allontanarsi il più possibile da quell'individuo, ma lo spazio era poco.
"Non ti voglio fare niente" esordì il ragazzo, cercando di tranquillizzarla poi continuò:
"Ma tu devi restare al gioco. Probabilmente saremo fermati all'ingresso in città e tu non dovrai dire nulla, solo confermare la mia versione, sempre che tu non preferisca incontrare l'ira del capo" Emilia scosse la testa e domandò:
"E quale sarà la vostra versione?" Il ragazzo tornò a sedersi di fronte a lei, dandole un leggero senso di sollievo .
"Semplice" iniziò "Tu sei mia sorella, e siamo attesi dal doge della Serenissima".
"La serenissima?"
"Venezia, grande porto del passato, è da qui che passavano tutte le sete per occidente" Emilia non rispose, ma in lei qualcosa era cambiato: quel ragazzo prima così spaventoso, si stava rivelando quasi un piacevole compagno di viaggio.
"Ma forse sarete stanca, conviene che vi riposiate un po' intanto che siamo soli in carrozza. Ho sentito il capo che non avete chiuso occhio in questi giorni". Le attenzioni del ragazzo però la inquietavano; scosse la testa e aggiunse:
"Non ho sonno"
Il ragazzo scosse le spalle.
"Come vuoi principessa allora dormo io...mi raccomando niente scherzi" disse portandosi le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e chiudendo gli occhi.
"Non sono una principessa"Rispose secca lei.
"Come vuoi" rispose lui senza aprire gli occhi. Dopo qualche minuto di silenzio, Emilia decise che forse, un po' di sonno le avrebbe fatto bene, e così appena chiusi gli occhi si addormentò. Fu svegliata dal ragazzo che la stava scuotendo leggermente. La ragazza sussultò e per poco non si mise ad urlare. Il ragazzo, intuendo le sue intenzioni le tappò la bocca e la trasse fuori dalla carrozza, trascinandola di corsa nel fitto del bosco, adiacente alla strada.

"Cosa succede?2 domandò preoccupata appena il ragazzo le tolse la mano dalla bocca
"Zitta!" le ordinò il ragazzo nascondendosi dietro ad alcuni cespugli e costringendo la ragazza a fare altrettanto.
"Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?" domandò ancora lei.
Il ragazzo spazientito dalla sua insistenza iniziò
"Ma è possibile che non ti sia accorta proprio di nulla?"
"E di cosa mi sarei dovuta accorgere?"
"Che c'era un assalto alla carrozza e che ti ho salvata"
"Un assalto alla carrozza?"
"Sì ma ora vieni, ti spiego meglio per strada, ora dobbiamo arrivare alla locanda qui vicino e sperare che abbiano almeno un calesse" così dicendo trascinò con sè la ragazza che, non potendo rifiutarsi, lo seguì senza storie.
"Brava, finalmente inizi a ragionare"
"Perchè un assalto alla carrozza? Con che scopo?"
"Come con che scopo?!?" esclamò il ragazzo divertito, aiutandola a superare un rigagnolo d'acqua
"Per rapinare gli sfortunati viaggiatori. Questa non è una zona sicura, e anche le carrozze senza uno stemma nobiliare non sono al sicuro, ma non ti preoccupare, tra poco riprenderemo la nostra recita. Venezia non è lontana" Emilia si sentì mancare. Per qualche secondo aveva sperato di essere liberata, invece...Iniziò a piangere silenziosamente, poi implorò il ragazzo
"Ti prego liberami, portami a casa..."
"Fossi pazzo! ammesso che riuscissimo ad arrivare in Piemonte, come credi sarei accolto dalla tua famiglia? E poi, siamo comunque controllati, tutti e due. Se non giungiamo entro questo pomeriggio a quella locanda il capo non esiterebbe a mettere una taglia su di te, e soprattutto sulla mia testa, capisci bene che non posso".
Emilia non si arrese, e continuando a seguirlo rincalzò la dose:
"Ma tu non sei come loro...tu sei diverso, hai un animo nobile..."
"E anche un titolo nobiliare cancellato da ladri" la bloccò ironicamente lui, poi continuò:
"Ascolta, se vuoi trascorrere in maniera abbastanza "piacevole" quest'ultima parte del viaggio, ti conviene continuare a comportarti come in carrozza, altrimenti il capo non ci metterà molto a sostituirmi con un'altro che ti tiene costantemente sotto la minaccia di un pugnale o di una rivoltella. A te la scelta." Emilia non rispose, ma seguì il ragazzo senza fiatare sino alla locanda dove entrarono per chiedere una carrozza e ristoro per qualche ora. Al suo interno le facce erano tra le peggiori che Emilia avesse mai visto. L'orrore verso quella gente e quella bettola la facevano stare attaccata al ragazzo che invece si muoveva come se fosse a suo agio. Assicuratosi di essere stato visto con la ragazza in ostaggio dai diretti interessati, si fece preparare la carrozza che, fortuitamente era rimasta. Poi salì con Emilia e altri due uomini li seguirono, mettendosi alla guida, per condurli alla loro meta: Venezia.
Emilia si era completamente ricomposta dallo sfogo di poco prima, e i due avevano ricominciato a parlare:
"Prima mi avete detto che qualcuno vi ha sottratto il titolo nobiliare, come è accaduto? se non sono indiscreta"
"L'ho detto solo per zittirvi principessa" rispose freddo lui, anche se i suoi occhi alla domanda della ragazza avevano tradito un sentimento più simile alla rabbia che ad una semplice menzogna.
"Vi ho già detto che non sono una principessa, ma una marchesa"
"Quante storie per un titolo nobiliare sbagliato...come ti chiami?" Emilia rimase colpita dalla domande così diretta del ragazzo .
"non è importante il nome" rispose spiazzata.
"Davvero? non credo che le guardie della città accetterebbero una risposta del genere ad una eventuale domanda di riconoscimento, devo inventarmi io un nome, o mi dite il vostro?" lei fu vinta da tanta logica e rispose:
"Sono la marchesina Emilia Ristori questa è una qualificazione sufficiente?"
"Bastava il nome, anzi da adesso dimenticati di essere la marchesina ristori e calati nella parte del..." non ebbe il tempo di finire la frase che la carrozza venne bloccata e una guardia ordinò ai due di farsi riconoscere. Il ragazzo scostò la tendina e annunciò "Sono il principe Cristiano Caracciolo di Montesanto, e questa è mia sorella, la principessa Emilia. Siamo attesi urgentemente dal doge della Serenissima" il soldato sembrò soddisfatto e li lasciò entrare nella città.
Il ragazzo non tornò più sulle presentazioni, ma iniziò a congedarsi da quella ragazza, che in qualche modo lo aveva coinvolto più di quanto non avesse voluto.
"Ci siamo quasi" annunciò .
"Allora è il doge che mi ha fatta rapire?” domandò lei.
"Non posso dirtelo. Il mio lavoro è finito. Buona fortuna"
"E tu chiami 'lavoro' rapire le persone?"
"Emilia, hai ancora molto da imparare..." disse prima di scendere dalla carrozza e entrare in una ricca casa dove era atteso. Dopo una breve attesa fu portato a cospetto di una donna, dopo un breve inchino disse solo:
"Signora è nella carrozza qua sotto" La donna si alzò a gli porse un sacchetto di monete.
 "Ottimo lavoro. Date ordine a Gasparo di accompagnarla qui". Il ragazzo si inchinò e face per andarsene quando la marchesa lo fermò e gli consegnò una lettera sigillata.
"Fate in modo che questa lettera giunga alla contessa Ristori a Rivombrosa. Il prima possibile".
"Come desiderate" disse, inchinandosi ancora mentre prendeva a lettera. Poi sparì dalla vista della marchesa.

Emilia era stata chiusa a chiave in una stanza del palazzo. Ora stava cercando di capire dove si trovasse, e se ci fosse qualche possibilità di fuggire, quando la chiave girò nella serratura e la porta si aprì. Emilia si voltò di scatto e la sua sorpresa crebbe nel riconoscere la marchesa Van Necker.
"Ben arrivata" fu il saluto della donna.
"Voi?” domandò la ragazza stupefatta.
"E chi credevi che arrivasse? tuo zio forse?" Gli occhi di Emilia si inumidirono.
"Non dirmi che tua madre ha permesso che tu assistessi alla sua decapitazione..." rincarò la dose Lucrezia.
"Mio zio non è stato decapitato" ribatté la ragazza, senza più curarsi del rispetto che avrebbe dovuto portare ad una nobildonna.
"Racconta pure la versione che preferisci, tanto il nome dei Ristori è già stato infangato, e i tuoi tentativi per farlo riemergere sono patetici...comunque sono venuta qui per spiegarti alcune ,semplici regole, alle quali ti devi attenere...”








Ecco svelata la misteriosa rapitrice di Emilia =)

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***









In quello stesso momento angelo e Celeste raggiunsero Rivombrosa. L'uomo, aiutato dalla ragazza salì il grande scalone e chiese di essere ricevuto dalla contessa. Appena Venne annunciato, Elisa dimenticò il suo ricamo e, appoggiatolo sul letto, precedette Giannina correndogli incontro. La sua sorpresa nel vederlo così mal ridotto e accompagnato da Celeste, era pari solo alla paura che qualcosa di male era accaduto alla nipote. Vedendo che Angelo faticava a reggersi sulle gambe lo fece sedere in biblioteca, dove si fece raccontare ciò che era accaduto. Durante il racconto dell'uomo le lacrime le scendevano silenziosamente lungo le guance. Cercò di tranquillizzare il sovraintendente che non era colpa sua se Emilia era stata rapita, e ringraziò Celeste di aver riportato Angelo a casa e le offrì nuovamente di rimanere con lei a palazzo. La ragazza accettò; dopodiché Elisa andò a cercare Antonio, che trovò in compagnia di Anna. Il medico capì subito che qualcosa non andava: così, con una scusa, si congedò dalla donna e raggiunse Elisa. Appena sicura che nessuno li avrebbe potuti udire, Elisa iniziò
 "E' arrivato Angelo".
"E' fantastico dobbiamo dirlo ad Anna" Elisa lo fermò:
"No" l'uomo la fissò preoccupato.
"Cosa è successo?"
"Meglio entrare" Antonio la seguì. Chiusa la porta della biblioteca iniziò
"Emilia è stata rapita"
"Rapita?"
"E' per questo che ne ho voluto parlare prima con te. Non so se sia il caso che Anna lo scopra adesso, che è nella fase più critica della gravidanza..." disse Elisa asciugandosi le lacrime. Antonio annuì.
"Hai fatto bene, anche se dobbiamo dirglielo. Le parlerò io. Ma ho bisogno di te e Martino. Dobbiamo essere forti". Elisa si sforzò di ricomporsi e tornò nella sua stanza, nell'attesa che Martino tornasse dalla battuta di caccia. Quella sera, prima di cena, Elisa riuscì a parlare col ragazzo dell'accaduto. Martino aveva subito proposto di andare a liberarla.
"E dove Martino?Per adesso non ci resta che aspettare"
"Cosa?"
"Ascoltami" disse la donna, trattenendolo per le spalle "In questo momento Emilia non è in pericolo di vita, e poi non sapresti dove cercarla. Dobbiamo aspettare che i rapitori facciano la prima mossa, poi agiremo di conseguenza. Ora Antonio dovrà dirlo ad Anna".
 Martino la fissò serio negli occhi, poi l'abbracciò e disse solamente:
"Speriamo...”
Da quando Anna aveva appreso del rapimento della figlia si era rinchiusa in se stessa, e a fatica, Antonio riusciva a convincerla a nutrirsi, e sembrava impossibile spronarla a reagire. La donna si era chiusa nelle sue stanze e non voleva essere avvicinata da nessuno. Più volte Elisa aveva tentato di distrarla, ma invano, e sospettava che se non fosse stato per il piccolo, Anna avrebbe già tentato di togliersi la vita. Così altri giorni carichi di paure passarono, finché un giorno, mentre Elisa stava prendendo il tè con Martino, Celeste irruppe nella stanza, dichiarando che erano arrivate due lettere per la contessa. Elisa le prese e ruppe la ceralacca della prima. Era del Marchese Salvati e la lesse. Dovette leggerla più volte prima di essere certa di aver compreso bene il contenuto; il nobile l’aveva invitata ad una festa, assicurando che la sua partecipazione sarebbe stata molto vantaggiosa per entrambe; e subito pensò che alludesse ad Emilia; ma la seconda lettera a sorprese ancora di più. Era scritta evidentemente da un’altra mano, e parlava esplicitamente dal rapimento della ragazza; Alla donna veniva ordinato, per il bene della marchesina, di non domandare aiuto al re (come se questi avrebbe ascoltato una serva divenuta contessa…) e di aspettare altre istruzioni. Elisa fece cenno a Martino di seguirla e corse in camera di Anna, bussò alla porta e senza attendere risposta l’aprì, fermandosi poi sulla soglia, leggermente ansante. La marchesa cercò debolmente di protestare, ma la donna la interruppe:
“Scusa Anna, ma è importante”
Poi si avvicinò al letto dove la cognata si era appena messa a sedere.
“Ma prima di tutto, come ti senti?” Continuò Elisa cercando di prendere tempo.
“Abbastanza bene” sorrise stancamente la cognata, poi continuò :
“Anche se stanotte non ho chiuso occhio …” Elisa sorrise e le strinse affettuosamente la mano.
“Nelle tue condizioni è normale, anche se è importante per te e per il piccolo” Anna annuì, poi notando Martino ancora sulla porta, piuttosto a disagio, lo invitò ad entrare e domandò ad Elisa:
“Di cosa volevi parlarmi prima?” La donna inspirò profondamente poi iniziò:
“Mi sono arrivate due lettere, una anonima, e una dal marchese Salvati …”
“E allora?” domandò l’altra
“Quella anonima parla esplicitamente di Emilia” disse porgendole la lettera e dandole il tempo di leggerla, poi proseguì:
“Mentre nell’altra …” disse allusiva, senza però continuare la frase.
“Tu credi che il marchese Salvati c’entri qualcosa?”
“Non lo so, ma leggi questa” Elisa le consegnò l’altra lettera. Anna lesse le poche righe del marchese e domandò ancora :
“E tu pensi di accettare l’invito?”
Allo sguardo perplesso del ragazzo, dopo un muto scambio di sguardi con Elisa, Anna porse le lettere al ragazzo, che dopo averle lette velocemente iniziò
“Non vorrai davvero accettare l’invito di quell’uomo?”
“Devo!” esclamò la donna “Devo scoprire se c’entra qualcosa col rapimento” continuò sconsolata.
“Ma le scritture sono diverse!” protestò inutilmente Martino.
“E’ vero” gli fece eco Anna, ma Elisa sembrava irremovibile.
“Magari ha dato ordine ad un servo di scrivere una delle due” ipotizzò Elisa. I due capirono che non ci sarebbe stato modo di dissuaderla.
L’invito era per quella stessa sera ed Elisa stava finendo di prepararsi, quando Martino entrò in camera, e abbracciandola stretta le mormorò all’orecchio:
“Ti prego fai attenzione” la donna rimase colpita da quel sincero gesto d’affetto e rispose:
“Stai tranquillo, non devi preoccuparti per me, figlio mio, non permetterò che mi accada nulla di male, e sai che per questo ho rischiato la forca una volta e non esiterei a rischiarla nuovamente se c’è in gioco il mio onore”. Poi si diresse alla carrozza che la condusse rapida al palazzo dell’uomo. Elisa si sorprese di non vedere altre carrozze, come al solito succedeva durante le serate, ma ormai era troppo tardi per risalire in carrozza e tornare alla tenuta. Infatti Elisa era già stata annunciata.
“Scusate” esordì la nobildonna varcando timidamente la porta del salotto illuminato solo dalla luce soffusa di qualche candela, dove il marchese pareva aspettarla.
“Ma temo di aver frainteso la data dell’invito” continuò
“Nessun Errore” disse l’uomo alzandosi dalla poltrona di broccato e avvicinandosi all’ospite. Elisa dovette imporsi di non arretrare, come l’istinto le ordinava. Notando il disagio della sua ospite, il marchese la invitò ad accomodarsi e le offrì da bere; la contessa declinò l’offerta ma ben consapevole dell’etichetta dell’alta nobiltà, non poté che sedersi.
“Vi starete domandando perché siete qui …” continuò mellifluo l’uomo
“E in effetti è così” rispose titubante lei.
“E’ che sono venuto a conoscenza di alcuni avvenimenti riguardanti la vostra casata che, se resi pubblici, potrebbero essere oltremodo diffamanti, oltre che spiacevoli …” concluse l’uomo con un filo di voce, sporgendosi leggermente dal bracciolo della poltrona, a sfiorare il braccio della donna che, ritrattolo istintivamente, mentì smarrita cercando di capire le reali conoscenze dell’uomo:
“Non capisco”
“Davvero?” la stuzzicò ancora il marchese per poi continuare:
“Vediamo … ponete che, speriamo non debba mai accadere, si sparga la voce che un’antica e NOBILE casata come la vostra, abbia contratto gravi debiti con dei miserabili borghesi … sarebbe uno scandalo, Non trovate?” Così dicendo l’uomo si era alzato dalla poltrona e dopo alcuni passi si era posto alle spalle della donna, appoggiandosi col busto allo schienale dove Elisa era seduta, che con uno scatto d’orgoglio tentò di riscattarsi:
“Temo siate stato male informato” disse cercando di alzarsi, ma i riflessi dell’uomo furono più rapidi e la costrinsero a risedersi.
“Allora perché avevate tanto a cuore un’udienza privata dal re?” continuò lasciando scivolare la mano sul collo di lei, che a stento tentava di reprimere il ribrezzo che quel contatto le provocava.
“Appunto signore, privata!” Esclamò, calcando sull’ultima parola
“Come volete” sembrò tagliar corto l’uomo che aveva invece, ben altre intenzioni:
“Ma non credo che con uno scandalo simile la casata dei Ristori riuscirà ad uscirne dignitosamente.”
“I Ristori sono usciti a testa alta da scandali ben peggiori” rispose con orgoglio Elisa
“Avete ragione signora” ribatté divertito calcando esageratamente il titolo della donna per poi continuare con lo stesso tono cinico e provocatorio:
“Stavo quasi dimenticando di quando voi, una serva, vi siete fatta sposare da quel povero uomo che avete rischiato di far morire ancora prima di raggiungere il vostro scopo”.
“Non vi permetto” scattò in piedi la donna che fece per andarsene, ma un’ulteriore frecciata del marchese la convinse ad arrestarsi di botto.
“Ma questa volta siete sola. E come fareste se, disgraziatamente dovesse accadere qualcosa alla vostra adorata figlia?”
“Quindi voi mi stareste consigliando di trovare amici” riprese fiato e sdegnata si corresse:
“O meglio, protettori come voi. Non è così?”
“Avevo sentito che eravate molto intelligente” commentò ironicamente l’uomo. La donna avrebbe voluto rispondergli a tono, ma il pensiero di Agnese in pericolo, le consigliò di ascoltare la proposta dell’uomo.
“E cosa vorreste in cambio della vostra ‘protezione’?” domandò disprezzando l’uomo e soprattutto se stessa per aver ceduto al ricatto.
“Vedo con piacere che siete molto ragionevole se si tratta di argomenti a voi convenienti” prese tempo l’uomo, godendosi quello che credeva la resa della sua preda.
“Ho chiesto le condizioni” lo interruppe seccamente.
“Semplice. Un mio favore, in cambio del vostro” spiegò viscido l’uomo con sguardo più che significativo. Elisa cercò di sottrarsi a quello sguardo, alquanto insopportabile.
“Non sono quel tipo di donna marchese!” esclamò disgustata.
“Come volete. Allora continuate pure a vivere nel terrore che ossa accadere a voi, o alla vostra casata una qualsiasi disgrazia, forse, evitabile.” Elisa fremeva per la rabbia e l’umiliazione e con voce incrinata
“Datemi almeno del tempo per riflettere” il marchese sembrò soppesare la risposta, e considerandola ragionevole acconsentì:
“Va bene, ma mi preme informarvi subito che non amo aspettare molto, e soprattutto ancora meno che si tenti di ingannarmi, e ore non mi resta che congedarvi e augurarvi una piacevole serata, sempre che voi non abbiate nulla da dirmi” così dicendo si inchinò deridendo la donna, che uscì di gran fretta dalla stanza.

Rimasto solo il marchese andò a liberare la donna nascosta in un passaggio segreto da dove aveva ascoltato tutta la conversazione.
“Marchese, non vi sembra di essere scivolato molto sul personale? Non era necessario offenderla così. E quella storia della figlia poi! Mi auguro che l’abbiate detto solo perché avevate perso il controllo” sbottò critica.
“Mia cara Rossana, sapete benissimo che non ho alcun’intenzione di far del male alla figlia di una serva.  E poi sarebbe oltremodo scomodo una mocciosa piagnucolona ancora troppo giovane per entrare in società. Mi serve qualcosa di meno prevedibile. Sicuramente da domani la nostra, anzi la mia, preda alzerà una barriera protettiva intorno alla figlia” spiegò divertito il marchese. La dama si sedette civettuola sulla poltrona e frivolamente domandò:
“E cosa vorreste fare allora?”
“Semplice mia cara. Trovare un’altra pedina per convincere la bella ‘contessina’ ribelle”
“E scommetto che avete già un nome” lo incalzò lei.
“Precisamente. Vi ricordate la ragazzina che parlava fittamente col ragazzo che ci ha interrotto portandoci via la contessa?”
Madame Chevallier corrugò la fronte, cercando di ricordare il ragazzo descritto, per poi esclamare
“La marchesina Radicati?”
“Proprio lei, e voi mi dovete aiutare a scoprire dove si trova”
“Mi stupisce che uno stratega come voi ignori un piccolo, ma fondamentale dettaglio come questo” lo schernì la donna. Salvati alzò leggermente il sopracciglio a mo’ di scusa:
“Sono il medico personale del re, non un soldato al quale è stato dato il compito di sorvegliare segretamente una ragazzina” ironizzò.
“ma grazie ad un’amichevole chiacchierata con la marchesa tutto sarà risolto” concluse frivola la nobildonna scambiando uno sguardo d’intesa col suo interlocutore.

Discussioni di ben altro genere erano in corso nella cascina Benac, dove i due fratelli si stavano confrontando su un argomento che era ormai, da anni, fonte di aspri diverbi: Rivombrosa.
“Armand quante volte ti ho già ripetuto che la contessa Ristori mi ha garantito che salderà il debito appena possibile?”
“Sono passati sei anni Victor! Rivombrosa deve essere nostra. Se la tua cara contessina avesse pagato, ora non rischierebbe di essere sfrattata” fece una breve pausa, per poi continuare:
“Semplice no?” aggiunse sarcastico l’uomo.
“E non ci pensi a cosa accadrebbe se li cacciassi?”domandò il maggiore.
“Che noi diventeremmo padroni della tenuta?” rispose ironico il minore.
“Dove andrebbero?” continuò l’altro, che aveva molto a cuore la contessa e le sorti dei suoi due figli.
“Hai il cuore tropo tenero Victor. Se avessero pagato, questo non sarebbe accaduto.” Ribatté insolente il fratello.
“Non ti riconosco” affermò Victor, stupito e amareggiato e subito l’altro rispose mestamente, ma senza perdere quel tono di sfida:
“Come no?!? Sono sempre io! L’Armand che non era, e che non è mai abbastanza per te. Il ‘ribelle’ della famiglia da domare e imbrigliare nelle tue ferree regole. Ma non ti sei mai chiesto se, forse non era quello che mi serviva? Non ti sei mai accorto di quanto faticavo per cercare di essere il fratello che tu volevi? E cosa ottenevo? Solo rimproveri” Victor non aveva la forza di ribattere davanti a simili accuse, e Armand, ben consapevole dello stato di disperazione nel quale stava gettando il fratello continuò ad umiliarlo:
“Mai un gesto o una parola di gratificazione! Come pensi che io possa ancora sottostarti?”
Victor ingoiò a vuoto più volte prima di riuscire a ribattere alle malignità del fratello: per la prima volta sentiva di aver fallito, e si domandò se anche Juliette la pensasse come il gemello.
“Perché non mi hai mai detto nulla?” domandò con un filo di voce, ancora incapace di accettare la sconfitta.
“E come avrei potuto?” urlò il fratello, per poi ricomporsi e continuare:
“Tu dovevi sempre avere l’ultima parola, e noi, io e Juliette, non potevamo fare altro che accettare le tue decisioni senza poterci esprimere”
“Lascia stare Juliette, lei non c’entra in questa storia”
“Quale storia?” Domandò una voce femminile.
I due si voltarono di scatto e sulla porta videro l’esile figura della sorella. La giovane era ferma sulla soglia, avvolta in una vestaglia dai colori pastello che oltre ad evidenziare la gracile sagoma del suo corpo, faceva risaltare l’eccessivo pallore del grazioso volto di lei. Subito i due fratelli l’accompagnarono premurosamente a sedersi, e Armand la rimproverò amorosamente:
“Sai che devi riposare dopo la cura” Juliette annuì:
“Lo so ma vi ho sentiti litigare, e mi sono preoccupata” continuò seriamente.
“Non è nulla, affari” tentò di tranquillizzarla Victor.
“Ancora Rivombrosa?” chiese lei.
“Sì. Ma non accadrà più. Questo pomeriggio mi è arrivata la convocazione ufficiale dal prefetto Terrazzani, per domani pomeriggio. Sembra che la contessa Ristori abbia trovato i soldi per estinguere il debito. E sarei felice se tu volessi accompagnarci. Non mi piace pensarti tutta sola al cascinale” spiegò Victor
“Come preferisci” accettò la ragazza, che accompagnata, anzi quasi sorretta, dal minore si ritirò in camera. Poco dopo Armand ridiscese ma, non trovando il fratello decise di coricarsi anch’egli, sperando di trovare un modo per impossessarsi della tenuta del conte Ristori: il suo unico scopo da quando, sei anni addietro, vi era entrato per la prima volta, col fratello per affari.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***









Elisa arrivò al palazzo quando ormai era tutto buio. Stava cercando di riaccendere le braci del camino per far scaldare il pesante pentolone pieno d’acqua, quando Amelia, svegliata da quei rumori sospetti le si avvicinò alle spalle, pronta a colpire l’intruso col pesante matterello, quando la giovane si girò di scatto, impaurita dal riflesso sulla pentola.
“Amelia!” Esclamò spaventata, riconoscendola. L’anziana governante sembrava imbarazzata:
“Santo Cielo! Signora contessa!Cosa siete venuta a fare qui in cucina, a quest’ora di notte?” domandò
“Scusami Amelia, non volevo svegliarti” iniziò la contessa stringendo tra le sue, le mani logorate dal lavoro di Amelia, poi continuò:
“Avevo solo voglia di un bagno caldo. Tutto qui, davvero”
“Ma perché non siete venuta a svegliarci? Ve lo avremmo preparato noi”
“Non volevo farvi alzare per un mio ‘capriccio’, e poi dami del ‘tu’ per favore” implorò la contessa. Poi si lasciò sedere stancamente sulla panca dietro di lei. Amelia si preoccupò.
“Piccolina, tutto bene?” domandò.
Elisa scosse leggermente la testa poi rispose:
“Sto bene Amelia, sono solo un po’ stanca”. Alla donna però non era sfuggita la preoccupazione sul volto della giovane.
“Cattivi pensieri?” si informò ancora l’anziana donna, mentre versava in due grossi catini l’acqua bollente.
“Sì” iniziò a sfogarsi Elisa, ma poi pentendosene, mentì:
“Ma nulla che non possa essere dimenticato con un bel bagno caldo”.
Così dicendo prese uno dei due contenitori e si diresse nella sua stanza, dove aveva già preparato il necessario. Sfortunatamente il bagno non ebbe l’effetto desiderato, ma tutto l’opposto: la velata minaccia del marchese appariva ora ancora più vicina e pericolosa. Non riuscendo a prendere sonno, Elisa si avvolse nella candida vestaglia e andò nella stanza della figlia, dove la bambina dormiva serena, ignara delle paure della madre e delle minacce che incombevano su di lei.
Elisa le si distese accanto, affondando il viso tra i dorati boccoli, inspirando profondamente il dolce profumo della piccola. Ripensò alla grande gioia provata la prima volta che l’aveva stretta tra le sue braccia e ora, ricompiendo quel sincero gesto d’affetto, giurava alla piccola, e a se stessa, di proteggerla a qualunque costo, anche se ciò avesse voluto dire perdere la vita per lei.

Anche Fabrizio, nella casa sul lago di Antonio, non riusciva a prendere sonno. Continuava a misurare a grandi passi la povera cucina del suo alloggio provvisorio, stringendo tra le mani l’ultima lettera che Antonio gli aveva scritto, ormai parecchi giorni prima, nella quale lo informava che Anna aspettava un figlio. Il dottor Ceppi continuava poi, nello sconsigliare un suo ritorno alla tenuta: avvenimento sicuramente fonte di gioia, ma indubbiamente delicato e probabilmente traumatico per i due figli, Martino e Agnese. L’uomo stava cercando un’alternativa e, invece, ogni pensiero era rivolti alla moglie: sapeva che sempre più spesso si recava al loro capanno, e immaginava la gioia di quell’incontro.

L’alba non era ancora sorta quando un piccolo calesse stava uscendo dalla tenuta, diretto verso il borgo. L’aria fredda del mattino, aveva obbligato Elisa a riutilizzare il pesante mantello invernale bordato di pelliccia; cercava sempre di evitarlo quando andava a trovare la madre e la sorella, sperando così di ridurre le formalità e il distacco che il titolo nobiliare aveva imposto tra loro. Elisa incitò maggiormente i cavalli augurandosi di raggiungere la sua meta, prima che la sorella uscisse di casa, per recarsi a servizio dalla marchesa Barbero Gatto. Arrivata sulla soglia bussò, ma , sfortunatamente fu Artemisia ad aprire.
“Buongiorno madre, Orsolina è ancora in casa?” domandò subito la ragazza, chiudendosi la porta alle spalle.
“Mi dispiace Elisa, ma tua sorella questa notte è rimasta al palazzo”.
“Non importa” la interruppe la giovane e fece per andarsene, quando la voce della madre la trattenne:
 “E’ forse accaduto qualcosa di male?” Elisa esitò a rispondere poi deviò l’argomento con un’altra richiesta:
“Agnese sarebbe felicissima di vedervi a Rivombrosa, potreste accompagnarmi dalla marchesa, e poi andremmo insieme dalla piccola. Non immaginate nemmeno che immenso sollievo sarebbe anche per me avervi lì” spiegò cercando di non entrare nei particolari.
“Sollievo?” domandò Artemisia che aveva capito che la ‘figlia’ doveva nascondere qualcosa di molto grave. Elisa crollò:
“E’ una storia lunga, ve la racconto mentre andiamo”
“Va bene, ma non credo che la marchesa approverebbe una tua visita in calesse, forse sarebbe meglio che ti facessi preparare la carrozza da Angelo, non credi?” Elisa non poté che dar ragione all’inattaccabile tesi della madre.
“Allora a Rivombrosa” si limitò a dire, facendo schioccare le briglie. I due cavalli partirono. Durante il breve tragitto, Elisa raccontò sommariamente la su volontà di prendere Orsolina come istitutrice per Agnese e il motivo di tale scelta. L’anziana donna si allarmò, e la giovane tentò di tranquillizzarla: quasi sicuramente le minacce riguardanti la figlia erano fasulle, ma preferiva, in ogni caso, tenere la bambina strettamente sorvegliata da persone fidate, e chi, meglio di Orsolina poteva provvedere ad una prima erudizione, senza però necessitare di un’ulteriore controllo, così che Agnese non si sentisse imprigionata?
Le due donne erano arrivate alla tenuta. Mentre Elisa aspettava che Titta finisse di preparare la carrozza, Artemisia la convinse a cambiarsi d’abito, così poterono continuare la loro discussione, anche se, ormai, era impossibile far cambiare idea alla contessa. Elisa si recò da sola dalla marchesa che la ricevette a dir poco freddamente. La giovane donna sostenne lo sguardo severo e penetrante dell’anziana padrona di casa, poi iniziò a spiegare il motivo di quella visita, evidentemente poco gradita.
“Mi dispiace disturbarvi, ma credetemi che se non fosse tanto necessario, avrei evitato. Sto cercando un’istitutrice per mia figlia” iniziò la dona, ma fu subito interrotta:
“Non vedo perché siete venuta da me, mia figlia è senza istitutrice dall’età di quindici anni, e da due è madre”.
“Lo so, ma sono certa che una vostra domestica, Orsolina Scalzi, ha le adeguate competenze per …” ancora una volta Elisa non fece in tempo a terminare la frase che la marchesa la incalzò:
“aspirare ad un titolo nobiliare, poiché ha intrapreso la vostra stessa scalata gerarchica? Sono pienamente a conoscenza che è vostra sorella, e immagino che fareste di tutto per accomodarla vantaggiosamente, ma per vostra sfortuna non sono così vecchia da farmi abbindolare da una giovane serva diventata contessa”.
Elisa fremeva per l’umiliazione, ma sapeva che se avesse reagito, avrebbe finito per fare il suo gioco, così aspettò che la sua avversaria sferrasse l’attacco successivo, pronta a pararlo. Al contrario di ciò che si aspettava, la marchesa sembrò ritrovare la sua marmorea compostezza e facendo tintinnare una piccola campanella d’argento aggiunse solamente:
“Facciamo decidere alla diretta interessata”.
Poco dopo entrò Orsolina, si inchinò alle due donne e rimase in attesa di ulteriori ordini.
"Credo che tu e la contessa Ristori dobbiate parlare, potete usufruire del salottino adiacente" ed indicò una porta decorata con una scena boschiva. Orsolina spostò lo sguardo incerto prima sulla padrona e poi sulla sorella che, altrettanto titubante le fece segno di seguirla nella stanza accanto. Chiusasi la porta alle spalle Elisa iniziò:
"Non credo che alla marchesa faccia piacere che noi ci intratteniamo qui a lungo, quindi verrò subito alla proposta: vorrei prenderti a servizio a Rivombrosa" la ragazza non sembrò molto entusiasta.
"Per fare cosa? Umiliarmi? Farmi vedere che tu ora che sei diventata contessa puoi giostrarmi a tuo piacimento come una marionetta?" sibilò. Elisa scosse il capo.
"No, voglio un'istitutrice per Agnese, tu saresti perfetta per darle le prime basi della lettura e della scrittura, quando dovrà studiare francese, invece tu potrai diventare la sua dama di compagnia, o comunque restare a vivere a palazzo. E non ti ritroverai nuovamente in mezzo alla strada. Sono certa che Agnese ne sarebbe veramente felice" spiegò.
"Agnese forse sì...Ma a me non pensi? Come potrei sentirmi a doverti servire, per me sarebbe un'umiliazione enorme, e soprattutto prima di parlarne con la signora marchesa, avresti potuto benissimo parlarne con me!" esclamò alzando la voce.
"Infatti stamane sono venuta a cercarti, ma tu non eri tornata a casa, e per me questa è una situazione molto importante, e delicata. Orsolina, mi fido solo di te ... ti prego rispondimi ciò che spero" Elisa fissò la sorella negli occhi.
"No" fu la secca risposta della giovane.
"Lo so, è stato un passo falso venire qui, capisco benissimo che ora potresti avere problemi col resto della servitù" Orsolina sorrise ironicamente, ma Elisa continuò come se nulla fosse:
"Ma se ho fatto ciò ho dei buoni motivi, che non sono solamente legati all'istruzione di tua nipote, riguardano anche la sua sicurezza, ma non posso aggiungere altro". Detto ciò aprì la porta e ritornarono nel salottino, dove la marchesa domandò alla ragazzina la sua decisione. Orsolina sapeva  a cosa stava andando incontro con la sua scelta, ma l'orgoglio le impediva di utilizzare la sua razionalità.
"Sono estremamente grata alla contessa Ristori, ma sono costretta a declinare la gentilissima offerta per rimanere al vostro servizio, sempre che voi abbiate ancora bisogno dei miei umili servigi" disse, già pentendosi delle parole appena uscite dalla sua bocca.
"Allora non c'è altro da aggiungere" disse severa la marchesa, che congedò la contessa, facendola accompagnare dalla sorella alla carrozza.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***









Emilia era accucciata in un angolo della sua prigione, quando uno scatto della serratura la fece sussultare. Subito dopo, la porta si aprì e la giovane poté riconoscere Marise, la più piccola cameriera della marchesa, con la quale era entrata presto in accordo e le corse incontro.
"Allora? sei riuscita?" domandò ansiosa la ragazza.
"Sì cinque giorni fa, ormai dovrebbe essere arrivata a destinazione" disse, porgendole un piccolo fagotto, poi continuò:
"La marchesa è partita stamattina, e ho potuto portarvi questo dalle cucine, scommetto che siete affamata!" Emilia scartò il fagotto e le si illuminarono gli occhi ala vista delle fette di pane.
"Grazie Marise!" esclamò abbracciandola, poi le offrì una fetta, ma la bambina rifiutò:
"Mangiate voi signorina, io sono abituata a saltare i pasti".
Emilia la obbligò dolcemente ad accettarne almeno una fetta, poi domandò:
"Perchè non sei venuta prima ad avvisarmi? Lucrezia sospetta qualcosa?" Marise scosse le testa e i boccoli neri, sfuggiti alla stretta della cuffietta, oscillarono a destra e a sinistra
"No, crede che sia troppo piccola e intimidita da lei per poterle disubbidire, ma ci ha imposto rigidi turni per portarvi il cibo, in modo tale ch voi non riusciate a socializzare, ma a quanto pare è evidente che voi ci siete già riuscita" sorrise, e il suo volto tornò ad essere sereno, come avrebbe dovuto essere il volto di una bambina di nove anni. Emilia le accarezzò i capelli e la congedò, con un po' di rammarico:
"Ora vai, altrimenti rischi di essere scoperta, non voglio che tu venga frustata per causa mia". Così dicendo, le riconsegnò il tovagliolo e si preparò a trascorrere altre infinite ore di solitudine.

A Rivombrosa, Anna era seduta nella sala rossa con Martino, quando fu annunciata la visita di madame Chevallier. La contessa domandò a Martino di intrattenerla in biblioteca, giusto il tempo necessario per sistemarsi. Così Rossana fu accolta dal ragazzo; la donna rimase infastidita di rivedere quel volto a Rivombrosa, ma non lo mostrò e iniziò a discutere col giovane come se nulla fosse.
"Devo ammettere di essermi sorpresa di trovarvi qui"
"In effetti dovrei essere in accademia, ma ho una licenza sino a qualche giorno dopo il matrimonio di mia zia, la marchesa Radicati" spiegò il ragazzo. La dama stava per rispondere quando la porta della biblioteca si aprì alle loro spalle ed entrò Anna.
"Carissima Rossana, mi dispiace di avervi fatto attendere, ma non mi aspettavo una vostra visita” si scusò
"Carissima Anna, non temete, non dovete scusarvi, vostro nipote è un'abile intrattenitore e l'attesa sembra quasi non esserci stata" la tranquillizzò la nobildonna, poi riprese:
"Piuttosto, voi come state? e' da diverso tempo che non vi si vede più a Torino, e iniziavamo a preoccuparci.
"Non vi preoccupate, esclusi i leggeri malori del mio stato sto bene, ma Antonio..." disse, accarezzandosi il pancione ormai visibile, per poi correggersi "Il dottor Ceppi ha insistito affinché passassi gli ultimi mesi in campagna, tra il verde, dice che è indispensabile per una futura madre la calma e la tranquillità, e dove oziare tutto il giorno se non qui? a Rivombrosa, dove ho vissuto per la maggior parte della mia vita?" concluse sorridendo dolcemente.
"Devo ammettere che siete proprio fortunata ad avere al vostro fianco un uomo come il dottor Ceppi. E vostra figlia? Cosa ne pensa dell'arrivo di un fratello minore?"
Martino ed Anna furono presi alla sprovvista: in realtà Emilia non sapeva della sua gravidanza, e chissà se avrebbe mai potuto conoscere suo fratello... Poi, la contessa si riscosse:
"Veramente, era già ritornata a studiare a Parigi quando ne ho avuto la certezza, così lo ha saputo tramite una lettera, ma dalla risposta sembrava entusiasta" mentì, ma vedeva che l'altra non sembrava persuasa. Martino avrebbe voluto sostenere la tesi della zia, ma qualsiasi cosa pensasse, sembrava servire a rendere solo più labile l’affermazione iniziale, così tentò di spostare la conversazione su di lui ed Agnese, congedandosi:
"Scusate, ma è meglio che vada da mia sorella, ormai dovrebbe essersi svegliata, e poi ho gli allenamenti con la spada, altrimenti quando torno in accademia, posso scordarmi la promozione a sotto ufficiale...." disse con una punta d'orgoglio.

Elisa stava percorrendo il corridoio a grandi passi quando incrociò Martino che la fermò e le domandò:
"Allora com'è andata?"
"Male" esclamò lei, per poi continuare "Orsolina è troppo orgogliosa per accettare di prendere servizio qui"
"Orsolina?Cosa c'entra? Io mi riferivo a ieri sera". Elisa sopirò a fondo:
"E' una storia lunga, sarebbe meglio andare in biblioteca, e soprattutto deve essere conosciuta dal minor numero di persone possibile".
"Allora la biblioteca non è il luogo più adatto. Poco dopo che tu sei uscita, è arrivata madame Chevallier, e ora Anna la sta intrattenendo proprio lì. Inoltre la sua ospite, sta facendo parecchie domande, in particolare su Emilia, oserei dire anche abbastanza mirate."
"E perché allora, non sei rimasto con loro?"
"Ho sperato che congedandomi con la scusa degli allenamenti con la spada avrebbe potuto essere un buono spunto per una nuova conversazione, non credi?"
"Hai fatto bene, allora vado a salutare la nostra amica, come si addice ad una buona padrona di casa. Poi ti racconto tutto" Fece per andarsene, ma Martino la fermò:
"Elisa aspetta, Anna ha ammesso che quando Emilia è partita, non era ancora a conoscenza che presto avrebbe avuto un fratellino, ma il vero problema è che ha parlato di una lettera di risposta, nella quale si diceva molto felice...forse sarebbe meglio che tu scriva questa lettera, non trovi?"
"Io? Non ne sono capace, Emilia ha una calligrafia molto particolare..." Tentò di giustificarsi Elisa
"E tu copiala dalle lettere che ti ha mandato" le suggerì Martino
"Non posso, sono in biblioteca"
Martino rifletté un momento poi propose:
"Copiala dalle mie" Elisa sembrava imbarazzata
"Martino...veramente le lettere..." Martino la interruppe il ragazzo
"Dobbiamo aiutare Anna, è vero che Emilia non immaginava che queste lettere sarebbero state lette da altri, ma di te mi fido"
Elisa si lasciò convincere, e aiutata dal ragazzo, mezz'ora dopo stringeva tra le meni la lettera tanto chiacchierata. Poi, lasciata Agnese col fratello, si diresse in biblioteca dove le due donne stavano ancora parlando del più e del meno.
" Buongiorno Anna, come vi sentite oggi?" salutò, recandosi allo scaffale dove erano ordinati i libri di favole per Agnese.
"Scusate madame, benvenuta"
"Grazie contessa. Volete unirvi a noi?"
"Volentieri, ma purtroppo impegni improrogabili me lo impediscono". Così dicendo scelse dallo scaffale il libro, lasciando cadere per terra la lettera appena scritta, poi tornando verso la poltrona di Anna le porse la lettera, adeguatamente stropicciata delle "frequenti letture" della marchesa.
"Anna, credo che questa sia vostra, è forse l’ultima lettera che vi ha scritto Emilia?”  domandò la contessa, sorridendo alla cognata. Anna ringraziò sentitamente, forse anche troppo per una semplice lettera ritrovata, ma l'ospite non vi badò. Quando la contessa uscì, Rossana, sentendosi di troppo, e avendo necessità di respirare dell'aria fresca per schiarirsi le idee, cercò di congedarsi.
"Non temete Rossana, non siete di alcun disturbo, anzi al contrario ho apprezzato molto la vostra visita, e spero di poterla ricambiare il più presto possibile". Poi si alzò.
 "Ma prima di salutarvi permettetemi almeno di consegnarvi personalmente l'invito per il matrimonio, spero vogliate essere presente" disse estraendo dal cassetto della scrivania una busta e consegnandola alla nobildonna.
"Senza dubbio" rispose l'altra e insieme si diressero verso l'uscita.
Agnese stava giocando in giardino con Celeste, sotto lo sguardo attento di Elisa, che stava cercando di convincere la madre a rimanere con loro.
“Te lo ripeto Elisa, ti sono molto grata dell’offerta, ma preferisco rimanere al borgo, nella mia casa,non sono abituata a vivere a palazzo”.
“Lo so, ma speravo che aveste cambiato idea” rispose Elisa oscurandosi in viso, le preoccupazioni non le davano tregua e, sebbene quel pomeriggio stesso la tenuta sarebbe stata sollevata dai debiti, il suo futuro le sembrava sempre più cupo e minaccioso.
La madre notò le ombre sul viso della figlia ma non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni che il loro discorso fu interrotto da Angelo, che portava una lettere per la contessa.
“Stavo tornando da un’ispezione nella tenuta, quando mi è stata consegnata questa lettera” spiegò il giovane
“Grazie Angelo” il ragazzo sorrise, mentre vedeva il suo amore giovanile rigirare più volte la lettera tra le mani e aprirla velocemente.
“È di Emilia!” esclamò dopo averla letta più volte, come per assicurarsi di quello che avesse appena letto. Il sovraintendente trasse un sospiro di sollievo.
“Dice che è stata rapita ed ora è a Venezia, imprigionata a casa di Lucrezia, ma che sta bene. Devo subito avvisare Anna” e fece per correre dalla cognata quando la voce di Angelo la fermò:
“So che non dovrei intromettermi, ma forse, sarebbe meglio che prima ne parlassi con Antonio, la signora marchesa dovrebbe evitare, le forti emozioni, e soprattutto le false speranze”.
“Ma è la scrittura di Emilia, ne sono sicura!” cercò di ribattere Elisa, ancora presa dall’euforia, poi osservò ancora la faccia di quello che era stato il suo compagno di avventure, sin da quando erano dei bambini.
“Forse hai ragione tu, ne parlerò con Antonio, ora vado da lui.” E prima che Angelo potesse dire qualcosa, lo abbracciò forte dandogli un rumoroso bacio sulla guancia, poi corse via, leggera, alla ricerca del dottor Ceppi, lasciando sotto il gazebo, la madre ed Angelo a commentare quei gesti, così sinceri, ma poco adatti al rigore che una contessa dovrebbe mantenere.
Elisa trovò Antonio in biblioteca intento a cercare alcune nozioni su dei pesanti libri di medicina. La contessa, fermatasi sulla porta, bussò ed entrò quasi timidamente, per paura di disturbarlo. L’uomo alzò lo sguardo dalla sua lettura e si stupì che la ragazza stesse ancora esitando sulla porta.
“Coraggio, entra”
“Scusa, non volevo disturbarti...” iniziò, ma fu subito interrotta dall’uomo:
“Non mi hai affatto disturbato, e poi sei libera di venire quando vuoi. Dopotutto questa è casa tua, e da quando la padrona di casa è diventata un motivo di fastidio?” Elisa sorrise.
“Ti stavo cercando, ho appena ricevuto questa”  porse la lettera al medico, e senza aspettare che questo la aprisse continuò:
“è di Emilia, è stata rapita da Lucrezia ed ora si trova a Venezia.  Anna non sa ancora nulla, così come Martino”.
“Dobbiamo subito avvertirli, e poi cercheremo un modo per liberarla, ti aspetto in camera di Anna con Martino”  Elisa annuì e andò a cercare il figlio, dove era certa di trovarlo.
Infatti Martino si stava allenando a tirare di scherma con Augusto, un nobile piemontese che frequentava con lui l’accademia militare.
“Non ti riconosco più, dove sono finite le grandi qualità che mostravi in accademia?” stava scherzando il ragazzo.
“ammetto di non essermi allenato molto spesso, da quando sono il licenza” rispose Martino parando gli attacchi del compagno, per poi aggiungere:
“ma mi ricordo ancora come si fa”
“come si fa cosa?” domandò Augusto, mentre toccava a lui pararsi dagli attacchi di Martino che presto lo disarmò.
“Questo! Touché” disse ridendo,  togliendo la spada dalla gola dell’amico.
“Ora riconosco lo spadaccino che fa strage di ragazze con la sua bravura!” disse, ammettendo la sconfitta.
“Smettila di scherzare!”
“Non dirmi che non ti sei accorto come ti guardano le compagne di collegio di tua cugina quando le vai a far visita” Martino rise insieme all’amico.
“Martino!” lo chiamò Elisa, prima di raggiungerlo sotto la quercia “Sapevo di trovarti qui. Augusto che piacere rivedervi!” esordì la donna.
“Contessa, il piacere è mio” rispose il ragazzo.
“Il tuo amico si ferma a pranzare con noi?” domandò, esitando sul motivo principale del suo arrivo.
“Mi dispiace signora, ma sono atteso a casa della mia fidanzata, anzi se non mi sbrigo rischio di arrivare in ritardo, e non credo che Annalisa me lo perdonerebbe così facilmente” si giustificò.
“Non importa, sarà per la prossima volta che venite a far visita a Martino”. Subito dopo, Augusto si congedò dai due ed Elisa non perse tempo, e fece cenno a martino di seguirla. Il ragazzo non obiettò, anche se non capiva la fretta della donna. Lungo la strada Elisa accennò solo che Antonio li stava aspettando insieme ad Anna. Giunti alla porta della camera bussarono ed aspettarono l’invito per entrare.
La voce di Anna non si fece attendere, anche se rimase stupita da quella serie di visite. Elisa si chiuse la porta alle spalle. Un silenzio opprimente riempì la stanza, lo sguardo di Anna passava interrogativo sui volti delle altre tre persone, fu Antonio a rompere il silenzio:
“Amore, è meglio che tu ti sieda”
“Antonio sto bene, ma cosa c’è cos’è successo?” domandò seriemente preoccupata, non opponendo resistenza alla mano dell’uomo che l’invitava dolcemente a sedersi sul letto accanto a sé.  Antonio guardò Elisa, come per chiederle aiuto. La giovane si avvicinò al letto e pose la lettera, arrivata poco prima, nelle mani della cognata.
“È di Emilia, leggi” disse, poi si riavvicinò a Martino, aspettando che la donna terminasse di leggere le poche righe scritte dalla figlia. Anna leggeva e rileggeva quella lettera, e silenziose lacrime le rigavano il volto e sulle  sue labbra sembrava apparire, di tanto in tanto, un accenno di sorriso.
“ È  viva!” fu l’unica cosa che riuscì a dire cercando di asciugarsi le lacrime, a quelle parole anche Martino si sentì in qualche modo sollevato. Antonio stringeva forte a sé la donna cercando di calmarla, e nel frattempo continuò ad informare Martino:
“È a Venezia, prigioniera di Lucrezia”.
 Quelle parole furono un duro colpo per il ragazzo. Non si era mai dimenticato tutto il male che quella donna aveva fatto a lui e ai suoi genitori, ed ora aveva tra le sue grinfie sua cugina, l’unica ragazza che gli facesse battere il cuore!
“Io la uccido!” disse in un momento di rabbia il ragazzo, stropicciando la lettera che aveva tra le mani; Anna emise un gemito soffocato.
“Martino calmati, non è uccidendo Lucrezia che sistemeresti le cose, diventeresti solo un assassino”.
“Elisa ha ragione” le fece eco Antonio.
“Lo so, ma saperla tra le mani di quella donna mi fa impazzire”  Elisa gli accarezzò la spalla.
“Troveremo un modo per liberarla, ma bisogna fare attenzione, non dobbiamo dimenticare che Lucrezia è una donna molto pericolosa, non dobbiamo commettere passi falsi”.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***









