Protego

di Night Sins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 The run. 1.2 The chase ***
Capitolo 2: *** 2.1 The proposition 2.2 The choice ***
Capitolo 3: *** 3.1 The clothes 3.2 The lunch ***
Capitolo 4: *** 4.1 The motel 4.2 The dinner ***
Capitolo 5: *** 5.1 The Night, 5.2 The Sunday Morning ***
Capitolo 6: *** 6.1 The departure, 6.2 The files. ***
Capitolo 7: *** 7.1 What if; 7.2 The teacher ***
Capitolo 8: *** 8.1 The stakeout; 8.2 The stranger ***
Capitolo 9: *** 9.1 The comeback 9.2 The despair ***



Capitolo 1
*** 1.1 The run. 1.2 The chase ***


Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke, nuovo personaggio, un po' tutti (Peter/Neal, past!Peter/El, past!Neal/Kate)
Rating: PG
Genere: fluff, slice of life
Avvertimenti: AU, slash
Timeline/Spoiler: dal pilot in poi / pilot + il passato di Neal
Conteggio Parole: 1080 
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale.
Note: questa AU è nata unicamente per il mio bisogno di fluff e di scrivere Neater senza il "problema El". Amo El, amo il Peter/El, amo anche il Peter/El/Neal, ma avevo bisogno di un po' di Peter/Neal senza "problemi", o non troppi, o non che riguardassero "loro", o El. Non ho finito di scrivere la fic, non so nemmeno se è qualcosa che 'finirà mai', anche se sarà in fic/shot/altro separate.
L'inizio è volutamente "simile" al pilot, non identico perché non l'ho trascritto dalla tv, ma l'ho scritto unicamente in base a quello che ricordavo (sia perché lo conosco quasi a memoria, sia perché è un 'universo parallelo' - come sarebbero andate le cose se nel passato ci fossero stati alcuni, significativi, cambiamenti - e non volevo fosse identico).
L'IC è la mia guida principale, ma per i motivi stessi della AU, alcuni tratti sono leggermente diversi, soprattutto Peter è un po' più "dirty".
Il titolo fa schifo, scusate, sono negata con i titoli.


 
 
 
 
 
Protego
 
 
 
 
 
The run.

“Sbloccato”, disse l’esperto che stava cercando di trovare la combinazione della cassaforte. “Tre.”
Continuò ad ascoltare attentamente gli ingranaggi.
“Sbloccato. Due.”
“Sbloccato”, annunciò dopo alcuni attimi. “Quattro.”

Peter si ripeté più volte quella combinazione in testa, attanagliato da un dubbio.

“Apro”, informò l‘esperto.
“Aspetta!”, gridò Peter.
Ma i riflessi dell’altro uomo erano stati lenti ed ora il contenuto della cassaforte era esploso intorno a loro in una nuvola di polvere e strani filamenti rossi.
“Avevo detto di aspettare!”, urlò il capo.
“Come facevi a saperlo?”, domandò un altro federale.
“Tre, due, quattro. Prendete i vostri cellulari, a cosa corrisponde?”
Tutti gli agenti estrassero i rispettivi cellulari.
Peter sbuffò. “FBI. Sapeva che saremmo venuti qui.”
Stava per aggiungere altro, ma una donna lo interruppe, avvicinandosi velocemente. “Capo“, chiamò, “Caffrey è scappato.”
Peter la guardò stupito e incredulo. “Cosa?”
“Gli U.S. Marshal hanno richiesto espressamente di te.”
“Come mai?”
“Forse perché sei l’unico che sia mai riuscito a catturarlo”, propose l’agente mentre si allontanavano.
“Come mai è fuggito quando gli mancavano solo tre mesi su una sentenza di quattro anni?!”
La donna alzò le spalle. “Una macchina ti sta aspettando. Il direttore vuole vederti subito.”
“Grazie, Diana.”


The chase.

Arrivato alla prigione, l’agente Burke trovò ad aspettarlo il direttore con il capo degli U.S. Marshal e alcune guardie. Dopo le presentazioni, Peter venne guidato fino alla cella del fuggitivo. All’interno i muri erano tappezzati con schizzi e riproduzioni di quadri e affreschi del Rinascimento, oltre al conto dei giorni che il suo prigioniero aveva speso lì.
Sul tavolino, un mangianastri e alcuni fogli e depliant; altri si trovavano sul letto. Il federale studiò tutto attentamente, cercando di ricomporre il puzzle che aveva portato il truffatore a riuscire ad evadere da un carcere di massima sicurezza.

Si fece portare poi a vedere i nastri della sicurezza.
“Questa è di stamani”, disse la guardia alla postazione, fermando sull’immagine di un uomo con capelli e barba lunga.
“Neal non porta la barba… Quando ha iniziato a farsela crescere?”
La guardia tornò indietro con le registrazioni, fermandosi all’ultimo giorno in cui Caffrey si era rasato.
“Cos’è successo quel giorno?”, domandò Peter.

Controllarono il modulo delle visite e videro che per lui era andato un certo ‘Dante Haversham’.
“Chi è?”, domandò il federale e si fermò a riflettere. “E’ venuto altre volte?” chiese ancora.
“Controllo!”, esclamò una delle altre guardie presenti, allontanandosi.
“Bene. Intanto, fatemi vedere il video di quel giorno.”
La registrazione della telecamera di sorveglianza mostrava Caffrey di spalle e, dall’altra parte del vetro, un uomo piccoletto e quasi pelato, dall’aria grave.
Neal, per quel che si poteva intuire dai suoi gesti, era preoccupato.
Ad un certo punto, Dante Haversham si alzò di scatto e sembrò quasi urlare qualcosa, anche se non potevano sentirlo perché non avevano l’audio.
“Vado a chiamare qualcuno per leggere il labiale”, si offrì un altro agente, ma Peter lo bloccò.
“Non ce n’è bisogno. Dice: ‘Lo so che stiamo parlando di Kate, ma non fare sciocchezze’. Più o meno”, terminò, non potendo trattenere uno strano sorriso.

L’agente che si era occupato di controllare le visite ricevute dal truffatore tornò con i risultati.
“E’ venuto due o tre volte l’anno, sembrano date casuali, tranne una che è ricorrente.”
“Diciassette febbraio”, mormorò Peter.
“Esatto. Come lo sa?”
“Niente. Va’ avanti”, invitò il federale, con un gesto della mano.
“Ma dopo quel giorno, il signor Haversham è venuto tutte le settimane.”
“Ho capito. Grazie.”
“Riuscirà a trovarlo?”, chiese il direttore.
“Ci proverò.”
“Faremo tutto il possibile per aiutarla, agente Burke”, assicurò il capo degli U.S. Marshal.
“Ma risparmiatevi blocchi stradali e foto segnaletiche. Non vi serviranno”, li ammonì Peter.

Non ci volle molto perché Peter Burke trovasse Neal Caffrey.
Quando entrò nell’appartamento vuoto, il fuggitivo non si mosse dalla propria posizione, seduto a terra contro una colonna mentre fissava il cielo azzurro da una finestra.
Il federale avanzò di qualche passo.
“Non sapevo dove cercarvi”, disse il truffatore, con tono mesto. “Non mi ha detto che vi eravate trasferiti.”
“Non voleva che facessi qualche pazzia… Come hai fatto”, replicò Peter, serio, continuando a camminare verso di lui. “E comunque, non me lo immaginavo così il tuo amichetto.”
Neal sorrise divertito. “Perché hai cambiato casa?”
“El mi ha convinto a prendere un cane, e quindi ne serviva una con giardino”, rispose l’uomo, sbuffando e fermandosi davanti al ragazzo.
“Voi siete…” cominciò il fuggitivo, spaventato, alzando lo sguardo verso di lui.
“No.”
Neal tirò un sospiro di sollievo e si mise in piedi, aiutato da Peter.
“Dov’è Katelyn? Dimmi che sta bene… Non le è successo nulla, vero?”, chiese allarmato, le mani ferme sulle spalle dell’altro.
Peter annuì. “Sì, calmati. E’ tutto a posto. Si sta occupando El di lei, è al sicuro.”
Il truffatore si allontanò, sospirando. “Meno male.”
“Ehi”, il federale richiamò la sua attenzione, prendendolo per un braccio, e il giovane tornò a guardarlo.
“Scusami”, singhiozzò Neal e cercò nel suo sguardo il permesso di fare quello che voleva, permesso che venne accordato con un semplice gesto del capo. Si tuffò quindi tra le braccia dell’altro e nascose la testa nella sua spalla.
Peter lo strinse a sé, attendendo che il suo respiro tornasse regolare.
Quando Neal si allontanò, aveva preso una insolita fibra dalla giacca dell’altro. “Sai cos’è?”
Il federale scosse le spalle. “Residuo del caso a cui stavo lavorando prima che i Marshal mi trascinassero via per recuperare un evaso.”
Neal sghignazzò. “Tra quanto saranno qui?”
“A breve.”
“E’ la nuova fibra di sicurezza delle banconote canadesi da cento dollari”, lo informò il truffatore.
“Come lo sai?”
“Ho i miei informatori. Peter”, riprese dopo pochi attimi, mentre si cominciavano a sentire delle sirene in avvicinamento, “continuerai a proteggere Kate, vero?”
Lo sguardo dell’agente era sorpreso. “Che domande sono?”
“Ho bisogno di una settimana. Devo parlarti, ma ho bisogno di tempo. Vieni a trovarmi in carcere tra una settimana e nel frattempo stai molto attento a Kate”, rispose criptico il ragazzo, mentre si sentiva il rumore dei passi dei militari che si avvicinavano velocemente.
“Promettimelo”, implorò ancora mentre gli uomini dell’U.S. Marshal e dei White Collar irrompevano nella stanza. Neal alzò le mani senza distogliere lo sguardo da quello di Peter.
Gli agenti lo arrestarono e stavano per portarlo via quando Peter li bloccò. “Aspettate. Caffrey”, chiamò e il truffatore voltò la testa verso di lui, “non mi hai chiesto come si chiama adesso.”
“Come si chiama?”
“Debbie.”
“Debbie Burke. Mi piace, suona bene”, sorrise il giovane. “Ottima scelta.”

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Capitolo 2
*** 2.1 The proposition 2.2 The choice ***


The proposition.

Peter era seduto al tavolo da pranzo e osservava concentrato dei biglietti di auguri. Quattro, uno per ogni anno che Neal Caffrey era stato in prigione. Come se potessero dirgli tutto quello che il truffatore gli aveva tenuto nascosto.

“So che sei tu il responsabile, ma non posso provarlo. Appena ci riuscirò, lo sai, finirai dentro e pagherai per i tuoi crimini.”
“Se ci riuscirai, non scapperò.”


“Che cosa sai, Neal?”, mormorò l’uomo, ma un grido interruppe i suoi pensieri.
Immediatamente, l’agente corse al piano superiore e, pistola alla mano, entrò nella stanza da cui era arrivato l’urlo, accendendo la luce e guardandosi intorno.
La stanza era vuota da presenze umane eccetto per la bambina che era a sedere nel letto e che, nonostante le lacrime che gli offuscavano gli occhi azzurri, lo stava guardando spaventata.
Peter mise via subito la pistola e si avvicinò a lei, sedendosi a bordo del letto e passandole una mano tra i capelli. “Che cos’è successo, tesoro? Un incubo?”
La bambina annuì. “C’era qualcuno, fuori dalla finestra.”
L’uomo guardò all’esterno, il vento muoveva le fronde degli alberi. “Guarda, Debbie, è solo il vento”, disse sorridendole dolcemente e abbracciandola.
La piccola si strinse a lui. “Papà, resti con me finché non mi riaddormento?”
“Certo”, rispose Peter, posandole un bacio sulla fronte e accarezzandole i capelli castani.

