Passion and Patience di myki (/viewuser.php?uid=34405)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno ***
Capitolo 2: *** La lettera ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** Il ballo ***
Capitolo 5: *** La stanza ***
Capitolo 1 *** Il ritorno ***
Passion and Patience
PASSIONE E PAZIENZA
1. IL RITORNO
Si dice che non si può evitare di riamare
chi ti ama.
E questo accade perché è inevitabile provare
un qualsiasi tipo di sentimento per una persona che ti considera tanto
importante. Il problema che affiora non è quello se ciò sia vero, ma se quello
che nasce sia vero amore, incondizionato come sempre deve essere, o soltanto un
riflesso del sentimento di qualcun altro, che nasce per compassione, per pietà,
o forse solo per una voglia di partecipazione nella vita dell’altro, o nella
vita in genere, perché, ritornando a ciò che spesso si dice, se non si è amato
non si è veramente vissuto. Questi sono luoghi comuni, come ce ne sono tanti,
come ce ne sono nei paesi… come ce ne sono a Withby. Uno di quei luoghi dove il
verde ti inonda gli occhi, dove non vedi altro che quel colore, e per quanto ti
sforzi è impossibile vedere in modo nitido le altre cose che da esso si
discostano. In cima a una ripida salita, vicino al cimitero di Saint Mary, si
affacciava una casetta dal tetto basso, le tegole dritte, scure, cotte dal
troppo sole. Una forte porta di legno scuro velava agli occhi del popolo la vita
della famiglia Hampton. Era una casa vivace, dove c’era sempre movimento, e ogni
giornata trascorreva serena, in attesa di qualche grande avvenimento. E quel
giorno tutto era in fermento, e niente era più al suo posto. Tutte le cameriere
erano state messe sull’attenti, e perfino il signor Hampton si stava dando da
fare in casa, cercando però più di controllare la moglie che di lavorare
veramente.
“Oh mio dio.. quando arriverà secondo te?
Non riesco a immaginarmelo! Sarà diventato così alto, e
bello..”
“Calmati, Caty.. e non parlare del Signor
Wade in quel modo..”
“Oh Sarah! È un nostro
amico..”
“Era nostro amico fino a 7 anni fa.. ma è
cambiata ogni cosa, e lui ha una certa posizione sociale
adesso”
“Ti prego, non dire più queste cose! Se
anche è cambiato qualcosa basterà poco per tornare ad essere le sue
preferite..”
“Catherine!”
Le interruppe la signora Hampton “Adesso
stai esagerando.. non siete più delle bambine, e lui non è il solito vicino di
casa.. non devi dire queste cose in giro o potrebbero immaginare chissà quale
interesse..”
“Ma mamma.. sei stata tu che hai detto che
sarebbe stata un’ottima opportunità di matrimonio.. e Sarah ha l’età giusta, ed
è abbastanza carina per piacergli!”
Le parole si spensero dietro la porta che
Sarah si chiuse alla spalle. Nell’altra stanza, china sullo scrittoio, la
secondogenita delle sorelle Hampton stava cercando di non sentire, di chiudere
il mondo fuori dai suoi pensieri, perché aveva troppa paura per mostrare agli
altri tutto quello che si stava scatenando dentro di
lei.
“Come stai
Emily?”
“Bene.. è una splendida giornata.. penso che
me ne andrò a fare una passeggiata in città”
“Ma non puoi! Stasera arriva
Andrew..”
“Mi pareva che avessi appena corretto Caty e
l’avessi convinta a chiamarlo come si
dovrebbe..”
“Non fare la guastafeste.. io e te avevamo
un rapporto speciale con lui, e posso permettermi di chiamarlo per nome finché
siamo sole!”
“Fa come vuoi..”
“Come mai sei così scontrosa oggi? Non sarà
per il suo ritorno..”
“No..cosa c’entra.. è che.. ho dormito poco
stanotte.. e comunque una passeggiata mi farà sicuramente
bene..si”
Lentamente si alzò ed afferrò il fichu che
aveva abbandonato sul mobile.
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, non ce
n’è bisogno, grazie!”
Velocizzando i suoi movimenti si affrettò
verso l’uscita, e Sarah la vide sparire dietro la porta con una strana
espressione. Il carattere volubile della sorella era difficile da comprendere, e
troppe volte ne aveva avuto una prova per potersi spaventare
ancora.
Era pomeriggio inoltrato e l’aria fresca
muoveva le cime degli alberi. Le foglie ondeggiavano al vento frusciando
incessantemente e producevano un sottofondo musicale che la cullava durante il
cammino. Le strade erano ancora affollate di gente, era estate inoltrata e tutti
si attardavano all’aperto. Fanciulle vestite di sgargianti colori, con gonne
lisce o plissettate, ondeggianti per le strade. Uomini vestiti non troppo
elegantemente, come era solito nelle afose giornate d’agosto, che le
sorreggevano per un braccio, o camminavano al loro fianco, aprendosi in larghi
sorrisi, accompagnandoli con ampi gesti delle braccia. Sola, Emily attraversava
la città affollata di chiacchiere e rumori, contenta di essere fuggita alle
domande della sorella e dal silenzio dei suoi pensieri. Da quando era arrivata
la lettera di Andrew non aveva fatto altro che pensare a lui, a quando, sette
anni prima, se ne era andato ad abitare a casa dello zio, poco dopo la morte dei
suoi genitori. Gli zii lo avevano cresciuto come il figlio che non avevano
avuto, gli avevano dato un’educazione, e lo avevano presentato al mondo come il
loro erede. Insomma, pur mantenendo il suo cognome, Andrew Wade era diventato il
futuro possessore di grandi ricchezze, un partito che nessuna fanciulla si
sarebbe fatto scappare. E lui, dopo molto tempo, decideva di tornare in quel
paese dove aveva trascorso i prima vent’anni della sua vita, forse senza pensare
che questo avrebbe significato rivedere lei.
“Non
solo me..”
ricordò a sé stessa.
Ma era più forte di lei: nonostante quello
che diceva, aveva sempre creduto di avere un rapporto speciale con Andrew, e
quando lui se ne era andato aveva perduto una parte di sé.. aveva perso la sua
sicurezza, le sue certezze. Era divenuta dubbiosa, incerta, e tante volte
l’avevano rimproverata per il suo oscillare da un’idea all’altra, senza mai
scegliere, senza mai sbilanciarsi più del necessario. Perché anche se non se ne
era mai resa conto, lui era sempre stato la sua
certezza.
Cercò di riportare alla memoria il suo viso,
ma più ci provava e più si sentiva confusa. Non aveva mai dimenticato niente di
lui, né del tempo passato insieme, ma a poco a poco il suo volto era andato
sfumando, lasciando il posto ad uno più ideale, a quello che avrebbe dovuto
avere una volta divenuto un uomo. Probabilmente la sua vera paura era proprio
questa, scoprire che il ragazzo che aveva aspettato ogni giorno e sognato ogni
notte per sette anni fosse soltanto un’immagine perfetta creata da lei, e che
aveva poco a che fare con l’originale. Perché -cercò di ripetersi mentre
svoltava l’angolo- lui non era più quello di una volta. Troppo coinvolta dai
suoi pensieri non si accorse delle due donne che le vennero incontro. La prima
la salutò con una mano guantata, scuotendo il lungo abito giallo, mentre la
seconda le corse incontro allegramente, senza preoccuparsi di ciò che l’altra le
urlava dietro. Nonostante fosse una donna amante di regole ed etichette, Mrs
Felton era una donna intelligente, e, anche a causa della sua immensa
biblioteca, era la zia preferita di Emily.
“Come stai
cara?”
“Molto bene grazie.. e
voi?”
“Oh! Sono un po’ stanca.. questa pazzerella
mi fa correre dalla mattina alla sera! Per fortuna gli altri due sono entrambi
maschi..”
“Mamma!”
“Su, cara, devi ammettere che Richard non mi
ha mai fatto camminare così tanto, e neanche
James”
Emily si voltò verso la cugina, trattenendo
un sorriso. Adorava Amy. Aveva la stessa età di sua sorella Catherine, ma era
meno interessata alla bella vita, e non aveva come scopo quello di fare un buon
matrimonio. Era una ragazza semplice, che aveva in comune con lei la passione
della lettura e che proprio per questo tante volte fuggiva dai suoi fratelli per
passare del tempo con lei e Sarah.
