Emilia e Martino: il sogno di un amore di _Nica89_ (/viewuser.php?uid=67092)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 40: *** Capitolo XL ***
Capitolo 41: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLVII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Declaimer: i personaggi della serie non mi appartengono, e alcuni sono stati modificati. Nel testo sono inserite anche frasi tratte dalle prime due serie della fiction.
Elisa era in piedi davanti alla grande finestra della biblioteca, e fissare il parco sottostante, sapeva che doveva smettere di sperare che da un momento all'altro da quel cancello ritornasse Fabrizio... il suo Fabrizio. Erano passati ormai sei anni da quel maledetto giorno di Natale, un giorno che doveva essere pieno di gioia, che avrebbe dovuto segnare l'inizio di una nuova vita in tre... invece, le cose erano andate diversamente da quello che si era aspettata. Nulla di quello che aveva sognato per sua figlia e Martino si era realizzato, e ora lei si sentiva persa. Sapeva che avrebbe dovuto risposarsi come era solita fare una vedova dell'alta società, ma lei non riusciva ad accettare tutte quelle convenzioni, che la volevano maritata con un uomo che non amava, pur di poter continuare a permettersi una vita agiata...
In quel momento venne distratta da uno strattone dell'abito. Si voltò verso dove proveniva il richiamo, e vide sua figlia. La piccola aveva voglia di uscire a giocare, così, lasciatasi travolgere dalla spensieratezza della figlia uscì a vederla giocare con Martino ed Emilia, entrambe tornati a Rivombrosa dopo una lunga assenza, Lei era tornata qualche giorno prima dal collegio di Parigi, dove studiava letteratura, lui aveva ottenuto una licenza di qualche settimana dall'accademia militare. Giocarono tutti insieme, finché Amelia non li chiamò per il tè. Il gruppetto si diresse verso il gazebo dove, rimasta sola con Martino Elisa iniziò ad informare il figlio delle scelte che aveva preso.
"Come ben sai, purtroppo Rivombrosa è ancora gravata dal debito che Alvise aveva contratto con i signori Benac, le cose stavano lentamente migliorando, ma ci vorrebbe tropo tempo per ripagarlo, soprattutto ora Che Armand è tornato, e ha iniziato a sollecitare il pagamento. Come ben sai Victor mi ha assicurato che aspetterà tutto il tempo necessario, ma non so quanto potrà resistere all'insistenza del fratello... " la donna fece un profondo respiro e alzò gli occhi sul ragazzo per vedere la sua reazione, ma lui si limitò a dire:
"Non capisco, credo di non aver afferrato qualche parte della conversazione". Elisa iniziò a giocherellare con le mani e continuò a fatica:
"Vedi ho deciso che sia giunto il momento di risposarmi... " fu interrotta da uno scatto d'ira di Martino che iniziò senza nemmeno darle modo di spiegarsi. "Risposarti? E con chi? Perché poi? Spero non per quelle convenzioni alle quali avevi detto che non ti saresti sottomessa! E ora! Cosa è cambiato? Forse il titolo di mio padre non ti basta più? Sarebbe forse meglio diventare duchessa o principessa?" così dicendo si alzò e fece per andarsene, amareggiato da quella scoperta, ma Elisa glielo impedì cercando di farlo ragionare lo costrinse a sedersi e ad ascoltare le sue motivazioni: "Sai benissimo che non è il titolo al quale sto puntando, e non credo di doverti ricordare quello che ho passato per stare insieme a Fabrizio, l'uomo che amavo, e che AMO tutt'ora. Ma voglio che i miei figli possano vivere in una famiglia, pensa a tua sorella" così dicendo indicò Agnese che stava giocando allegra poco più in là con Emilia "Sto solo cercando di pensare al tuo e al suo futuro, di dare ai miei figli ciò che gli spetta di diritto, e sopratutto sto cercando di mantenere la promessa che ho fatto sulla tomba di tuo padre, di proteggere e far rifiorire questa tenuta. Ma mi sono resa conto che da sola non posso farcela, ed è per questo che ho deciso che devo incominciare ad accettare qualche invito di Anna dalla capitale". Martino sembrava essersi calmato, ma i suoi gesti tradivano la rabbia che ancora provava. Non accettava il fatto di vedere Elisa con nessun altro uomo che non fosse suo padre. Così senza dire nulla si alzò e si diresse verso il palazzo.
Aveva bisogno di rimanere un po' solo per capire meglio quello che stava provando, così si chiuse in camera sua. Emilia Aveva notato lo scatto d'ira del cugino, e fece molta fatica a non lasciare Agnese da sola e seguirlo, invece si costrinse a portare la cuginetta da Elisa, per poi rientrare anche lei a palazzo, dove Giannina le disse la direzione presa da Martino. La ragazza era davanti alla porta del cugino, indecisa sul da farsi, avrebbe voluto entrare e parlare con li, ma qualcosa glielo impediva, da quando era tornata da Parigi rivedere il cugino le faceva uno strano effetto, si sentiva arrossire, e un nodo alla gola sembrava strozzarla, senza poi considerare le farfalle nello stomaco quando lui e sorrideva! Scosse violentemente la testa, per scacciare quei pensieri, che ormai erano sempre più frequenti nella sua mente, e bussò alla porta, ma non ottenendo risposta l'aprì ed entrò lentamente, Martino la fissò e sorrise:
"Ti sei decisa finalmente ad entrare, eri fuori da parecchio tempo". Emilia arrossì, e cercando di nascondere l'imbarazzo iniziò timidamente:
"Scusa, spero di non averti disturbato, ma ti ho visto lasciare il gazebo, piuttosto seccato e... " non fece in tempo di finire che lui le rispose:
" Elisa ed io abbiamo avuto una discussione, non lo nego" Emilia alzò le sopracciglia, come sarebbe stato possibile negare una reazione simile? Ma non disse niente, lasciando che Martino finisse "Ma ora è tutto passato”.
"Non direi dal tuo atteggiamento" si fece scappare Emilia, che si pentì subito dopo.
"Ti ho detto... " Iniziò Martino alzando la voce irritato, sapeva bene di non riuscire a nascondere le proprie sensazioni, e la cosa che lo irritava ancora di più era che gli altri glielo facessero notare, poi si raddolcì guardando la cugina "Ti ho detto che ora è tutto a posto è stato solo un acceso scambio di opinioni tutto qui, davvero".
Emilia fece finta di crederci e cambiò discorso. "Guarda, questo pomeriggio ho ricevuto una lettera da mia madre e Antonio, ci invitano a Torino per un ricevimento, in onore del loro fidanzamento, ti piacerebbe venire?" ed arrossì ancora stupendosi del coraggio che aveva avuto, nell'invitarlo al ballo, di solito erano i cavalieri ad invitare le dame, e non viceversa... Martino sembrò leggerle nel pensiero e rispose:
"No, devi essere tu a concedermi l'onore di accompagnarti" così dicendo fece un scherzoso inchino, ed entrambe scoppiarono a ridere.
Il pomeriggio seguente due carrozze partivano alla volta di Torino; nella prima c'erano Elisa, Amelia e la piccola Agnese, nell'altra Martino ed Emilia.
"Non sei contento? Per la prima volta partecipiamo ad un ballo!" disse Emilia, cercando di attirare l'attenzione del cugino, che sembrava turbato da qualche pensiero molesto.
"Come scusa?" domandò Martino distogliendo lo sguardo dal panorama e fissando la cugina; era bellissima: l'elegante abito color pesca le faceva risaltare il colorito perlaceo della pelle e i capelli legati in un’elaborata acconciatura le facevano risaltare i grandi occhi castani.
"Stai per partecipare al tuo primo ballo e non riesci a fare un sorriso?" lo rimproverò dolcemente lei. Martino scosse le spalle e borbottò qualcosa. Emilia si fece seria e gli chiese:
"Cosa c'è che non va?"
La stessa domanda attendeva una risposta anche nella carrozza di Elisa. La contessa scosse il capo iniziando a scusarsi:
"Niente Amelia, davvero sto bene" "Piccolina, lo sai che io i guai li sento venire da lontano... " l'ammonì Amelia, mentre prendeva in braccio Agnese che si era addormentata strada facendo. Elisa abbassò gli occhi e continuò giocando nervosamente con le mani.
"Ecco... credo che sia arrivato il momento di... ecco... insomma... di iniziare a frequentare la nobiltà piemontese, per cercare un padre ad Agnese e Martino, sino adesso non ho avuto il coraggio di ricominciare a vivere, ma lo devo fare per loro!Sono loro la mia vita... ma, ho paura, dopo Fabrizio non riesco più amare nessuno... “. Lo sguardo di Amelia si raddolcì.
"Non riesci ancora ad accettarlo, vero?"
"E come potrei!" esclamò Elisa "Era mio marito, l'uomo che ho amato più della mia stessa vita" tornò a rabbuiarsi "Ma gli ho anche promesso che avrò cura di Rivombrosa e dei suoi figli, e per farlo mi serve un uomo al mio fianco... " La governante strinse affettuosamente il braccio di Elisa "Elisa, lo sai, io sono sempre stata una serva... ma, non ti preoccupare, andrà tutto bene, se segui il tuo cuore e la voce dei sentimenti. Ma ora è meglio svegliare questa piccolina, siamo quasi arrivati"
"Hai ragione" sorrise Elisa, apprestandosi a svegliare la figlia con mille baci "Amore siamo arrivate, tra poco incontriamo la zia e Antonio, sei contenta?"
"Si" rispose una voce allegra di bimba.
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Capitolo 2 *** capitolo II ***
Giunti a palazzo il gruppetto venne accompagnato in una grande sala, dove venne annunciato. L'entrata della contessa fece ammutolire subito tutti e fu seguita da diversi mormorii. Fu Antonio a placare le varie maldicenze annunciando l'inizio di alcuni giochi pirotecnici, approfittando della disattenzione degli ospiti per saluti molto meno formali. Alla fine dei fuochi, si aprirono le danze e il salone si riempì delle dolci note dei minuetti nelle quali furono coinvolti anche i due giovani cugini. Tra un ballo e l'altro, Anna cercava la cognata, come per assicurarsi che la festa fosse di suo gradimento. Non vedendola danzare le si avvicinò "Non hai ancora fatto un ballo!" "E' che stavo osservando tua figlia e Martino. Sono bellissimi insieme" Anna si voltò in direzione della giovane coppia ed ammise "Hai ragione, ma adesso vieni, che ti voglio presentare alcune persone... " così dicendo la presentò ad una coppia che stava discutendo animosamente tra loro. "Permettete?" attirò la loro attenzione Anna; l'uomo si voltò e riconoscendo la padrona di casa sfoggiò uno dei suoi sorrisi più eleganti "Ma certamente, cara marchesa Radicati" e lasciando scivolare uno sguardo ambiguo al decolté di Elisa continuò "Posso avere l'onore di conoscere la vostra ospite?" "Subito, marchese, lei è Elisa Ristori di Rivombrosa, mia cognata" poi rivolgendosi ad Elisa "Elisa questi sono il marchese Ercole Salvati di Cerreto e madame Rossana Chevallier" "Lieta di conoscervi" disse Elisa porgendo la mano per un obbligato baciamano, e salutando subito dopo la dama, ma prima che riuscisse a liberarsi della compagnia indesiderata, il marchese la intrattenne on uno dei suoi discorsi "Così siete voi la famosa Elisa di Rivombrosa, che ha salvato la vita al nostro amatissimo vecchio sovrano" Elisa annuì cercando di deviare il discorso. Ad un certo punto il marchese si scusò con Rossana e invitò la contessa Ristori a ballare. Elisa, inizialmente restia si fece convincere e ballò un minuetto con l'uomo che ormai aveva iniziato a farle una corte serrata. Dall’altra parte del salone Martino fremeva "Guardalo! Non le toglie gli occhi di dosso per un solo secondo, e lei che sta lì a cinguettare!" sbottò "Basta Martino!" lo interruppe seccata Emilia "Elisa è una donna, non ha bisogno dei tuoi consigli... Martino, ma dove stai andando?! Martino fermati!" Il ragazzo, infatti, si stava dirigendo verso la coppia che parlava, e non ascoltando gli insistenti richiami della cugina interruppe quel pericoloso gioco che Salvati aveva cominciato "Scusate, signore, potrei rubarvi la contessa Ristori per qualche momento?" Lo sguardo di Elisa s’illuminò, all'idea di potersi allontanare da quella corte, sapeva bene che non sarebbe riuscita a mascherare ancora per molto il ribrezzo che quella situazione le suscitava. "Veramente io e la contessa, ci stavamo apprestando per andare a prendere una boccata d'aria in giardino, dopo le danze, non è così contessa Ristori?" iniziò Salvati dopo avere scrutato dall'alto in basso quel ragazzino impertinente "Sì, ma se il ragazzo ha necessità di parlarmi, potrebbe unirsi a noi, non credete?" cercò di mediare Elisa che ormai stava perdendo il suo auto controllo. Fu Martino a rifiutare l'invito "Veramente, è Agnese, vostra figlia a chiedere di voi... " "Agnese?" domandò Elisa preoccupata "Scusate marchese ma credo sia qualcosa di urgente, e temo anche piuttosto lungo, spero di riuscire a tornare alla festa prima che voi partiate, se così non fosse, permettetemi di dire che è stato un onore passare la serata in vostra compagnia". Disse la donna, in direzione del marchese porgendogli la mano per i saluti di circostanza, dei quali avrebbe fatto volentieri a meno. "l'onore è stato tutto mio signora, spero di rivedervi al più presto ad un altro ballo, o magari nel mio salotto, in compagnia di vostra cognata" fu la risposta del marchese "Temo sia difficile, non frequento molto i balli, ma scusatemi, ora devo andare" Così dicendo ritirò la mano da quella di lui e si diresse verso la porta che conduceva al piano superiore. Salita la prima rampa di scale Elisa, sempre accompagnata da Martino tirò un sospiro di sollievo "Mi hai salvata! Non so quanto avrei potuto resistere ancora!" Martino non rispose limitandosi ad accompagnarla nella stanza destinata a lei ed Agnese, dove Amelia cercava invano di mettere a letto la piccola. "Faccio io, grazie" disse Elisa, congedando l'anziana balia, iniziando a coccolare la figlia che aveva smesso di fare i capricci "Però piccolina, non puoi fare così, devi dormire anche con Amelia, la mamma sarebbe arrivata dopo... " "Ma io voglio te a leggermi le favole" "Perché quelle che ti racconta Amelia non sono belle?" "Sì, ma lei non è la mia mamma" disse la piccola appoggiando la testa sul seno di lei. Elisa la baciò ancora, poi, quasi ricordandosi improvvisamente di Martino, gli disse "Grazie, torna pure alla festa, e per favore inventati una scusa in caso il marchese chieda di me" Martino non si mosse "Veramente volevo parlarti" "Va bene metto a letto Agnese poi parliamo d'accordo?" propose Elisa che nel frattempo si era sdraiata vicino alla bambina e iniziava a leggerle una storia. Poco dopo Agnese si era addormentata e d Elisa aveva tutto il tempo che voleva per parlare con martino. "Allora di cosa volevi parlarmi?" domandò "Della festa, ho notato che ti sei data subito da fare" esordì lui senza molti preamboli, Elisa rimase muta per qualche secondo poi gli domandò "come scusa?" "Fai anche finta di non capire! Ti ho visto con quell'uomo!" disse il ragazzo, alzando la voce "Martino, abbassa la voce che tua sorella sta dormendo, e comunque non è come credi tu" "Davvero? Stai cercando di dirmi che non ti stava forse corteggiando?E soprattutto tu non stavi ricambiando?" "Non mi sembra di doverti delle spiegazioni sul mio comportamento, in ogni caso non davo segni di apprezzare il corteggiamento" ribatté secca "E' vero, scusa, ammetto di aver sbagliato, tu non stavi dando segni di apprezzare il suo corteggiamento, stavi solo amoreggiando! Sembravi come le ragazze del Gatto nero! Se lo sapesse Checca, probabilmente ti pagherebbe abbondantemente per riaverti là sotto questa nuova veste, e magari troveresti velocemente anche i soldi per salvare la tenuta!" continuò furibondo Martino, la gelosia del ragazzo gli aveva tolto la lucidità e aveva lasciato che le parole uscissero dalla sua bocca, senza cercare di moderarle. Elisa, sconcertata e ferita dall'ultima affermazione del figlio agì anche lei d'impulso schiaffeggiandolo sulla guancia "Modera i termini" disse in tono gelido per poi continuare altrettanto freddamente " Non ho bisogno di qualcuno che mi faccia la predica, soprattutto perché so badare a me stessa, e adesso puoi andare" Martino non rispose, si portò solo la mano al volto massaggiandosi la parte colpita e senza dire una parola si diresse verso la porta, ma fu fermato dalla voce di Elisa che aggiungeva: "L'unica cosa che mi dispiace è averti considerato abbastanza maturo da poter comprendere". Ora Elisa era sola nella stanza, e cercava di chiarire a se stessa cosa fosse veramente successo; Martino era appena uscito sbattendo la porta, e l'unica cosa che lei era in grado di fare era quella di reggersi in piedi, la mano ancora sospesa a mezz'aria. Si sentiva in colpa, avrebbe voluto rincorrere quel ragazzo e dirgli che le dispiaceva averlo colpito, che aveva agito d'istinto, senza controllarsi, ma le sue parole continuavano a farle male. Decise di sdraiarsi, sperando che una dormita offrisse la possibilità di vedere le cose sotto una luce diversa, ma appena chiuse gli occhi rivide passare davanti e sé la sua vita con Fabrizio, la sua rabbia quando le aveva detto di essere una serva, il loro primo bacio, la festa di San Giovanni, la dichiarazione sulle scale, tanto criticata da Anna, ancora Fabrizio ferito moribondo nel letto, la sua partenza per l'esercito e la paura di averlo perso per sempre... e ancora, i due tentativi di matrimonio, la scoperta e la perdita del loro bambino, gli inganni di Lucrezia, l'arresto di Fabrizio, la disperata corsa contro il tempo per salvarlo, e il riconoscimento ufficiale del loro amore, il matrimonio, festeggiato da tutta Rivombrosa, la nascita di Agnese! E poi il giorno di Natale, La stella Elisa, lei a messa, mentre si crucciava del ritardo del marito, l'attesa nel grande salone, insieme ad Anna, Antonio, Emilia e tutta la servitù, il nitrito di Hermes, e la corsa liberatoria verso le scale, poi trasformatasi in grido di dolore non appena l'aveva visto morente al suolo. Il funerale, e la promessa che gli aveva fatto sulla tomba, infine vide la corte serrata del marchese e la lite con martino, non stavi dando segni di apprezzare il suo corteggiamento, "... stavi solo amoreggiando! Sembravi come le ragazze del Gatto nero! Se lo sapesse Checca, probabilmente ti pagherebbe abbondantemente per riaverti là sotto questa nuova veste, e magari troveresti velocemente anche i soldi per salvare la tenuta!" le immagini si fecero meno nitide ed Elisa scattò a sedere sul letto spaventata. Si alzò, e iniziò a camminare per la camera cercando di calmarsi. Dal piano sottostante le giungevano attutiti i suoni della festa. Se fosse stata sicura di non essere vista, si sarebbe messa il mantello sulle spalle e sarebbe andata a passeggiare in giardino, si limitò, invece ad aprire la finestra e a respirare l'aria fredda dei primi di Febbraio, ripromettendosi che il giorno dopo sarebbe andata a Rivombrosa, per chiedere consiglio a sua madre. Anche Martino era combattuto tra la rabbia e il rimorso, ma i suoi doveri di cavaliere gli imponevano di tornare alla festa. Raggiunto il salone, la sua attenzione venne subito catturata dalla conversazione tra Salvati e Madame Chevallier "Ma caro Ercole, non vi sembra che il gioco si possa rivelare noioso, insomma, la vostra "Preda" ha anche una figlia, una gran seccatura, non trovate?" stava dicendo la dama. "Al contrario, cara Rossana, il gioco si fa più intrigante, ora voglio farla pagare a quel damerino che si è messo in mezzo, probabilmente è il figlio, ma non mi interessa, io voglio lei, la contessa... " "e poi?" domandò divertita la donna "Poi si vedrà... “. Martino non poté più ascoltare nulla, perché aveva notato Emilia che si stava avvicinando. "Martino! Finalmente, dove sei stato?" gli chiese appena Martino la raggiunse "ho discusso con Elisa, ma ho sbagliato... " Emilia notò il segno rosso che il ragazzo aveva sulla guancia "E quello che cos'è?" domandò "nulla" tagliò corto Martino, per poi aggiungere "Ti andrebbe di uscire?" emilia accettò volentieri, la sala si stava facendo troppo calda per lei, inoltre la stanchezza iniziava a renderle fastidioso qualsiasi rumore che percepiva. I due passeggiarono lentamente tra il labirinto di siepe. Lei solo col leggero mantello, lui nell'elegante divisa di ufficiale francese. Ad una folata di vento Emilia rabbrividì e a Martino venne spontaneo togliersi la giacca e appoggiarla delicatamente sulle spalle della cugina, che a quel tocco rabbrividì ancora, ma stavolta i brividi non erano di freddo. Si strinse la giacca intorno al collo e lui non poté non ispirare la sua fragranza, poi quasi sentendo che quel "gioco" stava diventando tropo serio, e il silenzio che era calato tra di loro sembrava infrangibile, cercò di alleggerire la situazione, ma riuscì solo a mormorarle nell'orecchio "Ti ho già detto che sei bellissima?" Emilia sorrise, lusingata da quel complimento, e si voltò verso il cugino "Così mi fai arrossire... "stava dicendo allegramente quando la mano di lui si posò sul suo viso. Lei si bloccò, mosse solo leggermente la testa, come per cercare la mano che le stava sfiorando l'orecchio, mentre il cugino si avvicinava lentamente al suo viso, prima le sfiorò le labbra, la fissò un secondo, esitante, come per cercare nei suoi occhi un'ulteriore conferma, e la baciò. Emilia si fece trasportare da quel nuovo sentimento che da mesi cercava di soffocare e rispose al bacio del cugino, compiendo i gesti che tante volte aveva sentito raccontare dalle sue amiche in collegio, ma che non credeva avrebbe mai provato, un giorno, in prima persona. Infine Martino si staccò, lui stesso turbato da quel gesto "Non avevo mai baciato nessuno prima d'ora"mormorò Emilia, quasi parlando a se stessa. "Nemmeno io" ammise Martino. Il silenzio sembrava dover calare ancora su quella giovane coppia, ma fu Emilia a impedirlo "Adesso rientriamo, starai congelando solo con la camicia "In effetti fa abbastanza freddo" Ammise Martino stringendo a sé la cugina e insieme si incamminarono verso il castello, dove il loro rientro era passato inosservato. I due si congedarono dalla festa, e ora ognuno era nelle rispettive camere. Martino era deciso a chiarirsi con Elisa, anzi ci sarebbe andato immediatamente, aprì la porta e attraversò il corridoio, socchiuse la porta della madre, e vedendola dormire ritenne più opportuno rimandare le scuse al giorno seguente. Emilia, invece nella sua stanza, non riusciva a pensare ad altro che non fosse il suo primo bacio, quante volte l'aveva immaginato, addirittura sognato, ma quello che aveva provato era stato sicuramente oltre ogni previsione, sebbene nulla era andato come si era immaginata; le tornarono in mente le parole della madre alla partenza verso Parigi "non tutte le cose sono scritte nei libri" Ora quella frase iniziava ad assumere un vero significato, e felice si addormentò profondamente. La mattina seguente, mentre facevano colazione Emilia iniziò a raccontare alla zia la splendida festa che si era persa "E' stato davvero un peccato che tu non sia potuta restare" stava dicendo "Lo so, ma conosci bene Agnese, se si mette in testa una cosa è difficile farle cambiare idea, e così sono rimasta con lei" minimizzò una stanca Elisa. La donna infatti non aveva chiuso occhio, ogni volta che si addormentava, era presa da incubi che la costringevano ad alzarsi, si era assopita solo alle prime luci del giorno, e poco dopo era stata Agnese a svegliarla. "Ci saranno altre occasioni" la rincuorò la nipote e si alzò da tavola. Elisa finì di sorseggiare il suo latte e si diresse dalla piccola; oggi avrebbe iniziato a insegnarle a leggere, e nel pomeriggio sarebbe andata da sua madre per parlare di Martino. La sera prima era stata punta sul vivo, e ora più che mai sentiva il bisogno di aprirsi con qualcuno, e chi meglio poteva consigliarla se non Artemisia? Scese in giardino con alcuni libri e richiamò la figlia sotto il gazebo, la giornata era particolarmente bella per rimanere chiusi in casa. Stavano iniziando a sillabare quando Martino le raggiunse e dopo aver salutato la sorella che gli era volata tra le braccia cercò di farsi ascoltare da Elisa "Posso parlarti?" domandò esitante, e dall'espressione che aveva fatto appena lo aveva notato capì che era ancora molto ferita dalla sera precedente. "Per dirmi cosa? Che mi hai trovato un lavoro nel ‘gatto nero’? come ragazza di Checca?" rispose secca fissando seriamente il ragazzo negli occhi, Martino non riuscì a sostenere il suo sguardo "Elisa mi dispiace, non pensavo tutto quello che ho detto ieri sera, ma ci sono della cose che devi sapere..." continuò, ma Elisa scocciata si alzò e, presi i libri di Agnese, le disse di precederla in biblioteca dove avrebbero continuato la loro lezione, poi rivolta verso Martino aggiunse: "Emilia mi ha fatto una descrizione molto dettagliata della festa,non credo che tu possa aggiungere molti particolari, e adesso se vuoi scusarmi... stai sottraendo tempo alla lezione di tua sorella" così dicendo gli voltò le spalle e si diresse verso il castello. Martino l'avrebbe trattenuta per un braccio se solo non si fosse controllato; l'aveva ferita nell'orgoglio, e sapeva bene quanto quelle ferite potessero bruciare, soprattutto ad una donna come Elisa, estremamente orgogliosa; ma doveva parlarle, e non si sarebbe arreso così facilmente. Infatti aspettò fuori dalla biblioteca finché Agnese non finì di leggere, poi vedendola uscire, ripartì alla carica: "Ora posso parlarti?" "Veramente non abbiamo niente da dirci" rispose Elisa passandogli davanti a testa alta. Stava fuggendo, era assurdo, pensò Elisa, le ricordava tanto quando tentava di sfuggire alle aveances di Fabrizio, e si sentiva sciocca a fare altrettanto con degli impulsi di gelosia di un ragazzino, ma non poteva farne a meno. Emilia era tornata nella sua stanza per prendere il suo set da ricamo, decisa a continuare nell'opera certosina alla quale stava lavorando già da parecchi giorni, quando il suo sguardo fu colpito da una splendida rosa bianca appoggiata sulla scura toeletta di mogano intarsiata; la prese in mano e inspirò profondamente quella fragranza che le faceva ricordare la parte più bella e felice della sua infanzia trascorsa a Rivombrosa, poi trascurando il ricamo si diresse a cercare Martino. Dopo molto cercare lo trovò in biblioteca intento a misurare la stanza a grandi passi. Il ragazzo sentendo il rumore dei passi si fermò e si voltò verso la porta con aria seccata, ma alla vista della cugina un sorriso sincero gli affiorò alle labbra e gli colorì i grandi occhi chiari. "Emilia!" riuscì solo a dire vedendola entrare con la rosa tra le mani. Lei ricambiò il sorriso e timidamente avanzò verso di lui "Volevo ringraziarti è bellissima" arrossì, mentre cercava una qualsiasi frase da dire, ma le parole non volevano uscirle di bocca. Martino alzò leggermente le spalle "Sono contento che ti piaccia" rispose Martino avvicinandosi al volto della cugina; i due si stavano per baciare, quando lei improvvisamente si bloccò e si allontanò di scatto. Martino la guardò con aria interrogativa; di li a pochi secondi anche Martino poté capire la reazione della cugina, infatti Agnese stava correndo verso di loro Emilia la prese in braccio mentre Martino le mormorava all'orecchio divertito "Hai un ottimo udito!", ma la sua allegria durò poco, perché poco dopo entrò nella stanza anche Elisa. Emilia non poté ignorare l'espressione dura che aveva assunto Martino, ma decise che, per il momento, sarebbe stato meglio sorvolare. Martino invece colse al volo l'occasione per ritentare di allacciare i rapporti con Elisa; e approfittando della presenza della cugina, che sicuramente si sarebbe rivelata un punto a suo favore, chiese ad Elisa di parlare per un attimo da solo con lei. Elisa era in trappola e lo sapeva, sapeva benissimo che questo sotterfugio la obbligava a restare, così chiese ad Emilia se era disposta a tenere compagnia alla cugina per qualche minuto, assicurandole che sarebbe tornata molto presto. Emilia accettò volenterosa; adorava stare con la cuginetta. Appena le due uscirono dalla stanza Elisa chiuse le porte della biblioteca, e iniziò a parlare "Prima di ascoltare ciò che mi volevi dire, permettimi almeno di dirti che usare così tua cugina è stato davvero molto meschino" disse fissandolo negli occhi, poi incrociando le braccia e facendo qualche passo verso di lui continuò "allora cosa vuoi dirmi di tanto importante?" "Volevo scusarmi con te" disse Martino semplicemente, quelle semplici parole non solo catturarono l'attenzione della donna, ma le raddolcirono lo sguardo, anche se non erano bastate per risanare la ferita d'orgoglio che Martino le aveva procurato. "Vedi, ieri sera ero così arrabbiato per quello che ho visto, che non riuscivo a controllarmi, non pensavo quello che ho detto, e a ripensarci ora mi sento uno stupido, avevi ragione tu Elisa ieri non sembravo un ragazzo, ma un bambino viziato, è che vederti con un altro uomo che non sia mio padre mi irrita" ammise mestamente. Elisa abbozzò un sorriso e rispose dolcemente: "Molto spesso le persone dicono cose che non pensano,ma tu devi avere fiducia in me, e ti posso garantire che col marchese Salvati non stavo affatto accondiscendendo" Martino si irrigidì di nuovo, domandandosi se fosse più o meno saggio raccontare ad Elisa del discorso che il marchese aveva tenuto con la dama dopo che lei si era ritirata. Dopo una breve pausa decise di raccontarle tutto: "Devo dirti ancora un'altra cosa, stai lontana da quel damerino" disse senza preamboli. Elisa non capiva "Ti ho già detto che non ho alcuna intenzione di discutere con te della mia vita" rispose secca; in procinto di andarsene fu bloccata dalla voce di Martino, che disse "L'ho sentito parlare con madame Chevallier, per lui sei il suo nuovo gioco, la sua 'preda'..." Elisa non gli permise di finire la frase che si voltò di scatto "Mi consideri una donna tanto facile, o tanto ingenua? Non credi che avessi già capito ieri sera che razza di uomo era il marchese?" Martino cercò di ribattere: "Elisa hai frainteso, io volevo solo..." "Avvisarmi?" completò la frase lei prima che Martino potesse terminarla "Sì" ammise il ragazzo "Grazie infinite, allora!"iniziò sarcasticamente Elisa "da sola non avrei proprio saputo come fare!" "Elisa sai benissimo che non intendevo questo..." La discussione fu nuovamente interrotta, stavolta dall'arrivo di Amelia che annunciava la visita dei due fratelli Benac. La donna chiese all'anziana governante di farli accomodare e si preparò a riceverli. |
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
I due uomini
entrarono nella stanza; il più giovane, iniziò a
guardarsi intorno, come pregustando una vita da signore. Il fratello
invece, molto più umile e ligio al senso morale,
salutò i conti e iniziò a trattare d'affari con
Martino, che era stato delegato dalla stessa Elisa di seguire
l'andamento della tenuta. La donna rimase comunque molto attenta ai
vari problemi sollevati dal borghese, ma il colpo più duro
le arrivò quando le trattative stavano per terminare; fu lo
stesso Victor che ammise di aver subito una grave perdita, a causa di
alcune navi naufragate mentre stavano tornando da quelli che sarebbero
dovuti essere degli affari molto cospicui. "Purtroppo, io e la mia
famiglia ora siamo costretti a chiedervi la restituzione del credito,
almeno in parte...."
"Oppure esproprieremo la vostra tenuta, come sarebbe già
dovuto accadere da molto tempo" gli fece eco Armand, prima che il
fratello lo potesse zittire e avesse la possibilità di
scusarsi per quell'uscita tanto inopportuna, quanto terribilmente vera.
Elisa cercò di darsi un contegno pria di
promettere la parziale restituzione dei soldi. Dopo che i due fratelli
furono ripartiti, Elisa si diresse a passo spedito verso le scuderie
dove trovò Angelo che stava tornando da un controllo dei
possedimenti.
"Elisa ho delle ottime notizie!" esclamò raggiante,
scendendo dal cavallo. La donna si asciugò una lacrima che
stava scendendo; notandolo Angelo si fece serio:
"Cosa c'è Elisa?" domandò appoggiandole
delicatamente una mano sulla spalla.
"Nulla, Angelo, ho solo bisogno di fare una cavalcata, tutto qui, che
belle notizie hai?" domandò mentre il ragazzo l'aiutava a
sellare il cavallo.
"Abbiamo abbastanza soldi per saldare il debito con i Benac"
.Esclamò raggiante angelo mostrandole alcune carte con uno
stemma che Elisa non conosceva, poi continuò "Me le ha
consegnate oggi stesso un messo del duca d'Avis,insieme a questa
lettera per te" disse porgendole una lettera sigillata. Elisa era
sorpresa, come poteva essere che un nobile francese fosse a conoscenza
della sua situazione economica, e soprattutto l'aiutasse senza nemmeno
sapere chi fosse? Prese la lettera e chiese ad Angelo:
"Tu sai chi è questo duca?"
"Veramente no, Elisa, credevo lo conoscessi" la donna alzò
le spalle.
"Io no, forse sarà opera di Martino, va a dargli
la bella notizia, ma non parlargli assolutamente di questa lettera,
inoltre digli di non riferire nulla ai Benac, prima di accettare voglio
sapere di chi siano quei soldi, potrebbe anche essere una coincidenza"
disse rompendo la ceralacca del sigillo
"Come vuoi Elisa, ma quante contesse possono chiamarsi "Elisa
Ristori di Rivombrosa?"
"Forse hai ragione tu, ma per adesso fa come ti dico, così
dicendo salì sul cavallo e si preparò per una
lunga cavalcata. "Ma Elisa è quasi ora di pranzo, cosa
dirà Amelia se non ti vede tornare?" "Dille che vado da mia
madre, ho bisogno di parlarle, ora più che mai" e
spronò il cavallo. Angelo non avrebbe potuto in nessun modo
impedirle di partire, così si diresse prima da Amelia, e poi
da Martino, per comunicargli le novità.
"Il duca d'Avis? non so chi sia, ma questi documenti sembrano proprio
indirizzati a noi, Elisa cosa ha detto?" domandò Martino
osservando attentamente i fogli che angelo gli aveva posto, come per
cercare la conferma delle sue ipotesi.
"Afferma di non saperne niente, eppure è strano.
Un nobile francese che si dà tanta pena per i
Ristori, con tutto il dovuto rispetto," commentò angelo
sperando di non aver esagerato "E' vero" ammise Martino "Da quando il
vecchio re è morto la nostra casata no gode di molta stima
nel regno sabaudo, e men che meno in Francia, anche se il nome di mio
padre viene ancora pronunciato con un certo rispetto nell'accademia, lo
ricordano come un grande soldato, leale e coraggioso, ma non mi sembra
che al di fuori della caserma venisse ricordato" rifletté il
ragazzo a voce alta, poi si risolse a parlarne a tavola col resto della
famiglia.
Elisa aveva spronato al galoppo il sauro che la stava portando al
villaggio di Rivombrosa, quando la curiosità del contenuto
della lettera si fece tanto irresistibile, da convincerla a deviare e
trovare un posto tranquillo dove poterla leggere. Raggiunse allora il
laghetto con la cascata, dove tante volte era andata a rinfrescarsi
durate le calde giornate estive, quando era una semplice dama di
compagnia, dove Fabrizio l'aveva spiata e dove i due si erano amati. I
ricordi i stringevano in gola e la mente viaggiava persa nei ricordi di
quell'amore così forte da vincere ogni pregiudizio ed ogni
ordine sociale. La donna legò il cavallo ad un ramo poco
distante dalla strada e si sedette su una roccia in riva al laghetto.
Il rumore delle acque cristalline che cadevano dalle svariate
cascatelle, creavano un'atmosfera surreale e incantata; se il clima
fosse stato più caldo Elisa si sarebbe sicuramente svestita
e tuffata in quelle acque sempre freddissime, ma ristoratrici, invece
si limitò ad aprire la lettera misteriosa e a leggerla.
"Carissima contessa
Elisa Ristori,
Sono onorato di poterle
finalmente comunicare che finalmente non dovrà
più temere per la sua tenuta. Probabilmente vi starete
chiedendo chi io sia, e perché vi abbia aiutato, purtroppo
non posso dare risposta a queste vostre domande, ma credo che
concorderete con me sul fatto che i nobili dovrebbero aiutarsi tra
loro,così credo di aver risposto,almeno parzialmente ai
vostri, dubbi.
Spero di potervi
rivedere molto presto
Il duca D'Avis"
Elisa lesse e rilesse più volte la lettera, come per
assicurarsi che fosse vera; la scrittura elegante sembrava sicuramente
maschile e soprattutto credeva di averla già letta altre
volte, ma non avrebbe saputo dire dove. Inoltre quell'ultima frase
l'aveva lasciata molto perplessa: il duca d'Avis affermava di averla
già conosciuta, ma lei era quasi certa di non aver mai
conosciuto nessun'uomo con quel nome. Un nitrito la fece sobbalzare, si
girò di scatto, ma fece solo in tempo a vedere qualche ramo
muoversi; qualcuno la stava spiando. Per qualche istante
pensò che fosse Fabrizio, si diede della sciocca, sapeva che
suo marito era morto e non poteva essere stato lui, ma qualcosa le
diceva che la sua prima impressione poteva non essere completamente
sbagliata. Risalì a cavallo e si diresse verso il borgo di
Rivombrosa dove avrebbe fatto una bella sorpresa a sua madre e sua
sorella.
Note: è tutta la sera che sto litigando col codice html (so che non ve ne può fregar di meno) però mi interessa cosa ne pensate dell'impaginazione: della serie, si legge bene, o preferireste altre soluzioni? Sono aperta ad ogni proposta grazie! |
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Intanto,
a Torino, Martino aveva chiesto agli zii e alla cugina di aspettarlo
nella sala bianca, dove aveva da comunicare alcune novità,
riguardo alle sorti di Rivombrosa. Il gruppetto era in attesa di
spiegazioni. Martino esordì:
"Stamattina
monsieur Benac è venuto a chiederci il saldo del debito"
iniziò. Anna si sentì mancare, l'idea di perdere
la casa dove era vissuta le faceva mancare il fiato. Martino
continuò:
"Fortunatamente,
questa stessa mattina è arrivata dalla Francia una donazione
di un certo duca d'Avis, pari alla somma del debito contratto con i
Benac". Le guance di Anna ripresero colore a quella notizia; invece
Antonio sembrò irrequieto, sapeva a chi apparteneva in
realtà quel nome, e non capiva come mai si fosse esposto a
tanto. Non disse nulla, ma tra sè e sè stava
già cercando un modo per chiarire personalmente la
situazione con quell'uomo così spericolato.
La voce
di Martino lo riportò alla realtà:
"Antonio
tu conosci questo duca?"
"Solo
di nome" si lasciò sfuggire l'uomo, poi cercò di
dare una spiegazione più convincente, senza svelare il
bruciante segreto che si portava con sè da anni:
"Quando
fui diseredato, e abbandonato dalla mia famiglia per aver sposato
Lucia, per un breve periodo riuscii a mantenere un contatto epistolare
con un mio cugino, il quale mi parlava molto spesso del conte, che lo
aveva ospitato in Francia quando era solo un ragazzino. Purtroppo poco
dopo si ammalò di una malattia incurabile, e io persi tutti
i legami, e fino ad oggi non avevo più sentito quel nome"
precisò, come per estraniarsi da quella vicenda.
Elisa raggiunse
la casa dove era vissuta. Bussò alla povera porta di legno
che, paradossalmente, sembrava la parte meglio conservata
dell'abitazione. Artemisia andò ad aprire, meravigliata di
ricevere visite a quel'insolita ora, e la sua meraviglia crebbe nel
trovarsi davanti la figlia.
"Elisa, cosa ci
fai qui?" domandò stringendola a sé.
"Dovevo
parlarvi" rispose Elisa entrando nell'umile casa. Si guardò
attorno. La povertà regnava sovrana, ma Elisa non si
scandalizzò, anzi si sentì al sicuro tra quelle
quattro pareti apparentemente prossime a crollare; l'aria che si
respirava là dentro, sebbene non profumasse di fiori di
campo, era molto più serena di quella che in quei giorni si
respirava a Rivombrosa. La madre le offrì un piatto di zuppa
che Elisa mangiò molto volentieri. Finito il pranzo le due
donne si trovarono faccia a faccia a parlare:
"Allora
Elisa cosa dovevi dirmi di così importante?"
domandò l'anziana donna.
"Si
tratta di Martino" iniziò la ragazza, assumendo un'aria
triste:
"Vedete
è da qualche giorno che non riesco a fare altro che a
litigare con lui, temo di non essere adatta a fargli da madre. Anche
oggi voleva scusarsi, ma alla fine ho rovinato tutto"
continuò mestamente. Artemisia la fermò e
dolcemente la invitò a raccontarle cosa fosse accaduto.
Elisa le raccontò della festa, della discussione, e dello
schiaffo dato al ragazzo, la sua ostinazione a non dargli retta e la
lite di poche ora prima. Artemisia sorrise e cercò di
consolarla:
"Ha
preso da suo padre, è un ragazzo geloso e protettivo, e
anche se ti ha detto quelle cose, sono certa che non le pensava
davvero, presto ti richiederà perdono, e questa volta tu
sarai disposta ad accettarlo" Elisa sospirò profondamente.
"Vedete
madre, non è un problema di scuse, io l'ho già
perdonato, ma ho paura che se mi mostro sempre comprensiva lui ne
approfitterà, e una volta che resto impassibile sento di
sbagliare ugualmente. Cosa devo fare?" domandò con la voce
incrinata.
"Non
sempre si è certi di fare la cosa giusta, e se me lo
permetti, sono contenta che tu ti sia rivolta a me per un consiglio,
nonostante io sia solo una semplice popolana".
"Ma voi siete mia
madre" esclamò Elisa come per giustificarsi, poi
continuò "e siete la persona che credo più
esperta in queste situazioni! Vedete, io non voglio che i miei figli
abbiano solo un'educazione rigida che rispetti l'etichetta nobiliare,
altrimenti li avrei già affidati a qualche precettore, io
voglio che loro imparino a capire cosa vuol dire il rispetto, la
dignità e l'amore. Solo così potranno farsi onore
nella vita. Questo è quello che voi mi avete insegnato, e
questo va sicuramente oltre ogni ordine sociale stabilito
dall'uomo". Artemisia sorrise, vedendo che la giovane donna
aveva conservato i suoi consigli, anche se tanto era cambiato da quando
era la semplice dama di compagnia a casa Ristori.
"A
quanto pare hai capito che essere madre non è semplice" poi
si rabbuiò "Non sempre si è i genitori che
avremmo voluto essere per i nostri figli..." si interruppe.
"Ma voi
siete stata una madre meravigliosa, io e Orsolina non avremmo potuto
sperare di meglio, se non fosse stato per voi e per mio padre,
probabilmente mi sarei persa nella locanda di
Checca"controbatté Elisa, stringendole le mani. Artemisia
distolse lo sguardo da quello della figlia, poi continuò:
"Non
è come credi" Elisa la fissò perplessa.
"Madre
non capisco, vi prego spiegatemi, ho bisogno di sapere!".
L'anziana
donna si asciugò le lacrime col fazzoletto, poi, sforzandosi
di sorridere cercò di cambiare argomento:
"Niente,
non pensarci". Elisa non sembrava convinta e le sue domande
incalzanti costrinsero la donna a rivelarle la verità.
"Va
bene" iniziò a raccontare:
"Tutto
iniziò una sera di circa venticinque anni fa. Io e tuo padre
avevamo appena dato l'addio al nostro piccolo. Era morto pochi giorni
dopo il parto. Eravamo distrutti. Quando un pianto, fuori dalla porta,
attirò la nostra attenzione. Devo ammettere che per qualche
secondo, credevo si trattasse del mio Filippo, invece, trovammo un
piccolo fagotto stretto in una coperta di lana. Quel fagotto eri tu"
Elisa era basita.
"Mi
state forse dicendo...?" riuscì solo a dire.
"Si
Elisa, io non sono la tua madre naturale, ma permettimi di spiegare..."
Elisa non aveva a forza di impedirglielo e annuì, Artemisia
allora continuò:
"Con te
tra le braccia mi sembrava di aver trovato qualcosa che mi impedisse di
impazzire, eri così bella e così perfetta che non
riuscimmo a non affezionarci a te" Elisa scosse leggermente il capo.
"Probabilmente i
miei genitori naturali erano talmente poveri che hanno preferito
abbandonarmi, sperando in qualche misericordioso ricovero piuttosto che
farmi morire di fame" dedusse la ragazza, come per giustificare
quell'inspiegabile gesto. La voce di Artemisia si fece più
rigida:
"No,
Elisa. I tuoi genitori non erano poveri". Elisa rimase ammutolita da
quella notizia, poi quando riuscì a parlare
riuscì solo a domandare chi fossero e Artemisia
continuò nel suo terribile racconto "Non so chi fossero,
solo che tu eri vestita troppo elegantemente per essere figlia di due
poveri disgraziati, inoltre la lettera che avevi con te..."
"Quale
lettera?" la interruppe Elisa.
"Avvolta
insieme a te nella coperta c'era una lettera, nella quale qualcuno ci
implorava di salvarti. Veniva brevemente raccontato, come tuo padre,
dopo la tua nascita ti avrebbe voluta morta. La levatrice che ti aveva
aiutato a venire al mondo, però, non ebbe il cuore di
gettarti nelle fredde acque del torrente, ma non poteva certo tenerti
con sé. Così sei diventata a parte della nostra
famiglia. Non nascondo le svariate minacce che abbiamo ricevuto per
averti tenuta con noi, ma ormai senza di te la nostra vita non avrebbe
avuto più alcun senso.” Elisa rimaneva in
silenzio, ascoltando attenta le parole di Artemisia.
“Cercai
di educarti nella maniera migliore che potevamo offrirti, ma temevamo
che non fosse abbastanza, poi la contessa Ristori ti ha presa a
servizio, e in qualche modo fui felice i poterti bene o male, far
rientrare nel mondo al quale appartenevi sin dalla vostra nascita. Il
titolo nobiliare, concesso direttamente dal re, mi era sembrata la cosa
più gratificante. Finalmente eravate riconosciuta come
nobile davanti al mondo intero".
La
donna, quasi inconsapevolmente aveva dato del "voi" a quella giovane
che, sino a pochi istanti prima, aveva chiamato "figlia", quasi ad
accentuare il distacco che inevitabilmente c'era, e ci sarebbe stato
per sempre tra loro due, poi tacque. Un silenzio carico di dubbi,
ancora da chiarire.
Fu
Elisa che trovò il coraggio di parlare ancora, dopo un tempo
che sembrava essere infinito:
"Vi
prego madre, continuate a darmi del tu. Anzi, vorrei che vi trasferiste
a Rivombrosa per aiutarmi con Agnese, e anche con Martino, se
è possibile" L'anziana sembrò sorpresa.
"Non
sei arrabbiata per quello che hai scoperto?" domandò
incredula a quella proposta.
"Devo
ancora ragionarci sopra, ma voi siete la donna che mi ha cresciuta, e
l'avete fatto in modo egregio, sia che io fossi o non fossi vostra
figlia naturale, e io mi sono sentita amata". Artemisia
sembrò sollevata da quella risposta così sincera,
quanto insperata.
"Non posso,
Elisa" rispose . Fu Elisa a cambiare discorso:
"Come
volete, ma spero che non vi dispiaccia se verrò a vivere qui
con Agnese per qualche tempo. Prima o poi la tenuta sarà
nelle mani sue e di suo fratello, e come faranno a farsi rispettare se
non conoscono le condizioni in cui vive la loro gente?"
"Non
credo sia necessario farla vivere qui, basterà portarla di
tanto in tanto. Più ti sento parlare, e più mi
sembra che tu sia quelle che ora chiamano una regina illuminata" disse
abbracciandola forte. La paura di perderla a causa della
verità, ora sembrava scemare, e l'affetto le stava legando
ancora più di quello che erano state fino adesso. Prima di
uscire Elisa domandò alla madre se conoscesse il duca
d'Avis. La dona negò dispiacendosi di quella risposta, ma
era la pura verità. Le due donne si congedarono con la
promessa di rivedersi presto, ed Elisa spronò il cavallo
verso Torino, deve l'attendeva un invito ad un ballo mascherato che
avrebbe cambiato le carte in tavola.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Il
sole stava ormai calando sulla città, e il freddo della sera
stava prendendo il posto al timido tepore di inizio primavera, quando
Elisa arrivò a Torino. Ora più che mai doveva
capire chi fosse il duca d'Avis. Le poche righe della lettera
assumevano di minuto in minuto nuovi significati, ma nessuno sembrava
abbastanza convincente. La contessa trovò Martino nelle
scuderie, intento a rifocillare il proprio cavallo. Elisa gli si
avvicinò e lui l'aiutò a scendere. Fu lei a
parlare per prima:
"Martino
devo parlarti" mentre dentro di sè pregava che il ragazzo
non si comportasse nella stessa maniera, nella quale si era comportata
lei quella stessa mattina. Il giovane si mostrò disposto a
discutere e i due si diressero nel salone bianco, a quell'ora sempre
deserto.
"Spero che Angelo
ti abbia avvertito delle novità riguardo i debiti di
Rivombrosa" disse con una lieve nota d'ansia nella voce.
"Sì,
e ne sono felice, anche se non so il motivo per cui il duca ci sta
aiutando..." ammise, Elisa lo bloccò:
"Dunque tu lo
conosci?" chiese, sempre in preda ad un sottilissimo senso di ansia,
del quale non seppe darsene una ragione.
"Purtroppo
no, ma ho chiesto ad Anna e Antonio, e il dottor Ceppi ha detto che
anni addietro aveva ospitato un suo parente in Francia, ma che non
aveva più sue notizie da quando questi si era ammalato ed
era morto nel giro di poco tempo".
"Non ti
ha detto nient'altro?” lo incalzò Elisa, che
sperava di ottenere qualche informazione in più. "Purtroppo
no, ma era strano, nervoso, e continuava a definirlo conte" rispose
cercando di fare mente locale alla reazione del medico. Per Elisa
questo non sembrava essere un particolare determinante, al contrario,
il fatto che il duca fosse un uomo piuttosto anziano, le fece credere
di aver ritrovato il suo padre naturale. Così decise che al
ballo in maschera, della quale era venuta a conoscenza, sarebbe stato
l'occasione giusta per scoprire l'identità del misterioso
duca.
Il compito si
rivelò più difficile del previsto. Nel grande
salone del marchese Salvati, illuminato a giorno da migliaia di candele
era impossibile riconoscere l'identità degli invitati, e
tantomeno decifrarne, sebbene approssimativamente, l'età.
Gruppetti di nobildonne stavano ciarlando vacuamente tra loro, e
altrettanto facevano i gentiluomini. Elisa fu trascinata dalla cognata
in un gruppetto dove poté riconoscere la voce di
madame Chevallier, quando sentì un paio di occhi che
continuavano a fissarla insistentemente; si voltò di scatto,
fu solo un attimo,un guizzo di occhi di ghiaccio che sembrava essersi
dileguato tra le varie maschere riccamente decorate. La nobildonna
continuava a sentirsi osservata, e nemmeno l'apertura delle danze
riuscì ad alleviarle quel senso di disagio, che quella
situazione le suscitava. Antonio condusse Anna a ballare sulle note di
un dolce minuetto, e di lì a poco la maggior parte delle
coppie si esibiva nella danza, mettendo in evidenza lo sfarzo dei
propri abiti e dei propri monili. Elisa era in un angolo della sala,
vicina ad una grande finestra che osservava le danze, quando
notò un uomo dal volto completamente coperto dalla maschera,
avanzare elegantemente verso di lei, e in perfetto francese, chiederle
di ballare. Elisa si era sentita mancare alla vista di quel nobile. Per
tutta la serata cercò di capire la vera identità
di quell'uomo così simile a Fabrizio. Ma lui sembrava
essersi ammutolito. Elisa cercò di liberarsi dalla presa del
cavaliere, quando questi le cinse la vita avvicinandola a
sè, più di quanto la danza avrebbe richiesto.
Alla donna sembrava di rivivere il suo primo ballo, con l'uomo che
amava, ma ancora una volta, si impedì di credere a quelle
fantasie. Suo marito era morto sei anni prima, e nulla avrebbe potuto
cambiare quella realtà.
Il giorno dopo,
Elisa tornò a Rivombrosa con Agnese e Martino. Ormai la
tenuta le sembrava tropo vuota, e trovava insopportabile rimanerci
chiusa per molto tempo; così decise di andare a cavalcare
nei boschi. Una bella passeggiata le avrebbe fatto bene, si disse.
Sellato il cavallo, partì. Vagava ormai senza meta, quando
una strana sensazione la condusse al"capanno fuori dal mondo".
Facendosi
coraggio, e lottando contro i fantasmi del passato, aprì la
porta ed entrò. Si guardò attorno,cercando di
capire cosa fosse accaduto in quel luogo. Era tutto in ordine, fin
troppo! Pensò Elisa, considerando il tempo dal quale non ci
andava più. Ormai erano passati almeno più di
cinque anni dall'ultima volta che vi era entrata, e nemmeno l'idea di
qualche contrabbandiere di passaggio sembrava essere presa in
considerazione. Infatti la piccola abitazione era perfettamente
riordinata, e non c'era segno di polvere o ragnatele date dell'incuria
del luogo. Qualcuno doveva esserci passato di recente. Uscì
dal capanno e galoppò veloce verso casa. Trovato Martino gli
corse incontro, e senza fiato, gli domandò: "Sei andato di
recente al capanno?" Il ragazzo la fissò sbalordito:
"Veramente
è da quando sono guarito dal colera che non ho
più messo piede là dentro". Elisa era sempre
più confusa. Decise di ritirarsi nella sua stanza dove,
forse quella situazione le sarebbe stata più chiara dopo una
lunga riflessione.
I giorni
passavano velocemente a Rivombrosa, ma il mistero del duca d'Avis
sembrava infittirsi sempre di più. Elisa aveva scritto una
lettera al misterioso salvatore e ad invitarlo alla tenuta per poterlo
ringraziare personalmente, ma ormai attendeva una risposta da
più di una settimana; inoltre quando era tornata al suo
"capanno fuori dal mondo" il perfetto ordine della prima volta era
mutato in un disordine, che dava l'idea di una fuga. Sul tavolo di
legno erano sparsi molti fogli di carta stropicciati, apparentemente
copie di lettere non riuscite, nelle quali Elisa riconobbe alcune
versioni molto simili a quella ricevuta insieme ai soldi per la tenuta.
E come se non bastasse ogni volta che tentava di parlare con Antonio
del misterioso benefattore, l'uomo si irrigidiva e cercava di cambiare
argomento. Così la pura curiosità di Elisa si era
trasformata in un leggero stato d'ansia e preoccupazione.
Altri problemi
erano discussi in quel momento in giardino, dove Emilia e Martino
passeggiavano abbracciati, tra il labirinto dei giardini all'italiana.
"Perchè
devi partire? Non puoi mancare al matrimonio di tua madre, ci
rimarrebbe male. Potremmo partire insieme, il giorno dopo la cerimonia,
in fondo anche io devo tornare all'accademia". Emilia si sciolse da
quell'abbraccio così rassicurante, ma contemporaneamente
così pericoloso, "Lo sai benissimo che non mancherei per
nessuna ragione al mondo al matrimonio di mia madre, tornerò
giusto qualche giorno prima per poter essere presente, ma il collegio
di Saint Cyr non mi concede permessi troppo lunghi, quindi non
chiedermi, ti prego, di rimanere" così dicendo fece per
allontanarsi dal cugino che la bloccò delicatamente.
"Dove
stai andando?" domandò come se quella momentanea separazione
gli costasse molto.
"A
preparare i bagagli, devo partire domani mattina presto" rispose in
tono rassegnato Emilia. Martino non si diede per vinto, ma
tentò un'ultima carta per trattenerla ancora con
sé.
"Se
proprio vuoi partire, almeno vieni con me". Così dicendo la
trascinò verso le scuderie. Lei si fece trascinare, curiosa
da quell'inaspettata reazione del cugino. Arrivati trovarono Titta, che
chiese alla marchesina se necessitasse di qualcosa. Fu Martino a
rispondere per lei.
"No
grazie Titta, per favore sellaci due cavalli..." Emilia lo
tirò lievemente per una manica, e arrossendo ammise:
"Veramente,
io non so cavalcare..."
"Allora
Titta, basterà che tu ci selli Hermes". Il giovane
eseguì gli ordini ed aiutò Emilia a montare a
cavallo, poi vide i due innamorati varcare i cancelli di Rivombrosa e
sparire tra gli alberi. Appena fuori dal cancello, Martino
bendò Emilia, e spronò il cavallo al galoppo. Il
viaggio fu breve, e presto arrivarono in una radura dove Martino
sbendò la cugina, e osservò con piacere
l'espressione meravigliata della giovane, nel trovarsi in quel posto
meraviglioso.
Poco
distante una cascata scrosciava allegra e sugli alberi gli uccellini
cinguettavano dando la sensazione di essere fuori dal tempo. I due
innamorati si sdraiarono sull'erba, assaporando la magia di quel luogo,
apparentemente eterno.
"Non
credevo ci fossero posti così qui vicino" mormorò
la ragazza, mettendosi a sedere.
"Sei tu
a renderlo così meraviglioso" ribatté il ragazzo
stringendola a sè e inspirando profondamente la sua
fragranza delicata, poi scostandola delicatamente da sè,
quel tanto che bastava per fissarla negli occhi, diede sfogo ai suoi
sentimenti:
"Emilia,
io..." abbassò lo sguardo per un momento, facendolo girare
tutt'attorno, per poi stringere le sue mani e fissandola nuovamente
negli occhi continuò:
"Ti
amo" Emilia arrossì, ed accennò un timido
sorriso, poi, senza nemmeno dare una risposta al ragazzo si protese
verso di lui e lo baciò. Un bacio dolce e romantico, che ben
presto si trasformò in baci sempre più esigenti,
una mano di lui le stava lentamente scivolando lungo il fianco, e lei
reclinò il capo all'indietro, per permettere a Martino di
baciarle il collo. La passione sembrava aver preso il sopravvento sui
due ragazzi, quando Emilia bloccò il ragazzo. Col respiro
ancora affannato dal desiderio lo respinse, si mise a sedere e
tentò di sistemarsi.
"Martino,
non possiamo..." furono le uniche parole che riuscì a dire,
come per scusarsi. Il ragazzo continuò a baciarle il collo,
ma sapeva che quel momento magico era stato interrotto definitivamente.
Così montarono a cavallo, ma invece che dirigersi verso il
castello, andarono verso il capanno, dove una sorpresa li attendeva.
I due ragazzi
erano ormai giunti in prossimità del capanno, quando videro
due cavalli legati alla staccionata. Martino rimase meravigliato,
arretrò col cavallo e lo legò ad un albero nella
boscaglia lì vicino, ed insieme ad Emilia si nascosero
dietro alla costruzione dove sentirono una strana discussione.
Dall'interno provenivano le voci di due uomini
"Come ti
è saltata in testa una follia simile?" stava dicendo una
voce familiare ai due ragazzi,
"e cosa avrei
dovuto fare?" fu la risposta dell'altro.
"Per esempio non
spedire quei soldi! in quel modo" L'altro lo contraddisse:
"Sei
stato tu ad avvisarmi che stavate per perdere la tenuta"
"Dovevo
dirti che lei stava bene e che il debito era stato risolto?"
domandò sarcastico il primo uomo. Nel frattempo
Martino si affacciò alla finestra e lo riconobbe, senza
molte difficoltà: era il dottor Ceppi, ma l'altro era girato
di spalle e non riuscì a vederlo in volto. Il misterioso
interlocutore scosse la testa, fece per ribattere, ma Antonio, gli fece
cenno di interrompersi, tenendo lo sguardo fisso alla finestra di
fronte a sé. Martino si nascose in tempo, e
riuscì a trascinare anche Emilia verso i cavalli, aspettando
che i due uomini uscissero dal capanno.
Antonio
rientrò.
“Chi
c’era?” domandò l’uomo, che
per tutto il tempo era rimasto immobile, con le spalle alla finestra.
“Nessuno,
solo qualche gioco di luce, ma sarà meglio sospendere i
nostri incontri per qualche tempo, e soprattutto niente più
colpi di testa” iniziò il medico.
"Stiamo parlando
di mia moglie, sto facendo di tutto per salvarla, e per proteggere i
miei figli". Rispose l’uomo, facendo intendere che per lui il
discorso non era ancora finito.
"tu non
hai più dei figli!" esclamò Antonio, poi
continuò "Hai smesso di essere padre nel momento stesso
che hai deciso di fare questa messa in scena. Per tutti,
quella che tu chiami tua moglie è la tua vedova, una donna
distrutta dal dolore della tua perdita che ha rischiato di non
sopravvivere al duro colpo".
"Era
l'unico modo per non farci uccidere tutti" rispose amaramente, per poi
continuare:
"Ricordati
che in ogni caso tu mi hai protetto le spalle, senza di me, ora la
tenuta sarebbe persa" così dicendo fece intendere che il
discorso era chiuso e che Antonio doveva andarsene. Appena
prima che il medico aprisse la porta la voce dell'uomo lo fece voltare:
"Sai
bene anche tu, che chi perde deve sparire, e questo è quello
che è successo a me, anche se durante l'agguato poteva
andare peggio. Quello non era programmato e ha stravolto parzialmente i
piani, altrimenti, forse la contessa sarebbe stata avvertita." Antonio
sorrise sarcastico:
"Dubito
che se le avessi parlato di questo folle piano ti avrebbe permesso di
effettuarlo" poi ironicamente, si inchinò.
"Duca"
salutò e si chiuse la porta alle spalle.
Per poco Emilia e
Martino non furono colti in flagrante a spiare, ma la fortuna sembrava
essere dalla loro parte, così rimontati a cavallo
galopparono verso Rivombrosa. Durante tutto il tragitto non fecero
altro che discutere su ciò che avevano udito, facendo mille
ipotesi diverse l’una dall'altra, senza però
riuscire a cavare un ragno dal buco.
"Ti
dico che Ceppi si è cacciato in qualche grosso guaio" stava
dicendo Martino, mentre stavano entrando nelle scuderie.
"E'
assurdo!" esclamò Emilia poi, dirigendosi verso la sua
stanza continuò "Non è il tipo" Martino
tentò di fermarla, ma inutilmente, così la
inseguì sulle scale.
"Hai
sentito anche tu quello che ho sentito io". La ragazza si
bloccò improvvisamente, e si girò col fato mozzo
verso il cugino.
"Si sta
per sposare!Non è così pazzo!" disse cercando di
trovare il fiato che le veniva sempre meno. Subito Martino
l'aiutò a salire gli ultimi gradini e la portò in
braccio fino alla biblioteca, dove l'adagiò sul divano e la
lasciò alle cure di Elisa, mentre lui andava a cercare
Antonio. I due arrivarono qualche minuto dopo, quando la crisi era
ormai quasi completamente passata. L'uomo fece uscire il ragazzo dalla
biblioteca, e dopo aver accuratamente tirato le tende, si accinse a
visitare la ragazza.
Martino
misurava a grandi passi la parte del corridoio antistante la
biblioteca, quando Elisa lo chiamò e gli consentì
di andare dalla cugina. Il sentimento che legava i due, era ormai
evidente. Il ragazzo si precipitò in biblioteca, dove Emilia
aveva ripreso colore, e cercava di tranquillizzarlo. Martino chiese ad
Antonio come stesse la cugina. L'uomo rispose:
"Come
ti ha già detto Emilia è stata solo una leggera
crisi, ma nulla di preoccupante, e poi, come tu stesso puoi notare sta
molto meglio, anche se..."
“anche
se?" domandò preoccupato Martino.
"Sarebbe
meglio che si fermasse ancora qualche giorno a Rivombrosa, il collegio
dovrà rassegnarsi aspettarla ancora per qualche giorno".
Ceppi si congedò lasciandoli soli in biblioteca. Emilia fu
la prima a parlare:
"A
quanto pare, sembra che debba seguire il tuo invito a rimanere" Martino
le sorrise, e accovacciandosi accanto a lei, le propose:
"Stavo
pensando di chiedere a tua madre il permesso, di..." proprio in quel
momento, entrò in biblioteca la contessa Anna che non
poté ignorare la romanticità di quella coppia.
"Cosa
dovresti chiedermi?" domandò, sforzando di dissimulare la
sua gioia. I due si girarono i scatto.
Emilia
arrossì violentemente, e si irrigidì cercando in
tutti i modi di celare l'imbarazzo. Martino iniziò a
balbettare qualche scusa, senza riuscire mai a guardare la zia negli
occhi:
"Beh...
ecco... volevo accompagnare Emilia al collegio, in fondo anche io devo
fare quella stessa strada e inoltre..." Anna lo interruppe:
"Per
ora Emilia non può partire, anzi, forse sarebbe meglio che
si distenda nella propria stanza, non appena sarà in grado
di rimettersi in piedi" Emilia lanciò uno sguardo di
sollievo al cugino che contraccambiò, non prestando
più quasi nessuna attenzione alle parole della donna.
