Che cosa sarebbe successo se la Contessa di Provenza si fosse lavata?

di Liselotte von der Pfalz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** El condor pasa ***
Capitolo 2: *** Profumi e balocchi ***
Capitolo 3: *** La Maga di Corte ***
Capitolo 4: *** Se son rose... ***
Capitolo 5: *** La principessina e il buffone ***
Capitolo 6: *** Strategie alternative ***
Capitolo 7: *** L'agente Doppia S ***
Capitolo 8: *** Ognuno ha la Fata che si merita ***
Capitolo 9: *** Eeeeeeeeeee trinca, trinca, trinca... ***
Capitolo 10: *** Il tè delle cinque ***



Capitolo 1
*** El condor pasa ***


Il sole baciava mollemente i grappoli dell’uva che maturava, lì sui declivi delle campagne attorno a Torino, ma era un sole un po’ meno agricolo e decisamente più blasonato quello che filtrava dalla finestra della stanza da letto di Maria Antonietta di Spagna, moglie di uno dei tanti Vittorio Amedeo di Savoia; Maria Antonietta gli aveva dato da poco un terzo figlio, una bimba di nome Maria Giuseppina. Bimba, magari forse anche si, ma di sicuro non era bellina: tutt’altro.

Più la mamma la guardava e più si chiedeva se per caso non avrebbe dovuto evitare di farsi leggere la fiaba de L’Uccello che Parla nei libri delle Mille Notti e una Notte: ogni volta che guardava nella culla ci vedeva un cagnetto; o era uno scherzo della balia burlona, o la sua nuova bimba sembrava un bulldog. La certezza di dover lasciar da parte i racconti di fate colpì Maria Antonietta tre anni dopo, come un maglio tra le sopracciglia, quando si accorse che la neonata Maria Teresa somigliava a un condor.

La povera donna cercava consolazione nel fabbricare altri bambini, e intanto si ripeteva sempre: “Ahi de mì, yo che soi figlia de un Rey de España, stranipote de los mejos Rey de Franja, goi da avér dos chiavicas de niñas como este?”.

Per la tranquillità di Maria Antonietta, e per la propria sanità mentale, il nonno delle bimbe vegliava: Carlo Emanuele III non si era guadagnato il soprannome di “Il Laborioso” andando in giro a vendere aria fritta, e aveva formulato un piano atto a liberarlo delle due piccole ciofeghe, allontanarle onorevolmente, e per giunta magari riuscire a trarne qualche cosa di utile. Hai visto mai? Tanto, del maiale non si butta nulla: figurarsi di queste due qui!Un giorno annunciò alla nuora:

- State tranquilla, madame, ho in testa un’idea meravigliosa che risolverà tutti i vostri e i nostri grattacapi.
- Che bello, volete dire che Cesare Ragazzi ci manda le parrucche antipulci?

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Capitolo 2
*** Profumi e balocchi ***


- Maman (mormora la bambina, mentre pieni di pianto ha gli occhi) Maman, pecché Titutrice non mi fa giocare con la mia amichetta col nagione buffo e i dentoni?
- Ma fille, la baronessa lo fa per il vostro bene. Noi siamo così nobili, ma così nobili, ma così tanto nobili che facciamo la cacca di marmo (tranne vostra cugina di Carignano che la fa con i vermi), e la vostra compagna di giochi è una ig-nobile: voi un giorno potrete essere sui gradini di un trono, lei al massimo su quelli della scala a pioli nel vigneto; voi calpestate e calpesterete i marmi dei palazzi reali, lei sì e no l’uva nel tino alla vendemmia. Vedete, lo fa per non causarvi un grande dolore quando sarete adulta, per evitarvi un attaccamento eccessivo a una persona di condizione inferiore. Ora andate a giocare con vostra sorella Maria Teresa in giardino, cara.
- Si, Maman. Sniff… Mi piace tanto vedere che pianta i fiori.
- È diventata bravissima, vero? Riesce a fare le buche per i bulbi dei narcisi con un solo colpo del naso. Su, andate con mademoiselle von Rottervailer.
- Arf!!!, disse la governate, facendosi tremare lo chignon dal rimbombo. Kleine Altezza! Mento in fuori, trippa in dentro, sguardo fiero! Segnate il passo: links, zwei, links, zwei, Worwerk Folletto marsh!

Appena la bimba e la sua istitutrice furono uscite, Maria Antonietta avvampò d’ira, gettò la testa indietro e ruggì a piena gola: "fate venire la balia!"
La balia arrivò trafelata, percependo nettamente l’addensarsi della fine del 2012 sulla linda cuffietta che portava sul capo.