*

Nella sala interrogatori del carcere di New York, Neal Caffrey era l’unico presente, seduto su una panca con le spalle all’ingresso.
"Sei venuto..." mormorò, senza muoversi, quando Peter entrò.
"Avevo scelta?"
Il federale si passò una mano sulla fronte e si mise a sedere davanti a lui. "Siamo partiti con il piede sbagliato. Ricominciamo da capo, ti va?"
Neal annuì. "Sì, hai ragione. E' che quattro anni sono tanti..."
"Lo so."
"Mi sei mancato", disse il ragazzo a voce bassissima, attento alla guardia.
"Anche tu."
Peter accennò un lieve sorriso, poi sospirò. "Vorrei chiederti come va, ma non so se sia il caso."
"E' andata meglio", rispose il truffatore. "Tu? Debbie?"
"E'... sta bene, fisicamente. Le sono ripresi gli incubi... non tutte le notti, ma è da qualche mese che sono peggiorati."
Peter parlava piano, le mani strette davanti alla bocca.
Neal sospirò. "Se solo... Io... Avrei dovuto fare qualcosa..."
"Non è colpa tua. Non potevamo prevedere una cosa simile. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per Kate", lo riprese, serio, il federale. "A proposito, cos'hai scoperto? Perché sei scappato? Se sapevi qualcosa, dovevi chiamarmi!"
"Temevo non avresti fatto in tempo... Avevo paura..." ammise, sottovoce.
"Ma ora che ci hai guadagnato, Neal? Altri quattro anni qui dentro... Non dovevi."
"Puoi tirarmi fuori!", esclamò il truffatore. "Questa è la seconda cosa di cui volevo parlarti. Puoi farmi uscire di qui, prendendomi sotto la tua custodia. Cavigliera elettronica", disse, aprendo un fascicolo che aveva sulla panca accanto a sé e voltandolo verso l'altro.
"Ci sono dei precedenti e sai che non scapperò. Non posso nemmeno manipolarla!", esclamò al suo sguardo sospettoso, puntando col dito su una parte della pagina che indicava tutti i ‘metodi di sicurezza‘.
"Posso aiutarti con i tuoi casi, lo sai, e questa sarebbe la motivazione ufficiale. Poi… Voglio stare vicino a te e Debbie. Voglio proteggerla e voglio che catturi chi ha ucciso Kate. Voglio essere lì, con te."
Peter lo guardò in silenzio, diviso tra il proprio volere e il proprio dovere. "Non posso prometterti nulla. Fammi vedere cos'hai lì", disse infine, riferendosi ad un'altra cartellina accanto al più giovane.
"Devi sapere che il mio amico ha un particolare senso della giustizia", Peter inarcò un sopracciglio, "concedimi il termine, e, anche sotto mia richiesta, ha tenuto d'occhio le cose.
"Purtroppo il nostro uomo è bravo. E' stato un caso che non abbia ucciso anche quella donna. Forse non voleva che l'FBI pensasse a un serial killer e aumentasse gli sforzi per cercarlo."
Peter annuì.
"Ma se vuoi lavorare, non puoi essere totalmente invisibile. Qualche traccia la lasci", continuò il ragazzo, "e se sai dove cercare, prima o poi, qualcosa viene fuori."
"Ed è di questo che si è occupato il tuo amichetto."
"Esattamente. E' il migliore."
"E quindi?"
"E quindi è venuto fuori che qualcuno sta cercando una bambina che, guarda caso, somiglia tanto alla figlia di Kate", rispose Neal. "Gli ho chiesto di tenerla sotto controllo e riferirmi ogni cosa."
"Per questo le visite si sono fatte settimanali."
Neal annuì. "Ma non ho potuto resistere qui dentro, anche se sapevo che sarei uscito tra poco. E' vicino, Peter, molto vicino. E' tornato a New York e la sta cercando qui, sa che non ha mai lasciato la città... Nonostante quello che abbiamo fatto..."
"Ho capito", lo interruppe Peter. "Ho capito. Chiederò a El di portarla con sé... Mandarla fuori città, ora, potrebbe essere la soluzione migliore."
"Ma El... Per carità, è in gamba, ma cosa potrebbe fare contro di lui?"
"Manderò anche uno dei miei uomini."
"E il mio amico. Può essere molto utile."
Il federale lo guardò scettico. "Mi dirai almeno il suo nome?"
"Mozzie", rispose il ragazzo. "E poi voglio vederla prima che parte. Ti prego, Peter."
"Vedrò cosa posso fare. In ogni caso, nessuno le farà del male, te lo prometto."
Neal sorrise debolmente. "Va bene. A presto."
"Ciao, Neal."


The choice.

Peter era seduto da solo al bancone del bar, davanti una bottiglia di birra ancora quasi intatta.
"Ehi, guarda chi si rivede!"
Il federale si voltò, non riconoscendo sul momento la voce, ma si sorprese nel vederne il proprietario. "Il ragazzino della banca", rispose.
"Non sono un ragazzino", replicò il giovane.
"Mi hai dato un lecca lecca", gli ricordò l'uomo, inarcando un sopracciglio.
"Magari era un indizio", propose Neal avvicinandosi a lui e appoggiandosi al bancone, ignorando il concetto di 'spazio personale'.
Peter lo fissò senza capire mentre un sorriso malizioso si affacciava sulle labbra del giovane voltato verso di lui. Quando il federale intuì cosa voleva dire, aprì la bocca un paio di volte senza riuscire a dire nulla; alla fine sbottò un: "Assurdo".
"Perché?", domandò innocentemente il ragazzo. "Non ti ritieni abbastanza affascinante? O pensi ti stia prendendo in giro?", propose, tornando dritto con la schiena. "Oh, no, aspetta!, non dirmi che è perché sono troppo giovane."
"Beh-
sei troppo giovane", riuscì a dire l'uomo, afferrando la propria birra.
"Ho venticinque anni", replicò Neal e l'agente si voltò a guardarlo ovvio. "Appunto", borbottò prima di bere un lungo sorso.
L'altro aggrottò le sopracciglia per un attimo e poi, come se non fosse successo nulla, sorrise e fece un passo verso di lui, per parlargli all'orecchio. "Non dovresti preoccuparti, sai?", disse giocando distrattamente con la sua giacca.
Peter stava cercando un modo adeguato per replicare, ma venne interrotto da un nuovo arrivo.
"Peter? Sono in ritardo?", chiese una voce divertita alla sua destra.
Si voltarono entrambi verso la donna che aveva parlato e il più giovane si allontanò.
"No, affatto", rispose il federale.
"E' la tua fidanzata?", domandò Neal, senza perdere il sorriso o spostare lo sguardo da quello di lei.
"Sì."
"No", rispose contemporaneamente lei. "Non più. Ma non ci ha ancora presentato. Sei un nuovo amico, immagino", aggiunse, sorridendogli a sua volta.
"Non è un mio amico", si intromise Peter.
"Non proprio", lo corresse il ragazzo e tese la mano destra. "Neal Caffrey, molto lieto."
"Elizabeth Stokes, piacere", rispose lei stringendogli la mano.


*

“Papà, papà, papà”, la bambina corse giù dalle scale arrivando davanti alla tavola apparecchiata con la colazione e fermandosi appena in tempo prima di investire il cane che vi era accoccolato davanti. “Scusa, Satch.”
“Ti sei lavata le mani?”, domandò l’uomo.
“Certo!”
“Bene, su, vieni a mangiare e dopo ti porto da June”, continuò Peter, indicando la sedia.
“Ci sarà anche Sam… Ieri mi ha chiesto se pranzavamo assieme”, disse la piccola, prendendo posto al tavolo.
“Vediamo.”
“Ma papà-”
“Vediamo, Debbie”, ripeté, versandole i cereali e il latte nella tazza. “Non puoi passare sempre tutto il tempo da loro”, sospirò il federale.
“Almeno che tu non abbia da fare.”
L'uomo sospirò nuovamente.

*

Peter era fuori dal carcere, attendendo l’uscita di Neal, che avvenne pochi minuti dopo, scortato da una guardia.
Il giovane sorrise. “Buon giorno.”
Il federale si allontanò dalla propria macchina e avanzò verso di lui. “Fa vedere.”
Neal alzò il bordo dei pantaloni, rivelando così la cavigliera elettronica.
“Carina”, commentò l’uomo. “Ora, mi raccomando Neal, ricordati le regole.”
“Peter, oramai dovresti conoscermi.”
“Ripeti.”
“Dovrò fare il bravo per quattro anni, senza scappare”, disse mentre si avvicinava. “Ma tanto sai che non lo farò, non ne ho motivo”, continuò, fermandosi solo quando gli fu più vicino del dovuto, sul volto un sorriso malizioso.
“Perché ti catturerò comunque, Caffrey, siamo già due a zero.”
“Sei sempre troppo teso, agente Burke“, disse Neal, lentamente e con un tono di voce estremamente studiato, e divertito.
“In macchina”, ordinò Peter.

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Capitolo 3
*** 3.1 The clothes 3.2 The lunch ***


NdA. Volevo solo dire 'scusate'. E ricordare che son passati quattro anni... ;)



The clothes

“Dov’è Ka- Debbie?”
“A casa di June. È la signora che la tiene quando sono a lavoro, e El non può pensarci sempre”, spiegò Peter, concentrato sulla strada.
“Portami da lei”, chiese ancora il ragazzo.
“Neal”, ammonì Peter.
“Che c’è di male? Sono con te, non infrango nessuna regola… Ti prego.”
Il federale sospirò. “E sia, ma prima devi vestirti decentemente.”
Neal lo guardò sorpreso. “Non pensavo ti avrei mai sentito dire una frase del genere! Mi- Mi porti a fare shopping, per caso?”
“No, andiamo a casa mia.”
“Apprezzo l’offerta, seriamente, ma… credo che i tuoi vestiti mi stiano un po’ grandi”, fece notare il truffatore.
“Non voglio prestarti dei miei vestiti.”
“E allora cosa?”
Peter si voltò appena a guardarlo, uno strano sorriso sul volto, ma non rispose.

*

Erano quasi arrivati a casa sua, quando il cellulare del federale squillò.
“Burke”, rispose. “Sì? Sì, certo che è con me. Ho dovuto fare… una deviazione. Sì, tutto a posto. Grazie.”
“Chi era?”, domandò Neal, una volta che ebbe riattaccato.
“Uno dei miei uomini”, rispose e gli indicò la propria cavigliera.
Il truffatore alzò l’orlo dei pantaloni; il led, prima verde, era ora rosso.
“Siamo usciti dal percorso che dovevo fare per portarti al motel”, spiegò Peter. “Ogni volta che esci dal tuo raggio di permesso scatta l’allarme e, se non sei accompagnato da un agente federale, sei ufficialmente un evaso- di nuovo. E quando ti avrò trovato - di nuovo - tornerai in cella per il resto della tua vita e non potrò fare niente per aiutarti.”
“Direi che sei stato più che chiaro al riguardo.”
“Ottimo.”
“Quant’è il mio raggio?”
“Due miglia dal motel”, rispose l’agente, parcheggiando.