"Comunque
considereremo questa ipotesi, che ne dici Emilia?" La ragazzina
sembrò risvegliarsi da uno stato di torpore ed
annuì. Anna uscì dalla biblioteca sorridendo. Non
poteva immaginare un luogo più felice per la sua nuova
famiglia con Antonio. Si sfiorò la pancia, consapevole che
tra pochi giorni avrebbe avuto le prove definitive di ciò
che già sentiva come certo: una nuova vita stava crescendo
dentro di lei, e che in un prossimo futuro avrebbe potuto stringere tra
le sue braccia. "Ancora pochi giorni", si disse "Poi Antonio
potrà ricevere la bella notizia, e questa volta, cascasse il
mondo, vedrà crescere suo figlio."
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Antonio
stava misurando a grandi falcate l'area della sua stanza, ripensando al
discorso avuto qualche ora prima al capanno, quando nella stanza
entrò Martino. L'uomo si fermò. Il ragazzo,
esitando, entrò subito nel vivo dell'argomento, senza tanti
giri di parole:
"Oggi,
io ed Emilia stavamo cavalcando dalle parti del lago e del capanno,
quando ci è sembrato di vederti cavalcare in direzione di
dove Elisa e mio padre mi avevano portato quando ero malato di
colera”. L'uomo iniziò a prestare maggiore
attenzione per il discorso, e soppesando bene le parole ammise che,
probabilmente aveva percorso quella strada, per arrivare prima a
prestare soccorso ad una giovane gravemente malata. Martino non
sembrava soddisfatto di quella risposta e iniziò a fargli
domande sempre più assillanti, alle quali Antonio rispondeva
sempre più evasivamente, per poi congedarlo
piuttosto seccamente. Allora Martino decise di confidarsi con Elisa. La
trovò nelle stanze della sorella, intenta a leggere un libro
di fiabe alla bambina che l'ascoltava avidamente. Rimase sulla porta ad
ascoltare il suono melodioso e accattivante della sua voce, raccontare
di avventure magiche in paesi lontani e fatati, e per un attimo
rimpianse di non aver goduto della stesa fortuna di Agnese di vivere
una vita agiata, e di aver dovuto, invece, lavorare fin da piccolo per
poter guadagnarsi da mangiare. Ma fu subito intenerito da quella scena
familiare, nella quale si sentiva inserito, e il freddo ricordo,
cedette subito il posto all'amore di quella famiglia così
particolare.
Elisa
si voltò, e vedendolo, lo invitò a sedersi
insieme a loro sul grande tappeto con un ampio gesto della mano. Il
ragazzo non obbiettò, e sedutosi vicino alla madre le
mormorò:
"Dopo
vorrei parlarti" allo sguardo perplesso e preoccupato di Elisa si
limitò ad aggiungere:
"Stai
tranquilla, no si tratta di Salvati" la donna sembrò
rilassarsi, e dopo aver finito di leggere la storia, propose ad Agnese
di disegnare, intanto che lei avrebbe parlato con Martino. La piccola
accettò senza fare capricci, ed Elisa poté
finalmente dedicarsi al figlio maggiore.
Entrati
in un'altra stanza, dopo aver chiuso la porta, Martino
esordì:
"Elisa
ti ricordi che qualche tempo fa mi avevi chiesto se frequentavo il
capanno dove mi avete portato tu e papà quando ero malato di
colera?"
"Certo
che mi ricordo" rispose sorpresa la contessa, che non capiva dove il
figlio volesse andare a parare. "Ecco, oggi pomeriggio io ed Emilia
eravamo giunti al capanno, mentre due uomini stavano discutendo, e
abbiamo ascoltato di nascosto".
"E
allora?" domandò ancora Elisa sempre più smarrita.
"Ecco,
vedi uno dei due uomini era il dottor Ceppi!" Elisa scosse la testa
incredula.
"Ti
sarai sbagliato, Martino, capita"
"No.
Era proprio lui, è stato anche chiamato per nome e poi,
anche Emilia si starebbe sbagliando?" Elisa si arrese al'evidenza e con
un filo di voce domandò:
"E
conosci l'altro uomo?" Martino continuò nel suo racconto:
"No,
era di spalle e non ho potuto vederlo in faccia, ma il tono di voce
assomigliava molto a quello di papà".
"Martino, capisci
che quello che stai dicendo è incredibile"
mormorò Elisa, confusa e stordita; ora non era l'unica a
credere di aver riconosciuto Fabrizio, ma per la logica umana questo
era assolutamente inconcepibile. L'uomo era morto ormai da sei anni, e
nulla avrebbe cambiato questa dura realtà, se non un
miracolo, e lei sapeva che a volte i miracoli possono accadere, era
già accaduto per Agnese, dopo che Antonio le aveva detto che
non avrebbe più potuto avere figli, e ancora la guarigione
di Martino, che forse un'altro miracolo si stesse svolgendo a
Rivombrosa sotto gli sguardi distratti dei suoi abitanti?
"Ma
è così ti dico!" esclamò il ragazzino.
La discussione stava per degenerare quando Agnese entrò
nella stanza reclamando la sua mamma.
Elisa dovette
assecondarla, ma mentre giocava con la piccola continuava a ripensare
alle parole di Martino. Decise che quella notte sarebbe tornata al
capanno fuori dal mondo. Non sapeva perché ma sentiva che
doveva farlo. Così chiese alla piccola:
"Amore,
ti piacerebbe andare in un posto nuovo?" la piccola sgranò
gli occhi piacevolmente colpita dalla proposta materna ed esclamo:
"Con
Fedro?" Elisa soppesò l'ipotesi:
"Ma
sì, con Fedro" poi la prese per le braccia impedendole di
scappare a dare la bella notizia a tutto il castello.
"E che
ne dici se dormiamo là?" Agnese, emozionata all'idea di
questa nuova avventura accettò subito e aggiunse "Vado a
dirlo alla mia bambola, può venire con noi?"
"Certo,
allora vado a dire ad Amelia che non mangiamo al castello. La bambina
lanciò un gridolino di gioia e corse a prendere la bambola
regalatale dal padre, quando lei era ancora in fasce.
Avvisare Amelia,
invece, non fu altrettanto semplice, e ora la governante stava
inseguendo Elisa per i corridoi del castello, cercando di dissuadere la
padrona:
"Ma
Elisa! io non so proprio cosa ti è saltato in mente! Portare
una bimba così piccola in quel posto!E per di più
di notte!"
"Fidati
Amelia, andrà tutto bene, so cosa aspettarmi"
mentì cercando di tranquillizzarla. Martino che aveva
sentito tutto si intromise:
"Dove
vuoi andare?" Elisa si sentiva braccata, ma nulla le avrebbe potuto far
cambiare idea.
"Al
capanno, devo controllare una cosa..."
"Allora
vengo con te e Agnese" disse il ragazzo in tono che non rimetteva
repliche Elisa si fermò di scatto e Amelia, per poco, non le
finì addosso.
"No! tu
stai qui con Emilia, Anna e Antonio, non puoi lasciare gli ospiti senza
nemmeno un padrone di casa" disse Elisa, in modo che Martino dovette
arrendersi al forzato invito.
Non appena furono
pronte, Elisa e Agnese montarono a cavallo e si diressero verso il
capanno. Lungo la strada Agnese guardava avida il paesaggio che le
circondava. Gli alberi non ancora completamente gemmati sembravano dei
buffi personaggi, appena usciti da qualche strana fiaba; un lieve
venticello primaverile giocava con i suoi capelli, legati solo in una
morbida mezza coda da un nastrino colorato. Arrivarono al capanno verso
ora di cena, ed Elisa si accinse ad accendere il camino, dove poco dopo
sarebbe stato cucinato un pasto frugale. Servito in tavola, le due
mangiarono con appetito, e con gran sollievo di Elisa, Agnese non fece
capricci. Dopo qualche gioco, arrivò l'ora di coricarsi, e
per la prima volta dall'inizio di quella, che per Agnese era una
semplice avventura, la bambina fu intimorita all'idea di dormire in un
luogo sconosciuto, e chiese alla madre di coricarsi vicino a lei. Elisa
accettò, e si rintanò sotto le pesanti coperte,
ma non riuscì a prendere sonno; così, attese che
la piccola si fosse addormentata e, avvoltasi in una coperta di lana,
per proteggersi dall'aria fredda della notte che contrastava con le
miti temperature giornaliere, si accoccolò vicino al camino,
dove si addormentò parecchie ore dopo, mentre leggeva un
libro.
Così
la trovò Fabrizio, indifesa e rannicchiata sotto la coperta
accanto alle braci morenti del focolare, che le dovevano aver tenuto
compagnia in quella fredda notte di inizio primavera. Il libro ancora
aperto a pochi centimetri da lei. L'uomo avrebbe voluto svegliarla e
dirle che era tutto finito e che lui sarebbe stato con lei per sempre,
ma sapeva che non era possibile, così raccolto un piccolo
ramo con dei boccioli rossi appena accennati, lo posò in
mezzo alle pagine e ripose il libro sul tavolo, poi prese in braccio la
moglie e la coricò nel letto accanto alla piccola che
dormiva serenamente. Fabrizio ammirò la bellezza delle sue
due donne: la moglie dalle sembianze così dolci e fragili, e
la piccola, bellissima, totalmente simile alla madre, e si
pentì di non aver potuto vederla crescere. In quei sei anni
avevo solo potuto immaginare i progressi di quella neonata, abbandonata
così precocemente al suo destino. Non le era stato accanto
quando balbettava timidamente le prime parole, o quando muoveva i primi
passi. Non l'aveva mai vista ridere o piangere, e questo rendeva
quell'incontro ancora più straziante. Ma di una cosa era
certo, che in quel momento la piccola era serena, e questo era solo
merito di Elisa, che aveva saputo darle le sicurezze necessarie, e
iniziò a domandarsi come avrebbe potuto accettare l'idea di
trovarsi nuovamente con un padre. Si sdraiò accanto alla
moglie e, dopo aver contemplato ancora le due figure dormienti, si
addormentò a sua volta. Fu risvegliato dalle prime luci
dell'alba, timide ma inesorabili, che sancivano il necessario momento
della separazione dalla sua famiglia. Così dopo aver baciato
la moglie sulla fronte uscì dal capanno, sperando che
nessuno lo notasse.
Una
folata di vento gelido obbligò Elisa a svegliarsi. La donna
si stupì di trovarsi nel letto accanto alla figlia; era
convinta di essersi addormentata accanto al camino. La donna non ebbe
molto tempo per ragionare sui ricordi della sera prima, che un'altra
raffica di vento spalancò l'entrata e l'obbligò
ad andare a chiudere la porta. Ancora assonnata stava tornando verso il
letto dove la piccola dormiva ancora, quando la sua attenzione fu
colpita dal libro sul tavolo. Qualcosa al suo interno gli impediva di
chiudersi completamente. Lo aprì e vide il ramoscello
gemmato; ancora una volta come primo pensiero ebbe un miracoloso
ritorno del marito, e ancora una volta dovette obbligarsi a guardare in
faccia la realtà. Non appena Agnese si fu svegliata ed ebbe
mangiato la colazione, le due ripartirono per il castello, dove tutti
le stavano aspettando per salutare Emilia che , non ostante i consigli
di Antonio, aveva deciso di partire ugualmente per il collegio.
"Sei proprio
sicura di voler partire?Non sarebbe meglio aspettare qualche giorno?"
stava domandando Anna alla figlia.
"Tua
madre ha ragione, è un viaggio lungo, qualche giorno in
più di riposo non può di certo farti male" le
fece eco Martino
"Sto
bene, e voglio partire" rispose risoluta Emilia scendendo gli ultimi
gradini che la separavano dalla carrozza, quasi pronta, dove Angelo
stava fissando gli ultimi bagagli. Poi fu la volta dei saluti; la
ragazza venne sommersa da mille raccomandazioni e passò di
braccia in braccia per i vari auguri. Si strinse forte a Martino che la
baciò sul collo chiedendole con un filo di voce appena
udibile:
"Allora
sei certa che non ti posso accompagnare?" Emilia si staccò
leggermente da lui e con gli occhi che stavano iniziando ad inumidirsi,
rispose
"No
è meglio così, davvero" Poi salì in
carrozza e diede ordine al cocchiere di partire. Appena la carrozza
sparì oltre i cancelli della tenuta, gli abitanti di
Rivombrosa tornarono alle loro attività abituali. Anna ed
Elisa passeggiarono ancora un po' nel grande parco parlando del
più e del meno; le due donne adoravano quei momenti solo per
loro, che ultimamente si concedevano sempre meno.
"Come
vanno i preparativi per il matrimonio?" domandò Elisa
"Proseguono"
si limitò a rispondere la cognata, poi si decise a
confidarle i suoi presentimenti:
"Senti,
vorrei che mi aiutassi a scegliere la stoffa per l'abito da sposa...e
magari anche un modello adatto" Elisa rimase perplessa:
"Un
modello adatto?" domandò
"Sì
perché, vedi, aspetto un figlio" spiegò la donna
con un espressione raggiante. Elisa l'abbracciò forte, e
insieme si diressero nella stanza della donna per vedere i campioni di
stoffe che erano giunti a palazzo.
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Quando
la carrozza di Emilia entrò in Francia era ormai calata la
notte, e la ragazza decise di cercare un alloggio dove riposare, prima
di riprendere il viaggio verso il collegio; ma poco prima che la
carrozza entrasse nel piccolo paese, qualcosa di inaspettato accadde:
un uomo moribondo in mezzo alla strada costrinse la carrozza a
fermarsi. Emilia aprì lo sportello, per conoscere il motivo
di quella sosta improvvisa, quando altri quattro uomini, col volto
coperto da un fazzoletto, sbucarono dalla boscaglia circostante.
Angelo, che la stava scortando, sguainò la spada nel
tentativo di proteggerla, ma i cinque ebbero presto la meglio; Emilia
sentì una mano che le tappò la bocca, poi solo il
buio più profondo e in lontananza dei rumori ovattati.
La carrozza
invertì direzione e riprese il viaggio come se nulla fosse
successo. All'interno Emilia era accasciata priva di sensi, circondata
da tre dei suoi aggressori. Dell'assalto alla carrozza non era rimasta
alcuna traccia, se non Angelo, moribondo in mezzo alla strada. Era
ormai giorno fatto quando una giovane ragazza passò per quel
sentiero a raccogliere erbe per i suoi intrugli. Celeste, riconobbe
subito l'uomo riverso e, caricatolo sul suo carretto lo
trasportò in una radura poco distante, dove
iniziò a curarlo con le sue arti. Angelo sembrava ormai in
punto di morte, quando inaspettatamente riaprì gli occhi e
fissò la fanciulla che gli stava rinfrescando il volto con
in fazzoletto umido. La visione, prima appannata, poi sempre
più limpida ebbe forse più potere delle arti
magiche della donna. "Celeste" mormorò il moribondo,
cercando di alzare una mano per sfiorarle il viso. La ragazza
intrecciò le dita di lui con le sue, e cercò di
tranquillizzarlo:
"Sono
io" sorrise, quasi timidamente; per la prima volta qualcosa in lei si
era mosso al contatto con quel ragazzo, e uno strano sfarfallio allo
stomaco la pervase quando questo biascicò ancora qualche
parola.
Intanto che la
carrozza proseguiva il suo viaggio, i tre uomini all'interno
osservavano la giovane che ancora non dava segni di ripresa.
"Non
hai esagerato con quell'intruglio?" domandò uno dei tre
all'uomo che l'aveva addormentata.
"Stai
tranquillo, ho solo eseguito gli ordini della signora, e poi se ancora
dorme è meglio per tutti. Meno grattacapi" rispose l'altro.
Il più giovane dei tre, un ragazzo sulla ventina d'anni,
appena passati, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Non
riusciva a capacitarsi che era stato assoldato per far del male a
quella creatura, così innocente, e fine ed
esternò i suoi dubbi agli altri due compagni:
"Ma
siete certi che sia lei ciò che la signora voleva?" l'unica
risposta che ottenne fu una bestemmia e una grande risata di scherno.
Poi, per paura che gli saltassero in testa strane idee, cacciarono il
ragazzo alla guida della carrozza.
A Rivombrosa, la
mancanza di Emilia si faceva già sentire, ma Anna decise che
anche il futuro papà dovesse essere messo a conoscenza della
felice novità, che presto sarebbe giunta a rallegrare
Rivombrosa. Così cercò Antonio per buona parte
della mattina, e, quando finalmente lo vide tornare da una delle sue
visite, gli corse in contro e lo baciò sulle labbra. L'uomo
contraccambiò, e tentò di scusarsi per essere
sparito per gran parte della mattinata. Anna non prestò
molto ascolto alle sue parole, e lo portò vicino ai cancelli
del parco, dove il prato all'inglese lasciava spazio ad intricati
percorsi immersi in un piccolo boschetto. Antonio si fermò,
immerso nei ricordi: quello era il luogo preferito dove i due, da
ragazzi, si rifugiavano per scappare alle ferree regole del loro ceto
sociale, e Anna sapeva che lì avevano concepito Emilia, al
riparo da sguardi indiscreti. Ed era sempre lì che la donna
andava per ritrovare serenità quando le vicende della vita
sembravano esserle avverse. L'uomo la fissò negli occhi: uno
sguardo stupito e interrogativo la pregava mutamente di spiegare. Anna
trasse un profondo respiro, poi iniziò:
“Ti
ricordi? Questo era la nostra via di fuga dalla realtà"
Antonio annuì sorridendo, ma non fece in tempo a proferire
parola che Anna continuò:
" e
ancora oggi vengo qui per riconciliarmi col mondo, ma questo posto
sarà ancora una volta il custode della mia, anzi ,spero,
della nostra gioia..." si fermò per un attimo esitante, poi
disse tutto d'un fiato, come temendo di non trovare più il
coraggio di dirlo:
"Aspetto
un bambino" poi, come correggendosi "Nostro figlio".
Antonio
rimase un po' spiazzato, e ripeté più volte la
frase "Nostro figlio" prima di capire effettivamente il reale valore di
quelle due parole, e dopo alcuni momenti, che ad Anna sembrarono
interminabili, la strinse forte a sè, e dopo averla baciata
ebbe solo la forza di mormorare:
"E'
meraviglioso". Finalmente la tensione di Anna si sciolse e una lacrima
di sollievo le scivolò sul volto. Antonio le
asciugò delicatamente la guancia e con la voce ancora
malferma dall'emozione aggiunse "Torniamo dentro, c'è una
bella notizia da dare..."
Quando Emilia
riprese i sensi era ormai sera. Inizialmente non ricordò
nulla di quanto era successo, e la forte emicrania e i sensi di nausea
le impedirono di rendersi conto di dove si trovasse. Solo alcune ore
dopo si accorse di essere stata rapita. tre dei suoi rapitori la
stavano sorvegliando, mentre giocavano d'azzardo. La ragazza stesa su
una tavola di legno coperta da qualche straccio poteva vederli, ma i
volti coperti le impedivano di riconoscerli. Terminata la partita, il
più vecchio dei tre, probabilmente il capo diede ordine di
rimettersi in marcia, poi si accorse che la giovane era rinvenuta, e
rivolto ai compagni esclamò ironicamente:
"Guardate
chi ci fa l'onore della sua presenza!" poi si diresse verso la ragazza,
che cercò di allontanarsi il più possibile
dall'uomo.
"Almeno
ci risparmierete la fatica di dovervi portare in spalle fino alla
carrozza...ma vi avverto, niente scherzi oppure..." e si
passò un dito alla base della gola in un inequivocabile
gesto di minaccia. Emilia deglutì a vuoto e prima che l'uomo
le si avvicinasse ulteriormente per slegarla domandò:
"Chi
siete? cosa volete da me?"
"No
sono affari che ti riguardano mocciosa, e ora fatti slegare, o vuoi
arrivare alla carrozza saltellando?" la derise ancora l'uomo. Emilia
era in preda al panico ma il suo orgoglio non le permetteva di farsi
parlare in quel modo, così tentò di intimorire
gli uomini:
"lasciatemi
immediatamente, appena il conte Ristori verrà a saperlo..."
Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che l'uomo
l'obbligò violentemente e scendere da quel giaciglio
improvvisato e la costrinse a salire in carrozza rammentandole di
evitare colpi di testa, se aveva cara la pelle. La ragazza
eseguì senza fiatare e salì in carrozza che si
mosse velocemente verso la sua meta.
A Rivombrosa
l'oscurità avvolgeva ormai tutto il castello. Dalle finestre
chiuse non perveniva nessuna luce, se non dalla camera di Anna e
Antonio. I due stavano assaporando quella nuova intimità
quando Anna ruppe quel silenzio magico:
"Non mi
sono mai sentita così..." disse appoggiando la testa sul
petto dell'uomo. Antonio l'accolse tra le braccia e scostandole una
ciocca di capelli domandò:
"Così
come?"
"Così
felice, anche se i problemi sono sempre alla porta, sento che tutto
andrà bene, e poi l'idea che questo piccolino tra un po'
verrà a movimentarci le giornate mi fa uno strano effetto.
E' fantastico sentirlo crescere dentro di te..." Antonio sorrise e
intrecciò le sue mani con quelle della donna e appoggiando
la mano sul ventre impercettibilmente rigonfio di lei,
continuò:
"A
sentirti parlare, sembra quasi che questo sia il tuo primo
figlio”
"Con
Emilia è stato diverso" si confidò la donna "L'ho
avuta con un uomo che non mi amava, e che io avevo sposato solo per i
suoi interessi verso di me, o meglio, verso la mia eredità,
ma questo lo scoprii soltanto dopo il matrimonio...Ma ti confesso che
sono preoccupata, di solito a quest'ora Angelo è
già tornato..." disse alzandosi leggermente per poterlo
fissare negli occhi. L'uomo la trasse a sé.
"Non ti
preoccupare, Emilia è partita più tardi rispetto
le altre volte, e quindi si sarà dovuta fermare per la
notte, in qualche alloggio, ma sono certo che sia comunque arrivata al
collegio, e Angelo, starà tornando qui, solo che per non
disturbarci avrà sostato da qualche parte" La donna si
abbandonò completamente alle carezze dell'uomo, che avevano
sempre il potere di rassicurarla. Questa volta fu Antonio a rompere il
silenzio:
"Da
quando lo sai?"
"Cosa?"
domandò la donna.
"Di
essere incinta"rispose lui lei sorrise maliziosa:
"Da abbastanza
tempo per esserne sicura".
"Sai
una cosa? Quando seppi che era nata Emilia, per un po' ho creduto che
potesse essere mia figlia" disse continuando ad accarezzarle i morbidi
boccoli scuri che le ricadevano ribelli lungo la schiena. Anna si
irrigidì e sperò che Antonio non se ne
accorgesse, e domandò:
"Davvero?"
"Sì
lo so che è stupido, ma parecchie volte sono stato
addirittura tentato di venirtelo a chiedere...che stupido vero?" Anna
sorrise:
"Io
avrei fatto la stessa cosa..." poi vinta dal sonno si
abbandonò completamente alle braccia dell'uomo e si
addormentò profondamente.
La carrozza
proseguiva imperterrita verso la sua meta; al suo interno, Emilia era
talmente terrorizzata dalle minacce fattele dall'uomo, che non aveva
neppure il coraggio di piangere. Passò la notte insonne,
senza alzare lo sguardo sui suoi carcerieri e a pregare.
Ad ormai molte
miglia di distanza un'altra persona stava pregando. Forse, per la prima
volta nella sua vita, Celeste sentiva che le sue "magie" non potevano
bastare per salvare quel ragazzo che giaceva febbricitante sul suo
carro. Quasi subito le sue preghiere sembrarono esaudite; infatti
Angelo, dopo tutta la notte perso nella completa incoscienza, parve
riprendere i sensi.
"La
marchesina..." biascicò in un momento di lucidità
tentando di mettersi a sedere. Celeste dolcemente, ma in modo che non
ammetteva repliche, glielo impedì obbligandolo a rimanere
sdraiato, poi domandò:
"Quale
marchesina? Non c'era nessuno con te quando ti ho trovato".
Il
ragazzo sembrava perplesso e preoccupato al contempo, e
iniziò a farfugliare frasi apparentemente senza senso:
"La
marchesina...la carrozza...i banditi...l'hanno portata via...la
marchesa...devo avvertirli...l'hanno portata via..." Celeste
tentò di tranquillizzarlo:
"Calmati, non
devi agitarti, avviseremo la marchesa non appena sarai nelle condizioni
di poter viaggiare, ma ora non affaticarti, cerca di riposare; quando
ti sarai calmato, mi racconterai cosa è successo. Ma ora
devi assolutamente riposare". Disse passandogli una pezza bagnata sulla
fronte nella speranza che la febbre lo abbandonasse completamente.
A Rivombrosa la
mattina trascorse lentamente, carica di tensione e di speranze, via via
sempre più flebili man mano che le ore passavano, lente, ma
inesorabili. L'assenza di Angelo gettava nel panico tutti gli abitanti
della tenuta, ma in particolar modo Anna, che camminava avanti e
indietro nel salone da tutta la mattina. Martino, Elisa ed Antonio
cercavano inutilmente di tranquillizzarla con un ottimismo che mal
celava tutta la loro ansia per la sorte dei due. Altre lunghe ore
passarono, e il sole scese dietro le dolci colline all'orizzonte,
segnando la fine di quella giornata di ansia e aspettative deluse.
Anna si
fece prendere dallo sconforto e, staccatasi dalla finestra da dove
aveva sperato di vedere, da un momento all'altro, iniziò a
torturarsi le mani esclamando:
"Lo sapevo che
non avrei dovuto lasciarla partire!"
"Anna ti prego,
calmati" iniziò invano Antonio alzandosi dal
divanetto. Anna si voltò di scatto verso di lui e
lo fissò severamente prima di iniziare a singhiozzare.
"Calmarmi?... e
come posso?" poi riprese "Mia figlia ha deciso di partire ugualmente
per la Francia, nonostante tu le abbia detto di aspettare qualche
giorno e ora..." Non riuscì a terminare la frase che fu
scossa da violenti singhiozzi; ormai non cercava nemmeno più
di ricacciare indietro le lacrime, ma piangeva disperata. Antonio la
strinse a sè senza dire una sola parola e lei tra un
singhiozzo e l'altro riuscì solo a mormorare
"La mia povera
Emilia...Chissà dove sarà in questo momento, cosa
ne sarà di lei?"
Antonio
cercò di trarla ancora più vicina a sè
ma il vestito glielo impedì, così accarezzandole
il capo cercò ancora di tranquillizzarla, sperando di non
dover ricorrere al laudano.
"Amore mio, devi
cercare di calmarti"
"E come faccio?
Sento che le è accaduto qualcosa di brutto!"
"Emilia
è una ragazza forte e coraggiosa, e sono sicuro che se le
è capitato qualcosa starà già
sicuramente tentando in tutti i modi di ritornare a Rivombrosa...Ma tu
ora devi pensare al piccolo che porti in grembo: è lui che
in questo momento ha bisogno di te" Anna aveva smesso di singhiozzare,
ma lacrime silenziose continuavano a rigarle il viso, che
abbassò portandosi una mano sul ventre, e per la prima
volta, riuscì a sentire il suo piccolo e alzando lo sguardo
su Antonio incrinò gli angoli della bocca in un tentativo di
sorriso e annunciò:
"Si è
mosso"
"Visto?"
iniziò Antonio ringraziando tra sè a
sè il cielo per quel'aiuto insperato.
"Il piccolo ti
reclama già tutta per sè..." continuò
baciandola, poi aggiunse:
“ ma
adesso è meglio che tu vada a distenderti, hai passato tutta
la giornata in piedi, dovrai essere stanca. La donna non
obiettò, e si lasciò condurre in camera dove poco
dopo fu vinta dalla stanchezza e cadde in uno sonno agitato.
Antonio rimase a
vegliarla per un po' di tempo per poi tornare in salone da Elisa e
Martino, a rassicurarli sulle condizioni della donna e a cercare con
loro un piano per tenerla occupata la maggior parte del giorno in modo
di non farle pensare, per quanto fosse possibile, alla preoccupazione
per la sorte di Emilia. Nel salone Elisa e Martino cercavano di farsi
forza tra loro, quando Antonio entrò nella stanza. La donna
gli si fece subito incontro e si preoccupò delle condizioni
della cognata e del piccolo che portava in grembo; il ragazzo rimase
stupito da questa notizie ed esclamò:
"Ho sentito bene?
La zia è in stato interessante?"
"Sì"
rispose il medico con un sorriso che valeva più di molte
spiegazioni. Il ragazzo lo abbracciò felicitandosi
sinceramente:
"E'
fantastico quando l'avete saputo?"
"Veramente
l'abbiamo annunciato ieri a cena..."
Lo sguardo del
ragazzo si incupì sforzandosi di ricordare quel particolare,
apparentemente impossibile da dimenticare, questa volta fu Elisa a
venirgli in aiuto:
"Vedi cosa vuol
dire rientrare tardi dalla battuta di caccia con monsieur Benac?" disse
la donna in un tono più o meno scherzoso. Il ragazzo si fece
improvvisamente serio e iniziò a scusarsi dell'accaduto,
elogiando il borghese che lo stava crescendo come un figlio.
"Non hai bisogno
di scusarti" lo interruppe Elisa "Tutti sappiamo che in lui hai
trovato..." la contessa si interruppe un momento per soppesare le
parole poi riprese:
"Una sorta di
secondo padre, e di questo ne sono felice, davvero" aggiunse, per poi
cambiare argomento, cercando di coinvolgere anche Antonio nella
discussione.
"A proposito del
debito che abbiamo con quella famiglia, stavo pensando di accettare
l'aiuto del duca D'Avis per saldarlo".
Il medico
iniziò ad innervosirsi.
"Hai scoperto
qualcosa su di lui?" domandò sperando di non tradirsi. Elisa
non fece caso alla reazione che l'uomo aveva avuto nel sentire quel
nome e continuò come se nulla fosse
"No, ma...ho dei
confortevoli sospetti che mi inducono ad accettare l'offerta". Il
ragazzo e l'uomo si scambiarono uno sguardo perplesso, poi Antonio
domandò:
"Indizi?"
"In un certo
senso sì" continuò la donna "Insieme al denaro ho
ricevuto una lettera indirizzata a me, dove il duca accennava ad una
possibilità di rincontrarci, e se devo sbilanciarmi, credo
che sotto lo pseudonimo del duca d'Avis possa nascondersi il marchese
Maffei".
Antonio
era incredulo, se non avesse realmente saputo chi si celasse dietro
quello pseudonimo non sarebbe stato così sorpreso infatti la
interruppe, quasi sollevato:
"Il marchese
Maffei?"
"Sì"
scosse le spalle Elisa poi spiegò il suo ragionamento
logico:
"Può
essere che Margherita gli abbia parlato delle nostre situazioni che
nell'ultimo periodo si sono aggravate, e lui ci abbia voluto aiutare, e
dato che il Piemonte non è ancora un luogo sicuro per lui,
in quanto aveva fatto parte dei congiurati verso il vecchio re, ha
preferito usare un diversivo, nel caso la lettera fosse stata
intercettata..."
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Era
ormai passata quasi una settimana da quando Emilia era stata rapita.
Angelo si stava rimettendo molto velocemente, e presto sarebbe potuto
tornare a Rivombrosa, con la donna che amava, e che gli aveva salvato
la vita. Celeste non era sicura che il ragazzo potesse già
sostenere un viaggio simile, ma le sue insistenze la obbligarono ad
assecondarlo e i due si incamminarono verso il Piemonte.
Anche per Emilia
arrivarono alcuni cambiamenti: dopo quattro giorni trascorsi a
viaggiare esclusivamente di notte, venne condotta in una rocca dove,
portata in una cella insieme ai suoi bauli, le venne ordinato di
cambiarsi e indossare l'abito più elegante che aveva. Emilia
non obbiettò, e, appena pronta si meravigliò di
essere attesa da uno solo dei suoi rapitori. Il più giovane,
che si era scoperto il volto e cambiato, assomigliando così
più ad un gentiluomo che al bandito di poco prima. Il
ragazzo la condusse in una carrozza, probabilmente presa a nolo dai
compagni, misteriosamente svaniti nel nulla
"Sali" le
intimò il giovane, porgendole la mano per aiutarla. Emilia
lo fissò titubante e rimase immobile davanti alla carrozza
aperta.
"Ho detto sali!"
ripeté il ragazzo, in tono più duro
strattonandola per un braccio. La ragazza tentò di
ribellarsi ma lui la bloccò e le mormorò
all'orecchio:
"Se ci tieni a
questo trattamento privilegiato sali senza fare storie, non sono solo
come sembra"
La ragazza si
scostò con un altro strattone e prese posto in carrozza.
Poco dopo che le tende furono tirate e due degli altri rapitori si
misero a cassetta e ripartirono, seguiti a cavallo dagli altri due.
All'interno della carrozza Emilia temeva il peggio, e sbirciava le
azioni del suo compagno. Il ragazzo sorrise:
"Principessa! vi
conviene mangiare qualcosa" disse in tono quasi amichevole porgendole
del pane. lei lo fissò poi rispose freddamente :
"Non ho fame" .
Allora il ragazzo
si alzò dal suo posto e si sedette accanto a lei; la ragazza
si schiacciò nell'angolo della carrozza cercando di
allontanarsi il più possibile da quell'individuo, ma lo
spazio era poco.
"Non ti voglio
fare niente" esordì il ragazzo, cercando di tranquillizzarla
poi continuò:
"Ma tu devi
restare al gioco. Probabilmente saremo fermati all'ingresso in
città e tu non dovrai dire nulla, solo confermare la mia
versione, sempre che tu non preferisca incontrare l'ira del capo"
Emilia scosse la testa e domandò:
"E quale
sarà la vostra versione?" Il ragazzo tornò a
sedersi di fronte a lei, dandole un leggero senso di sollievo .
"Semplice"
iniziò "Tu sei mia sorella, e siamo attesi dal doge della
Serenissima".
"La serenissima?"
"Venezia, grande
porto del passato, è da qui che passavano tutte le sete per
occidente" Emilia non rispose, ma in lei qualcosa era cambiato: quel
ragazzo prima così spaventoso, si stava rivelando quasi un
piacevole compagno di viaggio.
"Ma forse sarete
stanca, conviene che vi riposiate un po' intanto che siamo soli in
carrozza. Ho sentito il capo che non avete chiuso occhio in questi
giorni". Le attenzioni del ragazzo però la inquietavano;
scosse la testa e aggiunse:
"Non ho sonno"
Il ragazzo scosse
le spalle.
"Come vuoi
principessa allora dormo io...mi raccomando niente scherzi" disse
portandosi le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e chiudendo gli
occhi.
"Non sono una
principessa"Rispose secca lei.
"Come vuoi"
rispose lui senza aprire gli occhi. Dopo qualche minuto di silenzio,
Emilia decise che forse, un po' di sonno le avrebbe fatto bene, e
così appena chiusi gli occhi si addormentò. Fu
svegliata dal ragazzo che la stava scuotendo leggermente. La ragazza
sussultò e per poco non si mise ad urlare. Il ragazzo,
intuendo le sue intenzioni le tappò la bocca e la trasse
fuori dalla carrozza, trascinandola di corsa nel fitto del bosco,
adiacente alla strada.
"Cosa succede?2
domandò preoccupata appena il ragazzo le tolse la mano dalla
bocca
"Zitta!" le
ordinò il ragazzo nascondendosi dietro ad alcuni cespugli e
costringendo la ragazza a fare altrettanto.
"Mi vuoi spiegare
cosa sta succedendo?" domandò ancora lei.
Il ragazzo
spazientito dalla sua insistenza iniziò
"Ma è
possibile che non ti sia accorta proprio di nulla?"
"E di cosa mi
sarei dovuta accorgere?"
"Che c'era un
assalto alla carrozza e che ti ho salvata"
"Un assalto alla
carrozza?"
"Sì ma
ora vieni, ti spiego meglio per strada, ora dobbiamo arrivare alla
locanda qui vicino e sperare che abbiano almeno un calesse"
così dicendo trascinò con sè la
ragazza che, non potendo rifiutarsi, lo seguì senza storie.
"Brava,
finalmente inizi a ragionare"
"Perchè
un assalto alla carrozza? Con che scopo?"
"Come con che
scopo?!?" esclamò il ragazzo divertito, aiutandola a
superare un rigagnolo d'acqua
"Per rapinare gli
sfortunati viaggiatori. Questa non è una zona sicura, e
anche le carrozze senza uno stemma nobiliare non sono al sicuro, ma non
ti preoccupare, tra poco riprenderemo la nostra recita. Venezia non
è lontana" Emilia si sentì mancare. Per qualche
secondo aveva sperato di essere liberata, invece...Iniziò a
piangere silenziosamente, poi implorò il ragazzo
"Ti prego
liberami, portami a casa..."
"Fossi pazzo!
ammesso che riuscissimo ad arrivare in Piemonte, come credi sarei
accolto dalla tua famiglia? E poi, siamo comunque controllati, tutti e
due. Se non giungiamo entro questo pomeriggio a quella locanda il capo
non esiterebbe a mettere una taglia su di te, e soprattutto sulla mia
testa, capisci bene che non posso".
Emilia non si
arrese, e continuando a seguirlo rincalzò la dose:
"Ma tu non sei
come loro...tu sei diverso, hai un animo nobile..."
"E anche un
titolo nobiliare cancellato da ladri" la bloccò ironicamente
lui, poi continuò:
"Ascolta, se vuoi
trascorrere in maniera abbastanza "piacevole" quest'ultima parte del
viaggio, ti conviene continuare a comportarti come in carrozza,
altrimenti il capo non ci metterà molto a sostituirmi con
un'altro che ti tiene costantemente sotto la minaccia di un pugnale o
di una rivoltella. A te la scelta." Emilia non rispose, ma
seguì il ragazzo senza fiatare sino alla locanda dove
entrarono per chiedere una carrozza e ristoro per qualche ora. Al suo
interno le facce erano tra le peggiori che Emilia avesse mai visto.
L'orrore verso quella gente e quella bettola la facevano stare
attaccata al ragazzo che invece si muoveva come se fosse a suo agio.
Assicuratosi di essere stato visto con la ragazza in ostaggio dai
diretti interessati, si fece preparare la carrozza che, fortuitamente
era rimasta. Poi salì con Emilia e altri due uomini li
seguirono, mettendosi alla guida, per condurli alla loro meta: Venezia.
Emilia si era
completamente ricomposta dallo sfogo di poco prima, e i due avevano
ricominciato a parlare:
"Prima mi avete
detto che qualcuno vi ha sottratto il titolo nobiliare, come
è accaduto? se non sono indiscreta"
"L'ho detto solo
per zittirvi principessa" rispose freddo lui, anche se i suoi occhi
alla domanda della ragazza avevano tradito un sentimento più
simile alla rabbia che ad una semplice menzogna.
"Vi ho
già detto che non sono una principessa, ma una marchesa"
"Quante storie
per un titolo nobiliare sbagliato...come ti chiami?" Emilia rimase
colpita dalla domande così diretta del ragazzo .
"non è
importante il nome" rispose spiazzata.
"Davvero? non
credo che le guardie della città accetterebbero una risposta
del genere ad una eventuale domanda di riconoscimento, devo inventarmi
io un nome, o mi dite il vostro?" lei fu vinta da tanta logica e
rispose:
"Sono la
marchesina Emilia Ristori questa è una qualificazione
sufficiente?"
"Bastava il nome,
anzi da adesso dimenticati di essere la marchesina ristori e calati
nella parte del..." non ebbe il tempo di finire la frase che la
carrozza venne bloccata e una guardia ordinò ai due di farsi
riconoscere. Il ragazzo scostò la tendina e
annunciò "Sono il principe Cristiano Caracciolo di
Montesanto, e questa è mia sorella, la principessa Emilia.
Siamo attesi urgentemente dal doge della Serenissima" il soldato
sembrò soddisfatto e li lasciò entrare nella
città.
Il ragazzo non
tornò più sulle presentazioni, ma
iniziò a congedarsi da quella ragazza, che in qualche modo
lo aveva coinvolto più di quanto non avesse voluto.
"Ci siamo quasi"
annunciò .
"Allora
è il doge che mi ha fatta rapire?”
domandò lei.
"Non posso
dirtelo. Il mio lavoro è finito. Buona fortuna"
"E tu chiami
'lavoro' rapire le persone?"
"Emilia, hai
ancora molto da imparare..." disse prima di scendere dalla carrozza e
entrare in una ricca casa dove era atteso. Dopo una breve attesa fu
portato a cospetto di una donna, dopo un breve inchino disse solo:
"Signora
è nella carrozza qua sotto" La donna si alzò a
gli porse un sacchetto di monete.
"Ottimo
lavoro. Date ordine a Gasparo di accompagnarla qui". Il ragazzo si
inchinò e face per andarsene quando la marchesa lo
fermò e gli consegnò una lettera sigillata.
"Fate in modo che
questa lettera giunga alla contessa Ristori a Rivombrosa. Il prima
possibile".
"Come desiderate"
disse, inchinandosi ancora mentre prendeva a lettera. Poi
sparì dalla vista della marchesa.
Emilia era stata
chiusa a chiave in una stanza del palazzo. Ora stava cercando di capire
dove si trovasse, e se ci fosse qualche possibilità di
fuggire, quando la chiave girò nella serratura e la porta si
aprì. Emilia si voltò di scatto e la sua sorpresa
crebbe nel riconoscere la marchesa Van Necker.
"Ben arrivata" fu
il saluto della donna.
"Voi?”
domandò la ragazza stupefatta.
"E chi credevi
che arrivasse? tuo zio forse?" Gli occhi di Emilia si inumidirono.
"Non dirmi che
tua madre ha permesso che tu assistessi alla sua decapitazione..."
rincarò la dose Lucrezia.
"Mio zio non
è stato decapitato" ribatté la ragazza, senza
più curarsi del rispetto che avrebbe dovuto portare ad una
nobildonna.
"Racconta pure la
versione che preferisci, tanto il nome dei Ristori è
già stato infangato, e i tuoi tentativi per farlo riemergere
sono patetici...comunque sono venuta qui per spiegarti alcune ,semplici
regole, alle quali ti devi attenere...”
Ecco svelata la
misteriosa rapitrice di Emilia =)
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
In quello stesso momento
angelo e Celeste raggiunsero Rivombrosa. L'uomo, aiutato dalla ragazza
salì il grande scalone e chiese di essere ricevuto dalla
contessa. Appena Venne annunciato, Elisa dimenticò il suo
ricamo e, appoggiatolo sul letto, precedette Giannina correndogli
incontro. La sua sorpresa nel vederlo così mal ridotto e
accompagnato da Celeste, era pari solo alla paura che qualcosa di male
era accaduto alla nipote. Vedendo che Angelo faticava a reggersi sulle
gambe lo fece sedere in biblioteca, dove si fece raccontare
ciò che era accaduto. Durante il racconto dell'uomo le
lacrime le scendevano silenziosamente lungo le guance. Cercò
di tranquillizzare il sovraintendente che non era colpa sua se Emilia
era stata rapita, e ringraziò Celeste di aver riportato
Angelo a casa e le offrì nuovamente di rimanere con lei a
palazzo. La ragazza accettò; dopodiché Elisa
andò a cercare Antonio, che trovò in compagnia di
Anna. Il medico capì subito che qualcosa non andava:
così, con una scusa, si congedò dalla donna e
raggiunse Elisa. Appena sicura che nessuno li avrebbe potuti udire,
Elisa iniziò
"E'
arrivato Angelo".
"E' fantastico
dobbiamo dirlo ad Anna" Elisa lo fermò:
"No" l'uomo la
fissò preoccupato.
"Cosa
è successo?"
"Meglio entrare"
Antonio la seguì. Chiusa la porta della biblioteca
iniziò
"Emilia
è stata rapita"
"Rapita?"
"E' per questo
che ne ho voluto parlare prima con te. Non so se sia il caso che Anna
lo scopra adesso, che è nella fase più critica
della gravidanza..." disse Elisa asciugandosi le lacrime. Antonio
annuì.
"Hai fatto bene,
anche se dobbiamo dirglielo. Le parlerò io. Ma ho bisogno di
te e Martino. Dobbiamo essere forti". Elisa si sforzò di
ricomporsi e tornò nella sua stanza, nell'attesa che Martino
tornasse dalla battuta di caccia. Quella sera, prima di cena, Elisa
riuscì a parlare col ragazzo dell'accaduto. Martino aveva
subito proposto di andare a liberarla.
"E dove
Martino?Per adesso non ci resta che aspettare"
"Cosa?"
"Ascoltami" disse
la donna, trattenendolo per le spalle "In questo momento Emilia non
è in pericolo di vita, e poi non sapresti dove cercarla.
Dobbiamo aspettare che i rapitori facciano la prima mossa, poi agiremo
di conseguenza. Ora Antonio dovrà dirlo ad Anna".
Martino
la fissò serio negli occhi, poi l'abbracciò e
disse solamente:
"Speriamo...”
Da quando Anna
aveva appreso del rapimento della figlia si era rinchiusa in se stessa,
e a fatica, Antonio riusciva a convincerla a nutrirsi, e sembrava
impossibile spronarla a reagire. La donna si era chiusa nelle sue
stanze e non voleva essere avvicinata da nessuno. Più volte
Elisa aveva tentato di distrarla, ma invano, e sospettava che se non
fosse stato per il piccolo, Anna avrebbe già tentato di
togliersi la vita. Così altri giorni carichi di paure
passarono, finché un giorno, mentre Elisa stava prendendo il
tè con Martino, Celeste irruppe nella stanza, dichiarando
che erano arrivate due lettere per la contessa. Elisa le prese e ruppe
la ceralacca della prima. Era del Marchese Salvati e la lesse. Dovette
leggerla più volte prima di essere certa di aver compreso
bene il contenuto; il nobile l’aveva invitata ad una festa,
assicurando che la sua partecipazione sarebbe stata molto vantaggiosa
per entrambe; e subito pensò che alludesse ad Emilia; ma la
seconda lettera a sorprese ancora di più. Era scritta
evidentemente da un’altra mano, e parlava esplicitamente dal
rapimento della ragazza; Alla donna veniva ordinato, per il bene della
marchesina, di non domandare aiuto al re (come se questi avrebbe
ascoltato una serva divenuta contessa…) e di aspettare altre
istruzioni. Elisa fece cenno a Martino di seguirla e corse in camera di
Anna, bussò alla porta e senza attendere risposta
l’aprì, fermandosi poi sulla soglia, leggermente
ansante. La marchesa cercò debolmente di protestare, ma la
donna la interruppe:
“Scusa
Anna, ma è importante”
Poi si
avvicinò al letto dove la cognata si era appena messa a
sedere.
“Ma
prima di tutto, come ti senti?” Continuò Elisa
cercando di prendere tempo.
“Abbastanza
bene” sorrise stancamente la cognata, poi continuò
:
“Anche
se stanotte non ho chiuso occhio …” Elisa sorrise
e le strinse affettuosamente la mano.
“Nelle
tue condizioni è normale, anche se è importante
per te e per il piccolo” Anna annuì, poi notando
Martino ancora sulla porta, piuttosto a disagio, lo invitò
ad entrare e domandò ad Elisa:
“Di
cosa volevi parlarmi prima?” La donna inspirò
profondamente poi iniziò:
“Mi
sono arrivate due lettere, una anonima, e una dal marchese Salvati
…”
“E
allora?” domandò l’altra
“Quella
anonima parla esplicitamente di Emilia” disse porgendole la
lettera e dandole il tempo di leggerla, poi proseguì:
“Mentre
nell’altra …” disse allusiva, senza
però continuare la frase.
“Tu
credi che il marchese Salvati c’entri qualcosa?”
“Non lo
so, ma leggi questa” Elisa le consegnò
l’altra lettera. Anna lesse le poche righe del marchese e
domandò ancora :
“E tu
pensi di accettare l’invito?”
Allo sguardo
perplesso del ragazzo, dopo un muto scambio di sguardi con Elisa, Anna
porse le lettere al ragazzo, che dopo averle lette velocemente
iniziò
“Non
vorrai davvero accettare l’invito di
quell’uomo?”
“Devo!”
esclamò la donna “Devo scoprire se
c’entra qualcosa col rapimento” continuò
sconsolata.
“Ma le
scritture sono diverse!” protestò inutilmente
Martino.
“E’
vero” gli fece eco Anna, ma Elisa sembrava irremovibile.
“Magari
ha dato ordine ad un servo di scrivere una delle due”
ipotizzò Elisa. I due capirono che non ci sarebbe stato modo
di dissuaderla.
L’invito
era per quella stessa sera ed Elisa stava finendo di prepararsi, quando
Martino entrò in camera, e abbracciandola stretta le
mormorò all’orecchio:
“Ti
prego fai attenzione” la donna rimase colpita da quel sincero
gesto d’affetto e rispose:
“Stai
tranquillo, non devi preoccuparti per me, figlio mio, non
permetterò che mi accada nulla di male, e sai che per questo
ho rischiato la forca una volta e non esiterei a rischiarla nuovamente
se c’è in gioco il mio onore”. Poi si
diresse alla carrozza che la condusse rapida al palazzo
dell’uomo. Elisa si sorprese di non vedere altre carrozze,
come al solito succedeva durante le serate, ma ormai era troppo tardi
per risalire in carrozza e tornare alla tenuta. Infatti Elisa era
già stata annunciata.
“Scusate”
esordì la nobildonna varcando timidamente la porta del
salotto illuminato solo dalla luce soffusa di qualche candela, dove il
marchese pareva aspettarla.
“Ma
temo di aver frainteso la data dell’invito”
continuò
“Nessun
Errore” disse l’uomo alzandosi dalla poltrona di
broccato e avvicinandosi all’ospite. Elisa dovette imporsi di
non arretrare, come l’istinto le ordinava. Notando il disagio
della sua ospite, il marchese la invitò ad accomodarsi e le
offrì da bere; la contessa declinò
l’offerta ma ben consapevole dell’etichetta
dell’alta nobiltà, non poté che
sedersi.
“Vi
starete domandando perché siete qui …”
continuò mellifluo l’uomo
“E in
effetti è così” rispose titubante lei.
“E’
che sono venuto a conoscenza di alcuni avvenimenti riguardanti la
vostra casata che, se resi pubblici, potrebbero essere oltremodo
diffamanti, oltre che spiacevoli …” concluse
l’uomo con un filo di voce, sporgendosi leggermente dal
bracciolo della poltrona, a sfiorare il braccio della donna che,
ritrattolo istintivamente, mentì smarrita cercando di capire
le reali conoscenze dell’uomo:
“Non
capisco”
“Davvero?”
la stuzzicò ancora il marchese per poi continuare:
“Vediamo
… ponete che, speriamo non debba mai accadere, si sparga la
voce che un’antica e NOBILE casata come la vostra, abbia
contratto gravi debiti con dei miserabili borghesi … sarebbe
uno scandalo, Non trovate?” Così dicendo
l’uomo si era alzato dalla poltrona e dopo alcuni passi si
era posto alle spalle della donna, appoggiandosi col busto allo
schienale dove Elisa era seduta, che con uno scatto
d’orgoglio tentò di riscattarsi:
“Temo
siate stato male informato” disse cercando di alzarsi, ma i
riflessi dell’uomo furono più rapidi e la
costrinsero a risedersi.
“Allora
perché avevate tanto a cuore un’udienza privata
dal re?” continuò lasciando scivolare la mano sul
collo di lei, che a stento tentava di reprimere il ribrezzo che quel
contatto le provocava.
“Appunto
signore, privata!” Esclamò, calcando
sull’ultima parola
“Come
volete” sembrò tagliar corto l’uomo che
aveva invece, ben altre intenzioni:
“Ma non
credo che con uno scandalo simile la casata dei Ristori
riuscirà ad uscirne dignitosamente.”
“I
Ristori sono usciti a testa alta da scandali ben peggiori”
rispose con orgoglio Elisa
“Avete
ragione signora” ribatté divertito calcando
esageratamente il titolo della donna per poi continuare con lo stesso
tono cinico e provocatorio:
“Stavo
quasi dimenticando di quando voi, una serva, vi siete fatta sposare da
quel povero uomo che avete rischiato di far morire ancora prima di
raggiungere il vostro scopo”.
“Non vi
permetto” scattò in piedi la donna che fece per
andarsene, ma un’ulteriore frecciata del marchese la convinse
ad arrestarsi di botto.
“Ma
questa volta siete sola. E come fareste se, disgraziatamente dovesse
accadere qualcosa alla vostra adorata figlia?”
“Quindi
voi mi stareste consigliando di trovare amici” riprese fiato
e sdegnata si corresse:
“O
meglio, protettori come voi. Non è
così?”
“Avevo
sentito che eravate molto intelligente” commentò
ironicamente l’uomo. La donna avrebbe voluto rispondergli a
tono, ma il pensiero di Agnese in pericolo, le consigliò di
ascoltare la proposta dell’uomo.
“E cosa
vorreste in cambio della vostra
‘protezione’?” domandò
disprezzando l’uomo e soprattutto se stessa per aver ceduto
al ricatto.
“Vedo
con piacere che siete molto ragionevole se si tratta di argomenti a voi
convenienti” prese tempo l’uomo, godendosi quello
che credeva la resa della sua preda.
“Ho
chiesto le condizioni” lo interruppe seccamente.
“Semplice.
Un mio favore, in cambio del vostro” spiegò
viscido l’uomo con sguardo più che significativo.
Elisa cercò di sottrarsi a quello sguardo, alquanto
insopportabile.
“Non
sono quel tipo di donna marchese!” esclamò
disgustata.
“Come
volete. Allora continuate pure a vivere nel terrore che ossa accadere a
voi, o alla vostra casata una qualsiasi disgrazia, forse,
evitabile.” Elisa fremeva per la rabbia e
l’umiliazione e con voce incrinata
“Datemi
almeno del tempo per riflettere” il marchese
sembrò soppesare la risposta, e considerandola ragionevole
acconsentì:
“Va
bene, ma mi preme informarvi subito che non amo aspettare molto, e
soprattutto ancora meno che si tenti di ingannarmi, e ore non mi resta
che congedarvi e augurarvi una piacevole serata, sempre che voi non
abbiate nulla da dirmi” così dicendo si
inchinò deridendo la donna, che uscì di gran
fretta dalla stanza.
Rimasto solo il
marchese andò a liberare la donna nascosta in un passaggio
segreto da dove aveva ascoltato tutta la conversazione.
“Marchese,
non vi sembra di essere scivolato molto sul personale? Non era
necessario offenderla così. E quella storia della figlia
poi! Mi auguro che l’abbiate detto solo perché
avevate perso il controllo” sbottò critica.
“Mia
cara Rossana, sapete benissimo che non ho alcun’intenzione di
far del male alla figlia di una serva. E poi sarebbe
oltremodo scomodo una mocciosa piagnucolona ancora troppo giovane per
entrare in società. Mi serve qualcosa di meno prevedibile.
Sicuramente da domani la nostra, anzi la mia, preda alzerà
una barriera protettiva intorno alla figlia”
spiegò divertito il marchese. La dama si sedette civettuola
sulla poltrona e frivolamente domandò:
“E cosa
vorreste fare allora?”
“Semplice
mia cara. Trovare un’altra pedina per convincere la bella
‘contessina’ ribelle”
“E
scommetto che avete già un nome” lo
incalzò lei.
“Precisamente.
Vi ricordate la ragazzina che parlava fittamente col ragazzo che ci ha
interrotto portandoci via la contessa?”
Madame Chevallier
corrugò la fronte, cercando di ricordare il ragazzo
descritto, per poi esclamare
“La
marchesina Radicati?”
“Proprio
lei, e voi mi dovete aiutare a scoprire dove si trova”
“Mi
stupisce che uno stratega come voi ignori un piccolo, ma fondamentale
dettaglio come questo” lo schernì la donna.
Salvati alzò leggermente il sopracciglio a mo’ di
scusa:
“Sono
il medico personale del re, non un soldato al quale è stato
dato il compito di sorvegliare segretamente una ragazzina”
ironizzò.
“ma
grazie ad un’amichevole chiacchierata con la marchesa tutto
sarà risolto” concluse frivola la nobildonna
scambiando uno sguardo d’intesa col suo interlocutore.
Discussioni di
ben altro genere erano in corso nella cascina Benac, dove i due
fratelli si stavano confrontando su un argomento che era ormai, da
anni, fonte di aspri diverbi: Rivombrosa.
“Armand
quante volte ti ho già ripetuto che la contessa Ristori mi
ha garantito che salderà il debito appena
possibile?”
“Sono
passati sei anni Victor! Rivombrosa deve essere nostra. Se la tua cara
contessina avesse pagato, ora non rischierebbe di essere
sfrattata” fece una breve pausa, per poi continuare:
“Semplice
no?” aggiunse sarcastico l’uomo.
“E non
ci pensi a cosa accadrebbe se li
cacciassi?”domandò il maggiore.
“Che
noi diventeremmo padroni della tenuta?” rispose ironico il
minore.
“Dove
andrebbero?” continuò l’altro, che aveva
molto a cuore la contessa e le sorti dei suoi due figli.
“Hai il
cuore tropo tenero Victor. Se avessero pagato, questo non sarebbe
accaduto.” Ribatté insolente il fratello.
“Non ti
riconosco” affermò Victor, stupito e amareggiato
e subito l’altro rispose mestamente, ma senza perdere quel
tono di sfida:
“Come
no?!? Sono sempre io! L’Armand che non era, e che non
è mai abbastanza per te. Il ‘ribelle’
della famiglia da domare e imbrigliare nelle tue ferree regole. Ma non
ti sei mai chiesto se, forse non era quello che mi serviva? Non ti sei
mai accorto di quanto faticavo per cercare di essere il fratello che tu
volevi? E cosa ottenevo? Solo rimproveri” Victor non aveva la
forza di ribattere davanti a simili accuse, e Armand, ben consapevole
dello stato di disperazione nel quale stava gettando il fratello
continuò ad umiliarlo:
“Mai un
gesto o una parola di gratificazione! Come pensi che io possa ancora
sottostarti?”
Victor
ingoiò a vuoto più volte prima di riuscire a
ribattere alle malignità del fratello: per la prima volta
sentiva di aver fallito, e si domandò se anche Juliette la
pensasse come il gemello.
“Perché
non mi hai mai detto nulla?” domandò con un filo
di voce, ancora incapace di accettare la sconfitta.
“E come
avrei potuto?” urlò il fratello, per poi
ricomporsi e continuare:
“Tu
dovevi sempre avere l’ultima parola, e noi, io e Juliette,
non potevamo fare altro che accettare le tue decisioni senza poterci
esprimere”
“Lascia
stare Juliette, lei non c’entra in questa storia”
“Quale
storia?” Domandò una voce femminile.
I due si
voltarono di scatto e sulla porta videro l’esile figura della
sorella. La giovane era ferma sulla soglia, avvolta in una vestaglia
dai colori pastello che oltre ad evidenziare la gracile sagoma del suo
corpo, faceva risaltare l’eccessivo pallore del grazioso
volto di lei. Subito i due fratelli l’accompagnarono
premurosamente a sedersi, e Armand la rimproverò
amorosamente:
“Sai
che devi riposare dopo la cura” Juliette annuì:
“Lo so
ma vi ho sentiti litigare, e mi sono preoccupata”
continuò seriamente.
“Non
è nulla, affari” tentò di
tranquillizzarla Victor.
“Ancora
Rivombrosa?” chiese lei.
“Sì.
Ma non accadrà più. Questo pomeriggio mi
è arrivata la convocazione ufficiale dal prefetto
Terrazzani, per domani pomeriggio. Sembra che la contessa Ristori abbia
trovato i soldi per estinguere il debito. E sarei felice se tu volessi
accompagnarci. Non mi piace pensarti tutta sola al cascinale”
spiegò Victor
“Come
preferisci” accettò la ragazza, che accompagnata,
anzi quasi sorretta, dal minore si ritirò in camera. Poco
dopo Armand ridiscese ma, non trovando il fratello decise di coricarsi
anch’egli, sperando di trovare un modo per impossessarsi
della tenuta del conte Ristori: il suo unico scopo da quando, sei anni
addietro, vi era entrato per la prima volta, col fratello per affari.
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
Elisa
arrivò al palazzo quando ormai era tutto buio. Stava
cercando di riaccendere le braci del camino per far scaldare il pesante
pentolone pieno d’acqua, quando Amelia, svegliata da quei
rumori sospetti le si avvicinò alle spalle, pronta a colpire
l’intruso col pesante matterello, quando la giovane si
girò di scatto, impaurita dal riflesso sulla pentola.
“Amelia!” Esclamò spaventata,
riconoscendola. L’anziana governante sembrava imbarazzata:
“Santo Cielo! Signora contessa!Cosa siete venuta a fare qui
in cucina, a quest’ora di notte?”
domandò
“Scusami Amelia, non volevo svegliarti”
iniziò la contessa stringendo tra le sue, le mani logorate
dal lavoro di Amelia, poi continuò:
“Avevo solo voglia di un bagno caldo. Tutto qui,
davvero”
“Ma perché non siete venuta a svegliarci? Ve lo
avremmo preparato noi”
“Non volevo farvi alzare per un mio
‘capriccio’, e poi dami del
‘tu’ per favore” implorò la
contessa. Poi si lasciò sedere stancamente sulla panca
dietro di lei. Amelia si preoccupò.
“Piccolina, tutto bene?” domandò.
Elisa scosse leggermente la testa poi rispose:
“Sto bene Amelia, sono solo un po’
stanca”. Alla donna però non era sfuggita la
preoccupazione sul volto della giovane.
“Cattivi pensieri?” si informò ancora
l’anziana donna, mentre versava in due grossi catini
l’acqua bollente.
“Sì” iniziò a sfogarsi Elisa,
ma poi pentendosene, mentì:
“Ma nulla che non possa essere dimenticato con un bel bagno
caldo”.
Così dicendo prese uno dei due contenitori e si diresse
nella sua stanza, dove aveva già preparato il necessario.
Sfortunatamente il bagno non ebbe l’effetto desiderato, ma
tutto l’opposto: la velata minaccia del marchese appariva ora
ancora più vicina e pericolosa. Non riuscendo a prendere
sonno, Elisa si avvolse nella candida vestaglia e andò nella
stanza della figlia, dove la bambina dormiva serena, ignara delle paure
della madre e delle minacce che incombevano su di lei.
Elisa le si distese accanto, affondando il viso tra i dorati boccoli,
inspirando profondamente il dolce profumo della piccola.
Ripensò alla grande gioia provata la prima volta che
l’aveva stretta tra le sue braccia e ora, ricompiendo quel
sincero gesto d’affetto, giurava alla piccola, e a se stessa,
di proteggerla a qualunque costo, anche se ciò avesse voluto
dire perdere la vita per lei.
Anche Fabrizio, nella casa sul lago di Antonio, non riusciva a prendere
sonno. Continuava a misurare a grandi passi la povera cucina del suo
alloggio provvisorio, stringendo tra le mani l’ultima lettera
che Antonio gli aveva scritto, ormai parecchi giorni prima, nella quale
lo informava che Anna aspettava un figlio. Il dottor Ceppi continuava
poi, nello sconsigliare un suo ritorno alla tenuta: avvenimento
sicuramente fonte di gioia, ma indubbiamente delicato e probabilmente
traumatico per i due figli, Martino e Agnese. L’uomo stava
cercando un’alternativa e, invece, ogni pensiero era rivolti
alla moglie: sapeva che sempre più spesso si recava al loro
capanno, e immaginava la gioia di quell’incontro.
L’alba non era ancora sorta quando un piccolo calesse stava
uscendo dalla tenuta, diretto verso il borgo. L’aria fredda
del mattino, aveva obbligato Elisa a riutilizzare il pesante mantello
invernale bordato di pelliccia; cercava sempre di evitarlo quando
andava a trovare la madre e la sorella, sperando così di
ridurre le formalità e il distacco che il titolo nobiliare
aveva imposto tra loro. Elisa incitò maggiormente i cavalli
augurandosi di raggiungere la sua meta, prima che la sorella uscisse di
casa, per recarsi a servizio dalla marchesa Barbero Gatto. Arrivata
sulla soglia bussò, ma , sfortunatamente fu Artemisia ad
aprire.
“Buongiorno madre, Orsolina è ancora in
casa?” domandò subito la ragazza, chiudendosi la
porta alle spalle.
“Mi dispiace Elisa, ma tua sorella questa notte è
rimasta al palazzo”.
“Non importa” la interruppe la giovane e fece per
andarsene, quando la voce della madre la trattenne:
“E’ forse accaduto qualcosa di
male?” Elisa esitò a rispondere poi
deviò l’argomento con un’altra
richiesta:
“Agnese sarebbe felicissima di vedervi a Rivombrosa, potreste
accompagnarmi dalla marchesa, e poi andremmo insieme dalla piccola. Non
immaginate nemmeno che immenso sollievo sarebbe anche per me avervi
lì” spiegò cercando di non entrare nei
particolari.
“Sollievo?” domandò Artemisia che aveva
capito che la ‘figlia’ doveva nascondere qualcosa
di molto grave. Elisa crollò:
“E’ una storia lunga, ve la racconto mentre
andiamo”
“Va bene, ma non credo che la marchesa approverebbe una tua
visita in calesse, forse sarebbe meglio che ti facessi preparare la
carrozza da Angelo, non credi?” Elisa non poté che
dar ragione all’inattaccabile tesi della madre.
“Allora a Rivombrosa” si limitò a dire,
facendo schioccare le briglie. I due cavalli partirono. Durante il
breve tragitto, Elisa raccontò sommariamente la su
volontà di prendere Orsolina come istitutrice per Agnese e
il motivo di tale scelta. L’anziana donna si
allarmò, e la giovane tentò di tranquillizzarla:
quasi sicuramente le minacce riguardanti la figlia erano fasulle, ma
preferiva, in ogni caso, tenere la bambina strettamente sorvegliata da
persone fidate, e chi, meglio di Orsolina poteva provvedere ad una
prima erudizione, senza però necessitare di
un’ulteriore controllo, così che Agnese non si
sentisse imprigionata?