Dopo pranzo, Elisa si stava preparando per l’incontro col prefetto Terrazzani e monsieur Benac, quando Giannina entrò con un biglietto.
“Scusate, signora contessa, ma mi è appena stato consegnato questo per voi, il valletto ho detto che è molto importante” Elisa fece cenno alla cameriera di avvicinarsi e preso il biglietto, lo aprì e lo lesse.
“Grazie Giannina, ora puoi andare, dì ad Angelo di avvisarmi quando è pronta la carrozza” la serva esitò.
“Devo riferire qualcosa al valletto?”
“Digli che può andare, e che il biglietto non necessita di risposta, e che sarò io che mi presenterò al suo padrone quando potrò” disse cercando di soffocare la grande paura che le stava montando dentro. La cameriera si inchinò e uscì dalla camera chiudendo la porta. Appena rimasta sola nella stanza, le lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance, prima silenziose e lente poi sempre più frequenti, ed Elisa si buttò sul letto in preda ai singhiozzi. Più di mezz’ora dopo, Angelo bussò alla porta per avvisarla che tutto era pronto per il viaggio a Torino, Elisa si mise a sedere sul letto, ma non riuscì a mascherare le lacrime che ancora stavano scendendo.
“Elisa, cosa è successo?” domandò preoccupato il giovane chiudendo la porta alle sue spalle e avvicinandosi a lei, esitando su come comportarsi.
“Ho fallito Angelo!” singhiozzò cercando di ricacciare le lacrime.
“Elisa cosa stai dicendo? Non hai fallito, anzi, grazie a te Rivombrosa sta fiorendo e prestissimo non sarà più gravata dai debiti” cercò di confortarla. Elisa scosse il capo.
“Non sono riuscita a mantenere le promesse fatte sulla tomba di Fabrizio”
“Elisa non capisco” cercò di farsi spiegare, e come risposta Elisa gli mostrò il bigliettino che Salvati le aveva fatto consegnare poco prima.
angelo lo prese e iniziò a leggere le poche, ma eloquenti, righe del marchese
“Carissima contessa,
Come già ben sapete non sono particolarmente disposto a concedere la mia amicizia a coloro che continuano ad indugiare sul da farsi ,senza mandarmi la risposta che voglio sentirmi dire. Ma, essendo un cavaliere, vi concederò ancora un paio di giorni per riflettere, ma state attenta a non far spezzare la corda, altrimenti potrebbe rimetterci qualcuno a voi molto caro …
                        il vostro protettore”
“Si tratta di Agnese, è lei che Salvati vuole usare per convincermi a cedere, e io non sono in grado di proteggerla”
“Rivombrosa è sicura, e poi tu la stai crescendo nel modo migliore” Elisa non era convinta.
“Mi sono illusa, speravo che il mio amore per Fabrizio potesse essere talmente forte da vincere tutto e tutti, ma mi sbagliavo, forse non avrei mai dovuto sposarlo, forse sarebbe stato meglio cedere al suo ricatto e sposarti, almeno adesso sarebbe tutto diverso”. Angelo le cinse le spalle e la strinse delicatamente a sé
“È vero sarebbe stato tutto diverso, tu saresti stata infelice, e io non avrei potuto fare altro che incolparmi di averti rovinato la vita. Tu hai conosciuto l’amore e hai lottato per non perderlo, ammetto che non è stato facile per me accettare di essere stato abbandonato sull’altare, ma quando vi ho visti insieme, quando sono tornato dalla Francia ho capito quanto vi amavate, e quando vi siete sposati ero veramente felice per te” Elisa si strinse al giovane, abbozzando un sorriso.
“Mi perdonerai un giorno per averti lasciato sull’altare?”
“L’ho già fatto, anzi ti devo ringraziare, altrimenti non avrei mai conosciuto Celeste”.
In quel momento entrò Martino.
“Dai Elisa, altrimenti facciamo tardi dal prefetto” si arrestò sulla porta, osservando la madre tra le braccia di Angelo che si asciugava gli occhi.
“Elisa cosa succede?” la donna si sciolse dall’abbraccio dell’amico e ricomponendosi minimizzò:
“Nulla,  solo un momento di sconforto” poi, avviandosi verso la porta continuò:
“Ma ora è tutto passato, andiamo o faremo tardi”.
Quando la carrozza giunse davanti al palazzo, ad aspettarla c’erano già i fratelli Benac. Martino smontò da cavallo, e lasciate le briglie ad angeli si avvicinò la carrozza, aiutando la madre a scendere. Victor si avvicinò alla coppia.
“Spero che il viaggio in carrozza sia stato piacevole” esordì eseguendo un perfetto baciamano.
“Grazie dell’interessamento monsieur” sorrise Elisa.
“Contessa, permettetemi di presentarvi anche mia sorella, Juliette” la ragazza si inchinò.
“È un onore conoscervi madamoiselle” rispose Elisa, colpita dalla fragile bellezza della ragazza. Nel frattempo Martino ed Armand sembravano studiarsi.
 “E questo è mio figlio Martino”. Quella presentazione costrinse il ragazzo a distogliere l’attenzione dal minore dei fratelli Benac. Il gruppetto entrò, per poi dividersi all’interno del palazzo: Armand e Juliette li avrebbero aspettati nel cortile, mentre gli altri sarebbero andati davanti al prefetto. Stavano per entrare dal prefetto quando Victor trasse in disparte la contessa, domandandole un po’ impacciato:
“Contessa, ho la necessità di parlarvi, quando tutto sarà finito concedetemi l’onore di poterlo fare”. Elisa strinse la mano dell’uomo e accettò:
“Vi sono debitrice, non potrei mai rifiutare una richiesta del genere” poi entrarono dal prefetto che li attendeva. Dopo aver controllato che tutti i documenti fossero stati debitamente compilati, e che nulla mancasse, il prefetto Terrazzani comunicò:
“Sono felice di poter mettere la parola fine su questa vicenda, affermando che Rivombrosa è sgravata da ogni debito”. Al contrario di quanto si aspettasse, sembrava che il borghese fosse felice di riconsegnare la tenuta, sebbene avesse addirittura rifiutato gli interessi che i Ristori gli avrebbero dovuto. Quando i tre si allontanarono dal suo studio si concesse qualche distrazione dal suo lavoro, e spostando le pesanti tende, si affacciò alla finestra che dava sul giardino, dove in quel momento stavano passeggiando Armand e Juliette. Il prefetto rimase affascinato dalla grazia della giovane, che aveva visto velocemente al cascinale, e fu tentato di raggiungerla, ma qualcosa lo fermò.
Nel parco, Juliette si stringeva al braccio del fratello, felice di quella compagnia.
“Armand?”  incominciò.
“Dimmi”
“Posso chiederti una cosa?”
“Sai che non ho nulla da nasconderti” sorrise il fratello. La ragazza si strinse ancora di più al suo braccio.
“Però non arrabbiarti va bene?”
“Prometto di non arrabbiarmi” rispose pazientemente il giovane.
“Quando mi farai diventare zia?” Armand sorrise divertito
“Temo che dovrai aspettare ancora per un po’. E poi mi ci vedresti con un marmocchio tra le braccia?”
Juliette sorrise e alzò le spalle;
“Allora sarà meglio che tu ti trovi una fanciulla, al posto di passeggiare solo con me”.
“Piuttosto tu quando ci farai diventare zii! Non ti sei ancora stancata della compagnia del tuo gemello?” la ragazza si rabbuiò:
“Lo sai che la mia salute è troppo cagionevole per permettermi una gravidanza serena, e poi chi vorrebbe una ragazza fragile come me, per moglie?”
“Se non fossi mia sorella ti avrei già spostata” la rassicurò il fratello prendendola in braccio e facendola girare.
“Elisa, io torno a Rivombrosa con Hermes” iniziò Martino.
“Va bene, io ti raggiungo a casa, devo parlare col prefetto Terrazzani riguardo una vecchia storia” Martino annuì e montò sul cavallo del padre.
“Aspetta!” lo fermò la donna:
 “Ti prego consegna questa lettera ad Orsolina, e porgile le mie scuse per l’altro giorno”
“Sarà fatto” la rassicurò il ragazzo che dopo aver salutato il borghese, spronò il cavallo e partì alla volta di Rivombrosa. Elisa rimase ferma a vederlo cavalcare, era uguale al padre, fiero ed elegante. Si strinse tra le braccia e sospirò.
“È sempre difficile vederli allontanare” le disse Victor, Elisa si riprese dal torpore ed annuì:
“Già, non ci si rassegna mai al fatto che crescano” poi, cambiando argomento “Avevate detto che volevate parlarmi”. L’uomo annuì, e dopo essersi guardato intorno, convenne con la contessa che la strada non era il luogo più adatto per una conversazione, per così dire privata. Elisa allora accettò l’invito di una passeggiata nel parco. Victor la condusse in una zona appartata, dove i due avrebbero potuto parlare liberamente. Elisa stava per domandare il motivo di tanta premura quando il borghese la spiazzò prendendole le mani e iniziando a parlare:
“Contessa so che quello che sto per dirvi vi meraviglierà, ma ho voluto aspettare prima di dirvelo perché avevo paura di essere inopportuno, vedete, da quando vi ho vista la prima volta, qualcosa in me è scattato, un qualcosa di nuovo, che nel tempo è cresciuto. In questi anni ho cercato di impedirmi di amarvi” Elisa sussultò, mentre l’uomo inginocchiandosi davanti a lei continuò:
“Ma ora ho capito che non posso più nascondermi, contessa Elisa Ristori di Rivombrosa, volete sposarmi?”
Elisa era ammutolita e non sapeva cosa fare, cercò di balbettare qualcosa ma non riuscì a dire altro che
“Victor, veramente io …” l’uomo, rialzatosi la zittì baciandole le labbra, Elisa si ritirò.
“Contessa mi dispiace, forse sono stato inopportuno, perdonatemi, non voglio una risposta subito, sarete voi, quando più vi sentirete capace, anche di perdonare questo mio gesto impulsivo se vi sarà possibile, a rispondermi, e qualunque sarà la vostra scelta io l’accetterò.” Elisa annuì, ancora scossa per quello che era accaduto, e si lasciò accompagnare verso gli altri due fratelli, dove li raggiunse anche il prefetto Terrazzani.
“Prefetto è un onore vederla qui” iniziò Victor, ma l’ufficiale sembrava rapito dalla giovane fanciulla.
“Volevo parlare con il conte Ristori, e speravo di trovarlo con voi, ma vedo che non è qui” cercò di giustificarsi, poi si rivolse alla ragazza:
“Perdonatemi signorina, no mi sono nemmeno presentato, sono il prefetto Terrazzani” la giovane sorrise timidamente.
“ È un onore signore”
“Posso sapere come vi chiamate madamoiselle?” domandò ancora l’uomo indovinando un accento francese nella pronuncia della giovane.
“Benac, sono Juliette, Benac, credo che conosciate già i miei fratelli”. L’uomo annuì:
“se non sono indiscreto vorrei invitarvi a visitare la città, uno di questi giorni”.
 Juliette cercò conferma negli occhi del fratello maggiore, che assisteva divertito alla scena.
“Con molto piacere” il prefetto sembrava sollevato.
“Ora, con permesso devo tornare a sbrigare alcune pratiche” si congedò, quando Elisa lo trattenne:
“Prefetto potrei accompagnarvi? Ho bisogno di parlarvi in privato”.
“Certo contessa, vi prego seguitemi”.
Lungo i giardini, Terrazzani elogiò le capacità militari di Martino:
“Il re in persona lo vorrebbe nell’esercito sabaudo” affermò.  Elisa era orgogliosa di quella parole.
“Glielo riferirò appena giunta a Rivombrosa, ma scusate la domanda, conoscete voi il duca D’Avis?” il prefetto rimase meravigliato da quella domanda … Possibile che la contessa ancora non sapesse?

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***









Era sera quando Orsolina uscì finalmente dalla casa della marchesa per tornare al borgo; da quando Elisa le aveva proposto un posto come istitutrice sembrava che la marchesa non apprezzasse più nulla dei suoi lavori, e anche il rapporto col resto della servitù si era incrinato, non che fosse sempre stato semplice, ma adesso le cose erano cambiate, e in peggio. La ragazza stava camminando veloce lungo il bordo della strada,  immersa nelle sue preoccupazioni, quando una voce alle sue spalle la chiamò. Orsolina si girò riconoscendo la voce di Martino, ma immaginando il motivo di quell’incontro, non casuale, affrettò il passo. Martino scese da cavallo e le si avvicinò
“Orsolina, devo parlarti, è importante”
“Dì  a Elisa che non ho cambiato idea, anche se grazie a lei, non sono più padrona della mia vita”.
“Elisa non voleva crearti problemi a casa Barbero, e tantomeno con la servitù” spiegò il ragazzo.
“Forse, ma sta di fatto che è avvenuto così, e  se vuoi scusarmi,ora voglio solo tornarmene a casa, sono stanca”.
“Facciamo così – disse Martino bloccandola per un braccio – tu prendi questa lettera e mi prometti di leggerla attentamente, e di riflettere bene prima di prendere la tua decisione, e io ti accompagno a casa con Hermes, c’è ancora un bel pezzo di strada e non è sicuro che una giovane passeggi da sola, mentre scende la sera su una strada di campagna deserta”.  Orsolina vinta da quella proposta non potè rifiutare, prese la lettera che Martino le porgeva, e si fece aiutare a montare a cavallo. Martino non perse occasione per perorare la causa della madre.
“Se Elisa ha voluto affidarti questo compito vuol dire che si fida solo di te, altrimenti non le sarebbe stato difficile farsi consigliare da Anna un’altra istitutrice”.
“Forse hai ragione, ma non credo di poterlo fare, e poi sarei sempre sotto gli ordini di mia sorella, e questo non riesco ad accettarlo, non è semplice lavorare a servizio di qualcuno, specialmente se fino a qualche anno prima dormivi nello stesso letto”.
“Elisa non ti tratterebbe mai come una serva, anche se, devo ammettere, a Rivombrosa nessuno viene trattato come un servo, almeno prova a chiarirti con lei, sono certo che ha delle motivazioni molto importanti”.
 Orsolina non rispose e i due rimasero in silenzio per il resto del tragitto. Arrivata davanti alla porta di casa Orsolina ringraziò il conte, che come tutta risposta si fece promettere una riflessione sulla discussione appena fatta. La ragazza entrò, e dopo aver letto il biglietto lasciatole dalla madre andò a coricarsi stanca della dura giornata, ma non riusciva a prendere sonno:  pensava alle parole di Martino e rivedeva davanti agli occhi la scena di lei e sua sorella nella saletta della marchesa, così si decise ad aprire la lettera che Elisa le aveva mandato. La lesse, ma ancora non si risolveva a prendere una decisione, si distese e spense il resto della candela che lentamente si stava consumando.

Tornata a Rivombrosa, Elisa annunciò che la tenuta era ufficialmente sgravata dai debiti, poi si ritirò in camera sua, chiedendo di essere lasciata sola, e di essere avvisata solo dell’arrivo del figlio.
Elisa si chiuse in camera ed iniziò a misurarla a grandi passi, cercando di riordinare le idee e le emozioni provate quel giorno. Era rimasta molto colpita dalla proposta di Victor, e non aveva mai sospettato che ogni gesto del borghese potesse essere stato fatto per dimostrarle il suo amore. Tutto le appariva così surreale, Elisa si volse verso il ritratto di Fabrizio, vestito da ufficiale dell’esercito francese, poi si sedette davanti alla specchiera, la stessa davanti alla quale si era riflessa la sera delle nozze segrete col suo amore, e iniziò a sciogliersi la complessa acconciatura. Si osservò allo specchio. La serva ingenua aveva lasciato il posto ad una donna, che non curante delle convenzioni sociali, lottava continuamente per difendere i valori in cui credeva. Quasi istintivamente tirò fuori da un cassettino il diadema che aveva fermato il suo velo da sposa, ripensò a quei momenti magici, poi si rivide davanti alla culla di Agnese, e si ricordò il discorso fatto a Fabrizio:
 “Nel caso che io morissi, tu dovresti trovare una mamma per Agnese, una brava ragazza che le insegnerebbe a diventare una donna..” e si domandò come sarebbe potuta essere la sua vita accanto a Victor, se lui sarebbe potuto essere un buon padre per Agnese e Martino, ma il ricordo straziante delle ultime parole dell’amato le rimbombavano sempre nella mente e nel cuore, e quasi si pentì di aver pensato di poter passare la sua vita al fianco di un altro uomo. I suoi pensieri vennero interrotti da Martino che bussò alla porta.
“Scusa Elisa, ma Amelia ha detto che volevi parlarmi, e mi ha anche chiesto di portarti questo, visto che non sei venuta a cena” Elisa sorrise rimettendo il diadema nel cassetto a facendo spazio al vassoio.
“Amelia si preoccupa sempre”.
“Cosa stavi facendo?” domandò il ragazzo incuriosito dalla rapidità con cui Elisa aveva messo via quell’oggetto.
“Nulla, stavo riflettendo, piuttosto, sei riuscito a parlare con Orsolina?” domandò.
“Sì non so se sono riuscito a convincerla, ma almeno mi ha promesso che ci penserà” rispose il ragazzo. Elisa sorrise.
“Possiamo dire che è già un passo in avanti, sono certa che accetterà”.
“Perdonami Elisa – iniziò titubante Martino- ma perché hai tanto a cuore che sia Orsolina a fare da istitutrice ad Agnese?” Elisa sospirò, incerta se rivelare la verità al ragazzo, oppure tacerla.
“Presto tu tornerai a Parigi e io voglio riprendere a controllare insieme ad Angelo la tenuta, e ho paura di non poter dedicare abbastanza tempo a mia figlia, così pensavo che Orsolina sarebbe stata perfetta sia come istitutrice che come dama di compagnia, senza dover vigilare un’altra ragazza che non conosco”.
“Sai una cosa Elisa?” la donna scosse la testa.
“Non sono molto sicuro di voler tornare a Parigi per continuare la carriera militare, credo di servire più qui, a  Rivombrosa,  che nell’esercito francese”.
“Cosa stai dicendo Martino?” iniziò Elisa “Perché vuoi rinunciare alla carriera militare proprio ora, dopo tanti sacrifici, sei quasi un sottufficiale, e potresti diventare, come tuo padre, uno dei più giovani capitani” sorrise all’idea di vedere suo figlio durante la cerimonia di promozione.
“E poi proprio oggi il prefetto Terrazzani mi ha detto che il re in persona ti vorrebbe nel suo esercito”
“Davvero?” domandò colpito Martino.
“Sì” lo rassicurò Elisa “non devi rinunciare ai tuoi sogni, se sei sicuro di voler abbandonare la carriera militare, allora non mi opporrò, ma se il tuo cuore ti dice di continuare sulla strada che già stai percorrendo, allora non fare sacrifici inutili, che ti peseranno per tutta la vita”. Martino abbracciò la donna, sollevato di non dover più rinunciare a quello per cui aveva dedicato tutti gli ultimi sei anni della sua vita. Elisa lo strinse a sé, rifugiandosi completamente in quell’abbraccio, così simile a quelli di Fabrizio.
“Ricordati solo che io sarò con te, sempre, e che ti voglio bene come un figlio”.
“Ti voglio bene anch’io” disse Martino sciogliendosi dall’abbraccio.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***









? Piccolo avviso, questo capitolo è un po' più forte degli altri (anche per questo ho preferito cambiare rating della storia). Spero di non turbare nessuno. Per chi preferisse non leggere la prima parte può andare direttamente qui.




Emilia, approfittando delle lunghe ore di solitudine si era arrampicata sul tavolino per cercare di vedere dove portasse la finestrella che illuminava la stanza, ma fu sorpresa dal rumore di una chiave che stava girando nella serratura, che la fece sussultare. Scese rapidamente dal tavolo,  assumendo una postura fiera, sebbene quella visita insolita la intimoriva. Sulla porta apparve un valletto, nel quale Emilia riconobbe uno dei suoi rapitori, che chiuse malamente la porta dietro di sé e iniziò ad avvicinarsi alla fanciulla.

“Buongiorno marchesina!” Emilia non rispose, cercando di allontanarsi il più possibile da quell’individuo.
“Ma come? Siete sempre così sola, credevo che un po’ di compagnia vi sarebbe stata gradita” continuò braccando la ragazzina e mettendola con le spalle al muro.
“Lasciatemi!” disse con un filo di voce la ragazza, mentre l’assalitore le bloccò le mani e iniziò a baciarla sul collo. Emilia tentava di divincolarsi, ma poteva poco contro la corporatura del suo aggressore, che ora stava iniziando a strattonare il bustino.
“Cosa credevi? Che mi sarei lasciato scappare un bel bocconcino come te?” Emilia si sentì mancare quando l’altro iniziò a sollevarle la gonna e a risalire con la mano lungo le gambe.
“Lasciatemi vi ho detto!” urlò tra le lacrime “Aiuto!” il valletto tentò di zittirla baciandole la bocca, ma Emilia si ribellò, mordendogli il labbro. A quel punto l’uomo schiaffeggiò la ragazza, che finì a terra e iniziò a strapparle i vestiti di dosso. Le grida di Emilia riempivano ormai il corridoio, quando Cristiano aprì la porta e si scaraventò sul servitore , talmente preso da quella lotta impari, da non accorgersi di non essere più solo nella stanza, sollevandolo di peso e staccandolo dalla ragazza. I due iniziarono subito un’accesa rissa, mentre Emilia si scansò dal teatro di disputa, senza però trovare la forza di fuggire.
“Gli ordini erano che la ragazza non dovesse essere toccata!” urlò Cristiano, colpendo con un pugno il suo rivale, che barcollò.
“E da quando voi date ordini?” lo derise l’altro assestando anch’egli un poderoso sinistro. Cristiano, col labbro sanguinante, riuscì  a cacciare l’uomo dalla stanza, ordinando ad una coppia di domestici, accorsi a capire il motivo di tutto quel trambusto, di allontanarlo dalla villa. Subito dopo corse nuovamente dentro la piccola prigione, dove Emilia si stava accasciando, ancora tutta tremante.
“Stai bene?” le domandò immobile, al centro della cella. Emilia lo fissò impaurita senza rispondergli, solo allora il ragazzo notò che il vestito della giovane era strappato, e si tolse la giacca, facendo per appoggiarla sulle spalle della marchesina, che però si scansò bruscamente.
“Tieni, mettiti questa”, disse allora, porgendole la giacca, che questa volta Emilia non rifiutò. La ragazza si strinse nel bavero  della giacca, quasi a volersi sentire protetta, e scoppiò in un pianto liberatorio. Cristiano chiamò due cameriere, affinché aiutassero Emilia a calmarsi e a cambiarsi d’abito, disponendo, inoltre, di non rinchiuderla più nella celletta, ma di farle preparare la stanza degli ospiti. La più giovane delle due tentò di far notare qualcosa al ragazzo che secco le rispose:
“Questa è ancora casa mia e lei sarà mia ospite, e non tollero che venga trattata in questa maniera”. Le due cameriere non risposero, a si affrettarono ad eseguire gli ordini.
Un paio di ore dopo Emilia era seduta davanti ad una grande specchiera, e stava osservando i segni che l’aggressore la aveva lasciato.
“Non vi preoccupate signorina, sono certa che presto spariranno, e potreste sempre coprirli con della cipria” la stava rassicurando Marise,  quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse debolmente Emilia. Cristiano entrò nella stanza; la bambina, riconosciutolo dal riflesso nello specchio gli corse incontro.
“Cristiano!” esclamò facendosi prendere in braccio. Il ragazzo la strinse a se, e tenendola tra le braccia si avvicinò ad Emilia.
“Siete bellissima” Emilia sorrise timidamente.
“Volevo parlarvi da solo” continuò, appoggiando la bambina, ma notando lo sguardo perso della ragazza propose:
“Forse vi sentireste più a vostro agio se parlassimo nella sala qui accanto, piuttosto che nella vostra camera da letto?” Emilia annuì.
“Allora, vi aspetto nell’altra sala, quando più vi sentirete, potete chiedere a mia sorella di accompagnarvi, non è così Marise?” la bambina annuì. Poco dopo le due giovani entrarono nel salotto dove il principe le stava aspettando.
“Vi prego accomodatevi” la invitò il principe indicando un divanetto di fronte a lui. Emilia si accomodò, e iniziò a volgere lo sguardo sugli oggetti che la circondavano, quando fu rapita dal quadro alle spalle del ragazzo: il ritratto di una giovane dama, vestita con lo stesso abito che ora stava indossando lei; sembrava fissarla severa e comprensiva allo stesso tempo. Il ragazzo si voltò cercando di capire cosa avesse attirato l’attenzione della giovane.
“Era mia madre” spiegò.
“Era bellissima” mormorò Emilia distogliendo lo sguardo dal ritratto e spostandolo sul giovane che annuì
“Già, ma non è di lei che voglio parlare ora… come state?”
Emilia sospirò profondamente.
“Meglio, e lo devo solo a voi” iniziò.
“Vi prego, chiamatemi Cristiano, e permettetemi di chiamarvi col vostro nome” Emilia annuì.
“Bene, come avrai capito, ora tu sarai mia ospite, e voglio che tu non ti faccia scrupoli e chiedessi tutto quello che desideri”.
“Allora perché mi hai rapita?” domandò Emilia, facendosi coraggio.
“Non sono stato io ad ordinare il tuo rapimento, ma la duchessa Ranieri”
“La duchessa Ranieri?” domandò stupefatta Emilia.
“Sì, la seconda moglie di mio padre, la madre di Marise”.
“Perdonami, ma continuo a non capire”.
“È una storia lunga, non vorrei annoiarti”.
“Voglio capire, te ne prego” vinto dalla spontaneità della ragazza, Cristiano iniziò a raccontare:
“Mia madre, la principessa di Montesanto, era sposata col duca Ottavio Ranieri, mio padre, che tuttavia non mi riconobbe mai. Il loro sembrava un matrimonio felice, coronato dalla benedizione di un figlio maschio, che avrebbe portato avanti le due casate – iniziò Cristiano con un pizzico d’orgoglio – ma a mio padre mancava la gloria del potere. Così decise di trasferirsi in Piemonte, dove divenne il consigliere del re, lasciando me e mia madre a Venezia. Dopo la morte di mia madre, dieci anni fa, mio padre mi comunicò di aver sposato in seconde nozze una marchesa, che diventò così la duchessa Ranieri, dalla quale ebbe una figlia: Marise. Poche settimane dopo il parto, mio padre e la sua seconda moglie lasciarono Venezia per tornare a Torino, lasciandomi crescere da solo la piccola. Sette anni fa la duchessa Ranieri è tornata a Venezia, e in breve tempo divenne la padrona del palazzo. Io tentai di oppormi, ma purtroppo ero poco più di un bambino, e non fu difficile per lei sottomettere me e mia sorella al suo servizio” il ragazzo  tacque.
“E non hai mai provato a ribellarti?” domandò la ragazza, Cristiano annuì.
“In un primo tempo sì, però ogni mia azione andava a riflettersi contro mia sorella, così ho iniziato a cedere, per non dare altra sofferenza a quella creatura che non sa la verità, lei crede di essere la figlia della principessa di Montesanto”. Emilia continuò:
“Perché allora non scappi?”
“Perché non saprei dove andare, e la mia vita è qui, a Venezia, non potrei abbandonare tutto ciò che ho di più caro”. In quel momento entrò una cameriera con del tè. Cristiano lo versò e lo porse ad Emilia che accettò di buon grado. Quando la cameriera uscì dalla stanza, Emilia domandò ancora:
“Perdonami un’ultima domanda. Ma cosa c’entra Lucrezia in tutta questa storia?” Cristiano appoggiò la tazza sul tavolino.
“Come cosa c’entra? è lei la duchessa Ranieri”.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***









Dopo una notte insonne, Elisa si alzò dal letto, si vestì e iniziò ad aggirarsi per i corridoi del castello, ancora deserti. La donna poteva immaginare che, dietro quelle porte chiuse, gli abitanti della tenuta rubassero gli ultimi momenti al sonno prima di incominciare una nuova giornata. Passando davanti alla camera di Martino rimase stupita di vederla socchiusa, così entrò e lo trovò in piedi, vestito con la divisa dell’esercito francese, mentre stava preparando un piccolo bagaglio.
“Martino cosa stai facendo?” il ragazzo sussultò poi rispose:
“Vado a salvare Emilia”.
“Ma sei pazzo?” riprese Elisa “Credi che andare da solo a Venezia ti farà riportare a casa Emilia?” il ragazzo non rispose, ma non sembrava intenzionato a rinunciare all’impresa.
“Ascoltami Martino - lo pregò la donna prendendolo per le spalle e fissandolo negli occhi - non possiamo fare nulla adesso, dobbiamo aspettare, e trovare un piano per poterla salvare, altrimenti rischiamo di metterla seriamente in pericolo, oltre a rischiare la nostra vita inutilmente”.
“Lo so - ammise il ragazzo - ma io non sono capace a starmene qui ad aspettare, sapendo che mia cugina non è al collegio … se solo l’avessi accompagnata!”
“Angelo ha detto che la carrozza è stata assalita da cinque banditi, non sarebbe cambiato nulla, non puoi incolparti di qualcosa che non hai fatto”.
Il ragazzo sembrava persuaso a rimandare la partenza, ma Elisa sapeva bene che non avrebbe potuto trattenerlo a Rivombrosa ancora per molto.
“Ti va di accompagnarmi a controllare le masserie? Una cavalcata può farti bene” Martino accettò. Poco dopo, i due stavano uscendo dalla tenuta, alla volta dei confini dei loro territori.

Durante il ritorno alla tenuta, Elisa deviò per il bosco, il ragazzo la seguì e i due rimasero in silenzio per un bel pezzo finchè Elisa si decise a parlare:
“Martino ho bisogno di parlarti, ma ti prego non accusarmi come l’altra volta”.
“Mi dispiace averti ferita, ti ascolto”.
“L’altro giorno a Torino, dopo che tu sei partito, monsieur Benac ha voluto parlarmi”.
“E allora?non vedo perché avrei dovuto arrabbiarmi per questo”.
“Victor Benac mi ha chiesto in sposa” riprese Elisa fermando Fedro e osservando il ragazzo cercando di indovinarne la reazione. Martino si illuminò:
“Che bello Elisa! Sono felice che te lo abbia chiesto” Elisa rimase sorpresa:
“Ma come? Tu ne eri al corrente?”
“Non proprio, ma durante l’ultima battuta di caccia monsieur Victor mi aveva accennato alla cosa, chiedendomi un parere” Elisa sorrise divertita
“Quindi immagino che non ci hai lasciato soli per pura coincidenza” Martino alzò le spalle ed evitò la domanda:
“Non mi hai ancora detto cosa gli hai risposto”.
“Non gli ho ancora dato una risposta, è una scelta difficile” ammise Elisa, riprendendo la passeggiata fino a casa.
“Elisa ascolta,io ho trascorso la mia infanzia senza un padre, so cosa vuol dire crescere da solo e quanto sia dura. Purtroppo ho passato pochissimo tempo con mio padre, e Victor è stata una figura di riferimento molto importante per me. E credo che potrebbe essere un buon padre anche per Agnese, non è giusto che anche lei soffra come me, e poi non credo che potrei sopportare un altro uomo al tuo fianco, se non Victor”
“Allora vorrà dire che valuterò la proposta” concluse Elisa.
“Non sembri felice” notò il ragazzo.
“Non sto cercando la felicità, ma un buon padre per te e Agnese. E ora affrettiamoci, altrimenti inizieranno a pranzare senza di noi!” Martino non aveva più la possibilità di obiettare.

Nel pomeriggio Martino, Antonio, Anna ed Elisa erano in biblioteca a discutere un piano per liberare Emilia, sembrava ormai deciso che Martino ed Elisa sarebbero partiti alla volta di Venezia, quando Bianca annunciò l’arrivo della marchesa Van Necker. Il gruppetto sussultò, Elisa ebbe la prontezza di far nascondere Martino e di ordinare che Agnese fosse tenuta nella sua stanza per il resto della visita della marchesa, prima di riceverla. Quando Lucrezia entrò nella biblioteca trovò solo Elisa e Antonio. La nobildonna rimase molto sorpresa e indispettita da quella vista: come mai quella serva era ancora in quella casa?
“Avevo chiesto di parlare con la marchesa Radicati” esordì con aria di sufficienza.
“La marchesa non può ricevervi e ha pregato me di farlo” iniziò la contessa.
“E da quando i servi sono incaricati a ricevere gli ospiti, voglio parlare con la padrona della tenuta” continuò Lucrezia.
“Se è questo che vuoi, non dovevi cercare la marchesa Radicati, ma me, sono io la padrona della tenuta”.
“Non mi risulta che tu fossi sposata con Fabrizio, quando è stato decapitato”
“Siete stata male informata marchesa – iniziò Elisa sostenendo lo sguardo della rivale – Fabrizio non è stato giustiziato, come tu speravi, e ci siamo sposati e siamo stati molto felici insieme, finchè Ranieri non lo ha ucciso, ma non è uscito vivo dal conflitto”.
 Lucrezia accusò il colpo, ma non si diede per vinta:
“Presumo non ti sia oscuro il motivo della mia visita”.
“Arriva al dunque, la tua presenza non è gradita” rispose Elisa; Antonio che sino a quel momento non si era intromesso nel dialogo tra le due donne, alzò lo sguardo sulla ragazza, ammonendola e cercando di far tornare la discussione sull’argomento principale. Lucrezia, ignorando palesemente le parole della contessa si accomodò sulla poltrona, costringendo Elisa a seguirla e a sedersi sul divano accanto ad Antonio
“Noto con piacere che sei ragionevole, anche se non conosci ancora le regole dell’ospitalità” non perse l’occasione di deriderla. Elisa fremeva.
“Cosa vuoi Lucrezia!”
“Del tè sarà sufficiente” rispose la marchesa fingendo di prendere come un invito quello che era un ordine, umiliando la ragazza che,a malincuore, fece portare quello che la marchesa chiedeva. Quando la cameriera si ritirò, Lucrezia osservò la stanza, pose la tazzina sul tavolino e inaspettatamente si diresse verso una libreria, che in realtà nascondeva una porta segreta, e l’aprì, controllando che non ci fosse nessuno, poi tornò a sedersi. Elisa rimase stupita da quel gesto.
“Ti starai domandando come facessi a sapere di quella porta segreta? Devo forse ricordarti che ero spesso a trovare Fabrizio?” disse sorseggiando il tè, alludendo palesemente a frequentazioni non platoniche. Elisa non rispose.
“Ma non sono venuta per parlare di questo. Volevo discutere di qualcosa che ti sta molto a cuore”.
“Ti ascolto” rispose asciutta Elisa.
“Molto bene, la marchesina Radicati è mia ospite ”.
“Dite piuttosto che l’avete rapita” la interruppe Elisa.
“Non scaldarti, la ragazzina bene”.
“Cosa vuoi per liberarla?” Lucrezia sembrò soppesare la proposta.
“È  molto semplice: quello che voi Ristori mi avete portato via sei anni fa”.
“Io non ti ho tolto nulla, sei tu che hai scelto, quando ti sei messa contro il re!”
“Che sciocchezze! Ancora con questa storia della lista?”
“Voglio sapere le condizioni” ripeté Elisa.
“Dato che le cose sono cambiate, voglio Rivombrosa. In fondo, sei anni di esilio forzato devono avere una giusta rivendicazione, non credi?”
“Tu non sarai mai la padrona in questa casa!” fu la risposta di Elisa.
“Mi sembra che ti sfugga un dettaglio molto importante: sono io che detto le condizioni, ascoltami bene, mi stabilirò a palazzo, e non voglio vedere nessuno di voi che lascia la tenuta per nessun motivo, altrimenti la vostra adorata nipote ne pagherà le conseguenze, sono stata chiara?”
“Fuori da casa mia” ordinò la contessa.
“Sei una sciocca Elisa, così condanneresti tua nipote. Ma io sono clemente, ti concedo dieci giorni di tempo, scaduto il quale, se la tua risposta non cambierà, temo che non rivedrai più tua adorata nipote”.
“Prova solo a toccarla Lucrezia, che te ne pentirai!” rispose la contessa. La marchesa rise delle minacce ricevute e uscì. Quando Martino fu certo che la marchesa fosse uscita, aprì la porta segreta ed entrò in biblioteca dove Elisa aveva già chiamato Angelo.
“Fortuna che non ti ha scoperto! Ma come hai fatto?” domandò la donna.
“Non c’è tempo da perdere, Emilia è in pericolo, io vado a salvarla” iniziò Martino, senza rispondere alla domanda.
“Vengo con te” disse Elisa, consapevole che era stata lei ad aggravare la situazione.
“No, è meglio che tu stia a Rivombrosa e che avverta il prefetto Terrazzani: sulla testa di Lucrezia pesa ancora una condanna” Elisa annuì. Nel frattempo apparve sulla soglia Angelo.
“Avete fatto chiamare?”
“Sì, ti prego prepara il mio cavallo e quello di Martino”.
“Prepara il calesse” la interruppe Antonio. Sia Elisa che Martino si girarono verso di lui.
“Sarà meglio che tu accompagni Martino alla stazione di posta, che c’è sulla strada verso Torino, se Martino cambia cavallo alle varie stazioni e si fermerà solo per riposare lui si guadagnerà del tempo prezioso” spiegò il medico. I due accettarono la proposta,  e Angelo diede ordine allo stalliere di preparare il calesse, che poco dopo uscì dall’uscita secondaria, per aggirare eventuali trappole ordite dalla marchesa.

Durante il tragitto nessuno dei due occupanti del calesse proferì parola: Martino era tutto rivolto al viaggio e al modo di salvare la cugina, Elisa era divisa tra l’incontro col prefetto e l’ansia di lasciare andare il figlio solo verso un’impresa pericolosa. Giunti davanti alla posta i due scesero dal calesse, il ragazzo si fece sellare uno tra i cavalli disponibili, ma prima di salire in sella prese in disparte Elisa, che ormai considerava a tutti gli effetti come sua madre, ed ascoltò tutte le sue raccomandazioni, quando la donna finì le strinse le mani e la fissò negli occhi:
“Per quanto riguarda Victor –iniziò un po’ titubante –non posso condannare Agnese ad un’infanzia simile alla mia, ma non posso nemmeno obbligare te all’infelicità. Non voglio sapere la tua scelta, ma la rispetterò in ogni caso”. Elisa sorrise.
“Adesso vai, Emilia ti sta aspettando da troppo tempo”.  Martino salì in sella e spronò il cavallo.
“Martino!” il ragazzo si girò e vide Elisa in mezzo alla strada che lo stava seguendo.
“Stai attento” il ragazzo annuì e spronando il cavallo al galoppo, sparì lungo la strada.
Elisa salì nuovamente sul calesse e si diresse verso Torino. Entrata nel palazzo chiese del prefetto Terrazzani.
“Mi dispiace signora, ma il prefetto ha ricevuto una visita e ha chiesto di non essere disturbato” le spiegò una giovane guardia.
“ Vi prego accompagnatemi ugualmente nel suo ufficio, è molto urgente”.
Il soldato l’accompagnò per le scale e lungo il corridoio, quando lo studio del prefetto si aprì e l’uomo uscì a braccetto di una giovane dama e si imbatterono nella contessa e nel suo accompagnatore.
“Perdonatemi, avevo detto alla signora che non volevate essere disturbato, ma ha insistito…” un cenno dell’uomo fece smettere le spiegazioni, Elisa, confortata da quel gesto fece la prima mossa:
“Non sapevo foste in piacevole compagnia, ma purtroppo ho urgente bisogno di parlarvi in privato –poi riconoscendo la giovane donna al fianco del prefetto – madamoiselle Benac, spero perdonerete questa mia intrusione” la ragazza spostò lo sguardo dalla contessa, al suo cavaliere cercando una spiegazione, poi annuì alla contessa.
“Siete fortunata contessa Ristori, stavamo uscendo, ma se la situazione è così urgente come dite, credo che Juliette … Madamoiselle Benac –si corresse- potrà scusarci qualche momento, accomodatevi pure nel mio studio,vi raggiungo subito”. Elisa ringraziò e si accomodò, mentre il prefetto sussurrò alla giovane:
“Scusami solo un minuto, non credo ci vorrà molto” Juliette sorrise e fece cenno di sì col capo.
Entrato nello studio l’uomo chiuse la porta.
“Di cosa volevate parlarmi contessa?” domandò.
“Lucrezia è in Piemonte” esordì Elisa.
“Non è possibile, siete certa di quello che state dicendo?”  domandò il prefetto, iniziando a cercare tra alcune carte.
“Ha rapito Emilia, e oggi la marchesa Van Necker si è presentata a Rivombrosa” il prefetto era sorpreso da tali affermazioni.
“Contessa avete qualche prova di quello che state dicendo?”
“Non qui - ammise Elisa - ma posso assicurarvi che è così” il prefetto trovò finalmente il documento che stava cercando.
“Purtroppo contessa Ristori, non ho nessun potere sulla marchesa, finché voi non mi potete provare che sia la rapitrice della marchesina Radicati”
“Ma come? – domandò Elisa – com’è possibile che la marchesa Van Necker giri a piede libero in Piemonte, dopo la congiura contro l’antico re?”
“Il nuovo sovrano ha concesso la grazia a tutti i congiurati che hanno scelto l’esilio volontario …” spiegò l’uomo mostrandole il documento. Elisa rimase impietrita; com’era possibile che il figlio del vecchio re, l’erede al trono, avesse graziato gli antichi congiurati?
“Aspettate ancora un momento” iniziò Elisa.
“Voi volete delle prove per la colpevolezza di Lucrezia nel rapimento di Emilia? Potrete averle dalla bocca stessa della marchesa, tra dieci giorni scadranno le sue condizioni, e lei verrà a reclamarle a Rivombrosa …”
“ Non risulta che voi abbiate denunciato la scomparsa di vostra nipote …” le fece notare il prefetto.
“Purtroppo lo abbiamo scoperto solo questa mattina, noi credevamo che mia nipote fosse in collegio a Parigi” mentì Elisa.
“Allora vi conviene denunciare la scomparsa di vostra nipote, e domani mi porterete le prove che affermate di avere, vedrò di fare tutto il possibile”.
“Grazie prefetto, e perdonatemi ancora per il disturbo” l’uomo l’accompagnò alla porta.
“È un vero peccato che una famiglia così leale alla monarchia sia vista sotto una cattiva luce”.
“Io sono la causa principale, ma se potessi tornare indietro, rifarei tutto”. rispose orgogliosa la donna.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***









Tornata dalla capitale, Elisa non si diresse alla tenuta, ma alla cascina della famiglia Benac, non sapeva ancora che risposta dare al suo pretendente, ma sentiva di non poter rimandare oltre. Victor, vedendola arrivare dalla finestra, si affrettò ad accoglierla personalmente, l’aiutò a scendere dal calesse e le porse i suoi omaggi:
“Contessa Ristori, sono felice di rivedervi così presto …”
“Monsieur vorrei parlarvi, per quanto riguarda la proposta che mi avete fatto”.  Elisa sapeva che ormai, qualunque scelta avesse fatto, sarebbe stata irreversibile. La donna venne accompagnata nel salotto della cascina e fatta accomodare su un umile divanetto.
“Desiderate qualcosa?” domandò il borghese, in tensione per l’attesa. La contessa fece cenno di no e iniziò:
“Victor, voi l’altro giorno avete detto di amarmi, e mi avete chiesta in moglie per questo motivo …” Elisa rimase un secondo in silenzio, esitando su come continuare “io ho già avuto un grande amore, ed è stato mio marito, il conte Ristori” il borghese rimase colpito da quelle parole. Elisa alzò lo sguardo e fissò i suoi occhi in quelli dell’uomo che aveva davanti.
“Io credo che voi sareste un ottimo padre per Agnese e Martino, e che potreste essere anche un buon marito per me.” L’uomo non poteva credere a ciò che aveva appena sentito.
“Contessa state facendo di me l’uomo più felice della Terra!”
“Victor, io sono disposta a diventare vostra moglie, ma voglio essere sincera: non potrò mai amarvi, mi dispiace”.
“Un matrimonio di convenienza …”  rifletté mesto l’uomo .
“Non avrei mai accettato la vostra proposta se non vi stimassi, ho preferito non mentirvi, e spero che potrete perdonarmi se vi ho offeso, ma non volevo insultarvi, fingendo un sentimento che non provo” Victor annuì mesto, quella donna riusciva sempre a sorprenderlo, la sua dignità e la sua franchezza erano rare, e lui non poteva fare altro che ammirarla. A stento represse la delusione  e l’amarezza.
“Non posso obbligarvi ad amarmi, e nemmeno a vivere al mio fianco, perdonate il mio comportamento dell’altro giorno”.
“Victor…”
“Vi prego contessa, non credo abbiamo altro da dirci. Se non vi dispiace vorrei essere lasciato solo”.
 Elisa cercò ancora di addolcire quel congedo, ma non era più il tempo, così uscì dalla proprietà dell’uomo e si diresse nel suo capanno fuori dal mondo: aveva bisogno di rimanere da sola, e di sentire vicino a sé lo spirito del marito. Chiusasi la porta del capanno alle spalle, scoppiò in un pianto liberatorio, non riusciva ancora a valutare se il fallimento del matrimonio con Victor poteva essere considerato positivo o negativo. Si sentiva sola. Stanca, si assopì poco dopo.
Lucrezia, tornata nel suo vecchio palazzo, osservava il disordine che regnava sovrano: da dopo la perquisizione nessuno aveva messo piede in quelle stanze, che il tempo aveva mantenuto intatte, come quel giorno della sua partenza. Gasparo le si avvicinò:
“Signora marchesa ho provveduto a farvi preparare la vostra camera, e presto tutto tornerà all’antico splendore…”
“Grazie Gasparo, come farei senza di te?” rispose cinica la marchesa, poi chiese l’occorrente per scrivere e poco dopo consegnò all’uomo una lettera.
“Fa’ in modo che questa lettera arrivi a Venezia il prima possibile. Voglio la marchesina Radicati qui entro dieci giorni”.
“Sarà fatto signora”.
Il sonno di Elisa non durò a lungo, risvegliatasi osservò il paesaggio, stava calando la sera, e il bosco non sarebbe stato sicuro. Decise che, per quella notte, sarebbe stato più saggio rimanere al capanno. Cenò con alcuni viveri che trovò nascosti, domandandosi chi potesse averli lasciati: era, infatti, fuori di dubbio che il capanno fosse frequentato, forse anche piuttosto assiduamente. Elisa accese un fuoco per la notte e si accovacciò a scaldarsi, quando una figura si stagliò sulla porta. Elisa si alzò di scatto, impaurita, ma alla vista dell’uomo le gambe sembravano non volerla più sostenere, la vista si offuscò e la donna perse i sensi. Quando si riprese, vide su di lei due occhi azzurri che la scrutavano estasiati e preoccupati al contempo.
“Fabrizio …” trovò la forza di mormorare, l’uomo le poggiò un dito sulle labbra, Elisa, ancora incredula, iniziò ad accarezzare il volto del marito.
“Fabrizio, amore mio … sei proprio tu? Com’è possibile? Eri morto … tutti lo credevano …” Fabrizio la strinse a sé. Com’era bello poter finalmente riabbracciare l’unica donna della sua vita, poter finalmente stringerla nuovamente.
“È tutto finito, ora sono qui” poi la baciò, un bacio dolce e appassionato che travolse entrambi.
“Giurami che non mi lascerai più” domandò la donna continuando a baciarlo e slacciandogli il mantello che ancora portava addosso.
“Te lo giuro, non ti abbandonerò mai più” poi la prese in braccio e delicatamente l’appoggiò su alcune pelli, iniziando a baciarla sul collo, inspirando il suo profumo, Elisa rispose ai baci dell’uomo quasi come se fosse la prima volta.
La mattina seguente sembrava essere arrivata troppo presto al capanno, dove Elisa dormiva ancora tra le braccia di Fabrizio che le accarezzava i capelli, domandandosi come avesse potuto abbandonarla. La donna aprì gli occhi e sorrise felice, accorgendosi che la notte appena trascorsa non era un sogno.
“Mi ero dimenticato di quanto fossi meravigliosa” la salutò Fabrizio baciandola dolcemente, Elisa si strinse a lui.
“Agnese sarà felice di conoscere il suo papà, ti assomiglia sai?” Fabrizio sorrise.
“Davvero?”
“Sì ha il tuo stesso carattere vivace, Amelia poverina deve faticare non poco a starle dietro, quando mi occupo della tenuta …”
“Raccontami ancora, Martino? Come sta Martino, ed Emilia?Mia sorella e Antonio? Voglio sapere tutto…”
“Antonio ed Anna si sposeranno tra qualche settimana, tua sorella aspetta un bambino, dovrebbe nascere quest’estate”.
“È magnifico…e mio figlio?” Elisa si mise a sedere con aria seria.
“Cosa è successo?”
“Martino è partito ieri per Venezia”.
“Per Venezia? E perché?”
“Lucrezia, ha rapito Emilia, e Martino è andato a salvarla … Sono preoccupata Fabrizio”.
“Stai tranquilla, sono certo che Martino se la caverà, e presto i due torneranno a casa sani e salvi”.
“Lo spero. E tu? Cos’è successo? Perché non sei tornato prima?”
“Perdonami Elisa, non avrei mai dovuto coinvolgerti”.
“Fabrizio non ti capisco” iniziò la donna rivestendosi, e voltando la schiena al marito, per farsi aiutare a stringere il bustino.
“È una storia lunga che ha inizio prima dell’agguato di Natale”.
“Ti prego spiegami…”
“Ti ricordi, il giorno della morte del re? Quando abbiamo portato Agnese a corte?” Elisa annuì.
“Quel giorno il sovrano non si è spento, come ha detto il prefetto Terrazzani, ma è stato assassinato.”
“Fabrizio, cosa stai dicendo? E questo cosa centra con noi?”
“Ti prego Elisa è già difficile così, non complicare le cose. Qualche giorno dopo, venni convocato dal prefetto, che mi informò su alcune anomalie riscontrate in seguito alla morte del re, e mi chiese di aiutarlo. Io accettai, ma il prefetto mi consigliò di non rivelarlo a nessuno, poiché il pericolo era molto elevato, mi consigliò di partire dal Piemonte con te e Agnese, in modo da mantenervi al sicuro”.
“Non mi hai mai detto nulla …”
“Non ne ho avuto il tempo, tra le varie preoccupazioni per la tenuta, aspettavo anche una risposta del barone di Conegliano, sperando di trovare ospitalità a casa sua, almeno il tempo necessario per stabilirci in Francia, ma il giorno di Natale qualcosa andò storto …”
“Quindi il duello con Ranieri era tutto finto?” domandò con voce rotta Elisa.
“No, quel giorno doveva essere il nostro primo Natale, l’imboscata mi è stata tesa con l’unico scopo di eliminarmi, sono tornato a Rivombrosa in fin di vita, quando Antonio si accorse che ero ancora vivo iniziò a curarmi …”
“Allora Antonio sapeva tutto …”
“Sono stato io a pregarlo di non dire nulla, tutti dovevano credere che il conte Ristori fosse morto, era l’unico modo per proteggere te, e la nostra famiglia”.
“Perché non me ne hai parlato prima? Ancora una volta hai deciso anche per me, mi hai usata!” Elisa si sentiva tradita.
“L’ho fatto solo per il tuo bene e poi non c’era più tempo, credimi, al mio funerale … - Fabrizio si fermò un momento- ti ho vista e credimi, avrei dato qualunque cosa per poterti abbracciare, e dirti che non era vero, ma purtroppo era un’occasione da non perdere, mi dispiace di averti resa attrice inconsapevole, ma non potevo fare altrimenti” fece per abbracciarla, ma Elisa si scansò.
“Elisa non è tutto”.
“Non so se ti voglio ancora ascoltare” disse la giovane infilandosi il mantello, l’uomo le impedì di uscire.
“Devi sapere ancora una cosa, il re è stato ucciso perché voleva riconoscerti”.
“Cosa?” domandò incredula la giovane .
“Sì tu sei la figlia legittima della famiglia reale, sei una principessa Savoia”.
“Cosa stai dicendo?”
“Alla tua nascita è stato fatto credere alla principessa di aver dato un erede maschio al re. Dopo averti data alla luce, la principessa ebbe delle complicazioni legate al parto, e poté vederti, o meglio poté vedere suo figlio, quasi un mese dopo la sua nascita. La dinastia non poteva permettersi una primogenita femmina, così il re riconobbe il figlio avuto poco prima da una ragazza del popolo e diede ordine di allontanarti dal castello. Quando si pentì, ormai era troppo tardi per riaccoglierti nella famiglia reale, così, ti concesse il titolo di contessa e ti trattò come una figlia, è per questo che volle assistere al nostro matrimonio. Negli ultimi tempi mi confessò tutto, dicendomi che avrebbe voluto riconoscerti davanti a tutti come figlia naturale, ma non ne ebbe il tempo. Il principe ereditario, scoperto di non essere il legittimo erede al trono, convinto di essere l’unico a conoscenza di quel fatto, decise di uccidere il padre, in modo che nessuno sapesse la verità.”
“Sapevo di non essere una contadina … -ammise Elisa turbata- ma non potevo immaginare che ad abbandonarmi fosse stato il re in persona!”
“Tu sapevi che Artemisia non è la tua madre naturale?”
“L’ho scoperto poco tempo fa, ma adesso si è fatto tardi, mi aspettano a Rivombrosa” Fabrizio la prese per un braccio.
“Promettimi che stasera tornerai” le disse baciandola, Elisa non corrispose.
“Non lo so”.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***