“Hai già visto
Andrew?”
Le sussurrò Amy
all’orecchio.
“No.. e non mi interessa neanche
vederlo”
“Contenta te.. allora non ti dirò quello che
mi ha detto..”
“..lui? Cioè.. l’hai già
incontrato?”
“Si.. poche ore fa, era appena arrivato e ha
visto me e la mamma per la strada.. è stato così gentile! Non mi aveva
riconosciuta, d’altra parte avevo solo undici anni quando se ne è andato.. ma
sai che era molto amico di mio fratello e mi ha invitata ad andare a pranzo da
lui, domani, insieme a Richard naturalmente, e anche alla mamma se potrà
venire”
“Non ti ha chiesto niente di me .. e di
Sarah..?”
“Oh bè.. mi ha chiesto se stavate tutti
bene, e se pensavo fosse una cosa sconveniente che si presentasse da voi
stasera”
“Stasera?!”
Emily aveva sperato che perlomeno sarebbero
passati un paio di giorni prima che lui avesse trovato il tempo libero di far
visita a
qualcuno.
“Si.. e io gli ho detto che sareste stati
così contenti di vederlo da non far caso all’ora..”
“E quindi verrà
stasera?!!!”
“Non lo so..”
“Ehi, voi due.. di cosa
state parlando?”
“Di niente mamma! Stavo descrivendo a Emily
il nuovo vestito che mi hai comprato”
“Una vera delizia non è vero? Ma su, Amy,
dobbiamo andare.. Emily! dì a mia sorella che deve venire a trovarmi un giorno
di questi.. è troppo tempo che non facciamo qualche pettegolezzo sulla gente di
Withby..”
Ma Emily non stava più ascoltando. Il suo
cervello lavorava veloce, alla ricerca di una scusa per non farsi trovare a casa
quella sera. Era più che decisa ad evitarlo, e anche se non avrebbe potuto farlo
per sempre, sperava che sarebbe riuscita a farlo per quel tanto che le sarebbe
servito a calmare il suo cuore. Non lo aveva ancora visto, e già lui era tornato
ad occupare gli istanti della sua vita. Completamente rapita dai suoi pensieri
si era allontanata dalla città, dirigendosi automaticamente verso casa. Non
ricordava neanche di aver salutato la zia ed Amy, ma sapeva che non se la
sarebbero presa in ogni caso. Imboccò uno dei sentieri del bosco, quello che
portava dietro la vecchia casa degli Wade. George e Caroline Wade
erano stati per lei come dei secondi genitori. Le volevano bene, e la trattavano come una di
famiglia… ma ovviamente la consideravano come tale, data l’idea che sua madre
aveva dato loro: quella di unire le due famiglie facendo sposare Andrew con
Sarah. Non sapeva perché, ma l’idea non le era mai andata giù. E fortunatamente
era stata la stessa cosa anche per Sarah. Davanti ai suoi occhi apparve d’un
tratto l’immensa casa bianca, e subito una sensazione familiare le attanagliò lo
stomaco. Strinse le braccia al petto, sentendo sotto le mani i brividi della
pelle, lasciata scoperta dalle maniche del vestito che arrivavano solo fino ai
gomiti. Rimase lì per molto tempo. La nebbia fasciava il bosco, una strana
brezza aleggiava sui verdi campi, trasportando, ampliandoli, i rumori che
provenivano da sotto il fogliame, opera di animali dormiglioni svegliatisi sul
far della sera. Il sole tramontava calando lento, come se non volesse andarsene
e lasciare il posto alla sorella luna. Per quanto il paesaggio fosse bello però,
la mente di Emily non si era ancora allontanata da quel primo pensiero che la
tormentava e consumava dall’interno. Improvvisamente, tutti i motivi per cui se
ne stava fuori, tutte le ragioni che aveva accampato per evitarlo suonarono
vuote e senza senso. Probabilmente le avrebbe fatto bene rivederlo.. magari era
diventato egoista e presuntuoso, come quelli del suo rango. Magari possedeva uno
strano accento cittadino, di cui si sarebbe servito per impressionarla, sarebbe
stato galante ma noioso, arrogante come pochi altri che aveva conosciuto. E lei
l’avrebbe dimenticato, cancellato dalla sua memoria come se non vi avesse
dimorato neanche per mezzo secondo. Presa la sua decisione, riprese la marcia
verso casa, velocizzando il passo ogni volta che qualche dubbio tornava ad
insinuarsi tra le pieghe della mente. Quando vide da lontano la casa si mise a
correre, gettandosi a perdifiato giù dalla collina. Affannata, spinse la porta,
per trovare tutti riuniti in sala da pranzo.
“Sono
tornata!”
“Emily! Ma dove sei stata tutto questo
tempo?”
“Io.. scusate, non mi ero resa conto.. ora,
vado subito a cambiarmi”
“Non ce n’è bisogno cara. Il signor Wade è
appena andato via..”
“E’ stato
qui?”
Il mondo le crollò addosso. Era venuto e se
ne era andato.
“Vieni Emily, andiamocene di
sopra”
Trascinata dalla sorella salì le scale, e
non si accorse di essersi seduta fin quando non le venne voglia di alzarsi. Una
volta in piedi misurò la stanza a lunghi passi, continuando a rimuginare sui
suoi pensieri nonostante Sarah continuasse un discorso del quale, pur con la
voglia di farlo, non afferrò neanche una
parola.
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Capitolo 2 *** La lettera ***
Perdonate il ritardo… ma la verità è che
avevo pubblicato il primo capitolo proprio per spingermi a continuare questa
storia… che altrimenti sarebbe rimasta chiusa nella mia mente. Inoltre… mi sono
data un po’ da fare, ed ho letto un po’ di libri per calarmi meglio nella vita
quotidiana del periodo. Cosa che non mi terrà lontana dagli errori… anzi, vi
prego di dirmi tutte le volte che sbaglio!
Per il resto, spero che la storia vi
incuriosisca almeno un po'. Io ci tengo infinitamente, e spero di restituirvi
almeno un riflesso della gioia con cui scrivo.
2. LA
LETTERA
La sera le era parsa lunghissima e la notte
estenuante. La sua mente non riusciva a concentrarsi su nient’altro se non su di
lui. Aveva detto a Sarah che l’avrebbe uccisa se gliene avesse parlato, ma poi
aveva passato tutta la mattina ad inseguirla per la casa, per conoscere da lei
qualche dettaglio in più su come era diventato. Durante il pranzo fu impossibile
frenare le chiacchiere di sua madre e di sua sorella Caty, che parlavano di lui
come fosse stato l’uomo più gentile che avessero mai incontrato. E ciò non
aiutava Emily a toglierselo dalla testa.
“Non è solo gentile... è educato, e
istruito”
“E bello, mamma, hai dimenticato
bello!!”
“Certo cara, la bellezza è
importante...”
Emily non si trattenne più. Si piegò sulla
sorella maggiore e sussurrò:
“Ma è davvero così
bello?!”
Sarah era una persona concreta. Non una che
avrebbe perso la testa per chiunque.
“Non dovrei infierire ma... è un uomo
affascinante”
Emily ingoiò a vuoto, cercando di farsi
coraggio. Quando l’avrebbe visto? L’attesa la stava uccidendo. E sembrava che
tutti lo avessero già incontrato almeno una volta, tranne lei. Tutto il paese ne
parlava, non c’era un argomento più amato, nè persona che non volesse vantarsi
di sapere qualcosa in più del vicino.
“Ma è vero che lui è qua per cercare una
moglie?”
Chiese Caty con la sua vocetta stridula,
portandosi indietro i boccoli scuri.
“Oh cara, non si sa per certo! Anche se il
fatto che sia tornato qua, nel luogo dove è
nato…”
“In effetti è piuttosto strano che un uomo
come lui non si sia ancora sistemato” osservò
Sarah.
La bionda spiava Emily ascoltare tutto con
molta attenzione, in silenzio, senza osare aprir bocca, persa in pensieri che
lei poteva conoscere solo in parte. La vide alzarsi da tavola senza aver quasi
toccato cibo, e lasciare la stanza con la scusa di un mal di
testa.
*
“Cosa dite,
moglie?”
“La
verità!”
