A True Story X

di CatharticMoment
(/viewuser.php?uid=151704)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A TRUE STORY X

 

Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre
che ti vengono a cercare.
Non le hai scelte e nemmeno le vorresti,
ma arrivano e dopo non sei più uguale.
A quel punto le soluzioni sono due:
o scappi cercando di lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti.
Qualsiasi soluzione tu scelga ti cambia,
e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male
.

 

Prologo


 

Becca guardava perplessa la bacheca situata al lato dell’entrata della sua nuova scuola. Stringeva al petto i libri lucidi appena comprati, proprio come una studentessa modello e fissava pensierosa tutti quegli annunci, quelle richieste, quelle informazioni, come se stesse al bivio più importante delle sua vita. Quel giorno era entrata prima del suono della campanella per leggere quel mosaico caotico di fogliettini in santa pace, senza che nessuno la disturbasse, e soprattutto senza doversi sentire in imbarazzo.
Lei era il genio della famiglia, la più piccola ma indubbiamente la più intelligente.
Per i primi sei mesi del suo primo anno di liceo aveva cercato di ambientarsi, di trovarsi dei nuovi amici, di abituarsi ai nuovi professori e alle materie sconosciute, cercando sempre di dare il massimo, per questo era già infinitamente esausta.
Ancora uno sbuffo, si guardò intorno per vedere se c’era qualcuno nei paraggi, e poi lentamente si alzò sulle punte dei piedi e con due dita strappò via quel numero di telefono.
Nel preciso momento in cui se lo nascose in tasca si vergognò come una ladra, e si sentì tremendamente in colpa verso la sua famiglia.
La campanella suonò puntualmente e la baraonda di studenti si riversò in una manciata di minuti dentro le rispettive classi. Tra questi c’era anche Rebecca Kaulitz, o detta anche Becca, che a passo lento e incerto si dirigeva verso la sua classe nelle sue Converse rosso fuoco.
 
 
 
- Allora come è andata oggi? - chiese Bill tutto raggiante mettendo in moto l’auto
- Normale - disse piatta la ragazza guardando fuori dal finestrino.
Il moro inarcò un sopracciglio guardando perplesso la sorella in fase emo-dark-rock-punk
tutt’insieme appassionatamente e contemporaneamente, afflitta da un qualche problema esistenziale. Sorrise continuando a fissare la strada, ripensando nostalgico a quando aveva la sua età.
Una volta che la macchina fu parcheggiata, Tom vide dalla finestra della cucina due identiche teste corvine incamminarsi nel vialetto di casa con lo stesso passo e la stessa andatura.
Ora poteva buttare la pasta nella pentola.
- Ciao - disse dalla cucina ai due che entravano
Ma come risposta ottenne solo Bill che posava le chiavi e Becca che corse spedita in camera sua, al piano di sopra.
- Ho fatto la pasta - continuò rivolto al fratello
- Bene, devo apparecchiare? - chiese il moro affacciandosi in cucina
- No, ho già fatto io.. Ah, papà e ha detto che non viene..-
- Ovviamente.. - commentò sarcastico Bill.
- Becca non parla ancora? - chiese andando al sodo Tom.
- No. Ma lo sai come è fatta.. La bellezza l’ha ripresa da me, ma il caratteraccio è tutto il tuo.. - disse Bill agitando una mano in faccio al fratello.
 
 
Becca al piano di sopra era seduta sul suo letto, mentre si rigirava tra le mani quel pezzo di carta ormai stropicciato.
Lo guardava tentata di alzare il telefono e togliersi subito quel peso dallo stomaco.
Tom la fissava dall’uscio della porta ammaliato, non potendo fare a meno di notare di quanto fosse cresciuta, e di come stesse diventando sempre più bella.
Da un paio di settimane era sempre così assorta nei suoi pensieri, lo sguardo crucciato ed era così silenziosa. Bill aveva ragione, avevano lo stesso carattere riservato e introverso, e Tom forse non era di certo una persona loquace e con la quale parlare liberamente, ma non si erano mai nascosti nulla. Non direttamente almeno.
Il tacito accordo tra i due gemelli era questo: Bill e Becca andavano d’amore e d’accordo, mai una lite o una discussione, e la ragazza raccontava qualsiasi cosa a suo fratello; il quale, in base all’importanza o alla gravità della suddetta cosa, la riportava a fedelmente a Tom, il quale, in questo modo, sapeva tutto ciò che capitasse a Becca; questo perchè lui con la sorella aveva un rapporto burrascoso e complicato, era geloso, possessivo, ma si sarebbe fatto ammazzare per lei.
- E’ pronto.. - comunicò atono Tom destandosi dai suoi pensieri.
La ragazza annuì con il capo sospirando, e si alzò dal letto, seguendo i passi felpati e grandi del suo fratellone.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO

 







Al giorno d'oggi esistono due tipi di criminali:
quelli che non hanno una famiglia,
e quelli che, per loro sfortuna, ne hanno una.
Daniel Pennac.



 
 
 
- Lascio qualcosa da riscaldare per papà? – si preoccupò Bill sparecchiando la tavola.
- Ma no, di certo avrà mangiato qualcosa al lavoro - rispose prontamente Tom mentre si allontanava.
- La prossima volta digli di avvisare però, io non sono mica la cameriera! – borbottò.
- Va bene.. Allora io me ne vado.. – annunciò il fratello dando un’occhiata dubbiosa al fratello.
- Quando pensi di tornare? - domandò bloccandolo con un piede oltre la porta.
- Mmm.. Fammici pensare.. Quando mi va? - rispose prendendosi gioco di lui.
- Non te andrai mica in giro con quei trogloditi dei tuoi amici?! – obiettò contrariato il moro.
- Mi fai la stessa domanda da anni ogni santissimo giorno - replicò esasperato Tom prendendo le chiavi di casa e uscendo.
Così Bill prese ad aggirarsi annoiato per la cucina, sistemando all’occorrenza le ultime cose fuori posto.
Da solo, come sempre, dato che tutti si erano dileguati.
Infine si trovò a rimirare soddisfatto il suo operato.
Era davvero orgoglioso della cucina che aveva scelto.
Tre anni prima, decisero tutti insieme di ristrutturare e modernizzare la loro casa, e Bill scelse praticamente la mobilia dell’intero appartamento, tra cui anche quella splendida cucina.
Con il consenso di Becca e Tom, ed i soldi di loro padre, che, a momenti non si accorse neanche dei cambiamenti.
Ovviamente lui era l’unico ad aver preso decisioni in merito, in quanto sembrò essere anche l’unico ad avere un briciolo di gusto nella loro famiglia.
Passando davanti alle finestre poi, vide Tom immettersi sulla strada velocemente.
Di sicuro stava raggiungendo i suoi amici.
E lui odiava i suoi amici.
Non riusciva proprio a capacitarsi di come faceva ad andarci d’accordo e considerarli “fratelli acquisiti“, come li chiamava lui.
Con quella banda di delinquenti non c’entrava proprio niente, lui era troppo intelligente e maturo per rischiare la vita dietro a quei disperati nullafacenti.
I due gemelli si erano diplomati con ottimi voti e, Tom contemporaneamente, aveva conseguito anche il diploma in chitarra al conservatorio.
Lavorava alla scuola di musica del padre ed era un insegnante eccellente, nonostante i suoi miseri vent’ anni.
Dare lezioni era stato più che altro un salvagente, uno stratagemma del padre per tenerlo lontano dalla strada e dai guai; un tentativo più che altro vano. 
Invece, quei bastardi senza gloria erano per la maggior parte figli di ubriaconi, tossici, o di qualche santo operaio che per una vita si è spaccato la schiena in fabbrica, e come risultato si è ritrovato ucciso dal suo stesso lavoro.
Tom ed i suoi amici appartenevano a due realtà opposte, inconciliabili.
E per Bill era impossibile comprendere perché l’altro aveva deciso di mischiarsi con loro.
Perché questa era la realtà a Hellersdorf, potevi trovare il benestante e il disoccupato vivere uno accanto all’altro.
Di certo quella banda di malviventi lo avrebbe condotto alla rovina.
Ma Tom, di cambiare giro proprio non ne voleva sapere, li conosceva da una vita, erano cresciuti insieme, e sosteneva che lui era troppo prevenuto, e se li avesse conosciuti avrebbe di certo cambiato idea.
Ma di conoscere quei rifiuti sociali il moro non ne aveva nessuna intenzione, anzi, li odiava profondamente perché avevano traviato la testa al suo gemello, lo avevano plasmato, cambiato.
Delle volte gli sembrava di non riconoscerlo più, e questa cosa portava il moro a disprezzarli ancora di più.
Senza contare tutte lo volte che lo prendevano in giro, ed era vittima dei loro dispetti maligni.
Ma il fratello non si era mai schierato da nessuna delle due parti, cercando di abbozzare sempre.
Sospirò, scrollando la testa rassegnato.
Tom ormai era diventato uno di loro, era sceso a vivere nella merda, con loro.
Uno dei bassifondi, un criminale, così lo si poteva bellamente definire.
Bill salì al piano di sopra per farsi un bel bagno caldo, prima di tornare a studiare, e distratto dai suoi mille pensieri passò davanti alla porta socchiusa della camera di Becca, che stava parlando al telefono.
 
 
 
 
 
 
 

-Pr-Pronto? - domandò incerta la ragazza.
- Si.. Pronto? - una voce allegra e squillante rispose.
- Ehm-Ciao.. Mi chiamo Rebecca e ho trovato il tuo numero sulla bacheca a scuola.. -
- Per le ripetizioni, intendi? -
- Si.. Avrei bisogno di qualche ora in aritmetica.. - spiegò lei mortificata per la vergogna.
- A che anno sei? – domandò l’altra andando subito al sodo.
- Al primo -
- Bene! Incontriamoci domani a scuola allora, così possiamo parlarne meglio -
- Si, si va bene! - rispose Becca accennando un sorriso e muovendo nervosamente un piede contro la sedia. Si rilassò un po’ ascoltando quella voce simpatica e sorridente.
- Perché non ci vediamo al bar davanti scuola, così ci mettiamo d’accordo.. - propose sicura la voce dall’altra parte del telefono, di certo non era la prima volta che lo faceva.
E la sicurezza della ragazza placò di non poco quello della giovane. 
- Facciamo verso le otto? - rilanciò audace Becca.
Così chiuse la comunicazione sentendo che il macigno che gravava sul suo stomaco si era alleggerito.
Aveva combinato un gran pasticcio, e cercare di parare al suo errore la faceva sentire meno incolpa.
Così aprì la sua tracolla e tirò fuori i libri per iniziare i compiti.
Accese il suo fedele I-Pod e mise gli auricolari a tutto volume, immergendosi nello studio.
Dopo qualche ora Bill a stento riuscì a farsi sentire dalla sorella.
- Ma come fai a studiare con quelle cose alle orecchie?! – squittì arpionandosi le braccia ai fianchi.
- Mi concentro meglio.. - fu la sua semplice risposta.
- Senti, io sto uscendo.. - 
- Io No - commentò sarcasticamente Becca scarabocchiando qualcosa.
- Certo che no – iniziò a parlare assottigliando gli occhi - tu sei troppo piccola e poi avrai il permesso di uscire solo quando avrai compiuto trentacinque anni! - urlò severo mentre stava già scendendo le scale.
- Presto diventeranno quarantasette.. - commentò mesta una volta rimasta sola.
 
 
 
 
 
 
 