A Venezia,  Emilia continuava a sentirsi prigioniera, nonostante tutte le attenzioni che Cristiano le offriva. Così, dopo diversi giorni di prigionia dorata, decise di affrontare il giovane e chiedergli apertamente di essere riportata a Rivombrosa.
“Principessa, ho saputo che desideravate parlarmi”
“Non sono una principessa” precisò la ragazza, che ancora non riusciva a sopportare l’insolenza del suo ospite.
“Perdonatemi” ammise scherzoso Cristiano, che non aveva alcuna intenzione di ascoltare quelle precisazioni.
“Vi andrebbe di visitare la città?” propose il ragazzo sorprendendola
“Veramente io, desideravo parlarvi …” iniziò Emilia piacevolmente meravigliata da quella proposta.
“Potreste farlo durante la passeggiata, ma dovete promettermi di non scappare”.
“Ve lo prometto” acconsentì la ragazza.
“Allora andate a prepararvi, io vi aspetterò”.  Emilia sorrise, e poco dopo si presentò con un magnifico cappellino e un parasole coordinato. Il ragazzo rimase immobile ad osservarla, Emilia esitò.
“Mi avevate detto che avrei potuto utilizzare ogni cosa che trovavo nell’armadio di vostra madre …” cercò di scusarsi.
“Avete fatto bene, siete bellissima, e ora andiamo. San Marco ci aspetta”.
Emilia, al braccio del suo accompagnatore, osservava meravigliata quella città, così diversa da quelle che aveva visto in vita sua, fatta di ponti e canali.
“Ti piace?” domandò il cavaliere, osservando gli occhi sgranati della ragazza. Emilia annuì.
“Non avevo mai visto nulla di simile”
“Immagino allora che non avrai mai visto nemmeno il mare …”
“Vivendo in Piemonte non ho avuto questa fortuna” rispose la ragazza, tra la scusa e il divertito.
“Allora te lo mostrerò da un punto di vista diverso …” così dicendo porse un paio di monete ad un gondoliere e l’aiutò a salire sull’imbarcazione.
“Il solito giro signore?” domandò l’uomo.
“No Giovanni, facciamo fare un giro speciale a questa fanciulla. Sai a cosa mi riferisco” il gondoliere sorrise: conosceva troppo bene quel ragazzo per non capirne l’interesse  verso la sua compagna.
“Come volete” così dicendo il gondoliere iniziò a remare. Emilia sembrava un po’ spaesata, così per rassicurarla, Cristiano le cinse le spalle con un braccio; la ragazza sussultò, ma non si ritrasse a quei gesti premurosi.
“Allora, cosa volevi dirmi prima?”  Iniziò Cristiano, mentre la gondola passava sotto il ponte di Rialto. Emilia esitò, poi decise che era arrivato il momento di chiedere apertamente.
“Vorrei tornare a casa…” iniziò, poi osservandolo negli occhi cercò di smussare la brusca affermazione appena detta.
“Tu sei stato così gentile con me, e sto molto bene con te, ma mi manca la mia terra, il Piemonte, e poi tra poche settimane mia madre si sposerà, e io non posso mancare …” Cristiano si rabbuiò:
“Lo sai che non dipende da me. Io devo pensare anche a mia sorella …”
“Vieni con me a Rivombrosa, sono sicura che mia zia vi accoglierà come ospiti graditi, potrete restare da noi finchè lo desideri”.
“Emilia la mia casa è qui, io non ho nulla in Piemonte, non posso rimanere ospite di tua zia per sempre”
la ragazza abbassò la voce.
“Hai detto tu stesso che Lucrezia si è preso ciò che ti aspettava anche qui giusto?”
“Sì ma è diverso”.
“No che non lo è!” insistette la ragazza.
“Lucrezia si è sposata con mio padre ed è giusto che palazzo Montesanto sia anche suo”.
“E se non le spettasse?” domandò la ragazza.
“Cosa vuoi dire?”
“Hai detto che tuo padre ti ha comunicato di esseri sposato in Piemonte, giusto?”
“Sì”
“quanti anni fa hai detto?”
“Dieci, ma non capisco”
 Emilia corrugò la fronte nel cercare un qualche ricordo che le stava sfuggendo, poi iniziò:
“Non è possibile che quel  matrimonio sia valido”
“E per quale motivo?” domandò il ragazzo
“Dieci anni fa la marchesa Van Necker era sposata al marchese Beauville”
“Sei sicura di quello che stai dicendo?”
“Sì, ero piccola all’epoca, ma non posso dimenticarlo”.
“Ma questo non cambia nulla …”
“Certo che cambia! Tu torneresti padrone dei tuoi possedimenti, e non saresti più succube di lei”.
Emilia appoggiò la sua mano su quella del ragazzo,  lui alzò gli occhi e la fissò.
“Ti dimentichi che è una donna molto pericolosa e vendicativa, come pensi di poter riuscire?”
“Io non ho tutte le risposte –ammise la ragazza- ma quello che cerchi lo puoi trovare a Torino.”
“Perché proprio a Torino?”
“Perché è lì che tuo padre lavorava, ed è lì che Lucrezia potrebbe cadere. Qui è inattaccabile, in Piemonte invece, può essere accusata del mio rapimento, e non credo che il re sarà ancora tollerante verso una cospiratrice ai danni di suo padre …”
“Non lo so, ho sempre imparato a cavarmela da solo …”
“Ma esiste una giustizia! Non puoi far valere le tue ragioni da solo, ti metteresti sullo stesso piano di Lucrezia!” Cristiano sapeva che Emilia aveva ragione, e avrebbe voluto riportarla dalla sua famiglia, ma aveva paura di perderla.
“Forse hai ragione” ammise. Emilia lo abbracciò, ma Cristiano fraintese quel gesto, decidendo di dover rischiare, per evitare di perderla definitivamente.
“Adesso torniamo a casa e inizieremo i preparativi per il viaggio, non ti prometto di partire subito, voglio  prima essere sicuro di farti correre il minor numero di rischi possibili” disse stringendo forte la ragazza.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***









Martino era arrivato a Venezia quando la città si stava risvegliando: aveva iniziato la ricerca della cugina, ma sembrava che non esistesse alcun palazzo Van Necker. Erano passate ormai parecchie ore, e nel ragazzo l’ansia e la trepidazione di poter riabbracciare la cugina, stavano lasciando il posto alla disillusione. Si sentiva uno sciocco: come aveva potuto sperare di riuscire così facilmente a trovare Emilia in una città vasta e sconosciuta?  L’orologio di piazza San Marco aveva appena battuto le sei, quando tra la folla, per un istante, Martino credette di scorgere le cugina che stava sbarcando da una gondola. Cercò di seguire la coppia, che però si perse tra la folla, allora il ragazzo si avvicinò al gondoliere e gli domandò:
“Scusate signore, sapete dirmi chi era la fanciulla che è appena scesa dalla vostra barca?”
“Mi dispiace signore, non so nulla, potrei solo dirvi che era molto graziosa”. Martino indispettito si voltò e fece per andarsene, poi gli venne un’idea e tornando dall’uomo, gli mostrò una moneta d’argento.
“Se volete fare un giro per i canali ve ne serviranno due di quelle” iniziò l’uomo.
“Non ho tempo per visitare la città. Piuttosto chi era il cavaliere che l’accompagnava?” il gondoliere fece finta di non capire. Martino estrasse un’altra moneta e precisò:
“Sapete il nome dell’uomo che è appena sceso dalla vostra gondola?”
“Certo che lo conosco! È il principe di Montesanto” e allungò la mano per ricevere la sua ricompensa.
“E sapete anche dove abita?”
“Altre due monete e vi porto da lui” Martino acconsentì e montò sull’imbarcazione. Poco dopo la gondola si fermò davanti ad un palazzo.
“Siete arrivato signore, ma non so se il principe vi riceverà”.  Martino pagò il gondoliere e bussò alla porta.
Il giovane conte non dovette aspettare a lungo: subito si presentò alla porta un valletto.
“Mi dispiace signore, ma la signora non è in casa” iniziò, senza nemmeno far parlare il ragazzo.
“Non sto cercando la signora, ma il principe di Montesanto”
“Vi stava forse aspettando?” domandò il servo, il conte iniziò a spiegare:
“No, il vostro padrone non mi conosce, ma ho urgenza di parlare con lui, è una questione molto delicata”.
“Temo di non potervi aiutare, mi dispiace signore, ma ho ricevuto ordini molto precisi …” si scusò l’uomo, facendo per chiudere la porta, ma Martino glielo impedì.
“Vi prego, annunciatemi al vostro padrone, altrimenti mi annuncerò io stesso” così dicendo,  il ragazzo scostò di lato il servo che tentava di fermarlo e fece per passare, ma l’uomo lo trattenne.
“Farò come volete, ditemi chi devo annunciare, ma voi aspettatemi qui” Martino accettò.
“Sono il conte Martino Ristori” L’uomo si inchinò, titubante sul lasciare da solo il ragazzo.
Cristiano era solo nello studio, Emilia si stava preparando per la cena e lui stava ripensando alla promessa fatta poche ore prima, e non riusciva a decidersi sul da farsi. Il valletto bussò alla porta e fece capolino.
“Avevo chiesto di non essere disturbato ”.
“Lo so signore ma c’è una visita …” iniziò l’uomo che però venne interrotto dal giovane
“E non hai detto che la signora non è in casa?”
“Non è la signora che cerca, ma voi!” Cristiano rimase sorpreso: non aspettava visite.
“Chi è?” domandò.
“Il conte Martino Ristori, ha detto che voi non lo conoscete, ma ha molta urgenza di parlarvi, signore”
“Fatelo entrare, ma prima assicuratevi che la marchesina mia ospite non esca dalle sue stanze.”
“Come volete” il valletto uscì e poco dopo si ripresentò alla porta annunciando Martino. Il ragazzo entrò incerto su come comportarsi.
“Signor principe, mi dispiace disturbarla, ma sono costretto a domandarvi alcune informazioni, spero di non abusare della vostra gentilezza …”
“Accomodatevi, ma permettetemi prima di rispondere alle vostre domande di domandarvi chi siete e perché mi cercavate.”
“Sono il conte Ristori di Rivombrosa, sono venuto fin qui dal Piemonte per cercare mia cugina” iniziò Martino tutto d’un fiato. Cristiano rimase molto sorpreso.
“Avete dei parenti qui a Venezia?” domandò.
“No signore, mia cugina è stata rapita, abbiamo ricevuto un suo biglietto qualche tempo fa e sono venuto a cercarla, ma purtroppo non sono riuscito a trovarla …” Cristiano era sulle spine, il giovane di fronte a lui non aveva mai rivelato il nome della cugina, ma era sicuro che si trattasse di Emilia.
“Non capisco come potrei rendermi utile …” continuò.
“Vedete, oggi eravate in barca in compagnia di una dama, che poteva somigliare alla ragazza che stavo cercando, è stato il gondoliere a dirmi chi eravate … e speravo che la fanciulla che avevate al vostro fianco potesse essere lei, perdonatemi, so che può sembrarvi assurdo”.
 Cristiano rimase in silenzio combattuto se rivelare o meno la presenza di Emilia in casa sua.
“Non posso svelarvi il nome della nobildonna che era con me, tuttavia sono disposto ad aiutarvi a cercare la contessa vostra cugina, come si chiama?”
“Mia cugina è la marchesina Emilia Radicati di Magliano” rispose Martino. Cristiano suonò una campanella e diede alcuni ordini sottovoce alla cameriera che si era affrettata a rispondere alla chiamata del padrone.
“Si è fatto tardi - iniziò dopo che la cameriera era uscita lasciandolo nuovamente solo col giovane conte - e Venezia non è una città ospitale dopo il calar del sole, spero che voi vogliate essere mio ospite per questa sera”.
“Non vorrei abusare troppo della vostra cortesia” cercò di declinare il conte.
“Così mi fate torto - insistette il principe- sarei onorato di potervi avere alla mia tavola, ho già dato ordine di apparecchiare anche per voi. Tra pochi minuti sarà pronto, mi permetto di insistere”.
“Non potrei mai farvi un torto, accetterò di desinare con voi” accettò Martino. Cristiano sembrava non ascoltare le parole del suo ospite, e attendere con ansia un qualche avvenimento. I due giovani stavano conversando ancora quando la porta alle spalle di Martino si aprì, e nella stanza entrò Emilia con la piccola Marise. Cristiano smise di parlare;  solo allora la ragazza si accorse che la poltrona di fronte al principe era occupata da un uomo che le dava le spalle, probabilmente non avendola sentita entrare.
“Perdonatemi principe, credevo foste solo …” iniziò. Martino si girò di scatto riconoscendo la voce della cugina.
“Emilia!” esclamò alzandosi dalla poltrona e andandole incontro. La ragazza gli corse tra le braccia.
“Martino!” Emilia non riusciva più a contenere le lacrime di gioia, mentre il cugino la scostava leggermente da sé per osservarla qualche istante prima di iniziare a baciarla. Fu Cristiano ad interrompere la coppia con qualche colpo di tosse.
“Perdonatemi conte, se non vi ho detto subito che vostra cugina era mia ospite, ma ho preferito essere sicuro, prima di esporla a rischi inutili.” Iniziò a spiegare il principe. Martino annuì e accompagnò Emilia a sedersi. La ragazza si stava lentamente ricomponendo, ma non smetteva un secondo di stringere tra le sue mani quella del cugino, quasi a rassicurasi che non scappasse.
“Siete stato fortunato signor conte, se foste venuto tra qualche giorno non ci avreste trovati, infatti stavo organizzando un viaggio in Piemonte per riportarla a casa, l’ho ospitata qualche giorno affinchè si riprendesse e fosse in grado di affrontare un viaggio simile” spiegò. In quel momento venne annunciato che la cena era servita, e le spiegazioni vennero rimandate. Nella sala da pranzo, la tavola era riccamente apparecchiata per quattro persone. I commensali si sedettero e subito venne servita la prima portata. Purtroppo la cena non si svolse secondo i piani; infatti durante la seconda portata si udirono alcuni rumori provenienti dai piani bassi, rumori che si fecero sempre più vicini e minacciosi, che inizialmente sembrarono dirigersi verso un corridoio secondario. Cristiano si alzò da tavola, e riconosciuti alcuni uomini fidati di Lucrezia, chiamò un servo e gli ordinò di tener pronti quattro cavalli. Poi ritornò nella sala da pranzo per avvisare la sorella e gli ospiti di ciò che stava succedendo; non fece in tempo ad avvertirli che alcune grida di disappunto riempirono l’aria e la porta dietro a lui si aprì. Emilia sussultò nel riconoscere il suo aggressore e istintivamente si ritirò dietro al cugino che assecondò i suoi gesti facendole scudo col suo corpo.
“Dov’è?” gridò l’uomo rivolto al ragazzo “dove l’hai nascosta?” continuò, poi si accorse delle tre figure che stavano tentando di lasciare la stanza da una porta secondaria.
“E voi dove scappate?” urlò prendendo per un braccio la bambina.
“Marise!Lasciala stare!” disse in tono minaccioso il principe. Emilia assisteva immobile alla scena. L’aggressore continuava a tenere un pugnale alla gola della bambina che tentava di divincolarsi inutilmente.
“Credevi di fare il furbo, ma sapevi cosa ti aspettava se non rispettavi gli ordini” così dicendo avvicinò ancora di più l’arma alle carni della piccola, allora Martino afferrò una spada dalla rastrelliera e ne lanciò una a Cristiano, i due si gettarono contro l’uomo, che preso di sorpresa, lasciò andare la bambina che scappò tra le braccia di Emilia, mentre i due ragazzi combattevano con l’uomo, che presto ebbe la peggio.
“Marise stai bene?” si preoccupò il fratello; la bambina annuì, ma non c’era tempo. Così il gruppetto raggiunse le scuderie, dove lo stalliere stava preparando i cavalli.
“Presto Giovanni! - ordinò Cristiano - prima che gli uomini di Lucrezia trovino il compagno e ci inseguano”
“Non c’è tempo per sellare gli altri cavalli” gli fece eco Martino aiutando le due ragazze a salire sui due cavalli sellati “Monteremo in due su ogni cavallo”. Così dicendo salì dietro la cugina e continuò
“Principe indicateci la strada”. Cristiano non se lo fece ripetere due volte e montato in sella,spronò il cavallo al galoppo. Un’ora dopo le porte della Serenissima erano ormai lontane,ma le due coppie non potevano ancora ritenersi al sicuro.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***









I due cavalieri rallentarono l’andatura per non stancare troppo i cavalli. Le due ragazze erano ancora ammutolite. Emilia si teneva stretta al cugino, rassicurata dal battito del suo cuore, Marise lottava contro il sonno.
“Dobbiamo trovare un posto dove passare la notte, le ragazze sono stanche - iniziò il conte - altrimenti rischiamo di perdere tutta la giornata di domani”. Cristiano si fermò ad ascoltare.  Attorno a loro il silenzio regnava sovrano, a tratti interrotto solamente dal fruscio delle foglie e dai versi di qualche predatore notturno, il principe continuò a guardarsi attorno con fare sospettoso.
“Principe mi state ascoltando?” lo richiamò Martino spazientito.
“Non mi piace c’è troppo silenzio”.
“Cristiano è normale, è notte, e poi Martino ha ragione, non possiamo cavalcare fino a domani mattina!” intervenne Emilia.
“Dobbiamo proseguire, questi boschi non sono posti sicuri, e gli uomini dì Lucrezia ci sono alle spalle, purtroppo non possiamo permetterci soste ora, i progetti li potremmo fare solo più avanti, non sarebbe saggio mettersi a discutere ora” riprese il ragazzo, continuando il filo dei suoi pensieri. Così dicendo incitò il cavallo a riprendere la marcia, Martino dovette seguirlo. Il gruppo continuò il loro percorso quando all’improvviso, un rumore  alle loro spalle tradì la presenza di persone. I ragazzi si girarono di scatto. Dalla boscaglia uscirono quattro uomini con i volti coperti da un fazzoletto che puntavano le pistole verso il gruppetto facendo cenno di scendere da cavallo i due nobili si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Quando te lo dico voi scappate cercate riparo nella taverna alla fine del bosco, non è lontanissima, noi vi copriamo le spalle, e vi raggiungeremo il prima possibile capito?”mormorò Cristiano alla sorella prima di scendere lentamente da cavallo, imitato da Martino. Le due ragazze osservavano con ansia le due parti che si stavano studiando. I banditi fecero cenno di far scendere anche le due ragazze, e quando uno di loro si avvicinò ad uno dei cavalli per farle smontare, Cristiano lo freddò con un colpo di pistola.
“Marise scappa!” gridò alla sorella che subito spronò il cavallo, seguita da Emilia. I due giovani vennero coinvolti così in una sparatoria, che risuonò per tutto il bosco. Le due ragazze allontanandosi potevano ancora indovinare cosa stava succedendo nella radura, finchè la corsa dei cavalli non le portò troppo lontane dal palcoscenico del duello, e i suoni giunsero a loro in maniera sempre più flebile e indistinta. Mezz’ora dopo trovarono rifugio nella bettola che aveva indicato Cristiano. L’oste si meravigliò di quella presenza, a quell’ora, tuttavia offrì loro protezione.
“Questo non è un posto per signore!”
Emilia stringeva a sé la bambina, come a proteggerla.
“Presto arriveranno anche mio marito e mio fratello” mentì la marchesina.
“Non credo che ci siano stanze libere, dovrete accontentarvi di quello che è rimasto” spiegò l’uomo. Emilia annuì.
“ È  possibile aspettarli in un luogo più riservato?” domandò ancora la ragazza. L’uomo le portò in un angolo del locale separato dagli altri da una pesante tenda, dietro la quale una donna stava rattoppando alcuni abitini alla luce di una candela, mentre accanto a lei due bambini giocavano con alcuni semi, mentre il più piccolo dormiva in una culla ricavata in una vecchia botte, sistemata per il nuovo utilizzo.
“Antonia, hai visite, cerca di lasciare in pace queste due gentildonne, capito?” la donna alzò gli occhi dal lavoro fissandoli sul marito e li riabbassò senza dire una parola. Quando l’uomo fu uscito la donna si interessò alle due arrivate.
“Cosa ci fanno due ragazze come voi in un luogo come questo?”
“Siamo fuggite da una compagnia di briganti, ora stiamo aspettando il ritorno degli uomini della famiglia ” mentì Emilia. L’aria preoccupata della ragazza non era sfuggita alla donna, che cercò di consolarla.
Nel frattempo, nel bosco, i due ragazzi riuscirono ad avere la meglio sui loro aggressori, e si misero subito in marcia per raggiungere le ragazze.
“Speriamo di non trovare altri banditi lungo la strada …” iniziò Martino.
“Quelli non erano banditi, ma gli uomini di Lucrezia, in questa zona i banditi non attaccherebbero in un modo simile …”
“Come fate ad esserne così certo?”
“Quattro persone su due cavalli comporterebbero un bottino troppo magro per tentare un assalto ” spiegò il principe, il conte convenne e per parecchio tempo i due rimasero in silenzio, poi riprese la conversazione.
“Permettetemi la domanda, ma come è possibile che la marchesa Van Necker è venuta proprio da voi a cercare mia cugina?”
“Perché quella è la sua abitazione quando viene a Venezia” iniziò a spiegare l’altro.
“Mi state dicendo che anche voi siete stato complice della marchesa?” domandò furibondo.
“Non proprio, dovete sapere che la marchesa è la seconda moglie di mio padre, e per lei sono sempre stato un peso, mi ricattava, ed è stato solo grazie ad Emilia che ho trovato il coraggio per ribellarmi” rispose, in tono che non ammetteva altre domande sull’argomento. Martino capì che non poteva permettersi di tirare oltre la corda senza rischiare di spezzarla, così cambiò argomento:
“Quanto saranno andate lontano?”
“Credo che a quest’ora saranno sicuramente al riparo nell’osteria che c’è vicino al bosco, devo avvisarvi, non è un luogo molto … come dire … raffinato, però i proprietari sono brave persone, e se tutto va bene tra non molto saremo là anche noi”. Il resto della camminata fu silenzioso, non c’erano molti argomenti su cui discutere, ed era meglio risparmiare il fiato per poter accelerare il passo. Dopo una bella camminata arrivarono finalmente alla piccola bettola, all’interno della quale Emilia si stava torturando nell’attesa del cugino. La ragazza passeggiava continuamente avanti e indietro per i pochi metri liberi, e spesso scostava la pesante tenda nella speranza di vederlo arrivare.
“Perché non arriva?” domandava più a se stessa che alle altre due compagne di attesa, che non riuscivano in alcun modo a rassicurarla.
“Signora, venite a sedervi e mangiare qualcosa, vi sembrerà che il tempo passi più velocemente, non serve a nulla continuare a torturarsi in quel modo” la invitò ancora la donna, Emilia non le prestava ascolto
“E se gli fosse successo qualcosa?” domandò girandosi di scatto verso le altre
“Mio fratello è il più bravo duellante di tutta Venezia …” si vantò ingenuamente la bambina, Emilia sorrise, si avvicinò e si sedette accanto a lei passandole una mano tra i capelli.
“Ti credo …” sospirò, senza riuscire ad aggiungere altro. In quel momento i due ragazzi entrarono nella locanda, Cristiano gettò uno sguardo nella stanza alla ricerca delle due ragazze, ma nulla-
“Cristiano! Qual buon vento ti porta qui? – lo salutò l’oste, che poi continuò - sei venuto con il tuo amico a divertirti con qualcuna delle mie ragazze?”
“No, stavo cercando due donne, anzi una ragazza e una bambina di dieci anni, dovevano essere qui …”
“In effetti due ragazze sono arrivate a cavallo quasi un’ora e  mezza fa … venite a vedere voi stesso se sono loro, sono dietro la tenda, con mia moglie”.
“Grazie” il principe scostò la tenda, e rimase colpito dalla bellezza di quello che sarebbe potuto essere un quadro familiare: Marise tra le braccia di Emilia, che ascoltava attenta quello che la marchesina le stava dicendo. Ben presto Emilia si accorse di non essere più sola nella stanza, alzò lo sguardo e si illuminò a vedere i due ragazzi.
“Martino, Cristiano! Che bello rivedervi” si strinse a Martino, poi rivolta a tutti e due:
“Abbiamo avuto molta paura”.
“È tutto finito” la rassicurò il principe. Emilia sorrise, mentre il cugino la baciava dolcemente sulla fronte,  la ragazza si strinse ancora di più al braccio del cugino, che inaspettatamente sussultò, emettendo un gemito di dolore. La ragazza lo guardò, poi si accorse che la camicia del ragazzo era sporca di sangue.
“Martino sei ferito!” esclamò preoccupata.
“Non è nulla, sono stato colpito di striscio” minimizzò immobilizzando il braccio con l’altra mano.
“Bisogna medicare la ferita … Antonia, potreste darmi dell’acqua bollente e delle bende per cortesia?” domandò la giovane alla donna.
“ Ve le faccio portare nella vostra camera, venite ve le mostro, non saranno molto grandi, ma almeno sono pulite” così dicendo fece strada. Il gruppetto la seguì al piano di sopra dove la donna indicò loro due porte aperte. I quattro si fermarono incerti sul come sistemarsi, fu Martino a prendere l’iniziativa, invitando Emilia a seguirlo in una delle due stanze. La ragazza accettò titubante. Una volta sistemati, i quattro si riunirono tutti insieme per discutere del viaggio. Bussò alla porta Antonia, col materiale che la marchesina aveva chiesto.
“Ecco a voi signora, se serve altro non esitate a chiedere” Emilia ringraziò.
“Antonia, è possibile avere due cavalli con magari una carrozza per domani mattina?”
“Non lo so Cristiano, dirò a mio marito di fare il possibile, quando avete intenzione di partire?”
“Domani mattina, il più presto possibile, vedi di far rifocillare i cavalli, mal che vada useremo ancora quelli”.
“Come volete” così dicendo la donna si allontanò, lasciandoli soli. Martino dovette presto cedere all’idea di essere medicato dalla cugina, mentre discutevano su come organizzare il viaggio. Finiti i preparativi le due coppie si separarono. Cristiano non sembrava felice di lasciare sola Emilia, tra le braccia del cugino, ma non aveva molte alternative. Emilia continuò a pulire la ferita che ormai aveva smesso di sanguinare, Martino fissava la cugina intenta a fasciargli il braccio. Emilia si sentiva turbata nel vedere il cugino senza camicia, ed esitava ad alzare gli occhi dal suo lavoro. Una volta terminato, lo fissò negli occhi e sorrise soddisfatta. Il ragazzo contraccambiò il sorriso e si avvicinò al suo volto:
“Sei stata un’ottima infermiera” le bisbigliò sulle labbra, e senza darle il tempo di rispondere la baciò dolcemente, Emilia gli accarezzò il viso, mentre continuava a baciarlo, al contrario di quanto la cugina di aspettasse, il ragazzo si alzò staccandosi dolcemente da lei, che lo fissò stupita.
“Dormo sul tappeto …” Emilia si accoccolò dietro cugino, sfiorandolo timidamente sulle spalle.
“Allora lo farò anch’io, non posso pensarti così disteso su un pavimento ruvido, dopo che hai rischiato la vita per me …” e lo baciò, a quel contatto Martino chiuse gli occhi e inspirò profondamente, si voltò verso la ragazza, la baciò e la fissò negli occhi:
“Emilia, io ti amo” le sussurrò col fiato corto.
“Anch’io” rispose la ragazza con voce tremante. I due si fissarono per qualche secondo, poi Martino iniziò a baciarla,  lentamente la prese tra le braccia, la posò sul letto e iniziò a slacciarle il corsetto baciandole il collo, Emilia fremeva a quelle carezze, mentre aiutava il cugino, alle prese con la gonna.  Presto i loro corpi furono separati solamente dalle rispettive biancherie , Martino la spinse dolcemente, Emilia lo assecondò, abbandonandosi tra i cuscini, il ragazzo la seguì, ma ancora una volta, quando il ragazzo le sfiorò la gamba Emilia cercò di ritrarla, Martino si fermò, fissando il suo sguardo in quello della cugina, poi mormorò:
 “Non così, io ti amo, e non oserei fare nulla che tu non voglia …” Emilia non rispose, cercava di scacciare le immagini che le erano tornate alla mente. Era confusa, e non capiva cosa le fosse preso. Il ragazzo si era alzato dal letto e si stava rivestendo, lei era ancora immobile che lo fissava.
“Martino …”mormorò, quasi per scusarsi.
“Non devi dire nulla” cercò di tranquillizzarla.
“Resta qui, ti prego, non lasciarmi sola” il ragazzo cedette alla domanda della cugina e si sdraiò accanto a lei, dandole le spalle,poteva sentire il respiro della cugina calmarsi e diventare sempre più profondo, segno che si stava addormentando. Quando fu sicuro che la ragazza dormisse, la osservò: era bellissima, le coperte non potevano coprire le dolci curve della giovane, messe in evidenza dalla postura che aveva assunta nel sonno, innocente, ma al contempo sensuale. Martino si distese con le mani dietro la testa pensando e ripensando a quello che era successo poco prima. Durante la notte il sonno di Emilia si fece più agitato, i ricordi delle disavventure passate non le davano tregua, e si svegliò di soprassalto, urlando. Martino, svegliato dalle grida si mise a sedere.
“Martino ...  è stato terribile, la carrozza ... quella camera,  i briganti …” mormorava confusamente la ragazza tra le lacrime, il cugino la strinse forte a sé.
“È   tutto finito Emilia, calmati, è finito tutto, presto saremo di nuovo a casa” disse continuando ad accarezzarle i capelli, Emilia annuiva tra le lacrime.
“Ora devi dormire, devi essere in forza per domani” così dicendo la fece sdraiare, Emilia si stinse forte al suo petto e lentamente si calmò, cullata dal battito del cuore del cugino. I due dormirono abbracciati fino all’alba, quando la luce del nuovo giorno li sorprese e li obbligò a svegliarsi.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***









Martino iniziò a baciare dolcemente la cugina che stava ancora dormendo. Emilia si stropicciò gli occhi
“Buon giorno amore!” la ragazza sorrise, rispondendo ai baci.
“È ora di alzarsi, dobbiamo partire” Emilia annuì, e sebbene avesse ancora sonno,  si alzò e poco dopo fu pronta; in quel momento Cristiano e la sorella bussarono alla porta.
“È tutto pronto, possiamo partire” esordì il principe, quando il conte si affacciò alla porta. I quattro scesero al piano terra dove li aspettava Antonia.
“Mio marito ha mosso mari e monti per soddisfare le vostre richieste, e io mi sono permessa di prepararvi qualcosa per il viaggio” disse, porgendo un paniere alla marchesina che ringraziò. Il gruppetto uscì, e davanti alla porta trovarono una carrozza che li aspettava. I ragazzi ascoltarono i suggerimenti dell’oste, mentre Marise si sistemò in carrozza. Deciso che sarebbe stato Cristiano a guidare la carrozza per il primo tratto di strada, il ragazzo si mise in cassetta, aspettando che la coppia di cugini si sistemasse all’interno. Martino porse la mano ad Emilia per aiutarla a salire, ma la ragazza rimase immobile, per poi ritrarsi.
“Emilia, dobbiamo partire” cercò di scuoterla il cugino, per tutta risposta, lei lo fissò con lo sguardo impaurito e scosse la testa.
“Martino non me la sento, ho paura”.
Il ragazzo le prese il volto tra le mani e tentò di rassicurarla a bassa voce, asciugandole un paio di lacrime che  le scivolarono lungo le guancie. Cristiano osservava impotente alla scena. Dopo un po’ Emilia acconsentì a salire in carrozza, e i quattro poterono finalmente partire. All’interno Martino continuava a sussurrare rassicurazioni alla cugina che rimaneva stretta a lui, tremante. Davanti a loro Marise si era riaddormentata.
“Emilia per quello che è successo questa notte…” iniziò il ragazzo, quando la cugina smise di tremare. Emilia si slacciò dal suo abbraccio e lo fissò negli occhi.
“Non dire nulla- disse mettendogli dolcemente la mano sulle labbra- non hai nulla da farti perdonare, ma ti prego non chiedermi di raccontarti cos’è successo. Non impormi di rivivere quei terribili momenti, non ora e non qui”.
“Come vuoi”  la rassicurò il ragazzo, stringendola nuovamente a sé.
“Tra quanti giorni arriveremo a Rivombrosa?”
“Non lo so, dipende da quante soste decidiamo di fare, ma spero di arrivare un paio di giorni prima del matrimonio di Anna e Antonio”.
“Sono felice che mia madre si risposi, e poi il dottor Ceppi è così diverso da mio padre … spero siano felici. E mia madre come sta?”
“Bene, almeno per come possa stare una madre che sa del rapimento della figlia, ma tutti le stanno facendo forza, e prima di partire mi è sembrata un po’ più serena. Ma non ti ho detto la cosa più importante…”
“E cosa ci sarebbe di così importante?” domandò Emilia. Martino non sapeva come mettere al corrente la cugina del lieto evento che sarebbe avvenuto poco dopo il matrimonio.
“Beh … ecco, tua madre e Antonio aspettano un bambino” Emilia si portò la mani alla bocca per la sorpresa.
“Davvero? Ma è bellissimo!” il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. I due continuarono a parlare del Piemonte,  finché Cristiano non si fece sostituire alla guida della carrozza. Il ragazzo si sedette accanto alla sorella.
“Emilia, come stai?”
“Ora meglio, grazie, ma l’idea di un viaggio così lungo in carrozza non mi alletta” iniziò timidamente, come per scusarsi. Cristiano le posò una mano sulle sue e la fissò negli occhi, la ragazza sussultò
“Non c’è nulla di cui ti debba vergognare, è normale…” Emilia sorrise.
“Posso confessarti una cosa?” le domandò il principe sottovoce cambiando posto. Emilia non rispose.
“Siete bellissima quando sorridete” la ragazza arrossì evidentemente, cercando di ribattere, ma senza successo. Quel silenzio aumentò le speranze del giovane, che continuò a corteggiarla con mille piccole premure che non passarono inosservate agli occhi della marchesina.
A Rivombrosa Anna ed Elisa stavano passeggiando in giardino, godendosi la tiepida giornata di primavera.
“Come ti senti oggi?” domandò la contessa alla cognata
“Bene … - le rispose, accarezzandosi il pancione - ha imparato a scalciare” continuò, con un sorriso amaro.
“Anna! Sai che non puoi nascondermi nulla…”iniziò Elisa, capendo che il bambino non era che una scusa.
“Non lo so Elisa, ormai manca una settimana alle mie nozze, e mia figlia non è ancora tornata a casa. Forse dovrei rimandare il matrimonio” Elisa strinse le mani della cognata.
“Anche io sono in pensiero per Emilia e Martino, ma sono sicura che presto saranno a casa, e riusciranno ad essere presenti alle celebrazioni, me lo sento, e poi lo sai che non dovresti avere preoccupazioni nel tuo stato.”
“È che organizzare il matrimonio mi ha tenuto la mente occupata, ma ora che è tutto pronto non faccio che pensare a dove possa essere ora mia figlia …”
“Anna devi farti coraggio, e vedrai che tutto si sistemerà, ne sono sicura, e questa volta Lucrezia non la passerà liscia” la marchesa sembrava un po’ sollevata, ma la loro conversazione fu interrotta da Angelo che annunciava la visita del prefetto Terrazzani.
“Avverti il prefetto che sarò subito da lui – poi, rivolta alla cognata – scusami spero di non metterci molto”.
“Non ti preoccupare, ora vai, non farlo aspettare” .
Elisa entrò nella biblioteca.
“Prefetto non vi aspettavo,a cosa devo la vostra visita?”
“Sono qui per il rapimento di vostra nipote”
“Avete scoperto qualcosa?”
“Purtroppo no, e non porto buone notizie, credo sia meglio che vi sediate” Elisa si sentì mancare e si aggrappò alla poltrona per sedersi.
“Non ho notizie di vostra nipote” si affrettò a precisare l’uomo, per poi continuare:
“Ma il fatto che l’altro giorno la marchesa Van Necker non si sia presentata, come voi avete detto non gioca a vostro favore: le indagini sono bloccate, e poiché il rapimento è avvenuto vicino al confine con la Francia di certo non ci aiuta. Se non troviamo nulla, la vostra accusa cadrà tra pochi giorni,mi dispiace”.
“Ma la lettera di Emilia! Quella non vale nulla?” domandò confusa e indispettita la contessa.
“Purtroppo non è sufficiente” spiegò l’uomo.
“Volete dire che la vita di un suddito vale così poco?” domandò sconcertata Elisa.
“Contessa, voi sapete bene che ho le mani legate.” Elisa annuì, poi cambiò discorso:
“Ho parlato col duca d’Avis…”
“Dite” si fece più attento l’uomo.
“Sono venuta a conoscenza della congiura e di tutte le cause che hanno portato alla prematura morte del re. E pur dovendo tutto a lui, io ho deciso di non rivendicare i miei diritti”.
“Contessa non vi capisco…” Elisa abbassò la voce.
“Vedete prefetto, a causa delle mie origini, io sono diventata vedova poco dopo il mio matrimonio. Ora sto cercando di ritrovare la serenità per la mia famiglia. Non è entrando nella famiglia reale, che io posso ritornare a vivere con mio marito. Capisco che vi può sembrare un affronto nei confronti del nostro vecchio  sovrano..”
“Vostro padre” la interruppe il prefetto Elisa alzò gli occhi.
“Per me, il mio vero padre era un rilegatore di libri. È lui che mi ha cresciuta, sia ben chiaro non porto nessun rancore al re, al quale devo molto, e gli sarò per sempre riconoscente,ma non posso chiamarlo padre.”
“Ho capito –concluse il prefetto- mi state chiedendo di sollevare vostro marito dall’incarico.”
“L’incarico è cessato nel momento stesso che io, ho deciso di rinunciare al mio diritto”
“Sapete che in questo modo voi non avrete più diritti in questo argomento”
“Prefetto Terrazzani, io non ho avuto alcuna voce in capitolo in questa situazione, non sono stata io ad acconsentire di rimanere vedova agli occhi del mondo. È per questo che ora voglio estraniarmi”.
“E non credete che in questo modo state vanificando il sacrificio di vostro marito?” Elisa scosse la testa
“No. Non posso sacrificare il nostro amore, per un titolo nobiliare più altisonante.” L’uomo rimase molto colpito dalle ultime parole della contessa.
“Vedo che per voi non ci sono ripensamenti, se è così io tornerei a Torino”.
“Grazie prefetto, vi accompagno alla porta”
“Farò tutto quanto è in mio potere per far proseguire le indagini, ve lo assicuro” si congedò l’uomo dopo un baciamano. Elisa non rispose.

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***









Poco dopo la contessa uscì a cavallo. Aveva bisogno di allontanarsi da tutte quelle preoccupazioni che sembravano toglierle il fiato. Galoppò senza meta, fino a quando si trovò davanti alla casa sul lago di Antonio. Elisa smontò da cavallo, e spinse la porta dell’abitazione che non oppose resistenza.
“Elisa! Non ti aspettavo” le venne incontro il marito.
“Fabrizio stringimi ”gli domandò appoggiandosi a lui, l’uomo non se lo fece ripetere.
“Amore, cosa è successo?”
“Nulla - iniziò, per poi staccarsi dall’abbraccio - assolutamente nulla, ed è questo che mi fa impazzire, non riesco a rimanere impotente in questa situazione”. Fabrizio la fissò con uno sguardo pieno d’amore, e sorrise nel ritrovare la sua Elisa: una donna fiera e coraggiosa, sempre pronta a fare qualcosa per gli altri.
“Amore mio, tu stai facendo tantissimo, e lo sai bene”.
“Io intendo per Emilia. Ora Martino è chissà dove, da solo, a cercarla. Quanto pagherei per avere delle notizie!”
“Martino è un ragazzo in gamba, sono sicuro che presto sarà di nuovo a casa con Emilia”.
“Spero che tu abbia ragione, il matrimonio si avvicina e non sarebbe semplice trovare una giustificazione a due assenze così importanti …” Fabrizio la baciò sulla fronte, Elisa sorrise stancamente.
“Elisa, voglio partecipare al matrimonio di Anna e Antonio”.
“Che dici? Sei impazzito?” rispose sbigottita la donna.
“No, mi nasconderò nel confessionale, così finalmente potrò rivedere anche Anna, e vedere quanto è cresciuta nostra figlia …”
“Non so se è una buona idea, l’abbazia non si offre molto al tuo piano”.
“Non si sposano nella pieve?” Elisa negò.
 “Perché?”
“Non lo so, hanno preso questa decisione, probabilmente per il numero degli invitati, sarà presente il fior fiore della nobiltà piemontese” a Fabrizio non sfuggì il tono ironico della moglie. Elisa cambiò argomento.
“Oggi ho parlato col prefetto Terrazzani, gli ho detto che rinuncio alla pretesa del trono”.
“E lui?”
“Ha tentato di dissuadermi, ma senza risultati”. Fabrizio sorrise complice, iniziando a baciarla sul viso, e scendendo lungo il collo. Elisa lo allontanò
“Fabrizio, ti prego …” l’uomo non sembrava molto convinto di quel rifiuto, ma smise di baciarla, e la strinse a sé. Lei rimase stretta tra le braccia del marito, godendosi quegli istanti d’intimità che le erano mancati così tanto. “Sei andata sino nella capitale per avvertire Terrazzani che eri al corrente di un ordine segreto?” le domandò il marito, riprendendo il discorso interrotto poco prima.
“No, è lui che è venuto a Rivombrosa, per informarmi che tra qualche giorno chiuderanno le indagini sul rapimento di Emilia”. Fabrizio rimase allibito.
“Ma com’è possibile?”
“Lo so, è ingiusto, ma il prefetto mi ha assicurato che farà il possibile”.
“Elisa il possibile non è abbastanza: Emilia sta pagando il fatto di essere una Ristori”.
“Fabrizio dobbiamo avere fiducia, non possiamo fare nulla. Martino è in viaggio per salvarla, e la giustizia sta cercando le prove per incastrare Lucrezia, è tutto quello che possiamo fare, ora dobbiamo solo attendere e pregare”. Elisa si strinse ancora di più al marito, che la baciò sui capelli.
“Ti prometto che presto tornerò a casa, non voglio più rimanere lontano da te, e perdermi i progressi di Agnese e Martino”. Elisa lo baciò.
“Ora devo andare, nostra figlia mi aspetta” Fabrizio l’aiutò a salire a cavallo e la osservò allontanarsi, per poi ritornare in casa, e sfogare la sua ira contro le carte che erano sul tavolo.
Le ore passavano lente nel viaggio di ritorno. All’interno della carrozza la stanchezza si faceva sentire, e la noia sembrava amplificarla. Marise era irrequieta, e a poco servivano le premure di Emilia a trovarle dei diversivi, la piccola era stanca di stare in carrozza, e voleva tornare a casa sua. Cristiano fissò lo sguardo su Emilia.
“Principessa, vi sentite poco bene?” Emilia infatti era pallidissima, e stava iniziando a respirare in maniera irregolare. La ragazza scosse la testa, ma Cristiano aveva già chiesto a Martino di fermare la carrozza. Il ragazzo eseguì, e preoccupato si precipitò all’interno della carrozza, dove Emilia sembrava essersi leggermente ripresa.
“Cosa succede?”
“Nulla, avevo solo bisogno di un po’ d’aria, ma non era necessario fermarsi” spiegò la ragazza, che venne aiutata a scendere. Emilia si tenne stretta al cugino, mentre muoveva i primi passi. Nel frattempo anche Marise e il fratello erano usciti a sgranchirsi le gambe. Cristiano si guardò intorno:
“Non è il posto migliore per sostare, sarebbe meglio trovare un posto per la notte, sta iniziando a farsi sera”.
“Principe, Emilia non può continuare a viaggiare in carrozza, e anche vostra sorella sembra averne a sufficienza per oggi” gli rispose il ragazzo, al quale il giovane continuava a non piacere particolarmente.
“Allora cosa proponete?” lo istigò Cristiano, il conte stava per rispondere, ma Emilia riportò i due alla ragione.
“Principe, Martino, vi prego. Non è litigando che cambieremo la situazione. – iniziò la ragazza, temendo uno scontro tra i due, per poi rivolgersi alla bambina – Marise, ti piacerebbe provare a guidare la carrozza con tuo fratello?” La piccola annuì felice, di quella nuova esperienza.
“Emilia, sei sicura di riuscire a continuare?” le domandò Martino.
La ragazza sospirò:
“Martino, Cristiano ha ragione. Non possiamo accamparci qui, nel bosco. Dobbiamo trovare un riparo per la notte”. Il giovane conte non rispose; si limitò ad aiutare la cugina a salire in carrozza, e a raggiungerla, non prima di aver scoccato uno sguardo gelido al compagno di viaggio.
Fortunatamente dopo un paio d’ore raggiunsero un paesino, dove trovarono ricovero per la notte.
Era ormai passata quasi una settimana da quando il gruppo aveva lasciato Venezia, e una nuova speranza rianimava gli animi stanchi dei quattro viaggiatori: finalmente avevano superato il confine, e la prospettiva di arrivare a Rivombrosa prima che facesse notte non sembrava più un’utopia. Martino aveva spronato i cavalli, e la carrozza procedeva speditamente verso la sua meta.  Emilia scostò la tendina e osservò fuori dal finestrino: era bello rivedere le dolci colline piemontesi. Continuava a fissarle, come se fosse la prima volta che le vedesse, affascinata dai colori dei campi, non più brulli. Cristiano la osservava in silenzio, stringendo tra le braccia la sorella addormentata.
“Così tra poco sarai di nuovo a casa …” iniziò Cristiano cercando di celare il velo di malinconia che quella frase aveva in sé. Emilia si ritrasse dal finestrino.
“Oh, sì non vedo l’ora” esclamò, non potendo fare a meno di aprirsi in un enorme sorriso, che le illuminò il volto. Il ragazzo ne fu colpito: non l’aveva mai vista così raggiante.
“È la prima volta che ti vedo così” le confessò il principe.
“Così come?” domandò Emilia, sempre col sorriso tra le labbra.
“Così bella! La tristezza che c’era nei tuoi occhi a Venezia è sparita” continuò il ragazzo. Emilia si fece seria:
“A Venezia ero lontana da casa, ed ero sola. Ora invece sto per tornare dove ho vissuto i giorni più felici della mia infanzia, è normale”.  Cristiano sorrise, contagiato dalla mite allegria della giovane. I due continuarono a parlare finché la carrozza non rallentò fino quasi a fermarsi. Emilia guardò fuori, un po’ preoccupata, non capendo bene il perché di quella sosta, e davanti le apparve il cancello della tenuta, appena illuminato dalle fiaccole. Un valletto, riconoscendo il conte alla guida, aprì il cancello e li fece entrare.
Elisa Anna e Antonio erano in biblioteca, cercando di ingannare quelle lunghe ore di attesa, quando l’attenzione della contessa fu catturata dallo scalpiccio degli zoccoli. Istintivamente si portò alla finestra, rivivendo l’ansia e le speranze di quel Natale, che le aveva tolto il marito. La coppia seguì con lo sguardo i gesti della donna. Elisa si staccò improvvisamente dalla finestra e si affrettò ad uscire dalla stanza e raggiungere la scalinata. Il cuore le batteva all’impazzata, all’idea che Martino fosse riuscito a riportare a casa la cugina sana e salva. Anna e Antonio la seguirono, senza riuscire a starle dietro.
La scalinata interna del palazzo sembrava non finire mai, e attorno alla contessa iniziavano ad aggirarsi i sussurri che il giovane conte fosse tornato. Elisa arrivò sullo spiazzo proprio mentre il figlio smontava dalla cassetta.
“Martino!” esclamò. Il ragazzo le sorrise, e aprì lo sportello della carrozza, porgendo la mano alla cugina per aiutarla a scendere. Anna che era appena arrivata, non riusciva a trattenere le lacrime a quella vista, e si affrettò ad abbracciare finalmente la figlia. Terminati i primi abbracci, Emilia invitò Cristiano e Marise a scendere dalla carrozza.
“Madre, questi sono Cristiano e Marise” spiegò la ragazza. I due fratelli vennero così introdotti nell’atmosfera festosa del momento. Fu Martino che intuendo la spossatezza della cugina, propose di entrare all’interno. Nessuno obiettò, ed Elisa fece gli onori di casa, precedendo gli altri. Giunti in biblioteca, la contessa fece accomodare gli ospiti e la nipote. Emilia era molto pallida, e lottava contro la stanchezza del viaggio.
“Giannina, prepara un bagno caldo per la marchesina, e fai preparare anche la camera degli ospiti - poi si rivolse a Cristiano e alla sorella - voi desiderate qualcosa?” il ragazzo ringraziò della cortesia, dichiarando di non avere particolari necessità. Anna aveva occhi solo per la figlia, che sommergeva con assillanti domande, alle quali Emilia non aveva il tempo di rispondere.
“Anna lasciala respirare” le sussurrò all’orecchio Antonio, poggiandole una mano sulla spalla. Emilia scambiò uno sguardo di ringraziamento col medico. In quel momento entrò Giannina ad annunciare che gli ordini della contessa erano stati eseguiti. Cristiano, che si sentiva a disagio in quella situazione, prese come scusa la tenera età della sorella e si congedò. Emilia seguì la sua cameriera, mentre Anna e Antonio si ritirarono; Martino stava per fare altrettanto, ma Elisa lo trattenne.
“Martino, sono fiera di te” gli disse commossa, strofinandogli un braccio. Martino sorrise, e l’abbracciò. Poi si fece serio:
“Elisa devo parlarti. Avrei dovuto farlo da tempo, ma solo adesso, dopo tutto quello che è successo ho capito cosa voglio davvero”.
“Dimmi” rispose Elisa sorpresa.
“Ho deciso di chiedere ad Anna il permesso di frequentare Emilia, voglio fidanzarmi con lei”.
“Un fidanzamento ufficiale?” domandò presa di sprovvista la donna.
“Sì, Elisa, io l’amo e desidero che un giorno diventi mia moglie” la contessa sorrise dolcemente.
“Non ti sembra di correre un po’? Sia tu che Emilia siete giovanissimi. E poi, lei cosa ti ha detto?”
“Non sa ancora di questa mia proposta, volevo prima sapere se voi siete favorevoli, ho già pronto tutto, e sono sicuro che lei ne sarà felice …” la contessa non sapeva cosa rispondere. Vedeva il figlio così sereno e sicuro della sua decisione, che non poté che approvare.
“Sono felice che tu ti sia innamorato, e se Emilia sarà lieta della tua proposta, non sarò certo io a ostacolarvi, anche se forse è meglio aspettare qualche giorno prima di chiederlo ad Anna. Martino acconsentì. Elisa si portò alla scrivania per comunicare al prefetto il ritrovamento della nipote.
“Non vai a dormire?” domandò il ragazzo.
“Tra poco, finisco questa lettera per il prefetto, tu vai pure” rispose.
“Allora buona notte”.
“Buona notte” il ragazzo stava uscendo, quando Elisa lo richiamò, il giovane si voltò ancora sulla porta. Elisa lo guardò con aria maliziosa:
 “Stai attento a non sbagliare camera”.  Martino sorrise divertito, e dopo averla “rassicurata” corse via, proprio verso la camera della cugina.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***









Capitolo cortino, spero sia comunque apprezzato, tutto incentrato sulla coppia principale della storia. buona lettura


Arrivato davanti alla porta, il ragazzo esitò un momento, ripensando alla battuta di Elisa, poi bussò.

