Lavoro nella Moda

di Blacket
(/viewuser.php?uid=79894)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non volevo lavorare qui. ***
Capitolo 2: *** Psicologo mancato, perfetta carne da macello. ***
Capitolo 3: *** Devo capirci di più. ***
Capitolo 4: *** Grandi, Grossi, Russi. ***
Capitolo 5: *** La vedo stressato, sa? ***
Capitolo 6: *** Il torsolo della Grande Mela ***
Capitolo 7: *** Odore di ospedale ***
Capitolo 8: *** Il Non Lavorante ***
Capitolo 9: *** Vita da segretario- Parte 1 ***



Capitolo 1
*** Non volevo lavorare qui. ***


Lavoro nella moda. 1 Lui non ci voleva lavorare, lì.
Insomma, si era sempre figurato un bravo meccanico, oppure chino sui vecchi libri della sua bliblioteca, nel peggiore dei casi volontario militare. Ma NON in una casa editrice di riviste e libri che propinavano prettamente moda.
Cos'era, poi, la moda.
Ignorava completamente abbinamenti, colore, trend e tutte quelle inutili parole inventate apposta per quel mondo che a lui non era mai appartenuto. Cazzo, era anche venuto in America, per quel lavoro, dato che a casa di soldi ne avevano davvero bisogno, e probabilmente doveva ritenersi ancora fortunato date le condizioni economiche mondiali.
Non aveva nemmeno intenzione di entrare in quell'enorme palazzone grigio, fin troppo movimentato per i suoi gusti. Pareva piombargli addosso, con tutta la sua mole, gridando odi a scarpe e accessori. Poteva anche spaventarsi, a vedere tutto ciò, eh. Perchè la gente cambiava, se entrava a contatto con quelle cose, di solito impazziva, o finiva come contabile.
Perfetto: a lui non dispiaceva arrovellarsi un po' sui conti aziendali al posto che passare ore e ore a scegliere il colore giusto per una modella sottopagata.
Avrebbero avuto il suo lavoro, il suo contributo verso l'azienda, ma MAI la sua volontà! Anzi, lui, in quel palazzo, non ci sarebbe mai entrato! Figurarsi se lui, Ludwig Beilschmidt s'inoltrava nel campo della moda!


Gli stava giusto presentando le varie offerte, seduto su comode poltrone in pelle, circondato da manichini e varie stoffe svolazzanti. In quel palazzo del cavolo. Merda.
Alla fine l'inquietante portinaio l'aveva cacciato dentro a forza. Un tipo strano, eh. Altro, biondo, occhi azzurri, un paio di occhiali sul naso, fin troppo serio. Forse anche lui si era trovato nella sua stessa situazione, e probabilmnte era straniero, a giudicare dai tratti del suo viso.
Quell'universo fatto di nastrini e paiette stava ingoiando persone sbagliate.
Ora, in quel preciso istante, fissava malissimo il tizio che gli stava davanti, che blaterava scocciato. Oltre ad essere vestito ad una maniera oscena, non si spiegava di come quell'accento gli ricordasse la sua bella lingua tedesca. Parlava con calma e garbo, ma quell'uomo era consapevole della sua autorità, e lo dimostrava in ogni singolo gesto; perfino il movimento del capo.
Non seppe dire quante volte lesse il suo curriculum, che fino a quel momento aveva tenuto nella sua ventiquattr'ore. Il tempo passava, la sua pazienza diminuiva notevolmente, e il tizio che gli stava davanti non aveva nemmeno avuto la premura di presentarsi.
"Curriuculum!" Ha detto, quando non aveva fatto in tempo nemmeno a sedersi. Mentre leggeva -distrattamente- gli presentava l'azienda,e le prospettiva in generale; non faceva però commenti su colleghi o persone e nemmeno faceva riferimento ad abiti e collezioni.
Ed eccolo lì, seduto ad aspettare, impaziente di incominciare ad essere tartassato dai numeri.
-Signore- Fece dopo un po', posando le varie scartoffie sul tavolo. -La sottoporremo ad un periodo di prova, prima di assumerla. Lavorerà momentaneamente presso la contabilità, sotto il mio comando, e la mia responsabilità. La prego di dimostrarsi un lavoratore corretto. D'altronde da lei me lo aspetto.-
Okay,aveva un piano. Prendere la sedia, rompere quella dannata finestra del terzo piano e buttarsi giù ad angelo, incurante del prossimo sfracellamento al suolo. Quel tizio chi diavolo si credeva di essere? Il capo dell'azienda? Un imprenditore di fama?
No, lui si credeva solo il responsabile della contabilità, ecco tutto. E, maledizione, lui sarebbe stato un suo sottoposto. 
Represse i suoi istinti omicidi, si alzò, stringendogli la mano con decisione mentre questo si metteva a posto gli occhiali.
-Sa, lei mi ricorda qualcuno. Il nome che porta me lo suggerisce, in ogni caso. Beilschmidt. Ho un...amico, che si chiama allo stesso modo.- Questa volta il tedesco lo fissò un po' più incuriosito, per la strana uscita dell'altro, che non si aspettava affatto.
-Ah, dimenticavo.- Fece di nuovo, senza dare il tempo di rispondere a Ludwig. -Sono Roderich Eldestein.-
Non gli pareva di conoscere nessuno che si chiamasse così. E, in ogni caso, se davvero avesse un amico o conoscente che si vestiva a quel modo -con quel soprabito d'inizio 800- se lo sarebbe ricordato.
-Mi..mi dispiace, non ho mai sentito questo nome. - Il suo superiore si limitò a fare un gesto con la mano, sussurrando un "fa nulla" mentre lo accomagnava alla porta.
Ludwig non si rese conto di cosa stesse per fare, in quell'istante. Stava lasciando quel posto apparentemente sicuro, dove la moda non reganava sovrana e non v'era affollamento per i corridoi o vaghi starnazzi di stilisti in crisi.
Varcò la soglia, pentendosi subito di ciò che aveva fatto. C'era un caos assurdo, le persone correvano coperte letteralmente di sciarpe e cappottini. Una di queste gli scaraventò addosso un tacco dodici nello stomaco, fregandosene altamente delle proteste del tedesco.
Non riusciva a capire più nulla, gli ordini dei capi erano un vago vociare ormai, e non potevano aspettarsi che tutta quella gente, agitata com'era li ascoltasse. Ce n'era uno in particolare, abbastanza bassino, che troneggiava su un tavolo urlando come un indemoniato, battendo i piedi probabilmente per lo stress.
-PORTATEMI LE ALTRE PRATICHE!- Continuava a strillare, mentre -stranamente- c'era chi davvero lo ascoltava in tutto quel marasma , e impilava fogli e album vicino a lui.
Quindi Ludwig, decise molto saggiamente di fuggire da lì. S'incamminò verso l'ascendore, quando il pazzo che ancora urlava lo indicò, furente.
-TU!- il teutonico si indicò , mormorando un "io?" che probabilmente nessuno aveva udito.
-Si, vieni qua! Immediatamente!-
Eccolo, un'altro decerebrato mentale. E lui, adesso, doveva lavorare lì? Si avvicinò al tavolo su cui stava praticamente saltando, mentre lo osservava rapito.
Insomma, aveva delle sopracciglia enormi. Abbastanza magro, non troppo alto. Portava dei capelli molto arruffati, che incorniciavano un volto dall'espressione decisa, ma in quel caso quasi traumatizzata.
-Ha chiamato me?-
-SI! Ho chiamato TE. Vai di corsa al ventottesimo, dì al centralinista -anche se è un tizio poco affidabile- da parte di Arthur Kirkland che il compratore è QUI e l'Artista non c'è, e nemmno gli abiti!- Finì la frase con un mugolio disperato, quasi la fine del mondo fosse vicina. - E adesso GO, GOO!-
Si sarebbe licenziato appena avrebbe auto l'opportunità di farlo.Aveva capito poco di ciò che doveva fare, tanto era veloce la parlantina di quel tizio, però era sicuro che c'entrasse un centralinista. Ritornò verso l'ascendore, guardando di tanto in tanto il marasma di persone che ancora affollavano il piano. Se non errava, lì c'erano contabili e addetti al magazzino. Forse anche la mensa, ma non ne era sicuro. Allora cosa ci facevano tutti quegli abiti, proprio lì?
Premette il pulsante più volte, quando finalmente l'ascensore arrivò, stranamente vuoto. Si rifugiò al suo interno, sospirando quando le porte si chiusero, allontanandolo dal caos.
-Hey, sei nuovo?- disse una voce femminile, dal tono tranquillo rispetto a quello di...Arthur. Si chiamava così? -Non ti ho mai visto da questa parti.-
Si girò, volendo vedere la sua interlocutrice. Una ragazza giovane, carina, con dei lunghi capelli castani. Pareva una persona a modo, dopotutto normale rispetto ai figuri che aveva incontrato fino a quel momento.
-Si...sono nuovo, ho iniziato oggi.-
-Piacere, Elizaveta.- Sorridendo gli afferrò la mano stringendola, dimostrandosi cordiale, ma vivace. -Ludwig.- Disse semplicemente, lasciando la presa e fissando insistentemente la porta, pregando che si aprisse. Ma ci sarebbe voluto un po', dato che, come gli aveva ordinato l'assatanato sul tavolo, doveva andare al 28° piano.
-è difficile all'inizio. Intento, lavorare qui. Ti troverai bene, alla fine. Però giungere proprio quando ci sono questi problemi....non sei stato molto fortunato.-
-Che genere di problemi?- Sgranò gli occhi preoccupato, temendo il peggio.
-Hai visto anche tu che inferno c'è giù. Sta arrivando il nostro affare, un compratore russo, mi pare. Solo che non abbaimo gli abiti.-
QUESTI li chiamavano problemi?! Si atteggiavano come se avessero piazzato una bomba nell'edificio! Possibile che quelle persone fossero così superficiali, da scatenare un'ecatombe del genere per dei comunissimi pezzi di stoffa?
-Ah.-
-Bhè, forse non sembra, ma saimo nei guai. Presente il tizio che sbraitava sul tavolo? Arthur Kirkland, l'addetto alle vendite. Non vorrei essere lui, oggi.-
Ludwig si limitò ad annuire, sentendo la disperazione montare, e pregando che la ragazza non lo informasse ancora delle strane bestie che lavoravano lì. Probabilmente avrebbe scoperto tutto con il tempo, se non fosse fuggito prima. Non aveva fatto nemmeno in tempo a guardarsi un po' in torno, capire quale sarebbe l'ambiente dove avrebbe speso ore e ore della sua vita -probabilmente- che l'avevano catapultato in una sottospecie di affare di stato.
Sospirò più volte, pregando di tornare presto in Germania, magari nel perodo dell'Oktoberfest, dove di queste preoccupazioni poteva farsene un baffo mentre tracannava litri e litri di birra.
Era colpa di suo fratello, se alla fine si era trovato lì in quel posto. Sempre colpa sua, non poteva aspettarsi altro da una testa calda come Gilbert.
Mentre ancora malediceva il fratello, l'ascendose si fermò aprendosi, rivelando l'ultimo piano. Quello di boss, insomma. Di chi decide cosa fare, con chi, come e quando. Anche se, in tutta franchezza, le sue adorate pecore della Baviera sarebbero state più ordinate e composte. Uscì dall'ascendore, in contemporanea con la ragazza, che lo salutò per poi volatilizzarsi fra i corridoi.
Lì, si stava esattamente come al 3° piano. Semplicemente l'arredo era moderno, c'era un odore insopportabile di profumo ovunque e l'ambiente, se non fosse stato così zeppo di persone e abiti, sarebbe potuto essere perfino accogliente.
Con un po' di fatica, guardandosi sempre in torno, trovò il centralinista. Era posto al centro delle ramificazioni dei tre corridoi, così da avere tutto sotto controllo. Notò subito il marcato accento francese, l'abito curatissimo e lo sguardo vigile e attento, alla caccia dell'ultimo scoop.
Andò al bancone, cercando di dimostrarsi serio e composto. Il centralinista in questione che in quel momento ridacchiava divertito con un paio di modelle, spostò tutta la sua attenzione su di lui, quasi contento della sua presenza. Ravviò un paio di volte i capelli biondi, prima di avvicinarsi appoggiando i gomiti sul bancone mentre lo fissava rapito.
Quel ragazzo, anche se bello, aveva un'aria assurda. Avrà anche avuto un sorriso angelico, ma non avrebbe mai passato un singolo secondo della sua vita solo con lui. In ogni caso non avrebbe su quel piano, quindi poteva stare tranquillo: il centralinista l'avrebbe lasciato in pace.
-Et toi? Che sorpresa trovare un modello nuovo di zecca!- Si prese tempo per fissarlo, così intensamente che Ludwig avrebbe voluto scappare. Modello? Dove lo vedeva il modello, adesso?! Non aveva mai badato troppo al suo aspetto, e adesso scopriva che lo consideravano un...no, no, assolutamente, che storia era, quella?
Leggermente imbarazzato per il complimento "indiretto", si schiarì la voce prima di chiarire la situazione.
-N-non sono un modello.- L'uomo, che lo stava ancora fissando, scosse il capo anche troppo teatralmente.
-Qual spreco! Ora però capisco il perchè tu sia vestito a questa maniera.-  Disse annuendo, facendogli una specie di radiografia analizzandolo da capo a piedi. Anche i vestiti non andavano bene, ora. Cominciava perfino a capire perchè le persone che lavorassero nel campo della moda fossero stressate, dato che in quel momento avrebbe fatto ingoiare la sua valigetta al tizio che gli stava davanti.
-In ogni caso, se hai bisogno di indicazioni o di un po' di compagnia, io son qua. Francis Bonnefoy, per l'esattezza.- il francese si lasciò andare ad un lieve inchino, che preoccupò fortemente Ludwig.
-Piacere, Ludwig Beilschmidt. In realtà, io dovrei riferirvi una cosa.-
-Dammi del tu, Lud.-
No, Momento, momento, momento, momento, momento, momento. Lud? Nemmeno 10 minuti che lo conosceva e già si prendeva certe libertà? Aveva ragione Kirkland, a dire che era un tizio poco affidabile, per quanto fosse affascinante e "cordiale".
-Ho un messaggio da parte di Arthur Kirkland. Dice che il compratore russo è qui, e l'Artista e gli abiti con ci sono.- Sperò di aver detto tutto con esattezza, dato che non aveva idea di chi o cosa fosse l'Artista. Quel posto era decisamente strano, una gabbia di matti, probabilmente non sarebbe riuscito ad abituarsi.
Francis sgranò gli occhi, prendendo due profondi respiri prima di assumere un'aria preoccupata. Accese il microfono e premette un pulsante sotto il bancone.
-Il Bruco dice che il Russo è qua, ma l'Artista non c'è, Liz e Feliks dal dirigente.- Sospirò affranto, posando le cuffiette e microfono.
In meno di 5 secondi, il traffico di persone aumentò, il brusio divenne quasi insopportabile e il disordine continuava ad avanzare indisturbato.
-I-io credo di dover anda...-
-No, aspetta! Non vorrai mica perderti l'entrata dell'artista, vero?- Fece con il suo fastidiosissimo accento francese.





Ecco, l'ho fatto. Il più grande errore della mia vita xD è una ficiotn strana, e sinceramente non so come mi sia balzata in mente. Ludwig a lavorare nella moda, poverino, non ce lo vedo, ma ho voglia di farlo impazzire un po'. Ho riflettuto molto sul Francis centralinista. Ho pensato poi che di stilisti ce ne sono a bizzeffe, e il nostro francese farà la sua parte più tardi. Feliks è un desiner, e Elizaveta una semplice sarta, ma spiegherò i loro ruoli più in là, con la storia.
Non so perchè, adoro Arthur assatanato. Bah.
Il Raiting probabilmente si alzerà con l'andare dei capitoli, avviserò quando dovuto.
Mi scuso in anticipo per i ritardi che farò con la pubblicazione.
un Grazie enorme per chi leggerà il capitolo, o sarà interessato alla storia.

Baci, Blacket.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Psicologo mancato, perfetta carne da macello. ***