 
- Oggi non ci sei andato a lavoro? - chiese Georg stravaccandosi esausto sulla poltrona.
- Oggi è lunedì.. Quante volte devo dirti che il lunedì è il mio giorno libero? - scoppiò a ridere Tom incredulo dall’altra poltrona, mentre si stava gustando una birra gelata.
- Hai ragione amico.. Ma che ne so? A me tutti i giorni sembrano uguali - sbadigliò
- Hai fatto tardi sta notte? -
- Abbiamo fatto il solito giro.. poi ci siamo fermati a bere da Gustav.. Tu piuttosto non ti sei fatto vedere per niente - ammiccò stiracchiandosi.
- Avevo da fare… - se la rise imbarazzato Tom.
- Si certo certo.. Sai a cosa ho fatto caso ultimamente? -
- A cosa? – ribatté vago, sapendo già dove il suo amico voleva andare a parare.
- Ci sono dei giorni, delle sere, soprattutto.. in cui sparisci, ti smaterializzi all’improvviso! A casa non ci sei, il telefono spento.. E la stessa cosa capita a Anja, pensa un po’? - chiese fintamente stupito l’amico.
L’altro dal canto suo avvampò, diventando rosso come un peperone, non voleva che i fatti suoi diventassero chiacchiere da bar.
- Ci divertiamo un po’. Ogni tanto. - commentò appena, portandosi la birra alle labbra.
- E chi ti dice niente.. Anja ci campa di rendita con quel bel culo che si ritrova, e nonostante questo non è una che la da facilmente.. –
- Qui si parla di altri livelli - concluse spavaldo Tom.  
- Come no! – sghignazzò Georg, il messaggio era chiaro. Discorso chiuso.
- E come è andata? - chiese il ragazzo torturando l’etichetta appiccicata alla bottiglia, riferendosi al giro che si erano fatti.
- Sinceramente? Una merda - ammise serio.
Tom guardava il suo migliore amico Georg, che gli parlava con gli occhi chiusi cercando di riposare un poco. Lui era il capo della banda, Georg lo era sempre stato e nessuno lo avrebbe potuto fare meglio di lui.
Era calmo, equilibrato, una persona corretta, assolutamente imparziale, riservata e degna della massima fiducia.
Tutte la bande di Berlino e della periferia lo conoscevano e lo rispettavano, nessuno avrebbe mai osato sfidare Rot, il rosso.
- Come mai? Riguarda noi? -
- No, non è roba nostra.. Ma ho paura che i problemi arrivino anche qui.. – disse sgranchendosi le gambe.
- E cosa hai intenzione di fare? -
- Se i problemi continuano, vorrei andare a parlare con Oliver, e stabilire fin da subito che noi ci chiamiamo fuori dal bordello che sta succedendo.. Tu che ne dici? - chiese aprendo un occhio per guardarlo.
- Credo che dovresti farlo subito.. Il problema già c’è. - fissò Georg che sospirava.
Non si fidava di Oliver Meier.
E gli stava anche piuttosto sul cazzo.
In effetti era un tipo mentalmente instabile, come tutti i cocainomani d’altronde.
Sempre sballato con nulla perdere, una vera e propria bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
- Sai quanto è suscettibile e tossico - scoppiò a ridere Tom - se si sente preso in giro non ci darà tregua.. Portagli qualche grammo di bianca e una bella birra, vai in pace - scoppiarono a ridere tutti e due fino alle lacrime.
- Sei proprio un coglione - disse l’amico riprendendosi.
- Chi? Io? - chiese indicandosi.
- Si, tu.. Perché non vieni con me? - gli offrì Georg tornando serio all’improvviso.
Tom sapeva benissimo che quando il capo ti fa una domanda, la risposta è sempre si, in qualsiasi circostanza.
Ma lui non lo faceva per il suo capo, ma bensì per il suo amico.
Questa era la sola cosa che lo legava alla banda.
Non erano i soldi, perché quelli di certo non gli mancavano.
Non era neanche per la droga, per lui quella era solo merda.
Non era per il rispetto o per il potere.
Era solamente per i suoi amici.
Georg guardò orgoglioso il compagno mentre annuiva, e si sentì subito sollevato per questo.
Il ragazzo stimava Tom, gli volle bene come un fratello da subito, fin dalle elementari.
Era schietto e sincero, una persona concreta e fedele per gli amici, viveva tutto con un certo distacco che gli permetteva di fare sempre la cosa giusta, o quanto meno evitare quella sbagliata.
Era responsabile e contro ogni aspettativa non si cacciava mai nei guai, non poteva permettersi di farlo, lui aveva un fratello gemello senza il quale impazzirebbe, e doveva prendersi cura della sorella più piccola e di suo padre.
Aveva un buon lavoro e di sicuro la scuola di musica sarebbe passata a lui.
No, Tom non era come tutti loro, e questo lui lo sapeva.
Lui ce l’avrebbe fatta, non sarebbe rimasto in quella fogna per tutta la vita come loro.
Per questo non si era lasciato coinvolgere completamente dalla banda, e sempre per questo Georg stesso gli impediva di farlo. 
- Quando ci andiamo? - chiese infine quello.
- Boh.. Stasera? O hai da fare? - lo guardò sornione il rosso aprendo definitivamente gli occhi arrossati dalla stanchezza.
- Naaaa… sta sera va più che bene! - disse scoppiando a ridere.
- Aspetta un secondo.. Pronto? - Tom bloccò il suo discorso con Georg per rispondere al cellulare che gli squillò in tasca.
- E’ Gustav.. Dice che lo dobbiamo raggiungere assolutamente al pub! -
Così i due scattarono in piedi, l’ora del cazzeggio era finita.
Nel momento in cui si guardarono negli occhi cessarono di essere due ragazzi di venti anni che si sfottono a vicenda, e divennero i pezzi grossi della strada, e senza fare domande o aggiungere altro, si diressero verso l’uscita della casa.
 
 

Il pub di Gustav si trovava ad una decina di chilometri dalla casa, lontano quel che basta dalla zona residenziale.
Quello era il loro ritrovo preferito, chiunque avesse bisogno della banda, la poteva trovare li.
E non erano pochi quelli che preferivano chiedere aiuto a loro piuttosto che alla polizia o allo stato.
Non era mai una sorpresa per Gustav o il fedele personale che lavorava li, sentire persone normali, gente comune, addirittura anziani, chiedere di loro.
Era vero, Georg e la sua banda avevano aumentato di molto la criminalità e la violenza nel quartiere e nell’intera periferia, era aumentata la droga, le puttane, la violenza, ma mai in mezzo alla strada, mai con persone innocenti coinvolte, a loro piaceva agire silenziosamente, seguendo il motto del Rot, usare sempre tatto e discrezione, e se rompevano, spaccavano o combinavano casini al di fuori della loro giurisdizione, erano pronti a pagare e a chiedere scusa.
Erano gli angeli neri armati di Hellersdorf.
Quelli che le persone temevano, ma rispettavano.
Georg guidava sovrappensiero, cantando a squarciagola Otherside dei Red Hot Chili Peppers aggrappato pesantemente al volante.
Stava cercando di svegliarsi il più possibile, anche se il rossore nei suoi occhi tradiva la sua stanchezza.
Passarono davanti alla scuola superiore, la stessa dove andava Becca.
I ragazzi dell’ultimo anno stavano uscendo, era novembre e faceva un freddo cane.
Non li invidiavano proprio, non rimpiangevano affatto gli anni passati tra quelle quattro mura.
Georg rallentò in prossimità delle strisce, in piedi ad aspettare che qualcuno la facesse passare c’era una ragazza stupenda.
Tom si tirò su a sedere per guardarla meglio, come se fosse una visione.
- Segnati l’ora Tom, domani ci veniamo a fare una bella passeggiata da queste parti –
Commentò l’amico ridendo, e squadrandola dalla testa ai piedi.
Il ragazzo gli diede una rapida occhiata. Era bella davvero.
Non era molto alta, ma aveva delle gambe lunghe, un sedere da favola fasciato in un paio di jeans, fianchi morbidi, pancia piatta, capelli castani e ondulati che si scomponevano a causa del vento.
Si girò solo una volta nella loro direzione, attraversando la strada, uno sguardo frettoloso all’interno dell’abitacolo, ma niente di più.
E a Tom apparve il viso più incantevole che avesse mai incontrato.
Labbra carnose, occhi grandi e verdi, lineamenti che non appartenevano alle tipiche ragazze tedesche.
- Quella è un misto tra Jessica Alba e Scarlett Jhonsanonn.. - commentò Georg strabiliato sporgendosi verso il vetro
- Johansson.. - lo corresse Tom ridendo, ma non poteva dargli torto, quella tipa era davvero un sogno.
La vide attraversare la strada di fretta e dirigersi verso la fermata dell’autobus.
Non l’aveva mai vista in giro.
E la perse di vista nel momento esatto in cui l’auto ripartì sfrecciando sulla strada.
- Ma perché quando andavamo a scuola noi non c’erano queste fiche così? -
- C’erano Ge, solo che tu sbavavi dietro a Norah Guhne che non ti si filava per niente - scoppiò a ridere l’altro a crepapelle.
- E’ vero! - convenne il suo amico annuendo con la testa.
- Oddio che sbandata che ti eri preso - continuò a ridere Tom portandosi le mani sulle guance e arrossendo per lui.
- Si, ma.. Ti dimentichi che mi sono scopato la supplente di storia, proprio dove sei seduto tu.. – e fu Georg che rise.
Il moro sgranò gli occhi, si era totalmente dimenticato di quella storia.
E per tutto il poco tempo che ci impiegarono per raggiungere il Phantomrider elencarono le scopate più memorabili del liceo.
 
 
 
 
I due entrarono nel pub di Gustav, che li stava aspettando mentre riempiva i barili di birra.
Si salutarono affettuosamente, nonostante non si vedessero da poche ore.
- Allora? - chiese Georg al biondino.
- C’è Oliver.. Vi sta aspettando di là.. - disse Gustav indicando la sala interna.
- Merda - imprecò Tom portandosi una mano sulla sua bandana nera.
- Quel figlio di puttana ci ha fregato - ringhiò Gerog tra i denti, senza perdere la calma.
- C’è un’altra cosa - intercalò Gustav sistemandosi gli occhialini neri sul naso - L’hanno massacrato di botte –
I tre amici si guardarono negli occhi contemplandosi a vicenda.
- Abbasso la saracinesca - assicurò Gustav, e gli altri due annuirono silenziosamente.
Tom e Georg si diressero a passo sicuro verso l’area privé.
Avvicinandosi, potevano già scorgere una figura storta accovacciata sul tavolo di legno scuro.
Erano appena le cinque del pomeriggio e Oliver si stava già scolando una bottiglia di Jack Daniels intera.
Aveva il labbro lacerato, gli zigomi pesti di lividi, e il naso rotto.
E questo era solo una piccola parte di quello che poterono intravedere.
Scivolarono nei sedili davanti a lui, silenziosamente, solo il fruscio dei loro abiti lo distrasse dai suoi pensieri.
In mano aveva uno straccio con del ghiaccio dentro, che si poggiava un po’ ovunque sul volto.
- Chi è stato Oliver? - chiese dritto Georg.
- E che cazzo ne so io! - sputò dolorante.
- Vuoi dire che non li conosci? – domandò stupito anche Tom.
- Voglio dire che non li ho visti.. Mi hanno aspettato fuori casa quei bastardi! Incappucciati e coperti fino ai capelli.. Mi hanno fatto proprio una bella festa - commentò sghignazzando, probabilmente l’alcol e le botte in testa stavano facendo il loro corso.
- Quanti erano? -
- Mah.. Io ne ho visti tre, o quattro.. Cinque al massimo, stavano tutti dentro una macchina-
- Non ho mai sentito parlare di persone con il volto coperto.. - riflettè ad alta voce Tom sempre più pensieroso.
- Infatti non è gente nostra, non appartiene alle nostre bande. Vuoi o non vuoi, tra di noi ci conosciamo tutti, conosciamo i nostri territori, i nostri posti.. Non ci presentiamo a casa degli altri con la faccia nascosta come i peggiori infami.. – gracchiò il malmesso.
- E per quale motivo ti hanno pestato? –
- Hanno solo detto che stanno per cambiare molte cose – scoppiò a ridere.
Mentre i due amici si guardarono sempre più perplessi.
Oliver si tirò su, scrutandoli severamente in volto.
- Secondo me le cose sono già cambiate - disse con voce stentata ma dura.
- Cosa intendi dire? - chiese curioso Georg.
- Non si era mai visto un riccone figlio di papà dentro ad una banda.. anzi, non si era proprio mai vista una banda come la vostra – rise schernendo le loro persone – cosa predicate, la pace? Non avete neanche un ferro, un coltello.. Io sono arrivato qui indisturbato come se fossi un turista o una qualsiasi guardia – li stava chiaramente sminuendo, insinuando la loro poca credibilità.
I due ragazzi si risentirono, e non poco, da quelle illazioni.
Sprattutto perché provenivano da un verme drogato, storto dalla mattina alla sera.
- Una macchina con un mezzo morto dentro? Sai che paura.. – gli rispose altrettanto acidamente Georg, che sorvolò, in ogni caso, sulle provocazioni dell’altro.
- Comunque qualcuno sta cercando di farvi le scarpe, anzi.. – sghignazzò l’altro bevendo ancora.
- Senti, lo so che le botte in testa fanno male.. ma non ho tutto il pomeriggio – lo incalzò spazientito il rosso.
- Pensaci bene Listing! Se io non sono, tu non sei, e neanche gli altri due.. - non terminò la frase lasciando che i due ci arrivassero da soli.
- Vuoi dire che…?- chiese incerto Tom.
- Si Tom.. E’ l’unica soluzione per spiegare quello che sta succedendo ultimamente -
Georg appoggiò le spalle contro la parete, dentro i suoi occhi di ghiaccio si stava scatenando l’inferno.
Poi lentamente portò tutte e due le braccia sul tavolo, distendendole completamente, facendo scorrere il ruvido legno sotto i suoi palmi sudati.
- Io e Tom stavamo venendo da te quando Gustav ci ha chiamati. Volevo darti la mia parola che la mia banda non c’entrava niente con questa storia, ma adesso il discroso è cambiatp - proferì il ragazzo scuotendo la lunga chioma rossa.
- Cioè? - chiese Oliver passandosi ancora il ghiaccio sul labbro
- Non dobbiamo permettere che ci mettano gli uni contro gli altri, altrimenti è la fine. Inizierebbe una guerra inutile, un massacro - sentenziò come se stesse pronunciando una condanna a morte.
- Perché tipo.. Mmmh.. Sabato, non ci incontriamo qui io e te, Elias e Svetlan.. Così ci facciamo una bella chiacchierata, eh?! - Oliver si guardava i due ragazzi con gli occhi già calati da qualche pasta che si era preso.
In realtà Georg non si fidava di lasciare in mano questa situazione a lui, non gli andava a genio che un povero tossico gestisse questa cosa, anche se aveva molto potere, era troppo importante per tutti quanti.
Così, sorridendo e convenendo con lui, prese la bottiglia di Jack, e gli riempì il bicchiere, ed anche Tom iniziò a sghignazzare abbassando il volto.
- Perché non ti fai un altro bicchiere, così quel labbro spaccato smette di farti male -
- Grazie Listing.. E’ proprio quello che mi ci vuole! - e bevve di gusto.
- Come sei arrivato fino a qui?- gli chiese Tom cercando di ricomporsi.
- C’è un mio ragazzo fuori al parcheggio che mi aspetta.. -
- Perché non te ne vai a casa a farti una bella dormita, a sentire gli altri ci penso io.. - si propose modestamente Georg, versandogli altro wishky.
- Hai proprio ragione.. Devo assolutamente dormire.. - così dicendo si alzò barcollando, seguito dai due ragazzi che non poterono non notare la sua andatura zoppa.
Fecero per allontanarsi dal tavolo ma Oliver tornò indietro e afferrò a stento la boccia di vetro.
- A quest’ora ci sarà un traffico infernale per tornare dalle mie parti! - ridendo agitò la bottiglia in faccia ai due, e sparì da sotto la saracinesca.
 