“Avanti” rispose la voce di Emilia. Martino aprì lentamente la porta, facendo capolino con la testa dallo spiraglio. Emilia sorrise timidamente, accostando i lembi della vestaglia.
“Posso?” domandò ancora il ragazzo, entrando in punta di piedi nella camera e chiudendosi la porta alle spalle. Emilia annuì e fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo attraversò la camera, sedendosi sul letto accanto alla cugina, che continuava a fissarlo, piacevolmente colpita da quella visita.
“Ti ho vista molto provata in biblioteca. Volevo sapere come stavi” iniziò, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Il cuore della ragazza batteva sempre più velocemente.
“Adesso sto meglio” lo rassicurò, accarezzandogli il volto. Martino si avvicinò per baciarla, ma Emilia si ritirò. Il ragazzo la osservò sorpreso, stava per chiedere spiegazioni, ma la cugina fece un cenno, per indicare la porta aperta che comunicava con un’altra camera dalla quale provenivano dei rumori.  Poco dopo uscirono due donne, portando con loro il necessario usato per il bagno della marchesina, seguite dalla marchesa. Il ragazzo si alzò dal letto, sperando che la zia non si fosse accorta di nulla, ma ad Anna non sfuggì l’impaccio del giovane conte.
“Martino cosa ci fai qui?” domandò.
“Volevo vedere come stava Emilia” si giustificò il ragazzo, che si sentiva colto in flagrante. Tuttavia la marchesa preferì concentrarsi sulla figlia, piuttosto che sul nipote. Le si avvicinò e posò le labbra sulla sua fronte, come ad assicurarsi che non avesse la febbre, poi le domandò:
“Sei sicura di non volere essere visitata da Antonio?”
“Madre, state tranquilla, sto bene, sono solo stanca” la rassicurò la giovane.
“Vuoi qualcuno per la notte? In caso tu abbia bisogno?” continuò la marchesa.
“Non ce n’è bisogno, la mia cameriera dorme nella stanza affianco. Se avrò necessità, chiamerò lei. Vi prego, ora andate a riposare, domani sarà una giornata densa di fermento, e nelle vostre condizioni avete bisogno anche voi di riposo. Non mi perdonerei di avervi rubato tempo prezioso”. Anna baciò la figlia sulla fronte.
“Buona notte Emilia. Martino …”. La ragazza sorrise, mentre il ragazzo fece un leggero inchino col capo. Quando Anna chiuse la porta dietro di sé, i due ragazzi scoppiarono a ridere. Martino balzò sul letto della cugina, che tentava di soffocare il riso.
“Martino, dovevi vederti!” disse divertita.
“Potevi avvisarmi che c’era tua madre!” le disse il ragazzo sottovoce, avvicinandosi al viso di lei.
“Non ne ho avuto il tempo …” iniziò la cugina con lo stesso tono usato dal giovane conte, poi lo colpì scherzosamente con uno dei cuscini. Colto alla sprovvista, il ragazzo accusò il colpo, ma si rifece in fretta, togliendole cuscino dalle mani, e trasformando quel gioco in una dolce lotta corpo a corpo, finché Emilia non si tuffò supina tra i cuscini, e il cugino la sovrastò. Presto entrambi si fecero seri, assaliti ancora una volta da quelle nuove emozioni, provate la notte del loro incontro. Col fiato ancora corto, Martino fissò la sua preda, prima di spostarsi. Una volta sceso dal letto cercò di ricomporsi, con scarsi risultati. Emilia fece altrettanto, ancora turbata da quello che era successo. Il ragazzo non faticò a capire lo stato d’animo della fanciulla, e cercò di recuperare la situazione che era sfuggita loro di mano.
“Forse è meglio che io vada …” Emilia avrebbe voluto trattenerlo, ma non poté fare altro che annuire.
“Buona notte”.
“A domani” rispose lei. I due si separarono. La ragazza si mise sotto le coperte e si addormentò poco dopo, vinta dalla stanchezza che sembrava essersi nuovamente ripresentata tutta di colpo.
Nella sua stanza, Martino, invece, faticò a prendere sonno. Ripensando a quelle sensazioni, e al desiderio sempre più incalzante, che la cugina gli suscitava.

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***









Il sole era già alto a Rivombrosa, e al castello fervevano già i preparativi per il giorno dopo, quando Emilia fu svegliata dalla cameriera.
“Buon giorno marchesina” disse, entrando nella stanza col vassoio della colazione. Emilia si stropicciò gli occhi, ancora riluttante ad alzarsi.
“Vostra madre vi aspetta in cortile, quando sarete pronta” spiegò la donna, porgendole una tazza di tè. La ragazza bevve, e poi si fece aiutare a prepararsi. Mentre le venivano pettinati i capelli domandò:
“Mio cugino?”
“È in giardino col vostro ospite e la sorella”.
“Grazie, allora li raggiungerò subito” così dicendo uscì dalla camera.
Elisa e Anna stavano discutendo in giardino.
“Anna vi vedo molto più serena adesso, ne sono felice”. La marchesa sorrise.
“Sì, vedere mia figlia mi ha rasserenata, e non riesco ancora a credere che domani mi sposo” gli occhi della donna scintillavano.
“A proposito di Emilia, ecco la damigella d’onore” la contessa indicò la scalinata dalla quale stava scendendo la ragazza, e le due donne le andarono incontro.
“Buon giorno, Emilia, stavamo proprio parlando di te. Ci stavamo domandando quando ti saresti decisa a uscire dal letto” scherzò Elisa, la marchesina sorrise.
“Dopo pranzo ci occuperemo del tuo abito, adesso godiamoci un po’ di tranquillità” propose la marchesa. La ragazza accettò.
“Allora, hai già trovato il cavaliere per domani?” domandò Elisa accennando ai due ragazzi che stavano sopraggiungendo. Emilia negò, un po’ imbarazzata.
“Bisognerà rimediare al più presto - iniziò la contessa, alzando leggermente la voce, in modo che i due giovani, ormai vicini, la potessero sentire -Buon giorno Martino, principe” i due ragazzi salutarono le donne, ma entrambi sembravano impacciati davanti alla marchesina. Le due nobildonne si scambiarono uno sguardo divertite.
“Principe, purtroppo ieri non ho avuto modo di invitarvi, ma sarei onorata che voi domani partecipasse al matrimonio” esordì la marchesa, Cristiano rimase sorpreso.
 “Anche vostra sorella, ben inteso parteciperebbe, potrebbe stare con Agnese e Orsolina, non è vero Elisa?” continuò la donna.
“Certo, Anna, sembra che le due bambine siano già diventate amiche”.
“Signora marchesa, non posso farvi il torto di rifiutare il vostro invito - esitò un secondo, poi si fece coraggio - spero di non mancarvi di rispetto, se chiedessi a vostra figlia l’onore di poterle fare da cavaliere …” continuò, fissando la ragazza, attendendo una sua risposta. Emilia che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo basso, quasi a evitare quello dei due corteggiatori, sussultò a quella proposta. Esitò cercando lo sguardo della madre, quasi a chiederle un consenso. Anna acconsentì con un leggero movimento del capo, la ragazza sorrise timidamente e accettò l’invito del principe, sebbene avesse sperato che fosse il cugino a farle da cavaliere. Martino era evidentemente contrariato da quella proposta, e ancora di più dall’atteggiamento della cugina. Elisa cercò di avvicinarsi al figlio, ma un suo sguardo la bloccò. Il ragazzo non aveva bisogno di simili attenzioni, avrebbe mantenuto la calma e sembrava disposto a giocare, almeno per il momento, al gioco del principe; sicuro di avere ancora tutte le carte vincenti per far cambiare idea alla cugina.
“Scusate signora contessa, ma è appena arrivato il prefetto Terrazzani, che chiede di essere ricevuto” li interruppe Giannina.
“Grazie, riferitegli che lo aspetteremo nel gazebo.” La cameriera s’inchinò e poco dopo tornò con l’uomo.
“Perdonate il disturbo ma ho ricevuto la vostra lettera, e sono venuto ad accertarmi personalmente delle condizioni della marchesina Radicati” iniziò, dopo i saluti di circostanza.
“Vi ringrazio prefetto, ma non dovevate disturbarvi tanto” s’intromise Emilia. L’uomo continuò.
“Marchesina comprendo che voi siate appena tornata, ma avrei necessità di parlare con voi e con vostro cugino, in separata sede” la ragazza esitò, non era ancora pronta per rivivere il rapimento e la sua prigionia, ma sembrava che il prefetto non avesse intenzione di desistere.
“Ammiro la vostra solerzia, ma forse si potrebbe rimandare di qualche giorno” cercò di mediare la marchesa.
“Mi dispiace signora, non era mia intenzione crearvi disturbo, ma purtroppo si tratta di questioni della massima importanza, posso solo aspettare che la marchesina si riprenda dalla sorpresa di questa visita, iniziando dal conte Ristori, nulla di più” rispose il prefetto. La resistenza delle due donne era inutile, così acconsentirono ai due interrogatori, che si svolsero a porte chiuse. Emilia sembrava molto scossa quando uscì dalla stanza, accompagnata dal prefetto, Anna le si fece subito incontro.
“Tesoro, va tutto bene?” le domandò preoccupata, la ragazza annuì:
“Non vi preoccupate madre, ho solo bisogno di stare un po’ da sola”.
“Come preferisci”. Emilia si congedò dal gruppo, sotto gli sguardi preoccupati dei presenti.
“Vado a parlarle” ruppe il silenzio Martino, che fece per seguirla, ma Elisa lo trattenne per un braccio.
“Martino non è il momento” il ragazzo la guardò con aria interrogativa.
“Ma Elisa …” la donna non accennava a lascarlo.
“Ho capito benissimo che Emilia non stava bene - disse a bassa voce la contessa, per non farsi sentire dalla cognata - ma tutte queste attenzioni la stanno soffocando, bisogna avere pazienza, prima o poi sarà lei a raccontare cosa le è successo, ma deve passare del tempo, i suoi ricordi sono ancora troppo vividi”.  Il ragazzo non era molto convinto, ma almeno non tentò più di liberarsi dalla stretta della madre.

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***









Finalmente sola, Emilia si chiuse in camera. Era stanca di tutte quelle attenzioni, di dover dare una giustificazione ad ogni suo minimo gesto; le sue speranze venivano costantemente infrante, e l’interrogatorio subìto poco prima le aveva fatto riaffiorare quei ricordi che stava faticosamente tentando di dimenticare. Si buttò sul letto, senza sapere cosa fare, fissò il soffitto sopra di sé, rimanendo immobile con la mente libera da ogni pensiero. Rimase così per diverso tempo, finché non si decise a parlare con Elisa del problema, forse più frivolo, ma ugualmente urgente: il vestito per il giorno dopo. Arrivata alla stanza della zia, bussò. La contessa stava parlando ancora con Martino, quando la ragazza entrò.
“Scusami zia, non sapevo che eri impegnata”.
“Non ti preoccupare Emilia, la nostra conversazione può aspettare, non è vero Martino?” il ragazzo annuì alle parole della contessa, anche se la sua attenzione era stata catturata dalla cugina.
“Elisa, sono venuta da te perché non volevo creare altre preoccupazioni a mia madre per il matrimonio, ma io non ho un abito da mettermi” confessò la ragazza, la donna invece si sentì sollevata dalla natura del problema. A quelle parole, Martino uscì dalla stanza.
“Non ti preoccupare Emilia, vedrai che troveremo una soluzione - iniziò e aprendo il suo armadio continuò - vorrà dire che ne sceglierai uno dei miei, e lo sistemeremo”. Emilia gettò le braccia attorno al collo della zia.
“Sapevo che potevo contare su di te!”
“Ora sono io che ti devo chiedere un favore” iniziò la contessa.
“Qualunque cosa …”
“Per caso conservi ancora il tuo vestito giallo?” la ragazza non capiva.
“Sì certo, ma …”
“Per la sorella del principe, non mi pare che siete arrivati con molti bagagli al seguito …”.
“Elisa, come faremmo senza di te?” esclamò la marchesina abbracciando ancora una volta la zia.
“Vado a prendertelo subito”.
“Quanta fretta Emilia, me lo darai dopo pranzo”.
“Come preferisci. È che sono così emozionata per il matrimonio, che non vedo l’ora arrivi domani …” le due giovani iniziarono a discutere e fantasticare, come facevano quando Emilia era una bambina ed Elisa la sua istitutrice.
Nel frattempo Martino aveva lasciato sul letto di Emilia un pacco, guarnito con un grosso fiocco di seta bianco, e aveva fatto in modo che la cugina fosse costretta a tornare in camera e si nascose, in modo da non essere visto.
“Madre, mi stavate cercando?” esordì aprendo la porta, e rimase meravigliata di trovare la camera vuota. La sua attenzione fu catturata dal grosso pacco adagiato sul letto. Si avvicinò e iniziò a scartarlo delicatamente, quasi avesse paura di rompere la stoffa che, cedendo sotto le mani della ragazza, svelava il corpino di un vestito. Emilia lo prese tra le mani per osservarlo meglio: era un abito chiaro, con una fantasia floreale azzurra e rosa, impreziosito da rifiniture in oro, pietre preziose sul corsetto, e piccoli fiocchi sulle maniche a gomito. Emilia si appoggiò il vestito addosso, ammirandosi allo specchio. Nel frattempo il cugino era rimasto a osservarla in silenzio, felice del risultato ottenuto.
“Allora ti piace?” domandò, rivelando la sua presenza. Emilia sussultò ma subito tornò a sorridere.
“Martino è magnifico, grazie!” esclamò abbracciandolo, il ragazzo la baciò dolcemente, poi la scostò da sé.
“Doveva essere il mio regalo per il tuo ritorno da Parigi” iniziò il ragazzo.
“Ma tu non mi hai mai fatto regali per i miei ritorni a Rivombrosa” gli fece notare, ingenuamente, la ragazza.
“Questo doveva essere un regalo speciale –spiegò ancora Martino - ma ho sentito quello che hai detto in camera di Elisa, così ho deciso di mostrartelo prima, forza provatelo!” Emilia abbracciò ancora il cugino, e in punta di piedi lo baciò sulla guancia, poi corse nella camera accanto per cambiarsi, quando fu pronta uscì. Era splendida: le guance ancora arrossate per l’emozione e i capelli stretti solo da un nastro risaltavano la sua bellezza semplice, e la sua eleganza le permetteva di indossare con naturalezza quell’abito così raffinato. Martino era senza parole.
“Allora? Cosa mi dici? ” domandò, vedendo che il cugino non apriva bocca.
“Sei stupenda” la ragazza sorrise. In quel momento entrò Elisa.
“Scusa Emilia, avrei dovuto bussare” iniziò distrattamente la contessa, vedendo nella stanza i due cugini scambiarsi un dolce bacio. I due si sciolsero. Emilia ruotò su se stessa.
“Elisa, ti piace l’abito che mi ha regalato Martino?”
“È magnifico, e ti sta d’incanto - convenne la contessa - ma ora ci stanno aspettando per il pranzo”.
“Mi cambio e arrivo subito”.
 Martino stava per andare nella sala da pranzo, ma prima Elisa lo chiamò nella sua stanza. Sembrava imbarazzata, e infatti, non sapeva come avviare l’argomento:
“Elisa cosa succede?” la contessa si decise a parlare:
“Non dovrei essere io a farti simili discorsi - iniziò imbarazzata - tuo padre rimarrebbe stupito a sentirmi dire una cosa del genere: non posso chiederti di stare lontano da Emilia, e non voglio farlo, ma almeno cerca di non farti beccare!”
“Elisa, noi non stavamo facendo nulla di male” si giustificò il ragazzo.
“Lo so Martino, ma basta un nulla. Una porta chiusa porta con sé tante di quelle voci, che solo la metà basterebbe a rovinare la reputazione di una ragazza in età da marito come Emilia”.
“Io ho sempre rispettato mia cugina, e non ho mai fatto nulla che potesse danneggiarla, come dici tu”.
 Elisa sembrava soddisfatta del ragazzo.
“Ti credo, ma ricordati che il mondo perdona le debolezze di un gentiluomo, ma per una donna è diverso, basta un nulla per esporla al disonore, e una volta che questo avviene, nulla potrà redimerla agli occhi della società. Quindi, ti prego di fare molta attenzione”.
 Il resto della giornata passò serenamente, negli ultimi preparativi. Antonio accompagnò Anna nella sua stanza e dopo un lungo bacio si congedò.
“Cerca di riposare amore mio” la marchesa sorrise.
“Come vorrei che fosse già domani” disse, stringendosi all’uomo che amava. Antonio sembrava non volersene più andare, ma sapeva bene quali fossero le tradizioni; e per quanto non fosse superstizioso, preferiva non sfidare troppo la sorte. Anche il resto della casa era andato a coricarsi.
Emilia, nella sua stanza, non riusciva a prendere sonno, ancora eccitata delle emozioni della giornata, e dalle aspettative di quella futura. Quando fu sicura che tutto il palazzo si fosse ormai addormentato, scivolò giù dal letto, si avvolse nella vestaglia e andò nella stanza del cugino. La ragazza non bussò, ma aprendo la porta rimase sorpresa di trovare il ragazzo ancora sveglio.
“Emilia!” esclamò sorpreso.
“Non riuscivo a prendere sonno” ammise la ragazza.
“Nemmeno io, non riesco a perdonarmi di non averti chiesto di poterti fare da cavaliere” spiegò il ragazzo. La cugina lo abbracciò.
“Non c’è bisogno di scusarsi, ti sei già fatto perdonare col vestito”. Stretta tra le braccia del cugino, Emilia si sentiva sicura, al riparo da tutto e tutti.
“Dormi con me questa sera” gli propose. Il ragazzo si ricordava le parole della madre, ma i sentimenti avevano più forza delle convenzioni sociali, così accompagnò la cugina nella sua stanza.
 I due erano nel letto della ragazza, dolcemente legati.
“Se Elisa o tua madre ci scoprissero ora, non credo sarebbero molto comprensive” bisbigliò il ragazzo prima di baciare la cugina. Emilia sorrise, e si strinse a lui.
“Non m’interessa cosa potrebbero dire se ci scoprissero, voglio solo stare qui, con te”. Il ragazzo le portò un braccio attorno alle spalle, Emilia chiuse gli occhi, e cullata dal cuore e dalle braccia del cugino si addormentò serena.

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV ***









Anna si svegliò all’alba. Non riuscendo a stare ancora a letto si alzò e si affacciò alla finestra, osservando il parco dove i servi stavano già preparando i vari tavoli per il ricevimento. L’aria frizzante del primo mattino la convinse a infilare la vestaglia. Inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Dalle cucine arrivavano i profumi dei cibi. Dentro di lei il piccolo scalciava, Anna appoggiò la mano sul pancione.
“Piccolo! Anche tu sei felice che oggi sposo il tuo papà?” domandò divertita. In quel momento, Bianca stava entrando in punta di piedi, per non svegliare la contessa, portando l’abito nuziale.
“Signora contessa! Siete già sveglia?”
“Non riuscivo a dormire” sorrise Anna.
“Se volete vi porto la colazione, ma vi prego almeno sedetevi, non dovete affaticarvi” la marchesa era troppo felice per controbattere. Poco dopo la serva rientrò con la colazione.
“Ecco a voi signora, torno dopo da voi, per aiutarvi col vestito”.
“Grazie Bianca. Elisa?”
“Non saprei signora, posso chiamarla se volete”.
“Non importa, vai pure” Bianca uscì dalla stanza.
“Buongiorno Anna!” salutò la contessa, entrando seguita da alcune cameriere. La marchesa corse dalla cognata abbracciandola.
“Elisa, sono così felice …”
“E si vede, ma forza è ora di farci belle” la marchesa annuì lasciando che le donne l’aiutassero col vestito.
“Sei bellissima” si compiacque la contessa, osservando i frutti del loro lavoro. Anna si osservava allo specchio, non riuscendo a credere che finalmente i suoi sogni si stessero avverando.
Antonio nella sua stanza, aiutato da alcuni servi, si stava sistemando la giacca. Era al settimo cielo, finalmente sposava la donna che amava, che aveva sempre amato. Il passato ormai sembrava lontano, e finalmente nulla poteva più opporsi al loro amore, nemmeno le convenzioni sociali …
I suoi pensieri vennero interrotti da Angelo.
“Signor conte, è ora di dirigersi verso la chiesa, ormai staranno arrivando i primi ospiti”.
“Signor conte? - domandò l’uomo che riprese - preferisco continuare a essere chiamato Antonio, o dottor Ceppi. Non ho bisogno del mio titolo nobiliare”.
“Come volete, ma sarà meglio raggiungere l’abbazia”.
L’abbazia era stata adornata a festa con ricche ghirlande floreali e altri vasi di fiori, soprattutto rose bianche e rosa. Quando il conte entrò, l’abate Van Necker gli venne in contro.
“Conte, finalmente un matrimonio degno del vostro rango, sono felice di poterlo celebrare”.
“Vi ringrazio abate per la vostra disponibilità, sono certo che Anna ne sarà felice” cercò di deviare il discorso il medico. I due furono interrotti dall’arrivo di Margherita.
“Antonio, siete splendido! Sono sicura che Anna oggi sarà invidiata da molte nobildonne” l’uomo fece una faccia strana.
“Ho forse detto qualcosa che non va?” domandò preoccupata la suora.
“No, è che sono un po’ agitato …” e nel frattempo scrutava tra gli ospiti che stavano arrivando,  accennando col capo ad una coppia di anziani nobili che erano appena entrati. La donna capì subito.
“Non vi siete ancora parlati?”
“No, mi hanno riaccettato nella famiglia, ma ancora non perdonano quello che ho fatto sedici anni fa”. Margherita gli strinse affettuosamente un braccio.
“Oggi è un giorno di festa, non deve essere condizionato dai fantasmi del passato”.
“Hai ragione” convenne l’uomo sentendosi più sollevato.
“Madre, siete bellissima” Emilia rimase immobile a osservare la sposa, che fece cenno di avvicinarsi. Anna la strinse a se, poi la scostò e la fece girare su se stessa.
“Anche tu, cerca di non lasciare dietro di te una collezione di cuori infranti” scherzò la donna, la ragazza sorrise.
“Ora devo andare, Cristiano … il principe di Montesanto – si corresse la ragazza - mi sta aspettando”.
“Allora non far aspettare oltre il tuo cavaliere, ci vediamo in chiesa” le due si abbracciarono ancora, prima che la marchesina uscisse. Poco dopo Martino entrò nella stanza.
“Ecco finalmente chi ti accompagnerà all’altare, e ora in carrozza, non facciamo aspettare ancora il povero Antonio” disse Elisa. Anna annuì e si appoggiò al braccio del nipote.
La chiesa era ormai gremita e un sommesso brusio ingannava l’attesa della sposa. Per la circostanza, tutta la più antica nobiltà piemontese si era raccolta nell’abbazia. Antonio lanciava sguardi alla porta, nella speranza che si aprisse ed entrasse la donna della sua vita. All’esterno si sentì uno scalpiccio di zoccoli, il cuore dell’uomo gli batteva forte in gola, dalla porta entrarono Emilia col suo cavaliere ed Elisa che fece cenno al conte che la sua attesa era quasi giunta al termine. All’esterno della chiesa, Martino stava aiutando la zia a scendere dalla carrozza. Il volto di Anna si era fatto serio, e teso. Arrivata alla porta fece un profondo respiro e si appoggiò al braccio che il nipote le porgeva, e i due iniziarono a camminare lentamente lungo la navata centrale. Antonio sorrise raggiante nel vedere la sua Anna avanzare verso di lui, radiosa. Martino consegnò la mano della zia in quella di Antonio che la baciò. La marchesa sorrise, trattenendo a stento l’emozione. I due s’inginocchiarono e la cerimonia ebbe finalmente inizio. Per tutta la funzione, i due innamorati continuarono a cercarsi con lo sguardo, fu l’abate a richiamarli per la promessa.
“Marchesa Anna, Luisa, Maria, Ristori, Radicati di Magliano, volete voi prendere come vostro sposo il conte Antonio Ludovico Ceppi?” Anna alzò lo sguardo, e fissò i suoi grandi occhi castani in quelli dell’uomo che aveva al suo fianco.
“Lo voglio” rispose con la voce rotta dall’emozione.
“E voi conte Antonio Ludovico Ceppi, volete sposare la qui presente marchesa Anna, Luisa, Maria, Ristori, Radicati di Magliano?”
“Lo voglio” rispose l’uomo, senza esitazioni. I due sorrisero felici mentre l’abate annunciava.
“Vi dichiaro marito e moglie”
L’uomo strinse a sé la moglie, e la baciò tra gli applausi e le lacrime di commozione dei presenti.

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI ***









Il parco di Rivombrosa ospitava un banchetto che la nobiltà presente sembrava apprezzare in modo particolare. Gruppetti di dame e cavalieri passeggiavano per il giardino, commentando la cerimonia, i festeggiamenti, o semplicemente le ultime mode parigine e piemontesi. Un’orchestrina suonava arie festose per intrattenere gli ospiti, mentre la coppia di sposi si aggirava tra gli invitati per controllare la situazione e per ricevere ancora auguri e felicitazioni. Emilia al braccio del suo cavaliere, guidava il ragazzo alla ricerca di amiche di collegio più grandi, che la ragazza non vedeva da tempo. Martino la seguiva con lo sguardo, mentre accompagnava la madre. Elisa si sentiva sempre a disagio a quelle grandi feste, così preferì unirsi al prefetto Terrazzani e alla signorina Benac, anche nella speranza di non farsi avvicinare da madame Chevallier e dal medico personale di sua maestà, che l’aveva indicata alla dama già alcune volte.
“Prefetto Terrazzani, mademoiselle” esordì la contessa.
“Contessa Ristori è un piacere rivederla” la salutò la borghese con un inchino.
“Vi prego alzatevi” fece la contessa.
“È che non sono abituata a partecipare a ricevimenti simili …” si scusò la giovane.
“Vi capisco mademoiselle, ma non preoccupatevi” la rassicurò. La ragazza si strinse al braccio dell’uomo che sorrise.
“Prefetto, sono molto felice che abbiate accettato l’invito, signorina Benac” li salutò Anna.
“Contessa Ceppi, siamo onorati di poter festeggiare con voi questo momento, Juliette voleva complimentarsi per la magnifica festa” rispose l’uomo. I festeggiamenti si spostarono all’interno del palazzo, dove era stato preparato un pranzo sontuoso, alla fine del quale tutti gli ospiti furono invitati nella sala da ballo, dove fu portata la torta. Antonio prese la moglie per le spalle, e insieme tagliarono il dolce, circondati dall’applauso dei presenti. I due sposi si baciarono nuovamente.  Antonio domandò dolcemente alla moglie:
“Te la senti di concedermi questo ballo?” la contessa iniziava a stancarsi, tuttavia non riuscì a rifiutare la proposta del marito.
 “Uno solo, però”. Antonio le si inchinò davanti porgendole la mano, Anna accettò, e si lasciò accompagnare al centro della sala, dove il marito ordinò all’orchestra di iniziare a suonare. La coppia aprì le danze, presto seguita da Emilia e Cristiano e dagli altri ospiti. Martino guardava la cugina volteggiare tra le braccia del ragazzo, e fremeva dalla gelosia, anche se sapeva di essere impotente in quella situazione. Dopo alcuni balli anche la coppia formata dal principe e dalla marchesina si fermò, ed Elisa approfittò dell’occasione per proporre alla nipote di suonare qualche brano, per intermezzare le danze, e per consentire alla madre di riposare un po’. La ragazza era titubante.
“Ma come Elisa! Suonare davanti ad un pubblico così vasto? E poi … non sono in esercizio …”
“Coraggio, Emilia sono convinta che ne sarai capace, e poi potrebbe essere il tuo regalo di nozze a tua madre”. La ragazza si fece vincere e così venne annunciata la sua esibizione. La giovane fu accompagnata al clavicembalo, dove iniziò a suonare un assolo. La bravura della ragazza rapì gli astanti che l’ascoltavano compiaciuti. La marchesina si esibì per più di mezz’ora, esortata a continuare dagli applausi degli ascoltatori. Quando ebbe finito, si inchinò e tornò dal suo cavaliere. Le danze ricominciarono, ma questa volta il cugino fu più rapido del principe a chiederle di ballare e la ragazza accettò felice. Dopo le danze Emilia accettò l’invito di Martino a passeggiare nel parco, mentre gli altri ospiti uscirono sui balconi per assistere ai giochi pirotecnici che chiudevano la serata. La ragazza stava osservando lo spettacolo stretta al cugino, con la testa appoggiata al suo petto.
“Come vorrei che questo momento durasse per sempre” disse la ragazza. Il cugino annuì, mentre le accarezzava i capelli che erano sfuggiti all’acconciatura.
“Emilia, ti devo parlare …” iniziò, ma i due furono interrotti da Orsolina che richiamava i due giovani all’interno, in quanto gli ospiti chiedevano della giovane musicista per potersi complimentare personalmente.

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII ***









Anna dormiva serenamente, abbracciata all’uomo che aveva sposato. Antonio la sorreggeva, inspirando il dolce profumo di quei boccoli castani, e lentamente fece scivolare la mano lungo tutta la figura della moglie, soffermandosi sul ventre, ormai gonfio. Sarebbe rimasto ore così, immobile solo ascoltando il respiro della moglie e sperando di sentire un qualche movimento del loro bambino. Essendo medico era abituato a vedere donne gravide, ma ogni volta ne rimaneva affascinato. Iniziò a baciarla dolcemente sui capelli, per poi scendere sulla fronte. La contessa aprì gli occhi e sorrise alle attenzioni dell’uomo.
“Buon giorno amore mio, perdonami non volevo svegliarti” le sussurrò, prima di baciarla nuovamente. Anna rispose ai baci del marito.
“Come ti senti oggi?”
“Abbastanza bene” cercando di nascondere una smorfia per una contrazione un po’ più violenta delle solite, ma ad Antonio questo non sfuggì.
“Sembra che sia impaziente di nascere” scherzò la donna, guidando la mano del marito per fargli sentire i calci del piccolo, che sembrava essersi svegliato anche lui.
“Ciao piccolino …” sussurrò il medico al pancione, baciandolo. Anna sorrise accarezzando i capelli dell’uomo, fantasticando sull’avvenire del loro figlio
“Se sarà un maschietto sono sicura che sarà uguale a te.  Avrà i tuoi stessi occhi, e tu gli insegnerai tutto, sarà il più bravo medico di Rivombrosa … e di Torino anche!”.  Antonio sorrise.
“Così potrei diventare geloso …” scherzò baciandola, poi si alzò.
“Devo fare alcune visite questa mattina ”. Anna fece per alzarsi, ma l’uomo glielo impedì.
“Tu riposa ancora un po’, ti faccio portare la colazione”.
“Ma Antonio ...” cercò di ribattere la donna, ma l’uomo non le diede il tempo
“Non accetto storie, ieri è stata una giornata faticosa per tutti, e tu hai bisogno di riposarti” disse, mentre le sfiorava il viso con la mano. La contessa si arrese, e l’uomo si preparò ed uscì dalla camera.
Antonio era in biblioteca, seduto alla scrivania con lo sguardo preoccupato.
“Antonio, come mai non sei dalla tua dolce metà?” domandò allegra Elisa, poi notando la faccia del medico si fece seria.
“Cosa succede?”
“Niente Elisa, è che sono preoccupato per Anna”.
“Sta male?” domandò la donna.
“No, è serena, e non vede l’ora di abbracciare nostro figlio” la rassicurò il medico, Elisa gli mise una mano sulla spalla.
“E allora? Non vedo alcun problema”.
“È il parto che mi preoccupa, Anna non ha avuto una gravidanza semplice, e ho paura che possa andare storto qualcosa, non credo potrei perdonarmelo”.
“Antonio, sei un medico eccezionale, sono sicura che quando sarà il momento andrà tutto bene”.
L’uomo strinse la mano della donna, confortato da quelle parole sorridendo
“Grazie, ne avevo bisogno”.
“Io vado al capanno”.
“Va bene Elisa, ma fai attenzione”.
“Stai tranquillo, piuttosto, hai visto Martino?”
“È partito questa mattina presto per Torino, ma non so altro”.
“Non importa, grazie”.
A palazzo Van Necker, Lucrezia aspettava l’arrivo della sua “ospite”. Finalmente Gasparo entrò seguito da uno scagnozzo della marchesa.
“Non era voi che stavo aspettando - rispose asciutta la donna, che continuò -dov’è la ragazza?”
“Signora purtroppo è fuggita”.
“Fuggita? - domandò sorpresa - mi state forse dicendo che una ragazzina si è presa gioco di voi?” continuò sprezzante.
“Signora quando siamo arrivati a Venezia, il vostro figliastro la teneva come sua ospite, e con loro c’era anche un altro giovane, e abbiamo avuto la peggio” la marchesa si infuriò:
“Bastano due bambini a crearvi dei problemi? Prima di tutto perché avete permesso che Cristiano si interessasse tanto a quella ragazzina? Dovevate controllarli, non lasciarli soli!”
“Signora marchesa …” tentò di giustificarsi l’uomo, ma la donna non gli diede l’opportunità.
“L’altro giovane, piuttosto chi era?”
“Non saprei signora, sicuramente non era un volto conosciuto”. Lucrezia era scocciata da queste inutili rivelazioni, aveva bisogno di dettagli precisi
“Almeno avete tentato di seguirli?”
“Sì signora, abbiamo tentato di sorprenderli nei boschi vicino alla città, siamo riusciti a ferire il giovane, ma li abbiamo persi. Probabilmente si sono diretti verso la Francia o il Piemonte” .
“Però … non vi facevo tanto sagace” ironizzò la donna, l’uomo non colse l’ironia e si mostrò onorato del complimento.
“Ora vattene, sparisci per sempre”
“Ma signora marchesa … voi …”
“Ho detto vattene non ho bisogno di uno come te. Forza sparisci”
“Gasparo, fammi preparare la carrozza, è tempo di fare un’altra visita a Rivombrosa”.
Emilia stava ricamando nel salone, nell’attesa che il cugino tornasse. Le parole della sera prima la rendevano inquieta. Cristiano bussò, la ragazza alzò lo sguardo sorridente, illudendosi, cercando poi di dissimulare la delusione abbassando lo sguardo.
“Buon giorno Emilia, spero di non avervi disturbata”.
“No, Cristiano, cosa dite! - rispose cordialmente e appoggiando il tamburo sul quale stava lavorando, continuò - Anzi, mi fa piacere vedervi”.
“È una magnifica giornata, ti andrebbe di fare una passeggiata nel parco?” la ragazza esitò un momento, poi accettò.
“Lasciatemi il tempo di prepararmi e vi raggiungo”.
“Allora ti aspetterò”.
I due stavano passeggiando tra le siepi del giardino all’italiana quando Cristiano iniziò a parlare:
“Non ho più intenzione di andare a Torino, preferisco cercare qualche proprietà qui vicino”.
“Davvero? E perché questa scelta, se non sono troppo indiscreta?”
“Semplice, a Venezia ci sono troppi ricordi, qui invece nessuno mi conosce e potrei rifarmi una vita, e poi la campagna piemontese non è così noiosa come si vocifera”.
“Vorresti dire che accetteresti di lasciare Lucrezia impunita?”
“No, è continuando a vivere nella sua ombra che la lascerei impunita. Non posso più fingere di essere soddisfatto della vita che conduco” rispose Cristiano. Emilia rimase muta.
“Qualcosa non va?” domandò.
“No, stavo riflettendo sulle vostre parole …” disse la ragazza al braccio del principe.
“Te ne prego Emilia, non darmi del voi, mi fai sentire un estraneo” la ragazza sorrise e acconsentì.
“Va bene”.
“Qualcosa di quello che ho detto sembra averti turbata” osservò il principe
“In realtà è il vostro … - la ragazza si corresse - il tuo cambiamento”.
“È merito tuo Emilia, mi hai aperto gli occhi - confessò - Grazie a te ho capito che la vendetta non può essere lo scopo di una vita” continuò.
“Sono felice di sentirti dire questo” disse appoggiandosi al braccio che il ragazzo le porgeva e riprendendo a camminare. L’arrivo di una carrozza in lontananza interruppe la tranquillità dei due. Emilia si voltò verso il cancello, dal quale stava entrando la carrozza, e riconoscendo lo stemma rabbrividì, cercando di nascondersi insieme al ragazzo dietro alcuni cespugli vicino alla scalinata.
“Emilia sarà qualche visita per tua madre …” cercò di rassicurarla Cristiano, ma le parole gli morirono in bocca riconoscendo la figura della matrigna che si stagliava sullo spazio davanti allo scalone centrale.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII ***









“La contessa Ristori?” domandò Lucrezia
“Mi dispiace signora marchesa, ma la signora contessa non è in casa” spiegò Titta.
“Vorrà dire che aspetterò il suo ritorno in biblioteca - rispose la donna con sufficienza - non disturbatevi, conosco la strada” e si apprestò a salire lo scalone centrale. Quando la servitù la vide salire le scale rimase allibita: avevano ricevuto ordini precisi, e far girare la marchesa, sola, per il palazzo sicuramente non era tra questi, soprattutto in assenza di Elisa. Fu Bianca a prendere l’iniziativa e ad avvicinarsi alla nobildonna.
“Signora vi serve qualcosa?” domandò un po’ impacciata.
“Sì sto aspettando la tua padrona”.
“Temo siate stata male informata, la contessa Ristori è uscita, penso vi converrà ritornare un altro giorno” ritrovò la solita parlantina la cameriera.
“Ho già detto che non ho intenzione di andarmene, e visto che sei così disponibile, nell’attesa portami qualcosa da bere, sono certa che la tua padrona non ti permetterebbe di accogliere così un ospite, sempre che si possa chiamare una serva padrona”. La marchesa non si lasciò sfuggire la possibilità di insultare la sua rivale. Bianca non rispose e seguì la donna sino alla biblioteca.
Elisa cavalcava spensierata tra i boschi di Rivombrosa.  Adorava il vento tra i capelli, sembrava suggerirle di continuare a spronare Fedro, a correre, senza più pensieri, senza più preoccupazioni. Gli incontri col marito, per quanto nascosti e furtivi la rasserenavano, e quando era con lui s’illudeva di poter ritornare indietro nel tempo, quando la loro famiglia era unita e felice.
“Presto amore mio … - pensò - Presto potremo vivere nuovamente insieme”. La promessa che si erano fatti pareva così forte, che nulla sembrava potersi opporre. Rassicurata, Elisa tornò a palazzo, dove la attendevano . Entrò dalle scuderie, lasciando il cavallo a Titta che la informò di quella visita indesiderata. Elisa cercò di sistemarsi velocemente e salì in biblioteca. Lucrezia la aspettava seduta. Quando la vide, appoggiò la tazza che aveva in mano sul tavolino, senza proferire parola, fissandola sprezzante.
“Finalmente ti sei decisa a tornare a palazzo”.
“Cosa vuoi Lucrezia?”
“Elisa, Elisa … dovresti aver imparato come si trattano gli ospiti” continuò la marchesa alzandosi e avvicinandosi alla contessa.
“Ma voi non siete un ospite gradito” ribatté la ragazza, ritrovando quel suo carattere fiero e indomito che la distingueva. La marchesa capì bene che la contessa non si sarebbe piegata tanto facilmente, così decise di cambiare metodi.
“Ammetto che la forzata vacanza di tua nipote è stato un colpo basso, ma non sono certo venuta per scusarmi, piuttosto a ricordarti le mie condizioni”.
“Non siete più in grado di farlo cara marchesa”. Rispose la contessa con aria soddisfatta, poi riprese:
 “I vostri trucchi per ottenere qualunque cosa voi vogliate, si erano già dimostrati inutili una volta, e ancora adesso non hanno potere”.
“Io non ne sarei così sicura contessa Ristori.” Elisa era stanca delle minacce della donna, così decise di porre fine alla discussione:
“Adesso basta! Lucrezia, hai perso. E ora sparisci da casa mia e dalla mia vita, se non vuoi finire il resto dei tuoi giorni in prigione”. Così dicendo suonò un campanello. Poco dopo apparve Bianca.
“Per cortesia, accompagna la marchesa alla carrozza”.
“Con molto piacere signora contessa” rispose la cameriera con un inchino. Lucrezia non accettava di essere stata trattata in quel modo, cercò una rivincita, seppur minima.
“Ricordati che sei sola Elisa, e una serva da sola non sopravvive nel nostro mondo. È questione di tempo …”
“Ti sbagli Lucrezia, siete voi a essere rimasta sola. Io ho una famiglia, e un popolo che mi vuole bene. Voi invece, potete dire altrettanto?” La marchesa accusò il colpo e uscì dalla biblioteca, sempre più decisa a rivendicarsi del torto subìto.
“ Lucrezia hai perso”.
Per tutto il viaggio in carrozza, le parole della contessa risuonarono nella mente di Lucrezia. Era la prima volta che qualcuno si opponeva a lei con tanta veemenza e determinazione, e soprattutto era la prima volta che la marchesa rimaneva colpita dalle parole che le erano state rivolte. Lucrezia era stata abituata, fin da bambina, a lasciare che i gesti delle persone e commenti degli altri le scivolassero addosso. Aveva imparato presto a chiudere le sue emozioni dietro una maschera, ed era stata proprio questa sua abilità a favorirla nella sua ascesa sociale. Man mano che la giovane ragazza  aveva affinato le sue arti, davanti a lei avevano iniziato ad aprirsi strade sempre più attraenti. Ormai donna, la sua sete di prestigio era aumentata, e con essa erano aumentati i compromessi ai quali era scesa. Non si era mai rimproverata nulla: anche con Fabrizio in carcere, condannato per omicidio, era riuscita a convincersi di essere nel giusto. E ora, una serva riusciva a farla esitare, obbligandola a guardarsi indietro.
 La carrozza giunse a palazzo Van Necker. Gasparo si affrettò a far scendere la sua padrona.
“ Io ho una famiglia, e un popolo che mi vuole bene”.
Lucrezia si guardò attorno: nessun servo era venuto ad accoglierla. Aveva sempre preferito il timore dei suoi sottomessi al loro affetto. Credeva che questo le potesse garantire fedeltà, ma si era dovuta ricredere. Forse l’unica persona che le era rimasta veramente devota era stata Isabella, finché lei non le aveva ordinato di uccidere Elisa. Neppure Gasparo poteva considerarsi un servo fedele, non aveva mai disobbedito a un suo ordine, ma la donna ben sapeva che questo era dovuto a un’antica promessa, fatta alla marchesa sua madre.
“Siete voi ad essere rimasta sola.”
Ancora una volta Elisa aveva ragione.
“Gasparo, fai preparare i miei bagagli. Si torna a Venezia”.
Ordinò asciutta la donna, mentre l’uomo si inchinava prima di eseguire gli ordini.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX ***









Martino stava tornando dalla capitale, cercando le parole più adatte per annunciare la sua partenza. Era riuscito ad ottenere un’ulteriore proroga, ma la data ultima concessa gli sembrava comunque troppo vicina. E poi c’era sua cugina. Già come avrebbe potuto reagire Emilia? Sapeva che la ragazza non glielo avrebbe mai chiesto, ma lui era veramente disposto a rinunciare alla sua carriera militare per lei, non rispettando la promessa fatta sulla tomba del padre? Decise di andare dal suo caro amico, nella speranza di qualche consiglio.
“Martino che piacere vederti!” esclamò l’amico ricevendolo.
“So che tuo padre non vede di buon occhio le mie visite, ma è importante …” iniziò a scusarsi, Augusto lo interruppe:
“Non voglio sentire queste scuse, sono io che decido le mie amicizie, e prima o poi, anche lui lo capirà. Di cosa volevi parlarmi?”
“Non so che fare, Augusto, sono stato richiamato dall’esercito francese. Devo partire entro tre settimane al massimo e non posso più temporeggiare se voglio diventare ufficiale”.
“Non vedo il problema, hai l’offerta di una brillante carriera davanti a te, e credimi, hai anche le possibilità per farlo. Torna in Francia e diventa quello che hai sempre sognato di diventare”.
“Il problema è che non sono più così sicuro di ciò che voglio” ammise il giovane conte.
“È la prima volta che ti sento parlare così. È forse a causa di qualche fanciulla piemontese?” l’amico aveva indovinato subito.
“Sì - si lasciò scappare il ragazzo che cercò di ritrattare - cioè no, no! Cosa vai a pensare!?!”
“Allora, come si chiama il motivo della tua ritrosia a lasciare il Piemonte?” lo incalzò l’amico.
“Nessuno! Ti ho detto che non c’è nessuno” replicò, ma con scarsi risultati.
“Martino, ti si legge in faccia che sei innamorato! Allora, la conosco?”
“E va bene, dato che insisti, ma non farne parola con nessuno. È mia cugina”
“Lo dicevo io che andavi spesso a trovarla al collegio!” sorrise l’amico, contagiando anche Martino.
“Lei lo sa?” domandò ancora Augusto.
“Sì, cioè no, non ancora … ma di cosa stai parlando?”
“Insomma ti sei già dichiarato?”
“In un certo senso sì, anche se non ufficialmente”.
“ Come sarebbe a dire non ufficialmente? Martino sarai anche un ottimo soldato, ma con le donne non sembri altrettanto bravo” lo schernì l’amico.
“La fai semplice tu che sei già fidanzato Augusto!”
“Non credere che sia tutto rose e fiori. Il mio è un fidanzamento voluto delle due famiglie, l’amore non c’entra. Ci conosciamo da sempre, per me Annalisa è come una sorella, ed è per questo che ho accettato di sposarla, inoltre la vita militare non faceva per me.  Tu invece hai classe. Non sprecarla. Sono sicuro che Emilia capirà.  Saint Cyr non è poi così lontano dall’accademia”.
“Saint Cyr forse no, ma Rivombrosa sì. Temo che non voglia più tornare in Francia”.
“Questo complica le cose. Torna a palazzo e dille tutto. È l’unica cosa che puoi fare, e magari puoi sempre tentare di convincerla a riprendere gli studi no? “
“Forse hai ragione, ma ora è meglio che vada, si è fatto tardi”.
Emilia era tornata nella sua stanza. Lo spavento di rivedere Lucrezia era passato, ma qualcosa ancora la turbava profondamente. Erano emozioni nuove, che non aveva mai provato prima. Ripensò ai discorsi di Cristiano, al loro tempo trascorso insieme, e si accorse che il cuore le batteva forte. Si guardò allo specchio e notò che i suoi occhi brillavano, quasi come succedeva per il cugino. A questo pensiero la sua confusione aumentava: a Parigi era abituata ad avere corteggiatori che la riempivano di premure, ma nessuno era riuscito a farle battere il cuore, non così almeno! E poi era possibile che si fosse innamorata di due persone? No, era impossibile, eppure tutto le sembrava provare il contrario. Si alzò dalla sedia davanti al bodoir, e iniziò a camminare nella stanza, cercando di calmarsi e riordinare i pensieri. Aprì la finestra, e una lieve brezza le accarezzò il volto. Inspirò a fondo l’aria di quel Maggio, non ancora afoso e soffocante.
Le note del clavicembalo risuonavano per i corridoi del palazzo. Martino sorrise, indovinando chi fosse l’autrice, e infatti non si sbagliava: Emilia era così intenta a dare voce alle sue emozioni che non si era nemmeno accorta del nuovo spettatore. Il cugino aspettò che finisse e le posò un dolce bacio sul collo candido. La ragazza prima si ritrasse per la sorpresa, poi voltatasi e riconoscendo il cugino, si strinse a lui.
“Sei sempre più brava, potresti anche avere una carriera come musicista” si complimentò il ragazzo.
“Non scherzare, e poi non credo che mia madre sarebbe molto contenta” disse, sciogliendosi dal cugino.
“L’altra sera non sembrava”.
“Era diverso, a proposito di ieri sera cosa volevi dirmi?”
“Nulla - mentì il ragazzo, non trovando il coraggio - me ne sono dimenticato, forse non era poi così importante …” Emilia sembrava leggermente delusa ma quell’espressione durò poco, e il piacere di rimanere al fianco del cugino ebbe presto il sopravvento. I due passeggiarono insieme in giardino, tra le varie siepi, negli angoli più nascosti del parco, dove spesso avevano giocato a rincorrersi, ma Martino era distante, assente.
“Martino!” lo richiamò dolcemente la cugina. Il ragazzo non riusciva più a mantenere quel segreto così pesante, ma aveva paura della reazione di quella ragazza così forte e contemporaneamente così fragile.
“Martino, cosa ti succede?” domandò ancora la cugina. Il ragazzo si fermò, inspirò profondamente cercando le parole più adatte, senza avere il coraggio di guardare la cugina negli occhi.
“Così mi fai paura” ammise la giovane seria.
“Devo partire” il conte alzò gli occhi fissandoli in quelli della cugina che trovò solo la forza di domandare:
“Partire?” domandò sorpresa la cugina.
“Tra tre settimane. Sono stato richiamato in Francia”.
“Così presto?” domandò ancora, con una nota di tensione e rammarico nella voce.
“Purtroppo sì, ho cercato un ulteriore permesso, ma purtroppo mi è stato negato” spiegò il ragazzo accarezzandole il volto ed asciugandole una piccola lacrima che le era sfuggita.
“Emilia ti prego non piangere, non ti sto dicendo addio, e se poi tu tornassi a Saint Cyr, potremmo stare ancora insieme …”.
“Non chiedermelo ti prego, non me la sento di ripercorrere quelle strade, con l’angoscia che tutto potrebbe riaccadere” disse, lasciandosi cadere tra le braccia del cugino, in cerca di sicurezza.
“Perdonami, volevo solo cercare una soluzione …” cercò di scusarsi
“Forse un’altra possibilità ci sarebbe, se tu …” iniziò Emilia, ma il cugino la zittì mettendole un dito sulla bocca.
“Ti prego Emilia, non rendere tutto più difficile, ho già preso la mia decisione” la ragazza si staccò da lui, e lo fissò, ferita da quelle parole, e senza dire altro si diresse verso il palazzo.
“Emilia aspetta” cercò di trattenerla, ma la ragazza non lo ascoltava, anzi accelerava il passo per allontanarsi da lui. Martino riuscì a raggiungerla e tenendola per un braccio la costrinse a voltarsi.
“Martino lasciami!” disse fredda, cercando di liberarsi.
“E tu ascoltami!” rispose il ragazzo, continuando a stringerla.
“Non c’è più altro da dire, tu hai già scelto, e pretendi che io ti segua!” continuò a tono la ragazza, liberandosi, ma non trovando più il coraggio di allontanarsi.
“Io non pretendo nulla. Ma non devo rendere conto a te delle mie decisioni” disse arrabbiato il ragazzo.
“Molto bene! - replicò Emilia, che si era sentita morire a quelle parole - allora possiamo chiudere qua la discussione” così dicendo se ne andò, il ragazzo provò ancora a fermarla, ma questa volta lei non si fermò.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX ***