- Altezza Reale, mi avete chiamato?
- BALIA! Sapete perfettamente che non voglio che Maria Giuseppina giochi con i cuccioli del cinghiale di mio suocero, dopo dobbiamo sempre lavarli col lysoform e prendono quel puzzo tremendo da freschinasso quando li cuciniamo!
- Madame, la piccola ha bisogno di amici per giocare, come tutti i bambini della sua età.
- Ma yo che soy comunista sfiegatata no puedo contare sempre bolas y bolas a mia figlia sulle classi sociali per non farle capire che gioca con i marcassini, corpo d’una balena!
- Madame, preferireste dirle che la sola bimba senza senso dell’odorato di tutta la Savoia s’è presa la setticemia perché ha voluto dare un bacino sulla bua a Sua Altezza il giorno che un’ape l’ha punta sul collo?

Lo scambio di battute fu interrotto dall’arrivo provvidenziale di Carlo Emanuele III.

- Madame, ditemi… che cosa si fa con la spazzatura quando non si sa come gestirla?
- Ehm… la spazziamo sotto il tappeto?
- Ma no, Madame. Meglio, molto meglio! La si butta nel giardino dei vicini mentre non guardano! E i rifiuti tossici si mandano oltralpe, magari in Svizzera: tanto la Svizzera i suoi li scarica in Germania!

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Capitolo 3
*** La Maga di Corte ***


Maria Antonietta interrogò il suocero:

- A che cosa state pensando, Monsieur?

- Ascoltate Madame, voi conoscete la situazione familiare di mio cugino, vostro cugino, nostro cugino? Il Re di Francia, intendo.

- Così, ex abrupto, posso dire che dopo aver fatto una partaccia infame a mia sorella si è sposato con un armadio da sagrestia; ha una pletora di figlie simpatiche come la sabbia in letto, un figlio mezzo prete che gli fa la morale, e una scarriolata di nipotini e cugini più o meno distanti e più o meno ingombranti.

- Esattamente! E noi gli piazzeremo le vostre figlie, tanto prima o poi avrà un parente inutile che se le potrà ciucciare!

- Madre de Dios! Le dos piccole chiavicas laveranno col sangue l’affronto che el fetiente ha fatto a mi povera hermanita Marianna, che è finita in Portogallo con quel chiavicòn del Bepi! Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen, Tod und Verzweiflung flammet um mich her!

- Si, si Madame. Come volete voi. Allo scopo di imbastire una trama in cui invischiare Luigi, una rete in cui avvolgerlo, una trappola in cui farlo cadere, un tranello in cui farlo incappare…

- … gli volete proprio rifilare una sòla, eh?

- … mah, insomma… abbastanza… per farla breve ho deciso di convocare il nostro migliore agente diplomatico segreto, la perla della nostra Corona, il fiore dei fiori della Savoia…

- El Gabibbo?

- … colei che detiene le chiavi, i compassi e le cazzuole…

- No, allora no es el Gabibbo… Es piuttosto Donna Sofia ‘a Smargiassa, la cognata della sorella del cugino del suocero del nonno di Don Ciccillo ‘o Zozzone?

- … la violetta del nostro giardino, la rosa della nostra fioriera…

- Janira Majello? Orietta Berti? Il Cavaliere d’Éon? Nonna Papera?

- Bando alle ciance, si faccia entrare la Maga di Corte!

Le porte della sala si aprirono, ed entrò una giovane donna; indossava un abito generosamente scollato che le lasciava scoperti completamente il ventre e le cosce, abbinato a dei lunghissimi guanti neri, a degli stivali altrettanto lunghi e altrettanto neri, e a un lungo mantello nero foderato di viola chiaro, e che aveva un collo a ventaglio foderato di rosso scarlatto che le faceva una grande aureola attorno al viso; il viso aveva gli occhi pesantemente truccati di un viola della stessa tonalità della fodera del mantello; in testa un’acconciatura di piume che cercava di imitare un paio d’ali degli stessi colori del mantello. L’effetto cupo e audace era forse rovinato dai gonfissimi capelli lilla con ciocche ribelli, artatamente ribelli, e da un collarino di tessuto bianco vaporoso trattenuto da un nastrino rosso. La Maga era preceduta da due piccoli gatti bianchi, aggiogati a un piccolo carro sul quale poggiava un cuscino di raso nero istoriato in oro con simboli arcani; sul cuscino poggiava una sfera trasparente dalla quale sfuggivano dei bagliori luminosi di vari colori.

- Grazie per essere venuta, Salomé, - disse Carlo Emanuele.