“Ma non è possibile, è passato tanto tempo,
e sono cambiate così tante cose…”
“Vi dico che è così, bene o male lo pensano
tutti, e non ci sarebbe altro motivo”
L’uomo prese a misurare la stanza a grandi
passi, tenendo le mani legate dietro la schiena, e continuando a parlare ad alta
voce tra sé, senza più degnare di uno sguardo la
moglie.
“Allora, che ne
pensate?”
“Penso che non ne sappiamo
abbastanza”
“Ma è certo un buon
partito!”
“Non metto in dubbio l’integrità del Signor
Wade, ma la sincerità delle vostre parole”
La signora Hampton si irrigidì, accusando il
colpo. ma rialzandosi in fretta per merito
dell’abitudine.
“Vi dico solo ciò che già pensano tutti:
Andrew è tornato per sposare Sarah!”
*
Seduta sulle scale di legno che avrebbero
dovuto portarla nella sua camera, Emily sentì risuonare quelle parole nella sua
testa, tanto forte da farle male. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma le
ricacciò indietro infastidita, decisa a non mostrare il suo
dolore.
Il nuovo giorno portò nuove chiacchiere,
nuovi argomenti di discussione grazie ai quali le donne del paese avrebbero
potuto intrattenersi per giorni. Si diceva infatti che a casa Hampton fosse
giunta una lettera, proveniente dalla dimora degli Wade, e ciò convinse anche i
più scettici che qualcosa che lo legava a quella famiglia dovesse esserci
davvero. Ed effettivamente, per una volta la lettera c’era, non era indirizzata
a nessuno in particolare, ed era stata aperta con gioia dalla Signora Hampton,
che aveva voluto tutte le figlie riunite in salotto per leggerla ad alta voce. E
sebbene Emily fosse molto curiosa, riuscì ad afferrare ciò che vi era scritto
solo per metà, tanto che non appena la madre si ritirò in cucina si affrettò a
recuperare la lettera e a portarla nella sua stanza. La dispiegò con mani
tremanti, rimanendo immediatamente colpita dalla calligrafia chiara ed elegante,
che pur non volendo, le strappò un sorriso
malinconico.
Dopo molto
tempo mi sono deciso a tornare dove sono cresciuto,
e a
rioccupare la vecchia casa che fu dei miei genitori. I miei zii non vollero
venderla proprio perché pensavano sarei stato felice di tornarvi, e sono
contento di farlo adesso.
Sono
passati alcuni anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti, ma ricordo con
affetto il tempo trascorso insieme e l’appoggio che mi avete dato alla morte dei
miei genitori. Proprio per questo ci terrei molto a riallacciare il vecchio
rapporto di amicizia nato tra voi e la mia famiglia.
Mi farebbe
piacere invitarvi già da ora a pranzo nella mia casa, sebbene non sia stata
ancora interamente rimessa a posto dopo la mia lunga assenza, e non possa essere
così accogliente come vorrei che fosse.
Mi scuso
in anticipo, se tutto ciò dovesse risultare inopportuno, come credo che in parte
sia, e in mia discolpa posso dire solo di essere mosso dai sentimenti
migliori.
I miei
ossequi
Andrew Wade
Un invito!
Emily richiuse la lettera, nascondendola poi
infondo al cassetto. Portò gli occhi sullo specchio, studiando il suo riflesso
come non faceva da tempo. Il volto era pallido, la pelle chiara, in contrasto
con la bocca piccola e rossa. Un paio di occhi castani la fissavano, non belli
come quelli di Sarah, né brillanti come quelli di Catherine. Morbidi capelli
biondo cenere le ricadevano sulle spalle, non affascinanti come quelli rossi di
Amy, ma abbastanza per essere il suo unico vanto. Provò a chiedersi quanto fosse
cambiata in quegl’anni, a quanto avrebbe potuto apparire diversa a lui, una
volta che l’avesse vista. In realtà, non poteva nemmeno pensare al loro
probabile incontro senza che il cuore le scoppiasse nel petto, fuori da ogni suo
possibile controllo. Non capiva.
Non
poteva.
Non ancora.
Note:
Fine!! Uff!! come sono agitata… che ne pensate?! E
dalla prossima volta arriva Andrew perciò dovrò impegnarmi al meglio per
descriverlo in tutto il suo fascino ;)
Perdonatemi inoltre per la brevità di questo capitolo,
ma credevo fosse meglio spezzare temporalmente la situazione.
X soad: È inutile scusarmi per il ritardo
inumano, perciò ti ringrazio per aver apprezzato da subito la mia storia.
Fortuna che è apparsa interessante dall’inizio!
Baci
X MaryMatrix: eh… già, credo che il mio
stile dopotutto non cambierà poi molto. In realtà spero che sia un po’ più
maturo, per lo meno… e grazie, grazie per tutto. Perché hai letto anche questa…
e perché mi hai ricordato che l’avevo abbandonata. Dopotutto, è anche per te che
ho ripreso in mano tutti miei spaiati appunti!!
X mArtinz: ehhhhhh… il mio presto si è fatto
un po’ aspettare! Scusa. La scuola mi ha impegnata tantissimo… ma non ci sono
scuse, perciò mi prostrerò in ginocchio! Sono felice che questo sia il tuo
genere! Sapevo che Harry Potter non ti piaceva tanto, ma spero che almeno qui il
mio romanticismo non stoni! Un abbraccio
X Tigerlily: Mmh… hai notato eh? E io che ho
cercato a lungo 2 parole che iniziassero per “P”… proprio per avvicinarmi a
“Pride and Prejudice”.. e comunque, la storia a te l’ho raccontata, perciò sai
che è molto diversa. La verità è che non voglio affatto riprendere Jane Austen
–cosa impossibile- ma scrivere qualcosa che mi è stato ispirato dai suoi libri.
Ho amato così tanto quell’atmosfera, quelle parole, quei luoghi… e tutti quei
sentimenti che nascono –e crescono- nell’ombra! Ho cercato solo di farli
rivivere… ^^ Ma grazie per i complimenti, e per la costanza. E come vedi ti ho
accontentato, dato che qualcosa riguardo al loro aspetto si vede già in questo
capitolo… a presto
X Viu_5: Grazie!!! Spero davvero che
continuerai anche questa storia… nonostante la mia scarsa costanza… ma
probabilmente sarò spinta anche dai tuoi complimenti, perciò.. grazie per tutto
il tuo appoggio!! ti voglio
bene
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Capitolo 3 *** L'incontro ***
CAPITOLO 3: L’INCONTRO
La finestre erano state spalancate, le camere riordinate. Da ogni mobile era
stato tolto il sottile telo bianco che lo aveva rivestito in quegl’anni di
silenzio. Il cielo ruggiva al ritorno del padrone di quella casa che per anni
avevano ritenuto maledetta, il vento scuoteva le cime degli alberi, e la pioggia
sottile colpiva fitta la terra, rimasta incalpestata forse troppo a lungo. La
dimora era grande, troppo per un uomo solo, ma Andrew sentiva di essere tornato
a casa. Quel posto, più di qualsiasi altro al mondo, riusciva a trasmettergli
tutto il calore della famiglia che aveva dimenticato di avere, quella di cui i
suoi zii avevano sempre cercato di non fargli sentire la mancanza.
I suoi passi sul tappeto erano leggeri, un
rumore quasi inesistente, nonostante in quello squarcio di campagna ci fossero
ben pochi rumori a coprirlo. La città gli mancava. Non aveva mai amato il
frastuono delle strade e i continui doveri che il suo titolo gli imponevano, ma
all’improvviso capiva che tutta quella confusione e tutti quegli impegni avevano
i loro vantaggi.
Non si era mai sentito solo, in città.
I quadri alle pareti gli riportarono varie
immagini alla mente, sprazzi di ricordi rimasti troppo a lungo tra la polvere
della sua memoria, sotterrati da altri più recenti.
Sua
madre.
Che lo rincorreva nel piccolo giardino
dietro casa.
Suo
padre.
Che gli insegnava a leggere, e ad andare a
cavallo.
Un sorriso amaro gli piegò le labbra in una
smorfia, mentre avanzava verso l’enorme biblioteca della casa. Un tempo, aveva
adorato quel posto.
In quella stanza, erano contenuti tutti i
suoi più vividi ricordi, tutti quelli che avevano continuato a tormentarlo
nonostante il trascorrere del tempo.
