41 di Sangue

di valentinamiky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La caduta di Morgana ***
Capitolo 3: *** Strano presentimento ***
Capitolo 4: *** Le fobie del ragazzo di Wildwoods ***
Capitolo 5: *** Le deduzioni del commissario ***
Capitolo 6: *** La pazzia di Kilgarrah ***
Capitolo 7: *** Tracce e verità ***
Capitolo 8: *** Dov'è Merlin? ***
Capitolo 9: *** Giù le maschere, signori! ***
Capitolo 10: *** Capitolo Extra: Deleted Scene ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa fic si è classificata 4^ al Cluedocontest, indetto da Tifa ^_^

Prompt: forcone(arma del delitto), strada di campo(scena del crimine), minaccia (movente)
Disclaimer: i soliti XD
Non scrivo a fini di lucro, non possiedo nessuno dei personaggi (a parte forse la rivisitazione di Kilgarrah XD) e comunque ogni singola parola non intende offendere nessuno. E se ho scordato qualcosa, perdonatemi, ma scalpito da mesi per postare e qualcuna di voi già lo sa, dato che vi ho tartassate via mp X°D
Il tempo di ricordare come si fa e caricherò anche il banner (A proposito, ringrazio ancora Kuroiren per averlo creato *_*)

Fatemi sapere che ne pensate (datemi un cenno, anche con la testa, capisco XD) ^_^

 

41 di sangue
 
Prologo

 

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La prima volta che lo aveva visto, aveva cinque anni. Era piccolo, proprio come lei, accovacciato su se stesso, mentre si dondolava avanti e indietro, intonando una ninna nanna con voce flebile. Sembrava che avesse paura, quindi si era  avvicinata senza fare rumore, temendo che sparisse così com’era apparso.
Strinse a sé l’orsacchiotto di peluche da cui non si separava mai e dopo un momento di esitazione, si decise a parlare.
-Sei un folletto?-
Lui l’aveva guardata, con quegli occhi blu come l’oceano, rattristandosi leggermente.
-È per le orecchie, vero? Anche a scuola mi prendono tutti in giro-
-A me piacciono! Te l’ho chiesto perché mi sembravi una creatura magica, come quelle delle favole!- lo aveva quasi gridato. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma sapere che qualcuno aveva osato dire delle cattiverie su di lui solo per quelle sue orecchie buffe, l’aveva infastidita.
La rabbia sciamò via, appena quello strano bambino le rispose con un sorriso riconoscente.
Si sistemò la gonnellina, quindi s’inginocchiò di fronte a lui.
-Perché non ti ho mai visto, qui?-
-Oggi il mio papà non poteva venirmi a prendere, allora quella signora mi ha portato qui. Dice che posso aspettarlo finchè non torna- spiegò il piccolo, indicando una donna dai capelli castani, lunghi fino ai fianchi.
-Quella è la mia mamma, è buona, sai? Se vuoi, mentre aspettiamo, posso farti vedere i cavalli-
Lui s’illuminò.
-Tu hai dei cavalli?-
La bambina annuì, alzandosi in piedi con un saltello.
-Ce ne sono tanti in quei box! Papà dice che un giorno ne avrò uno tutto mio!-
I due rimasero per un bel pezzo ad osservare quelle magnifiche e maestose creature, che ricordavano loro paesaggi incantati e leggende di fate, principesse, draghi e tanto altro ancora.
-Perché eri triste?- chiese improvvisamente la bambina, mentre con la mano lisciava il muso di un destriero dal manto corvino.
-Il mio papà non ha mai fatto tardi a scuola. E se poi non viene più a prendermi?-
La piccola gli diede un pizzicotto, gonfiando le guance con fare arrabbiato.
-Non devi pensare certe cose del tuo papà! Lui verrà sicuramente a prenderti! E se non dovesse farlo, puoi sempre diventare il mio fratellino! A proposito! Io sono Freya-
Il bambino sorrise raggiante, per la prima volta in quel lungo pomeriggio di settembre.
-E io Merlin!-
Freya gli si avvicinò, gli occhi castani illuminati dal sole o, forse, dalla gioia di aver conosciuto un nuovo amico. Quando fu abbastanza vicina a lui, si chinò leggermente e posò un bacio sulla guancia nivea di Merlin.
-Vuoi essere mio amico?-
-Sì!- annuì convinto.
-Allora possiamo giocare insieme, vero? Per favore, la mia mamma e il mio papà non hanno mai il tempo per farlo- lo supplicò.
-Allora facciamo che tu sei la principessa!- suggerì Merlin. Nella sua fantasia, il maglioncino e la gonna della bimba vennero immediatamente sostituiti da un ben più consono abito da cortigiana, elegante e sfarzoso. Era assolutamente perfetto per i lineamenti esili della bambina.
-E tu sei il mio principe! E mi salvi con un cavallo bianco!- proseguì lei, animata dalla stessa immaginazione del coetaneo.
-Ma questo è nero!- protestò.
-Perché è sporco, ma quando arriviamo a palazzo lo laviamo!- rispose Freya, con ovvietà.
I piccoli si scambiarono uno sguardo e scoppiarono a ridere.
 
-Avrei tanto desiderato che le cose restassero così per sempre. Mi dispiace, Merlin. Devo farlo. Non ho altra scelta, capisci?-
Il ventitreenne guardava Freya con aria assente. Gli occhi spenti, la bocca dischiusa in un misero tentativo di dire qualcosa, di fermare quella follia. Ma non ci riuscì. La ragazza che da anni considerava una sorellina, improvvisamente, appariva come una sconosciuta.
In un momento, venne colto dalla consapevolezza che tutto stava per finire. Il suo mondo era stato sconvolto troppo velocemente, crollato a pezzi in pochi secondi.
Incredulo, appena venne colpito dall’oggetto che la giovane teneva in mano, cadde all’indietro, mentre la ragazza spariva dal suo campo visivo, che lentamente si offuscava.
Il respiro mozzato, l’aria si rifiutava di raggiungere i polmoni, nonostante la leggera brezza che gli carezzava il viso. Si sentiva solo, ora più che mai.
Un solo, flebile nome uscì dalle sue labbra, lo stesso che lo aveva tormentato in quei giorni d’inferno.
Il nome di una persona di cui non poteva più fare a meno.
“Arthur”.
 