- È un dovere, Altezza Reale.

- Potete metterci in contatto con la persona di cui vi parlavo?

- Ma certamente, per me quasi nulla è impossibile. Posso farvici parlare tanto fisicamente quanto in ispirito, se Vostra Altezza lo preferisce.

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Capitolo 4
*** Se son rose... ***


Il Duca decise di lasciare la più ampia libertà alla maga.

- Procedete, Salomè. Contattate la persona.
- Ottimamente.

La Grande Maga mosse le braccia affusolate tracciando una serie di gesti arcani nell’aria, mentre salmodiava parole incomprensibili per Carlo Emanuele e Maria Antonietta: alle loro orecchie sembrava qualche cosa come “Lava e lapilli! Stami e pistilli! Palla e birilli! Aglie, fragaglie, squaqueracchie e squaglie!”. Salomè era perfettamente conscia dell’importanza di una buona messa in scena per impressionare l’uditorio e creare la giusta atmosfera prima di procedere con qualche cosa d’impegnativo. “La vera magia inizia ora”, pensò, mentre tuffava le mani nella scollatura per estrarre un piccolo oggetto dai suoi ampi seni: lucente, nero, di forma ovaleggiante, poteva essere un astuccio o una tabacchiera. La maga lo sfregò tra le mani guantate mentre la sua voce nasale e un po’ strana intonava un canto:

È una bimba come te
con grandi sogni racchiusi in sé.
Mentre danza la sua stanza diventa il palazzo del re…


Man mano che la maga cantava apriva delicatamente l’oggetto, che si rivelò essere uno specchio; questo cominciò a lanciare bagliori luminosi, e subito una sorta di foschia si diffuse come proveniente dal suo interno.

- Sento distintamente un profumo di rose, disse Maria Antonietta sottovoce al suocero. Che sia Padre Pio?

Nella foschia si stava delineando un’immagine, dapprima dai tratti molto vaghi, poi sempre più definita. Ogni tanto tremolava e spariva per un istante, per poi riapparire. Era l’immagine di una ragazza dallo sguardo un po’ lunare, dall’espressione vagamente assorta e dalla fisionomia riposata.

- È fatta, tuonò Salomé, potete parlare.
- Monsignore ma… avanzò titubante Maria Antonietta.
- Mi chiamo Terry, Meri Terry! Disse la figura disegnata nella nebbia.
- Ma è la principessina di Carignano! Si stupì Maria Antonietta
- Si, Madame. E voi siete quella che va in giro a dire a tutti che da piccola ho avuto i vermi!
- Inutile negarlo, ma voi come lo sapete?
- Perché sono la migliore in quello che faccio.

Carlo Emanuele decise di interrompere un battibecco prima che nascesse, e si rivolse all'immagine della ragazza.

- Nipote mia, sto per affidarvi un compito molto delicato, spero che accetterete di aiutarmi.
- Non posso rifiutarvi nulla, caro zio. Mi dedicherò a qualsiasi cosa mi chiediate con tutte le forze di cui sarò capace.
- Il vostro oroscopo indica chiaramente, secondo la nostra Salomè, che il vostro futuro è in Francia...
- Scusate zio, vi ricevo male... provo a migliorare la sintonia... disse la giovane mentre armeggiava con le rose che ornavano copiosamente la sua parrucca.
- Conoscete la storia, sapete che cosa fece il Cardinale Mazarino?
- La cresta sui conti pubblici?
- Non quello. Accasò magnificamente una famiglia spiantata: la sua!
- E che cosa dovrei fare, zio?
- Quando sarete in Francia dovrete fare in modo di trovare un marito alle vostre cugine, se possibile un Condé o un altro Principe del Sangue, o un Duca-Pari, o...
- Quali cugine, di preciso? Tutte?
- No, solo Maria Giuseppina e Maria Teresa.
- Fi l'horreur! I due cachiveches?
- Va bene, mi accontento anche di un Rohan... un Ponchartrain... un Béchameil, insomma...
- Ma le avete viste bene?
- In mona sua, allora! Un fornaio o un porcaio vanno bene lo stesso, basta cavarle di mezzo! Sbottò Carlo Emanuele spazientito.

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Capitolo 5
*** La principessina e il buffone ***


Maria Giuseppina era felice quando andava a trovare Frugoletto, il buffone di Corte. Le piaceva quell’uomo dalla voce profonda un momento e gracchiante un altro, e le piacevano i colori assurdi dell’abito che indossava. La faceva ridere, mentre di solito la gente rideva di lei, e le dava del tu, a differenza di tutti che le si rivolgevano col voi.