 
- Allora? - chiese Gustav vedendo i suoi amici fare ritorno.
- Eh amico, un bel casino..- sospirò Georg sentendo una macchina andare via
- Bello quanto? - chiese ridendo mentre svuotava la lavapiatti.
- Stai attendo a chi entra qui Gu.. Ci sarà sempre un tavolo con qualcuno dei nostri, ogni sera, fino a che le acque non si saranno calmate, e se vedi qualche faccia nuova diccelo.. - si raccomandò vivamente il piastrato.
Non solo perché potevano rappresentare un pericolo, ma perché potevano fare del male a Gustav, che era uno di loro, quel posto faceva parte di loro, era un amico proprio come Tom; si conoscevano da più di dieci anni ed erano inseparabili.
Georg non aveva fratelli e ne famiglia, ma aveva loro due.
- Siamo a questi livelli già? - chiese il biondino per niente spaventato.
- No, ma vorrei non doverci arrivare.. - concluse Georg posando trenta euro sul bancone.
Il padrone del pub lo guardò con aria interrogativa.
- Oliver ti si è portato via il Jack..- gli confessò Tom ridendo.
- Ma quella bottiglia era una delle migliori! - si lamentò.
Allora Tom batté sopra le trenta euro altri due pezzi da dieci.
- Va bene cosi? - chiese sbuffando ancora a ridere.
- E’ già meglio, grazie.. - se la rise anche Gustav salutandoli.
Loro pagavano sempre i conti, anche dei nemici.
I veri uomini fanno così.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Due ***






Note iniziali:
Bene... da qui iniziano a capirsi un po' di più alcune dinamiche e, parte della storia, della famiglia Kaulitz. 
Vengono pian piano inseriti anche nuovi e determinanti personaggi, quindi non prendete niente sottogamba :D
Che altro dire?
Ah, si.
Mi raccomando commentante... a me fa piacere sapere cosa ne pensate, cosa vi piace oppure no,  e parlare con voi! 
Anche perché non aggiorno più! ù.ù
:P
Bacio











SECONDO CAPITOLO


 




 

E' cosi difficile dimenticare il dolore, ma è ancora più difficile ricordare la dolcezza.
Non abbiamo cicatrici per mostrare la felicità.
Impariamo cosi poco dalla pace.

C. Palahniuk











 
- Posso sapere perché diamine non te ne vai al tuo bagno? – chiese Bill isterico a suo fratello, che se ne stava bello e beato davanti allo specchio.
- Perché il tuo specchio è più grande - rispose atono quello, fissando la sua immagine riflessa e sistemandosi i suoi lunghi cornrows sulle spalle.
- Sono identici. - lo fulminò Bill con le braccia conserte.
- Allora non lo so - scrollò così le spalle lasciando il posto a suo fratello.
Il moro si piazzò al centro bagno, proprio dove poco prima c’era Tom.
Con estrema minuzia si tolse con la punta del dito un filo di polvere nera, che doveva essergli sfuggita mentre si stendeva l’ombretto.
Si lavò le mani, e scese a fare colazione.
- Buongiorno!- esclamò Gordon entrando in cucina.
- Buongiorno papà- gli rispose Becca posando la borsa sul tavolo.
- Non fai colazione? - le chiese l’uomo addentando una brioche.
- No… la faccio più tardi - rispose vaga.
- Che vuol dire che la fai più tardi? - chiese a bocca aperta lasciando intravedere la poltiglia che stava, poco delicatamente, masticando.
In quel momento entrò Tom passando davanti a suo padre, afferrando anche lui un cornetto ancora caldo del microonde.
Lo divorò in due bocconi, che ingurgitò insieme in bocca.
- Sai che potresti strozzarti facendo così? - chiese perplessa Becca.
- Ho fame - di giustificò il ragazzo che ancora masticava, allargando le braccia - Tu no? -
- Lei fa colazione più tardi.. - ammiccò suo padre al ragazzo dandogli strane occhiate.
- Ah beh.. - concluse Tom non avendoci comunque capito niente.
- Allora io vado.. Ci vediamo dopo! –
Becca fece per uscire di casa quando Bill la chiamò da in cima alle scale.
- Becca, ma non vieni con me? -
- No Bill.. Preferisco prendere l’auto sta mattina. – rispose vaga.
- Va bene.. – si limitò a dire prima di sparire.
- Tu sei pronto ad andare? - chiese Gordon al figlio.
- Si –
Così due si diressero verso l’auto dell’uomo per andare a lavoro.
Ci andavano insieme, con una sola auto, in fin dei conti lavoravano nello stesso edificio.
Al ragazzo piaceva passare del tempo con suo padre, e di certo non era uno di quelli  che si vergognavano del loro vecchio, e lo deridevano insieme agli amici.
Lui ne andava fiero, e si vantava di avere un genitore in gamba come il suo, ed in cuor suo sperava di somigliarli almeno un poco.
E’ grazie a lui che Tom coltivò la passione per la musica, per la chitarra.
E gli aveva trasmesso anche l’abilità di sapersi destreggiare bene con qualsiasi tipo di strumento.
Gordon anche amava profondamente la musica, amava ascoltarla, cantarla, parlarne, e soprattutto amava insegnarla, ecco perché aprì la sua scuola.
La Kaulitz’s Accademy.
Inizialmente il suo era un progetto semplice e essenziale, nessuna pretesa ardita.
Un paio di aule insonorizzate, qualche amplificatore ed il gioco era fatto.
Solo che l’uomo non aveva fatto i conti con la sua bravura e con la sua modestia, e ben presto si rese conto di doversi ingrandire.
Così, in vent’anni la sua piccola scuola di cento metri quadri, si trasformò in una vera e propria accademia di musica, nella quale non poteva più presentarsi con jeans strappati e maglia dei Led Zeppelin, ma rigorosamente in giacca e cravatta.
La scuola era situata su quattro piani, un edificio imponente e colorato.
Tom ammirava immensamente Gordon; perché aveva realizzato il suo sogno, e non aveva smesso di essere il rockettaro sognatore che era da giovane.
Infatti aveva mantenuto il suo gruppo con cui suonava fin da quando era giovane, qualche sera usciva, si ubriacava, ed usciva anche con qualche donna, perché no.
In fin dei conti la loro madre li aveva abbandonati da anni ormai, e lui ne aveva sofferto fin troppo.
Ma Simone non lo aveva lasciato solo, ma bensì con tre figli piccoli, senza i quali si sarebbe certamente suicidato.
Infatti, crebbero tutti come quattro fratelli, piuttosto che come genitore e figli.
E forse era proprio per questo che avevano un rapporto davvero speciale.
Era difficile ormai stabilire i ruoli all’interno della loro famiglia.
 
 
 
 

Quando Bill scese le scale di casa in fretta e in furia si rese conto che gli altri se n’erano belli che andati.
Così prese la sua tazza di caffè, freddo ormai, e bevendola se la portò in auto.
Quella ormai era diventata un abitudine per lui, bere caffè mentre guidava, e gli piaceva.
Certo, non erano mancate volte in cui le persone nel traffico, o al semaforo, le persone nelle auto accanto alla sua lo guardavano incuriositi, ma lui era fatto così. 
Si diresse verso lo studio d’arte presso il quale lavorava, e stava conseguendo il suo  apprendistato.
Era un’artista, dipingeva stupendamente, riusciva a catturare con l’occhio le immagini, o semplicemente quello che aveva in mente, e riusciva a dipingere in maniera sublime. Dopo il diploma all’istituto d’arte, Gordon lo incoraggiò a coltivare in maniera più produttiva questo suo talento. Tant’è che l’uomo smosse molte delle sue conoscenze per riuscire a far entrare suo figlio alla scuola d’arte di Berlino.
Il moro accettò l’aiuto di suo padre, consapevoli entrambi del fatto che se entrare fosse difficile, restare era pressoché impossibile.
E in questo caso Bill tirò fuori tutta la sua passione ed il suo talento.
Non demorse mai, e si che di difficoltà e di professori ostili ne aveva incontrati, ma lui si fece sempre forte dietro alla sua indiscussa bravura, e tutti si piegavano di fronte alle sue estrose opere d’arti.
Adesso aveva anche trovato questo lavoro, che si, lo stava impegnando parecchio, ma stava imparando molto.
Canticchiando scese dalla macchina, guardò l’ora e sorrise soddisfatto per essere perfettamente in orario.
Non appena svoltò l’angolo capì subito che c’era qualcosa che non andava: la porta dello studio era semiaperta, le luci spente, e la vetrina ancora da accendere.
Avvicinandosi lentamente, come prima cosa pensò che la sera prima, uscendo di fretta si era dimenticato di chiudere bene ed avevano saccheggiato il negozio. Un brivido di terrore scosse il suo cuore, e poi realizzò che il giorno prima il negozio era chiuso per riposo settimanale, e quindi si tranquillizzò.
Fece capolino con la testa, mentre con la mano prese immediatamente il cellulare, e lanciando una rapida occhiata all’interno capì che non c’erano i ladri.
Ma la sua datrice di lavoro in piena crisi di pianto.
Il che era molto peggio.
 
 
 



 
Becca quella mattina rifiutò il passaggio da suo fratello, e prese l’auto con i suoi compagni di classe.
Ci andava tendenzialmente d’accordo, ma sapeva di essere troppo timida e strana, quindi non li lasciava avvicinare molto, anche se suscitava in loro un certo interesse.
Appena si trovò davanti alla porta del bar, trasse un lungo sospiro ed entrò.
Si guardò intorno con aria interrogativa e preoccupata, c’erano molti ragazzi più grandi, compagni di classe, ragazzi, ragazze e amici, che si salutavano e si abbracciano come se si conoscessero da secoli.
Osservandoli la ragazza si chiese se anche lei, con il passare di quegli anni, si sarebbe legata a quegli sconosciuti che aveva in classe, o se sarebbero diventati amici.
Erano piccoli gruppi di persone che ridevano o rileggevano qualcosa su un libro insieme, e pensò anche che forse anche per lei era giunto il momento di farsi un’amica.
Si avvicinò al bancone, scrutò bene ogni singola persona che gli capitasse davanti, quando qualcuno le posò una mano sulla spalla.





Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


CAPITOLO TRE
 

 



L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie male.
Se gli viene tolta questa possibilità egli non è più un umano, 

ma un'arancia meccanica.
Stanley Kubrick



 

 

- Ciao!- una ragazza carina e sorridente gli si parò davanti.
- Ciao - rispose con un sorriso imbarazzato.
- Sei Rebecca? -
- Si,si.. sono io, ma puoi chiamarmi Becca - puntualizzò arrossendo.
- Bene! E io sono Elisabeth, ma puoi chiamarmi Lis - la ragazza sorrise stringendo calorosamente la mano a Becca.
La quale se la squadrò dalla testa ai piedi.
Lis era davvero una bella ragazza, molto solare, le sembrò da subito una ragazza normale, o comunque a pelle non gli stava antipatica, e questo la fece tranquillizzare un poco di più.
- Hai fatto colazione? – chiese la maggiore girandosi verso il bancone.
- No -
- Ordiniamo qualcosa allora? Ho le prime due ore di filosofia.. E non posso proprio reggerle a stomaco vuoto.. – commentò Lis.
- Va bene - annuì l’altra sorridendo.
Si misero sedute ad un tavolino che si liberò proprio in quel momento, ordinarono cappuccino e cornetto e iniziarono a conversare. Becca tirò fuori il libro per mostrare alla ragazza quali argomenti avessero già fatto, le disse il nome del professore, e parlando capì subito che la persona a cui si era rivolta avrebbe potuto davvero aiutarla.
E forse sarà stato il suo modo di parlare, di sorridere o scherzare, che smise di sentirsi in imbarazzo e iniziò ad entrare di più nella conversazione.
- Ok, allora ci vediamo mercoledì! - la salutò Lis prima di salire le scale.
- Perfetto.. Ti ricordi l’indirizzo? - le chiese con premura Becca.
- Certo! E se non mi vedi arrivare hai sempre il mio numero.. - la ragazza sorrise e le strizzò l’occhio.
Becca si sentiva quasi felice, e il senso di colpa era sparito, forse avrebbe anche confessato il piccolo segreto che si portava dietro dall’ultima pagella.
 
 
 
 
 
 
 