*** 
 

La sveglia trillò squillante, puntuale come ogni mattina, con l’intenzione di tirar giù dal letto un riluttante ragazzo: Arthur Pendragon, ventiquattro anni, biondo, occhi azzurro cielo. Figlio di Uther Pendragon, da alcuni giorni commissario della polizia locale di Guilford*, il giovane in questione era stato addestrato sin da piccolo a risolvere i casi più complicati. Attualmente lavorava presso lo stesso dipartimento del padre, come ispettore.
Amava parecchie cose, tra cui esercitare il proprio fascino sulle belle ragazze e compiacersene, i giorni di riposo e le focaccine ripiene di crema alla nocciola, oppure il pollo allo spiedo.
Non sopportava le beffe e il carattere eccessivamente civettuolo della sorellastra. Questa era una delle tante ragioni per cui aveva cercato un appartamento vicino al commissariato ma distante da quell’arpia e dalla sua nevrotica madre, Katrina. Odiava le ingiustizie e detestava i lecchini, ma spesso aveva a che fare con essi, sia per la propria posizione sia per quella del padre, che rendevano entrambi temuti e rispettati nonostante il biondo desiderasse essere considerato un “comune mortale”. Ovviamente, le circostanze cambiavano, se poteva approfittare del proprio nome per farsi servire e riverire. In fondo, poteva anche essere divertente delegare qualche mansione.
Disponeva di poco tempo libero, ma quando capitava l’occasione, amava giocare ai videogame o andare in palestra per tenersi in forma.
Borioso, arrogante, capriccioso e orgoglioso. Ma anche altruista, generoso, giusto e pronto ad ammettere i propri errori.
Insomma, un controsenso umano!
L’ispettore sbadigliò, stiracchiandosi tra le lenzuola, desideroso di rimanervi ma impossibilitato a farlo. Aprì pigramente gli occhi, posandoli sul letto alla sua sinistra. Del coinquilino non c’era nessuna traccia, le lenzuola non erano state nemmeno toccate.
Sbuffò, alzandosi controvoglia dal confortevole giaciglio, non propriamente pronto per affrontare una nuova, tremenda giornata al commissariato. Percorse in catalessi il corridoio, sbadigliando un altro paio di volte ma si svegliò completamente quando vide un ragazzo moro in piedi di fronte al lavandino della cucina.
Merlin Emrys, ventitre anni, capelli corvini e iridi blu come l’oceano, sorriso dolce e orecchie “assurde”. Così le definiva Arthur: il biondo le avrebbe paragonate a quelle di un esserino uscito da chissà quale favola per bambini. In effetti, sotto l’apparenza di idiota goffo e imbranato, l’ispettore percepiva un alone di mistero intorno al coinquilino e spesso si chiedeva se sarebbe mai riuscito a comprenderlo pienamente.
 Sapeva poche cose di lui: i suoi genitori, Belinor e Hunith, possedevano una piccola azienda agricola e gestivano il maneggio Wildwoods** a est della città. Il moro vi era cresciuto fino all’anno prima, quando si era trasferito nell’attuale appartamento perché a metà strada tra il maneggio e l’università, dove frequentava il corso di medicina, sperando di diventare veterinario. Aveva anche una sorella adottiva, Freya. Una ragazza carina ma piuttosto timida
Amava gli animali, in particolare i cavalli. Era persino vegetariano, quindi il biondo si divertiva un mondo a fingere di dimenticarlo e offrendogli, tutte le volte che poteva, ogni sorta di carne. Altra cosa che il moro adorava, era l’impicciarsi degli affari del biondo, spesso facendogli notare cose che, per orgoglio, Arthur non stava mai ad ascoltare. Nove volte su dieci, l’ispettore era poi costretto ad ammettere di essersi sbagliato.
Piatto preferito: la torta salata di suo padre.
Odiava i giorni che precedevano gli esami e le situazioni soffocanti.
Anche lui disponeva di poco tempo libero, ma ogni volta che ne aveva l’opportunità adorava leggere sul terrazzo o camminare all’aria aperta.
Goffo e maldestro aveva portato una ventata di allegria nella vita del biondo, che nonostante i continui battibecchi lo considerava, pur non ammettendolo mai apertamente col diretto interessato, un vero amico.
Arthur notò immediatamente che il coinquilino non era vispo e pimpante come al solito: un paio di profonde occhiaie facevano bella mostra di sé sul viso magro. I capelli scompigliati e l’espressione stravolta erano una palese prova del fatto che, per l’ennesima notte, non avesse chiuso occhio.
-Dovresti ricordarti di dormire, ogni tanto- commentò, aprendo la dispensa per afferrare ogni schifezza possibile per la loro colazione.
-Sai, ormai credo che i miei occhi restino aperti per inerzia. Parola mia, mi basterebbe superare l’esame col diciotto, pur di non vedere più il professore di chimica!-
Il biondo ridacchiò, pensando che, in effetti, non invidiava affatto l’amico. In condizioni normali lo avrebbe punzecchiato un po’, ma ora era davvero troppo assonnato e quel poverino di Merlin assolutamente troppo vulnerabile perché potesse davvero trovare gusto nel farsi beffe di lui. Quindi optò per una rara manifestazione di gentilezza.
-Resisti fino a mezzogiorno, allora. E dormi un po’, altrimenti ti appisolerai durante l’interrogazione-
-Non se ne parla!- Merlin scattò su come una molla, come se l’ispettore avesse appena detto un’eresia. –E se non riuscissi a svegliarmi? Se recandomi all’esame non riuscissi ad evitare un sasso appuntito, per la fretta e mi si forasse una ruota della bici? Dovrei rimandare l’esame a settembre, non posso farlo! Devo essere in università per le undici, dobbiamo rispondere all’appello, altrimenti salterò il turno e dovrò corrodermi nell’ansia mentre gli altri verranno interrogati al posto mio. E quando toccherà a me, i professori saranno così stanchi da considerare sbagliata ogni risposta che darò, quindi tutta la fatica fatta fin’ora  sarà stata inutile! Capisci?-
Arthur gli rivolse un’occhiata basita: i livelli di isteria del suo coinquilino avevano davvero raggiunto le stelle in quell’ultima settimana, evento più unico che raro, considerando che Merlin era la pazienza fatta persona. Evidentemente, questo esame lo stava davvero devastando.
-Merlin, calmati...- il biondo scosse il capo, trattenendosi a stento dal chiedere all’amico se per caso non volesse una camomilla: il moro lo avrebbe sbranato. –Hai studiato quei libri per mesi, non c’è fenolo o benzene che tu non conosca, anche se personalmente non vorrei mai incontrarne uno per strada. Sapresti eseguire una nomenclatura a occhi chiusi! L’esame andrà benissimo e tornerai a casa con un trenta, come sempre, devi solo essere ottimista!-
Merlin sbuffò rassegnato, prima di abbozzare un dolcissimo sorriso. I suoi occhi blu si illuminarono: Arthur aveva dei modi davvero strani per tirargli su il morale, ma riusciva sempre nel suo intento, magicamente.
-Grazie, asino-
-Preparami la colazione, secchione. Devo andare subito in commissariato per finire il rapporto sul caso Mallory- borbottò il più grande, afferrando svogliatamente un biscotto scuro e contemplandolo schizzinoso, prima di assaggiarlo. La sua prima reazione fu una faccia disgustata. –Che cos’è questa roba?-
-Ah, quelli sono i biscotti alla crusca, li manda mia madre- rispose il moro distrattamente, mentre armeggiava con pentolino e bustine di tè.
Arthur decise di astenersi dal commentare: non voleva offendere le doti culinarie di Hunith. Quella donna era una vera salutista, utilizzava solo prodotti naturali per le sue ricette, meglio ancora se coltivati nel proprio orto. Ma alcune pietanze erano davvero immangiabili per lui, abituato a cibi raffinati e soprattutto molto conditi.
Tanto, riusciva sempre a smaltire ogni cosa, quindi perché preoccuparsi?
Merlin infilò i guanti da cucina, aprì il forno e ne tirò fuori una meravigliosa focaccia: il profumo inebriò l’olfatto dell’ispettore, ricordandogli per quale motivo non avesse cacciato di casa il moro, nonostante la sua goffaggine e propensione a cacciarsi nei guai.
Il profumo di pane o focaccine calde lo svegliava ogni mattina donandogli il buonumore e facendogli perdonare qualsiasi pasticcio.
-A proposito!- Merlin tagliò una fetta abbondante di focaccia, porgendola al coinquilino che la afferrò impaziente di assaggiarla, non prima di aver spalmato su di essa una buona dose di crema alle nocciole. –Oggi pomeriggio, quando avrò terminato l’esame andrò al maneggio di mio padre. Sai, devo dargli una mano, ormai siamo a maggio ed è ora di mettere l’erba ad essiccare per la maggese, ma i miei saranno senz’altro troppo presi dalle selezioni della contea per farlo da soli.-
Il biondo, per poco non si strozzò e l’amico, preoccupato, gli versò velocemente una tazza di tè caldo. Purtroppo, nella fretta ne rovesciò una parte sui pantaloni dell’ispettore, che gridò di dolore.
-Merlin! Insomma, vuoi stare più attento? Brucia!-
-Mi dispiace, davvero-
-Sei il solito idiota! Dà qua- il biondo afferrò lo strofinaccio che l’altro ragazzo gli porgeva, alzando gli occhi al cielo, esasperato. –Comunque non credo sia una buona idea-
Il moro spalancò gli occhi blu, confuso.
-Secondo me ti addormenterai sul manubrio- spiegò, approfittandone per prenderlo in giro. Quando vide in coinquilino sorridere compiaciuto, si domandò cosa stesse pensando.
-Arthur Pendragon, vi state preoccupando per me?- domandò, retorico.
-Io mi preoccupo per me!- ribatté prontamente il biondo. –Qualcuno ti porterebbe in commissariato con l’etichetta “oggetti smarriti” e prima di poterti ritirare dovrei compilare un mucchio di scartoffie, sarebbe una seccatura!-
Merlin scosse il capo, divertito, prima di allontanarsi in direzione del bagno. La sua voce raggiunse l’ispettore dal corridoio.
-Lascia stare i piatti, li laverò dopo-
-Non avevo alcuna intenzione di farlo- precisò il biondo, sorseggiando placidamente la sua tazza di tè e spalmando un’altra abbondante dose di crema sulla sua focaccia.
 