Andrew lasciò che una mano accarezzasse la
porta di legno scuro, sentendo sotto le dita la consistenza del legno. Un
sospiro gli uscì dalle labbra, risuonando nel corridoio vuoto, ricordandogli che
a dispetto delle sue illusioni il tempo era passato davvero. Spinse lentamente
la porta, aprendo uno spiraglio abbastanza largo da poter osservare l’interno.
Emily.
Per quel ricordo non ci sarebbe stata mai
abbastanza polvere.
*
L’erba era morbida sotto il suo corpo, e le
dava una sensazione particolare. L’aria le scompigliava i capelli raccolti e le
muoveva gentilmente la gonna, che frusciava a terra. Era appoggiata sui gomiti,
le mani strette attorno all’ultimo libro sottratto da casa di Amy, troppo
concentrata per cogliere qualsiasi fenomeno si fosse scatenato all’esterno del
suo piccolo mondo. Sentiva ancora l’odore di umido lasciato dalla pioggia del
giorno prima, ma il sole che splendeva in quel momento riusciva a sollevarle
parecchio il morale, nonostante le notti insonni che aveva sopportato dopo il
ritorno di Andrew. Dolci incubi avevano continuato a tormentarla durante la
notte, sostituiti dai vividi ricordi che la luce del giorno le riportava alla
mente. Ormai aveva perso il conto di quante volte era corsa a quel cassetto dove
teneva nascosta la sua lettera, solo per tenere qualcosa di suo davanti agli
occhi, e convincersi per la milionesima volta che tutto fosse reale. La cosa più
sorprendente era che ancora non lo aveva visto. Sembrava che Andrew si fosse
rinchiuso in casa, ignorando di proposito ogni invito che gentilmente gli veniva
spedito dalle famiglie della zona. Nessuno capiva quel comportamento, e tutti, a
maggior ragione, cercavano di indagarne i motivi. Ma non c’erano motivi per il
suo comportamento, lei lo sapeva. Andrew era capriccioso, spensierato, libero. A
lui non era mai importato di infrangere le regole di cortesia, pur di starsene
in pace, a leggere magari, lontano da ogni costrizione e
obbligo.
Correva.
Correva per i corridoi intrecciati della
casa, in cerca di Andrew.
Dove si era cacciato? Erano ore che suo
padre lo cercava.
Sotto i tavoli, dietro le porte.
Uff! cominciava a
spazientirsi…
“Emily!”
“Andrew… ma che fai
lì?”
Stravaccato sulla poltrona dello studio con
un libro in mano lui la guardò con aria
sorpresa.
“Leggo”
“Ma siamo in ritardo per la
cena!”
“Oh ma Emily! Io sto viaggiando capisci?
Come puoi impedirmi anche questo? Non hai
cuore…”
E invece, ce l’aveva eccome. Era
quell’affare in mezzo al suo petto che l’aveva fatta soffrire ogni giorno della
sua vita. Che le aveva mostrato le stelle per poi rigettarla nel baratro. Ed
Andrew era colui che avrebbe incolpato per questo.
*
Arrivò di fronte alla casa della zia, e si
preparò a bussare, lisciandosi le pieghe del vestito. Era stranamente nervosa, e
le mani le tremavano leggermente.
“Sarah! Che piacere vederti… entra pure
cara”
“Grazie
zia”
La casa era splendente come al solito, e
Sarah si riscoprì a guardarla meravigliata. Aveva sempre immaginato che avrebbe
avuto una casa come quella, una volta che si fosse
sposata.
Magari proprio
questa…
Il rossore che si era diffuso sul suo viso
durò solo pochi istanti, il tempo che la zia le propinasse le solite formule di
cortesia, e la invitasse a recarsi nel salotto dove già si trovava
Amy.
“Sarah! Che bello vedervi… come
state?”
Amy era allegra come al solito, e l’accolse
con un abbraccio caloroso. I suoi lunghi capelli rossi le arrivarono davanti
agli occhi prima che potesse rispondere qualsiasi altra cosa, e Sarah le sorrise
sincera, non resistendo all’entusiasmo della cugina. Non conosceva persona che
non le volesse bene. Amy era sempre sorridente, amava ballare, e chiacchierare
con tutti, ma non era sfacciata, né l’aveva mai vista comportarsi in modo più
che conveniente. Era una sognatrice, proprio come Emily. Entrambe vivevano
nell’incoscienza della speranza, nel tiepido sussurro di quell’amore romantico
tanto osannato che a lei faceva paura, e tentava di
fuggire.
Inutilmente.
“Bene… sono venuta solo per riportare un
libro, ma se…”
“Certo cugina, come volete voi! -disse Amy girandole attorno con uno
sguardo eccitato- La biblioteca sapete dov’è
no?”
Leggermente la rossa spinse l’altra verso la
porta, cercando di metterle fretta.
“Ma…”
Sarah non riuscì a ricevere spiegazioni. Amy
chiuse la porta del salotto, e lasciò che lei si dirigesse da sola verso la
sala, guardandosi attorno per non rischiare d’incontrare qualcuno che non
desiderava affatto. O che desiderava troppo.
La stanza illuminata le si presentò davanti
agli occhi prima che se lo aspettasse, come se a raggiungerla non fossero stati
i suoi piedi. L’odore particolare di quel luogo le giunse subito alle narici, e
le fece chiudere gli occhi per un istante. Nonostante faticasse ad ammetterlo,
invidiava sua cugina per quella fortuna. I soldi non erano mai stati una
preoccupazione per Sarah, ma se era con quelli che avrebbe potuto procurarsi una
cosa del genere, allora avrebbe cominciato ad apprezzarne il valore. Camminò
fino a raggiungere il centro della stanza, uno spazio rotondo limitato da varie
poltroncine posizionate in cerchio. Ne vide una spostata di lato, e avvicinata
alla finestra. Sarah si avvicinò per prendere tra le mani il libro aperto che vi
era stato lasciato sopra.
Les confessions, Jean-Jaques Rosseau.
Indietreggiò spaventata cercando di
andarsene senza far rumore, ma urtò il tavolino di cristallo e fece rovesciare
un’altra pila di libri dimenticati da quelle
parti.
Solo una persona poteva leggere quel
libro…
“…Sarah?”
Richard…
Il proprietario della voce apparve da dietro
un alto scaffale di legno scuro, e la guardò con occhi sorpresi cominciando ad
avvicinarsi.
“Ancora Rosseau?” – chiese lei con voce
flebile.
“È un tipo
interessante”
“È
francese”
“Ciò non toglie che sia
interessante”
Si era avvicinato troppo, arrivandole
davanti. Odiava saperlo così poco
distante. La distraeva da qualsiasi cosa volesse fare o dire, ed era piuttosto
incredibile per una persona razionale come
lei.
“Ciò non toglie che sia francese” – rispose
lei con un sorrisino.
Lui le tolse il libro dalle mani, e si aprì
in uno di quei rari sorrisi sinceri che andavano al di là di ogni
convenienza.
“Non vi ho chiesto se volete sedervi… perché
dobbiamo sempre litigare prima che possa farlo per scusarmi, e adesso penso di
poterlo fare”
“Noi non litighiamo… siamo solo di pareri
contrastanti”
“Non è affatto vero! Voi dite il contrario
di quello che dico io solo per farmi
arrabbiare”
Sarah piegò la testa di lato, guardandolo
forse con troppo amore.
“Allora… mmh… voi e James ci sarete alla
festa dei Darrel?”
Lui sorrise in modo strano, fissandola
attentamente.
“L’uomo è nato libero e ovunque si trova in
catene*”
“Significa che siete stati
obbligati?”
“Significa che nostra madre ci disereda se
non veniamo”
L’attimo di trance in cui era caduta mentre
lo guardava negli occhi svanì e quando lui si allontanò lei poté riacquistare la
sua lucidità.
“Rousseau aveva ragione
allora”
Lui si volse stupito, ma non
sorpreso.
“Aveva
ragione”
*
La casa era silenziosa e piuttosto buia. Si
erano recati tutti alla festa dei Darrel, e per le stanze erano ancora sparsi i
fiocchi di Catherine e le scie di profumo della madre, ma Emily non se l’era
sentita di andare. La testa girava come una giostra, e la mente non le lasciava
riposo. Era stanca, e non aveva sonno. Era affamata, e non se la sentiva di
mangiare. Ogni azione costava fatica, e ogni gesto le ricordava qualcosa di ciò
che credeva dimenticato per sempre.