- Frugoletto, perché sono sempre così sola?
- Principessina, non dire così. C’è la tua mamma, c’è la tua balia, c’è l’istitutrice, c’è perfino tua sorellina piccola…
- La mamma è tanto bella, ma mi parla sempre delle classi sociali e non mi chiede mai che cosa faccio. La balia fa giocare anche papà con le sue tette, e una volta erano solo mie. L’istitutrice continua ad allontanare le mie amichette di giochi perché non siamo della stessa classe sociale. Mia sorella Maria Teresa mi fa male quando mi picchia col naso. Sono triste, sola, e abbandonata.
- Ma non sei sola, hai anche tu la tua Fata Madrina come tutte le principessine che si rispettino.
- Un corno. Se c’è, dov’è? Perché quando mi cadono i dentini non mi porta mai il soldino, anche se metto il dentino sotto il cuscino?
- No cara, guarda che la fata che contrabbanda avorio non fa la madrina, disse Frugoletto facendo tintinnare vivacemente le sue cavigliere del Katakali.
- E se davvero c’è, perché non l’ho mai conosciuta?
- Era alla tua culla quando sei nata, ma eri troppo piccola per ricordatela. Chiamala, e verrà.
- OH, MADRINA!!
- Ma insomma, dove vivi? Chi ti ha insegnato a chiamare così la gente? Una fata, poi…
- Perché, c’è un cerimoniale di Corte spagnolo anche per le fate?
- No, c’è un cerimoniale fatato. A mezzanotte, in una notte di luna nuova dovrai andare sull’isolotto che è al centro dello stagno delle papere, camminando a ritroso e senza bagnarti i piedi, portando in una mano una toma piemontese, nell’altra un piccolo calderone di bagna cauda, e reggendo in equilibrio sul naso una scatola di gianduiotti. Arrivata al centro dell’isolotto dovrai cantare a squarciagola la canzone preferita della fata…

Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì cosa fai,
Tipitipitipitì come mai…


E lei apparirà.

- Ma... ma... è impossibile… come faccio?
- E io che ne so? Non è mica mia la madrina!
- Ma non è giusto!
- Sai principessina, tu mi piaci, e con te sto bene.
- Davvero?
- ‘scolta: mia figlia è una bigotta falsa come un copeco azzurro che va tutti i giorni in chiesa a guardare i figaccioni; lavoro per un porcone che mi odia, ricambiato ampiamente; mia moglie è quasi morta dal ridere quando mi ha visto in camicia da notte la prima notte di nozze, e difatti è scappata subito spedendomi la bambina via corriere espresso; porto sempre un cappello da deficiente, e sono obbligato a fare il cazzone per vivere; ho la gobba, la cirrosi, l’ulcera, il naso che mi tocca il labbro; le mie pulci hanno un sindacato indipendente; i cani mi sbianzano addosso quando vado per strada ma tutte le volte che vedo te mi dico sempre: “Ah, che ben che sto!”

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Capitolo 6
*** Strategie alternative ***


Maria Antonietta, rientrata nelle sue stanze, stava riflettendo.

Si diceva che sì, il suocero aveva ragione a volere accasare le due scorfanelle oltralpe, ed era giusto garantirsi che non potessero tornare indietro, ma lei in cuor suo non poteva accettare di vederle andare in sposa a un qualsiasi pescivendolo. Est modus in rebus, che diamine! Per quanto potessero essere brutte come l’ofego, mentalmente trascurabili e socialmente imbarazzanti si trattava sempre di due nipoti del Re di Spagna, trisnipoti di Luigi XIV… insomma, non erano mica arrivate su una zattera a Lipari, scappando da Atlantide che sprofondava!
Senza contare che, sotto sotto, ma proprio sotto ma tanto sotto, c’era anche un certo affetto materno che stuzzicava il disappunto di Maria Antonietta: si sa, ogni scarrafone è bello a mamma soja. Non lo avrebbe mai confessato, nemmeno sotto tortura, ma era così. Di mamma, per fortuna, ce n’è una sola!
No, Carlo Emanuele poteva dire quello che voleva, ma non l’avrebbe mai convinta a diventare la suocera di uno stalliere o di un fornaio; il suocero mancava di giudizio, sicuramente. “Mio buon papà, vi sbagliate”...

Papa papa papa t'es plus dans l'coup, papa!
Papa papa papa t'es plus dans l'coup, papa!