Un ragazzo di colore osservò nervosamente il semaforo rosso, ticchettando con il piede sull’asfalto, impaziente. Elyan White, venticinque anni, moro, occhi castani. Suo padre era morto un paio d’anni prima e da allora aveva cercato di mettere la testa a posto per il bene della sua sorellina, rinunciando a frequentare le compagnie discutibili che, comunque, non gli mancavano. Ora lavorava insieme alla ragazza nel negozio lasciatogli dal padre, il “Break Time”.
Amava la sua nuova vita: aveva conosciuto tante persone degne di stima e lavorare nella ristorazione gli consentiva di stare a contatto con moltissimi ragazzi della sua età. Adorava Gwen, sua sorella, anche se spesso si dimenticava di dimostrarlo. In compenso, sapeva sempre farle tornare il buonumore quando le sue storie d’amore finivano. Cosa che, purtroppo, accadeva molto spesso, visto che lei non sapeva proprio decidersi. Fortunatamente, da un po’ di tempo, sembrava aver finalmente trovato il ragazzo in grado di farle perdere la testa. Quando Elyan aveva scoperto che il ragazzo in questione era uno sbirro, per poco non era svenuto tra le fette di prosciutto imbrattate di maionese, ingredienti fondamentali per il suo panino preferito, in particolare se accompagnati da insalata fresca.
Odiava le persone che si arrendono in partenza, senza nemmeno fare un tentativo. Alcuni anni prima, anche lui era tra queste, poi aveva capito che, se lo si desidera veramente, voltar pagina non era un’impresa impossibile.
Si alzava sempre la mattina presto, per fare un paio d’ore di corsa e di recente aveva conosciuto dei ragazzi che si davano appuntamento per studiare break dance, quindi di tanto in tanto, si allenava con loro la sera. Se aveva qualche ora libera, spesso la trascorreva semplicemente oziando e facendo zapping comodamente seduto sul divano.
L’incoscienza e l’impulsività erano i suoi maggiori difetti, che la sorella non esitava a criticare in ogni circostanza. Ma sapeva essere anche premuroso e protettivo. Indubbiamente tenace e scaltro, sapeva tirarsi fuori dagli impicci con facilità.
Anche se dubitava di riuscirci anche quella mattina: Gwen lo avrebbe ucciso con una mannaia per il ritardo stratosferico.  Quando entrò in negozio, trovò una piccola folla di studenti già radunati davanti al bancone; aguzzò la vista, per vedere oltre l’esposizione di brioche, piadine e panini, notando così che la sua cara Gwen, stava andando in panico. L’ulteriore prova, fu lo sguardo che lanciò al ragazzo di colore, come se avesse appena assistito all’apparizione della Madonna.
Aveva la carnagione e i capelli più chiari rispetto al fratello, ma gli occhi erano del medesimo colore. Lavorava in quel locale insieme a lui ed era quindi costretta a frequentare una scuola serale per proseguire gli studi. Poteva apparire una ragazza assolutamente ordinaria. Ma la nobiltà del suo animo era una qualità davvero rara da trovare, nelle sue coetanee.
Nonostante le mille delusioni che le aveva procurato, adorava Elyan ed ora poteva dirsi orgogliosa di lui, tralasciando i battibecchi in cui spesso andavano a cozzare. Per sua sfortuna, il ragazzo sapeva sempre come spuntarla e farsi quindi perdonare, conoscendo il suo punto debole: i plumcake ai mirtilli.
Odiava le prepotenze, i bulli e la sporcizia. La sua era una vera e propria fissa: tutto doveva essere pulito, splendete e possibilmente profumato.
Sincera, schietta, pratica e responsabile era però una frana nelle sue relazioni, instabili e poco durature.
-Elyan, ma dov’eri finito? Muoviti, non posso fare sempre tutto da sola!- la giovane gli lanciò un grembiule, prima di correre ad affettare del prosciutto per una ragazza del terzo anno.
I due avevano aperto una caffetteria-piadineria da pochi anni, ma gli affari andavano a gonfie vele, grazie alla posizione estremamente favorevole: a pochi metri di distanza c’era un college e spesso gli studenti si davano appuntamento prima dell’inizio delle lezioni per la colazione o all’ora di pranzo, per ristorarsi prima di fare un giro in centro o correre a casa per fare i compiti. Qualcuno ordinava anche delle piadine per l’intervallo, quindi avevano sempre un mucchio di faccende da sbrigare.
-Un cornetto alla marmellata!-
-Per me alla crema e una ciambella, senza glassa. Oh! E una sprite!-
-Una piadina piccola primavera, da portar via!-
-Ehi, tu col cappellino! Rispetta la fila!- Elyan guardò truce un ragazzo del primo anno, che tentava di fare il furbo, spintonando due ragazze.
Gwen sbuffò. Suo fratello era il solito: sperava di far colpo sulle ragazze, anche a costo di cacciarsi nei guai.
-Se i bulli ti prendono a pugni, non voglio saperne niente- sbottò, acida, guardando torva il fratello maggiore, che piagnucolò, alzando le spalle, sostenendo che, semplicemente, odiava chi faceva baccano nel proprio negozio.
La discussione andò avanti finchè un silenzio innaturale cadde nel locale: tutti gli studenti fissavano ammutoliti il capo indiscusso della scuola, Cenred e la sua bellissima, quanto altezzosa ragazza, Morgause. Elyan era assolutamente certo che quei due fossero una coppia perfetta: lui un imbecille borioso e lei una megera collerica e vendicativa. Gwen non poteva sopportare la loro presenza, ma essendo clienti, si vedeva costretta a servirli con un sorriso cordiale e una pazienza da santa.
Eppure, si trovò involontariamente a storcere il naso e una smorfia sfuggì al suo proverbiale controllo, costatando che i due non avevano alcuna intenzione di rispettare il proprio turno.
-Vi pregherei di mettervi fila- fece loro notare, spazientita.
Cenred guardò divertito Morgause, che scoppiò a ridere; avanzò verso Gwen, facendo ondeggiare i fianchi ed i lunghi capelli, biondi e mossi, puntando gli occhi castani in quelli della ragazza mulatta, con aria di sfida. Bella, sfrontata e sicura di sé.
-Vogliamo due focacce farcite, e che siano calde. Poi una brioche alla marmellata e una al cioccolato. Non scordarti delle bibite: una fanta e una coca cola-
Elyan non poteva resistere oltre a quella scena.
-Ma chi vi credete di essere? Quei ragazzi sono arrivati prima di voi, quindi ora aspetterete!- gridò, indignato davanti a una simile prepotenza. Che diamine, quello era il loro locale, non il college e quei due bulletti da strapazzo non avrebbero certamente dettato legge nel negozio che aveva tanto faticosamente mantenuto aperto con la sorella.
Nel sentirlo, la ragazza si portò le mani alla bocca, preoccupata: era assolutamente certa che ora Cenred avrebbe picchiato suo fratello. Il moro, in effetti si stava già avvicinando al bancone, pronto a menare le mani, ma venne bloccato da una mano forte e decisa.
-Calmati, amico. Sai, credo che prima di tutto dovresti fare lo scontrino. Alla cassa-
Il bullo si voltò iroso, per scoprire che il folle che aveva osato bloccarlo, era un ragazzo dai capelli castani, un principio di barba, la camicia fuori dai jeans logori. Osservò di sfuggita il ciondolo a forma di mezza luna argentata e l’anello d’oro che pendevano dalla collana, oltre ai vari braccialetti tribali, visibili grazie alle maniche tirate su.
Alzò un sopracciglio, infastidito per una simile dimostrazione di irriverenza.
-Chi diavolo saresti?- domandò, scocciato e già pronto ad aggredire il nuovo arrivato.
Il castano si limitò a stringere maggiormente la presa, ruotando poi il polso in modo tale da bloccare Cenred tra il proprio corpo e il bancone.
-Non credo che tu lo voglia davvero sapere-
Il moro si liberò dalla presa, dandogli una gomitata nel costato, che costrinse l’altro a piegarsi per il dolore. Il bullo cercò di colpirlo nuovamente, ma il castano fu veloce a scansare l’attacco e spostandosi rapidamente di lato andò a scontrarsi con la bionda, che lo fissò schifata.
-Ehi, bellezza! Non sarebbe ora di lasciar perdere quel babbuino e dare un appuntamento allo splendente sottoscritto?- il suo sorriso intraprendente si gelò quando fu costretto a indietreggiare per evitare un calcio nei “piani bassi”. –Ehy, che caratterino! Pensandoci bene, non credo che tu sia il mio tipo. Troppo violenta-
Di lì a poco si scatenò un putiferio: lattine che volavano, persone che scivolavano, ragazzi che facevano a botte, altri che spingevano terrorizzati per tentare di uscire dal locale. Gwen si era rintanata dietro il bancone con alcune clienti e di tanto in tanto passava degli oggetti afferrati a caso al fratello, oltre la vetrina. Per lo più si trattava di formine di rame, per i dolci: non avrebbe mai immaginato che, un giorno, li avrebbero utilizzati in quel modo e se glielo avessero predetto, avrebbe certamente rinunciato ad aprire una caffetteria.
Passando una bottiglia d’acqua a Gwaine, il ragazzo castano, notò che Morgause abbandonava il locale a dir poco stizzita, con una grossa macchia di coca cola sul maglioncino e dell’insalata tra i capelli, probabilmente residuo di un panino che qualcuno doveva averle lanciato addosso nella baraonda. La sua espressione era il ritratto dell’odio e la mulatta ringraziò il cielo di non essere lo sventurato che aveva osato farle un simile affronto.
In quella baruffa, Gwaine era riuscito a rifarsi per i colpi incassati ed ora li stava restituendo con gli interessi. Cenred sembrava quasi un ragazzino alla prima rissa e il castano iniziava a stufarsi: se inizialmente gli era sembrata una situazione disperata ed era intervenuto per salvare Elyan e Gwen, ora si stava decisamente annoiando, poiché il moro non gli stava dando alcuna soddisfazione.
Quindi, lo scaraventò fuori dal locale, ammonendolo.
-Se ti becco ancora una volta a far casino nel locale dei miei amici, non sarò così clemente- disse solenne, scuotendo il capo per scostare un fastidioso ciuffo dagli occhi.
-Te la farò pagare!- sbottò il bullo, digrignando i denti con fare vendicativo.
-Direi che hai già fatto abbastanza: rissa, minacce e per finire in bellezza, aggressione a un pubblico ufficiale, che sarei io. Se vuoi un consiglio da amico, sparirei, prima che il mio collega si accorga di quello che è successo-
Solo allora Cenred voltò il capo, notando così una volante della polizia parcheggiata poco distante. Sulla vettura un solo ragazzo, con i capelli corti, castani, intento a leggere un quotidiano. A quella vista, il bullo si alzò, incespicando, affrettandosi ad allontanarsi dalla piadineria sotto gli sguardi entusiasti della piccola folla di studenti ammaccati.
Gwaine Orkney, ventiquattro anni, chioma fluente castana e occhi nocciola. Viceispettore al commissariato di Guilford, non poteva fare a meno di gettarsi a capofitto nelle imprese disperate: erano una sorta di calamita, per lui. Adorava trascorrere le serate precedenti il suo giorno libero nei pub, con gli amici, nonostante fosse costretto a trattenersi con gli alcolici.
Detestava le prepotenze e gli abusi di potere.
Allegro per natura, spirito libero, indipendente e intraprendente, donnaiolo sfortunato ma amico sincero. 
-Elyan, un irish coffee normale e uno con caramello. Ora vado di fretta, quindi mettili pure sul mio conto, saldo a fine mese- sorrise, soddisfatto: si era svegliato solo da due ore ed aveva già compiuto la sua buona azione quotidiana.
Il ragazzo di colore annuì, facendo cenno alla sorella di preparargli una busta, in cui sistemò i due bicchieri con la bevanda, prima di porgerla al loro cliente fisso. In altre circostanze avrebbe certamente fatto storie, visto che Gwaine aveva approfittato del trambusto per saltare la fila (ebbene sì, era fissato. Si trattava di una questione di principio!) ma dato che l’aveva appena salvato dall’ennesima rissa, poteva chiudere un occhio. In fondo, anche gli altri studenti sembravano non aver nulla da ridire: grazie al castano, Cenred aveva finalmente ricevuto una sonora lezione e per un po’ non avrebbe alzato la cresta.
-Chi è il tuo partner, oggi?- domandò curiosa Gwen, lanciando un’occhiata vispa al castano.
-Spiacente per te, principessa- rispose questi, afferrando la busta che Elyan gli stava porgendo. –Non è il tuo amato Lance, ma se vuoi posso dargli un bacio da parte tua, quando arriverò in commissariato-
-Non credo che Lancelot sarebbe felice, ricevendo un tuo bacio!- il ragazzo di colore scoppiò a ridere, prendendolo in giro.
-Ma che hai capito? Era una scusa per farmene dare uno da tua sorella- sbuffò Gwaine, con una smorfia al solo pensiero di baciare il collega.
-Sparisci dal mio locale, prima che ti faccia arrestare per molestie- Elyan si finse minaccioso, scuotendo divertito il capo al gesto di resa dell’amico, che si dileguò con i caffè sotto gli sguardi ilari di tutti i presenti. 
L’agente Perceval, totalmente ignaro del trambusto che si era scatenato nel locale a pochi metri di distanza da lui, ringraziò il collega con un sorriso, prima di sorseggiare il suo caffè e mettere in moto la macchina dopo aver riposto il bicchiere nel porta bibite.
 