Dimentica.
Chiudi gli occhi e
dimentica.
Non
può essere così difficile… non deve esserlo.
Rumori di zoccoli la distrassero dalle sue
riflessioni, e la spinsero a riportare l’attenzione sul mondo reale. Poi,
incuriosita, si avvicinò al vetro della finestra, spiando nell’oscurità. Le
chiome degli alberi incutevano un certo timore, illuminate dalla luce soffusa
della luna soltanto a chiazze, e le case più vicine sembravano perdersi nella
nebbia sottile che aveva circondato tutto come un guanto. Da un cavallo che si
era fermato al limitare del loro giardino scese un cavaliere vestito di scuro,
che si mosse a passi veloci verso la casa. Emily si affrettò alla porta
correndo, indecisa su cosa pensare, e su quanto tempo aveva per pensarlo. Aprì
cauta la porta, prima ancora che Andrew bussasse, facendolo rimanere con la mano
alzata verso l’alto, bloccata a mezz’aria come le sue parole, che davanti alla
vista di lei erano rimaste incatenate alla sua
mente.
“P-prego
entrate”
“No! Non mi sarei permesso di disturbare a
quest’ora se avessi saputo che qualcuno della famiglia era ancora in
casa”
“Non me la sono sentita di partecipare alla
festa… ma vedo che neanche voi avete poi mantenuto l’impegno di
parteciparvi”
“Sono stato trattenuto da impegni molto
importanti, ma stavo per recarmici adesso, se vi preme
saperlo”
Emily sussultò, incapace di contenersi
oltre.
“Non mi preme affatto; intendevo solo
ricordarvi il vostro ruolo, e quanto sia importante la vostra presenza a eventi
di tal genere… per quanto di livello assai inferiore a quelli ai quali di sicuro
sarete abituato”
Il volto di lui apparve deluso da quello che
aveva detto, ed Emily stessa non riusciva a capacitarsene. Con lui non era mai
riuscita a mentire, e anche adesso riusciva a sputargli in faccia tutta la
rabbia che provava per quella gente a cui credeva che lui appartenesse, gente
senza ritegno e rispetto per nessuno, che si faceva ammirare per le ricchezze e
amare per la stessa ragione. Prese fiato ancora una volta, e sbatté gli occhi
per convincersi che tutto era reale.
Che Andrew era davanti a lei, per la prima
volta dopo otto anni, e lei lo stava
insultando.
*La frase non è però tratta dalle
“Confessioni” ma dal “Contratto Sociale” del 1762, che influenzò la Rivoluzione
Francese. Richard commette volutamente “l’errore” perché è sicuro che nonostante
quello che dice anche Sarah abbia letto entrambi i libri, ed ovviamente ha
ragione!
Chiedo davvero perdono per il ritardo, ma non
posso promettere niente per questa storia. È talmente tanto che si trova nella
mia testa che ormai possiede mille strade diverse, e mi manda in tilt. Inoltre,
è la cosa più seria che abbia pubblicato su questo sito, l’unica in cui ogni
cosa sia completamente mia. Nonostante questo, continua ad essere solo un
abbozzo. E spero davvero che mi aiutiate voi a migliorarla sempre di
più^^
X crici_82: Ovviamente anch’io adoro Jane
Austen… come si potrebbe non farlo? ^O^ Il titolo è anche un omaggio a lei, non
a caso fa P&P esattamente come Pride
and Prejudice!! Sono felicissima che ti piaccia e spero continuerai a
seguire… baci**
X MaryMatrix: Il belloccio del vicino ha
fatto capolino visto?! Al più presto ci sarà anche una sua descrizione fisica lo
prometto [il vero problema riguardo a questo, è che le descrizioni fisiche sono
rare nei libri di questo genere, e non a caso vi sono sempre e solo accenni
anche in quelli della Austen] Per l’anacronismo poi hai assolutamente ragione!
In effetti, sarebbe stato impossibile creare veramente una storia inserita in questo
contesto, almeno per me e in questo momento, dato che per approfondire le
abitudini e i costumi del periodo ci vorrebbe molto più tempo libero! Stesso
discorso vale per lo stile, che purtroppo per me non assomiglierebbe a quello di
Jane Austen neanche se mi affidassi a tutti gli dei della storia. Ti ringrazio
lo stesso per i complimenti ^O^
-anche se tu sei di parte!- p.s ritardo? Quale ritardo??! Non hai notato
con quanta tempestività continui
questa storia? -_-“
X Tigerlily: Considerato che la tua
recensione risale a Hobbes, penso che forse un po’di ritardo lo abbia davvero
(mmh… ci ragionerò con calma^^) In ogni caso, detto da te, tutto ciò che hai
detto è più che fantastico! (da notare la quantità di dettagli in questa recensione…), e sono
davvero contenta che questa storia abbia passato il tuo critico esame su
Austen&affini… non avrei mai voluto deluderti!! 1
bacione
X charlie93: Effettivamente l’idea della
lettera mi è sempre piaciuta, vedrai che ce ne saranno delle altre… d’altra
parte la lettera che Wentworth scrive ad Anne in Persuasione è una delle più belle che
abbia mai letto… ed è anche merito di quella se ho cominciato a scrivere questa
storia!! Grazie di tutto… a presto
|
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Capitolo 4 *** Il ballo ***
CAPITOLO 4: IL BALLO
Il lampadario di cristallo ondeggiò leggermente, attirando gli
sguardi delle coppie disposte nel salone centrale. Le donne stavano in fila
sulla sinistra, attendendo l’inizio di una nuova danza. Il fruscio delle vesti
venne subito attutito dalla musica, e i movimenti al centro della sala accolsero
su di sé gli occhi dei signori rimasti seduti, e delle dame dalle vesti
cangianti che si erano date alla conversazione. Sarah volteggiava nella sua
veste azzurro cielo, roteando gli occhi in cerca di qualcuno che non era
ancora arrivato. Il suo cavaliere la osservava cercando di catturare la sua
attenzione, ma senza risultati evidenti. Il primogenito della famiglia Harris
era un giovane di bell’aspetto, dai lineamenti severi, e già da molto tempo
aveva sviluppato un particolare interesse per Sarah, che a sua madre quanto agli
altri non passava inosservato.
Richard Felton si avvicinò a grandi passi alla sala,
nient’affatto preoccupato per il ritardo. La festa dei Darrel era ormai una
tradizione della città, ma il loro vizio di decantare qualità e virtù di tutto
ciò che si trovava in casa era oltremodo insopportabile, e aggravato dal
carattere esuberante e dal nome improbabile dell’unica figlia, che troppo spesso
si era dichiarata pronta ad un’unione tra le due famiglie più influenti dei
dintorni. Come se non avesse fatto altro che aspettarlo, difatti, Lysetta Darrel
si avvicinò al giovane che era entrato, chiedendogli come fosse possibile che
non l’avesse ancora invitata a ballare.
"Ero assai impegnato a notare la grazia con cui venivate verso
di me, e non avrei mai osato togliere tale visione agli sfortunati che non
otterranno neanche una vostra parola stasera"
"Sempre galante Mr.Felton, mi chiedo come non abbiate ancora
trovato moglie"
"Probabilmente perché non l’ho ancora cercata"
"Spero che quando lo farete non siano già scappate
tutte"
Richard le prese la mano per accompagnarla sulla pista, pensando
che non sarebbe neanche valsa la pena di dirle che se anche fosse successo, le
possibilità che sposasse lei avrebbero continuato a trovarsi sotto lo
zero.
*
Nonostante tutto, continuava a pensare di non aver fatto niente
di sconveniente.
Seduto sulla poltrona più morbida dello studio, la testa
reclinata all’indietro, e i piedi poggiati sul camino, Andrew Wade aveva ormai
rinunciato a presentarsi a casa dei Darrel, benché la cosa sarebbe stata
certamente notata, e chiacchierata come ogni altra. Come al solito, però, non
preoccupandosi affatto di quello che la società potesse o meno pensare su di
lui, si lasciò andare a pensieri ben peggiori. Chiudendo gli occhi per un
istante tornò a rievocare l’immagine di Emily che si era presentata ai suoi
occhi di adulto, completamente diversa da quella che lui teneva gelosamente
nella memoria. Gli occhi immensi e scuri erano ancora al loro posto, il viso
aveva mantenuto la stessa espressione.