- Ehm.. Melanie? - Bill cercò di attirare l’attenzione della donna, che si era seduta ai piedi del divanetto  accanto all’entrata.
Quella in tutta risposta emise un mugolio soffocato da un singhiozzo, stava piangendo disperatamente.
I capelli arruffati, il trucco sciolto.
- O Signore! - esclamò vedendo la faccia sconvolta della sua superiore.
Mollò a terra borsa, giacca e quant’altro e si precipitò a chiudere la porta dello studio dall’interno.
Abbassò di corsa le tendine, isolandosi dal resto del mondo, per poi tornare da Melanie che frignava affranta.
Il suo capo era una donna di cinquant’anni egregiamente portati e agevolati da un paio di punturine di botox, bionda, svampita e con una barca di soldi.
Per lei la giornata non poteva definirsi avviata fino a quando non beveva il suo Martini mattutino, e ultimamente di Martini se ne scolava almeno cinque, prima di pranzo.
Ed era spudoratamente in crisi con il suo terzo marito.
- Oh Bill.. Non hai idea di cosa ho scoperto.. - disse drammaticamente portandosi una mano al petto.
Il moro inarcò entrambi i sopraccigli prevedendo che quella sarebbe stata una giornata, molto, molto lunga. Così prese risolutivo la scorta di vodka che la donna teneva nascosta tra i libri di arte barocca, gliela porse e si sedette accanto a lei sospirando, pronto a farsi lessare i timpani da quella voce stridula.
- Quindi.. tu pensi che abbia un’altra..? - chiese annoiato a morte dentro uno sbadiglio, dopo aver ascoltato per ben due ore le lamentele e gli scleri della donna.
- Certo che lo penso.. Ecco perché ho chiamato un investigatore privato - disse sorridendo furbescamente
- E cosa ci devi fare? – disse il ragazzo risvegliandosi completamente.
- Tesoro.. Prima di sposarci quel verme mi ha fatto firmare un contratto prematrimoniale. E se fornisco le prove che lui mi tradisce.. Mi becco tutto io!- disse ondeggiando le spalle in segno di una quasi certa vittoria.
- Come?! - sobbalzò il ragazzo sul divano di pelle beige.
- Ma si.. In fin dei conti non voglio molto, ma almeno posso riprendermi questa meravigliosa perla – confessò avidamente, riferendosi allo studio.
- Pensavo che fosse intestato a te? - chiese turbato da mille pensieri che si stavano addensando nella sua mente.
- Lo è infatti, solo che quando ci siamo sposati ho dovuto condividere la società con lui, sai.. per via delle spese del mio primo divorzio - disse scacciando via il pensiero agitando una mano per aria e bevendo ancora.
Un idea lampo squarciò la mente del giovane, non poteva permettersi di perdere in qualche modo il suo lavoro, gli serviva, e gli permetteva di guadagnare e studiare contemporaneamente.
Così scivolo dal divano fino a sedersi a terra accanto alla donna:
- Sai Melanie, quello che ti sta facendo quell’uomo è davvero orribile! -
- Dici sul serio? -
- Certo! Una donna affascinante e potente come te, guarda come ti ha ridotta! - incalzò ancora di più Bill
- Hai ragione. Ma io non sono forte come sembro..- disse laconica la bionda.
- La sai una cosa? Ti aiuto io a incastrare quel verme! - asserì con convinzione lui.
- Come? - chiese incredula.
- Ti aiuto io a trovare le prove che tuo marito ti tradisce! E tu riavrai il tuo studio, ed i tuoi alimenti! - una piccola fiamma di perfidia e di pura ambizione bruciò negli occhi ambrati del ragazzo.
La stessa che di colpo riaccese anche gli occhi della donna, riportandoli ad un magnifico blu cobalto.
- Bene.. - sentenziò soddisfatta lei ricompiendosi.
- Perché non te ne vai a casa, a farti una doccia e a metterti quello splendido tailleur bianco di Gucci, che ti sta così bene e poi torni qui.. A pranzo hai un appuntamento ricordi? - la invitò Bill sorridendo e aiutandola ad alzarsi.
- Si, credo che farò proprio così.. - disse la donna pregustandosi già la sua vendetta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tom si era appena fatto la doccia, e si stava vestendo in camera sua quando Bill entrò di soppiatto e con una faccia strana.
- Che c’è? - gli chiese sentendosi osservato mentre si stava infilando i pantaloni.
- Ma come fanno a starti su quei cosi senza una cinta? - chiese guardando i Jeans XXXL del fratello
- Li tengo su con il pisello - rispose quello a bruciapelo ridendo.
- Ma quanto sei cretino – commento l’altro portandosi una mano alla fronte, e trattenendosi dal ridere a quella battuta demenziale.
- Me l’hai chiesto tu! - replicò Tom con un sorriso, cercando una felpa nell’armadio.
- Tom ascolta.. Ho bisogno di un favore.. Grande.. - aggiunse incerto.
- Che tipo di favore? - chiese già in apprensione.
Tom sapeva benissimo che Bill non condivideva affatto le sue amicizie, e la banda di cui faceva parte, e che ad ogni occasione lo criticava, ma era l’unico di cui si fidasse, e il fratello spesso lo aveva coperto senza mai chiedergli nulla in cambio.
Per precisare le cose, Bill non chiedeva mai niente a nessuno, sia perché era arrogantemente orgoglioso, sia perché sapeva ottenere benissimo quello che voleva anche da solo.
Ecco perché in quel momento era stupito e allo stesso preoccupato del fatto che suo fratello stava chiedendo il suo aiuto.
- Ecco.. E’ una cosa un po’ delicata.. – tentennò non sapendo da dove cominciare.
- Ti servono dei soldi? - chiese serio Tom.
- No, No.. Non mi servono.. Cioè si, quelli sempre! E comunque me li prendo lo stesso - rise nervosamente - so che li tieni dentro la custodia della chitarra e quando mi servono li prendo- disse senza prendere fiato ammettendo un po’ troppi particolari.
- Già.. Lo so che ci mettete tutti le mani.. - disse impassibile Tom, aspettando che suo fratello svuotasse il sacco.
Sapeva che tutti sapessero dove teneva “nascosti” i soldi, e sapeva anche che sovente  li prendevano tutti, suo padre compreso quando era a corto di liquidi e non aveva il tempo di passare al bancomat.
Li lasciava li apposta.
- Okay.. Arrivo al dunque.. – si schiarì la voce mentre sedeva sul letto del fratello - Oggi ho fatto una cosa terribile.. - disse con una faccia da cane bastonato.
- Bill, mi stai facendo sudare.. Ti prego, dimmi quello che hai combinato - lo supplicò mettendosi seduto accanto a lui.
- Ho bisogno che tu mi trovi delle prove, delle prove che dimostrano che il marito di Melanie la tradisce.. - disse serio e tutto d’un fiato.
- Melanie?! - chiese stordito Tom.
- Si, proprio lei. -
- Delle prove che il marito la tradisce.. – fece mente locale l’altro.
- Esatto.. Delle prove inoppugnabili, legalmente incontrovertibili - precisò enfatico Bill.
- Che non possono essere negate - aggiunse il fratello iniziando a capirci qualcosa.
- Delle foto sarebbero perfette - disse il gemello in un sorrisetto perfido.
I due si scrutarono in viso per qualche secondo, i loro occhi dissero cose che le loro bocche non avrebbero mai pronunciato. Tra di loro è sempre stato così.
- Sai che.. - fece per dire, ma il moro lo interruppe .
- Non mi importa come ti procurerai quelle foto.. - gli sorrise dolcemente.
- Appena possibile avrai quello che mi hai chiesto- Tom ricambiò il sorriso sciogliendosi sotto la carezza che gli donò il fratello, appena prima di uscire.
- Se vuoi… - fece per dire bloccandolo sulla porta.
- No Tom, lasciamelo vivo per firmare i documenti del divorzio! -
lo interruppe ancora una volta Bill terminando la frase.
 
 
 
 
- Devo dirvi una cosa. Anzi, devo chiedervi un favore – annunciò solennemente Becca nel bel mezzo della cena.
- Quale delle due cose nespolina? - le chiese il padre prendendo l’insalata.
- Tutte e due. Prima vi dico la cosa, e poi vi chiedo il favore - disse sospirando
Tom posò rumorosamente le posate nel piatto spazientito, percependo che anche questa richiesta non sarebbe stata ne sciocca, e ne facile da accontentare.
- Beh? Dicci dai - la incitò Bill.
- Ho delle piccole difficoltà in matematica, quindi ho chiesto ad una mia amica di scuola se poteva aiutarmi con i compiti.. - iniziò arrossendo dalla punta dei piedi a quelle dei capelli, mentre i tre maschi la fissavano ammutoliti.
- Ma se in pagella avevi ottimo! Come fai ad avere problemi? Hai una professoressa stronza? – Bill la bombardò subito di domande, riversandole addosso tutta la sua apprensione.
La ragazza sentì un peso sullo stomaco così forte da soffocarla, le stava venendo da piangere nel vedere quanto fosse riuscita a ingannare così bene la sua famiglia, che si fidava ciecamente di lei.
- No.. Solo che-che non la capisco.. Tutto qui. - si strinse nelle spalle.
- Va bene, va bene. Hai fatto benissimo a chiedere una mano, se pensi di averne bisogno allora è giusto così! - la appoggiò Gordon.
- E’ una ragazza dell’ultimo anno.. si chiama Lis, e verrà qui mercoledì alle tre del pomeriggio -
- E’ qual è il favore? - chiese Tom che fino a quel momento aveva solo ascoltato.
- Non fatemi fare brutta figura. Vi prego. - chiese sinceramente preoccupata.
Tom lanciò uno sguardo a tutte le persone che erano sedute a quel tavolo.
E si maledisse per aver previsto come al solito quello che sarebbe successo, e imprecò poiché desiderava sbagliarsi ogni tanto.
Sapeva perché sua sorella era così tremendamente preoccupata.
Perché il mercoledì da dopo pranzo in poi erano tutti a casa.
E il primo impatto che ogni estraneo aveva con la loro famiglia non era mai stato positivo.
Era difficile mantenere un espressione contenuta, una volta capito che Bill non fosse una femmina ma un maschio. 
E non era neanche piacevole scoprire che Tom andava in giro a picchiare a sangue le persone.
E qualcuno ebbe assai da ridire sul comportamento poco raccomandabile di Gordon, che aveva allevato i suoi tre figli come tre zingari al puro stato brado.
Ma nessuno si era mai sforzato di pensare che, forse, non è facile essere abbandonati e piantati in asso all’improvviso da una madre e una moglie e iniziare tutto da capo.
Ma loro avevano trovato il modo per andare avanti, un modo che piaceva a tutti e quindi ritennero che fosse quello giusto.
Tom fece scorrere gli occhi su suo padre, che stava mangiando con la cravatta rigirata su una spalla e un tovagliolo al collo per non sporcarsi la camicia.  Poi passo a Bill, che stava parlando di una nuova tinta per capelli, con la sua personalità d’artista così esuberante e appariscente, poi pensò a se stesso, a quei capelli strani, i vestiti stile hip hop, un vocione roco e uno sguardo arcigno.
E finì con il guardare teneramente Becca che mangiava silenziosamente, e capì che sarebbe stato davvero difficile non farle fare brutta figura.
 
- Allora mi raccomando - disse nervosamente la ragazza.
- Becca scusaci.. ma mica siamo delle persone di cui vergognarsi - commentò leggermente offeso Bill.
Tom si voltò di scatto verso suo fratello, lo scrutò perplesso chiedendosi quanto fosse normale il fatto che un ragazzo avesse un lucidalabbra resistente anche ad una fiamma ossidrica.
- Tra poco arriverà qui Lis. E non c’è bisogno che l’aspettiate davanti alla porta come un plotone da esecuzione- li riprese ancora lei in preda all’ansia.
- Lis? Che nome. – commentò acidamente il moro.
- In realtà si chiama Elisabeth. –lo ammonì la sorella.
- Sai, mi è sfuggito il modo in cui vi siete conosciute.. - chiese infido Bill.
- Che vuoi dire? -
- Tu ce l’hai descritta come una tua amica che fa l’ultimo anno - continuò il moro stringendo gli occhi a fessura.
- E allora? – tentennò l’altra non capendo dove il fratello volesse arrivare.
- Come mai l’unica amica che ti sentiamo nominare è una dell’ultimo anno? - proseguì con tono sempre più indispettito e sospettoso.
- Per-perché.. - iniziò tremante, ma aveva studiato quella frase a memoria, sapeva che qualcuno gliel’avrebbe chiesto prima o poi - fa parte del comitato studentesco, ci sono dei sportelli dove possiamo richiedere informazioni per qualsiasi cosa. E mi hanno detto che lei è molto brava! - disse sentendosi una vera merda per aver raccontato un’altra bugia ai suoi fratelli, guardandoli proprio dritti negli occhi.
- E dai Bill.. Di certo noi non potevamo darle una mano- cercò di abbozzare Tom esasperato.
- Oooh. Ci sono! - esclamò Bill battendo un piede a terra - Sa che sei la sorella di Tom Kaulitz e ti sta usando per arrivare a lui.. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato! - disse voltandosi verso il gemello, guardandolo come se fosse colpa sua.
- Bill. Ti prego.- piagnucolò Becca alzando gli occhi al cielo.
- Adesso stai esagerando davvero - lo rimbeccò anche l’altro a braccia conserte.
- Va bene la smetto. Anzi, farò di più, me ne vado di sopra - disse alzando le mani e sbuffando.
Becca trasse un sospiro di sollievo, almeno uno era riuscito ad allontanarlo.
Poi guardò Tom in piedi accanto alla porta, pienamente cosciente del fatto che nessuno sarebbe entrato da quella porta senza il suo lasciapassare.
- Sei sicura che non mi conosce..? - chiese poi Tom per precauzione.
- No, non credo – rispose non riuscendo a decifrare se suo fratello fosse sollevato o dispiaciuto per questa cosa. Effettivamente tutti lo conoscevano, ma restava sempre il fatto che Lis non aveva ne urlato, ne saltato di gioia e di certo non era scappata a gambe levate una volta conosciuto il suo cognome, da ciò aveva semplicemente dedotto che non lo conosceva.
- Vi mettete in cucina? -
- No, ce ne andiamo in camera mia -
- Comunque, Bill ha ragione… non è carino che ti vergogni di noi – ammise grattandosi la testa.
- Voi siete invadenti, ingombranti, rumorosi e maledettamente impiccioni. Vi voglio molto bene, ma vorrei semplicemente che vi limitaste ad un “Ciao.. Molto piacere” e “Arrivederci a presto”. Almeno tu pensi di riuscirci? - chiese sarcastica.
Tom si abbassò all’altezza della sorella e se la guardò con aria di sfida.
- Fidati. So fare molte cose che tu non sai – sibilò con un ghigno per niente rassicurante.
- Voglio proprio vedere - lo smontò sua sorella guardandolo storto.
- Bene, aspetta che arriva la tua amica e vedrai quanto posso essere del tutto innocuo -
- Si, io vado a portare i libri su in camera -
Becca prese i libri di matematica che aveva riposto sul tavolo della cucina e andò nella sua camera a posarli, nel frattempo la porta suonò.
A Tom venne da già da ridere, immaginando senza un motivo preciso una sfigata occhialuta e flaccida dell’ultimo anno, che non aveva di meglio da fare il pomeriggio che fare ripetizioni di matematica. Oltretutto faceva parte del comitato studentesco, si ricordava bene di quelle acide bisbetiche che nessuno avrebbe mai conosciuto se non fossero diventate rappresentanti d’istituto o cose del genere.
Le belle ragazze posso studiare certo, quel minimo indispensabile però, il resto era tutta vita.
Pensò scioccamente.
Quando aprì la porta per poco non gli venne un colpo.
 
 
 
 
 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***



 CAPITOLO QUATTRO


 

Ho imparato che più dai e meno ricevi.
Che ingorare i fatti non cambia i fatti.
Che i vuoti non sempre possono essere colmati.