Morgana osservò per un momento la sveglia, senza vederla realmente: anche quella notte non era riuscita a chiudere occhio, per colpa degli incubi. Appena i suoi neuroni si misero in moto, inviando l’immagine delle lancette al cervello facendole così realizzare che ora fosse, la giovane cacciò un grido spaventoso.
Scattò in piedi con una spinta forse eccessiva, che rischiò di farla cadere distesa sul tappeto ma riuscì a mantenersi in equilibrio, correndo come una forsennata in bagno: se non si fosse data una mossa, avrebbe fatto tardi. Quello era un giorno molto speciale per lei e dopo le lezioni avrebbe partecipato alla selezione per i campionati regionali femminili di salto all’ostacolo, ormai prossimi. La settimana successiva, sarebbe toccato ai ragazzi.
Morgana le Fay, vent’anni, occhi verdi e capelli scuri dai riflessi ramati, lunghi e ondulati. Studentessa all’ultimo anno del college, si divertiva un mondo a punzecchiare e far infuriare il fratellastro, Arthur. Peccato se ne fosse andato di casa: senza di lui, le giornate potevano essere davvero lunghe e tediose. Per fortuna, grazie al patrigno, reperiva facilmente informazioni riguardo ai suoi turni di riposo, presentandosi spesso a casa del povero biondino senza preavviso anche perché, ultimamente, trovava davvero gratificante sfruttare il suo nuovo punto debole: il coinquilino. Era oltremodo divertente contare le sfumature di rosso che il suo volto poteva esibire, ogni volta che la ragazza insinuava quanto fossero carini insieme.
Amava studiare, andare in centro con le amiche per dedicarsi a un po’ di sano shopping, fare scherzi e battute maliziose; era l’unica persona sul pianeta in grado di tener testa a quel testone del patrigno, che stravedeva per lei.
Andava matta per la frutta, soprattutto per l’uva e le ciliegie.
Odiava la testardaggine di Uther, che spesso si impuntava su un’idea rifiutando di vedere altre opzioni e gli incubi che la tormentavano la notte.
Schietta, sicura di sé e intelligente, tendeva ad essere civettuola e indisponente. Ma con stile ed eleganza, uniti a un sorriso vispo e sguardo birichino, che la rendevano una rompiscatole adorabile.
Dopo essersi lavata e pettinata, legò i capelli in una comoda treccia ed afferrò lo zaino e il borsone, contenente la divisa che utilizzava durante gli allenamenti. Quindi, dopo aver controllato che la sua immagine fosse come sempre impeccabile, raggiunse il patrigno in cucina, trovandolo intento a sorseggiare un tè leggendo un giornale, come ogni mattina.
Uther Pendragon, quarantasette anni, capelli corti brizzolati e occhi azzurri tendenti al verde come la figliastra. Aveva prestato servizio a Scotland Yard per alcuni anni, ma da pochi giorni aveva ottenuto un trasferimento nella contea di Surrey, come commissario al distretto di Guilford e andava molto orgoglioso dell’operato dei suoi agenti, in particolare del figlio che, in sua assenza, era diventato ispettore.
La sua apparenza di uomo burbero era dovuta alla perdita della compianta moglie Ygraine, dopo la nascita di Arthur: quell’evento aveva segnato profondamente il commissario. A questo dolore si era poi aggiunto quello per la morte del suo carissimo amico Gorlois le Fay, padre di Morgana, morto in servizio: i due stavano inseguendo un assassino e quest’ultimo, durante una sparatoria, aveva ferito gravemente il collega, morto alcuni giorni dopo in ospedale. Prima di morire Gorlois, aveva affidato Morgana e sua moglie Katrina a Uther, chiedendo al commissario di prendersi cura di loro.
Quella bambina vivace e pestifera, crescendo, era diventata una delle sue ragioni di vita, ovviamente insieme a Arthur. Li amava, ogni suo gesto era volto a difenderli. Perfino il suo lavoro. Il commissario dava sempre il massimo per rendere la città più tranquilla e sicura possibile, soprattutto per il benessere dei suoi adorati figli, di cui andava estremamente fiero.
Ciò che desiderava più di qualunque altra cosa, era far sparire i malviventi dalla faccia della terra.
Severo, impulsivo, cocciuto e inflessibile, sapeva rivelarsi anche un padre dolce e premuroso, un punto di riferimento per i due ragazzi, sebbene i due fossero spesso contrari alle sue idee.
Sorrise gentilmente alla vista della giovane, porgendole un frollino alla marmellata che tanto adorava.
Lei rifiutò cordialmente, ricordandogli che era meglio non abbuffarsi prima di una gara.
Una durissima giornata di fatiche attendeva entrambi.
 
*L’Inghilterra è suddivisa in regioni a loro volta divise in contee; Guilford, il dipartimento di polizia citato nella fic, si trova nel Surrey, una contea della regione Sud-Est e confinante anche con Greater London (l’area metropolitana di Londra). Non ho voluto citare la più nota Scotland Yard per due motivi: primo, svolge per lo più ruoli amministrativi e, in secondo luogo, si trova nella contea di Greater London. Per ragioni paesaggistiche, ho preferito ambientare la storia nel Surrey, più verdeggiante (nonostante sia stata in pieno centro a Londra e non in questa contea ^^’ Mi sono comunque informata il più possibile, scoprendo, tra le altre cose, che il centro Epson Meteo si trova lì vicino XD).

**Il maneggio Wildwoods è realmente esistente, è abbastanza vicino a Guilford

 

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Capitolo 2
*** La caduta di Morgana ***



Vorrei ringraziarvi tutte, per averla letta: ne sono felice!
Un grazie particolare a chi ha commentato! *_* Grazie, grazie, GRAZIE!
Per Marta: Ecco la foto incriminata (tanto per stare in tema) del faccialibro ;) Ok è photoshoppata per le scritte (e ho aggiunto l'effetto) ma per il resto no...*_____* Ammoriiiiii!


41 di sangue

 
Capitolo 1:
La caduta di Morgana


 