*

Peter lo aveva preceduto all’interno della casa ed ora, dopo aver salutato Satchmo, che aveva fatto le feste anche al nuovo ospite, lo stava guidando su per le scale. Neal, intanto, si guardava intorno, curioso, e Peter riusciva quasi a vederlo, tentare di memorizzare più informazioni che poteva.
“Hai detto che non volevi prestarmi tuoi vestiti, eppure mi hai portato in quella che ha tutta l’aria di essere la tua camera da letto”, commentò il truffatore, una volta nella stanza. “Se volevi stare da solo con me non importava trovare questa scusa, lo sai.”
Peter non diede segno d’aver notato le sue parole, prese una scatola da sopra l’armadio e la posò sul letto. “Dovrebbero starti ancora.”
Neal l’aprì e osservò con sorpresa i vestiti che conteneva. “Dove li hai presi?”
“Erano rimasti a casa mia; li ho trovati durante il trasloco. Non è molto, ma per ora devi accontentarti.”
Il più giovane sorrise, il federale non era sicuro di esser riuscito a suonare così indifferente come voleva, e gli si avvicinò.
“Grazie”, disse contro le sue labbra, baciandolo quasi timidamente.
Peter ricambiò, in un primo momento con lo stesso timore, ma facendosi velocemente più urgente. Posò una mano dietro il suo collo e l’altra dietro la sua schiena, avanzando e spingendolo verso il letto mentre Neal lo liberava dalla presenza della scatola, alla cieca, facendola cadere malamente a terra con una mano.
Il federale lo fece sdraiare e scese a baciargli il collo.
“Cristo, Peter!”, gemette contro il suo orecchio, aggrappandosi maggiormente a lui, “mi sei mancato da impazzire”, continuò, mentre l’altro gli toglieva la maglietta che indossava.
“Ricordatelo, prima di darti nuovamente alla carriera criminale.”
“Questo è un ricatto”, piagnucolò il truffatore.
“No, solo un consiglio”, lo corresse Peter, spogliandosi della giacca e riappropriandosi nuovamente delle sue labbra mentre si sfilava la cravatta.
“Immagino questo significa che alla signora a cui hai lasciato Debbie non dispiaccia tenerla un po’ più del dovuto”, Neal commentò quel gesto aiutandolo a spogliarsi a sua volta.
“Una delle nipoti di June va in classe con Debbie e l’ha invitata anche a pranzo”, rassicurò il federale.
“Quanto mai provvidenziale…”


The lunch

“Per caso ha suonato il mio cellulare, prima?”, domandò Peter, rientrando in camera solo con i pantaloni addosso.
“Sì.”
“E tu hai risposto”, continuò, avvicinandosi all’armadio per prendere una camicia.
“Ovvio.”
“E?”
“E June ci ha invitato a pranzo”, rispose, arrivandogli alle spalle solo per togliergli di mano la cravatta che aveva appena preso e rimetterla a posto prima di sceglierne un’altra e allacciargliela al collo.
“June? Ci?”
“Esatto. E’ una donna molto cordiale. Le ho detto che non saresti stato d’accordo, ma ha insistito così tanto”, terminò, sistemando il nodo che aveva fatto e sorridendo.
Peter sospirò.
“Tanto dobbiamo andare a prendere Debbie e mangiare. Che cambia se lo facciamo lì, se ci ha invitato?”
“Cambia che tu non dovresti andartene tranquillamente in giro e io non posso approfittarmi sempre della sua gentilezza. Fa già tanto a tenere Debbie quando sono a lavoro e no, non osare commentare quanto è appena successo”, ammonì alzando l’indice della mano destra davanti al suo volto.
Neal alzò le mani in segno di resa, anche se il sorriso sulle sue labbra era sfacciato. “Ma non è approfittarsene se ti invita lei.”
Il più grande si mise la giacca in silenzio.
“Peter…” chiamò ancora il ragazzo, preoccupato.
“Non è così semplice il mondo, Neal”, replicò l’altro, tornando a guardare nell’armadio.
“Può esserlo.”
“Sì, se non segui le regole”, rispose Peter, voltandosi con le mani dietro la schiena, “e basta poco per farti felice”, terminò abbassandosi a baciarlo e contemporaneamente posò un cappello sulla testa di Neal.
Quando si allontanò, poté vedere il volto del giovane nuovamente sorpreso mentre prendeva il fedora e lo rigirava tra le dita prima di posarselo nuovamente in testa.
“Ecco, finalmente, di nuovo Neal Caffrey”, sorrise il federale.

*

Mezz’ora più tardi, la cameriera di June li aveva fatti accomodare in salotto. “La signora e le bambine sono in giardino, le vado a chiamare”, informò la donna.
“Grazie”, disse Peter, mentre Neal si guardava intorno ammirato.
“Non pensarci”, l’ammonì il federale.
“Cosa?”
“Non pensare a niente a cui possa pensare la tua mente criminale.”
“Andiamo, Peter.”
“So come pensi”, replicò serio e, nonostante tutto, Neal non poté evitare di sorridere compiaciuto.
“Comunque, non mi avevi detto che June abitasse in una così bella e elegante villa”, riprese il truffatore, dopo poco.
“Grazie”, rispose la padrona di casa, appena entrata nella stanza seguita da sua nipote e Debbie, che stavano confabulando tra di loro.
“Tu devi essere Neal”, continuò, raggiungendolo e porgendogli la mano destra.
“Esattamente. Lieto di conoscerla, ma’ame”, salutò, prodigandosi in un baciamano.
“Mi ricordi Byron, il mio defunto marito; gli saresti piaciuto”, commentò June, con una risata che attirò l’attenzione delle bambine, facendole ridere a loro volta.
Neal si voltò nella loro direzione e rimase a fissare Debbie, in silenzio. Peter chiamò a sé la figlia.
“Lui è Neal”, le disse, indicandolo.
La bambina rimase a fissarlo a propria volta. Il truffatore si fece un attimo perplesso, poi le sorrise e si inchinò, togliendosi il cappello.
“Buon pomeriggio, principessa Debbie, sono contento di fare la vostra conoscenza”, disse, allungando la mano.
La piccola gli diede la propria. “Piacere, Neal.”
Il ragazzo sorrise e poi si voltò verso l’altra bambina. “E tu come ti chiami, principessa?”
“Samantha”, rispose lei, “ma non sono una principessa.”
“No?”, chiese conferma Neal, stupito.
“No. Io sono una guerriera!”
Neal rise. “Mi scusi. Piacere di conoscerla, guerriera Sam.”
“Piacere. Tu cosa sei?”
“Samantha!”, la richiamò June.
“Nessun problema”, intervenne il truffatore. “Io sono un mago.”
Le piccole lo guardarono a bocca spalancata.
“Non è vero!”, disse Debbie.
“Sì che lo è”, replicò Neal, e poi si rivolse alla padrona di casa. “June, per favore, avresti un mazzo di carte da prestarmi?”
La donna sorrise. “Vado a prendertelo subito”, disse allontanandosi.
“Cosa hai intenzione di fare?”, domandò Peter, sospettoso.
“Niente di che, solo un giochetto.”
Pochi attimi dopo, June tornò con le carte da gioco. Neal le estrasse dalla scatola e le mischiò velocemente, aprendole poi a ventaglio e abbassandole davanti a Debbie, in modo che si vedesse solo il retro.
“Scegli una carta e falla vedere agli altri, se vuoi”, disse.
La bambina studiò bene tutte le carte, poi ne scelse una e la fece vedere a tutti, mentre Neal si tappava gli occhi con una mano. Era il tre di cuori.
“Fatto”, annunciò Debbie.
Il truffatore tolse la mano dal viso e sistemò le carte, dividendo il mazzo a metà. “Mettila lì”, chiese, e quando la piccola l’ebbe fatto, mischiò nuovamente.
“Alza”, disse allungando la mano verso di lei.
La bambina lo fece e Neal prese la carta che si trovava ora in cima al mazzo. ”Sono sicuro che sia questa”, disse, mostrando a Debbie e agli altri il fante di fiori.
Debbie e Samantha risero.
“Non ci sei andato nemmeno vicino”, disse Sam.
Il truffatore fece una faccia pensierosa, rigirandosi la carta tra le dita e facendola sparire. Un “oh” di sorpresa si levò dalle due bambine.
“Debbie”, chiamò Neal, “tu sai dove Peter tiene di solito il portafogli?”
La piccola annuì. “Lì”, disse indicando la giacca del padre, all’altezza del cuore. Il truffatore seguì il dito con lo sguardo e sorrise a Peter che, nel frattempo, aveva portato la mano alla tasca interna della giacca.
“Cosa-”
Il federale aveva un’espressione sorpresa mentre tirava fuori una carta, che si rivelò essere proprio il tre di cuori.
“E’ quella!”, esclamò Debbie, stupita, e applaudì, seguita da Samantha.
“Dov’è il mio portafogli?!”, domandò invece Peter, serio.
“Ops.” Neal alzò le spalle e prese l’oggetto dalla tasca posteriore dei propri pantaloni. “Eccolo qui. Allora, sono o non sono un mago?”, chiese alle due piccole donne tra il suo pubblico.
“Lo sei!”, risposero entrambe.
June si intromise con una risata e informò tutti che il pranzo era pronto e, quindi, avrebbero fatto meglio ad andare.

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Capitolo 4
*** 4.1 The motel 4.2 The dinner ***


The motel

“Ciao, zia El!”, esclamò Debbie, quando la donna aprì la porta.
“Ciao”, rispose lei, sorridente, spostandosi per farla entrare.
Peter si fermò sul pianerottolo.
“Non entri?”
“Devo andare via subito”, rispose voltandosi a guardare la propria macchina, dove era seduto Neal.
“Caffrey?”, domandò ancora, stupita, la donna, mentre alzava la mano per ricambiare il saluto che il giovane le aveva rivolto. “Credevo avesse da scontare ancora qualche mese.”
“È così”, confermò il federale e le spiegò velocemente la situazione. “Ho bisogno di chiederti un favore, enorme”, disse poi.
“Cos’è successo?”
Peter scosse la testa. “Hai impegni per stasera? Puoi restare a cena da noi?”
“Certo… Devo preoccuparmi?”
“Spero di no.”

*

Quando arrivarono al motel, Peter ignorò l’espressione disgustata del ragazzo e si rivolse al gestore. “Neal Caffrey, il Bureau ha telefonato per avvertire.”
L’uomo dietro il bancone squadrò il ragazzo e poi si voltò a prendere una chiave. “Stanza numero undici.”
Il federale la prese e si rivolse al giovane. “Ricorda, due miglia da qui.”
“Peter, posso parlarti? Per favore”, implorò vedendo il suo sguardo serio.
L’uomo sospirò e Neal lo guidò poco distante dal bancone, per parlare in privato.
“Sinceramente? Qui? È un posto totalmente…” il truffatore si fermò a cercare una parola adatta.
“Perfetto per quello che puoi permetterti con i settecento dollari che ti passa lo Stato”, terminò Peter per lui.
“Ma…”
“Se trovi qualcos'altro per lo stesso prezzo, puoi cambiare.”
Neal si fermò a pensarci su alcuni istanti, poi si avvicinò all’altro, in modo da non farsi sentire dai loschi avventori del motel. “Che ne dici se stanotte dormo a casa tua?”
“Neal!”
“E dai! Sono sicuro che saresti contento anche tu”, replicò, malizioso. “E poi, a Elizabeth farà piacere venire a cena da te e non mangiare sempre il solito arrosto.”
Peter sbuffò. “Esci da qui.”
Neal si allontanò sorridendo. “A domani. Forse”, disse al gestore, posando la chiave sul bancone.
Peter alzò gli occhi al cielo e lo seguì in macchina.


The dinner

Il padrone di casa entrò in cucina senza fare rumore e, appoggiato allo stipite della porta, rimase ad osservare Neal che si destreggiava tra i fornelli.
Erano più di quattro anni che non vedeva quella scena e si sentiva quasi come la prima volta che lo aveva visto muoversi nella sua cucina - nell’altra cucina, quella dell’appartamento da single che aveva prima - come se la conoscesse da sempre, nonostante dopo quella volta avevano passato assieme due anni abbondanti.
“Vuoi venire qui ad assaggiare e dirmi che te ne pare, o starai lì a fissarmi per tutta la sera?”, domandò ad un certo punto l’oggetto dei suoi pensieri.
“Narcisista come sei, non ti dispiacerebbe”, rispose avvicinandosi.