Le due donne erano arrivate alla tenuta. Mentre Elisa aspettava che
Titta finisse di preparare la carrozza, Artemisia la convinse a
cambiarsi d’abito, così poterono continuare la
loro discussione, anche se, ormai, era impossibile far cambiare idea
alla contessa. Elisa si recò da sola dalla marchesa che la
ricevette a dir poco freddamente. La giovane donna sostenne lo sguardo
severo e penetrante dell’anziana padrona di casa, poi
iniziò a spiegare il motivo di quella visita, evidentemente
poco gradita.
“Mi dispiace disturbarvi, ma credetemi che se non fosse tanto
necessario, avrei evitato. Sto cercando un’istitutrice per
mia figlia” iniziò la dona, ma fu subito
interrotta:
“Non vedo perché siete venuta da me, mia figlia
è senza istitutrice dall’età di
quindici anni, e da due è madre”.
“Lo so, ma sono certa che una vostra domestica, Orsolina
Scalzi, ha le adeguate competenze per …” ancora
una volta Elisa non fece in tempo a terminare la frase che la marchesa
la incalzò:
“aspirare ad un titolo nobiliare, poiché ha
intrapreso la vostra stessa scalata gerarchica? Sono pienamente a
conoscenza che è vostra sorella, e immagino che fareste di
tutto per accomodarla vantaggiosamente, ma per vostra sfortuna non sono
così vecchia da farmi abbindolare da una giovane serva
diventata contessa”.
Elisa fremeva per l’umiliazione, ma sapeva che se avesse
reagito, avrebbe finito per fare il suo gioco, così
aspettò che la sua avversaria sferrasse l’attacco
successivo, pronta a pararlo. Al contrario di ciò che si
aspettava, la marchesa sembrò ritrovare la sua marmorea
compostezza e facendo tintinnare una piccola campanella
d’argento aggiunse solamente:
“Facciamo decidere alla diretta interessata”.
Poco dopo entrò Orsolina, si inchinò alle due
donne e rimase in attesa di ulteriori ordini.
"Credo che tu e la contessa Ristori dobbiate parlare, potete usufruire
del salottino adiacente" ed indicò una porta decorata con
una scena boschiva. Orsolina spostò lo sguardo incerto prima
sulla padrona e poi sulla sorella che, altrettanto titubante le fece
segno di seguirla nella stanza accanto. Chiusasi la porta alle spalle
Elisa iniziò:
"Non credo che alla marchesa faccia piacere che noi ci intratteniamo
qui a lungo, quindi verrò subito alla proposta: vorrei
prenderti a servizio a Rivombrosa" la ragazza non sembrò
molto entusiasta.
"Per fare cosa? Umiliarmi? Farmi vedere che tu ora che sei diventata
contessa puoi giostrarmi a tuo piacimento come una marionetta?"
sibilò. Elisa scosse il capo.
"No, voglio un'istitutrice per Agnese, tu saresti perfetta per darle le
prime basi della lettura e della scrittura, quando dovrà
studiare francese, invece tu potrai diventare la sua dama di compagnia,
o comunque restare a vivere a palazzo. E non ti ritroverai nuovamente
in mezzo alla strada. Sono certa che Agnese ne sarebbe veramente
felice" spiegò.
"Agnese forse sì...Ma a me non pensi? Come potrei sentirmi a
doverti servire, per me sarebbe un'umiliazione enorme, e soprattutto
prima di parlarne con la signora marchesa, avresti potuto benissimo
parlarne con me!" esclamò alzando la voce.
"Infatti stamane sono venuta a cercarti, ma tu non eri tornata a casa,
e per me questa è una situazione molto importante, e
delicata. Orsolina, mi fido solo di te ... ti prego rispondimi
ciò che spero" Elisa fissò la sorella negli occhi.
"No" fu la secca risposta della giovane.
"Lo so, è stato un passo falso venire qui, capisco benissimo
che ora potresti avere problemi col resto della servitù"
Orsolina sorrise ironicamente, ma Elisa continuò come se
nulla fosse:
"Ma se ho fatto ciò ho dei buoni motivi, che non sono
solamente legati all'istruzione di tua nipote, riguardano anche la sua
sicurezza, ma non posso aggiungere altro". Detto ciò
aprì la porta e ritornarono nel salottino, dove la marchesa
domandò alla ragazzina la sua decisione. Orsolina
sapeva a cosa stava andando incontro con la sua scelta, ma
l'orgoglio le impediva di utilizzare la sua razionalità.
"Sono estremamente grata alla contessa Ristori, ma sono costretta a
declinare la gentilissima offerta per rimanere al vostro servizio,
sempre che voi abbiate ancora bisogno dei miei umili servigi" disse,
già pentendosi delle parole appena uscite dalla sua bocca.
"Allora non c'è altro da aggiungere" disse severa la
marchesa, che congedò la contessa, facendola accompagnare
dalla sorella alla carrozza.
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Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
Emilia
era accucciata in un angolo della sua prigione, quando uno scatto della
serratura la fece sussultare. Subito dopo, la porta si aprì
e la giovane poté riconoscere Marise, la più
piccola cameriera della marchesa, con la quale era entrata presto in
accordo e le corse incontro.
"Allora? sei riuscita?" domandò ansiosa la ragazza.
"Sì cinque giorni fa, ormai dovrebbe essere arrivata a
destinazione" disse, porgendole un piccolo fagotto, poi
continuò:
"La marchesa è partita stamattina, e ho potuto portarvi
questo dalle cucine, scommetto che siete affamata!" Emilia
scartò il fagotto e le si illuminarono gli occhi ala vista
delle fette di pane.
"Grazie Marise!" esclamò abbracciandola, poi le
offrì una fetta, ma la bambina rifiutò:
"Mangiate voi signorina, io sono abituata a saltare i pasti".
Emilia la obbligò dolcemente ad accettarne almeno una fetta,
poi domandò:
"Perchè non sei venuta prima ad avvisarmi? Lucrezia sospetta
qualcosa?" Marise scosse le testa e i boccoli neri, sfuggiti alla
stretta della cuffietta, oscillarono a destra e a sinistra
"No, crede che sia troppo piccola e intimidita da lei per poterle
disubbidire, ma ci ha imposto rigidi turni per portarvi il cibo, in
modo tale ch voi non riusciate a socializzare, ma a quanto pare
è evidente che voi ci siete già riuscita"
sorrise, e il suo volto tornò ad essere sereno, come avrebbe
dovuto essere il volto di una bambina di nove anni. Emilia le
accarezzò i capelli e la congedò, con un po' di
rammarico:
"Ora vai, altrimenti rischi di essere scoperta, non voglio che tu venga
frustata per causa mia". Così dicendo, le
riconsegnò il tovagliolo e si preparò a
trascorrere altre infinite ore di solitudine.
A Rivombrosa, Anna era seduta nella sala rossa con Martino, quando fu
annunciata la visita di madame Chevallier. La contessa
domandò a Martino di intrattenerla in biblioteca, giusto il
tempo necessario per sistemarsi. Così Rossana fu accolta dal
ragazzo; la donna rimase infastidita di rivedere quel volto a
Rivombrosa, ma non lo mostrò e iniziò a discutere
col giovane come se nulla fosse.
"Devo ammettere di essermi sorpresa di trovarvi qui"
"In effetti dovrei essere in accademia, ma ho una licenza sino a
qualche giorno dopo il matrimonio di mia zia, la marchesa Radicati"
spiegò il ragazzo. La dama stava per rispondere quando la
porta della biblioteca si aprì alle loro spalle ed
entrò Anna.
"Carissima Rossana, mi dispiace di avervi fatto attendere, ma non mi
aspettavo una vostra visita” si scusò
"Carissima Anna, non temete, non dovete scusarvi, vostro nipote
è un'abile intrattenitore e l'attesa sembra quasi non
esserci stata" la tranquillizzò la nobildonna, poi riprese:
"Piuttosto, voi come state? e' da diverso tempo che non vi si vede
più a Torino, e iniziavamo a preoccuparci.
"Non vi preoccupate, esclusi i leggeri malori del mio stato sto bene,
ma Antonio..." disse, accarezzandosi il pancione ormai visibile, per
poi correggersi "Il dottor Ceppi ha insistito affinché
passassi gli ultimi mesi in campagna, tra il verde, dice che
è indispensabile per una futura madre la calma e la
tranquillità, e dove oziare tutto il giorno se non qui? a
Rivombrosa, dove ho vissuto per la maggior parte della mia vita?"
concluse sorridendo dolcemente.
"Devo ammettere che siete proprio fortunata ad avere al vostro fianco
un uomo come il dottor Ceppi. E vostra figlia? Cosa ne pensa
dell'arrivo di un fratello minore?"
Martino ed Anna furono presi alla sprovvista: in realtà
Emilia non sapeva della sua gravidanza, e chissà se avrebbe
mai potuto conoscere suo fratello... Poi, la contessa si riscosse:
"Veramente, era già ritornata a studiare a Parigi quando ne
ho avuto la certezza, così lo ha saputo tramite una lettera,
ma dalla risposta sembrava entusiasta" mentì, ma vedeva che
l'altra non sembrava persuasa. Martino avrebbe voluto sostenere la tesi
della zia, ma qualsiasi cosa pensasse, sembrava servire a rendere solo
più labile l’affermazione iniziale,
così tentò di spostare la conversazione su di lui
ed Agnese, congedandosi:
"Scusate, ma è meglio che vada da mia sorella, ormai
dovrebbe essersi svegliata, e poi ho gli allenamenti con la spada,
altrimenti quando torno in accademia, posso scordarmi la promozione a
sotto ufficiale...." disse con una punta d'orgoglio.
Elisa stava percorrendo il corridoio a grandi passi quando
incrociò Martino che la fermò e le
domandò:
"Allora com'è andata?"
"Male" esclamò lei, per poi continuare "Orsolina
è troppo orgogliosa per accettare di prendere servizio qui"
"Orsolina?Cosa c'entra? Io mi riferivo a ieri sera". Elisa
sopirò a fondo:
"E' una storia lunga, sarebbe meglio andare in biblioteca, e
soprattutto deve essere conosciuta dal minor numero di persone
possibile".
"Allora la biblioteca non è il luogo più adatto.
Poco dopo che tu sei uscita, è arrivata madame Chevallier, e
ora Anna la sta intrattenendo proprio lì. Inoltre la sua
ospite, sta facendo parecchie domande, in particolare su Emilia, oserei
dire anche abbastanza mirate."
"E perché allora, non sei rimasto con loro?"
"Ho sperato che congedandomi con la scusa degli allenamenti con la
spada avrebbe potuto essere un buono spunto per una nuova
conversazione, non credi?"
"Hai fatto bene, allora vado a salutare la nostra amica, come si addice
ad una buona padrona di casa. Poi ti racconto tutto" Fece per
andarsene, ma Martino la fermò:
"Elisa aspetta, Anna ha ammesso che quando Emilia è partita,
non era ancora a conoscenza che presto avrebbe avuto un fratellino, ma
il vero problema è che ha parlato di una lettera di
risposta, nella quale si diceva molto felice...forse sarebbe meglio che
tu scriva questa lettera, non trovi?"
"Io? Non ne sono capace, Emilia ha una calligrafia molto
particolare..." Tentò di giustificarsi Elisa
"E tu copiala dalle lettere che ti ha mandato" le suggerì
Martino
"Non posso, sono in biblioteca"
Martino rifletté un momento poi propose:
"Copiala dalle mie" Elisa sembrava imbarazzata
"Martino...veramente le lettere..." Martino la interruppe il ragazzo
"Dobbiamo aiutare Anna, è vero che Emilia non immaginava che
queste lettere sarebbero state lette da altri, ma di te mi fido"
Elisa si lasciò convincere, e aiutata dal ragazzo, mezz'ora
dopo stringeva tra le meni la lettera tanto chiacchierata. Poi,
lasciata Agnese col fratello, si diresse in biblioteca dove le due
donne stavano ancora parlando del più e del meno.
" Buongiorno Anna, come vi sentite oggi?" salutò, recandosi
allo scaffale dove erano ordinati i libri di favole per Agnese.
"Scusate madame, benvenuta"
"Grazie contessa. Volete unirvi a noi?"
"Volentieri, ma purtroppo impegni improrogabili me lo impediscono".
Così dicendo scelse dallo scaffale il libro, lasciando
cadere per terra la lettera appena scritta, poi tornando verso la
poltrona di Anna le porse la lettera, adeguatamente stropicciata delle
"frequenti letture" della marchesa.
"Anna, credo che questa sia vostra, è forse
l’ultima lettera che vi ha scritto
Emilia?” domandò la contessa, sorridendo
alla cognata. Anna ringraziò sentitamente, forse anche
troppo per una semplice lettera ritrovata, ma l'ospite non vi
badò. Quando la contessa uscì, Rossana,
sentendosi di troppo, e avendo necessità di respirare
dell'aria fresca per schiarirsi le idee, cercò di
congedarsi.
"Non temete Rossana, non siete di alcun disturbo, anzi al contrario ho
apprezzato molto la vostra visita, e spero di poterla ricambiare il
più presto possibile". Poi si alzò.
"Ma prima di salutarvi permettetemi almeno di consegnarvi
personalmente l'invito per il matrimonio, spero vogliate essere
presente" disse estraendo dal cassetto della scrivania una busta e
consegnandola alla nobildonna.
"Senza dubbio" rispose l'altra e insieme si diressero verso l'uscita.
Agnese stava giocando in giardino con Celeste, sotto lo sguardo attento
di Elisa, che stava cercando di convincere la madre a rimanere con loro.
“Te lo ripeto Elisa, ti sono molto grata
dell’offerta, ma preferisco rimanere al borgo, nella mia
casa,non sono abituata a vivere a palazzo”.
“Lo so, ma speravo che aveste cambiato idea”
rispose Elisa oscurandosi in viso, le preoccupazioni non le davano
tregua e, sebbene quel pomeriggio stesso la tenuta sarebbe stata
sollevata dai debiti, il suo futuro le sembrava sempre più
cupo e minaccioso.
La madre notò le ombre sul viso della figlia ma non ebbe il
tempo di chiedere spiegazioni che il loro discorso fu interrotto da
Angelo, che portava una lettere per la contessa.
“Stavo tornando da un’ispezione nella tenuta,
quando mi è stata consegnata questa lettera”
spiegò il giovane
“Grazie Angelo” il ragazzo sorrise, mentre vedeva
il suo amore giovanile rigirare più volte la lettera tra le
mani e aprirla velocemente.
“È di Emilia!” esclamò dopo
averla letta più volte, come per assicurarsi di quello che
avesse appena letto. Il sovraintendente trasse un sospiro di sollievo.
“Dice che è stata rapita ed ora è a
Venezia, imprigionata a casa di Lucrezia, ma che sta bene. Devo subito
avvisare Anna” e fece per correre dalla cognata quando la
voce di Angelo la fermò:
“So che non dovrei intromettermi, ma forse, sarebbe meglio
che prima ne parlassi con Antonio, la signora marchesa dovrebbe
evitare, le forti emozioni, e soprattutto le false speranze”.
“Ma è la scrittura di Emilia, ne sono
sicura!” cercò di ribattere Elisa, ancora presa
dall’euforia, poi osservò ancora la faccia di
quello che era stato il suo compagno di avventure, sin da quando erano
dei bambini.
“Forse hai ragione tu, ne parlerò con Antonio, ora
vado da lui.” E prima che Angelo potesse dire qualcosa, lo
abbracciò forte dandogli un rumoroso bacio sulla guancia,
poi corse via, leggera, alla ricerca del dottor Ceppi, lasciando sotto
il gazebo, la madre ed Angelo a commentare quei gesti, così
sinceri, ma poco adatti al rigore che una contessa dovrebbe mantenere.
Elisa trovò Antonio in biblioteca intento a cercare alcune
nozioni su dei pesanti libri di medicina. La contessa, fermatasi sulla
porta, bussò ed entrò quasi timidamente, per
paura di disturbarlo. L’uomo alzò lo sguardo dalla
sua lettura e si stupì che la ragazza stesse ancora esitando
sulla porta.
“Coraggio, entra”
“Scusa, non volevo disturbarti...”
iniziò, ma fu subito interrotta dall’uomo:
“Non mi hai affatto disturbato, e poi sei libera di venire
quando vuoi. Dopotutto questa è casa tua, e da quando la
padrona di casa è diventata un motivo di
fastidio?” Elisa sorrise.
“Ti stavo cercando, ho appena ricevuto
questa” porse la lettera al medico, e senza
aspettare che questo la aprisse continuò:
“è di Emilia, è stata rapita da
Lucrezia ed ora si trova a Venezia. Anna non sa ancora nulla,
così come Martino”.
“Dobbiamo subito avvertirli, e poi cercheremo un modo per
liberarla, ti aspetto in camera di Anna con
Martino” Elisa annuì e andò a
cercare il figlio, dove era certa di trovarlo.
Infatti Martino si stava allenando a tirare di scherma con Augusto, un
nobile piemontese che frequentava con lui l’accademia
militare.
“Non ti riconosco più, dove sono finite le grandi
qualità che mostravi in accademia?” stava
scherzando il ragazzo.
“ammetto di non essermi allenato molto spesso, da quando sono
il licenza” rispose Martino parando gli attacchi del
compagno, per poi aggiungere:
“ma mi ricordo ancora come si fa”
“come si fa cosa?” domandò Augusto,
mentre toccava a lui pararsi dagli attacchi di Martino che presto lo
disarmò.
“Questo! Touché” disse
ridendo, togliendo la spada dalla gola dell’amico.
“Ora riconosco lo spadaccino che fa strage di ragazze con la
sua bravura!” disse, ammettendo la sconfitta.
“Smettila di scherzare!”
“Non dirmi che non ti sei accorto come ti guardano le
compagne di collegio di tua cugina quando le vai a far
visita” Martino rise insieme all’amico.
“Martino!” lo chiamò Elisa, prima di
raggiungerlo sotto la quercia “Sapevo di trovarti qui.
Augusto che piacere rivedervi!” esordì la donna.
“Contessa, il piacere è mio” rispose il
ragazzo.
“Il tuo amico si ferma a pranzare con noi?”
domandò, esitando sul motivo principale del suo arrivo.
“Mi dispiace signora, ma sono atteso a casa della mia
fidanzata, anzi se non mi sbrigo rischio di arrivare in ritardo, e non
credo che Annalisa me lo perdonerebbe così
facilmente” si giustificò.
“Non importa, sarà per la prossima volta che
venite a far visita a Martino”. Subito dopo, Augusto si
congedò dai due ed Elisa non perse tempo, e fece cenno a
martino di seguirla. Il ragazzo non obiettò, anche se non
capiva la fretta della donna. Lungo la strada Elisa accennò
solo che Antonio li stava aspettando insieme ad Anna. Giunti alla porta
della camera bussarono ed aspettarono l’invito per entrare.
La voce di Anna non si fece attendere, anche se rimase stupita da
quella serie di visite. Elisa si chiuse la porta alle spalle. Un
silenzio opprimente riempì la stanza, lo sguardo di Anna
passava interrogativo sui volti delle altre tre persone, fu Antonio a
rompere il silenzio:
“Amore, è meglio che tu ti sieda”
“Antonio sto bene, ma cosa c’è
cos’è successo?” domandò
seriemente preoccupata, non opponendo resistenza alla mano
dell’uomo che l’invitava dolcemente a sedersi sul
letto accanto a sé. Antonio guardò
Elisa, come per chiederle aiuto. La giovane si avvicinò al
letto e pose la lettera, arrivata poco prima, nelle mani della cognata.
“È di Emilia, leggi” disse, poi si
riavvicinò a Martino, aspettando che la donna terminasse di
leggere le poche righe scritte dalla figlia. Anna leggeva e rileggeva
quella lettera, e silenziose lacrime le rigavano il volto e
sulle sue labbra sembrava apparire, di tanto in tanto, un
accenno di sorriso.
“ È viva!” fu
l’unica cosa che riuscì a dire cercando di
asciugarsi le lacrime, a quelle parole anche Martino si
sentì in qualche modo sollevato. Antonio stringeva forte a
sé la donna cercando di calmarla, e nel frattempo
continuò ad informare Martino:
“È a Venezia, prigioniera di Lucrezia”.
Quelle parole furono un duro colpo per il ragazzo. Non si era
mai dimenticato tutto il male che quella donna aveva fatto a lui e ai
suoi genitori, ed ora aveva tra le sue grinfie sua cugina,
l’unica ragazza che gli facesse battere il cuore!
“Io la uccido!” disse in un momento di rabbia il
ragazzo, stropicciando la lettera che aveva tra le mani; Anna emise un
gemito soffocato.
“Martino calmati, non è uccidendo Lucrezia che
sistemeresti le cose, diventeresti solo un assassino”.
“Elisa ha ragione” le fece eco Antonio.
“Lo so, ma saperla tra le mani di quella donna mi fa
impazzire” Elisa gli accarezzò la spalla.
“Troveremo un modo per liberarla, ma bisogna fare attenzione,
non dobbiamo dimenticare che Lucrezia è una donna molto
pericolosa, non dobbiamo commettere passi falsi”.
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Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
Dopo pranzo, Elisa si
stava preparando per l’incontro col prefetto Terrazzani e
monsieur Benac, quando Giannina entrò con un biglietto.
“Scusate,
signora contessa, ma mi è appena stato consegnato questo per
voi, il valletto ho detto che è molto importante”
Elisa fece cenno alla cameriera di avvicinarsi e preso il biglietto, lo
aprì e lo lesse.
“Grazie
Giannina, ora puoi andare, dì ad Angelo di avvisarmi quando
è pronta la carrozza” la serva esitò.
“Devo
riferire qualcosa al valletto?”
“Digli
che può andare, e che il biglietto non necessita di
risposta, e che sarò io che mi presenterò al suo
padrone quando potrò” disse cercando di soffocare
la grande paura che le stava montando dentro. La cameriera si
inchinò e uscì dalla camera chiudendo la porta.
Appena rimasta sola nella stanza, le lacrime iniziarono a scorrerle
lungo le guance, prima silenziose e lente poi sempre più
frequenti, ed Elisa si buttò sul letto in preda ai
singhiozzi. Più di mezz’ora dopo, Angelo
bussò alla porta per avvisarla che tutto era pronto per il
viaggio a Torino, Elisa si mise a sedere sul letto, ma non
riuscì a mascherare le lacrime che ancora stavano scendendo.
“Elisa,
cosa è successo?” domandò preoccupato
il giovane chiudendo la porta alle sue spalle e avvicinandosi a lei,
esitando su come comportarsi.
“Ho
fallito Angelo!” singhiozzò cercando di ricacciare
le lacrime.
“Elisa
cosa stai dicendo? Non hai fallito, anzi, grazie a te Rivombrosa sta
fiorendo e prestissimo non sarà più gravata dai
debiti” cercò di confortarla. Elisa scosse il capo.
“Non
sono riuscita a mantenere le promesse fatte sulla tomba di
Fabrizio”
“Elisa
non capisco” cercò di farsi spiegare, e come
risposta Elisa gli mostrò il bigliettino che Salvati le
aveva fatto consegnare poco prima.
angelo lo prese e
iniziò a leggere le poche, ma eloquenti, righe del marchese
“Carissima
contessa,
Come
già ben sapete non sono particolarmente disposto a concedere
la mia amicizia a coloro che continuano ad indugiare sul da farsi
,senza mandarmi la risposta che voglio sentirmi dire. Ma, essendo un
cavaliere, vi concederò ancora un paio di giorni per
riflettere, ma state attenta a non far spezzare la corda, altrimenti
potrebbe rimetterci qualcuno a voi molto caro …
il vostro protettore”
“Si
tratta di Agnese, è lei che Salvati vuole usare per
convincermi a cedere, e io non sono in grado di proteggerla”
“Rivombrosa
è sicura, e poi tu la stai crescendo nel modo
migliore” Elisa non era convinta.
“Mi
sono illusa, speravo che il mio amore per Fabrizio potesse essere
talmente forte da vincere tutto e tutti, ma mi sbagliavo, forse non
avrei mai dovuto sposarlo, forse sarebbe stato meglio cedere al suo
ricatto e sposarti, almeno adesso sarebbe tutto diverso”.
Angelo le cinse le spalle e la strinse delicatamente a sé
“È
vero sarebbe stato tutto diverso, tu saresti stata infelice, e io non
avrei potuto fare altro che incolparmi di averti rovinato la vita. Tu
hai conosciuto l’amore e hai lottato per non perderlo,
ammetto che non è stato facile per me accettare di essere
stato abbandonato sull’altare, ma quando vi ho visti insieme,
quando sono tornato dalla Francia ho capito quanto vi amavate, e quando
vi siete sposati ero veramente felice per te” Elisa si
strinse al giovane, abbozzando un sorriso.
“Mi
perdonerai un giorno per averti lasciato
sull’altare?”
“L’ho
già fatto, anzi ti devo ringraziare, altrimenti non avrei
mai conosciuto Celeste”.
In quel momento
entrò Martino.
“Dai
Elisa, altrimenti facciamo tardi dal prefetto” si
arrestò sulla porta, osservando la madre tra le braccia di
Angelo che si asciugava gli occhi.
“Elisa
cosa succede?” la donna si sciolse dall’abbraccio
dell’amico e ricomponendosi minimizzò:
“Nulla,
solo un momento di sconforto” poi, avviandosi verso la porta
continuò:
“Ma ora
è tutto passato, andiamo o faremo tardi”.
Quando la
carrozza giunse davanti al palazzo, ad aspettarla c’erano
già i fratelli Benac. Martino smontò da cavallo,
e lasciate le briglie ad angeli si avvicinò la carrozza,
aiutando la madre a scendere. Victor si avvicinò alla coppia.
“Spero
che il viaggio in carrozza sia stato piacevole”
esordì eseguendo un perfetto baciamano.
“Grazie
dell’interessamento monsieur” sorrise Elisa.
“Contessa,
permettetemi di presentarvi anche mia sorella, Juliette” la
ragazza si inchinò.
“È
un onore conoscervi madamoiselle” rispose Elisa, colpita
dalla fragile bellezza della ragazza. Nel frattempo Martino ed Armand
sembravano studiarsi.
“E
questo è mio figlio Martino”. Quella presentazione
costrinse il ragazzo a distogliere l’attenzione dal minore
dei fratelli Benac. Il gruppetto entrò, per poi dividersi
all’interno del palazzo: Armand e Juliette li avrebbero
aspettati nel cortile, mentre gli altri sarebbero andati davanti al
prefetto. Stavano per entrare dal prefetto quando Victor trasse in
disparte la contessa, domandandole un po’ impacciato:
“Contessa,
ho la necessità di parlarvi, quando tutto sarà
finito concedetemi l’onore di poterlo fare”. Elisa
strinse la mano dell’uomo e accettò:
“Vi
sono debitrice, non potrei mai rifiutare una richiesta del
genere” poi entrarono dal prefetto che li attendeva. Dopo
aver controllato che tutti i documenti fossero stati debitamente
compilati, e che nulla mancasse, il prefetto Terrazzani
comunicò:
“Sono
felice di poter mettere la parola fine su questa vicenda, affermando
che Rivombrosa è sgravata da ogni debito”. Al
contrario di quanto si aspettasse, sembrava che il borghese fosse
felice di riconsegnare la tenuta, sebbene avesse addirittura rifiutato
gli interessi che i Ristori gli avrebbero dovuto. Quando i tre si
allontanarono dal suo studio si concesse qualche distrazione dal suo
lavoro, e spostando le pesanti tende, si affacciò alla
finestra che dava sul giardino, dove in quel momento stavano
passeggiando Armand e Juliette. Il prefetto rimase affascinato dalla
grazia della giovane, che aveva visto velocemente al cascinale, e fu
tentato di raggiungerla, ma qualcosa lo fermò.
Nel parco,
Juliette si stringeva al braccio del fratello, felice di quella
compagnia.
“Armand?”
incominciò.
“Dimmi”
“Posso
chiederti una cosa?”
“Sai
che non ho nulla da nasconderti” sorrise il fratello. La
ragazza si strinse ancora di più al suo braccio.
“Però
non arrabbiarti va bene?”
“Prometto
di non arrabbiarmi” rispose pazientemente il giovane.
“Quando
mi farai diventare zia?” Armand sorrise divertito
“Temo
che dovrai aspettare ancora per un po’. E poi mi ci vedresti
con un marmocchio tra le braccia?”
Juliette sorrise
e alzò le spalle;
“Allora
sarà meglio che tu ti trovi una fanciulla, al posto di
passeggiare solo con me”.
“Piuttosto
tu quando ci farai diventare zii! Non ti sei ancora stancata della
compagnia del tuo gemello?” la ragazza si rabbuiò:
“Lo sai
che la mia salute è troppo cagionevole per permettermi una
gravidanza serena, e poi chi vorrebbe una ragazza fragile come me, per
moglie?”
“Se non
fossi mia sorella ti avrei già spostata” la
rassicurò il fratello prendendola in braccio e facendola
girare.
“Elisa,
io torno a Rivombrosa con Hermes” iniziò Martino.
“Va
bene, io ti raggiungo a casa, devo parlare col prefetto Terrazzani
riguardo una vecchia storia” Martino annuì e
montò sul cavallo del padre.
“Aspetta!”
lo fermò la donna:
“Ti
prego consegna questa lettera ad Orsolina, e porgile le mie scuse per
l’altro giorno”
“Sarà
fatto” la rassicurò il ragazzo che dopo aver
salutato il borghese, spronò il cavallo e partì
alla volta di Rivombrosa. Elisa rimase ferma a vederlo cavalcare, era
uguale al padre, fiero ed elegante. Si strinse tra le braccia e
sospirò.
“È
sempre difficile vederli allontanare” le disse Victor, Elisa
si riprese dal torpore ed annuì:
“Già,
non ci si rassegna mai al fatto che crescano” poi, cambiando
argomento “Avevate detto che volevate parlarmi”.
L’uomo annuì, e dopo essersi guardato intorno,
convenne con la contessa che la strada non era il luogo più
adatto per una conversazione, per così dire privata. Elisa
allora accettò l’invito di una passeggiata nel
parco. Victor la condusse in una zona appartata, dove i due avrebbero
potuto parlare liberamente. Elisa stava per domandare il motivo di
tanta premura quando il borghese la spiazzò prendendole le
mani e iniziando a parlare:
“Contessa
so che quello che sto per dirvi vi meraviglierà, ma ho
voluto aspettare prima di dirvelo perché avevo paura di
essere inopportuno, vedete, da quando vi ho vista la prima volta,
qualcosa in me è scattato, un qualcosa di nuovo, che nel
tempo è cresciuto. In questi anni ho cercato di impedirmi di
amarvi” Elisa sussultò, mentre l’uomo
inginocchiandosi davanti a lei continuò:
“Ma ora
ho capito che non posso più nascondermi, contessa Elisa
Ristori di Rivombrosa, volete sposarmi?”
Elisa era
ammutolita e non sapeva cosa fare, cercò di balbettare
qualcosa ma non riuscì a dire altro che
“Victor,
veramente io …” l’uomo, rialzatosi la
zittì baciandole le labbra, Elisa si ritirò.
“Contessa
mi dispiace, forse sono stato inopportuno, perdonatemi, non voglio una
risposta subito, sarete voi, quando più vi sentirete capace,
anche di perdonare questo mio gesto impulsivo se vi sarà
possibile, a rispondermi, e qualunque sarà la vostra scelta
io l’accetterò.” Elisa annuì,
ancora scossa per quello che era accaduto, e si lasciò
accompagnare verso gli altri due fratelli, dove li raggiunse anche il
prefetto Terrazzani.
“Prefetto
è un onore vederla qui” iniziò Victor,
ma l’ufficiale sembrava rapito dalla giovane fanciulla.
“Volevo
parlare con il conte Ristori, e speravo di trovarlo con voi, ma vedo
che non è qui” cercò di giustificarsi,
poi si rivolse alla ragazza:
“Perdonatemi
signorina, no mi sono nemmeno presentato, sono il prefetto
Terrazzani” la giovane sorrise timidamente.
“
È un onore signore”
“Posso
sapere come vi chiamate madamoiselle?” domandò
ancora l’uomo indovinando un accento francese nella pronuncia
della giovane.
“Benac,
sono Juliette, Benac, credo che conosciate già i miei
fratelli”. L’uomo annuì:
“se non
sono indiscreto vorrei invitarvi a visitare la città, uno di
questi giorni”.
Juliette
cercò conferma negli occhi del fratello maggiore, che
assisteva divertito alla scena.
“Con
molto piacere” il prefetto sembrava sollevato.
“Ora,
con permesso devo tornare a sbrigare alcune pratiche” si
congedò, quando Elisa lo trattenne:
“Prefetto
potrei accompagnarvi? Ho bisogno di parlarvi in privato”.
“Certo
contessa, vi prego seguitemi”.
Lungo i giardini,
Terrazzani elogiò le capacità militari di Martino:
“Il re
in persona lo vorrebbe nell’esercito sabaudo”
affermò. Elisa era orgogliosa di quella parole.
“Glielo
riferirò appena giunta a Rivombrosa, ma scusate la domanda,
conoscete voi il duca D’Avis?” il prefetto rimase
meravigliato da quella domanda … Possibile che la contessa
ancora non sapesse?
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
Era
sera quando Orsolina uscì finalmente dalla casa
della marchesa per tornare al borgo; da quando Elisa le aveva proposto
un posto
come istitutrice sembrava che la marchesa non apprezzasse
più nulla dei suoi
lavori, e anche il rapporto col resto della servitù si era
incrinato, non che
fosse sempre stato semplice, ma adesso le cose erano cambiate, e in
peggio. La
ragazza stava camminando veloce lungo il bordo della strada, immersa nelle sue
preoccupazioni, quando una
voce alle sue spalle la chiamò. Orsolina si girò
riconoscendo la voce di Martino,
ma immaginando il motivo di quell’incontro, non casuale,
affrettò il passo.
Martino scese da cavallo e le si avvicinò
“Orsolina, devo parlarti, è importante”
“Dì a
Elisa che non ho cambiato idea,
anche se grazie a lei, non sono più padrona della mia
vita”.
“Elisa non voleva crearti problemi a casa Barbero, e
tantomeno con la servitù”
spiegò il ragazzo.
“Forse, ma sta di fatto che è avvenuto
così, e
se vuoi scusarmi,ora voglio solo tornarmene a casa, sono
stanca”.
“Facciamo così – disse Martino
bloccandola per un braccio – tu prendi questa
lettera e mi prometti di leggerla attentamente, e di riflettere bene
prima di
prendere la tua decisione, e io ti accompagno a casa con Hermes,
c’è ancora un
bel pezzo di strada e non è sicuro che una giovane passeggi
da sola, mentre
scende la sera su una strada di campagna deserta”. Orsolina vinta da quella
proposta non potè
rifiutare, prese la lettera che Martino le porgeva, e si fece aiutare a
montare
a cavallo. Martino non perse occasione per perorare la causa della
madre.
“Se Elisa ha voluto affidarti questo compito vuol dire che si
fida solo di te,
altrimenti non le sarebbe stato difficile farsi consigliare da Anna
un’altra
istitutrice”.
“Forse hai ragione, ma non credo di poterlo fare, e poi sarei
sempre sotto gli
ordini di mia sorella, e questo non riesco ad accettarlo, non
è semplice
lavorare a servizio di qualcuno, specialmente se fino a qualche anno
prima
dormivi nello stesso letto”.
“Elisa non ti tratterebbe mai come una serva, anche se, devo
ammettere, a
Rivombrosa nessuno viene trattato come un servo, almeno prova a
chiarirti con
lei, sono certo che ha delle motivazioni molto importanti”.
Orsolina non rispose
e i due rimasero in
silenzio per il resto del tragitto. Arrivata davanti alla porta di casa
Orsolina ringraziò il conte, che come tutta risposta si fece
promettere una
riflessione sulla discussione appena fatta. La ragazza
entrò, e dopo aver letto
il biglietto lasciatole dalla madre andò a coricarsi stanca
della dura giornata,
ma non riusciva a prendere sonno: pensava
alle parole di Martino e rivedeva
davanti agli occhi la scena di lei e sua sorella nella saletta della
marchesa,
così si decise ad aprire la lettera che Elisa le aveva
mandato. La lesse, ma
ancora non si risolveva a prendere una decisione, si distese e spense
il resto
della candela che lentamente si stava consumando.
Tornata
a Rivombrosa, Elisa annunciò che la tenuta era
ufficialmente sgravata dai debiti, poi si ritirò in camera
sua, chiedendo di
essere lasciata sola, e di essere avvisata solo dell’arrivo
del figlio.
Elisa si chiuse in camera ed iniziò a misurarla a grandi
passi, cercando di
riordinare le idee e le emozioni provate quel giorno. Era rimasta molto
colpita
dalla proposta di Victor, e non aveva mai sospettato che ogni gesto del
borghese potesse essere stato fatto per dimostrarle il suo amore. Tutto
le
appariva così surreale, Elisa si volse verso il ritratto di
Fabrizio, vestito
da ufficiale dell’esercito francese, poi si sedette davanti
alla specchiera, la
stessa davanti alla quale si era riflessa la sera delle nozze segrete
col suo
amore, e iniziò a sciogliersi la complessa acconciatura. Si
osservò allo
specchio. La serva ingenua aveva lasciato il posto ad una donna, che
non
curante delle convenzioni sociali, lottava continuamente per difendere
i valori
in cui credeva. Quasi istintivamente tirò fuori da un
cassettino il diadema che
aveva fermato il suo velo da sposa, ripensò a quei momenti
magici, poi si
rivide davanti alla culla di Agnese, e si ricordò il
discorso fatto a Fabrizio:
“Nel caso
che io morissi, tu dovresti
trovare una mamma per Agnese, una brava ragazza che le insegnerebbe a
diventare
una donna..” e si domandò come sarebbe potuta
essere la sua vita accanto a
Victor, se lui sarebbe potuto essere un buon padre per Agnese e
Martino, ma il
ricordo straziante delle ultime parole dell’amato le
rimbombavano sempre nella
mente e nel cuore, e quasi si pentì di aver pensato di poter
passare la sua
vita al fianco di un altro uomo. I suoi pensieri vennero interrotti da
Martino
che bussò alla porta.
“Scusa Elisa, ma Amelia ha detto che volevi parlarmi, e mi ha
anche chiesto di
portarti questo, visto che non sei venuta a cena” Elisa
sorrise rimettendo il
diadema nel cassetto a facendo spazio al vassoio.
“Amelia si preoccupa sempre”.
“Cosa stavi facendo?” domandò il ragazzo
incuriosito dalla rapidità con cui Elisa
aveva messo via quell’oggetto.
“Nulla, stavo riflettendo, piuttosto, sei riuscito a parlare
con Orsolina?” domandò.
“Sì non so se sono riuscito a convincerla, ma
almeno mi ha promesso che ci
penserà” rispose il ragazzo. Elisa sorrise.
“Possiamo dire che è già un passo in
avanti, sono certa che accetterà”.
“Perdonami Elisa – iniziò titubante
Martino- ma perché hai tanto a cuore che
sia Orsolina a fare da istitutrice ad Agnese?” Elisa
sospirò, incerta se
rivelare la verità al ragazzo, oppure tacerla.
“Presto tu tornerai a Parigi e io voglio riprendere a
controllare insieme ad Angelo
la tenuta, e ho paura di non poter dedicare abbastanza tempo a mia
figlia, così
pensavo che Orsolina sarebbe stata perfetta sia come istitutrice che
come dama
di compagnia, senza dover vigilare un’altra ragazza che non
conosco”.
“Sai una cosa Elisa?” la donna scosse la testa.
“Non sono molto sicuro di voler tornare a Parigi per
continuare la carriera
militare, credo di servire più qui, a Rivombrosa,
che
nell’esercito francese”.
“Cosa stai dicendo Martino?” iniziò
Elisa “Perché vuoi rinunciare alla carriera
militare proprio ora, dopo tanti sacrifici, sei quasi un sottufficiale,
e
potresti diventare, come tuo padre, uno dei più giovani
capitani” sorrise
all’idea di vedere suo figlio durante la cerimonia di
promozione.
“E poi proprio oggi il prefetto Terrazzani mi ha detto che il
re in persona ti
vorrebbe nel suo esercito”
“Davvero?” domandò colpito Martino.
“Sì” lo rassicurò Elisa
“non devi rinunciare ai tuoi sogni, se sei sicuro di
voler abbandonare la carriera militare, allora non mi
opporrò, ma se il tuo
cuore ti dice di continuare sulla strada che già stai
percorrendo, allora non
fare sacrifici inutili, che ti peseranno per tutta la vita”.
Martino abbracciò
la donna, sollevato di non dover più rinunciare a quello per
cui aveva dedicato
tutti gli ultimi sei anni della sua vita. Elisa lo strinse a
sé, rifugiandosi
completamente in quell’abbraccio, così simile a
quelli di Fabrizio.
“Ricordati solo che io sarò con te, sempre, e che
ti voglio bene come un
figlio”.
“Ti voglio bene anch’io” disse Martino
sciogliendosi dall’abbraccio.
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Capitolo 14 *** Capitolo XIV ***
?
Piccolo
avviso, questo capitolo è un po' più forte degli
altri (anche per questo ho preferito cambiare rating della storia).
Spero di non turbare nessuno. Per chi preferisse non leggere la prima
parte può andare direttamente qui.
Emilia, approfittando delle lunghe ore di solitudine si era arrampicata
sul tavolino per cercare di vedere dove portasse la finestrella che
illuminava la stanza, ma fu sorpresa dal rumore di una chiave che stava
girando nella serratura, che la fece sussultare. Scese rapidamente dal
tavolo, assumendo una postura fiera, sebbene quella visita
insolita la intimoriva. Sulla porta apparve un valletto, nel quale
Emilia riconobbe uno dei suoi rapitori, che chiuse malamente la porta
dietro di sé e iniziò ad avvicinarsi alla
fanciulla.
“Buongiorno
marchesina!” Emilia non rispose, cercando di allontanarsi il
più possibile da quell’individuo.
“Ma
come? Siete sempre così sola, credevo che un po’
di compagnia vi sarebbe stata gradita” continuò
braccando la ragazzina e mettendola con le spalle al muro.
“Lasciatemi!”
disse con un filo di voce la ragazza, mentre l’assalitore le
bloccò le mani e iniziò a baciarla sul collo.
Emilia tentava di divincolarsi, ma poteva poco contro la corporatura
del suo aggressore, che ora stava iniziando a strattonare il bustino.
“Cosa
credevi? Che
mi sarei lasciato scappare un bel bocconcino come te?” Emilia
si sentì mancare quando l’altro iniziò
a sollevarle la gonna e a risalire con la mano lungo le gambe.
“Lasciatemi
vi ho detto!” urlò tra le lacrime
“Aiuto!” il valletto tentò di zittirla
baciandole la bocca, ma Emilia si ribellò, mordendogli il
labbro. A quel punto l’uomo schiaffeggiò la
ragazza, che finì a terra e iniziò a strapparle i
vestiti di dosso. Le grida di Emilia riempivano ormai il corridoio,
quando Cristiano aprì la porta e si scaraventò
sul servitore , talmente preso da quella lotta impari, da non
accorgersi di non essere più solo nella stanza, sollevandolo
di peso e staccandolo dalla ragazza. I due iniziarono subito
un’accesa rissa, mentre Emilia si scansò dal
teatro di disputa, senza però trovare la forza di fuggire.
“Gli
ordini erano che la ragazza non dovesse essere toccata!”
urlò Cristiano, colpendo con un pugno il suo rivale, che
barcollò.
“E da
quando voi date ordini?” lo derise l’altro
assestando anch’egli un poderoso sinistro. Cristiano, col
labbro sanguinante, riuscì a cacciare
l’uomo dalla stanza, ordinando ad una coppia di domestici,
accorsi a capire il motivo di tutto quel trambusto, di allontanarlo
dalla villa. Subito dopo corse nuovamente dentro la piccola prigione,
dove Emilia si stava accasciando, ancora tutta tremante.
“Stai
bene?” le domandò immobile, al centro della cella.
Emilia lo fissò impaurita senza rispondergli, solo allora il
ragazzo notò che il vestito della giovane era strappato, e
si tolse la giacca, facendo per appoggiarla sulle spalle della
marchesina, che però si scansò bruscamente.
“Tieni,
mettiti questa”, disse allora, porgendole la giacca, che
questa volta Emilia non rifiutò. La ragazza si strinse nel
bavero della giacca, quasi a volersi sentire protetta, e
scoppiò in un pianto liberatorio. Cristiano
chiamò due cameriere, affinché aiutassero Emilia
a calmarsi e a cambiarsi d’abito, disponendo, inoltre, di non
rinchiuderla più nella celletta, ma di farle preparare la
stanza degli ospiti. La più giovane delle due
tentò di far notare qualcosa al ragazzo che secco le rispose:
“Questa
è ancora casa mia e lei sarà mia ospite, e non
tollero che venga trattata in questa maniera”. Le due
cameriere non risposero, a si affrettarono ad eseguire gli ordini.
Un paio di ore
dopo Emilia era seduta davanti ad una grande specchiera, e stava
osservando i segni che l’aggressore la aveva lasciato.
“Non vi
preoccupate signorina, sono certa che presto spariranno, e potreste
sempre coprirli con della cipria” la stava rassicurando
Marise, quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti”
disse debolmente Emilia. Cristiano entrò nella stanza; la
bambina, riconosciutolo dal riflesso nello specchio gli corse incontro.
“Cristiano!”
esclamò facendosi prendere in braccio. Il ragazzo la strinse
a se, e tenendola tra le braccia si avvicinò ad Emilia.
“Siete
bellissima” Emilia sorrise timidamente.
“Volevo
parlarvi da solo” continuò, appoggiando la
bambina, ma notando lo sguardo perso della ragazza propose:
“Forse
vi sentireste più a vostro agio se parlassimo nella sala qui
accanto, piuttosto che nella vostra camera da letto?” Emilia
annuì.
“Allora,
vi aspetto nell’altra sala, quando più vi
sentirete, potete chiedere a mia sorella di accompagnarvi, non
è così Marise?” la bambina
annuì. Poco dopo le due giovani entrarono nel salotto dove
il principe le stava aspettando.
“Vi
prego accomodatevi” la invitò il principe
indicando un divanetto di fronte a lui. Emilia si accomodò,
e iniziò a volgere lo sguardo sugli oggetti che la
circondavano, quando fu rapita dal quadro alle spalle del ragazzo: il
ritratto di una giovane dama, vestita con lo stesso abito che ora stava
indossando lei; sembrava fissarla severa e comprensiva allo stesso
tempo. Il ragazzo si voltò cercando di capire cosa avesse
attirato l’attenzione della giovane.
“Era
mia madre” spiegò.
“Era
bellissima” mormorò Emilia distogliendo lo sguardo
dal ritratto e spostandolo sul giovane che annuì
“Già,
ma non è di lei che voglio parlare ora… come
state?”
Emilia
sospirò profondamente.
“Meglio,
e lo devo solo a voi” iniziò.
“Vi
prego, chiamatemi Cristiano, e permettetemi di chiamarvi col vostro
nome” Emilia annuì.
“Bene,
come avrai capito, ora tu sarai mia ospite, e voglio che tu non ti
faccia scrupoli e chiedessi tutto quello che desideri”.
“Allora
perché mi hai rapita?” domandò Emilia,
facendosi coraggio.
“Non
sono stato io ad ordinare il tuo rapimento, ma la duchessa
Ranieri”
“La
duchessa Ranieri?” domandò stupefatta Emilia.
“Sì,
la seconda moglie di mio padre, la madre di Marise”.
“Perdonami,
ma continuo a non capire”.
“È
una storia lunga, non vorrei annoiarti”.
“Voglio
capire, te ne prego” vinto dalla spontaneità della
ragazza, Cristiano iniziò a raccontare:
“Mia
madre, la principessa di Montesanto, era sposata col duca Ottavio
Ranieri, mio padre, che tuttavia non mi riconobbe mai. Il loro sembrava
un matrimonio felice, coronato dalla benedizione di un figlio maschio,
che avrebbe portato avanti le due casate – iniziò
Cristiano con un pizzico d’orgoglio – ma a mio
padre mancava la gloria del potere. Così decise di
trasferirsi in Piemonte, dove divenne il consigliere del re, lasciando
me e mia madre a Venezia. Dopo la morte di mia madre, dieci anni fa,
mio padre mi comunicò di aver sposato in seconde nozze una
marchesa, che diventò così la duchessa Ranieri,
dalla quale ebbe una figlia: Marise. Poche settimane dopo il parto, mio
padre e la sua seconda moglie lasciarono Venezia per tornare a Torino,
lasciandomi crescere da solo la piccola. Sette anni fa la duchessa
Ranieri è tornata a Venezia, e in breve tempo divenne la
padrona del palazzo. Io tentai di oppormi, ma purtroppo ero poco
più di un bambino, e non fu difficile per lei sottomettere
me e mia sorella al suo servizio” il ragazzo tacque.
“E non
hai mai provato a ribellarti?” domandò la ragazza,
Cristiano annuì.
“In un
primo tempo sì, però ogni mia azione andava a
riflettersi contro mia sorella, così ho iniziato a cedere,
per non dare altra sofferenza a quella creatura che non sa la
verità, lei crede di essere la figlia della principessa di
Montesanto”. Emilia continuò:
“Perché
allora non scappi?”
“Perché
non saprei dove andare, e la mia vita è qui, a Venezia, non
potrei abbandonare tutto ciò che ho di più
caro”. In quel momento entrò una cameriera con del
tè. Cristiano lo versò e lo porse ad Emilia che
accettò di buon grado. Quando la cameriera uscì
dalla stanza, Emilia domandò ancora:
“Perdonami
un’ultima domanda. Ma cosa c’entra Lucrezia in
tutta questa storia?” Cristiano appoggiò la tazza
sul tavolino.
“Come
cosa c’entra? è lei la duchessa Ranieri”.
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Capitolo 15 *** Capitolo XV ***
Dopo
una notte insonne, Elisa si alzò dal letto, si
vestì e iniziò ad aggirarsi per i corridoi del
castello, ancora deserti. La
donna poteva immaginare che, dietro quelle porte chiuse, gli abitanti
della
tenuta rubassero gli ultimi momenti al sonno prima di incominciare una
nuova
giornata. Passando davanti alla camera di Martino rimase stupita di
vederla
socchiusa, così entrò e lo trovò in
piedi, vestito con la divisa dell’esercito
francese, mentre stava preparando un piccolo bagaglio.
“Martino cosa stai facendo?” il ragazzo
sussultò poi rispose:
“Vado a salvare Emilia”.
“Ma sei pazzo?” riprese Elisa “Credi che
andare da solo a Venezia ti farà
riportare a casa Emilia?” il ragazzo non rispose, ma non
sembrava intenzionato
a rinunciare all’impresa.
“Ascoltami Martino - lo pregò la donna prendendolo
per le spalle e fissandolo
negli occhi - non possiamo fare nulla adesso, dobbiamo aspettare, e
trovare un
piano per poterla salvare, altrimenti rischiamo di metterla seriamente
in
pericolo, oltre a rischiare la nostra vita inutilmente”.
“Lo so - ammise il ragazzo - ma io non sono capace a starmene
qui ad aspettare,
sapendo che mia cugina non è al collegio … se
solo l’avessi accompagnata!”
“Angelo ha detto che la carrozza è stata assalita
da cinque banditi, non
sarebbe cambiato nulla, non puoi incolparti di qualcosa che non hai
fatto”.
Il ragazzo sembrava persuaso a rimandare la partenza, ma Elisa sapeva
bene che
non avrebbe potuto trattenerlo a Rivombrosa ancora per molto.
“Ti va di accompagnarmi a controllare le masserie? Una
cavalcata può farti
bene” Martino accettò. Poco dopo, i due stavano
uscendo dalla tenuta, alla
volta dei confini dei loro territori.
Durante
il ritorno alla tenuta, Elisa deviò per il
bosco, il ragazzo la seguì e i due rimasero in silenzio per
un bel pezzo finchè
Elisa si decise a parlare:
“Martino ho bisogno di parlarti, ma ti prego non accusarmi
come l’altra volta”.
“Mi dispiace averti ferita, ti ascolto”.
“L’altro giorno a Torino, dopo che tu sei partito,
monsieur Benac ha voluto
parlarmi”.
“E allora?non vedo perché avrei dovuto arrabbiarmi
per questo”.
“Victor Benac mi ha chiesto in sposa” riprese Elisa
fermando Fedro e osservando
il ragazzo cercando di indovinarne la reazione. Martino si
illuminò:
“Che bello Elisa! Sono felice che te lo abbia
chiesto” Elisa rimase sorpresa:
“Ma come? Tu ne eri al corrente?”
“Non proprio, ma durante l’ultima battuta di caccia
monsieur Victor mi aveva
accennato alla cosa, chiedendomi un parere” Elisa sorrise
divertita
“Quindi immagino che non ci hai lasciato soli per pura
coincidenza” Martino
alzò le spalle ed evitò la domanda:
“Non mi hai ancora detto cosa gli hai risposto”.
“Non gli ho ancora dato una risposta, è una scelta
difficile” ammise Elisa,
riprendendo la passeggiata fino a casa.
“Elisa ascolta,io ho trascorso la mia infanzia senza un
padre, so cosa vuol
dire crescere da solo e quanto sia dura. Purtroppo ho passato
pochissimo tempo
con mio padre, e Victor è stata una figura di riferimento
molto importante per
me. E credo che potrebbe essere un buon padre anche per Agnese, non
è giusto
che anche lei soffra come me, e poi non credo che potrei sopportare un
altro
uomo al tuo fianco, se non Victor”
“Allora vorrà dire che valuterò la
proposta” concluse Elisa.
“Non sembri felice” notò il ragazzo.
“Non sto cercando la felicità, ma un buon padre
per te e Agnese. E ora
affrettiamoci, altrimenti inizieranno a pranzare senza di
noi!” Martino non
aveva più la possibilità di obiettare.
Nel
pomeriggio Martino, Antonio, Anna ed Elisa erano in
biblioteca a discutere un piano per liberare Emilia, sembrava ormai
deciso che
Martino ed Elisa sarebbero partiti alla volta di Venezia, quando Bianca
annunciò l’arrivo della marchesa Van Necker. Il
gruppetto sussultò, Elisa ebbe
la prontezza di far nascondere Martino e di ordinare che Agnese fosse
tenuta
nella sua stanza per il resto della visita della marchesa, prima di
riceverla.
Quando Lucrezia entrò nella biblioteca trovò solo
Elisa e Antonio. La nobildonna
rimase molto sorpresa e indispettita da quella vista: come mai quella
serva era
ancora in quella casa?
“Avevo chiesto di parlare con la marchesa Radicati”
esordì con aria di
sufficienza.
“La marchesa non può ricevervi e ha pregato me di
farlo” iniziò la contessa.
“E da quando i servi sono incaricati a ricevere gli ospiti,
voglio parlare con
la padrona della tenuta” continuò Lucrezia.
“Se è questo che vuoi, non dovevi cercare la
marchesa Radicati, ma me, sono io
la padrona della tenuta”.
“Non mi risulta che tu fossi sposata con Fabrizio, quando
è stato decapitato”
“Siete stata male informata marchesa –
iniziò Elisa sostenendo lo sguardo della
rivale – Fabrizio non è stato giustiziato, come tu
speravi, e ci siamo sposati
e siamo stati molto felici insieme, finchè Ranieri non lo ha
ucciso, ma non è
uscito vivo dal conflitto”.
Lucrezia
accusò il colpo, ma non si
diede per vinta:
“Presumo non ti sia oscuro il motivo della mia
visita”.
“Arriva al dunque, la tua presenza non è
gradita” rispose Elisa; Antonio che
sino a quel momento non si era intromesso nel dialogo tra le due donne,
alzò lo
sguardo sulla ragazza, ammonendola e cercando di far tornare la
discussione sull’argomento
principale. Lucrezia, ignorando palesemente le parole della contessa si
accomodò sulla poltrona, costringendo Elisa a seguirla e a
sedersi sul divano
accanto ad Antonio
“Noto con piacere che sei ragionevole, anche se non conosci
ancora le regole
dell’ospitalità” non perse
l’occasione di deriderla. Elisa fremeva.
“Cosa vuoi Lucrezia!”
“Del tè sarà sufficiente”
rispose la marchesa fingendo di prendere come un
invito quello che era un ordine, umiliando la ragazza che,a malincuore,
fece
portare quello che la marchesa chiedeva. Quando la cameriera si
ritirò,
Lucrezia osservò la stanza, pose la tazzina sul tavolino e
inaspettatamente si
diresse verso una libreria, che in realtà nascondeva una
porta segreta, e
l’aprì, controllando che non ci fosse nessuno, poi
tornò a sedersi. Elisa
rimase stupita da quel gesto.
“Ti starai domandando come facessi a sapere di quella porta
segreta? Devo forse
ricordarti che ero spesso a trovare Fabrizio?” disse
sorseggiando il tè,
alludendo palesemente a frequentazioni non platoniche. Elisa non
rispose.
“Ma non sono venuta per parlare di questo. Volevo discutere
di qualcosa che ti
sta molto a cuore”.
“Ti ascolto” rispose asciutta Elisa.
“Molto bene, la marchesina Radicati è mia ospite
”.
“Dite piuttosto che l’avete rapita” la
interruppe Elisa.
“Non scaldarti, la ragazzina bene”.
“Cosa vuoi per liberarla?” Lucrezia
sembrò soppesare la proposta.
“È molto
semplice: quello che voi
Ristori mi avete portato via sei anni fa”.
“Io non ti ho tolto nulla, sei tu che hai scelto, quando ti
sei messa contro il
re!”
“Che sciocchezze! Ancora con questa storia della
lista?”
“Voglio sapere le condizioni” ripeté
Elisa.
“Dato che le cose sono cambiate, voglio Rivombrosa. In fondo,
sei anni di
esilio forzato devono avere una giusta rivendicazione, non
credi?”
“Tu non sarai mai la padrona in questa casa!” fu la
risposta di Elisa.
“Mi sembra che ti sfugga un dettaglio molto importante: sono
io che detto le
condizioni, ascoltami bene, mi stabilirò a palazzo, e non
voglio vedere nessuno
di voi che lascia la tenuta per nessun motivo, altrimenti la vostra
adorata
nipote ne pagherà le conseguenze, sono stata
chiara?”
“Fuori da casa mia” ordinò la contessa.
“Sei una sciocca Elisa, così condanneresti tua
nipote. Ma io sono clemente, ti
concedo dieci giorni di tempo, scaduto il quale, se la tua risposta non
cambierà, temo che non rivedrai più tua adorata
nipote”.
“Prova solo a toccarla Lucrezia, che te ne
pentirai!” rispose la contessa. La
marchesa rise delle minacce ricevute e uscì. Quando Martino
fu certo che la
marchesa fosse uscita, aprì la porta segreta ed
entrò in biblioteca dove Elisa
aveva già chiamato Angelo.
“Fortuna che non ti ha scoperto! Ma come hai
fatto?” domandò la donna.
“Non c’è tempo da perdere, Emilia
è in pericolo, io vado a salvarla”
iniziò
Martino, senza rispondere alla domanda.
“Vengo con te” disse Elisa, consapevole che era
stata lei ad aggravare la
situazione.
“No, è meglio che tu stia a Rivombrosa e che
avverta il prefetto Terrazzani:
sulla testa di Lucrezia pesa ancora una condanna” Elisa
annuì. Nel frattempo
apparve sulla soglia Angelo.
“Avete fatto chiamare?”
“Sì, ti prego prepara il mio cavallo e quello di
Martino”.
“Prepara il calesse” la interruppe Antonio. Sia
Elisa che Martino si girarono
verso di lui.
“Sarà meglio che tu accompagni Martino alla
stazione di posta, che c’è sulla
strada verso Torino, se Martino cambia cavallo alle varie stazioni e si
fermerà
solo per riposare lui si guadagnerà del tempo
prezioso” spiegò il medico. I due
accettarono la proposta, e
Angelo diede
ordine allo stalliere di preparare il calesse, che poco dopo
uscì dall’uscita
secondaria, per aggirare eventuali trappole ordite dalla marchesa.
Durante
il tragitto nessuno dei due occupanti del
calesse proferì parola: Martino era tutto rivolto al viaggio
e al modo di
salvare la cugina, Elisa era divisa tra l’incontro col
prefetto e l’ansia di
lasciare andare il figlio solo verso un’impresa pericolosa.
Giunti davanti alla
posta i due scesero dal calesse, il ragazzo si fece sellare uno tra i
cavalli
disponibili, ma prima di salire in sella prese in disparte Elisa, che
ormai
considerava a tutti gli effetti come sua madre, ed ascoltò
tutte le sue
raccomandazioni, quando la donna finì le strinse le mani e
la fissò negli occhi:
“Per quanto riguarda Victor –iniziò un
po’ titubante –non posso condannare
Agnese ad un’infanzia simile alla mia, ma non posso nemmeno
obbligare te
all’infelicità. Non voglio sapere la tua scelta,
ma la rispetterò in ogni caso”.
Elisa sorrise.
“Adesso vai, Emilia ti sta aspettando da troppo
tempo”. Martino
salì in sella e spronò il cavallo.
“Martino!” il ragazzo si girò e vide
Elisa in mezzo alla strada che lo stava
seguendo.
“Stai attento” il ragazzo annuì e
spronando il cavallo al galoppo, sparì lungo
la strada.
Elisa salì nuovamente sul calesse e si diresse verso Torino.
Entrata nel
palazzo chiese del prefetto Terrazzani.
“Mi dispiace signora, ma il prefetto ha ricevuto una visita e
ha chiesto di non
essere disturbato” le spiegò una giovane guardia.
“ Vi prego accompagnatemi ugualmente nel suo ufficio,
è molto urgente”.
Il soldato l’accompagnò per le scale e lungo il
corridoio, quando lo studio del
prefetto si aprì e l’uomo uscì a
braccetto di una giovane dama e si imbatterono
nella contessa e nel suo accompagnatore.
“Perdonatemi, avevo detto alla signora che non volevate
essere disturbato, ma
ha insistito…” un cenno dell’uomo fece
smettere le spiegazioni, Elisa,
confortata da quel gesto fece la prima mossa:
“Non sapevo foste in piacevole compagnia, ma purtroppo ho
urgente bisogno di
parlarvi in privato –poi riconoscendo la giovane donna al
fianco del prefetto –
madamoiselle Benac, spero perdonerete questa mia intrusione”
la ragazza spostò
lo sguardo dalla contessa, al suo cavaliere cercando una spiegazione,
poi annuì
alla contessa.
“Siete fortunata contessa Ristori, stavamo uscendo, ma se la
situazione è così
urgente come dite, credo che Juliette … Madamoiselle Benac
–si corresse- potrà
scusarci qualche momento, accomodatevi pure nel mio studio,vi raggiungo
subito”.
Elisa ringraziò e si accomodò, mentre il prefetto
sussurrò alla giovane:
“Scusami solo un minuto, non credo ci vorrà
molto” Juliette sorrise e fece
cenno di sì col capo.
Entrato nello studio l’uomo chiuse la porta.
“Di cosa volevate parlarmi contessa?”
domandò.
“Lucrezia è in Piemonte”
esordì Elisa.
“Non è possibile, siete certa di quello che state
dicendo?” domandò
il prefetto, iniziando a cercare tra
alcune carte.
“Ha rapito Emilia, e oggi la marchesa Van Necker si
è presentata a Rivombrosa”
il prefetto era sorpreso da tali affermazioni.
“Contessa avete qualche prova di quello che state
dicendo?”
“Non qui - ammise Elisa - ma posso assicurarvi che
è così” il prefetto trovò
finalmente il documento che stava cercando.
“Purtroppo contessa Ristori, non ho nessun potere sulla
marchesa, finché voi
non mi potete provare che sia la rapitrice della marchesina
Radicati”
“Ma come? – domandò Elisa –
com’è possibile che la marchesa Van Necker giri a
piede libero in Piemonte, dopo la congiura contro l’antico
re?”
“Il nuovo sovrano ha concesso la grazia a tutti i congiurati
che hanno scelto
l’esilio volontario …” spiegò
l’uomo mostrandole il documento. Elisa rimase
impietrita; com’era possibile che il figlio del vecchio re,
l’erede al trono,
avesse graziato gli antichi congiurati?
“Aspettate ancora un momento” iniziò
Elisa.
“Voi volete delle prove per la colpevolezza di Lucrezia nel
rapimento di Emilia?
Potrete averle dalla bocca stessa della marchesa, tra dieci giorni
scadranno le
sue condizioni, e lei verrà a reclamarle a Rivombrosa
…”
“ Non risulta che voi abbiate denunciato la scomparsa di
vostra nipote …” le
fece notare il prefetto.
“Purtroppo lo abbiamo scoperto solo questa mattina, noi
credevamo che mia
nipote fosse in collegio a Parigi” mentì Elisa.
“Allora vi conviene denunciare la scomparsa di vostra nipote,
e domani mi
porterete le prove che affermate di avere, vedrò di fare
tutto il possibile”.
“Grazie prefetto, e perdonatemi ancora per il
disturbo” l’uomo l’accompagnò
alla porta.
“È un vero peccato che una famiglia
così leale alla monarchia sia vista sotto
una cattiva luce”.
“Io sono la causa principale, ma se potessi tornare indietro,
rifarei tutto”.
rispose orgogliosa la donna.
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Capitolo 16 *** Capitolo XVI ***
Tornata
dalla capitale, Elisa non si diresse alla tenuta, ma alla cascina della
famiglia Benac, non sapeva ancora che risposta dare al suo pretendente,
ma sentiva di non poter rimandare oltre. Victor, vedendola arrivare
dalla finestra, si affrettò ad accoglierla personalmente,
l’aiutò a scendere dal calesse e le porse i suoi
omaggi:
“Contessa
Ristori, sono felice di rivedervi così presto
…”
“Monsieur
vorrei parlarvi, per quanto riguarda la proposta che mi avete
fatto”. Elisa sapeva che ormai, qualunque scelta
avesse fatto, sarebbe stata irreversibile. La donna venne accompagnata
nel salotto della cascina e fatta accomodare su un umile divanetto.