Merlin uscì dall’università con un sorriso soddisfatto: non aveva ottenuto il trenta predetto da Arthur, ma non si sarebbe certamente lamentato per un ventotto. Inoltre, i docenti erano stati più clementi del previsto, trattenendoli solo un mezz’oretta a testa, salvo alcuni alunni in difficoltà, ai quali i professori avevano preferito porre qualche domanda in più per la conferma del voto. Fortunatamente, avevano seguito l’ordine del registro, quindi il moro era stato congedato in breve tempo.
Ora lo aspettava una bella pedalata fino alla periferia: doveva recarsi al maneggio gestito dai genitori, aveva promesso di dar loro una mano e poi voleva assolutamente accertarsi che Kilgarrah, il suo cavallo, stesse meglio, visto che da qualche tempo non sembrava essere molto in forma.
Purtroppo, non poteva prendere la metro: da quando era piccolo, il moro soffriva di claustrofobia. Anche in inverno, preferiva evitare ogni tipo di mezzi pubblici, specialmente se troppo affollati. In effetti, era terrorizzato anche dal buio. Sorprendentemente, il moro era riuscito a mantenere il segreto per un anno, senza che il coinquilino ne venisse a conoscenza: inizialmente lo aveva fatto perché assolutamente certo che Arthur non gli avrebbe dato un solo istante di tregua e che, se avesse saputo una cosa del genere, non avrebbe esitato a fargli ogni genere di scherzo, all’occasione. Conoscendo meglio il biondo, però, aveva capito che oltre ad essere un idiota senza limiti, sapeva essere anche un vero amico. Quindi ora, oltre a vergognarsi incredibilmente per il suo disturbo, Merlin aveva paura che l’ispettore si arrabbiasse; sapeva perfettamente che prima o poi la verità sarebbe saltata a galla e che più tardi questo fosse accaduto, peggiore sarebbe stata la reazione del giovane Pendragon. Ma non sapeva davvero come affrontare il discorso e aveva paura di essere preso in giro da lui, come se le sue fobie non gli avessero già creato abbastanza problemi in passato, con i suoi coetanei.
Sospirò affranto e dopo aver accantonato i pensieri, si armò di tanta pazienza, avviandosi verso la casa in cui aveva trascorso l’infanzia e l’intera adolescenza.
Arrivò a destinazione verso le due e un quarto del pomeriggio e si fiondò in cucina per bere qualcosa: la lunga corsa in bici sotto al sole lo aveva quasi disidratato. Avrebbe tanto desiderato dormire, sentiva le palpebre pesanti. Ma aveva promesso di rendersi utile, quindi avrebbe volentieri rinunciato, soprattutto conoscendo la situazione economica infelice dei genitori.
Di recente, le iscrizioni al maneggio erano calate, così come i corsi. C’erano state delle lamentele, anche se Merlin non ne comprendeva il motivo. I loro cavalli (eccezion fatta per il proprio) godevano tutti di ottima salute, i loro alloggi venivano ripuliti quotidianamente, avevano un ottimo veterinario a loro disposizione, che dava indicazioni riguardo le quantità raccomandate di cibo e somministrava eventuali medicinali, in caso di necessità. Avevano anche un ampio campo in cui galoppare liberi o allenarsi con i fantini.
Abbandonò la bicicletta alla parete, come faceva ogni volta, senza nemmeno assicurarla con il lucchetto: nessuno l’avrebbe rubata in un posto simile, tutti i dipendenti si conoscevano tra loro. Si voltò sulla destra, osservando per un momento i campi verdi ed inspirando a fondo il profumo dell’erba, chiudendo gli occhi per apprezzare maggiormente il fresco venticello sulla pelle.
Soddisfatto, decise che prima di iniziare a lavorare si sarebbe almeno concesso un bicchiere di latte fresco, così da ristorarsi per la lunga pedalata.
Spalancò la porta alla sua sinistra, poco più avanti rispetto alla parete cui aveva appoggiato la bici, ritrovandosi in un piccolo corridoio. Da qui, si poteva facilmente accedere alle cucine andando a destra, ai distributori del latte sulla sinistra o all’ampio cortile, semplicemente andando dritti e superando un’altra porta. Svoltò quindi a sinistra, tastando i pantaloni alla ricerca della chiavetta da inserire nel distributore: facendo parte dello staff, aveva la possibilità di prelevarlo gratuitamente.
Inserì l’oggetto nell’apposita fessura, quindi si allontanò un momento per afferrare un bicchiere di plastica dalla mensola all’ingresso della sala, per metterlo sulla grata. Premette il bottone per l’erogazione del latte e dopo qualche secondo, poté gustare la bevanda fresca.
- Merlin! Amico, che bello vederti!-
Il moro sobbalzò, ricevendo una pacca improvvisa sulla spalla e sputacchiò un sorso di latte, tossendo furiosamente: per poco non si era strozzato per lo spavento!
- Will, mi hai fatto prendere un colpo!-
L’amico d’infanzia del ragazzo e addetto alla mungitura, ridacchiò, prendendo in giro il moretto per come lo aveva appena visto “saltare in aria”. I suoi capelli castani, grazie alla luce del sole, si erano tinti di riflessi dorati.
I due parlarono del più e del meno per un po’ e Will si congratulò per il bel voto che l’amico aveva ottenuto proprio quella mattina.
- Will, per caso sai come sta Kilgarrah?- domandò quindi il moro, con gli occhi blu velati di preoccupazione.
L’altro scosse la testa, dispiaciuto.
-Non bene, amico. Chissà, magari vedendoti si calmerà un po’-
Merlin annuì, poco convinto: forse, il suo cavallo era così agitato per via delle imminenti gare di selezione per i campionati regionali.
-Se non ti spiace, vado a trovarlo. Se vedi i miei, digli pure che li raggiungo tra un momento-
-Hunith  è di sopra, ma tra poco raggiungeremo Belinor all’EDR, oggi ci sono le selezioni femminili. Ora che ci penso! Tuo padre mi aveva chiesto di avvisarti che ha rimandato la mietitura a domani e che puoi fermarti qui, stanotte.-
Merlin lo ringraziò. Almeno, così avrebbe potuto trascorrere un po’ di tempo con il suo cavallo; doveva semplicemente ricordarsi di inviare un messaggio al coinquilino per avvisarlo del fuori programma, così da non farlo preoccupare.
Eppure, c’era qualcosa che non tornava.
-Will, capisco che i miei genitori si debbano recare all’ippodromo, in rappresentanza del maneggio. Ma per quale motivo devi andare con loro?-
Il castano bofonchiò qualcosa, visibilmente imbarazzato.
-Non è che devo, però...Morgana mi ha invitato-
L’amico sorrise, sinceramente contento.
-Allora, quand’è che ti deciderai? Sareste una coppia bellissima!-
-Beh, in realtà noi...stiamo già insieme... -
Merlin, incredulo, lo rimproverò per non avergli riferito subito la bella notizia, ma poi si congratulò con lui.
Will sorrise e si congedò dall’amico, uscendo in cortile dalla porta di servizio, vicino al bancone dei gelati.
Merlin lo vide allontanarsi, mentre finiva di bere il suo latte e dopo aver gettato il bicchiere nel cestino, si affrettò a raggiungere i box dei cavalli: dal cortile svoltò a destra, costeggiando il locale in cui lavorava Will, proseguendo fino in fondo al porticato esterno fino ad arrivare alla sua destinazione.
Si alzò in punta di piedi, sporgendosi per cercare con lo sguardo il suo splendido purosangue inglese dal manto bruno e lo trovò in fondo al box, in un angolo. Appena il moro richiamò l’attenzione dell’animale, lo sentì nitrire. Kilgarrah trotterellò nella sua direzione, sporgendo il muso leggermente più scuro del corpo per ricevere le carezze del padroncino che sorrise raggiante: era felice ogni volta che vedeva il suo carissimo amico, soprattutto ora che era costretto a stare lontano da lui per frequentare i corsi scolastici. Forse, anche questo fattore contribuiva al malumore del destriero.
-Perdonami, Kil. Mi piacerebbe tantissimo fare una galoppata con te, ma non ora- restò ancora per qualche minuto ad accarezzare l’animale poi, notando le condizioni del suo giaciglio, pensò bene di doverlo sistemare. Aveva già trascurato troppo il suo cavallo e se avesse continuato così, avrebbe perso la sua fiducia. Poteva concedersi una mezz’oretta per sistemare il suo box e avendo a disposizione un’intera giornata, avrebbe messo a tacere la stanchezza per un sano allenamento. Si attrezzò con un forcone, per governare il cavallo, quindi iniziò a scostare la paglia di buona lena, riponendo quella sporca in una carriola. Il purosangue lo osservava, colpendolo con il muso di tanto in tanto, come per attirare la sua attenzione e Merlin ridacchiò, gli occhi luminosi. Gli era mancato.
Kilgarrah, o semplicemente Kil, era nato al maneggio nove anni prima e da allora, lui e il ragazzo ne avevano passate di tutti i colori, insieme. Grazie alla sua vicinanza, Merlin aveva in parte superato le sue incertezze, acquistando una maggiore autostima. Si fidavano l’uno dell’altro e il moro confidava al cavallo ogni sua preoccupazione, ansia ma anche le cose più frivole e divertenti.
Quindi, mentre riempiva la vasca dell’acqua, iniziò a parlargli di Arthur e di come lo stesse portando sull’orlo della pazzia con le sue pretese da “principino”: quello era ormai il suo argomento preferito, tanto che il cavallo nitrì divertito, come per prenderlo in giro.
I suoi occhi neri sembravano dire: “Certo, certo. Perché semplicemente, non ammetti che gli vuoi bene?”.
Ma il moro non poteva vederlo, quindi seguitava con i suoi sproloqui riguardo l’ispettore Pendragon, ai suoi capricci e le sue pretese, la sua scarsa gentilezza e la pressoché nulla considerazione per gli altri. Tutto inutile, Merlin aveva i nervi a fior di pelle e tutto per la discussione che i due avevano avuto poco prima che uscisse di casa.
Nemmeno ricordava la ragione, in effetti. Era una sciocchezza, senza dubbio, come sempre del resto.
Una volta scaricata tutta la tensione, Merlin sbuffò: arrabbiarsi con Arthur lo affaticava terribilmente e la cosa peggiore era che, per quanto il biondo fosse uno zuccone, il più giovane non sarebbe mai e poi mai riuscito a tenergli il muso per troppo tempo. Tutto per il suo buon cuore, ovviamente.
Abbandonò le sue preoccupazioni, concedendosi una piccola tregua per ammirare il piccolo capolavoro che aveva compiuto: il box del suo Kil sembrava nuovo di zecca e anche il proprietario nitrì soddisfatto, prima di ringraziarlo andandogli incontro con fare festoso.
Il moro sorrise: forse, i suoi genitori e Will esageravano. Il cavallo non gli era parso minimamente nervoso.
-Ehi, Kilgarrah! Ci aspetta una settimana intensa, dobbiamo allenarci per le selezioni. Vero che sarai in forma smagliante?- domandò, come se il purosangue potesse davvero rispondergli.
Lo vide trotterellare in tondo, impaziente di uscire dal box e questo lo rincuorò oltre ogni immaginazione.
 