“Emilia non hai quasi toccato cibo! Ti senti forse poco bene?”
“Non vi preoccupate madre, è che questa sera non ho molto appetito” spiegò la ragazza, abbassando gli occhi ed evitando lo sguardo del cugino. Finita la cena si spostarono tutti in salone, per continuare la serata, ma il clima solitamente sereno, era guastato da uno strano silenzio dei giovani. Le solite conversazioni, quella sera, non erano più animate dai brillanti commenti della marchesina, e dagli sguardi complici che scambiava col giovane conte. Martino dal canto suo tentava di avvicinarsi alla ragazza, ma lei lo respingeva in ogni modo. Stanca di quella situazione sempre più insostenibile e soffocante, Emilia si congedò dal gruppo, accettando che il principe l’accompagnasse fino alla camera. Elisa prese in disparte il figlio.
“Martino cosa è accaduto con Emilia?”
“Niente Elisa, per favore …”
“Devi averla fatta arrabbiare parecchio” continuò la contessa ignorando le preghiere del figlio.
“E va bene, abbiamo litigato. Ma ti giuro non volevo arrivare a tanto” spiegò il ragazzo.
“Ti credo, ma è meglio trovare un altro posto dove continuare a parlare, seguimi” così dicendo Elisa lo trascinò in camera sua e chiuse la porta. Martino raccontò alla madre ciò che era accaduto.
“E così vuoi partire” sospirò amaramente Elisa, quando il ragazzo finì di parlare.
“Sì. È una scelta difficile, ma l’avevo promesso a mio padre …”.
“Martino, se solo tu sapessi …” si lasciò sfuggire Elisa.
“Sapessi cosa?”
“Quanto tuo padre è sempre stato fiero di te!” la donna si asciugò una lacrima, commossa. Martino l’abbracciò, stringendosi a lei, come faceva da piccolo. Elisa gli accarezzò i capelli, continuando a stringerlo a sé e sussurrandogli:
“Non ti preoccupare, vedrai che Emilia capirà, dalle solo del tempo”.
“Lo spero Elisa, lo spero!”.
I giorni passavano, ma tra i due ragazzi la situazione non sembrava appianarsi. Da parte sua Cristiano, cercava di approfittare della situazione, soprattutto dopo avere scoperto della ormai prossima partenza del conte Ristori. Il principe portava spesso la marchesina nelle sue ricerche di una nuova abitazione, dal canto suo Emilia, accettava gli inviti del principe per allontanarsi dal cugino, ma senza risultati. Quel pomeriggio Martino aveva invitato Cristiano in una battuta di caccia, ed Emilia era in cortile con Elisa, Orsolina e le due bambine. Nel frattempo Antonio era appena tornato da Anna.
“Contessa Ceppi” la salutò, chiudendole la bocca con un dolce bacio “Come state?” domandò accarezzandole il pancione.
“Bene - sorrise - ma sono stanca di rimanere nel palazzo”.
“Amore mio, lo sai che non devi affaticarti” iniziò Antonio. Anna lo fissò con gli occhi supplicanti.
“Almeno una passeggiata nel parco” l’uomo non riusciva a resisterle e accettò.
“E va bene! Hai vinto tu, ma promettimi che appena inizi a stancarti torniamo”. Anna lo baciò, felice del permesso accordatole.
“Te lo prometto” e appoggiandosi al braccio del marito iniziò a percorrere il corridoio.
La coppia stava scendendo le scale, quando Anna si strinse al marito portando con un gemito la mano sul pancione.
“Anna!” esclamò preoccupato l’uomo, la contessa lo guardò negli occhi:
“Antonio riportami in camera” domandò con il fiato corto.
“Mamma guarda sta arrivando anche la zia! - esclamò felice Agnese, indicando verso il palazzo - Ma perché sta tornando indietro?” domandò ancora. Elisa si voltò e vide Antonio sorreggere la moglie, mentre l’aiutava a rientrare.
“Non lo so tesoro, torna a giocare con Emilia.” Rispose la contessa, allontanando la figlia, e ritornando a sua volta verso il castello.
“Anna, Antonio …” esordì Elisa raggiungendo la coppia.
“Elisa chiama Amelia, e fai portare dell’acqua bollente” l’anticipò il medico, alzando per un attimo gli occhi dalla moglie. Elisa obbedì, e corse subito alla ricerca dell’anziana governante. La trovò in cucina assieme a Giannina e Bianca.
“Amelia, Antonio ha bisogno di te, Anna ha le prime doglie. Bianca fai bollire dell’acqua, e tu Giannina vai da Orsolina in giardino e dille di portare le due bambine da mia madre al borgo”.
“Ma Elisa … il principe cosa dirà?” obiettò timidamente la cameriera.
“Se vi chiederà qualcosa, ne risponderò io personalmente. Ma sono troppo piccole per rimanere a palazzo”.
“Come volete” così dicendo la cameriera uscì e presto raggiunse il gruppetto di donne che era in cortile, si avvicinò alla giovane istitutrice, la trasse in disparte e le riferì quanto le era stato ordinato. Subito la ragazza prese per mano le due bambine, e congedatasi dalla marchesina le portò verso le scuderie con la scusa di una nuova avventura. Giannina stava per rientrare, quando Emilia la fermò:
“Giannina cosa sta succedendo?” domandò la ragazza preoccupata.
“La vostra signora madre sta per partorire, signorina” spiegò la cameriera. Emilia non le lasciò il tempo di aggiungere altro, che iniziò a correre verso la camera della madre.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI ***









“Madre!” esclamò la ragazza correndo verso il letto, dove la donna era distesa. Anna le accarezzò il volto, cercando di rassicurarla
“Piccola! Va tutto bene, presto sarai una sorella maggiore” disse, soffocando un lamento.
“Madre!” gridò ancora la ragazza, prendendole la mano che stringeva convulsamente il lenzuolo sottostante.
“Elisa, accompagnala fuori” le domandò Antonio, che nel frattempo aveva indossato il camice, e stava preparando tutto ciò che gli sarebbe potuto tornare utile.
“Vieni, Emilia” disse dolcemente la zia, prendendola per le spalle, sollevandola di peso e accompagnandola fuori.
“No, io voglio stare con lei …” protestò la ragazza.
“Non si può, tu aspetta qui e prega per lei” le spiegò la contessa, facendola sedere su una panca in legno, proprio davanti alla stanza della madre. In quel momento i lamenti di Anna si fecero più forti, ed Elisa rientrò nella stanza.
Era ormai calato il sole quando i due giovani rientrarono dalla battuta di caccia, e si stupirono di non trovare ad attenderli nessuno.
“Scusate signor conte …” iniziò Titta, Martino lo bloccò.
“Ordina in cucina di farci portare qualcosa da mangiare nella sala da pranzo”.
“Veramente signor conte, le donne sono tutte da vostra zia, temo dobbiate aspettare che nasca vostro nipote prima di poter mangiare …”
“E le bambine con chi sono?” domandò il principe.
“La contessa Ristori ha ordinato fossero portate al borgo”.
“Al borgo?” domandò perplesso il ragazzo.
“Sì signore dalla madre della contessa Ristori, se volete vi ci accompagno”.
“Molto bene, allora al borgo” fu la risposta del principe mentre risaliva a cavallo. Martino salì al secondo piano, e attraversò quasi tutto il corridoio, illuminato dalla luce delle candele. Man mano che si avvicinava alla camera della zia, le urla si facevano sempre più forti.
Emilia aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva più da quanto sua madre fosse chiusa in quella stanza, e da quanto tempo lei scorresse il rosario tra le dita, recitandolo sommessamente e fremendo a ogni rumore che proveniva dalla stanza. Martino osservò la cugina, e lo sguardo cadde sulla piccola croce di legno che la ragazza aveva fatto montare sul rosario di ametista. Il ragazzo sorrise, riconoscendo il crocefisso che aveva donato ad Elisa, quando era in carcere.
“Emilia” la chiamò sedendosi accanto a lei. La ragazza lo guardò per un istante, poi spostò lo sguardo, continuando a pregare. Il ragazzo non si diede per vinto, e le prese una mano tra le sue. I due rimasero immobili, finché un grido di Anna più forte degli altri, li fece sussultare entrambe, ed Emilia scappò via terrorizzata.
Nella camera della marchesa, le donne si affaccendavano, facendo la spola con la cucina. Elisa asciugava il sudore della cognata, cercando di alleviarle, almeno in parte, il travaglio, e continuava a cercare lo sguardo di Antonio, che tuttavia, rispecchiava le sue stesse preoccupazioni. Improvvisamente l’uomo si alzò e si avvicino ad Amelia:
“Amelia, mandate qualcuno a cercare una balia, temo che Anna non potrà occuparsi fin da subito del bambino” le disse a bassa voce, lanciando uno sguardo verso il letto della moglie, in preda ad una nuova contrazione.
“Come volete …” così dicendo la donna uscì, alla ricerca di Bianca. Elisa, che non aveva perso la scena, fece cenno a Giannina di sostituirla.
“Arrivo subito” cercò di tranquillizzare la cognata, mentre passava la sua mano in quella della serva.
“Antonio …” la contessa non ebbe il coraggio di terminare la frase, ma il medico non aveva bisogno di altre parole.
“Qualcosa non va, parti così lunghi sono rari. Però non bisogna allarmarla, è la cosa peggiore. Bisogna aspettare ancora, per adesso non possiamo fare altro”. Elisa annuì, e tornò da Anna.
“Elisa dimmi la verità” esclamò la contessa, afferrando il braccio della cognata “Sto per morire?” domandò con un filo di voce.
“Ma no Anna, non devi dire così” rispose la contessa, passandole un panno umido sulla fronte.
“Se dovesse capitarmi qualcosa …” iniziò la contessa.
“Anna, andrà tutto bene, stai tranquilla”.
“Se dovesse succedere - continuò la donna- promettimi che ti prenderai cura di Emilia, e di Antonio, e anche di questo piccolo, digli che li ho sempre amati, e che li amerò per sempre …”.
“Non ce ne sarà bisogno, glielo dirai tu stessa” cercò di convincerla la cognata, ma la voce tradiva la sua paura.
“Promettimelo” esclamò ancora una volta Anna, prima di essere nuovamente sopraffatta dal dolore.
“Te lo prometto” si arrese la contessa, cercando aiuto in Antonio, che si era nuovamente avvicinato al letto.
Emilia si fermò ansimante al parapetto dello scalone. Lo sguardo offuscato dalle grosse lacrime era perso nel vuoto. La ragazza cercava di riprendersi, ma le grida della madre sembravano perseguitarla. Martino esitò prima di raggiungere la cugina.
“Emilia …” la ragazza si voltò, asciugando alcune lacrime che le rigavano il viso, e si gettò tra le braccia del cugino, che titubante, la strinse a sé, cercando di calmare il pianto della giovane. Finalmente i dolci baci del ragazzo, sembravano aver ottenuto il loro scopo. Emilia aveva smesso di piangere.
“Martino perdonami per l’altro giorno, io non pensavo veramente quello che ho detto” iniziò la ragazza, trovando la forza di alzare il volto, e fissarlo negli occhi.
“Sei tu che devi perdonarmi, non dovevo forzarti a seguirmi in Francia” rispose il cugino, baciandola nuovamente sulla fronte, Emilia sorrise debolmente.
“Sarà meglio rientrare, l’aria della notte è ancora fredda”.
“Stammi vicino, ti prego” gli chiese la cugina.
“Se tu lo vorrai, non ti lascerò nemmeno per un secondo” fu la risposta del giovane.
“Coraggio Anna, ci siamo quasi, un ultimo sforzo…” esclamò Antonio. La moglie ormai era allo stremo delle forze.
“Forza Anna, ora devi aiutarlo a nascere …” gli fece eco Elisa. Il medico annuì, segno che le parole di Elisa stavano portando i loro frutti. Le grida della donna smisero, e per un attimo la tenuta sprofondò nel più profondo silenzio: sembrava che tutta Rivombrosa fosse in attesa. Poco dopo il vagito di un bimbo, prima debole, poi sempre più deciso, riempì l’aria. Antonio avvolse il piccolo con mani tremanti.
“È un maschietto” sorrise commosso porgendolo ad Anna. A quelle parole il dolore provato svanì. La donna lo strinse al seno, piangendo di gioia, mentre l’uomo le accarezzava i capelli sudati, e continuava a baciarla.
“Ora questo piccolino deve farsi bello” iniziò Antonio, porgendo il piccolo a Elisa, che lo portò nell’altra stanza per lavarlo.
Emilia era stretta a Martino. Le grida della madre ormai sembravano fare da sfondo alla sua attesa.
“È tutta la notte che è in quella stanza, ho paura” singhiozzò la ragazza Martino la zittì:
“Ascolta …” dalla porta il pianto di un neonato si fece sempre più distinto. La marchesina, sfogò la sua tensione scoppiando in lacrime, e bagnando ulteriormente la camicia del cugino.
“È nato!”
“Sì, è nato” le rispose Martino, cercando le labbra della cugina e baciandola con trasporto.

“Amore mio sei stata bravissima” disse Antonio sedendosi accanto alla moglie, non staccando il suo sguardo da lei. La donna sorrise stancamente, abbandonandosi tra i cuscini.
“Sei bellissima” continuò, baciandola nuovamente sulla fronte. Anna si era abbandonata completamente alle carezze del marito, quando Elisa rientrò col nuovo nato.
“Questo piccolino vuole conoscere la sua mamma e il suo papà …” sorrise, dandolo alla cognata.
“Come lo chiamiamo?” domandò Antonio che già immaginava il nome che la moglie gli avrebbe dato.
“Eugenio” sorrise Anna.
“Eugenio?” domandò sorpreso il marito, che si aspettava Fabrizio.
“Sì. Conte Eugenio Federico Clemente, Ceppi. Non riuscirei a chiamarlo come lo zio” sorrise amaramente, ma le bastò vedere quel frugoletto che aveva attirato nuovamente l’attenzione su di sé, per ricacciare i brutti pensieri.
Elisa uscì e chiamò i due giovani.
“Emilia, vieni” la invitò a entrare. La ragazza si sciolse dal cugino, che timidamente mosse qualche passo verso la porta.
“Martino entra anche tu”. I due giovani si fermarono sula porta. Quando Anna vide la figlia, le fece cenno di sedersi accanto a lei, e la ragazza obbedì stringendosi alla madre, e sfiorando una manina del fratellino.
“Lui è Eugenio, e questa invece è tua sorella Emilia” li presentò la donna. Martino si strinse a Elisa.
“Avevi ragione tu. Bisognava avere pazienza” bisbigliò il ragazzo all’orecchio della madre. Fuori la luce dell’alba iniziava a illuminare la tenuta, annunciando il nuovo giorno.

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII ***









Nel capanno Fabrizio era irrequieto: aveva aspettato la sua dea per tutta la notte, ma lei sembrava essersi dileguata nel nulla, e viste le prime luci del sole, l’uomo temeva che potesse esserle accaduto qualcosa. Si era ormai deciso a cercarla, quando la porta del capanno si aprì, e apparve lei, bellissima: il volto stanco per la notte appena passata, era arrossato per la corsa a cavallo. L’uomo le corse incontro e la strinse a sé.
“Ti aspettavo questa notte - esordì baciandola sul collo - dove sei stata?” domandò l’uomo.
“Anna ha avuto un maschietto” spiegò la giovane stringendosi al marito.
“È meraviglioso! E come stanno?”
“Il parto è stato complicato, ma stanno bene, tutti e due. Antonio è al settimo cielo”.
“Lo credo bene! Non vedo l’ora di poter vedere il piccolo conte …”
“Fabrizio … - iniziò Elisa titubante – temo dovrai aspettare ancora”.
“E per quale motivo?” domandò l’uomo sorpreso.
“Ho paura per Agnese. E poi anche Martino come potrebbe reagire? Tra pochi giorni vuole tornare in Francia e non sono ancora riuscita a parlargli” spiegò la contessa, lasciandosi cadere sulla cassapanca di legno e fissando lo sguardo del marito, che rimaneva muto.
“Vuoi dire che preferisci lasciarli senza un padre?”
“Fabrizio ti prego. Sai che non ho detto questo. È solo che non posso portare quello che per mia figlia è uno sconosciuto in casa e dirle cara, questo è tuo papà, quello che per sei anni sei andata a trovare di fronte ad una lastra di marmo. Se solo Martino potesse mediare, ma è cambiato. Ormai è un uomo e temo che sia tardi”. Elisa sospirò, sopraffatta dai ricordi degli ultimi anni. Fabrizio la strinse a sé, senza dire nulla, Elisa appoggiò il volto sulla spalla del marito che continuava a rimanere in silenzio.
Anna riposava nella sua stanza, costantemente sorvegliata da Antonio che non la lasciava un secondo. Il sonno della contessa sembrava tranquillo, e l’uomo si concesse qualche minuto di riposo sulla grande poltrona di broccato accanto al letto. Si era appena assopito quando entrò Amelia.
“Signore” lo svegliò. Antonio aprì gli occhi a fatica.
“Cosa c’è Amelia?” domandò ancora assonnato.
“Perdonate, ma è arrivata la balia che avete chiesto. Sta aspettando in biblioteca - poi fissò la sua padrona – La signora come sta?”
“Riposa, ma temo che abbia un filo di febbre, e la cosa non mi piace” ammise il medico, sfiorando la fronte della moglie con un dolcissimo bacio.
“Volete che porti delle pezze bagnate?” propose l’anziana balia.
“Grazie Amelia.” Mentre il conte si sistemava, la donna tornò con delle pezze e dell’acqua fredda.
Emilia era seduta sul letto, ad osservare il fratellino, si protese in avanti prendendogli la manina e iniziando a giocarci:
“Hai visto come è piccola?” domandò girandosi verso Martino che la osservava, appoggiato alla finestra. Il ragazzo sorrise, portandosi alle spalle della giovane.
“Devo iniziare a essere geloso di mio cugino?” scherzò cingendo la vita della ragazza con una mano, e tirandola verso di sé.
“Credo proprio di sì” rise la ragazza, che sbilanciata dal ragazzo, ricadde tra le sue braccia, alzando lo sguardo per vederlo in faccia. Martino sorrise a sua volta, baciandola sul collo. Il piccolo Eugenio, rimasto escluso, iniziò a richiamare su di sé l’attenzione con piccoli urli. Emilia si voltò verso il fratello, e iniziò a cullarlo. Il piccolo si tranquillizzò presto.
“Hai capito il piccolino? - sorrise la ragazza, voltandosi verso il cugino - è già geloso della sorella”.
“E come dargli torto …” rispose il ragazzo. In quel momento Antonio bussò alla porta.
“Avanti!” esclamò Emilia, mentre Martino si alzava dal letto.
“Emilia, è arrivata la balia, scenderesti con Eugenio?”
“Io?” domandò stupita.
“Credevo ti facesse piacere conoscere chi alleverà tuo fratello” spiegò il medico.
“Certamente, ma credevo che se ne sarebbe occupata mia madre” continuò lei, mentre prendeva il bambino tra le sue braccia.
“Non devi preoccuparti, appena si sarà rimessa, Anna potrà occuparsi di lui, se lo vorrà” la rassicurò Antonio, mentre uscivano dalla stanza.
 Nella biblioteca una giovane donna si stava guardando attorno, meravigliata, posando lo sguardo su ogni piccolo oggetto che si trovava nella sala, e cercando di sistemare il povero vestito, sperando di fare una buona impressione.
“Angelica, sono felice di vedervi, come state?” domandò Antonio, riconoscendo la contadina.
“Bene signore” rispose la donna con un inchino.
“E vostro figlio a chi lo avete lasciato?” la ragazza abbassò la testa.
“Mio padre mi ha costretta a lasciarlo in convento signore, dice che sia già difficile dare in moglie una figlia senza che questa sia madre …”
“Perdonatemi, non sapevo”.
“Siete voi che dovete scusarmi signore, io sono stata chiamata qui, e non so fare altro che lamentarmi”.
“Non parliamone più, allora” tagliò corto Antonio. La ragazza annuì e si inchinò nuovamente.
Antonio fece cenno a Emilia di avvicinarsi.
“Questa è la marchesina Radicati, e questo suo fratello, il conte Eugenio Ceppi” disse indicando la ragazza e il neonato che aveva in braccio. La nuova balia accennò a un segno di saluto a Emilia che contraccambiò.
“Voi vi prenderete cura di mio figlio, e se mia moglie deciderà di occuparsene personalmente, voi potrete diventare la dama di compagnia di Emilia, sempre che lei lo desideri” la marchesina si voltò di scatto verso l’uomo, sorpresa.
 “Vi ringrazio signor conte” riprese la balia, mentre Emilia le porgeva il bambino.
“Venite, la vostra camera è stata preparata vicino alla mia, seguitemi ve la mostro.” Così dicendo Emilia lasciò la biblioteca, seguita da Angelica.
La notte era finalmente scesa e tutti gli abitanti di Rivombrosa erano tornati nelle loro case per godere del meritato riposo dopo la dura giornata di lavoro. Anche la tenuta sembrava riposare al chiarore lunare. Al suo interno, però non tutti erano riusciti a prendere sonno. Martino continuava a rigirarsi nel letto, sapendo che ormai la partenza era prossima, e che il ritorno del principe a palazzo non gli avrebbe concesso molti momenti in disparte con la cugina. Rinunciando a un nuovo tentativo di riaddormentarsi, il ragazzo si avvolse in una vestaglia da camera e uscì lungo il corridoio, alla volta della stanza di Emilia, dove immaginava di trovarla addormentata. Arrivato davanti alla stanza, abbassò delicatamente la maniglia e spinse la porta, attento a non fare rumore. La stanza era rischiarata dal lume di una candela, appoggiata sul comodino vicino al letto, perfettamente intatto. Il ragazzo, sorpreso, volse lo sguardo per la stanza, e vide la figura della cugina, a piedi nudi davanti alla finestra aperta. Emilia stava fissando le stelle, quasi a cercare le risposte alle sue domande. Martino le si avvicinò cingendole la vita col braccio stringendola a sé, e inspirando la sua fragranza delicata. Emilia si voltò di scatto, spaventata.
“Martino cosa ci fai qui?” sorrise, cercando di riprendersi dalla sorpresa. “Dovresti essere nella tua stanza …” continuò maliziosamente, abbassando ancora la voce, senza però sciogliersi dall’abbraccio del giovane.
“Anche tu non dovresti essere alla finestra ...” rispose a tono il ragazzo, sfiorandole il collo con le labbra. Istintivamente la marchesina si ritrasse da quel contatto.
“Ma se lo desideri …” disse accennando ad andarsene.
“Martino aspetta! - esclamò la cugina, quasi rincorrendolo - Aspetta” ripeté ancora. Il ragazzo si fermò. Emilia si accinse a chiudere a chiave la porta, in modo che nessuno sguardo indiscreto avesse potuto sorprenderli. Tra i due calò il silenzio.
“Non riesci a dormire?”
“No!” rispose sinceramente il ragazzo, raggiungendo la cugina che si era seduta sul letto.
“Perché?” domandò.
“Pensavo a te” ammise il ragazzo. Emilia si sentì lusingata e confusa da quelle confessioni, abbassò il viso, per nascondere un leggero rossore che sentiva aumentare.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” domandò Martino, scostandole una ciocca di capelli. Emilia scosse la testa sorridendo. Martino le si avvicinò e le posò un leggero bacio sulle labbra, aspettando la reazione della cugina, che cercò nuovamente le labbra del cugino. Il ragazzo fece scivolare una spallina della camicia di lei, scoprendone la spalla candida. Lei lo lasciò fare, sciogliendogli il nodo della vestaglia. Ben presto i due si trovarono divisi solo dalla leggera camicia della giovane. Martino iniziò a baciarle il collo, inebriato dal dolce profumo di quella ragazza, pronta a diventare donna.

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXIII ***


Emilia sorrise al nuovo giorno, ma quando si accorse che il cugino non era più accanto a lei, si alzò di colpo, temendo che gli avvenimenti della notte precedente avessero potuto, in qualche modo, anticipare la sua partenza. Indossò rapida la sua veste da camera e uscì nel corridoio, incurante degli sguardi perplessi della servitù.
“Signorina Emilia, cosa ci fate in giro con gli abiti da notte?” domandò Bianca. La ragazzina non rispose, incerta sul da farsi.
“Devo parlare con mio cugino -spiegò, cercando di oltrepassare la cameriera - è urgente”.
“Vostro cugino è in salone, con vostra zia, ma se mi permettete, sarebbe meglio che prima vi vestiate”. La ragazza acconsentì e poco dopo uscì nuovamente dalla stanza da letto, perfettamente abbigliata.

“Martino non devi controllare necessariamente oggi tutti i conti della tenuta” disse con tono risoluto Elisa, mentre con mano decisa chiudeva il pesante registro sotto il naso del figlio.
“Ma Elisa …” cercò di ribattere il ragazzo.
“Ormai abbiamo ricominciato a guadagnare” spiegò la contessa, il giovane conte la interruppe:
“Ma se il nostro benefattore, questo duca, dovesse rivolere indietro i suoi soldi?” obiettò.
“Non credo che questo accadrà” lo fissò negli occhi, e non riuscì a trattenere un sorriso. Il giovane rimase sorpreso e leggermente irritato dal comportamento della madre e borbottò:
“Non trovo nulla di divertente” Elisa cercò di ricomporsi.
“È che non sai mentire. È fin troppo chiaro che non sono i conti della tenuta a preoccuparti”.
“Non è vero” replicò il figlio. In quel momento la porta si aprì e comparve Emilia.
“Buongiorno zia! Martino.” Salutò, il ragazzo la fissò rapito e le sorrise.
“Scusate, ho forse interrotto qualcosa?” domandò.
“Non ti preoccupare Emilia, suppongo che Martino possa riprendere il controllo da dove l’ho interrotto io prima” lo stuzzicò Elisa.
“Elisa ha ragione, queste carte possono attendere” replicò il ragazzo. Le due donne si accomodarono sul divanetto, mentre Martino prese posto sulla poltrona di fronte a loro. Presto però, la discussione venne interrotta da Amelia.
“Elisa, il dottor Ceppi vuole vederti subito” esordì, cercando di mantenere la voce più calma possibile, per non allarmare i due giovani. La contessa capì.
“Arrivo” mormorò alzandosi subito, e seguendo l’anziana donna.
“Amelia, cosa sta succedendo?” domandò Elisa, quando fu sicura che i ragazzi non la stessero ascoltando. La donna non rispose, limitandosi a indicare la porta della stanza da letto. Elisa entrò senza indugiare oltre.
“Antonio!” esclamò, avvicinandosi al letto.
“Elisa sta sempre peggio, la febbre non accenna a calare, e ora ha iniziato a perdere lucidità” spiegò preoccupato il medico, passando una pezza fredda sulla fronte della moglie.
“Cosa bisogna fare in questi casi?” domandò la contessa, prendendo un’altra pezza dal catino e inumidendo i polsi della cognata, fissando il suo sguardo vuoto.
“L’unica cosa è tentare di tenere la febbre controllata, e sperare che si riprenda”. Lo sguardo di Anna sembrava cercare qualcosa, poi la donna iniziò ad articolare frasi sconnesse, senza senso. Un solo nome risultava chiaro e comprensibile: Fabrizio, il fratello tanto amato.
“Anna! Tesoro, mi senti?” domandò il medico. La donna non rispose, perdendosi nei deliri della febbre. Gli altri due si fissarono negli occhi, sgomenti. Improvvisamente Elisa si alzò e fece per uscire, ma Antonio la fermò.
“Che hai intenzione di fare?”
“Vado a chiamare Fabrizio!” rispose.
“Elisa sei impazzita?”
“Antonio, so che è una follia, ma ha il diritto di sapere che sua sorella sta male”. Disse le ultime parole, esitante, sapendo benissimo che la cognata non stava semplicemente “male”, ma non aveva il coraggio di esprimere ad alta voce le sue paure.
“Hai idea delle conseguenze alle quali potresti andare incontro?” domandò ancora Ceppi.
“No –ammise la contessa- ma lei ne ha bisogno. Ha il diritto di sapere che suo fratello non è morto” continuò posando lo sguardo sulla cognata.
“Elisa, e se lei …” iniziò Antonio, non riuscendo a terminare la frase.
“Non accadrà”. Cercò di rincuorarlo la contessa, poggiandogli una mano sulla spalla prima di uscire dalla camera.

Fabrizio aspettava nel capanno. Quando Elisa era lontana, le ore sembravano eterne: l’attesa della donna lo divorava, ma quando la contessa spinse la vecchia porta ed apparve, con in mano un vecchio abbigliamento maschile, la gioia e la sorpresa per quella visita mattutina, lasciarono presto il posto al dubbio.
“Elisa cosa è successo?” domandò osservando il volto della moglie, che ancora tradiva la frenesia dell’ultima cavalcata.
“Non c’è tempo, devi tornare subito a Rivombrosa, ti spiegherò tutto strada facendo. Però indossa questi.” Disse porgendo il mantello logoro e il cappello al marito. Il conte la fissò con lo sguardo interrogativo.
“Nessuno sa di te, e nessuno per ora deve sapere, entreremo dalle scuderie.”
“Elisa non capisco, prima mi chiedi di tornare a casa mia sul momento e poi pretendi che lo faccia in segreto, quasi come un ladro?” continuò l’uomo sempre più perplesso, e infastidito dall’atteggiamento della moglie.
“Fabrizio, tua sorella sta male – sbottò improvvisamente la contessa – molto male, Antonio non sa come sia riuscita a superare la notte, nel delirio continua a chiamarti” continuò ancora.
“Ma non hai ancora detto a nessuno del mio ritorno” disse amaramente il conte, quasi a se stesso. Elisa annuì, colpevole. L’uomo si avvolse nel mantello e calò il cappello in modo che gli coprisse parte del volto.
“Prima o poi ti chiederò come hai giustificato le frequenti assenze, soprattutto notturne …” ironizzò mentre usciva insieme alla moglie.
“L’importante è non farsi scoprire” cercò di sminuire Elisa. I due montarono a cavallo.
“Non avevo immaginato così il mio ritorno …” ammise il conte prima di spronare il cavallo al galoppo, seguito dalla moglie.

“Emilia, non devi affaticarti, altrimenti rischi di ricadere in una delle tue crisi”. La ragazza ignorò il suggerimento del cugino e strizzò il panno bagnato per poi passarlo delicatamente sulla fronte della madre, che dopo aver dato dei leggeri segni di miglioramento, si era assopita.
“Lo sai bene che non riesco a mettermi seduta a leggere un libro, o a ricamare, e almeno così riesco a rendermi utile e a non pensare, o almeno in parte”. Rispose, abbassando lo sguardo, come a non voler incontrare gli occhi del cugino, nonostante gli desse le spalle. L’allusione all’ultimo viaggio zittì il ragazzo. Emilia aveva sempre cercato di evitare l’argomento. Voleva dimenticare, fingere che non fosse successo nulla, e lui sapeva di dirigere il discorso su un terreno troppo delicato e instabile per portare avanti le sue motivazioni. Non sarebbe stato facile allontanarla da quella stanza.
“Martino ha ragione – cercò di farla ragionare il medico, mentre si piegava sulla moglie per controllare le funzioni vitali – e poi tua madre sta migliorando, non credo le farebbe piacere trovarti sciupata al suo risveglio”. Emilia non aveva intenzione di cedere:
“Non offenderti, Antonio, ma credo che tu abbia più bisogno di me di riposare” rispose candidamente la ragazza, lasciando senza parole anche il padre adottivo. Martino dovette soffocare una risata avvicinandosi alla cugina.  Antonio osservò fuori dalla finestra, come in attesa di qualcosa, e si accigliò.
“Perdonami Antonio, non intendevo offenderti …” iniziò a scusarsi la ragazza.
“Hai solo detto la verità, Emilia – la rassicurò l’uomo con un mezzo sorriso che però tradiva la sua preoccupazione - e visto che proprio non vuoi saperne di allontanarti da tua madre, allora ti lascio un minuto da sola con lei, vado a visitare tuo fratello, torno subito.”
“Perché? Sta male anche lui?” domandò ancora più preoccupata la ragazza, ignorando le mani del cugino attorno alle spalle che cercavano di tranquillizzarla.
“Dai pianti di questa notte, sembra in perfetta salute, ma voglio tenerlo ugualmente sotto osservazione” spiegò pazientemente Antonio, prima di lasciare soli i due giovani.
Quando l’uomo uscì della stanza, Martino si chinò sulla cugina, sussurrandole divertito all’orecchio:
“Non avevo mai visto nessuno zittire Antonio in quel modo …” sfiorandole il collo con le labbra. Emilia si concesse qualche secondo prima di allontanare, a malincuore, il cugino.
“Non volevo turbarti …” si scusò il ragazzo alzandosi. Emilia scosse la testa
“È solo che ho paura che qualcuno possa vederci, e poi non credo che sia il posto più adatto, voglio dire se mia madre si svegliasse …” le ultime parole di Emilia furono un debole sussurro, un misto di desiderio e paura. Martino si abbassò, e le prese dolcemente il volto tra le mani, costringendo la ragazza a osservarlo. Gli occhi umidi e riluttanti di lei incontrarono i suoi.
“Andrà tutto bene, ne sono sicuro” Emilia annuì meccanicamente, e si strinse al cugino che continuò a tenerla stretta a sé e a rassicurarla.

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXIV ***


Emilia sarebbe rimasta per sempre stretta in quell’abbraccio. Così, immobile, con gli occhi chiusi, sperando che le promesse del cugino potessero avverarsi.
“Se continuo così ti rovinerò anche questa camicia …” disse cercando di spostarsi per impedire ad una lacrima sfuggita al suo controllo di bagnare i vestiti del cugino.
“Credi davvero che la mia unica paura sia non avere una camicia impeccabile?” la stuzzicò il ragazzo, senza permetterle di allontanarsi. Emilia scosse la testa, e nella camera l’atmosfera sembrava essersi alleggerita.
“Antonio …” la voce di Anna riportò i due giovani alla realtà.
“Madre!” sospirò Emilia, dedicandosi subito alla donna.
“Madre, sono Emilia, mi riconoscete?” Anna annuì leggermente, fortemente provata dalle complicazioni e dalla febbre.
“Il mio bambino …” domandò con un filo di voce, cercando di mettersi a sedere.
“Eugenio sta bene, ed è bellissimo” la rassicurò la figlia, mentre Martino la aiutava a sistemare i cuscini dietro la schiena della donna.
“Voglio vederlo … con chi è?” domandò.
“Antonio ha fatto chiamare una balia, almeno per il tempo che vi serve per rimettervi in forze - iniziò a spiegare la ragazza.
“Ma sono sicuro che appena saprà che siete sveglia, darà ordine di portarlo qui … - cercò di rassicurarla il nipote - vado subito ad avvertire Antonio”.
Emilia lo ricambiò con uno sguardo pieno di riconoscenza, e presto le due donne vennero lasciate sole . Poco dopo nella stanza rientrarono anche Martino e Antonio.
“Finalmente ti sei ripresa. Hai perso conoscenza e la febbre alta mi ha fatto preoccupare non poco” ammise il medico, baciandola sulla fronte, ancora umida.
“Ora sto meglio” fu la risposta della contessa.
“Lo vedo, ma sarei più tranquillo se ti lasciassi visitare” Anna acconsentì senza protestare. Antonio si voltò verso Emilia e Martino per congedarli, quando la porta della camera si aprì di scatto e sulla porta comparve la figura di Fabrizio che si precipitò nella stanza, seguito a breve distanza da Elisa.
L’uomo si fermò a pochi passi dalla porta, sorpreso di trovare nella camera anche i due ragazzi. Elisa osservava la scena impietrita, domandandosi quali conseguenze avrebbe portato quel suo gesto così impulsivo. Emilia continuava a tenere lo sguardo fisso in quello del cugino, quasi a cercare delle risposte alle mille domande silenziose che non aveva il coraggio di rivelare ad alta voce. Martino, al suo fianco, tremava stentando a tenere a bada i diversi sentimenti che provava in quel momento. Fu Anna a rompere il silenzio:
“Fabrizio … tu eri …”
“No Anna, non sono morto sei anni fa durante l’agguato teso da Ranieri” rispose il conte Ristori.
Quelle parole per Martino furono troppo, e dopo aver fissato negli occhi il padre, si sciolse dalla cugina, e uscì dalla stanza. Emilia cercò di richiamarlo indietro, ma una mano sulla spalla le impedì di seguirlo.
“Non ora, ha bisogno di passare del tempo da solo. Sarà lui a ritornare quando si sentirà pronto”. Emilia alzò lo sguardo, incrociando quello dello zio, che l’aveva trattenuta, ma non l’aveva convinta a desistere dal cercare il cugino.

Martino continuava a spronare il cavallo, non gli importava raggiungere una meta precisa, l’unica cosa importante era allontanarsi da quella stanza, da quel fantasma che il passato aveva restituito. Non importava che quell’uomo, apparso poco prima nella camera della zia, fosse veramente suo padre. Che strana ironia … sei anni prima sarebbe stato disposto a tutto pur di vivere quel fatto, e ora che era accaduto, la gioia che aveva sempre immaginato di provare era stata cacciata via dalla rabbia e dalla delusione di sei anni di bugie. Il giovane conte concesse un po’ di tregua al cavallo, e si diresse vicino al grande albero che vegliava sulla tomba del padre, o di chiunque vi fosse stato sepolto, sempre che sotto quella terra ci fosse veramente qualcuno. La rabbia e la disperazione presero ancora una volta il sopravvento nel giovane, che buttò via i fiori, ormai appassiti, e cadde in ginocchio, vinto dalle lacrime.
Nascosta dietro un albero, Emilia osservava impotente la scena, lottando contro l’istinto di andare verso il cugino: non riusciva a sopportare l’idea di vederlo in quello stato, ma sapeva che andargli vicino avrebbe solo peggiorato le cose.

“Non era così che immaginavo il mio ritorno a casa …” sospirò Fabrizio, quando finalmente rimase solo con la moglie. Elisa si sedette sulle sue ginocchia, come era solita fare, e si strinse a lui.
“Lo so, e inizio a credere di essere stata troppo impulsiva, non mi ero neppure immaginata cosa sarebbe potuto accadere”.
“Ed è per questo che ti ho sposata”  le parole dell’uomo strapparono un sorriso alla contessa, che alzò il volto incrociando gli occhi del marito, occhi che riflettevano i suoi stessi sentimenti. Elisa si sporse ancora di più, alla ricerca delle labbra di lui, che si posarono subito sulle sue, in un dolce bacio.
Improvvisamente la contessa s’illuminò:
“Vieni, dobbiamo avvertire la servitù del tuo ritorno …” Fabrizio sospirò, e si preparò ad affrontare la nuova ondata di sorpresa, che sarebbe apparsa negli occhi di tutti. Stranamente, Elisa esitò davanti ad una porta socchiusa, dall’interno provenivano due voci femminili. Quando la contessa fece cenno al marito di avvicinarsi, aprì leggermente di più la porta. Una piccola Elisa era seduta sul grande tappeto che ricopriva buona parte del pavimento, intenta a giocare con la giovane balia. Fabrizio rimase immobile a contemplare quella massa di riccioli dorati, legati in una piccola coda di cavallo: aveva già visto sua figlia, la notte che Elisa l’aveva portata con sé al capanno, ma allora lui non aveva potuto dirle la verità, e ora non trovava il coraggio per chiamare la bambina. Orsolina, accortasi di non essere più sola nella stanza, faticò non poco a ricomporsi, e continuare a giocare con la nipote come le aveva fatto cenno la sorella. Elisa fece un respiro profondo ed entrò nella stanza, con la mano intrecciata a quella di Fabrizio.
“Agnese” chiamò la contessa. La bambina si voltò verso la porta con un enorme sorriso in direzione della madre e le corse incontro, ma si fermò ad osservare l’uomo accanto alla madre. Elisa si chinò, permettendo alla figlia di correrle tra le braccia, poi iniziò:
“Agnese, voglio presentarti una persona”
“Questo signore?” domandò la piccola, indicando il padre.
“Sì, ma vedi Agnese, questo … signore – disse, dopo un breve attimo di esitazione, cercando lo sguardo del marito – non è un signore qualsiasi, lui vuole molto bene alla tua mamma e alla sua bambina. Così tanto bene, che ha fatto di tutto per tornare da loro”.
“Mamma, è papà Fabrizio?” domandò contenta. Quelle semplici parole commossero l’uomo, che senza aspettare la risposta della moglie, si accovacciò accanto alle due:
“Sì Agnese, sono il tuo papà” riuscì a dire, con la voce rotta dall’emozione. Orsolina si fece il segno della croce, come se avesse visto un fantasma, Agnese invece, non sembrava particolarmente turbata, anzi saltò nelle braccia del padre che la strinse a sé.

“Orsolina, avverti tutta la servitù di farsi trovare in biblioteca tra mezz’ora che ho bisogno di parlargli. Ma stai attenta a non rivelare il motivo dell’ordine”.
“Come vuoi Elisa” disse la ragazza apprestandosi in un inchino di congedo, ma Elisa la fermò.
“Orsolina, ti prego mi metti a disagio”.
“Scusami” furono le uniche parole della sorella, che si rivolse all’uomo che teneva ancora in braccio la figlia.
“Signor conte” ed uscì dalla camera.
“Sei preoccupato?” domandò Elisa, cercando di ridestare il marito dai propri pensieri. Fabrizio annuì, spostando il peso della figlia da un braccio all’altro. La bambina appoggiò la testa sulla spalla del padre, portandogli il braccio dietro al collo, e i due genitori non poterono che sorridere della sua spontaneità. Elisa accarezzò la figlia, stringendosi a sua volta al marito.
“Andrà tutto bene” sospirò.
“Lo spero – iniziò Fabrizio, per poi alleggerire la tensione - non vorrei dare troppo lavoro al mio nuovo cognato”. Elisa scosse la testa cercando di rimanere seria.
“Andiamo, ci staranno aspettando” la contessa strinse la mano dell’uomo per farsi coraggio.

Nella biblioteca la servitù si stava domandando quale potesse essere il motivo di quella misteriosa, quanto inaspettata convocazione. Erano quasi sicuri di non aver dato modo alla famiglia Ristori di potersi lamentare sul loro operato, ed un possibile allontanamento dalla tenuta faceva paura. I più audaci bisbigliavano tra loro sulle possibili cause, e tra le donne il pensiero corse subito alla contessa Ceppi. Quando la porta della biblioteca si aprì, nella sala scese un silenzio assoluto, e i domestici si prepararono ad accogliere la contessa. Elisa entrò esitante, con la figlia per mano. Il momento sembrava così ufficiale che la contessa non riuscì a impedire l’inchino previsto dal galateo. Elisa continuava a esitare, cercando le parole più adatte, quelle che aveva sempre desiderato poter dire, ma che ora sembravano non voler proprio uscire. Fu Angelo che trovò il coraggio di esortarla:
“Elisa, cosa succede?  Ci hai convocati tutti, e siamo preoccupati” esordì.
“Vi ho chiamati, infatti, perché devo fare un annuncio, che forse vi lascerà sorpresi … Fabrizio non è morto” ammise la contessa.
“Elisa perdonami, ma non è passato giorno, in questi sei anni, nel quale tu non ti sia recata sulla sua tomba … com’è possibile che Fabrizio sia vivo?” le fece notare timidamente l’intendente.
“Forse, io potrei darti una risposta più esauriente, mio caro Angelo” esordì il conte, attirando su di sé l’attenzione dei presenti.
 Tutta la servitù trattenne il respiro, nel veder entrare l’uomo, le cameriere più devote si fecero il segno della croce.
“Signor conte!” esclamò Amelia con le lacrime agli occhi. Nei volti, prima tesi, insieme alla sorpresa e all’incredulità, iniziava a trapelare la gioia per la ricomparsa del conte Ristori. Il silenzio venne sostituito dal chiacchiericcio meravigliato sull’evento, e dalle diverse felicitazioni per il ritorno del padrone. Amelia non riusciva a smettere di piangere e nascondeva il viso nel grande fazzoletto, Fabrizio andò senza indugio dalla sua balia e l’abbracciò forte.
“Perdonate signor conte, è che sono troppo felice, abbiamo pregato molto per voi …” Elisa, finalmente sorridente, raggiunse il marito che cercava di consolare l’anziana nutrice, e lo baciò in mezzo alla sala, per dargli il suo personale ben tornato, in mezzo agli applausi generali.

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXV ***


Martino era tornato alla tenuta, con gli occhi ancora arrossati per il pianto, ma con le idee ormai chiare sul suo futuro: avrebbe lasciato il Piemonte. Ma prima aveva ancora una cosa della quale preoccuparsi: Emilia.
Il ragazzo se ne stava seduto su una poltrona del salotto adiacente alla sala da pranzo, quando la cugina entrò nella stanza.
“Emilia!” disse, alzandosi e andandole incontro. La ragazza porse entrambe le mani al cugino che le portò alla bocca e le baciò.
“Perdonami per come mi sono comportato oggi” si scusò, alludendo al fatto di averla abbandonata nella stanza di sua madre. La ragazza scosse la testa sorridendo:
“Non hai nulla da farti perdonare” disse accarezzandogli il viso, e avvicinandosi ulteriormente. In quel momento Cristiano entrò nella stanza. I due sussultarono, ed Emilia avvampò.
“Perdonatemi, ma la porta era aperta”.
“Sono io che devo scusarmi, per avervi messo in imbarazzo” rispose Martino, mentre Emilia continuava a tenere gli occhi rivolti verso il pavimento. Poco alla volta la situazione si distese e la conversazione continuò sempre più fluida, fino a quando fu annunciato il pranzo e i tre si diressero nella sala accanto, dove li aspettavano Elisa e Fabrizio.

La cena si svolse in un clima di tensione, e la presenza di Cristiano non aiutò certo la situazione.
 Martino non commentò la presenza del padre, ma i suoi gesti tradivano il fastidio per quella vicinanza. Emilia rimase in silenzio per tutta la durata del pasto, con gli occhi bassi sul piatto, alzandoli solamente per spiare le reazioni del cugino. Elisa e Fabrizio cercarono di mettere a proprio agio il principe loro ospite, cercando di far intervenire nelle diverse discussioni anche gli altri due giovani, ma con scarso successo.
Dopo cena, Martino cercò di capire le intenzioni del principe. In cuor suo il ragazzo sperava di poter partire dopo di lui, anche se sapeva che questo era ormai impossibile; impossibile quasi come il ritorno di Emilia in Francia. Dal canto suo, Cristiano sapeva di non poter trattenersi ancora a lungo in quella casa, ma non si arrendeva all’idea di lasciare la ragazza, e la soluzione gli era stata proposta proprio dallo stesso giovane conte Ristori, qualche giorno prima, durante una battuta di caccia. Quando la conversazione iniziò a venir meno fu lo stesso principe a riaprire l’argomento, sperando di poter guadagnare qualcosa da quel clima di tensione, che si era inspiegabilmente creato.
“Sapete una cosa conte Ristori? – iniziò il principe, che vedendo la faccia sorpresa del suo interlocutore continuò - Devo proprio ringraziarvi per avermi suggerito la villa Maffei, sembra molto accogliente, e la richiesta non è folle, anzi mi domando come mai una villa simile non sia ancora stata venduta, a quello che mi hanno raccontato, è disabitata da diversi anni” disse, sorseggiando del liquore che gli era stato portato.
“Conoscete già la storia della famiglia Maffei?” domandò ancora Martino.
“No, in realtà mi hanno solo riferito che il marchese fuggì in America dopo la morte della secondogenita”.
“Vi hanno raccontato il vero” tagliò corto il ragazzo, che non aveva nessuna intenzione di approfondire quella vicenda, e continuò:
“Tuttavia, il marchese era ancora così legato a queste terre che non aveva il coraggio di venderla”.
“E allora perché ha deciso di venderla ora?” domandò il principe curioso; ma Martino si oscurò, e fece per andarsene, vedendo entrare il padre con Elisa.
“Temo dovremo rimandare questa conversazione a un’altra volta, signor principe. Si è fatto tardi, e devo ancora rivedere i dettagli per la partenza di domani mattina” si scusò Martino, e si diresse verso il corridoio.