“Desiderate
qualcosa?” domandò il borghese, in tensione per
l’attesa. La contessa fece cenno di no e iniziò:
“Victor,
voi l’altro giorno avete detto di amarmi, e mi avete chiesta
in moglie per questo motivo …” Elisa rimase un
secondo in silenzio, esitando su come continuare “io ho
già avuto un grande amore, ed è stato mio marito,
il conte Ristori” il borghese rimase colpito da quelle
parole. Elisa alzò lo sguardo e fissò i suoi
occhi in quelli dell’uomo che aveva davanti.
“Io
credo che voi sareste un ottimo padre per Agnese e Martino, e che
potreste essere anche un buon marito per me.”
L’uomo non poteva credere a ciò che aveva appena
sentito.
“Contessa
state facendo di me l’uomo più felice della
Terra!”
“Victor,
io sono disposta a diventare vostra moglie, ma voglio essere sincera:
non potrò mai amarvi, mi dispiace”.
“Un
matrimonio di convenienza …”
rifletté mesto l’uomo .
“Non
avrei mai accettato la vostra proposta se non vi stimassi, ho preferito
non mentirvi, e spero che potrete perdonarmi se vi ho offeso, ma non
volevo insultarvi, fingendo un sentimento che non provo”
Victor annuì mesto, quella donna riusciva sempre a
sorprenderlo, la sua dignità e la sua franchezza erano rare,
e lui non poteva fare altro che ammirarla. A stento represse la
delusione e l’amarezza.
“Non
posso obbligarvi ad amarmi, e nemmeno a vivere al mio fianco, perdonate
il mio comportamento dell’altro giorno”.
“Victor…”
“Vi
prego contessa, non credo abbiamo altro da dirci. Se non vi dispiace
vorrei essere lasciato solo”.
Elisa
cercò ancora di addolcire quel congedo, ma non era
più il tempo, così uscì dalla
proprietà dell’uomo e si diresse nel suo capanno
fuori dal mondo: aveva bisogno di rimanere da sola, e di sentire vicino
a sé lo spirito del marito. Chiusasi la porta del capanno
alle spalle, scoppiò in un pianto liberatorio, non riusciva
ancora a valutare se il fallimento del matrimonio con Victor poteva
essere considerato positivo o negativo. Si sentiva sola. Stanca, si
assopì poco dopo.
Lucrezia, tornata
nel suo vecchio palazzo, osservava il disordine che regnava sovrano: da
dopo la perquisizione nessuno aveva messo piede in quelle stanze, che
il tempo aveva mantenuto intatte, come quel giorno della sua partenza.
Gasparo le si avvicinò:
“Signora
marchesa ho provveduto a farvi preparare la vostra camera, e presto
tutto tornerà all’antico
splendore…”
“Grazie
Gasparo, come farei senza di te?” rispose cinica la marchesa,
poi chiese l’occorrente per scrivere e poco dopo
consegnò all’uomo una lettera.
“Fa’
in modo che questa lettera arrivi a Venezia il prima possibile. Voglio
la marchesina Radicati qui entro dieci giorni”.
“Sarà
fatto signora”.
Il sonno di Elisa
non durò a lungo, risvegliatasi osservò il
paesaggio, stava calando la sera, e il bosco non sarebbe stato sicuro.
Decise che, per quella notte, sarebbe stato più saggio
rimanere al capanno. Cenò con alcuni viveri che
trovò nascosti, domandandosi chi potesse averli lasciati:
era, infatti, fuori di dubbio che il capanno fosse frequentato, forse
anche piuttosto assiduamente. Elisa accese un fuoco per la notte e si
accovacciò a scaldarsi, quando una figura si
stagliò sulla porta. Elisa si alzò di scatto,
impaurita, ma alla vista dell’uomo le gambe sembravano non
volerla più sostenere, la vista si offuscò e la
donna perse i sensi. Quando si riprese, vide su di lei due occhi
azzurri che la scrutavano estasiati e preoccupati al contempo.
“Fabrizio
…” trovò la forza di mormorare,
l’uomo le poggiò un dito sulle labbra, Elisa,
ancora incredula, iniziò ad accarezzare il volto del marito.
“Fabrizio,
amore mio … sei proprio tu? Com’è
possibile? Eri morto … tutti lo credevano
…” Fabrizio la strinse a sé.
Com’era bello poter finalmente riabbracciare
l’unica donna della sua vita, poter finalmente stringerla
nuovamente.
“È
tutto finito, ora sono qui” poi la baciò, un bacio
dolce e appassionato che travolse entrambi.
“Giurami
che non mi lascerai più” domandò la
donna continuando a baciarlo e slacciandogli il mantello che ancora
portava addosso.
“Te lo
giuro, non ti abbandonerò mai più” poi
la prese in braccio e delicatamente l’appoggiò su
alcune pelli, iniziando a baciarla sul collo, inspirando il suo
profumo, Elisa rispose ai baci dell’uomo quasi come se fosse
la prima volta.
La mattina
seguente sembrava essere arrivata troppo presto al capanno, dove Elisa
dormiva ancora tra le braccia di Fabrizio che le accarezzava i capelli,
domandandosi come avesse potuto abbandonarla. La donna aprì
gli occhi e sorrise felice, accorgendosi che la notte appena trascorsa
non era un sogno.
“Mi ero
dimenticato di quanto fossi meravigliosa” la
salutò Fabrizio baciandola dolcemente, Elisa si strinse a
lui.
“Agnese
sarà felice di conoscere il suo papà, ti
assomiglia sai?” Fabrizio sorrise.
“Davvero?”
“Sì
ha il tuo stesso carattere vivace, Amelia poverina deve faticare non
poco a starle dietro, quando mi occupo della tenuta
…”
“Raccontami
ancora, Martino? Come sta Martino, ed Emilia?Mia sorella e Antonio?
Voglio sapere tutto…”
“Antonio
ed Anna si sposeranno tra qualche settimana, tua sorella aspetta un
bambino, dovrebbe nascere quest’estate”.
“È
magnifico…e mio figlio?” Elisa si mise a sedere
con aria seria.
“Cosa
è successo?”
“Martino
è partito ieri per Venezia”.
“Per
Venezia? E perché?”
“Lucrezia,
ha rapito Emilia, e Martino è andato a salvarla …
Sono preoccupata Fabrizio”.
“Stai
tranquilla, sono certo che Martino se la caverà, e presto i
due torneranno a casa sani e salvi”.
“Lo
spero. E tu? Cos’è successo? Perché non
sei tornato prima?”
“Perdonami
Elisa, non avrei mai dovuto coinvolgerti”.
“Fabrizio
non ti capisco” iniziò la donna rivestendosi, e
voltando la schiena al marito, per farsi aiutare a stringere il bustino.
“È
una storia lunga che ha inizio prima dell’agguato di
Natale”.
“Ti
prego spiegami…”
“Ti
ricordi, il giorno della morte del re? Quando abbiamo portato Agnese a
corte?” Elisa annuì.
“Quel
giorno il sovrano non si è spento, come ha detto il prefetto
Terrazzani, ma è stato assassinato.”
“Fabrizio,
cosa stai dicendo? E questo cosa centra con noi?”
“Ti
prego Elisa è già difficile così, non
complicare le cose. Qualche giorno dopo, venni convocato dal prefetto,
che mi informò su alcune anomalie riscontrate in seguito
alla morte del re, e mi chiese di aiutarlo. Io accettai, ma il prefetto
mi consigliò di non rivelarlo a nessuno, poiché
il pericolo era molto elevato, mi consigliò di partire dal
Piemonte con te e Agnese, in modo da mantenervi al sicuro”.
“Non mi
hai mai detto nulla …”
“Non ne
ho avuto il tempo, tra le varie preoccupazioni per la tenuta, aspettavo
anche una risposta del barone di Conegliano, sperando di trovare
ospitalità a casa sua, almeno il tempo necessario per
stabilirci in Francia, ma il giorno di Natale qualcosa andò
storto …”
“Quindi
il duello con Ranieri era tutto finto?” domandò
con voce rotta Elisa.
“No,
quel giorno doveva essere il nostro primo Natale, l’imboscata
mi è stata tesa con l’unico scopo di eliminarmi,
sono tornato a Rivombrosa in fin di vita, quando Antonio si accorse che
ero ancora vivo iniziò a curarmi …”
“Allora
Antonio sapeva tutto …”
“Sono
stato io a pregarlo di non dire nulla, tutti dovevano credere che il
conte Ristori fosse morto, era l’unico modo per proteggere
te, e la nostra famiglia”.
“Perché
non me ne hai parlato prima? Ancora una volta hai deciso anche per me,
mi hai usata!” Elisa si sentiva tradita.
“L’ho
fatto solo per il tuo bene e poi non c’era più
tempo, credimi, al mio funerale … - Fabrizio si
fermò un momento- ti ho vista e credimi, avrei dato
qualunque cosa per poterti abbracciare, e dirti che non era vero, ma
purtroppo era un’occasione da non perdere, mi dispiace di
averti resa attrice inconsapevole, ma non potevo fare
altrimenti” fece per abbracciarla, ma Elisa si
scansò.
“Elisa
non è tutto”.
“Non so
se ti voglio ancora ascoltare” disse la giovane infilandosi
il mantello, l’uomo le impedì di uscire.
“Devi
sapere ancora una cosa, il re è stato ucciso
perché voleva riconoscerti”.
“Cosa?”
domandò incredula la giovane .
“Sì
tu sei la figlia legittima della famiglia reale, sei una principessa
Savoia”.
“Cosa
stai dicendo?”
“Alla
tua nascita è stato fatto credere alla principessa di aver
dato un erede maschio al re. Dopo averti data alla luce, la principessa
ebbe delle complicazioni legate al parto, e poté vederti, o
meglio poté vedere suo figlio, quasi un mese dopo la sua
nascita. La dinastia non poteva permettersi una primogenita femmina,
così il re riconobbe il figlio avuto poco prima da una
ragazza del popolo e diede ordine di allontanarti dal castello. Quando
si pentì, ormai era troppo tardi per riaccoglierti nella
famiglia reale, così, ti concesse il titolo di contessa e ti
trattò come una figlia, è per questo che volle
assistere al nostro matrimonio. Negli ultimi tempi mi
confessò tutto, dicendomi che avrebbe voluto riconoscerti
davanti a tutti come figlia naturale, ma non ne ebbe il tempo. Il
principe ereditario, scoperto di non essere il legittimo erede al
trono, convinto di essere l’unico a conoscenza di quel fatto,
decise di uccidere il padre, in modo che nessuno sapesse la
verità.”
“Sapevo
di non essere una contadina … -ammise Elisa turbata- ma non
potevo immaginare che ad abbandonarmi fosse stato il re in
persona!”
“Tu
sapevi che Artemisia non è la tua madre naturale?”
“L’ho
scoperto poco tempo fa, ma adesso si è fatto tardi, mi
aspettano a Rivombrosa” Fabrizio la prese per un braccio.
“Promettimi
che stasera tornerai” le disse baciandola, Elisa non
corrispose.
“Non lo
so”.
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Capitolo 17 *** Capitolo XVII ***
A Venezia,
Emilia continuava a sentirsi prigioniera, nonostante tutte le
attenzioni che Cristiano le offriva. Così, dopo diversi
giorni di prigionia dorata, decise di affrontare il giovane e
chiedergli apertamente di essere riportata a Rivombrosa.
“Principessa,
ho saputo che desideravate parlarmi”
“Non
sono una principessa” precisò la ragazza, che
ancora non riusciva a sopportare l’insolenza del suo ospite.
“Perdonatemi”
ammise scherzoso Cristiano, che non aveva alcuna intenzione di
ascoltare quelle precisazioni.
“Vi
andrebbe di visitare la città?” propose il ragazzo
sorprendendola
“Veramente
io, desideravo parlarvi …” iniziò
Emilia piacevolmente meravigliata da quella proposta.
“Potreste
farlo durante la passeggiata, ma dovete promettermi di non
scappare”.
“Ve lo
prometto” acconsentì la ragazza.
“Allora
andate a prepararvi, io vi aspetterò”.
Emilia sorrise, e poco dopo si presentò con un magnifico
cappellino e un parasole coordinato. Il ragazzo rimase immobile ad
osservarla, Emilia esitò.
“Mi
avevate detto che avrei potuto utilizzare ogni cosa che trovavo
nell’armadio di vostra madre …”
cercò di scusarsi.
“Avete
fatto bene, siete bellissima, e ora andiamo. San Marco ci
aspetta”.
Emilia, al
braccio del suo accompagnatore, osservava meravigliata quella
città, così diversa da quelle che aveva visto in
vita sua, fatta di ponti e canali.
“Ti
piace?” domandò il cavaliere, osservando gli occhi
sgranati della ragazza. Emilia annuì.
“Non
avevo mai visto nulla di simile”
“Immagino
allora che non avrai mai visto nemmeno il mare …”
“Vivendo
in Piemonte non ho avuto questa fortuna” rispose la ragazza,
tra la scusa e il divertito.
“Allora
te lo mostrerò da un punto di vista diverso
…” così dicendo porse un paio di monete
ad un gondoliere e l’aiutò a salire
sull’imbarcazione.
“Il
solito giro signore?” domandò l’uomo.
“No
Giovanni, facciamo fare un giro speciale a questa fanciulla. Sai a cosa
mi riferisco” il gondoliere sorrise: conosceva troppo bene
quel ragazzo per non capirne l’interesse verso la
sua compagna.
“Come
volete” così dicendo il gondoliere
iniziò a remare. Emilia sembrava un po’ spaesata,
così per rassicurarla, Cristiano le cinse le spalle con un
braccio; la ragazza sussultò, ma non si ritrasse a quei
gesti premurosi.
“Allora,
cosa volevi dirmi prima?” Iniziò
Cristiano, mentre la gondola passava sotto il ponte di Rialto. Emilia
esitò, poi decise che era arrivato il momento di chiedere
apertamente.
“Vorrei
tornare a casa…” iniziò, poi
osservandolo negli occhi cercò di smussare la brusca
affermazione appena detta.
“Tu sei
stato così gentile con me, e sto molto bene con te, ma mi
manca la mia terra, il Piemonte, e poi tra poche settimane mia madre si
sposerà, e io non posso mancare …”
Cristiano si rabbuiò:
“Lo sai
che non dipende da me. Io devo pensare anche a mia sorella
…”
“Vieni
con me a Rivombrosa, sono sicura che mia zia vi accoglierà
come ospiti graditi, potrete restare da noi finchè lo
desideri”.
“Emilia
la mia casa è qui, io non ho nulla in Piemonte, non posso
rimanere ospite di tua zia per sempre”
la ragazza
abbassò la voce.
“Hai
detto tu stesso che Lucrezia si è preso ciò che
ti aspettava anche qui giusto?”
“Sì
ma è diverso”.
“No che
non lo è!” insistette la ragazza.
“Lucrezia
si è sposata con mio padre ed è giusto che
palazzo Montesanto sia anche suo”.
“E se
non le spettasse?” domandò la ragazza.
“Cosa
vuoi dire?”
“Hai
detto che tuo padre ti ha comunicato di esseri sposato in Piemonte,
giusto?”
“Sì”
“quanti
anni fa hai detto?”
“Dieci,
ma non capisco”
Emilia
corrugò la fronte nel cercare un qualche ricordo che le
stava sfuggendo, poi iniziò:
“Non
è possibile che quel matrimonio sia
valido”
“E per
quale motivo?” domandò il ragazzo
“Dieci
anni fa la marchesa Van Necker era sposata al marchese
Beauville”
“Sei
sicura di quello che stai dicendo?”
“Sì,
ero piccola all’epoca, ma non posso dimenticarlo”.
“Ma
questo non cambia nulla …”
“Certo
che cambia! Tu torneresti padrone dei tuoi possedimenti, e non saresti
più succube di lei”.
Emilia
appoggiò la sua mano su quella del ragazzo, lui
alzò gli occhi e la fissò.
“Ti
dimentichi che è una donna molto pericolosa e vendicativa,
come pensi di poter riuscire?”
“Io non
ho tutte le risposte –ammise la ragazza- ma quello che cerchi
lo puoi trovare a Torino.”
“Perché
proprio a Torino?”
“Perché
è lì che tuo padre lavorava, ed è
lì che Lucrezia potrebbe cadere. Qui è
inattaccabile, in Piemonte invece, può essere accusata del
mio rapimento, e non credo che il re sarà ancora tollerante
verso una cospiratrice ai danni di suo padre …”
“Non lo
so, ho sempre imparato a cavarmela da solo …”
“Ma
esiste una giustizia! Non puoi far valere le tue ragioni da solo, ti
metteresti sullo stesso piano di Lucrezia!” Cristiano sapeva
che Emilia aveva ragione, e avrebbe voluto riportarla dalla sua
famiglia, ma aveva paura di perderla.
“Forse
hai ragione” ammise. Emilia lo abbracciò, ma
Cristiano fraintese quel gesto, decidendo di dover rischiare, per
evitare di perderla definitivamente.
“Adesso
torniamo a casa e inizieremo i preparativi per il viaggio, non ti
prometto di partire subito, voglio prima essere sicuro di
farti correre il minor numero di rischi possibili” disse
stringendo forte la ragazza.
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Capitolo 18 *** Capitolo XVIII ***
Martino era arrivato a
Venezia quando la città si stava risvegliando: aveva
iniziato la ricerca della cugina, ma sembrava che non esistesse alcun
palazzo Van Necker. Erano passate ormai parecchie ore, e nel ragazzo
l’ansia e la trepidazione di poter riabbracciare la cugina,
stavano lasciando il posto alla disillusione. Si sentiva uno sciocco:
come aveva potuto sperare di riuscire così facilmente a
trovare Emilia in una città vasta e sconosciuta?
L’orologio di piazza San Marco aveva appena battuto le sei,
quando tra la folla, per un istante, Martino credette di scorgere le
cugina che stava sbarcando da una gondola. Cercò di seguire
la coppia, che però si perse tra la folla, allora il ragazzo
si avvicinò al gondoliere e gli domandò:
“Scusate
signore, sapete dirmi chi era la fanciulla che è appena
scesa dalla vostra barca?”
“Mi
dispiace signore, non so nulla, potrei solo dirvi che era molto
graziosa”. Martino indispettito si voltò e fece
per andarsene, poi gli venne un’idea e tornando
dall’uomo, gli mostrò una moneta
d’argento.
“Se
volete fare un giro per i canali ve ne serviranno due di
quelle” iniziò l’uomo.
“Non ho
tempo per visitare la città. Piuttosto chi era il cavaliere
che l’accompagnava?” il gondoliere fece finta di
non capire. Martino estrasse un’altra moneta e
precisò:
“Sapete
il nome dell’uomo che è appena sceso dalla vostra
gondola?”
“Certo
che lo conosco! È il principe di Montesanto” e
allungò la mano per ricevere la sua ricompensa.
“E
sapete anche dove abita?”
“Altre
due monete e vi porto da lui” Martino acconsentì e
montò sull’imbarcazione. Poco dopo la gondola si
fermò davanti ad un palazzo.
“Siete
arrivato signore, ma non so se il principe vi
riceverà”. Martino pagò il
gondoliere e bussò alla porta.
Il giovane conte
non dovette aspettare a lungo: subito si presentò alla porta
un valletto.
“Mi
dispiace signore, ma la signora non è in casa”
iniziò, senza nemmeno far parlare il ragazzo.
“Non
sto cercando la signora, ma il principe di Montesanto”
“Vi
stava forse aspettando?” domandò il servo, il
conte iniziò a spiegare:
“No, il
vostro padrone non mi conosce, ma ho urgenza di parlare con lui,
è una questione molto delicata”.
“Temo
di non potervi aiutare, mi dispiace signore, ma ho ricevuto ordini
molto precisi …” si scusò
l’uomo, facendo per chiudere la porta, ma Martino glielo
impedì.
“Vi
prego, annunciatemi al vostro padrone, altrimenti mi
annuncerò io stesso” così
dicendo, il ragazzo scostò di lato il servo che
tentava di fermarlo e fece per passare, ma l’uomo lo
trattenne.
“Farò
come volete, ditemi chi devo annunciare, ma voi aspettatemi
qui” Martino accettò.
“Sono
il conte Martino Ristori” L’uomo si
inchinò, titubante sul lasciare da solo il ragazzo.
Cristiano era
solo nello studio, Emilia si stava preparando per la cena e lui stava
ripensando alla promessa fatta poche ore prima, e non riusciva a
decidersi sul da farsi. Il valletto bussò alla porta e fece
capolino.
“Avevo
chiesto di non essere disturbato ”.
“Lo so
signore ma c’è una visita …”
iniziò l’uomo che però venne interrotto
dal giovane
“E non
hai detto che la signora non è in casa?”
“Non
è la signora che cerca, ma voi!” Cristiano rimase
sorpreso: non aspettava visite.
“Chi
è?” domandò.
“Il
conte Martino Ristori, ha detto che voi non lo conoscete, ma ha molta
urgenza di parlarvi, signore”
“Fatelo
entrare, ma prima assicuratevi che la marchesina mia ospite non esca
dalle sue stanze.”
“Come
volete” il valletto uscì e poco dopo si
ripresentò alla porta annunciando Martino. Il ragazzo
entrò incerto su come comportarsi.
“Signor
principe, mi dispiace disturbarla, ma sono costretto a domandarvi
alcune informazioni, spero di non abusare della vostra gentilezza
…”
“Accomodatevi,
ma permettetemi prima di rispondere alle vostre domande di domandarvi
chi siete e perché mi cercavate.”
“Sono
il conte Ristori di Rivombrosa, sono venuto fin qui dal Piemonte per
cercare mia cugina” iniziò Martino tutto
d’un fiato. Cristiano rimase molto sorpreso.
“Avete
dei parenti qui a Venezia?” domandò.
“No
signore, mia cugina è stata rapita, abbiamo ricevuto un suo
biglietto qualche tempo fa e sono venuto a cercarla, ma purtroppo non
sono riuscito a trovarla …” Cristiano era sulle
spine, il giovane di fronte a lui non aveva mai rivelato il nome della
cugina, ma era sicuro che si trattasse di Emilia.
“Non
capisco come potrei rendermi utile …”
continuò.
“Vedete,
oggi eravate in barca in compagnia di una dama, che poteva somigliare
alla ragazza che stavo cercando, è stato il gondoliere a
dirmi chi eravate … e speravo che la fanciulla che avevate
al vostro fianco potesse essere lei, perdonatemi, so che può
sembrarvi assurdo”.
Cristiano
rimase in silenzio combattuto se rivelare o meno la presenza di Emilia
in casa sua.
“Non
posso svelarvi il nome della nobildonna che era con me, tuttavia sono
disposto ad aiutarvi a cercare la contessa vostra cugina, come si
chiama?”
“Mia
cugina è la marchesina Emilia Radicati di
Magliano” rispose Martino. Cristiano suonò una
campanella e diede alcuni ordini sottovoce alla cameriera che si era
affrettata a rispondere alla chiamata del padrone.
“Si
è fatto tardi - iniziò dopo che la cameriera era
uscita lasciandolo nuovamente solo col giovane conte - e Venezia non
è una città ospitale dopo il calar del sole,
spero che voi vogliate essere mio ospite per questa sera”.
“Non
vorrei abusare troppo della vostra cortesia” cercò
di declinare il conte.
“Così
mi fate torto - insistette il principe- sarei onorato di potervi avere
alla mia tavola, ho già dato ordine di apparecchiare anche
per voi. Tra pochi minuti sarà pronto, mi permetto di
insistere”.
“Non
potrei mai farvi un torto, accetterò di desinare con
voi” accettò Martino. Cristiano sembrava non
ascoltare le parole del suo ospite, e attendere con ansia un qualche
avvenimento. I due giovani stavano conversando ancora quando la porta
alle spalle di Martino si aprì, e nella stanza
entrò Emilia con la piccola Marise. Cristiano smise di
parlare; solo allora la ragazza si accorse che la poltrona di
fronte al principe era occupata da un uomo che le dava le spalle,
probabilmente non avendola sentita entrare.
“Perdonatemi
principe, credevo foste solo …” iniziò.
Martino si girò di scatto riconoscendo la voce della cugina.
“Emilia!”
esclamò alzandosi dalla poltrona e andandole incontro. La
ragazza gli corse tra le braccia.
“Martino!”
Emilia non riusciva più a contenere le lacrime di gioia,
mentre il cugino la scostava leggermente da sé per
osservarla qualche istante prima di iniziare a baciarla. Fu Cristiano
ad interrompere la coppia con qualche colpo di tosse.
“Perdonatemi
conte, se non vi ho detto subito che vostra cugina era mia ospite, ma
ho preferito essere sicuro, prima di esporla a rischi
inutili.” Iniziò a spiegare il principe. Martino
annuì e accompagnò Emilia a sedersi. La ragazza
si stava lentamente ricomponendo, ma non smetteva un secondo di
stringere tra le sue mani quella del cugino, quasi a rassicurasi che
non scappasse.
“Siete
stato fortunato signor conte, se foste venuto tra qualche giorno non ci
avreste trovati, infatti stavo organizzando un viaggio in Piemonte per
riportarla a casa, l’ho ospitata qualche giorno
affinchè si riprendesse e fosse in grado di affrontare un
viaggio simile” spiegò. In quel momento venne
annunciato che la cena era servita, e le spiegazioni vennero rimandate.
Nella sala da pranzo, la tavola era riccamente apparecchiata per
quattro persone. I commensali si sedettero e subito venne servita la
prima portata. Purtroppo la cena non si svolse secondo i piani; infatti
durante la seconda portata si udirono alcuni rumori provenienti dai
piani bassi, rumori che si fecero sempre più vicini e
minacciosi, che inizialmente sembrarono dirigersi verso un corridoio
secondario. Cristiano si alzò da tavola, e riconosciuti
alcuni uomini fidati di Lucrezia, chiamò un servo e gli
ordinò di tener pronti quattro cavalli. Poi
ritornò nella sala da pranzo per avvisare la sorella e gli
ospiti di ciò che stava succedendo; non fece in tempo ad
avvertirli che alcune grida di disappunto riempirono l’aria e
la porta dietro a lui si aprì. Emilia sussultò
nel riconoscere il suo aggressore e istintivamente si ritirò
dietro al cugino che assecondò i suoi gesti facendole scudo
col suo corpo.
“Dov’è?”
gridò l’uomo rivolto al ragazzo “dove
l’hai nascosta?” continuò, poi si
accorse delle tre figure che stavano tentando di lasciare la stanza da
una porta secondaria.
“E voi
dove scappate?” urlò prendendo per un braccio la
bambina.
“Marise!Lasciala
stare!” disse in tono minaccioso il principe. Emilia
assisteva immobile alla scena. L’aggressore continuava a
tenere un pugnale alla gola della bambina che tentava di divincolarsi
inutilmente.
“Credevi
di fare il furbo, ma sapevi cosa ti aspettava se non rispettavi gli
ordini” così dicendo avvicinò ancora di
più l’arma alle carni della piccola, allora
Martino afferrò una spada dalla rastrelliera e ne
lanciò una a Cristiano, i due si gettarono contro
l’uomo, che preso di sorpresa, lasciò andare la
bambina che scappò tra le braccia di Emilia, mentre i due
ragazzi combattevano con l’uomo, che presto ebbe la peggio.
“Marise
stai bene?” si preoccupò il fratello; la bambina
annuì, ma non c’era tempo. Così il
gruppetto raggiunse le scuderie, dove lo stalliere stava preparando i
cavalli.
“Presto
Giovanni! - ordinò Cristiano - prima che gli uomini di
Lucrezia trovino il compagno e ci inseguano”
“Non
c’è tempo per sellare gli altri cavalli”
gli fece eco Martino aiutando le due ragazze a salire sui due cavalli
sellati “Monteremo in due su ogni cavallo”.
Così dicendo salì dietro la cugina e
continuò
“Principe
indicateci la strada”. Cristiano non se lo fece ripetere due
volte e montato in sella,spronò il cavallo al galoppo.
Un’ora dopo le porte della Serenissima erano ormai lontane,ma
le due coppie non potevano ancora ritenersi al sicuro.
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Capitolo 19 *** Capitolo XIX ***
I due cavalieri
rallentarono l’andatura per non stancare troppo i cavalli. Le
due ragazze erano ancora ammutolite. Emilia si teneva stretta al
cugino, rassicurata dal battito del suo cuore, Marise lottava contro il
sonno.
“Dobbiamo
trovare un posto dove passare la notte, le ragazze sono stanche -
iniziò il conte - altrimenti rischiamo di perdere tutta la
giornata di domani”. Cristiano si fermò ad
ascoltare. Attorno a loro il silenzio regnava sovrano, a
tratti interrotto solamente dal fruscio delle foglie e dai versi di
qualche predatore notturno, il principe continuò a guardarsi
attorno con fare sospettoso.
“Principe
mi state ascoltando?” lo richiamò Martino
spazientito.
“Non mi
piace c’è troppo silenzio”.
“Cristiano
è normale, è notte, e poi Martino ha ragione, non
possiamo cavalcare fino a domani mattina!” intervenne Emilia.
“Dobbiamo
proseguire, questi boschi non sono posti sicuri, e gli uomini
dì Lucrezia ci sono alle spalle, purtroppo non possiamo
permetterci soste ora, i progetti li potremmo fare solo più
avanti, non sarebbe saggio mettersi a discutere ora” riprese
il ragazzo, continuando il filo dei suoi pensieri. Così
dicendo incitò il cavallo a riprendere la marcia, Martino
dovette seguirlo. Il gruppo continuò il loro percorso quando
all’improvviso, un rumore alle loro spalle
tradì la presenza di persone. I ragazzi si girarono di
scatto. Dalla boscaglia uscirono quattro uomini con i volti coperti da
un fazzoletto che puntavano le pistole verso il gruppetto facendo cenno
di scendere da cavallo i due nobili si scambiarono uno sguardo
d’intesa.
“Quando
te lo dico voi scappate cercate riparo nella taverna alla fine del
bosco, non è lontanissima, noi vi copriamo le spalle, e vi
raggiungeremo il prima possibile capito?”mormorò
Cristiano alla sorella prima di scendere lentamente da cavallo, imitato
da Martino. Le due ragazze osservavano con ansia le due parti che si
stavano studiando. I banditi fecero cenno di far scendere anche le due
ragazze, e quando uno di loro si avvicinò ad uno dei cavalli
per farle smontare, Cristiano lo freddò con un colpo di
pistola.
“Marise
scappa!” gridò alla sorella che subito
spronò il cavallo, seguita da Emilia. I due giovani vennero
coinvolti così in una sparatoria, che risuonò per
tutto il bosco. Le due ragazze allontanandosi potevano ancora
indovinare cosa stava succedendo nella radura, finchè la
corsa dei cavalli non le portò troppo lontane dal
palcoscenico del duello, e i suoni giunsero a loro in maniera sempre
più flebile e indistinta. Mezz’ora dopo trovarono
rifugio nella bettola che aveva indicato Cristiano. L’oste si
meravigliò di quella presenza, a quell’ora,
tuttavia offrì loro protezione.
“Questo
non è un posto per signore!”
Emilia stringeva
a sé la bambina, come a proteggerla.
“Presto
arriveranno anche mio marito e mio fratello” mentì
la marchesina.
“Non
credo che ci siano stanze libere, dovrete accontentarvi di quello che
è rimasto” spiegò l’uomo.
Emilia annuì.
“
È possibile aspettarli in un luogo più
riservato?” domandò ancora la ragazza.
L’uomo le portò in un angolo del locale separato
dagli altri da una pesante tenda, dietro la quale una donna stava
rattoppando alcuni abitini alla luce di una candela, mentre accanto a
lei due bambini giocavano con alcuni semi, mentre il più
piccolo dormiva in una culla ricavata in una vecchia botte, sistemata
per il nuovo utilizzo.
“Antonia,
hai visite, cerca di lasciare in pace queste due gentildonne,
capito?” la donna alzò gli occhi dal lavoro
fissandoli sul marito e li riabbassò senza dire una parola.
Quando l’uomo fu uscito la donna si interessò alle
due arrivate.
“Cosa
ci fanno due ragazze come voi in un luogo come questo?”
“Siamo
fuggite da una compagnia di briganti, ora stiamo aspettando il ritorno
degli uomini della famiglia ” mentì Emilia.
L’aria preoccupata della ragazza non era sfuggita alla donna,
che cercò di consolarla.
Nel frattempo,
nel bosco, i due ragazzi riuscirono ad avere la meglio sui loro
aggressori, e si misero subito in marcia per raggiungere le ragazze.
“Speriamo
di non trovare altri banditi lungo la strada …”
iniziò Martino.
“Quelli
non erano banditi, ma gli uomini di Lucrezia, in questa zona i banditi
non attaccherebbero in un modo simile …”
“Come
fate ad esserne così certo?”
“Quattro
persone su due cavalli comporterebbero un bottino troppo magro per
tentare un assalto ” spiegò il principe, il conte
convenne e per parecchio tempo i due rimasero in silenzio, poi riprese
la conversazione.
“Permettetemi
la domanda, ma come è possibile che la marchesa Van Necker
è venuta proprio da voi a cercare mia cugina?”
“Perché
quella è la sua abitazione quando viene a Venezia”
iniziò a spiegare l’altro.
“Mi
state dicendo che anche voi siete stato complice della
marchesa?” domandò furibondo.
“Non
proprio, dovete sapere che la marchesa è la seconda moglie
di mio padre, e per lei sono sempre stato un peso, mi ricattava, ed
è stato solo grazie ad Emilia che ho trovato il coraggio per
ribellarmi” rispose, in tono che non ammetteva altre domande
sull’argomento. Martino capì che non poteva
permettersi di tirare oltre la corda senza rischiare di spezzarla,
così cambiò argomento:
“Quanto
saranno andate lontano?”
“Credo
che a quest’ora saranno sicuramente al riparo
nell’osteria che c’è vicino al bosco,
devo avvisarvi, non è un luogo molto … come dire
… raffinato, però i proprietari sono brave
persone, e se tutto va bene tra non molto saremo là anche
noi”. Il resto della camminata fu silenzioso, non
c’erano molti argomenti su cui discutere, ed era meglio
risparmiare il fiato per poter accelerare il passo. Dopo una bella
camminata arrivarono finalmente alla piccola bettola,
all’interno della quale Emilia si stava torturando
nell’attesa del cugino. La ragazza passeggiava continuamente
avanti e indietro per i pochi metri liberi, e spesso scostava la
pesante tenda nella speranza di vederlo arrivare.
“Perché
non arriva?” domandava più a se stessa che alle
altre due compagne di attesa, che non riuscivano in alcun modo a
rassicurarla.
“Signora,
venite a sedervi e mangiare qualcosa, vi sembrerà che il
tempo passi più velocemente, non serve a nulla continuare a
torturarsi in quel modo” la invitò ancora la
donna, Emilia non le prestava ascolto
“E se
gli fosse successo qualcosa?” domandò girandosi di
scatto verso le altre
“Mio
fratello è il più bravo duellante di tutta
Venezia …” si vantò ingenuamente la
bambina, Emilia sorrise, si avvicinò e si sedette accanto a
lei passandole una mano tra i capelli.
“Ti
credo …” sospirò, senza riuscire ad
aggiungere altro. In quel momento i due ragazzi entrarono nella
locanda, Cristiano gettò uno sguardo nella stanza alla
ricerca delle due ragazze, ma nulla-
“Cristiano!
Qual buon vento ti porta qui? – lo salutò
l’oste, che poi continuò - sei venuto con il tuo
amico a divertirti con qualcuna delle mie ragazze?”
“No,
stavo cercando due donne, anzi una ragazza e una bambina di dieci anni,
dovevano essere qui …”
“In
effetti due ragazze sono arrivate a cavallo quasi un’ora
e mezza fa … venite a vedere voi stesso se sono
loro, sono dietro la tenda, con mia moglie”.
“Grazie”
il principe scostò la tenda, e rimase colpito dalla bellezza
di quello che sarebbe potuto essere un quadro familiare: Marise tra le
braccia di Emilia, che ascoltava attenta quello che la marchesina le
stava dicendo. Ben presto Emilia si accorse di non essere
più sola nella stanza, alzò lo sguardo e si
illuminò a vedere i due ragazzi.
“Martino,
Cristiano! Che bello rivedervi” si strinse a Martino, poi
rivolta a tutti e due:
“Abbiamo
avuto molta paura”.
“È
tutto finito” la rassicurò il principe. Emilia
sorrise, mentre il cugino la baciava dolcemente sulla fronte,
la ragazza si strinse ancora di più al braccio del cugino,
che inaspettatamente sussultò, emettendo un gemito di
dolore. La ragazza lo guardò, poi si accorse che la camicia
del ragazzo era sporca di sangue.
“Martino
sei ferito!” esclamò preoccupata.
“Non
è nulla, sono stato colpito di striscio”
minimizzò immobilizzando il braccio con l’altra
mano.
“Bisogna
medicare la ferita … Antonia, potreste darmi
dell’acqua bollente e delle bende per cortesia?”
domandò la giovane alla donna.
“ Ve le
faccio portare nella vostra camera, venite ve le mostro, non saranno
molto grandi, ma almeno sono pulite” così dicendo
fece strada. Il gruppetto la seguì al piano di sopra dove la
donna indicò loro due porte aperte. I quattro si fermarono
incerti sul come sistemarsi, fu Martino a prendere
l’iniziativa, invitando Emilia a seguirlo in una delle due
stanze. La ragazza accettò titubante. Una volta sistemati, i
quattro si riunirono tutti insieme per discutere del viaggio.
Bussò alla porta Antonia, col materiale che la marchesina
aveva chiesto.
“Ecco a
voi signora, se serve altro non esitate a chiedere” Emilia
ringraziò.
“Antonia,
è possibile avere due cavalli con magari una carrozza per
domani mattina?”
“Non lo
so Cristiano, dirò a mio marito di fare il possibile, quando
avete intenzione di partire?”
“Domani
mattina, il più presto possibile, vedi di far rifocillare i
cavalli, mal che vada useremo ancora quelli”.
“Come
volete” così dicendo la donna si
allontanò, lasciandoli soli. Martino dovette presto cedere
all’idea di essere medicato dalla cugina, mentre discutevano
su come organizzare il viaggio. Finiti i preparativi le due coppie si
separarono. Cristiano non sembrava felice di lasciare sola Emilia, tra
le braccia del cugino, ma non aveva molte alternative. Emilia
continuò a pulire la ferita che ormai aveva smesso di
sanguinare, Martino fissava la cugina intenta a fasciargli il braccio.
Emilia si sentiva turbata nel vedere il cugino senza camicia, ed
esitava ad alzare gli occhi dal suo lavoro. Una volta terminato, lo
fissò negli occhi e sorrise soddisfatta. Il ragazzo
contraccambiò il sorriso e si avvicinò al suo
volto:
“Sei
stata un’ottima infermiera” le bisbigliò
sulle labbra, e senza darle il tempo di rispondere la baciò
dolcemente, Emilia gli accarezzò il viso, mentre continuava
a baciarlo, al contrario di quanto la cugina di aspettasse, il ragazzo
si alzò staccandosi dolcemente da lei, che lo
fissò stupita.
“Dormo
sul tappeto …” Emilia si accoccolò
dietro cugino, sfiorandolo timidamente sulle spalle.
“Allora
lo farò anch’io, non posso pensarti
così disteso su un pavimento ruvido, dopo che hai rischiato
la vita per me …” e lo baciò, a quel
contatto Martino chiuse gli occhi e inspirò profondamente,
si voltò verso la ragazza, la baciò e la
fissò negli occhi:
“Emilia,
io ti amo” le sussurrò col fiato corto.
“Anch’io”
rispose la ragazza con voce tremante. I due si fissarono per qualche
secondo, poi Martino iniziò a baciarla, lentamente
la prese tra le braccia, la posò sul letto e
iniziò a slacciarle il corsetto baciandole il collo, Emilia
fremeva a quelle carezze, mentre aiutava il cugino, alle prese con la
gonna. Presto i loro corpi furono separati solamente dalle
rispettive biancherie , Martino la spinse dolcemente, Emilia lo
assecondò, abbandonandosi tra i cuscini, il ragazzo la
seguì, ma ancora una volta, quando il ragazzo le
sfiorò la gamba Emilia cercò di ritrarla, Martino
si fermò, fissando il suo sguardo in quello della cugina,
poi mormorò:
“Non
così, io ti amo, e non oserei fare nulla che tu non voglia
…” Emilia non rispose, cercava di scacciare le
immagini che le erano tornate alla mente. Era confusa, e non capiva
cosa le fosse preso. Il ragazzo si era alzato dal letto e si stava
rivestendo, lei era ancora immobile che lo fissava.
“Martino
…”mormorò, quasi per scusarsi.
“Non
devi dire nulla” cercò di tranquillizzarla.
“Resta
qui, ti prego, non lasciarmi sola” il ragazzo cedette alla
domanda della cugina e si sdraiò accanto a lei, dandole le
spalle,poteva sentire il respiro della cugina calmarsi e diventare
sempre più profondo, segno che si stava addormentando.
Quando fu sicuro che la ragazza dormisse, la osservò: era
bellissima, le coperte non potevano coprire le dolci curve della
giovane, messe in evidenza dalla postura che aveva assunta nel sonno,
innocente, ma al contempo sensuale. Martino si distese con le mani
dietro la testa pensando e ripensando a quello che era successo poco
prima. Durante la notte il sonno di Emilia si fece più
agitato, i ricordi delle disavventure passate non le davano tregua, e
si svegliò di soprassalto, urlando. Martino, svegliato dalle
grida si mise a sedere.
“Martino
... è stato terribile, la carrozza ... quella
camera, i briganti …” mormorava
confusamente la ragazza tra le lacrime, il cugino la strinse forte a
sé.
“È
tutto finito Emilia, calmati, è finito tutto, presto saremo
di nuovo a casa” disse continuando ad accarezzarle i capelli,
Emilia annuiva tra le lacrime.
“Ora
devi dormire, devi essere in forza per domani”
così dicendo la fece sdraiare, Emilia si stinse forte al suo
petto e lentamente si calmò, cullata dal battito del cuore
del cugino. I due dormirono abbracciati fino all’alba, quando
la luce del nuovo giorno li sorprese e li obbligò a
svegliarsi.
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Capitolo 20 *** Capitolo XX ***
Martino
iniziò a baciare dolcemente la cugina che stava ancora
dormendo. Emilia si stropicciò gli occhi
“Buon giorno amore!” la ragazza sorrise,
rispondendo ai baci.
“È ora di alzarsi, dobbiamo partire”
Emilia annuì, e sebbene avesse ancora sonno, si
alzò e poco dopo fu pronta; in quel momento Cristiano e la
sorella bussarono alla porta.
“È tutto pronto, possiamo partire”
esordì il principe, quando il conte si affacciò
alla porta. I quattro scesero al piano terra dove li aspettava Antonia.
“Mio marito ha mosso mari e monti per soddisfare le vostre
richieste, e io mi sono permessa di prepararvi qualcosa per il
viaggio” disse, porgendo un paniere alla marchesina che
ringraziò. Il gruppetto uscì, e davanti alla
porta trovarono una carrozza che li aspettava. I ragazzi ascoltarono i
suggerimenti dell’oste, mentre Marise si sistemò
in carrozza. Deciso che sarebbe stato Cristiano a guidare la carrozza
per il primo tratto di strada, il ragazzo si mise in cassetta,
aspettando che la coppia di cugini si sistemasse all’interno.
Martino porse la mano ad Emilia per aiutarla a salire, ma la ragazza
rimase immobile, per poi ritrarsi.
“Emilia, dobbiamo partire” cercò di
scuoterla il cugino, per tutta risposta, lei lo fissò con lo
sguardo impaurito e scosse la testa.
“Martino non me la sento, ho paura”.
Il ragazzo le prese il volto tra le mani e tentò di
rassicurarla a bassa voce, asciugandole un paio di lacrime
che le scivolarono lungo le guancie. Cristiano osservava
impotente alla scena. Dopo un po’ Emilia
acconsentì a salire in carrozza, e i quattro poterono
finalmente partire. All’interno Martino continuava a
sussurrare rassicurazioni alla cugina che rimaneva stretta a lui,
tremante. Davanti a loro Marise si era riaddormentata.
“Emilia per quello che è successo questa
notte…” iniziò il ragazzo, quando la
cugina smise di tremare. Emilia si slacciò dal suo abbraccio
e lo fissò negli occhi.
“Non dire nulla- disse mettendogli dolcemente la mano sulle
labbra- non hai nulla da farti perdonare, ma ti prego non chiedermi di
raccontarti cos’è successo. Non impormi di
rivivere quei terribili momenti, non ora e non qui”.
“Come vuoi” la rassicurò il
ragazzo, stringendola nuovamente a sé.
“Tra quanti giorni arriveremo a Rivombrosa?”
“Non lo so, dipende da quante soste decidiamo di fare, ma
spero di arrivare un paio di giorni prima del matrimonio di Anna e
Antonio”.
“Sono felice che mia madre si risposi, e poi il dottor Ceppi
è così diverso da mio padre … spero
siano felici. E mia madre come sta?”
“Bene, almeno per come possa stare una madre che sa del
rapimento della figlia, ma tutti le stanno facendo forza, e prima di
partire mi è sembrata un po’ più
serena. Ma non ti ho detto la cosa più
importante…”
“E cosa ci sarebbe di così importante?”
domandò Emilia. Martino non sapeva come mettere al corrente
la cugina del lieto evento che sarebbe avvenuto poco dopo il matrimonio.
“Beh … ecco, tua madre e Antonio aspettano un
bambino” Emilia si portò la mani alla bocca per la
sorpresa.
“Davvero? Ma è bellissimo!” il ragazzo
tirò un sospiro di sollievo. I due continuarono a parlare
del Piemonte, finché Cristiano non si fece
sostituire alla guida della carrozza. Il ragazzo si sedette accanto
alla sorella.
“Emilia, come stai?”
“Ora meglio, grazie, ma l’idea di un viaggio
così lungo in carrozza non mi alletta”
iniziò timidamente, come per scusarsi. Cristiano le
posò una mano sulle sue e la fissò negli occhi,
la ragazza sussultò
“Non c’è nulla di cui ti debba
vergognare, è normale…” Emilia sorrise.
“Posso confessarti una cosa?” le domandò
il principe sottovoce cambiando posto. Emilia non rispose.
“Siete bellissima quando sorridete” la ragazza
arrossì evidentemente, cercando di ribattere, ma senza
successo. Quel silenzio aumentò le speranze del giovane, che
continuò a corteggiarla con mille piccole premure che non
passarono inosservate agli occhi della marchesina.
A Rivombrosa Anna ed Elisa stavano passeggiando in giardino, godendosi
la tiepida giornata di primavera.
“Come ti senti oggi?” domandò la
contessa alla cognata
“Bene … - le rispose, accarezzandosi il pancione -
ha imparato a scalciare” continuò, con un sorriso
amaro.
“Anna! Sai che non puoi nascondermi
nulla…”iniziò Elisa, capendo che il
bambino non era che una scusa.
“Non lo so Elisa, ormai manca una settimana alle mie nozze, e
mia figlia non è ancora tornata a casa. Forse dovrei
rimandare il matrimonio” Elisa strinse le mani della cognata.
“Anche io sono in pensiero per Emilia e Martino, ma sono
sicura che presto saranno a casa, e riusciranno ad essere presenti alle
celebrazioni, me lo sento, e poi lo sai che non dovresti avere
preoccupazioni nel tuo stato.”
“È che organizzare il matrimonio mi ha tenuto la
mente occupata, ma ora che è tutto pronto non faccio che
pensare a dove possa essere ora mia figlia …”
“Anna devi farti coraggio, e vedrai che tutto si
sistemerà, ne sono sicura, e questa volta Lucrezia non la
passerà liscia” la marchesa sembrava un
po’ sollevata, ma la loro conversazione fu interrotta da
Angelo che annunciava la visita del prefetto Terrazzani.
“Avverti il prefetto che sarò subito da lui
– poi, rivolta alla cognata – scusami spero di non
metterci molto”.
“Non ti preoccupare, ora vai, non farlo aspettare” .
Elisa entrò nella biblioteca.
“Prefetto non vi aspettavo,a cosa devo la vostra
visita?”
“Sono qui per il rapimento di vostra nipote”
“Avete scoperto qualcosa?”
“Purtroppo no, e non porto buone notizie, credo sia meglio
che vi sediate” Elisa si sentì mancare e si
aggrappò alla poltrona per sedersi.
“Non ho notizie di vostra nipote” si
affrettò a precisare l’uomo, per poi continuare:
“Ma il fatto che l’altro giorno la marchesa Van
Necker non si sia presentata, come voi avete detto non gioca a vostro
favore: le indagini sono bloccate, e poiché il rapimento
è avvenuto vicino al confine con la Francia di certo non ci
aiuta. Se non troviamo nulla, la vostra accusa cadrà tra
pochi giorni,mi dispiace”.
“Ma la lettera di Emilia! Quella non vale nulla?”
domandò confusa e indispettita la contessa.
“Purtroppo non è sufficiente”
spiegò l’uomo.
“Volete dire che la vita di un suddito vale così
poco?” domandò sconcertata Elisa.
“Contessa, voi sapete bene che ho le mani legate.”
Elisa annuì, poi cambiò discorso:
“Ho parlato col duca d’Avis…”
“Dite” si fece più attento
l’uomo.
“Sono venuta a conoscenza della congiura e di tutte le cause
che hanno portato alla prematura morte del re. E pur dovendo tutto a
lui, io ho deciso di non rivendicare i miei diritti”.
“Contessa non vi capisco…” Elisa
abbassò la voce.
“Vedete prefetto, a causa delle mie origini, io sono
diventata vedova poco dopo il mio matrimonio. Ora sto cercando di
ritrovare la serenità per la mia famiglia. Non è
entrando nella famiglia reale, che io posso ritornare a vivere con mio
marito. Capisco che vi può sembrare un affronto nei
confronti del nostro vecchio sovrano..”
“Vostro padre” la interruppe il prefetto Elisa
alzò gli occhi.
“Per me, il mio vero padre era un rilegatore di libri.
È lui che mi ha cresciuta, sia ben chiaro non porto nessun
rancore al re, al quale devo molto, e gli sarò per sempre
riconoscente,ma non posso chiamarlo padre.”
“Ho capito –concluse il prefetto- mi state
chiedendo di sollevare vostro marito dall’incarico.”
“L’incarico è cessato nel momento stesso
che io, ho deciso di rinunciare al mio diritto”
“Sapete che in questo modo voi non avrete più
diritti in questo argomento”
“Prefetto Terrazzani, io non ho avuto alcuna voce in capitolo
in questa situazione, non sono stata io ad acconsentire di rimanere
vedova agli occhi del mondo. È per questo che ora voglio
estraniarmi”.
“E non credete che in questo modo state vanificando il
sacrificio di vostro marito?” Elisa scosse la testa
“No. Non posso sacrificare il nostro amore, per un titolo
nobiliare più altisonante.” L’uomo
rimase molto colpito dalle ultime parole della contessa.
“Vedo che per voi non ci sono ripensamenti, se è
così io tornerei a Torino”.
“Grazie prefetto, vi accompagno alla porta”
“Farò tutto quanto è in mio potere per
far proseguire le indagini, ve lo assicuro” si
congedò l’uomo dopo un baciamano. Elisa non
rispose.
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Capitolo 21 *** Capitolo XXI ***
Poco dopo la contessa
uscì a cavallo. Aveva bisogno di allontanarsi da tutte
quelle preoccupazioni che sembravano toglierle il fiato.
Galoppò senza meta, fino a quando si trovò
davanti alla casa sul lago di Antonio. Elisa smontò da
cavallo, e spinse la porta dell’abitazione che non oppose
resistenza.
“Elisa!
Non ti aspettavo” le venne incontro il marito.
“Fabrizio
stringimi ”gli domandò appoggiandosi a lui,
l’uomo non se lo fece ripetere.
“Amore,
cosa è successo?”
“Nulla
- iniziò, per poi staccarsi dall’abbraccio -
assolutamente nulla, ed è questo che mi fa impazzire, non
riesco a rimanere impotente in questa situazione”. Fabrizio
la fissò con uno sguardo pieno d’amore, e sorrise
nel ritrovare la sua Elisa: una donna fiera e coraggiosa, sempre pronta
a fare qualcosa per gli altri.
“Amore
mio, tu stai facendo tantissimo, e lo sai bene”.
“Io
intendo per Emilia. Ora Martino è chissà dove, da
solo, a cercarla. Quanto pagherei per avere delle notizie!”
“Martino
è un ragazzo in gamba, sono sicuro che presto
sarà di nuovo a casa con Emilia”.
“Spero
che tu abbia ragione, il matrimonio si avvicina e non sarebbe semplice
trovare una giustificazione a due assenze così importanti
…” Fabrizio la baciò sulla fronte,
Elisa sorrise stancamente.
“Elisa,
voglio partecipare al matrimonio di Anna e Antonio”.
“Che
dici? Sei impazzito?” rispose sbigottita la donna.
“No, mi
nasconderò nel confessionale, così finalmente
potrò rivedere anche Anna, e vedere quanto è
cresciuta nostra figlia …”
“Non so
se è una buona idea, l’abbazia non si offre molto
al tuo piano”.
“Non si
sposano nella pieve?” Elisa negò.
“Perché?”
“Non lo
so, hanno preso questa decisione, probabilmente per il numero degli
invitati, sarà presente il fior fiore della
nobiltà piemontese” a Fabrizio non
sfuggì il tono ironico della moglie. Elisa cambiò
argomento.
“Oggi
ho parlato col prefetto Terrazzani, gli ho detto che rinuncio alla
pretesa del trono”.
“E
lui?”
“Ha
tentato di dissuadermi, ma senza risultati”. Fabrizio sorrise
complice, iniziando a baciarla sul viso, e scendendo lungo il collo.
Elisa lo allontanò
“Fabrizio,
ti prego …” l’uomo non sembrava molto
convinto di quel rifiuto, ma smise di baciarla, e la strinse a
sé. Lei rimase stretta tra le braccia del marito, godendosi
quegli istanti d’intimità che le erano mancati
così tanto. “Sei andata sino nella capitale per
avvertire Terrazzani che eri al corrente di un ordine
segreto?” le domandò il marito, riprendendo il
discorso interrotto poco prima.
“No,
è lui che è venuto a Rivombrosa, per informarmi
che tra qualche giorno chiuderanno le indagini sul rapimento di
Emilia”. Fabrizio rimase allibito.
“Ma
com’è possibile?”
“Lo so,
è ingiusto, ma il prefetto mi ha assicurato che
farà il possibile”.
“Elisa
il possibile non è abbastanza: Emilia sta pagando il fatto
di essere una Ristori”.
“Fabrizio
dobbiamo avere fiducia, non possiamo fare nulla. Martino è
in viaggio per salvarla, e la giustizia sta cercando le prove per
incastrare Lucrezia, è tutto quello che possiamo fare, ora
dobbiamo solo attendere e pregare”. Elisa si strinse ancora
di più al marito, che la baciò sui capelli.
“Ti
prometto che presto tornerò a casa, non voglio
più rimanere lontano da te, e perdermi i progressi di Agnese
e Martino”. Elisa lo baciò.
“Ora
devo andare, nostra figlia mi aspetta” Fabrizio
l’aiutò a salire a cavallo e la osservò
allontanarsi, per poi ritornare in casa, e sfogare la sua ira contro le
carte che erano sul tavolo.
Le ore passavano
lente nel viaggio di ritorno. All’interno della carrozza la
stanchezza si faceva sentire, e la noia sembrava amplificarla. Marise
era irrequieta, e a poco servivano le premure di Emilia a trovarle dei
diversivi, la piccola era stanca di stare in carrozza, e voleva tornare
a casa sua. Cristiano fissò lo sguardo su Emilia.
“Principessa,
vi sentite poco bene?” Emilia infatti era pallidissima, e
stava iniziando a respirare in maniera irregolare. La ragazza scosse la
testa, ma Cristiano aveva già chiesto a Martino di fermare
la carrozza. Il ragazzo eseguì, e preoccupato si
precipitò all’interno della carrozza, dove Emilia
sembrava essersi leggermente ripresa.
“Cosa
succede?”
“Nulla,
avevo solo bisogno di un po’ d’aria, ma non era
necessario fermarsi” spiegò la ragazza, che venne
aiutata a scendere. Emilia si tenne stretta al cugino, mentre muoveva i
primi passi. Nel frattempo anche Marise e il fratello erano usciti a
sgranchirsi le gambe. Cristiano si guardò intorno:
“Non
è il posto migliore per sostare, sarebbe meglio trovare un
posto per la notte, sta iniziando a farsi sera”.
“Principe,
Emilia non può continuare a viaggiare in carrozza, e anche
vostra sorella sembra averne a sufficienza per oggi” gli
rispose il ragazzo, al quale il giovane continuava a non piacere
particolarmente.
“Allora
cosa proponete?” lo istigò Cristiano, il conte
stava per rispondere, ma Emilia riportò i due alla ragione.
“Principe,
Martino, vi prego. Non è litigando che cambieremo la
situazione. – iniziò la ragazza, temendo uno
scontro tra i due, per poi rivolgersi alla bambina – Marise,
ti piacerebbe provare a guidare la carrozza con tuo
fratello?” La piccola annuì felice, di quella
nuova esperienza.
“Emilia,
sei sicura di riuscire a continuare?” le domandò
Martino.
La ragazza
sospirò:
“Martino,
Cristiano ha ragione. Non possiamo accamparci qui, nel bosco. Dobbiamo
trovare un riparo per la notte”. Il giovane conte non
rispose; si limitò ad aiutare la cugina a salire in
carrozza, e a raggiungerla, non prima di aver scoccato uno sguardo
gelido al compagno di viaggio.
Fortunatamente
dopo un paio d’ore raggiunsero un paesino, dove trovarono
ricovero per la notte.
Era ormai passata
quasi una settimana da quando il gruppo aveva lasciato Venezia, e una
nuova speranza rianimava gli animi stanchi dei quattro viaggiatori:
finalmente avevano superato il confine, e la prospettiva di arrivare a
Rivombrosa prima che facesse notte non sembrava più
un’utopia. Martino aveva spronato i cavalli, e la carrozza
procedeva speditamente verso la sua meta. Emilia
scostò la tendina e osservò fuori dal finestrino:
era bello rivedere le dolci colline piemontesi. Continuava a fissarle,
come se fosse la prima volta che le vedesse, affascinata dai colori dei
campi, non più brulli. Cristiano la osservava in silenzio,
stringendo tra le braccia la sorella addormentata.
“Così
tra poco sarai di nuovo a casa …”
iniziò Cristiano cercando di celare il velo di malinconia
che quella frase aveva in sé. Emilia si ritrasse dal
finestrino.
“Oh,
sì non vedo l’ora” esclamò,
non potendo fare a meno di aprirsi in un enorme sorriso, che le
illuminò il volto. Il ragazzo ne fu colpito: non
l’aveva mai vista così raggiante.
“È
la prima volta che ti vedo così” le
confessò il principe.
“Così
come?” domandò Emilia, sempre col sorriso tra le
labbra.
“Così
bella! La tristezza che c’era nei tuoi occhi a Venezia
è sparita” continuò il ragazzo. Emilia
si fece seria:
“A
Venezia ero lontana da casa, ed ero sola. Ora invece sto per tornare
dove ho vissuto i giorni più felici della mia infanzia,
è normale”. Cristiano sorrise,
contagiato dalla mite allegria della giovane. I due continuarono a
parlare finché la carrozza non rallentò fino
quasi a fermarsi. Emilia guardò fuori, un po’
preoccupata, non capendo bene il perché di quella sosta, e
davanti le apparve il cancello della tenuta, appena illuminato dalle
fiaccole. Un valletto, riconoscendo il conte alla guida,
aprì il cancello e li fece entrare.
Elisa Anna e
Antonio erano in biblioteca, cercando di ingannare quelle lunghe ore di
attesa, quando l’attenzione della contessa fu catturata dallo
scalpiccio degli zoccoli. Istintivamente si portò alla
finestra, rivivendo l’ansia e le speranze di quel Natale, che
le aveva tolto il marito. La coppia seguì con lo sguardo i
gesti della donna. Elisa si staccò improvvisamente dalla
finestra e si affrettò ad uscire dalla stanza e raggiungere
la scalinata. Il cuore le batteva all’impazzata,
all’idea che Martino fosse riuscito a riportare a casa la
cugina sana e salva. Anna e Antonio la seguirono, senza riuscire a
starle dietro.
La scalinata
interna del palazzo sembrava non finire mai, e attorno alla contessa
iniziavano ad aggirarsi i sussurri che il giovane conte fosse tornato.
Elisa arrivò sullo spiazzo proprio mentre il figlio smontava
dalla cassetta.
“Martino!”
esclamò. Il ragazzo le sorrise, e aprì lo
sportello della carrozza, porgendo la mano alla cugina per aiutarla a
scendere. Anna che era appena arrivata, non riusciva a trattenere le
lacrime a quella vista, e si affrettò ad abbracciare
finalmente la figlia. Terminati i primi abbracci, Emilia
invitò Cristiano e Marise a scendere dalla carrozza.
“Madre,
questi sono Cristiano e Marise” spiegò la ragazza.
I due fratelli vennero così introdotti
nell’atmosfera festosa del momento. Fu Martino che intuendo
la spossatezza della cugina, propose di entrare all’interno.
Nessuno obiettò, ed Elisa fece gli onori di casa, precedendo
gli altri. Giunti in biblioteca, la contessa fece accomodare gli ospiti
e la nipote. Emilia era molto pallida, e lottava contro la stanchezza
del viaggio.
“Giannina,
prepara un bagno caldo per la marchesina, e fai preparare anche la
camera degli ospiti - poi si rivolse a Cristiano e alla sorella - voi
desiderate qualcosa?” il ragazzo ringraziò della
cortesia, dichiarando di non avere particolari necessità.
Anna aveva occhi solo per la figlia, che sommergeva con assillanti
domande, alle quali Emilia non aveva il tempo di rispondere.
“Anna
lasciala respirare” le sussurrò
all’orecchio Antonio, poggiandole una mano sulla spalla.
Emilia scambiò uno sguardo di ringraziamento col medico. In
quel momento entrò Giannina ad annunciare che gli ordini
della contessa erano stati eseguiti. Cristiano, che si sentiva a
disagio in quella situazione, prese come scusa la tenera età
della sorella e si congedò. Emilia seguì la sua
cameriera, mentre Anna e Antonio si ritirarono; Martino stava per fare
altrettanto, ma Elisa lo trattenne.
“Martino,
sono fiera di te” gli disse commossa, strofinandogli un
braccio. Martino sorrise, e l’abbracciò. Poi si
fece serio:
“Elisa
devo parlarti. Avrei dovuto farlo da tempo, ma solo adesso, dopo tutto
quello che è successo ho capito cosa voglio
davvero”.
“Dimmi”
rispose Elisa sorpresa.
“Ho
deciso di chiedere ad Anna il permesso di frequentare Emilia, voglio
fidanzarmi con lei”.
“Un
fidanzamento ufficiale?” domandò presa di
sprovvista la donna.
“Sì,
Elisa, io l’amo e desidero che un giorno diventi mia
moglie” la contessa sorrise dolcemente.
“Non ti
sembra di correre un po’? Sia tu che Emilia siete
giovanissimi. E poi, lei cosa ti ha detto?”
“Non sa
ancora di questa mia proposta, volevo prima sapere se voi siete
favorevoli, ho già pronto tutto, e sono sicuro che lei ne
sarà felice …” la contessa non sapeva
cosa rispondere. Vedeva il figlio così sereno e sicuro della
sua decisione, che non poté che approvare.
“Sono
felice che tu ti sia innamorato, e se Emilia sarà lieta
della tua proposta, non sarò certo io a ostacolarvi, anche
se forse è meglio aspettare qualche giorno prima di
chiederlo ad Anna. Martino acconsentì. Elisa si
portò alla scrivania per comunicare al prefetto il
ritrovamento della nipote.
“Non
vai a dormire?” domandò il ragazzo.
“Tra
poco, finisco questa lettera per il prefetto, tu vai pure”
rispose.
“Allora
buona notte”.
“Buona
notte” il ragazzo stava uscendo, quando Elisa lo
richiamò, il giovane si voltò ancora sulla porta.
Elisa lo guardò con aria maliziosa:
“Stai
attento a non sbagliare camera”. Martino sorrise
divertito, e dopo averla “rassicurata” corse via,
proprio verso la camera della cugina.
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Capitolo 22 *** Capitolo XXII ***
Capitolo
cortino, spero sia comunque apprezzato, tutto incentrato sulla coppia
principale della storia. buona lettura
Arrivato davanti alla porta, il ragazzo esitò un momento,
ripensando alla battuta di Elisa, poi bussò.
“Avanti”
rispose la voce di Emilia. Martino aprì lentamente la porta,
facendo capolino con la testa dallo spiraglio. Emilia sorrise
timidamente, accostando i lembi della vestaglia.
“Posso?”
domandò ancora il ragazzo, entrando in punta di piedi nella
camera e chiudendosi la porta alle spalle. Emilia annuì e
fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo attraversò la camera,
sedendosi sul letto accanto alla cugina, che continuava a fissarlo,
piacevolmente colpita da quella visita.
“Ti ho
vista molto provata in biblioteca. Volevo sapere come stavi”
iniziò, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Il cuore
della ragazza batteva sempre più velocemente.
“Adesso
sto meglio” lo rassicurò, accarezzandogli il
volto. Martino si avvicinò per baciarla, ma Emilia si
ritirò. Il ragazzo la osservò sorpreso, stava per
chiedere spiegazioni, ma la cugina fece un cenno, per indicare la porta
aperta che comunicava con un’altra camera dalla quale
provenivano dei rumori. Poco dopo uscirono due donne,
portando con loro il necessario usato per il bagno della marchesina,
seguite dalla marchesa. Il ragazzo si alzò dal letto,
sperando che la zia non si fosse accorta di nulla, ma ad Anna non
sfuggì l’impaccio del giovane conte.
“Martino
cosa ci fai qui?” domandò.