*

Peter stava finendo di apparecchiare la tavola, quando suonò il campanello. Andò ad aprire e fece accomodare Elizabeth e Debbie, la quale lo salutò appena e corse al piano di sopra. L'uomo sospirò.
"Che buon profumino", disse El, "dove hai comprato la cena?"
"Un cuoco personale è meglio", rispose Neal, apparendo dalla cucina. "Ciao, Elizabeth. È quasi pronto."
Lei lo guardò sorpresa, ma non riuscì a trattenere una risata. "Ciao, Neal."
In quel momento, Debbie tornò di sotto e notò il giovane. "Il mago di oggi!", esclamò. "Resti a cena con noi? Mi fai vedere altri trucchi?"
"Certo!", rispose il ragazzo, entusiasta; poi intercettò lo sguardo di Peter. "Se tuo padre è d'accordo."
"Vediamo", soffiò fuori lui. "Andate a tavola, ora."

*

Elizabeth osservava Neal e Debbie che stavano giocando nella stanza accanto. "Come è andata?"
Il federale finì di caricare la lavastoviglie. "Bene..."
"Ma?"
"Ma non so come comportarmi ora... Immagino, comunque, sia colpa mia che mi son lasciato convincere."
La donna reclinò la testa su un lato. "Io immagino che nemmeno tu, con tutto l'appoggio che Hughes potrebbe darti, potresti tirarlo fuori da una prigione di massima sicurezza se non ci fossero le giuste basi legali."
Peter abbassò lo sguardo, sorridendo leggermente. "Non stavo parlando di Neal, cioè, non di quello", disse, indicando con la testa la cavigliera elettronica che spuntava da sotto l'orlo dei pantaloni del giovane, sollevati appena dalla complicata posizione in cui si trovava per compiacere Debbie e la sua improvvisa voglia di giocare a Twister.
"Cosa...?"
"L'adozione di Debbie... è stata una cosa atipica."
"Ricordo... E sorprendente, hai sempre negato categoricamente di voler un figlio, quando Caroline ci ‘chiedeva un nipotino’."
"Già", Peter si appoggiò al ripiano della cucina, dietro di lui.
"Poi Caffrey ha fatto il miracolo..."
"Non direi proprio miracolo", la interruppe, grave. "El, siediti, per favore."
Lei lo osservò stupita, ma si mise a sedere.
"Il favore che ti devo chiedere, riguarda Debbie", cominciò. "Ho bisogno che la porti via con te."
El sbatté gli occhi un paio di volte. "Peter, io vado a lavorare, non posso occuparmi di una bambina, e certo non per lasciarvi casa libera!", sbottò.
"Cosa?", Peter non riusciva a credere a quanto gli aveva appena detto. "Pensi sul serio questo?"
Elizabeth si era portata una mano alla bocca. "Mi dispiace, non dovevo... Ma, ehi, sul serio..."
Peter la ignorò. "Non sarai sola; Jones e un amico di Neal verranno con voi e ti aiuteranno con Debbie."
"Jones? Perché un agente dell'FBI... Cosa sta succedendo? Cosa non mi hai detto?"
Il federale sospirò. "Diciamo che Neal potrebbe essere la causa del fatto che io abbia adottato proprio lei."
"Perché?"
Peter andò in salotto, prese un libro da uno degli scaffali più alti, "Non ora, continua a giocare con Neal", e tornò in cucina. Estrasse una foto dal piccolo tomo e la passò a El.
"Questa ragazza... È così giovane..."
"Kate Moreau. Era la madre di Debbie", disse l'uomo. "Non che la donna di cui Neal era innamorato."
Elizabeth alzò di scatto la testa verso di lui. "Come? Quindi Debbie è...?"
"No. O così ha sempre detto." Peter girò una sedia e si mise a sedere, appoggiando le braccia sullo schienale. "Mi ha raccontato che la incontrò in circostanze che immagino sia meglio che io non sappia", indicò la foto. "Con Kate fu amore a prima vista, ma lei era molto elusiva. Poco tempo dopo, sparì senza nemmeno salutare. Neal si stava quasi rassegnando, quando Kate apparve davanti casa sua con la figlia in fasce. Gli raccontò che era dovuta scappare dal padre della piccola, per salvarla, ma aveva bisogno di aiuto."
"Che Neal non si fece pregare per darle", terminò El.
"Già."
"E dopo?"
"La aiutò a nascondersi; le mandava soldi per vie traverse, non aveva mai voluto sapere dove fosse esattamente. Le poche volte che capitava, era lei a farsi trovare", Peter distolse lo sguardo dalla foto e sospirò. "Poi, l'ultima volta, dovevano incontrarsi in un parco, ma quando lui arrivò, trovò solo le sirene dell'ambulanza e della polizia. Kate era morta, l'assassino scomparso e, presumo, Debbie in vita solo perché una signora si accorse di quello che stava succedendo. Per la polizia, era stato un tentativo di rapina andato male; la donna non si era accorta della bambina e non so come Neal riuscì a portarla via... O a convincermi che, per la sua incolumità, era meglio che stesse con me, piuttosto che con un'anonima famiglia che non conosceva nulla di questa storia..."
"... E sarebbe stata impreparata nel caso che fosse successo qualcosa", terminò Neal, appena arrivato in cucina. "Debbie si è addormentata", informò. "Sono ancora convinto che sia stata la scelta migliore. Comunque, scusatemi, ero solo venuto a prendere un bicchiere d'acqua, vi lascio finire di parlare."
"Puoi restare", disse El, "riguarda anche te."
Neal annuì e prese posto accanto a Peter.
"E quindi", riprese il federale, "mi ha convinto che cambiarle identità e adottarla erano le cose migliori per lei - assieme a non so che altri loro trucchetti."
"Non sono trucchetti", lo corresse Neal, "ma non posso divulgare i dettagli."
Peter agitò una mano per aria, a lasciar perdere. "Ed è bastato fino ad ora. Però sembra che qualsiasi cosa abbiano fatto per confondere le acque, si stia diradando e... Pensiamo sia meglio che Debbie stia fuori città per un po'."
Elizabeth annuì. "Ho capito. Però, hai detto che ci sarà anche Jones... L'FBI sa di questa storia?"
Il più grande scosse la testa. "No, è un favore che mi sta facendo. Non sa nemmeno tutto nei dettagli", terminò guardando Neal e sorridendo lievemente allo sguardo dell'altro, più malandrino che colpevole.
La donna annuì di nuovo. "OK, va bene."
"Grazie, El", disse ancora, tornando a guardarla.

*

Dopo aver salutato Elizabeth, Peter si avvicinò al divano sul quale si era addormentata Debbie e la prese in braccio.
"Vieni ad aprir la porta?", chiese poi, rivolto al truffatore.
"Certo", rispose lui, precedendolo velocemente sulle scale.



N/A Caroline è la sorella di Elizabeth. Il nome l'ho inventato io, perché Jeff non mi ha risposto quando gli ho chiesto sulla famiglia di El. :( (<< la faccina è solo perché ultimamente mi pare ci sia molto poco interesse su di lei, anche da parte di Jeff stesso...)
Altra nota più importante, benché abbia già scritto (in versione cartacea) almeno un altro capitolo, ultimamente il mio pc ha molti misteriosi problemi, quindi non so quando riuscirò a postar il seguito... :(

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Capitolo 5
*** 5.1 The Night, 5.2 The Sunday Morning ***


The night.

Peter era seduto sul divano, davanti a sé vari fascicoli, uno in mano che stava leggendo. Era talmente preso da non accorgersi che Neal era entrato nella stanza fino a quando lui non posò una mano sulla sua spalla. Il federale trasalì.
“Cosa c’è?”, domandò il ragazzo.
“Niente…”
“Peter.”
L’uomo sorrise voltandosi verso il più giovane. “Sistemato la tua stanza?”
“Giusto, a proposito di questo. Devo dormire nella stanza degli ospiti? Sul serio?”, chiese Neal, un broncio infantile sulle labbra.
“Sì, c’è Debbie.”
“Dorme…”, borbottò mettendosi a sedere accanto a lui.
Peter lo guardò un attimo, senza dire niente, e tornò a leggere.
“Hmm… Hai detto che se trovo un altro posto, al solito prezzo, posso cambiare abitazione, vero?”, riprese Neal, dopo alcuni istanti.
Il federale lo guardò stupito. “Sì, ma cosa c’entra ora?”
“Pensavo che posso rimanere qua… da te.”
“Non credo sia il caso.”
“Puoi dire che in realtà Debbie è mia figlia. Possiamo fingere che lo sia”, disse, prestando attenzione a sottolineare il verbo fingere.
L’uomo posò la cartellina che aveva in mano sopra le altre e si voltò verso di lui. Neal lo stava guardando intensamente. “Non puoi lasciare che una bambina cresca lontana dal suo padre naturale, se può stargli accanto.”
“Sul serio?!”, Peter era sconvolto.
“E poi pensaci”, continuò, ignorandolo, “settecento dollari al mese ed hai un babysitter che può occuparsi anche della casa e del cane… e che sarebbe felicissimo di prendersi cura perfino del padrone di casa”, terminò, sporgendosi verso di lui per baciarlo.
“Neal”, lo allontanò appena, “non so quanto questo sia seriamente fattibile e, soprattutto, sicuro.”
“E che posso fare se sono a decine di miglia di distanza?”
“Non sei qui per fare qualcosa per…”
“Sì che lo sono!”
“Ehi”, Peter portò una mano dietro al suo collo, “calmo.”
Lo baciò delicatamente. “È tardi, non dobbiamo parlarne ora. Vai a dormire.”
“Vieni con me.”
“Devo occuparmi di questi documenti.”
“È tardi”, lo imitò. “A quest’ora la gente normale dorme… o fa cose più interessanti. Andiamo”, Neal si alzò e lo tirò su con sé.
Peter alzò gli occhi al cielo. “Ti ho detto…”
“Di no, perché c’è Debbie, lo so”, rispose spegnendo la luce del salotto. “Ti accompagno solo.”

*

“Non dovevi accompagnarmi solamente?”, domandò Peter, sdraiato sul letto, guardandolo negli occhi.
“Cambiato idea”, rispose sistemandosi meglio a cavalcioni su di lui, iniziando a sbottonargli la camicia. “In fondo, ti avrà già visto con altri uomini.”
“No.”
“Oh…” Neal si bloccò un attimo e abbassò la testa. “Oh, beh, allora è il momento che le spieghi che al suo papà non piacciono solo le donne”, disse riprendendo.
“Nemmeno.”
“Scusa?”, tornò a guardarlo negli occhi.
“Non mi ha mai visto assieme a nessuno, né uomo né donna”, rispose Peter. Per un attimo pensò di distogliere lo sguardo, imbarazzato, ma qualcosa in quello di Neal lo convinse a continuare a fissarlo, serio.
Il truffatore rimase alcuni istanti in silenzio e immobile, elaborando quell’affermazione, poi, lentamente, la bocca si aprì in un ‘oh’ di meraviglia e gli occhi iniziarono a brillargli. Rise, velocemente, per cacciare la tensione. “Oh, Peter… È… è una confessione o qualcosa del genere?”
“Qualcosa del genere, immagino, già…” concordò mentre l’altro aveva ripreso a ridere, nascondendo la faccia contro di lui, nell’incavo tra il collo e la spalla.
“Hai finito?”, domandò Peter.
“Scusa… È che sei così… adorabile”, rispose Neal, alzandosi per guardarlo negli occhi. Gli sorrise, poi si lasciò scivolare al suo fianco, stringendosi contro di lui. “OK, mi accontenterò della stanza degli ospiti; dopo questo posso farlo”, disse posandogli un bacio sulla guancia.
Peter si voltò e portò una mano sul suo fianco, possessivo. “No, hai ragione tu.”
“Non devi…”
“Non lo sono. Resta.”
Neal sorrise. “Resto.”


The Sunday morning.