Che le grandi cose si vedono dalle piccole cose.
Che la ruota gira, ma quando ormai non te ne frega più niente.
Che non si finisce mai di imparare.  
 Fabio Volo
 




Ci mise una frazione di secondo per riconoscerla.
Era la stessa ragazza che qualche giorno prima  gli aveva attraversato la strada davanti alla scuola.
Lei lo guardò leggermente sorpresa ma sorridente, aveva in mano un foglio di carta spiegazzato.
- Ciao.. Cercavo Becca - chiese con estrema cortesia.
- Oh si certo! Io sono suo fratello Tom, piacere - le tese la mano non riuscendo a scollarsi dai suoi occhi.
- Piacere - si presentò stringendo la mano calda del ragazzo.
- Lis giusto? - chiese in un momento di incertezza lui.
- Si, si.. Chiamami pure così.. – arrossì per quella inaspettata confidenza.
- Fa molto freddo fuori- constatò mantenendo ancora la stretta.
- Ho fatto una passeggiata - disse restando sulla porta.
- Entra dai.. Mia sorella ti sta aspettando, è sopra in camera sua - continuò fissandola senza pudore.
Non appena la ragazza fece un passo per entrare in casa, Tom fu avvolto da un profumo dolce e intenso.
Lis gli passò accanto guardandolo imbarazzata, e lui non poté fare a meno di squadrarla da capo a piedi.
Per l’ennesima volta.
Aveva promesso di essere gentile, e lui lo era stato.
Ma non poteva di certo tapparsi gli occhi.
Si voltò verso di lui accennandogli un timido sorriso, aveva i capelli sciolti che le ricadevano lungo le spalle.
Alcune ciocche erano intrecciate alla grande sciarpa di lana che aveva al collo, una giacca  aderente che lasciava intravedere il suo corpo sodo e snello.
Quegli istanti d’attesa furono una tortura lenta tortura per lui.
Non poteva crederci che aveva quella ragazza in casa.
- Ciao Lis! - esclamò Becca affacciandosi dalle scale
- Becca! - sorrise verso la ragazza.
- Allora non ti sei persa - la schernì invitandola a salire
- Te l’avevo detto che avevo capito! - le rispose fingendosi imbronciata.
Tom la guardò salire lentamente le scale di casa, maledisse quella giacca lunga che gli impedì di guardarle il sedere.
Rimase a fissare inebetito la scala vuota, e solo il rumore della porta della stanza di sua sorella che si chiuse lo fece tornare alla realtà.
- Non ci posso credere! - disse tra se e se sghignazzando, buttandosi sul divano.
 
 
 
 
- Insomma.. Che brutto voto hai da recuperare? – chiese iniziando a sfogliare l’indice degli argomenti presenti nel libro.
- Un quattro - ammise l’altra dispiaciuta.
- Bene. Allora diamoci da fare - disse Lis senza dare peso al voto - Cosa non hai capito? - precisò scorrendo gli occhi sulla teoria
- Niente, a dire il vero.. - dichiarò la mora più che onestamente.
- Come vai alle altre materie? -
- Ho tutti otto o nove- rispose quella scrollando le spalle.
- Ma chi professoressa hai? – chiese insospettita.
- Ho la Baumann-
- Quella nuova? – tentò.
- Non lo so.. Mi odia, davvero non mi sopporta, dal primo giorno di scuola -
- Cioè? -
- Appena è entrata in classe e ha letto il registro con i nomi, ha chiesto “Chi è Kaulitz?” e io ho alzato la mano, da quel giorno mi sta massacrando -
- Adesso cerchiamo di farti recuperare gli argomenti prima delle verifiche finali.. Con quella media che hai è davvero un peccato -
Dopo un paio d’ore di intenso studio Lis chiuse il libro, attese che Becca finisse di risolvere l’equazione e prese il foglio per correggere.
- E’ giusta!- esclamò posandogli una mano sulla spalla.
- Il risultato è lo stesso?! - chiese lei illuminandosi.
- Si! Vedi, devi solo concentrarti.. Adesso basta, sono le cinque passate, abbiamo fatto anche abbastanza per oggi -
- Si, sai non me ne sono neanche resa conto -
- Eh abituati.. Andando avanti perderai interi pomeriggi così - sospirò la maggiore ridendo.
- A me piace studiare- confessò imbarazzata.
- Si, anche a me.. Ma ricordati che non è tutto però! - la castana prese la sua giacca e se la infilò, strizzandole l’occhio.
Scesero al piano di sotto, dove trovarono Bill a guardare E! Entertainment e Gordon a leggere un giornale in poltrona.
 
 
 
 
- Buona sera! - esclamò l’uomo balzando in piedi.
- Salve- rispose timidamente l’ospite.
- Tu devi essere Lis - la salutò calorosamente.
- Già – rispose sentendosi due occhi puntati addosso.
- Ciao.. Io sono Bill- disse il moro andandole incontro con un falso sorriso stampato.
- Ciao!- strinse rapidamente la mano anche lui, mentre la fissava sottecchi.
- Allora come va il mio biscottino? - chiese amorevolmente Gordon stringendo le spalle della figlia.
Lis rimase sorpresa di quanto fosse calorosa e unita quella famiglia, distrattamente guardò la ragazza che gli lanciava sguardi strani e terrorizzati.
E sentendosi in difficoltà abbozzò semplicemente:
- Mah.. E’ davvero molto brava, secondo me è semplicemente rimasta indietro, e penso che al primo anno sia abbastanza comprensibile -
- Tu dici? - chiese interessato il padre.
- Si. Le materie sono nuove, tante.. E poi Becca ha una professoressa tosta! - mentì senza sapere il perché.
- Sono proprio contento.. Gli insegnati sono così antipatici a volte! - disse facendo una smorfia.  
- Quindi non è niente di grave? – chiese apprensivo anche Bill.
- Sembra proprio di no. E poi so che nelle altre materia ha dei voti altissimi - cercò di tranquillizzarli.
- Adesso lasciamola andare - si intromise Becca cercando di chiudere quel discorso in fretta.
- Hai ragione! Allora ci vediamo presto - un saluto a tutta la famiglia e si voltò per uscire, incrociando lo sguardo della ragazza per qualche secondo.
Giusto il tempo per leggere un “Grazie” mimato solo con le labbra.
Le sorrise di rimando, lasciandosi alle spalle quella stramba famiglia.
Per il momento si era permessa di catalogarli solo con quell’aggettivo.
Uscendo dal vialetto di casa, Lis pensò però a quanto fosse bello avere per casa dei fratelli e dei genitori che si preoccupano per te, e che si interessano a ciò che fai.
- Già vai via?- si voltò di scatto in direzione della voce.
- Come è andata? - Tom si fermò con una mano sul cancelletto di casa.
- Bene, direi piuttosto bene - disse la ragazza stringendo le spalle nella giacca.
- Stai a piedi? - chiese sorpreso.
- Abito a due isolati da qui - disse indicando con un dito la strada dietro di se.
- Davvero? Non ti ho mai visto da queste parti - domandò incuriosito.
- Ah si? Beh.. strano.. ormai è qualche anno che mi sono trasferita –  
- Quindi non sei di queste parti –
- No, no.. abitavo ad Amburgo prima di venire qui –
- Come mai ti sei trasferita? – in realtà non gli interessavano per niente quelle cavolate.
Voleva solo sapere qualcosa in più su di lei, una semplice curiosità.
- Questioni.. famigliari… - rispose distogliendo lo sguardo.
E capì che non era il caso di insistere.
- Beh allora buona serata! - disse entrando nel cancello.
Si scrutarono giusto per qualche istante prima di voltarsi.
Il ragazzo si sentì quasi stranamente avvampare per colpa di quegli occhi grandi, e intensi da cerbiatta.
E lei si sentì come rapita da quegli occhi ambrati e profondi, e dal suo sorriso sbieco.  
- Anche a te!- si portò il colletto della giacca fino su al mento e se ne andò.
Quando Tom entrò in casa, un mite tepore si infranse subito sulla pelle gelata.
Restò in piedi sulla porta a godere di quel calore così piacevole per qualche istante.
- Già sei a casa? - chiese Bill in piedi accanto a suo padre.
- Sono venuto a cambiarmi, fa troppo freddo. Ma tra poco riesco.. -
- Comunque vediamo.. - disse Gordon a Bill riaprendo il giornale.
- Di cosa stavate parlando? -
- Della ragazza che aiuta Becca.. Mi sembra tranquilla-
- Perché c’è qualche problema? -
- No, l’abbiamo conosciuta e le abbiamo solo fatto qualche domanda.. E subito che questa lingua biforcuta di tuo fratello ha qualcosa da ridire -
- Sto solo dicendo che magari sarebbe il caso di andare a parlare con la professoressa per capire cosa c’è che non va -
- Ma dai Bill, sei sempre il solito drastico - lo riprese Tom stravaccandosi sul divano.
- E a te non interessa mai niente di niente - si difese il moro acidamente.
- Fatela finita tutti e due. Questi sono affari di Becca e sta cercando di gestirli come vuole. Ha quasi quindici anni e sta crescendo, quindi lasciamola fare no? E poi mi pare che lei non mette bocca nelle vostre scelte.. Particolari scelte.. - puntualizzò con una nota di sarcasmo mantenendo sempre gli occhi sul giornale.
Bill sbuffò e se ne andò, lasciando il padre e Tom da soli.
Il ragazzo rimase ancora per qualche secondo in silenzio, seduto sul divano a fissare la televisione spenta. Ritornando con la mente a quel profumo così buono.
- E’ uno schianto.. - disse con tono complice Tom al padre, lanciandogli un sorrisino
- Molto, molto bella si - annuì di buon grado l’uomo senza staccare gli occhi dalla rivista.
- Hai visto che fisico che ha- continuò estasiato mantenendo un tono di voce abbastanza basso per non farsi sentire da nessuno.
- Potrebbe essere tua sorella, o mia figlia Tom! Quindi mi sono limitato a pensare che è un bene, per lei, essere intelligente oltre che bella - scosse la testa ridendo
- Con una sorella così ti disconoscerei come padre, lo giuro- scherzò il giovane facendo ridere a crepapelle l’uomo.
- Ho detto anche che è intelligente - disse alzandosi - questo vuol dire che non hai speranze – gli passò accanto sbattendogli il giornale sulla testa.
Tom smise di ridere di colpo sentendosi leggermente offeso. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


QUINTO CAPITOLO
 





La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

Gabriel Garcìa Marquez.







- Non puoi capire cosa mi è successo ieri!- esclamò Tom a Georg, all’improvviso durante la solita cena al Phantomrider con tutti gli altri.
- Cosa? - chiese l’amico masticando e ridendo.
- Te la ricordi quella ragazza dell’altro giorno? Quella davanti alla scuola? - chiese Tom con lo sguardo da pazzo infervorato mentre parlava.
Georg si soffermò un attimo a pensare fissando il vuoto.
Poi sgranò gli occhi ritornando con lo sguardo al suo amico, e raccontò il breve episodio anche agli altri.
Poi si voltò verso Tom, sghignazzava talmente tanto che i suoi occhi erano diventati delle piccole fessurine luminose.
- Non lo voglio sapere.. - disse il rosso portandosi una mano a coprirsi gli occhi.
- Da ripetizioni di matematica a Becca - esordì estasiato con un sorriso da ebete.
 
 
 
 
- Allora, ne vogliamo parlare? - chiese
- Di cosa? - deglutì nervosa l’altra
- Di quell’occhiataccia che mi hai mandato ieri sera- precisò mostrandosi più curiosa che alterata.
Becca si bloccò, e Lis insieme a lei, mentre nel corridoio un fiume di persone camminavano ancora tramortite dal sonno e dal freddo.
- Non posso dirtelo.. Non l’ho detto a nessuno. - ammise abbassando gli occhi Becca.
- Ho detto una bugia a tuo padre per te - sottolineò Lis inarcando un sopracciglio .
- Non posso – perseverò la più piccola mordendosi un labbro.
- Riguarda il tuo brutto voto in matematica, vero? -
- Si -
- Allora a me devi dirlo. Altrimenti non posso aiutarti come vorrei – ribatté secca.
Lis non demorse difronte lo sguardo impenetrabile dell’altra.
- Guarda che non è una cosa grave prendere un brutto voto, e non è neanche una tragedia dire qualche piccola bugia.. Però tu mi hai chiamata perché ti serve una mano, e io te la posso dare, ma se c’è qualcosa sotto, vorrei saperlo -
L’altra si torturò un l’interno della sua guancia incerta sul da farsi.
Aveva paura e non si fidava di nessuno.
Dal canto suo, a Lis si strinse il cuore a vederla così in difficoltà.
Non appena entrò nel bar la riconobbe subito, si diresse verso di lei senza neanche esitare.
I suoi occhi così scuri e profondi le ricordavano incredibilmente e dolorosamente gli occhi di qualcun altro.
- Io non credo che i tuoi sappiano che il tuo voto basso sia un bel quattro..- la incalzò guardandola torva.
Non voleva farle pressione, ne farsi gli affari suoi, ma lei era fatta così, e poi Becca l’attirava come un magnete impazzito, non poteva non fare a meno di interessarsi e preoccuparsi per lei.
Il carattere così timido ma acuto, e introverso della ragazzina era un qualcosa che lei aveva già vissuto, un ricordo tormentato e doloroso che qualcuno gli aveva strappato via.
- Il fatto è-è che se lo vengono a sapere, davvero si infurieranno a morte - iniziò col dire l’altra in tono turbato.
- I segreti in due si sopportano meglio - le donò il sorriso più dolce che Becca avesse mai ricevuto.
- Ho raccontato una grande bugia a tutti.. E credo di aver infranto anche un paio di leggi della scuola- ammise con un velo di pianto negli occhi.
- Occhei- disse Lis inspirando a fondo, di certo non era quello che si era aspettata di sentirsi dire, però la piccola si stava confidando con lei, e questo era l’importante.
 