Emilia aveva trascorso la serata in camera della madre, tenendole compagnia. La febbre sempre presente, continuava a impensierire Antonio, che per sicurezza aveva preferito non farle vedere il piccolo, e la ragazza compensava questa mancanza con i suoi racconti e le sue descrizioni su quanto fosse bello il fratellino.  Il discorso sembrava dover continuare su Eugenio, quando Emilia fu sorpresa da una domanda della madre che aveva spostato la sua attenzione dal figlio minore, a quella maggiore.
“Il collegio di Saint Cyr? Mi manca molto, lo ammetto, ma ormai madre ho deciso. È vero, potrei imparare ancora molto a Parigi; ma credo che ormai la Francia diventerà un ricordo” iniziò la giovane. Anna la fissò in silenzio, incitandola a continuare con un cenno del capo.
“Ho già spedito una lettera alla madre badessa, dove la ringraziavo dell’ospitalità e delle grandi possibilità che mi hanno dato”.
“In tutto questo è forse coinvolto un ragazzo?” domandò la madre. Emilia avvampò imbarazzata, negando fermamente l’ipotesi della madre.
“Posso garantirvi che nessun ragazzo ha influenzato le mie decisioni – e un sorriso amaro le sfuggì ripensando alla richiesta di Martino, che la voleva ancora a Parigi - anche se, non vi nascondo, inizio a desiderare di avere una famiglia tutta mia”.
“Tesoro, sei ancora così giovane …” sorrise Anna, colpita dalle parole della figlia.
“Permettetemi, madre, ma voi alla mia età eravate già promessa …”
“Tesoro, quella promessa però non ha avuto i suoi frutti, o almeno non allora- rispose la madre, per poi continuare - non voglio che anche tu ti penta delle tue scelte” Emilia non rispose.
“Piuttosto, come ha preso Martino il ritorno di Fabrizio? Oggi è uscito come una furia dalla camera! Spero che si sia un po’ ripreso”.
“Purtroppo no madre - ammise la ragazza abbassando gli occhi- è arrabbiato, si sente tradito. E temo che presto riparta per l’accademia”.
“Emilia lo sapevi che tuo cugino è in licenza, e che prima o poi sarebbe dovuto tornare a Parigi!”
“Lo so, ma il ritorno dello zio ha fatto precipitare le cose. Dovevate vedere la situazione che si è creata a cena! Non si sono nemmeno parlati, se non a monosillabi”.
“Magari hanno bisogno di più tempo, è stato così inaspettato per tutti”.
Emilia annuì solamente.
“Emilia lo so quanto ti è caro Martino …” iniziò ancora la contessa, ma la ragazza aveva capito dove la madre volesse dirigere il discorso, in fondo era sotto gli occhi di tutti che loro due erano praticamente inseparabili e la precedette:
“Perdonatemi madre, si è fatto tardi, è meglio che io mi ritiri – poi, per mitigare la frase aggiunse - non è bene che una ragazza si attardi troppo”. Anna scosse la testa divertita, poi la congedò.

Emilia passò davanti alla camera del cugino, meravigliandosi della luce che filtrava dalla porta socchiusa. Esitò un momento, poi prese coraggio e bussò. Martino, immaginando che fosse Elisa, infastidito da quella visita fece finta di nulla e continuò a preparare le ultime cose per il viaggio. Emilia entrò nella stanza, insicura. La scena che le se presentò davanti agli occhi la fece sussultare: non era ancora pronta a separarsi dal cugino.
“Cosa stai facendo?” domandò allarmata, avvicinandosi al ragazzo e appoggiando la candela sullo scrittoio. Martino sussultò, ma continuò imperterrito nel suo lavoro.
“Non lo vedi? Parto, e sto facendo i bagagli!” rispose asciutto senza voltarsi. Non aveva il coraggio di guardare negli occhi la cugina.
“Ma non puoi! - cercò di convincerlo lei, ormai prossima alle lacrime - c’è ancora tempo …” continuò abbassando la voce. Martino scosse la testa e si voltò con un sorriso triste sul volto:
“Oggi o domani che differenza fa?” domandò stringendole le spalle.  Emilia si asciugò una lacrima, non riusciva a parlare, ormai scossa dai singhiozzi. Martino la strinse ancora una volta a sé, incapace a vederla soffrire così, a causa sua.
“Non mi lasciare” lo implorò la ragazza quando finalmente riuscì a calmarsi.
“Mi dispiace Emilia, non posso più restare. Lo capisci?” domandò staccando da sé la cugina e fissandola negli occhi. Lei scosse il capo, gli occhi arrossati dal pianto.
“Forse è meglio che tu ora vada” la incoraggiò Martino, avvicinandole una mano al viso per accarezzarla, ma Emilia, ferita si ritrasse, e seguendo il consiglio del cugino uscì dalla stanza, percorrendo sicura i pochi metri che la dividevano dalla sua camera. Chiusasi la porta alle spalle, appoggiò la schiena alla parete, scoppiando in lacrime. Presto le forze le vennero  meno e si lasciò cadere lungo la parete, abbracciandosi le ginocchia coperte dall’ampia gonna, si slacciò il bustino che le impediva di respirare e lo gettò per terra, accanto a lei, poi, sfinita, appoggiò la testa al muro e poco dopo cadde nell’incoscienza.

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXVI ***


Martino era rimasto lì, con la mano ancora a mezz’aria. Non si aspettava di certo una reazione simile! Forse le sue parole erano state dure, ma sperava che quella carezza, che Emilia aveva rifiutato, potesse farle capire i suoi veri sentimenti: avrebbe dato qualsiasi cosa per esaudire la richiesta della cugina, eppure la soluzione più semplice, il congedo, non compariva tra le varie possibilità, non tra quelle percorribili almeno. Si sentiva uno stupido, com’era possibile che riuscisse a far soffrire in quel modo la persona che amava più di tutte? Rimase immobile, in mezzo alla stanza, indeciso se andare dalla cugina, o allontanarsi da lei così, lasciandole una lettera. Fissò lo scrittoio e prese l’occorrente per scrivere, ma quel foglio bianco era diventato sempre più difficile da riempire, e la sua prima idea, in un primo momento tanto inattuabile appariva sempre più invitante. Dopo un tempo che gli parve infinito, ancora senza sapere bene cosa fare si diresse alla camera della cugina. La porta chiusa non lo fermò, provò a bussare, ma non ricevendo risposta, entrò. Cercò la cugina nel letto, probabilmente addormentata, ma così non fu, ispezionò la stanza , illuminata solo da un debole raggio di luna che filtrava dalle tende appena scostate. Poi la vide, rannicchiata vicino allo stipite della porta, e si intenerì a vederla assopita in quella posizione, poi la consapevolezza lo colpì come un pugno nello stomaco: era stato lui a costringerla in quello stato. Senza pensarci si accovacciò accanto a lei e la prese tra le braccia per adagiarla sul letto. Emilia sussultò a quel contatto, ma non si svegliò. Il ragazzo la pose delicatamente sul letto, e la cugina si allungò per trovare una posizione comoda. Nella sua ricerca, la spallina della sottoveste scivolò maliziosa, lasciando scoperta la pelle candida della spalla. Martino indugiò su quella visione prima di sistemarle il lenzuolo, in modo da coprirla sin sopra il seno, poi le posò un dolce bacio sulla fronte, cercando il coraggio di uscire da quella camera per non rientrarci più. A quel nuovo contatto, Emilia si svegliò.
“Martino …” mormorò ancora confusa.
“Perdonami non volevo svegliarti ma non potevo …” la ragazza mise un dito sulle labbra del cugino, che, assecondando la sua muta richiesta, s’interruppe.
“Ti prego Martino, se non sei venuto per dirmi che resti, allontanati ora, non sopporterei un nuovo addio” la sua voce tremava, colma di amore e paura.
 Il giovane conte non aveva bisogno di scuse per allontanarsi da quella camera, sarebbero bastate le convenzioni ad imporgli quel comportamento, ma non era quello il momento per seguire le convenzioni, e lui lo sapeva bene. Prese il viso della cugina, in modo che fosse obbligata a osservarlo.
“Emilia, se ti ascoltassi, ora dovrei uscire da quella porta, ma non sono venuto per andarmene senza parlarti, senza avere chiarito quello che prima è successo di là, non voglio che sia quello il nostro addio” così dicendo il ragazzo continuava ad accarezzare il volto della giovane che a quelle parole si strinse a lui. Istintivamente Martino ricambiò il gesto, posando piccoli baci prima sui capelli, e poi sulla fronte della ragazza. Dal canto suo Emilia intercettò le labbra del cugino, interrompendo il loro percorso sul suo viso con le proprie, sorprendendolo. Lo stupore non durò molto, incoraggiato dalla reazione della cugina, Martino continuò a baciarla, quasi per imprimersi nella memoria il sapore di quei momenti. Senza interrompere il bacio, Emilia scivolò tra i cuscini trascinando con sé il cugino. Ben presto i due si trovarono abbracciati vinti dall’unico desiderio di sentirsi nuovamente l’uno dell’altra. Le paure della notte precedente avevano lasciato posto a una danza senza tempo, se non quello del battito accelerato dei loro cuori. Nella mente di Emilia risuonarono le parole dell’ultima supplica che il Faust rivolgeva alla notte e ai suoi cavalli, ma subito le scacciò. Quella notte doveva essere solo per loro, e niente doveva intaccarla, nemmeno le paure per il giorno sempre più prossimo.

Oh Lente lente currite, noctis equi [1]

Martino si sorprese a pensare quella frase sentita chissà in quale occasione, o letta in chissà quale opera, eppure, in quel momento, il suo significato lo colpì in pieno, come solo la verità può fare. Quello era stato il loro addio, e ora lui avrebbe voluto che quella notte non avesse mai fine, che non fosse obbligato a lasciare la ragazza che si era addormentata stretta al suo petto. A quel pensiero, la strinse più a sé, quasi temesse una sua fuga. Ripensava alla domanda che gli aveva fatto, e a quella che lui non aveva avuto il coraggio di farle, quella che l’avrebbe legata a lui per sempre, e che avrebbe risolto il problema che lui stesso, in fondo, non aveva voluto risolvere.
“Martino?” aveva domandato lei con voce insicura.
“Sì?” fu la sua risposta mentre si alzava leggermente, per poterla osservare meglio.
“Svegliami domani, quando parti …”
“Emilia …” aveva mormorato ancora, dopo che la cugina aveva lasciato un dolce bacio sul collo prima di addormentarsi.

Era l’alba quando Emilia si svegliò. Il sole non era ancora sorto, e la ragazza si stiracchiò sorridente, prima di accorgersi che accanto a lei non c’era nessuno. Si alzò di scatto, coprendosi con la leggera vestaglia di seta, lasciando vagare lo sguardo nella camera, alla ricerca del cugino. La sua attenzione venne attirata da un piccolo biglietto caduto per terra. La ragazza lo raccolse e lesse le poche righe al suo interno. Senza pensarci due volte corse verso la camera del cugino, che trovò vuota. Nel silenzio del castello ancora addormentato, lo scalpiccio di zoccoli risuonò attraverso la finestra aperta, rinverdendo le speranze della giovane. Corse per i corridoi, fino alle scuderie chiamando il nome del ragazzo.
“Martino!” esclamò fermandosi sulla soglia guardando il cugino che le dava le spalle per salire a cavallo
“Emilia, torna dentro, ti prego”
“Non mi hai svegliata ...” continuò la ragazza, avvicinandosi.
“Credevo sarebbe stata la scelta migliore, volevo lasciarti come ricordo la notte scorsa” cercò di giustificarsi il ragazzo accarezzando il viso della giovane.
“È per questo che l’hai scritta?” domandò mostrando la lettera che il ragazzo le aveva lasciato. Il conte annuì.
“Quanto c’è di vero in quello che hai scritto?” ancora una volta le parole le erano uscite d’un fiato, ancora prima che se ne rendesse pienamente conto.
“Tutto, temo” rispose triste il cugino, voltandosi nuovamente verso il cavallo. Emilia lo trattenne per un braccio, facendo scivolare la sua mano su quella del cugino, ottenendo nuovamente la sua attenzione:
“Se è quello che vuoi vai. Ma ricorda, io sarò qui, ad aspettarti”. Martino sorrise e la baciò sulla fronte.
“Ora rientra, o prenderai freddo” la esortò il cugino prima di montare a cavallo e lasciare la tenuta. Emilia rimase immobile finché la figura del cugino sparì dalla sua vista, poi si chiuse in camera sua, decisa a rimanerci per tutto il giorno.
Per tutta la mattinata Emilia rimase distesa sul letto, lasciando semplicemente trascorrere il tempo. Sapeva che presto o tardi qualcuno sarebbe venuto a cercarla e che lei avrebbe dovuto rendere conto, ma non voleva ammettere quale fosse il vero motivo del suo comportamento. I suoi pensieri furono presto interrotti da qualcuno che bussò alla porta.
“Avanti” ordinò la marchesina tirandosi a sedere e sistemandosi la vestaglia, in modo da nascondere la camicia da notte che ancora indossava. Angelica entrò portando un vassoio contenente il pranzo.
“Perdonate signorina, ma non avete fatto colazione e avete anche saltato il pranzo, vostra zia mi ha ordinato di portarvi qualcosa. Sono tutti preoccupati per voi”
“Sto bene grazie, è che non mi sentivo …” iniziò la ragazza, interrompendosi bruscamente. La giovane serva capì l’imbarazzo dell’altra e cercò di rassicurarla.
“Signorina, non mi dovete alcuna giustificazione”.
“Grazie” rispose grata la marchesina
“Vostra madre ha chiesto di voi, se avete bisogno di aiuto per prepararvi chiamatemi, io devo andare da vostro fratello” continuò la ragazza appoggiando il vassoio sullo scrittoio.
“Come stanno?”
“Vostro fratello bene, è bravissimo, e vostra madre si sta riprendendo lentamente. Ho sentito il dottor Ceppi dire che questa mattina la febbre si è abbassata molto, e a volte non c’era proprio” la rassicurò nuovamente. Emilia la congedò, mangiò qualcosa che la ragazza le aveva portato e dopo essersi cambiata, fece una breve visita alla madre, temendo che questa potesse ritornare sull’argomento della sera precedente.







[1] Doctor Faust, Cristopher Marlowe

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXVII ***





Un paio di avvisi prima del capitolo: mi sono accorta che mancava un pezzo alla fine del capitolo scorso,  ora ho sistematoil tutto. Altra nota, non penso di riuscire a pubblicare durante queste vacanze, quindi inizio facendo gli auguri di Buon Natale a tutti quelli che seguono questa storia (in particolare a Dea Elisa che recensisce sempre, grazie!) e Buon anno a tutti. Dopo il 7 di Gennaio prometto di tornare a postare con regolarità. Vi lascio alla storia nica89





I giorni passavano lenti, ravvivati solo dai pianti del piccolo Eugenio e dai giochi di Agnese. La salute della contessa Ceppi era migliorata sensibilmente, e Antonio le concedeva anche brevi passeggiate nel parco, a condizione di evitare le ore più calde del giorno. Anna obbediva al marito, felice di poter stringere finalmente il loro piccolo tra le braccia. Cristiano si era trasferito con la sorella nella sua nuova villa, e spesso tornava a Rivombrosa per una visita alla marchesina, o con la scusa che la sorella desiderasse vedere la contessina Ristori. Elisa e Fabrizio non ostacolavano quelle frequentazioni tra i due giovani, anche se forse, un po’ troppo frequenti, e a volte accompagnavano la nipote a ricambiare la cortesia. Emilia però non aveva ancora accettato la partenza del cugino, e quando poteva, si limitava ad osservare passiva la vita degli altri. Solo il clavicembalo sembrava ridarle un po’ di colore.

Quel giorno la sua dama di compagnia aveva annunciato la visita di una grande amica della marchesina. Emilia si era preparata a riceverla sfoggiando una felicità della quale non era difficile dubitare.
“Rebecca, che piacere vederti” esclamò sincera abbracciando l’amica.
“Avevo paura ti fossi dimenticata di me! Non avevo più notizie da quando hai lasciato il collegio …” iniziò la ragazza. Emilia abbassò gli occhi.
“Hai ragione sono stata imperdonabile” mormorò con voce bassa, un po’ troppo triste per delle semplici scuse tra amiche. Rebecca fissò i suoi occhi smeraldo in quelli della marchesina.
“Emilia cosa è successo?” domandò.
“Nulla … - cercò di nascondere il suo malessere, portando il discorso da lei alla compagna - tu piuttosto sei così felice, hai qualcosa da raccontarmi?”
La giovane duchessa non riuscì a trattenere un enorme sorriso esclamando:
“Mi sono fidanzata!”
“Ma è magnifico!” esclamò Emilia sinceramente compiaciuta per l’amica.
“È per questo che sono qui, volevo consegnarti l’invito per la festa del fidanzamento ufficiale, ci saranno anche altre compagne, potrebbe quasi definirsi una riunione di vecchie amiche del collegio … ovviamente puoi portare un cavaliere, devi solo dirmi che accetterai, ti prego!”
“Rebecca!” esclamò sorpresa l’amica che non si ricordava della parlantina della ragazza.
“Emilia, ti sto solo invitando a un ballo …”
“Lo so, non è quello è che … - scoppiò a ridere ammettendo- mi sono mancati i vecchi tempi” Rebecca si unì alle risa dell’amica.
“Finalmente ti vedo sorridere! Devo però avvisarti che se porti tuo cugino rischi di rimanere senza cavaliere per gran parte della sera, diverse ragazze mi hanno già chiesto di lui …”
“Temo resteranno deluse dal sapere che è ripartito per l’accademia un mese fa...” si rabbuiò nuovamente la marchesina.
“Oh, perdonami, non sapevo …”
“Va tutto bene Rebecca, ti prego non scusarti ancora” la ragazza annuì e le due continuarono a chiacchierare. Quando la duchessina si congedò, Emilia si portò automaticamente al clavicembalo, lasciando che le sue dita creassero dolci melodie. Cristiano aveva accompagnato la sorella sino in camera di Agnese, uscendo la sua attenzione venne attratta dalla scia di note, che decise di seguire per scoprire chi fosse il creatore di quella musica. Spiò dal vetro della biblioteca, prima di entrare, ma la maniglia gli scivolò di mano, facendo sbattere la porta e rivelando così la sua presenza. Emilia si bloccò di colpo, voltandosi verso la porta ora chiusa.
“Perdonami Emilia, ti prego continua pure a suonare, sei bravissima.” Si scusò il principe. Emilia si alzò, forse un po’ troppo in fretta, e fu costretta a sorreggersi allo strumento. Il principe accorse in suo aiuto, offrendosi di accompagnarla a sedersi sul divanetto poco distante.
“Non devi preoccuparti Cristiano, è stato solo un capogiro, probabilmente il caldo …” si giustificò, accettando ugualmente il braccio che il ragazzo le porgeva. Sedendosi, però l’invito ricevuto le scivolò dalla manica. Cristiano lo raccolse e lo porse alla ragazza senza domande:
“Suppongo che questo sia tuo …”
“Sì, è un invito da parte della duchessina Roland, mi ha invitata alla festa per il suo fidanzamento” spiegò, senza che l’altro avesse chiesto spiegazioni. Cristiano annuì.
“Ma non credo che parteciperò” concluse seria.
“Come mai questa decisione, se mi è permesso?”
“Beh … primo non credo di essere dell’umore migliore per partecipare ad una festa, e poi mi mancherebbe il cavaliere, non sta bene che una giovane ragazza si presenti sola ad un ballo” cercò di giustificarsi.
“Se mi permetti, credo che una festa possa farti bene, e se non sono indiscreto, potrei accompagnarti io al ballo, senza alcuna pretesa, se non quella di permetterti di partecipare ai festeggiamenti in onore della tua amica” suggerì il principe. Emilia indugiò, ma Cristiano non le diede il tempo per rifiutare:
“Non ti fidi di me?” domandò.
“Certamente no! Non dubito di voi … forse, forse hai ragione, grazie!” sorrise
“So di avertelo già detto, ma sei ancora più bella quando sorridi” disse il ragazzo portandosi la mano di lei all’altezza delle labbra in un perfetto baciamano, prima di congedarsi.
Emilia continuava a fissarsi allo specchio, domandandosi il perché di tanti accorgimenti per un ballo – e soprattutto un cavaliere- al quale avrebbe rinunciato volentieri. Fissò nuovamente l’immagine pallida che lo specchio le rimandava: non era certa che quella fosse la cera migliore per una festa di fidanzamento. Si sistemò un’ultima forcina per fermare i capelli sulle tempie, e prese il piccolo ventaglio in avorio, giusto in tempo per sentire la voce di Cristiano chiedere di lei. La ragazza chiuse gli occhi, assalita da un senso di vertigine prima di alzarsi e uscire dalla camera, accompagnata da Angelica.
Cristiano accolse la sua dama con un inchino e uno sguardo adorante. Emilia arrossì quando i suoi occhi s’incrociarono con quelli del giovane dopo il baciamano.
“La carrozza ci aspetta, sarà meglio andare se non volete far aspettare la vostra amica” disse il principe dopo diversi complimenti, la ragazza annuì e presto i due salirono in carrozza alla volta della tenuta Roland. Durante il tragitto Emilia rimase in silenzio finché Cristiano non la destò dai suoi pensieri:
“Preferisci che ti riporti a palazzo?” domandò il principe.
“Perché mi fai questa domanda?” chiese lei sorpresa.
“Non saprei, è che ti vedo… strana, sei sicura di sentirti bene?”
“Sto bene grazie, è che stanotte non ho dormito molto” mentì la ragazza, sperando di essere credibile. Il principe annuì.
“Capisco, perdonami.” Emilia stava per ribattere ma la loro discussione fu interrotta dal valletto che aprì lo sportello della carrozza. Cristiano scese velocemente, porse la mano alla marchesina, e insieme si diressero all’interno del palazzo.
Il salone delle feste era stato preparato in ogni dettaglio. Enormi vasi di fiori erano stati sistemati nella sala, e l’orchestra suonava dolci melodie, alla luce di un grande lampadario di cristallo sormontato da decine di candele; le finestre aperte davano su un giardino all’italiana, illuminato per l’occasione. Emilia rimase molto colpita da quello spettacolo, completato dagli invitati che conversavano all’interno della sala in piccoli gruppetti. Appena Rebecca scorse l’amica corse a salutarla:
“Emilia, sono così felice di vederti! Temevo che ormai non saresti più venuta” esclamò abbracciando la marchesina.
“Non potevo mancare” sorrise l’altra sciogliendosi dall’abbraccio, riportandosi al braccio del principe per presentarlo, ma nuovamente la futura sposa fu più rapida.
“E lui è il tuo cavaliere” commentò, alludendo a una relazione più intima tra i due. La marchesina tentò di ridimensionare la situazione.
“Oh, sì lui è Cristiano –disse per poi correggersi- il ... principe di Montesanto” Cristiano sorrise divertito.
“È un onore per me conoscervi” la duchessina sorrise.
“Venite, voglio presentarvi il mio fidanzato. Forse tu Emilia te lo ricorderai, ma sono sicura che non vi siate mai presentati …” così dicendo trascinò la coppia dall’altra parte della sala, dove in un gruppetto di cavalieri un giovane stava discutendo con un gentiluomo. Rebecca si fece strada e trasse in disparte i due oratori, con grande delusione del piccolo pubblico presente.
“Perdonate l’interruzione padre, ma volevo presentare a voi e a Riccardo la mia amica Emilia Radicati, e il suo accompagnatore, il principe Cristiano di Montesanto” a quelle parole, il futuro sposo fissò con più attenzione l’altro giovane. I due rimasero in silenzio a osservarsi, finché Riccardo non domandò
“Perdonatemi, temo di non aver capito bene, voi siete il principe di Montesanto?”
“Sì sono io, perdonate la domanda, è forse possibile che io vi abbia già incontrato altrove?”
 Il gentiluomo sorrise incredulo:
“Cristiano non mi riconosci più? Sono Riccardo, il tuo vecchio amico, sono andato via da Venezia quando eravamo poco più che bambini ricordi?”.
“Riccardo! Non posso crederci!” esclamò il principe, coinvolto da quella nuova ondata di allegria, lasciando le due ragazze stupite.
“Perdonami Rebecca - iniziò il duca- ma devi sapere che Cristiano ed io eravamo molto amici, poi ci siamo persi di vista, è straordinario incontrarti nuovamente alla mia festa di fidanzamento, in Piemonte per di più!” terminò rivolto all’amico. Il gruppetto continuò a chiacchierare finchè il duca invitò la fidanzata ad aprire le danze, seguito da altre coppie, tra cui quella formata da Emilia e Cristiano. Poco dopo la ragazza si accostò all’orecchio del suo cavaliere sussurrandogli:
“Ti prego portami fuori, mi manca l’aria” Cristiano preoccupato le cinse delicatamente la vita, e l’accompagnò a sedersi sulla panchina più vicina. Il fresco della notte fece riprendere la marchesina, che poco dopo essersi seduta si sentiva già molto meglio. Cristiano l’osservava ancora preoccupato
“Emilia come ti senti?”
“Sto meglio, forse ho fatto stringere un po’ troppo il corsetto, o magari è stata colpa del fumo delle candele e di tutti quei fiori …” si giustificò la ragazza. Cristiano continuava a fissarla dubbioso. Emilia sorrise timida, abbassando la testa, e nel movimento una ciocca di capelli le scivolò dall’acconciatura. La ragazza alzò il volto sentendo la mano delicata del ragazzo spostarle i capelli dietro l’orecchio. I due si fissarono:
“Mi hai fatto spaventare, temevo che saresti svenuta da un momento all’altro” confessò il principe indugiando ancora sul volto della giovane. Emilia non sapeva cosa fare, sorpresa da quel contatto così intimo, accennò a un sorriso imbarazzato, che subito venne ricambiato dal ragazzo. La marchesina continuò a rimanere immobile fissando negli occhi il ragazzo. Cristiano le alzò ancora leggermente il volto verso di lui per arrivare più facilmente alle labbra di lei. Poco prima di baciarla, si ritrasse riaprendo gli occhi. Emilia lo fissò interrogativa.
“Ho fatto una promessa – iniziò il giovane abbozzando un sorriso, per poi continuare - non voglio tradire la tua fiducia”.  A quelle parole Emilia appoggiò le sue labbra su quelle del principe. Cristiano colse l’invito della marchesina, e rispose al bacio, imprigionando la nuca della ragazza con grazia.
Un alito di vento più freddo interruppe i due giovani, Emilia fissò il suo cavaliere, esitante.
“Sarà meglio rientrare, o la tua amica crederà che ti abbia rapita …” sorrise, cercando di distendere la situazione porgendole il braccio. La contessina accettò l’invito, ma contro le aspettative del principe chiese di essere riportata  a Rivombrosa. Il suo cavaliere non poté che assecondare quella richiesta, così, dopo essersi congedati dai promessi sposi i due salirono in carrozza. Durante il viaggio Emilia continuò ad evitare lo sguardo del ragazzo, fissando fuori dal finestrino, perdendosi tra i suoi pensieri e nell’oscurità della notte. Cristiano continuava a osservarla, poi scostò anch’egli la tendina per capire cosa avesse tanto attirato l’attenzione della giovane dama al suo fianco. Emilia sussultò e finalmente prestò attenzione al suo compagno di viaggio.
“Perdonami Emilia, non volevo spaventarti” finse di scusarsi celando un sorrisino di compiacimento, per poi continuare:
 “Eri così assorta, a cosa stavi pensando? Se non sono indiscreto” Emilia arrossì violentemente, e ringraziò che quell’oscurità la mascherava quasi completamente.
“Sono in pensiero per mio cugino … è da quando è partito che non ho più sue notizie” rispose, optando nel rivelare una mezza verità, certo non poteva ammettere di star ancora pensando alla loro ultima notte insieme, sarebbe stato troppo sconveniente. Cristiano accusò il colpo, ma si riprese rapidamente:
“In fondo nessuna notizia, è sempre meglio che qualche notizia cattiva; sono convinto che il conte Ristori è sano e salvo all’accademia …” affermò porgendosi in avanti a afferrando dolcemente la mano della marchesina. Ancora una volta la ragazza sussultò, per quel gesto così intimo, forse troppo, ma poteva veramente ritirarsi dopo averlo baciato?
“Ancora una volta non posso che darti ragione” rispose la ragazza con lo sguardo basso, cercano di respingere quei suoi stessi pensieri, ma perdendosi in essi ancora una volta.
“Principessa siamo arrivati” il principe le tese la mano per aiutarla a scendere, Emilia accettò l’aiuto e svelta si diresse verso l’entrata, ma prima di sparire nell’ombra si voltò
“Cristiano …” chiamò timida. Il principe che aveva continuato a seguirla con lo sguardo s’illuminò, e fece un passo avanti per raggiungerla, Emilia abbassò il capo, imbarazzata.
“Buona notte …” biascicò prima di scappare su per la grande scalinata.
“Buona notte” le rispose il principe vedendola sparire, e tornando poi sulla sua carrozza scuotendo la testa: il compito di conquistarla era più arduo di quanto avesse creduto, ma lui non era dell’idea di lasciare un tale fiore nelle mani di qualcun altro. Avrebbe trovato il modo di farla sua.

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXVIII ***


Un capitoletto per augurarvi un buon 2012, che sia migliore dell'anno appena passato, in qualunque modo voi abbiate passato il 2011. A dopo la Befana! nica








“Marchesina svegliatevi!” a quelle parole Emilia si rigirò nel letto, ma l’insistenza di Angelica la fece desistere.
“Perché mi hai svegliata? Che ore sono?” domandò assonnata.
“Perdonate marchesina, ma sono già le due del pomeriggio, e poi c’è il principe di Montesanto che chiede di voi …”
“Le due del pomeriggio? Credevo di essermi appena addormentata!” esclamò confusa appoggiando la fronte sul palmo della mano.
“Dovete essere rincasata tardi ieri notte, almeno vi siete divertita alla festa?”
“Sì è stata una bella festa, anche se non sono rincasata così tardi come pensi, anzi a essere sincera mi sono dovuta congedare dalla mia amica, ancora prima che la festa finisse”.
“Avete avuto nuovamente uno dei vostri malori?” chiese apprensiva la ragazza. Emilia annuì.
“Perché non vi fate visitare dal dottor Ceppi, sono sicura che lui saprebbe suggerirvi una cura per risolvere il vostro problema” propose. Emilia scosse la testa.
“Angelica, sono solo dei leggeri malori, non voglio dargli altre preoccupazioni. Quando mia madre si sarà ripresa, allora, se non saranno passati gliene parlerò” così dicendo si alzò dal letto, ma subito dovette aggrapparsi al baldacchino per non cadere. Angelica le fu subito accanto:
“Vi sentite poco bene?” domandò premurosa la cameriera.
“Non è nulla, solo un capogiro. Sto già meglio, davvero” la giovane la fissò intensamente. Emilia cercò ancora di rassicurarla, ma Angelica la costrinse a risedersi sul letto, e fece altrettanto.
“Marchesina voi siete sicura che questi malori siano dovuti solo al caldo e alla stanchezza?” domandò seria. La giovane la fissò perplessa.
“Spiegati meglio, non capisco cosa vuoi dire”.
“Perdonate l’ardire, ma …” s’interruppe, incerta su come continuare
“Ma?” domandò la marchesina, per spronarla.
“Siete stata di qualche uomo?” sussurrò ad occhi bassi la ragazza. Emilia rimase sorpresa da quella domanda.
“Perché me lo chiedi?”
“Perdonatemi ancora, ma tutti i vostri malori, i capogiri, se posso permettermi, sembrano quasi sintomi di una gravidanza”.
“Un bambino?” domandò con un filo di voce la giovane, portandosi istintivamente una mano sul ventre.
“Signorina, è soltanto una mia ipotesi, sicuramente mi sarò sbagliata …” Emilia le fece cenno con la mano di rimanere in silenzio
“Da quanto tempo è partito mio cugino?” le chiese con gli occhi bassi e la voce tremante.
“Sei settimane, all’incirca. Credete forse che …” ancora una volta Angelica non riuscì a finire la frase. Emilia trasse un profondo respiro.
“Sì, se veramente aspetto un bambino, beh ... questo è sicuramente figlio di Martino” ammise, prendendo dal vassoio qualcosa da mangiare, ma un conato di vomito la costrinse ad abbandonare il proposito e raggiungere velocemente la camera accanto, dove teneva il necessario per la toeletta del mattino. Quando la crisi fu passata, la ragazza si accasciò a terra in lacrime, sorretta dalla cameriera.
“Aspetto un figlio da Martino …” continuava a ripetere, ancora sconvolta da quella notizia.  Angelica cercava di calmarla, ma la marchesina iniziò a singhiozzare più forte.
“Non posso essere in attesa, non sono sposata, cosa dirà mia madre? E Martino? Non posso rovinargli la vita, lui deve avere la sua carriera, era così felice quando lo accettarono in accademia”.
“Vi prego signorina, calmatevi- continuava a ripeterle la cameriera, stringendola tra le braccia e accarezzandole i capelli prima di continuare - ci sono diverse soluzioni, se decidete di tenerlo, potete sempre ricorrere a un matrimonio riparatore, siete ancora agli inizi e la pancia non si vede, se vi sposate a breve vostro figlio nascerebbe all’interno del matrimonio. Vostro cugino potrebbe rimanere all’oscuro di tutto …” Emilia scosse la testa.
“E chi dovrei ingannare per salvare le apparenze?” domandò asciugandosi le lacrime, lasciando intendere la sua volontà a cercare una soluzione differente.
“Era solo una possibilità, ma prima di tutto, voi siete sicura di volere questo bambino?”
“Non lo so” ammise, in un soffio la ragazza abbassando gli occhi sul pavimento, per non incontrare lo sguardo della sua interlocutrice.
“Non vergognatevi, è normale essere impaurite e indecise all’inizio. Prendetevi qualche giorno per riflettere, poi fatemi sapere. Vi prometto che nulla uscirà da questa stanza, ma ora dovete rinfrescarvi il volto e prepararvi, il principe vi sta aspettando, e non credo possiate temporeggiare ancora per molto”. Emilia annuì e si fece aiutare dalla ragazza, per poi presentarsi nel salone dove il principe si era intrattenuto con i coniugi Ceppi. Quando la ragazza entrò, la madre le andò incontro abbracciandola. Emilia rimase sorpresa da quel comportamento, si avvicinò ai due uomini, scusandosi per il ritardo.
“Emilia, non dovete scusarvi” proferì il principe, porgendole poi la mano e invitandola a uscire nel parco. Incerta, la ragazza si volse verso la madre che annuì, incoraggiandola ad accettare l’invito e lo stesso fece Antonio.
Emilia seguì il principe in giardino. Cristiano camminava lento attraverso il basso labirinto del giardino all’italiana dando il braccio alla marchesina, che non poteva però ignorare il silenzio del giovane e la sua tensione mal celata dietro gli atteggiamenti del perfetto gentiluomo.
“Principe, vi vedo teso, è forse successo qualcosa?” domandò Emilia, per spezzare quell’innaturale atmosfera che si era creata.
“Nulla di spiacevole, Emilia. Questa mattina ho parlato con vostra madre …” Emilia sussultò.
“Non le avrete raccontato di ieri sera …” domandò preoccupata.
“Rilassatevi, se intendete il bacio, non ne ho fatto parola, ma abbiamo parlato di voi”.
“Di me?” chiese ancora la ragazza, senza afferrare pienamente il senso di quella conversazione.
“Dopo il bacio di ieri sera, ho capito che non posso più nascondervi i miei sentimenti, e speranzoso che anche voi nutriste, almeno una qualche affezione nei miei confronti, ho voluto presentarmi ufficialmente - il principe si era fermato e prendendo entrambe le mani della giovane, le si inginocchiò di fronte - Marchesina Emilia Radicati di Magliano, so bene che il nostro primo incontro non è stato propriamente convenzionale, e neppure particolarmente piacevole, ma spero di essere ,almeno in parte, riuscito a dimostrarvi ciò che sono realmente. Sposatemi, Emilia! Sposatemi e fatemi l’onore di diventare mia moglie”.
Emilia rimase in silenzio, sorpresa da quella dichiarazione tanto inaspettata, quanto sorprendentemente provvidenziale. Lo sguardo della ragazza vagava nel vuoto, finché non lo posò prima sulle loro mani unite, per poi alzarlo e incatenarsi con quello magnetico di Cristiano, che immobile attendeva una sua risposta.
“Cristiano io … - mormorò talmente piano, da temere di non essere stata udita - io sono molto onorata della vostra proposta – lo sguardo di Emilia si volse ancora altrove, cercando di nascondere le piccole lacrime che premevano per uscire - ma non posso accettare” così dicendo sciolse le sue mani da quelle del ragazzo, cercando di ricacciare indietro i singhiozzi. Cristiano si alzò, imponendosi davanti a lei.
“Io credevo …”
“Cristiano mi dispiace che il mio comportamento vi abbia illuso, non era mia intenzione, credetemi! Ma il mio cuore appartiene a un altro uomo, e non potrei essere felice con voi, e renderei infelice anche la vostra vita. Mi dispiace … ma non posso. Non posso proprio” così dicendo, lasciò il ragazzo in mezzo al cortile, scappando in camera. Sfortunatamente per lei, la strada più veloce per raggiungerla era passare dalla biblioteca, dove Antonio e sua madre stavano aspettando la coppia. Senza riflettere, su ciò, Emilia spalancò la portafinestra ed entrò; la madre cercò di bloccarla, per farsi raccontare ciò che era successo.
“Vi prego madre, ho bisogno di rimanere da sola” così dicendo scappò via.
“Ma tesoro …” cercò di trattenerla ancora la contessa, che fu bloccata dal marito:
“Anna ormai non è più una bambina, ed è perfettamente in grado di prendere decisioni autonomamente, credo che sia meglio andare dal pretendente rifiutato”.
“Tu dici?” domandò incerta la contessa. Antonio l’abbracciò stretta confessandole:
“Non so perché ma non penso che quel principe fosse il tipo di uomo adatto a lei.”
Emilia si alzò dal grande letto, dove aveva sfogato tutti i suoi sentimenti, e cercò di rilassarsi. Quando un nuovo capogiro la colpì, si rimise seduta, portandosi una mano sul ventre: tutte quelle emozioni non le avevano di sicuro fatto bene, doveva cercare di rimanere lucida, per lei e soprattutto per quel bambino, che sempre più prepotentemente, dava prova di esistere. Ripensò a quello che era appena successo. Non riusciva ancora a credere di come a volte il destino, o la provvidenza, potessero favorire tanto un individuo, e gettarlo nella disperazione un momento dopo: era stata ad un passo dall’accettare quel matrimonio, ma all’ultimo una voce dentro di lei le aveva urlato di rifiutare. Senza alcuna spiegazione le si era proiettata davanti la vita di sua madre, prima di risposarsi con Antonio, e le sue lacrime, diversi anni prima, quando si era chiusa in quella stessa camera, a Rivombrosa per sfuggire al marito. Cercò di ricacciare lontano quei ricordi; lei non avrebbe accettato un matrimonio con un uomo che non amava. Ma ora che quell’unica possibilità di nascondere un figlio illegittimo si andava affievolendo, mille insicurezze si facevano largo in lei. Solo di una cosa era sicura: avrebbe lottato per tenere con sé quella vita che stava crescendo, anche a costo di dover crescere suo figlio da sola. Se necessario, sarebbe partita, magari alla volta dell’America, oppure in Inghilterra, lontano da tutti, lontano soprattutto da lui, da Martino. Martino … com’era possibile che non si fosse ancora rassegnata al suo silenzio, perché si ostinava ad aspettarlo? In fondo lui aveva scelto la sua carriera militare, ponendola davanti al loro amore … ma quelle scuse non soddisfavano nemmeno lei stessa; era stata lei a rifiutare il suo invito a seguirlo, la paura l’aveva bloccata, impedendole di essere felice, e forse era meglio così. Suo cugino avrebbe mantenuto la sua promessa e non avrebbe dovuto rinunciare a nulla per lei.

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXIX ***


Parigi, accademia militare.

Martino era davanti ad alcune giovani reclute, con la spada sguainata, sfidandoli ad attaccarlo. Solo una testa calda ebbe il coraggio necessario per accettare la sfida, ma la sua inesperienza contro la classe del conte italiano non aveva la minima possibilità, e dopo un paio di colpi il malcapitato si trovò disarmato, con la lama puntata alla gola.
“Come vi chiamate soldato?” gli domandò Martino.
“François, signore!” esclamò l’altro. Martino tolse la minaccia dalla gola del malcapitato e gli permise di alzarsi.
“Noto con piacere che siete stato l’unico ad avere l’ardire di accettare la sfida. Molto bene. Tuttavia, mai sottovalutare l’avversario. Ma soprattutto, mai avere la certezza di essergli superiore. Torna dagli altri. E per voi alcune cose da ricordare: oggi siete rimasti a guardare. Non sempre potrete avere questa scelta. La carriera militare non è per tutti, solo pochi possono aspirare all’uscire vivi da una battaglia. Un esercito ha bisogno di soldati forti e valorosi, ma ogni soldato deve sempre tenere a mente tre cose: disciplina, lealtà e coraggio. Questo fanno di voi un soldato, non la divisa e un’arma”.
“Conte Ristori!” una voce lo distrasse dal suo discorso, inconsapevolmente così simile a quello fatto dal padre diversi anni prima.
“Signore”.
“Siete molto esigente, non credete che quelle nuove leve possano dileguarsi se continuate a trattarle così?”
“Perdonatemi, io credevo che fosse più saggio prepararli ora, piuttosto che lo scoprissero da soli, magari nel momento meno opportuno …” rispose seguendo l’invito dell’uomo a raggiungere una zona del parco più isolata.
“Voi Ristori, siete tutti uguali, sempre severi con gli altri e intransigenti con voi stessi. Oggi mi è sembrato di rivedere vostro padre, il conte Fabrizio …” Martino distolse lo sguardo dal suo interlocutore.
“Perdonate signore, ma è un argomento ancora molto delicato. Forse prima dell’ultimo ritorno a Rivombrosa, avrei ritenuto un onore essere paragonato a lui, ma ora non ne sono più così sicuro” ammise, con lo sguardo basso.
“Conte ristori, quello che mi avete confessato è molto grave. Non so cosa vi abbia portato a un cambiamento tanto radicale, ma ricordatevi che ogni eroe, è pur sempre un uomo, con la sua storia e i suoi errori “.
“Capisco, e vi prometto di riflettere sulle vostre parole, ma perdonatemi, vorrei rimanere un po’ solo, se non vi dispiace”.
“Un’ultima cosa, poi vi lascio ai vostri pensieri. Per la cerimonia della promozione: non ho ancora ricevuto il numero di posti a sedere che vuole riservare ai suoi familiari. Forse non vi saranno ancora arrivate le risposte ai vostri inviti, ma immagino che avrete già un’idea”.
“Nessuno”
“Nessuno?” domandò sorpreso l’uomo.
“Vi garantisco, signore, che è meglio così”.
“Vedo che non volete parlarne, francamente la vostra amarezza mi sorprende, eravate orgoglioso di questa promozione …”
“Vi prego signore, sono ancora onorato di questo, ma desidero veramente non rientrare sull’argomento” lo interruppe nuovamente Martino.
“Capisco, e cosa ne pensate di occuparvi delle nuove reclute? Avete tutte le qualità per svolgere un tale incarico in maniera eccellente”. Martino rimase sorpreso dalla proposta.
“Non saprei cosa rispondervi, in questo momento sono combattuto …”
“Comprendo che non vi aspettavate una proposta del genere, vi lascerò del tempo per pensare, anzi sarete voi a darmi una risposta quando più vi sentirete pronto per farlo. Se non è troppo, vi chiederei di poterlo sapere almeno con un minimo di preavviso rispetto alla cerimonia”.
“Lo farò signore”. Così dicendo si avviò verso l’accademia.

Emilia aveva iniziato a fare i bagagli, quando un lieve bussare interruppe il suo lavoro.
“Avanti” rispose meccanicamente, mentre, spaventata, cercò di nascondere l’evidenza, ma la fretta e l’ansia la tradirono, facendole urtare il baule, che cadde a terra con un tonfo ben udibile.
“È permesso?” domandò Elisa aprendo la porta.
“Sì, certamente, entra pure” balbettò la ragazza, cercando di nascondere il baule, e alcuni vestiti, ancora sul pavimento.
“Tua madre ti sta aspettando per il tè - iniziò, ma notando la confusione della ragazza, e il disordine della stanza s’insospettì – Emilia che succede?” a quelle parole la giovane non riuscì più a fingere, e scoppiò in lacrime.
“Elisa, io non posso più restare qui” ammise, tra un singhiozzo e l’altro. La contessa la strinse a sé, cercando di calmarla.
“Tesoro cosa stai dicendo?” domandò.
“Devo andarmene da Rivombrosa.” Riprese la marchesina, cercando di ridurre i singhiozzi che ancora la scuotevano.
“Non dirai così solo perché hai rifiutato il tuo pretendente” riprese Elisa, sorridendo alla volta della nipote, che arrossì violentemente.
“Come fai a saperlo?” domandò confusa e imbarazzata.
“Beh … diciamo che ho incontrato Cristiano che lasciava la tenuta, e non aveva l’aria di uno che presto avrebbe messo una vera al dito della donna che ama. Così ho chiesto a tua madre”.
“Chissà che scandalo starà già uscendo!” disse sconsolata coprendosi il volto con entrambe le mani. Elisa gliele prese tra le sue.
“Emilia, non hai niente di cui vergognarti … in fondo voi non eravate fidanzati, e tu hai solo seguito il tuo cuore. Non l’hai mica lasciato all’altare. Hai respinto un pretendente. Non c’è nulla di scandaloso in questo, certo un tuo repentino allontanamento da Rivombrosa, dopo ciò, allora forse sì che potrebbe dare adito alle dicerie … ma da quando tu sei così preoccupata di che cosa pensi la gente di te? Hai sempre avuto un comportamento impeccabile, sia nelle tue apparizioni pubbliche che qui in casa, non hai nulla da temere …” mentre la zia cercava di tranquillizzarla, la ragazza scuoteva la testa.
“Quanto vorrei che fosse vero … ma c’è una cosa che non sai - sussurrò la ragazza abbassando lo sguardo - aspetto un figlio” mormorò, con un filo di voce, appena udibile.
“Un figlio?” domandò incredula Elisa.
“Elisa, ti prego, aiutami! Non so cosa devo fare, io questo bambino lo voglio, ma ho paura …” iniziò la ragazza cercando di non ricominciare a piangere.
“Shhh, tesoro, calmati, cerca di calmarti, mi hai sorpresa, ma ti starò vicina, te lo prometto.” Emilia in uno slancio abbracciò la zia che la strinse a sé.
“Grazie, grazie” continuava a ripetere la ragazza, finché la donna non la staccò leggermente da sé domandandole:
“So che è una domanda delicata, ma … chi è il padre?”
“Martino” ammise, ancora una volta con gli occhi bassi. Elisa incassò il colpo, senza ribattere.
“Lo so che è stato stupido, ma io lo amavo, non credevo che potesse succedere …”
“Cosa è stato stupido? - domandò Elisa - aspettare un figlio da lui?”
“No, sono certa che lui sarebbe un padre perfetto per il mio bambino …” cercò di giustificarsi Emilia.
“Ma?” domandò Elisa, intuendo la velata conseguenza che quella frase non terminata portava con sé.
“Ma non sarebbe giusto, lui deve inseguire i suoi sogni, a Parigi. La sua carriera militare lo aspetta”.
“È stato lui a dirti queste cose?”
“No, lui non sa ancora nulla. Ho appena scoperto di attendere questo figlio. È  stata Angelica a suggerirmi questa possibilità, soprattutto dopo alcuni malesseri che ho provato in questi ultimi giorni”. Spiegò ancora la ragazza.
“Ne hai parlato con Antonio? Lui potrebbe aiutarti” suggerì la contessa.
“Scusami zia, ma non credo che parlare di una mia possibile gravidanza, oltretutto al di fuori del matrimonio, col marito di mia madre sia un’idea saggia.”
“Hai ragione, ma Antonio è pur sempre un medico ...”
“Elisa, non ho più bisogno di certezze. Ho quelle necessarie: aspetto un figlio da Martino, e non posso più rimanere qui a Rivombrosa”.
“E dove vorresti andare, per esempio” la sfidò Elisa, vedendo che la sicurezza della nipote era in realtà solo una finzione.
“Lontano da qui”.
“E a Martino non pensi?”
“Lui non deve sapere. E poi non mi sembra che lui abbia pensato molto prima di ripartire per Parigi”.
“Così sei ingiusta Emilia, sai bene che lui ti aveva chiesto di seguirlo”.
“Ma come …” iniziò la marchesina.
“In realtà non è importante sapere come io sia venuta a conoscenza di questo particolare, non ora almeno. Prima rispondi alla mia domanda: sei sicura che tuo cugino, il padre di tuo figlio, non debba conoscere la verità? E se tra qualche anno questo piccolo ti chiedesse di lui tu cosa gli risponderesti? Cosa accadrebbe se lo venisse a sapere, magari come Martino ha scoperto il ritorno di Fabrizio?”
“Questo non accadrà” ribatté decisa la ragazza.
“Perché non vuoi darti una possibilità, Martino non è partito per causa tua. Sono certa che ti ascolterebbe.”
“E allora perché non ha mai risposto alle mie lettere?”
“Non lo so, forse aveva paura di riallacciare i rapporti con la sua famiglia. O forse temeva di soffrire. Ma non puoi tenerlo all’oscuro di tutto”.
“Elisa, non posso certo presentarmi a Parigi e dirgli che aspetto suo figlio!”
“Perché no?” domandò la contessa, cercando nuovamente di far ragionare la nipote.
“Perché lui rinuncerebbe ai suoi sogni per me, e prima o poi lo rimpiangerà. Non voglio essere la causa della sua infelicità”. Rispose ancora la ragazza.
“Hai pensato come potrebbe reagire Martino sapendo che hai lasciato Rivombrosa?”
“Soffrirà – ammise la marchesina – ma prima o poi riuscirà a dimenticarmi”.
“E tu riusciresti a vivere senza di lui, con un figlio che ti ricorderà sempre a cosa hai voluto rinunciare?” Emilia rimase in silenzio per qualche minuto.
“Hai ragione Elisa. Devo confessargli tutto …” ammise finalmente, Elisa tirò un sospiro di sollievo:
“Bene, quindi ora che hai una meta potresti anche tirare fuori il baule che hai tentato di nascondere sotto il letto, e riempirlo con alcuni vestiti … magari con questi” la prese in giro la zia, chinandosi a raccogliere alcuni indumenti della ragazza. Emilia arrossì.
“Elisa … tu e lo zio mi accompagnereste a Parigi? Non credo che riuscirei ad affrontare da sola quel viaggio …”
“Certo tesoro, ma prima dovresti avvisare tua madre, e darmi il tempo di preparare i bagagli per me e per tuo zio. Emilia ringraziò la contessa, facendosi promettere ancora una volta che non avrebbe rivelato nulla di quella conversazione a nessuno.

“Emilia non capisco il perché vuoi partire proprio ora” iniziò Anna, dopo che la figlia le aveva comunicato davanti a tutti i commensali di voler tornare a Parigi.
“Vi prego madre, ho bisogno di cambiare aria, soprattutto ora che ho rifiutato Cris … il principe di Montesanto - si corresse la ragazza, per poi aggiungere -zia Elisa e zio Fabrizio potrebbero accompagnarmi”.
“Emilia non puoi chiedere a loro di accompagnarti e poi lasciarti al collegio, e farli tornare a Rivombrosa, non mi sembra il caso. E poi non eri tu quella che voleva restare a Rivombrosa?”
“Ma madre …”
“Anna, per noi non sarebbe un disturbo, anzi potremmo approfittarne per rimanere qualche giorno a Parigi …” spiegò Elisa. La contessa Ceppi parve rifletterci sopra.
“E quando avresti intenzione di partire signorina?” domandò rivolta alla figlia.
“Anche domani se possibile” ammise la ragazza. La madre la fulminò con lo sguardo, per poi passare alla cognata e al fratello.
“E voi non avete nulla da obiettare?”
“Madre vi prego, sono io che ho chiesto loro di accompagnarmi” la interruppe la ragazza.
“L’ultima volta che sei partita per poco non è successa una catastrofe, come puoi chiedermi con tanta leggerezza di partire nuovamente?”
“Anna, lei non ha colpe di quello che è successo l’ultima volta” cercò di farla ragionare Antonio, vedendo la ragazza rabbuiarsi.
“E va bene, puoi tornare a Parigi” dichiarò sconfitta la contessa. Emilia le si gettò fra le braccia, ringraziandola senza sosta.