Arthur entrò in commissariato con un diavolo per capello: la giornata era iniziata davvero troppo bene, per i suoi standard e, ovviamente, le cose non potevano proseguire idilliache a lungo.
Merlin aveva fatto una scenata solo perché l’ispettore si era scordato di far partire la lavatrice e come se non bastasse, per colpa di un vecchietto che gli aveva tagliato la strada, aveva rischiato di finire direttamente in ospedale! A causa dell’increscioso incidente, il poliziotto era arrivato a Guilford con un abbondante quarto d’ora di ritardo ed ora sarebbe stato costretto a sorbirsi le lamentele del commissario e le battutine irriverenti del viceispettore Orkney.
Senza ombra di dubbio, quell’idiota avrebbe insinuato che il biondo aveva tardato a causa di una fantomatica notte in bianco, trascorsa tra le braccia di chissà chi!
Da quando lui e Gwen si erano lasciati (aveva sorpreso la cara ragazza in questione con un suo sottoposto, in atteggiamenti che andavano ben oltre la semplice attrazione e perfino un cieco se ne sarebbe accorto perfettamente), non aveva avuto né il tempo né l’intenzione di gettarsi in un’altra avventura amorosa: anche se agli occhi degli altri poteva sembrare esagerato, Arthur aveva sinceramente sofferto per quell’inaspettato tradimento.
Il lavoro poi, lo teneva distante sia dalle compagnie che dagli eventi in cui avrebbe potuto conoscere l’anima gemella. Inoltre, come affermava il suo coinquilino, non sarebbe bastata una santa per sopportarlo. Forse, la Dea della Pazienza avrebbe avuto una qualche chance, ma una comune mortale si sarebbe certamente arresa dopo un paio di giorni.
Lancelot Lake, l’agente attualmente fidanzato con Gwen, gli scoccò un’occhiata preoccupata dalla propria postazione: quando il suo superiore era attorniato da quell’aura omicida, era consigliabile mantenersi a debita distanza. Aveva saggiato sulla propria pelle le conseguenze e non ci teneva affatto a ripetere tale esperienza.
L’ispettore maledì le strade, i semafori e i vecchietti al volante che non rispettavano il rosso. Lanciò un’occhiataccia all’addetto del centralino, che ricambiò vagamente incuriosito.
-Chiamami un carro attrezzi, Leon. La mia macchina è appena stata mutilata- borbottò acido entrando nel proprio ufficio, dove squadrò incredulo le scartoffie sulla scrivania. Non era possibile: le aveva sistemate solo il giorno prima. Sembrava quasi che un folletto dispettoso le avesse centuplicate e buttate alla rinfusa sul tavolo durante la notte. Odiava il lato burocratico del suo lavoro.
Sbuffò, lasciandosi ricadere sulla sedia girevole con aria stravolta. Quella giornata era iniziata male e stava continuando anche peggio! Ne era sempre più convinto e ne ebbe la conferma quando la faccia strafottente di Gwaine, fece capolino dalla porta.
-Ehi, ispettore! Perché hai lasciato a casa il cagnolino?- ecco l’irritante voce del vice ispettore Gwaine.
-Aveva un esame- sbottò il biondo, con fare spiccio, raggiungendo l’ufficio del commissario e sparendo oltre la porta.
“Cagnolino” era l’irritante quanto buffo appellativo che i suoi colleghi avevano affibbiato a Merlin. Inutile dire che tutti lo vezzeggiavano e coccolavano proprio come fosse stato un adorabile batuffolo scodinzolante. O meglio, un dispettoso batuffolo di pelo che faceva l’angioletto con tutti ma ringhiava solo contro il padroncino allo scopo di farlo infuriare, vista la tendenza del moro a ribattere con ironia sottile ad ogni commento di Arthur. Inoltre, trattandosi di un ragazzo dolce e mingherlino, tutti i suoi colleghi nel conoscerlo avevano immediatamente provato un accorato istinto di protezione nei suoi confronti, cosa che all’ispettore dava parecchio fastidio. Come se ne avesse bisogno! Quel ragazzo sapeva perfettamente difendersi con la sua linguaccia biforcuta! Chissà se avrebbe mai imparato a tenerla a bada... in fondo, questa sua caratteristica gli aveva procurato non pochi guai, tendenza da non prendere alla leggera: spesso, l’ispettore si chiedeva preoccupato se, per caso, l’amico non fosse un lontano discendente della Signora Fletcher.
Sospirò di sollievo nel trovare l’ufficio del padre vuoto, anche se non ricordava di essere stato avvisato di un simile ritardo.
Decise che nell’attesa avrebbe terminato il rapporto su Mallory: un semplice caso di suicidio. La signora in questione era piena di debiti ed aveva deciso di farla finita gettandosi dal balcone del suo palazzo.
Accese il computer, inserì la password ed aprì il file che aveva lasciato in sospeso la sera precedente, troppo stanco per proseguire. Proprio mentre si azzardava a scrivere la prima parola, la suoneria del suo cellulare riempì l’aria con “Vongola Mafia theme”.
Leggendo il nome sul display, per poco non cadde dalla sedia: perché mai Morgana lo stava cercando a quell’ora?
-Che vuoi di prima mattina, arpia? Non dovresti essere a scuola?- rispose alla sorellastra in modo brusco, suscitando l’irritazione della giovane.
-Pendragon, so perfettamente che te ne sei scordato. Ma per puro altruismo fingerò di credere che tu non l’abbia fatto di proposito e ti rinfrescherò la memoria, contento? Oggi pomeriggio...-
-Lo so, Morgana- la interruppe l’ispettore, ricordandosi solo in quel momento di dove potesse essere il padre: attendeva quell’evento da un mese, era prevedibile che si fosse recato sul posto con largo anticipo. –Alle 15.00 parteciperai alle selezioni regionali di salto agli ostacoli all’EDR* ed hai prenotato un biglietto anche per me, costringendomi così a presenziare alla tua noiosa gara-
Non poteva vederla, ma la mora spalancò gli occhi verdi, piacevolmente sorpresa.
-Mi meravigli, Pendragon, te ne sei ricordato. A cosa devo questo onore?- domandò, senza preoccuparsi di velare il tono ironico.
-Scherzi? Non mi perderei il piacere di vederti ruzzolare dalla sella per niente al mondo. Credo che sia la sola ragione per cui mi precipiterò all’ippodromo, oggi!-sghignazzò in risposta.
Ma la sorellastra non si lasciò scoraggiare.
-Allora continua a sognare, caro Pendragon. Perché io salirò sul podio!- Morgana sorrise raggiante, sicura di sé, riagganciando prima che l’ispettore potesse replicare qualcosa.
Per questo, il ragazzo si ritrovò costretto a fare smorfie indirizzate a un cellulare ormai muto, per sfogare l’irritazione. Ma gli bastarono pochi secondi per ridarsi contegno: doveva terminare il rapporto e rimettere tutto in ordine prima delle 14.00, se non voleva che la sorellastra lo mangiasse per cena, inviperita dalla sua assenza!
Le tre del pomeriggio arrivarono in fretta e gli spalti dell’EDR iniziavano ad essere davvero affollati; tra gli spettatori più entusiasti, c’erano il commissario Uther Pendragon, accompagnato dalla splendida moglie Katrina, impaziente di vedere la figlia al’opera. Di fianco a loro un riluttante Arthur.
In realtà, i concorsi ippici lo divertivano parecchio, ma il fatto che Morgana fosse candidata a diventare campionessa, cambiava leggermente le cose: per pura ostinazione avrebbe finto di annoiarsi a morte, così da poterla prendere in giro a gara ultimata, dicendole di non aver seguito le sue eccezionali prestazioni. La sorellastra poteva anche arrivare prima, ma lui non avrebbe mai ammesso a nessuno di essere molto orgoglioso di lei, dell’impegno che aveva messo nei preparativi, dei sacrifici fatti, della dedizione per i cavalli.
Comunque sapeva che la mora non ne avrebbe avuto bisogno: il loro rapporto era perfetto così.
Lontano dal simpatico gruppetto, un altro ragazzo seguiva gli ultimi preparativi con emozione crescente, impaziente di veder gareggiare, a loro insaputa, proprio Morgana. I capelli castani risplendevano, illuminati dal sole, così come il suo sorriso: era assolutamente certo che la sua cavallerizza preferita avrebbe superato il concorso per la selezione e che avrebbe quindi ottenuto facile accesso alle Young Riders** regionali.
Lo speaker annunciò l’imminente inizio della gara, seguito dalle ovazioni generali di spettatori entusiasti ed impazienti. Le partecipanti furono chiamate a presentarsi al banco della giuria, per le ultime formalità.
Quindi, la prima cavallerizza montò in sella, salutò i giudici e si avviò alla linea di start.
Lo speaker parlava senza sosta: ricordò a tutti di non oltrepassare il tempo limite, pena la squalificazione e che il superamento del tempo massimo avrebbe previsto delle penalità. Per ogni partecipante, ricordava i punti forti e le debolezze che erano state evidenziate durante la ricognizione del pomeriggio precedente, il nome del cavallo, la sua provenienza, l’ippodromo che rappresentavano...insomma, un vero portinaio!
Neanche si fosse trattato delle finali mondiali!
Arthur sbuffò, chiedendosi quanto sarebbe durata l’attesa: ci teneva a tornare al distretto prima di notte, avendo una montagna di lavoro da sbrigare.
Comunque, ben presto dimenticò il dovere: le ragazze erano tutte bravissime ed estremamente preparate, in particolar modo una giovane ventenne dai capelli biondi, di cui l’ispettore riuscì a registrare solamente il nome, ovattato in mezzo a urla generali capaci di far impallidire perfino la voce gracchiante del cronista: Morgause. La ragazza aveva ottenuto un percorso netto, ma mancavano ancora una decina di contendenti all’appello, tra cui Morgana.
Appena lo speaker nominò la sorellastra, Arthur rischiò di diventare sordo per colpa dei gridolini eccitati di Katrina, e desiderò di sparire dalla vergogna quando entrambi i genitori iniziarono a gridare a destra e a manca “È  mia figlia! Quella è la mia bambina!”, commossi.
Il misterioso ragazzo castano si voltò verso di lui, con aria comprensiva e gli sorrise, suscitando la curiosità dell’ispettore quando tornò a concentrarsi sulla competizione, esultando.
-Vai, Morgana! Vinci per noi!-
Arthur si chiese chi potesse essere. Un compagno di classe di sua sorella? No, troppo trasandato per il college esclusivo da lei frequentato. Forse era un suo ammiratore o un conoscente.
Intanto, la giovane concorrente aveva salutato la giuria, soddisfatta per le espressioni interessate che erano state rivolte alla sua cara Priscilla: senza dubbio era un bellissimo cavallo, bianco e dal portamento fiero. Inutile girarci intorno, era certa che avesse fatto colpo sulla commissione di gara.
Ringraziò l’allenatore, che l’aveva accompagnata al percorso occupandosi personalmente di sellare il destriero e trottò sicura di sé fino alla linea di start. Attese con il massimo della concentrazione il suono della campanella, quindi partì, decisa a conquistare le prime posizioni della classifica. Un lampo di determinazione negli occhi verdi.
Nessuno si era accorto della cinghia della sella, irreparabilmente rovinata da un taglio verticale e ormai prossima a spezzarsi.