Tu devrais ma parole
Bien vite retourner à l'école
Réviser ton jugement
Crois-moi ce serait plus prudent


La donna decise di agire, prese carta e penna e vergò alcune nervose e veloci parole su un biglietto per convocare la sua persona di fiducia. “Agente Doppia S, presentatevi immediatamente a rapporto da S. A.”, e più sotto una firma semi scarabocchiata: “El jefe”. Dopo scrisse una lettera di complimenti molto generica, quasi garrula e pettegola, poi vi infilò dentro il bigliettino prima di sigillarla con della ceralacca azzurra con pagliuzze dorate; ghermì il cordone del campanello e suonò per chiamare un valletto.

- Portate di volata questo alla contessa di Savonera, presto!

Donna Sofia di Collegno avrebbe saputo che cosa fare, si disse soddisfatta Maria Antonietta; altro che la principessina di Carignano, lei e le sue rose sulla cofana.
Dopo pochi istanti bussarono.

- Toc toc! È permesso? Cucù! Cucù!
- È ritornato maggio al canto del cucù? Contessa, entrate e abbiate la compiacenza di smetterla di dire cucù: yo sono figlia del Rey de España, non dell’Imperatore d’Austria; non serve che ustè mi facciate lo yodel.
- Oh mio dio, come siete brutale…
- No es che soy brutale, sono pratica e non ho tempo da perdere… quanto posso fidarmi di voi?
- “Segreto” è il mio secondo nome, “Tomba” è il terzo!
- Dimenticate “Smargiassa”, contessa. Donna Sofia la Smargiassa, così vi conoscevano quando vi occupavate di tutt’altro che di… cucù!
- Eh, che cosa ci volete fare? Sono peccati di gioventù: tutti abbiamo i nostri piccoli difettucci… i miei, almeno, sono carini.

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Capitolo 7
*** L'agente Doppia S ***


Maria Antonietta ebbe un leggero moto d’impazienza: non sopportava Donna Sofia, ma sapeva benissimo quanto potesse rivelarsi utile negli intrighi; era orribilmente abile, aveva conoscenze quasi strette in ogni ambiente, diversi potenti le dovevano dei favori o cercavano soltanto di farle tenere il silenzio su fatti dei quali la Smargiassa era a conoscenza ma che non sarebbero mai dovuti trapelare; tuttavia Sofia era abile, scaltra, ingegnosa ma non particolarmente intelligente, e la vanità era il suo punto debole. Si, si disse Maria Antonietta, l’agente Doppia S era stato un colpo di genio.

- Contessa, veniamo al motivo per cui siete stata convocata. Il Duca mio suocero ha deciso di cercare una sistemazione in Francia per le mie figlie…
- Quali? Interruppe bruscamente Sofia.
- Maria Giuseppina e Maria Teresa.
- Oh purcassa vacca! Le due pantegane.
- Le mie piccole Altezze Reali, Smargiassa.
- Come volete voi, Madame. Ma io che c’azzecco?
- Le disposizioni del Duca sono chiare: sposarle a qualsiasi costo, con qualsiasi maschio -ma anche no- possa essere disposto a prendersele mediante un'onesta retribuzione, anche fosse un carrettiere.

“Un carrettiere magari di Maria Giuseppina se ne fa qualcosa, la aggioga!” pensò la contessa ma si morse la lingua per non dirlo.

- Ora, proseguì Maria Antonietta, no entiendo permettere che due nipotiñas di un rey de Spagna vadano a fare le carrettiere! Voglio per loro un Principe del Sangue, o un sovrano tedesco per quanto sia contrario alla diplomazia sabauda. Mi posso accontentare di un Duca-Pari, un Bouillon, di un Rohan, del principe di Monaco se non posso avere un Borbone ma non vado oltre.
- Estikazzi…
- Escuceme?
- Ooops… No, dicevo: un Estikazzi non andrebbe bene?
- Oh, ustè vuole dire un Esterházy? Si, forse sarebbe un partito mejor que otros. Mio suocero ha incaricato la piccola Carignano della missione di trovare marito alle ragazze, e…

La contessa interruppe di nuovo Maria Antonietta, stavolta intonando un motivetto stonato:

- Carignanella bella,
tu sei la Reginella.
Negli occhi tuoi c’è il sole
c’è il colore delle viole,
delle valli tutte in fior!


Ma per favore, che quella sviene quando fiuta una violetta…
- Ay caramba, volete smetterla? Vostro dovere e fonte di salvezza sarà contrastare i maneggi della signorina di Carignano qualora fossero volti a delle mésalliances per le mie figlie, so che ne sarete capace perché siete il miglior agente di tutta l’Europa conosciuta. Ricordate, contessa: c’è gente che si dice española, ma che non è per niente española mentre yo soy una vera española e questo mi distingue dai falsi españoli. Y el sangre de España calienta como el sol, là sulla playa!
- Agli ordini, Vostra Spagnoletta! Contate su di me! E io conto su di voi, il mio compenso sarà solo ad esito felice. Sarà tanto, ma ad esito felice.
- Salvo buon fine! A transazione raggiunta! Olé! Caramba!