La mattina dopo, quando si svegliò, Peter non trovò Neal accanto a sé; allungò una mano, le lenzuola erano ancora calde. Doveva essersi alzato da poco. Sorrise d’istinto a quel pensiero e si stirò prima di alzarsi a propria volta.
Quando fu in corridoio notò il ragazzo affacciato alla porta della stanza di Debbie e gli si avvicinò.
“Ehi”, disse posandogli una mano sulla spalla.
“Ehi”, Neal voltò la testa verso di lui, sorridendo. “È tutto così strano… Debbie, tu… io…”
“Un po’”, concordò Peter, “ma oramai io mi sono abituato e… beh, mi è difficile immaginare di vivere senza di lei.”
Il truffatore si appoggiò contro di lui. “Dici che potrò mai fare parte anche io di questa famiglia?”
“Beh, credo che tu abbia già conquistato Debbie col trucchetto delle carte.”
“E tu?”
“Devi solo provare a scappare”, rispose Peter, circondandolo con le braccia.
“Giusto, tu non sei possessivo”, rise.
Il federale fece solo un vago verso con la bocca e Neal tornò a guardare Debbie. “Elizabeth quando viene?”
“Nel primo pomeriggio, il volo è alle otto; e deve arrivare anche Jones. Il tuo amico ha intenzione di apparire?”
“Arriverà in tempo.”

*

La cosa che Peter non aveva considerato, in tutto quello, era la comprensibile curiosità di sua figlia.
Stava finendo di compilare i documenti abbandonati la sera prima; il ragazzo seduto accanto a lui lo osservava sbuffando.
“Se vuoi ti riporto al motel”, disse il federale, ad un certo punto.
Neal lo guardo scioccato. “Non scherzare.”
“Non dipende da me, lo sai.”
Non gli faceva piacere quel discorso, ma non voleva illuderlo. Per quanto gli avrebbe fatto piacere averlo in casa, non c’era molto che poteva fare.
“Sono sicuro che troverai un modo”, sorrise.
“Neal?”
La voce di Debbie, appena entrata in cucina, li interruppe. I due uomini si voltarono verso di lei e sorrisero.
“Buon giorno, principessa”, disse il ragazzo.
“Buon giorno.“
“Siediti, ti preparo la colazione”, disse Peter, alzandosi.
Debbie si mise a sedere accanto a Neal e lo fissò per alcuni istanti.
“Hai dormito qui?”, domandò, anche se non suonava molto come una domanda.
Neal rimase in silenzio, stupito, poi chiese a sua volta: “Ti dispiace?”
La bambina alzò le spalle. “È divertente avere altre persone per casa. Solo la zia El resta qualche volta a dormire qui.”
“Davvero?”
“Sì, quando papà deve lavorare di notte.”
“E…”
“AHI! Accidenti.”
Peter si era incantato a vederli parlare e si era scordato del latte sul fuoco, che era bollito, versandosi poi e ustionandogli la mano sinistra.
Aveva già spento il fornello quando Neal gli fu accanto. “Diavolo, Peter, stai attento! Ci hai fatto prendere un colpo”, disse tirandolo fino al lavello e mettendogli la mano sotto il getto freddo dell’acqua.
“Oh, certo, mi son divertito”, replicò lui, seppur lasciandolo fare mentre recuperava dal congelatore dei cubetti di ghiaccio e li metteva in un panno.
“Se non ti conoscessi avrei quasi pensato che l’avevi fatto a posta, in effetti”, borbottò tornando verso di lui e chiudendo l’acqua prima di posare il fagotto che aveva creato sulla sua mano.
“Cosa hai detto?”
“Niente, mettiti a sedere.”
Debbie scoppiò a ridere. Peter e Neal si voltarono verso di lei, sorpresi.
“Cosa c’è?”, domandò il padre.
“Siete buffi.”

Mezz’ora dopo, Debbie aveva finito di fare colazione e riposto la propria tazza e cucchiaio nella lavastoviglie; tornò al tavolo dove Neal era rimasto a farle compagnia mentre Peter si era spostato in salotto a continuare il proprio lavoro.
“Quanto starai qui?”, domandò la bambina.
“Non lo so.”
“Ti troverò quando tornerò dal viaggio con la zia El?”
“Lavoro con tuo papà, quindi mi vedrai in giro.”
“Dormirai ancora qui con noi?”
Neal alzò le spalle. “Non dipende da me. Dovresti parlare con lui.”
Debbie si alzò e lo prese per mano, trascinandolo poi nella stanza accanto.
“Papà, Neal resta a vivere con noi?”
Peter alzò lo sguardo di scatto, pronto a biasimare il giovane per quell’uscita, ma bloccato dall’immagine di sua figlia che teneva per mano Neal, per metà chinato verso di lei, e sospirò. “Debbie, Neal non è un cane che puoi decidere o meno di tenere in casa.”
La bambina lo guardò in silenzio alcuni istanti, poi chiese. “Ti piace Neal?”
“Cosa?”
“A me piace. Se piace anche a te, perché non può restare?”
Neal rise e lui lo guardò male. “Debbie, vieni qua”, disse indicando le proprie cosce.
Lei lasciò andare il ragazzo e raggiunse il genitore, mettendosi a sedere.
“Tesoro, Neal in passato ha fatto cose che non doveva, cose molto brutte”, disse Peter, “e per questo è stato in prigione.”
“L’hai arrestato tu?”
L’uomo annuì. “Ora è qui perché mi deve aiutare a catturare altre persone cattive, quindi deve rispettare certe regole, ed anche io. Mi segui?”
Fu il turno di Debbie di fare di sì con la testa.
“Per questo non posso decidere da solo.”
“Però ci proverai?”, domandò ancora lei.
Peter alzò lo sguardo verso Neal che sorrideva senza ritegno e, lanciatagli la migliore occhiata severa a sua disposizione, tornò a guardare sua figlia.
“Vero, papà?”
“Non posso dire nulla. Hai finito di scegliere cosa vuoi portare con te?”
“Quasi”, borbottò.
“Allora vai, che poi non ci sarà molto tempo.”

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Capitolo 6
*** 6.1 The departure, 6.2 The files. ***


The departure.

Dopo pranzo, Neal e Debbie avevano convinto Peter a portare Satchmo a fare un giro al parco, con il risultato che lo stesso passò un’ora seduto su una panchina ad osservare i due divertirsi a lanciare una palla al cane. Non era scocciato, e gli faceva piacere vedere che Debbie avesse preso bene, almeno per il momento, la figura di Neal accanto a sé, ma data la situazione non gli sembrava una grande idea.
“La prossima volta”, cominciò Peter estraendo le chiavi di casa, poi si bloccò.
“Ma papà…”
“Shh”, la interruppe il federale, spostandola indietro con una mano. “Neal.”
“Ci penso io. Vieni, Debbie, facciamo un altro giro con Satch”, disse prendendo per mano la bambina.
Peter estrasse la pistola, la puntò davanti a sé ed aprì di scatto la porta. Fece alcuni passi all’interno, cauto, fino a ritrovarsi davanti l’intruso.
“Dante Haversham”, sospirò.
Lo guardò male e mise via la pistola. “Fermo lì”, ordinò poi, e si affacciò alla porta.
Neal e Debbie erano ad una decina di metri di distanza. “Neal!”
Il giovane si voltò e Peter gli fece segno di tornare indietro.

“Allora, Mr. Haversham”, cominciò Peter indicandogli una sedia, “è sua abitudine entrare così nelle case degli altri?”
L’uomo lo guardò a disagio e fece come ordinato. “Solo per lavoro”, rispose dopo essersi seduto.
“Lavoro”, ripeté Peter, camminando. Neal e Debbie entrarono in quel momento.
“Debbie, libera Satch e poi vai a finire di mettere i libri nello zaino, da brava.”
La bambina guardò i tre uomini e poi annuì, portando il cane in cucina.
“Poteva farti fuori”, disse Neal, sottovoce, sedendosi accanto al suo amico.
“Speravo di no”, confessò lui.
“Sei sicuro sia l’uomo giusto?”, chiese poi Peter.
“Ehi!”, esclamò Haversham, offeso.
“Assolutamente”, rispose Neal
“Vi ricordo che vi ho già aiutato con quella bambina”, sbuffò ancora il piccoletto.
“Questo è vero, Peter.”
Il federale sospirò e si mise a sedere a propria volta.
“Cosa devo fare?”, domandò Haversham.
“Il solito; assicurati che nessuno sia sulle tracce di Kate.”
“Debbie”, lo corresse Peter.
“Debbie”, confermò il truffatore.

Tre ore dopo, anche Elizabeth e Jones erano a casa sua e stavano discutendo degli ultimi dettagli.
“Jones, tu ti occuperai di Debbie, specialmente quando El è a lavoro”, ricapitolò Peter. “Non ci sono immediati pericoli, il nostro uomo non dovrebbe sapere chi è né che va a Washington con Elizabeth, ma stai lo stesso attento al massimo.”
“Certo.”
“So che non ti ho detto molto, ma nemmeno io so chi sia in realtà…”
“Non preoccuparti, Capo.”
Peter gli sorrise, riconoscente, poi si rivolse a Mozzie – erano giunti alla conclusione che continuare tra di loro ad usare l‘alias di Dante Haversham era inutile. “Tu, invece…”
“Io farò il mio dovere nell’ombra e nessuno si accorgerà di niente”, lo interruppe, “come sempre del resto.”
Il federale annuì con un gesto distratto della mano, decidendo che stare a discutere fosse inutile.
“El”, chiamò poi, voltandosi verso di lei. Un nodo alla gola gli rubò le parole mentre le si avvicinava. Posò una mano sulla sua spalla e rimase ancora alcuni istanti in silenzio, prima di riuscire a dire: “Grazie”.
Lei gli sorrise e l’abbracciò. “Non devi preoccuparti.”
L’uomo ricambiò la stretta e passò una mano tra i suoi capelli, sospirando. Elizabeth si allontanò e gli scoccò un bacio sulla guancia, poi andò da Neal e abbracciò anche lui.
Peter lo vide spalancare gli occhi e sorridere, quando lei lo lasciò andare lui la ringraziò. Non poté evitare di chiedersi cosa gli avesse detto. Si ripromise di chiederglielo in seguito e si abbassò davanti sua figlia.
“Ricordi quello che ti ho detto, sì?”
Debbie annuì. “Non devo creare problemi né e zia El né al signor Jones, e devo star tranquilla”, ripeté.
Lui le sorrise. “Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anche io”, mormorò la piccola, gettandogli le braccia al collo e stringendolo al massimo della sua forza.
Peter le accarezzò il volto e continuò a sorriderle. “Ti va di salutare per bene anche Neal?”
Debbie guardò il ragazzo e gli si avvicinò; quando gli fu davanti gli circondò la vita con le braccia. “Stai attento al mio papà.”
Neal rise e le posò una mano sulla testa. “Va bene, lo terrò sottocontrollo.”
Anche Elizabeth rise. “È ora di andare, Debbie.”
“Jones, hai sistemato tutti i bagagli?”, domandò Peter.
“Sì.”
“Bene. Fate buon viaggio.”

Quando la porta si chiuse, Neal gli prese la mano con la propria. Peter la strinse senza voltarsi a guardarlo.
“Bene, è il momento che vada anche io”, disse Moz, avviandosi verso la porta.
“Mozzie?”, lo fermò Peter. “Grazie.”
Era la prima l’occasione per dirglielo e, nonostante non avesse provato una simpatia a pelle verso di lui, sapeva che era la cosa giusta da fare.
L’uomo annuì e senza dire altro uscì.

“Peter…”
“Mettiamoci al lavoro.”
“Ordino delle pizze.”
Il federale sorrise.


The files.