Lavoro nella Moda 2 Il suo lavoro era già compromesso, stava decisamente perdendo tempo in quel posto. Pieno di matti, fissati per la moda, gente che creava il proprio stile di vita basandosi su collezioni e seguendo alla  lettera ogni stupido consiglio che poteva fornire un articolo di fondo di una rivista.
Gli erano già volati addosso schizzi e appunti di ogni tipo,10 dei quali contrassegnati dalla parola "collezione autunno-inverno 2010".
Per di più, quel maledettissimo francese non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso, e lui come un idiota stava lì immobile a farsi ammirare. Rimaneva lì, infatti, semplicemente per vedere arrivare questo fantomatico Artista, il solito stilista allampanato che riesce a trovare ispirazione per i suoi abiti perfino nelle barrette proteiche che rifilava alle modelle.
ECCO, quello che stava aspettando -con tutta probabilità-, mettendo in serio pericolo la sua futura carriera di capo contabili (avrebbe fatto fuori Roderich il più presto possibile) e la sua integrità mentale. Stava impazzendo, in quel posto.
-Quindi, se non sei un modello, perchè ti trovi qui? Hein?-
Ci mancava anche che iniziasse a conversare. Francis, si chiamava, giusto?
-Mi hanno assunto oggi, lavorerò nella contabilità.- Disse con un cipiglio serio, notando quello strano individuo che quasi ci trovava gusto continuando a fargli domande.
-Novellino, quindi...- Aveva ignorato completamente le sue parole, tranne l'inizio. -E hai incontrato il primo giorno il Mio Bruco? Sfortuna.- Disse di nuovo sogghignando.
Ludwig, dal canto suo, non aveva ben capito di chi si trattasse, si limitò ad annuire apatico. Bruco.
L'aveva nominato prima, no? Doveva essere il soprannome di quell'Arthur. In quel caso lo sfortunato era l'addetto alle vendite, non lui.
Si guardò in torno, constatando che ogni singola persona che gli passasse davanti -o probabilmente dietro- lo fissava con un'insistenza malsana, che quasi riusciva a fargli paura. Probabilmente perchè era nuovo, oppure non aveva inutili griffe piazzate ovunque.
Poco gli importava: voleva sbrigare quell'assurda faccenda per poi tornare verso il basso, dove gli esseri umani, ogni tanto, comparivano. Inoltre, dalle gigantesche vetrate filtrava una luce offuscata dal cielo plumbeo, dando così un tocco ancora più macabro e soffocante alle alte guglie di altri grattacieli che si vedevano da lì.
Mentre anora si guardava intorno, sperando di non incappare in un furioso omicida -a giudicare dalle persone che lavoravano lì sarebbe stato il minimo- , non vide la ragazza che si era fermata poco distante da Francis. Probabilmente aveva iniziato a parlottare, mentre il centralinista ancora sospirava degli "Arthur" che facevano andare in bestia la povera ragazza.
-TI HO DETTO CHE E' THE'!- Urlò battendo i piedi, afferrando Bonnefoy per la cravatta, trascinandolo sul bancone.
-Sois tranquille, Natalie!- Balbettò poi questo, riscuotendo Ludwig dal suo stato di coma. Si girò appena in tempo per vedere una bellissima ragazza bionda, molto alta, quasi regale. Peccato però stesse impugnando un coltellaccio da cucina, di quelli che si usano per scotennare maiali e conigli.
La cosa più preoccupante, è che il tedesco non pensò perchè lo brandiva gridando morte e vendetta, ma dove l'avesse tenuto per tutto quel tempo.
-Piantala di chiamarmi così! Sono Natalia!- Sibilò quasi, facendo rabbrividire Francis.
Lud, che si era preso del tempo per fissare meglio la scena, notò che sul gilet della ragazza v'era stampata sopra una macchia deforme, incolore. Forse si stava preoccupando tanto per questo. Per quello che ne sapeva lui, bastava lavarlo, il vestito.
Poi, cosa pretendeva dal povero (si stupì a pensarlo) centralinista? Che c'entrava lui e il thè? Preferì non saperlo.
Sgranando appena gli occhi provò a volatilizzarsi alla bell'e meglio, scontrandosi più volte con altre persone che ancora scorrazzavano per i corridoi.  Cercò di evitare tutto il trambusto che alitava in quel posto, trovando con piacere il bagno maschile vuoto.
5 minuti lì dentro, e poi sarebbe corso giù a lavorare, almeno sperava. Mentre chiudeva la porta, notando quanto fosse ben arredato perfino il bagno, giurò di sentire un flebile sussurro provenire proprio da lì. Si guardò in torno, non trovando nessuno. Nemmeno i bagni erano occupati.
Constatò poi, guardando meglio, che l'ultimo di questi fungeva da angolo, probabilmente per una vetrata o un cestino. Si avvicinò cauto, temendo di vedersi balzare addosso un altro tacco a spillo che poco prima gli aveva bucato l'intestino.
Si decise a guardare, alla fin fine.
Trovò una sottospecie di divanetto rosso, adiacente al muro. Sopra, un ragazzo giovane, con la testa ranicchiata fra le ginocchia e un curioso ciuffo al lato della testa. Il pavimento era cosparso da disegni, cartellette, matite e schizzi. Non si soffermò a guardarli nel dettaglio anche se parevano belli, dato che tutta la sua attenzione era concentrata sulla persona davanti a lui.
Piano piano, la chioma ramata del ragazzo si alzò, rivelando un volto dai tratti delicati, due guance rosee e dei grandi occhi nocciola, leggermente arrossati.
Si fissarono per un po', senza dire una parola, probabilmente non sapendo cosa dire.
-Tutto bene?- Disse poi timidamente il tedesco, temendo di impicciarsi in affari non suoi.
Quel viso però non lo aveva lasciato indifferente, era diverso e particolare da quelli che prima di allora aveva visto e pareva persino bisognoso di aiuto.
Il ragazzo, annuendo energicamente, allungò di scatto una mano, cercando quasi di sorridere. -Feliciano. Fe-Feliciano Vargas.- Il tedesco lo guardò leggermente imbambolato, per poi smuoversi e stringergli la mano a sua volta, facendo però attenzione a scansare i vari disegni mentre si avvicinava a lui. -Io sono Ludwig Beilschmidt.- Gli rispose, non sapendo bene se andarsene oppure restare lì con lui. Feliciano però lo invitò a sedere, battendo più volte la mano sul divanetto.
A dire la verità, Ludwig non sapeva bene se accettare, ma non aveva molta voglia di rituffarsi nel caos. Si mise quindi accanto a lui, un po' rigido, mentre lo fissava di sbieco.
-Sei tedesco?- Gli chiese poi, con una voce diversa da prima, forse più allegra ma non spontanea. Gli pareva ovvio che si stesse sforzando di apparire contento e felice, anche se forse avrebbe dovuto sfogarsi con qualcuno che magari gli era sempre stato vicino.
-Si.- Non sapendo che altro dire, buttò lì una semplice risposta, non essendo un chiacchierone e credendo che l'altro non avesse voglia di parlare.
-Io invece vengo dall'Italia. Veh. Ho un fratello e un nonno. Ah, ti piace la pasta?- Pareva così infantile quell'italiano. Aveva anche una bella parlantina, cosa che lui non gradiva molto, ma non si sarebbe messo a giudcarlo così presto. Fece per rispondere alla sua domanda, quando lo vide abbasssare lo sguardo e sul volto dipingersi un sorriso triste.
In meno di tre secondi aveva passato lo stadio "asilo nido" a "uomo stanco e vissuto". Gli pareva un espressione così distrutta, di una persona che ne aveva passate tante e che ora faticava ad andare avanti.
-Hai mai avuto paura di commettere uno sbaglo di troppo? Insomma....quando non ce la fai davvero più, sei solo nella tua situazione e devi per forza svolgere un importante compito che hai paura solo ad affrontare.-
Eccola lì la trappola. Volevano farlo diventare psicologo, neh?! Lui non sarebbe riuscito ad analizzare nemmeno una patata,e adesso la vita gli rimediava un povero ragazzo con dverse crisi. Guarda te che coincidenza.
-I..io...n-non ti devi preoccupare...tutto passa prima o poi.-
Pessimo. Se una persona gli avesse detto così quando era triste e stanco avrebbe preso qualunque cosa avesse avuto sottomano e gliel'avrebbe fatta ingoiare. Feliciano poi alzò la testa, appoggiandola allo schienale, mentre fissava vacuamente il soffitto.
-Non c'è bisogno che mi rincuori. Ma grazie. - sussurrò poi un "sono inutile". Pareva perfino che non volesse fargli sentire quella parola pronunciata così tristemente. Ludwig, ora, era nel panico. Non sapeva che dirgli, era imbarazzato solo dalla sua presenza.
Cercò quindi una via d'uscita quando vide uno dei disegni. Lo raccolse, per pura curiosità, fissandolo ammirato.
Erano belli. Molto, molto belli. il ragazzo che aveva al fianco era un genio. Non si limitava a scarabocchiare un abito, ma figurava la persona, il paesaggio, dava un carattere e persino vita al disegno. Creava un personaggio, basato interamente sull'abito, che per una volta non dominava la scena; era infatti l'espressione, il volto della persona, a valorizzare il vestito che indossava, concetto e pensiero che avrebbe messo in crisi diversi stilisti.
-è...bellissimo, Feliciano.- Disse non staccando gli occhi dal foglio. -Io non riuscirei nemmeno a disegnare uno degli alberelli sullo sfondo.....è...davvero spettacolare.- Abbassò poi la voce, consegnando il foglio all'italiano. Questo alzò lo sguardo, stupito. Comparve un bel sorriso sulle sue labbra, così sincero da riuscire a tranquillizzare persino Ludwig, che temeva ancora che il suo posto di lavoro fosse evaporato.
-Grazie Lud!-
Anche lui lo chiamava così, adesso? Ludwig era davvero brutto come nome? Bah.
-N-non c'è di che.- Si alzò poi, sperando di sfuggire a Feliciano. Non perchè gli desse particolarmente fastidio, ma perchè doveva LAVORARE. -Spero che tu riesca a compiere il tuo dovere con serenità.-
Dai, Lud, un prete avrebbe usato le stesse parole. In ogni caso, prete o no, quel ragazzino pareva già più sereno a giudicare dal sorriso che sfoggiava, il tedesco aveva qualche speranza di diventare psicologo ed era riuscito persino a salutarlo con garbo senza sembrare un tocco di lego. Gli rivolse un'ultima breve occhiata prima di andarsene.
Uscì leggermente scombussolato dal bagno, trovando l'ascendore in fondo al corridoio. Perfetto.
Ora, l'avrebbe preso, sarebbe sceso e...cosa ci faceva il centralinista davanti a lui? -Mon Chère!- escamò questo, leggermente agitato e stranamente vivo -dopo l'incontro con la modella squartatrice.
-Dovresti farci un piccolo piacere. Tu e la tua bellezza teutonica ci servite.-
Ah, parlava al plurale.
-Ti andrebbe di essere veramente un modello? Non sto scherzando, su. Adesso seguimi che ti spiego tutto.-
A sentire quelle parole, Ludwig ebbe un attacco nervoso che lo portò alla risata. No, dai, era impossibile. Che scherzo gli stavano facendo? Era Gilbert, vero? Avrà fatto una telefonata, veloce veloce, solamente per mettere in piedi quella buffonata e fargli prendere un colpo.

E invece No.

Da contabile era passato a carne da macello.
Ora stava in piedi su una piccola piattaforma, in una stanzetta circolare zeppa di vestiti e adornata da fin troppe luci artificiali. In torno a lui, tre persone che parevano dei Boss della moda, lo fissavano dall'alto in basso peggio di un ipotetico maniaco.
Non gli avevano ancora detto nulla, a parte presentarsi brevamente, e poco dopo era iniziata quella tortura. Un certo Feliks continuava a girargli intorno, non stando fermo un attimo, mentre gli altri due rimanevano davanti a lui, parlottando. Almeno, uno di loro lo faceva.
Si chiamava Antonio, aveva un forte accento spagnolo, era letteralmente cosparso di album e foglietti svolazzanti. Pareva una persona allegra, quasi a modo, perfino più normale degli altri.
Il tizio che gli stava davanti, invece, aveva come Feliciano un ciuffo abbastanza ridicolo, non parlava, pareva incazzato a morte col mondo e se gli sguardi avessero potuto uccidere lui sarebbe già morto sepolto. Da quando era arrivato, gli aveva puntato gli occhi addosso, e lo aveva fissato così male che pareva urlargli "muoviti da qui, piantagrane del cazzo e ti spacco la faccia a forza di parole".
Certo che in quel posto c'erano persone davvero cordiali.
La sua esasperazione stava crescendo a dismisura. Quella mattina era entrato là dentro semplicemente perchè, come ogni brav'uomo, doveva trovarsi un lavoro per aiutare la sua famiglia. Aveva iniziato la giornata diventando contabile, trasformandosi in corriere di brutte notizie, psicologo e, colpo di grazia, modello.
Anzi, non era ancora modello, quindi carne da macello.
Quella era l'unica cosa che davvero non si sarebbe mai aspettato. Non sapeva bene cosa ci trovassero nel suo aspetto, ma non credeva di finire....così, insomma. Un attimo prima cercava la salvezza nell'ascensore, e ora...
-Romano, che ne dici? Sia io che Feliks siamo d'accordo. Manchi solo tu.- Si rivolse a lui con un sorriso che avrebbe spaccato le pietre, ma l'altro non si scompose minimamente.
-Non me ne frega un cazzo. 'Sto tipo non mi convince.- Antonio parve rabbuiarsi, fissare Romano tristemente. Quell'uomo faceva liberamente trasparire quello che provava. Era praticamente un libro aperto, trasmetteva ogni sua singola emozione e stato d'animo. Pareva avere il fuoco, nell'anima e nel sangue.
-Tipo, levati la maglietta, per piacere.- Avvertì la strana parlata di Feliks dietro di sè, mentre diventava bordò. Avrebbe fatto COSA?! Oltretutto, la porta di quella stanza era enorme, le persone transitavano ogni tre per due e alcune si soffermavano persino a guardare. Già in panico, fissò Antonio, sperando che lo rincuorasse o gli dicesse che non sarebbe stato obbligato.
-Non ti mangiamo mica!- Rispose contento quest'ultimo, facendo implodere tutte le sue speranze. - I-Io mi rifiut...-
-E CHE CAZZO! LEVATI QUELLA MAGLIETTA!-  Lo incoraggiò con molto...pahtos Romano, che pareva ora più spazientito che mai.
Ludwig, se avesse potuto, l'avrebbe preso a pugni, in quell'istante.
Allora tutto rosso, avvilito e incazzato, il tedesco prese a togliersi la camicia, sfilandosela alla svelta sotto gli occhi di tutti i presenti. Sperò almeno che gli anni di addestramenti e palesta avessero fruttato un po'. Levò per ultimo la canotta, mostrando il suo fisico scolpito e prestante.
Probabilmente diventò bordò, ma nessuno lo stava fissando in volto, con tutta certezza. Vide Antonio annuire, Romano farsi ancora più rosso (potevano farsi concorrenza) le persone che spudorate si fermavano a guardare; e Francis, più lontano, che afferrava un binocolo.
Merda.
Come diavolo aveva fatto a finire in una situazione simile? Si sentiva esposto, spogliato della sua sicurezza davanti a quella persona che non conosceva nemmeno. Ma cosa cavolo gliene fregava ai dipendenti dei suoi pettorali?! Lo avevano praticamente obbigato ad essere lì, perchè rigiravano il coltello nella piaga?!
I due "Boss" si girarono poi verso l'Imbronciato, come per aveva una conferma, che prontamente negò. -Non mi convince. L'avevo detto, io che, non mi convince.-
-Allora vado a chiamare l'artista. Magari riuscità a rinsavirti, zuccone come sei.- Ripetè allegro lo spagnolo, dedicando un gran sorriso all'altro ragazzo, che arrossì lievemente. "Bastardo" sussurrò a denti stretti.
Oh! Finalmente avrebbe conosciuto l'Artista! Peccato che l'avrebbe visto per la prima volta a torso nudo, ma ormai non poteva sperare di meglio.
Poco dopo, nella stanza, ritornò Antonio seguito da cartelle e stoffe. Poi, in fondo alla fila, lo stesso Italiano che aveva trovato singhiozzante in bagno. No. Possibile che...?
Le persone si avvicinavano al ragazzo, osannandolo come pochi, complimentandosi e alcuni si inchinavano anche. Si, era lui. La gente lo salutava come Artista, si apriva al suo passaggio quasi con reverenza. Feliciano camminava spedito e deciso, un'espressione allegra ma non rilassata e due guance che si facevano più rosse man mano che si avvicinava.
Non ci poteva credere. Aveva visto quel ragazzino debole e distrutto poco fa, l'aveva "rincuorato" senza nemmeno sapere chi fosse, mentre ora scopriva che il genio della moda era un giovincello italiano.
-Ciao Ludwig.- Lo salutò allargando il suo sorriso.
-Lo conosci?!- Fece subito Romano, inquietantememente simile al ragazzo che gli stava vicino. Ora pareva persino più arrabbiato, per un qualche motvo che il tedesco preferiva ignorare.
-Veh, fratellone, non ti piace?-
-No.-
Fratellone? Ora si spiegava la somiglianza. Sospirò, attendendo il verdetto finale, dettato dai due Vargas. Parevano le due coscienze, l'una buona, l'altra cattiva, anche se dubitava fortemente della loro saggezza.
-A me si. Lo voglio.- Ribattè Feliciano squadrando il fratello, sempre sorridendo. Mentre ancora cercava di metabolizzare la avvilito la notizia, percepì una tensione quasi palpabile. I due si fissarono per qualche secondo, come se avessero una faccenda in sospeso, qualcosa da dirsi, quando Feliciano battè un paio di volte le mani per dare il via alle danze.
Il personale si ridestò magicamente, cominciò a lavorare impegnandosi, mentre ognuno si metteva al lavoro sotto il comando dell'italiano.  Cominciò un fitto via-vai , ma tutto era stranamente più calibrato. Pareva che ognuno di loro avesse una missione da compiere, un obiettivo e perfino un piano per portarlo a compimento.
-Feli, io vado.- Bisbigliò poi Romano, lasciando la stanza tutto accigliato.
Il tedesco lo seguì con lo sguardo, quando si ritrovò sotto il naso Elizaveta, che pareva essere la sarta a giudicare da ciò che tevena in mano, e un Feliciano abbastanza curioso. Lui non lo stava fissando come gli altri. Esplorava, con gli occhi.
Era molto più che imbarazzante, ma c'era dentro fino al collo, non avrebbe potuto uscire da quella situazione subito e indenne.
Sentiva l'italiano tirare a volte la stoffa del pantaloni, sfiorare a il suo busto, penetrarlo con quei due occhi così caldi e apparentemente innocenti. Sospirò, quando prese in mano un metro, e si posizionò dietro di lui.
-Lud, apri le gambe.-



Angolo autrice:
Perfetto, e anche il secondo capitolo è finito. Mi è piaciuto introdurre i due Italiani, ancora comperti dal mistero. Si, perchè li presenterò meglio nei prossimi capitoli, come altri. Quello che si è visualizzato megli, credo sia Francis, anche se, dato che i personaggi sono molti, non riesco a fare una completa descrizione o avvenimento tutti in due o tre capitoli. Con tempo Lud li conoscerà meglio. Non mi aspettavo che la storia piacesse tanto, quindi ringrazio di cuore chi ha messo nelle preferite, seguite e ricordate.
E ovviamente, un enorme grazie a chi ha lasciato un commentino :3
Adeline_Mad: Grazie CaraH xD Vedi che non faccio ritardi? Felice che ti piaccia!
hanta97: Grazie  anche a te! Sono felice che l'idea ti piaccia, e contenta che tifi Lud maltrattato. Viva il Patatone maltrattato.
Bimba127: Ecco svelato l'Artista! haha xD Grazie di cuore anche a te!
Molly83: Grazzzieiiissime :D Sono contenta che ti sia piaciuta...e....doh, ci saranno probabilmente errori anche qui, ma grazie per avermeli fatti notare, andrò a ricontrollare^^
PureMorning: Grazie per il tuo commento! Sper ti piaccia anche questo capitolo!

Baci, Blacket.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Devo capirci di più. ***