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Capitolo 8
*** Ognuno ha la Fata che si merita ***


Maria Giuseppina era sconsolata, era stanca di essere tenuta discosta da tutto e da tutti; ma con chi parlare? D’abitudine nessuno la calcolava, nessuno le prestava attenzione, nessuno si preoccupava di capirla. “Tutti ce l’hanno con me perché sono piccola e nera” diceva sempre tra sé e sé. No, era ora di cambiare qualche cosa: la piccola principessa prese una decisione, avrebbe cercato la sua fata madrina.

Trovare la bagna cauda, i gianduiotti e la toma non sarebbe stato molto difficile, ma come riuscire a camminare nell’acqua senza bagnarsi i piedi? Magari con un paio di stivaloni con la zeppa, come quelli che vedeva addosso a quelle signore che passeggiavano la sera nei viali di Torino e al parco della Pellerina.

Fatti tutti i preparativi, munitasi di tutti gli oggetti necessari, ed essendo riuscita a sgattaiolare da una porticina nascosta del palazzo, Maria Giuseppina si inoltrò nel parco in direzione dello stagno delle papere.

La giovane principessina fece un tentativo, mettendo un piede stivalato in acqua, ma non successe nulla di beneaugurante: il piede, infatti, toccò il fondo melmoso dello stagno come chiunque si sarebbe aspettato accadesse; la prova fu ripetuta più volte, sempre con gli stessi risultati, finché Maria Giuseppina si strappò gli stivali dai piedi in un impeto di rabbia, e si mise a singhiozzare. Uggiolava come un cagnolino, mentre camminava rabbiosamente su e giù per la riva, sempre tenendo in mano il suo bugliolo di bagna cauda e la toma piemontese. Cammina che ti cammina, non si avvide di avere messo un piede in acqua e che era avvenuto il miracolo: la superficie dello stagno si increspava leggermente sotto il suo peso, ma non cedeva. Riprovò, prima timidamente, poi con passo più spedito. Era vero! Riusciva a camminare sull’acqua. Era di sicuro la volontà della sua Fata Madrina che voleva conoscerla! Si avviò, secondo le istruzioni di Frugoletto, reggendo il calderone con la mano destra, la toma con la sinistra, la scatola di gianduiotti in equilibrio sul naso da porcellino, e cantando:

E c'era l'uomo dell'organino
che ci dava un biglietto blu,
c'era scritto 'ti vuole bene'
ma non era la verità.
Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì cosa fai,
Tipitipitipitì come mai
tu stai piangendo con me.


Una volta approdata sull’isolotto, Maria Giuseppina si guardò intorno per vedere se appariva la Fata Madrina.

- Fatina, oh buona fatina, dove sei? Mostrati alla tua figlioccia sfortunata.

Nulla, nessuna risposta.

- Madrina? Cucù! Madrina?

Alcuni eterni attimi di attesa, e nessuna risposta ancora. La principessa ebbe un colpo di sconforto, ed iniziò a piangere nuovamente. Nella notte si udì una voce, un po’ sgraziata:

- Ma chi è che sta picchiando un cane? Mai che una possa dormire in santa pace!

Maria Giuseppina si girò, asciugandosi le lacrime con la lingua. Vide una figura femminile, non troppo alta, rubiconda, con i capelli talmente biondi da sembrare bianchi, e dal viso di vecchietta eppure con i tratti giovanili e gli occhi vivissimi; indossava una tunica azzurrina ed un mantello blu reale, fermato sulle spalle da delle fibbie d’oro in foggia di grappoli d’uva.

- Sei tu la mia Fata Madrina?
- Oh, santi numi! Il chupacabras!
- Mi chiamo Maria, Giuseppina, Luisa, e sono la figlia di Vittorio Amedeo…
- Ah, ho capito! Sono stata invitata al tuo battesimo anni fa. Dimmi, cara, che cosa posso fare per te?
- Madrina, sono sola, non mi vuol bene nessuno, tutti mi evitano… solo tu puoi aiutarmi!
- Piccina, tutto deve venire da te: se tu per prima non ti vorrai bene non te ne vorranno nemmeno gli altri. Ricordati che ci portiamo sul viso l’aspetto della nostra anima, e il messaggio che trasmetti non è dei migliori. Intanto prendi una coppa di spumante di Asti mentre io mi mangio i tuoi gianduiotti con la bagna cauda…
- Non la mangi con la toma, e tieni i gianduiotti per dopo?
- No, cocchina. Quando son dentro si trovano… e poi, son tutte proteine!