“Volevo
vedere come stava Emilia” si giustificò il
ragazzo, che si sentiva colto in flagrante. Tuttavia la marchesa
preferì concentrarsi sulla figlia, piuttosto che sul nipote.
Le si avvicinò e posò le labbra sulla sua fronte,
come ad assicurarsi che non avesse la febbre, poi le domandò:
“Sei
sicura di non volere essere visitata da Antonio?”
“Madre,
state tranquilla, sto bene, sono solo stanca” la
rassicurò la giovane.
“Vuoi
qualcuno per la notte? In caso tu abbia bisogno?”
continuò la marchesa.
“Non ce
n’è bisogno, la mia cameriera dorme nella stanza
affianco. Se avrò necessità, chiamerò
lei. Vi prego, ora andate a riposare, domani sarà una
giornata densa di fermento, e nelle vostre condizioni avete bisogno
anche voi di riposo. Non mi perdonerei di avervi rubato tempo
prezioso”. Anna baciò la figlia sulla fronte.
“Buona
notte Emilia. Martino …”. La ragazza sorrise,
mentre il ragazzo fece un leggero inchino col capo. Quando Anna chiuse
la porta dietro di sé, i due ragazzi scoppiarono a ridere.
Martino balzò sul letto della cugina, che tentava di
soffocare il riso.
“Martino,
dovevi vederti!” disse divertita.
“Potevi
avvisarmi che c’era tua madre!” le disse il ragazzo
sottovoce, avvicinandosi al viso di lei.
“Non ne
ho avuto il tempo …” iniziò la cugina
con lo stesso tono usato dal giovane conte, poi lo colpì
scherzosamente con uno dei cuscini. Colto alla sprovvista, il ragazzo
accusò il colpo, ma si rifece in fretta, togliendole cuscino
dalle mani, e trasformando quel gioco in una dolce lotta corpo a corpo,
finché Emilia non si tuffò supina tra i cuscini,
e il cugino la sovrastò. Presto entrambi si fecero seri,
assaliti ancora una volta da quelle nuove emozioni, provate la notte
del loro incontro. Col fiato ancora corto, Martino fissò la
sua preda, prima di spostarsi. Una volta sceso dal letto
cercò di ricomporsi, con scarsi risultati. Emilia fece
altrettanto, ancora turbata da quello che era successo. Il ragazzo non
faticò a capire lo stato d’animo della fanciulla,
e cercò di recuperare la situazione che era sfuggita loro di
mano.
“Forse
è meglio che io vada …” Emilia avrebbe
voluto trattenerlo, ma non poté fare altro che annuire.
“Buona
notte”.
“A
domani” rispose lei. I due si separarono. La ragazza si mise
sotto le coperte e si addormentò poco dopo, vinta dalla
stanchezza che sembrava essersi nuovamente ripresentata tutta di colpo.
Nella sua stanza,
Martino, invece, faticò a prendere sonno. Ripensando a
quelle sensazioni, e al desiderio sempre più incalzante, che
la cugina gli suscitava.
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Capitolo 23 *** Capitolo XXIII ***
Il sole era
già alto a Rivombrosa, e al castello fervevano
già i preparativi per il giorno dopo, quando Emilia fu
svegliata dalla cameriera.
“Buon
giorno marchesina” disse, entrando nella stanza col vassoio
della colazione. Emilia si stropicciò gli occhi, ancora
riluttante ad alzarsi.
“Vostra
madre vi aspetta in cortile, quando sarete pronta”
spiegò la donna, porgendole una tazza di tè. La
ragazza bevve, e poi si fece aiutare a prepararsi. Mentre le venivano
pettinati i capelli domandò:
“Mio
cugino?”
“È
in giardino col vostro ospite e la sorella”.
“Grazie,
allora li raggiungerò subito” così
dicendo uscì dalla camera.
Elisa e Anna
stavano discutendo in giardino.
“Anna
vi vedo molto più serena adesso, ne sono felice”.
La marchesa sorrise.
“Sì,
vedere mia figlia mi ha rasserenata, e non riesco ancora a credere che
domani mi sposo” gli occhi della donna scintillavano.
“A
proposito di Emilia, ecco la damigella d’onore” la
contessa indicò la scalinata dalla quale stava scendendo la
ragazza, e le due donne le andarono incontro.
“Buon
giorno, Emilia, stavamo proprio parlando di te. Ci stavamo domandando
quando ti saresti decisa a uscire dal letto”
scherzò Elisa, la marchesina sorrise.
“Dopo
pranzo ci occuperemo del tuo abito, adesso godiamoci un po’
di tranquillità” propose la marchesa. La ragazza
accettò.
“Allora,
hai già trovato il cavaliere per domani?”
domandò Elisa accennando ai due ragazzi che stavano
sopraggiungendo. Emilia negò, un po’ imbarazzata.
“Bisognerà
rimediare al più presto - iniziò la contessa,
alzando leggermente la voce, in modo che i due giovani, ormai vicini,
la potessero sentire -Buon giorno Martino, principe” i due
ragazzi salutarono le donne, ma entrambi sembravano impacciati davanti
alla marchesina. Le due nobildonne si scambiarono uno sguardo divertite.
“Principe,
purtroppo ieri non ho avuto modo di invitarvi, ma sarei onorata che voi
domani partecipasse al matrimonio” esordì la
marchesa, Cristiano rimase sorpreso.
“Anche
vostra sorella, ben inteso parteciperebbe, potrebbe stare con Agnese e
Orsolina, non è vero Elisa?” continuò
la donna.
“Certo,
Anna, sembra che le due bambine siano già diventate
amiche”.
“Signora
marchesa, non posso farvi il torto di rifiutare il vostro invito -
esitò un secondo, poi si fece coraggio - spero di non
mancarvi di rispetto, se chiedessi a vostra figlia l’onore di
poterle fare da cavaliere …” continuò,
fissando la ragazza, attendendo una sua risposta. Emilia che fino a
quel momento aveva tenuto lo sguardo basso, quasi a evitare quello dei
due corteggiatori, sussultò a quella proposta.
Esitò cercando lo sguardo della madre, quasi a chiederle un
consenso. Anna acconsentì con un leggero movimento del capo,
la ragazza sorrise timidamente e accettò l’invito
del principe, sebbene avesse sperato che fosse il cugino a farle da
cavaliere. Martino era evidentemente contrariato da quella proposta, e
ancora di più dall’atteggiamento della cugina.
Elisa cercò di avvicinarsi al figlio, ma un suo sguardo la
bloccò. Il ragazzo non aveva bisogno di simili attenzioni,
avrebbe mantenuto la calma e sembrava disposto a giocare, almeno per il
momento, al gioco del principe; sicuro di avere ancora tutte le carte
vincenti per far cambiare idea alla cugina.
“Scusate
signora contessa, ma è appena arrivato il prefetto
Terrazzani, che chiede di essere ricevuto” li interruppe
Giannina.
“Grazie,
riferitegli che lo aspetteremo nel gazebo.” La cameriera
s’inchinò e poco dopo tornò con
l’uomo.
“Perdonate
il disturbo ma ho ricevuto la vostra lettera, e sono venuto ad
accertarmi personalmente delle condizioni della marchesina
Radicati” iniziò, dopo i saluti di circostanza.
“Vi
ringrazio prefetto, ma non dovevate disturbarvi tanto”
s’intromise Emilia. L’uomo continuò.
“Marchesina
comprendo che voi siate appena tornata, ma avrei necessità
di parlare con voi e con vostro cugino, in separata sede” la
ragazza esitò, non era ancora pronta per rivivere il
rapimento e la sua prigionia, ma sembrava che il prefetto non avesse
intenzione di desistere.
“Ammiro
la vostra solerzia, ma forse si potrebbe rimandare di qualche
giorno” cercò di mediare la marchesa.
“Mi
dispiace signora, non era mia intenzione crearvi disturbo, ma purtroppo
si tratta di questioni della massima importanza, posso solo aspettare
che la marchesina si riprenda dalla sorpresa di questa visita,
iniziando dal conte Ristori, nulla di più” rispose
il prefetto. La resistenza delle due donne era inutile, così
acconsentirono ai due interrogatori, che si svolsero a porte chiuse.
Emilia sembrava molto scossa quando uscì dalla stanza,
accompagnata dal prefetto, Anna le si fece subito incontro.
“Tesoro,
va tutto bene?” le domandò preoccupata, la ragazza
annuì:
“Non vi
preoccupate madre, ho solo bisogno di stare un po’ da
sola”.
“Come
preferisci”. Emilia si congedò dal gruppo, sotto
gli sguardi preoccupati dei presenti.
“Vado a
parlarle” ruppe il silenzio Martino, che fece per seguirla,
ma Elisa lo trattenne per un braccio.
“Martino
non è il momento” il ragazzo la guardò
con aria interrogativa.
“Ma
Elisa …” la donna non accennava a lascarlo.
“Ho
capito benissimo che Emilia non stava bene - disse a bassa voce la
contessa, per non farsi sentire dalla cognata - ma tutte queste
attenzioni la stanno soffocando, bisogna avere pazienza, prima o poi
sarà lei a raccontare cosa le è successo, ma deve
passare del tempo, i suoi ricordi sono ancora troppo
vividi”. Il ragazzo non era molto convinto, ma
almeno non tentò più di liberarsi dalla stretta
della madre.
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Capitolo 24 *** Capitolo XXIV ***
Finalmente
sola, Emilia si chiuse in camera. Era stanca di tutte quelle
attenzioni, di dover dare una giustificazione ad ogni suo minimo gesto;
le sue speranze venivano costantemente infrante, e
l’interrogatorio subìto poco prima le aveva fatto
riaffiorare quei ricordi che stava faticosamente tentando di
dimenticare. Si buttò sul letto, senza sapere cosa fare,
fissò il soffitto sopra di sé, rimanendo immobile
con la mente libera da ogni pensiero. Rimase così per
diverso tempo, finché non si decise a parlare con Elisa del
problema, forse più frivolo, ma ugualmente urgente: il
vestito per il giorno dopo. Arrivata alla stanza della zia,
bussò. La contessa stava parlando ancora con Martino, quando
la ragazza entrò.
“Scusami zia, non sapevo che eri impegnata”.
“Non ti preoccupare Emilia, la nostra conversazione
può aspettare, non è vero Martino?” il
ragazzo annuì alle parole della contessa, anche se la sua
attenzione era stata catturata dalla cugina.
“Elisa, sono venuta da te perché non volevo creare
altre preoccupazioni a mia madre per il matrimonio, ma io non ho un
abito da mettermi” confessò la ragazza, la donna
invece si sentì sollevata dalla natura del problema. A
quelle parole, Martino uscì dalla stanza.
“Non ti preoccupare Emilia, vedrai che troveremo una
soluzione - iniziò e aprendo il suo armadio
continuò - vorrà dire che ne sceglierai uno dei
miei, e lo sistemeremo”. Emilia gettò le braccia
attorno al collo della zia.
“Sapevo che potevo contare su di te!”
“Ora sono io che ti devo chiedere un favore”
iniziò la contessa.
“Qualunque cosa …”
“Per caso conservi ancora il tuo vestito giallo?”
la ragazza non capiva.
“Sì certo, ma …”
“Per la sorella del principe, non mi pare che siete arrivati
con molti bagagli al seguito …”.
“Elisa, come faremmo senza di te?”
esclamò la marchesina abbracciando ancora una volta la zia.
“Vado a prendertelo subito”.
“Quanta fretta Emilia, me lo darai dopo pranzo”.
“Come preferisci. È che sono così
emozionata per il matrimonio, che non vedo l’ora arrivi
domani …” le due giovani iniziarono a discutere e
fantasticare, come facevano quando Emilia era una bambina ed Elisa la
sua istitutrice.
Nel frattempo Martino aveva lasciato sul letto di Emilia un pacco,
guarnito con un grosso fiocco di seta bianco, e aveva fatto in modo che
la cugina fosse costretta a tornare in camera e si nascose, in modo da
non essere visto.
“Madre, mi stavate cercando?” esordì
aprendo la porta, e rimase meravigliata di trovare la camera vuota. La
sua attenzione fu catturata dal grosso pacco adagiato sul letto. Si
avvicinò e iniziò a scartarlo delicatamente,
quasi avesse paura di rompere la stoffa che, cedendo sotto le mani
della ragazza, svelava il corpino di un vestito. Emilia lo prese tra le
mani per osservarlo meglio: era un abito chiaro, con una fantasia
floreale azzurra e rosa, impreziosito da rifiniture in oro, pietre
preziose sul corsetto, e piccoli fiocchi sulle maniche a gomito. Emilia
si appoggiò il vestito addosso, ammirandosi allo specchio.
Nel frattempo il cugino era rimasto a osservarla in silenzio, felice
del risultato ottenuto.
“Allora ti piace?” domandò, rivelando la
sua presenza. Emilia sussultò ma subito tornò a
sorridere.
“Martino è magnifico, grazie!”
esclamò abbracciandolo, il ragazzo la baciò
dolcemente, poi la scostò da sé.
“Doveva essere il mio regalo per il tuo ritorno da
Parigi” iniziò il ragazzo.
“Ma tu non mi hai mai fatto regali per i miei ritorni a
Rivombrosa” gli fece notare, ingenuamente, la ragazza.
“Questo doveva essere un regalo speciale
–spiegò ancora Martino - ma ho sentito quello che
hai detto in camera di Elisa, così ho deciso di mostrartelo
prima, forza provatelo!” Emilia abbracciò ancora
il cugino, e in punta di piedi lo baciò sulla guancia, poi
corse nella camera accanto per cambiarsi, quando fu pronta
uscì. Era splendida: le guance ancora arrossate per
l’emozione e i capelli stretti solo da un nastro risaltavano
la sua bellezza semplice, e la sua eleganza le permetteva di indossare
con naturalezza quell’abito così raffinato.
Martino era senza parole.
“Allora? Cosa mi dici? ” domandò,
vedendo che il cugino non apriva bocca.
“Sei stupenda” la ragazza sorrise. In quel momento
entrò Elisa.
“Scusa Emilia, avrei dovuto bussare”
iniziò distrattamente la contessa, vedendo nella stanza i
due cugini scambiarsi un dolce bacio. I due si sciolsero. Emilia
ruotò su se stessa.
“Elisa, ti piace l’abito che mi ha regalato
Martino?”
“È magnifico, e ti sta d’incanto -
convenne la contessa - ma ora ci stanno aspettando per il
pranzo”.
“Mi cambio e arrivo subito”.
Martino stava per andare nella sala da pranzo, ma prima Elisa
lo chiamò nella sua stanza. Sembrava imbarazzata, e infatti,
non sapeva come avviare l’argomento:
“Elisa cosa succede?” la contessa si decise a
parlare:
“Non dovrei essere io a farti simili discorsi -
iniziò imbarazzata - tuo padre rimarrebbe stupito a sentirmi
dire una cosa del genere: non posso chiederti di stare lontano da
Emilia, e non voglio farlo, ma almeno cerca di non farti
beccare!”
“Elisa, noi non stavamo facendo nulla di male” si
giustificò il ragazzo.
“Lo so Martino, ma basta un nulla. Una porta chiusa porta con
sé tante di quelle voci, che solo la metà
basterebbe a rovinare la reputazione di una ragazza in età
da marito come Emilia”.
“Io ho sempre rispettato mia cugina, e non ho mai fatto nulla
che potesse danneggiarla, come dici tu”.
Elisa sembrava soddisfatta del ragazzo.
“Ti credo, ma ricordati che il mondo perdona le debolezze di
un gentiluomo, ma per una donna è diverso, basta un nulla
per esporla al disonore, e una volta che questo avviene, nulla
potrà redimerla agli occhi della società. Quindi,
ti prego di fare molta attenzione”.
Il resto della giornata passò serenamente, negli
ultimi preparativi. Antonio accompagnò Anna nella sua stanza
e dopo un lungo bacio si congedò.
“Cerca di riposare amore mio” la marchesa sorrise.
“Come vorrei che fosse già domani”
disse, stringendosi all’uomo che amava. Antonio sembrava non
volersene più andare, ma sapeva bene quali fossero le
tradizioni; e per quanto non fosse superstizioso, preferiva non sfidare
troppo la sorte. Anche il resto della casa era andato a coricarsi.
Emilia, nella sua stanza, non riusciva a prendere sonno, ancora
eccitata delle emozioni della giornata, e dalle aspettative di quella
futura. Quando fu sicura che tutto il palazzo si fosse ormai
addormentato, scivolò giù dal letto, si avvolse
nella vestaglia e andò nella stanza del cugino. La ragazza
non bussò, ma aprendo la porta rimase sorpresa di trovare il
ragazzo ancora sveglio.
“Emilia!” esclamò sorpreso.
“Non riuscivo a prendere sonno” ammise la ragazza.
“Nemmeno io, non riesco a perdonarmi di non averti chiesto di
poterti fare da cavaliere” spiegò il ragazzo. La
cugina lo abbracciò.
“Non c’è bisogno di scusarsi, ti sei
già fatto perdonare col vestito”. Stretta tra le
braccia del cugino, Emilia si sentiva sicura, al riparo da tutto e
tutti.
“Dormi con me questa sera” gli propose. Il ragazzo
si ricordava le parole della madre, ma i sentimenti avevano
più forza delle convenzioni sociali, così
accompagnò la cugina nella sua stanza.
I due erano nel letto della ragazza, dolcemente legati.
“Se Elisa o tua madre ci scoprissero ora, non credo sarebbero
molto comprensive” bisbigliò il ragazzo prima di
baciare la cugina. Emilia sorrise, e si strinse a lui.
“Non m’interessa cosa potrebbero dire se ci
scoprissero, voglio solo stare qui, con te”. Il ragazzo le
portò un braccio attorno alle spalle, Emilia chiuse gli
occhi, e cullata dal cuore e dalle braccia del cugino si
addormentò serena.
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Capitolo 25 *** Capitolo XXV ***
Anna si
svegliò all’alba. Non riuscendo a stare ancora a
letto si alzò e si affacciò alla finestra,
osservando il parco dove i servi stavano già preparando i
vari tavoli per il ricevimento. L’aria frizzante del primo
mattino la convinse a infilare la vestaglia. Inspirò a
fondo, cercando di calmarsi. Dalle cucine arrivavano i profumi dei
cibi. Dentro di lei il piccolo scalciava, Anna appoggiò la
mano sul pancione.
“Piccolo!
Anche tu sei felice che oggi sposo il tuo papà?”
domandò divertita. In quel momento, Bianca stava entrando in
punta di piedi, per non svegliare la contessa, portando
l’abito nuziale.
“Signora
contessa! Siete già sveglia?”
“Non
riuscivo a dormire” sorrise Anna.
“Se
volete vi porto la colazione, ma vi prego almeno sedetevi, non dovete
affaticarvi” la marchesa era troppo felice per controbattere.
Poco dopo la serva rientrò con la colazione.
“Ecco a
voi signora, torno dopo da voi, per aiutarvi col vestito”.
“Grazie
Bianca. Elisa?”
“Non
saprei signora, posso chiamarla se volete”.
“Non
importa, vai pure” Bianca uscì dalla stanza.
“Buongiorno
Anna!” salutò la contessa, entrando seguita da
alcune cameriere. La marchesa corse dalla cognata abbracciandola.
“Elisa,
sono così felice …”
“E si
vede, ma forza è ora di farci belle” la marchesa
annuì lasciando che le donne l’aiutassero col
vestito.
“Sei
bellissima” si compiacque la contessa, osservando i frutti
del loro lavoro. Anna si osservava allo specchio, non riuscendo a
credere che finalmente i suoi sogni si stessero avverando.
Antonio nella sua
stanza, aiutato da alcuni servi, si stava sistemando la giacca. Era al
settimo cielo, finalmente sposava la donna che amava, che aveva sempre
amato. Il passato ormai sembrava lontano, e finalmente nulla poteva
più opporsi al loro amore, nemmeno le convenzioni sociali
…
I suoi pensieri
vennero interrotti da Angelo.
“Signor
conte, è ora di dirigersi verso la chiesa, ormai staranno
arrivando i primi ospiti”.
“Signor
conte? - domandò l’uomo che riprese - preferisco
continuare a essere chiamato Antonio, o dottor Ceppi. Non ho bisogno
del mio titolo nobiliare”.
“Come
volete, ma sarà meglio raggiungere
l’abbazia”.
L’abbazia
era stata adornata a festa con ricche ghirlande floreali e altri vasi
di fiori, soprattutto rose bianche e rosa. Quando il conte
entrò, l’abate Van Necker gli venne in contro.
“Conte,
finalmente un matrimonio degno del vostro rango, sono felice di poterlo
celebrare”.
“Vi
ringrazio abate per la vostra disponibilità, sono certo che
Anna ne sarà felice” cercò di deviare
il discorso il medico. I due furono interrotti dall’arrivo di
Margherita.
“Antonio,
siete splendido! Sono sicura che Anna oggi sarà invidiata da
molte nobildonne” l’uomo fece una faccia strana.
“Ho
forse detto qualcosa che non va?” domandò
preoccupata la suora.
“No,
è che sono un po’ agitato …”
e nel frattempo scrutava tra gli ospiti che stavano
arrivando, accennando col capo ad una coppia di anziani
nobili che erano appena entrati. La donna capì subito.
“Non vi
siete ancora parlati?”
“No, mi
hanno riaccettato nella famiglia, ma ancora non perdonano quello che ho
fatto sedici anni fa”. Margherita gli strinse affettuosamente
un braccio.
“Oggi
è un giorno di festa, non deve essere condizionato dai
fantasmi del passato”.
“Hai
ragione” convenne l’uomo sentendosi più
sollevato.
“Madre,
siete bellissima” Emilia rimase immobile a osservare la
sposa, che fece cenno di avvicinarsi. Anna la strinse a se, poi la
scostò e la fece girare su se stessa.
“Anche
tu, cerca di non lasciare dietro di te una collezione di cuori
infranti” scherzò la donna, la ragazza sorrise.
“Ora
devo andare, Cristiano … il principe di Montesanto
– si corresse la ragazza - mi sta aspettando”.
“Allora
non far aspettare oltre il tuo cavaliere, ci vediamo in
chiesa” le due si abbracciarono ancora, prima che la
marchesina uscisse. Poco dopo Martino entrò nella stanza.
“Ecco
finalmente chi ti accompagnerà all’altare, e ora
in carrozza, non facciamo aspettare ancora il povero Antonio”
disse Elisa. Anna annuì e si appoggiò al braccio
del nipote.
La chiesa era
ormai gremita e un sommesso brusio ingannava l’attesa della
sposa. Per la circostanza, tutta la più antica
nobiltà piemontese si era raccolta nell’abbazia.
Antonio lanciava sguardi alla porta, nella speranza che si aprisse ed
entrasse la donna della sua vita. All’esterno si
sentì uno scalpiccio di zoccoli, il cuore
dell’uomo gli batteva forte in gola, dalla porta entrarono
Emilia col suo cavaliere ed Elisa che fece cenno al conte che la sua
attesa era quasi giunta al termine. All’esterno della chiesa,
Martino stava aiutando la zia a scendere dalla carrozza. Il volto di
Anna si era fatto serio, e teso. Arrivata alla porta fece un profondo
respiro e si appoggiò al braccio che il nipote le porgeva, e
i due iniziarono a camminare lentamente lungo la navata centrale.
Antonio sorrise raggiante nel vedere la sua Anna avanzare verso di lui,
radiosa. Martino consegnò la mano della zia in quella di
Antonio che la baciò. La marchesa sorrise, trattenendo a
stento l’emozione. I due s’inginocchiarono e la
cerimonia ebbe finalmente inizio. Per tutta la funzione, i due
innamorati continuarono a cercarsi con lo sguardo, fu l’abate
a richiamarli per la promessa.
“Marchesa
Anna, Luisa, Maria, Ristori, Radicati di Magliano, volete voi prendere
come vostro sposo il conte Antonio Ludovico Ceppi?” Anna
alzò lo sguardo, e fissò i suoi grandi occhi
castani in quelli dell’uomo che aveva al suo fianco.
“Lo
voglio” rispose con la voce rotta dall’emozione.
“E voi
conte Antonio Ludovico Ceppi, volete sposare la qui presente marchesa
Anna, Luisa, Maria, Ristori, Radicati di Magliano?”
“Lo
voglio” rispose l’uomo, senza esitazioni. I due
sorrisero felici mentre l’abate annunciava.
“Vi
dichiaro marito e moglie”
L’uomo
strinse a sé la moglie, e la baciò tra gli
applausi e le lacrime di commozione dei presenti.
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Capitolo 26 *** Capitolo XXVI ***
Il
parco di Rivombrosa ospitava un banchetto che la nobiltà
presente sembrava apprezzare in modo particolare. Gruppetti di dame e
cavalieri passeggiavano per il giardino, commentando la cerimonia, i
festeggiamenti, o semplicemente le ultime mode parigine e piemontesi.
Un’orchestrina suonava arie festose per intrattenere gli
ospiti, mentre la coppia di sposi si aggirava tra gli invitati per
controllare la situazione e per ricevere ancora auguri e felicitazioni.
Emilia al braccio del suo cavaliere, guidava il ragazzo alla ricerca di
amiche di collegio più grandi, che la ragazza non vedeva da
tempo. Martino la seguiva con lo sguardo, mentre accompagnava la madre.
Elisa si sentiva sempre a disagio a quelle grandi feste,
così preferì unirsi al prefetto Terrazzani e alla
signorina Benac, anche nella speranza di non farsi avvicinare da madame
Chevallier e dal medico personale di sua maestà, che
l’aveva indicata alla dama già alcune volte.
“Prefetto Terrazzani, mademoiselle”
esordì la contessa.
“Contessa Ristori è un piacere
rivederla” la salutò la borghese con un inchino.
“Vi prego alzatevi” fece la contessa.
“È che non sono abituata a partecipare a
ricevimenti simili …” si scusò la
giovane.
“Vi capisco mademoiselle, ma non preoccupatevi” la
rassicurò. La ragazza si strinse al braccio
dell’uomo che sorrise.
“Prefetto, sono molto felice che abbiate accettato
l’invito, signorina Benac” li salutò
Anna.
“Contessa Ceppi, siamo onorati di poter festeggiare con voi
questo momento, Juliette voleva complimentarsi per la magnifica
festa” rispose l’uomo. I festeggiamenti si
spostarono all’interno del palazzo, dove era stato preparato
un pranzo sontuoso, alla fine del quale tutti gli ospiti furono
invitati nella sala da ballo, dove fu portata la torta. Antonio prese
la moglie per le spalle, e insieme tagliarono il dolce, circondati
dall’applauso dei presenti. I due sposi si baciarono
nuovamente. Antonio domandò dolcemente alla moglie:
“Te la senti di concedermi questo ballo?” la
contessa iniziava a stancarsi, tuttavia non riuscì a
rifiutare la proposta del marito.
“Uno solo, però”. Antonio le
si inchinò davanti porgendole la mano, Anna
accettò, e si lasciò accompagnare al centro della
sala, dove il marito ordinò all’orchestra di
iniziare a suonare. La coppia aprì le danze, presto seguita
da Emilia e Cristiano e dagli altri ospiti. Martino guardava la cugina
volteggiare tra le braccia del ragazzo, e fremeva dalla gelosia, anche
se sapeva di essere impotente in quella situazione. Dopo alcuni balli
anche la coppia formata dal principe e dalla marchesina si
fermò, ed Elisa approfittò
dell’occasione per proporre alla nipote di suonare qualche
brano, per intermezzare le danze, e per consentire alla madre di
riposare un po’. La ragazza era titubante.
“Ma come Elisa! Suonare davanti ad un pubblico
così vasto? E poi … non sono in esercizio
…”
“Coraggio, Emilia sono convinta che ne sarai capace, e poi
potrebbe essere il tuo regalo di nozze a tua madre”. La
ragazza si fece vincere e così venne annunciata la sua
esibizione. La giovane fu accompagnata al clavicembalo, dove
iniziò a suonare un assolo. La bravura della ragazza
rapì gli astanti che l’ascoltavano compiaciuti. La
marchesina si esibì per più di
mezz’ora, esortata a continuare dagli applausi degli
ascoltatori. Quando ebbe finito, si inchinò e
tornò dal suo cavaliere. Le danze ricominciarono, ma questa
volta il cugino fu più rapido del principe a chiederle di
ballare e la ragazza accettò felice. Dopo le danze Emilia
accettò l’invito di Martino a passeggiare nel
parco, mentre gli altri ospiti uscirono sui balconi per assistere ai
giochi pirotecnici che chiudevano la serata. La ragazza stava
osservando lo spettacolo stretta al cugino, con la testa appoggiata al
suo petto.
“Come vorrei che questo momento durasse per sempre”
disse la ragazza. Il cugino annuì, mentre le accarezzava i
capelli che erano sfuggiti all’acconciatura.
“Emilia, ti devo parlare …”
iniziò, ma i due furono interrotti da Orsolina che
richiamava i due giovani all’interno, in quanto gli ospiti
chiedevano della giovane musicista per potersi complimentare
personalmente.
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Capitolo 27 *** Capitolo XXVII ***
Anna dormiva serenamente,
abbracciata all’uomo che aveva sposato. Antonio la
sorreggeva, inspirando il dolce profumo di quei boccoli castani, e
lentamente fece scivolare la mano lungo tutta la figura della moglie,
soffermandosi sul ventre, ormai gonfio. Sarebbe rimasto ore
così, immobile solo ascoltando il respiro della moglie e
sperando di sentire un qualche movimento del loro bambino. Essendo
medico era abituato a vedere donne gravide, ma ogni volta ne rimaneva
affascinato. Iniziò a baciarla dolcemente sui capelli, per
poi scendere sulla fronte. La contessa aprì gli occhi e
sorrise alle attenzioni dell’uomo.
“Buon
giorno amore mio, perdonami non volevo svegliarti” le
sussurrò, prima di baciarla nuovamente. Anna rispose ai baci
del marito.
“Come
ti senti oggi?”
“Abbastanza
bene” cercando di nascondere una smorfia per una contrazione
un po’ più violenta delle solite, ma ad Antonio
questo non sfuggì.
“Sembra
che sia impaziente di nascere” scherzò la donna,
guidando la mano del marito per fargli sentire i calci del piccolo, che
sembrava essersi svegliato anche lui.
“Ciao
piccolino …” sussurrò il medico al
pancione, baciandolo. Anna sorrise accarezzando i capelli
dell’uomo, fantasticando sull’avvenire del loro
figlio
“Se
sarà un maschietto sono sicura che sarà uguale a
te. Avrà i tuoi stessi occhi, e tu gli insegnerai
tutto, sarà il più bravo medico di Rivombrosa
… e di Torino anche!”. Antonio sorrise.
“Così
potrei diventare geloso …” scherzò
baciandola, poi si alzò.
“Devo
fare alcune visite questa mattina ”. Anna fece per alzarsi,
ma l’uomo glielo impedì.
“Tu
riposa ancora un po’, ti faccio portare la
colazione”.
“Ma
Antonio ...” cercò di ribattere la donna, ma
l’uomo non le diede il tempo
“Non
accetto storie, ieri è stata una giornata faticosa per
tutti, e tu hai bisogno di riposarti” disse, mentre le
sfiorava il viso con la mano. La contessa si arrese, e l’uomo
si preparò ed uscì dalla camera.
Antonio era in
biblioteca, seduto alla scrivania con lo sguardo preoccupato.
“Antonio,
come mai non sei dalla tua dolce metà?”
domandò allegra Elisa, poi notando la faccia del medico si
fece seria.
“Cosa
succede?”
“Niente
Elisa, è che sono preoccupato per Anna”.
“Sta
male?” domandò la donna.
“No,
è serena, e non vede l’ora di abbracciare nostro
figlio” la rassicurò il medico, Elisa gli mise una
mano sulla spalla.
“E
allora? Non vedo alcun problema”.
“È
il parto che mi preoccupa, Anna non ha avuto una gravidanza semplice, e
ho paura che possa andare storto qualcosa, non credo potrei
perdonarmelo”.
“Antonio,
sei un medico eccezionale, sono sicura che quando sarà il
momento andrà tutto bene”.
L’uomo
strinse la mano della donna, confortato da quelle parole sorridendo
“Grazie,
ne avevo bisogno”.
“Io
vado al capanno”.
“Va
bene Elisa, ma fai attenzione”.
“Stai
tranquillo, piuttosto, hai visto Martino?”
“È
partito questa mattina presto per Torino, ma non so altro”.
“Non
importa, grazie”.
A palazzo Van
Necker, Lucrezia aspettava l’arrivo della sua
“ospite”. Finalmente Gasparo entrò
seguito da uno scagnozzo della marchesa.
“Non
era voi che stavo aspettando - rispose asciutta la donna, che
continuò -dov’è la ragazza?”
“Signora
purtroppo è fuggita”.
“Fuggita?
- domandò sorpresa - mi state forse dicendo che una
ragazzina si è presa gioco di voi?”
continuò sprezzante.
“Signora
quando siamo arrivati a Venezia, il vostro figliastro la teneva come
sua ospite, e con loro c’era anche un altro giovane, e
abbiamo avuto la peggio” la marchesa si infuriò:
“Bastano
due bambini a crearvi dei problemi? Prima di tutto perché
avete permesso che Cristiano si interessasse tanto a quella ragazzina?
Dovevate controllarli, non lasciarli soli!”
“Signora
marchesa …” tentò di giustificarsi
l’uomo, ma la donna non gli diede
l’opportunità.
“L’altro
giovane, piuttosto chi era?”
“Non
saprei signora, sicuramente non era un volto conosciuto”.
Lucrezia era scocciata da queste inutili rivelazioni, aveva bisogno di
dettagli precisi
“Almeno
avete tentato di seguirli?”
“Sì
signora, abbiamo tentato di sorprenderli nei boschi vicino alla
città, siamo riusciti a ferire il giovane, ma li abbiamo
persi. Probabilmente si sono diretti verso la Francia o il
Piemonte” .
“Però
… non vi facevo tanto sagace” ironizzò
la donna, l’uomo non colse l’ironia e si
mostrò onorato del complimento.
“Ora
vattene, sparisci per sempre”
“Ma
signora marchesa … voi …”
“Ho
detto vattene non ho bisogno di uno come te. Forza sparisci”
“Gasparo,
fammi preparare la carrozza, è tempo di fare
un’altra visita a Rivombrosa”.
Emilia stava
ricamando nel salone, nell’attesa che il cugino tornasse. Le
parole della sera prima la rendevano inquieta. Cristiano
bussò, la ragazza alzò lo sguardo sorridente,
illudendosi, cercando poi di dissimulare la delusione abbassando lo
sguardo.
“Buon
giorno Emilia, spero di non avervi disturbata”.
“No,
Cristiano, cosa dite! - rispose cordialmente e appoggiando il tamburo
sul quale stava lavorando, continuò - Anzi, mi fa piacere
vedervi”.
“È
una magnifica giornata, ti andrebbe di fare una passeggiata nel
parco?” la ragazza esitò un momento, poi
accettò.
“Lasciatemi
il tempo di prepararmi e vi raggiungo”.
“Allora
ti aspetterò”.
I due stavano
passeggiando tra le siepi del giardino all’italiana quando
Cristiano iniziò a parlare:
“Non ho
più intenzione di andare a Torino, preferisco cercare
qualche proprietà qui vicino”.
“Davvero?
E perché questa scelta, se non sono troppo
indiscreta?”
“Semplice,
a Venezia ci sono troppi ricordi, qui invece nessuno mi conosce e
potrei rifarmi una vita, e poi la campagna piemontese non è
così noiosa come si vocifera”.
“Vorresti
dire che accetteresti di lasciare Lucrezia impunita?”
“No,
è continuando a vivere nella sua ombra che la lascerei
impunita. Non posso più fingere di essere soddisfatto della
vita che conduco” rispose Cristiano. Emilia rimase muta.
“Qualcosa
non va?” domandò.
“No,
stavo riflettendo sulle vostre parole …” disse la
ragazza al braccio del principe.
“Te ne
prego Emilia, non darmi del voi, mi fai sentire un estraneo”
la ragazza sorrise e acconsentì.
“Va
bene”.
“Qualcosa
di quello che ho detto sembra averti turbata”
osservò il principe
“In
realtà è il vostro … - la ragazza si
corresse - il tuo cambiamento”.
“È
merito tuo Emilia, mi hai aperto gli occhi - confessò -
Grazie a te ho capito che la vendetta non può essere lo
scopo di una vita” continuò.
“Sono
felice di sentirti dire questo” disse appoggiandosi al
braccio che il ragazzo le porgeva e riprendendo a camminare.
L’arrivo di una carrozza in lontananza interruppe la
tranquillità dei due. Emilia si voltò verso il
cancello, dal quale stava entrando la carrozza, e riconoscendo lo
stemma rabbrividì, cercando di nascondersi insieme al
ragazzo dietro alcuni cespugli vicino alla scalinata.
“Emilia
sarà qualche visita per tua madre …”
cercò di rassicurarla Cristiano, ma le parole gli morirono
in bocca riconoscendo la figura della matrigna che si stagliava sullo
spazio davanti allo scalone centrale.
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Capitolo 28 *** Capitolo XXVIII ***
“La
contessa Ristori?” domandò Lucrezia
“Mi dispiace signora marchesa, ma la signora contessa non
è in casa” spiegò Titta.
“Vorrà dire che aspetterò il suo
ritorno in biblioteca - rispose la donna con sufficienza - non
disturbatevi, conosco la strada” e si apprestò a
salire lo scalone centrale. Quando la servitù la vide salire
le scale rimase allibita: avevano ricevuto ordini precisi, e far girare
la marchesa, sola, per il palazzo sicuramente non era tra questi,
soprattutto in assenza di Elisa. Fu Bianca a prendere
l’iniziativa e ad avvicinarsi alla nobildonna.
“Signora vi serve qualcosa?” domandò un
po’ impacciata.
“Sì sto aspettando la tua padrona”.
“Temo siate stata male informata, la contessa Ristori
è uscita, penso vi converrà ritornare un altro
giorno” ritrovò la solita parlantina la cameriera.
“Ho già detto che non ho intenzione di andarmene,
e visto che sei così disponibile, nell’attesa
portami qualcosa da bere, sono certa che la tua padrona non ti
permetterebbe di accogliere così un ospite, sempre che si
possa chiamare una serva padrona”. La marchesa non si
lasciò sfuggire la possibilità di insultare la
sua rivale. Bianca non rispose e seguì la donna sino alla
biblioteca.
Elisa cavalcava spensierata tra i boschi di Rivombrosa.
Adorava il vento tra i capelli, sembrava suggerirle di continuare a
spronare Fedro, a correre, senza più pensieri, senza
più preoccupazioni. Gli incontri col marito, per quanto
nascosti e furtivi la rasserenavano, e quando era con lui
s’illudeva di poter ritornare indietro nel tempo, quando la
loro famiglia era unita e felice.
“Presto amore mio … - pensò - Presto
potremo vivere nuovamente insieme”. La promessa che si erano
fatti pareva così forte, che nulla sembrava potersi opporre.
Rassicurata, Elisa tornò a palazzo, dove la attendevano .
Entrò dalle scuderie, lasciando il cavallo a Titta che la
informò di quella visita indesiderata. Elisa
cercò di sistemarsi velocemente e salì in
biblioteca. Lucrezia la aspettava seduta. Quando la vide,
appoggiò la tazza che aveva in mano sul tavolino, senza
proferire parola, fissandola sprezzante.
“Finalmente ti sei decisa a tornare a palazzo”.
“Cosa vuoi Lucrezia?”
“Elisa, Elisa … dovresti aver imparato come si
trattano gli ospiti” continuò la marchesa
alzandosi e avvicinandosi alla contessa.
“Ma voi non siete un ospite gradito”
ribatté la ragazza, ritrovando quel suo carattere fiero e
indomito che la distingueva. La marchesa capì bene che la
contessa non si sarebbe piegata tanto facilmente, così
decise di cambiare metodi.
“Ammetto che la forzata vacanza di tua nipote è
stato un colpo basso, ma non sono certo venuta per scusarmi, piuttosto
a ricordarti le mie condizioni”.
“Non siete più in grado di farlo cara
marchesa”. Rispose la contessa con aria soddisfatta, poi
riprese:
“I vostri trucchi per ottenere qualunque cosa voi
vogliate, si erano già dimostrati inutili una volta, e
ancora adesso non hanno potere”.
“Io non ne sarei così sicura contessa
Ristori.” Elisa era stanca delle minacce della donna,
così decise di porre fine alla discussione:
“Adesso basta! Lucrezia, hai perso. E ora sparisci da casa
mia e dalla mia vita, se non vuoi finire il resto dei tuoi giorni in
prigione”. Così dicendo suonò un
campanello. Poco dopo apparve Bianca.
“Per cortesia, accompagna la marchesa alla
carrozza”.
“Con molto piacere signora contessa” rispose la
cameriera con un inchino. Lucrezia non accettava di essere stata
trattata in quel modo, cercò una rivincita, seppur minima.
“Ricordati che sei sola Elisa, e una serva da sola non
sopravvive nel nostro mondo. È questione di tempo
…”
“Ti sbagli Lucrezia, siete voi a essere rimasta sola. Io ho
una famiglia, e un popolo che mi vuole bene. Voi invece, potete dire
altrettanto?” La marchesa accusò il colpo e
uscì dalla biblioteca, sempre più decisa a
rivendicarsi del torto subìto.
“ Lucrezia hai
perso”.
Per tutto il viaggio in carrozza, le parole della contessa risuonarono
nella mente di Lucrezia. Era la prima volta che qualcuno si opponeva a
lei con tanta veemenza e determinazione, e soprattutto era la prima
volta che la marchesa rimaneva colpita dalle parole che le erano state
rivolte. Lucrezia era stata abituata, fin da bambina, a lasciare che i
gesti delle persone e commenti degli altri le scivolassero addosso.
Aveva imparato presto a chiudere le sue emozioni dietro una maschera,
ed era stata proprio questa sua abilità a favorirla nella
sua ascesa sociale. Man mano che la giovane ragazza aveva
affinato le sue arti, davanti a lei avevano iniziato ad aprirsi strade
sempre più attraenti. Ormai donna, la sua sete di prestigio
era aumentata, e con essa erano aumentati i compromessi ai quali era
scesa. Non si era mai rimproverata nulla: anche con Fabrizio in
carcere, condannato per omicidio, era riuscita a convincersi di essere
nel giusto. E ora, una serva riusciva a farla esitare, obbligandola a
guardarsi indietro.
La carrozza giunse a palazzo Van Necker. Gasparo si
affrettò a far scendere la sua padrona.
“ Io ho una
famiglia, e un popolo che mi vuole bene”.
Lucrezia si guardò attorno: nessun servo era venuto ad
accoglierla. Aveva sempre preferito il timore dei suoi sottomessi al
loro affetto. Credeva che questo le potesse garantire
fedeltà, ma si era dovuta ricredere. Forse l’unica
persona che le era rimasta veramente devota era stata Isabella,
finché lei non le aveva ordinato di uccidere Elisa. Neppure
Gasparo poteva considerarsi un servo fedele, non aveva mai disobbedito
a un suo ordine, ma la donna ben sapeva che questo era dovuto a
un’antica promessa, fatta alla marchesa sua madre.
“Siete voi ad
essere rimasta sola.”
Ancora una volta Elisa aveva ragione.
“Gasparo, fai preparare i miei bagagli. Si torna a
Venezia”.
Ordinò asciutta la donna, mentre l’uomo si
inchinava prima di eseguire gli ordini.
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Capitolo 29 *** Capitolo XXIX ***
Martino stava tornando
dalla capitale, cercando le parole più adatte per annunciare
la sua partenza. Era riuscito ad ottenere un’ulteriore
proroga, ma la data ultima concessa gli sembrava comunque troppo
vicina. E poi c’era sua cugina. Già come avrebbe
potuto reagire Emilia? Sapeva che la ragazza non glielo avrebbe mai
chiesto, ma lui era veramente disposto a rinunciare alla sua carriera
militare per lei, non rispettando la promessa fatta sulla tomba del
padre? Decise di andare dal suo caro amico, nella speranza di qualche
consiglio.
“Martino
che piacere vederti!” esclamò l’amico
ricevendolo.
“So che
tuo padre non vede di buon occhio le mie visite, ma è
importante …” iniziò a scusarsi,
Augusto lo interruppe:
“Non
voglio sentire queste scuse, sono io che decido le mie amicizie, e
prima o poi, anche lui lo capirà. Di cosa volevi
parlarmi?”
“Non so
che fare, Augusto, sono stato richiamato dall’esercito
francese. Devo partire entro tre settimane al massimo e non posso
più temporeggiare se voglio diventare ufficiale”.
“Non
vedo il problema, hai l’offerta di una brillante carriera
davanti a te, e credimi, hai anche le possibilità per farlo.
Torna in Francia e diventa quello che hai sempre sognato di
diventare”.
“Il
problema è che non sono più così
sicuro di ciò che voglio” ammise il giovane conte.
“È
la prima volta che ti sento parlare così. È forse
a causa di qualche fanciulla piemontese?” l’amico
aveva indovinato subito.
“Sì
- si lasciò scappare il ragazzo che cercò di
ritrattare - cioè no, no! Cosa vai a pensare!?!”
“Allora,
come si chiama il motivo della tua ritrosia a lasciare il
Piemonte?” lo incalzò l’amico.
“Nessuno!
Ti ho detto che non c’è nessuno”
replicò, ma con scarsi risultati.
“Martino,
ti si legge in faccia che sei innamorato! Allora, la conosco?”
“E va
bene, dato che insisti, ma non farne parola con nessuno. È
mia cugina”
“Lo
dicevo io che andavi spesso a trovarla al collegio!” sorrise
l’amico, contagiando anche Martino.
“Lei lo
sa?” domandò ancora Augusto.
“Sì,
cioè no, non ancora … ma di cosa stai
parlando?”
“Insomma
ti sei già dichiarato?”
“In un
certo senso sì, anche se non ufficialmente”.
“ Come
sarebbe a dire non ufficialmente? Martino sarai anche un ottimo
soldato, ma con le donne non sembri altrettanto bravo” lo
schernì l’amico.
“La fai
semplice tu che sei già fidanzato Augusto!”
“Non
credere che sia tutto rose e fiori. Il mio è un fidanzamento
voluto delle due famiglie, l’amore non c’entra. Ci
conosciamo da sempre, per me Annalisa è come una sorella, ed
è per questo che ho accettato di sposarla, inoltre la vita
militare non faceva per me. Tu invece hai classe. Non
sprecarla. Sono sicuro che Emilia capirà. Saint
Cyr non è poi così lontano
dall’accademia”.
“Saint
Cyr forse no, ma Rivombrosa sì. Temo che non voglia
più tornare in Francia”.
“Questo
complica le cose. Torna a palazzo e dille tutto. È
l’unica cosa che puoi fare, e magari puoi sempre tentare di
convincerla a riprendere gli studi no? “
“Forse
hai ragione, ma ora è meglio che vada, si è fatto
tardi”.
Emilia era
tornata nella sua stanza. Lo spavento di rivedere Lucrezia era passato,
ma qualcosa ancora la turbava profondamente. Erano emozioni nuove, che
non aveva mai provato prima. Ripensò ai discorsi di
Cristiano, al loro tempo trascorso insieme, e si accorse che il cuore
le batteva forte. Si guardò allo specchio e notò
che i suoi occhi brillavano, quasi come succedeva per il cugino. A
questo pensiero la sua confusione aumentava: a Parigi era abituata ad
avere corteggiatori che la riempivano di premure, ma nessuno era
riuscito a farle battere il cuore, non così almeno! E poi
era possibile che si fosse innamorata di due persone? No, era
impossibile, eppure tutto le sembrava provare il contrario. Si
alzò dalla sedia davanti al bodoir, e iniziò a
camminare nella stanza, cercando di calmarsi e riordinare i pensieri.
Aprì la finestra, e una lieve brezza le accarezzò
il volto. Inspirò a fondo l’aria di quel Maggio,
non ancora afoso e soffocante.
Le note del
clavicembalo risuonavano per i corridoi del palazzo. Martino sorrise,
indovinando chi fosse l’autrice, e infatti non si sbagliava:
Emilia era così intenta a dare voce alle sue emozioni che
non si era nemmeno accorta del nuovo spettatore. Il cugino
aspettò che finisse e le posò un dolce bacio sul
collo candido. La ragazza prima si ritrasse per la sorpresa, poi
voltatasi e riconoscendo il cugino, si strinse a lui.
“Sei
sempre più brava, potresti anche avere una carriera come
musicista” si complimentò il ragazzo.
“Non
scherzare, e poi non credo che mia madre sarebbe molto
contenta” disse, sciogliendosi dal cugino.
“L’altra
sera non sembrava”.
“Era
diverso, a proposito di ieri sera cosa volevi dirmi?”
“Nulla
- mentì il ragazzo, non trovando il coraggio - me ne sono
dimenticato, forse non era poi così importante
…” Emilia sembrava leggermente delusa ma
quell’espressione durò poco, e il piacere di
rimanere al fianco del cugino ebbe presto il sopravvento. I due
passeggiarono insieme in giardino, tra le varie siepi, negli angoli
più nascosti del parco, dove spesso avevano giocato a
rincorrersi, ma Martino era distante, assente.
“Martino!”
lo richiamò dolcemente la cugina. Il ragazzo non riusciva
più a mantenere quel segreto così pesante, ma
aveva paura della reazione di quella ragazza così forte e
contemporaneamente così fragile.
“Martino,
cosa ti succede?” domandò ancora la cugina. Il
ragazzo si fermò, inspirò profondamente cercando
le parole più adatte, senza avere il coraggio di guardare la
cugina negli occhi.
“Così
mi fai paura” ammise la giovane seria.
“Devo
partire” il conte alzò gli occhi fissandoli in
quelli della cugina che trovò solo la forza di domandare:
“Partire?”
domandò sorpresa la cugina.
“Tra
tre settimane. Sono stato richiamato in Francia”.
“Così
presto?” domandò ancora, con una nota di tensione
e rammarico nella voce.
“Purtroppo
sì, ho cercato un ulteriore permesso, ma purtroppo mi
è stato negato” spiegò il ragazzo
accarezzandole il volto ed asciugandole una piccola lacrima che le era
sfuggita.
“Emilia
ti prego non piangere, non ti sto dicendo addio, e se poi tu tornassi a
Saint Cyr, potremmo stare ancora insieme …”.
“Non
chiedermelo ti prego, non me la sento di ripercorrere quelle strade,
con l’angoscia che tutto potrebbe riaccadere”
disse, lasciandosi cadere tra le braccia del cugino, in cerca di
sicurezza.
“Perdonami,
volevo solo cercare una soluzione …”
cercò di scusarsi
“Forse
un’altra possibilità ci sarebbe, se tu
…” iniziò Emilia, ma il cugino la
zittì mettendole un dito sulla bocca.
“Ti
prego Emilia, non rendere tutto più difficile, ho
già preso la mia decisione” la ragazza si
staccò da lui, e lo fissò, ferita da quelle
parole, e senza dire altro si diresse verso il palazzo.
“Emilia
aspetta” cercò di trattenerla, ma la ragazza non
lo ascoltava, anzi accelerava il passo per allontanarsi da lui. Martino
riuscì a raggiungerla e tenendola per un braccio la
costrinse a voltarsi.
“Martino
lasciami!” disse fredda, cercando di liberarsi.
“E tu
ascoltami!” rispose il ragazzo, continuando a stringerla.
“Non
c’è più altro da dire, tu hai
già scelto, e pretendi che io ti segua!”
continuò a tono la ragazza, liberandosi, ma non trovando
più il coraggio di allontanarsi.
“Io non
pretendo nulla. Ma non devo rendere conto a te delle mie
decisioni” disse arrabbiato il ragazzo.
“Molto
bene! - replicò Emilia, che si era sentita morire a quelle
parole - allora possiamo chiudere qua la discussione”
così dicendo se ne andò, il ragazzo
provò ancora a fermarla, ma questa volta lei non si
fermò.
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Capitolo 30 *** Capitolo XXX ***
“Emilia non hai
quasi toccato cibo! Ti senti forse poco bene?”
“Non vi
preoccupate madre, è che questa sera non ho molto
appetito” spiegò la ragazza, abbassando gli occhi
ed evitando lo sguardo del cugino. Finita la cena si spostarono tutti
in salone, per continuare la serata, ma il clima solitamente sereno,
era guastato da uno strano silenzio dei giovani. Le solite
conversazioni, quella sera, non erano più animate dai
brillanti commenti della marchesina, e dagli sguardi complici che
scambiava col giovane conte. Martino dal canto suo tentava di
avvicinarsi alla ragazza, ma lei lo respingeva in ogni modo. Stanca di
quella situazione sempre più insostenibile e soffocante,
Emilia si congedò dal gruppo, accettando che il principe
l’accompagnasse fino alla camera. Elisa prese in disparte il
figlio.
“Martino
cosa è accaduto con Emilia?”
“Niente
Elisa, per favore …”
“Devi
averla fatta arrabbiare parecchio” continuò la
contessa ignorando le preghiere del figlio.
“E va
bene, abbiamo litigato. Ma ti giuro non volevo arrivare a
tanto” spiegò il ragazzo.
“Ti
credo, ma è meglio trovare un altro posto dove continuare a
parlare, seguimi” così dicendo Elisa lo
trascinò in camera sua e chiuse la porta. Martino
raccontò alla madre ciò che era accaduto.
“E
così vuoi partire” sospirò amaramente
Elisa, quando il ragazzo finì di parlare.
“Sì.
È una scelta difficile, ma l’avevo promesso a mio
padre …”.
“Martino,
se solo tu sapessi …” si lasciò
sfuggire Elisa.
“Sapessi
cosa?”
“Quanto
tuo padre è sempre stato fiero di te!” la donna si
asciugò una lacrima, commossa. Martino
l’abbracciò, stringendosi a lei, come faceva da
piccolo. Elisa gli accarezzò i capelli, continuando a
stringerlo a sé e sussurrandogli:
“Non ti
preoccupare, vedrai che Emilia capirà, dalle solo del
tempo”.
“Lo
spero Elisa, lo spero!”.
I giorni
passavano, ma tra i due ragazzi la situazione non sembrava appianarsi.
Da parte sua Cristiano, cercava di approfittare della situazione,
soprattutto dopo avere scoperto della ormai prossima partenza del conte
Ristori. Il principe portava spesso la marchesina nelle sue ricerche di
una nuova abitazione, dal canto suo Emilia, accettava gli inviti del
principe per allontanarsi dal cugino, ma senza risultati. Quel
pomeriggio Martino aveva invitato Cristiano in una battuta di caccia,
ed Emilia era in cortile con Elisa, Orsolina e le due bambine. Nel
frattempo Antonio era appena tornato da Anna.
“Contessa
Ceppi” la salutò, chiudendole la bocca con un
dolce bacio “Come state?” domandò
accarezzandole il pancione.
“Bene -
sorrise - ma sono stanca di rimanere nel palazzo”.
“Amore
mio, lo sai che non devi affaticarti” iniziò
Antonio. Anna lo fissò con gli occhi supplicanti.
“Almeno
una passeggiata nel parco” l’uomo non riusciva a
resisterle e accettò.
“E va
bene! Hai vinto tu, ma promettimi che appena inizi a stancarti
torniamo”. Anna lo baciò, felice del permesso
accordatole.
“Te lo
prometto” e appoggiandosi al braccio del marito
iniziò a percorrere il corridoio.
La coppia stava
scendendo le scale, quando Anna si strinse al marito portando con un
gemito la mano sul pancione.
“Anna!”
esclamò preoccupato l’uomo, la contessa lo
guardò negli occhi:
“Antonio
riportami in camera” domandò con il fiato corto.
“Mamma
guarda sta arrivando anche la zia! - esclamò felice Agnese,
indicando verso il palazzo - Ma perché sta tornando
indietro?” domandò ancora. Elisa si
voltò e vide Antonio sorreggere la moglie, mentre
l’aiutava a rientrare.
“Non lo
so tesoro, torna a giocare con Emilia.” Rispose la contessa,
allontanando la figlia, e ritornando a sua volta verso il castello.
“Anna,
Antonio …” esordì Elisa raggiungendo la
coppia.
“Elisa
chiama Amelia, e fai portare dell’acqua bollente”
l’anticipò il medico, alzando per un attimo gli
occhi dalla moglie. Elisa obbedì, e corse subito alla
ricerca dell’anziana governante. La trovò in
cucina assieme a Giannina e Bianca.
“Amelia,
Antonio ha bisogno di te, Anna ha le prime doglie. Bianca fai bollire
dell’acqua, e tu Giannina vai da Orsolina in giardino e dille
di portare le due bambine da mia madre al borgo”.
“Ma
Elisa … il principe cosa dirà?”
obiettò timidamente la cameriera.
“Se vi
chiederà qualcosa, ne risponderò io
personalmente. Ma sono troppo piccole per rimanere a palazzo”.
“Come
volete” così dicendo la cameriera uscì
e presto raggiunse il gruppetto di donne che era in cortile, si
avvicinò alla giovane istitutrice, la trasse in disparte e
le riferì quanto le era stato ordinato. Subito la ragazza
prese per mano le due bambine, e congedatasi dalla marchesina le
portò verso le scuderie con la scusa di una nuova avventura.
Giannina stava per rientrare, quando Emilia la fermò:
“Giannina
cosa sta succedendo?” domandò la ragazza
preoccupata.
“La
vostra signora madre sta per partorire, signorina”
spiegò la cameriera. Emilia non le lasciò il
tempo di aggiungere altro, che iniziò a correre verso la
camera della madre.
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Capitolo 31 *** Capitolo XXXI ***
“Madre!”
esclamò la ragazza correndo verso il letto, dove la donna
era distesa. Anna le accarezzò il volto, cercando di
rassicurarla
“Piccola!
Va tutto bene, presto sarai una sorella maggiore” disse,
soffocando un lamento.
“Madre!”
gridò ancora la ragazza, prendendole la mano che stringeva
convulsamente il lenzuolo sottostante.
“Elisa,
accompagnala fuori” le domandò Antonio, che nel
frattempo aveva indossato il camice, e stava preparando tutto
ciò che gli sarebbe potuto tornare utile.
“Vieni,
Emilia” disse dolcemente la zia, prendendola per le spalle,
sollevandola di peso e accompagnandola fuori.
“No, io
voglio stare con lei …” protestò la
ragazza.
“Non si
può, tu aspetta qui e prega per lei” le
spiegò la contessa, facendola sedere su una panca in legno,
proprio davanti alla stanza della madre. In quel momento i lamenti di
Anna si fecero più forti, ed Elisa rientrò nella
stanza.
Era ormai calato
il sole quando i due giovani rientrarono dalla battuta di caccia, e si
stupirono di non trovare ad attenderli nessuno.
“Scusate
signor conte …” iniziò Titta, Martino
lo bloccò.
“Ordina
in cucina di farci portare qualcosa da mangiare nella sala da
pranzo”.
“Veramente
signor conte, le donne sono tutte da vostra zia, temo dobbiate
aspettare che nasca vostro nipote prima di poter mangiare
…”
“E le
bambine con chi sono?” domandò il principe.
“La
contessa Ristori ha ordinato fossero portate al borgo”.
“Al
borgo?” domandò perplesso il ragazzo.
“Sì
signore dalla madre della contessa Ristori, se volete vi ci
accompagno”.
“Molto
bene, allora al borgo” fu la risposta del principe mentre
risaliva a cavallo. Martino salì al secondo piano, e
attraversò quasi tutto il corridoio, illuminato dalla luce
delle candele. Man mano che si avvicinava alla camera della zia, le
urla si facevano sempre più forti.
Emilia aveva
perso la cognizione del tempo. Non sapeva più da quanto sua
madre fosse chiusa in quella stanza, e da quanto tempo lei scorresse il
rosario tra le dita, recitandolo sommessamente e fremendo a ogni rumore
che proveniva dalla stanza. Martino osservò la cugina, e lo
sguardo cadde sulla piccola croce di legno che la ragazza aveva fatto
montare sul rosario di ametista. Il ragazzo sorrise, riconoscendo il
crocefisso che aveva donato ad Elisa, quando era in carcere.
“Emilia”
la chiamò sedendosi accanto a lei. La ragazza lo
guardò per un istante, poi spostò lo sguardo,
continuando a pregare. Il ragazzo non si diede per vinto, e le prese
una mano tra le sue. I due rimasero immobili, finché un
grido di Anna più forte degli altri, li fece sussultare
entrambe, ed Emilia scappò via terrorizzata.
Nella camera
della marchesa, le donne si affaccendavano, facendo la spola con la
cucina. Elisa asciugava il sudore della cognata, cercando di
alleviarle, almeno in parte, il travaglio, e continuava a cercare lo
sguardo di Antonio, che tuttavia, rispecchiava le sue stesse
preoccupazioni. Improvvisamente l’uomo si alzò e
si avvicino ad Amelia:
“Amelia,
mandate qualcuno a cercare una balia, temo che Anna non
potrà occuparsi fin da subito del bambino” le
disse a bassa voce, lanciando uno sguardo verso il letto della moglie,
in preda ad una nuova contrazione.
“Come
volete …” così dicendo la donna
uscì, alla ricerca di Bianca. Elisa, che non aveva perso la
scena, fece cenno a Giannina di sostituirla.
“Arrivo
subito” cercò di tranquillizzare la cognata,
mentre passava la sua mano in quella della serva.
“Antonio
…” la contessa non ebbe il coraggio di terminare
la frase, ma il medico non aveva bisogno di altre parole.
“Qualcosa
non va, parti così lunghi sono rari. Però non
bisogna allarmarla, è la cosa peggiore. Bisogna aspettare
ancora, per adesso non possiamo fare altro”. Elisa
annuì, e tornò da Anna.
“Elisa
dimmi la verità” esclamò la contessa,
afferrando il braccio della cognata “Sto per
morire?” domandò con un filo di voce.
“Ma no
Anna, non devi dire così” rispose la contessa,
passandole un panno umido sulla fronte.
“Se
dovesse capitarmi qualcosa …” iniziò la
contessa.
“Anna,
andrà tutto bene, stai tranquilla”.
“Se
dovesse succedere - continuò la donna- promettimi che ti
prenderai cura di Emilia, e di Antonio, e anche di questo piccolo,
digli che li ho sempre amati, e che li amerò per sempre
…”.
“Non ce
ne sarà bisogno, glielo dirai tu stessa”
cercò di convincerla la cognata, ma la voce tradiva la sua
paura.
“Promettimelo”
esclamò ancora una volta Anna, prima di essere nuovamente
sopraffatta dal dolore.
“Te lo
prometto” si arrese la contessa, cercando aiuto in Antonio,
che si era nuovamente avvicinato al letto.
Emilia si
fermò ansimante al parapetto dello scalone. Lo sguardo
offuscato dalle grosse lacrime era perso nel vuoto. La ragazza cercava
di riprendersi, ma le grida della madre sembravano perseguitarla.
Martino esitò prima di raggiungere la cugina.
“Emilia
…” la ragazza si voltò, asciugando
alcune lacrime che le rigavano il viso, e si gettò tra le
braccia del cugino, che titubante, la strinse a sé, cercando
di calmare il pianto della giovane. Finalmente i dolci baci del
ragazzo, sembravano aver ottenuto il loro scopo. Emilia aveva smesso di
piangere.
“Martino
perdonami per l’altro giorno, io non pensavo veramente quello
che ho detto” iniziò la ragazza, trovando la forza
di alzare il volto, e fissarlo negli occhi.
“Sei tu
che devi perdonarmi, non dovevo forzarti a seguirmi in
Francia” rispose il cugino, baciandola nuovamente sulla
fronte, Emilia sorrise debolmente.
“Sarà
meglio rientrare, l’aria della notte è ancora
fredda”.
“Stammi
vicino, ti prego” gli chiese la cugina.
“Se tu
lo vorrai, non ti lascerò nemmeno per un secondo”
fu la risposta del giovane.
“Coraggio
Anna, ci siamo quasi, un ultimo sforzo…”
esclamò Antonio. La moglie ormai era allo stremo delle forze.
“Forza
Anna, ora devi aiutarlo a nascere …” gli fece eco
Elisa. Il medico annuì, segno che le parole di Elisa stavano
portando i loro frutti. Le grida della donna smisero, e per un attimo
la tenuta sprofondò nel più profondo silenzio:
sembrava che tutta Rivombrosa fosse in attesa. Poco dopo il vagito di
un bimbo, prima debole, poi sempre più deciso,
riempì l’aria. Antonio avvolse il piccolo con mani
tremanti.
“È
un maschietto” sorrise commosso porgendolo ad Anna. A quelle
parole il dolore provato svanì. La donna lo strinse al seno,
piangendo di gioia, mentre l’uomo le accarezzava i capelli
sudati, e continuava a baciarla.
“Ora
questo piccolino deve farsi bello” iniziò Antonio,
porgendo il piccolo a Elisa, che lo portò
nell’altra stanza per lavarlo.
Emilia era
stretta a Martino. Le grida della madre ormai sembravano fare da sfondo
alla sua attesa.
“È
tutta la notte che è in quella stanza, ho paura”
singhiozzò la ragazza Martino la zittì:
“Ascolta
…” dalla porta il pianto di un neonato si fece
sempre più distinto. La marchesina, sfogò la sua
tensione scoppiando in lacrime, e bagnando ulteriormente la camicia del
cugino.
“È
nato!”
“Sì,
è nato” le rispose Martino, cercando le labbra
della cugina e baciandola con trasporto.
“Amore
mio sei stata bravissima” disse Antonio sedendosi accanto
alla moglie, non staccando il suo sguardo da lei. La donna sorrise
stancamente, abbandonandosi tra i cuscini.
“Sei
bellissima” continuò, baciandola nuovamente sulla
fronte. Anna si era abbandonata completamente alle carezze del marito,
quando Elisa rientrò col nuovo nato.
“Questo
piccolino vuole conoscere la sua mamma e il suo papà
…” sorrise, dandolo alla cognata.
“Come
lo chiamiamo?” domandò Antonio che già
immaginava il nome che la moglie gli avrebbe dato.
“Eugenio”
sorrise Anna.