Lavoro nella moda, 3 Okay.
Ce la poteva fare, dopotutto no? Era ormai un uomo forte, pieno di determinazione e di tutti quegli ideali di forza e volontà che decantavano i film pseudo-commuoventi.
Dato che si ritrovava con tutte quelle belle qualità, perdere il posto di lavoro per essersi improvvisato modello sotto costrizione sarebbe stata una leggera bottarella di vita, no?
No, infatti.
Non sarebbe stata una carezza, ma una mazzata assurda, che l'avrebbe fatto ritornare a casa in Germania con la coda tra le gambe, umiliato e depresso a vita, e avrebbe raccontato ai suoi nipotini delle sue disgrazie.
Quindi, dato che ora c'era ben poco da fare, doveva semplicemente eseguire gli ordini sperando che uno di quei pezzi grossi lo avrebbe aiutato con quel Roderich. Probabilmente quell'uomo già bramava il suo sedere posto su una scomoda sedia davanti ad un Pc, e la sua mente che lavorava a ruota libera fra conti e salari.
Ma no, lui ora era un modello. E le sue chiappe, per l'appunto, le stavano fissando in molti, compreso un certo Italiano.
-Lud, apri le gambe.- Gli disse con tutta la disinvoltura di questo mondo, non pensando che il povero tedesco poteva fraintendere un pochettino dato che non sapeva nemmeno dove era girato e sfoggiava i suoi magnifici pettorali davanti a degli sconosciuti.
-C-che?- Si girò di scatto, fissando Feliciano con in mano il famoso metro. Questo lo fissava divertito, con quegli occhi fin troppo luminosi che lo annientavano con la loro vitalità.
-Devo prenderti le misure del cavallo.- Ridacchiò abbassando lo sguardo, non pensato che il biondo avesse percepito male la sua frase. -Oh...s-si, certo.- Si limitò a dire Ludwig, divaricando appena le gambe, colorandosi di rosso.
Avvertì poi il leggero tocco dell'Artista che agiva indisturbato, mentre lui, d'altro canto, si irrigidiva involontariamente più che poteva. Durò tutto pochi secondi, nei quali si accorse di trattenere il fiato, dopodichè Feliciano finì il suo lavoro -là sotto- e si spostò davanti a lui con pochi passi fluidi.
Appena si posizionò sotto il suo sguardo celeste e decisamente imbarazzato, gli rivolse un ampio sorriso, apparentemente  soddisfatto. -Sei tutto rosso. Guarda che non ti mangio mica, veh!- Si lasciò andare poi ad una risata, melodica, quasi armoniosa e ben studiata.
Non era come quel rumoraccio che si insidiava lì dentro. Era un'altra musica.
Il tedesco, come di consueto, abbassò il capo rassegnato, bollente in viso e non propriamente a suo agio. Vide poi con la coda dell'occhio diverse persone che si avvicinavano all'Artista, gli porgevano tavole, stoffe, domande e un dipendente che quasi si inginocchiava davanti al suo "idolo" gli portò persino un piatto di pasta. L'italiano, invece, ribatteva gesticolando eccitato, e spiegava delle sue visioni artistiche tutto ciò che si immaginava e voleva vedere realizzato lì, in quello studio.
Fissò un attimo spaesato quella marmaglia di gente che gli scorrazzava in torno, ed ignorando le diverse mani che sentiva su di sè, entrò in uno stato d'oblio, per ingannare la sua mente sul fatto che tutto sarebbe finito presto.
Gli aghi lo punsero migliaia di volte, e si girò aprendo le braccia come un manichino altrettante. Cominciò seriamente a rilassarsi quando vide i primi abiti che pian piano si formavano sotto le abili dita della sarta e lo sguardo compiaciuto dello stilista.
Le mani si muovevano velocemente, con precisione, cercando di fare il più veloce e bene possibile. Dopo poco, l'abito era pronto.
-Puoi provartelo.- Squittì la ragazza mora che prima aveva comprato, e che gentilmente gli porgeva i vestiti indicandogli -grazie al cielo- un camerino. Ludwig ringraziò, sorridendo inconsapevolmente a Feliciano che lo fissava attentamente, ansioso di vedere il suo creato indosso a lui.
Entrò nel camerino, dandogli le spalle, trovando tra quelle quattro mura quella poca intimità che gli serviva per cambiarsi. La camicia, bianca, anche se leggermente strana gli andava alla perfezione, così anche il gilet nero anche se lo fasciava un po'.
Il problema furono i pantaloni.
Erano stretti, maledizione, molto stretti. Però anche elasticizzati, quindi senza troppa fatica riuscì a metterseli  guardandosi poi allo specchio. Oh.
Non sapeva bene cosa pensare, se piangere o ridere, e dubitava seriamente di uscire con delle braghe del genere, che aderivano perfettamente alla sua figura. Fin troppo bene.
-Lud hai finito?-
-Su su Chère! Voglio vederti!- Ecco, ci mancava anche il francese a peggiorare il tutto. Senza rispondere allacciò le scarpe (scomodissime) e uscì incerto e quasi paralizzato. Squadrò preoccupato francis, che annuì serafico fissando quei maledetti pantaloni, e Feliciano, che invece gli veniva in contro con la luce negli occhi.
-Veh! Perfetto! Sei un ottimo modello!-
Ludwig tossicchiò a quella parole, come per scacciare il pensiero o per far finta che non gli avesse fatto quel complimento. Non riuscì però ad ignorare gli occhi dell'Artista, che vagavano ancora su di lui, contenti.
Si ritrovò a pensare che quel ragazzo avesse un bel sorriso, una vitalità che lo spiazzava completamente anche se poco prima l'aveva visto triste e rassegnato.
Era quindi una persona che sapeva rialzarsi di fronte alle avversità, che strisciava prima di veleggiare di nuovo sulla sua vita con un sorriso sul volto. Ammirevole.
Vide poi quel buffo ragazzino sorpassarlo, cominciando a parlare a vanvera su quanto stesse bene e come ci avesse pensato su. Lo seguiva, nel mentre, ipnotizzato dal suo ciuffo che seguiva pigramente i suoi movimenti.
Ad un certo punto, lo bloccò una sonora pacca sul sedere. Avvampando, ed incazzandosi subito, si voltò indignato, incontrando il sorriso sornione di Francis. Leggermente offeso, si voltò con l'intenzione di fargli lo scalpo.
-MACCHECCAZZ...?!-
-Stavo solo testando!- Si difese questo, alzando le mani in gesto di difesa, non modificando però l'inquietante sorriso. L'aveva capito fin da subito che era un maniaco, di quelli pericolosi.
Era anche un bell'uomo, non avrebbe avuto problemi a trovarsi qualcuno, perchè non si metteva la testa a posto? Gli ricordava suo fratello Gilbert.
-Francis! Piantala!-  Fece Elizaveta, fissandolo con rimprovero, e riducendo gli occhi a due fessure.
-Oh, non me ne pento affatto.- Sussurrò squadrando la ragazza con la medesima aria da stupratore seriale. QUELLA era una persona da cui starsene alla larga, decisamente.
Ludwig rimase un attimo a fissare la scena, l'espressione contratta di chi aveva poca pazienza e tempo da perdere.
Notò poi, quando stava per dare le spalle ad entrambi, l'espressione di quel maniaco cambiare, fissare un punto ben preciso, la sua faccia tosta smontarsi completamente. Pareva una rosa avvizzita, che si affloscia lentamente.
Il tedesco non capì il perchè di quella reazione così strana, repentina, assurda quasi. Si voltò nella direzione opposta, facendo appena in tempo a vedere Arthur uscire da una porta nera posta vicino alla finestra; una targhetta dorata segnalava "DIRETTORE".
Aveva un aspetto trasandato, la camicia fuori dai pantaloni stropicciata in più punti. I capelli che ancora cercava di rimettere a posto, il volto arrossato e lo sguardo basso. All'inizio non riuscì ad intendere bene cosa potesse essere successo, ma un segno violaceo sul collo del ragazzo gli schiarì le idee.
Ritornò a fissare Francis, sentendosi decisamente di troppo, provando quasi pena per lui. Pensò che da un momento all'altro sarebbe scoppiato in lacrime, dall'espressione che sfoggiava.
Invece no. Rimase immobile, come un pezzo di legno, fissando la persona che molto probabilmente gli interessava e che qualcun'altro possedeva andarsene.
Decisamente, in quel posto, doveva ancora ambentarsi bene. Non sapeva praticamente nulla di nessuno, e rischiava sempre più di ritrovarsi catapultato in mezzo a certe situazioni.
-Lud....andiamo...-
Era Feliciano, che, avvicinatosi, gli tirava infantilmente la manica, rivolgendogli un'occhiata compassionevole che non ebbe il cuore di rattristare.
-V-Va bene...- sussurrò, credendo di incrinare di più la sruazione se avesse parlato normalmente. Rivolse un'ultima occhiata al francese, che gli pareva tanto un naufrago, sopravvissuto di guerra. Cercò di salutare sia lui che Elizaveta, prima di farsi totalmente trascinare dall'Italiano.
Che cosa strana, farsi manipolare così da una persona che conosceva solo da poche ore. Eppure gli pareva di conoscerlo da sempre. Come se l'avesse già visto, da qualche parte.
-Lascia stare...fratellone Francis non è sempre così.- Mugolò bloccandosi prima di una grande arcata, dove intravedeva solo un grosso tavolo rotondo. Sala riunioni?
-FELICIANO! Piantala di perdere tempo con quel Crucco! VIENI QUI!- Tuonò una voce dietro di lui, mentre si avvicinava minacciosa. Feliciano, in tutta risposta, sobbalzò e si fece piccolo piccolo uscendo dalla sicuro nascondiglio che era diventato Lud.
-Sta per arrivare l Russo, Cazzo! Bisogna essere pronti, non perdere temp...-
-Romano, b-basta.- Sussurrò Feliciano, quasi con le lacrime agli occhi, non osando fissare il fratello. C'era qualcosa di innaturale in quel comportamento, che lui, come da copione, non poteva afferrare. Era di sicuro successo qualcosa.
-Fe-feliciano non far così!- Balbettò Romano in risposta, stavolta piantandola di starnazzare ma fissando diversamente il fratello.
Il tedesco non poteva vedere il più giovane dato che era girato di schiena, ma probabilmente aveva i lacrimoni agli occhi. Rimirava i due fratelli, ricordandosi del suo Gil, che tante volte lo faceva diventare pazzo, ma alla fine si perdonavano sempre.
Eppure....c'era qualcosa di malsano nel loro rapporto, una divisione così netta che quasi poteva toccarla con mano. Non erano fatti suoi, lo sapeva, ma i due italiani non facevano che incuriosirlo e quella tensione non faceva altro che confermare la sua tesi.
Distolse lo sguardo dai due, credendosi troppo invadente, puntando lo sguardo su un uomo lì vicino.
Non perchè gli interessasse, eh. Semplicemente perchè urlava troppo.
-HaHaHa! Ques't affare si porterà a termine, come è vero che son l'eroe!- Rimbombò di nuovo la sua voce.
Capelli biondicci, ciuffo ribelle, occhiali e sguardo fiero. Palesemente Americano. E tutto ciò, coniugato all'ultima informazione, lo rendeva insopportabile.



Note dell'autrice:
Grazie *^* Io....non so come esprimermi bene. xD Mi avete resa felicissima!! Un Enorme grazie a chi ha letto, messo tra preferite e seguite! :)
So che il capitolo è più corto dei precedenti, e sinceramente ho saltato alcune cose che volevo fare, ma che metterò più in là. L'importante per me, in questo capitolo, era tracciare alcune linee di rapporti e cose varie. Introdurrò Alfred Matthew e Ivan, nel prossimo, e finalmente Roderich si farà di nuovo vedere.
E....si scoprirà in parte la sottotrama che Gilbert ha abilmente tessuto tempo fa...
Grazie a chi ha recensito:
Adeline_Mad: hahaha xD Contenta che tu abbia apprezzato :3 E TU CHE MI AIUTI CON LE IDEE. Non ti ringrazierò mai abbastanza. Poi mi spieghi perchè non vuoi che ti ringrazi a fine capitolo, ma dal prossimo lo farò anche senza permesso.
Bimba127: Si, era Feli xD Ora si scopriranno altre cose sulla storia, i casini che ha fatto Gilbert, e tutto il resto. Magari ci azecchi anche su quelli xD Grazieissime per il tuo commento, spero ti piaccia anche questo chappy!
Revy21: Grazie *^* Sono contenta che ti piaccia, e anche se questo capitolo è più corto, spero non ti deluda*^* Grazieissime!!
hanta97: Grazie per il tuo commento! Mi fanno sempre piacere! Ne approfitto per ringraziarti di aver recensito anche un'altra mia One-shot^^ Grazie!
bianfre: GrazieaaaaH!! *^* Sappi che adoro la tua Fic, "Non imparerò mai". :)
PureMorning: Grazie anche a te!! Spero ti piaccia il chappy!!


Baci, Blacket.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Grandi, Grossi, Russi. ***


Lavoro nella moda 4 La pazienza è una delle doti decantate da saggi e deboli, nota per rarità.
La crisi di nervi, invece, è un comune sclero momentaneo causato dal fracassarsi di ogni cosa compresa nel corpo umano.
Mischiamo le due cose, agitiamole per bene, magari aggiungiamoci una chioma biondissima e due bei occhi celesti; e avremo un Ludwig sovragitato, imbottigliato in pantaloni di pelle nera davanti ad un grosso russo.
Per finire in bellezza si ritrovava nelle prossime vicinanze il vicedirettore -un certo Alfred, che secondo alcuni aveva la strana mania di appropriarsi dell'ufficio del direttore- due italiani che di lì a poco sarebbero sicuramente svenuti, e un vivace spagnolo.
Che in un momento del genere, canticchiava.
Ora. Lui sapeva bene a quello che sarebbe andato incontro. Già l'idea di essere modello per un giorno (nemmeno fosse uno di quei programmi Tv per casalinghe disperate) non riusciva a digerirla, inoltre stava praticamente perdendo il lavoro, e quello di altre persone era ora nelle sue mani.
Perchè sì, ce l'aveva fatta ad andare a quella stramaledetta presentazione, accompagnato dall'Artista e il Compratore. Per la cronaca: ques't ultimo, un armadio a quattro ante rigorosamente Russo, gli stava con fiato sul collo da circa dieci minuti buoni.
Il punto è che non aveva ancora detto una parola. Si limitava a sorridergli pacato, inquietantemente interessato dai pantaloni.
-Signor Brajinsky...- Fece lievemente incerto l'addetto alle vendite, quell'indemoniato di Kirkland -ah, Kirkland, Arthur, il Bruco. Ora capiva.
Il povero inglese deglutiva più di quanto respirasse, si allargava continuamente la giacca con uno strattone quando il Grande e Grosso Russo non lo guardava.
-Si?- Dio, che voce bambinesca aveva. Stridente, quasi.
-Dicevo, questo è l'ultimo dei modelli...la presentazione è risultata un po' frugale e lievemente tempestiva, ma posso assicurarle che le varie bozze la stupiranno ancora di più-
E Ludwig invece, desiderava con tutte le sue forze essere uno di quei ragazzi vicini a lui, poco distanti dal Compratore ma salvi.
-Oh, ma l'importante è la qualità- Ripetè con il solito -cribbio se era inquietante- sorriso, sfiorando il suo gilet, poi la camicia. Il tedesco deglutì di rimando, cominciando a preoccuparsi seriamente.
Non che gli stesse facendo male, ma quelle mani, che si spostavano piano sui bottoni del suo vestito, quasi pungevano. Scorse Feliciano mordersi il labbro ancora più nervoso, implorandogli con lo sguardo preoccupato di stare fermo e immobile. Tragico come pensiero.
Quell'odiosa mano percorse tutto il torace, scivolando pericolosamente verso il basso, ma fermandosi sull'orlo dei pantaloni. Non aveva mai pensato di pregare mentalmente per l'angoscia, mai in vita sua.
-Sembra che lei stia tremando. Ha paura, Da?- Oh, cazzo, il           Da. E adesso gli chiedeva se aveva paura?! Ma si rendeva conto di come appariva alle altre persone, di come raggelasse inquietantemente l'ambiente? "Si, caro Brajinsky, ho una fottutissima paura di TE!"
-Mh..No.- Si limitò a rispondere.
In quel momento si sarebbe messo a ballare una quadriglia innalzando inni alla Germania e al carattere freddo che contraddistingueva molti suoi connazionali.
Grazie al cielo, aveva dato una risposta così secca che era perfino riuscito a convincere Alfred, il quale rischiava seriamente un collasso. Si sentì la testa leggera, finalmente sicuro di sè stesso.
Gli occhi viola del Russo non lo guardavano più nemmeno, e la sua imponente mole era ormai lontana. Prese un po' d'aria nei polmoni, contento di poterlo fare ancora.
Bhè, il grosso era finito. Il suo compito l'aveva portato a termine, non doveva più nulla a quei psicopatici.
-Da, mi avete convin...- Ecco, non finì nemmeno la frase. Ormai è risaputa la sfortuna attanagliante che presiede quel genere di casi, e sicuramente l'affare non poteva assolutamente essere concluso senza uno scandalo all'interno.
La porta a vetri si aprì all'istante. Dato che , appunto, era una porta a vetri, alcuni avevano già avuto modo di vedere chi stava facendo irruzione della sala. Una ragazza alta, biondissima e anche molto bella, slanciata e anche armata.
-Natalia.- Sibilò Kirkland prima di lasciar cadere a terra ogni pratica, cartella, bozza. Feliciano si mise le mani nei capelli, ranicchiandosi su sè stesso, Romano cercò la protezione di Antonio. Cos'era quello, l'anticristo?
-IVAN!- Quasi urlò, praticamente spiritata. Decisamente, quella era una delle cose più spaventose che avesse mai visto. Non per la figura in sè, ma forse per la bramosia, l'odio, il desiderio miscelati negli occhi della ragazza. Quella voce demoniaca, mutata e gorgogliante.
Mosse veloci passi, studiati , verso il compratore, il quale aveva un'espressione che era tutto un programma. Probabilmente quel povero Ivan avrebbe ardentemente desiderato di buttarsi giù dal ventottesimo piano piuttosto che vederla. Gli occhi erano dilatati, la bocca semi aperta, e dannazione, tremava.
Ludwig non si mosse subito, anche perchè il pericolo a differenza degli altri, lo percepiva soltanto. Chi probabilmente lavorava lì, già si disperava e sospirava, conoscendo lo sviluppo di quella faccenda. -Ivan!- Sospirò nella sua maschera spaventosa, allungando le mani verso il malcapitato. Inutile era cercare di allontanarsi dato che la porta era alle sua spalle, e dietro lo attendeva il freddo muro.
Fece appena in tempo ad indietreggiare, che la ragazza gli balzò addosso, facendolo cadere a terra. Ci furono degli urli smorzati, un grido di disperazione da parte del vicedirettore.
Quella stanza, illuminata e rotonda, bianca e moderna, si era trasformata in un teatrino.
Ora Natalia era a cavalcioni di Ivan, tirava verso di sè la morbida sciarpa incitandolo ad avvicinarsi. Ovviamente lui, avrebbe preferito ballare il lago dei cigni in tutù, ma si astenne dal dirlo.
Beilschmidt trovò leggermente ridicola quella scenetta, anche perchè vedere il proprio aguzzino spaventato a morte era qualcosa di semplicemente magnifico.
Probabilmente tutto quello spavento era dovuto al fatto che nulla si sarebbe concluso, l'affare era saltato e una bella occasione se ne andava allegramente. Un'altra cosa triste, in quella giornata.
Pensò a chi aveva lavorato tanto per far sì che almeno i vestiti ci fossero, chi aveva creato idee e sprecato tempo per quel maledetto russo.
In pochi secondi, una marmaglia di gente accorse per salvare il salvabile, anche se secondo lui c'era ben poco da fare. Cercò di spostarsi per non intralciare, quando sentì qualcuno afferrargli una manica. Si voltò, incontrando gli occhi ambrati di Feliciano, tristi e sconsolati.
-Vieni Lud.- La voce lamentosa, impastata di delusione. Lo seguì senza resistergli, allontanandosi da quel putiferio."Hai visto il tizio urlante con gli occhiali? Il vicedirettore! Si, una persona strana, un po' megalomane, dalla storia travagliata. Ma simpatico!" Gli diceva, parlando a vanvera. Feliciano lo teneva ben saldo per la manica, camminando veloce per i corridoi, rallentando solo in prossimità del suo studio. 
Ludwig forse avrebbe voluto dirgli "Lasciami, fammi camminare da solo, devo andare, Italiano." , parole che però contrastavano con il suo pensiero. Quel ragazzo lo stava conducendo fuori strada, letteralmente. 
-Lud, scusa, non credevo che sarebbe successo tutto questo...ma tranquillo, ora puoi andare a casa, Veh! Per oggi il lavoro è finito!- Pigolò più contento, puntando lo sguardo e un immancabile sorriso su di lui.
Quindi, la giornata lavorativa, era finita. Giornata che lui non aveva passato al suo posto di lavoro, magari seduto davanti al pc affiancato da gente impegnata e silenziosa come lui. E perchè tutto questo non era successo?!
Non poteva permettersi di perdere il lavoro! Suo fratello gliel'aveva trovato apposta -forse aveva scelto proprio quello che per farlo impazzire un po'- e tornare in Germania semplicemente perchè era stato licenziato...non era passata nemmeno una settimana, non aveva fatto in tempo ad ambientarsi...
Era sempre stato sicuro, fin dal giorno in cui prese l'aereo per giungere lì, che ce l'avrebbe fatta. Impegno e costanza erano due buone doti, sempre da tenere in considerazione.
E quella maledizione, era una mancanza.
Ora, che stava succedendo? Ah, Feliciano gli stava praticamente proponendo di ritrovarsi domani, magari sarebbero andati a fare un giro, diceva che era contento di lavorare con un'altra persona. No. Eh, no.
-Feliciano.- Sibilò a denti stretti, con una nota di rabbia. A quelle parole l'italiano si fermò, cogliendo il cipiglio negativo della voce. 
-IO. Io, dovevo lavorare, oggi. DOVEVO impegnarmi per portare dei soldi a casa, oggi. Non sarò un famoso stilista, che naviga nelle banconote come niente, però ho diritto anche io ad un lavoro, che probabilmente per colpa di inetti perderò.-
la mascella serrata, quello sguardo da inquisitore, il tono fermo e secco.
Perdio, cosa aveva fatto.
Osservò il mutare dell'espressione di Feliciano, quel bel sorriso scomparire, la testa chinarsi. Però lui gli aveva visti gli occhi, lucidi e colpevoli, non più brillanti come prima.
Si passò una mano tremante sul viso, immobilizzandosi. I gesti infantili e impacciati, avvolti da una camicia tre volte più grande di lui.
Poi parlò. La voce tremante, così falsa  e dolorosa da sentire, così veritiera da far male.
-Scu-scusa Lud...dovevo pe-pernsarci...s-scusa.- E alzò l'altro braccio, probabilmente per asciugarsi gli occhi. Vide le sue bozze scivolare dalle sua mani, cadere a terra, mentre lui cercava invano di afferrarle. Un gesto inutile, quasi da film.
Mormorò un "Oh" di sorpresa, poi altri "scusa" appena sussurrati. Si chinò per raccogliere la sua roba, che inevitabilmente ricadeva di nuovo a terra, così era costretto a tenerla scomposta e disordinata, stretta al petto.
Cosa diavolo aveva fatto?
Sospirò, accucciandosi a terra, prendendo in mano due o tre schizzi senza però consegnarglieli subito. -Feliciano?- Reclinò la testa di lato, preoccupato, non sentendo nessuna risposta giungere dalla chioma rossiccia.
-S-s..i?-
Lo guardò stavolta con tenerezza dopo quell'affermazione, così un po' vergognandosi, appoggiò una mano sui capelli, sfiorando quel divertente ciuffo che gli ornava il viso. -Feliciano, emh...scusami...io...non volevo essere così...cattivo, ecco.-
Alzò di poco il volto, permettendogli di scorgere gli occhi arrossati. -Non sei arrabbiato con me?-
Una domanda così innocente, posta da una persona altrettanto ingenua -almeno, secondo Ludwig. -No, non sono arrabbiato con te.- Sospirò, sentendosi un po' come un fratello maggiore.
L'Artista gli fece addirittura l'onore di vedere il suo sorriso, grande e smagliante. Fece in tempo a sorridere timidamente di rimando, quando Feliciano gli si catapultò addosso, stringendosi al suo collo e facendogli battere il sedere per terra. Si ranicchiò sul suo petto, spalmandosi per bene su di lui.
Il tedesco, ovviamente, arrossì di botto, balbettando qualcosa di incomprensibile. I pantaloni -quei maledetti- già aderenti, si strinsero leggermente.
Diventando ovviamente di un colore tendente al bordeaux-violaceo, Ludwig cercò di staccare l'ormai esultante Italiano, ancora aggrappato a lui.
-SIGNOR BEILSCHMIDT!- Oh, porcopretzel. Quella voce la conosce,a già sentita in mattinata, vero? l'austriaco, suo superiore, VERO?!
Si gira, vedendolo arrivare come un treno in corsa. Inoltre ha uno dei collaboratori più importanti dell'azienda ancorato addosso, ma sono solo dettagli.
Quando gli fu vicino, Ludwig riuscì pure a vedere una vena pulsante sulla tempia. Ecco, quello sarebbe stato il licenziamento più violento della storia. L'avrebbe cacciato con una mazza rotante o qualcosa di simile, minacciandolo di fargli trovare della birra avvelenata sotto casa.
-Lei è il fratello di Gilbet Beilschmidt, vero?! BENE. Avrei un favore da chiedergli, se non le dispiace.-
La voce più calma e controllata. Domanda assolutamente insolita.
Passò lo sguardo preoccupato su Feliciano, che questa volta cercava solo di nascondersi da Roderich.
Cosa. Cazzo. C'entrava. Gilbert.