La carrozza procedeva al piccolo trotto. Dopo alcune ore di viaggio, Elisa propose una sosta, ma la ragazza rifiutò decisa.
“Emilia non devi stancarti nelle tue condizioni. Soprattutto in questo periodo”.
“Elisa ha ragione. Non puoi pretendere di viaggiare tutto il giorno senza riposarti” cercò di farla ragionare Fabrizio. Emilia scosse il capo e riprese a guardare fuori dal finestrino. Elisa approfittò della distrazione della nipote per stringersi nell’abbraccio del marito, godendo di quel piccolo momento privato.
“E se non mi volesse vedere?” domandò improvvisamente la ragazza, trovando assolutamente stupido il piano che qualche giorno prima le era sembrato perfetto.
“Non credo che rifiuterà di vederti. Ma forse ora è un po’ tardi per farsi sorgere dei dubbi non trovi?” cercò di rassicurarla Elisa, posandole una mano sulla spalla.
la ragazza sorrise, e portandosi una mano sul ventre domandò:
“Quanto manca?”
“Siamo quasi arrivati a una locanda non molto lontano dall’accademia. Vediamo se riusciamo a trovare una stanza, così ti puoi riposare e domani mattina potresti già andare a trovare tuo cugino”. La rassicurò Fabrizio, offrendole sempre la possibilità di una sosta, che la ragazza rifiutò caparbiamente. Elisa tentò di trattenere un lieve sorriso, mentre Fabrizio dava ordini al cocchiere di imboccare una stradina secondaria, che portava ad una piccola locanda. Mentre il conte contrattava con l’oste un posto per dormire, Emilia chiese spiegazioni di quel sorrisetto alla zia.
“Non è nulla … è che sia tu che Martino siete così testardi quando vi impuntate su ciò che volete, che ho quasi paura di immaginare il carattere di quel piccolino. Temo non avrete vita facile … soprattutto tra qualche anno!” Emilia arrossì, come ogni volta che si alludeva al suo bambino. In quel momento Fabrizio interruppe il loro discorso tra donne, annunciando di essere riuscito a trovare due stanze adiacenti, adatte alle loro esigenze, ed esortando le due a scendere. Elisa accettò di buon grado di uscire da quella carrozza, ma Emilia ancora una volta espresse il desiderio di andare subito dal cugino.
“Se te la senti di proseguire ancora non ci sono problemi. Vuoi essere accompagnata?” si offrì Fabrizio, mentre Elisa controllava che tutti i bauli venissero portati all’interno.
“No, grazie. Devo andare da sola. Non starò via a lungo. E se accadesse vi farei avvertire”.
“Va bene, allora buona fortuna”.

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Capitolo 40
*** Capitolo XL ***







Quando Emilia scese dalla carrozza, di fronte all’imponente entrata, diversi occhi si posarono su di lei. Per tutta risposta, la ragazza si strinse maggiormente nel mantello da viaggio, quasi a nascondersi e, a capo basso percorse la scalinata principale. All’interno cercò ancora una volta il cugino, che però non sembrava presente. Incerta sul da farsi cercò qualcuno a cui chiedere.

“Mi scusi signore, sto cercando il conte Ristori, sapete dirmi dove posso trovarlo?” domandò timidamente a un capitano dall’aria seria.
“Sono spiacente signorina, ma non sono concesse visite a quest’ora” fu la risposta dell’uomo.
“Ma sono sua cugina. Ho bisogno di parlare col conte Martino Ristori, è importante”ribatté Emilia alzando la voce, attirando su di sé l’attenzione di alcune giovani reclute che la guardarono, prima di allontanarsi velocemente, per poter assistere a quel divertente diversivo, senza però incappare nell’ira del capitano, un tipo piuttosto imprevedibile.
“Non mi interessa chi voi siate, non si ricevono visite dopo le cinque del pomeriggio. Queste sono le regole, e tali regole sono valevoli che voi siate la regina di Francia o la nuova ragazza della sala da gioco di Parigi, e ora andatevene”. Così dicendo, e senza troppi complimenti, l’accompagnò fino alla porta principale, per poi tornarsene ai suoi impegni. La ragazza, offesa e smarrita, era rimasta immobile a fissare la porta davanti a sé, con le lacrime agli occhi, lottando contro sé stessa per non scoppiare a piangere e dare ancora più spettacolo di quanto non avesse già fatto. Si era quasi data per vinta, quando un ragazzo l’avvicinò.
“Signorina, ho sentito che stavate cercando il conte Ristori”.
“Lo conoscete?”
“Non intimamente, ma se volete posso accompagnarvi da lui, anche se in questi giorni rimane spesso chiuso nella sua camera, senza far avvicinare nessuno”.
“Ve ne sarei grata, signor …” iniziò Emilia, rendendosi conto di non conoscere il nome del suo interlocutore.
“Chiamatemi semplicemente François, signorina Ristori” le rispose il giovane esibendosi in un baciamano piuttosto singolare, che strappò un sorriso alla ragazza. Durante il breve tragitto il ragazzo le raccontò di come aveva conosciuto il conte, e di come lo ammirasse. La marchesina rimase in silenzio per tutto il tempo, incerta se seguire quello strano giovane, o scapparne a gambe levate, ma prima che riuscisse a porre fine a quel suo dissidio interiore, il ragazzo si fermò davanti ad una porta, anonima come tutte le altre, alla quale bussò, solo dopo aver fatto promettere alla ragazza di attendere di essere annunciata.
Martino non rispose, rimanendo immobile alla finestra, osservando il grande parco. La giovane recluta non si arrese, e dopo aver bussato nuovamente, aprì la porta.
“Perdonate signore, ma avete visite.”
“François, avevo chiesto di non essere disturbato, e soprattutto pensate che non sappia che l’orario delle visite è già scaduto?- domandò seccato- di solito non utilizzate tali sotterfugi per venirmi a parlare, e vi sarei grato che quantomeno aspettasse un mio ordine prima di entrare” lo rimproverò prima di voltarsi verso di lui, rivelando tutto il suo disappunto per l’agire del ragazzo. Ma il suo voltò mutò presto espressione, vedendo alle spalle del ragazzo sua cugina. Emilia non resistette oltre e gli corse incontro. Martino la sollevò da terra e le fece fare un giro completo prima di riadagiarla al suolo, stringerla a sé, e ricoprire il suo volto di baci, fino a baciarle le labbra.
“Emilia, quanto mi sei mancata! Sono stato uno stupido!” esclamò sulle sue labbra prima di baciarla nuovamente. Ma il loro idillio venne interrotto prima da alcuni colpi di tosse del giovane spettatore, poi, da un improvviso mancamento di Emilia.
“François, aiutami ti prego. Toglile il mantello, sistema quei cuscini sulla spalliera del letto, e vai a chiamare il medico di guardia”. Il giovane eseguì i comandi, e presto Emilia si trovò semi-sdraiata sul letto, col corpetto slacciato, in modo che potesse prendere aria più agevolmente. Quando, poco dopo, il medico apparve nella stanza, Emilia aveva appena ripreso conoscenza.
“Martino, devo avvertire Elisa. È alla locanda poco distante dall’accademia, insieme a Fabrizio …  so che non lo vuoi vedere, ma ti spiegherò tutto più tardi”. Iniziò la ragazza.
“Non ti preoccupare, me ne occupo io” la rassicurò il ragazzo, prima che il medico lo facesse uscire dalla stanza, per poter visitare la ragazza.
 Martino prese dal cassetto l’occorrente per scrivere un biglietto alla madre. Quando ebbe finito di scrivere quelle poche righe, che gli costarono un notevole sforzo, chiese a un ufficiale di recapitare la lettera. E lui rimase di fronte alla sua camera, in compagnia della giovane recluta, che cercava di rassicurarlo.
“Non ero così preoccupato, nemmeno quando nacque mio cugino!” sbottò il conte italiano, continuando a misurare con grandi passi il corridoio.
“Ma avete visto anche voi che si è ripresa” gli fece osservare l’altro.
“Sì ma il medico è ancora con lei in quella stanza, e la cosa sta iniziando ad innervosirmi.”
“Se siete così agitato ora, non vorrei starvi vicino quando darà alla luce un vostro erede, signore” cercò di sdrammatizzare. Martino lo fulminò con lo sguardo.
“François, cosa state dicendo?” domandò severo.
“Perdonatemi, ma dal momento che siete promessi, credevo che, dopo il vostro matrimonio …” balbettò in cerca di una scusa.
“Non siamo promessi” si lasciò sfuggire il conte, ma la conversazione tra i due venne interrotta dalla porta che si aprì dalla quale uscì il medico.
“Dottore come sta?” domandò Martino, impedendogli quasi di varcare l’uscio.
“Non posso dirvi molto. È stata vostra cugina stessa a impedirmi di parlarvi più del necessario. Ma non preoccupatevi, sta bene. È molto debole a causa del lungo viaggio e ha bisogno di riposarsi. Se posso permettermi sconsiglierei di farla agitare e sarebbe prudente anche ridurre i viaggi in carrozza. Se la ragazza se la sentisse, delle passeggiate all’aria aperta potrebbero aiutare, ma badate sempre che non si stanchi troppo, e niente emozioni violente, se potete evitargliele. Più di questo non posso dirvi.”
“Grazie dottore, posso entrare?”
“Sarebbe meglio aspettare che si sia assopita. Ho già spiegato anche a lei l’importanza del riposare.”
“Ho capito dottore, vi ringrazio”. L’uomo non fece neppure in tempo ad allontanarsi che il giovane conte entrò nella sua camera.
Martino si chiuse la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile; gli sembrava così strano rivivere quel momento, ma almeno per una volta non era andato dalla cugina per scusarsi, non di una litigata per lo meno. Emilia era distesa sotto le coperte, la testa rivolta verso la porta, il cugino le si avvicinò e si sedette su una poltrona vicino al letto.  Continuava ad osservare la ragazza addormentata: in tutto quel tempo trascorso separati aveva dimenticato quanto fosse bella: i capelli scuri, leggermente arruffati contrastavano con la pelle di porcellana, forse un po’ troppo chiara per una ragazza nel pieno delle forze. Senza pensarci il ragazzo sfiorò delicatamente i tratti del volto della cugina, lei si mosse appena, troppo stanca per svegliarsi. Il giovane conte ritirò la mano, temendo di averla disturbata, ma notando il suo respiro profondo e regolare si tranquillizzò e continuò ad osservarla dormire, immaginando il loro futuro insieme, finché non cadde, a sua volta, addormentato sulla poltrona.
Il mattino seguente alcuni raggi del sole colpirono proprio il volto del futuro sottoufficiale, che infastidito da quel brusco risveglio, si stiracchiò sulla poltrona, massaggiandosi il collo indolenzito, a causa dello scomodo letto. Il broncio del ragazzo durò poco: infatti, non appena vide davanti a lui gli occhi castani della cugina, un dolce sorriso gli affiorò sulle labbra.
“Perdonami, ti ho rubato il letto …” lo salutò la ragazza, facendo forza sulle braccia per portarsi a sedere.
“Non devi scusarti, Emilia … e poi un vero soldato è abituato a difficoltà ben peggiori, di una bella fanciulla che gli sottrae il letto …” sorrise, facendo arrossire la cugina, per poi ridiventare serio:
“Tu piuttosto come ti senti?”
“Meglio, grazie … ma devo parlarti, è importante …” iniziò Emilia, prendendo per una mano il cugino e invitandolo a sedersi vicino a lei sul letto.
“Anch’io devo dirti una cosa importante … - iniziò un po’ impacciato, cercando di fissare la ragazza negli occhi - in realtà è più una richiesta …”continuò, ma la cugina lo interruppe di nuovo.
“Davvero?” domandò con voce insicura.
“Non preoccuparti, non è nulla di così terribile … almeno spero – cercò di alleggerire la tensione che era calata – Per prima cosa perdonami, non avrei mai dovuto lasciarti. Mi sembrava di impazzire, ma allo stesso tempo avevo paura di scriverti, paura di farti soffrire – si allontanò dal letto e tirò fuori dal cassettino di uno scrittoio alcuni fogli, accuratamente ripiegati e tenuti insieme da un nastro di stoffa, che consegnò alla ragazza-  sono tutte le lettere che mi hai scritto in questi due mesi. Vivevo nell’attesa di ricevere tue notizie, e ogni giorno che passava senza ricevere posta da Rivombrosa, mi maledicevo per non averti scritto a mia volta. Temevo che tu ti fossi stancata di mandarmi tue notizie senza mai riceverne di mie.  Ogni volta che tentavo di scriverti, mi accorgevo di non avere risposte per le domande che mi ponevi, così abbandonavo i miei propositi e speravo che tu non facessi altrettanto. Ora ho finalmente capito cosa desidero veramente; ma ho bisogno che sia tu a rispondermi …” così dicendo riprese le mani della ragazza tra le sue, e face per inginocchiarsi, ma Emilia le ritirò, impedendogli di terminare la sua domanda.
“Martino, ti prego perdonami, ma non pormi quella domanda, almeno non prima di sapere tutta la storia, voglio essere sincera con te, e non voglio che tu possa un giorno pentirti di non aver saputo la verità prima di scegliere la tua vita”. Il ragazzo la fissò senza capire il ragionamento che la giovane stava tentando di spiegare:
“ Una volta che saprai tutto, allora, sarai libero di pormi qualunque richiesta tu voglia, ma non prima”.  
“Emilia non capisco …” ammise il ragazzo. La marchesina prese un profondo respiro prima di iniziare a parlare, cercando di scegliere le parole più adatte.
“Vedi Martino … ti ho fermato, perché in realtà, ho già ricevuto quel tipo di proposta … - gli occhi del cugino sembrarono diventare di ghiaccio a quell’affermazione, il suo volto era diventato più teso, ed Emilia faticava a continuare - è stato il principe di Montesanto a chiedermi in sposa” riuscì ad ammettere con un filo di voce. A quelle parole la rabbia di Martino divenne incontrollabile, e il ragazzo si lasciò sfuggire uno scatto d’ira.
“Sapevo che quell’uomo ti era troppo vicino. Sono stato uno stupido! Un amico, un salvatore! E io che gli ho anche chiesto di starti vicino mentre non avrei potuto farlo! Ora capisco le sue parole, le sue rassicurazioni! ‘non dubitate signor conte’ faceva l’amico sincero, solo per avvicinarsi a te!” si sfogò il ragazzo, alzando sempre più il tono di voce.
“Martino ti prego ascoltami” cercò di calmarlo la ragazza, alzandosi e prendendolo per un braccio. L’istinto del giovane l’avrebbe portato a liberarsi di quella leggera stretta sulla camicia, ma qualcosa negli occhi della cugina lo fece desistere.
“Continua” rispose gelido.
“Tra me e il principe di Montesanto non c’è mai stato nulla, la sua proposta è stata causata solo da un malinteso: in un momento di debolezza ho risposto a un suo bacio –ammise la ragazza- e il giorno dopo lui si è presentato da mia madre e Antonio, chiedendo di poter annunciare un nostro fidanzamento ufficiale …”
“E tu sei scappata qui per quale motivo? Non mi è ben chiaro. Ieri sera non mi sembravi la promessa sposa di un altro uomo. Eri venuta per annunciarmi il tuo prossimo matrimonio, o per pregarmi di salvarti da una promessa che tu stessa avevi accettato?”
“Martino io l’ho rifiutato …” rispose sincera, sorpassando sulle critiche che il ragazzo le aveva rivolto.
“L’hai rifiutato?” domandò confuso il giovane conte, pentendosi delle parole usate contro la cugina.
“Sì non potevo sposarlo. Io non lo amavo … il mio cuore batte per un uomo diverso … un giovane - si corresse - non potevo vivere nella menzogna, e soprattutto non avevo diritto di mentire per tutta la vita a mio figlio …” ammise Emilia, arrossendo leggermente. Martino rimase immobile.
“Tuo figlio?” domandò con un filo di voce, confuso e sorpreso da quella rivelazione che lui faticava ancora ad accettare come vera.
“Aspetto un bambino - ripeté Emilia, emozionata - mio e … TUO figlio” quasi a confermare quelle parole, Emilia si portò una mano del cugino sul ventre, che ancora non rivelava il suo segreto. Per un istante i due si fissarono negli occhi, senza dire parole, ognuno col respiro corto dall’emozione e il cuore che batteva impazzito nel petto, poi Martino strinse forte la cugina, sussurrandole all’orecchio:
“Non ci posso credere sarò padre … e sei stata tu a concedermi questo onore!” prima di nascondere il viso rigato da lacrime di commozione tra i capelli di lei, che per tutta risposta gli si era stretta, quasi avesse paura che scappasse nuovamente. Rimasero abbracciati per diverso tempo, prima di trovare la forza di staccarsi l’uno dall’altra. Martino si asciugò velocemente i residui delle lacrime di commozione, ma gli occhi arrossati tradivano la sua emozione. Emilia sorrise, nel vedere quel comportamento.
“Hai ancora molte cose da spiegarmi, per esempio come mai sei arrivata in accademia così esausta?”domandò stingendola contro il suo petto e baciandole la fronte.
“Ho cercato di arrivare a Parigi il prima possibile, Elisa e Fabrizio tentavano di dissuadermi, ma io non potevo più aspettare, mi sei mancato così tanto …” spiegò la ragazza. Martino sorrise.
“Emilia ti farebbe piacere assistere alla cerimonia di settimana prossima?”
“Come potrei mancare alla promozione del padre di mio figlio?” rispose raggiante, Martino continuò:
“E vorresti partecipare col titolo di mia futura sposa?” domandò, rinunciando al discorso che si era preparato per chiederla in moglie. Emilia si portò le mani alla bocca, felice di quella proposta tanto semplice, quanto sincera e spontanea.
“Sì” rispose radiosa, prima di baciarlo timidamente.
“Bene, allora avverti anche Elisa che vi farò riservare tre posti” Emilia stava per ribattere, ma capì a cosa alludeva il ragazzo. Voleva che anche suo padre fosse presente, ma ancora una volta era combattuto sulla decisione da prendere.
“Ora, scusami ma devo risolvere una questione molto importante” disse sistemandosi meglio la divisa e facendo per uscire, ma si voltò per chiamarla, lei alzò lo sguardo.
“Ti amo, non dimenticarlo …” le disse, provocandole un sorriso.
“Ti amo anch’io Martino. Adesso mi vesto e vado da Elisa per avvertirla”.

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Capitolo 41
*** Capitolo XLI ***







“Conte Ristori sono felice di vederla, confesso che sarei venuto a cercarla io stesso, anche se le avevo promesso il contrario”.
“Lo so signore, ma finalmente ho una risposta alla vostra offerta, e poi avrei anche un favore da chiedervi, anche se è un po’ tardi … ”
“Chiedetemi pure, se posso sarò ben felice di aiutarvi”
“Ecco, vorrei chiedervi se è ancora possibile riservare tre posti per la cerimonia, magari tra le prime file”
“Vedrò di venirvi incontro, anche se è un po’ tardi. Ora permettetemi di ritornare all’argomento reclute: avete preso una decisione?” domandò l’uomo.
“Sì e purtroppo so che la mia risposta non vi piacerà. Ma non posso accettare quell’incarico. Anzi, dopo la promozione voglio ritirarmi dalla vita militare” rispose Martino, sicuro della sua scelta.
“Le vostre parole mi colpiscono ancora una volta; è possibile sapere il perché di una tale decisione? Avevate davanti a voi una brillante carriera, perché sprecarla così?”
“Vedete signore, sei anni fa decisi di arruolarmi per mantenere una promessa - iniziò il giovane conte - ora quella promessa da un lato è stata mantenuta, ma al contempo sono cambiate molte cose che l’hanno resa nulla. Ho capito che la scelta che credevo di aver compiuto liberamente, in realtà era stata una scelta dettata dagli altri. E ora voglio crearmi una famiglia, a Rivombrosa” ammise il giovane.
“Forse in questa scelta è compresa anche una fanciulla che ieri sera è venuta a cercarvi?”
“Signore, non so come l’abbiate saputo, ma posso garantirvi che non è come pensate!”
“È stato il capitano De Secondant a raccontarmi tutto questa mattina. Davvero la vostra donzella non vi ha raccontato nulla?”
“No signore, mia cugina non ha fatto parola di nessun incontro, avrebbe forse dovuto?” piuttosto preoccupato, soprattutto dopo aver scoperto le “fonti” del suo interlocutore.
“Allora deve esservi veramente molto legata per non lamentarsi con voi del trattamento ricevuto … lo sapete anche voi come è fatto il capitano, questa mattina sembrava quasi avesse sconfitto un esercito da solo! Povera ragazza! Una volta capitò una situazione simile quando la mia figlia maggiore venne a trovarmi; lei però scappò in lacrime e, da quel giorno, non mise più piede qui dentro!” raccontò l’uomo, perdendosi tra i ricordi. Martino sorrise, contagiato dal tono quasi melodrammatico col quale era finito il racconto.
“Perdonatemi, ma ora devo andare, le reclute mi staranno aspettando.”
“Vi lascio ai vostri doveri”.
Elisa passeggiava stretta al suo uomo, vicino alla locanda.
“Amore, c’è forse qualcosa che non va? Di solito non sei così silenziosa.” Iniziò il conte.
“Lo so Fabrizio, ma non riesco a non pensare a Emilia e Martino. È così irreale, a volte vorrei fosse tutto un sogno …”
“In fondo tutti speravamo che tra di loro potesse nascere qualcosa, un giorno …”
“Fabrizio, stiamo parlando di sei anni fa, sono sempre stati molto vicini, molto uniti, ma arrivare ad aspettare un figlio prima del matrimonio … mi sento responsabile. Quando Emilia è tornata a Rivombrosa, io avevo tentato di parlare con Martino … e ora se ne vedono i risultati” si confidò la donna, con un grande sospiro.
“Elisa non capisco, anche Agnese è nata pochi mesi dopo che ci siamo sposati” cercò di farla ragionare l’uomo
“Infatti, ma quella volta erano ancora tutti assorti a chiaccherare le nostre nozze”.
“Elisa da quando sei succube dell’opinione dei benpensanti?” domandò, quasi risentito del discorso della moglie.
“Forse da quando ho dovuto affrontare tutto da sola, quando tutte le porte mi venivano chiuse. Perdonami Fabrizio - continuò vedendo lo sguardo cupo del marito - ma non voglio che Martino ed Emilia subiscano lo stesso trattamento”.
“Non lo subiranno. E tu devi smetterla di sentirti in colpa. Ti amo, hai due figli che ti adorano, non sei felice di questo?” Elisa sorrise.
“Non smetto mai di ringraziare per questo, e sì, sono felice di avere una famiglia con te. Ti amo anch’io” Fabrizio si perse negli occhi verdi della moglie, ma quel quadretto felice fu presto disturbato dalla voce di Emilia che li chiamava.
“Zio, zia! Non sapete cos’è successo, sono così felice!” esclamò, quando i due furono più vicini.
“Allora racconta, avanti non tenerci sulle spine” la sollecitò Elisa.
“Perché non ci facciamo portare del tè nella nostra stanza e continuiamo a parlarne in un luogo più riservato?” propose Fabrizio, notando gli sguardi che l’arrivo della ragazza aveva attratto su di loro.
“Hai ragione zio!” così dicendo Emilia prese la mano dello zio e trascinò la coppia verso la locanda. Pochi minuti dopo, i tre si trovavano seduti a un tavolino apparecchiato per il tè.
“Allora Emilia quali sono queste grandi notizie che ci devi dare?”
“Sono riuscita a parlare con Martino – iniziò la ragazza bevendo un sorso del suo tè – ci siamo chiariti. Gli ho raccontato tutto, e lui mi ha chiesto in moglie!” annunciò tutto d’un fiato, emozionata. Elisa corse ad abbracciare la nipote.
“Sono felicissima per voi, tesoro! Auguri”.
“Auguri Emilia” esordì Fabrizio compiendo i gesti della moglie.
“Ah stavo quasi per dimenticarmene … Martino ci ha anche invitato all’accademia, tra sei giorni per le nomine dei nuovi sottoufficiali” aggiunse la ragazza, allontanandosi appena dallo zio.
“Ci … ha invitato?” si fece sfuggire Fabrizio, subito raggiunto da uno sguardo ammonitore di Elisa.
“Sì zio, tutti e tre”. Confermò la ragazza, sciogliendo un po’ la tensione.
La notte avvolgeva Parigi. Una notte di fine estate, ancora calda, che vedeva le strade più lussuose piene di carrozze della nobiltà e dell’alta borghesia, pronte per portare le dame e i cavalieri nei luoghi di ritrovo più famosi della capitale francese. Elisa e Fabrizio si erano concessi una passeggiata in carrozza. La vettura procedeva lenta, per permettere ai due di ammirare il panorama illuminato dai lampioni a olio.
“Fabrizio, si sta facendo tardi, forse sarebbe saggio avvicinarsi alla locanda” propose Elisa, notando il silenzio del marito.
“Hai ragione amore, perdonami ero distratto.” Ammise l’uomo, quasi per scusarsi. Quando i due furono in camera, Elisa non attese oltre per chiarire col marito:
“Sei preoccupato per domani?” domandò mentre si faceva aiutare dal marito a sciogliere i lacci del corsetto.
“Dovrei forse?” domandò ironico Fabrizio. Elisa si voltò verso di lui:
“Non devi preoccuparti, sono sicura che andrà tutto nel modo migliore!”
“Ti prego Elisa!- sbuffò l’uomo- Martino, mio figlio, non mi parla da quando sono tornato a Rivombrosa. O meglio, per essere sicuro di non incontrarmi nei corridoi del palazzo è tornato in Francia!” le fece notare l’uomo.
“Fabrizio Martino ti ha invitato alla sua promozione! Dovevi vedere com’era fiero di questo traguardo! Non faceva altro che parlarne …”
“Hai detto bene Elisa: era. Ora sei altrettanto sicura che sia ancora così? Voglio dire, per parlare con me usa Emilia … sai mi avrebbe fatto piacere che quantomeno fosse presente anche lui quando mia nipote mi chiedeva di accettare l’invito, e soprattutto quando ci annunciava le sue nozze con mio figlio” si sfogò l’uomo sedendosi su uno sgabello, appoggiando la schiena al muro.
“Fabrizio, Martino si è sentito deluso quando ha scoperto che tu non eri morto. Forse ha avuto bisogno di più tempo per accettare quello che era successo, ma ti ha invitato. Potrebbe essere un buon momento per ricominciare a parlarvi” rispose Elisa, sedendoglisi in braccio. Il conte valutò in silenzio la risposta della moglie, poi ammise:
“Forse hai ragione tu, domani potrebbe rivelarsi una giornata positiva.”
Il cortile dell’accademia si era riempito di civili, che avevano partecipato all’evento militare. Martino si districò nella folla per poter raggiungere i genitori e la fidanzata. Era felice per il successo ottenuto, ma l’ansia di rivedere il padre lo attanagliava, nonostante tutto. Quando lo aveva visto scendere dalla carrozza insieme alle due donne aveva provato una strana gioia, era felice che lui fosse lì in quel momento, ma ora temeva un contatto più diretto. Ancora intento nei suoi pensieri non si accorse che la cugina lo aveva raggiunto.
“Martino sono così felice per te!” esclamò radiosa abbracciandolo.
“Grazie, ero terrorizzato di sbagliare tutto …” le confessò sorridendo per poi interessarsi di lei:
“Tu come ti senti? Spero non ti sia stancata troppo” la ragazza negò col capo
“Non preoccuparti per noi – disse abbassando la voce, anche se nessuno sembrava badare ai loro discorsi- stiamo benissimo”.
“Ne sono contento”
“Stai già facendo il marito preoccupato” lo prese in giro la ragazza.
“Lo ammetto – iniziò il sottoufficiale- sono preoccupato che qualcuno possa metterti gli occhi addosso, e portarti via da me. Sei la più bella oggi. Come sempre!” Emilia a quegli elogi arrossì, mentre il cugino le stringeva le mani nelle sue. I due raggiunsero la coppia formata da Elisa e Fabrizio, poco lontani da loro. Elisa abbracciò forte il figlio che ricambiò con affetto. Il ragazzo si sciolse dall’abbraccio e fissò l’accompagnatore della contessa, rigido, incerto sul da farsi.
“Padre, sono lieto che siate presente anche voi” esordì mantenendo le distanze dall’uomo. Fabrizio non si scompose davanti alla freddezza del figlio; in cuor suo aveva sperato in un saluto meno formale, ma sapeva bene che ciò era alquanto difficile.
“Sono felice che tu mi abbia invitato” iniziò. Elisa interruppe il discorso tra i due, chiedendo alla nipote di accompagnarla verso il rinfresco, dando modo al figlio e al marito di chiarirsi da soli. Martino fu restio a separarsi dalla cugina, ma dovette accettare. La coppia di uomini osservò le due donne allontanarsi, e quando queste non poterono più udirli, l’uomo riprese a parlare.
“Sono veramente fiero di te Martino”.
“Vi prego padre …”
“Martino, so benissimo che mi hai invitato solo per riguardo a Elisa ed Emilia, e so che ho molte cose da farmi perdonare …” iniziò il conte.
“Come, ad esempio, sei anni di assenza?”
“Purtroppo non ho potuto fare diversamente. Capisco che tu possa portare rancore nei miei confronti, ma credimi che se avessi avuto ance una sola possibilità di fare altrimenti l’avrei inseguita con tutte le mie forze, con la stessa determinazione che hai usato tu per arrivare dove sei adesso” ammise. Martino rimase colpito dalle parole del padre, ma tentò di non darlo a vedere.
“Ho deciso di lasciare la vita militare” cercò di provocarlo il giovane, ma l’uomo non era certo impreparato a una simile notizia, sapendo già della proposta di matrimonio.
“Lo immaginavo – iniziò, non perdendo il sorriso e la tranquillità- considerato che presto potresti avere una fede al dito, non potresti certo costringere la tua sposa a vivere nell’ansia di un tuo richiamo alle armi in qualunque momento.” Terminò il suo discorso, indicando con un cenno del capo la nipote che era stata trattenuta da alcune ragazze, probabilmente conosciute in collegio. Martino rimase sorpreso. Fabrizio rise apertamente all’espressione del figlio.
“Emilia - disse- è stata lei a comunicare a Elisa e a me che l’hai chiesta in sposa” spiegò. Le difese di Martino caddero davanti a quel comportamento, per quanto ancora restio a perdonare il passato, il ragazzo capì che riuscire a mantenere una conversazione educata col padre non sarebbe stato poi così difficile.
“Vi siete offeso che non vi abbia invitato personalmente?” domandò. Fabrizio scosse il capo.
“Non mi sono offeso, ti confesso però che avrei preferito sapere del tuo matrimonio da te e non dalla tua fidanzata, anche se lei è mia nipote, ma capisco il tuo comportamento.” Il giovane conte rimase in silenzio per elaborare quelle parole.
“Padre … ci sarebbe una cosa che vorrei chiedervi. Un favore quasi” iniziò
“Dimmi”
“Ho chiesto a Emilia di sposarmi, è vero, ma non ho ancora chiesto la sua mano alla zia, e vorrei fare le cose come si deve …”
“Vorresti che glielo chiedessi io?” domandò il conte Ristori, indovinando la domanda del figlio.
“Lo faresti veramente?”
“Sì. Sarei onorato di poterti stare vicino in un momento tanto importante”.
“Grazie” rispose semplicemente il giovane.
“Sono io che devo ringraziarti, e ora vai dalla tua dolce metà e divertitevi” rispose Fabrizio. Martino non se lo fece ripetere e corse subito dalla cugina. Pochi giorni dopo, Martino consegnò al direttore dell’accademia la sua richiesta ufficiale di abbandonare l’accademia.

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Capitolo 42
*** Capitolo XLII ***


  

                                                                                            Parigi, 25 agosto 1780

Carissima madre, quando leggerete questa lettera, sarò già in viaggio verso Rivombrosa: partiamo domani, ma non vi sto scrivendo solo per annunciarvi del mio arrivo, insieme agli zii e a Martino. In questa settimana nella capitale francese ho capito che il mio posto non è a Saint Cyr, ma vi prego di non credere che il desiderio di tornare in Francia fosse frutto di un mero capriccio, e vi prometto che al mio ritorno vi spiegherò tutto.

Emilia prese quelle poche righe, appena scritte, e le accartocciò in un gesto di stizza, spostando bruscamente il foglio stropicciato, aggiungendolo agli altri pezzi di carta che avevano subito la stessa fine.
“Cosa ti ha fatto quel povero foglio?” domandò Martino, notando i movimenti della cugina. Emilia si voltò verso di lui, per poi fissare il nuovo foglio bianco di fronte a lei. sospirando mesta:
“È la lettera più difficile che io abbia mai scritto” ammise, intingendo la piuma nel calamaio. Il ragazzo intuì subito, e si avvicinò a lei:
“È per tua madre vero?” lei annuì:
“Come posso dirle sto tornando a casa, promessa sposa e gravida? Non sono annunci che si possono affidare a una lettera” scoppiò esasperata, il cugino cercò di nascondere un sorriso.
“Allora non scriverlo” la stuzzicò, togliendole la penna dalle mani, obbligandola ad alzarsi, per poter riottenere quello che le era stato sottratto.
“Martino non scherzare!” iniziò a irritarsi lei, allungandosi verso il braccio teso del cugino, ma lui resisteva agli “assalti” della fidanzata.
“Se mi ascolti, ti restituisco ciò che è tuo” cercò di contrattare. Emilia tentò ancora un paio di volte di sorprendere il cugino, ma poi si arrese. Martino si sedette, dando le spalle al piccolo tavolino della camera che fungeva anche da scrittoio, e invitò Emilia ad accomodarsi sulle sue gambe. Emilia, leggermente imbronciata obbedì, e Martino la strinse a sé, non prima di averle riconsegnato la piuma, ormai tutta sgualcita.
“E così qualcuno ha omesso qualche dettaglio prima di partire …” riprese il giovane conte.
“Già, e se sono fortunata quando mia madre lo varrà a sapere, prima mi disereda e poi mi chiude in un convento di clausura” rispose, abbandonando la testa sulla spalla del cugino.
“Possiamo sempre fingere che sia nato in anticipo” propose Martino, giocherellando con una mano della cugina.
“Ti ricordo che Antonio è medico” rispose sarcastica.
“Vorrà dire che al nostro ritorno lo annunceremo insieme, andrà tutto bene …” Emilia non rispose, godendosi le attenzioni che il ragazzo le prestava.
“Sei sicura di volere affrontare un viaggio così lungo? Non preferisci aspettare un po’, o addirittura la nascita di questo piccolino?”
“Aspettare non porterebbe nessun vantaggio” rispose Emilia.
“Ma il medico ha detto che non devi affaticarti, soprattutto in questo periodo” cercò di persuaderla il cugino.
“Ti prego Martino, sono già piuttosto tesa per il viaggio, e poi ti ho già promesso che faremo almeno quattro soste al giorno”.
“Devi sempre avere ragione tu vero?” domandò, e senza aspettare risposta, posò le sue labbra su quelle della fidanzata.
Nella camera accanto, anche Elisa e Fabrizio discutevano dell’imminente partenza.
“Sei felice di tornare già a casa?” domandò l’uomo, studiando ancora una volta la strada da percorrere.
“Sono felice di aver passato del tempo sola con te, senza tante preoccupazioni - ammise la contessa - ma Rivombrosa mi manca, e soprattutto mi manca Agnese. Perché, tu non sei contento di ritornare?”
“Lo sono, ma sto iniziando a pensare all’incontro con Anna: Martino mi ha chiesto di presentarlo come pretendente alla mano di Emilia.”
“Sono felice che voi due vi siate chiariti” disse la contessa, senza però ritornare sull’argomento precedente.
“Almeno riusciamo a parlarci, direi che è un bel passo in avanti.” La corresse l’uomo, grato alla compagna di essergli sempre così vicina, senza mai risultare invadente.
“Amore è la nostra ultima serata a Parigi, desideri andare in qualche posto particolare?” Propose il conte Ristori, abbracciando la moglie.
“Mi basta anche una semplice passeggiata in cortile, se tu sei il mio accompagnatore” rispose la donna. Il marito sorrise, e la invitò a prepararsi per uscire per una passeggiata al chiaro di luna.

A Rivombrosa la vita procedeva tranquilla. Anna, tranquillizzata da una lettera della figlia, si occupava del piccolo Eugenio che cresceva circondato da mille cure e attenzioni. Agnese era seguita da Orsolina che cercava di inventarsi sempre nuovi passatempi per la nipote. Quel giorno la ragazza le stava insegnando a suonare al clavicembalo una facile melodia.
“Guarda Agnese” disse muovendo lentamente le dita su alcuni tasti in avorio, contando ogni movimento, per poi incoraggiare la bambina a ripeterli. La piccola la imitava, ma ben presto si stancò anche di quella lezione.
“Quando ritorna la mamma?” domandò.
“Non lo so tesoro, ma sono sicura che tornerà presto” la rassicurò, ma la bambina non sembrava molto soddisfatta della risposta.
“Ma io voglio la mia mamma!” protestò ancora. La discussione venne interrotta da Bianca, che tutta trafelata per la corsa appena fatta, annunciava l’arrivo della carrozza dei conti Ristori.
“Hai sentito cosa ha detto Bianca? Forza, andiamo a vedere!” disse Orsolina, mimando un “grazie” alla volta della cameriera che l’aveva tolta da un grosso impiccio.

Elisa era appena scesa dalla carrozza insieme al marito, mentre i servi si affrettavano a porgere loro i primi ossequi, quando la voce della figlia attirò la sua attenzione: la piccola stava scendendo la grande scalinata, accompagnata dalla zia che la teneva saldamente per la mano.
“Mamma!” esclamò la piccola, quando Orsolina le permise di allontanarsi da sé. Elisa la prese in braccio, stringendola forte.
“Tesoro, quanto mi sei mancata!” le confessò, per poi voltarla verso Fabrizio e domandarle:
“E papà non lo saluti?” per tutta risposta la bambina si sporse dalle braccia della madre, e si lanciò tra quelle del padre, pronto ad accoglierla.
“Orsolina, mia sorella?” domandò il conte Ristori.
“Credo sia ancora in biblioteca col dottor Ceppi” spiegò la ragazza, per poi correggersi.
“Col signor conte”.
“Fabrizio, Elisa, siete già di ritorno! - esclamò la contessa, avvicinandosi verso il fratello e la cognata, per poi continuare - se mi aveste avvisata vi avrei fatto trovare un’accoglienza migliore!”
“Anna non amareggiarti, è stata una decisione piuttosto repentina, e per quanto riguarda il nostro arrivo, abbiamo ricevuto un’accoglienza impeccabile” la rassicurò Elisa.
“Madre!” la chiamò Emilia, scendendo dalla carrozza.
“Tesoro sei già tornata a casa?” domandò sorpresa la contessa, dopo aver baciato la figlia sulla fronte, per poi salutare il nipote, che per tutto il tempo era rimasto al fianco della cugina. Emilia non rispose, e il silenzio fu stemperato da Fabrizio.
“Anna ho bisogno di parlarti” iniziò il conte.
“Parla pure Fabrizio!” lo esortò la sorella.
“Ti dispiace se andassimo in biblioteca?” propose l’uomo.
“No, affatto” fece la donna, seguendolo fino a raggiungere la stanza designata per la loro conversazione. Fabrizio aprì la porta e invitò la sorella a entrarvi. Anna lo assecondò, e l’uomo si chiuse la porta alle spalle.
“Fabrizio così inizio a preoccuparmi” confessò la donna.
“Non ti allarmare, non penso di essere portatore di spiacevoli notizie …” iniziò il conte, incerto su come procedere. Non immaginava quanto potesse risultare difficoltoso chiedere a sua sorella la mano della nipote.
“Ti devo parlare in nome di Martino” ammise, appoggiandosi alla spalliera della sedia.
“E tuo figlio non poteva farlo personalmente?” domandò sorpresa Anna.
“ Sì, ma voleva che tutto seguisse le convenzioni – sorrise tra sé, pensando che se qualcuno avesse chiesto in sposa Agnese in un modo simile, probabilmente non avrebbe preso nemmeno in considerazione l’ipotesi di accettare – Martino è molto innamorato di Emilia, e desidera sposarla” ammise finalmente il conte, dopo aver preso un profondo respiro. Anna cercò di nascondere un sorriso: era felice che il nipote si fosse finalmente deciso a rivelare i propri sentimenti, anche se questi erano piuttosto evidenti, poi tornò a farsi seria.
“Sarei felice di vedere Emilia sposata con Martino, ma devo essere sincera: il principe di Montesanto aveva già chiesto la sua mano …” la donna fu interrotta dal fratello:
“Non capisco, Martino sembrava così sicuro riguardo al matrimonio”
“Emilia non ha accettato – si apprestò a chiarire la contessa- ma penso che sia lei che debba decidere se accettare Martino per marito “.
“Lei ha già accettato.” Ammise Fabrizio.
“Quando?” domandò la marchesa, non aspettandosi una risposta simile.
“A Parigi, ma nelle sue condizioni devi capirla se non te ne ha parlato. Non poteva certo domandare la tua benedizione in una lettera”.
“Forse hai ragione – concesse la sorella- parlerò con Emilia, e poi stabiliremo la data del fidanzamento ufficiale” Fabrizio annuì.

“Martino come mai sei così nervoso? Posso garantirti che per vedere tuo figlio dovrai aspettare ancora diversi mesi” sorrise la ragazza, mettendosi a sedere sul suo letto, dove il cugino le aveva imposto di stendersi, e invitandolo a sedersi vicino a lei. Il giovane conte smise di misurare a grandi passi gli alloggi della fidanzata, e seguì le sue indicazioni.
“Amore, sei la seconda che mi paragona ad un marito in attesa della nascita del proprio figlio” confessò il ragazzo, prima di piegarsi verso di lei e baciarla sulla fronte.
“Davvero?” domandò la ragazza curiosa, appoggiando le sue labbra su quelle del cugino.
“Sì, eravamo a Parigi, e tu eri nella mia stanza col medico, dopo essermi svenuta tra le braccia” le confidò il ragazzo. Emilia sorrise per poi domandargli:
“E questa volta perché tanta ansia?”
“Penso che il conte Risto … mio padre - si corresse Martino - stia chiedendo a tua madre di accettare la mia proposta di matrimonio” Emilia sorrise, stringendosi al petto del cugino.
“Ancora non mi sembra vero. Siamo nuovamente insieme, a Rivombrosa, e presto potremo sposarci”.
Martino la strinse forte a sé, poi scostandola leggermente, per poterla guardare negli occhi le domandò:
“Sai che presto dovremo anche confessare la verità a tua madre …”
“Martino, vedrai che sarà felice per noi. Ne sono sicura. È vero questo piccolino è arrivato un po’ presto, ma se tornassi indietro, rivivrei tutto, tranne l’averti lasciato partire da solo. Ma non mi pento di essermi concessa a te” ammise la ragazza, arrossendo.
“Non potevi affermare cosa più bella, amore!” le rispose il ragazzo, prima di baciarla dolcemente.

“Emilia sei in camera?” domandò Anna, aprendo la porta. I due giovani si staccarono imbarazzati.
“Tesoro ti senti bene?” chiese apprensiva la contessa, vedendo la figlia abbandonarsi tra i cuscini alle sue spalle.
“Solo un giramento di testa - ammise la ragazza - ma è già passato” cercò di rassicurarla.
“Vuoi che faccia chiamare Antonio? Era andato al borgo per alcune visite, ma penso che sia già sulla via del ritorno”.
“Non preoccupatevi madre, mi sento già meglio, ho solo bisogno di riposare e rimettermi in forze, ma se vi fa stare più tranquilla, quando Antonio rientra mi farò visitare” concesse la marchesina.
“Bene. Martino, ti spiace lasciarmi sola con mia figlia? Avrei bisogno di parlarle in privato”. Il ragazzo fissò la cugina, che annuì leggermente, invitandolo a fare come la zia gli domandava.
“Di cosa volevate parlarmi?” domandò la ragazza, quando il cugino si chiuse la porta alle spalle. Anna rimase a fissare la figlia, senza rispondere. Emilia si sentiva nervosa: sapeva dalla confessione di Martino che lo zio aveva parlato con la madre, per il loro matrimonio, ma temeva che le avesse anche rivelato la sua condizione. Anna si sedette sul letto e iniziò a parlare, fissando la figlia negli occhi.
“Mi è stato chiesto di concederti in sposa a Martino” confermò Anna, con un sorriso. Emilia si sentì sollevata a quelle parole, e sebbene per lei quella non fosse una sorpresa, venne colta da una grande emozione, e dovette portarsi le mani alle labbra, per nascondere un sorriso emozionato.
“Tuttavia, non ho ancora acconsentito” confessò la contessa. La marchesina si rabbuiò, e domandò spiegazioni.
“Temevo si ripetesse ciò che è accaduto col principe di Montesanto. Io non ti ho mai chiesto spiegazioni, ma ora non posso ignorare quel fatto. Non capisco come tu abbia potuto rifiutare un così buon partito. E poi la tua fuga a Parigi. Avevi implorato di poter ritornare al collegio, e poco dopo ritorni a Rivombrosa. Come posso essere sicura di darti in sposa a tuo cugino senza temere che tu possa pentirtene subito dopo?” quelle parole lasciarono la ragazza piuttosto turbata: non si aspettava delle espressioni tanto fredde.
“Madre, dalle vostre parole sembra che mi sia comportata con leggerezza, ma credetemi non è stato così”. Cercò di difendersi la ragazza.
“Credo che allora tu mi possa fornire delle spiegazioni per questo tuo comportamento” continuò la contessa. Emilia annuì.
“Vedete madre, la proposta del principe di Montesanto, è nata unicamente da un fraintendimento. Quando Martino è partito io mi sono sentita persa – ammise la ragazza - e in quel periodo le attenzioni del principe mi distraevano dal pensare a lui. Io non immaginavo che lui potesse chiedermi in moglie. E credetemi, è stato difficile rifiutarlo, ma non potevo sposarlo, non lo amavo. Avrei vissuto nella menzogna. Avremmo sofferto entrambi.”
“Continuo a non capire il voler rientrare in collegio”.
“Era l’unico modo per riavvicinarmi a Martino. È con lui che voglio condividere la mia vita” Emilia si fermò e abbassò gli occhi.
“C’è una cosa che devo confessarvi” mormorò con voce strozzata.
“Martino ed io avremmo voluto annunciarlo stasera a cena, ma credo sia giusto che voi lo sappiate: aspetto un figlio da lui” ammise la ragazza, portandosi una mano al ventre, alzando lo sguardo e incontrando quello della madre.