La fata terminò il pasto rituale, condividendo il vino con la principessa.

- Sei sola, mi dicevi… parola di Fata Teresina, ne verremo a capo! E quando ti sposerai ti regalerò un cofano di abiti degno di una principessa delle favole: un abito d’oro come il sole, uno d’argento come la luna, uno blu disseminato di luci come il cielo notturno con le stelle…
- Anche la pelle d’asino?
- No, hai già fatto da sola, cara.
- Madrina, hai fatto un incantesimo per fami camminare sull’acqua?
- Io? No di certo, non è nel protocollo fatato che ti aiuti prima che tu mi abbia invocato.
- E allora come ho fatto a camminare sull’acqua?
- Peppy, hai mai visto un fiore di loto? chiese Fata Teresina mentre ne materializzava uno davanti al musetto della principessa.
- No, perché? Ce ne sono di dipinti in un quadro a palazzo, nelle stanze della mamma, però.
- Il fiore di loto è il simbolo della purezza, cresce nel fango degli stagni ma esce dall’acqua sempre perfettamente pulito perché la superficie delle sue foglie respinge l’acqua, e quindi anche il fango.
- Vuoi dire che sono talmente pura che sono come un fiore di loto, e che crescendo respingerò tutta la miseria e le brutture della vita?
- No, principessa: è che hai talmente tanta zella sui piedi che l’acqua non riesce a toccarti!
- AAAAAAUURGH!!! Tutti mi odiano!!!!

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Capitolo 9
*** Eeeeeeeeeee trinca, trinca, trinca... ***


La fata si mosse verso Maria Giuseppina, prendendole le mani tra le sue.

- No, piccina. Vieni qua da fatuccia tua, su… dai, tutto va bene. Non è colpa tua sei piccola e zozza… è che non ti lavano abbastanza. Vedrai, col tempo passerà. Proveremo di tutto, troveremo dei detersivi adatti, la varechina anche. Magari priviamo anche col getto d’acqua a pressione. Fatuccia tua ti sarà vicina. Su, beviti un bicchierotto di dolcetto di Ovada, che ti tira su.
- Fai presto a parlare tu, ma se ogni volta che ho bisogno di te devo fare devo fare tutta la manfrina dei gianduiotti con la toma e il pignattone di bagna cauda non la finiamo più!
- Ah, macché! Quella è una cosa che tutti credono che vada fatta perché sono una fata, ma non serve a nulla, è tutta scena. Potevi chiamarmi benissimo stando in camera tua con tutta quella roba sul tavolo, apparecchiato come si deve perché non ti devi dimenticare che sono una signora.
- E perché Frugoletto mi ha detto tutte quelle cose?
- No, Peppy, ma lo hai guardato bene? Ti pare che sia un soggetto affidabile? Va bene per fare il cazzone con i campanellini, e basta.
- Ah! Va ben, ne prendo atto.
- Ora ti darò una cosina che ti aiuterà, un talismano col quale potrai comunicare con me ogni volta che vuoi.

Il musetto di Maria Giuseppina s’illuminò di felicità. La fata staccò una delle spille d’oro che le reggevano il mantello, la serrò tra le mani e vi soffiò sopra, poi borbottando delle parole: “Che Nossgnor ën préserva da la fam, da la pest, da la guèra e da tuti i përtus dal còrp che a guardo per tèra! Che Nossgnor ën préserva da la fam, da la pest, da la guèra e da tuti i përtus dal còrp che a guardo per tèra! Che Nossgnor ën préserva da la fam, da la pest, da la guèra e da tuti i përtus dal còrp che a guardo per tèra!”. La fata aprì le mani, e diede alla principessina un piccolo oggetto di forma rettangolare, smaltato e dorato, con delle piccole pietre preziose sul coperchio, disposte in tre file di quattro pietre ciascuna.

- Oh, che cosa curiosa. È molto bello, sembra una tabacchiera. Che pietre sono, Madrina?
- Quella col numero uno è un rubino, quella col numero due è un topazio, quella col tre è un berillo, il quattro è una turchese, il cinque è uno zaffiro, il sei è uno smeraldo, il sette è un giacinto, l’otto è un’agata, il nove un’ametista, quella con la stellina è un crisolito, lo zero è un’onice e quella col quadratino è un diaspro.
- Come si usa?
- Premi le pietre così, col ditino, in quest’ordine: una volta il rubino, due volte la turchese, ancora il rubino, due volte lo smeraldo, e di nuovo il rubino e due volte la turchese. Se hai fatto bene sentirai un carillon, e io risponderò.
- Ma non me le posso mica ricordare tutte, Madrina.
- Fai così, scriviti il numero: 144 166 144.
- Fammi sentire il carillon! Fammi sentire il carillon!