“Eugenio?”
domandò sorpreso il marito, che si aspettava Fabrizio.
“Sì.
Conte Eugenio Federico Clemente, Ceppi. Non riuscirei a chiamarlo come
lo zio” sorrise amaramente, ma le bastò vedere
quel frugoletto che aveva attirato nuovamente l’attenzione su
di sé, per ricacciare i brutti pensieri.
Elisa
uscì e chiamò i due giovani.
“Emilia,
vieni” la invitò a entrare. La ragazza si sciolse
dal cugino, che timidamente mosse qualche passo verso la porta.
“Martino
entra anche tu”. I due giovani si fermarono sula porta.
Quando Anna vide la figlia, le fece cenno di sedersi accanto a lei, e
la ragazza obbedì stringendosi alla madre, e sfiorando una
manina del fratellino.
“Lui
è Eugenio, e questa invece è tua sorella
Emilia” li presentò la donna. Martino si strinse a
Elisa.
“Avevi
ragione tu. Bisognava avere pazienza” bisbigliò il
ragazzo all’orecchio della madre. Fuori la luce
dell’alba iniziava a illuminare la tenuta, annunciando il
nuovo giorno.
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Capitolo 32 *** Capitolo XXXII ***
Nel capanno Fabrizio era
irrequieto: aveva aspettato la sua dea per tutta la notte, ma lei
sembrava essersi dileguata nel nulla, e viste le prime luci del sole,
l’uomo temeva che potesse esserle accaduto qualcosa. Si era
ormai deciso a cercarla, quando la porta del capanno si
aprì, e apparve lei, bellissima: il volto stanco per la
notte appena passata, era arrossato per la corsa a cavallo.
L’uomo le corse incontro e la strinse a sé.
“Ti
aspettavo questa notte - esordì baciandola sul collo - dove
sei stata?” domandò l’uomo.
“Anna
ha avuto un maschietto” spiegò la giovane
stringendosi al marito.
“È
meraviglioso! E come stanno?”
“Il
parto è stato complicato, ma stanno bene, tutti e due.
Antonio è al settimo cielo”.
“Lo
credo bene! Non vedo l’ora di poter vedere il piccolo conte
…”
“Fabrizio
… - iniziò Elisa titubante – temo
dovrai aspettare ancora”.
“E per
quale motivo?” domandò l’uomo sorpreso.
“Ho
paura per Agnese. E poi anche Martino come potrebbe reagire? Tra pochi
giorni vuole tornare in Francia e non sono ancora riuscita a
parlargli” spiegò la contessa, lasciandosi cadere
sulla cassapanca di legno e fissando lo sguardo del marito, che
rimaneva muto.
“Vuoi
dire che preferisci lasciarli senza un padre?”
“Fabrizio
ti prego. Sai che non ho detto questo. È solo che non posso
portare quello che per mia figlia è uno sconosciuto in casa
e dirle cara, questo è tuo papà, quello che per
sei anni sei andata a trovare di fronte ad una lastra di marmo. Se solo
Martino potesse mediare, ma è cambiato. Ormai è
un uomo e temo che sia tardi”. Elisa sospirò,
sopraffatta dai ricordi degli ultimi anni. Fabrizio la strinse a
sé, senza dire nulla, Elisa appoggiò il volto
sulla spalla del marito che continuava a rimanere in silenzio.
Anna riposava
nella sua stanza, costantemente sorvegliata da Antonio che non la
lasciava un secondo. Il sonno della contessa sembrava tranquillo, e
l’uomo si concesse qualche minuto di riposo sulla grande
poltrona di broccato accanto al letto. Si era appena assopito quando
entrò Amelia.
“Signore”
lo svegliò. Antonio aprì gli occhi a fatica.
“Cosa
c’è Amelia?” domandò ancora
assonnato.
“Perdonate,
ma è arrivata la balia che avete chiesto. Sta aspettando in
biblioteca - poi fissò la sua padrona – La signora
come sta?”
“Riposa,
ma temo che abbia un filo di febbre, e la cosa non mi piace”
ammise il medico, sfiorando la fronte della moglie con un dolcissimo
bacio.
“Volete
che porti delle pezze bagnate?” propose l’anziana
balia.
“Grazie
Amelia.” Mentre il conte si sistemava, la donna
tornò con delle pezze e dell’acqua fredda.
Emilia era seduta
sul letto, ad osservare il fratellino, si protese in avanti
prendendogli la manina e iniziando a giocarci:
“Hai
visto come è piccola?” domandò
girandosi verso Martino che la osservava, appoggiato alla finestra. Il
ragazzo sorrise, portandosi alle spalle della giovane.
“Devo
iniziare a essere geloso di mio cugino?” scherzò
cingendo la vita della ragazza con una mano, e tirandola verso di
sé.
“Credo
proprio di sì” rise la ragazza, che sbilanciata
dal ragazzo, ricadde tra le sue braccia, alzando lo sguardo per vederlo
in faccia. Martino sorrise a sua volta, baciandola sul collo. Il
piccolo Eugenio, rimasto escluso, iniziò a richiamare su di
sé l’attenzione con piccoli urli. Emilia si
voltò verso il fratello, e iniziò a cullarlo. Il
piccolo si tranquillizzò presto.
“Hai
capito il piccolino? - sorrise la ragazza, voltandosi verso il cugino -
è già geloso della sorella”.
“E come
dargli torto …” rispose il ragazzo. In quel
momento Antonio bussò alla porta.
“Avanti!”
esclamò Emilia, mentre Martino si alzava dal letto.
“Emilia,
è arrivata la balia, scenderesti con Eugenio?”
“Io?”
domandò stupita.
“Credevo
ti facesse piacere conoscere chi alleverà tuo
fratello” spiegò il medico.
“Certamente,
ma credevo che se ne sarebbe occupata mia madre”
continuò lei, mentre prendeva il bambino tra le sue braccia.
“Non
devi preoccuparti, appena si sarà rimessa, Anna
potrà occuparsi di lui, se lo vorrà” la
rassicurò Antonio, mentre uscivano dalla stanza.
Nella
biblioteca una giovane donna si stava guardando attorno, meravigliata,
posando lo sguardo su ogni piccolo oggetto che si trovava nella sala, e
cercando di sistemare il povero vestito, sperando di fare una buona
impressione.
“Angelica,
sono felice di vedervi, come state?” domandò
Antonio, riconoscendo la contadina.
“Bene
signore” rispose la donna con un inchino.
“E
vostro figlio a chi lo avete lasciato?” la ragazza
abbassò la testa.
“Mio
padre mi ha costretta a lasciarlo in convento signore, dice che sia
già difficile dare in moglie una figlia senza che questa sia
madre …”
“Perdonatemi,
non sapevo”.
“Siete
voi che dovete scusarmi signore, io sono stata chiamata qui, e non so
fare altro che lamentarmi”.
“Non
parliamone più, allora” tagliò corto
Antonio. La ragazza annuì e si inchinò nuovamente.
Antonio fece
cenno a Emilia di avvicinarsi.
“Questa
è la marchesina Radicati, e questo suo fratello, il conte
Eugenio Ceppi” disse indicando la ragazza e il neonato che
aveva in braccio. La nuova balia accennò a un segno di
saluto a Emilia che contraccambiò.
“Voi vi
prenderete cura di mio figlio, e se mia moglie deciderà di
occuparsene personalmente, voi potrete diventare la dama di compagnia
di Emilia, sempre che lei lo desideri” la marchesina si
voltò di scatto verso l’uomo, sorpresa.
“Vi
ringrazio signor conte” riprese la balia, mentre Emilia le
porgeva il bambino.
“Venite,
la vostra camera è stata preparata vicino alla mia,
seguitemi ve la mostro.” Così dicendo Emilia
lasciò la biblioteca, seguita da Angelica.
La notte era
finalmente scesa e tutti gli abitanti di Rivombrosa erano tornati nelle
loro case per godere del meritato riposo dopo la dura giornata di
lavoro. Anche la tenuta sembrava riposare al chiarore lunare. Al suo
interno, però non tutti erano riusciti a prendere sonno.
Martino continuava a rigirarsi nel letto, sapendo che ormai la partenza
era prossima, e che il ritorno del principe a palazzo non gli avrebbe
concesso molti momenti in disparte con la cugina. Rinunciando a un
nuovo tentativo di riaddormentarsi, il ragazzo si avvolse in una
vestaglia da camera e uscì lungo il corridoio, alla volta
della stanza di Emilia, dove immaginava di trovarla addormentata.
Arrivato davanti alla stanza, abbassò delicatamente la
maniglia e spinse la porta, attento a non fare rumore. La stanza era
rischiarata dal lume di una candela, appoggiata sul comodino vicino al
letto, perfettamente intatto. Il ragazzo, sorpreso, volse lo sguardo
per la stanza, e vide la figura della cugina, a piedi nudi davanti alla
finestra aperta. Emilia stava fissando le stelle, quasi a cercare le
risposte alle sue domande. Martino le si avvicinò cingendole
la vita col braccio stringendola a sé, e inspirando la sua
fragranza delicata. Emilia si voltò di scatto, spaventata.
“Martino
cosa ci fai qui?” sorrise, cercando di riprendersi dalla
sorpresa. “Dovresti essere nella tua stanza
…” continuò maliziosamente, abbassando
ancora la voce, senza però sciogliersi
dall’abbraccio del giovane.
“Anche
tu non dovresti essere alla finestra ...” rispose a tono il
ragazzo, sfiorandole il collo con le labbra. Istintivamente la
marchesina si ritrasse da quel contatto.
“Ma se
lo desideri …” disse accennando ad andarsene.
“Martino
aspetta! - esclamò la cugina, quasi rincorrendolo -
Aspetta” ripeté ancora. Il ragazzo si
fermò. Emilia si accinse a chiudere a chiave la porta, in
modo che nessuno sguardo indiscreto avesse potuto sorprenderli. Tra i
due calò il silenzio.
“Non
riesci a dormire?”
“No!”
rispose sinceramente il ragazzo, raggiungendo la cugina che si era
seduta sul letto.
“Perché?”
domandò.
“Pensavo
a te” ammise il ragazzo. Emilia si sentì lusingata
e confusa da quelle confessioni, abbassò il viso, per
nascondere un leggero rossore che sentiva aumentare.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato?” domandò Martino,
scostandole una ciocca di capelli. Emilia scosse la testa sorridendo.
Martino le si avvicinò e le posò un leggero bacio
sulle labbra, aspettando la reazione della cugina, che cercò
nuovamente le labbra del cugino. Il ragazzo fece scivolare una spallina
della camicia di lei, scoprendone la spalla candida. Lei lo
lasciò fare, sciogliendogli il nodo della vestaglia. Ben
presto i due si trovarono divisi solo dalla leggera camicia della
giovane. Martino iniziò a baciarle il collo, inebriato dal
dolce profumo di quella ragazza, pronta a diventare donna.
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Capitolo 33 *** Capitolo XXXIII ***
Emilia
sorrise al nuovo giorno, ma quando si accorse
che il cugino non era più accanto a lei, si alzò
di colpo, temendo che gli
avvenimenti della notte precedente avessero potuto, in qualche modo,
anticipare
la sua partenza. Indossò rapida la sua veste da camera e
uscì nel corridoio,
incurante degli sguardi perplessi della servitù.
“Signorina Emilia, cosa ci fate in giro con gli abiti da
notte?” domandò Bianca.
La ragazzina non rispose, incerta sul da farsi.
“Devo parlare con mio cugino -spiegò, cercando di
oltrepassare la cameriera - è
urgente”.
“Vostro cugino è in salone, con vostra zia, ma se
mi permettete, sarebbe meglio
che prima vi vestiate”. La ragazza acconsentì e
poco dopo uscì nuovamente dalla
stanza da letto, perfettamente abbigliata.
“Martino
non devi controllare necessariamente oggi
tutti i conti della tenuta” disse con tono risoluto Elisa,
mentre con mano
decisa chiudeva il pesante registro sotto il naso del figlio.
“Ma Elisa …” cercò di
ribattere il ragazzo.
“Ormai abbiamo ricominciato a guadagnare”
spiegò la contessa, il giovane conte
la interruppe:
“Ma se il nostro benefattore, questo duca, dovesse rivolere
indietro i suoi
soldi?” obiettò.
“Non credo che questo accadrà” lo
fissò negli occhi, e non riuscì a trattenere un
sorriso. Il giovane rimase sorpreso e leggermente irritato dal
comportamento
della madre e borbottò:
“Non trovo nulla di divertente” Elisa
cercò di ricomporsi.
“È che non sai mentire. È fin troppo
chiaro che non sono i conti della tenuta a
preoccuparti”.
“Non è vero” replicò il
figlio. In quel momento la porta si aprì e comparve
Emilia.
“Buongiorno zia! Martino.” Salutò, il
ragazzo la fissò rapito e le sorrise.
“Scusate, ho forse interrotto qualcosa?”
domandò.
“Non ti preoccupare Emilia, suppongo che Martino possa
riprendere il controllo
da dove l’ho interrotto io prima” lo
stuzzicò Elisa.
“Elisa ha ragione, queste carte possono attendere”
replicò il ragazzo. Le due
donne si accomodarono sul divanetto, mentre Martino prese posto sulla
poltrona
di fronte a loro. Presto però, la discussione venne
interrotta da Amelia.
“Elisa, il dottor Ceppi vuole vederti subito”
esordì, cercando di mantenere la
voce più calma possibile, per non allarmare i due giovani.
La contessa capì.
“Arrivo” mormorò alzandosi subito, e
seguendo l’anziana donna.
“Amelia, cosa sta succedendo?” domandò
Elisa, quando fu sicura che i ragazzi
non la stessero ascoltando. La donna non rispose, limitandosi a
indicare la
porta della stanza da letto. Elisa entrò senza indugiare
oltre.
“Antonio!” esclamò, avvicinandosi al
letto.
“Elisa sta sempre peggio, la febbre non accenna a calare, e
ora ha iniziato a
perdere lucidità” spiegò preoccupato il
medico, passando una pezza fredda sulla
fronte della moglie.
“Cosa bisogna fare in questi casi?”
domandò la contessa, prendendo un’altra
pezza dal catino e inumidendo i polsi della cognata, fissando il suo
sguardo
vuoto.
“L’unica cosa è tentare di tenere la
febbre controllata, e sperare che si
riprenda”. Lo sguardo di Anna sembrava cercare qualcosa, poi
la donna iniziò ad
articolare frasi sconnesse, senza senso. Un solo nome risultava chiaro
e
comprensibile: Fabrizio, il fratello tanto amato.
“Anna! Tesoro, mi senti?” domandò il
medico. La donna non rispose, perdendosi
nei deliri della febbre. Gli altri due si fissarono negli occhi,
sgomenti.
Improvvisamente Elisa si alzò e fece per uscire, ma Antonio
la fermò.
“Che hai intenzione di fare?”
“Vado a chiamare Fabrizio!” rispose.
“Elisa sei impazzita?”
“Antonio, so che è una follia, ma ha il diritto di
sapere che sua sorella sta
male”. Disse le ultime parole, esitante, sapendo benissimo
che la cognata non
stava semplicemente “male”, ma non aveva il
coraggio di esprimere ad alta voce
le sue paure.
“Hai idea delle conseguenze alle quali potresti andare
incontro?” domandò
ancora Ceppi.
“No –ammise la contessa- ma lei ne ha bisogno. Ha
il diritto di sapere che suo
fratello non è morto” continuò posando
lo sguardo sulla cognata.
“Elisa, e se lei …” iniziò
Antonio, non riuscendo a terminare la frase.
“Non accadrà”. Cercò di
rincuorarlo la contessa, poggiandogli una mano sulla spalla
prima di uscire dalla camera.
Fabrizio
aspettava nel capanno. Quando Elisa era lontana,
le ore sembravano eterne: l’attesa della donna lo divorava,
ma quando la
contessa spinse la vecchia porta ed apparve, con in mano un vecchio
abbigliamento maschile, la gioia e la sorpresa per quella visita
mattutina,
lasciarono presto il posto al dubbio.
“Elisa cosa è successo?”
domandò osservando il volto della moglie, che ancora
tradiva la frenesia dell’ultima cavalcata.
“Non c’è tempo, devi tornare subito a
Rivombrosa, ti spiegherò tutto strada
facendo. Però indossa questi.” Disse porgendo il
mantello logoro e il cappello
al marito. Il conte la fissò con lo sguardo interrogativo.
“Nessuno sa di te, e nessuno per ora deve sapere, entreremo
dalle scuderie.”
“Elisa non capisco, prima mi chiedi di tornare a casa mia sul
momento e poi
pretendi che lo faccia in segreto, quasi come un ladro?”
continuò l’uomo sempre
più perplesso, e infastidito dall’atteggiamento
della moglie.
“Fabrizio, tua sorella sta male – sbottò
improvvisamente la contessa – molto
male, Antonio non sa come sia riuscita a superare la notte, nel delirio
continua
a chiamarti” continuò ancora.
“Ma non hai ancora detto a nessuno del mio ritorno”
disse amaramente il conte,
quasi a se stesso. Elisa annuì, colpevole. L’uomo
si avvolse nel mantello e
calò il cappello in modo che gli coprisse parte del volto.
“Prima o poi ti chiederò come hai giustificato le
frequenti assenze,
soprattutto notturne …” ironizzò mentre
usciva insieme alla moglie.
“L’importante è non farsi
scoprire” cercò di sminuire Elisa. I due montarono
a
cavallo.
“Non avevo immaginato così il mio ritorno
…” ammise il conte prima di spronare
il cavallo al galoppo, seguito dalla moglie.
“Emilia,
non devi affaticarti, altrimenti rischi di
ricadere in una delle tue crisi”. La ragazza
ignorò il suggerimento del cugino
e strizzò il panno bagnato per poi passarlo delicatamente
sulla fronte della
madre, che dopo aver dato dei leggeri segni di miglioramento, si era
assopita.
“Lo sai bene che non riesco a mettermi seduta a leggere un
libro, o a ricamare,
e almeno così riesco a rendermi utile e a non pensare, o
almeno in parte”. Rispose,
abbassando lo sguardo, come a non voler incontrare gli occhi del
cugino,
nonostante gli desse le spalle. L’allusione
all’ultimo viaggio zittì il
ragazzo. Emilia aveva sempre cercato di evitare l’argomento.
Voleva
dimenticare, fingere che non fosse successo nulla, e lui sapeva di
dirigere il
discorso su un terreno troppo delicato e instabile per portare avanti
le sue
motivazioni. Non sarebbe stato facile allontanarla da quella stanza.
“Martino ha ragione – cercò di farla
ragionare il medico, mentre si piegava
sulla moglie per controllare le funzioni vitali – e poi tua
madre sta
migliorando, non credo le farebbe piacere trovarti sciupata al suo
risveglio”.
Emilia non aveva intenzione di cedere:
“Non offenderti, Antonio, ma credo che tu abbia
più bisogno di me di riposare”
rispose candidamente la ragazza, lasciando senza parole anche il padre
adottivo. Martino dovette soffocare una risata avvicinandosi alla
cugina. Antonio osservò fuori dalla finestra, come
in
attesa di qualcosa, e si accigliò.
“Perdonami Antonio, non intendevo offenderti
…” iniziò a scusarsi la ragazza.
“Hai solo detto la verità, Emilia – la
rassicurò l’uomo con un mezzo sorriso
che però tradiva la sua preoccupazione - e visto che proprio
non vuoi saperne
di allontanarti da tua madre, allora ti lascio un minuto da sola con
lei, vado
a visitare tuo fratello, torno subito.”
“Perché? Sta male anche lui?”
domandò ancora più preoccupata la ragazza,
ignorando le mani del cugino attorno alle spalle che cercavano di
tranquillizzarla.
“Dai pianti di questa notte, sembra in perfetta salute, ma
voglio tenerlo
ugualmente sotto osservazione” spiegò
pazientemente Antonio, prima di lasciare
soli i due giovani.
Quando l’uomo uscì della stanza, Martino si
chinò sulla cugina, sussurrandole
divertito all’orecchio:
“Non avevo mai visto nessuno zittire Antonio in quel modo
…” sfiorandole il
collo con le labbra. Emilia si concesse qualche secondo prima di
allontanare, a
malincuore, il cugino.
“Non volevo turbarti …” si
scusò il ragazzo alzandosi. Emilia scosse la testa
“È solo che ho paura che qualcuno possa vederci, e
poi non credo che sia il
posto più adatto, voglio dire se mia madre si svegliasse
…” le ultime parole di
Emilia furono un debole sussurro, un misto di desiderio e paura.
Martino si
abbassò, e le prese dolcemente il volto tra le mani,
costringendo la ragazza a
osservarlo. Gli occhi umidi e riluttanti di lei incontrarono i suoi.
“Andrà tutto bene, ne sono sicuro”
Emilia annuì meccanicamente, e si strinse al
cugino che continuò a tenerla stretta a sé e a
rassicurarla.
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Capitolo 34 *** Capitolo XXXIV ***
Emilia
sarebbe rimasta per sempre stretta in
quell’abbraccio. Così, immobile, con gli occhi
chiusi, sperando che le promesse
del cugino potessero avverarsi.
“Se continuo così ti rovinerò anche
questa camicia …” disse cercando di
spostarsi per impedire ad una lacrima sfuggita al suo controllo di
bagnare i
vestiti del cugino.
“Credi davvero che la mia unica paura sia non avere una
camicia impeccabile?”
la stuzzicò il ragazzo, senza permetterle di allontanarsi.
Emilia scosse la
testa, e nella camera l’atmosfera sembrava essersi
alleggerita.
“Antonio …” la voce di Anna
riportò i due giovani alla realtà.
“Madre!” sospirò Emilia, dedicandosi
subito alla donna.
“Madre, sono Emilia, mi riconoscete?” Anna
annuì leggermente, fortemente
provata dalle complicazioni e dalla febbre.
“Il mio bambino …” domandò
con un filo di voce, cercando di mettersi a sedere.
“Eugenio sta bene, ed è bellissimo” la
rassicurò la figlia, mentre Martino la aiutava
a sistemare i cuscini dietro la schiena della donna.
“Voglio vederlo … con chi è?”
domandò.
“Antonio ha fatto chiamare una balia, almeno per il tempo che
vi serve per
rimettervi in forze - iniziò a spiegare la ragazza.
“Ma sono sicuro che appena saprà che siete
sveglia, darà ordine di portarlo qui
… - cercò di rassicurarla il nipote - vado subito
ad avvertire Antonio”.
Emilia lo ricambiò con uno sguardo pieno di riconoscenza, e
presto le due donne
vennero lasciate sole . Poco dopo nella stanza rientrarono anche
Martino e Antonio.
“Finalmente ti sei ripresa. Hai perso conoscenza e la febbre
alta mi ha fatto
preoccupare non poco” ammise il medico, baciandola sulla
fronte, ancora umida.
“Ora sto meglio” fu la risposta della contessa.
“Lo vedo, ma sarei più tranquillo se ti lasciassi
visitare” Anna acconsentì
senza protestare. Antonio si voltò verso Emilia e Martino
per congedarli, quando
la porta della camera si aprì di scatto e sulla porta
comparve la figura di
Fabrizio che si precipitò nella stanza, seguito a breve
distanza da Elisa.
L’uomo si fermò a pochi passi dalla porta,
sorpreso di trovare nella camera
anche i due ragazzi. Elisa osservava la scena impietrita, domandandosi
quali
conseguenze avrebbe portato quel suo gesto così impulsivo.
Emilia continuava a
tenere lo sguardo fisso in quello del cugino, quasi a cercare delle
risposte alle
mille domande silenziose che non aveva il coraggio di rivelare ad alta
voce. Martino,
al suo fianco, tremava stentando a tenere a bada i diversi sentimenti
che
provava in quel momento. Fu Anna a rompere il silenzio:
“Fabrizio … tu eri …”
“No Anna, non sono morto sei anni fa durante
l’agguato teso da Ranieri” rispose
il conte Ristori.
Quelle parole per Martino furono troppo, e dopo aver fissato negli
occhi il
padre, si sciolse dalla cugina, e uscì dalla stanza. Emilia
cercò di
richiamarlo indietro, ma una mano sulla spalla le impedì di
seguirlo.
“Non ora, ha bisogno di passare del tempo da solo.
Sarà lui a ritornare quando
si sentirà pronto”. Emilia alzò lo
sguardo, incrociando quello dello zio, che
l’aveva trattenuta, ma non l’aveva convinta a
desistere dal cercare il cugino.
Martino
continuava a spronare il cavallo, non gli
importava raggiungere una meta precisa, l’unica cosa
importante era
allontanarsi da quella stanza, da quel fantasma che il passato aveva
restituito. Non importava che quell’uomo, apparso poco prima
nella camera della
zia, fosse veramente suo padre. Che strana ironia … sei anni
prima sarebbe
stato disposto a tutto pur di vivere quel fatto, e ora che era
accaduto, la
gioia che aveva sempre immaginato di provare era stata cacciata via
dalla
rabbia e dalla delusione di sei anni di bugie. Il giovane conte
concesse un po’
di tregua al cavallo, e si diresse vicino al grande albero che vegliava
sulla
tomba del padre, o di chiunque vi fosse stato sepolto, sempre che sotto
quella
terra ci fosse veramente qualcuno. La rabbia e la disperazione presero
ancora
una volta il sopravvento nel giovane, che buttò via i fiori,
ormai appassiti, e
cadde in ginocchio, vinto dalle lacrime.
Nascosta dietro un albero, Emilia osservava impotente la scena,
lottando contro
l’istinto di andare verso il cugino: non riusciva a
sopportare l’idea di
vederlo in quello stato, ma sapeva che andargli vicino avrebbe solo
peggiorato
le cose.
“Non
era così che immaginavo il mio ritorno a casa
…”
sospirò Fabrizio, quando finalmente rimase solo con la
moglie. Elisa si sedette
sulle sue ginocchia, come era solita fare, e si strinse a lui.
“Lo so, e inizio a credere di essere stata troppo impulsiva,
non mi ero neppure
immaginata cosa sarebbe potuto accadere”.
“Ed è per questo che ti ho sposata”
le
parole dell’uomo strapparono un sorriso alla contessa, che
alzò il volto
incrociando gli occhi del marito, occhi che riflettevano i suoi stessi
sentimenti. Elisa si sporse ancora di più, alla ricerca
delle labbra di lui,
che si posarono subito sulle sue, in un dolce bacio.
Improvvisamente la contessa s’illuminò:
“Vieni, dobbiamo avvertire la servitù del tuo
ritorno …” Fabrizio sospirò, e si
preparò ad affrontare la nuova ondata di sorpresa, che
sarebbe apparsa negli
occhi di tutti. Stranamente, Elisa esitò davanti ad una
porta socchiusa,
dall’interno provenivano due voci femminili. Quando la
contessa fece cenno al
marito di avvicinarsi, aprì leggermente di più la
porta. Una piccola Elisa era
seduta sul grande tappeto che ricopriva buona parte del pavimento,
intenta a
giocare con la giovane balia. Fabrizio rimase immobile a contemplare
quella
massa di riccioli dorati, legati in una piccola coda di cavallo: aveva
già
visto sua figlia, la notte che Elisa l’aveva portata con
sé al capanno, ma
allora lui non aveva potuto dirle la verità, e ora non
trovava il coraggio per
chiamare la bambina. Orsolina, accortasi di non essere più
sola nella stanza,
faticò non poco a ricomporsi, e continuare a giocare con la
nipote come le aveva
fatto cenno la sorella. Elisa fece un respiro profondo ed
entrò nella stanza,
con la mano intrecciata a quella di Fabrizio.
“Agnese” chiamò la contessa. La bambina
si voltò verso la porta con un enorme
sorriso in direzione della madre e le corse incontro, ma si
fermò ad osservare
l’uomo accanto alla madre. Elisa si chinò,
permettendo alla figlia di correrle
tra le braccia, poi iniziò:
“Agnese, voglio presentarti una persona”
“Questo signore?” domandò la piccola,
indicando il padre.
“Sì, ma vedi Agnese, questo … signore
– disse, dopo un breve attimo di
esitazione, cercando lo sguardo del marito – non è
un signore qualsiasi, lui
vuole molto bene alla tua mamma e alla sua bambina. Così
tanto bene, che ha fatto
di tutto per tornare da loro”.
“Mamma, è papà Fabrizio?”
domandò contenta. Quelle semplici parole commossero
l’uomo, che senza aspettare la risposta della moglie, si
accovacciò accanto
alle due:
“Sì Agnese, sono il tuo papà”
riuscì a dire, con la voce rotta dall’emozione.
Orsolina si fece il segno della croce, come se avesse visto un
fantasma, Agnese
invece, non sembrava particolarmente turbata, anzi saltò
nelle braccia del
padre che la strinse a sé.
“Orsolina,
avverti tutta la servitù di farsi trovare in
biblioteca tra mezz’ora che ho bisogno di parlargli. Ma stai
attenta a non
rivelare il motivo dell’ordine”.
“Come vuoi Elisa” disse la ragazza apprestandosi in
un inchino di congedo, ma
Elisa la fermò.
“Orsolina, ti prego mi metti a disagio”.
“Scusami” furono le uniche parole della sorella,
che si rivolse all’uomo che
teneva ancora in braccio la figlia.
“Signor conte” ed uscì dalla camera.
“Sei preoccupato?” domandò Elisa,
cercando di ridestare il marito dai propri
pensieri. Fabrizio annuì, spostando il peso della figlia da
un braccio
all’altro. La bambina appoggiò la testa sulla
spalla del padre, portandogli il
braccio dietro al collo, e i due genitori non poterono che sorridere
della sua
spontaneità. Elisa accarezzò la figlia,
stringendosi a sua volta al marito.
“Andrà tutto bene” sospirò.
“Lo spero – iniziò Fabrizio, per poi
alleggerire la tensione - non vorrei dare
troppo lavoro al mio nuovo cognato”. Elisa scosse la testa
cercando di rimanere
seria.
“Andiamo, ci staranno aspettando” la contessa
strinse la mano dell’uomo per
farsi coraggio.
Nella
biblioteca la servitù si stava domandando quale
potesse essere il motivo di quella misteriosa, quanto inaspettata
convocazione.
Erano quasi sicuri di non aver dato modo alla famiglia Ristori di
potersi
lamentare sul loro operato, ed un possibile allontanamento dalla tenuta
faceva
paura. I più audaci bisbigliavano tra loro sulle possibili
cause, e tra le
donne il pensiero corse subito alla contessa Ceppi. Quando la porta
della
biblioteca si aprì, nella sala scese un silenzio assoluto, e
i domestici si
prepararono ad accogliere la contessa. Elisa entrò esitante,
con la figlia per
mano. Il momento sembrava così ufficiale che la contessa non
riuscì a impedire
l’inchino previsto dal galateo. Elisa continuava a esitare,
cercando le parole
più adatte, quelle che aveva sempre desiderato poter dire,
ma che ora
sembravano non voler proprio uscire. Fu Angelo che trovò il
coraggio di
esortarla:
“Elisa, cosa succede? Ci hai convocati
tutti, e siamo preoccupati” esordì.
“Vi ho chiamati, infatti, perché devo fare un
annuncio, che forse vi lascerà
sorpresi … Fabrizio non è morto” ammise
la contessa.
“Elisa perdonami, ma non è passato giorno, in
questi sei anni, nel quale tu non
ti sia recata sulla sua tomba … com’è
possibile che Fabrizio sia vivo?” le fece
notare timidamente l’intendente.
“Forse, io potrei darti una risposta più
esauriente, mio caro Angelo” esordì il
conte, attirando su di sé l’attenzione dei
presenti.
Tutta la servitù trattenne il respiro,
nel veder entrare l’uomo, le cameriere più devote
si fecero il segno della
croce.
“Signor conte!” esclamò Amelia con le
lacrime agli occhi. Nei volti, prima tesi,
insieme alla sorpresa e all’incredulità, iniziava
a trapelare la gioia per la ricomparsa
del conte Ristori. Il silenzio venne sostituito dal chiacchiericcio
meravigliato
sull’evento, e dalle diverse felicitazioni per il ritorno del
padrone. Amelia
non riusciva a smettere di piangere e nascondeva il viso nel grande
fazzoletto,
Fabrizio andò senza indugio dalla sua balia e
l’abbracciò forte.
“Perdonate signor conte, è che sono troppo felice,
abbiamo pregato molto per
voi …” Elisa, finalmente sorridente, raggiunse il
marito che cercava di
consolare l’anziana nutrice, e lo baciò in mezzo
alla sala, per dargli il suo
personale ben tornato, in mezzo agli applausi generali.
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Capitolo 35 *** Capitolo XXXV ***
Martino
era tornato alla tenuta, con gli occhi ancora
arrossati per il pianto, ma con le idee ormai chiare sul suo futuro:
avrebbe
lasciato il Piemonte. Ma prima aveva ancora una cosa della quale
preoccuparsi:
Emilia.
Il ragazzo se ne stava seduto su una poltrona del salotto adiacente
alla sala
da pranzo, quando la cugina entrò nella stanza.
“Emilia!” disse, alzandosi e andandole incontro. La
ragazza porse entrambe le
mani al cugino che le portò alla bocca e le baciò.
“Perdonami per come mi sono comportato oggi” si
scusò, alludendo al fatto di
averla abbandonata nella stanza di sua madre. La ragazza scosse la
testa
sorridendo:
“Non hai nulla da farti perdonare” disse
accarezzandogli il viso, e avvicinandosi
ulteriormente. In quel momento Cristiano entrò nella stanza.
I due
sussultarono, ed Emilia avvampò.
“Perdonatemi, ma la porta era aperta”.
“Sono io che devo scusarmi, per avervi messo in
imbarazzo” rispose Martino,
mentre Emilia continuava a tenere gli occhi rivolti verso il pavimento.
Poco
alla volta la situazione si distese e la conversazione
continuò sempre più
fluida, fino a quando fu annunciato il pranzo e i tre si diressero
nella sala
accanto, dove li aspettavano Elisa e Fabrizio.
La
cena si svolse in un clima di tensione, e la presenza
di Cristiano non aiutò certo la situazione.
Martino non commentò la presenza del
padre, ma i suoi gesti tradivano il fastidio per quella vicinanza.
Emilia
rimase in silenzio per tutta la durata del pasto, con gli occhi bassi
sul
piatto, alzandoli solamente per spiare le reazioni del cugino. Elisa e
Fabrizio
cercarono di mettere a proprio agio il principe loro ospite, cercando
di far
intervenire nelle diverse discussioni anche gli altri due giovani, ma
con scarso
successo.
Dopo cena, Martino cercò di capire le intenzioni del
principe. In cuor suo il
ragazzo sperava di poter partire dopo di lui, anche se sapeva che
questo era
ormai impossibile; impossibile quasi come il ritorno di Emilia in
Francia. Dal
canto suo, Cristiano sapeva di non poter trattenersi ancora a lungo in
quella
casa, ma non si arrendeva all’idea di lasciare la ragazza, e
la soluzione gli
era stata proposta proprio dallo stesso giovane conte Ristori, qualche
giorno
prima, durante una battuta di caccia. Quando la conversazione
iniziò a venir
meno fu lo stesso principe a riaprire l’argomento, sperando
di poter guadagnare
qualcosa da quel clima di tensione, che si era inspiegabilmente creato.
“Sapete una cosa conte Ristori? – iniziò
il principe, che vedendo la faccia
sorpresa del suo interlocutore continuò - Devo proprio
ringraziarvi per avermi
suggerito la villa Maffei, sembra molto accogliente, e la richiesta non
è
folle, anzi mi domando come mai una villa simile non sia ancora stata
venduta,
a quello che mi hanno raccontato, è disabitata da diversi
anni” disse,
sorseggiando del liquore che gli era stato portato.
“Conoscete già la storia della famiglia
Maffei?” domandò ancora Martino.
“No, in realtà mi hanno solo riferito che il
marchese fuggì in America dopo la
morte della secondogenita”.
“Vi hanno raccontato il vero” tagliò
corto il ragazzo, che non aveva nessuna
intenzione di approfondire quella vicenda, e continuò:
“Tuttavia, il marchese era ancora così legato a
queste terre che non aveva il coraggio
di venderla”.
“E allora perché ha deciso di venderla
ora?” domandò il principe curioso; ma
Martino si oscurò, e fece per andarsene, vedendo entrare il
padre con Elisa.
“Temo dovremo rimandare questa conversazione a
un’altra volta, signor principe.
Si è fatto tardi, e devo ancora rivedere i dettagli per la
partenza di domani
mattina” si scusò Martino, e si diresse verso il
corridoio.
Emilia
aveva trascorso la serata in camera della madre,
tenendole compagnia. La febbre sempre presente, continuava a
impensierire
Antonio, che per sicurezza aveva preferito non farle vedere il piccolo,
e la ragazza
compensava questa mancanza con i suoi racconti e le sue descrizioni su
quanto
fosse bello il fratellino. Il discorso
sembrava dover continuare su Eugenio, quando Emilia fu sorpresa da una
domanda
della madre che aveva spostato la sua attenzione dal figlio minore, a
quella
maggiore.
“Il collegio di Saint Cyr? Mi manca molto, lo ammetto, ma
ormai madre ho
deciso. È vero, potrei imparare ancora molto a Parigi; ma
credo che ormai la
Francia diventerà un ricordo” iniziò la
giovane. Anna la fissò in silenzio,
incitandola a continuare con un cenno del capo.
“Ho già spedito una lettera alla madre badessa,
dove la ringraziavo
dell’ospitalità e delle grandi
possibilità che mi hanno dato”.
“In tutto questo è forse coinvolto un
ragazzo?” domandò la madre. Emilia
avvampò imbarazzata, negando fermamente l’ipotesi
della madre.
“Posso garantirvi che nessun ragazzo ha influenzato le mie
decisioni – e un
sorriso amaro le sfuggì ripensando alla richiesta di
Martino, che la voleva
ancora a Parigi - anche se, non vi nascondo, inizio a desiderare di
avere una
famiglia tutta mia”.
“Tesoro, sei ancora così giovane
…” sorrise Anna, colpita dalle parole della
figlia.
“Permettetemi, madre, ma voi alla mia età eravate
già promessa …”
“Tesoro, quella promessa però non ha avuto i suoi
frutti, o almeno non allora-
rispose la madre, per poi continuare - non voglio che anche tu ti penta
delle
tue scelte” Emilia non rispose.
“Piuttosto, come ha preso Martino il ritorno di Fabrizio?
Oggi è uscito come
una furia dalla camera! Spero che si sia un po’
ripreso”.
“Purtroppo no madre - ammise la ragazza abbassando gli occhi-
è arrabbiato, si
sente tradito. E temo che presto riparta per
l’accademia”.
“Emilia lo sapevi che tuo cugino è in licenza, e
che prima o poi sarebbe dovuto
tornare a Parigi!”
“Lo so, ma il ritorno dello zio ha fatto precipitare le cose.
Dovevate vedere
la situazione che si è creata a cena! Non si sono nemmeno
parlati, se non a
monosillabi”.
“Magari hanno bisogno di più tempo, è
stato così inaspettato per tutti”.
Emilia annuì solamente.
“Emilia lo so quanto ti è caro Martino
…” iniziò ancora la contessa, ma la
ragazza aveva capito dove la madre volesse dirigere il discorso, in
fondo era
sotto gli occhi di tutti che loro due erano praticamente inseparabili e
la
precedette:
“Perdonatemi madre, si è fatto tardi, è
meglio che io mi ritiri – poi, per
mitigare la frase aggiunse - non è bene che una ragazza si
attardi troppo”.
Anna scosse la testa divertita, poi la congedò.
Emilia
passò davanti alla camera del cugino,
meravigliandosi della luce che filtrava dalla porta socchiusa.
Esitò un
momento, poi prese coraggio e bussò. Martino, immaginando
che fosse Elisa, infastidito
da quella visita fece finta di nulla e continuò a preparare
le ultime cose per
il viaggio. Emilia entrò nella stanza, insicura. La scena
che le se presentò
davanti agli occhi la fece sussultare: non era ancora pronta a
separarsi dal
cugino.
“Cosa stai facendo?” domandò allarmata,
avvicinandosi al ragazzo e appoggiando
la candela sullo scrittoio. Martino sussultò, ma
continuò imperterrito nel suo
lavoro.
“Non lo vedi? Parto, e sto facendo i bagagli!”
rispose asciutto senza voltarsi.
Non aveva il coraggio di guardare negli occhi la cugina.
“Ma non puoi! - cercò di convincerlo lei, ormai
prossima alle lacrime - c’è
ancora tempo …” continuò abbassando la
voce. Martino scosse la testa e si voltò
con un sorriso triste sul volto:
“Oggi o domani che differenza fa?”
domandò stringendole le spalle. Emilia si
asciugò una lacrima, non riusciva a
parlare, ormai scossa dai singhiozzi. Martino la strinse ancora una
volta a sé,
incapace a vederla soffrire così, a causa sua.
“Non mi lasciare” lo implorò la ragazza
quando finalmente riuscì a calmarsi.
“Mi dispiace Emilia, non posso più restare. Lo
capisci?” domandò staccando da
sé la cugina e fissandola negli occhi. Lei scosse il capo,
gli occhi arrossati
dal pianto.
“Forse è meglio che tu ora vada” la
incoraggiò Martino, avvicinandole una mano
al viso per accarezzarla, ma Emilia, ferita si ritrasse, e seguendo il
consiglio del cugino uscì dalla stanza, percorrendo sicura i
pochi metri che la
dividevano dalla sua camera. Chiusasi la porta alle spalle,
appoggiò la schiena
alla parete, scoppiando in lacrime. Presto le forze le vennero
meno e si lasciò cadere lungo la parete,
abbracciandosi le ginocchia coperte dall’ampia gonna, si
slacciò il bustino che
le impediva di respirare e lo gettò per terra, accanto a
lei, poi, sfinita,
appoggiò la testa al muro e poco dopo cadde
nell’incoscienza.
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Capitolo 36 *** Capitolo XXXVI ***
Martino
era rimasto lì, con la mano ancora a mezz’aria.
Non si aspettava di certo una reazione simile! Forse le sue parole
erano state
dure, ma sperava che quella carezza, che Emilia aveva rifiutato,
potesse farle
capire i suoi veri sentimenti: avrebbe dato qualsiasi cosa per esaudire
la
richiesta della cugina, eppure la soluzione più semplice, il
congedo, non
compariva tra le varie possibilità, non tra quelle
percorribili almeno. Si
sentiva uno stupido, com’era possibile che riuscisse a far
soffrire in quel
modo la persona che amava più di tutte? Rimase immobile, in
mezzo alla stanza,
indeciso se andare dalla cugina, o allontanarsi da lei così,
lasciandole una
lettera. Fissò lo scrittoio e prese l’occorrente
per scrivere, ma quel foglio
bianco era diventato sempre più difficile da riempire, e la
sua prima idea, in
un primo momento tanto inattuabile appariva sempre più
invitante. Dopo un tempo
che gli parve infinito, ancora senza sapere bene cosa fare si diresse
alla
camera della cugina. La porta chiusa non lo fermò,
provò a bussare, ma non
ricevendo risposta, entrò. Cercò la cugina nel
letto, probabilmente
addormentata, ma così non fu, ispezionò la stanza
, illuminata solo da un
debole raggio di luna che filtrava dalle tende appena scostate. Poi la
vide,
rannicchiata vicino allo stipite della porta, e si intenerì
a vederla assopita
in quella posizione, poi la consapevolezza lo colpì come un
pugno nello
stomaco: era stato lui a costringerla in quello stato. Senza pensarci
si
accovacciò accanto a lei e la prese tra le braccia per
adagiarla sul letto.
Emilia sussultò a quel contatto, ma non si
svegliò. Il ragazzo la pose
delicatamente sul letto, e la cugina si allungò per trovare
una posizione
comoda. Nella sua ricerca, la spallina della sottoveste
scivolò maliziosa,
lasciando scoperta la pelle candida della spalla. Martino
indugiò su quella
visione prima di sistemarle il lenzuolo, in modo da coprirla sin sopra
il seno,
poi le posò un dolce bacio sulla fronte, cercando il
coraggio di uscire da
quella camera per non rientrarci più. A quel nuovo contatto,
Emilia si svegliò.
“Martino …” mormorò ancora
confusa.
“Perdonami non volevo svegliarti ma non potevo
…” la ragazza mise un dito sulle
labbra del cugino, che, assecondando la sua muta richiesta,
s’interruppe.
“Ti prego Martino, se non sei venuto per dirmi che resti,
allontanati ora, non
sopporterei un nuovo addio” la sua voce tremava, colma di
amore e paura.
Il giovane conte non aveva bisogno di
scuse per allontanarsi da quella camera, sarebbero bastate le
convenzioni ad
imporgli quel comportamento, ma non era quello il momento per seguire
le
convenzioni, e lui lo sapeva bene. Prese il viso della cugina, in modo
che
fosse obbligata a osservarlo.
“Emilia, se ti ascoltassi, ora dovrei uscire da quella porta,
ma non sono
venuto per andarmene senza parlarti, senza avere chiarito quello che
prima è
successo di là, non voglio che sia quello il nostro
addio” così dicendo il
ragazzo continuava ad accarezzare il volto della giovane che a quelle
parole si
strinse a lui. Istintivamente Martino ricambiò il gesto,
posando piccoli baci
prima sui capelli, e poi sulla fronte della ragazza. Dal canto suo
Emilia
intercettò le labbra del cugino, interrompendo il loro
percorso sul suo viso
con le proprie, sorprendendolo. Lo stupore non durò molto,
incoraggiato dalla
reazione della cugina, Martino continuò a baciarla, quasi
per imprimersi nella
memoria il sapore di quei momenti. Senza interrompere il bacio, Emilia
scivolò tra
i cuscini trascinando con sé il cugino. Ben presto i due si
trovarono
abbracciati vinti dall’unico desiderio di sentirsi nuovamente
l’uno dell’altra.
Le paure della notte precedente avevano lasciato posto a una danza
senza tempo,
se non quello del battito accelerato dei loro cuori. Nella mente di
Emilia risuonarono
le parole dell’ultima supplica che il Faust rivolgeva alla
notte e ai suoi
cavalli, ma subito le scacciò. Quella notte doveva essere
solo per loro, e
niente doveva intaccarla, nemmeno le paure per il giorno sempre
più prossimo.
Oh
Lente lente currite, noctis equi [1]
Martino
si sorprese a pensare quella frase sentita
chissà in quale occasione, o letta in chissà
quale opera, eppure, in quel
momento, il suo significato lo colpì in pieno, come solo la
verità può fare.
Quello era stato il loro addio, e ora lui avrebbe voluto che quella
notte non
avesse mai fine, che non fosse obbligato a lasciare la ragazza che si
era
addormentata stretta al suo petto. A quel pensiero, la strinse
più a sé, quasi
temesse una sua fuga. Ripensava alla domanda che gli aveva fatto, e a
quella
che lui non aveva avuto il coraggio di farle, quella che
l’avrebbe legata a lui
per sempre, e che avrebbe risolto il problema che lui stesso, in fondo,
non
aveva voluto risolvere.
“Martino?” aveva domandato lei con voce insicura.
“Sì?” fu la sua risposta mentre si
alzava leggermente, per poterla osservare
meglio.
“Svegliami domani, quando parti …”
“Emilia …” aveva mormorato ancora, dopo
che la cugina aveva lasciato un dolce
bacio sul collo prima di addormentarsi.
Era
l’alba quando Emilia si svegliò. Il sole non era
ancora sorto, e la ragazza si stiracchiò sorridente, prima
di accorgersi che
accanto a lei non c’era nessuno. Si alzò di
scatto, coprendosi con la leggera
vestaglia di seta, lasciando vagare lo sguardo nella camera, alla
ricerca del
cugino. La sua attenzione venne attirata da un piccolo biglietto caduto
per
terra. La ragazza lo raccolse e lesse le poche righe al suo interno.
Senza
pensarci due volte corse verso la camera del cugino, che
trovò vuota. Nel silenzio
del castello ancora addormentato, lo scalpiccio di zoccoli
risuonò attraverso
la finestra aperta, rinverdendo le speranze della giovane. Corse per i
corridoi, fino alle scuderie chiamando il nome del ragazzo.
“Martino!” esclamò fermandosi sulla
soglia guardando il cugino che le dava le
spalle per salire a cavallo
“Emilia, torna dentro, ti prego”
“Non mi hai svegliata ...” continuò la
ragazza, avvicinandosi.
“Credevo sarebbe stata la scelta migliore, volevo lasciarti
come ricordo la
notte scorsa” cercò di giustificarsi il ragazzo
accarezzando il viso della
giovane.
“È per questo che l’hai
scritta?” domandò mostrando la lettera che il
ragazzo
le aveva lasciato. Il conte annuì.
“Quanto c’è di vero in quello che hai
scritto?” ancora una volta le parole le erano
uscite d’un fiato, ancora prima che se ne rendesse pienamente
conto.
“Tutto, temo” rispose triste il cugino, voltandosi
nuovamente verso il cavallo.
Emilia lo trattenne per un braccio, facendo scivolare la sua mano su
quella del
cugino, ottenendo nuovamente la sua attenzione:
“Se è quello che vuoi vai. Ma ricorda, io
sarò qui, ad aspettarti”. Martino sorrise
e la baciò sulla fronte.
“Ora rientra, o prenderai freddo” la
esortò il cugino prima di montare a
cavallo e lasciare la tenuta. Emilia rimase immobile finché
la figura del
cugino sparì dalla sua vista, poi si chiuse in camera sua,
decisa a rimanerci
per tutto il giorno.
Per tutta la mattinata
Emilia rimase distesa sul letto, lasciando semplicemente trascorrere il
tempo. Sapeva che presto o tardi qualcuno sarebbe venuto a cercarla e
che lei avrebbe dovuto rendere conto, ma non voleva ammettere quale
fosse il vero motivo del suo comportamento. I suoi pensieri furono
presto interrotti da qualcuno che bussò alla porta.
“Avanti”
ordinò la marchesina tirandosi a sedere e sistemandosi la
vestaglia, in modo da nascondere la camicia da notte che ancora
indossava. Angelica entrò portando un vassoio contenente il
pranzo.
“Perdonate
signorina, ma non avete fatto colazione e avete anche saltato il
pranzo, vostra zia mi ha ordinato di portarvi qualcosa. Sono tutti
preoccupati per voi”
“Sto
bene grazie, è che non mi sentivo …”
iniziò la ragazza, interrompendosi bruscamente. La giovane
serva capì l’imbarazzo dell’altra e
cercò di rassicurarla.
“Signorina,
non mi dovete alcuna giustificazione”.
“Grazie”
rispose grata la marchesina
“Vostra
madre ha chiesto di voi, se avete bisogno di aiuto per prepararvi
chiamatemi, io devo andare da vostro fratello”
continuò la ragazza appoggiando il vassoio sullo scrittoio.
“Come
stanno?”
“Vostro
fratello bene, è bravissimo, e vostra madre si sta
riprendendo lentamente. Ho sentito il dottor Ceppi dire che questa
mattina la febbre si è abbassata molto, e a volte non
c’era proprio” la rassicurò nuovamente.
Emilia la congedò, mangiò qualcosa che la ragazza
le aveva portato e dopo essersi cambiata, fece una breve visita alla
madre, temendo che questa potesse ritornare sull’argomento
della sera precedente.
[1]
Doctor Faust, Cristopher Marlowe
|
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Capitolo 37 *** Capitolo XXXVII ***
Un paio di avvisi
prima del capitolo: mi sono accorta che mancava un pezzo alla fine del
capitolo scorso, ora ho sistematoil tutto. Altra nota, non
penso di riuscire a pubblicare durante queste vacanze, quindi inizio
facendo gli auguri di Buon Natale a tutti quelli che seguono questa
storia (in particolare a Dea Elisa che recensisce sempre, grazie!) e
Buon anno a tutti. Dopo il 7 di Gennaio prometto di tornare a postare
con regolarità. Vi lascio alla storia nica89
I giorni passavano lenti, ravvivati solo dai pianti del
piccolo Eugenio e dai giochi di Agnese. La salute della contessa Ceppi
era migliorata sensibilmente, e Antonio le concedeva anche brevi
passeggiate nel parco, a condizione di evitare le ore più
calde del giorno. Anna obbediva al marito, felice di poter stringere
finalmente il loro piccolo tra le braccia. Cristiano si era trasferito
con la sorella nella sua nuova villa, e spesso tornava a Rivombrosa per
una visita alla marchesina, o con la scusa che la sorella desiderasse
vedere la contessina Ristori. Elisa e Fabrizio non ostacolavano quelle
frequentazioni tra i due giovani, anche se forse, un po’
troppo frequenti, e a volte accompagnavano la nipote a ricambiare la
cortesia. Emilia però non aveva ancora accettato la partenza
del cugino, e quando poteva, si limitava ad osservare passiva la vita
degli altri. Solo il clavicembalo sembrava ridarle un po’ di
colore.
Quel giorno la
sua dama di compagnia aveva annunciato la visita di una grande amica
della marchesina. Emilia si era preparata a riceverla sfoggiando una
felicità della quale non era difficile dubitare.
“Rebecca,
che piacere vederti” esclamò sincera abbracciando
l’amica.
“Avevo
paura ti fossi dimenticata di me! Non avevo più notizie da
quando hai lasciato il collegio …”
iniziò la ragazza. Emilia abbassò gli occhi.
“Hai
ragione sono stata imperdonabile” mormorò con voce
bassa, un po’ troppo triste per delle semplici scuse tra
amiche. Rebecca fissò i suoi occhi smeraldo in quelli della
marchesina.
“Emilia
cosa è successo?” domandò.
“Nulla
… - cercò di nascondere il suo malessere,
portando il discorso da lei alla compagna - tu piuttosto sei
così felice, hai qualcosa da raccontarmi?”
La giovane
duchessa non riuscì a trattenere un enorme sorriso
esclamando:
“Mi
sono fidanzata!”
“Ma
è magnifico!” esclamò Emilia
sinceramente compiaciuta per l’amica.
“È
per questo che sono qui, volevo consegnarti l’invito per la
festa del fidanzamento ufficiale, ci saranno anche altre compagne,
potrebbe quasi definirsi una riunione di vecchie amiche del collegio
… ovviamente puoi portare un cavaliere, devi solo dirmi che
accetterai, ti prego!”
“Rebecca!”
esclamò sorpresa l’amica che non si ricordava
della parlantina della ragazza.
“Emilia,
ti sto solo invitando a un ballo …”
“Lo so,
non è quello è che … -
scoppiò a ridere ammettendo- mi sono mancati i vecchi
tempi” Rebecca si unì alle risa
dell’amica.
“Finalmente
ti vedo sorridere! Devo però avvisarti che se porti tuo
cugino rischi di rimanere senza cavaliere per gran parte della sera,
diverse ragazze mi hanno già chiesto di lui
…”
“Temo
resteranno deluse dal sapere che è ripartito per
l’accademia un mese fa...” si rabbuiò
nuovamente la marchesina.
“Oh,
perdonami, non sapevo …”
“Va
tutto bene Rebecca, ti prego non scusarti ancora” la ragazza
annuì e le due continuarono a chiacchierare. Quando la
duchessina si congedò, Emilia si portò
automaticamente al clavicembalo, lasciando che le sue dita creassero
dolci melodie. Cristiano aveva accompagnato la sorella sino in camera
di Agnese, uscendo la sua attenzione venne attratta dalla scia di note,
che decise di seguire per scoprire chi fosse il creatore di quella
musica. Spiò dal vetro della biblioteca, prima di entrare,
ma la maniglia gli scivolò di mano, facendo sbattere la
porta e rivelando così la sua presenza. Emilia si
bloccò di colpo, voltandosi verso la porta ora chiusa.
“Perdonami
Emilia, ti prego continua pure a suonare, sei bravissima.” Si
scusò il principe. Emilia si alzò, forse un
po’ troppo in fretta, e fu costretta a sorreggersi allo
strumento. Il principe accorse in suo aiuto, offrendosi di
accompagnarla a sedersi sul divanetto poco distante.
“Non
devi preoccuparti Cristiano, è stato solo un capogiro,
probabilmente il caldo …” si
giustificò, accettando ugualmente il braccio che il ragazzo
le porgeva. Sedendosi, però l’invito ricevuto le
scivolò dalla manica. Cristiano lo raccolse e lo porse alla
ragazza senza domande:
“Suppongo
che questo sia tuo …”
“Sì,
è un invito da parte della duchessina Roland, mi ha invitata
alla festa per il suo fidanzamento” spiegò, senza
che l’altro avesse chiesto spiegazioni. Cristiano
annuì.
“Ma non
credo che parteciperò” concluse seria.
“Come
mai questa decisione, se mi è permesso?”
“Beh
… primo non credo di essere dell’umore migliore
per partecipare ad una festa, e poi mi mancherebbe il cavaliere, non
sta bene che una giovane ragazza si presenti sola ad un
ballo” cercò di giustificarsi.
“Se mi
permetti, credo che una festa possa farti bene, e se non sono
indiscreto, potrei accompagnarti io al ballo, senza alcuna pretesa, se
non quella di permetterti di partecipare ai festeggiamenti in onore
della tua amica” suggerì il principe. Emilia
indugiò, ma Cristiano non le diede il tempo per rifiutare:
“Non ti
fidi di me?” domandò.
“Certamente
no! Non dubito di voi … forse, forse hai ragione,
grazie!” sorrise
“So di
avertelo già detto, ma sei ancora più bella
quando sorridi” disse il ragazzo portandosi la mano di lei
all’altezza delle labbra in un perfetto baciamano, prima di
congedarsi.
Emilia continuava
a fissarsi allo specchio, domandandosi il perché di tanti
accorgimenti per un ballo – e soprattutto un cavaliere- al
quale avrebbe rinunciato volentieri. Fissò nuovamente
l’immagine pallida che lo specchio le rimandava: non era
certa che quella fosse la cera migliore per una festa di fidanzamento.
Si sistemò un’ultima forcina per fermare i capelli
sulle tempie, e prese il piccolo ventaglio in avorio, giusto in tempo
per sentire la voce di Cristiano chiedere di lei. La ragazza chiuse gli
occhi, assalita da un senso di vertigine prima di alzarsi e uscire
dalla camera, accompagnata da Angelica.
Cristiano accolse
la sua dama con un inchino e uno sguardo adorante. Emilia
arrossì quando i suoi occhi s’incrociarono con
quelli del giovane dopo il baciamano.
“La
carrozza ci aspetta, sarà meglio andare se non volete far
aspettare la vostra amica” disse il principe dopo diversi
complimenti, la ragazza annuì e presto i due salirono in
carrozza alla volta della tenuta Roland. Durante il tragitto Emilia
rimase in silenzio finché Cristiano non la destò
dai suoi pensieri:
“Preferisci
che ti riporti a palazzo?” domandò il principe.
“Perché
mi fai questa domanda?” chiese lei sorpresa.
“Non
saprei, è che ti vedo… strana, sei sicura di
sentirti bene?”
“Sto
bene grazie, è che stanotte non ho dormito molto”
mentì la ragazza, sperando di essere credibile. Il principe
annuì.
“Capisco,
perdonami.” Emilia stava per ribattere ma la loro discussione
fu interrotta dal valletto che aprì lo sportello della
carrozza. Cristiano scese velocemente, porse la mano alla marchesina, e
insieme si diressero all’interno del palazzo.
Il salone delle
feste era stato preparato in ogni dettaglio. Enormi vasi di fiori erano
stati sistemati nella sala, e l’orchestra suonava dolci
melodie, alla luce di un grande lampadario di cristallo sormontato da
decine di candele; le finestre aperte davano su un giardino
all’italiana, illuminato per l’occasione. Emilia
rimase molto colpita da quello spettacolo, completato dagli invitati
che conversavano all’interno della sala in piccoli gruppetti.
Appena Rebecca scorse l’amica corse a salutarla:
“Emilia,
sono così felice di vederti! Temevo che ormai non saresti
più venuta” esclamò abbracciando la
marchesina.
“Non
potevo mancare” sorrise l’altra sciogliendosi
dall’abbraccio, riportandosi al braccio del principe per
presentarlo, ma nuovamente la futura sposa fu più rapida.
“E lui
è il tuo cavaliere” commentò, alludendo
a una relazione più intima tra i due. La marchesina
tentò di ridimensionare la situazione.
“Oh,
sì lui è Cristiano –disse per poi
correggersi- il ... principe di Montesanto” Cristiano sorrise
divertito.
“È
un onore per me conoscervi” la duchessina sorrise.
“Venite,
voglio presentarvi il mio fidanzato. Forse tu Emilia te lo ricorderai,
ma sono sicura che non vi siate mai presentati …”
così dicendo trascinò la coppia
dall’altra parte della sala, dove in un gruppetto di
cavalieri un giovane stava discutendo con un gentiluomo. Rebecca si
fece strada e trasse in disparte i due oratori, con grande delusione
del piccolo pubblico presente.
“Perdonate
l’interruzione padre, ma volevo presentare a voi e a Riccardo
la mia amica Emilia Radicati, e il suo accompagnatore, il principe
Cristiano di Montesanto” a quelle parole, il futuro sposo
fissò con più attenzione l’altro
giovane. I due rimasero in silenzio a osservarsi, finché
Riccardo non domandò
“Perdonatemi,
temo di non aver capito bene, voi siete il principe di
Montesanto?”
“Sì
sono io, perdonate la domanda, è forse possibile che io vi
abbia già incontrato altrove?”
Il
gentiluomo sorrise incredulo:
“Cristiano
non mi riconosci più? Sono Riccardo, il tuo vecchio amico,
sono andato via da Venezia quando eravamo poco più che
bambini ricordi?”.
“Riccardo!
Non posso crederci!” esclamò il principe,
coinvolto da quella nuova ondata di allegria, lasciando le due ragazze
stupite.
“Perdonami
Rebecca - iniziò il duca- ma devi sapere che Cristiano ed io
eravamo molto amici, poi ci siamo persi di vista, è
straordinario incontrarti nuovamente alla mia festa di fidanzamento, in
Piemonte per di più!” terminò rivolto
all’amico. Il gruppetto continuò a chiacchierare
finchè il duca invitò la fidanzata ad aprire le
danze, seguito da altre coppie, tra cui quella formata da Emilia e
Cristiano. Poco dopo la ragazza si accostò
all’orecchio del suo cavaliere sussurrandogli:
“Ti
prego portami fuori, mi manca l’aria” Cristiano
preoccupato le cinse delicatamente la vita, e
l’accompagnò a sedersi sulla panchina
più vicina. Il fresco della notte fece riprendere la
marchesina, che poco dopo essersi seduta si sentiva già
molto meglio. Cristiano l’osservava ancora preoccupato
“Emilia
come ti senti?”
“Sto
meglio, forse ho fatto stringere un po’ troppo il corsetto, o
magari è stata colpa del fumo delle candele e di tutti quei
fiori …” si giustificò la ragazza.
Cristiano continuava a fissarla dubbioso. Emilia sorrise timida,
abbassando la testa, e nel movimento una ciocca di capelli le
scivolò dall’acconciatura. La ragazza
alzò il volto sentendo la mano delicata del ragazzo
spostarle i capelli dietro l’orecchio. I due si fissarono:
“Mi hai
fatto spaventare, temevo che saresti svenuta da un momento
all’altro” confessò il principe
indugiando ancora sul volto della giovane. Emilia non sapeva cosa fare,
sorpresa da quel contatto così intimo, accennò a
un sorriso imbarazzato, che subito venne ricambiato dal ragazzo. La
marchesina continuò a rimanere immobile fissando negli occhi
il ragazzo. Cristiano le alzò ancora leggermente il volto
verso di lui per arrivare più facilmente alle labbra di lei.
Poco prima di baciarla, si ritrasse riaprendo gli occhi. Emilia lo
fissò interrogativa.
“Ho
fatto una promessa – iniziò il giovane abbozzando
un sorriso, per poi continuare - non voglio tradire la tua
fiducia”. A quelle parole Emilia
appoggiò le sue labbra su quelle del principe. Cristiano
colse l’invito della marchesina, e rispose al bacio,
imprigionando la nuca della ragazza con grazia.
Un alito di vento
più freddo interruppe i due giovani, Emilia fissò
il suo cavaliere, esitante.
“Sarà
meglio rientrare, o la tua amica crederà che ti abbia rapita
…” sorrise, cercando di distendere la situazione
porgendole il braccio. La contessina accettò
l’invito, ma contro le aspettative del principe chiese di
essere riportata a Rivombrosa. Il suo cavaliere non
poté che assecondare quella richiesta, così, dopo
essersi congedati dai promessi sposi i due salirono in carrozza.
Durante il viaggio Emilia continuò ad evitare lo sguardo del
ragazzo, fissando fuori dal finestrino, perdendosi tra i suoi pensieri
e nell’oscurità della notte. Cristiano continuava
a osservarla, poi scostò anch’egli la tendina per
capire cosa avesse tanto attirato l’attenzione della giovane
dama al suo fianco. Emilia sussultò e finalmente
prestò attenzione al suo compagno di viaggio.
“Perdonami
Emilia, non volevo spaventarti” finse di scusarsi celando un
sorrisino di compiacimento, per poi continuare:
“Eri
così assorta, a cosa stavi pensando? Se non sono
indiscreto” Emilia arrossì violentemente, e
ringraziò che quell’oscurità la
mascherava quasi completamente.
“Sono
in pensiero per mio cugino … è da quando
è partito che non ho più sue notizie”
rispose, optando nel rivelare una mezza verità, certo non
poteva ammettere di star ancora pensando alla loro ultima notte
insieme, sarebbe stato troppo sconveniente. Cristiano accusò
il colpo, ma si riprese rapidamente:
“In
fondo nessuna notizia, è sempre meglio che qualche notizia
cattiva; sono convinto che il conte Ristori è sano e salvo
all’accademia …” affermò
porgendosi in avanti a afferrando dolcemente la mano della marchesina.
Ancora una volta la ragazza sussultò, per quel gesto
così intimo, forse troppo, ma poteva veramente ritirarsi
dopo averlo baciato?
“Ancora
una volta non posso che darti ragione” rispose la ragazza con
lo sguardo basso, cercano di respingere quei suoi stessi pensieri, ma
perdendosi in essi ancora una volta.