Ma sulla soglia di quella casa buia, illuminata dal solo
chiarore della sera, era apparsa una donna sognata per troppo tempo, che aveva
infine trovato un corpo, ed era tornata alla sua mente non più come un’idea
astratta, ma come una persona in carne e ossa. Una veste del color delle foglie
d’Ottobre le fasciava il corpo, lasciando scoperte quasi tutte le braccia e il
collo, su cui ricadevano inerti i capelli usciti incautamente fuori dalla
crocchia. Le mani erano riuscite a tenersi per lo più intrecciate sul busto, ma
alla fine lui l’aveva vista ricadere nel suo solito vizio, e agitarle in aria in
modo scomposto.
Gli era apparsa semplicemente bellissima, e non era riuscito a
tenerle testa nella conversazione, tanto era distratto dal resto. Dalla
lucentezza dei suoi occhi, dal suo sguardo fiero, dalla sua pelle chiara. Dai
movimenti delle sue labbra mentre parlava, che lo incantavano come niente era
riuscito a fare in tanti anni. E come niente sarebbe mai riuscito a
farlo.
Il silenzio era in quel momento opprimente, e la sua casa gli
apparve più immensa che mai. D’improvviso, l’idea che Emily fosse così vicina, e
che avrebbe potuto recarsi da lei in pochi passi, lo sconvolse tutto. La
immaginò rigirasi il suo invito tra le mani, seduta sul letto.
Verrai?
Gli era costato molto decidere di dare un ballo, specialmente
dopo aver saputo di essere stato battuto sul tempo dalla festa dei Darrel, ma
per qualche ragione sapeva che solo in quel modo avrebbe potuto riallacciare i
rapporti con gli Hampton.
D’altra parte, invitare mezza città appariva come l’unico modo
decoroso per invitare Emily.
Si alzò dalla poltrona, cercando qualcosa da bere.
Qualcosa di forte.
Qualcosa che non gli ricordasse che se aveva organizzato un
ballo per duecento persone, era per invitarne una soltanto.
E dato che c’era, annebbiasse nella sua mente il ricordo di lei
scarmigliata sulla porta.
Ne andava dei suoi ultimi sonni tranquilli.
*
Dopo il quarto giro, Richard riuscì a liberarsi definitivamente
di Lysetta, mollandola tra le braccia di un ufficiale dalla carriera
promettente. Stare con lei era infinitamente stancante, e non vedeva l’ora di
tornare a casa per intrattenersi con qualcosa di ben più culturale delle sue
chiacchiere. Schivando per un pelo la madre di lei, già pronta ad assalirlo con
una delle sue richieste, si avvicinò al terrazzo, dove con sorpresa riconobbe
James.
"Hai abbandonato l’alta finanza per lo studio delle
stelle?"
Il fratello lo guardò contrariato, con quello sguardo
corrucciato tanto diverso dal suo che non sembrava vero potessero essere nati
dalla stessa madre.
"Nient’affatto. Mi ero solo ritirato in cerca di silenzio… non
lo desideri anche tu dopo tante chiacchiere inutili?"
"Per quanto strano, trovo la Signorina Darrel tutt’altro che
inutile, stasera. Mi ha appena mostrato perché non ho ancora preso
moglie"
L’altro lo guardò sorridendo, e infilando le mani nella
giacca.
"Perché hai paura di un rifiuto?"
"Perché non ne ho trovata una che mi dica qualcosa in più di
quello che si impara a pappagallo"
Nuovamente, James sorrise, guardando l’altro con un certo
disprezzo.
"Benché personalmente preferisca i pappagalli alle donne, una
che sia come tu dici io la conosco"
"E puoi presentarmela?"
*
La carta frusciò tra le sue dita, provocando un suono familiare. Quell’invito
scottava tra le sue mani come se l’avesse appena ritirato dal fuoco, e mandava
il suo cuore ad una velocità impressionante. Continuò a camminare su e giù per
la stanza, in preda al panico al ricordo di lui che le porgeva la lettera,
ritirando in fretta la mano.
"Vi prego di accettare l’invito, da parte di tutta la vostra famiglia
ovviamente, perché niente potrebbe rendermi più felice del ritrovare amici
perduti"
"Le mie sorelle ne saranno molto contente, ne sono sicura"
"Lo sarete anche voi spero"
"Ho sempre ritenuto che i balli fossero…"
"…incontri già organizzati da genitori in cerca di modi onorevoli per
accasare i figli?"
"Già…"
"Prometto di non accasarvi con nessuno, e di trovare per vostra madre
interessanti intrattenimenti che la distolgano da questi"
"A costo di ballare con lei per tutta la sera?"
"Questo non posso promettervelo, a meno che non vogliate che un gentiluomo
come me rischi di non mantenere la parola data"
"Non posso correre questo rischio"
"Strano. Ricordo che vi è sempre piaciuto il rischio…"
Emily si diresse infine verso la cucina, incapace di stare con
le mani in mano. Finché Sarah non fosse tornata, avrebbe dovuto tenersi
impegnata, o il pensiero di Andrew l’avrebbe fatta
impazzire. Afferrò un bollitore per prepararsi del the, e si sedette a guardarlo
fin quando fu pronto. Il tavolo di legno era ancora ingombro delle ceste vuote
riportate dal mercato, perciò spostò la sedia sulla veranda, e si accomodò
appena fuori dalla porta ad osservare l’oscurità del cielo. Ma per quanto lo
spettacolo meritasse, i suoi occhi continuarono a posarsi sul vialetto, ancora
segnato dalle fresche impronte di un cavallo.
*
James Felton continuava ad aggirarsi per la sala, evitando lo
sguardo di chiunque, e non ponendosi neanche il dubbio di invitare o meno una
delle ragazze che si trovavano senza cavaliere. Sapeva di non essere ben voluto
come Richard, di non possedere il suo carattere gioioso, la sua intelligenza
acuta, o il suo spirito generoso. E sebbene i loro lineamenti fossero
praticamente identici, c’era, come si è detto, un qualcosa nell’espressione del
viso, che mostrava il disprezzo di James per qualsiasi persona non la pensasse
come lui, o non condividesse quelle idee di progresso che cercava di inculcare
anche al fratello. Per sua fortuna, quasi ogni decisione riguardante l’attività
del padre spettava a lui in quanto figlio maggiore, e così sarebbe sempre stato.
Grazie a questo, pensava di poter continuare a voler bene al fratello senza
troppi problemi.
Per quanto lo ritenesse incapace di trovarsi persino una donna.
La sua indole di squallido romantico lo portava a credere di
dover trovare una fanciulla intelligente quanto lui, e dedita ai suoi stessi
interessi, e James era sicuro che Richard sarebbe arrivato solo in braccio alla
morte, se non fosse esistita Sarah.
La cosa peggiore, era che lui non sembrava
accorgersene.
La signorina Sarah Hampton vide il maggiore dei Felton
attraversare la stanza con passo sicuro, e andarsene dalla festa silenzioso come
era arrivato.
"Volete ballare?"
La bionda sobbalzò arrossendo, voltandosi verso Richard appena
in tempo per vedere il sorriso arricciare le sue labbra.
"Con piacere"
Lui le sfiorò leggermente il braccio, guidandola sulla pista, e
quel lieve contatto filtrato attraverso il tessuto le accellerò il respiro. Si
separarono per posizionarsi l’uno di fronte all’altra, e continuarono a fissarsi
finché la prima nota non risuonò nella sala. Ballarono insieme per il resto
della serata, fermandosi di tanto in tanto per prendere una boccata d’aria in
terrazza, ridendo come matti durante le fughe da Lysetta, sempre più frequenti
via via che calava la sera e gli invitati sparivano dentro le carrozze scure.
Sarah avrebbe voluto che la serata non finisse mai, e un’estrema tristezza la
colse al momento di tornare a casa. Nonostante tutto, accolse la vista di Emily
seduta all’aperto con gioia, perché anche se si era trattenuta dal mostrarlo, l’
insistenza di lei a non volersi recare al ballo l’aveva fatta preoccupare. La
raggiunse sul portico senza neanche cambiarsi, lasciando che la madre e
Catherine andassero a riposare. La sorella l’accolse con uno sguardo strano, nel
quale erano racchiuse tutte le emozioni che avrebbe voluto descriverle, senza
avere realmente la capacità di farlo.