Fata Teresina pigiò col dito le pietre sulla scatolina, ed una musica allegra risuonò nell’aria.

- Mi piace, sai!
- È simpatica, zompettante… dai, Peppy, vieni a braccetto! Esclamò la Madrina prendendo la principessina sottobraccio e mettendosi a girare in tondo assieme a lei.
- Canta, Peppy, canta! Seguimi!

Eeeeeeeeeee
trinca, trinca, trinca
buttalo giù con una spinta,
e vedraaaaai
che bella fe-esta.

La medicina
del mondo in rovina,
vai tranquillo,
è questa quaaaaa.

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Capitolo 10
*** Il tè delle cinque ***


Nella stanza di Maria Giuseppina mademoiselle von Rottervailer annunciò una visita:

- Kleine Altezza: vostra cugina, la signorina di Carignano.
- Buongiorno cugina, passavo di qui e ho pensato di invitare voi e vostra sorella a giocare un po’ nel parco con me. L’idea vi aggrada?
- Oh, si! Mi piacerebbe molto; andiamo a prendere Maria Teresa e usciamo.

Le giovinette uscirono, accompagnate dall’istitutrice di Maria Giuseppina, sei femmes de chambre, due valet de pied, due scudieri, un porta lanterne, due paggi, un postiglione, un giardiniere, un garçon de la bouche, un sellaio, un farmacista e un elemosiniere col suo valletto e il cappellano: insomma, il minimo indispensabile per mantenere quel filo di decoro che per una signora è assolutamente necessario per non farsi scambiare per una pescivendola qualsiasi.

Le ragazze si recarono in un angolo un po’ lontano del giardino, in modo da poter stare tranquille senza che nessuno le disturbasse. La servitù dispose sull’erba del prato delle coperte e numerosi soffici cuscini per fare accomodare le principessine; per completarle comodità furono installati anche dei tavolini con dei rinfreschi: acqua, latte, pane, formaggio, frutta, e una crema di nocciole inventata dal marchese Ferrero di La Marmora.
Maria Teresa Luisa di Carignano aveva fatto portare dai valletti un cestino con delle pannocchie.

- Che cosa volete farne, cugina? - chiese Maria Giuseppina.
- Ne faremo delle bamboline, me l’ha insegnato la mia sarta. Non è difficile, si prende una pannocchia, si rivoltano le foglie e si legano tra loro. Le foglie serviranno per fare le braccia e le gambette; i peli della barba si possono pettinare e farne un’acconciatura, e poi le possiamo vestire e mettere loro il panier.

Le tre cugine presero una pannocchia ciascuna, e iniziarono a confezionare bambole. Dopo un po’ ne avevano già fatte una decina, e passarono a vestirle, e infine le disposero attorno ai tavolini per fare merenda assieme a loro.

- Una delle mie cameriere è di Carmagnola, mi canta sempre una canzoncina allegra; mi ha anche insegnato a ballarla - disse Maria Teresa.
- Avete voglia di insegnarla anche a noi, cugina? - chiese Maria Teresa di Carignano.
- Si, facciamo ballare anche le bambole! - aggiunse festante Maria Giuseppina.

Maria Teresa intonò, molto malamente ad onore del vero, una canzone:

- Danziamo la carmagnola,
viva il suon, viva il suon.
Danziamo la carmagnola,
viva il suono del cannon!


- Ma fois, l’idea del cannone mi mette a disagio, sapete? - disse la giovane Carignano.
- Sarà perché lo sparano sempre a mezzogiorno, non lo so cugina.
- Cugina! vi è caduta la bambola dalle mani, temo che si sia rotta. Le si è staccata la testa… - disse Maria Giuseppina.
- Aspettate, se la fissiamo su un bastoncino dovremmo poterla usare lo stesso.
- Bella idea, sorellina. Adesso ricominciamo a ballare e cantare tutte in coro, portando in passeggiata le bambole… voi, cugina, tenete la testina della vostra sul bastoncino.

Danziamo la carmagnola,
viva il suon, viva il suon.
Danziamo la carmagnola,
viva il suono del cannon!


- Fi, l’horrerur! Gridò la principessa di Carignano prima di svenire.

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