Morgana saettò verso la prima barriera, superandola con scioltezza. Con la stessa destrezza superò un’altra barriera, la croce e due oxer.
Le mancava solamente il muro e Priscilla non aveva dato alcun segno di incertezza, né si era rifiutata di saltare. Ciò poteva significare solo una cosa: poteva ancora ottenere un punteggio netto come Morgause, magari battendola addirittura sul tempo.
Arrivò al galoppo davanti all’ostacolo.
Riuscì quasi a sentire l’istante in cui gli zoccoli del suo cavallo si staccarono dal suolo.
Erano in assetto perfetto, e il peso di Morgana bilanciato al massimo.
La ragazza sognò ad occhi aperti quello stesso ippodromo, quelle stesse persone alle regionali.
Poi, l’imprevisto.
Priscilla atterrò oltre il muro, con l’eleganza che l’aveva distinta per tutta la gara.
Morgana la vide, dall’alto e si domandò per quale assurda ragione lei non fosse in sella; gli spalti le vorticarono attorno, sfocati. Infine, sopraggiunse un sonoro “Crack”, seguito dall’istantaneo dolore alla gamba.
Uther sbiancò.
Katrina, che aveva coperto gli occhi con le mani, per non assistere all’imminente scena, rischiò di collassare appena vide la figlia a terra, intontita dalla caduta.
Arthur cercò di capire come arrivare in fretta sul campo, ma tutto ciò che notò guardandosi intorno, fu una sorta di saetta che zigzagava tra uno spettatore e l’altro. Pochi secondi dopo, riconobbe in quel lampo il castano che aveva tifato per la sorellastra: l’aveva prontamente raggiunta, offrendole il proprio appoggio e sostenendola fino a bordo campo in attesa del pronto soccorso. Doveva ammettere che il suo intervento era stato davvero tempestivo!
Si affrettò a seguirlo, deciso a veder chiaro in quella faccenda: nello scompiglio generale gli era parso di notare qualcosa di strano.
-Morgana!- richiamò la sorella, che si sforzò di mantenere un’apparenza scocciata per nascondere il lieve malessere.
-Sei contento ora? Sono caduta, come avevi gufato! Non ti inviterò mai più!- sbottò, per sfogare la delusione.
-Stai bene?- l’ispettore si avvicinò, sinceramente dispiaciuto. Lo dimostrava il fatto che avesse sorvolato sui modi scontrosi di Morgana, che sospirò triste.
-Credo di essermi slogata la caviglia e mi gira la testa. Però sto bene- poi rivolse le sue attenzioni al misterioso ragazzo, forzando un sorriso. –Non preoccuparti, Will, posso sempre provarci l’anno prossimo-
Il giovane sospirò, comprendendo perfettamente lo stato d’animo della fanciulla: si era impegnata tanto e ora si sforzava per non far preoccupare i suoi amici. Ma lui sapeva perfettamente come si sentiva.
-Ma cosa può essere successo? Il tuo salto mi sembrava perfetto, non capisco!-
-Lo so io-
Arthur intervenne, stringendo qualcosa in mano, mascherando l’ira con calma professionale.
-Le cinghie di Priscilla sono state tagliate. Non è stato un incidente, Morgana. Qualcuno ha cercato di spezzarti l’osso del collo!-
-Chi diavolo può aver fatto una cosa simile? È un miracolo che stia bene!- il suo coetaneo divenne paonazzo per la collera e l’ispettore intuì che doveva essere molto legato alla sorellastra. Ma avrebbe riservato le domande a un momento più opportuno. Ora doveva concentrarsi sul colpevole di quel tiro mancino. Scrutò la cavallerizza con fare indagatore.
-Morgana, chi ha sellato Priscilla?-
La giovane indugiò un momento, nonostante gli sguardi pressanti dei due; fu il diretto interessato a rispondere.
-Ho preparato io il cavallo-
Arthur si voltò verso l’uomo: un quarantenne con lunghi capelli mossi, grigi, raccolti in una coda bassa e abbigliamento da cow boy, con tanto di cappello.
-Lei è?-
-Belinor Emrys, sono il proprietario del maneggio Wildwoods e allenatore della signorina le Fay.-
Arthur rimase stranito per qualche secondo: Emrys non era un cognome molto diffuso, possibile che quell’uomo fosse imparentato con Merlin? Un’altra domanda da lasciare in sospeso.
-Ha reciso lei le cinghie?- domanda diretta.
-Certo che no! Non avevo motivo di farlo, Morgana è la mia studentessa migliore!- cercò di difendersi e Morgana annuì.
-Posso confermarlo, ero con lui quando ha sellato Priscilla, poi mi sono allontanata un attimo per parlare con Will-
Arthur fissò il coetaneo, che confermò le parole della ragazza. Quindi si rivolse nuovamente all’allenatore.
-E lei?-
-Io sono stato tutto il tempo con mia moglie, abbiamo chiacchierato con alcune conoscenze per fare pubblicità al nostro ranch-
-Bene, allora se non le spiace vorrei sentire anche la sua versione dei fatti. Per il momento credo sia meglio sospendere la gara, prima di assistere ad altri capitomboli-
Belinor sembrava dispiaciuto, ma non si oppose quando il biondo spiegò di essere un ispettore di polizia, mostrando il distintivo.
Nel frattempo, il commissario Uther li aveva raggiunti e dopo aver parlato con il figlio si affrettò a dare direttive alla commissione, affinché sospendessero la competizione. Lo speaker parlava concitato come sempre, spiegando la situazione augurandosi che gli spettatori non lo sommergessero di verdure marce. Grazie a un’abile manovra, portò la loro attenzione sul fitto mistero che si era creato: chi aveva cercato di uccidere la bella signorina le Fay?
L’inviato del giornale locale prese subito spunto dall’avvenimento e si affrettò a prendere appunti per il suo prossimo articolo.
Katrina piangeva inconsolabile, sulla gamba ferita della sua piccola, provocando una tremenda emicrania al povero ispettore, che sperò di poter tornare il più rapidamente possibile nel suo ufficio.
Suo padre, al contrario, era più che determinato a trovare il colpevole di quell’atto scellerato, entro tempi brevi; posò un bacio sulla fronte dell’adorata figliola, lasciandola alle amorevoli cure della moglie, poi si allontanò, prendendo da parte Arthur.
-Voglio che questo delinquente finisca in prigione. Hanno attentato alla vita di Morgana, per di più sotto ai nostri nasi! È un atto di insolenza nei confronti della polizia locale e l’artefice deve essere fermato. Non voglio che la gente pensi che simili scherzi restino impuniti, sono stato chiaro?-
-Agli ordini, commissario- Arthur rispose solenne e formale come sempre, quando si trattava di lavoro: avevano pattuito sin dall’arrivo di Uther a Guilford che si sarebbero comportati da padre e figlio solamente al di fuori del distretto e dagli obblighi che la loro divisa implicava o, al massimo, nei rispettivi giorni liberi.
Quindi riportò la sua attenzione su Will e Belinor, domandando loro se, per caso, avessero dei sospetti.
Belinor annuì.
-Guardatevi intorno. Questo ippodromo è pieno di ragazze ambiziose e disposte a tutto, pur di superare la selezione. Può darsi che tra loro ce ne sia una capace di ricorrere a metodi non proprio ortodossi-
Uther annuì, conscio della veridicità di quelle parole. Inoltre, conosceva bene il signor Emrys ed era sicuro che non avrebbe mai fatto una cosa simile alla sua allieva; senza contare che Wildwoods stava attraversando un periodo di crisi a causa delle poche iscrizioni e una campionessa come Morgana avrebbe certamente contribuito a fare ottima pubblicità al ranch, come esempio per i giovani appassionati di equitazione.
La moglie di Belinor accorse trafelata, attirando su di sé le attenzioni di tutti, in particolare del giovane Pendragon che trasalì nel riconoscerla. Non credeva ai propri occhi.
-Hunith?-
Anche la signora sgranò gli occhi, sorpresa.
- Arthur, tesoro! Cosa ci fai qui?- la donna gli corse incontro, abbracciandolo con fare materno, quasi scordando la ragione della sua folle corsa. I due iniziarono a chiacchierare del più e del meno, davanti agli attoniti presenti: un perplesso commissario e un incredulo marito.
-Sono così felice di vederti, sono corsa qui appena ho potuto, ero in fondo agli spalti. Per caso hai visto come sta Morgana? Poverina, sarà così dispiaciuta...- commentò la signora Emrys, visibilmente scossa. –Se solo sapessi quanto si è impegnata, quanto è portata. Quella brutta caduta non ci voleva proprio. Non se la meritava, è una ragazza d’oro!-
-Hunith, ti sorprenderà, ma a casa è un’arpia- ghignò Arthur, per smorzare la tensione.
-Ma come? La conosci?- la donna si stupì, ma il biondo non poteva biasimarla. In fondo, la giovane aveva mantenuto il cognome del padre.
-È la mia sorellastra, purtroppo- alzò gli occhi al cielo, esasperato al solo pensiero.
La donna rimase a bocca spalancata dopo quell’improvvisa rivelazione e non trovando parole, decise di cambiare argomento.
-E dimmi, caro. Come sta Merlin?-
Belinor intervenne nella conversazione.
-Ma allora tu sei il famoso Arthur! Devi perdonarmi, mia moglie mi aveva parlato di te, ma non avendoti mai visto non ti ho riconosciuto. Quindi Merlin è con te, ora!-
Il biondino lo rassicurò, scusandosi per aver dubitato di lui, poi rispose alla sua consorte.
-Sta bene. Oggi era un po’ agitato, in effetti. Sono certo che se lo avessi visto, Hunith...lo avresti trovato adorabile! Cavolo, avrei dovuto girargli un video col cellulare!-
Tutti risero, interrotti dalla furia di Uther.
-Qualcuno vuole spiegarmi? Arthur, come fai a conoscere Hunith se non hai mai frequentato il loro maneggio? E perché non mi hai detto di aver preso un gatto? Non eri allergico?- Uther era esploso, sentendosi escluso da quella conversazione: troppi elementi erano sfuggiti al suo controllo. Da dove era spuntato questo “Merlin”?
Belinor rise.
-Ma no, Uther. Merlin non è un gatto! Anche se in effetti un po’ gli somiglia-
-Infatti è un segugio. Mi segue ovunque- scherzò Arthur.
-Un segugio? E dov’è?- Uther era sempre più confuso.
-Aveva un esame, questa mattina. Ma credo che ora sia a casa- spiegò Hunith.
-Il tuo cane fa degli esami e torna a casa da solo?-
Arthur alzò gli occhi al cielo: possibile che il padre non avesse il minimo senso dell’umorismo?
-Stavo scherzando, ovviamente. Merlin è il figlio di Hunith-
Il commissario boccheggiò, incredulo.
-Pensavo che voi due aveste solo una figlia, Freya-
Belinor scosse il capo.
-Freya è la nostra figlia adottiva, è arrivata qui dopo la morte dei Greller, i suoi genitori naturali. Anche loro gestivano un maneggio. Forse ti sei confuso, essendo stato lontano da Guilford per molto tempo. Ma il nostro primogenito è Merlin, ha la stessa età di Arthur e frequenta l’Università di Medicina Veterinaria. Giusto, Ispettore?- l’uomo calcò divertito sul grado del ragazzo, che però non si offese.
Al contrario, sorrise e confermò tutto.
Uther lo guardò torvo.
-E tu come fai a conoscerlo?-
Arthur chiuse gli occhi, sperando pur sapendo di illudersi, che il padre non scatenasse un uragano dopo la sua semplice e schietta risposta.
-Viviamo insieme-
 