“Ehi, trovato niente?”, domandò Neal, avvicinandosi all’uomo seduto sul divano il quale scosse la testa e sospirò.
Peter si voltò poi verso di lui, allungò una mano e gli prese il polso, attirandolo verso di sé. Quando gli fu davanti, lo prese per i fianchi e lo fece sedere tra le proprie gambe.
“Non sono Debbie”; Neal rise.
Peter lo strinse e posò il mento sopra la sua spalla. “Solo… resta qui e stai zitto.”
Neal sorrise, si allungò a prendere un fascicolo dal tavolo, tornò a rilassarsi contro il petto del compagno e aprì i fogli davanti a loro, in modo da permettere anche a Peter di leggere.
“Sono i file dell’Olandese…” commentò stupito, “pensavo ci occupassimo di Debbie.”
“Domani devi venire al Bureau. Se vuoi restare fuori, devi portare dei risultati.”
“Ma…”
“Lavorerò anche su di lui, non l’ho mandata via per nulla, ma tu devi pensare a questo.”
“Posso occuparmi anche io di entrambi”, replicò serio, spostandosi appena per guardarlo in volto.
“Concentrati sull’Olandese.”
“Voglio aiutarti!”
Peter lo baciò, disperato.
“Non farti rimandare dentro.”
Neal non rispose, si mise a sedere per bene, stretto nel suo abbraccio, e riprese a leggere mentre anche il federale prendeva una cartellina.

Peter era concentrato nella lettura, aveva tirato fuori tutti i vecchi file accumulati quasi cinque anni prima; avere Neal lì, prigioniero del proprio braccio, lo faceva in qualche modo star tranquillo. Sapere che non stava combinando qualcosa, qualche truffa delle sue, era un enorme sollievo – e un tuffo nel passato, a quando cercava in tutti i modi elementi per incastrarlo, nonostante tutto, ed ogni volta che lo aveva stretto a sé poteva star certo: ‘James Bonds’ non si sarebbe fatto vivo.
“Peter…” mormorò ad un certo punto il criminale.
Riconosceva quel tono, gli metteva i brividi ogni volta, ma non capiva. Si voltò a guardarlo, stupito e perplesso. “Sì?”
“La mano… È difficile… concentrarsi, così”, disse con un sorriso malizioso.
Il federale abbassò lo sguardo verso la propria mano sinistra; senza accorgersene, aveva preso a giocare con i bottoni della camicia di Neal e poi aveva fatto scivolare le dita sotto la stoffa, accarezzandogli l’addome. “Uhm… Scusa… involontario…” borbottò estraendo le dita e sbottonandogli il primo bottone dei pantaloni.
Neal inarcò un sopracciglio.
“Questo no”, confermò Peter, baciandogli il collo. “Ma puoi continuare a leggere”, disse tra un bacio e l’altro, facendo scorrere la mano sulla zip.

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Capitolo 7
*** 7.1 What if; 7.2 The teacher ***


What if.

“Sei tornato, finalmente”, lo accolse Neal.
Peter lo fissò alcuni istanti, stupito. “Ho avuto da fare.”
“E ti sei portato il lavoro a casa”, fece notare il più giovane, indicando i fascicoli nella mano dell’altro.
“Già. Ma... come mai qui?”
Neal alzò le spalle. “Mi hai dato le chiavi, quindi pensavo fosse OK se ogni tanto passavo a trovarti. Ma se è un problema, la prossima volta ti telefono prima.”
“Oh, no, no, affatto”, si affrettò a rispondere il federale, mentre abbassava lo sguardo e si sentiva avvampare le guance. “Temevo di aver scordato un appuntamento.”
“Mhmp...”
Peter alzò la testa di scatto, a quello che alle sue orecchie era parso un verso di conferma alle sue parole, solo per trovarlo con una mano davanti alla bocca, cercando di non ridere troppo sfacciatamente.
“Ehi!”
Neal si ricompose e gli si avvicinò. “Scusami, è che eri così adorabilmente imbarazzato...”
“Mi stavi prendendo in giro.”
“No... OK, forse un pochino, ma in modo positivo”, rispose il ragazzo. “E comunque, non ti ho ancora dato il bentornato come si deve. Bentornato a casa, Peter”, sussurrò contro le sue labbra, dopo avergli preso il volto tra le mani, e lo baciò.
L’uomo portò la mano libera dietro la sua schiena e lo attirò di più a sé, per approfondire il bacio.
“Devi cenare o passiamo subito al dopo?”, domandò Neal, intrecciando le mani dietro il suo collo e non lasciando dubbi su cosa avrebbe preferito.
“Devo lavorare. Mangerò un panino nel frattempo”, rispose il federale, e il ragazzo mise su un piccolo broncio che lo fece ridere. “Puoi restare, se pensi di non annoiarti troppo.”
“Hmm... Posso provarci.”

“Se fossi un criminale, e ho detto se, io farei esattamente così”, disse Neal, dopo aver spiegato la propria teoria su come il truffatore al quale Peter stava dando la caccia avesse commesso il proprio crimine.
“E se fossi un criminale dovresti arrestarmi, il che sarebbe un peccato. D’altro canto”, continuò, aggirando il tavolo e avvicinandosi a lui, “se fossi anche io un federale, potrei passare tutto il giorno ad osservarti, ma non potrei fare questo”, continuò, abbassandosi a baciarlo sulle labbra mentre gli disfaceva il nodo della cravatta. “O questo”, gli sbottonò anche i primi bottoni della camicia e gli baciò il collo, continuando la propria operazione sui bottoni rimanenti. “E nemmeno questo”, continuò ancora, mettendosi a cavalcioni su di lui e risalendo con le labbra fino al suo orecchio, mentre le mani vagavano sul suo petto. “Il che sarebbe un peccato ancora più grande.”


Peter alzò lo sguardo verso l’open-space dove la sua squadra stava lavorando. L’Olandese aveva cancellato le proprie tracce dopo l’incursione alla banca, non c’era nessun indizio che stesse tentando un’altra truffa, o di che tipo; Neal stava avendo, però, occasione di rendersi utile nella cattura di un altro malvivente e questo aveva evitato che fosse già stato rimandato in carcere.
Ora stava parlando con Diana, sorriso smagliante e charme inclusi come con qualsiasi bella ragazza si trovasse davanti, incapace di accettare che qualcuna non gli cadesse ai piedi e divertendosi a punzecchiarlo, sperando forse in una scenata di gelosia. Non che ne fosse contento, o che non gli desse fastidio, ma per Neal non era molto più di un gioco, tanto per provare a sé stesso di poterlo fare; era sicuro che non avesse intenzione di andare a letto con un centesimo delle ragazze con cui flirtava. Questo, però, non gli impediva di interrompere ogni suo tentativo sul nascere.
“Neal, Diana ha da fare”, disse, magicamente accanto a loro. “Noi invece possiamo tornare a casa, per oggi.”
“Ma magari a Diana fa piacere un po’ di compagnia”, provò lui.
“Lavoro meglio da sola”, rispose lei. “A domani, Capo.”
“A domani, Di.”


The teacher

“Jones, non preoccuparti. Lunedì torna in servizio come previsto, il tuo lavoro è finito”, disse Peter, entrando in casa. “No, nessun pericolo. Mozzie si occuperà di Debbie. Grazie, amico.”
Riattaccò e sospirò. Neal posò una mano sulla sua spalla. “Magari è un bene che restano ancora qualche giorno via? Non abbiamo scoperto nulla...”
“Sì, forse...”
Neal posò un casto bacio sulle sue labbra e sorrise. “Dopo una cena come si deve, sembrerà tutto migliore”, affermò sicuro, allontanandosi verso la cucina.
Il federale scosse la testa e si tolse la giacca; stava per raggiungerlo quando suonarono alla porta. Tornò indietro e squadrò l’uomo che si trovò davanti; non era una faccia sconosciuta, ma non riusciva a inquadrarlo.
“Matthew Bennett. Sono il nuovo maestro di sua figlia, signor Burke”, si presentò con un sorriso, aggiustandosi gli occhiali.
All’improvviso ricordò. “È quello che ha sostituito la signora Clark...”
“Esatto, sono venuto perché volevo parlare con lei.”
“Oh, sì, certo, si accomodi.”
Peter lo guidò fino al salotto. “Posso offrirle qualcosa?”
“No, grazie.”
“Bene”, indicò il divano, poi si mise a sedere davanti a lui. “Mi dica.”
“È da alcuni giorni che Debbie manca da scuola; la sua amica Sam ha detto che era malata e, beh, volevo solo assicurarmi che non fosse niente di grave. Sono cominciati i preparativi per la recita di fine anno e, sapendo quanto sua figlia ci tenesse, mi dispiaceva che mancasse proprio in questo periodo.”
Peter era rimasto ad ascoltarlo, senza interromperlo o mostrare sorpresa, e poi annuì. “Dispiace molto anche a lei, ma ancora non si sente bene. Niente di grave, comunque.”
“Posso vederla? I suoi compagni le hanno mandato dei pensierini e mi farebbe piacere consegnarglieli di persona, sa...”
“Non è possibile, sta dormendo”, lo interruppe Neal, risoluto, apparendo dalla stanza accanto.
“Lei chi è?”, chiese Bennett, spostando lo sguardo su di lui, sorpreso.
“Il babysitter”, sorrise appena. “Debbie sarà contenta di sapere che è passato, però.”
L’insegnante rimase a studiarlo alcuni istanti, senza dire niente. Infine estrasse dalla propria borsa dei fogli che lasciò sul tavolino davanti a sé. “Beh, ecco qui, dunque. Scusi l’intrusione, signor Burke”, disse alzandosi.
“Si figuri”, Peter si alzò dietro di lui e lo accompagnò alla porta.
“Alla prossima riunione dei genitori, allora”, disse porgendogli la mano.
“Sì”, il federale ricambiò la stretta e, quindi, chiuse la porta alle sue spalle.

“Scusa”, mormorò Neal, quando Peter arrivò in cucina, cercando qualcosa in uno dei cassetti.
“Per cosa?”
Peter era seriamente perplesso.
“L’incursione di poco fa.”
L’uomo sbatté le palpebre ancora un paio di volte, poi lo raggiunse togliendogli di mano il mestolo di legno e posandolo sul bordo della padella. “E questo cosa sarebbe?”
Fu il turno del più giovane di essere spaesato; coprì la carne con il coperchio. “In che senso?”
“Ti stai scusando per un qualcosa... Un errore, in caso, inesistente.”
“Oh, sai, non è che al di fuori del Bureau e delle indagini abbiamo mai incontrato altra gente... O tanto meno che sia venuta qui a casa e non so come- come vuoi gestire la cosa.”
Era raro, quasi unico, vedere Neal così insicuro; un piccolo tesoro. Peter sorrise e gli si avvicinò alle spalle. “Vivi qui, è normale che se arrivi gente in casa ti veda. Non ho intenzione di chiuderti in cantina ogni volta che ricevo visite... Fintanto che sei vestito decentemente.”
“Hm... OK, bene.”
“Bene”, ripeté Peter abbracciandolo e posando un bacio sulla sua tempia.
“Su, vai ad apparecchiare”, lo cacciò Neal ridacchiando.

*

Nel sonno sentì squillare il cellulare, era un rumore distante, difficile da registrare; poi Neal si mosse accanto a sé e si allungò sopra di lui, raggiungendo il suo telefonino sul comodino.
“El. Pronto? Ehi, principessa, tranquilla”, Neal era tornato a sedere dalla propria parte del letto.
Peter aprì gli occhi e lo osservò mentre continuava a parlare e rassicurare Debbie.
“È stato solo un incubo, è tutto a posto. Tuo papà sta bene... Stiamo tutti bene. Sì, sì. Il papà è qui, aspetta”, disse ancora voltandosi verso di lui e passandogli il cellulare.
Lo prese e si tirò su. “Ehi, tesoro.”
“Papà”, singhiozzò.
“Sono qui; sono qui, Debbie.”
“Ho fatto un altro incubo... La zia El ha preparato la camomilla. Voglio tornare a casa.”
“Non è ancora possibile, tesoro... La zia El è brava.”
“Sì, ma...”
Stava per mettersi a piangere di nuovo, Peter riusciva a percepirlo, ma non sapeva cosa fare; guardò Neal in cerca di aiuto.
“Papà...”
“Sono qui, resisti ancora qualche giorno.”
Neal gli prese il cellulare di mano. “Principessa, se fai la brava, quando torni poi andiamo a pattinare al Rockfeller Center”, disse. “Come? Peter non ti ci ha mai portato? Ti insegnerò io allora, ti divertirai. E certo che verrà anche lui! Sì, te lo prometto. Buona notte, piccola.”
Peter lo osservò senza esser capace di dire qualcosa e Neal gli rese il telefono. “Non hai mai portato Debbie a pattinare, sul serio? Dovresti vergognarti.”
Prese l’oggetto e lo posò automaticamente sul comodino, poi tornò a guardare il ragazzo. “Non... Non ho mai avuto occasione.”
“Sì, certo”, rise, poi si sdraiò e gli si accoccolò vicino. “Dobbiamo trovare il responsabile della morte di Kate.”
“Ce la faremo”, mormorò stringendolo con un braccio. “Buona notte, Neal.”