“Principessa
siamo arrivati” il principe le tese la mano per aiutarla a
scendere, Emilia accettò l’aiuto e svelta si
diresse verso l’entrata, ma prima di sparire
nell’ombra si voltò
“Cristiano
…” chiamò timida. Il principe che aveva
continuato a seguirla con lo sguardo s’illuminò, e
fece un passo avanti per raggiungerla, Emilia abbassò il
capo, imbarazzata.
“Buona
notte …” biascicò prima di scappare su
per la grande scalinata.
“Buona
notte” le rispose il principe vedendola sparire, e tornando
poi sulla sua carrozza scuotendo la testa: il compito di conquistarla
era più arduo di quanto avesse creduto, ma lui non era
dell’idea di lasciare un tale fiore nelle mani di qualcun
altro. Avrebbe trovato il modo di farla sua.
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Capitolo 38 *** Capitolo XXXVIII ***
Un capitoletto per augurarvi un
buon 2012, che sia migliore dell'anno appena passato, in qualunque modo
voi abbiate passato il 2011. A dopo la Befana! nica
“Marchesina svegliatevi!” a quelle parole Emilia si
rigirò nel letto, ma l’insistenza di Angelica la
fece desistere.
“Perché mi hai svegliata? Che ore sono?”
domandò assonnata.
“Perdonate marchesina, ma sono già le due del
pomeriggio, e poi c’è il principe di Montesanto
che chiede di voi …”
“Le due del pomeriggio? Credevo di essermi appena
addormentata!” esclamò confusa appoggiando la
fronte sul palmo della mano.
“Dovete essere rincasata tardi ieri notte, almeno vi siete
divertita alla festa?”
“Sì è stata una bella festa, anche se
non sono rincasata così tardi come pensi, anzi a essere
sincera mi sono dovuta congedare dalla mia amica, ancora prima che la
festa finisse”.
“Avete avuto nuovamente uno dei vostri malori?”
chiese apprensiva la ragazza. Emilia annuì.
“Perché non vi fate visitare dal dottor Ceppi,
sono sicura che lui saprebbe suggerirvi una cura per risolvere il
vostro problema” propose. Emilia scosse la testa.
“Angelica, sono solo dei leggeri malori, non voglio dargli
altre preoccupazioni. Quando mia madre si sarà ripresa,
allora, se non saranno passati gliene parlerò”
così dicendo si alzò dal letto, ma subito dovette
aggrapparsi al baldacchino per non cadere. Angelica le fu subito
accanto:
“Vi sentite poco bene?” domandò
premurosa la cameriera.
“Non è nulla, solo un capogiro. Sto già
meglio, davvero” la giovane la fissò intensamente.
Emilia cercò ancora di rassicurarla, ma Angelica la
costrinse a risedersi sul letto, e fece altrettanto.
“Marchesina voi siete sicura che questi malori siano dovuti
solo al caldo e alla stanchezza?” domandò seria.
La giovane la fissò perplessa.
“Spiegati meglio, non capisco cosa vuoi dire”.
“Perdonate l’ardire, ma …”
s’interruppe, incerta su come continuare
“Ma?” domandò la marchesina, per
spronarla.
“Siete stata di qualche uomo?” sussurrò
ad occhi bassi la ragazza. Emilia rimase sorpresa da quella domanda.
“Perché me lo chiedi?”
“Perdonatemi ancora, ma tutti i vostri malori, i capogiri, se
posso permettermi, sembrano quasi sintomi di una gravidanza”.
“Un bambino?” domandò con un filo di
voce la giovane, portandosi istintivamente una mano sul ventre.
“Signorina, è soltanto una mia ipotesi,
sicuramente mi sarò sbagliata …” Emilia
le fece cenno con la mano di rimanere in silenzio
“Da quanto tempo è partito mio cugino?”
le chiese con gli occhi bassi e la voce tremante.
“Sei settimane, all’incirca. Credete forse che
…” ancora una volta Angelica non riuscì
a finire la frase. Emilia trasse un profondo respiro.
“Sì, se veramente aspetto un bambino, beh ...
questo è sicuramente figlio di Martino” ammise,
prendendo dal vassoio qualcosa da mangiare, ma un conato di vomito la
costrinse ad abbandonare il proposito e raggiungere velocemente la
camera accanto, dove teneva il necessario per la toeletta del mattino.
Quando la crisi fu passata, la ragazza si accasciò a terra
in lacrime, sorretta dalla cameriera.
“Aspetto un figlio da Martino …”
continuava a ripetere, ancora sconvolta da quella notizia.
Angelica cercava di calmarla, ma la marchesina iniziò a
singhiozzare più forte.
“Non posso essere in attesa, non sono sposata, cosa
dirà mia madre? E Martino? Non posso rovinargli la vita, lui
deve avere la sua carriera, era così felice quando lo
accettarono in accademia”.
“Vi prego signorina, calmatevi- continuava a ripeterle la
cameriera, stringendola tra le braccia e accarezzandole i capelli prima
di continuare - ci sono diverse soluzioni, se decidete di tenerlo,
potete sempre ricorrere a un matrimonio riparatore, siete ancora agli
inizi e la pancia non si vede, se vi sposate a breve vostro figlio
nascerebbe all’interno del matrimonio. Vostro cugino potrebbe
rimanere all’oscuro di tutto …” Emilia
scosse la testa.
“E chi dovrei ingannare per salvare le apparenze?”
domandò asciugandosi le lacrime, lasciando intendere la sua
volontà a cercare una soluzione differente.
“Era solo una possibilità, ma prima di tutto, voi
siete sicura di volere questo bambino?”
“Non lo so” ammise, in un soffio la ragazza
abbassando gli occhi sul pavimento, per non incontrare lo sguardo della
sua interlocutrice.
“Non vergognatevi, è normale essere impaurite e
indecise all’inizio. Prendetevi qualche giorno per
riflettere, poi fatemi sapere. Vi prometto che nulla uscirà
da questa stanza, ma ora dovete rinfrescarvi il volto e prepararvi, il
principe vi sta aspettando, e non credo possiate temporeggiare ancora
per molto”. Emilia annuì e si fece aiutare dalla
ragazza, per poi presentarsi nel salone dove il principe si era
intrattenuto con i coniugi Ceppi. Quando la ragazza entrò,
la madre le andò incontro abbracciandola. Emilia rimase
sorpresa da quel comportamento, si avvicinò ai due uomini,
scusandosi per il ritardo.
“Emilia, non dovete scusarvi” proferì il
principe, porgendole poi la mano e invitandola a uscire nel parco.
Incerta, la ragazza si volse verso la madre che annuì,
incoraggiandola ad accettare l’invito e lo stesso fece
Antonio.
Emilia seguì il principe in giardino. Cristiano camminava
lento attraverso il basso labirinto del giardino all’italiana
dando il braccio alla marchesina, che non poteva però
ignorare il silenzio del giovane e la sua tensione mal celata dietro
gli atteggiamenti del perfetto gentiluomo.
“Principe, vi vedo teso, è forse successo
qualcosa?” domandò Emilia, per spezzare
quell’innaturale atmosfera che si era creata.
“Nulla di spiacevole, Emilia. Questa mattina ho parlato con
vostra madre …” Emilia sussultò.
“Non le avrete raccontato di ieri sera
…” domandò preoccupata.
“Rilassatevi, se intendete il bacio, non ne ho fatto parola,
ma abbiamo parlato di voi”.
“Di me?” chiese ancora la ragazza, senza afferrare
pienamente il senso di quella conversazione.
“Dopo il bacio di ieri sera, ho capito che non posso
più nascondervi i miei sentimenti, e speranzoso che anche
voi nutriste, almeno una qualche affezione nei miei confronti, ho
voluto presentarmi ufficialmente - il principe si era fermato e
prendendo entrambe le mani della giovane, le si inginocchiò
di fronte - Marchesina Emilia Radicati di Magliano, so bene che il
nostro primo incontro non è stato propriamente
convenzionale, e neppure particolarmente piacevole, ma spero di essere
,almeno in parte, riuscito a dimostrarvi ciò che sono
realmente. Sposatemi, Emilia! Sposatemi e fatemi l’onore di
diventare mia moglie”.
Emilia rimase in silenzio, sorpresa da quella dichiarazione tanto
inaspettata, quanto sorprendentemente provvidenziale. Lo sguardo della
ragazza vagava nel vuoto, finché non lo posò
prima sulle loro mani unite, per poi alzarlo e incatenarsi con quello
magnetico di Cristiano, che immobile attendeva una sua risposta.
“Cristiano io … - mormorò talmente
piano, da temere di non essere stata udita - io sono molto onorata
della vostra proposta – lo sguardo di Emilia si volse ancora
altrove, cercando di nascondere le piccole lacrime che premevano per
uscire - ma non posso accettare” così dicendo
sciolse le sue mani da quelle del ragazzo, cercando di ricacciare
indietro i singhiozzi. Cristiano si alzò, imponendosi
davanti a lei.
“Io credevo …”
“Cristiano mi dispiace che il mio comportamento vi abbia
illuso, non era mia intenzione, credetemi! Ma il mio cuore appartiene a
un altro uomo, e non potrei essere felice con voi, e renderei infelice
anche la vostra vita. Mi dispiace … ma non posso. Non posso
proprio” così dicendo, lasciò il
ragazzo in mezzo al cortile, scappando in camera. Sfortunatamente per
lei, la strada più veloce per raggiungerla era passare dalla
biblioteca, dove Antonio e sua madre stavano aspettando la coppia.
Senza riflettere, su ciò, Emilia spalancò la
portafinestra ed entrò; la madre cercò di
bloccarla, per farsi raccontare ciò che era successo.
“Vi prego madre, ho bisogno di rimanere da sola”
così dicendo scappò via.
“Ma tesoro …” cercò di
trattenerla ancora la contessa, che fu bloccata dal marito:
“Anna ormai non è più una bambina, ed
è perfettamente in grado di prendere decisioni
autonomamente, credo che sia meglio andare dal pretendente
rifiutato”.
“Tu dici?” domandò incerta la contessa.
Antonio l’abbracciò stretta confessandole:
“Non so perché ma non penso che quel principe
fosse il tipo di uomo adatto a lei.”
Emilia si alzò dal grande letto, dove aveva sfogato tutti i
suoi sentimenti, e cercò di rilassarsi. Quando un nuovo
capogiro la colpì, si rimise seduta, portandosi una mano sul
ventre: tutte quelle emozioni non le avevano di sicuro fatto bene,
doveva cercare di rimanere lucida, per lei e soprattutto per quel
bambino, che sempre più prepotentemente, dava prova di
esistere. Ripensò a quello che era appena successo. Non
riusciva ancora a credere di come a volte il destino, o la provvidenza,
potessero favorire tanto un individuo, e gettarlo nella disperazione un
momento dopo: era stata ad un passo dall’accettare quel
matrimonio, ma all’ultimo una voce dentro di lei le aveva
urlato di rifiutare. Senza alcuna spiegazione le si era proiettata
davanti la vita di sua madre, prima di risposarsi con Antonio, e le sue
lacrime, diversi anni prima, quando si era chiusa in quella stessa
camera, a Rivombrosa per sfuggire al marito. Cercò di
ricacciare lontano quei ricordi; lei non avrebbe accettato un
matrimonio con un uomo che non amava. Ma ora che quell’unica
possibilità di nascondere un figlio illegittimo si andava
affievolendo, mille insicurezze si facevano largo in lei. Solo di una
cosa era sicura: avrebbe lottato per tenere con sé quella
vita che stava crescendo, anche a costo di dover crescere suo figlio da
sola. Se necessario, sarebbe partita, magari alla volta
dell’America, oppure in Inghilterra, lontano da tutti,
lontano soprattutto da lui, da Martino. Martino …
com’era possibile che non si fosse ancora rassegnata al suo
silenzio, perché si ostinava ad aspettarlo? In fondo lui
aveva scelto la sua carriera militare, ponendola davanti al loro amore
… ma quelle scuse non soddisfavano nemmeno lei stessa; era
stata lei a rifiutare il suo invito a seguirlo, la paura
l’aveva bloccata, impedendole di essere felice, e forse era
meglio così. Suo cugino avrebbe mantenuto la sua promessa e
non avrebbe dovuto rinunciare a nulla per lei.
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Capitolo 39 *** Capitolo XXXIX ***
Parigi,
accademia militare.
Martino
era davanti ad alcune giovani reclute, con la
spada sguainata, sfidandoli ad attaccarlo. Solo una testa calda ebbe il
coraggio necessario per accettare la sfida, ma la sua inesperienza
contro la
classe del conte italiano non aveva la minima possibilità, e
dopo un paio di
colpi il malcapitato si trovò disarmato, con la lama puntata
alla gola.
“Come vi chiamate soldato?” gli domandò
Martino.
“François, signore!” esclamò
l’altro. Martino tolse la minaccia dalla gola del
malcapitato e gli permise di alzarsi.
“Noto con piacere che siete stato l’unico ad avere
l’ardire di accettare la sfida.
Molto bene. Tuttavia, mai sottovalutare l’avversario. Ma
soprattutto, mai avere
la certezza di essergli superiore. Torna dagli altri. E per voi alcune
cose da
ricordare: oggi siete rimasti a guardare. Non sempre potrete avere
questa
scelta. La carriera militare non è per tutti, solo pochi
possono aspirare all’uscire
vivi da una battaglia. Un esercito ha bisogno di soldati forti e
valorosi, ma
ogni soldato deve sempre tenere a mente tre cose: disciplina,
lealtà e
coraggio. Questo fanno di voi un soldato, non la divisa e
un’arma”.
“Conte Ristori!” una voce lo distrasse dal suo
discorso, inconsapevolmente così
simile a quello fatto dal padre diversi anni prima.
“Signore”.
“Siete molto esigente, non credete che quelle nuove leve
possano dileguarsi se continuate
a trattarle così?”
“Perdonatemi, io credevo che fosse più saggio
prepararli ora, piuttosto che lo
scoprissero da soli, magari nel momento meno opportuno
…” rispose seguendo
l’invito dell’uomo a raggiungere una zona del parco
più isolata.
“Voi Ristori, siete tutti uguali, sempre severi con gli altri
e intransigenti
con voi stessi. Oggi mi è sembrato di rivedere vostro padre,
il conte Fabrizio …”
Martino distolse lo sguardo dal suo interlocutore.
“Perdonate signore, ma è un argomento ancora molto
delicato. Forse prima
dell’ultimo ritorno a Rivombrosa, avrei ritenuto un onore
essere paragonato a
lui, ma ora non ne sono più così
sicuro” ammise, con lo sguardo basso.
“Conte ristori, quello che mi avete confessato è
molto grave. Non so cosa vi
abbia portato a un cambiamento tanto radicale, ma ricordatevi che ogni
eroe, è
pur sempre un uomo, con la sua storia e i suoi errori “.
“Capisco, e vi prometto di riflettere sulle vostre parole, ma
perdonatemi,
vorrei rimanere un po’ solo, se non vi dispiace”.
“Un’ultima cosa, poi vi lascio ai vostri pensieri.
Per la cerimonia della
promozione: non ho ancora ricevuto il numero di posti a sedere che
vuole
riservare ai suoi familiari. Forse non vi saranno ancora arrivate le
risposte
ai vostri inviti, ma immagino che avrete già
un’idea”.
“Nessuno”
“Nessuno?” domandò sorpreso
l’uomo.
“Vi garantisco, signore, che è meglio
così”.
“Vedo che non volete parlarne, francamente la vostra amarezza
mi sorprende,
eravate orgoglioso di questa promozione …”
“Vi prego signore, sono ancora onorato di questo, ma desidero
veramente non
rientrare sull’argomento” lo interruppe nuovamente
Martino.
“Capisco, e cosa ne pensate di occuparvi delle nuove reclute?
Avete tutte le
qualità per svolgere un tale incarico in maniera
eccellente”. Martino rimase
sorpreso dalla proposta.
“Non saprei cosa rispondervi, in questo momento sono
combattuto …”
“Comprendo che non vi aspettavate una proposta del genere, vi
lascerò del tempo
per pensare, anzi sarete voi a darmi una risposta quando più
vi sentirete pronto
per farlo. Se non è troppo, vi chiederei di poterlo sapere
almeno con un minimo
di preavviso rispetto alla cerimonia”.
“Lo farò signore”. Così
dicendo si avviò verso l’accademia.
Emilia
aveva iniziato a fare i bagagli, quando un lieve
bussare interruppe il suo lavoro.
“Avanti” rispose meccanicamente, mentre,
spaventata, cercò di nascondere
l’evidenza, ma la fretta e l’ansia la tradirono,
facendole urtare il baule, che
cadde a terra con un tonfo ben udibile.
“È permesso?” domandò Elisa
aprendo la porta.
“Sì, certamente, entra pure”
balbettò la ragazza, cercando di nascondere il
baule, e alcuni vestiti, ancora sul pavimento.
“Tua madre ti sta aspettando per il tè -
iniziò, ma notando la confusione della
ragazza, e il disordine della stanza s’insospettì
– Emilia che succede?” a
quelle parole la giovane non riuscì più a
fingere, e scoppiò in lacrime.
“Elisa, io non posso più restare qui”
ammise, tra un singhiozzo e l’altro. La
contessa la strinse a sé, cercando di calmarla.
“Tesoro cosa stai dicendo?” domandò.
“Devo andarmene da Rivombrosa.” Riprese la
marchesina, cercando di ridurre i
singhiozzi che ancora la scuotevano.
“Non dirai così solo perché hai
rifiutato il tuo pretendente” riprese Elisa,
sorridendo alla volta della nipote, che arrossì
violentemente.
“Come fai a saperlo?” domandò confusa e
imbarazzata.
“Beh … diciamo che ho incontrato Cristiano che
lasciava la tenuta, e non aveva
l’aria di uno che presto avrebbe messo una vera al dito della
donna che ama.
Così ho chiesto a tua madre”.
“Chissà che scandalo starà
già uscendo!” disse sconsolata coprendosi il volto
con entrambe le mani. Elisa gliele prese tra le sue.
“Emilia, non hai niente di cui vergognarti … in
fondo voi non eravate
fidanzati, e tu hai solo seguito il tuo cuore. Non l’hai mica
lasciato
all’altare. Hai respinto un pretendente. Non
c’è nulla di scandaloso in questo,
certo un tuo repentino allontanamento da Rivombrosa, dopo
ciò, allora forse sì
che potrebbe dare adito alle dicerie … ma da quando tu sei
così preoccupata di
che cosa pensi la gente di te? Hai sempre avuto un comportamento
impeccabile,
sia nelle tue apparizioni pubbliche che qui in casa, non hai nulla da
temere …”
mentre la zia cercava di tranquillizzarla, la ragazza scuoteva la testa.
“Quanto vorrei che fosse vero … ma
c’è una cosa che non sai - sussurrò la
ragazza abbassando lo sguardo - aspetto un figlio”
mormorò, con un filo di
voce, appena udibile.
“Un figlio?” domandò incredula Elisa.
“Elisa, ti prego, aiutami! Non so cosa devo fare, io questo
bambino lo voglio,
ma ho paura …” iniziò la ragazza
cercando di non ricominciare a piangere.
“Shhh, tesoro, calmati, cerca di calmarti, mi hai sorpresa,
ma ti starò vicina,
te lo prometto.” Emilia in uno slancio abbracciò
la zia che la strinse a sé.
“Grazie, grazie” continuava a ripetere la ragazza,
finché la donna non la
staccò leggermente da sé domandandole:
“So che è una domanda delicata, ma …
chi è il padre?”
“Martino” ammise, ancora una volta con gli occhi
bassi. Elisa incassò il colpo,
senza ribattere.
“Lo so che è stato stupido, ma io lo amavo, non
credevo che potesse succedere …”
“Cosa è stato stupido? - domandò Elisa
- aspettare un figlio da lui?”
“No, sono certa che lui sarebbe un padre perfetto per il mio
bambino …” cercò
di giustificarsi Emilia.
“Ma?” domandò Elisa, intuendo la velata
conseguenza che quella frase non
terminata portava con sé.
“Ma non sarebbe giusto, lui deve inseguire i suoi sogni, a
Parigi. La sua
carriera militare lo aspetta”.
“È stato lui a dirti queste cose?”
“No, lui non sa ancora nulla. Ho appena scoperto di attendere
questo figlio. È stata Angelica a suggerirmi
questa
possibilità, soprattutto dopo alcuni malesseri che ho
provato in questi ultimi
giorni”. Spiegò ancora la ragazza.
“Ne hai parlato con Antonio? Lui potrebbe aiutarti”
suggerì la contessa.
“Scusami zia, ma non credo che parlare di una mia possibile
gravidanza,
oltretutto al di fuori del matrimonio, col marito di mia madre sia
un’idea
saggia.”
“Hai ragione, ma Antonio è pur sempre un medico
...”
“Elisa, non ho più bisogno di certezze. Ho quelle
necessarie: aspetto un figlio
da Martino, e non posso più rimanere qui a
Rivombrosa”.
“E dove vorresti andare, per esempio” la
sfidò Elisa, vedendo che la sicurezza
della nipote era in realtà solo una finzione.
“Lontano da qui”.
“E a Martino non pensi?”
“Lui non deve sapere. E poi non mi sembra che lui abbia
pensato molto prima di
ripartire per Parigi”.
“Così sei ingiusta Emilia, sai bene che lui ti
aveva chiesto di seguirlo”.
“Ma come …” iniziò la
marchesina.
“In realtà non è importante sapere come
io sia venuta a conoscenza di questo
particolare, non ora almeno. Prima rispondi alla mia domanda: sei
sicura che
tuo cugino, il padre di tuo figlio, non debba conoscere la
verità? E se tra qualche
anno questo piccolo ti chiedesse di lui tu cosa gli risponderesti? Cosa
accadrebbe se lo venisse a sapere, magari come Martino ha scoperto il
ritorno
di Fabrizio?”
“Questo non accadrà” ribatté
decisa la ragazza.
“Perché non vuoi darti una possibilità,
Martino non è partito per causa tua.
Sono certa che ti ascolterebbe.”
“E allora perché non ha mai risposto alle mie
lettere?”
“Non lo so, forse aveva paura di riallacciare i rapporti con
la sua famiglia. O
forse temeva di soffrire. Ma non puoi tenerlo all’oscuro di
tutto”.
“Elisa, non posso certo presentarmi a Parigi e dirgli che
aspetto suo figlio!”
“Perché no?” domandò la
contessa, cercando nuovamente di far ragionare la
nipote.
“Perché lui rinuncerebbe ai suoi sogni per me, e
prima o poi lo rimpiangerà. Non
voglio essere la causa della sua infelicità”.
Rispose ancora la ragazza.
“Hai pensato come potrebbe reagire Martino sapendo che hai
lasciato Rivombrosa?”
“Soffrirà – ammise la marchesina
– ma prima o poi riuscirà a
dimenticarmi”.
“E tu riusciresti a vivere senza di lui, con un figlio che ti
ricorderà sempre
a cosa hai voluto rinunciare?” Emilia rimase in silenzio per
qualche minuto.
“Hai ragione Elisa. Devo confessargli tutto
…” ammise finalmente, Elisa tirò un
sospiro di sollievo:
“Bene, quindi ora che hai una meta potresti anche tirare
fuori il baule che hai
tentato di nascondere sotto il letto, e riempirlo con alcuni vestiti
… magari
con questi” la prese in giro la zia, chinandosi a raccogliere
alcuni indumenti
della ragazza. Emilia arrossì.
“Elisa … tu e lo zio mi accompagnereste a Parigi?
Non credo che riuscirei ad
affrontare da sola quel viaggio …”
“Certo tesoro, ma prima dovresti avvisare tua madre, e darmi
il tempo di
preparare i bagagli per me e per tuo zio. Emilia ringraziò
la contessa,
facendosi promettere ancora una volta che non avrebbe rivelato nulla di
quella
conversazione a nessuno.
“Emilia
non capisco il perché vuoi partire proprio ora”
iniziò Anna, dopo che la figlia le aveva comunicato davanti
a tutti i commensali
di voler tornare a Parigi.
“Vi prego madre, ho bisogno di cambiare aria, soprattutto ora
che ho rifiutato
Cris … il principe di Montesanto - si corresse la ragazza,
per poi aggiungere -zia
Elisa e zio Fabrizio potrebbero accompagnarmi”.
“Emilia non puoi chiedere a loro di accompagnarti e poi
lasciarti al collegio,
e farli tornare a Rivombrosa, non mi sembra il caso. E poi non eri tu
quella
che voleva restare a Rivombrosa?”
“Ma madre …”
“Anna, per noi non sarebbe un disturbo, anzi potremmo
approfittarne per
rimanere qualche giorno a Parigi …”
spiegò Elisa. La contessa Ceppi parve
rifletterci sopra.
“E quando avresti intenzione di partire signorina?”
domandò rivolta alla figlia.
“Anche domani se possibile” ammise la ragazza. La
madre la fulminò con lo
sguardo, per poi passare alla cognata e al fratello.
“E voi non avete nulla da obiettare?”
“Madre vi prego, sono io che ho chiesto loro di
accompagnarmi” la interruppe la
ragazza.
“L’ultima volta che sei partita per poco non
è successa una catastrofe, come
puoi chiedermi con tanta leggerezza di partire nuovamente?”
“Anna, lei non ha colpe di quello che è successo
l’ultima volta” cercò di farla
ragionare Antonio, vedendo la ragazza rabbuiarsi.
“E va bene, puoi tornare a Parigi”
dichiarò sconfitta la contessa. Emilia le si
gettò fra le braccia, ringraziandola senza sosta.
La
carrozza procedeva al piccolo trotto. Dopo alcune
ore di viaggio, Elisa propose una sosta, ma la ragazza
rifiutò decisa.
“Emilia non devi stancarti nelle tue condizioni. Soprattutto
in questo periodo”.
“Elisa ha ragione. Non puoi pretendere di viaggiare tutto il
giorno senza
riposarti” cercò di farla ragionare Fabrizio.
Emilia scosse il capo e riprese a
guardare fuori dal finestrino. Elisa approfittò della
distrazione della nipote
per stringersi nell’abbraccio del marito, godendo di quel
piccolo momento
privato.
“E se non mi volesse vedere?” domandò
improvvisamente la ragazza, trovando assolutamente
stupido il piano che qualche giorno prima le era sembrato perfetto.
“Non credo che rifiuterà di vederti. Ma forse ora
è un po’ tardi per farsi
sorgere dei dubbi non trovi?” cercò di
rassicurarla Elisa, posandole una mano
sulla spalla.
la ragazza sorrise, e portandosi una mano sul ventre domandò:
“Quanto manca?”
“Siamo quasi arrivati a una locanda non molto lontano
dall’accademia. Vediamo
se riusciamo a trovare una stanza, così ti puoi riposare e
domani mattina
potresti già andare a trovare tuo cugino”. La
rassicurò Fabrizio, offrendole
sempre la possibilità di una sosta, che la ragazza
rifiutò caparbiamente. Elisa
tentò di trattenere un lieve sorriso, mentre Fabrizio dava
ordini al cocchiere
di imboccare una stradina secondaria, che portava ad una piccola
locanda. Mentre
il conte contrattava con l’oste un posto per dormire, Emilia
chiese spiegazioni
di quel sorrisetto alla zia.
“Non è nulla … è che sia tu
che Martino siete così testardi quando vi impuntate
su ciò che volete, che ho quasi paura di immaginare il
carattere di quel
piccolino. Temo non avrete vita facile … soprattutto tra
qualche anno!” Emilia
arrossì, come ogni volta che si alludeva al suo bambino. In
quel momento
Fabrizio interruppe il loro discorso tra donne, annunciando di essere
riuscito
a trovare due stanze adiacenti, adatte alle loro esigenze, ed esortando
le due a
scendere. Elisa accettò di buon grado di uscire da quella
carrozza, ma Emilia
ancora una volta espresse il desiderio di andare subito dal cugino.
“Se te la senti di proseguire ancora non ci sono problemi.
Vuoi essere
accompagnata?” si offrì Fabrizio, mentre Elisa
controllava che tutti i bauli
venissero portati all’interno.
“No, grazie. Devo andare da sola. Non starò via a
lungo. E se accadesse vi
farei avvertire”.
“Va bene, allora buona fortuna”.
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Capitolo 40 *** Capitolo XL ***
Quando Emilia scese dalla carrozza, di fronte all’imponente
entrata, diversi occhi si posarono su di lei. Per tutta risposta, la
ragazza si strinse maggiormente nel mantello da viaggio, quasi a
nascondersi e, a capo basso percorse la scalinata principale.
All’interno cercò ancora una volta il cugino, che
però non sembrava presente. Incerta sul da farsi
cercò qualcuno a cui chiedere.
“Mi
scusi signore, sto cercando il conte Ristori, sapete dirmi dove posso
trovarlo?” domandò timidamente a un capitano
dall’aria seria.
“Sono
spiacente signorina, ma non sono concesse visite a
quest’ora” fu la risposta dell’uomo.
“Ma
sono sua cugina. Ho bisogno di parlare col conte Martino Ristori,
è importante”ribatté Emilia alzando la
voce, attirando su di sé l’attenzione di alcune
giovani reclute che la guardarono, prima di allontanarsi velocemente,
per poter assistere a quel divertente diversivo, senza però
incappare nell’ira del capitano, un tipo piuttosto
imprevedibile.
“Non mi
interessa chi voi siate, non si ricevono visite dopo le cinque del
pomeriggio. Queste sono le regole, e tali regole sono valevoli che voi
siate la regina di Francia o la nuova ragazza della sala da gioco di
Parigi, e ora andatevene”. Così dicendo, e senza
troppi complimenti, l’accompagnò fino alla porta
principale, per poi tornarsene ai suoi impegni. La ragazza, offesa e
smarrita, era rimasta immobile a fissare la porta davanti a
sé, con le lacrime agli occhi, lottando contro sé
stessa per non scoppiare a piangere e dare ancora più
spettacolo di quanto non avesse già fatto. Si era quasi data
per vinta, quando un ragazzo l’avvicinò.
“Signorina,
ho sentito che stavate cercando il conte Ristori”.
“Lo
conoscete?”
“Non
intimamente, ma se volete posso accompagnarvi da lui, anche se in
questi giorni rimane spesso chiuso nella sua camera, senza far
avvicinare nessuno”.
“Ve ne
sarei grata, signor …” iniziò Emilia,
rendendosi conto di non conoscere il nome del suo interlocutore.
“Chiamatemi
semplicemente François, signorina Ristori” le
rispose il giovane esibendosi in un baciamano piuttosto singolare, che
strappò un sorriso alla ragazza. Durante il breve tragitto
il ragazzo le raccontò di come aveva conosciuto il conte, e
di come lo ammirasse. La marchesina rimase in silenzio per tutto il
tempo, incerta se seguire quello strano giovane, o scapparne a gambe
levate, ma prima che riuscisse a porre fine a quel suo dissidio
interiore, il ragazzo si fermò davanti ad una porta, anonima
come tutte le altre, alla quale bussò, solo dopo aver fatto
promettere alla ragazza di attendere di essere annunciata.
Martino non
rispose, rimanendo immobile alla finestra, osservando il grande parco.
La giovane recluta non si arrese, e dopo aver bussato nuovamente,
aprì la porta.
“Perdonate
signore, ma avete visite.”
“François,
avevo chiesto di non essere disturbato, e soprattutto pensate che non
sappia che l’orario delle visite è già
scaduto?- domandò seccato- di solito non utilizzate tali
sotterfugi per venirmi a parlare, e vi sarei grato che quantomeno
aspettasse un mio ordine prima di entrare” lo
rimproverò prima di voltarsi verso di lui, rivelando tutto
il suo disappunto per l’agire del ragazzo. Ma il suo
voltò mutò presto espressione, vedendo alle
spalle del ragazzo sua cugina. Emilia non resistette oltre e gli corse
incontro. Martino la sollevò da terra e le fece fare un giro
completo prima di riadagiarla al suolo, stringerla a sé, e
ricoprire il suo volto di baci, fino a baciarle le labbra.
“Emilia,
quanto mi sei mancata! Sono stato uno stupido!”
esclamò sulle sue labbra prima di baciarla nuovamente. Ma il
loro idillio venne interrotto prima da alcuni colpi di tosse del
giovane spettatore, poi, da un improvviso mancamento di Emilia.
“François,
aiutami ti prego. Toglile il mantello, sistema quei cuscini sulla
spalliera del letto, e vai a chiamare il medico di guardia”.
Il giovane eseguì i comandi, e presto Emilia si
trovò semi-sdraiata sul letto, col corpetto slacciato, in
modo che potesse prendere aria più agevolmente. Quando, poco
dopo, il medico apparve nella stanza, Emilia aveva appena ripreso
conoscenza.
“Martino,
devo avvertire Elisa. È alla locanda poco distante
dall’accademia, insieme a Fabrizio … so
che non lo vuoi vedere, ma ti spiegherò tutto più
tardi”. Iniziò la ragazza.
“Non ti
preoccupare, me ne occupo io” la rassicurò il
ragazzo, prima che il medico lo facesse uscire dalla stanza, per poter
visitare la ragazza.
Martino
prese dal cassetto l’occorrente per scrivere un biglietto
alla madre. Quando ebbe finito di scrivere quelle poche righe, che gli
costarono un notevole sforzo, chiese a un ufficiale di recapitare la
lettera. E lui rimase di fronte alla sua camera, in compagnia della
giovane recluta, che cercava di rassicurarlo.
“Non
ero così preoccupato, nemmeno quando nacque mio
cugino!” sbottò il conte italiano, continuando a
misurare con grandi passi il corridoio.
“Ma
avete visto anche voi che si è ripresa” gli fece
osservare l’altro.
“Sì
ma il medico è ancora con lei in quella stanza, e la cosa
sta iniziando ad innervosirmi.”
“Se
siete così agitato ora, non vorrei starvi vicino quando
darà alla luce un vostro erede, signore”
cercò di sdrammatizzare. Martino lo fulminò con
lo sguardo.
“François,
cosa state dicendo?” domandò severo.
“Perdonatemi,
ma dal momento che siete promessi, credevo che, dopo il vostro
matrimonio …” balbettò in cerca di una
scusa.
“Non
siamo promessi” si lasciò sfuggire il conte, ma la
conversazione tra i due venne interrotta dalla porta che si
aprì dalla quale uscì il medico.
“Dottore
come sta?” domandò Martino, impedendogli quasi di
varcare l’uscio.
“Non
posso dirvi molto. È stata vostra cugina stessa a impedirmi
di parlarvi più del necessario. Ma non preoccupatevi, sta
bene. È molto debole a causa del lungo viaggio e ha bisogno
di riposarsi. Se posso permettermi sconsiglierei di farla agitare e
sarebbe prudente anche ridurre i viaggi in carrozza. Se la ragazza se
la sentisse, delle passeggiate all’aria aperta potrebbero
aiutare, ma badate sempre che non si stanchi troppo, e niente emozioni
violente, se potete evitargliele. Più di questo non posso
dirvi.”
“Grazie
dottore, posso entrare?”
“Sarebbe
meglio aspettare che si sia assopita. Ho già spiegato anche
a lei l’importanza del riposare.”
“Ho
capito dottore, vi ringrazio”. L’uomo non fece
neppure in tempo ad allontanarsi che il giovane conte entrò
nella sua camera.
Martino si chiuse
la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile; gli
sembrava così strano rivivere quel momento, ma almeno per
una volta non era andato dalla cugina per scusarsi, non di una litigata
per lo meno. Emilia era distesa sotto le coperte, la testa rivolta
verso la porta, il cugino le si avvicinò e si sedette su una
poltrona vicino al letto. Continuava ad osservare la ragazza
addormentata: in tutto quel tempo trascorso separati aveva dimenticato
quanto fosse bella: i capelli scuri, leggermente arruffati
contrastavano con la pelle di porcellana, forse un po’ troppo
chiara per una ragazza nel pieno delle forze. Senza pensarci il ragazzo
sfiorò delicatamente i tratti del volto della cugina, lei si
mosse appena, troppo stanca per svegliarsi. Il giovane conte
ritirò la mano, temendo di averla disturbata, ma notando il
suo respiro profondo e regolare si tranquillizzò e
continuò ad osservarla dormire, immaginando il loro futuro
insieme, finché non cadde, a sua volta, addormentato sulla
poltrona.
Il mattino
seguente alcuni raggi del sole colpirono proprio il volto del futuro
sottoufficiale, che infastidito da quel brusco risveglio, si
stiracchiò sulla poltrona, massaggiandosi il collo
indolenzito, a causa dello scomodo letto. Il broncio del ragazzo
durò poco: infatti, non appena vide davanti a lui gli occhi
castani della cugina, un dolce sorriso gli affiorò sulle
labbra.
“Perdonami,
ti ho rubato il letto …” lo salutò la
ragazza, facendo forza sulle braccia per portarsi a sedere.
“Non
devi scusarti, Emilia … e poi un vero soldato è
abituato a difficoltà ben peggiori, di una bella fanciulla
che gli sottrae il letto …” sorrise, facendo
arrossire la cugina, per poi ridiventare serio:
“Tu
piuttosto come ti senti?”
“Meglio,
grazie … ma devo parlarti, è importante
…” iniziò Emilia, prendendo per una
mano il cugino e invitandolo a sedersi vicino a lei sul letto.
“Anch’io
devo dirti una cosa importante … - iniziò un
po’ impacciato, cercando di fissare la ragazza negli occhi -
in realtà è più una richiesta
…”continuò, ma la cugina lo interruppe
di nuovo.
“Davvero?”
domandò con voce insicura.
“Non
preoccuparti, non è nulla di così terribile
… almeno spero – cercò di alleggerire
la tensione che era calata – Per prima cosa perdonami, non
avrei mai dovuto lasciarti. Mi sembrava di impazzire, ma allo stesso
tempo avevo paura di scriverti, paura di farti soffrire – si
allontanò dal letto e tirò fuori dal cassettino
di uno scrittoio alcuni fogli, accuratamente ripiegati e tenuti insieme
da un nastro di stoffa, che consegnò alla ragazza-
sono tutte le lettere che mi hai scritto in questi due mesi. Vivevo
nell’attesa di ricevere tue notizie, e ogni giorno che
passava senza ricevere posta da Rivombrosa, mi maledicevo per non
averti scritto a mia volta. Temevo che tu ti fossi stancata di mandarmi
tue notizie senza mai riceverne di mie. Ogni volta che
tentavo di scriverti, mi accorgevo di non avere risposte per le domande
che mi ponevi, così abbandonavo i miei propositi e speravo
che tu non facessi altrettanto. Ora ho finalmente capito cosa desidero
veramente; ma ho bisogno che sia tu a rispondermi
…” così dicendo riprese le mani della
ragazza tra le sue, e face per inginocchiarsi, ma Emilia le
ritirò, impedendogli di terminare la sua domanda.
“Martino,
ti prego perdonami, ma non pormi quella domanda, almeno non prima di
sapere tutta la storia, voglio essere sincera con te, e non voglio che
tu possa un giorno pentirti di non aver saputo la verità
prima di scegliere la tua vita”. Il ragazzo la
fissò senza capire il ragionamento che la giovane stava
tentando di spiegare:
“ Una
volta che saprai tutto, allora, sarai libero di pormi qualunque
richiesta tu voglia, ma non prima”.
“Emilia
non capisco …” ammise il ragazzo. La marchesina
prese un profondo respiro prima di iniziare a parlare, cercando di
scegliere le parole più adatte.
“Vedi
Martino … ti ho fermato, perché in
realtà, ho già ricevuto quel tipo di proposta
… - gli occhi del cugino sembrarono diventare di ghiaccio a
quell’affermazione, il suo volto era diventato più
teso, ed Emilia faticava a continuare - è stato il principe
di Montesanto a chiedermi in sposa” riuscì ad
ammettere con un filo di voce. A quelle parole la rabbia di Martino
divenne incontrollabile, e il ragazzo si lasciò sfuggire uno
scatto d’ira.
“Sapevo
che quell’uomo ti era troppo vicino. Sono stato uno stupido!
Un amico, un salvatore! E io che gli ho anche chiesto di starti vicino
mentre non avrei potuto farlo! Ora capisco le sue parole, le sue
rassicurazioni! ‘non dubitate signor conte’ faceva
l’amico sincero, solo per avvicinarsi a te!” si
sfogò il ragazzo, alzando sempre più il tono di
voce.
“Martino
ti prego ascoltami” cercò di calmarlo la ragazza,
alzandosi e prendendolo per un braccio. L’istinto del giovane
l’avrebbe portato a liberarsi di quella leggera stretta sulla
camicia, ma qualcosa negli occhi della cugina lo fece desistere.
“Continua”
rispose gelido.
“Tra me
e il principe di Montesanto non c’è mai stato
nulla, la sua proposta è stata causata solo da un malinteso:
in un momento di debolezza ho risposto a un suo bacio –ammise
la ragazza- e il giorno dopo lui si è presentato da mia
madre e Antonio, chiedendo di poter annunciare un nostro fidanzamento
ufficiale …”
“E tu
sei scappata qui per quale motivo? Non mi è ben chiaro. Ieri
sera non mi sembravi la promessa sposa di un altro uomo. Eri venuta per
annunciarmi il tuo prossimo matrimonio, o per pregarmi di salvarti da
una promessa che tu stessa avevi accettato?”
“Martino
io l’ho rifiutato …” rispose sincera,
sorpassando sulle critiche che il ragazzo le aveva rivolto.
“L’hai
rifiutato?” domandò confuso il giovane conte,
pentendosi delle parole usate contro la cugina.
“Sì
non potevo sposarlo. Io non lo amavo … il mio cuore batte
per un uomo diverso … un giovane - si corresse - non potevo
vivere nella menzogna, e soprattutto non avevo diritto di mentire per
tutta la vita a mio figlio …” ammise Emilia,
arrossendo leggermente. Martino rimase immobile.
“Tuo
figlio?” domandò con un filo di voce, confuso e
sorpreso da quella rivelazione che lui faticava ancora ad accettare
come vera.
“Aspetto
un bambino - ripeté Emilia, emozionata - mio e …
TUO figlio” quasi a confermare quelle parole, Emilia si
portò una mano del cugino sul ventre, che ancora non
rivelava il suo segreto. Per un istante i due si fissarono negli occhi,
senza dire parole, ognuno col respiro corto dall’emozione e
il cuore che batteva impazzito nel petto, poi Martino strinse forte la
cugina, sussurrandole all’orecchio:
“Non ci
posso credere sarò padre … e sei stata tu a
concedermi questo onore!” prima di nascondere il viso rigato
da lacrime di commozione tra i capelli di lei, che per tutta risposta
gli si era stretta, quasi avesse paura che scappasse nuovamente.
Rimasero abbracciati per diverso tempo, prima di trovare la forza di
staccarsi l’uno dall’altra. Martino si
asciugò velocemente i residui delle lacrime di commozione,
ma gli occhi arrossati tradivano la sua emozione. Emilia sorrise, nel
vedere quel comportamento.
“Hai
ancora molte cose da spiegarmi, per esempio come mai sei arrivata in
accademia così esausta?”domandò
stingendola contro il suo petto e baciandole la fronte.
“Ho
cercato di arrivare a Parigi il prima possibile, Elisa e Fabrizio
tentavano di dissuadermi, ma io non potevo più aspettare, mi
sei mancato così tanto …”
spiegò la ragazza. Martino sorrise.
“Emilia
ti farebbe piacere assistere alla cerimonia di settimana
prossima?”
“Come
potrei mancare alla promozione del padre di mio figlio?”
rispose raggiante, Martino continuò:
“E
vorresti partecipare col titolo di mia futura sposa?”
domandò, rinunciando al discorso che si era preparato per
chiederla in moglie. Emilia si portò le mani alla bocca,
felice di quella proposta tanto semplice, quanto sincera e spontanea.
“Sì”
rispose radiosa, prima di baciarlo timidamente.
“Bene,
allora avverti anche Elisa che vi farò riservare tre
posti” Emilia stava per ribattere, ma capì a cosa
alludeva il ragazzo. Voleva che anche suo padre fosse presente, ma
ancora una volta era combattuto sulla decisione da prendere.
“Ora,
scusami ma devo risolvere una questione molto importante”
disse sistemandosi meglio la divisa e facendo per uscire, ma si
voltò per chiamarla, lei alzò lo sguardo.
“Ti
amo, non dimenticarlo …” le disse, provocandole un
sorriso.
“Ti amo
anch’io Martino. Adesso mi vesto e vado da Elisa per
avvertirla”.
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Capitolo 41 *** Capitolo XLI ***
“Conte
Ristori sono felice di vederla, confesso che sarei venuto a cercarla io
stesso, anche se le avevo promesso il contrario”.
“Lo so
signore, ma finalmente ho una risposta alla vostra offerta, e poi avrei
anche un favore da chiedervi, anche se è un po’
tardi … ”
“Chiedetemi
pure, se posso sarò ben felice di aiutarvi”
“Ecco,
vorrei chiedervi se è ancora possibile riservare tre posti
per la cerimonia, magari tra le prime file”
“Vedrò
di venirvi incontro, anche se è un po’ tardi. Ora
permettetemi di ritornare all’argomento reclute: avete preso
una decisione?” domandò l’uomo.
“Sì
e purtroppo so che la mia risposta non vi piacerà. Ma non
posso accettare quell’incarico. Anzi, dopo la promozione
voglio ritirarmi dalla vita militare” rispose Martino, sicuro
della sua scelta.
“Le
vostre parole mi colpiscono ancora una volta; è possibile
sapere il perché di una tale decisione? Avevate davanti a
voi una brillante carriera, perché sprecarla
così?”
“Vedete
signore, sei anni fa decisi di arruolarmi per mantenere una promessa -
iniziò il giovane conte - ora quella promessa da un lato
è stata mantenuta, ma al contempo sono cambiate molte cose
che l’hanno resa nulla. Ho capito che la scelta che credevo
di aver compiuto liberamente, in realtà era stata una scelta
dettata dagli altri. E ora voglio crearmi una famiglia, a
Rivombrosa” ammise il giovane.
“Forse
in questa scelta è compresa anche una fanciulla che ieri
sera è venuta a cercarvi?”
“Signore,
non so come l’abbiate saputo, ma posso garantirvi che non
è come pensate!”
“È
stato il capitano De Secondant a raccontarmi tutto questa mattina.
Davvero la vostra donzella non vi ha raccontato nulla?”
“No
signore, mia cugina non ha fatto parola di nessun incontro, avrebbe
forse dovuto?” piuttosto preoccupato, soprattutto dopo aver
scoperto le “fonti” del suo interlocutore.
“Allora
deve esservi veramente molto legata per non lamentarsi con voi del
trattamento ricevuto … lo sapete anche voi come è
fatto il capitano, questa mattina sembrava quasi avesse sconfitto un
esercito da solo! Povera ragazza! Una volta capitò una
situazione simile quando la mia figlia maggiore venne a trovarmi; lei
però scappò in lacrime e, da quel giorno, non
mise più piede qui dentro!” raccontò
l’uomo, perdendosi tra i ricordi. Martino sorrise, contagiato
dal tono quasi melodrammatico col quale era finito il racconto.
“Perdonatemi,
ma ora devo andare, le reclute mi staranno aspettando.”
“Vi
lascio ai vostri doveri”.
Elisa passeggiava
stretta al suo uomo, vicino alla locanda.
“Amore,
c’è forse qualcosa che non va? Di solito non sei
così silenziosa.” Iniziò il conte.
“Lo so
Fabrizio, ma non riesco a non pensare a Emilia e Martino. È
così irreale, a volte vorrei fosse tutto un sogno
…”
“In
fondo tutti speravamo che tra di loro potesse nascere qualcosa, un
giorno …”
“Fabrizio,
stiamo parlando di sei anni fa, sono sempre stati molto vicini, molto
uniti, ma arrivare ad aspettare un figlio prima del matrimonio
… mi sento responsabile. Quando Emilia è tornata
a Rivombrosa, io avevo tentato di parlare con Martino … e
ora se ne vedono i risultati” si confidò la donna,
con un grande sospiro.
“Elisa
non capisco, anche Agnese è nata pochi mesi dopo che ci
siamo sposati” cercò di farla ragionare
l’uomo
“Infatti,
ma quella volta erano ancora tutti assorti a chiaccherare le nostre
nozze”.
“Elisa
da quando sei succube dell’opinione dei
benpensanti?” domandò, quasi risentito del
discorso della moglie.
“Forse
da quando ho dovuto affrontare tutto da sola, quando tutte le porte mi
venivano chiuse. Perdonami Fabrizio - continuò vedendo lo
sguardo cupo del marito - ma non voglio che Martino ed Emilia subiscano
lo stesso trattamento”.
“Non lo
subiranno. E tu devi smetterla di sentirti in colpa. Ti amo, hai due
figli che ti adorano, non sei felice di questo?” Elisa
sorrise.
“Non
smetto mai di ringraziare per questo, e sì, sono felice di
avere una famiglia con te. Ti amo anch’io” Fabrizio
si perse negli occhi verdi della moglie, ma quel quadretto felice fu
presto disturbato dalla voce di Emilia che li chiamava.
“Zio,
zia! Non sapete cos’è successo, sono
così felice!” esclamò, quando i due
furono più vicini.
“Allora
racconta, avanti non tenerci sulle spine” la
sollecitò Elisa.
“Perché
non ci facciamo portare del tè nella nostra stanza e
continuiamo a parlarne in un luogo più riservato?”
propose Fabrizio, notando gli sguardi che l’arrivo della
ragazza aveva attratto su di loro.
“Hai
ragione zio!” così dicendo Emilia prese la mano
dello zio e trascinò la coppia verso la locanda. Pochi
minuti dopo, i tre si trovavano seduti a un tavolino apparecchiato per
il tè.
“Allora
Emilia quali sono queste grandi notizie che ci devi dare?”
“Sono
riuscita a parlare con Martino – iniziò la ragazza
bevendo un sorso del suo tè – ci siamo chiariti.
Gli ho raccontato tutto, e lui mi ha chiesto in moglie!”
annunciò tutto d’un fiato, emozionata. Elisa corse
ad abbracciare la nipote.
“Sono
felicissima per voi, tesoro! Auguri”.
“Auguri
Emilia” esordì Fabrizio compiendo i gesti della
moglie.
“Ah
stavo quasi per dimenticarmene … Martino ci ha anche
invitato all’accademia, tra sei giorni per le nomine dei
nuovi sottoufficiali” aggiunse la ragazza, allontanandosi
appena dallo zio.
“Ci
… ha invitato?” si fece sfuggire Fabrizio, subito
raggiunto da uno sguardo ammonitore di Elisa.
“Sì
zio, tutti e tre”. Confermò la ragazza,
sciogliendo un po’ la tensione.
La notte
avvolgeva Parigi. Una notte di fine estate, ancora calda, che vedeva le
strade più lussuose piene di carrozze della
nobiltà e dell’alta borghesia, pronte per portare
le dame e i cavalieri nei luoghi di ritrovo più famosi della
capitale francese. Elisa e Fabrizio si erano concessi una passeggiata
in carrozza. La vettura procedeva lenta, per permettere ai due di
ammirare il panorama illuminato dai lampioni a olio.
“Fabrizio,
si sta facendo tardi, forse sarebbe saggio avvicinarsi alla
locanda” propose Elisa, notando il silenzio del marito.
“Hai
ragione amore, perdonami ero distratto.” Ammise
l’uomo, quasi per scusarsi. Quando i due furono in camera,
Elisa non attese oltre per chiarire col marito:
“Sei
preoccupato per domani?” domandò mentre si faceva
aiutare dal marito a sciogliere i lacci del corsetto.
“Dovrei
forse?” domandò ironico Fabrizio. Elisa si
voltò verso di lui:
“Non
devi preoccuparti, sono sicura che andrà tutto nel modo
migliore!”
“Ti
prego Elisa!- sbuffò l’uomo- Martino, mio figlio,
non mi parla da quando sono tornato a Rivombrosa. O meglio, per essere
sicuro di non incontrarmi nei corridoi del palazzo è tornato
in Francia!” le fece notare l’uomo.
“Fabrizio
Martino ti ha invitato alla sua promozione! Dovevi vedere
com’era fiero di questo traguardo! Non faceva altro che
parlarne …”
“Hai
detto bene Elisa: era. Ora sei altrettanto sicura che sia ancora
così? Voglio dire, per parlare con me usa Emilia
… sai mi avrebbe fatto piacere che quantomeno fosse presente
anche lui quando mia nipote mi chiedeva di accettare
l’invito, e soprattutto quando ci annunciava le sue nozze con
mio figlio” si sfogò l’uomo sedendosi su
uno sgabello, appoggiando la schiena al muro.
“Fabrizio,
Martino si è sentito deluso quando ha scoperto che tu non
eri morto. Forse ha avuto bisogno di più tempo per accettare
quello che era successo, ma ti ha invitato. Potrebbe essere un buon
momento per ricominciare a parlarvi” rispose Elisa,
sedendoglisi in braccio. Il conte valutò in silenzio la
risposta della moglie, poi ammise:
“Forse
hai ragione tu, domani potrebbe rivelarsi una giornata
positiva.”
Il cortile
dell’accademia si era riempito di civili, che avevano
partecipato all’evento militare. Martino si
districò nella folla per poter raggiungere i genitori e la
fidanzata. Era felice per il successo ottenuto, ma l’ansia di
rivedere il padre lo attanagliava, nonostante tutto. Quando lo aveva
visto scendere dalla carrozza insieme alle due donne aveva provato una
strana gioia, era felice che lui fosse lì in quel momento,
ma ora temeva un contatto più diretto. Ancora intento nei
suoi pensieri non si accorse che la cugina lo aveva raggiunto.
“Martino
sono così felice per te!” esclamò
radiosa abbracciandolo.
“Grazie,
ero terrorizzato di sbagliare tutto …” le
confessò sorridendo per poi interessarsi di lei:
“Tu
come ti senti? Spero non ti sia stancata troppo” la ragazza
negò col capo
“Non
preoccuparti per noi – disse abbassando la voce, anche se
nessuno sembrava badare ai loro discorsi- stiamo benissimo”.
“Ne
sono contento”
“Stai
già facendo il marito preoccupato” lo prese in
giro la ragazza.
“Lo
ammetto – iniziò il sottoufficiale- sono
preoccupato che qualcuno possa metterti gli occhi addosso, e portarti
via da me. Sei la più bella oggi. Come sempre!”
Emilia a quegli elogi arrossì, mentre il cugino le stringeva
le mani nelle sue. I due raggiunsero la coppia formata da Elisa e
Fabrizio, poco lontani da loro. Elisa abbracciò forte il
figlio che ricambiò con affetto. Il ragazzo si sciolse
dall’abbraccio e fissò l’accompagnatore
della contessa, rigido, incerto sul da farsi.
“Padre,
sono lieto che siate presente anche voi” esordì
mantenendo le distanze dall’uomo. Fabrizio non si scompose
davanti alla freddezza del figlio; in cuor suo aveva sperato in un
saluto meno formale, ma sapeva bene che ciò era alquanto
difficile.
“Sono
felice che tu mi abbia invitato” iniziò. Elisa
interruppe il discorso tra i due, chiedendo alla nipote di
accompagnarla verso il rinfresco, dando modo al figlio e al marito di
chiarirsi da soli. Martino fu restio a separarsi dalla cugina, ma
dovette accettare. La coppia di uomini osservò le due donne
allontanarsi, e quando queste non poterono più udirli,
l’uomo riprese a parlare.
“Sono
veramente fiero di te Martino”.
“Vi
prego padre …”
“Martino,
so benissimo che mi hai invitato solo per riguardo a Elisa ed Emilia, e
so che ho molte cose da farmi perdonare …”
iniziò il conte.
“Come,
ad esempio, sei anni di assenza?”
“Purtroppo
non ho potuto fare diversamente. Capisco che tu possa portare rancore
nei miei confronti, ma credimi che se avessi avuto ance una sola
possibilità di fare altrimenti l’avrei inseguita
con tutte le mie forze, con la stessa determinazione che hai usato tu
per arrivare dove sei adesso” ammise. Martino rimase colpito
dalle parole del padre, ma tentò di non darlo a vedere.
“Ho
deciso di lasciare la vita militare” cercò di
provocarlo il giovane, ma l’uomo non era certo impreparato a
una simile notizia, sapendo già della proposta di matrimonio.
“Lo
immaginavo – iniziò, non perdendo il sorriso e la
tranquillità- considerato che presto potresti avere una fede
al dito, non potresti certo costringere la tua sposa a vivere
nell’ansia di un tuo richiamo alle armi in qualunque
momento.” Terminò il suo discorso, indicando con
un cenno del capo la nipote che era stata trattenuta da alcune ragazze,
probabilmente conosciute in collegio. Martino rimase sorpreso. Fabrizio
rise apertamente all’espressione del figlio.
“Emilia
- disse- è stata lei a comunicare a Elisa e a me che
l’hai chiesta in sposa” spiegò. Le
difese di Martino caddero davanti a quel comportamento, per quanto
ancora restio a perdonare il passato, il ragazzo capì che
riuscire a mantenere una conversazione educata col padre non sarebbe
stato poi così difficile.
“Vi
siete offeso che non vi abbia invitato personalmente?”
domandò. Fabrizio scosse il capo.
“Non mi
sono offeso, ti confesso però che avrei preferito sapere del
tuo matrimonio da te e non dalla tua fidanzata, anche se lei
è mia nipote, ma capisco il tuo comportamento.” Il
giovane conte rimase in silenzio per elaborare quelle parole.
“Padre
… ci sarebbe una cosa che vorrei chiedervi. Un favore
quasi” iniziò
“Dimmi”
“Ho
chiesto a Emilia di sposarmi, è vero, ma non ho ancora
chiesto la sua mano alla zia, e vorrei fare le cose come si deve
…”
“Vorresti
che glielo chiedessi io?” domandò il conte
Ristori, indovinando la domanda del figlio.
“Lo
faresti veramente?”
“Sì.
Sarei onorato di poterti stare vicino in un momento tanto
importante”.
“Grazie”
rispose semplicemente il giovane.
“Sono
io che devo ringraziarti, e ora vai dalla tua dolce metà e
divertitevi” rispose Fabrizio. Martino non se lo fece
ripetere e corse subito dalla cugina. Pochi giorni dopo, Martino
consegnò al direttore dell’accademia la sua
richiesta ufficiale di abbandonare l’accademia.
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Capitolo 42 *** Capitolo XLII ***
Parigi, 25 agosto 1780
Carissima
madre, quando leggerete questa lettera, sarò già
in viaggio verso Rivombrosa:
partiamo domani, ma non vi sto scrivendo solo per annunciarvi del mio
arrivo,
insieme agli zii e a Martino. In questa settimana nella capitale
francese ho
capito che il mio posto non è a Saint Cyr, ma vi prego di
non credere che il
desiderio di tornare in Francia fosse frutto di un mero capriccio, e vi
prometto che al mio ritorno vi spiegherò tutto.
Emilia
prese quelle poche righe, appena scritte, e le
accartocciò in un gesto di stizza, spostando bruscamente il
foglio
stropicciato, aggiungendolo agli altri pezzi di carta che avevano
subito la
stessa fine.
“Cosa ti ha fatto quel povero foglio?”
domandò Martino, notando i movimenti
della cugina. Emilia si voltò verso di lui, per poi fissare
il nuovo foglio
bianco di fronte a lei. sospirando mesta:
“È la lettera più difficile che io
abbia mai scritto” ammise, intingendo la
piuma nel calamaio. Il ragazzo intuì subito, e si
avvicinò a lei:
“È per tua madre vero?” lei
annuì:
“Come posso dirle sto tornando a casa, promessa sposa e
gravida? Non sono annunci
che si possono affidare a una lettera” scoppiò
esasperata, il cugino cercò di
nascondere un sorriso.
“Allora non scriverlo” la stuzzicò,
togliendole la penna dalle mani,
obbligandola ad alzarsi, per poter riottenere quello che le era stato
sottratto.
“Martino non scherzare!” iniziò a
irritarsi lei, allungandosi verso il braccio
teso del cugino, ma lui resisteva agli “assalti”
della fidanzata.
“Se mi ascolti, ti restituisco ciò che
è tuo” cercò di contrattare. Emilia
tentò ancora un paio di volte di sorprendere il cugino, ma
poi si arrese.
Martino si sedette, dando le spalle al piccolo tavolino della camera
che
fungeva anche da scrittoio, e invitò Emilia ad accomodarsi
sulle sue gambe.
Emilia, leggermente imbronciata obbedì, e Martino la strinse
a sé, non prima di
averle riconsegnato la piuma, ormai tutta sgualcita.
“E così qualcuno ha omesso qualche dettaglio prima
di partire …” riprese il
giovane conte.
“Già, e se sono fortunata quando mia madre lo
varrà a sapere, prima mi disereda
e poi mi chiude in un convento di clausura” rispose,
abbandonando la testa
sulla spalla del cugino.
“Possiamo sempre fingere che sia nato in anticipo”
propose Martino,
giocherellando con una mano della cugina.
“Ti ricordo che Antonio è medico”
rispose sarcastica.
“Vorrà dire che al nostro ritorno lo annunceremo
insieme, andrà tutto bene …”
Emilia non rispose, godendosi le attenzioni che il ragazzo le prestava.
“Sei sicura di volere affrontare un viaggio così
lungo? Non preferisci
aspettare un po’, o addirittura la nascita di questo
piccolino?”
“Aspettare non porterebbe nessun vantaggio” rispose
Emilia.
“Ma il medico ha detto che non devi affaticarti, soprattutto
in questo periodo”
cercò di persuaderla il cugino.
“Ti prego Martino, sono già piuttosto tesa per il
viaggio, e poi ti ho già
promesso che faremo almeno quattro soste al giorno”.
“Devi sempre avere ragione tu vero?”
domandò, e senza aspettare risposta, posò
le sue labbra su quelle della fidanzata.
Nella camera accanto, anche Elisa e Fabrizio discutevano
dell’imminente
partenza.
“Sei felice di tornare già a casa?”
domandò l’uomo, studiando ancora una volta
la strada da percorrere.
“Sono felice di aver passato del tempo sola con te, senza
tante preoccupazioni
- ammise la contessa - ma Rivombrosa mi manca, e soprattutto mi manca
Agnese.
Perché, tu non sei contento di ritornare?”
“Lo sono, ma sto iniziando a pensare all’incontro
con Anna: Martino mi ha
chiesto di presentarlo come pretendente alla mano di Emilia.”
“Sono felice che voi due vi siate chiariti” disse
la contessa, senza però
ritornare sull’argomento precedente.
“Almeno riusciamo a parlarci, direi che è un bel
passo in avanti.” La corresse
l’uomo, grato alla compagna di essergli sempre
così vicina, senza mai risultare
invadente.
“Amore è la nostra ultima serata a Parigi,
desideri andare in qualche posto
particolare?” Propose il conte Ristori, abbracciando la
moglie.
“Mi basta anche una semplice passeggiata in cortile, se tu
sei il mio
accompagnatore” rispose la donna. Il marito sorrise, e la
invitò a prepararsi
per uscire per una passeggiata al chiaro di luna.
A
Rivombrosa la vita procedeva tranquilla. Anna,
tranquillizzata da una lettera della figlia, si occupava del piccolo
Eugenio
che cresceva circondato da mille cure e attenzioni. Agnese era seguita
da
Orsolina che cercava di inventarsi sempre nuovi passatempi per la
nipote. Quel
giorno la ragazza le stava insegnando a suonare al clavicembalo una
facile
melodia.
“Guarda Agnese” disse muovendo lentamente le dita
su alcuni tasti in avorio,
contando ogni movimento, per poi incoraggiare la bambina a ripeterli.
La
piccola la imitava, ma ben presto si stancò anche di quella
lezione.
“Quando ritorna la mamma?” domandò.
“Non lo so tesoro, ma sono sicura che tornerà
presto” la rassicurò, ma la bambina
non sembrava molto soddisfatta della risposta.
“Ma io voglio la mia mamma!” protestò
ancora. La discussione venne interrotta
da Bianca, che tutta trafelata per la corsa appena fatta, annunciava
l’arrivo
della carrozza dei conti Ristori.
“Hai sentito cosa ha detto Bianca? Forza, andiamo a
vedere!” disse Orsolina,
mimando un “grazie” alla volta della cameriera che
l’aveva tolta da un grosso
impiccio.
Elisa
era appena scesa dalla carrozza insieme al
marito, mentre i servi si affrettavano a porgere loro i primi ossequi,
quando
la voce della figlia attirò la sua attenzione: la piccola
stava scendendo la
grande scalinata, accompagnata dalla zia che la teneva saldamente per
la mano.
“Mamma!” esclamò la piccola, quando
Orsolina le permise di allontanarsi da sé.
Elisa la prese in braccio, stringendola forte.
“Tesoro, quanto mi sei mancata!” le
confessò, per poi voltarla verso Fabrizio e
domandarle:
“E papà non lo saluti?” per tutta
risposta la bambina si sporse dalle braccia
della madre, e si lanciò tra quelle del padre, pronto ad
accoglierla.
“Orsolina, mia sorella?” domandò il
conte Ristori.
“Credo sia ancora in biblioteca col dottor Ceppi”
spiegò la ragazza, per poi
correggersi.
“Col signor conte”.
“Fabrizio, Elisa, siete già di ritorno! -
esclamò la contessa, avvicinandosi
verso il fratello e la cognata, per poi continuare - se mi aveste
avvisata vi
avrei fatto trovare un’accoglienza migliore!”
“Anna non amareggiarti, è stata una decisione
piuttosto repentina, e per quanto
riguarda il nostro arrivo, abbiamo ricevuto un’accoglienza
impeccabile” la
rassicurò Elisa.
“Madre!” la chiamò Emilia, scendendo
dalla carrozza.
“Tesoro sei già tornata a casa?”
domandò sorpresa la contessa, dopo aver
baciato la figlia sulla fronte, per poi salutare il nipote, che per
tutto il
tempo era rimasto al fianco della cugina. Emilia non rispose, e il
silenzio fu
stemperato da Fabrizio.