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Capitolo 43
*** Capitolo XLIII ***







“Aspetti un figlio da lui – ripeté Anna, rompendo il silenzio che si era creato - sei sicura di quello che dici?” domandò ancora la contessa. Emilia annuì, asciugandosi le lacrime, iniziando a raccontare:
“È accaduto dopo la nascita di Eugenio …”
“Emilia abbi almeno la compiacenza di non entrare nei dettagli!” esclamò la contessa, sempre più alterata.
“Perdonatemi, madre” rispose con un filo di voce la ragazza.
“Come hai potuto essere così sconsiderata? Concedersi a un uomo prima di essere diventata sua moglie! Non hai pensato alle conseguenze del tuo gesto?” Emilia, a quelle parole iniziò a singhiozzare ferita, non solo dalle parole della madre, ma soprattutto dal suo sguardo carico di delusione.
“Martino mi ama, e vuole sposarmi” replicò la ragazza.
“Vedremo, Emilia, ma io non mi illuderei” così dicendo, lasciò la camera della figlia.
Martino stava aspettando di poter ritornare dalla cugina, quando Antonio lo scorse, e gli si fece incontro per salutarlo.
“Martino, sono felice di rivederti. Ma dimmi come mai non sei all’accademia? Spero non sia accaduto nulla di spiacevole”.
“Tutt’altro, Antonio. Sono tornato con Emilia, abbiamo deciso di sposarci” gli spiegò il ragazzo entusiasta.
“Anna ora è con lei, sto aspettando che esca per avere il suo benestare”.
“Sono sicuro che Anna acconsentirà”.
“Lo spero vivamente, mi sembra di attendere qui fuori da delle ore, ma non saprei dire esattamente da quanto le ho lasciate sole, oppure se sia normale tutta questa attesa. Inizio ad essere un po’ preoccupato.”
“Temi un rifiuto da parte di Emilia?” domandò il medico.
“No, questo no!” rispose il ragazzo, allargandosi in un sorriso, al ricordo della proposta fatta alla cugina.
“E allora non vedo perché tua zia dovrebbe negarvi di stare insieme. Siete entrambe due giovani virtuosi, vi amate, e il vostro matrimonio sarebbe inattaccabile per le convenienze”. Martino non ebbe il tempo per rispondere, perché Anna uscì dalla camera della figlia. I due uomini si avvicinarono. La contessa gelò il nipote con lo sguardo.
“Zia…” iniziò il ragazzo.
“Con quale coraggio hai mandato tuo padre a domandare la mano di mia figlia?” Martino non rispose.
“Anna, cosa stai dicendo?” cercò di farla ragionare il marito.
“Il signorino non ti ha raccontato nulla?- domandò la contessa, per poi continuare - Prima la disonora, poi mi chiede la sua mano!”
“Anna, ti prego, calmati!” ripeté Antonio abbassando la voce, prima di avvicinarsi alla donna e di volgere lo sguardo sul nipote, in attesa di una spiegazione che non tardò ad arrivare.
“Emilia aspetta un figlio da me” confessò Martino.
“È una bella notizia Martino –lo rassicurò il medico - Emilia lo vuole?” a quelle parole Anna fissò il marito stupita.
“Sì” rispose sicuro il giovane.
“E tu?” continuò l’uomo.
“ È mio figlio, come potrei chiederle di abbandonarlo, o peggio?”
Emilia era rimasta sulla porta, e sentendo quelle ultime parole, non riuscì a trattenere un singhiozzo.
“Martino!” lo chiamò, andandogli vicino, e nascondendo il viso nel petto ampio.
“Sono qui” mormorò il cugino, appoggiando il capo su quello di lei e accarezzandole la schiena, cercando di tranquillizzarla.
“Martino, accompagnala in camera, più tardi passerò a controllare come sta.” Consigliò il medico, per poi allontanarsi con la moglie. Emilia non oppose resistenza alle braccia del cugino che le indicavano la strada.
“Come ho fatto a illudermi che lei sarebbe stata felice?” domandò Emilia, quando Martino chiuse la porta alle loro spalle.
“Emilia, ti prego, cerca di calmarti. Tutte queste emozioni non ti fanno bene”. La ragazza si era sciolta dall’abbraccio del cugino e stava camminando per la stanza, ignorando le premure del ragazzo.
“Era così delusa, ed è solo colpa mia. Ma perché si è risentita così tanto? Anche lei e Antonio aspettavano già mio fratello quando si sono sposati” domandò tra un singhiozzo e l’altro.
“Non penso che sia la stessa cosa – Martino pose fine al discorso - Abbiamo colto tua madre di sorpresa. Non si aspettava una situazione simile. Dobbiamo avere pazienza, e sono sicuro che col tempo lo accetterà”. Emilia annuì, poco convinta.
“Bene  Emilia, abbiamo finito: puoi rivestirti.” Esordì Antonio, per poi riporre lo stetoscopio nella sua valigetta. La marchesina lo fissava in silenzio, in attesa.
“Siete entrambe in salute” le confermò il medico
“Ma?” domandò la ragazza timorosa,
“Ma dovrai prestare attenzione a molte cose ora, prima di tutto assoluto riposo. Il viaggio a Parigi non sembra aver avuto conseguenze negative, ma i viaggi in carrozza sono da evitare”.
“Certo Antonio” acconsentì la ragazza.
“Vedrai che presto ti sentirai meglio” cercò di incoraggiarla il medico, ma Emilia continuava ad indugiare.
“Ho dato ordine di prepararti del brodo per cena” spiegò ancora il medico.
“Grazie Antonio, puoi chiedere ad Angelica di portarmelo in camera?” chiese, evitando di porre, ancora una volta, l’unica domanda che le premeva.
“Veramente ti aspettano tutti per la cena” le spiegò il medico.
“Antonio … non saprei se …” iniziò la ragazza, l’uomo la interruppe, appoggiandole una mano sulla spalla.
“Non puoi evitare tua madre per sempre. Ho cercato di parlarle prima – le spiegò l’uomo - è molto delusa, è vero, ma ti vuole bene. Ha bisogno di tempo per accettare la situazione, ma se tu le mostrerai ciò che provi per tuo figlio, sono sicuro che presto capirà. Devi essere forte. Dov’è l’Emilia che è scappata da un matrimonio di convenienza, ed è corsa in Francia dal padre di suo figlio?” Emilia lo fissò negli occhi e sorrise.
“Grazie” mormorò appena.
“Ti aiuto col corsetto, ma domani promettimi di farti aiutare da Elisa a trovare degli abiti adatti alla tua nuova condizione” la ragazza annuì, spostandosi i capelli, per dar modo al medico di intrecciare i fili.
“Non sarà una cena facile, vero?” domandò la ragazza.
“Temo di no. Ma tu e Martino saprete cavarvela, ne sono sicuro”. La rincuorò ancora il medico, per poi invitarla a uscire dalla stanza.
La cena si rivelò più facile del previsto. Il malumore di Anna era ben visibile, ma la marchesa preferì rimanere in silenzio, piuttosto che sfogarsi con pungenti battutine all’indirizzo dei due ragazzi. Da parte loro Martino ed Emilia, tentarono di limitare ogni atteggiamento che potesse causare nuove rimostranze dalla contessa. Per tutta la cena Elisa e Fabrizio cercarono di alleggerire l’atmosfera, semplificando il compito ai due ragazzi. Dopo cena, quando i commensali si spostarono nel salone attiguo, Anna si congedò, sotto lo sguardo triste della figlia.
“Buona notte madre” salutò la ragazza, senza ottenere risposta. Antonio affiancò la moglie, sperando di poterla far ragionare una volta soli. Per mitigare il silenzio di Anna, il medico rispose al saluto della giovane, raccomandandole di non farsi scrupoli a chiedere di lui in caso di necessità, per poi raggiungere la moglie, che si era allontanata bruscamente. Quando i due giovani rimasero nella stanza con i conti Ristori, Martino affiancò la cugina, seduta sul divanetto, e la strinse a sé cercando di confortarla. Emilia si lasciò abbracciare, godendosi quelle dolci attenzioni.
“Dovrete portare pazienza, ma sono certa che prima o poi cambierà idea …”
“Per favore Elisa – la interruppe il ragazzo - non ripetermi che ha solo bisogno di tempo! So che ho sbagliato, che avrei potuto evitare tutta questa situazione. Credimi, non mi sto lamentando delle conseguenze dei miei gesti. Non m’interessa se la zia mi sputa addosso tutta la sua delusione: ne ha tutte le ragioni. So che non ho alcun diritto di chiedere il suo perdono, ma io ed Emilia ci amiamo e l’ho chiesta in sposa! Perché, se fossimo sposati, questa notizia sarebbe fonte di gioia? ” concluse Martino.
Elisa rimase in silenzio per poi riprendere:
“Non condivido il comportamento di Anna, ma posso condividere le sue preoccupazioni” ammise la contessa.
“Elisa cosa stai dicendo?” domandò il ragazzo, la contessa sorrise, per poi domandare:
“Se tua sorella Agnese ti confidasse di aspettare un figlio, da un ragazzo che ama e che ha intenzione di chiederla in moglie, tu cosa faresti?” Fabrizio osservò la moglie allibito.
“Ma è impossibile, Agnese, è una bambina!” cercò di difendersi il ragazzo.
“È vero, è ancora una bambina, ma tra dieci anni cosa faresti?” lo incalzò la donna.
“Sfiderei a duello chi l’ha disonorata!” esclamò sicuro il giovane. Per poi intuire il significato della domanda che gli era stata posta.
“ Hai messo al primo posto l’onore e la rispettabilità di tua sorella, ma perdonami se ti dico che non hai fatto altrettanto con quello di tua cugina. Tua zia si preoccupa del futuro che sua figlia potrebbe avere, se si scoprisse. Ricordati che il mondo perdona gli uomini, ma per le donne è diverso”.
“Sono davvero stato così stupido?” domandò Martino, dando voce ai suoi pensieri.
“Spesso sentimenti e ragione non percorrono lo stesso sentiero – gli rispose Fabrizio – fortunatamente, nel vostro caso, le due strade si sono ricongiunte”.
“Anna si può sapere cosa ti è preso?” domandò Antonio, una volta chiusosi la porta della loro camera alle sue spalle. La contessa continuò a sciogliere l’acconciatura, come se niente fosse.
“Anna” la chiamò ancora il marito, abbassando il tono della voce. La donna distolse lo sguardo dalla sua toeletta e lo fissò.
“Nulla Antonio, va tutto benissimo” ironizzò, cercando di nascondere tutta la sua frustrazione. Gli occhi del conte si ammorbidirono, mentre le si avvicinava, accovacciandosi per essere alla sua stessa altezza:
“Tua figlia ha bisogno di te, ora più che mai”.
“Antonio, non capisci … ho paura per lei, per il suo futuro. Cosa le succederebbe se la sua gravidanza fosse resa pubblica?”
“E allora lascia che sposi suo cugino, così l’annuncio di questa gravidanza non darebbe scandalo” le suggerì l’uomo.
“Non posso, è stato lui a metterla in questa situazione, e poi non voglio che Emilia abbia un matrimonio riparatore. Non voglio che sposi chi non ama; ho paura di condannarla a rivivere ciò che ho vissuto io con Alvise …” l’uomo l’abbracciò forte.
“Emilia è innamorata di Martino, e lui di lei.”
“Ma …” cercò di protestare la donna, il conte la fermò nuovamente.
“Non credo che avrebbe rifiutato il principe di Montesanto, se avesse voluto semplicemente mantenere le apparenze” la contessa non rispose, ancora indecisa sulla strada da seguire.
“Ti aspetto a letto” le sussurrò l’uomo, baciandole la fronte.
“Ti amo” le confidò ancora, strappandole un sorriso, e un dolce bacio.

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Capitolo 44
*** Capitolo XLIV ***







Nei giorni successivi, il clima che si respirava alla tenuta non era dei più armoniosi e la contessa Ceppi cercava di evitare il più possibile la nuova coppia.  Anna osservava la figlia e il cugino dalla finestra della biblioteca; i due giovani passeggiavano nel parco, ignari di essere osservati. Emilia scoppiò a ridere, nascondendo timidamente il volto sulla spalla del cugino, che non perse l’occasione di stringerla dolcemente a sé, godendo di quei momenti di spensieratezza.
La contessa si perse tra i suoi ricordi, rivedendo nei due ragazzi lei e Antonio. Anche loro erano così felici, eppure in quel momento invidiava sua figlia: ammirava il coraggio che l’aveva spinta a rischiare la sua salute e quella del suo piccolo, per non rinunciare al suo amore vero, e si rimproverava di non aver fatto lo stesso, diversi anni prima quando preferì andare in sposa ad Alvise, piuttosto che confidare la verità al suo attuale marito. Spesso si era domandata come sarebbe stata la sua vita, se non avesse rifiutato la sua felicità per le convenienze; tuttavia era altrettanto consapevole che non avrebbe mai ottenuto una risposta. Osservò ancora i due giovani, che avevano ripreso la loro passeggiata, stretti uno all’altra. In fondo – si disse la donna – Emilia al fianco del cugino appariva serena, come poche altre volte lei l’aveva vista, e Martino era talmente premuroso nei confronti della figlia … solo qualche anno prima sorrideva all’idea di un loro matrimonio, e ora perché li stava ostacolando così ostinatamente? Aveva davvero paura che Emilia si potesse pentire di quella scelta, o forse temeva che il ragazzo fosse stato obbligato a sposarla?
Una voce maschile la strappò dai suoi pensieri:
“Mi piacerebbe sapere per quanto continuerai a spiare tua figlia e tuo nipote”.  Anna sobbalzò, lasciando cadere il lembo della tenda che stringeva tra le dita.
“No, caro fratello, sto semplicemente ammirando il panorama di Rivombrosa.” Rispose la donna, alla battuta dell’uomo. Fabrizio si avvicinò alla finestra, scostando la tenda finse di ammirare il parco, e dopo aver indicato i due giovani con un cenno del capo riportò l’attenzione sulla sorella, con un sorriso divertito sul volto. Anna cercò di giustificarsi, ma il conte la bloccò.
“Ti andrebbe una tazza di tè?” domandò semplicemente, facendole intuire che gli scherzi erano finiti, e invitandola ad accomodarsi su una delle poltrone. Anna accettò, e poco dopo Giannina arrivò col vassoio contenente il necessario. Fabrizio le indicò il tavolino, e quando la cameriera fece per servirlo, l’uomo la congedò ordinandole di chiudere la porta, per poi offrire lui stesso la tazza alla sorella.
Anna sorseggiò il suo tè, senza parlare e altrettanto fece il fratello. Il silenzio della stanza non era opprimente, ma la marchesa iniziava a sentire la necessità di conoscere le argomentazioni dell’uomo.
“Non ci crederai, ma la tua compagnia mi è mancata molto” iniziò la donna. Fabrizio non rispose, bevendo ancora dalla sua tazza, per poi appoggiarla sul tavolino e fissare negli occhi la sorella.
“Perché?” chiese semplicemente, senza alcuna espressione particolare, che potessero suggerire alla sorella i suoi stati d’animo. Anna intuì che quella domanda non era riferita al suo tentativo di intavolare una conversazione.
“Fabrizio non capisco, perché, cosa?” domandò allora. L’uomo si appoggiò allo schienale del divanetto e domandò nuovamente:
“Perché li ostacoli con tutte le tue forze?”
“Ti riferisci a Emilia e Martino” rispose la sorella, il conte annuì leggermente. Anna depose, a sua volta, la tazza nel vassoio. Fabrizio si sporse per offrile dell’altro tè, ma lei rifiutò con un gesto della mano, per poi riprendere a parlare:
“Mi sono fatta la stessa domanda, e mi sono data due risposte differenti – ammise la donna, l’uomo fece per interromperla, ma ancora una volta la sorella lo bloccò – e devo riconoscere che la paura dello scandalo è stata solo una misera scusa. Spero, tuttavia, che concorderai con me che entrambe siano stati irresponsabili”. Fabrizio annuì.
“Tuttavia, non voglio commettere gli stessi errori che ho fatto con te ed Elisa” ammise la sorella, Fabrizio cercò di alleggerire la tensione che si stava creando:
“ Quindi se non ho capito male, non vuoi far interdire mio figlio …” sorrise, ma Anna lo fulminò e il conte alzò le mani in segno di resa, lasciando continuare la contessa.
“È che temo per Emilia, ho paura che possa rivivere quello che è accaduto tra me e Alvise. Non sto insinuando che Martino sia come lui, ma temo che Emilia veda nel matrimonio con Martino una sorta di riparazione”. Ammise la donna.
“Credi forse che Emilia voglia sposarsi con Martino solo per le convenienze?” domandò incredulo il conte. La sorella non rispose.
“Anna, se davvero Emilia avesse voluto salvare le apparenze, non avrebbe rifiutato la proposta del principe!”
“Hai ragione Fabrizio, ma dammi ancora un po’ di tempo prima di accennare a questa nostra conversazione” domandò la donna. L’ uomo acconsentì:
“Sai bene che presto la gravidanza di Emilia non potrà più essere nascosta. Non voglio importi di accettare il loro fidanzamento, ti chiedo solo di rifletterci”.
“Come preferisci – la rassicurò il fratello, per poi continuare - ma se hai dei dubbi su Martino o su Emilia, forse dovresti parlarne con loro non credi?”
“Farò tesoro del tuo consiglio, grazie.”
Nel frattempo la passeggiata dei due cugini era stata interrotta dall’arrivo del conte Sturani. Quando Emilia vide smontare da cavallo il giovane ospite, cercò di ritirarsi, ma Martino glielo impedì:
“Non preoccuparti, Augusto è un amico leale, e non penso farà molto caso al tuo stato” le sussurrò il ragazzo, avvicinandosi all’amico.
“Augusto, che piacere vederti” esclamò il conte Ristori.
“Iniziavano a girare strane voci che volevano il giovane Conte Ristori di ritorno dall’accademia, e mi stavo domandando perché questo non fosse passato a salutarmi. – iniziò il conte Sturani, prima di posare gli occhi sulla figura della marchesina, appena qualche passo dietro il cugino – Se avessi immaginato il motivo di tale ritardo, avrei avvisato” continuò. Martino sorrise, poi si voltò verso la cugina e la invitò ad affiancarlo:
“Emilia ti ricordi il conte Augusto Sturani? L’amico che spesso mi accompagnava al collegio di Saint Cyr. Augusto, lei è mia cugina, la marchesina Emilia Radicati”
“Ho sentito molto parlare di voi, ma a essere onesta, temo di non avervi mai conosciuto personalmente” salutò la ragazza, chinando leggermente il capo, in segno di saluto. Il conte Sturani ricambiò il saluto, elogiando la bellezza della giovane, che arrossì. Martino invitò l’amico e la cugina ad accomodarsi sotto il gazebo e dopo qualche momento d’imbarazzo, i tre si apprestarono a passare il resto del pomeriggio insieme. La conversazione dei tre giovani, nonostante gli sforzi di Martino, ritornò sulla Francia.
“E così sei riuscito ad ottenere un nuovo congedo …” aveva iniziato il conte Sturani, che venne interrotto dall’amico:
“Veramente mi sono ritirato dalla vita militare” fu la correzione del giovane conte Ristori, che causò un momento di silenzio, nel quale Emilia gli rivolse uno sguardo preoccupato. Augusto si riprese presto dalla sorpresa e continuò:
“ È un vero peccato, hai talento …” nel sentire quella risposta Emilia si rabbuiò, perdendosi nei suoi pensieri e non prestando più ascolto alla conversazione dei due.
“Tuttavia, se sei sicuro della tua scelta, non posso che augurarti tutta la felicità che meriti - riprese il conte Sturani, finendo la sua tazza di tè - Che la tua vita in campagna sia proficua e di tuo gradimento – continuò ancora il giovane, facendo sorridere l’amico, che poi si rivolse alla ragazza- E voi Marchesina che genere di vita preferite?” Emilia fu costretta a riemergere dai suoi pensieri, e ad accantonare i suoi sensi di colpa.
“Perdonatemi conte Sturani, ero distratta.” Ammise la ragazza, abbassando il capo imbarazzata.
“Non dovete scusarvi, vi abbiamo tagliato fuori dalla conversazione, stavamo discutendo sulla vita in campagna: vi aggrada questa prospettiva o preferite la vita di città?” domandò nuovamente il conte.
“N e sarete meravigliato, ma adoro la vita di campagna. Sebbene abbia vissuto molto tra Torino e Parigi, la serenità che mi riesce a dare Rivombrosa è unica”. Sorrise la ragazza, cercando di rimediare alla mancanza di poco prima, ma la conversazione non durò molto perché Angelica raggiunse il gazebo, annunciando l’arrivo della duchessa Contarini. Emilia, piuttosto confusa da quella visita inattesa e misteriosa, si congedò dai due cavalieri, dirigendosi verso l’androne, dove una giovane dama dai capelli rossi la stava attendendo.
“Rebecca! – esclamò la marchesina-  che piacere vederti!”
“Carissima Emilia, ti trovo bene” rispose l’amica, prima di essere invitata ad entrare a palazzo Ristori.
“Immagino ti stessi domandando chi fosse a farti visita” scherzò la duchessa, Emilia sorrise:
“Devo confessarti che ho pensato fosse una visita per mia madre”. Le due ragazze si accomodarono nel salottino privato della marchesina.
“Mi dispiace doverti ospitare qui, ma oggi sembra che tutti vogliano farci visita” esordì la giovane padrona di casa, mentre invitava la cameriera ad avvicinarsi per portare loro qualcosa da bere.
“Siete una famiglia molto popolare e ben in vista, allora”.
“O forse più semplicemente i nostri amici non hanno bisogno di un invito per presentarsi a casa nostra”.
“Ad altri, invece, neppure l’invito è sufficiente per presentarsi …” iniziò la duchessa, subito interrotta dall’amica:
“Rebecca mi dispiace di non essere stata presente al tuo matrimonio, ma ero invitata alla promozione di Martino, ed è stata anche l’occasione per congedarmi definitivamente dal collegio”.
“Emilia non preoccuparti, non mi sono offesa, certo mi è dispiaciuto, ma il soggiorno in Francia sembra che ti abbia fatto bene.”
“Così è stato. Piuttosto, la tua nuova vita da duchessa? Come ti trovi negli abiti di moglie e padrona di casa?” cercò di cambiare discorso la marchesina.
“Finalmente inizio a non perdermi a palazzo, devo dire che le prime volte è stato davvero imbarazzante, perfino Cristiano si è orientato prima di me!” si lasciò sfuggire la giovane.
“Il principe di Montesanto è vostro ospite a palazzo? Come sta?” domandò Emilia, cercando di nascondere la tensione.
“Non sta passando un periodo molto felice – ammise Rebecca - dopo il tuo rifiuto ci ha chiesto ospitalità, e passa molto tempo da solo.”
“Come sai del mio rifiuto?”
“ È stato Cristiano a raccontarci tutto, deve proprio venerarti, non fa altro che tessere le tue lodi”.
“Rebecca, io non potevo accettare, mi dispiace avergli causato delle sofferenze, ma non potevo mentirgli fingendo un sentimento che non provo”.
“Ti sei infatuata di tuo cugino” quella di Rebecca non era una domanda, ma una costatazione. Emilia arrossì: certo non poteva dire che ‘infatuarsi’ fosse il termine più adatto.
“Tesoro, è impossibile non notare gli sguardi che vi scambiavate tu e il conte Ristori. Ogni volta che eravate lontani vi cercavate, molte ragazze di Saint Cyr  invidiavano il tuo rapporto con lui. Mi domando come Cristiano non l’abbia notato”.
“La mia curiosità verso il principe deve averlo tratto in inganno. Ero desiderosa di conoscerlo, ma non ho immaginato che le sue intenzioni fossero diverse dalle mie”.
“Emilia, non devi fartene una colpa. Hai deciso di non accettare una proposta di matrimonio, non hai certo nulla di cui vergognarti”. Cercò di rincuorarla l’amica. La contessina non rispose, abbassando lo sguardo.
“Speri che sia tuo cugino a chiedere la tua mano?”
“Ti confesso che questa possibilità mi ha affascinata per molto tempo …”
“Ma?” la incalzò la duchessa.
“Ma ho paura di non potergli offrire ciò di cui lui ha bisogno. Ho paura che per me possa rinunciare ai suoi sogni, e questo non lo voglio”.
“Trasferirsi a Parigi non è una scelta facile” concordò Rebecca.
“Tuttavia, sarebbe la scelta migliore. Ma in fondo non c’è da preoccuparsi, non penso che una sua proposta di matrimonio giungerà a breve” mentì Emilia, con un sorriso amaro sulle labbra.
“In ogni caso voglio essere la prima a ricevere l’invito al tuo matrimonio”.
“Non temere, la mia migliore amica avrà anche i posti migliori” sorrise Emilia.
“Naturalmente!” scherzò l’altra, prima di cambiare discorso.

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Capitolo 45
*** Capitolo XLV ***








Dopo aver congedato Augusto, Martino si recò in biblioteca, dove Anna stava ricamando. La nobildonna alzò per un attimo lo sguardo dal lavoro, per poi riabbassarlo.
“Perdonate zia, non volevo disturbarvi.” Si scusò il ragazzo, conscio che una nuova incomprensione con la madre di Emilia era tutt’altro che auspicabile. Anna sospirò profondamente e appoggiò il tamburello vicino a lei, prima di fissare negli occhi il nipote.
“Non mi hai disturbata, anzi sono felice che tu sia qui, volevo parlarti” esordì la contessa, facendo intendere al nipote di voler mantenere riservata quella conversazione. Martino si chiuse la porta alle spalle e si sedette sulla poltrona, di fronte alla zia.
“Immagino che tu possa indovinare di cosa voglio parlarti” iniziò Anna, Martino annuì, senza capire veramente il senso della domanda.
“Bene, ti sorprenderà, ma ho seriemente riflettuto sulla tua proposta”.
“State dicendo che posso sposare Emilia?” domandò Martino senza riuscire a trattenere l’aspettativa e la gioia.
“Ho detto che ho valutato la tua proposta, non che l’ho accettata” gli fece notare la donna, che però fu felice dei palesi sentimenti del nipote. Martino cercò di ricomporsi, capendo che quella era la sua vera opportunità per convincere la zia.
“Vedi Martino, sono rimasta molto delusa dal fatto che Emilia aspetti un figlio all’infuori del matrimonio; converrai con me che per una ragazza in età da marito questo è un fatto molto grave, ma la mia paura più grande ora è che tu sposi mia figlia solo per rimediare al vostro sbaglio.”
“Nostro figlio non è uno sbaglio – ribatté Martino - io amo Emilia, e voglio sposarla. Non perché aspetta mio figlio. Vedete, quando sono tornato in Francia mi sono dedicato completamente all’attività militare. Ero tra i migliori, ma ogni volta che rientravo nella mia stanza non ero soddisfatto: mi sembrava sempre che mancasse qualcosa, solo quando lei è venuta a cercarmi mi sono sentito completo, e ho capito quanto sono stato folle ad abbandonarla. Io avevo già intenzione di chiederla in moglie, ma lei mi ha bloccato, ha voluto confessarmi di aspettare un figlio, in modo che io potessi scegliere, e come avrei potuto non scegliere lei? Io la amo …” il ragazzo rimase in silenzio dopo aver lasciato che le parole uscissero da sole dalla sua bocca. Anna ne rimase colpita, e per la prima volta abbozzò un sorriso:
“Era quello che avrei voluto sentire, sono felice che Emilia abbia trovato un uomo come te” ammise la contessa.
“Questo vuol dire che …” domandò il ragazzo incredulo e in attesa della risposta della zia.
“Che puoi sposare Emilia” confermò la donna aprendosi finalmente in un sorriso.
“Grazie zia” esclamò il ragazzo, che istintivamente corse ad abbracciarla.
Il buon umore di Martino durò per tutto il resto del pomeriggio, ma nessuno riuscì a capire a cosa fosse dovuto. Poco prima di cena il ragazzo andò in camera della cugina, per darle la nuova notizia, e per accompagnarla al piano sottostante, ma tutta la sua euforia svanì quando la vide distesa sul letto con una mano a coprirsi gli occhi.
“Emilia, tesoro …” la chiamò il ragazzo. La contessina si voltò verso di lui, cercando di rassicurarlo.
“Martino non è nulla, soltanto un capogiro dovuto alla stanchezza” minimizzò lei, mettendosi seduta con l’aiuto del cugino.
“Sei sicura di sentirti meglio? Preferisci forse che ti sia servita la cena in camera?” Emilia sorrise, accarezzando il volto del ragazzo di fronte a lei:
“Ora è passato, ti prego non farmi sentire malata. Nel mio stato soffrire di lievi capogiri è normale, e poi oggi è stata una giornata intensa.”
“Come preferisci” acconsentì il ragazzo, aiutandola ad alzarsi e porgendole il braccio.
La cena e la serata trascorsero senza complicazioni, Martino si comportò da perfetto cavaliere nei confronti della cugina, senza però trovare il momento giusto per rivelarle dell’incontro tra lui e Anna. Dal canto suo la contessa Ceppi non volle toccare l’argomento, lasciando che fossero i due giovani ad annunciare il lieto evento.  Presto la marchesina si congedò dal gruppetto e venne accompagnata in camera dal suo cavaliere che, ormai, non la lasciava sola nemmeno un minuto. Furono proprio le insistenze di Emilia a convincere il fidanzato a tornare in salotto col resto della famiglia. Martino si congedò con un dolce bacio per poi uscire dalla camera della giovane e dirigersi nel salottino, sperando di poter parlare con Antonio. Il medico concesse di appartarsi col ragazzo che iniziò a esporgli tutti i suoi dubbi sulla salute della cugina. Il dottor Ceppi tentò di tranquillizzarlo ripetendo, ancora una volta, ciò che Emilia gli aveva già detto.
“Perdonami Antonio, ma anche il suo riposo mi preoccupa: vedi di notte il suo sonno è spesso agitato, e a volte si sveglia di soprassalto nel cuore della notte, è spesso stanca e durante il giorno spesso si assopisce …” continuò a spiegare il ragazzo.
“Per quanto riguarda il riposo è normale che tua cugina abbia bisogno di più ore di sonno, certo il sonno notturno agitato non è ideale, se continua ad avere incubi prova a suggerirle di venire da me per qualche infuso da prendere, ma preferirei evitare.”
“Ho capito, grazie Antonio” ringraziò il ragazzo, facendo per congedarsi, ma il medico lo trattenne.
“Ora Martino permettimi di dare a te qualche consiglio: capisco che tua cugina ti stia molto a cuore, e di questo ne sono molto felice, ma cerca di non opprimerla; è in stato interessante, falle vivere questo momento magico senza troppe costrizioni.” Il ragazzo annuì, per poi tornare in camera della ragazza.
“Emilia, sei ancora sveglia?” domandò il ragazzo, vedendo la cugina alla finestra.
“Già, ogni volta che mi corico sembra che il sonno scompaia improvvisamente” ammise la marchesina, sorridendo, quasi a scusarsi.
“Si tratta forse di una nuova sorpresa del tuo stato? Se vuoi Antonio può consigliarti qualche infuso”.
“Ti prego Martino … sto bene, solo non ho più sonno” rispose la ragazza, sciogliendosi dall’abbraccio del cugino.
“Scusami, sono troppo apprensivo – ammise Martino, sedendosi sul letto sfatto accanto alla cugina - ma è da oggi pomeriggio che ti vedo strana, cosa succede?”
“Martino non è nulla …” cercò di deviare il discorso la ragazza, ma il cugino la interruppe:
“Emilia ti prego non mentirmi. È da quando è arrivato Augusto che sei strana, ti estranei, sei scostante.  Oppure è stata colpa mia?”
“Martino, tu non hai colpa di nulla- lo rassicurò la ragazza, per poi continuare - è solo che non riesco a togliermi dalla mente le parole del conte Sturani.”
“Ti riferisci alla mia carriera militare?” domandò il cugino. Emilia annuì, abbassando lo sguardo.
“Se confronto i nostri percorsi a Parigi, vedo che ormai la mia permanenza in collegio aveva già raggiunto il suo termine, ma tu eri appena all’inizio della tua carriera. Ho paura che, presto o tardi, tu possa rimpiangere questa scelta”.
Martino le prese il volto tra le mani, costringendola a fissarlo.
“Come potrei mai pentirmi di aver sposato la donna che amo?” la ragazza sorrise amaramente.
“Quanto vorrei che questo matrimonio si celebrasse senza malumori in famiglia”.
“E se ti dicessi che ci sono novità sull’argomento?” sussurrò il giovane trattenendo a stento un mezzo sorriso di soddisfazione. Emilia lo guardò sorpresa.
“Novità?” domandò, non sapendo cosa aspettarsi. Il ragazzo continuò.
“è da questo pomeriggio che cercavo il momento giusto per parlarti … vedi, dopo essermi congedato da Augusto ho avuto un incontro con tua madre, e lei ha concesso il suo benestare per le nostre nozze … quindi, marchesina Emilia Radicati di Magliano … – sorrise il ragazzo, accingendosi a farle una nuova proposta e inginocchiandosi nuovamente davanti alla cugina- vuoi diventare mia moglie?” Emilia scoppiò a ridere felice.
“Sì” riuscì solo a dire prima di abbracciare il cugino e baciarlo dolcemente.
“A cosa pensi?” domandò Martino, abbracciando la cugina, una volta che il primo entusiasmo era scemato, lasciando i due giovani persi a fantasticare sul loro futuro.
“Che non capita a tutti di ricevere due proposte di matrimonio dal proprio cugino!” ammise felice la ragazza.
“E non capita tutti i giorni che la propria cugina accetti due volte di sposarti” i due rimasero in silenzio, godendosi la pace che quella nuova prospettiva aveva portato con sé, poi Emilia riprese il discorso:
“Domani mattina voglio parlare con mia madre, prima di annunciare a tutti il lieto evento, in fondo devo ringraziarla” Martino annuì sistemandosi meglio tra i cuscini, e trascinando la cugina su di sé.
“Credi che riusciremo a sposarci entro Ottobre?” domandò Emilia cercando una possibile data per le sue nozze.
“Fosse per me ti sposerei anche ora, domani  andrò a parlare con l’abate Van Necker”.
“E se ci sposasse frate Quirino?” propose la ragazza. Martino soppesò la proposta.
“Vorresti sposarti al borgo?” domandò il giovane, Emilia annuì.
“Bene, vorrà dire che domani mi presenterò alla pieve di Rivombrosa.  Ora però è meglio dormire, non voglio che la mia futura sposa si addormenti sull’altare perché ha organizzato giorno e notte il nostro matrimonio” rispose il ragazzo, baciando la fidanzata e stringendola forte a sé.

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Capitolo 46
*** Capitolo XLVI ***







Il giorno dopo Emilia si era alzata di buon mattino, decisa a parlare con sua madre. Le parole della sera prima di Martino le avevano dato fiducia, e ora quello che prima era un semplice desiderio si era trasformato in necessità. Una volta pronta la ragazza si mise alla finestra, cercando di regolare i battiti del suo cuore impazzito. Eppure cosa aveva da perdere? Sua madre aveva già acconsentito al suo matrimonio, e forse prima o poi avrebbe potuto gioire di quel piccolo in arrivo, bisognava solo ringraziarla prima di annunciare a tutti le sue nozze con Martino.

“Come mai già sveglia?” domandò la voce del cugino alle sue spalle. Emilia sussultò.
“Non mi ero accorta che ti fossi alzato, credevo tu stessi ancora dormendo” si giustificò la ragazza. Il giovane sorrise.
“Infatti, ma mi sono accorto che la mia fidanzata non era più al mio fianco e così mi sono alzato. – sorrise il giovane, notando poi il perfetto abbigliamento della cugina- Sei già pronta per il tuo appuntamento mattutino? Guarda che potrei diventare geloso, se solo non sapessi chi ti aspetta”. Emilia arrossì.
“Ho paura, Martino” ammise, finalmente anche a se stessa.
“Di cosa?” domandò il giovane, cingendole le spalle con un braccio.
“Di rovinare tutto. Di trovarmi davanti a lei, e non sapere più cosa dover dire, o come comportarmi …” Martino la interruppe:
“Parli di questo incontro come un dovere.” iniziò serio.
“Non è forse giusto che io mi chiarisca con mia madre, prima di sposarmi?” domandò la ragazza, sentendosi fraintesa dal cugino.
“Non intendevo questo, solo che forse poche parole sincere, magari anche se poco curate, hanno un valore diverso di un perfetto discorso studiato in ogni suo passo. Emilia è tua madre, sono sicuro che capirà”.
“Sei cosciente che l’ultima volta che hai detto così è stato prima di annunciare a mia madre l’arrivo di nostro figlio?” domandò tra l’ironico e il disperato la ragazza.
“Sono sicuro che accadrà diversamente” insistette il ragazzo. Emilia prese un bel respiro e si diresse verso la porta.
“Aspetta, ti accompagno”. Si offrì Martino, affrettandosi a indossare gli abiti della sera precedente e a rendersi presentabile.
Emilia si fermò davanti alla camera della madre, cercando il coraggio per entrare; al suo fianco Martino cercava di convincerla ad accompagnarla, ma la ragazza era irremovibile:
“Mi dispiace Martino, ma questa è una cosa che devo affrontare da sola.”
“Stiamo parlando del nostro matrimonio” osservò il ragazzo, sentendosi escluso.
“Lo so, ma ho bisogno di chiarire con mia madre” spiegò Emilia, accarezzando il volto del cugino. Martino prese la mano della fidanzata e la portò alle labbra, posandovi un dolce bacio.
“Vorrà dire che ti aspetterò qui” si arrese.
“Grazie” bisbigliò la ragazza. Dei passi per il corridoio obbligarono i due giovani a rimandare le loro dimostrazioni di affetto. Giannina fece capolino subito dopo, portando l’abito della contessa Ceppi.
“Giannina, mia madre è già sveglia?” domandò la ragazza.
“Sì marchesina Emilia, volete che vi annunci?” rispose la cameriera.
“Grazie Giannina”.  La donna entrò nella camera della contessa.
“Il vostro abito, signora. Perdonate, ma vostra figlia vorrebbe vedervi” iniziò la cameriera, porgendo alla donna l’abito che teneva tra le braccia.
“Va bene Giannina, cortesemente aiutatemi a indossarlo, non posso certo riceverla in abiti da camera”. La cameriera si affrettò a eseguire gli ordini, rispondendo alle domande che la nobildonna le poneva:
“Sì signora, vostro nipote è fuori dalla vostra porta, insieme alla marchesina vostra figlia. Devo far entrare anche lui?”.
“Solo se lo richiede” diede istruzioni la donna. La cameriera annuì e lasciò entrare la marchesina.
“Buon giorno, madre” salutò la ragazza. Anna non rispose, limitandosi a osservare la figlia, in piedi davanti a lei.
“Sei mattiniera, Emilia”
“Io volevo ringraziarvi, madre” iniziò la ragazza.
“Per aver acconsentito alle tue nozze con Martino?” domandò la donna, addolcendo il tono della voce.
“Sì, per me era importante avere la vostra benedizione, so di avervi delusa, ma non avrei mai potuto sposarmi senza di voi”. Anna accarezzò il volto della figlia.
“Sono lieta di sentirtelo dire. Spero che lui possa renderti felice”
“Lo farà”. Rispose Emilia, senza indugio, prima di essere stretta dalle braccia della madre. Quando le due si sciolsero la contessa suggerì alla ragazza di non far attendere oltre il cugino, e di scendere tutti a far colazione.
Raccolti attorno al grande tavolo, il resto della famiglia attendeva l’arrivo degli ultimi componenti.
“Come mai Anna non è ancora arrivata?” domandò Fabrizio, sorseggiando la sua tazza di tè.
“Non saprei, eppure quando sono uscito era già sveglia” ammise il dottor Ceppi, prima che Anna facesse il suo ingresso nella sala.
“Buon giorno a tutti” salutò, senza mascherare troppo il suo buon umore. I due uomini si alzarono in piedi, e Antonio si premurò di accompagnarla al suo posto, non prima di averle baciato la fronte, ben conscio di quanto la donna non apprezzasse effusioni troppo espansive in pubblico. Poco dopo fecero il loro ingresso anche i due cugini, stretti l’uno all’altra. Subito gli sguardi dei presenti si posarono prima sui volti sorridenti dei due ragazzi, poi su Anna, che però non sembrò dare segni d’insofferenza. La colazione si svolse tranquillamente, quando Elisa fece per alzarsi, Emilia la trattenne:
“Per favore, Elisa, aspetta – iniziò timidamente la ragazza, scambiandosi uno sguardo col cugino, prima di continuare - noi avremmo una notizia da annunciarvi …” la contessa si rimise a sedere, aspettando la confessione dei giovani.
“Io ed Emilia ci sposiamo, la zia ha acconsentito”spiegò felice Martino, stringendo tra le sue, la mano di un’emozionata Emilia. I due giovani vennero sommersi da congratulazioni e domande, e tutti nella stanza si prodigarono in auguri e felicitazioni.
“Avete già deciso una data?” domandò Fabrizio.
“Tra tre settimane, quattro al massimo. Andrò a parlare oggi stesso con frate Quirino, abbiamo deciso di sposarci alla pieve di Rivombrosa” spiegò il ragazzo.
“Bisognerà avvisare subito il miglior sarto di Torino, per il tuo abito. Potresti iniziare a vedere i campioni delle stoffe che avevano portato per il mio, dovrei averle conservate” iniziò Anna.
“Certo, certo, e non dimentichiamoci gli invitati, i fiori, la musica, il banchetto nuziale …” iniziò a elencare Fabrizio, ridendo.
“Emilia, temo ti sia messa in un incredibile pasticcio, non avrai più un minuto da passare con tuo cugino, ora che Anna si è messa in testa di iniziare con i preparativi” scherzò Antonio, strappando una risata ai presenti, subendo però gli scherzosi rimbrotti della moglie.
“Padre, mi accompagnereste al borgo? - domandò il giovane conte – Vorrei che mi faceste da testimone” spiegò, lasciando stupito l’uomo.
“Ne sarei felice”.
“Antonio, tu vorresti invece testimoniare per me?” domandò timidamente Emilia.
“Ma certo, piccola” rispose il medico, appoggiando una mano sulla spalla della ragazza, che lo abbracciò di slancio.
“Ora conviene che io vada, altrimenti frate Quirino sarà troppo impegnato per ricevermi” iniziò Martino, ma non sembrava veramente intenzionato ad allontanarsi dalla fidanzata.
“Vieni Emilia – la esortò la zia, vedendo che i due giovani non si decidevano a dividersi – dobbiamo iniziare coi preparativi, soprattutto se volete sposarvi a breve”.
Emilia era segregata in biblioteca con la madre e la zia, sommersa da diverse stoffe candide, una più preziosa dell’altra.
“Madre, non riesco proprio a decidermi, sono tutte meravigliose” ammise la ragazza, stringendo tra le mani una seta impreziosita con fili d’argento, per poi posarla accanto a sé, prendendo uno scampolo avorio damascato.
“Io invece penso che tu abbia già scelto” le suggerì la zia.
“In effetti non è la prima volta che ti soffermi su quella stoffa” le fece eco Anna.
“Coraggio Emilia, riordiniamo tutti questi campioni prima che Martino torni alla tenuta, sono passate quasi due ore da quando è uscito con Fabrizio. Cosa ne dici di iniziare a stendere una lista degli invitati?” cercò di rassicurarla Elisa. Emilia annuì, lasciando che la zia le togliesse dalle mani il tessuto; nel frattempo Anna si era procurata carta e calamaio e iniziò a elencare una serie di famiglie nobili che intendeva invitare.
“La pieve non è molto grande, spero che gli ospiti non lo considerino una mancanza di riguardo”.
“Madre, non arrabbiatevi, ma io e Martino avevamo pensato ad una cerimonia semplice, senza troppi invitati” iniziò la ragazza.
“Certo tesoro – iniziò la contessa, senza ascoltare le parole della figlia – ma bisogna fare attenzione a non creare malumori in chi non è stato invitato. Sei una Ristori, che tu lo voglia o meno, il tuo matrimonio sarà argomento di discussione in qualche salotto”. Il monologo di Anna venne interrotto dall’ingresso di Fabrizio e Martino.
“Martino, finalmente sei arrivato a salvarmi! - esclamò la ragazza, correndogli incontro – è due ore che quelle due donne mi tengono chiusa qui dentro” si giustificò, indicando le due contesse, che ridevano di quella scenetta.
“Non temere Emilia, il prossimo passo sarà scrivere gli inviti” la prese in giro Elisa. Fabrizio tentò di nascondere una risata, dietro un colpo di tosse.
“Piuttosto Martino, hai parlato con Frate Quirino? Cosa ti ha detto?” Domandò Anna.
“Ha accettato di sposarci tra tre settimane, l’ultima Domenica di Settembre” spiegò il ragazzo.
“Così presto? Vuol dire che dobbiamo assolutamente iniziare stasera con gli inviti. Coraggio Martino, chi hai intenzione di invitare?” iniziò la contessa Ceppi, facendo morire il sorriso sulle labbra del ragazzo.

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Capitolo 47
*** Capitolo XLVII ***







“Emilia, finalmente la zia ti ha concesso una pausa nei preparativi del matrimonio?” domandò Martino, vedendo la cugina scendere lo scalone centrale del palazzo.
“Non proprio – lo corresse la ragazza – devo andare a consegnare l’invito a Rebecca” spiegò ancora Emilia, mostrando al ragazzo la busta che teneva in mano.
“Credevo sarebbero stati Angelo e Titta a consegnare gli inviti” replicò Martino incerto.
“Sì, ma avevo promesso a Rebecca di consegnarglielo personalmente. Mi accompagneresti?” domandò la marchesina.
“Se non sono d’intralcio con molto piacere” accettò Martino, posando un bacio sulla guancia della cugina.
“Non ci tratterremo molto, non voglio incontrare il principe di Montesanto” spiegò ancora la ragazza.
“Non sapevo che fosse ospite dai duchi” continuò la conversazione Martino, aiutando la cugina a salire in carrozza.
“Il marito di Rebecca è un vecchio amico di Cristiano” spiegò Emilia, senza spendersi in ulteriori particolari.
“Tuttavia non riesco a capire perché non vuoi incontrare il principe, credevo ti piacesse” continuò il ragazzo, esitando sull’ultima parte della frase.
“Sei geloso?” domandò Emilia.
“Dovrei forse?” rispose a tono Martino, ma fu interrotto prima che potesse aggiungere altro.
“No.  –rispose secca Emilia, per poi continuare - Abbiamo già discusso di quello che è successo. Solo, non so come dovrei comportarmi nel caso lo incontrassimo”.
“Non è detto che il principe sia a palazzo, tutt’al più agiremo in base alla sua condotta” la rassicurò Martino, dando ordine al cocchiere di partire.
 Il breve tragitto in carrozza trascorse tranquillo e ben presto la coppia arrivò a palazzo Contarini, dove venne subito ricevuta dalla  duchessa.
“Emilia è un vero piacere rivederti così presto – esclamò la ragazza, abbracciando l’amica, per poi rivolgersi a Martino – conte Ristori, sono lieta che siate venuto anche voi. Prego, accomodiamoci; desiderate qualcosa da bere?” domandò, infine, la duchessa dopo aver condotto la coppia in un salotto molto luminoso.
“Grazie Rebecca, ma non sarà una visita molto lunga, volevo solo mantenere la mia promessa …” iniziò Emilia, porgendo l’invito all’amica con un sorriso sul volto. La duchessa lesse velocemente l’elegante grafia di Emilia, che annunciava le prossime nozze. Terminato di leggere, la duchessa fissò i suoi occhi smeraldo in quelli dell’amica:
“Allora, l’altro giorno, mi hai mentito quando affermavi di non aspettarti una proposta di matrimonio dal conte Ristori – iniziò seria, per poi allargarsi in un sorriso – sono così felice per te, cara!” esclamò, alzandosi per abbracciare l’amica.
“Congratulazioni anche a voi signor conte” si congratulò Rebecca. In quel momento una cameriera entrò nella stanza; appena la vide Rebecca le si fece incontro, discutendo fittamente con lei per qualche minuto, per poi rivolgersi ai suoi due ospiti.
“Emilia, conte Ristori, devo chiedervi di perdonare la mia assenza per pochi minuti: mio marito è fuori per affari e alcuni contadini richiedono di me” spiegò Rebecca.
“Non preoccupatevi duchessa, capiamo benissimo, se siete impegnata possiamo tornare a Rivombrosa” cercò di rassicurarle Martino, ma la ragazza si oppose:
“Conte Ristori, insisto perché voi e vostra cugina vi intratteniate almeno per il tè, e poi non abbiamo ancora festeggiato la notizia in maniera adeguata”. Martino si scambiò un rapido sguardo con Emilia, prima di accettare.
“Molto bene, torno subito” si congedò la duchessa. I due giovani rimasero soli nel salone.
“Non me la ricordavo così espansiva” commentò a bassa voce Martino.
“Credimi, ho motivo di credere che la tua presenza l’abbia trattenuta” sorrise la cugina, portando una mano sul ginocchio del giovane. I due vennero interrotti dall’ingresso di Cristiano.
“Emilia, sono felice di rivedervi. Ho sentito l’arrivo di una carrozza, e mi era sembrato di riconoscervi, ma temevo di essermi sbagliato - la salutò il principe, portandosi alle labbra la mano che la ragazza gli porgeva – Siete ancora più bella dell’ultima volta che vi ho visto”. Continuò il giovane, esitando nel lasciare la mano della ragazza .
“Vi ringrazio, principe” rispose la marchesina, ritirando la mano. Solo in quel momento Cristiano prestò attenzione al giovane seduto accanto ad Emilia, e si rabbuiò, vedendo la mano di lei ancora appoggiata sulla gamba del cugino.
“Conte Ristori, già di ritorno in Piemonte?” domandò il principe con falsa cortesia.
“Come potete vedere – rispose asciutto il giovane conte, per poi spiegare – ho accompagnato Emilia a fare visita alla sua amica”.
“Capisco, temo che la duchessa Contarini sia dovuta uscire – riprese il principe, per poi rivolgersi nuovamente alla ragazza – Emilia, vorrei parlarvi in privato “.
“Principe, sono certa che anche Martino possa ascoltare quello che avete da dirmi” rispose la marchesina.
“Pochi mesi fa mi chiamavate per nome – le fece notare il principe, sedendosi sul divanetto prima occupato dalla padrona di casa- riguarda il nostro ultimo incontro a Rivombrosa” insistette il ragazzo, alludendo alla convenienza che quegli avvenimenti non fossero resi noti ad altri. Emilia iniziava a sentirsi a disagio dall’insistenza di Cristiano, ma rimase ferma sulle sue posizioni, decidendo di rivelare il vero motivo della visita.
“Come vi ho già detto, Martino conosce della vostra proposta di matrimonio, quindi non vedo ragione di escluderlo dalla conversazione; inoltre dovete sapere che a breve diventerò sua moglie. La mia visita a Rebecca era per annunciarle del mio matrimonio”.
 Cristiano rimase un momento in silenzio, prima di sorridere amaramente.
“Così ho avuto l’onore di conoscere il misterioso cavaliere che già vi faceva battere il cuore – disse il principe, rivolgendosi poi a Martino – Complimenti, conte Ristori, siete riuscito dove io ho fallito”.
“Temo di non capire, principe, anche se mi appare evidente che non vi stiate congratulando per le nostre nozze” rispose Martino infastidito.
“Avete inteso bene – replicò asciutto l’altro – mi domando solo cosa le abbiate promesso per legarla a voi”.
“Cristiano, vi prego …” lo richiamò Emilia, cercando di riportarlo alla ragione.
“No, Emilia. Io mi sono innamorato di voi sin dalla prima volta che vi ho vista scendere dalla carrozza, il giorno dell’agguato; ho cercato in ogni modo di mostrarvi i miei sentimenti, sia a Venezia sia una volta tornati in Piemonte; e voi mi avete illuso col vostro bacio e poi respinto. O forse avrei dovuto aspettarmelo, da una giovane tanto ammirata in società. Scommetto vi divertiate a sedurre e abbandonare i vostri cavalieri” riprese Cristiano, lasciando il suo posto e avvicinandosi alla ragazza.
“Principe, adesso state esagerando” s’intromise Martino, alzandosi dal sofà e avvicinandosi al suo interlocutore.
“Conte Ristori, la vostra fidanzata vi ha forse taciuto qualche aneddoto accaduto in vostra assenza?” domandò il principe, fintamente sorpreso.
“Emilia non mi ha taciuto nulla, ma non trovo corretto che voi usiate un tale avvenimento per farla sentire in colpa”.
“Martino, per favore – lo trattenne Emilia, affiancandosi al cugino – Cristiano ha frainteso un mio momento di debolezza, e di questo me ne scuso” iniziò la ragazza, rivolgendosi prima al cugino e poi al principe.
“Tuttavia, vi avevo già spiegato le ragioni del mio comportamento. Vi avevo già spiegato a cosa era dovuto il bacio, e cosa mi spingeva a rifiutare la vostra proposta. Voglio però rinnovarvi la mia riconoscenza, per come mi avete aiutata a Venezia. Per questo, se vorrete venire a farci visita come un amico sincero, sarò felice di ricevervi”.
“Vi dichiarate mia amica solo per riconoscenza?” domandò Cristiano deluso.
“Questo è quello che mi lega a voi, mi dispiace che non corrisponda alle vostre aspettative, ma non mentirò dicendo che provo per voi un sentimento più forte” rispose sicura la ragazza. Il principe annuì col capo.
“Capisco. In questo caso, permettetemi almeno di farvi gli auguri per le vostre nozze imminenti, e perdonatemi se vi ho disturbata con la mia presenza. Marchesina Radicati, - continuò il principe, portando una mano di Emilia alla bocca per depositarvi un ultimo bacio – conte Ristori siete fortunato ad avere una donna così legata a voi ”.
“Grazie principe” rispose il ragazzo, in direzione dell’altro gentiluomo che presto uscì dalla stanza.
Emilia osservò il principe allontanarsi dal salone sospirando. Martino le porse un bicchiere d’acqua.
“Grazie” mormorò con un filo di voce la ragazza, riportandosi a sedere sul divano.
“Emilia, conte Ristori, non credevo di lasciarvi da soli così a lungo” si scusò Rebecca, tornando dai suoi ospiti.
“Duchessa non vi dovete preoccupare” la rassicurò Martino.
“Rebecca, si è fatto tardi e noi dovremmo tornare a Rivombrosa” iniziò la marchesina.
“Emilia, non siamo riuscite a festeggiare, fermatevi a cena. Sono sicura che a Rivombrosa capiranno”
“Mi dispiace Rebecca, ma i preparativi del matrimonio mi attendono” si giustificò nuovamente la ragazza.
“Allora vi accompagno alla carrozza” si lasciò vincere la duchessa.
Appena la carrozza intraprese la strada del ritorno, Emilia si abbandonò allo schienale, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Subito Martino le si fece vicino, apprensivo:
“Emilia, va tutto bene?” la ragazza annuì.
“Non preoccuparti, solo, non vedo l’ora di arrivare a Rivombrosa e potermi stendere: la conversazione con Cristiano mi ha stancata parecchio” ammise la marchesina.
“Emilia, mi dispiace, non avrei dovuto comportarmi in quel modo”
“Martino, non hai nulla da farti perdonare. –lo rassicurò la cugina, accarezzandogli il volto – tu volevi solo difendermi, inoltre, ho visto come ha cercato di provocare una tua reazione e, sono convinta, avrebbe continuato fino a ottenere ciò che voleva”.
“Questo non giustifica l’aver ceduto alle sue istigazioni”. Emilia prese il volto del cugino tra le mani, e lo obbligò a fissarla negli occhi.
“Martino, credi che ti amerei se tu non fossi anche così impulsivo? “ domandò, posandogli un lieve bacio a fior di labbra. Il cugino biascicò una qualche risposta, ma la ragazza lo zittì nuovamente.
“Sono stanca di parlare di quello che è accaduto con Cristiano …” confidò al cugino, sorridendo sulle labbra del ragazzo, che affamate, tornarono presto a cercare quelle di lei.

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