N/A: so cosa succederà poi, dovrebbero mancare due o tre capitoli alla fine (e se mi azzardo a far previsioni è davvero 'poco', dato che in genere non ho mai idea di quanto scriverò XD), ma la stesura dei capitoli si sta rivelando più difficile del previsto... Spero di postar il seguito il più presto possibile, comunque.

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Capitolo 8
*** 8.1 The stakeout; 8.2 The stranger ***


The stakeout.

Peter si voltò verso il compagno e lo trovò intento guardare fuori dal finestrino, serio; il loro sospettato non si era ancora fatto vedere. C’erano diversi luoghi in cui avrebbe potuto nascondere la refurtiva, Diana e gli altri stavano tenendo sotto controllo le altre costruzioni, ma il ragazzo era stato così sicuro che sarebbe andato lì da non riuscire a credere che non fosse ancora apparso.
E Peter non poté evitare di sorridere appena. Conosceva Neal da anni, e lo conosceva molto bene, ma ora era diverso; lavoravano assieme, anche se tecnicamente lui era un suo sottoposto, e aveva già visto nuovi aspetti. I lati del Neal-criminale, che prima conosceva solo in base agli ottimi risultati ottenuti, ora gli si presentavano nel loro svolgimento completo. Neal era intelligente e a lui piacevano le persone intelligenti. Gli piaceva soprattutto questa persona al suo fianco.
Erano passati sette anni, quattro di lontananza e tre di una vita parallela, fatta di omissioni. Avrebbe dovuto sentirsi ferito, tradito, usato e forse, appena scoperta la verità, c’era stato un attimo in cui aveva provato tutte queste cose. Poi, però, si era ricordato di ciò che aveva letto in quegli occhi azzurri, l’affetto e la complicità e tutti i momenti che avevano passato assieme, ed era stato sicuro che, se anche iniziato come un tranello, quel trucco si era rivoltato contro il suo stesso artefice. Inoltre, non voleva arrendersi, per il bene di Neal prima ancora che per la loro storia; Neal era un bravo ragazzo, nonostante le scelte sbagliate.
Aveva realizzato tutto ciò da poco tempo quando Debbie entrò nella sua vita. Avrebbe potuto dire che la sua presenza lo aveva trattenuto dal cercare un’altra storia, anche senza importanza, ma sarebbe stata una pietosa bugia.
Dopo Elizabeth aveva smesso del tutto di credere al ‘per sempre’ – aveva creduto che lei lo sarebbe stato –, ma era stato certo fin da subito che non sarebbe uscito con nessun altro finché Caffrey fosse stato in prigione. Non aveva voluto né voleva nessun altro, anche se la loro storia non avrebbe avuto seguito. Poi si erano ritrovati soli in camera da letto ed era stato ovvio che quel legame non sarebbe finito presto. Avevano quattro anni da passare ‘per forza’ assieme, era meglio che non rovinassero tutto.

“A cosa stai pensando?”
Peter trasalì e fissò Neal negli occhi, chiedendosi quando si fosse voltato. Scosse le spalle. “Tutto e niente.”
Il ragazzo lo guardò scettico. “È un po’ troppo vago.”
“Tu... Noi...” borbottò, spostando la testa a guardare fuori dall’abitacolo, in cerca di parole adatte a non sembrare troppo melenso.
Neal ridacchiò e gli prese una mano. “In bene o in male?”
Il federale tornò a posare lo sguardo sul volto dell’altro, incontrandone gli occhi. Deglutì prima di rispondere con un sincero: “Non lo so”.
Per un istante sembrò che Neal fosse stato attraversato da un’ombra cupa, poi un luccichio malizioso gli illuminò il viso e si sporse in avanti, tirandosi incontro Peter per baciarlo.
Fu un bacio dolce e breve, uno sfiorarsi di labbra e lingue, e Peter pensò che non poteva andare male se bastava ancora solo quello a eccitarlo. Avrebbe voluto dirlo, ma il sorriso persistente sul viso di Neal lo informò che non ce n’era bisogno.
“Dobbiamo restare qui ancora a lungo?”, domandò il truffatore, il tono reso meno lamentoso da una punta di desiderio.
“Sì”, replicò schiarendosi la voce prima di sistemarsi sul sedile e alzare il volume della radio. Aveva smesso da un po’ di seguire la partita, ma sperava che i commenti dei cronisti avrebbero aiutato a raffreddare l’atmosfera.


The stranger.

Quando Peter parcheggiò la macchina davanti casa, alle tre e mezza del mattino, Neal sbadigliò. “Domani dormo fino a mezzo giorno.”
“Domani abbiamo un criminale da catturare”, gli ricordò l’agente, scendendo.
Neal lo seguì fuori e si voltò verso il compagno, mesto. “È domenica!”
“Va’ a lamentarti con Cortes, che ha fissato l’incontro per le dieci di mattina, giusto prima della comunione della nipote.”
Peter fece una smorfia; non era un Cattolico molto convinto, e quasi meno praticante, ma non riusciva a capire come certa gente potesse usare le feste e i bambini per i propri loschi scopi. Quando gli era toccato, aveva sempre cercato di creare poco scompiglio e mai davanti ai più piccoli, ma a volte non aveva potuto evitarlo. Non sopportava di vedere le facce sconvolte o spaventate e tristi di figli e nipoti, in giorni che sarebbero dovuti essere di festa per loro.
Neal si portò una mano alla tempia. “Abbiamo passato la notte svegli per nulla.”
“Nel pomeriggio puoi dormire tutto il tempo che vuoi.”
L’ex truffatore sbuffò, poi si avviarono alla casa. Appena aperta la porta sentirono un tonfo al piano di sopra e Peter prese la pistola. “Aspetta qui”, sussurrò e salì le scale.
Il rumore proveniva dalla camera di Debbie e Peter vi si diresse, l’arma puntata dritto davanti a sé. Una volta sulla porta notò una figura scura che stava cercando qualcosa tra le carte sulla scrivania, la sedia a terra – probabilmente causa del rumore che avevano sentito poc’anzi – e le coperte del letto erano disfatte malamente.
Stava cercando Debbie, chiunque fosse. Peter strinse le mani sulla pistola, desideroso di sparare, ma seguì la procedura. “Fermo, FBI!”
L’uomo si voltò di scatto, indossava un passamontagna.
“Mani in alto e non ti muovere”, ordinò Peter.
L’intruso fece pochi passi indietro e raggiunse la finestra.
“Fermo, o sparo!” avvertì di nuovo l’agente.
La finestra venne aperta. Il primo colpo, di avvertimento, si conficcò nell’angolo superiore sinistro del telaio in legno. L’uomo si tuffò di sotto e Peter corse verso di lui; il misterioso sconosciuto era saltato sul tavolino posto strategicamente sotto di lui. Il federale sparò dei colpi in direzione dell’ombra in fuga, ma non era sicuro di averlo colpito.
“Peter!”
Si voltò, Neal era sulla porta, respirava a fatica e lo guardava spaventato. Peter gli si avvicinò e lo attirò a sé, una mano tra i suoi capelli. “È scappato”, disse soltanto.
“Dobbiamo chiamare un veterinario”, lo informò Neal dopo alcuni istanti, la voce bassa. “Satchmo è stato drogato.”
Il federale fece scivolare il braccio, le dita che sfioravano il collo del compagno e poi si chiusero sulla sua spalla, stringendolo ancora più forte. “Andiamo.” Aveva anche da fare una denuncia e allertare ospedali e cliniche in caso il proiettile fosse andato a segno, anche se sapeva che difficilmente un criminale andava a farsi curare in una struttura ufficiale.

*

Peter dormì poco e male; Neal lo aveva accompagnato dal veterinario sebbene non ce ne fosse stato bisogno e poi era stato inquieto anche nel sonno. Avevano un criminale da mettere sotto scacco, sperava che non succedessero altri intoppi. Dovevano riuscire a tenere quell’intrusione fuori dalle loro teste, almeno per il momento, anche se quanto avvenuto indicava che avevano ragione a preoccuparsi.
Si tirò a sedere sul letto e sbuffò, una mano sulla testa che pulsava senza sosta; si voltò verso il comodino e spense la sveglia prima di andare in bagno.

*

Il cellulare squillò proprio mentre Peter stava per scendere dal furgone di sorveglianza, osservò lo schermo. “Maledizione”, borbottò. Lo spense e lo rimise in tasca.
“Tutto a posto?” domandò Diana.
“Sì, muoviamoci. In postazione.”
Una volta a terra controllò che i suoi uomini e gli agenti della SWAT andassero ai propri posti, oramai era questione di minuti prima che fosse tempo di entrare in azione. Cortes era appena arrivato assieme ad un’altra macchina scura, le telecamere che erano riusciti a sistemare avrebbero ripreso lo scambio e dato loro il segnale di via.
“Capo...” Diana lo chiamò preoccupata, quando si voltò notò che era al telefono. “Sono i Marshal.”
Prese il cellulare della ragazza e rispose. “Agente Burke, cos’è successo?”
Mentre l’uomo all’altro capo parlava, lui si guardò intorno, attento e preoccupato. Assottigliò lo sguardo mentre una figura snella si avvicinava verso di loro, apparentemente tranquilla.
“È con me”, quasi ringhiò. Chiuse la comunicazione e consegnò l’apparecchio alla sua proprietaria, senza spostare lo sguardo dal nuovo arrivato. “Che diavolo ci fai qui?”
Neal sorrise, scintillante e falso come poche volte lo aveva visto. “Abbiamo un criminale da arrestare, no?”
“Capo, è ora”, lo chiamò Jones.
Peter si voltò verso di lui e annuì. “Non ti muovere”, ordinò a Neal prima di tornare a dedicarsi all’azione.

*

Arrestare Cortes era stato facile, non creare troppa confusione una speranza vana, ma la parte più difficile era appena arrivata. Cortes e il suo acquirente erano in manette diretti al penitenziario più vicino, Jones si stava occupando di sistemare le cose, e lui era davanti a Neal, a distanza di sicurezza da qualsiasi orecchio indiscreto.
“Che diavolo ti è saltato in mente? Potevano vederti e notarci! Poteva saltare tutto!” gridò, indicando l’edificio in cui aveva avuto luogo l’irruzione.
Il ragazzo sostenne il suo sguardo serio, ma Peter non era sicuro di riuscire a capirlo. “Credevo l’FBI mi pagasse settecento dollari al mese per lavorare, non dormire.”
“Beh, dovresti accettare un giorno di ferie quando ti è regalato.”
Neal abbassò la testa e sembrò farsi piccolo mentre si appoggiava al muro alle sue spalle. C’era qualcosa che non andava.
“Neal...”
“Non è niente, hai ragione tu. La prossima volta resterò a crogiolarmi tra le coperte come se tu non fossi a rischiare la vita. Andiamo.”
Detto ciò, Neal lo superò e si diresse verso Diana, accanto al furgone, calandosi il fedora sulla testa.