"Andrew è stato qui"
"Cosa ti ha detto?"
"Mi ha dato un invito"
"Per un ballo?" – la voce di Sarah sembrava sorpresa, ed Emily
ne conosceva il motivo.
"Si"
"Ma a lui non sono mai piaciuti i balli… non ha mai neanche
voluto imparare a ballare!"
"Lo so…"
Le due si guardarono pensierose, cercando nella notte risposte
che essa non aveva.
***
X Shinalia: Sono contenta che ti piaccia, e spero che
continuerai a seguire, anche se sono così lenta che una lumaca non sarebbe nulla
in confronto… XDXD
X uccia90: Piacere di conoscerti Maria ^O^ Hai ragione, mi piace
Jane Austen, e se hai letto i suoi libri credo che troverai delle allusioni alle
sue storie, sempre che riesca a continuare a scrivere… davvero, mi dispiace
molto per il ritardo, e spero di pubblicare al più presto, dato che il capitolo
nuovo è praticamente scritto… ma spero che capirete, sono in fase ultimo anno, e
i miei professori provano un macabro divertimento nel torturarci^^ Un bacio
*-*
X ramoso4ever95: Non posso far altro che ringraziarti dato che
continui a lasciarmi un salutino^^ Mi fa un sacco piacere… spero che nel
frattempo ti siano successe tante cose belle… -non come a me… è stato un
periodaccio!- Sono contenta che la storia ti sia piaciuta, nonostante fosse
tanto diversa dalle altre… ma che devo dirti, a me piace cambiare!!
baci
|
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Capitolo 5 *** La stanza ***
Ho
seguito il consiglio di una mia amica, e ho inserito un elenco dei personaggi
principali.
EMILY
HAMPTON: Secondogenita degli Hampton, legata alla sorella Sarah da un profondo
rapporto di amicizia. Innamorata di Andrew da quando era bambina, ha occasione
di rivederlo dopo 8 anni, con il suo ritorno in città.
SARAH
HAMPTON: Primogenita degli Hampton. Innamorata del cugino Richard, non riesce
però a rivelare questo sentimento ad alcuno. Cresciuta ed educata insieme ad
Andrew, ne diventa ben presto la migliore amica, nonostante il peso della
promessa stretta tra i genitori dei due, che vorrebbero vederli
sposati.
ANDREW
WADE: Unico figlio di Caroline e George Wade, viene spedito dal ricco zio Edward
dopo la morte dei genitori, divenendo uno degli scapoli più ricchi della
regione. Tornato successivamente a Withby per rivedere Emily e rimettere tutto a
posto, rimane turbato dalla visione di lei e dalla consapevolezza di dover
rispettare il volere della promessa.
RICHARD
FELTON: Secondogenito dei Felton, cugino di Emily e Sarah. Cinico e piacente,
non si accorge di amare Sarah fino a quando non comincia a capire di essere in
gara con Andrew, suo amico d’infanzia.
JAMES
FELTON: Primogenito della famiglia, mantiene un rapporto di ostilità con il
fratello, basato sull’invidia. Amante del gioco e dei vizi, fa in modo di
provocare fastidi al fratello per puro divertimento.
AMY
FELTON: Sorella minore dei fratelli Felton, intima amica di Sarah ed Emily.
Amante della cultura, della bellezza e dell’arte, ha sempre molti corteggiatori,
ed è benvoluta da tutti.
CATHERINE
HAMPTON: Sorella minore di Sarah ed Emily, si definisce in opposizione alla
cugina della stessa età. Viziata e frivola, non è in buoni rapporti con nessuno,
sebbene ottenga grande sostegno dai genitori.
LYSETTA
DARREL: Unica figlia dei Darrel, innamorata di Richard da tempo immemorabile.
Mr e
Mss FELTON: Zii preferiti di Emily, hanno un’immensa
biblioteca.
CAPITOLO
5: LA STANZA
Doveva
convincersi a smettere di pensare a lui, e doveva farlo prima che fosse troppo
tardi. Per troppi anni aveva cercato di convincersi che il suo amore si era
costruito su qualcosa di non esistente, su un’impalcatura tanto fragile che non
avrebbe retto al primo colpo. E adesso che l’aveva rivisto stentava a credere di
aver vissuto anche solo un minuto senza di lui. Il suo sguardo mentre le dava
l’invito l’aveva schiacciata, e il peso che sentiva addosso da qual momento
continuava a gravarle sul cuore. Si era sforzata di dire a Sarah tutto quello
che provava, ma non ne era stata realmente capace. La sua gola sembrava
chiudersi ogni volta che accennava il suo nome, i suoi occhi si incupivano
vedendo molto al di là di ciò che c’era di reale, e le sue labbra si piegavano
in un sorriso involontario che non spariva per ore. Non poteva pensare a lui
senza che il cuore le balzasse in petto furioso, e certo, non poteva vederlo
senza pretendere di non morire tra le sue braccia.
*
La
luce chiara entrava dalla finestra, e rendeva visibile il pulviscolo nell’aria.
I cristalli brillavano dei molti colori riflessi, e coloravano la stanza già
adorna di quadri e tappeti, stranamente silenziosa in quella Domenica mattina
d’Ottobre. Richard Felton allungò le gambe fino al tavolino, beandosi di quella
tranquillità insolita, e portandosi alle labbra un bicchiere di Brandy.
Odiava
il fatto che suo fratello gli avesse attaccato tale vizio.
Sbuffando
sonoramente tornò a concentrare i suoi pensieri sul ballo della settimana
precedente, e su quello che Andrew avrebbe invece tenuto di lì a pochi giorni.
Aveva danzato con Lysetta, con Amy, con Sarah. E doveva ammettere, gli aveva
fatto uno strano effetto.
Era
abituato a ballare con la cugina, lo faceva da sempre.
Eppure
stavolta c’era stato qualcosa di diverso, il corpo caldo di lei che gli passava
accanto, il suo respiro accelerato, i suoi occhi brillanti che l’avevano
ammaliato per tutta la sera.
Tutto
era… diverso.
James
non gli era mai apparso così simpatico, Lysetta mai tanto
divertente.
Bevve
un altro sorso di Brandy, appoggiando poi il bicchiere freddo sulla fronte, e
chinandosi in avanti con i gomiti sulle ginocchia.
Sono
uno stupido.
Il
campanello suonò proprio in quel momento, distraendolo dal cercare altri
aggettivi poco carini per se stesso. Pochi minuti dopo, la cameriera entrò nel
salotto, porgendogli un biglietto in carta bianca.
“Da
parte del Signor Wade”
Richard
lo guardò confuso, sentendosi stranamente fuori posto. Era chiaramente un invito
per il pranzo, ma piuttosto formale, per due vecchi amici. Alzando le spalle per
togliersi ogni dubbio, si alzò finalmente in piedi per andare a prepararsi.
C’era qualcosa che Andrew doveva dirgli, e non poteva aspettare oltre per
scoprire che cos’era.
Il
viaggio a cavallo fu breve, e Richard varcò il portone della casa con uno strano
presentimento, voltandosi per ammirare i mobili di legno pregiato, e gli ampi
saloni ariosi. La Signora Jenkins lo condusse alla porta del salotto, e lui vi
entrò a passo sicuro, stampandosi il solito sorriso sarcastico sulla faccia.
Andrew si alzò per abbracciarlo, sorridendogli a sua volta, ma intorno ai suoi
occhi c’erano pieghe che la dicevano lunga sulle sue ultime notti. Era persino
più trasandato del solito, e girava per casa in camicia, le maniche
impudentemente arrotolate sulle braccia, e il colletto spiegazzato.
“Non
ti avrei chiesto di venire… se non avessi bisogno di un
consiglio”
Il
silenzio calò sulla sala, lasciando gli uomini a sentire i rumori provenienti
dall’esterno.
“La
risposta è si, dovresti dormire”
Lui
lo guardò scuotendo la testa.
“Non
ci riesco”
“Hai
un problema…?”
“Ho
un’ossessione”
“Per
il gioco?”
“Per
Emily”
Il
legno sfrigolò nel camino, provocando scintille di un rosso
brillante.
“Non
credo che dovresti…”
“…desiderarla?