Note dell'autrice:
Ecco il nuovo capitolo. Bene, non ho fatto tutto quello che volevo a dire il vero, ma andrò avanti a spiegare prossimamente. è una storia che si snoda lentamente, da come avrete capito. Oppure sono io che non ho troppa voglia di scrivere, fa lo stesso.
nel prossimo capitolo, Gilbert darà ben poche spiegazioni a Lud, mentre si delineerà il posto di lavoro del tedesco e vari personaggi che lavorano lontani da stilisti sclerati.
Un Grazie enorme a chi ha messo nei preferiti, nelle seguite o ricordate.
Grazie, Grazie, Grazie.
E ovviamente, Danke a chi ha lasciato anche un commentino^^
Adeline_Mad
Bimba127
Pure_Morning
hanta97
Revy21

Un bacione a tutte voi :3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La vedo stressato, sa? ***


Lavoro nella moda 5 -No, non mi hanno licenziato, Gilbert.-
Ripetè per rassicurare il fratello, la solita voce ferma e sicura. Aveva appena passato una giornata d'inferno, era stanco, decisamente demoralizzato e preoccupato per la salute mentale del fratello. Quel Roderich, il suo superiore, gli aveva procurato una tachicardia per nulla. Sarà stato il cipiglio marziale, il portamento da isterico -sezione amatori e veterani- e quel...ciuffo. Non che lo intimidisse, ma non gli ispirava affatto, pareva sempre sull'attenti.
Quello di Feliciano, già gli andava a genio. Scendeva così placido, tranquillo, senza pretese.
E proprio a causa di questi pensieri che si classificò minorato mentale, tanto distrutto da una giornata simile che si metteva a giudicare i "ciuffi" della gente.
-Ah...Per fortuna, Bruder! Ci mancava solo questa! E dimmi, come ti sei trovato? E l'America? Lo so, nulla a che vedere con la Germania, certo! Kesesese!-
Ci mancavano solo la risata e il quarto grado. Gli avrebbe volentieri riattaccato in faccia, ma dopotutto era suo fratello. Poteva benissimo fare il gradasso, il duro, ma non avrebbe mai potuto negare di volergli bene.
-Gilbert, te l'ho già spiegato un milione di volte...e....ci sarebbe una cosa di cui dovrei parlarti, invece.- La voce stanca, l'orecchio che probabilmente era diventato rosso, a forza di tenerci sopra il ricevitore.
-Oh! So di cosa devi parlarmi! Quel Feliciano, vero? Bravo fratellino!-
E anche da lontano, Quel maledetto albino riusciva a farlo innervosire facendolo colorire di rosso. -NO! Non è di questo che...-
-Dai! Bruder, non fare il timido!-
-Veramente, Gil, è impo...-
-Hai già il numero di telefono?-
-Gilbert...-
-E in tal caso...-
-ZITTO DIAMINE!- Sbottò ad un tratto, dopo che il fratello gli aveva proposto le migliori agenzie matrimoniali rigorosamente Tedesche, perchè, nel caso si fossero sposati, non avrebbero assolutamente dovuto stare là negli Stati Uniti.
Un discorso assolutamente senza senso, terminato con una crisi di nervi da parte del minore, che in quel momento pareva la versione tedesca del "macellaio di Rostov".
Se probabilmente avesse avuto sottomano Gilbert, l'avrebbe riempito di pugni fino a fargli perdere tutto il suo egocentrisimo.
Poi, la voce metallica giunse al suo orecchio, un po' spaventata, lievemente più bassa.
-Sai, mi sembri molto stressato, fratellino.-

Non servì a nulla cercare di ricomporsi, spiegargli la situazione, cercar di cavare fuori qualche informazione dal fratello. Appena aveva pronunciato i nomi di Elizaveta e Roderich, aveva assunto un tono più grave, meno squillante e decisamente stupito.
Almeno, Ludwig si immaginava la faccia già cadaverica del maggiore che pian piano diventava trasparente, o magari quel viola lattescente.
Non spiccicò parola. Convinto della sua teoria, ossia " Sei partito Bruder, vai alla neuro, oppure riposati", se l'era cavata con qualche scusa penosa, che sicuramente Ludwig gli avrebbe rinfacciato.
Era palese, si vedeva benissimo che aveva qualcosa da nascondere. E il fatto che non glielo volesse dire a lui, suo fratello, lo faceva preoccupare ancora di più.
Evitò quindi di arrabbiarsi, , salutò Gilbert lievemente affranto, ma non spaventato quanto lui.
E, prima o poi, avrebbe saputo tutto.


Era passato circa un mese, da quel primo, fatidico giorno. Le cose andavano migliorando, anche se in quel periodo, ogni persona che incontrava non faceva che ripetergli quanto lo trovasse stressato. Il che lo irritava ancora di più, ma la povera gente sua interlocutrice non notava la vena pulsante sulla fronte del tedesco.
Aveva avuto modo di conoscere meglio il portinaio. Berwald, si chiamava.
E, come aveva dedotto la prima volta che l'aveva visto, proveniva dal nord europa, la Svezia.
Cosa ci facesse lì uno svedese era tutt'altra faccenda. Mai glielo avrebbe spiegato, e mai gliel'avrebbe chiesto. Aveva un carattere chiuso come il suo -semplicemente era molto meno sfortunato- era rispettoso ed educato il giusto.
Si, una brava persona.
Poi, lavorare nella contabilità non gli dispiaceva. Un impiego tranquillo, dove altra gente altrettanto pacata ticchettava sul Pc aziendale ogni sorta di numero. La pausa pranzo non durava molto, però in quei 10 minuti che si teneva libero riusciva ad essere importunato dalle alte forze di lavoro, quelle che aveva incontrato il primo giorno.
Francis di solito era il primo che vedeva. Gli si sedeva vicino, il consueto braccio intorno alle spalle, e un pigolare di eventi che nemmeno lui ascoltava.  A liberarlo da quella piovra ci pensava Arthur, che si scusava ogni singola volta, afferrando il francese per il colletto e trascinandolo via di peso.
Si ritrovò a compatire l'inglese, che pareva diversamente rilassato come lui.
Dopotutto Bonnefoy era solo un po' invadente e...no, non riusciva davvero a pensare ad una qualche sua qualità che l'avrebbe messo in una luce diversa. Non ci riusciva proprio, eh.
La processione seguitava con Antonio e Romano, sempre appiccicati come due cozze. L'italiano non sembrava d'accordo, ma intanto dallo spagnolo non si staccava. Quest'ultimo, gentile com'era, si fermava sempre a salutarlo, a dirgli una qualche parola di conforto e un buona fortuna per il lavoro.
Romano invece insisteva nel chiamarlo "Mangia-Patate" oppure "Crucco", e lui aveva per forza dovuto farci l'abitudine a certe cose, per non esplodere come una molotov ogni volta che sentiva pronunciare quelle parole.
L'esatto contrario di suo fratello, era.
Tutte le volte che Feliciano lo vedeva, cercava di assicurarsi in mano alla bell'e meglio i soliti fogli e cartelle, mentre correva a salutarlo quasi balzandogli addosso. Almeno, era quello che aveva fatto il primo giorno.
Dopo che Ludwig l'aveva allontanato un po' malamente la prima volta, l'Artista si limitava a regalargli un sorriso così raggiante che l'avrebbe quasi ucciso, e stargli vicino più che poteva evitando il contatto fisico.
"So che a lui non piace." Ripeteva al fratello urlante -e quando mai non lo era?- "Si vede da lontano. è tedesco." Giustificava poi, forse lievemente abbattuto per non poterlo abbracciare ogni singola volta.
Gli ultimi del Tour, erano due tizi che già a vederli da lontano facevano accapponare la pelle. Un Russo, una Bielorussa. In America.
Ci mancava solo che saltassero sui tavoli urlando "Krande MaDDre RRussia Eliminerà America! DA!". Probabilmente non lo facevano, ma lo pensavano costantemente.
Quasi sicuramente, lavorare con loro doveva essere come stare sul set di Shining. La Bielorussa ispirava più un "the Ring", ma l'armadio con la sciarpa al fianco aveva un sorriso che avrebbe fatto pisciare addosso le pietre.
E non è un complimento.
Aveva poi saputo, dopo l'incidente avvenuto durante la riunione, che i due si conoscevano davvero e che l'imprenditore, -Brajinsky, si chiamava- aveva firmato senza problemi l'accordo.
Sperava solo di non trovarseli vicino mentre lavorava, o peggio, come vicini di casa. Cosa assolutamente impossibile, ma che la fifa momentanea lo spingeva a credere.
Le altre persone parevano semplicemente più pacate, o impegnate col lavoro. Non aveva mai avuto abbastanza tempo per potersi fermare lì in mensa, e nemmeno ci teneva a farlo.
Il suo lavoro non gli dispiaceva, fare il proprio dovere era una motivazione più che valida per eseguire il compito assegnato alla perfezione.
Continuava a non capirci nulla di moda, e come tutti i contabili, si rifugiava nel suo adorato reparto privo ci calzature, bozze, collezioni.

E la sua vita era trascorsa alla meno peggio per tre settimane e cinque giorni.
Quel maledetto Venerdì, fecero l'errore di dargli il pomeriggio libero. Quindi, a conti fatti, poteva benissimo starsene in mensa a mangiare, no? Non c'era nulla di male, a starsene seduti davanti alla propria porzione di cibo, finire di rifocillarsi -appunto- e poi andarsene a casa.
Eh, fin troppo semplice, così.
Probabilmente, appena aveva preso in mano il vassoio -ancora vuoto, cavoli- era scattato una specie di allarme nascosto a lui sconosciuto. Circa 15 persone, gli andarono vicino appostandosi strategicamente ai lati, fissandolo nemmeno fosse un uovo di pasqua.
Ludwig, ovviamente spaventato, li fissò confuso, continuando imperterrito a far finta che nulla stesse succedendo, che tutto andasse bene non fiutando il pericolo. Mentre chiedeva gentilmente all'inserviente una semplice acqua naturale, cominciarono ad arrivare le domande.
"Hey, sei nuovo, vero?" "Da  dove vieni? Non ci credo che sei Americano!" "E, se ti sedessi al tavolo con noi? Non ti dispiace, vero?"
Altra vena pulsante sulla sue tempia, il Sayan dormiente in Ludwig stava per svegliarsi con tutta la sua brutale forza. Magari -forse, eh, era davvero stressato. Doveva imparare a calmarsi, soprattutto a riprendere il suo proverbiale autocontrollo e contare fino a 10.
Cominciò sottovoce il conto alla rovescia, cercando di muoversi non urtando quella massa.
Arrivò al "2", che si bloccò di colpo, fermato da un'invadente mano appolipata al suo braccio. -LUD! Lud! Dai, vieni che c'è posto!-
Una testolina rossiccia, accompagnata costantemente dall'innaturale ciuffo, lo chiamava a gran voce, strattonandolo. Cosa ci si poteva aspettare, da Feliciano?
Con un sospirò, pensò che seguirlo sarebbe stato davvero meglio. Dopotutto, la loro compagnia era l'unica che conosceva.
Si ritrovò quindi con i soliti importunatori al tavolo, che stranamente stava trovando piacevoli, in confronto ad altri. Apprezzava in un modo spaventoso la riservatezza di Arthur, che gli aveva posto una sola, semplice domanda "Ti ci hanno trascinato qui, vero?" e non volle più intromettersi nella sua vita.
Al contrario degli altri. Ora, sapevano dove abitava, cosa aveva studiato, come si scriveva il suo cognome e che aveva un fratello. Aveva dato tutte risposte monosillabi, cercando invano di finire il suo pranzo, quando cominciò ad interessarsi ai loro argomenti. Non che fosse diventato impiccione, ma a quella riunione, di legami e parentele, non aveva capito nulla.
Francis così si avvicinò al suo orecchio, bisbigliando -Tu lo sapevi che il Vicedirettore, Alfred, insomma. ha problemi col suo fratello? Problemi di famiglia Gravi, Oui!-
Alfred, si, l'aveva visto collassare davanti al russo, si ricordava di lui. Un po' troppo rumoroso, ma nemmeno lo conosceva, insomma.
Dopo quelle parole, che sicuramente avevano sentito quasi tutti, Arthur sbottò di colpo, rosso in viso -Ma la vuoi piantare tu, vinofilo?!- Francis si girò, un sorriso amaro, ma che voleva essere di sfida sul volto. -Vogliamo parlarne, Bruco?-
Ludwig poi distolse lo sguardo dai due, sentendosi già di troppo solo guardandoli.
Antonio allora, intervenne per evitare che si prendessero a botte, dato che le urla al suo fianco continuavano ad aumentare.
-Lud! Tu lo sapevi che Romano è mio fratello, vero? Si...Oh, lavora qua anche il mio nonnino!- A quelle parole da parte dell'italiano, il tedesco alzò lo sguardo, stupito. Suo nonno? Che ci faceva in un posto del genere un anziano?
-è il Direttore di tutto.- Aggiunse con noncuranza, facendo quasi andare di traverso il boccone al contabile. Direttore, quindi.
In poche parole, aveva davanti una persona che nei soldi ci nuotava. Eppure nè Feliciano nè Romano avevano rivangato quel concetto. Anzi, se non gli avesse detto che suo nonno era il direttore, probabilmente non l'avrebbe mai saputo.
Umiltà, che bello ritrovarla anche in persone decerebrate come quelle.
Era così preso dalle conversazioni che si ritrovò a pensare che, in fondo, non era stato poi così male. Si era aspettato di peggio, ma quelle persone gli tenevano compagnia.
Verso la fine del pranzo, quando ormai si stava alzando per andarsene, un ultimo squillante vociare gli giunse alle orecchie.
-Veh, Lud! Esci con noi, dopo?-
Che domanda semplice, gli aveva posto. Con quei suoi occhi luminosi e grandi, che in quel momento lo supplicavano di accettare, i gomiti puntellati sul tavolo e le mani a sostenere il volto. Quel....quel ragazzo, aveva qualcosa in sè, di davvero speciale. Il modo con cui lo guardava, poi, l'avrebbe fatto sciogliere, davvero.
Non potè far a meno di accettare balbettando e arrossendo, dietro ai loro saluti, e al "ci vediamo dopo!" di quell'italiano che aveva tutta l'aria di volerlo far diventare pazzo.

Entrò nell'ascensore, salutando con cordialità quell'ometto, che mai aveva visto prima. I classici tratti orientali, i capelli neri, a caschetto. Appena l'aveva visto, si era premurato un inchino.
Diamine, che gentilezza. Ludwig poi, guardò per curiosità la targhetta sul suo petto. "Psicologo" diceva.
-Kiku Honda, piacere.-
-Ludwig Beilschmidt.-
Strizzacervelli. Lui, di loro, non si era mai fidato. La sua mente era appunto sua, e nessuno si sarebbe dovuto permettere di scavarci dentro a piacimento.
-Impegnato, signor Beilschmidt? Se mi posso permettere.- Chiese poi, con quella voce flebile.
-No, devo...uscire.-
-Con qualcuno di speciale, vero?-
Eh?! E questo come si permette? da dove arriva, poi?!
-C-cosa?-
-Si, una persona speciale.-
-I-io non ho detto nulla del genere!-
-Me lo sta dicendo il suo viso. Speciale.- Rimarcò lui, maligno.
-Ma..!-
-Come presupposto è..-
-SI, VA BENE! Speciale, contento?!-
Riuscì ad ammettere, rosso come un peperone, dispiacendosi poco dopo per aver alzato la voce con lui. Però, doveva ammetterlo, era stato troppo impiccione.
-Mi scusi l'invadenza. Sa, dovrebbe riposarsi un po'. La vedo stressato.-
Disse Kiku, sapendo probabilmente che quella frase stava diventando per Ludwig un mantra.




Note dell'Autrice: 
Bene. Sono riuscita a finire questo capitolo, e mi sento tanto potente *^* Non vedevo l'ora di infilarci dentro Kiku, e anche se alla fine, diciamo a Pelo, ce l'ho fatta.
Un capitolo un po' delirante, con questo Ludwig mezzo sclerato. Ho voluto tenere tutto il capitolo con queste informazioni perchè l'uscita del gruppo la voglio fatta bene, quindi si merita un chappy intero. Alla fine Feliciano e Romano, non si sono parlati. Eh, si, sempre la stessa storia. Potrei perfino dirvi che Gilbert c'entra relativamente con questo avvenimento, ma non mi dilungo troppo.
Un Grande GRAZIE a chi legge, mette nelle seguite, nelle preferite.
E ora, passiamo agli angeli che mi han lasciato dei commenti:

Adeline_Mad:
Ciao Cara! Spero ti piaccia il capitolo :D

PureMorning: Grazie! Mi ha fatto molto piacere il tuo commento, e di sicuro commuovere il fatto che nella ficiotn la GerIta ti piaccia! Grazie ancora!
H2o: Grazie anche a te! Una nuova commentatrice nuova di pacca, guarda te xD
Revy21: Grazie :D Si, Ivan piace a tutti, anche se in questo capitolo l'ho sconquassato un po'. Grazie ancora per il commento!
hanta97: Grazie! Mi fan sempre piacere i tuoi commenti, grazie davvero!

Baci, Blacket.









Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il torsolo della Grande Mela ***


Lavoro nella moda 6 Era partito già dal presupposto che quei decerebrati sarebbero finiti male.
Male con qualcuno, con la legge, magari perfino attaccati ad una flebo in ospedale, se la sfortuna li assisteva per bene.
In ogni modo, se ne convinse appena Feliciano attraversò la strada -Per inciso: siamo a New York. NEW YORK CENTRO, DIAMINE!- senza guardare, correndo in obliquo, beffandosi bellamente delle strisce poco distanti.
Due macchine avevano frenato di colpo, mentre un povero ciclista si era quasi capottato per non andargli addosso. Seguirono suoni di clacson, lo svenimento di Romano che dall'altro lato della strada aveva visto tutto, e Feliciano che gli saltava addosso.
No, precisando: gli saltò addosso solo verbalmente, dopo aver appurato che a Ludwig certe cose non piacevano affatto.
-Lud! Dai vieni, stiamo aspettando solo te!- Furono le uniche parole che il povero tedesco capì. Dopodichè, seguì una sfilza di aggettivi, verbi, soggetti indistinti, magari perfino sconnessi che lui non avrebbe compreso nemmeno ascoltando.
Così, saggiamente, si avvicinò alle strisce pedonali facendo attenzione a tirarsi dietro anche l'italiano, e aspettò il verde per passare. Li raggiunse poco dopo, portando trionfante Feliciano sano e salvo.
-Bonjour Lùdwig!-
Francis, disinvolto come pochi, lo salutò piazzando l'onnipresente braccio intorno alle spalle, deformando il suo nome con quell'accento alla francese.
Lùdwig.
Con l'accento sulla "u". Se il tedesco repelleva il contatto fisico, gli prendeva un ictus ascoltando solo quella parola. Lùdwig.
-Oh, piantala stupido francese! Scusalo, Ludwig, non ha avuto la nostra stessa fortuna di nascere con un cervello, compatiscilo.-  La voce tagliente dell'inglese, la mano che con uno strattone portava via quella di Francis, trascinandosi a dietro anche Ludwig. Vide poi il francese che, voltandosi, sfiorò lascivo l'inguine di Arthur, che schizzò subito via tingendosi di rosso ed insultandolo alla meno peggio.
Il tedesco, pudico e riservato com'era, rimase basito a fissarli. Cavoli, si stava imparazzando lui per loro! Erano cose che si facevano in mezzo alla strada, sotto lo sguardo e il giudizio di tutti?
Poi, una pacca più amichevole sulla spalla, ma non per questo delicata, da parte di Antonio.
-Lasciali stare! Fan sempre così!- E sorrise, rimarcando il suo buonumore innaturale che cozzava completamente con il broncio di Romano.
Ah, per l'appunto, l'italiano gli mollò un rovescio dritto nello stomaco, con una forza già notevole. -E adesso non lamentarti, Macho-Patata! Sbrigati poi, che non stiamo mica qui ad aspettare te!-
Gli sbottò in faccia, incamminandosi verso Arthur e Francis,  come se fosse l'uomo più infervorato del mondo.
Autocontrollo, Ludwig. Ci vuole sangue freddo e pazienza, quanto basta per non esplodere e cambiargli i connotati.
Anche se poi, però, doveva aspettarsela un'azione del genere da lui.
Quindi si limitò a sospirare in contemporanea con Antonio, che raggiunse l'italiano per fargli la solita ramanzina. Li vide incamminarsi, mentre si chiedeva da dove fossero usciti degli articoli del genere, quando la presenza di Feliciano lo affiancò, sorridendogli.
A differenza degli altri, non si azzardò nemmeno a sfiorarlo, ma riuscì a colpirlo più di tutti semplicemente fissandolo enigmatico con quei grandi occhioni ambrati, con quell'aria bambinesca di chi ha in mente qualcosa, sempre velata dall'innocenza.
-Allora Lud, andiamo?-


New York aveva un sapore acido, subito addolcito da inutili quintali di zucchero con uno stranissimo retrogusto amaro.
La caotica città che mai dormiva, si presentava ai suoi occhi come la più grande metropoli mai vista, costruita più in cielo che a terra. Oltre che per andare al lavoro, mai si era premurato di visitare la grande mela, anche se il suo istinto da perfetto turista gli gridava tutt'altro.
Ma i sabati e le domeniche le passava a rimettere un po' a posto il suo nuovo appartamento -grazie al cielo non in centro, mai avrebbe sopportato quel costante caos- e gli altri giorni li passava a lavorare.
Tranne quel pomeriggio, ovviamente.
Camminava fra quella marmaglia di persone così diverse fra loro, riuscendo a restare vicino al suo gruppo senza perderlo, tenendolo "vigilato". Oh, i vantaggi dell'altezza.
Con tutta probabilità, solamente i due italiani e Francis riuscivano a fare più rumore di tutti i veicoli in azione messi assieme. Feliciano illustrava distrattamente ogni singolo palazzo, anche il più piccolo negozio.
Romano si dilettava nello stesso compito del fratello, semplicemente aggiungendo dettagli negativi; e Francis informava Arthur di come si sarebbero messi assieme, dove, quando e soprattutto il perchè.
Antonio, come lui, si limitava ad annuire. Semplicemente, lo spagnolo rideva più spesso. Gli pareva strano girare in una città così lontana dal suo posto ideale con delle persone con cui poco aveva in comune, eppure riusciva a trovarcisi abbastanza bene.
A volte, quasi per istinto, lanciava fugaci occhiate al francese e all'inglese, trovando il loro rapporto decisamente strano, sfuggente. Non l'avrebbe certamente chiesto, ma un po' quei due riuscivano ad incuriosirlo.
Soprattutto perchè quel non molto lontano primo giorno aveva visto con i suoi stessi occhi Arthur uscire dall'ufficio del direttore con la zip dei pantaloni e il morale a terra. Probabilmente non era stato il nonno di Feliciano (meglio non formulare nemmeno certi malati pensieri), quindi, stando a quanto gli aveva detto l'italiano, il segreto proprietario della stanza era Alfred.
Lo conosceva poco, gli pareva un pizzico megalomane e Leader, così americano da far paura.
-Hey, Lud, mi spieghi perchè continui a fissare Francis e Arthur?- Chiese con tutta l'innocenza di quel mondo Feliciano, non preoccupandosi che i due diretti interessati potessero sentire. Non aveva un minimo di riservatezza, quel ragazzo?!
Parlare a bassa voce o con discrezione andava sicuramente contro tutti i suoi principi morali, da considerarsi un'eresia.
Quindi Ludwig sbiancò, cercando di azionare in tempo il cervello per vomitare fuori un'idea decente o una scusa più che plausibile. Non la verità, ovviamente: si vergognava di chiedergli cosa facesse nel tempo libero, figurarsi se andava a reperire informazioni sul rapporto strambo di due persone altrettando anormali.
-Ti chiedi  se stanno insieme, o cose simili?-
Oddio. Gli leggeva nella mente! Lo sapeva, si era venduto il pudore per dei poteri paranormali! Non doveva assolutamente sapere tutto ciò che gli passava per la mente. Tralasciando che Ludwig di suo non era casto e puro, ma a volte si autoformulava domande davvero cretine.
Per fortuna aveva il buonsenso di non riferirle al mondo intero ad alta voce.
Se, in quel preciso momento, l'italiano avesse davvero scavato nei suoi pensieri, si sarebbe trovato di fronte al più grande dilemma esistenziale sul vendersi qualità per ricevere in cambio poteri da eroi della Marvel, all'eresia, subito collegata con la stregoneria.
-Non fare quella faccia, fai ridere! L'ho detto semplicemente perchè me lo chiedono tutti.- Gli sorride, forse particolarmente divertito dalla sua espressione, inclinando la testa di lato e trascinandosi nel movimento il ciuffo.
Quindi, si era venduto il pudore -ne era sicuro, di questo- per qualcos'altro, e di poteri strani per ora non ne aveva. -A-ah, infatti, ecco...- Aveva vergognosamente biascicato il tedesco, aspettando che parlasse.
- Francis e Arthur si conoscono da un'eternità. Almeno, sono arrivati separati, e appena si sono ritrovati pure qui, Arthur è andato su tutte le furie. Credo che Francis l'abbia seguito.- Qui ridacchia, mettendosi le mani in tasca, forse infastidito dall'aria di fine settembre che in quel momento gli andava addosso. - Non ho capito nemmeno io se sono stati assieme come fidanzati, prima. Di sicuro, hanno passato molte notti assieme. Credo non si siano mai chiariti veramente sul loro rapporto, e quando Alfred si è intromesso nella loro "storia"....beh, diciamo che farebbero prima a mettere bene le cose in chiaro senza evitarsi. Sarebbe meno complicato.-
Nel frattempo, dopo quelle parole, Ludwig stava ricomponendo piano i tasselli di vita dei suoi colleghi, cercando con tutte le sue forze di tralasciare il dettaglio che fossero stati una sottospecie di amanti.
New York nel frattempo passava veloce sotto i suoi occhi, continuando a camminare circondato da quella bizzarra compagnia che ogni tanto lo sommergeva di domande, altre lo trascinava nei negozi più incredibili.
Scoprì di poter andare d'accordo con l'inglese, ma SOLO se erano entrambi d'accordo su ogni tipo di argomento. Aveva la lingua tagliente, quell'inglesotto e il tedesco dalla sua parte aveva un sadismo celato niente male.
Francis aveva tentato di portarlo di peso in un Sexy-shop, dichiarando a gran voce che i prodotti tedeschi erano i migliori, e poteva aiutarlo nella scelta. Farneticò qualcosa anche sul collaudamento, ma Ludwig si finse sordo per non ascoltare. Aspettò quindi fuori da quel....negozio osceno fra le risate dello spagnolo -che già cominciava a sussurrare qualcosa alle orecchie del maggiore degli italiani; su cosa, poi, meglio non sapere- i vari insulti di Kirkland (Oh, quando Francis urlò da dentro "Faccio spesa anche per te!" cacciò un grido disumano) e la risatina di Feliciano sempre rigorosamente al suo fianco. Ogni tanto lo tirava lievemente per la manica, facendogli notare ogni cosa che attirasse la sua attenzione o che gli ricordasse l'Italia.
E, talvolta, gli dedicava dei sorrisi da infarto, ma così confusi che nemmeno lui sapeva decifrare; probabilmente perchè era troppo impegnato a guardarlo negli occhi in quel momento che pensare al motivo per cui gli dedicava un sorriso.
Cercò di dimenticare poi, l'ecatombe seguita in un centro commerciale lì vicino. Romano era riuscito a far suonare 10 volte l'allarme di un negozio, pur non avendo rubato alcunchè. Semplicemente, aveva nel portafoglio la striscia magnetica che troppe volte la gente si dimentica di togliere, forse anche perchè invisibile.
Il tedesco si stupì di come Antonio accorse a toglierlo dai pasticci, quasi fosse il vendicatore mascherato del suo "Lovinito" ,come insisteva nel chiamarlo.
Era ammirevole la volontà e l'audacia dello spagnolo, che anche sotto le occhiatacce e scappellotti di Romano, perseverava nel suo ruolo di Romeo. Mettendo in conto la forza segreta della sua Giulietta, da non sottovalutare.
Feliciano, poi, riuscì con un solo colpo di anche a distruggere completamente il reparto cibi e bevande. Preso com'era dalla musichetta del locale, aveva accennato appena ad un passo di danza, cozzando però con lo scaffale dei vini. Questo, oscillando pericolosamente, face cadere due o tre bottiglie addosso allo scaffale davanti (e non cadde interamente e rovinosamente solo perchè Francis si affrettò ad afferrarlo.) e Feliciano nel tentativo di prenderle, andò addosso al suddetto ripiano, causando un devastante effetto domino che però si fermò contro un muro.
Il risultato fu la devastazione del supermercato.
I ragazzi, diventati bianchi e cadaverici all'istante, han provato a far bellamente finta di nulla sguizzando fuori dal locale, con un Feliciano traumatizzato a morte che cercava disperatamente la consolazione da parte di qualcuno.
Quando però, vide il francese posare una mano sul capo dell'Artista, scompigliargli i capelli lisci, e dargli un paio di buffetti sulle guance, riuscì a trovare una mancanza, dentro di sè.
Il suo stomaco si stava contraendo, solo all'idea di essersi perso l'occasione di potergli dare certe attenzioni. Perchè ce n'erano state di occasioni, vero?
Si riscosse da quei pensieri tanto stupidi per lui, quando vide appunto il francese fare delle avances al poliziotto di sorveglianza che era semplicemente venuto a controllare che fosse successo.
Okay, aveva visto decisamente troppo.
Sotto la guida e il consiglio di Arthur, furono fuori di lì in poco tempo, per dirigersi poi al Central Park.
Dopo certe malefatte da galera, si aveva voglia di una bella passeggiata, magari al verde -verde speranza- per augurarsi di non trovarsi più in situazioni simili.
Il posto era vicino, ed era stato fortunato che i suoi compagni avevano scelto un posto della città non troppo isolato o lontano. Faceva abbastanza frescolino quel giorno, le nuvole rade infiocchettavano un po' il cielo azzurro.
Si cominciavano a vedere le foglie gialle, rosse e arancio, di colori tanto belli quanto incredibili da vedere tutti assieme.
Central Park, quindi, era il polmone di New York.
Intanto, quei poveri compagni di sventura, stavano incominciando a rilassarsi un po' mentre chiacchieravano animatamente o meno dei più svariati argomenti. E chissà perchè, Feliciano doveva essere sempre attaccato a lui.
Prima, quando ancora non lo conosceva, si figurava l'Artista completamente diverso. Invece era un ragazzo semplice, buono e troppo allegro, che nascondeva però una velata saggezza.
Ah, e non dimentichiamo: era senza pudore.
Perchè poteva sembrare all'inizio che quella sua ingenuità fosse stupidità, ma non poteva esserlo, dato che il ragazzo aveva studiato molto, e anche se non sembrava era imbottito di cultura considerando la laurea appesa nel suo studio. Feliciano era molto più sicuro di quello che apparisse, sapeva bene quello che voleva , aveva vissuto più di chiunque altro là dove lavorava.
-Signor Gigante, si abbassi un attimo, per favore!- Nemmeno aveva fatto in tempo a capire cosa volesse intendere, che un braccio esile gli circondò il collo, strattonandolo verso il basso con una forza inaspettata per il minore dei Vargas.
Si ritrovò praticamente ad affogare nel suoi capelli morbidi, così cercò di voltare il capo.
-Dai, sorridi che facciamo una foto!- Ecco, doveva immaginarselo. Una foto.
Puntò lo sguardo nell'obiettivo del cellulare che si ritrovava davanti, nemmeno tentando di sorridere, dato che aveva già scattato. Era sicuramente venuto malissimo, con mezza faccia coperta dalla chioma rossiccia e una faccia da ebete, ma pareva che all'italiano piacesse.
Subito dopo si staccò da lui, alzando le mani in segno di difesa, sorridendo. -Mi perdoni, se ho osato toccarla, Capitano!- Rise, questa volta, portandosi la mano sinistra alla fronte, una specie di saluto militare.
Ludwig si ritrovò stranamente a ridacchiare divertito,non chiedendosi il perchè di quei nomignoli, notando l'errore così infantile nel suo gesto. Gli sfiorò la mano -dio, era così calda, che stranamente cozzava con quell'aria fredda, così liscia, diamine- facendogli capire di abbassarla.
-Quel saluto si fa con la destra.- E attuò il gesto, mettendosi immediatamente sull'attenti, sentendosi un po' militare.

Dopotutto, quella giornata era stata piuttosto piacevole. Era sempre una buona occasione per conoscere meglio qualcuno, riuscire ad esternarsi un po' di più conoscendo qualcuno di nuovo che forse l'avrebbe aiutato ad essere un po' più espansivo. 
Anche se quelle erano persone pericolose, decisamente inaffidabili e malate mentalmente, avrebbe persino potuto imparare qualcosina da loro.
Non conosceva ancora per intero la loro storia, non ci teneva molto a farlo, ma a forza l'avrebbe scoperto. Così aveva salutato i due finti amanti, che litigando se n'erano andati.
Romano invece, l'aveva ucciso ad occhiatacce semplicemente per quella povera foto. Se non ci fosse stato Antonio a portarlo via dicendo che voleva farli fare un giretto, probabilmente si sarebbe trovato un secondo pugno in pancia.
Così, ecco Feliciano davanti a lui, che lo salutava di malavoglia, chiedendogli se voleva accompagnarlo per un pezzettino "piccolo piccolo!" aveva ripetuto "così non ti stanchi troppo ad arrivare a casa, giusto?".
E tutto quel candore, quel velo che piano aveva coperto quella giornata di sicurezza, di squarciò all'improvviso.
Incredibile, come la vita potesse cambiare da un momento all'altro.
Il cellulare di Feliciano, squillò. Lui rispose, sorridente, con quell'accento italiano che tanto lo caratterizzava.
Poi, però, il sorriso scomparve. Il labbro tremante, gli occhi che leggevano solo disperazione.
Una lacrima. Una sola.



Note dell'autrice:
Cioè. Non voglio anticiparvi nulla, quindi salto subito ai ringraziamenti. Non uccidetemi se interrompo così, ma credo sia molto meglio.
Un Grazie assurdo a tutte le persone che seguono, mettono nelle preferite e ricordate. Davvero, siete gentilissime.
Il solito grazie speciale per chi mi lascia un commentino, e mi rende immensamente felice.
nena92: Grazie per avermi lasciato due recensioni ai primi capitoli. Davvero, mi hai stupito! Grazie tantissime! Probabilmente leggerai dopo il ringraziamento, ma fa nulla,
Adeline_Mad: Grazie bellissima! I tuoi commenti mi fanno sempre piacere. Si, forse ho dato un po' di matto, ma spero che questo capitolo ti piaccia comunque!
bianfre
: Grazie! Adoro la tua raccolta, e mi hai reso felice a recensire la mia storia! Sono davvero contenta che ti piaccia, grazie!
Lampadina: Cioè, ragazza, tu volevi commuovermi. E ce l'hai fatta, anche. Ti ringrazio infinitamente per i complimenti alla storia, che forse non merito xD Davvero: grazie grazie grazie. Spero di trovare un altro tuo commentino!
H2o: Grazie! Spero che questo capitolo ti piaccia!
PureMorning: Mi realizzi ogni volta che mi parli della GerIta *^* Sono contenta che ti piaccia la situazione, e ti ringrazio per averlo notato perchè ci tengo molto.
Revy21: Sei sempre gentilissima, cara *^* Grazieissime anche a te!
hanta97: Grazie anche a te per il commento! Ah, ovviamente all'inizio del capitolo si fa intendere che Ludwig aveva già parlato del suo primo giorno a Gilbert, quindi di Feliciano sapeva già.
Kiku....lo so, è OOC, ma dato che aveva intuito subito il problema di Lud voleva intervenire.
Grazie ancora per il commento!


Baci, Blacket.







Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Odore di ospedale ***


Lavoro nella moda 7 Appena il mondo era piombato addosso a Feliciano, Ludwig si era visto schiantare su di sè almeno mezzo emisfero.
Era un caos calmo nella sua mente, l'orribile visione di una disperazione pacata.
Non si poteva, nascondere il proprio dolore a quel modo e cercare di sopirlo, diventava innaturale e quasi inumano.
Feliciano, poi, con quei due grandi occhi arrossati, si mordeva continuamente il labbro, mettendo giù il ricevitore abbassando poi il capo. Si raggrumava in sè stesso, diventava un bel fiore appassito. Come poteva Ludwig, porre rimedio a quello che gli stava capitando? Perchè si, oramai era diventato un egoista.
Pensava a quello che stava provando vedendolo, si riduceva all'unica conclusione che non ce l'avrebbe fatta a stare con le mani in mano.
Quindi, mentre in quel momento correva come un pazzo saettando per le vie Newyorkesi, ripensava all'italiano che con parole spezzate gli spiegava quello che era successo, si avvicinava ad un taxi dicendo che sarebbe andato all'ospedale.
Lui, con quella voce tremante che cercava di fare il responsabile, ostentando un autocontrollo che in realtà non aveva.
"Raggiungi Lovino, ti prego. Digli di venire al solito ospedale, calmalo, lui non è forte come sembra." Aveva balbettato asciugandosi il viso, che ora aveva lasciato spazio a dei rigagnoli umidi di lacrime. "Ti prego". Aveva aggiunto, come una supplica.
Ed il tedesco, in quel momento, aveva avuto il timore che non avrebbe retto, da solo. Eppure era partito immediatamente, prendendo un po' della disperazione dell'Artista e piantandosela a forza nel cuore.
Sapeva più o meno, dov'era diretto Romano. Antonio l'aveva accennato poco prima di partire, quando ancora tutta la giornata non era esplosa gravandolo di una responsabilità a detta sua enorme.
Correva, correva chiedendosi perchè non era rimasto a casa , tracannando birra come un matto per dimenticare il lavoro.
Cercava di dar fondo alle sue doti atletiche, riuscendo comunque ad accoppare quasi dei poveri passanti andandoci direttamente contro con la solita grazia d'elefante.
Con la sua mole da rugbysta probabilmente si era fatto odiare dalle natiche di quelle povere persone cadute per terra grazie a lui. Ne aveva avuto la prova quando cozzando contro una signora, aveva avvertito un qualcosa di appuntito nella schiena, gli improperi impossibili dell'anziana e l'ombrello che veniva brandito come una mazza ferrata.
Ma nemmeno le velate minacce di morte da parte della signora riuscirono a fermarlo: stava quasi prendendo dimestichezza con quella strana ramificazione di strade, i suoi piedi calpestavano ora l'asfalto ora l'erba dei pochi spiazzi verdi, e lui segugio alla ricerca dell'italiano.
Si stava quasi stancando, quando, col fiatone e le gambe che rallentavano pian piano udì un vociare sommesso appena dietro di lui. Un rumore di bottiglie, l'odore maligno dell'alcool che scivolava sul suo viso.
Un quartiere appena fuori dalla via maestra, circondato da vicoli e nicchie pieni d'ombra e odori. Ed era proprio lì che aveva sentito la voce di Lovino, il suo solito starnazzare di parole probabilmente rivolto al mondo invece che ad una sola persona.
Si voltò infatti, scorgendo un ridicolo ciuffo spuntare da un berretto di lana, il ragazzo che camminava alla svelta girando ogni tanto il capo guardingo, quasi avesse paura. Anzi, no. Si stava allontanando da un gruppo di persone in particolare, che ancora lo mangiavano con gli occhi. Erano poco distanti da lui, viscide come pochi, brutte altrettanto.
Si avvicinò, cercando di prenderlo con le buone, sperando che non si sarebbe messo ad urlare e picchiarlo dopo che gli avrebbe dato la notizia.
Era un favore che doveva ad una persona addolorata e preoccupata per il fratello, giusto?
No, quello era un favore che doveva a Feliciano.
Gli mise una mano sulla spalla, aspettandosi praticamente di tutto; e nemmeno riuscì a mormorare un "Romano" che la mano dell'italiano, stretta a pugno, gli perforò lo stomaco.
E dire che pareva tanto fragile, a vedersi.
- Lu-... Il bastardo?!- Balbettò poco dopo, gli occhi sgranati ed il tedesco dolorante, stringeva le proprie mani sul ventre. - Cosa cazzo ci fai qui?!- Disse abbassando la voce, perfino rilassandosi, ma nemmeno guardandolo in volto. Gli occhi puntavano dritti alle sue spalle, incerti e quasi spaventati.
Ludwig cercò di rimettersi a posto, di non trapassare Lovino con il primo oggetto che si ritrovava sotto mano, e spiegare l'accaduto con tutta la calma possibile.
-Romano, dovrei parlarti. E' importante...- Ma lui già non lo ascoltava più, aveva cominciato a camminare, mettendosi svogliatamente le mani in tasca. Stranamente, si mise a pensare come i due fratelli potessero rapportarsi. -Tuo nonno si è sentito male. L'hanno portato in un ospedale, qua vi...-
Eccola, la violenta Giulietta -alias Romano- che si dispera, e se la prende con il povero paggio -alias Ludwig- che esegue solo gli ordini del principe -In questo caso Feliciano-.
L'italiano lo prese per il colletto, urlando le 5 question words al vento, mentre Ludwig si esibiva con un'espressione basita  e non si muoveva di un millimetro, non proferendo parola.
-Romano, CALMATI.- Disse poco dopo, quando la famosa vena prese a pulsare sulla sua tempia. Afferrò il ragazzo per le spalle, gli ripetè ancora una volta di stare calmo e di seguirlo, ed in quelle parole usò tutta l'autorità donatagli dalla medaglietta d'onore del campo scout. (Dopo quella,aveva sviluppato capacità di comando niente male)
Perchè se non c'era rispetto per quella, allora il mondo era messo proprio male.
Riuscì a trascinare il ragazzo fuori da quel posto praticamente di peso, la sa mano che sorprendentemente si stringeva convulsa al suo braccio.  Gli diede le istruzioni necessarie per trovare il fratello, e lo infilò si un Taxi, dicendogli ancora una volta di stare tranquillo.
Giurò poi di aver sentito un "Grazie", ma probabilmente era la sua mente che faceva brutti scherzi.
E solamente quando l'auto gialla fu partita, Beilschmidt si ricordò che all'ospedale doveva andarci anche lui, dato che doveva ritirare un'importante cartella per suo fratello. E per lui.
Sospirò, voltandosi di poco e fissando di nuovo quei viscidi uomini vestiti in nero, che Lovino tanto temeva.



Lui, in ospedale, non voleva andarci.
Come al solito, riusciva a trovarsi nel posto giusto al momento sbagliato. Perchè non era nemmeno una scena da film, quella.
- Lùdwig!-
Aha. Divertente, decisamente.
Quasi se lo sentiva che li avrebbe rincontrati là, riusciva a sentire perfino la sua parte di mente sana che gli diceva di girare i tacchi e andare via. Ma lui non era solito ascoltarla, e il più delle volte considerava alla vocina della convenienza.
Appena arrivato, si ritrovò una rosa praticamente in bocca, e quasi si strozzò per impedire a Francis di fargliela ingoiare - questo, solo perchè stava litigando con l'inglese.
Antonio lo salutò da lontano, seduto vicino a Lovino che si stringeva al fratello.
Feliciano poteva apparire il più debole dei due, pareva il più impressionabile e fragile, ma in quel momento era lui che stava rassicurando il fratello.
Ed entrambi, rimanevano vicini, silenziosi e prossimi al pianto, ranicchiati l'uno sull'altro. Avevano entrambi gli occhi rossi, si stringevano le mani a vicenda, i loro buffi ciuffi -prima o poi Ludwig avrebbe dato un nome ad entrambi- che non si muovevano più in sincrono con i loro padroni.
Vide poi il minore dei Vargas alzare il capo e dedicargli l'ennesimo sorriso, e mosse le labbra al vuoto, con un "grazie". Ludwig si limitò ad un cenno del capo forse arrossendo, poi si domandò curioso che cosa ci facessero tutti lì. Appariva già strano che ci fosse anche lui, ma non tutti loro dovevano avere una faccenda da sbrigare come il tedesco. Preferì dunque non domandare nulla, ma semplicemente si rivolse ad Antonio che silenziosamente lo chiamava.
- Ludwig, potresti farmi un favore? Vai a chiedere un calmante alla reception, te ne sarei grato.- Poi indicò i due ragazzi già mezzi distrutti, la consapevolezza che il tutto sarebbe potuto finir male. Beilschmidt annuì allo spagnolo, avviandosi lentamente per quel posto fin troppo pulito, che puzzava decisamente di medicina e malattia. I soliti colori bianco e verde sui muri, il solo rumore degli infermieri che andavano e venivano da ogni dove.
-Je vais avec toi!-  il francese lo affiancò, passandogli la famosa rosa sotto il naso, non curando evidentemente le spine che riuscirono a pungerlo.
-No, non ti lascio da solo con questo vinofilo.- Kirkland si unì, placcandolo sulla destra, e non lasciandogli più una via d'uscita. Eccola, formata la compagnia dell'anello. Il maniaco, il militare e il diretto discendente di Harry Potter.
Sarebbe finita male, se lo sentiva, lo sapeva. Come aveva avuto il sesto senso per l'uscita di quel pomeriggio ed il pugno in pancia di Lovino, aveva un brutto presentimento anche per quella faccenda.
Prima di andarsene però, voltò il capo in direzione di Feliciano, così, quasi per abitudine.

La reception era intuibile come al piano terra, ma evidentemente non era dato sapere ai tre dove fosse esattamente. Vagavano ora per il primo piano, chi litigando chi meno, cercando di non dare troppo nell'occhio e non fare troppo rumore.
S'intuiva una sottospecie di fragile equilibrio a stare con quei due. Bisognava far in modo che ognuno avesse la propria parte di soddisfazione e ragione, che la bilancia di questi ultimi non pendesse nè dalla parte dell'inglese nè da quella del francese. In caso contrario, era tragedia.
Il teatrino del dramma si aprì con Francis, e le sue idee malate. Si era avvicinato ad una barella posta in corridoio, trovando nel vano sotto di essa dei vestiti da infermieri, ed un camice. Fino a qui, nulla di strano. Poi, afferrò uno di quegli indumenti, e lo alzò, fissando Arthur.
-Ti prego, mon Anglais!- La faccia del diretto interessato sbiancò, ma stranamente non fece troppe storie e nemmeno strillò come un matto. Forse perchè si trovava in un ospedale, e almeno aveva la decenza di non gridare.
Eppure, con molti sforzi, calci, pugni, prese strategiche e quant'altro, sotto lo sguardo incredulo di Ludwig, Arthur divenne infermiere. Era infatti vestito come tale, mancava solo il cercapersone e le conoscenze adatte per il mestiere.
L'inlglese era di un colore simile al bordò, ribolliva di rabbia e già pianificava vendetta.
Che la compagnia dell'anello si stesse sciogliendo? I pronostici riguardavano solo la scomparsa -accidentale, ci mancherebbe- di un membro in questione, apparentemente proveniente dalla Francia.
Ma andando contro tutte le cattive predizioni, Francis prese il camice, lanciandolo addosso a Ludwig, e mettendoglielo ad una velocità pazzesca, in modo che non si ribellasse  dio sa cos'altro.
Il tedesco era anche grande e grosso, avrebbe anche potuto scuoiarlo se avesse solo avuto l'intenzione.
-Eccolo qua, il Dottor Beilschmidt!- Cinguettò poi, vedendoli entrambi vestiti a quella maniera. I due erano più che sconvolti, seccati, ed il livello di irritazione arrivava a picchi assurdi. Il francese però, se ne fregava proprio della cattiva sorte.
-Non sapete quanto riuscite ad ispirarmi, così...- Sguardo lascivo puntato sui due, la voce che si faceva calda, e ci mancava solo che cominciasse a scavare nei propri pantaloni, ecco.
I due erano terrorizzati, fissavano il maniaco che avevano davanti, poi loro stessi, ancora increduli e basiti. Ludwig stava giusto per togliersi il camice bianco quando una mano lo afferrò trascinandolo, con un movimento agitato. Una ragazza vestita esattamente come l'inglese, li stava letteralmente portando via.
Arthur sparì dal suo campo visivo, quindi anche lui veniva trascinato da una sovracitata infermiera -Signori! Cosa ci fate qui?! La madre è già in travaglio, dovete assistere al parto!-
...
Eh?
La compagnia dell'anello - meno uno- andava tragicamente incontro al proprio destino, con un'espressione di muto terrore in volto, e la sicurezza che non ci sarebbe stato un "dopo".
Il resto, è storia.


Francis, mentre aspettava, aveva avuto l'opportunità di sentire l'urlo spaventato di Arthur e quello carico di pura disperazione di Ludwig non appena entrarono nella stanza.  Dopo, tutto quel reparto calò nel silenzio, lasciando il francese praticamente da solo. Si avvertiva una vaga paura nell'aria, quasi si potesse odorare.
Francis si scoprì a ridacchiare, mentre aspettava i neo ostetrici, e quel risolino si trasformò ben presto in una sguaiata risata quando li vide uscire.
Arthur rimaneva stretto a Ludwig, quest'ultimo coperto dalla testa ai piedi di placenta. No, non poteva crederci.
Tremavano entrambi -forse Ludwig di meno- e Arthur aveva gli occhi arrossati, prossimo al pianto. Pure il tedesco si asciugò gli occhi, ma probabilmente, i due sarebbero svenuti lì, nel corridoio.
Francis pensò che forse, quello era stato troppo anche per loro.
Un parto.
Cazzo.
Si voltavano guardinghi, ancora paurosi e scossi da quell'inaspettato avvenimento che aveva sicuramente traviato le loro giovani vite. Riuscivano ancora, a parlare?
-E...emh...State...bene?-
Li vide sbiancare, il contabile si aggrappò al muro, mentre l'inglese barcollava quasi. Si fermò poi, e lo guardò con tutto il sentimento di quel mondo:
- è NATO!-


Erano sì riusciti a trovare un calmante. Ma era stato dato a loro, per impedire che impazzissero del tutto. E, strano a crederci, ancora non si erano accorti che non erano membri del personale dell'ospedale.
Ludwig, sentiva ancora il pianto del bambino che gli rimbombava nella testa, e avrebbe sicuramente scritto nel suo curriculum un "Eseguito parto" in bella mostra.
Ci era voluto un po' prima che si riprendesse, e Arthur stava anche peggio di lui. Forse, si era perfino affezionato al neonato. Camminavano quindi lentamente, tornando con la coda fra le gambe da Antonio e gli altri, sperando che nulla di brutto fosse successo. Lui ormai si stava trascinando per i corridoi, stava soffrendo interiormente, e si sentiva ancora appiccicoso, schifoso ad una maniera bestiale.
Raggiunsero il piano, cercando allarmati con lo sguardo gli altri, trovando la sala dove riposava il nonno dei fratelli Vargas aperta, Antonio che vigilava fuori silenzioso.
Non posero domande, ma persero tutti e tre un battito mentre si avvicinavano. A Ludwig gli parve di assordarsi, sentire i suoni più ovattati, quasi quel momento di confusione lo stesse sopraffacendo.
Poi, lo spagnolo si voltò verso di loro, stringendo la felpa di Lovino.
E sorrise.
- Il Nonno sta ben...Ludwig, che cos'hai addosso?- Il tedesco tirò un sospiro di sollievo, e poco si curò della domanda di Antonio, che lo fissava basito nemmeno fosse stato un pagliaccio.
-Placenta.- Rispose, come se fosse la cosa più normale di quel mondo.
Udì appena Francis che gli raccontava quel che era successo concitato e ridente, Arthur che gli mollava uno scappellotto all'altezza della nuca. Lui era concentrato sulla porta, in quel momento. Con passi seri, misurati, un'espressione contrita sul volto chiaro si avvicinava, riuscendo a scorgere poco dopo una figura minuta e una testolina rossiccia intenta a sorridere.
Feliciano aveva una bellissima espressione in quel momento, pareva più rilassato, stringeva la mano a suo fratello e pareva praticamente rinato dalle sue ceneri.
L'ultima volta che l'aveva visto, pareva un foglio di carta stropicciato, e ora si stagliava più luminoso di prima, persino più bello -pensò Ludwig.
"Ed è un pensiero stupido" Aggiunse poi.
Un lieto fine, che in questi tempi moderni si vedeva sempre più di rado. Era strano pensare che per una volta, almeno una, si potesse gioire uscendo da un ospedale.
L'italiano voltò il capo verso di lui, quasi distrattamente, ma lo fissò intensamente negli occhi. Poi, probabilmente guardò com'era conciato, e gli fece l'onore di poter sentire la sua risata.



Antonio quel giorno tremendamente strano giurò di aver visto due cose altrettanto inconsuete.
Ludwig che ritirava una cartella piena di fogli svolazzanti da parte di un infermiera, un uomo fin troppo somigliante ad Alfred che faceva il suo ingresso nell'ospedale, sparendo subito dopo dietro ad una porta ed accompagnato dall'onnipresente odore di medicina.
Ma dopotutto, le stranezze erano di routine, no?






Note dell'autrice:

Okay, anche questo è finito. Spero vi sia piaciuto, anche perchè era da un po' che l'avevo in mente ma mancava la voglia di scriverlo. Qui si introducono ben 3 misteri della storia, che scoprirete col tempo, senza fretta.

Mi bastava introdurli così, a random.
E dal prossimo capitolo, incomincia il lavoro vero e proprio per Ludwig, e le giuste complicazioni che ne verranno fuori, e cambiamenti annessi.
Vi ringrazio immensamente, voi che leggete, o mettete in preferiti, seguite e ricordate. Davvero, siete la mia gioia, vi ringrazio tantisimo.
Inoltre, non mi aspettavo così tante recensioni, e vi dico ancora Grazie, perchè senza di voi non sarei ceto spronata a scrivere.

Ringraziamenti:
Adeline_Mad: Grazie per il tuo commento! Sono contenta che ti sia piaciuto, inoltre ci tengo molto al rapporto tra Feli e Lud, sono contenta che tu l'abbia colto.

PureMorning: Grazie *^* Sono contenta che ti sia piaciuto, e spero che anche questo sia di tuo gradimento. Ecco; FrUk o UsUk? Sarà molto difficile, da capire. O forse no. Comunque grazie per il tuo commento, mi ha fatto davvero molto piacere!
H2o: Grazie anche a te! Il mio compito è andato a termine con successo: sono riuscita a strapparti un sorriso :)
Bimba127: Tu. Mi leggi nella mente, percaso? xD Diventerai un detective, o qualcosa di simile. Grazie per il tuo commento, davvero!
hanta97: Grazie mille anche a te, che mi recensisci ogni capitolo *^* Davvero, grazie, grazie.
nena92: Si, adesso ho scritto giusto il nome :) Grazie anche a te, che mi hai recensito praticamente tutti i capitoli. Graaazzzie!
lampadina: Aww <3 Grazie per il tuo commento, cara. Mi lusinghi troppo, ecco. Però sono contenta che ti piaccia, davvero! Grazie!
bianfre: Un grande e grosso Grazie anche a te! Sono riuscita a strappare dei sorrisi, allora :) Grazie per i tuoi commenti qui e anche sulla fiction "Prima di partire". Grazie davvero!
Revy21: Ti ringrazio tanto! Spero che anche questo capitolo ti piaccia! E si, Ruolo un Lud, un Arthur pirata, un Antonio e adesso anche un Magna Germania. Mi hai beccato :)


Baci Grossi e Bavosi, Blacket.




Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il Non Lavorante ***


Lavoro nella moda 8 La stanza sterilizzata, quell'odore non troppo deciso di malattia che lo infastidiva quasi più delle placenta appiccicaticcia che aveva addosso.
Che schifo, diamine.
Eppure, era meglio concentrarsi sui quei particolari così sciocchi, invece che guardare quel vecchio grande uomo costretto a letto e medicine, segregato in un posto che non si addiceva a lui.
Parlava e sorrideva, scavato dalla stanchezza, ai suoi due nipoti che in quell'istante pendevano dalle sue labbra.
Aveva una voce forte, un sorriso abituato a vivere, un vigore fisico e mentale da fare invidia.
"Roma" lo chiamavano, per un qualche ignoto motivo, che probabilmente Feliciano avrebbe tardato a spiegargli. Parlava sommesso, quasi rassegnato, quel nonno che sembrava così giovane.
-Nipoti, è giunto il momento che io lasci l'azienda.-
E parlava, parlava, annunciava e cambiava le vite altrui, eppure Ludwig rimaneva immobile sulla soglia, a fare da terzo incomodo.
-Lasciate che le cose si risolvino con Alfred, e mi raccomando, non dimenticate mai cosa vuol dire essere fratelli.-
Così commuovente, quel quadretto, rovinato da un tedesco implacentato lì vicino, che non sapeva se muoversi o meno. L'anziano -si, insomma, si fa per dire- prese in una stretta stanca ma vigorosa entrambe le mani dei due, in bocca un sorriso e un augurio di "Buona Fortuna" per loro.
Poco importava se ora i fratelli chiedevano spiegazioni, si affannavano per scoprire cosa l'avesse portato ad agire così, e chiedevano consigli su consigli, affermavano che non ce l'avrebbero fatta, e che tutto sarebbe caduto.
E le altre parole che sussurrò nemmeno riuscì a sentirle, tanto erano flebili e private, di certo non destinate a lui.
Così, prima che gli altri entrassero, prima ancora che il maggiore e il minore si accorsero di lui -e che era ricoperto di ciò che ben sapete- Roma voltò appena il suo sguardo verso Ludwig, e contro ogni pronostico gli sorrise.
Quell'uomo, sapeva cose che probabilmente il tedesco ignorava, che forse mai avrebbe capito, e nemmeno compreso come quel gratuito sorriso a cui non sapeva dare significato.
Eppure, spinto anche lui dalla mole stessa che pareva provenire dagli italiani, abbozzò una smorfia pure lui, sorridendo.




Era sera, ormai.
Il presagio di quella giornata così faticosamente costruita era svanito, del tutto. Si sentiva spossato, ancora poteva avvertire quell'orribile odore pre-parto, e la nausea che lo assaliva solo al pensiero.
Chissà se Arthur la pensava come lui, in quel momento. Altro che vite traviate, diamine. Lì nel suo appartamento ora rimesso a nuovo, non poteva succedere nulla di vagamente simile, almeno.
Si massaggiò distrattamente il punto dove un'anziana signora aveva conficcato il suo ombrello in preda ad una crisi mistica nei suoi confronti, puntando lo sguardo celeste sulla cartella clinica, posata sul tavolo.
Scottava, quella carta. Gli bruciavano le mani appena la toccava, la mollava distrutto, senza avere il coraggio di aprirla. Come poteva quell'oggetto essere così infernale? Eppure, anche se nella sua mente equivaleva ad un campo minato, lui aveva la tentazione di affrontare quella sfida e buttarcisi dentro.
Buttarsi, senza sapere dove e come si sarebbe atterrati.
No, non poteva aprirla, non doveva e nemmeno se la sentiva. Senza Gilbert al suo fianco, non ce l'avrebbe fatta.
Mentre era così maledettamente concentrato e già si bollava come filosofo mancato, il cellulare emise un flebile "Bip", e di conseguenza gli vibrò l'intera gamba destra.
Sospirando afferra svogliato l'apparecchio, fissandolo come se fosse stato un reperto alieno, e legge sullo schermo.
1 messaggio, numero sconosciuto.
Bene.
Preme l'ok, e sempre più sbalordito, inizia a leggere. Le mani si fanno un po' sudate, quel dannatissimo cuore perde l'ennesimo battito, e si ritrova a zampettare per la stanza senza una meta precisa.