*

Anche se era domenica e il lavoro era terminato, tra il veterinario, la denuncia alla polizia e mille altre cose che al momento sembravano inutili dettagli, Neal era riuscito a evitarlo in modo magistrale.
Se non sapessi che non sta tramando nulla... già, come se con Neal potesse mai averne la completa certezza. Non avevano nemmeno cenato assieme e, quando Peter aveva salito le scale, era stato normale controllare che il letto nella stanza degli ospiti fosse ancora intatto. Sospirò un po’ troppo sollevato nel constatare che era così, ma non riuscì a trattenere un piccolo sorriso mentre entrava nella propria camera.
Una volta a letto, sfiorò la spalla nuda del compagno. “Mi dispiace per stamani. Ero... mi hai fatto spaventare, maledizione.” Sbuffò.
Neal si voltò in silenzio, i contorni del viso che si delineavano man mano che gli occhi si abituavano all’oscurità, ma non riusciva ancora a decifrarne l’espressione. “Ci siamo spaventati in due, allora.”
Peter sospirò di nuovo e fece risalire una mano fino alla sua guancia e poi tra i suoi capelli. “Mi dispiace”, ripeté contro le sue labbra.
Ci fu un attimo di resistenza, un sottolineare il punto che lo fece sorridere, prima che Neal gli si concedesse a pieno. “Ma stasera stai sotto tu.”
Il federale inarcò una sopracciglia, un istante, sorpreso. Non era una cosa rara, ma non voleva dargliela vinta facilmente. “Provaci.”
Sogghignò mentre Neal gli riservava uno sguardo di sfida ben poco pauroso.



N/A.
Ovviamente, dopo quasi un anno di distanza dall'ultimo capitolo, l'idea giusta per buttar giù questo capitolo è arrivata nel momento più pieno e meno indicato che potessi avere. Ma sono contenta di avercela fatta! :)
Ho altri due capitoli abbozzati, ma dato che ho una scadenza per il 10 giugno (continuare a ripeterlo forse mi fermerà il tempo! (?)) mi metterò a ricopiarli al pc e sistemarli durante l'estate. E sì, avevo detto che potevo finire questa storia con altri "due o tre capitoli", ma al solito devo trattenermi dal fare previsioni; i tre capitoli li ho però la fine non è arrivata, anche se la vedo. Forse. XD
Spero continui a piacervi la mia piccola storia. Alla prossima. :)

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Capitolo 9
*** 9.1 The comeback 9.2 The despair ***


The comeback.


Quel mercoledì pomeriggio il sole splendeva alto nel cielo e solo una brezza fresca ricordava che era ancora primavera. Peter e Neal avevano preso un permesso, con molta fatica quest’ultimo, e attendevano l’arrivo di El. Sarebbero voluti andare a prenderle all’aeroporto, ma non avrebbero fatto in tempo.
Erano arrivati anche loro da poco, quando la macchina di Elizabeth si fermò davanti casa Burke e la piccola Debbie saltò giù, correndo tra le braccia del padre che stava in piedi davanti alle scale. El li raggiunse e salutò i due uomini.
“Com’è andata?” chiese Peter.
El indicò con un cenno del mento la bambina che, abbracciata al genitore, non aveva ancora proferito parola. Neal si inginocchiò davanti a lei e le sorrise, scostandogli una ciocca di capelli scuri dal viso. “Buon pomeriggio, principessa. Andato bene il viaggio?”
Debbie lo osservò in silenzio alcuni istanti poi chiese, quasi in un sussurro: “Se-sei papà Neal, vero?”
“Che cos-?”
Peter venne interrotto dal cenno di assenso di Neal e dal suo sorriso tranquillo. “Sì, sono io.”
La bambina iniziò a singhiozzare e Peter la prese in braccio. “Andiamo dentro.”

***

Debbie aveva pianto a lungo, senza dire altro, e alla fine si era addormentata sul divano, la testa appoggiata alle cosce di Peter. Neal ed Elizabeth erano seduti su due poltrone.
A quel punto, il federale alzò la testa verso gli altri due. “Dunque, una cosa per volta. El, cos’è successo a Washington?”
La donna posò lo sguardo sulla piccola, le mani chiuse una nell’altra mentre si stringeva nelle spalle. “Ha avuto alcuni incubi, un paio di volte, ma per il resto è stata abbastanza tranquilla fino ad ieri. Avevo finito prima, così ho pensato di portarla a fare un giro in un centro commerciale e siamo rimaste a cena fuori.” El scrollò il capo. “Forse ha visto qualcosa di cui non mi sono resa conto, ma all’improvviso si è fatta triste e non ha voluto più parlare. Può darsi anche che era solo nostalgia. È la prima volta che ti sta lontana così a lungo.” Elizabeth tentò un lieve sorriso mentre tornò a guardare l’uomo e Peter le fu grato di quella possibile spiegazione logica.
Annuì e accarezzò distrattamente i capelli della figlia, prima di voltarsi verso Neal, serio. “Allora, che cos’è questa storia? Non le stavi solo reggendo il gioco, prima.”
Vedere Debbie così sconvolta lo aveva turbato a sua volta; erano anni che la bambina non aveva crisi del genere, nonostante la presenza di alcuni incubi di quando in quando, e anche se la nostalgia era un motivo plausibile sapeva che c’era dell’altro. Che Neal potesse essere il vero padre della piccola era un’opzione che non aveva mai scartato sul serio, ma non era geloso – Kate era morta, in fondo.
“Se vuoi, ora me ne vado”, disse El.
Neal scosse la testa. “No, sei coinvolta anche tu ormai; non ci sono segreti.” Guardò Peter negli occhi. “Katelyn non è mia figlia. Kate era in fuga, con una bambina in fasce, non era una vita semplice. Io l’aiutavo a volte con dei soldi, altre portandole qualcosa per lei o la figlia.”
Il truffatore osservò la piccola e sorrise. “È stata una bambina molto sveglia e precoce; non credo avesse ancora tre anni quando un giorno, in un parco, vide un uomo comprare un palloncino al figlio e il bambino urlò: «Grazie, papà!»”, ridacchiò. “Dato che anche io le compravo spesso dei regali, fece i suoi conti e mi chiese se io fossi suo padre. Scossi la testa, ma vedendola farsi triste aggiunsi: «Se vuoi, puoi chiamarmi ‘Papà Neal’». Volevo che mi considerasse una sorta di Babbo Natale personale, e da allora sono rimasto ‘Papà Neal’.” Si strinse nelle spalle, la storia era finita.
El guardò a sua volta Debbie. “Perché se ne è ricordata solo ora, però?”
Peter abbassò la testa e non disse niente. Era la prima volta, in più di quattro anni, che Debbie aveva accennato a qualcosa che riguardava il prima del trauma. Era un bene o un male per lei?
“Peter...”
L’uomo alzò lo sguardo e incontrò quello preoccupato di Neal. Tentò di sorridere, ma non fu molto efficace. “È tutto a posto. Devo solo... Credo di dover chiamare il dottor Davidson domani. È lo psicologo che ha seguito Debbie dopo... tutto. Era forse un anno che non ci andava”, cercò con lo sguardo la conferma di El, che annuì.
“Beh, sì... immagino di sì...” Neal si alzò. “Bene, dato che è tutto a posto, vado a preparare la cena. El, mangi con noi?”
La donna scosse la testa e si alzò. “No, grazie, devo andare. Non preoccuparti, Peter, conosco la strada. Ciao, Neal.”
“Ciao.”
Peter osservò entrambi sparire in direzioni diverse e sospirò.


The despair.

Attento a non svegliarla, Peter spostò Debbie e si alzò.
In cucina, Neal stava lavando il coltello che aveva usato per affettare mozzarella e pomodori, disposti in un piatto sul tavolo e decorati con basilico fresco. Peter lo osservò dalla porta alcuni istanti, poi fece un passo in avanti; il cuore gli martellava un po’ troppo velocemente nel petto. “Sei geloso?”
Neal non si mosse. “Di chi? Della tua ex che ha trascorso gli ultimi quattro anni assieme a te e tua figlia? Perché dovrei?”
Non aveva cercato una delle sue mezze verità, e non si era sforzato di nascondere il sarcasmo, Peter quasi lo considerava un passo avanti. Stava per aprire bocca quando Neal riprese a parlare: “E non dire che è colpa mia”.
Il federale sorrise, in effetti era una cosa che poteva passargli in mente di dire, ma non era il momento di scherzare.
“Quando Debbie è venuta a vivere con me, non parlava. Non una parola, e a stento si faceva capire a gesti. Io non avevo mai avuto a che fare con una bambina così piccola... El è una donna, ha più sensibilità e istinto per queste cose. Avevo bisogno di aiuto.”
Sembrava disperato, era stato disperato. Aveva promesso a Neal di prendersi cura di lei, ma all’atto pratico non sapeva nemmeno cosa darle da mangiare. El era stata la sua salvezza.
“Esistono tante babysitter...” replicò il giovane, ma dal suo tono Peter capì che stava provando quanto meno un briciolo di compassione per lui.
“Neal...”
Era ancora disperato.
Il ragazzo si voltò di scatto e lo prese per i risvolti della giacca, fissandolo negli occhi. “Dimmi che non ho motivo di esserlo.”
“Disse quello che si diverte a flirtare con ogni bella donna che vede.”
“Io non sono stato fidanzato con nessuna di loro per cinque anni.”
Sottolineare che non erano stati fidanzati era inutile, vero?
“Hai detto che Debbie non ti ha mai visto con nessuno, ma non è vero. Ti ha visto con lei. Dimmi...”
Peter non avrebbe mai saputo cos’altro volesse sentirsi dire Neal perché lo spinse contro il piano della cucina e lo interruppe con un bacio. Disperato. E irruento, usando la lingua e i denti per fargli dischiudere le labbra, e tutto il proprio peso per tenerlo sotto controllo, contrastare i pugni che lo spingevano fino a che non li sentì rilassarsi, le mani risalire sul suo volto e poi dietro al collo, arrese e partecipi.
“Mai, mai, mai”, ripeté Peter, come un mantra. “Non hai motivo di essere geloso di lei. Mi credi?”
“Ti credo”, rispose contro le sue labbra, tirandolo di più a sé. Peter fece scivolare una mano tra i loro petti, cercando di completare l’operazione di sbottonamento della camicia di Neal che il ragazzo aveva iniziato prima di cucinare. Neal gemette quando le dita si intrufolarono sotto la stoffa e stuzzicarono un capezzolo.
“Piano”, ammonì Peter. Debbie era sempre nella stanca accanto, ma questo era un motivo di forza maggiore. Neal non doveva avere dubbi, alcuno, per nessun motivo.
“Non so se ce la faccio”, ansimò Neal.
Peter ghignò e si sporse in avanti, aiutandolo a fare meno rumore tappandogli la bocca con la propria e facendo scivolare la mano verso la cintura.
In quel momento, il suo cellulare squillò. Imprecò mentalmente e sentì Neal spostare un braccio e recuperare il telefono dalla tasca della giacca.
“È”, bacio, “Jones.”
Peter si raddrizzò e si lisciò i vestiti, come se il suo sottoposto potesse vederlo. Neal rise e gli passò il cellulare, lui si schiarì la voce prima di rispondere.
“Burke.”
“Ehi, capo. So che la signorina Stoker e Debbie dovevano tornare oggi. Com’è andata?”
“Il viaggio è stato tranquillo, grazie.”
“Bene, meno male.”
“Già. C’era altro?”
“No, no. Tutto a posto, volevo solo assicurarmi di quello.”
“Va bene. A domani, allora, Jones.”
“A domani, capo.”
Peter chiuse la comunicazione e sospirò rimettendo il cellulare in tasca.
“Non sei stato troppo brusco con lui?”, chiese Neal, ridacchiando.
“È il meglio che sono riuscito a fare con un’erezione nei pantaloni. Dove eravamo rimasti?”

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