Sognarla?”
Richard
sorrise, sentendo il cuore farsi leggero.
“…vederla
così tragica”
“E
come dovrei vederla? Tra noi ci sono cose… ti ho chiamato per questo anche. Non
volevo che lo sapessi da qualcun altro”
Stupito,
Richard lo fissò negli occhi, e quando l’altro gli indicò la poltrona si
sedette.
“Mia
madre era molto amica della Signora Hampton… lo sai… e mi promise per una delle
sue figlie”
“Ma è
proprio una bella notizia! Non dovrai…”
L’altro
scosse di nuovo la testa.
“A
Sarah, Richard. Mi promise a Sarah”
*
L’alba
l’aveva trovata sveglia, leggermente tremante per l’aria che filtrava dalla
finestra dimenticata aperta. Appoggiata alla spalliera del letto, tirandosi
addosso la coperta e stringendosi nelle spalle lasciate scoperte dalla camicia
bianca troppo scollata, Emily emise un sospiro, rassegnandosi al fatto che
avrebbe sognato Andrew per molte altre notti successive. I capelli sciolti le
ricadevano sulla spalla in un tocco leggero e piacevole, come quello che le
avrebbe provocato la mano di lui se fosse stata reale. Ripensando a tutto Emily
si sentì imbarazzata e confusa, totalmente imprigionata da qualcuno che credeva
di aver dimenticato da anni, da qualcuno che non le era mai sembrato così uomo
come quando lo aveva rivisto. Così alto, bello… così lontano da lei. Si nascose
il volto tra le mani sentendo il cigolio della porta, continuando a spiare dagli
spazi tra le dita la veste color del mare di Sarah, che si avvicinò al suo letto
sedendosi di fronte a lei, e prendendole le mani per guardarla in viso.
‘Non
volevo che qualcuno mi vedesse così’
Sarah
guardò la sorella, completamente rossa in viso, che fingeva di sorridere con
un’aria imbarazzata che la metteva a disagio, e la faceva sentire davvero di
troppo in quella stanza.
‘Ma
cosa è successo?’
‘Ho
sognato Andrew’
Per
un millesimo di secondo aveva avuto la tentazione di mentire alla sorella, ma
sapeva che nessun altro al mondo l’avrebbe capita quanto colei che le stava
davanti, e che era sempre stata la sua migliore amica, oltre che sua
sorella.
‘Ed è
stato un bel sogno?’
Troppo
bello… come solo i sogni sanno essere’
Sarah
colse l’amarezza nella sua voce, la paura, la speranza di qualcosa che era
troppo meraviglioso per essere vero. E la capì. Perché razionalmente sapeva
che solo nelle favole gli
innamorati sopravvivevano, felici, per sempre. Non c’era…
‘Tu
hai qualcuno?’
Sarah
dovette interrompere il filo dei suoi pensieri, e ascoltare la sorella. Emily
sapeva tutto di lei… ma non di Richard. La sola ad averlo capito era stata Amy,
e ancora si chiedeva come avesse fatto, sebbene certo avesse avuto più occasioni
di vederli insieme, considerato quanto tempo passavano nella sua
casa.
‘Si
ma… è talmente impossibile che non riuscirei nemmeno a
sognarlo’
‘Perché?’
Quello
di Emily era un sussurro mal trattenuto, e nascondeva centinaia di
domande.
‘Perché
per prima so che ferirei molte persone, se mi lasciassi
andare’
E
Sarah sapeva quello che diceva. Perché sua madre le aveva fatto capire
chiaramente che se avesse sposato Richard l’avrebbe delusa. E in ogni caso, ciò
non sarebbe mai successo, Richard l’aveva sempre considerata come la sua
migliore amica. O peggio. Come sua sorella.
*
Richard
fingeva che la situazione non lo toccasse, ma sapere che tra Sarah ed Andrew
c’era qualcosa in più che un semplice futuro di amicizia gli procurava una
strana sensazione alla bocca dello stomaco. Il suo amico era sempre stato un
uomo d’onore, e neanche il fatto che amasse Emily poteva cambiare la promessa stretta da
suoi genitori. Il dovere di lui da una parte e l’affetto di Sarah avrebbero
fatto il resto. Oltretutto, anche se ci faceva caso solo in quel momento, lei
aveva sempre dimostrato una predilezione per lui, attribuita troppo spesso al
rapporto che avevano avuto da bambini, e mai a qualcosa di più profondo, almeno
da parte sua. Continuando a rievocare avvenimenti che potevano portare prove
concrete della sua teoria, Richard non si era accorto di essere ammutolito per
parecchi secondi, mentre l’amico lo guardava altrettanto pensieroso.
Andrew
si versò un bicchiere di vino, passandosi poi la mano sul volto, in un gesto
teatrale. Aveva detto la verità, ma non sarebbe servito. Si era messo nei guai
da solo, tornando a Withby. Aveva creduto di trovare Sarah sposata, di rimettere
tutto a posto senza infrangere la promessa. Di poter amare Emily liberamente, se
lei lo avesse voluto. Ma per adesso, lo aveva colpito al cuore e lasciato a
terra ferito. E mentre cercava di evitare Sarah, aveva notato come lei guardava
Richard. Come sobbalzava sentendo il suo nome. Ed ogni possibilità, anche quella
di far tacere il suo cuore, era sfumata.
Come
avrebbe potuto sposare Sarah sapendo di distruggere due vite, quella di Sarah e
la sua?
Il
sole tramontò senza che lui avesse trovato risposta. Il pranzo era andato avanti
a lungo senza portare risultati, e Richard non gli aveva aperto gli occhi sui
suoi pensieri, permettendogli di capire se anche da parte sua ci fosse un
interesse per Sarah. Al contrario, si era sforzato di dipingerla come una
sorella, ed Andrew non aveva capito se la sua versione appartenesse alla
vergogna o alla verità. Il pomeriggio era volato senza portare consiglio. E
mentre sul far della sera rifletteva sul ballo del giorno seguente, e sulle
implicazioni che avrebbe portato, fu spinto inconsciamente proprio verso quella
stanza dov’era cominciato tutto. La biblioteca della sua casa non era grande
come quella dei Felton. Era piccola, intima, e nascondeva i tesori che suo padre
aveva raccolto in lunghi anni di viaggi, quelli stessi che lo avevano tenuto
lontano dalla famiglia. In fondo, in un angolo, seminascosta da uno scaffale,
nasceva da terra una piccola scala a chiocciola di legno scuro, che
attorcigliandosi su se stessa portava ad una stanza segreta nascosta sopra la
casa. Il loro nascondiglio. Per un
accordo di cui non ricordava più le condizioni, si erano ripromessi di non
svelarne l’esistenza a nessuno, neanche a Sarah.
Ed
era su quella scala che si erano baciati.
Lo
ricordava come se fosse avvenuto il giorno prima, e per questo non entrava mai
in quella stanza, limitandosi a guardare lo scaffale dal margine della porta, sapendo che quella scala vi si trovava
dietro.
Emily
aveva 14 anni, e lui due in più.
Il
vestito bianco di lei era sporco di terra, non erano riusciti a trattenersi
neanche dopo le urla di sua madre.
I
capelli castani erano corti, le arrivavano a malapena alle spalle, ma si
arricciavano in boccoli deliziosi, e lui non aveva saputo frenarsi. Li aveva
accarezzati mentre uscivano dalla loro stanza, alla fine di uno dei soliti
giochi ormai troppo infantili per loro. E poi era successo.
Lentamente,
inconsciamente, e in modo così consapevole che il suo corpo non aveva potuto
ribellarsi al cuore. Ma due giorni dopo i suoi genitori erano
morti.
E una
settimana dopo lui viaggiava sulla strada per
Richmond.
Note:
Non
ho parole per scusarmi -ho abbandonato il sito per un po', non perchè non avessi
ispirazione, o voglia di scrivere, ma perchè c'era una realtà che aveva bisogno
della mia attenzione. E perchè queste storie sono state spesso un rifugio e poco
altro. Adesso, le ho riprese in mano vedendo in loro qualcosa di più. Di
certo, è che concluderò questa storia come tutte le altre. Perchè le ho dato
vita, e non potrei sopportare di lasciare tutto a metà. Le risposte alle
recensioni arriveranno per posta. Grazie del vostro sostegno, vuol dire molto
per me.
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