 
 
 
 
 
 
 
- Buongiorno mio caro Wilhelm - pronunciò sobriamente Melanie, non appena Bill entrò nello studio.
- Buongiorno a te! Come ti senti oggi? - chiese di rimando posando la giacca.
- Divinamente - allargò le braccia con aria beata.
Bill tremò leggermente di paura, vedendo il suo boss con un aria così serena e pacata, e il ragazzo inevitabilmente si chiese se era per effetto della sua colazione a base di tranquillanti o solo la quiete prima della tempesta.
- Oh beh, si vede! - le disse in tono confidenziale ammiccandole con l’occhio.
- Sai, il mio completo bianco di Gucci ieri ha fatto faville.. Mi hai dato un consiglio davvero prezioso. Senza di te starei ancora accasciata per terra a strozzarmi con le mie stesse lacrime - disse scoppiando a ridere istericamente
- Ma ti pare - arrossì umilmente il ragazzo.
- No io ti devo proprio ringraziare. Sei stata la persona giusta, al momento giusto, e per quanto riguarda quella cosina… Non avere fretta, voglio gustarmi per bene il sapore della vendetta -
Bill sorrise tirato, si sentiva l’essere più malvagio e ambizioso della terra, ma in fondo non stava facendo niente di male.
O almeno questo era quello che si ripeteva per convincersi.
- Ho una gran bella notizia per te - la bionda si aprì in un sorriso smagliante.
- Un mio caro amico mi ha dato due inviti per la mostra di Patricia Lou alla fine del mese, al museo di Berlino -
A Bill venne a mancare il respiro.
Gli si prosciugò il sangue nelle vene non appena sentì quel nome.
Un leggero affanno si impossessò del suo cuore, non poté credere alle sue orecchie.
- Pa-patricia Lou dici? – chiese con voce tremante.
- Certo caro.. E’ l’artista più chic e in voga del momento. Uno dei due ci deve andare, ma io non posso, quindi ci andrai te a rappresentarmi. E poi vorrei che facessi anche una piccola recensione personale dei quadri. Che so, scrivi, o registrala con uno di quegli affari di voi studenti.. Quello che vuoi tu! E’ il solo compito che ti chiedo -
- Perché devo farlo? - chiese sempre più sconcertato il moro.
- Per tre motivi ben precisi - iniziò a parlare con un tono leggermente infastidito dall’incertezza del giovane - il primo, perché è un evento molto importante al quale siamo stati invitati e ci faremo un bel po’ di pubblicità, cosa che in questo momento ci serve. Il secondo è perché sarai pagato per farlo. Ed il terzo, è perché Patricia è incredibilmente brava, e questa esposizione le serve solo ad accaparrarsi una galleria dove vendere la sua collezione -
La donna si interruppe solo per inforcare i suoi occhiali di Bulgari con miriadi di diamanti incastonati sulle stecche, e bruciare in seduta stante Bill con i suoi occhi di ghiaccio.
- Vorrei che quella galleria fosse la mia.  Strappale un appuntamento.. Poi al resto ci penso io - concluse stringendosi nelle spalle.
Bill sentì il rancore e l’odio infrangersi contro le pareti del suo stomaco come onde di lava incandescente.
Non voleva andare a quella dannata esposizione.
E soprattutto non voleva avere niente a che fare con quella donna.
 
 
 
 
 
 
Tom guardò perplesso la sua agenda di appuntamenti, e sbuffò pensieroso.
Aveva un miliardo di cose da fare, ed era quasi l’ora di pranzo.
Aveva trascorso la mattinata a sistemare gli accordi, a trovare e selezionare per ogni singolo allievo gli spartiti delle canzoni o delle melodie accuratamente scelti per loro.
Ne aveva dodici.
Con sua stessa sorpresa, era molto affezionato ai suoi ragazzi.
Era così appassionato e dedito a quello che faceva, e questo Gordon lo aveva notato fin da subito, ecco perché ci aveva tenuto così tanto a farlo lavorare nella scuola.
Mentre ripassava l’orario delle lezioni che avrebbe avuto nel pomeriggio il suo cellulare squillò:
- SI..? - rispose con tono distratto mentre cercava un foglio che gli era sparito da sotto il naso.
- Tom - Bill dall’altro capo del telefono pronunciò il suo nome come una richiesta d’aiuto.
Il ragazzo percepì immediatamente un tono di disperazione nella voce del fratello, che lo fece subito scattare sull’attenti.
- Bill.. Che succede? - chiese guardando il vuoto di fronte a se.
- Io-io.. Ti devo parlare Tom, è una cosa importante - disse con voce incerta il moro.
- Se è per quel favore che mi hai chiest- -
- No.. Non si tratta di quello - Bill dopo aver interrotto il fratello prese un lungo respiro e poi riprese a parlare - è una storia lunga.. - disse con tono evasivo.
- Cioè? - chiese innervosito allargando le braccia.
- Vediamoci a pranzo - gli propose frettolosamente Bill
- Non posso muovermi, ho la giornata piena.. Prendi qualcosa da mangiare e vieni qua no? - rilanciò Tom
- Papà c’è? - chiese intimorito senza rispondergli.
Tom sentì la pazienza abbandonare il suo corpo e il suo cervello, e svanire in un secondo netto, chiudendo pesantemente le palpebre.
Odiava quando suo fratello si comportava come il protagonista di un film di spionaggio internazionale.
- No, papà non c’è a pranzo - esalò rassegnato.
- Esce ancora con quella? - azzardò sorpreso dimenticandosi già del discorso precedente.
- Non lo so.. E’ già uscito! - mentì Tom coprendo la tresca innocente di suo padre.
- Va bene.. Allora tra un’oretta al massimo sto da te - e Bill chiuse la comunicazione.
Posò il cellulare sul ripiano lucido della sua fantastica scrivania, l’aveva scelta da solo con Georg, quando suo padre gli offrì il lavoro appena diplomato.
Ma il pezzo forte era la sua adorata scrivania, montatura in acciaio spesso e solido, larga quasi tre metri, in perenne disordine.
Una lastra di vetro infrangibile che gli faceva da ripiano.
Il telefono, la foto della sua famiglia, una scorta ben rifornita dei suoi plettri preferiti.
C’era il suo tocco di stile che dava un tono all’intera stanza.
Incastrate nel sottovuoto, tra il vetro e la montatura, c’erano una serie infinita di foto sovrapposte, intere, ritagliate, ritoccate, che decoravano il tutto.
Foto dei suoi amici, di lui, di Bill, di Gordon, recenti, vecchie, di feste, di vacanze, concerti, tutto.
C’era tutta la sua vita sotto quel vetro. E così si sentiva a casa.
Si sentiva bene dietro a quel tavolo, lo faceva sentire importante, impegnato e orgoglioso, che gli dava un tono.
Tom si stava realizzando, stava cercando una sua posizione nella vita, uno scopo, un lavoro che gli piacesse, e voleva farlo con le persone più importanti della sua vita.
Si sentiva sicuro, e padrone del suo destino mentre guardava quella distesa di occhi che gli sorridevano.
 
 
 
 

- Ho fatto una cosa orribile e non ne vado per niente fiera.. Mi vergogno a morte, e se solo penso a come ho preso in giro i miei mi sento ancora peggio - disse Becca con un filo di pianto negli occhi, lisciandosi nervosamente con la mano la sua frangia para.
Lis guardò l’orologio e fissò la ragazza che aveva di fronte.
-Abbiamo cinque minuti-
- Hofalsificatoilmiopagellino - disse tutto d’un fiato Becca.
- Come? - chiese credendo di non aver sentito bene .
- Ho falsificato il pagellino- ammise più lentamente la mora.
La prima domanda che venne in mente alla maggiore non appena sentì il fatto, era come fosse riuscita a farlo, in che modo.
Le sarebbe davvero piaciuto saperlo, ma poi fece appello al suo buon senso e decise che, per il momento non voleva approfondire la questione sul come, e chiese semplicemente il perché.
- Non lo so.. Ho avuto paura- si strinse nelle spalle
- Paura? - chiese sempre più allibita.
- Si cioè, non che mio padre sia uno che badi a queste cose.. Ma quando ho visto quel quattro scritto la, io-io sono entrata nel panico e l’ho fatto.. -
- D’accordo - sospirò compassionevole verso Becca - Adesso è meglio che andiamo in classe o facciamo tardi -
Mentre Lis saliva le scale per andarsene in classe ripensò a tutto quello che le aveva detto Becca, a quanto fosse assurda la storia che le aveva appena raccontato.
Ma c’era qualcosa nei suoi occhi e nel suo atteggiamento, che la spingevano a crederci.
- Lis! - si sentì chiamare.
- Nora.. Entriamo? - chiese alla mia migliore amica.
- Non mi va - si lamentò svogliatamente, mentre si aggrappava alla sua spalla.
- Neanche a me- sbuffò guardandola complice.
Un’idea ballerina si affacciò nelle loro menti simultaneamente.
Ma neanche il tempo di girare i tacchi che il professore le sorpassò frettolosamente salutandole.
Si guardarono rassegnate, oltrepassando la soglia della loro aula.
- Che palle…- bofonchiò trascinandosi fino al banco.
- Dai su.. Prendendo appunti il tempo passerà più velocemente -
- Sei sempre la solita secchiona - la ammonì Nora sedendosi.
- Non è vero! Cerco solo di ottimizzare i tempi.. In classe ci dobbiamo stare per forza, tanto vale seguire no? - cercò di giustificarsi gonfiando le guance l’altra.
- Secchiona - sentenziò l’altra guardandola torva, e poi scoppiare a ridere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


CAPITOLO SEI

 

 

I giorni che pensi saranno i più belli
non sono mai belli quanto li immaginavi nella tua fantasia..
Sono i giorni qualsiasi, quelli che iniziano in modo normale,
sono quelli che alla fine diventano i più belli.


Izzie Stevens.




 

 
 
 
- Cioè io non ci posso credere – urlò Nora camminando velocemente.
- Si lo so - commentò indignata anche Lis.
- Quella strega! Con la scusa di abbozzare la tesina ci ha fatto fare un tardi pazzesco, la campanella è suonata già da un pezzo! -
La voce della ragazza riecheggiò per i corridoi vuoti della scuola.
E il fatto che fossero deserti significava che davvero era tardi.
Oltretutto quel giorno non avevano neanche il doposcuola, quindi potevano tornare a casa prima.
- Sbrighiamoci dai. Ti serve un passaggio? - chiese Lis alla compagna.
- Magari.. Anche perché l’auto non mi ha mica aspettato! -
Uscirono dall’edificio come due povere vittime che stavano scappando da un incendio, si fiondarono verso l’esterno come se fosse la loro unica via di salvezza.
Non vedevano l’ora di uscirci per l’ultima e definitiva volta da quella scuola.
Mentre cercava nella borsa le chiavi dell’auto, Lis alzò distrattamente lo sguardo, che gli si posò su una figura famigliare.
- Becca!! - chiamò la giovane, che si voltò a salutarla con la mano.
- Tu la conosci? - le chiese sconvolta l’amica senza dare nell’occhio.
- Si.. È la ragazza di cui ti parlavo, quella delle ripetizioni- spiegò velocemente.
Mentre la sua amica rielaborava e realizzava il tutto, sgranando gli occhi, Lis si era avvicinata alla ragazza, rimasta sola nello spiazzale vacuo della scuola.
- Che ci fai qui, è tardi..-
- Sto aspettando Bill. Ma credo che si sia dimenticato di venirmi a prendere – disse quella come se la cosa fosse del tutto naturale.
- Hai provato a chiamarlo? -
- Si, ma non risponde -
- E Tom?-
- Neanche. Idem mio padre -
Lis si guardò intorno, era tardi, e si stava annuvolando di brutto, la fastidiosa aria che si era alzata non prometteva niente di buono, stava spostando e ammassando le nuvole più scure e cariche d’acqua.
- Dai, andiamo.. Ti porto a casa! - disse risolutivamente e sorridendole.
- No, non ti preoccupare -
- Ma dai.. E’ di strada per me! -
Becca non ci aveva pensato, effettivamente la ragazza aveva ragione.
Abitavano abbastanza vicine quindi poteva tranquillamente portarla a casa.
Così le due raggiunsero Nora che aveva assistito alla scena da lontano, incredula.
 
 
 
- Ma tu lo sai chi è quella? - chiese con tono solenne Nora mentre Becca suonava il campanello di casa sua.
- Si, si chiama Rebecca.. Te l’ho detto che le faccio ripetizioni -
- No Lis, la conosci nel senso che sai chi è? -
- Non ti sto seguendo mica.. - rispose la ragazza confusa.
- Quella - e indicò spudoratamente la ragazza che attendeva impaziente davanti alla porta - è la sorella di Tom Kaulitz! -
- Ah si! L’ho conosciuto, anche l’altro fratello.. Ma sono gemelli vero? -
Nora si spiaccicò una mano sulla fronte, chiedendosi se la sua amica fosse scivolata da una montagna del sapone e poi atterrata in Germania.
- Lo sai chi è Kaulitz? E non mi rispondere il fratello di Becca! - la fulminò bloccandola subito.
Guardò scocciata la sua migliore amica, che a sua volta seguiva attentamente i movimenti di Becca.
Si ricordava di averle accennato vagamente la storia delle bande.
Tentò di essere chiara e concisa, e si ricordò anche che Lis l’aveva silurata con una grossa e rumorosa risata. Per loro, la presenza di quelle persone non era mai stata un problema, perché non avevano amicizie pericolose, o quantomeno evitavano di averle.
Il loro giro di amici era tranquillo, la maggior parte compagni di classe, e qualcun altro in più, erano tutti bravi ragazzi, ed erano molto legati tra loro.
- Tom è il migliore amico di Georg, il Rot! Il capo della banda della zona.. Sono delle persone molto pericolose, anche se non sembra.-
Lis rimase incerta per il tono serio e preoccupato della sua amica, e si chiese perché mai li consideravano dei pericoli e dei delinquenti.
A lei Tom non aveva fatto questa impressione, anzi, era stata a casa sua e di certo non si poteva dire che avesse una famiglia problematica o un infanzia difficile, quindi non riusciva proprio a vedercelo nei panni dell’avanzo di galera.
- Ma stai dicendo sul serio? – chiese poi increspando le sopracciglia.
 