“Anna ho bisogno di parlarti” iniziò il
conte.
“Parla pure Fabrizio!” lo esortò la
sorella.
“Ti dispiace se andassimo in biblioteca?” propose
l’uomo.
“No, affatto” fece la donna, seguendolo fino a
raggiungere la stanza designata
per la loro conversazione. Fabrizio aprì la porta e
invitò la sorella a
entrarvi. Anna lo assecondò, e l’uomo si chiuse la
porta alle spalle.
“Fabrizio così inizio a preoccuparmi”
confessò la donna.
“Non ti allarmare, non penso di essere portatore di
spiacevoli notizie …”
iniziò il conte, incerto su come procedere. Non immaginava
quanto potesse
risultare difficoltoso chiedere a sua sorella la mano della nipote.
“Ti devo parlare in nome di Martino” ammise,
appoggiandosi alla spalliera della
sedia.
“E tuo figlio non poteva farlo personalmente?”
domandò sorpresa Anna.
“ Sì, ma voleva che tutto seguisse le convenzioni
– sorrise tra sé, pensando
che se qualcuno avesse chiesto in sposa Agnese in un modo simile,
probabilmente
non avrebbe preso nemmeno in considerazione l’ipotesi di
accettare – Martino è
molto innamorato di Emilia, e desidera sposarla” ammise
finalmente il conte,
dopo aver preso un profondo respiro. Anna cercò di
nascondere un sorriso: era
felice che il nipote si fosse finalmente deciso a rivelare i propri
sentimenti,
anche se questi erano piuttosto evidenti, poi tornò a farsi
seria.
“Sarei felice di vedere Emilia sposata con Martino, ma devo
essere sincera: il
principe di Montesanto aveva già chiesto la sua mano
…” la donna fu interrotta
dal fratello:
“Non capisco, Martino sembrava così sicuro
riguardo al matrimonio”
“Emilia non ha accettato – si apprestò a
chiarire la contessa- ma penso che sia
lei che debba decidere se accettare Martino per marito “.
“Lei ha già accettato.” Ammise Fabrizio.
“Quando?” domandò la marchesa, non
aspettandosi una risposta simile.
“A Parigi, ma nelle sue condizioni devi capirla se non te ne
ha parlato. Non
poteva certo domandare la tua benedizione in una lettera”.
“Forse hai ragione – concesse la sorella-
parlerò con Emilia, e poi stabiliremo
la data del fidanzamento ufficiale” Fabrizio
annuì.
“Martino
come mai sei così nervoso? Posso garantirti
che per vedere tuo figlio dovrai aspettare ancora diversi
mesi” sorrise la
ragazza, mettendosi a sedere sul suo letto, dove il cugino le aveva
imposto di
stendersi, e invitandolo a sedersi vicino a lei. Il giovane conte smise
di
misurare a grandi passi gli alloggi della fidanzata, e seguì
le sue
indicazioni.
“Amore, sei la seconda che mi paragona ad un marito in attesa
della nascita del
proprio figlio” confessò il ragazzo, prima di
piegarsi verso di lei e baciarla
sulla fronte.
“Davvero?” domandò la ragazza curiosa,
appoggiando le sue labbra su quelle del
cugino.
“Sì, eravamo a Parigi, e tu eri nella mia stanza
col medico, dopo essermi
svenuta tra le braccia” le confidò il ragazzo.
Emilia sorrise per poi
domandargli:
“E questa volta perché tanta ansia?”
“Penso che il conte Risto … mio padre - si
corresse Martino - stia chiedendo a
tua madre di accettare la mia proposta di matrimonio” Emilia
sorrise,
stringendosi al petto del cugino.
“Ancora non mi sembra vero. Siamo nuovamente insieme, a
Rivombrosa, e presto
potremo sposarci”.
Martino la strinse forte a sé, poi scostandola leggermente,
per poterla
guardare negli occhi le domandò:
“Sai che presto dovremo anche confessare la verità
a tua madre …”
“Martino, vedrai che sarà felice per noi. Ne sono
sicura. È vero questo
piccolino è arrivato un po’ presto, ma se tornassi
indietro, rivivrei tutto,
tranne l’averti lasciato partire da solo. Ma non mi pento di
essermi concessa a
te” ammise la ragazza, arrossendo.
“Non potevi affermare cosa più bella,
amore!” le rispose il ragazzo, prima di
baciarla dolcemente.
“Emilia
sei in camera?” domandò Anna, aprendo la porta.
I due giovani si staccarono imbarazzati.
“Tesoro ti senti bene?” chiese apprensiva la
contessa, vedendo la figlia
abbandonarsi tra i cuscini alle sue spalle.
“Solo un giramento di testa - ammise la ragazza - ma
è già passato” cercò di
rassicurarla.
“Vuoi che faccia chiamare Antonio? Era andato al borgo per
alcune visite, ma
penso che sia già sulla via del ritorno”.
“Non preoccupatevi madre, mi sento già meglio, ho
solo bisogno di riposare e
rimettermi in forze, ma se vi fa stare più tranquilla,
quando Antonio rientra
mi farò visitare” concesse la marchesina.
“Bene. Martino, ti spiace lasciarmi sola con mia figlia?
Avrei bisogno di
parlarle in privato”. Il ragazzo fissò la cugina,
che annuì leggermente,
invitandolo a fare come la zia gli domandava.
“Di cosa volevate parlarmi?” domandò la
ragazza, quando il cugino si chiuse la
porta alle spalle. Anna rimase a fissare la figlia, senza rispondere.
Emilia si
sentiva nervosa: sapeva dalla confessione di Martino che lo zio aveva
parlato
con la madre, per il loro matrimonio, ma temeva che le avesse anche
rivelato la
sua condizione. Anna si sedette sul letto e iniziò a
parlare, fissando la
figlia negli occhi.
“Mi è stato chiesto di concederti in sposa a
Martino” confermò Anna, con un
sorriso. Emilia si sentì sollevata a quelle parole, e
sebbene per lei quella
non fosse una sorpresa, venne colta da una grande emozione, e dovette
portarsi
le mani alle labbra, per nascondere un sorriso emozionato.
“Tuttavia, non ho ancora acconsentito”
confessò la contessa. La marchesina si
rabbuiò, e domandò spiegazioni.
“Temevo si ripetesse ciò che è accaduto
col principe di Montesanto. Io non ti
ho mai chiesto spiegazioni, ma ora non posso ignorare quel fatto. Non
capisco
come tu abbia potuto rifiutare un così buon partito. E poi
la tua fuga a
Parigi. Avevi implorato di poter ritornare al collegio, e poco dopo
ritorni a
Rivombrosa. Come posso essere sicura di darti in sposa a tuo cugino
senza
temere che tu possa pentirtene subito dopo?” quelle parole
lasciarono la
ragazza piuttosto turbata: non si aspettava delle espressioni tanto
fredde.
“Madre, dalle vostre parole sembra che mi sia comportata con
leggerezza, ma
credetemi non è stato così”.
Cercò di difendersi la ragazza.
“Credo che allora tu mi possa fornire delle spiegazioni per
questo tuo
comportamento” continuò la contessa. Emilia
annuì.
“Vedete madre, la proposta del principe di Montesanto,
è nata unicamente da un
fraintendimento. Quando Martino è partito io mi sono sentita
persa – ammise la
ragazza - e in quel periodo le attenzioni del principe mi distraevano
dal
pensare a lui. Io non immaginavo che lui potesse chiedermi in moglie. E
credetemi, è stato difficile rifiutarlo, ma non potevo
sposarlo, non lo amavo.
Avrei vissuto nella menzogna. Avremmo sofferto entrambi.”
“Continuo a non capire il voler rientrare in
collegio”.
“Era l’unico modo per riavvicinarmi a Martino.
È con lui che voglio condividere
la mia vita” Emilia si fermò e abbassò
gli occhi.
“C’è una cosa che devo
confessarvi” mormorò con voce strozzata.
“Martino ed io avremmo voluto annunciarlo stasera a cena, ma
credo sia giusto
che voi lo sappiate: aspetto un figlio da lui” ammise la
ragazza, portandosi
una mano al ventre, alzando lo sguardo e incontrando quello della madre.
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Capitolo 43 *** Capitolo XLIII ***
“Aspetti un figlio da lui – ripeté Anna,
rompendo il silenzio che si era creato - sei sicura di quello che
dici?” domandò ancora la contessa. Emilia
annuì, asciugandosi le lacrime, iniziando a raccontare:
“È accaduto dopo la nascita di Eugenio
…”
“Emilia abbi almeno la compiacenza di non entrare nei
dettagli!” esclamò la contessa, sempre
più alterata.
“Perdonatemi, madre” rispose con un filo di voce la
ragazza.
“Come hai potuto essere così sconsiderata?
Concedersi a un uomo prima di essere diventata sua moglie! Non hai
pensato alle conseguenze del tuo gesto?” Emilia, a quelle
parole iniziò a singhiozzare ferita, non solo dalle parole
della madre, ma soprattutto dal suo sguardo carico di delusione.
“Martino mi ama, e vuole sposarmi”
replicò la ragazza.
“Vedremo, Emilia, ma io non mi illuderei”
così dicendo, lasciò la camera della figlia.
Martino stava aspettando di poter ritornare dalla cugina, quando
Antonio lo scorse, e gli si fece incontro per salutarlo.
“Martino, sono felice di rivederti. Ma dimmi come mai non sei
all’accademia? Spero non sia accaduto nulla di
spiacevole”.
“Tutt’altro, Antonio. Sono tornato con Emilia,
abbiamo deciso di sposarci” gli spiegò il ragazzo
entusiasta.
“Anna ora è con lei, sto aspettando che esca per
avere il suo benestare”.
“Sono sicuro che Anna acconsentirà”.
“Lo spero vivamente, mi sembra di attendere qui fuori da
delle ore, ma non saprei dire esattamente da quanto le ho lasciate
sole, oppure se sia normale tutta questa attesa. Inizio ad essere un
po’ preoccupato.”
“Temi un rifiuto da parte di Emilia?”
domandò il medico.
“No, questo no!” rispose il ragazzo, allargandosi
in un sorriso, al ricordo della proposta fatta alla cugina.
“E allora non vedo perché tua zia dovrebbe negarvi
di stare insieme. Siete entrambe due giovani virtuosi, vi amate, e il
vostro matrimonio sarebbe inattaccabile per le convenienze”.
Martino non ebbe il tempo per rispondere, perché Anna
uscì dalla camera della figlia. I due uomini si
avvicinarono. La contessa gelò il nipote con lo sguardo.
“Zia…” iniziò il ragazzo.
“Con quale coraggio hai mandato tuo padre a domandare la mano
di mia figlia?” Martino non rispose.
“Anna, cosa stai dicendo?” cercò di
farla ragionare il marito.
“Il signorino non ti ha raccontato nulla?- domandò
la contessa, per poi continuare - Prima la disonora, poi mi chiede la
sua mano!”
“Anna, ti prego, calmati!” ripeté
Antonio abbassando la voce, prima di avvicinarsi alla donna e di
volgere lo sguardo sul nipote, in attesa di una spiegazione che non
tardò ad arrivare.
“Emilia aspetta un figlio da me”
confessò Martino.
“È una bella notizia Martino –lo
rassicurò il medico - Emilia lo vuole?” a quelle
parole Anna fissò il marito stupita.
“Sì” rispose sicuro il giovane.
“E tu?” continuò l’uomo.
“ È mio figlio, come potrei chiederle di
abbandonarlo, o peggio?”
Emilia era rimasta sulla porta, e sentendo quelle ultime parole, non
riuscì a trattenere un singhiozzo.
“Martino!” lo chiamò, andandogli vicino,
e nascondendo il viso nel petto ampio.
“Sono qui” mormorò il cugino,
appoggiando il capo su quello di lei e accarezzandole la schiena,
cercando di tranquillizzarla.
“Martino, accompagnala in camera, più tardi
passerò a controllare come sta.”
Consigliò il medico, per poi allontanarsi con la moglie.
Emilia non oppose resistenza alle braccia del cugino che le indicavano
la strada.
“Come ho fatto a illudermi che lei sarebbe stata
felice?” domandò Emilia, quando Martino chiuse la
porta alle loro spalle.
“Emilia, ti prego, cerca di calmarti. Tutte queste emozioni
non ti fanno bene”. La ragazza si era sciolta
dall’abbraccio del cugino e stava camminando per la stanza,
ignorando le premure del ragazzo.
“Era così delusa, ed è solo colpa mia.
Ma perché si è risentita così tanto?
Anche lei e Antonio aspettavano già mio fratello quando si
sono sposati” domandò tra un singhiozzo e
l’altro.
“Non penso che sia la stessa cosa – Martino pose
fine al discorso - Abbiamo colto tua madre di sorpresa. Non si
aspettava una situazione simile. Dobbiamo avere pazienza, e sono sicuro
che col tempo lo accetterà”. Emilia
annuì, poco convinta.
“Bene Emilia, abbiamo finito: puoi
rivestirti.” Esordì Antonio, per poi riporre lo
stetoscopio nella sua valigetta. La marchesina lo fissava in silenzio,
in attesa.
“Siete entrambe in salute” le confermò
il medico
“Ma?” domandò la ragazza timorosa,
“Ma dovrai prestare attenzione a molte cose ora, prima di
tutto assoluto riposo. Il viaggio a Parigi non sembra aver avuto
conseguenze negative, ma i viaggi in carrozza sono da
evitare”.
“Certo Antonio” acconsentì la ragazza.
“Vedrai che presto ti sentirai meglio”
cercò di incoraggiarla il medico, ma Emilia continuava ad
indugiare.
“Ho dato ordine di prepararti del brodo per cena”
spiegò ancora il medico.
“Grazie Antonio, puoi chiedere ad Angelica di portarmelo in
camera?” chiese, evitando di porre, ancora una volta,
l’unica domanda che le premeva.
“Veramente ti aspettano tutti per la cena” le
spiegò il medico.
“Antonio … non saprei se …”
iniziò la ragazza, l’uomo la interruppe,
appoggiandole una mano sulla spalla.
“Non puoi evitare tua madre per sempre. Ho cercato di
parlarle prima – le spiegò l’uomo -
è molto delusa, è vero, ma ti vuole bene. Ha
bisogno di tempo per accettare la situazione, ma se tu le mostrerai
ciò che provi per tuo figlio, sono sicuro che presto
capirà. Devi essere forte. Dov’è
l’Emilia che è scappata da un matrimonio di
convenienza, ed è corsa in Francia dal padre di suo
figlio?” Emilia lo fissò negli occhi e sorrise.
“Grazie” mormorò appena.
“Ti aiuto col corsetto, ma domani promettimi di farti aiutare
da Elisa a trovare degli abiti adatti alla tua nuova
condizione” la ragazza annuì, spostandosi i
capelli, per dar modo al medico di intrecciare i fili.
“Non sarà una cena facile, vero?”
domandò la ragazza.
“Temo di no. Ma tu e Martino saprete cavarvela, ne sono
sicuro”. La rincuorò ancora il medico, per poi
invitarla a uscire dalla stanza.
La cena si rivelò più facile del previsto. Il
malumore di Anna era ben visibile, ma la marchesa preferì
rimanere in silenzio, piuttosto che sfogarsi con pungenti battutine
all’indirizzo dei due ragazzi. Da parte loro Martino ed
Emilia, tentarono di limitare ogni atteggiamento che potesse causare
nuove rimostranze dalla contessa. Per tutta la cena Elisa e Fabrizio
cercarono di alleggerire l’atmosfera, semplificando il
compito ai due ragazzi. Dopo cena, quando i commensali si spostarono
nel salone attiguo, Anna si congedò, sotto lo sguardo triste
della figlia.
“Buona notte madre” salutò la ragazza,
senza ottenere risposta. Antonio affiancò la moglie,
sperando di poterla far ragionare una volta soli. Per mitigare il
silenzio di Anna, il medico rispose al saluto della giovane,
raccomandandole di non farsi scrupoli a chiedere di lui in caso di
necessità, per poi raggiungere la moglie, che si era
allontanata bruscamente. Quando i due giovani rimasero nella stanza con
i conti Ristori, Martino affiancò la cugina, seduta sul
divanetto, e la strinse a sé cercando di confortarla. Emilia
si lasciò abbracciare, godendosi quelle dolci attenzioni.
“Dovrete portare pazienza, ma sono certa che prima o poi
cambierà idea …”
“Per favore Elisa – la interruppe il ragazzo - non
ripetermi che ha solo bisogno di tempo! So che ho sbagliato, che avrei
potuto evitare tutta questa situazione. Credimi, non mi sto lamentando
delle conseguenze dei miei gesti. Non m’interessa se la zia
mi sputa addosso tutta la sua delusione: ne ha tutte le ragioni. So che
non ho alcun diritto di chiedere il suo perdono, ma io ed Emilia ci
amiamo e l’ho chiesta in sposa! Perché, se fossimo
sposati, questa notizia sarebbe fonte di gioia? ” concluse
Martino.
Elisa rimase in silenzio per poi riprendere:
“Non condivido il comportamento di Anna, ma posso condividere
le sue preoccupazioni” ammise la contessa.
“Elisa cosa stai dicendo?” domandò il
ragazzo, la contessa sorrise, per poi domandare:
“Se tua sorella Agnese ti confidasse di aspettare un figlio,
da un ragazzo che ama e che ha intenzione di chiederla in moglie, tu
cosa faresti?” Fabrizio osservò la moglie allibito.
“Ma è impossibile, Agnese, è una
bambina!” cercò di difendersi il ragazzo.
“È vero, è ancora una bambina, ma tra
dieci anni cosa faresti?” lo incalzò la donna.
“Sfiderei a duello chi l’ha disonorata!”
esclamò sicuro il giovane. Per poi intuire il significato
della domanda che gli era stata posta.
“ Hai messo al primo posto l’onore e la
rispettabilità di tua sorella, ma perdonami se ti dico che
non hai fatto altrettanto con quello di tua cugina. Tua zia si
preoccupa del futuro che sua figlia potrebbe avere, se si scoprisse.
Ricordati che il mondo perdona gli uomini, ma per le donne è
diverso”.
“Sono davvero stato così stupido?”
domandò Martino, dando voce ai suoi pensieri.
“Spesso sentimenti e ragione non percorrono lo stesso
sentiero – gli rispose Fabrizio – fortunatamente,
nel vostro caso, le due strade si sono ricongiunte”.
“Anna si può sapere cosa ti è
preso?” domandò Antonio, una volta chiusosi la
porta della loro camera alle sue spalle. La contessa
continuò a sciogliere l’acconciatura, come se
niente fosse.
“Anna” la chiamò ancora il marito,
abbassando il tono della voce. La donna distolse lo sguardo dalla sua
toeletta e lo fissò.
“Nulla Antonio, va tutto benissimo”
ironizzò, cercando di nascondere tutta la sua frustrazione.
Gli occhi del conte si ammorbidirono, mentre le si avvicinava,
accovacciandosi per essere alla sua stessa altezza:
“Tua figlia ha bisogno di te, ora più che
mai”.
“Antonio, non capisci … ho paura per lei, per il
suo futuro. Cosa le succederebbe se la sua gravidanza fosse resa
pubblica?”
“E allora lascia che sposi suo cugino, così
l’annuncio di questa gravidanza non darebbe
scandalo” le suggerì l’uomo.
“Non posso, è stato lui a metterla in questa
situazione, e poi non voglio che Emilia abbia un matrimonio riparatore.
Non voglio che sposi chi non ama; ho paura di condannarla a rivivere
ciò che ho vissuto io con Alvise …”
l’uomo l’abbracciò forte.
“Emilia è innamorata di Martino, e lui di
lei.”
“Ma …” cercò di protestare la
donna, il conte la fermò nuovamente.
“Non credo che avrebbe rifiutato il principe di Montesanto,
se avesse voluto semplicemente mantenere le apparenze” la
contessa non rispose, ancora indecisa sulla strada da seguire.
“Ti aspetto a letto” le sussurrò
l’uomo, baciandole la fronte.
“Ti amo” le confidò ancora, strappandole
un sorriso, e un dolce bacio.
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Capitolo 44 *** Capitolo XLIV ***
Nei giorni successivi, il clima che si respirava alla tenuta non era
dei più armoniosi e la contessa Ceppi cercava di evitare il
più possibile la nuova coppia. Anna osservava la
figlia e il cugino dalla finestra della biblioteca; i due giovani
passeggiavano nel parco, ignari di essere osservati. Emilia
scoppiò a ridere, nascondendo timidamente il volto sulla
spalla del cugino, che non perse l’occasione di stringerla
dolcemente a sé, godendo di quei momenti di spensieratezza.
La contessa si perse tra i suoi ricordi, rivedendo nei due ragazzi lei
e Antonio. Anche loro erano così felici, eppure in quel
momento invidiava sua figlia: ammirava il coraggio che
l’aveva spinta a rischiare la sua salute e quella del suo
piccolo, per non rinunciare al suo amore vero, e si rimproverava di non
aver fatto lo stesso, diversi anni prima quando preferì
andare in sposa ad Alvise, piuttosto che confidare la verità
al suo attuale marito. Spesso si era domandata come sarebbe stata la
sua vita, se non avesse rifiutato la sua felicità per le
convenienze; tuttavia era altrettanto consapevole che non avrebbe mai
ottenuto una risposta. Osservò ancora i due giovani, che
avevano ripreso la loro passeggiata, stretti uno all’altra.
In fondo – si disse la donna – Emilia al fianco del
cugino appariva serena, come poche altre volte lei l’aveva
vista, e Martino era talmente premuroso nei confronti della figlia
… solo qualche anno prima sorrideva all’idea di un
loro matrimonio, e ora perché li stava ostacolando
così ostinatamente? Aveva davvero paura che Emilia si
potesse pentire di quella scelta, o forse temeva che il ragazzo fosse
stato obbligato a sposarla?
Una voce maschile la strappò dai suoi pensieri:
“Mi piacerebbe sapere per quanto continuerai a spiare tua
figlia e tuo nipote”. Anna sobbalzò,
lasciando cadere il lembo della tenda che stringeva tra le dita.
“No, caro fratello, sto semplicemente ammirando il panorama
di Rivombrosa.” Rispose la donna, alla battuta
dell’uomo. Fabrizio si avvicinò alla finestra,
scostando la tenda finse di ammirare il parco, e dopo aver indicato i
due giovani con un cenno del capo riportò
l’attenzione sulla sorella, con un sorriso divertito sul
volto. Anna cercò di giustificarsi, ma il conte la
bloccò.
“Ti andrebbe una tazza di tè?”
domandò semplicemente, facendole intuire che gli scherzi
erano finiti, e invitandola ad accomodarsi su una delle poltrone. Anna
accettò, e poco dopo Giannina arrivò col vassoio
contenente il necessario. Fabrizio le indicò il tavolino, e
quando la cameriera fece per servirlo, l’uomo la
congedò ordinandole di chiudere la porta, per poi offrire
lui stesso la tazza alla sorella.
Anna sorseggiò il suo tè, senza parlare e
altrettanto fece il fratello. Il silenzio della stanza non era
opprimente, ma la marchesa iniziava a sentire la necessità
di conoscere le argomentazioni dell’uomo.
“Non ci crederai, ma la tua compagnia mi è mancata
molto” iniziò la donna. Fabrizio non rispose,
bevendo ancora dalla sua tazza, per poi appoggiarla sul tavolino e
fissare negli occhi la sorella.
“Perché?” chiese semplicemente, senza
alcuna espressione particolare, che potessero suggerire alla sorella i
suoi stati d’animo. Anna intuì che quella domanda
non era riferita al suo tentativo di intavolare una conversazione.
“Fabrizio non capisco, perché, cosa?”
domandò allora. L’uomo si appoggiò allo
schienale del divanetto e domandò nuovamente:
“Perché li ostacoli con tutte le tue
forze?”
“Ti riferisci a Emilia e Martino” rispose la
sorella, il conte annuì leggermente. Anna depose, a sua
volta, la tazza nel vassoio. Fabrizio si sporse per offrile
dell’altro tè, ma lei rifiutò con un
gesto della mano, per poi riprendere a parlare:
“Mi sono fatta la stessa domanda, e mi sono data due risposte
differenti – ammise la donna, l’uomo fece per
interromperla, ma ancora una volta la sorella lo bloccò
– e devo riconoscere che la paura dello scandalo è
stata solo una misera scusa. Spero, tuttavia, che concorderai con me
che entrambe siano stati irresponsabili”. Fabrizio
annuì.
“Tuttavia, non voglio commettere gli stessi errori che ho
fatto con te ed Elisa” ammise la sorella, Fabrizio
cercò di alleggerire la tensione che si stava creando:
“ Quindi se non ho capito male, non vuoi far interdire mio
figlio …” sorrise, ma Anna lo fulminò e
il conte alzò le mani in segno di resa, lasciando continuare
la contessa.
“È che temo per Emilia, ho paura che possa
rivivere quello che è accaduto tra me e Alvise. Non sto
insinuando che Martino sia come lui, ma temo che Emilia veda nel
matrimonio con Martino una sorta di riparazione”. Ammise la
donna.
“Credi forse che Emilia voglia sposarsi con Martino solo per
le convenienze?” domandò incredulo il conte. La
sorella non rispose.
“Anna, se davvero Emilia avesse voluto salvare le apparenze,
non avrebbe rifiutato la proposta del principe!”
“Hai ragione Fabrizio, ma dammi ancora un po’ di
tempo prima di accennare a questa nostra conversazione”
domandò la donna. L’ uomo acconsentì:
“Sai bene che presto la gravidanza di Emilia non
potrà più essere nascosta. Non voglio importi di
accettare il loro fidanzamento, ti chiedo solo di
rifletterci”.
“Come preferisci – la rassicurò il
fratello, per poi continuare - ma se hai dei dubbi su Martino o su
Emilia, forse dovresti parlarne con loro non credi?”
“Farò tesoro del tuo consiglio, grazie.”
Nel frattempo la passeggiata dei due cugini era stata interrotta
dall’arrivo del conte Sturani. Quando Emilia vide smontare da
cavallo il giovane ospite, cercò di ritirarsi, ma Martino
glielo impedì:
“Non preoccuparti, Augusto è un amico leale, e non
penso farà molto caso al tuo stato” le
sussurrò il ragazzo, avvicinandosi all’amico.
“Augusto, che piacere vederti” esclamò
il conte Ristori.
“Iniziavano a girare strane voci che volevano il giovane
Conte Ristori di ritorno dall’accademia, e mi stavo
domandando perché questo non fosse passato a salutarmi.
– iniziò il conte Sturani, prima di posare gli
occhi sulla figura della marchesina, appena qualche passo dietro il
cugino – Se avessi immaginato il motivo di tale ritardo,
avrei avvisato” continuò. Martino sorrise, poi si
voltò verso la cugina e la invitò ad affiancarlo:
“Emilia ti ricordi il conte Augusto Sturani?
L’amico che spesso mi accompagnava al collegio di Saint Cyr.
Augusto, lei è mia cugina, la marchesina Emilia
Radicati”
“Ho sentito molto parlare di voi, ma a essere onesta, temo di
non avervi mai conosciuto personalmente” salutò la
ragazza, chinando leggermente il capo, in segno di saluto. Il conte
Sturani ricambiò il saluto, elogiando la bellezza della
giovane, che arrossì. Martino invitò
l’amico e la cugina ad accomodarsi sotto il gazebo e dopo
qualche momento d’imbarazzo, i tre si apprestarono a passare
il resto del pomeriggio insieme. La conversazione dei tre giovani,
nonostante gli sforzi di Martino, ritornò sulla Francia.
“E così sei riuscito ad ottenere un nuovo congedo
…” aveva iniziato il conte Sturani, che venne
interrotto dall’amico:
“Veramente mi sono ritirato dalla vita militare” fu
la correzione del giovane conte Ristori, che causò un
momento di silenzio, nel quale Emilia gli rivolse uno sguardo
preoccupato. Augusto si riprese presto dalla sorpresa e
continuò:
“ È un vero peccato, hai talento
…” nel sentire quella risposta Emilia si
rabbuiò, perdendosi nei suoi pensieri e non prestando
più ascolto alla conversazione dei due.
“Tuttavia, se sei sicuro della tua scelta, non posso che
augurarti tutta la felicità che meriti - riprese il conte
Sturani, finendo la sua tazza di tè - Che la tua vita in
campagna sia proficua e di tuo gradimento –
continuò ancora il giovane, facendo sorridere
l’amico, che poi si rivolse alla ragazza- E voi Marchesina
che genere di vita preferite?” Emilia fu costretta a
riemergere dai suoi pensieri, e ad accantonare i suoi sensi di colpa.
“Perdonatemi conte Sturani, ero distratta.” Ammise
la ragazza, abbassando il capo imbarazzata.
“Non dovete scusarvi, vi abbiamo tagliato fuori dalla
conversazione, stavamo discutendo sulla vita in campagna: vi aggrada
questa prospettiva o preferite la vita di città?”
domandò nuovamente il conte.
“N e sarete meravigliato, ma adoro la vita di campagna.
Sebbene abbia vissuto molto tra Torino e Parigi, la serenità
che mi riesce a dare Rivombrosa è unica”. Sorrise
la ragazza, cercando di rimediare alla mancanza di poco prima, ma la
conversazione non durò molto perché Angelica
raggiunse il gazebo, annunciando l’arrivo della duchessa
Contarini. Emilia, piuttosto confusa da quella visita inattesa e
misteriosa, si congedò dai due cavalieri, dirigendosi verso
l’androne, dove una giovane dama dai capelli rossi la stava
attendendo.
“Rebecca! – esclamò la
marchesina- che piacere vederti!”
“Carissima Emilia, ti trovo bene” rispose
l’amica, prima di essere invitata ad entrare a palazzo
Ristori.
“Immagino ti stessi domandando chi fosse a farti
visita” scherzò la duchessa, Emilia sorrise:
“Devo confessarti che ho pensato fosse una visita per mia
madre”. Le due ragazze si accomodarono nel salottino privato
della marchesina.
“Mi dispiace doverti ospitare qui, ma oggi sembra che tutti
vogliano farci visita” esordì la giovane padrona
di casa, mentre invitava la cameriera ad avvicinarsi per portare loro
qualcosa da bere.
“Siete una famiglia molto popolare e ben in vista,
allora”.
“O forse più semplicemente i nostri amici non
hanno bisogno di un invito per presentarsi a casa nostra”.
“Ad altri, invece, neppure l’invito è
sufficiente per presentarsi …” iniziò
la duchessa, subito interrotta dall’amica:
“Rebecca mi dispiace di non essere stata presente al tuo
matrimonio, ma ero invitata alla promozione di Martino, ed è
stata anche l’occasione per congedarmi definitivamente dal
collegio”.
“Emilia non preoccuparti, non mi sono offesa, certo mi
è dispiaciuto, ma il soggiorno in Francia sembra che ti
abbia fatto bene.”
“Così è stato. Piuttosto, la tua nuova
vita da duchessa? Come ti trovi negli abiti di moglie e padrona di
casa?” cercò di cambiare discorso la marchesina.
“Finalmente inizio a non perdermi a palazzo, devo dire che le
prime volte è stato davvero imbarazzante, perfino Cristiano
si è orientato prima di me!” si lasciò
sfuggire la giovane.
“Il principe di Montesanto è vostro ospite a
palazzo? Come sta?” domandò Emilia, cercando di
nascondere la tensione.
“Non sta passando un periodo molto felice – ammise
Rebecca - dopo il tuo rifiuto ci ha chiesto ospitalità, e
passa molto tempo da solo.”
“Come sai del mio rifiuto?”
“ È stato Cristiano a raccontarci tutto, deve
proprio venerarti, non fa altro che tessere le tue lodi”.
“Rebecca, io non potevo accettare, mi dispiace avergli
causato delle sofferenze, ma non potevo mentirgli fingendo un
sentimento che non provo”.
“Ti sei infatuata di tuo cugino” quella di Rebecca
non era una domanda, ma una costatazione. Emilia arrossì:
certo non poteva dire che ‘infatuarsi’ fosse il
termine più adatto.
“Tesoro, è impossibile non notare gli sguardi che
vi scambiavate tu e il conte Ristori. Ogni volta che eravate lontani vi
cercavate, molte ragazze di Saint Cyr invidiavano il tuo
rapporto con lui. Mi domando come Cristiano non l’abbia
notato”.
“La mia curiosità verso il principe deve averlo
tratto in inganno. Ero desiderosa di conoscerlo, ma non ho immaginato
che le sue intenzioni fossero diverse dalle mie”.
“Emilia, non devi fartene una colpa. Hai deciso di non
accettare una proposta di matrimonio, non hai certo nulla di cui
vergognarti”. Cercò di rincuorarla
l’amica. La contessina non rispose, abbassando lo sguardo.
“Speri che sia tuo cugino a chiedere la tua mano?”
“Ti confesso che questa possibilità mi ha
affascinata per molto tempo …”
“Ma?” la incalzò la duchessa.
“Ma ho paura di non potergli offrire ciò di cui
lui ha bisogno. Ho paura che per me possa rinunciare ai suoi sogni, e
questo non lo voglio”.
“Trasferirsi a Parigi non è una scelta
facile” concordò Rebecca.
“Tuttavia, sarebbe la scelta migliore. Ma in fondo non
c’è da preoccuparsi, non penso che una sua
proposta di matrimonio giungerà a breve”
mentì Emilia, con un sorriso amaro sulle labbra.
“In ogni caso voglio essere la prima a ricevere
l’invito al tuo matrimonio”.
“Non temere, la mia migliore amica avrà anche i
posti migliori” sorrise Emilia.
“Naturalmente!” scherzò
l’altra, prima di cambiare discorso.
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Capitolo 45 *** Capitolo XLV ***
Dopo aver congedato Augusto, Martino si recò in biblioteca,
dove Anna stava ricamando. La nobildonna alzò per un attimo
lo sguardo dal lavoro, per poi riabbassarlo.
“Perdonate zia, non volevo disturbarvi.” Si
scusò il ragazzo, conscio che una nuova incomprensione con
la madre di Emilia era tutt’altro che auspicabile. Anna
sospirò profondamente e appoggiò il tamburello
vicino a lei, prima di fissare negli occhi il nipote.
“Non mi hai disturbata, anzi sono felice che tu sia qui,
volevo parlarti” esordì la contessa, facendo
intendere al nipote di voler mantenere riservata quella conversazione.
Martino si chiuse la porta alle spalle e si sedette sulla poltrona, di
fronte alla zia.
“Immagino che tu possa indovinare di cosa voglio
parlarti” iniziò Anna, Martino annuì,
senza capire veramente il senso della domanda.
“Bene, ti sorprenderà, ma ho seriemente riflettuto
sulla tua proposta”.
“State dicendo che posso sposare Emilia?”
domandò Martino senza riuscire a trattenere
l’aspettativa e la gioia.
“Ho detto che ho valutato la tua proposta, non che
l’ho accettata” gli fece notare la donna, che
però fu felice dei palesi sentimenti del nipote. Martino
cercò di ricomporsi, capendo che quella era la sua vera
opportunità per convincere la zia.
“Vedi Martino, sono rimasta molto delusa dal fatto che Emilia
aspetti un figlio all’infuori del matrimonio; converrai con
me che per una ragazza in età da marito questo è
un fatto molto grave, ma la mia paura più grande ora
è che tu sposi mia figlia solo per rimediare al vostro
sbaglio.”
“Nostro figlio non è uno sbaglio –
ribatté Martino - io amo Emilia, e voglio sposarla. Non
perché aspetta mio figlio. Vedete, quando sono tornato in
Francia mi sono dedicato completamente
all’attività militare. Ero tra i migliori, ma ogni
volta che rientravo nella mia stanza non ero soddisfatto: mi sembrava
sempre che mancasse qualcosa, solo quando lei è venuta a
cercarmi mi sono sentito completo, e ho capito quanto sono stato folle
ad abbandonarla. Io avevo già intenzione di chiederla in
moglie, ma lei mi ha bloccato, ha voluto confessarmi di aspettare un
figlio, in modo che io potessi scegliere, e come avrei potuto non
scegliere lei? Io la amo …” il ragazzo rimase in
silenzio dopo aver lasciato che le parole uscissero da sole dalla sua
bocca. Anna ne rimase colpita, e per la prima volta abbozzò
un sorriso:
“Era quello che avrei voluto sentire, sono felice che Emilia
abbia trovato un uomo come te” ammise la contessa.
“Questo vuol dire che …”
domandò il ragazzo incredulo e in attesa della risposta
della zia.
“Che puoi sposare Emilia” confermò la
donna aprendosi finalmente in un sorriso.
“Grazie zia” esclamò il ragazzo, che
istintivamente corse ad abbracciarla.
Il buon umore di Martino durò per tutto il resto del
pomeriggio, ma nessuno riuscì a capire a cosa fosse dovuto.
Poco prima di cena il ragazzo andò in camera della cugina,
per darle la nuova notizia, e per accompagnarla al piano sottostante,
ma tutta la sua euforia svanì quando la vide distesa sul
letto con una mano a coprirsi gli occhi.
“Emilia, tesoro …” la chiamò
il ragazzo. La contessina si voltò verso di lui, cercando di
rassicurarlo.
“Martino non è nulla, soltanto un capogiro dovuto
alla stanchezza” minimizzò lei, mettendosi seduta
con l’aiuto del cugino.
“Sei sicura di sentirti meglio? Preferisci forse che ti sia
servita la cena in camera?” Emilia sorrise, accarezzando il
volto del ragazzo di fronte a lei:
“Ora è passato, ti prego non farmi sentire malata.
Nel mio stato soffrire di lievi capogiri è normale, e poi
oggi è stata una giornata intensa.”
“Come preferisci” acconsentì il ragazzo,
aiutandola ad alzarsi e porgendole il braccio.
La cena e la serata trascorsero senza complicazioni, Martino si
comportò da perfetto cavaliere nei confronti della cugina,
senza però trovare il momento giusto per rivelarle
dell’incontro tra lui e Anna. Dal canto suo la contessa Ceppi
non volle toccare l’argomento, lasciando che fossero i due
giovani ad annunciare il lieto evento. Presto la marchesina
si congedò dal gruppetto e venne accompagnata in camera dal
suo cavaliere che, ormai, non la lasciava sola nemmeno un minuto.
Furono proprio le insistenze di Emilia a convincere il fidanzato a
tornare in salotto col resto della famiglia. Martino si
congedò con un dolce bacio per poi uscire dalla camera della
giovane e dirigersi nel salottino, sperando di poter parlare con
Antonio. Il medico concesse di appartarsi col ragazzo che
iniziò a esporgli tutti i suoi dubbi sulla salute della
cugina. Il dottor Ceppi tentò di tranquillizzarlo ripetendo,
ancora una volta, ciò che Emilia gli aveva già
detto.
“Perdonami Antonio, ma anche il suo riposo mi preoccupa: vedi
di notte il suo sonno è spesso agitato, e a volte si sveglia
di soprassalto nel cuore della notte, è spesso stanca e
durante il giorno spesso si assopisce …”
continuò a spiegare il ragazzo.
“Per quanto riguarda il riposo è normale che tua
cugina abbia bisogno di più ore di sonno, certo il sonno
notturno agitato non è ideale, se continua ad avere incubi
prova a suggerirle di venire da me per qualche infuso da prendere, ma
preferirei evitare.”
“Ho capito, grazie Antonio” ringraziò il
ragazzo, facendo per congedarsi, ma il medico lo trattenne.
“Ora Martino permettimi di dare a te qualche consiglio:
capisco che tua cugina ti stia molto a cuore, e di questo ne sono molto
felice, ma cerca di non opprimerla; è in stato interessante,
falle vivere questo momento magico senza troppe costrizioni.”
Il ragazzo annuì, per poi tornare in camera della ragazza.
“Emilia, sei ancora sveglia?” domandò il
ragazzo, vedendo la cugina alla finestra.
“Già, ogni volta che mi corico sembra che il sonno
scompaia improvvisamente” ammise la marchesina, sorridendo,
quasi a scusarsi.
“Si tratta forse di una nuova sorpresa del tuo stato? Se vuoi
Antonio può consigliarti qualche infuso”.
“Ti prego Martino … sto bene, solo non ho
più sonno” rispose la ragazza, sciogliendosi
dall’abbraccio del cugino.
“Scusami, sono troppo apprensivo – ammise Martino,
sedendosi sul letto sfatto accanto alla cugina - ma è da
oggi pomeriggio che ti vedo strana, cosa succede?”
“Martino non è nulla …”
cercò di deviare il discorso la ragazza, ma il cugino la
interruppe:
“Emilia ti prego non mentirmi. È da quando
è arrivato Augusto che sei strana, ti estranei, sei
scostante. Oppure è stata colpa mia?”
“Martino, tu non hai colpa di nulla- lo rassicurò
la ragazza, per poi continuare - è solo che non riesco a
togliermi dalla mente le parole del conte Sturani.”
“Ti riferisci alla mia carriera militare?”
domandò il cugino. Emilia annuì, abbassando lo
sguardo.
“Se confronto i nostri percorsi a Parigi, vedo che ormai la
mia permanenza in collegio aveva già raggiunto il suo
termine, ma tu eri appena all’inizio della tua carriera. Ho
paura che, presto o tardi, tu possa rimpiangere questa
scelta”.
Martino le prese il volto tra le mani, costringendola a fissarlo.
“Come potrei mai pentirmi di aver sposato la donna che
amo?” la ragazza sorrise amaramente.
“Quanto vorrei che questo matrimonio si celebrasse senza
malumori in famiglia”.
“E se ti dicessi che ci sono novità
sull’argomento?” sussurrò il giovane
trattenendo a stento un mezzo sorriso di soddisfazione. Emilia lo
guardò sorpresa.
“Novità?” domandò, non
sapendo cosa aspettarsi. Il ragazzo continuò.
“è da questo pomeriggio che cercavo il momento
giusto per parlarti … vedi, dopo essermi congedato da
Augusto ho avuto un incontro con tua madre, e lei ha concesso il suo
benestare per le nostre nozze … quindi, marchesina Emilia
Radicati di Magliano … – sorrise il ragazzo,
accingendosi a farle una nuova proposta e inginocchiandosi nuovamente
davanti alla cugina- vuoi diventare mia moglie?” Emilia
scoppiò a ridere felice.
“Sì” riuscì solo a dire prima
di abbracciare il cugino e baciarlo dolcemente.
“A cosa pensi?” domandò Martino,
abbracciando la cugina, una volta che il primo entusiasmo era scemato,
lasciando i due giovani persi a fantasticare sul loro futuro.
“Che non capita a tutti di ricevere due proposte di
matrimonio dal proprio cugino!” ammise felice la ragazza.
“E non capita tutti i giorni che la propria cugina accetti
due volte di sposarti” i due rimasero in silenzio, godendosi
la pace che quella nuova prospettiva aveva portato con sé,
poi Emilia riprese il discorso:
“Domani mattina voglio parlare con mia madre, prima di
annunciare a tutti il lieto evento, in fondo devo
ringraziarla” Martino annuì sistemandosi meglio
tra i cuscini, e trascinando la cugina su di sé.
“Credi che riusciremo a sposarci entro Ottobre?”
domandò Emilia cercando una possibile data per le sue nozze.
“Fosse per me ti sposerei anche ora, domani
andrò a parlare con l’abate Van Necker”.
“E se ci sposasse frate Quirino?” propose la
ragazza. Martino soppesò la proposta.
“Vorresti sposarti al borgo?” domandò il
giovane, Emilia annuì.
“Bene, vorrà dire che domani mi
presenterò alla pieve di Rivombrosa. Ora
però è meglio dormire, non voglio che la mia
futura sposa si addormenti sull’altare perché ha
organizzato giorno e notte il nostro matrimonio” rispose il
ragazzo, baciando la fidanzata e stringendola forte a sé.
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Capitolo 46 *** Capitolo XLVI ***
Il giorno dopo Emilia si era alzata di buon mattino, decisa a parlare
con sua madre. Le parole della sera prima di Martino le avevano dato
fiducia, e ora quello che prima era un semplice desiderio si era
trasformato in necessità. Una volta pronta la ragazza si
mise alla finestra, cercando di regolare i battiti del suo cuore
impazzito. Eppure cosa aveva da perdere? Sua madre aveva già
acconsentito al suo matrimonio, e forse prima o poi avrebbe potuto
gioire di quel piccolo in arrivo, bisognava solo ringraziarla prima di
annunciare a tutti le sue nozze con Martino.
“Come
mai già sveglia?” domandò la voce del
cugino alle sue spalle. Emilia sussultò.
“Non mi
ero accorta che ti fossi alzato, credevo tu stessi ancora
dormendo” si giustificò la ragazza. Il giovane
sorrise.
“Infatti,
ma mi sono accorto che la mia fidanzata non era più al mio
fianco e così mi sono alzato. – sorrise il
giovane, notando poi il perfetto abbigliamento della cugina- Sei
già pronta per il tuo appuntamento mattutino? Guarda che
potrei diventare geloso, se solo non sapessi chi ti aspetta”.
Emilia arrossì.
“Ho
paura, Martino” ammise, finalmente anche a se stessa.
“Di
cosa?” domandò il giovane, cingendole le spalle
con un braccio.
“Di
rovinare tutto. Di trovarmi davanti a lei, e non sapere più
cosa dover dire, o come comportarmi …” Martino la
interruppe:
“Parli
di questo incontro come un dovere.” iniziò serio.
“Non
è forse giusto che io mi chiarisca con mia madre, prima di
sposarmi?” domandò la ragazza, sentendosi
fraintesa dal cugino.
“Non
intendevo questo, solo che forse poche parole sincere, magari anche se
poco curate, hanno un valore diverso di un perfetto discorso studiato
in ogni suo passo. Emilia è tua madre, sono sicuro che
capirà”.
“Sei
cosciente che l’ultima volta che hai detto così
è stato prima di annunciare a mia madre l’arrivo
di nostro figlio?” domandò tra l’ironico
e il disperato la ragazza.
“Sono
sicuro che accadrà diversamente” insistette il
ragazzo. Emilia prese un bel respiro e si diresse verso la porta.
“Aspetta,
ti accompagno”. Si offrì Martino, affrettandosi a
indossare gli abiti della sera precedente e a rendersi presentabile.
Emilia si
fermò davanti alla camera della madre, cercando il coraggio
per entrare; al suo fianco Martino cercava di convincerla ad
accompagnarla, ma la ragazza era irremovibile:
“Mi
dispiace Martino, ma questa è una cosa che devo affrontare
da sola.”
“Stiamo
parlando del nostro matrimonio” osservò il
ragazzo, sentendosi escluso.
“Lo so,
ma ho bisogno di chiarire con mia madre” spiegò
Emilia, accarezzando il volto del cugino. Martino prese la mano della
fidanzata e la portò alle labbra, posandovi un dolce bacio.
“Vorrà
dire che ti aspetterò qui” si arrese.
“Grazie”
bisbigliò la ragazza. Dei passi per il corridoio obbligarono
i due giovani a rimandare le loro dimostrazioni di affetto. Giannina
fece capolino subito dopo, portando l’abito della contessa
Ceppi.
“Giannina,
mia madre è già sveglia?”
domandò la ragazza.
“Sì
marchesina Emilia, volete che vi annunci?” rispose la
cameriera.
“Grazie
Giannina”. La donna entrò nella camera
della contessa.
“Il
vostro abito, signora. Perdonate, ma vostra figlia vorrebbe
vedervi” iniziò la cameriera, porgendo alla donna
l’abito che teneva tra le braccia.
“Va
bene Giannina, cortesemente aiutatemi a indossarlo, non posso certo
riceverla in abiti da camera”. La cameriera si
affrettò a eseguire gli ordini, rispondendo alle domande che
la nobildonna le poneva:
“Sì
signora, vostro nipote è fuori dalla vostra porta, insieme
alla marchesina vostra figlia. Devo far entrare anche lui?”.
“Solo
se lo richiede” diede istruzioni la donna. La cameriera
annuì e lasciò entrare la marchesina.
“Buon
giorno, madre” salutò la ragazza. Anna non
rispose, limitandosi a osservare la figlia, in piedi davanti a lei.
“Sei
mattiniera, Emilia”
“Io
volevo ringraziarvi, madre” iniziò la ragazza.
“Per
aver acconsentito alle tue nozze con Martino?”
domandò la donna, addolcendo il tono della voce.
“Sì,
per me era importante avere la vostra benedizione, so di avervi delusa,
ma non avrei mai potuto sposarmi senza di voi”. Anna
accarezzò il volto della figlia.
“Sono
lieta di sentirtelo dire. Spero che lui possa renderti felice”
“Lo
farà”. Rispose Emilia, senza indugio, prima di
essere stretta dalle braccia della madre. Quando le due si sciolsero la
contessa suggerì alla ragazza di non far attendere oltre il
cugino, e di scendere tutti a far colazione.
Raccolti attorno
al grande tavolo, il resto della famiglia attendeva l’arrivo
degli ultimi componenti.
“Come
mai Anna non è ancora arrivata?”
domandò Fabrizio, sorseggiando la sua tazza di tè.
“Non
saprei, eppure quando sono uscito era già sveglia”
ammise il dottor Ceppi, prima che Anna facesse il suo ingresso nella
sala.
“Buon
giorno a tutti” salutò, senza mascherare troppo il
suo buon umore. I due uomini si alzarono in piedi, e Antonio si
premurò di accompagnarla al suo posto, non prima di averle
baciato la fronte, ben conscio di quanto la donna non apprezzasse
effusioni troppo espansive in pubblico. Poco dopo fecero il loro
ingresso anche i due cugini, stretti l’uno
all’altra. Subito gli sguardi dei presenti si posarono prima
sui volti sorridenti dei due ragazzi, poi su Anna, che però
non sembrò dare segni d’insofferenza. La colazione
si svolse tranquillamente, quando Elisa fece per alzarsi, Emilia la
trattenne:
“Per
favore, Elisa, aspetta – iniziò timidamente la
ragazza, scambiandosi uno sguardo col cugino, prima di continuare - noi
avremmo una notizia da annunciarvi …” la contessa
si rimise a sedere, aspettando la confessione dei giovani.
“Io ed
Emilia ci sposiamo, la zia ha acconsentito”spiegò
felice Martino, stringendo tra le sue, la mano di
un’emozionata Emilia. I due giovani vennero sommersi da
congratulazioni e domande, e tutti nella stanza si prodigarono in
auguri e felicitazioni.
“Avete
già deciso una data?” domandò Fabrizio.
“Tra
tre settimane, quattro al massimo. Andrò a parlare oggi
stesso con frate Quirino, abbiamo deciso di sposarci alla pieve di
Rivombrosa” spiegò il ragazzo.
“Bisognerà
avvisare subito il miglior sarto di Torino, per il tuo abito. Potresti
iniziare a vedere i campioni delle stoffe che avevano portato per il
mio, dovrei averle conservate” iniziò Anna.
“Certo,
certo, e non dimentichiamoci gli invitati, i fiori, la musica, il
banchetto nuziale …” iniziò a elencare
Fabrizio, ridendo.
“Emilia,
temo ti sia messa in un incredibile pasticcio, non avrai più
un minuto da passare con tuo cugino, ora che Anna si è messa
in testa di iniziare con i preparativi” scherzò
Antonio, strappando una risata ai presenti, subendo però gli
scherzosi rimbrotti della moglie.
“Padre,
mi accompagnereste al borgo? - domandò il giovane conte
– Vorrei che mi faceste da testimone”
spiegò, lasciando stupito l’uomo.
“Ne
sarei felice”.
“Antonio,
tu vorresti invece testimoniare per me?” domandò
timidamente Emilia.
“Ma
certo, piccola” rispose il medico, appoggiando una mano sulla
spalla della ragazza, che lo abbracciò di slancio.
“Ora
conviene che io vada, altrimenti frate Quirino sarà troppo
impegnato per ricevermi” iniziò Martino, ma non
sembrava veramente intenzionato ad allontanarsi dalla fidanzata.
“Vieni
Emilia – la esortò la zia, vedendo che i due
giovani non si decidevano a dividersi – dobbiamo iniziare coi
preparativi, soprattutto se volete sposarvi a breve”.
Emilia era
segregata in biblioteca con la madre e la zia, sommersa da diverse
stoffe candide, una più preziosa dell’altra.
“Madre,
non riesco proprio a decidermi, sono tutte meravigliose”
ammise la ragazza, stringendo tra le mani una seta impreziosita con
fili d’argento, per poi posarla accanto a sé,
prendendo uno scampolo avorio damascato.
“Io
invece penso che tu abbia già scelto” le
suggerì la zia.
“In
effetti non è la prima volta che ti soffermi su quella
stoffa” le fece eco Anna.
“Coraggio
Emilia, riordiniamo tutti questi campioni prima che Martino torni alla
tenuta, sono passate quasi due ore da quando è uscito con
Fabrizio. Cosa ne dici di iniziare a stendere una lista degli
invitati?” cercò di rassicurarla Elisa. Emilia
annuì, lasciando che la zia le togliesse dalle mani il
tessuto; nel frattempo Anna si era procurata carta e calamaio e
iniziò a elencare una serie di famiglie nobili che intendeva
invitare.
“La
pieve non è molto grande, spero che gli ospiti non lo
considerino una mancanza di riguardo”.
“Madre,
non arrabbiatevi, ma io e Martino avevamo pensato ad una cerimonia
semplice, senza troppi invitati” iniziò la ragazza.
“Certo
tesoro – iniziò la contessa, senza ascoltare le
parole della figlia – ma bisogna fare attenzione a non creare
malumori in chi non è stato invitato. Sei una Ristori, che
tu lo voglia o meno, il tuo matrimonio sarà argomento di
discussione in qualche salotto”. Il monologo di Anna venne
interrotto dall’ingresso di Fabrizio e Martino.
“Martino,
finalmente sei arrivato a salvarmi! - esclamò la ragazza,
correndogli incontro – è due ore che quelle due
donne mi tengono chiusa qui dentro” si giustificò,
indicando le due contesse, che ridevano di quella scenetta.
“Non
temere Emilia, il prossimo passo sarà scrivere gli
inviti” la prese in giro Elisa. Fabrizio tentò di
nascondere una risata, dietro un colpo di tosse.
“Piuttosto
Martino, hai parlato con Frate Quirino? Cosa ti ha detto?”
Domandò Anna.
“Ha
accettato di sposarci tra tre settimane, l’ultima Domenica di
Settembre” spiegò il ragazzo.
“Così
presto? Vuol dire che dobbiamo assolutamente iniziare stasera con gli
inviti. Coraggio Martino, chi hai intenzione di invitare?”
iniziò la contessa Ceppi, facendo morire il sorriso sulle
labbra del ragazzo.
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Capitolo 47 *** Capitolo XLVII ***
“Emilia, finalmente la zia ti ha concesso una pausa nei
preparativi del matrimonio?” domandò Martino,
vedendo la cugina scendere lo scalone centrale del palazzo.
“Non proprio – lo corresse la ragazza –
devo andare a consegnare l’invito a Rebecca”
spiegò ancora Emilia, mostrando al ragazzo la busta che
teneva in mano.
“Credevo sarebbero stati Angelo e Titta a consegnare gli
inviti” replicò Martino incerto.
“Sì, ma avevo promesso a Rebecca di
consegnarglielo personalmente. Mi accompagneresti?”
domandò la marchesina.
“Se non sono d’intralcio con molto
piacere” accettò Martino, posando un bacio sulla
guancia della cugina.
“Non ci tratterremo molto, non voglio incontrare il principe
di Montesanto” spiegò ancora la ragazza.
“Non sapevo che fosse ospite dai duchi”
continuò la conversazione Martino, aiutando la cugina a
salire in carrozza.
“Il marito di Rebecca è un vecchio amico di
Cristiano” spiegò Emilia, senza spendersi in
ulteriori particolari.
“Tuttavia non riesco a capire perché non vuoi
incontrare il principe, credevo ti piacesse”
continuò il ragazzo, esitando sull’ultima parte
della frase.
“Sei geloso?” domandò Emilia.
“Dovrei forse?” rispose a tono Martino, ma fu
interrotto prima che potesse aggiungere altro.
“No. –rispose secca Emilia, per poi
continuare - Abbiamo già discusso di quello che è
successo. Solo, non so come dovrei comportarmi nel caso lo
incontrassimo”.
“Non è detto che il principe sia a palazzo,
tutt’al più agiremo in base alla sua
condotta” la rassicurò Martino, dando ordine al
cocchiere di partire.
Il breve tragitto in carrozza trascorse tranquillo e ben
presto la coppia arrivò a palazzo Contarini, dove venne
subito ricevuta dalla duchessa.
“Emilia è un vero piacere rivederti
così presto – esclamò la ragazza,
abbracciando l’amica, per poi rivolgersi a Martino
– conte Ristori, sono lieta che siate venuto anche voi.
Prego, accomodiamoci; desiderate qualcosa da bere?”
domandò, infine, la duchessa dopo aver condotto la coppia in
un salotto molto luminoso.
“Grazie Rebecca, ma non sarà una visita molto
lunga, volevo solo mantenere la mia promessa …”
iniziò Emilia, porgendo l’invito
all’amica con un sorriso sul volto. La duchessa lesse
velocemente l’elegante grafia di Emilia, che annunciava le
prossime nozze. Terminato di leggere, la duchessa fissò i
suoi occhi smeraldo in quelli dell’amica:
“Allora, l’altro giorno, mi hai mentito quando
affermavi di non aspettarti una proposta di matrimonio dal conte
Ristori – iniziò seria, per poi allargarsi in un
sorriso – sono così felice per te,
cara!” esclamò, alzandosi per abbracciare
l’amica.
“Congratulazioni anche a voi signor conte” si
congratulò Rebecca. In quel momento una cameriera
entrò nella stanza; appena la vide Rebecca le si fece
incontro, discutendo fittamente con lei per qualche minuto, per poi
rivolgersi ai suoi due ospiti.
“Emilia, conte Ristori, devo chiedervi di perdonare la mia
assenza per pochi minuti: mio marito è fuori per affari e
alcuni contadini richiedono di me” spiegò Rebecca.
“Non preoccupatevi duchessa, capiamo benissimo, se siete
impegnata possiamo tornare a Rivombrosa” cercò di
rassicurarle Martino, ma la ragazza si oppose:
“Conte Ristori, insisto perché voi e vostra cugina
vi intratteniate almeno per il tè, e poi non abbiamo ancora
festeggiato la notizia in maniera adeguata”. Martino si
scambiò un rapido sguardo con Emilia, prima di accettare.
“Molto bene, torno subito” si congedò la
duchessa. I due giovani rimasero soli nel salone.
“Non me la ricordavo così espansiva”
commentò a bassa voce Martino.
“Credimi, ho motivo di credere che la tua presenza
l’abbia trattenuta” sorrise la cugina, portando una
mano sul ginocchio del giovane. I due vennero interrotti
dall’ingresso di Cristiano.
“Emilia, sono felice di rivedervi. Ho sentito
l’arrivo di una carrozza, e mi era sembrato di riconoscervi,
ma temevo di essermi sbagliato - la salutò il principe,
portandosi alle labbra la mano che la ragazza gli porgeva –
Siete ancora più bella dell’ultima volta che vi ho
visto”. Continuò il giovane, esitando nel lasciare
la mano della ragazza .
“Vi ringrazio, principe” rispose la marchesina,
ritirando la mano. Solo in quel momento Cristiano prestò
attenzione al giovane seduto accanto ad Emilia, e si
rabbuiò, vedendo la mano di lei ancora appoggiata sulla
gamba del cugino.
“Conte Ristori, già di ritorno in
Piemonte?” domandò il principe con falsa cortesia.
“Come potete vedere – rispose asciutto il giovane
conte, per poi spiegare – ho accompagnato Emilia a fare
visita alla sua amica”.
“Capisco, temo che la duchessa Contarini sia dovuta uscire
– riprese il principe, per poi rivolgersi nuovamente alla
ragazza – Emilia, vorrei parlarvi in privato “.
“Principe, sono certa che anche Martino possa ascoltare
quello che avete da dirmi” rispose la marchesina.
“Pochi mesi fa mi chiamavate per nome – le fece
notare il principe, sedendosi sul divanetto prima occupato dalla
padrona di casa- riguarda il nostro ultimo incontro a
Rivombrosa” insistette il ragazzo, alludendo alla convenienza
che quegli avvenimenti non fossero resi noti ad altri. Emilia iniziava
a sentirsi a disagio dall’insistenza di Cristiano, ma rimase
ferma sulle sue posizioni, decidendo di rivelare il vero motivo della
visita.
“Come vi ho già detto, Martino conosce della
vostra proposta di matrimonio, quindi non vedo ragione di escluderlo
dalla conversazione; inoltre dovete sapere che a breve
diventerò sua moglie. La mia visita a Rebecca era per
annunciarle del mio matrimonio”.
Cristiano rimase un momento in silenzio, prima di sorridere
amaramente.
“Così ho avuto l’onore di conoscere il
misterioso cavaliere che già vi faceva battere il cuore
– disse il principe, rivolgendosi poi a Martino –
Complimenti, conte Ristori, siete riuscito dove io ho
fallito”.
“Temo di non capire, principe, anche se mi appare evidente
che non vi stiate congratulando per le nostre nozze” rispose
Martino infastidito.
“Avete inteso bene – replicò asciutto
l’altro – mi domando solo cosa le abbiate promesso
per legarla a voi”.
“Cristiano, vi prego …” lo
richiamò Emilia, cercando di riportarlo alla ragione.
“No, Emilia. Io mi sono innamorato di voi sin dalla prima
volta che vi ho vista scendere dalla carrozza, il giorno
dell’agguato; ho cercato in ogni modo di mostrarvi i miei
sentimenti, sia a Venezia sia una volta tornati in Piemonte; e voi mi
avete illuso col vostro bacio e poi respinto. O forse avrei dovuto
aspettarmelo, da una giovane tanto ammirata in società.
Scommetto vi divertiate a sedurre e abbandonare i vostri
cavalieri” riprese Cristiano, lasciando il suo posto e
avvicinandosi alla ragazza.
“Principe, adesso state esagerando”
s’intromise Martino, alzandosi dal sofà e
avvicinandosi al suo interlocutore.
“Conte Ristori, la vostra fidanzata vi ha forse taciuto
qualche aneddoto accaduto in vostra assenza?”
domandò il principe, fintamente sorpreso.
“Emilia non mi ha taciuto nulla, ma non trovo corretto che
voi usiate un tale avvenimento per farla sentire in colpa”.
“Martino, per favore – lo trattenne Emilia,
affiancandosi al cugino – Cristiano ha frainteso un mio
momento di debolezza, e di questo me ne scuso”
iniziò la ragazza, rivolgendosi prima al cugino e poi al
principe.
“Tuttavia, vi avevo già spiegato le ragioni del
mio comportamento. Vi avevo già spiegato a cosa era dovuto
il bacio, e cosa mi spingeva a rifiutare la vostra proposta. Voglio
però rinnovarvi la mia riconoscenza, per come mi avete
aiutata a Venezia. Per questo, se vorrete venire a farci visita come un
amico sincero, sarò felice di ricevervi”.
“Vi dichiarate mia amica solo per riconoscenza?”
domandò Cristiano deluso.
“Questo è quello che mi lega a voi, mi dispiace
che non corrisponda alle vostre aspettative, ma non mentirò
dicendo che provo per voi un sentimento più forte”
rispose sicura la ragazza. Il principe annuì col capo.
“Capisco. In questo caso, permettetemi almeno di farvi gli
auguri per le vostre nozze imminenti, e perdonatemi se vi ho disturbata
con la mia presenza. Marchesina Radicati, - continuò il
principe, portando una mano di Emilia alla bocca per depositarvi un
ultimo bacio – conte Ristori siete fortunato ad avere una
donna così legata a voi ”.
“Grazie principe” rispose il ragazzo, in direzione
dell’altro gentiluomo che presto uscì dalla
stanza.
Emilia osservò il principe allontanarsi dal salone
sospirando. Martino le porse un bicchiere d’acqua.
“Grazie” mormorò con un filo di voce la
ragazza, riportandosi a sedere sul divano.
“Emilia, conte Ristori, non credevo di lasciarvi da soli
così a lungo” si scusò Rebecca,
tornando dai suoi ospiti.
“Duchessa non vi dovete preoccupare” la
rassicurò Martino.
“Rebecca, si è fatto tardi e noi dovremmo tornare
a Rivombrosa” iniziò la marchesina.
“Emilia, non siamo riuscite a festeggiare, fermatevi a cena.
Sono sicura che a Rivombrosa capiranno”
“Mi dispiace Rebecca, ma i preparativi del matrimonio mi
attendono” si giustificò nuovamente la ragazza.
“Allora vi accompagno alla carrozza” si
lasciò vincere la duchessa.
Appena la carrozza intraprese la strada del ritorno, Emilia si
abbandonò allo schienale, lasciandosi sfuggire un sospiro di
sollievo. Subito Martino le si fece vicino, apprensivo:
“Emilia, va tutto bene?” la ragazza
annuì.
“Non preoccuparti, solo, non vedo l’ora di arrivare
a Rivombrosa e potermi stendere: la conversazione con Cristiano mi ha
stancata parecchio” ammise la marchesina.
“Emilia, mi dispiace, non avrei dovuto comportarmi in quel
modo”
“Martino, non hai nulla da farti perdonare. –lo
rassicurò la cugina, accarezzandogli il volto – tu
volevi solo difendermi, inoltre, ho visto come ha cercato di provocare
una tua reazione e, sono convinta, avrebbe continuato fino a ottenere
ciò che voleva”.
“Questo non giustifica l’aver ceduto alle sue
istigazioni”. Emilia prese il volto del cugino tra le mani, e
lo obbligò a fissarla negli occhi.
“Martino, credi che ti amerei se tu non fossi anche
così impulsivo? “ domandò, posandogli
un lieve bacio a fior di labbra. Il cugino biascicò una
qualche risposta, ma la ragazza lo zittì nuovamente.
“Sono stanca di parlare di quello che è accaduto
con Cristiano …” confidò al cugino,
sorridendo sulle labbra del ragazzo, che affamate, tornarono presto a
cercare quelle di lei.
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