" Ciao Ludwig! Sono Feliciano. Vuoi sapere come ho il tuo numero? Te lo dico lunedì, al lavoro.
Ti volevo ringraziare per quello che hai fatto oggi a noi, ti ho chiesto un favore enorme e nemmeno sono riuscito a ringraziarti come si deve.
Non prendertela se non l'ho fatto, ma giuro che rimedierò.
Poi mi spieghi perchè eri ricoperto di una cosa molliccia.
Baci. :) "

Ossantissimapace. 
Ludwig continua a camminare, rimane basito e stupito, non riesce a capire come avesse potuto avere il suo numero e non immaginò come l'avesse preso, ma sul volto si disegna la stessa dolce smorfia che fanno i bambini quando ricevono dei doni, o delle sorprese.
Come poteva aspettarselo, lui, che quella testolina rossa fosse così stramaledettamente espansiva nei suoi confronti? Rettifica: nei confronti di tutti.
Non doveva mica sentirsi un privilegiato, lui.
Mormora uno "stupido", più a sè stesso che a Feliciano, prendendo la cosa come mortalmente tragica ma con un retrogusto così dolce da fargli cariare i denti solo a pensarci.
"Baci" c'è scritto alla fine del messaggio (E la faccina diamine, non dimentichiamo la faccina). Una cosa un po' familiare, nevvero? Nemmeno si conoscessero da una vita, o similia.
Ed è una scena così balorda, a vederla da fuori, che potrebbe persino intenerire. Quel Ludwig che si comporta come un adolescente non capendo il perchè, e si rifugia nella drammaticità del fatto, anche se ha sul volto un'espressione più che eloquente.
Butta poi il cellulare sul divano, mandandolo mentalmente al diavolo - e arrossisce, non volendolo, anzi opponendosi strenuamente a quel colore che gli imporpora le guance.
Sta quasi per arrendersi, ammettere che dopotutto gli ha fatto piacere ricevere un saluto così inaspettato, e quel piccolo muro d'orgoglio sta per abbattersi quando si sente bussare una, due, tre volte.
In quel momento è sicuro che il mondo ha deciso di tirarlo fuori dalla sua bolla di asocialità, e statico assolve il suo dovere: apre alla porta.
Appena compie quell'efferato gesto - grandi e macabri errori della vita- si trova davanti un trio assurdamente malcomposto, che nulla aveva di omogeneo e che a dirla tutta riusciva persino ad incuriosirlo.
-Salve! Noi siamo i suoi nuovi vicini!- Disse il più alto, un tizio biondo e apparentemente allegro. Lo sguardo di Ludwig slittò verso gli altri due, un po' più bassi del primo.
L'uno pareva buono, si contraddistingueva per gli invisibili gesti cordiali ed attenti che si intuivano nella sua persona, l'altro pareva un indemoniato represso.
Li scruta, cerca di indovinare qualcosa su di loro, ma tutto ciò che gli balza all'occhio è il piccolo bastardino ai piedi di questi.
- Io sono Mathias!- Ripete ancora, sfoggiando probabilmente uno dei suoi sorrisi migliori. -Loro sono Tino e...- Volge un occhiata al tipo silenzioso, ridacchiando -Lui viene dalla Norvegia.-
Ah, nemmeno aveva un nome, quel povero ragazzo.
Mathias gli stringe la mano con vigore, poi viene la volta di Tino -molto più delicata, il sorriso indiscreto ma cordiale, ed infine il norvegese, che invece di stringergli la mano indica con eloquenza il cane.
-Si chiama Troll.-
-Ah.- Dice Ludwig, palesemente sconvolto - ....bello.- Quanto phatos in quelle parole.
Lo stesso Phatos che lo accompagnò quando si presentò.
Eccolo: il millesimo pensiero o problema che gli piombava addosso, sottoforma di tipi ancora sconosciuti, ma che riuscivano ad inquietarlo.
Dopotutto erano solo dei vicini, mica avrebbero vissuto con lui, e ci mancava anche. Bastava solo un po' di cordialità, quel misto di rispetto che ci voleva per una convivenza civile , e che magari li avrebbe portati a...
-Ludwig...sei tedesco? Allora ho fatto bene a portare della birra!-
...
Li adorava.


Il Lunedì, alle 8 di mattina, in piena New York, era il settimo girone infernale, con tanto di demoni che brulicavano nella sua testa ed intorno a lui.
Era stanco, aveva appena scoperto di non riuscire più a pensare coerentemente dopo aver aiutato i suoi nuovi vicini ad arredare casa per tutto il week-end, e il danese della situazione (si, Mathias era danese) gli aveva offerto così tante birre che probabilmente  anche dopo due o tre docce sarebbe rimasto l'olezzo acre della bevanda.
Aveva scoperto un po' di cose su di loro, da dove venivano e che facevano nella vita, per non parlare del motivo per cui dei nordici si trovavano a New York.
Senza fare tanti preamboli: erano stati sfrattati dalle famiglie, ed eccoli lì, accollati a casa sua.
Non gli avevano però detto il perchè di quello sfratto. Meglio così, erano affari loro, lui non avrebbe chiesto nulla al riguardo. Eppure, accompagnato da quei pensieri che riuscivano davvero a distaccarlo dalla realtà, arrivò a destinazione.
Cominciò seriamente a preoccuparsi quando vide l'usciere, Berwald, fermo davanti al portone e non dentro l'azienda. Che?
Si avvicinò cauto, salutandolo, e per la prima volta in vita sua, chiedendogli esplicitamente un informazione.
- è successo qualcosa? -
- Stanno dimezzando il personale.- Rispose composto, anche se un rivolo di sudore comparve sul suo profilo.
Stavano. Dimezzando. Il. Personale.
E lui, era in ritardo.
Sgranò preoccupato gli occhi, e senza farselo ripetere entrò più veloce che potè, realizzando poi che, se tutta New York si poteva suddividere nei vari gironi dell'inferno, quella era la sede di Belzebù.
Si ritrovò un po' piazzato come al primo giorno di lavoro, dove la gente girava spaurita ma composta e fredda nemmeno fosse fatta di ferro, e correva impercettibilmente per i corridoi facendo il proprio dovere senza sbagliare o distrarsi.
Era un incubo.
Perchè di contabili, ce n'erano a bizzeffe. Lui, era ancora sotto prova.
E anche se fosse già stato assunto, quel suo capo austriaco si sarebbe ingeniato in tutti i modi per poterlo licenziare in tronco.
Aveva già avuto una botta di fortuna riguardo al suo lavoro, ed era stata così ben congeniata dal destino, che per un pelo lui si era salvato. Poteva sperare in qualcosa di simile anche in un giorno del genere? Stavano mietendo vittime una dopo l'altra, e appena Francis annunciava un "Ci mancherai" alla stazione, un'altra forza di lavoro se ne andava.
Sentiva l'ansia montare, il suo proverbiale autocontrollo che gli rimaneva aggrappato per miracolo, e la consapevolezza che quello sarebbe stato il suo ultimo Lunedì lì dentro che lo invadeva pian piano. Respira più pesantemente ora, cerca di raggiungere il suo posto di lavoro, e prega il cielo di non trovare sulla linda scrivania una busta bianca, prestampata per altre 150 persone lo stesso giorno.
E cammina, sente i propri passi rimbombare, fino a quando non trasale mentre un "qualcosa" lo tira prepotentemente per il braccio.
- Lud, ti devo parlare! Si tratta del lavoro, è importante!- Ah, ecco.
Gli pareva che mancasse la ciliegina sulla torta a quel film horror. Feliciano, che diavolo vuoi dalla vita di questo povero tedesco in procinto di morte?!
Così Ludwig si ritrova a guardarlo con gli occhi sbarrati, simile ad un bambino colto in fallo mentre ruba delle caramelle.  Il ricordo del messaggio -prima sopito dal nervosismo- si risveglia prepotente imporporando le guance di quest'ultimo, che non osa poferir parola.
-Seguimi, su!- lo intima ancora, così ricoperto com'era di tempere, trascinandosi a dietro una quantità industriale di bozzette. Sembra agitato, ma pure sorridente, con un'aspettativa nuova in volto.
-Feliciano, che HAI?!- Brontola il povero non-lavoratore, esternando tutta la sua disapprovazione con un truce sguardo rivolto all'italiano. Questo non si fa abbattere, ma continua imperterrito a stropicciare l'abito di Ludwig , tirandolo.
- Mio Nonno non è più il proprietario! Ed i russi appena affiliati ci stanno invadendo!- Pratico a parlare, Vargas.
E ancora, si sentivano nominare? La macellaia e Ade versione cosacca. Bell'affare, ritrovarsi tipi del genere sotto lo stesso tetto. Che poi avessero approfittato delle dimissioni del direttore gli pareva pure ovvio.
Secondo norma, il vicedirettore avrebbe dovuto succedere Roma, ma non era suo compito sapere quale affare avessero stipulato e francamente, nemmeno capiva perchè alle 8.25 di mattina l'italiano venisse ad informarlo di simili faccende.
-Ma cosa c'entr...-
-E stanno Licenziando tutti! Ludwig, io avrei un lavoro che fa al caso tuo! Ascoltami, ti prego! Fatti almeno aiutare!-
Cosa significava, che adesso Feliciano volesse parargli il culo -linguaggio terra terra, dico- a quella maniera? Insisteva così tanto nell'aiutarlo in quel momento, e a dire il vero gli avrebbe fatto comodo un appiglio sicuro nella situazione in cui si trovava.
Ma c'era davvero, da fidarsi? Feliciano poteva benissimo agire in buona fede, ma certe idee campate per aria in poco tempo non sempre si potevano realizzare. Sospira Ludwig, non sapendo se ringraziarlo o rifiutare quella strana offerta, che reconditamente andava al di là del semplice offrirgli un lavoro. "Fatti almeno aiutare" non erano delle parole che l'italiano aveva usato per bellezza.
Quindi, con un "vieni" diede il suo ultimatum, e Ludwig si ritrovò a camminargli dietro e a seguire le sue orme mentre si destreggiava tra corridoi e ampie stanze, facendo una piccola corsetta fino all'ascensore.
Con quel gesto aveva perfino perso uno o due fogli, lasciando il tedesco con il solo pensiero di quanto riuscisse ad essere goffo, quel ragazzo. Perfino quando si presentava come eroe riusciva a mettersi il mantello al contrario.
Entrò poi nell'ascensore, scrutando le porte che si chiudevano lentamente, il bottoncino contrassegnato col 28 illuminato, e notando il fatto che lì non ci fosse nessuno.
Nessuno, a parte lui e l'Artista.
Si sentì spaesato, non sapeva come agire e cosa dire, riuscì a figurarsi come inguaribile tedesco, che in situazione del genere faceva lavorare solo il cervello ma non altro. Dato che in un posto simile erano sprovvisti occhi indiscreti, e quindi non poteva dirsi osservato, avrebbe potuto anche ringraziarlo per quello che stava facendo oppure spiegargli cosa aveva addosso all'ospedale.
[OH; il messaggio, si ancora lui. Ludwig, te lo ricordi, vero? Il messaggio, già. Il messaggio.]
Cerca di trovare delle parole adatte, un qualcosa di abbastanza simpatico ma non scontato, di convenienza ma che potesse considerarsi originale. Diamine, che patemi.
E dire che Feliciano pareva a proprio agio: canticchiava distratto, a tratti riprendendo un foglio che scivolava pigro a terra.
- Ludwig...- Fece dopo poco, nemmeno fissandolo negli occhi, ma puntando lo sguardo ambrato verso la porta chiusa. -Sii sincero. Tu pensi che io sia una persona sciocca, oppure stupida?-
Il sorriso non era svanito dal suo volto, ma si era fatto malinconico e sottile.
Il biondo lo fissava incredulo, non capendo perchè avesse posto a lui una domanda del genere, e la forza di rispondere si faceva rada, così invisibile e poi inesistente. Che avrebbe detto, in quel momento? Lui, di relazioni sociali, non ci capiva nulla.
Giurò di averlo visto mordersi il labbro, abbandonare le mani sui fianchi mollemente, e persino abbassare di poco il capo, mentre lui attendeva a rispondere.
Perchè diavolo non parlava?!
- I-io...-
In quel momento la porta si aprì, scorrendo crudele senza dargli il tempo di dirgli "No, non ti trovo sciocco o stupido." rivelando l'ultimo piano più tranquillo del solito, quasi ingrigito anche se spuntavano luci da ogni dove, ed il solito arredamento chiaro troneggiava nel campo visivo.
Vide, in fondo al corridoio in questione, Francis praticamente stravaccato sul suo bancone ovale, in mano una rosa scarlatta che accarezzava con tutto l'amore di quel mondo.
Davanti alla reception stessa, spuntava un enorme cartellone, le scritte veloci ma capibili anche da lontano: " Anche se vengo licenziato, il Bruco mi verrà a trovare!".
Un autentico marchio del francese, senza dubbio.
Più avanti, Antonio e Romano seduti vicini ad una grande scrivania, che poco scribacchiavano, ma l'uno gridava, l'altro rideva mentre si concedeva il lusso di dargli un lieve bacio sulla fronte.  Passando da una porta, infine, udì un roco "CONQUISTEREMO TUTTO MONDO, DA!".
Ma ad essere sinceri, era probabilmente stata solo un'impressione.
Ludwig era riuscito a capire poco delle relazioni fra i suoi colleghi, e nemmeno era sicuro che loro fossero...omosessuali, insomma. A quanto pareva, Alfred doveva avere una tresca con Arthur, anche se Francis amava quest'ultimo. Romano e Antonio stavano pure bene assieme, bastava che ammettessero entrambi -specialmente uno- che loro due erano un qualcosa di più di semplici amici.
E Feliciano? Lui...LUI?!
Si fermò davanti ad una porta a vetri, dove si scorgevano due o tre scrivanie, bloccato dalla schiena dell'italiano davanti a lui.
Non lo vedeva il volto, non sapeva se sorrideva o meno. Eppure questo si girò, mostrando 32 denti.
-Ludwig, tu sarai il mio segretario.-
Proclamò, sulle note scordate del cuore dell'ex contabile che prese un ictus sul colpo, rimanendo senza parole. Che? Lui....segretario?
Balbetta perfino il suo cervello mentre recepisce la notizia, e diventa viola verde, blu il colore del suo volto contratto nell'assimilare solamente quell'idea.
-Ti aiuterà Bella! E' una ragazza molto carina, simpatica, e anche ...-
Altri che crisi mistica. Ludwig era entrato in un coma cerebrale, nemmeno riusciva a collegare certe idee.
-Feliciano, io non...-
-Suvvia, Ludwig! Imparerai, sei un tipo sveglio tu! Potresti anche ringraziarmi, sai?- Rise, così spontaneo e allegro, deciso in tutto e per tutto a fargli accettare quel nuovo lavoro. Beilschmidt però rimaneva inflessibile, e solamente dopo del tempo, ebbe il coraggio di parlare.
-Feliciano, io non ti trovo né sciocco né stupido.-
Coerenza: Ludwig l'ha appena venduta.





Essere un Vice così precario, era stancante. Strenuo era diventato il suo lavoro, da quando lui, Alfred, aveva incontrato quei russi.
Ivan, tra tutti, riusciva a scombussolargli le viscere. Non capiva bene quel'era quell'interesse che stava mostrando per un demone così enigmatico, ma si sarebbe liberato volentieri di quella sensazione ogni volta che lo vedeva.
Inoltre, aveva promesso che avrebbe portato un nuovo collaboratore dalla sua parte. Gliel'aveva ripetuto quella mattina, con quella voce così infantile.
Il solo fatto di licenziare 150 persone che non avrebbero più potuto avere un lavoro, e assumerne un altro solo per lui....oh, diamine.
Aveva altro a cui pensare. Per esempio, alla strage compiuta da Lovino appena aveva saputo che Ludwig sarebbe diventato il segretario di Feliciano. Non sapeva cosa aveva contro quel tipo, ma aveva incominciato a ricoprirlo di purè e pomodori, giù in mensa.
Il tedesco era intelligente, gli sarebbe servita una mano in più in quella guerra fredda contro Brajinski.
Ora, rimaneva la cartella clinica, portata da suo fratello. Posata sul tavolo, immobile. E lui, non voleva aprirla.
Quando mai si era preoccupato così tanto di Matthew? Che idiota, era stato.
Trovò quel poco di felicità scorgendo delle vistose mutande inglesi che fuoriuscivano dal cassetto, e anche se rise, non era nemmeno più sicuro dell'appoggio di Arthur.







Note dell'Autrice:
Ho fatto ritardo? Non ne ho idea.
Dico solo che mi sono sentita potente ad inquadrare un po' le coppie della trama ed i problemi con il semplice pensiero di Ludwig e quello di Alfred, in specie. Ho scelto i nordici come vicini di casa, anche perchè voglio formare l'ennesima coppia -che tra l'altro adoro- e consolidare un'amicizia che vedo benissimo trovando un sistema preciso.
Troll, ti amo.
Spero che il capitolo vi piaccia, vi ringrazio immensamente per il supporto di voi lettori e soprattutto recensori, che mi spingono a scrivere ancora, e ancora. Che sia un bene o un male, non ne ho idea.
Davveo un grande inchino, e ancora un grazie.
Ringraziamenti:
Adeline_Mad: Grazie carissima! Si, insomma, hanno assistito ad un parto, ecco. Così va la vita (?)
H2o: Sono contentissima che ti piaccia! Mi ha fatto un piacere enorme leggere il tuo commento! Si, si capisce che amo la GerIta, no?
PureMorning: Spero sia come dici tu! Mi impegnerò per trasmettere quel poco che ho da dire! Grazie!
Cuore_di_ciambella: Ma da quando tu mi recensisci? 8D Gioia nel vedere un tuo commento. E Grazie.
lampadina: Un grazie spaciale, per tutto il supporto. Davvero, grazie grazie grazie. Sono contentissima che ti piaccia così, e devo dirlo, che non lascio mai nulla al caso è vero. Si possono trovare indizi, nei capitoli.
Bimba127: Si, detective! Ma un gigantesco grazie anche a te! E son contenta di averti strappato un sorriso! Spero il capitolo di piaccia!
Revy21: Te l'avevo detto, che ci sarebbe stato un lancio di patate. -purè- E me l'hai ispirato tu, brava ragazza! Grazie grazie grazie grazie!!

Bavosi Baci, Blacket.








Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Vita da segretario- Parte 1 ***


Lavoro nella moda capitolo 10 Per la quinta volta si ritrovava ad allargare disperato quel maledetto colletto della camicia; ora troppo stretto, ora troppo avvinghiante.
Si ritrovava in una situazione nuova; sia fisica che mentale, e ciò poteva portarlo ad avere seri dubbi sulla sua più che eroica persona. Riusciva ad avere caldo, a sudare vergognosamente per la rabbia e l'ansia contribuendo solo ad innalzare il livello d'umidità nella stanza.
Quelle odiose e immotivate vampate di calore accentuavano invece la brutale differenza fra lui e l'atmosfera creatasi nella stanza: un gelo innaturale, un'improvvisa freddura concentrata tutta nell'unico brivido che scese lungo la sua schiena, probabilmente un blando avvertimento del pericolo.
Ed Alfred, il vicedirettore, cercava in tutti i modi di non distogliere lo sguardo dal viso di Ivan ed il suo sorriso; smorfia che mutava di tanto in tanto solo per lasciarlo parlare e avvelenare così l'aria della sua vocetta infantile.
- 150 Persone, Brajinsky.-
Il russo inarcò un sopracciglio, sedendosi più compostamente sulla poltroncina e riuscendo a canzonarlo solo con un semplice gesto della mano.
- 150 persone erano necessarie. Si sta attuando una fusione, ciò è inevitabile.-
Sentirlo parlare poi, era anche peggio. Ivan aveva un tono assurdamente innaturale, cozzava con la sua persona ma dava benissimo l'idea di pacato terrore. Gli ricordava tanto uno di quei film horror che venivano annoverati fra i più paurosi non per l'impatto: ma grazie ai rimasugli di inquietudine che lasciavano nella mente.
Si alza infine, l'americano; capisce che deve andarsene da quel posto assurdo, comprende che non era lì con lui che doveva stare. E allora perchè, si era trattenuto tanto?
- In futurò vedrò meglio i cambiamenti che si apporteranno.- Raccoglie quelle due scartoffie mai usate dal tavolo, trova quei due secondi in cui è impegnato in quel semplice gesto liberatori.
-Jones. Ricorreggi: Vedremo i cambiamenti. Insieme.-
Ed evitò di rispondere a quella specie di matrioska con la sciarpa facendo appello a quel buonsenso che fino ad allora non si era mai fatto vivo. Saluta distrattamente, si avvia stranamente mesto alla porta lasciandosi alle spalle un saluto appena accennato.
Quando fu sulla soglia, gli giunse ancora quella stridente vocetta, ma più flebile di prima.
" Così tanta paura di far parte della Russia, Da?"



Quel nuovo inizio l'aveva spiazzato.
Probabilmente il mondo odiava l'idea che lui stesse pacifico e tranquillo collaborando per quell'azienda attuando il compito assegnatogli: il contabile.
Ma ovviamente no, l'infausto destino pretendeva che svolgesse ogni altro mestiere a detta sua frivolo ed addirittura idiota; o molto più semplicemente non adatto a lui.  
Il segretario.
Ludwig avrebbe preferito rifugiarsi ed accamparsi nella foresta amazzonica armandosi unicamente di due fiammiferi piuttosto di impararsi quelle cavolo di collezioni (ancora doveva capire a cosa si riferiva il verbo "Collezionare" in quel contesto), di colori e stilisti e ancora giornalisti che avrebbero affollato la sua testa unicamente per scoprire i mirabili segreti dell'Artista.
Già, perchè era proprio per lui che lavorava e si sottoponeva a quell'assurda tortura.
Ma il lavoro era il lavoro.
Se prima il suo capo era un celato demonio austriaco ora si presentava un grande artista ansioso di uccidero a forza di urli e "LUDWIG!" campati per aria.
E quasi non aveva dormito, pensando a cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo, borbottando di come quell'italianotto da strapazzo si era permesso di schioccargli un bacio sulla guancia approfittando di una sua distrazione, appena prima di andarsene.
Aveva poi sorriso -una strana smorfia incredibilmente emotiva- , gridando da lontano un "Signor gigante, lei punge!". Quindi ora, il suo capo gli diceva anche quando doveva farsi la barba o meno.
Lasciando perdere il fatto che alla fine si era dato davvero una passata di lametta, certa gente si prendeva delle libertà che per i suoi standard erano anche sopra la soglia del sopportabile.
Ludwig s'irrigidiva, o arrabbiava, si vergognava di quei semplici contatti umani; e più ci pensava, più la sua mente elaborava pensieri diversi e contorti che lo danneggiavano -secondo la sua mera opinione.
Ma ora non era tempo di rammaricarsi, c'era da capire come sopravvivere in quella nuova giungla.
In quel momento, camminava deciso verso la sua scrivania presentatagli il giorno prima. Si ricordava la strada, aveva una buona memoria, e prima raggiungeva il suo posto di lavoro, prima poteva risolvere gran parte dei suoi problemi collegati al nome "segretario".
Ricambia malamente i saluti degli altri, ignora volutamente l'urletto disperato di Romano appena lo vede in lontanaza. Il tedesco in quel momento era così sovraccarico che se probabilmente il meridionale si sarebbe avvicinato troppo l'avrebbe fulminato sedutastante.
Ormai sapeva com'era fatto, preferiva non capire il perchè di quell'astio verso di lui, ma almeno poteva lasciarlo lavorare in pace.
Giunge alla scrivania -ampia, tiene un intero muro e angolo. Da quella porta finestra a vetri riesce a vedere due uffici, uno dei quali disordinatissimo e rassomigliante ad un magazzino: lì ci stava sicuramente Feliciano. 
Era un posto soleggiato, un vero inferno di abiti e scartoffie, di matite penne ed altro. Il tutto accumulato con maestria sulla scrivania, coprendo l'unico oggetto utile e di minima importanza, quale il telefono.
Ludwig poi si siede, accomoda le proprie cose e nota con terrore una cosa come 15 post-it appollaiati sullo schermo del computer.
Prende un gran respiro, e con una sola punta di curiosità prende il primo che gli capita sottomano e lo rigira fra le dita.

" Prendi un Caffè di quelli forti, portalo a Feliciano prima che arrivi ma NON spostare nulla di quello che trovi sulla scrivania.
è buono, ma di mattina un vero disastro. Ti spiegheranno tutto più tardi,
Liz."

Oddio. Il suo capo aveva la dipendenza da caffè? Era sì titubante, ma avrebbe sicuramente fatto quel picco gesto. Dopotutto glielo raccomandava Elizaveta, una ragazza quantomeno normale rispetto ad altri.
Dato che era appunto arrivato in anticipo, si ritagliò un po' di tempo per leggere quei preoccupanti appunti lasciati dai neo colleghi.
Alcuni gli davano il benvenuto, altri gli raccomandavano di trattare bene Feliciano, di non arrabbiarsi e di andarci cauti. Era un po' sbadato -ripetevano- ma sapeva ciò che faceva. Se d'un tratto lo investiva l'estro creativo diventava un insopportabile personaggio, lunatico come pochi e decisamente pretenzioso.
Se per qualche strana ragione chiedeva un costume di un gigantesco pomodoro doveva assolutamente averlo entro fine giornata. 
Ora Ludwig si spiegava perchè non avesse già un segretario, un qualcuno che badasse alle sue richieste lavorative - e da quello che aveva capito, anche personali.
Il tedesco si appunta mentalmente quello che deve ricordare, bolla due punti rossi e pericolosi. La mattina, ed i momenti follemente ispirati. Ovviamente quei post-it gialli andavano ribadendo che era molto facile affezionarsi a lui, ma molto più difficile sopportarlo.
Ludwig era anche un uomo d'armi, si ricopriva di pazienza ma pure di buon senso: se gli avessero chiesto bruscamente l'impossibile, lui non avrebbe fatto nulla per accontantare richieste stravaganti e assecondare comportamenti sclerotici a vita.
E un'altra cosa.
Da quello che aveva capito, lui Feliciano non lo conosceva ancora bene. Assolutamente.
Perchè pareva quel sciocco e frivolo ragazzo, un latinlover nato ed una persona buona e fin troppo gentile ed ingenua. L'italiano però sapeva quello che voleva, rimaneva si un bambino troppo cresciuto ma nel campo dell'arte era il Re incontrastato: meglio non contestarlo in nessun modo.
E Ludwig sospira, dinnanzi a quegli avvertimenti di pericolo e ben poco rassicuranti, si prepara a quella stranissima esercitazione che prevedeva anche scavare nelle abitudini di un Vargas e cavarci fuori un qualcosa che lo avrebbe aiutato a sopravvivergli.
Dopotutto lui aveva installato nel cervello un flusso di obbligo e dovere che gli portavano a fare bene ogni cosa.
Anche quello era un lavoro.
E come tale doveva essere considerato.

Il tempo passava, gli uffici si riempivano di nuovo.
Bella, la sua nuova "vicina" accomunava le tipiche caratteristiche di una bevitrice incallita in gonnella, ridente ma non troppo fastidiosa. L'aveva salutato con un ampio sorriso e posto due o tre domande di circostanza; ed anche se poi aveva taciuto, il suo sguardo presagiva una vera e propria intervista con lei appena avesse avuto un briciolo di tempo.
Ed era in quel momento che suonavano le 8:30, lui aveva appena finito di spulciare l'agenda di Feliciano -piazzata senza pretese sulla scrivania quella mattina, solo in sua attesa- trovandola disordinata e quasi scomposta; contenente ogni tipo di carta o scarabocchio: pezzi di stoffa, disegnini, dediche (addirittura!) carte di caramelle e quant'altro.
La cosa che più lo inquietò era un lascivo " LUDWIG " scritto in stampato il 4 Ottobre. Cosa che decise di non trascrivere, e che a dire il vero riuscì ad imbarazzarlo.
Andò poi velocemente a prendere il caffè -il secondo della giornata a dire il vero; dato che il primo preso si era già raffreddato da un pezzo. Attese il suo capo quasi con ansia, stupendosi di come la sua opinione mutava di continuo.
Prima quasi aveva imprecato per il suo pazzesco ritardo, ora avrebbe preferito che si fosse preso 5 minuti per chiacchierare con qualcuno. Ma non si poteva ignorare la voce di Francis al centralino, che sinuosa annunciava l'Italiano e lo salutava.
Quindi si prepara davanti al suo ufficio, caffè caldo in mano e sguardo puntato sull'entrata ed il corridoio.
Poi lo vede arrivare. 
Aveva le mani così infagottate e piene, non sapeva nemmeno più dove mettere ciò che disperatamente cercava di trattenere a sè persino ficcandolo sotto le ascelle ed il mento. Vedeva poi solo la metà destra del viso, la testimonianza della sinistra si riduceva al ciuffo ricurvo.
-Ludwig!-
Si limitò a questo, mentre entrava nella stanza sorpassandolo. Il tedesco lo raggiunge, lo guarda storto mentre abbandona tutto sul già sovraffollato tavolo, e si limita a porgere il caffè con un pacato "buongiorno".
La faccia dell'italiano era un po' vuota, ancora sonnolenta. Afferra il caffè, lo beve poi in un solo sorso, mordendosi il labbro poi perchè ancora scottava. Scuote la testa, fissa il caffè e poi il suo segretario con una mezza smorfia.
-Te lo abbuono, dopotutto è il primo giorno.-
La faccia dell'altro interlocutore si rabbuiò, il biondo strizzò gli occhi semi-basito  e ricollegò il cervello appena in tempo per rispondere.
-Ah.-
Bella risposta, davvero.
Complimenti Ludwig!
- Meglio che ritorni al lavoro. Buona Giornata. - Questa era già meglio. Prende un respiro, si volta, e non fa in tempo a vedere l'italiano che appoggiato al tavolo incrocia le braccia e ridacchia, mordicchiando distrattamente il bicchiere vuoto del caffè.
E via, finalmente sull'ottica lavorativa.
Si siede, guarda intensamente il computer. Comincia a classificare i vecchi impegni, interpreta le faccine felici o scontente disegnate accanto agli appuntamenti e cerca in qualche modo di mettere a posto gli orari, scartoffie di copertine e si organizza di come spendere il suo budget mensile nello shopping di vestiti ed altro.
Poi, la prima telefonata. Il tedesco risponde, con la solita frase da imparare a memoria come una litania << Buongiorno, ufficio di Feliciano Vargas,come posso aiutarla?>>.
Una richiesta, da recapitare il giorno stesso. Ludwig intelligentemente mette il attesa il cliente e preme il tasto per mettersi in collegamento con l'Artista.
Nulla, non risponde.
Aspetta i 10 squilli, poi già in ansia si alza e raggiunge la porta a vetri del suo locale. Sta per bussare, quando L'italiano da dietro l'entrata lo ferma alzando semplicemente una mano, dedicandogli una mezza occhiata. 
Pareva intento a fare un qualcosa di incredibilmente vitale, arricciava spesso il naso e si mordeva il labbro. ma per quanto il suo impegno fosse ecatombalmente importante, Ludwig doveva fare il suo lavoro. Si fa coraggio ed entra, finalmente ricevendo un po' d'attenzione da parte dell'altro.
- Ludwig, perfavore!- ed un "sciò" con la mano, mantenendo un espressione neutrale e concentrata solo su ciò che faceva lui.
Il tedesco palesemente sconfitto, corre indietro e quasi si tuffa sulla cornetta, pregando che il richiedente non abbia messo giù.
Grazie al cielo aveva lasciato solamente un cliente indispettito ma facilmente gestibile; si fece dare il nome, disse semplicemente che Vargas era impegnato e spostò l'appuntamento per due giorni dopo.
Ecco. Fatto.
Ora avrebbe dovuto solamente minacciare Feliciano di decidersi ad ascoltarlo o rispondere ad una chiamata, ecco. La cosa che però più lo face imbestialire e lo sorprese, fu una mano leggera posata sulla sua spalla.
Una mano sporca già di pittura e più piccola rispetto alla sua. -Ludwig, Perchè mi disturbavi?-
Disturbare. Lui ovviamnete, era entrato nel suo tempio privato per mettersi a fare l'ammaestratore di elefanti o il giocoliere.
- Dovevo solo avvisarla di una chiamata. -
-Dammi del tu.-
-Err...Dovevo avvisarti di una chiamata.-
Mh. Pareva quasi un discorso logico; il primo avuto con lui in quella mattinata così strana e nuova.
- Ah. Ma Ludwig, perchè non me l'hai detto prima?-
Ora capiva, perchè in uno di quei fantomatici post-it gli avevano chiesto pazienza.

Pranzo. L'orario della piccola pausa, in cui il piano quasi si svuotava e lui poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi un poco di più.
Non scendeva, il tedesco. Avrebbe mangiato più tardi quando aveva finito quegli stramaledetti orari e gestito meglio i soldi dell'altro -dati dall'azienda, ovviamente. Così vede tutti scendere, li sente passare dietro di lui e dargli una pacca sulla spalla, magari sogghignando o sussurrando un "Buonafortuna". Ne aveva bisogno, decisamente.
Come di consueto, non poteva certo passare alcuni minuti in pace senza che qualosa lo turbasse. Si ritrovò infatti, faccia a faccia con Francis, bellamente appoggiato sul tavolo mentre mangiucchiava un qualcosa di indefinito.
- Lùdwig!-
-Francis.-
Parve titubante, poi si decise a parlare. - Come va, con il nuovo lavoro?- Aveva un'espressione strana, quasi fosse un tasto dolente.
-Bene.- Mentì in parte Beilschmidt, guardandolo bene in viso per la prima volta. Non gli sfuggì quel mesto sorriso, e lo sbuffo prima di prendere una sedia ed appostarsi vicino a lui.
-Ascolta, Lùdwig.- Pareva serio, ma il tedesco non riusciva a conferirgli l'austerità che meritava, se lo chiamava a quel modo. Poi, continuò. -Ti sei mai chiesto, perchè Feliciano prima non avesse un segretario?-
Si, se lo era chiesto. Ovviamente la risposta se l'era data da solo: licenziato per esasperazione. Lui aveva pazienza, ma qualsiasi altra persona ci avrebbe pensato due volte prima di iniziare ad amare quel lavoro.
- Feliciano non ne aveva uno perchè semplicemente si limita a licenziare.- un sorriso, nel vedere lo sguardo basito di Ludwig. - Li licenzia, non per cattiveria. Si dispiace terribilmente quando gli capita di doverlo fare; ma non riesce a lavorare con qualcuno che non lo capisce. Hai potuto constatare anche tu, che è una persona impossibile quando lo vedi al lavoro. 
Ebbene, se un qualcuno detesta il suo modo di fare, lui ovviamente lo sa. E non vuole che continui a lavorare per lui soprattutto perchè a volte il suo carattere degenera; in particolar modo quando si sente ispirato.-
Bene, il francese gli aveva fatto un bel discorso, articolato e tutto. Però a cosa volesse giungere, non lo sapeva a dire il vero.
- Devi sapere che Feliciano è una persona davvero particolare. Hai avuto l'opportunità di conoscerlo al di fuori di qui, e sai qual'è il suo vero carattere.
Quando si immedesima nella sua arte però, deve essere accontentato; come un bambino.- Prende una breve pausa. - C'è della gente che ucciderebbe per il tuo posto, sai?- Qui il il tedesco si sente un po' minacciato, ma inizia ad apprezzare quella storiella, quelle poche informazioni che infine risultano anche importanti. Relativamente importanti, diciamo.
- Tantissima gente ha provato a lavorarci assieme. Eppure lui, non vuole nessuno. A parte quando sceglie personalmente, come nel tuo caso. Capita davvero raramente; io mi sentirei quasi onorato.
L'ultima volta che ha indicato un suo possibile collaboratore, è stato agli inizi della sua carriera, quando era appena giunto qui dall'Italia con suo fratello.- 
Ludwig ascolta, forse si imbarazza un po'. Poi però giunge il dubbio: dov'era quella prima scelta dell'Italiano?
-Il resto forse non dovrei raccontarlo io. Storie tristi, affari non miei.
Ma il punto, non è questo.
Ti parlo perchè lo conosco: se ha scelto te, un motivo ci deve pur essere. Non ti conosce da molto, ma probabilmente ha visto in te un qualcosa che gli è sicuramente piaciuto. Per cui ti prego, abbi pazienza e non abbandonarlo.-
Lì l'atmosfera si fa gravida di significati, ciò che ha detto Francis riesce a colpirlo ma anche a farlo iflettere, e si chiede perchè il destino l'abbia fatto incontrare con quel pazzo artista, che in lui ha visto qualcosa di buono.
Poi ovviamente, quel momento così sensato e significativo deve essere perforza rovinato. -Poi si sa, che gli Italiani a letto se la cavano.-
L'ultima cosa che Ludwig voleva sapere in quel momento.
Borbotta, saluta il francese, che lascivo gli passa una mano fra i capelli e ritorna al suo posto. Diamine a lui, i suoi discorsi sensati e le uscite inopportune.

Le sorprese, si sa, sono granchè migliori di ogni altra cosa. Non c'è l'attesa, ma rimane quell'unico momento in cui si riceve e si apprezza allo stesso tempo. Il modo più veloce per stupire, e avvicinarsi ad una persona.
Per questo Feliciano si era presentato a Ludwig ancora tutto intento a lavorare tenendo in mano un piccolo piattino e due o tre fette di pizza sopra di esso. Una bottiglietta d'acqua nella mano destra, il cibo nella sinistra, un gran sorriso mentre gli si avvicinava. Posò il tutto sul tavolo, godendosi contento lo sguardo incredulo del tedesco, e permettendosi anche un goffo abbraccio.



Sms-
By: Gilbert
To: Ludwig.   Ore: 23:40
"Fratellino, aspettami. Sto arrivando."
















Note dell'autrice:
Omh...Il ritardo, lo so.
Ma alla fina il capitolo c'è, quindi esultate (?) O similia, fate quello che volete insomma.
Come ben potete vedere, in questo capitolo si inizia a lavorare, e Feliciano diventerà un gran isterico quando inizierà a vedere abiti disegnati in aria, ispirandosi al massimo.
Ci tenevo a presentare questo aspetto del suo carattere, e ho impiegato di più di ciò che volevo. Il resto, lo metterò nel capitolo successivo.
Okay.
Passo ai mille e mille grazie. Grazie a chi legge, mette nei seguiti, preferite o ricordate.
Grazie a chi spreca anche solo un pensiero per la storia, negativo o positivo che sia. Mi raccomando; se avete qualcosa da dire, o altro, lasciate un commentino :) Fa sempre piacere. -messaggio subliminale, fine-

Ringraziamenti:
McBlebber: Grazie, sei stata davvero gentile a commentare, mi sono commossa :')
AdelineMad: Oh, i tuoi commenti mi fanno sempre piacere! Sono contenta che tu abbia apprezzato il capitolo! Spero ti piaccia anche questo.
H2o: Oh, grazie *^* Non so come rispondere, sono lusingata! Grazie davvero!
Cuore_di_ciambella: Sei stata gentilissima! Onorata della tua recensione, felice che ti piaccia!! Grazie ancora!
Revy21: Oh!l'ispiratrice della lotta col purè!! Grazie anche a te!
lampaina: Ma quanti complimenti. Oddio, mi sciolgo! Grazie Grazie Grazie! Spero il capitolo ti piaccia!
hanta97: Si, Bella è belgio :) E ancora grazie, mi fanno molto piacere i tuoi post!
Adieu: Grazie a te! Mi commuovi! Spero ti piaccia anche questo capitolo, e grazie ancora!!



Baci, Blacket.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=711145