 
 
 
 
 
- Ecco qua - esclamò soddisfatto Bill per aver apparecchiato alla bene e in meglio il piccolo tavolo che c’era nell’ufficio del fratello.
- Che hai preso di buono? - chiese Tom sedendosi a terra affamato.
- Sono passato da Alfredo e ti ho preso i spaghetti con le polpette che ti piacciono tanto.. - rise malefico
- Uhm.. Buoni - si sfregò le mani pregustandoli già dall’odore.
Il moro aprì e porse al fratello il contenitore e le posate, e poi prese quello per se iniziando a mangiare.
Pranzarono tranquillamente, assorti nei loro discorsi fatti di niente, ma che gli piacevano da impazzire, e si raccontarono le loro rispettive mattinate per filo e per segno, commentando e facendo battute.
Bill ripose in silenzio il tutto, in una bustina che poi avrebbe gettato, mentre Tom si gustava la sua birra preferita sentendo che lo stava già aiutando a digerire.
- Allora, adesso che non sai più cosa dire, vuoi parlarmi di quello che ti è successo? - chiese pacatamente, e sorridendo.
Bill abbassò lo sguardo incerto, torturandosi i suoi capelli, e poi lo guardò con languidi occhi lucidi.
Quando Tom notò quello sguardo, il suo cuore perse un battito.
Era una cosa seria se Bill stava reagendo così.
Posò una mano sulla sua spalla, lasciandola scivolare fino al gomito, sperando di averlo tranquillizzato almeno un po’.
- Ehi.. -
Il moro alzò lo sguardo, delle limpide gocce di pianto imperlarono le sue folte ciglia, ma senza scivolare sulle sue guance.
Restarono congelate la, nei suoi grandi occhi nocciola.
- Sabato, l’ultimo di questo mese devo andare ad una mostra… E’ di Patricia.. - disse socchiudendo gli occhi. Congelò nel momento stesso in cui suo fratello pronunciò quel nome.
Il corpo di Tom non emise il più minimo movimento, restò imperturbabile e pietrificato.
Bill sentì la sua mano stringergli il braccio come se si stesse trasformando in marmo.
Gli occhi fissati sull’ultima cosa dove si erano posati.
L’unico segno di vita era il suo petto, che si alzava e si abbassava a distanza breve e corta, l’affanno di chi aveva corso per anni e si era ritrovato sbattuto sul muso lo stesso punto da cui era partito.
- Devi andarci per forza? - chiese destandosi dal suo stato di trance.
- Si, purtroppo.. Serve per il lavoro e per la scuola - ammise sempre più abbattuto.
- Lei lo sa? -
- No, non credo.. Io non voglio andarci Tom - piagnucolò Bill stringendo la sua mano.
- Cosa succede se non ci vai? - chiese stringendo nella sua la mano dell’altro.
- Temo che prenderò un brutto voto al corso, e Melanie si infurierà a morte con me.. – rispose l’altro mordendosi insofferente un labbro.
- Adesso non ci pensare ok? Vedrai che troveremo una soluzione -
Tom allargò le sue forti braccia per accogliere suo fratello che tremava dalla rabbia e dal terrore.
Esattamente le stesse due sensazioni che provava lui.
Sentire il nome di quella donna, che era di nuovo in città, e di nuovo catapultata nelle loro vite, lo fece tremare dalla furia e dal rancore.
Odiavano e temevano a morte Patricia.
Per loro era come l’uomo nero delle favole, l’orco cattivo che gli portò via la loro madre.
Infatti l’ultima volta che la videro fu il giorno in cui Simone fece le valigie e se ne andò.
Lei, la sua migliore amica, era andata a prenderla, l’aveva aiutata a caricare i bagagli in auto offrendole ospitalità. Ma la donna aveva già una casa, era quella in cui viveva con la sua famiglia.
Avevano si e no sei anni. Patricia sorrise loro promettendogli di tornare presto, mentre chiudeva la portiera alla loro madre, che non si era neanche voltata a salutarli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- E’ qui? - chiese Lis a Becca guardandola dallo specchietto.
- Si, è questa.. Grazie per avermi accompagnata.. - arrossì la ragazza da dietro.
- Non ti preoccupare, mica ti potevo lasciare fuori casa con questo diluvio! -
Si avvicinarono lentamente all’entrata della scuola di musica, le due ragazze sedute ai sedili avanti si scambiarono un’occhiata sbalordita, nel vedere l’enorme edificio.
- Devi entrare da la.. - indicò una sbarra e un gabbiotto con una guardia dentro.
- Avete anche la sbarra?! - chiese stupita Nora.
- Ehm.. Si, sai per la sicurezza o cose del genere.. - abbozzò quella.
Lis avanzò con la sua auto, fino a che un omone grande, alto e con gli occhiali non sbucò fuori dall’oblò, scrutando nell’auto.
- Dica? -
- Salve.. C’è Tom? - chiese la guidatrice avvampando senza sapere perché.
- Documenti - pretese senza dare spiegazioni l’uomo.
La ragazza glieli porse, ed attese per qualche istante mentre la guardia parlava con qualcuno.
Le restituì i documenti e le chiese di attendere.
 
 
 
 
 
 
Il telefono dell’ufficio di Tom squillò improvvisamente, facendo saltare i due fratelli ancora abbracciati, seduti per terra.
Il ragazzo si alzò controvoglia  per rispondere a quel fastidioso squillo.
- Si? -
- Sono Saki, c’è una certa Elisabeth che ti cerca.. l’ho fatta entrare -
Tom guardò l’ora, pensando che non stava aspettando nessuno, e che non aveva idea di chi potesse essere questa signora.
- D’accordo, scendo subito - attaccò la cornetta e guardò Bill.
- Devo andare giù, aspettami qui.. - e gli sorrise dolcemente mentre l’altro annuiva.
Quando arrivò nell’atrio, si accorse che fuori stava piovendo e si rese conto che non c’era nessuna signora apprensiva che lo attendeva. Avanzò ancora di qualche metro, per rendersi conto che davanti all’entrata c’era parcheggiata una macchina scura, dalla quale scesero al suo arrivo prima Becca e poi Lis.
- Ciao.. - fece alle due cercando di mascherare la sua confusione.
Con uno sguardo rapido ma profondo cercò di memorizzare quanti più dettagli possibili.
Prima vide sua sorella furiosa fulminarlo a morte, poi vide l’altra ragazza scendere dall’auto con una strana espressione sul volto.
Gli occhi vagarono sulla Rav 4 nera posteggiata.
E poi si fissarono per qualche istante su una terza persona che era rimasta all’interno dell’auto.
Tom non la conosceva, ed il fatto di non averla mai vista voleva dire che non frequentava la loro zona, e che al contrario di lui dunque, lei sapeva benissimo chi fosse.
- Becca - chiamò la sorella che gli passò a fianco ignorandolo.
Poi Lis gli si avvicinò di corsa per sfuggire alla pioggia insistente.
- Dev’essersi un po’ arrabbiata.. - intercalò la ragazza coprendosi gli occhi dall’acqua  che scendeva dal cielo.
- Ma perché? - la guardò Tom confuso ma ammaliato dalla sua bellezza.
I suoi occhi brillavano ancora di più in contrasto con quel cielo plumbeo, e la pioggia rendeva il suo volto ancora più etereo.
- Vi stava aspettando fuori scuola - gli ricordò lei.
- Oh.. - si illuminò Tom spalancando la bocca e gli occhi.
- Beh, allora io vado - disse voltandosi, ma Tom la bloccò per un polso, e finì per prenderla accidentalmente per mano.
In quel momento entrambi finsero di non aver sentito nessuna scarica di adrenalina scorrere nei loro corpi appena si toccarono. Ed ignorarono la pelle ardere nei punti di contatto.
Lis guardò per un istante la mano del ragazzo, chiedendosi per quale motivo quello sconosciuto le facesse sentire così elettrica.
- Grazie per non averla lasciata da sola - sussurrò ringraziandola anche con lo sguardo.
- Figurati- rispose lei dimenticandosi totalmente del temporale.
Rimase a guardare il ragazzo che aveva di fronte.
Pensando se fosse davvero il delinquente che la sua migliore amica le aveva appena descritto.
Scrutò a fondo in quegli occhi dorati e caldi, cercando una risposta, ma venne accecata dal suo sorriso.
E rimandò la sua piccola ricerca ad un’altra volta.
- Perché non entri.. Ti stai bagnando tutta - le propose Tom notando il suo maglioncino scurirsi sempre di più a causa della pioggia.
- Oh no, grazie ma.. Devo tornare a casa.. - rispose abbassando lo sguardo.
- Giusto.. Ci si vede allora..- più che un saluto era una vivida speranza.
- Ciao..-  e scappò verso l’auto e dalla sua amica.
 
 
 
 
Salendo le scale, Tom già sentiva le grida di suo fratello e di sua sorella, crescere sempre di più.
Non era mai successo che Bill si dimenticasse di Becca, e scostando la porta del suo ufficio pensò anche che non li aveva mai sentiti urlare così.
La sorella minore aveva gettato furiosamente la borsa a terra, dove aveva appena sbattuto prepotentemente anche un piede, mentre urlava contro il moro:
- Almeno potevi avvisarmi che non saresti venuto a prendermi! -
- E tu potevi avvisarmi che mi stavi aspettando! -
- Perché non accendi quel cavolo di telefono e non vedi quante volte ti ho chiamato? -
- Senti ti ho già detto che mi dispiace, ok? – si difese Bill a limite del nervoso.
- Ma se non hai tempo perché prima dici di fare una cosa e poi non la fai? -
- Perché ho avuto un contrattempo e mi è passato di mente! -
Becca incenerì Bill con lo sguardo.
Tom da poco lontano vide il fratello annaspare sotto il suo sguardo nero e incandescente come il carbone.
In genere era lui che ci discuteva e Bill era quello che metteva pace tra i due.
Ma ora che era lo spettatore non aveva idea di cosa fare o cosa dire, anche perché aveva il terrore di mettersi tra l’incudine e il martello.
- Certo.. Immagino che pranzare con Tom sia stato un impegno davvero improrogabile –
- Ok, basta così! - intervenne Tom bloccando la discussione.
Bill non era psicologicamente preparato a sostenere una litigata di quella portata, e Becca era decisamente arrabbiata. I due si voltarono di scatto verso di lui.
- Dovevamo parlare di una cosa importante e ci è sfuggito di mente, adesso sei qui no? -
Becca sbuffò spazientita e si chinò a prendere la sua cartella profondamente offesa.
Non c’era niente da fare con i suoi fratelli gemelli, era una cosa imprescindibile, nessuno vinceva contro di loro, a torto o ragione.
- Tanto avete sempre ragione voi.. Mai una volta che vi sbagliate - commentò delusa uscendo dalla stanza.
Bill si accasciò sul divano coprendosi le mani con gli occhi, iniziando a piangere ancora, e l’altro si fermò davanti alla porta, guardandola mentre si allontanava a testa bassa e pensierosa chiedendosi da quando la pensava così riguardo a loro.
- Bill..? - lo chiamò con una tristezza disarmante nella voce
- Che giornata di merda - ruggì il moro scaraventando a terra tutto ciò che si trovava sul tavolino.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


CAPITOLO SETTE 
 

 

 
 
 

You don’t know, do you?
That in a crowded place,
my eyes will always search for you.

Non lo sai, vero?
Che in un posto affollato,
i miei occhi ti cercheranno sempre.

 
 
 
 
 
 
 
- Svegliati o faremo tardi! - lo incitò Becca agitando le braccia nevrotica.
Ma Gordon quella mattina di alzarsi proprio non ne volle sapere.
La sera prima o meglio, la notte prima, era rientrato piuttosto tardi ed anche piuttosto sbronzo e si  buttò a letto interamente vestito, ma sua figlia non se ne accorse poiché era rimasta in piedi sulla porta, e la camera era ancora avvolta nel buio più totale.
- Papà!- lo chiamò ancora, ma senza risultati.
La ragazza sospirò arrendendosi alla pigrizia dell’uomo.
- Si è svegliato papà? - chiese Tom a Becca, che lo ignorò appositamente.
- Guarda che ti ho fatto una domanda!- la riprese piuttosto bruscamente, senza ottenere risposta.
Da quando aveva discusso con Bill, qualche giorno prima, non rivolgeva parola a nessuno.
Il moro era sempre più agitato e lui si era svegliato con un gran rodimento di culo.
Di quelli che ti danno il buongiorno, che ti ci svegli proprio.
 E che ti accompagnano per il resto della giornata.
- Lasciala stare- disse Bill massaggiandosi ad occhi chiusi le tempie con le mani
- Ma perché ce l’ha con me? - chiese l’altro agitandosi in cucina, dato non riusciva a trovare la sua tazza del caffè nella credenza, innervosendosi ancora di più.
- E’ ancora arrabbiata dall’altro giorno. Adesso prende l’auto per andare e tornare da scuola, e non ci parla.. E’ perché mi hai difeso- gli spiegò continuando il massaggio.
- Ma io non ti ho difeso, volevo solo farvi smettere di litigare- ammise rinunciando al caffè.
Bill aprì gli occhi, arrossati da un evidente mal di testa:
- Infatti non l’hai fatto- lo fissò truce.
- E allora perché ce l’ha con me? - chiese comunque non capendo.
Bill si accasciò sul tavolino chiedendosi seriamente se qualcuno lo ascoltasse quando parlava.
- Io me ne vado.. Qualcuno svegli papà- disse Becca uscendo e sbattendo la porta.
- Io pensavo che fosse già uscito! – esclamò il moro tirandosi su di colpo.
Tom guardò l’ora, ultimamente lo faceva fin troppo spesso.
Odiava dover essere così vincolato al tempo, alle ore, agli impegni. I suoi e delle altre persone.
Lo infastidiva ulteriormente non essere padrone del suo tempo, di divederlo con altri.
Questo sembrava mancargli spesso ultimamente, e se Tom Kaulitz odiava qualcosa, era proprio non avere il tempo.
- Ci penso io.. Ah, hai risolto quella cosa della mostra? - chiese ricordandosi di colpo.
- No.. - Bill sospirò mesto, bevendo l’ultima goccia del suo caffè.
Quando Tom entrò nella stanza del padre, un odore pungente di alcol gli tappò tutte le vie respiratorie.
Si diresse speditamente verso la grande porta a vetri dalla quale si poteva accedere al balconcino della camera, e la spalancò.
Lasciando che la gelida aria di novembre invadesse la camera, e attenuasse il cattivo odore.
Poi tornò a guardare suo padre, che dormiva con il volto contratto in una smorfia, e capì che il suo malumore non sarebbe passato affatto nel corso della mattinata.
Soffriva nel vederlo ridotto così.
Odiava il dolore che ancora provava e che si portava dentro.
In quegli anni il ragazzo sperò che l’abitudine e, la vita semplicemente, gli alleviassero la sofferenza che gli era stata inflitta da Simone. Ma in realtà Gordon aveva solo imparato a conviverci, e quella ne era la prova.
Delle volte i pensieri e i ricordi gli facevano talmente male che aveva bisogno di bere fino alla nausea per affrontarli, e questo suo figlio lo sapeva bene.
Avevano molti segreti loro due, le storielle che capitavano, le bevute con gli amici, le sbronze, le cattive compagnie di Tom.
E quest’ultimo concedeva tutto a suo padre, perché si meritava di essere felice, e di certo non soffrire così tanto.
Provò a chiamarlo un paio di volte, ma capì che non era proprio aria.
Prima di chiudere la porta guardò suo padre.
Il cuore di Tom si strinse come se fosse pressato in un pugno.
- Io me ne vado..Papà lascialo dormire ok? - disse Tom a Bill ancora seduto
- Dove vai così presto?-
-Devo sbrigare una cosa.. Ci vediamo più tardi.. -
 
 
Era in macchina da qualche minuto, prima di andare al lavoro doveva sbrigare una faccenda importante.
La sua mente era affollata da mille timori.
Il traffico conciliava il susseguirsi di pensieri, di conseguenze, di cose da fare, un tumulto di parole che vorticavano al centro del suo cervello.
Un gomito poggiato al finestrino e due dita che mantenevano il volante dritto erano più che sufficienti per guidare.
Con l’altra mano stava mandando un messaggio a Georg.
Aveva voglia di andarsi a divertire quella sera, e non lo chiamava solo perché a quell’ora il suo caro amico stava ancora dormendo.
Non appena finì di scrivere alzò distrattamente gli occhi, e a pochi metri da lui, che camminava sul marciapiede vide Lis.
Era da un po’ che non la vedeva, o forse gli sembrò di più perché non era mai sufficiente lo scarso tempo che stavano insieme.
E si stupì di se stesso, in quanto quella strana e sconosciuta ragazza gli faceva uno particolare effetto.
Gli piaceva, piaceva tanto, e l’unica cosa che riuscisse a pensare, o a dire era quanto fosse bella.
In vari e impensabili momenti della giornata il sorriso e lo sguardo di lei si stanziavano al centro della sua mente. Avrebbe calato il vetro per chiamarla, ma sarebbe stato troppo pacchiano e scontato per lui.
Si limitò a fissarla, mentre passeggiava in direzione di un posto a lui sconosciuto, senza minimamente notarlo, proprio come la prima volta che la vide.
Nonostante il freddo mattutino, camminava spavaldamente in mezzo ad altre due ragazze.
Una era la stessa che aveva visto alla scuola, e l’altra era una biondina che conosceva molto bene.
E questa inaspettata sorpresa non andò che a suo vantaggio.
Calò leggermente il finestrino, tese l’orecchio per poter ascoltare la sua voce così cristallina e gentile che sorrideva e parlava di qualcosa letto da qualche parte.
Non gli importava cosa dicesse, le vibrazioni delle sue parole gli tolsero dalle spalle e dal volto un po’ di tensione.
 
- Salve.. Lei è Melanie, giusto? - chiese un ragazzo alla donna che era appena uscita di casa.
 Lei lo guardò spaventata, per poi riconoscerlo al volo con un sorriso affannato.
- Oh, tu devi essere il fratello di Bill! - esclamò stringendogli la mano
- Piacere- contraccambiò lui
- Ti serve qualcosa? - chiese prontamente la donna  anche se un po’ confusa
- A dire la verità si.. Io le do il resto di queste.. - disse consegnando alla donna un pacco di foto del marito che la tradiva, che lei prese silenziosamente - se le lei mi farà un favore –
Dopo qualche minuto i due cessarono di parlare, e di prendere accordi.
- Beh, io di più non posso fare, se vuoi davvero proteggere tuo fratello allora mandalo a quella mostra, o saranno guai per lui- la donna guardò per un ultima volta quello strano ragazzo, così diverso dal fratello che lei conosceva.
Le incuteva un certo timore, e la sua figura massiccia e imponente l’avevano addirittura spaventata.
Tom dal canto tornò in macchina mugugnando un’imprecazione non proprio signorile.
 



 
- Cioè- si limitò a dire Karol basita sgranando gli occhi
- Ma io non capisco cos’è tutta questa storia?- disse l’altra alle sue due amiche mentre pranzavano alla mensa della scuola.
- Ancora? Vuoi che te la rispieghi?! - fece ironica Nora
- Sul serio.. Ascolta me, io da queste parti ci sono nata, ce l’ho nel sangue. E ti posso garantire che la guerra tra bande qui è spietata- sentenziò la biondina addentando il suo panino.
- Si, ok, l’ho capito.. Ma cosa volete da me? Io faccio solo ripetizioni alla sorella.. Perché continuate e ripetermi le stesse cose -
- Non stai prendendo sul serio la questione – la mora  prese Lis per un polso, stringendolo anche più del dovuto.
La ragazza sobbalzò nella stretta della sua amica, scrutando cinicamente prima i suoi occhi scuri come la pece, e poi quelli gelidi di Karol.
No, non era affatto uno scherzo per loro.
Soffiò una leggera risatina, scettica e intenzionata a non credere di vivere in una mezza specie di Far West.
- Non è un film questo lo vuoi capire? E’ proprio in questo buco di paese dimenticato da Dio che si fa la droga che gira per tutta la Germania. Muovono un capitale di soldi che tu non puoi neanche immaginare.. Hanno agganci ovunque, non c’è un politico o un poliziotto che non sia corrotto dalla loro droga o dalle loro puttane.. Hai mai visto una macchina della polizia qui intorno? Fanno sparire chiunque gli stia sulle palle, non hai idea delle storie che girano sul loro conto, sembrano bravi ragazzi, ma credimi, non lo sono –  disse gravemente Nora
- Tom è un bel ragazzo, apparentemente tranquillo. Tu hai ragione, non sembra così pericoloso ed effettivamente non lo è, ma gli altri si e ti sono state menzionate solo le cose più stupide – Karol parlò convinta e sicura di ciò che stava dicendo. Come se conoscesse personalmente il soggetto della discussione
- Sentite, io continuerò a fare ripetizioni a Becca, e per quanto riguarda la storia delle bande, dei giri, e quant’altro a me non interessa. Io non ho visto tutti queste teste decapitate o sparatorie- parlò sentendosi pesantemente osservata - Voi li conoscete, io No.. Neanche mi interessa.. - strinse le spalle innervosita
- Promettilo.. –
- Cosa? -
- Che farai solo ripetizioni, niente di più.. Ignora Tom Kaulitz - il timbro perentorio e solenne della voce di Karol, fece rabbrividire la mora, e soprattutto alimentò inconsapevolmente l’interesse che aveva verso il ragazzo.
Non riusciva proprio a spiegarsi per quale motivo le sue due amiche la volevano tenere a distanza da lui.
- Cosa pensi che possa succedere altrimenti? – domandò incredula non riuscendo a trattenere una risata.
- Non deve succedere niente – aggiunse Nora categorica
- Perché vi state fissando così? – domandò seria
Le due interpellate si lanciarono una svelta occhiata.
- Allora? - la incalzò Nora, cogliendola di sorpresa.
Lis si sentì improvvisamente sotto processo.
Tutte le parole gravi e pesanti pronunciate dalle sue compagne, lei non le aveva mai viste, non aveva mai incontrato questi cattivi ragazzi.
Nessuno le aveva parlato di cosa succedesse per le strade di Hellersdorf.
Forse non si era mai interessata, non aveva mai guardato.
Ma guardò il sorriso di Tom, si soffermò a sbirciare nei suoi occhi caldi, ammirare il suo sorriso, la sua voce, questo si, che l’aveva notato. E non ne era spaventata.
Rimase ancora un po’ in silenzio, aspettandosi che una delle due scoppiasse a ridere a crepapelle confessandole che si trattava di una farsa.
Attese invano, in quanto le ragazze non potevano mostrarsi più serie.
- Si – rispose mostrandosi più convincente possibile.
E fu quello che fece, o che, quanto meno tentò di fare.
Nelle ultime tre settimane, era andata praticamente tutti i giorni a casa di Becca, che si rivelò essere messa piuttosto male in matematica. E questo ovviamente gli permise anche di vedere spesso Tom.
Ma cercò di mantenere la promessa fatta alle amiche, e si sforzò di limitare le conversazioni e di rimanere da sola con lui il meno possibile.
Ma più lo evitava e più si ritrovava a pensare a quelle insolite treccine, che incorniciavano quel viso così attraente e affascinante.
Anche uscendo era così, per due anni non si erano mai incontrati, eppure, in quel momento, ovunque andassero si trovavano sempre.
I loro sguardi e i loro sorrisi divennero sempre più penetranti, lunghi e profondi.
Non si guardavano, loro si contemplavano.
Delle volte Lis inosservata, si incantava a studiare gli atteggiamenti del ragazzo.
Cercava quel particolare, quei difetti che tutti vedevano ma che a lei immancabilmente sfuggivano.
Fuori scuola, in giro, in piazza, davanti a qualche pub.
Bastava il suono della voce, la sensazione di avere due occhi cocenti come il sole posati addosso, o un sorriso mozzafiato.
Una sera capitò che Lis era con i suoi amici, in una piazzetta del quartiere, aspettando che il loro gruppo si riunisse.
Sentì dei brividi invadergli la pelle pur non percependo il freddo, senza rendersene conto si voltò indietro, cercando di non dare sospetto a nessuno, e si ritrovò occhi negli occhi con Tom.
Li abbassò timidamente, cercando di camuffare il rossore e la sorpresa.
In pieno inverno a Berlino la pelle le sembrò ardere.
Il ragazzo si trovava dall’altra parte della strada, a un centinaio di metri di distanza, accompagnato dai suoi amici fedeli, il cappuccio della felpa calato sulla testa.
In realtà se la stava guardando già da un po’.
Indisturbato, fece vagare i suoi occhi famelici lungo le gambe messe in bella mostra dalle calze e da un tacco piuttosto alto, salendo fino al suo profilo così armonioso e delicato.
Scivolò poi  sui capelli legati in una bella coda che slanciava la forma del suo volto.
Si gustò la sua risata squillante e simpatica, ne osservò i movimenti, il suo modo di gesticolare.
Fino a quando non si perse in quelle iridi verdi.
Lei si scostò lentamente dal suo gruppo, le braccia lungo i fianchi, in una mano stringeva debolmente una piccola poschette.
Mosse un piccolo passo in avanti e inclinò leggermente il viso per salutarlo, addensando la carica dei suoi occhi.
A Tom sembrò una bambolina, una creatura troppo perfetta per essere vera.
Si calò il cappuccio, mostrando alla ragazza ciò che stava attendendo, la visione mistica di quelle labbra e sorriso peccaminose ed invitanti.
Qualcuno la chiamò, strappandola via da quel sogno, e nel momento in cui Lis si voltò ancora, lo vide di spalle, mentre ormai si allontanava rimettendosi il cappuccio.
Un pomeriggio invece, successe che Tom era insieme a Bill a fare spese al centro commerciale.
La scorse sola, intenta ad ammirare la vetrina di un negozio di scarpe.
Ebbe l’irrefrenabile tentazione di mollare le buste appioppategli dal fratello, e raggiungerla per  poter godere della sua presenza, era così difficile beccarla senza qualche amica alle costole.
Lei distinse il suo riflesso  dal vetro, vide questo portento di un metro e ottanta di muscoli che la osservava. Si voltò di scatto nella sua direzione, trovandosi a pensare che era troppo bello per una sempliciotta una come lei.
Stava per muovere un passo verso di lui, sentire il suo profumo, la sua voce calda, ma suo fratello uscì dal negozio, arpionandosi al suo braccio.
Tom si voltò a parlare a Bill, e quando la cercò con gli occhi, Lis non c’era più.
Quando si incrociavano per casa, purtroppo non c’era tempo e ne possibilità di lasciarsi andare a lunghe occhiate o sorrisi sornioni.
Perché Lis e Becca si erano legate in modo snervante in brevissimo tempo.
La più piccola aveva preso a confidarsi e a parlare di tutto con la più grande.
Si poteva sentirle ridere e sghignazzare.
E questo faceva piacere a Tom, che sua sorella avesse legato con una persona di cui fidarsi, gentile e seria, ma al contempo era consapevole che se avesse fatto un passo falso con Lis, Becca non glielo avrebbe mai perdonato.

 
 
Tom si voltò a parlare a Bill, e quando la cercò con gli occhi, Lis non c’era più.
Quando si incrociavano per casa, purtroppo non c’era tempo e ne possibilità di lasciarsi andare a lunghe occhiate o sorrisi sornioni.
Perché Lis e Becca si erano legate in modo snervante in brevissimo tempo.
La più piccola aveva preso a confidarsi e a parlare di tutto con la più grande.
Si poteva sentirle ridere e sghignazzare.
E questo faceva piacere a Tom, che sua sorella avesse legato con una persona di cui fidarsi, gentile e seria, ma al contempo era consapevole che se avesse fatto un passo falso con Lis, Becca non glielo avrebbe mai perdonato. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=835048