* Epsom Downs Racecourse, ippodromo nella contea di Surrey tra i più famosi al mondo.
**Gare Equestri (partecipanti di età compresa tra i 18 e i 21 anni)

Avviso:

Nel precedente captolo, mi è scappato un "adottivi" nel punto sbagliato, nella presentazione di Merlin. Ora, il paragrafo è stato modificato e corretto. Non volevo crear confusione, non me ne sono proprio accorta >__< Il problema è che, così facendo, ho invertito Merlin e Freya! E' Freya ad essere stata adottata, non Merlin. Mi scuso nuovamente per lo sbaglio >.<

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Capitolo 3
*** Strano presentimento ***



Ho appena finito di vedere la terza puntata; sono immensamente triste ç_ç
Morgana è stata...meglio che mi censuri (anche per evitare eventuali spoiler!). Ma l'avrei davvero strozzata.
ç_ç Povero, povero Merlin...
E neanche in questa fic mancherà la pazzia di qualche malato di mente (è proprio DESTINATO, eh!)


41 di sangue


Capitolo 2:
Strano presentimento

Il commissario Pendragon entrò in ufficio, invitando l’ispettore con un braccio teso. Il ragazzo lo seguì sbuffando, gemendo di fastidio quando la porta si richiuse violentemente alle sue spalle, urtandogli i poveri timpani.
-Vorresti degnarmi di una spiegazione, Arthur?- Uther era così fuori di sé da scordare il registro formale. –Pensavo fossi andato a vivere con Guinevere!-
In effetti, l’uomo non aveva tutti i torti ad inalberarsi in quel modo: suo figlio aveva fatto il diavolo a quattro, pur di andarsene di casa e convivere con la ragazza.
Adorabile, certo.
Affabile, senza alcun dubbio.
Educata come poche.
Ma il commissario e Katrina, da bravi genitori impiccioni,avevano notato con occhi vigili di civette notturne il piccolo anello argentato che la giovane mulatta teneva sempre con sé. Avevano avuto modo di osservarlo più volte, dal momento che lo teneva sempre appeso al collo con una catenina, con il pretesto che fosse troppo largo.
Ma in una notte buia e tempestosa (A dire il vero, era limpida e stellata ma Katrina amava ricordarla così. Perché contraddirla?), la signora le Fay lo aveva scrutato minuziosamente alla luce di una candela, mentre la ragazza dormiva. Aveva così scoperto, al suo interno, le iniziali di un fantomatico L.L.
Ora, perché mai Gwen portava al collo il pegno di un amore finito? Quella era certamente la prova evidente di un tradimento o, in ogni caso, di un amore indimenticato. Il suo istinto, a quanto pare, era ben sviluppato, visto che il misterioso ragazzo era poi tornato dai suoi studi all’estero, rivelandosi essere l’agente Lancelot Lake.
Ma questo, Arthur non lo avrebbe mai confessato. I problemi personali dovevano essere tenuti al di fuori del commissariato ed era certo che se il padre lo avesse saputo, uno dei suoi migliori agenti sarebbe stato congedato all’istante e ingiustamente.
-Ci siamo lasciati. Potremmo, per favore, non farne una tragedia?- l’ispettore sperò di cambiare in fretta argomento, sforzando al massimo la sua scarsa pazienza.
Al contrario, fu costretto a sorbirsi una lunga paternale: “dovresti ascoltare di più i tuoi genitori”, “siamo più esperti di te”, “abbiamo cercato di aprirti gli occhi” e bla, bla, bla.
Arthur aveva smesso di starlo a sentire, attendendo semplicemente che la smettesse: era uno dei consigli di Merlin. Gli sembrò quasi di vedere l’amico oltre la scrivania, che sorridente gli dava il prezioso suggerimento.
“Lascialo sfogare e quando si sarà calmato, ti darà ascolto”
Nella sua immaginazione, il moro fece un sorriso divertito, prima di aggiungere “A meno che non sia asino come te!”
A quella immaginaria presa in giro, alzò gli occhi al cielo: Merlin non cambiava mai!
Tornò con la mente alla realtà, giusto in tempo per sentire le ultime parole del genitore.
-Per l’amor del cielo, Arthur! Ma non vedi come ti sei ridotto, per colpa di quella ragazza? Ti ha davvero fatto perdere il senno!-
Decise di intervenire, prima che si facesse buio.
-Te l’ho detto, non è un dramma! Ho già trovato il modo di pagare ugualmente l’affitto, senza dover gravare sull’economia familiare. Tanto che tu e Katrina non ve ne siete neppure accorti. È vero, forse non ero destinato a stare con Gwen, ma Merlin è stato così carino da offrirsi di dividere le spese dell’appartamento con me e mi è stato vicino, quando ci siamo lasciati. Quindi non hai ragione di preoccuparti, sto bene!- protestò, irritato dal padre che, come sempre, esagerava.
-No che non stai bene! Non sei più tu, non ti riconosco! Arthur non si sarebbe mai gettato così in una relazione discutibile con un uomo! E poi stiamo parlando del figlio di Hunith, possibile che sia l’unico tra voi a preoccuparsi? Non pensavo che gli Emrys fossero così irresponsabili!-
L’ispettore trattenne a stento le risate per il ridicolo equivoco che si era venuto a creare: se avesse dato cenno di divertirsi per un abbaglio del padre, lo avrebbe solo fatto infuriare di più. Quindi si limitò a negare, col capo.
-Siamo solo coinquilini-
Uther parve calmarsi.
-Solo coinquilini? Puoi assicurarmelo?-
-Certo. Non potrei mai mettermi con un idiota simile è...è troppo imbranato! Siamo solo amici.- lo rassicurò, sperando che si fidasse e la smettesse con quella sceneggiata inutile.
Lui e Merlin.
Insieme.
Ah! Ridicolo!
Come aveva potuto pensare una cosa simile?
-Molto bene- il padre continuava a guardarlo scettico, tradendo le parole. –Ma ricorda che la prossima volta voglio essere informato, nel caso cambiassi coinquilino. Non è stato affatto piacevole-
Il commissario uscì dall’ufficio, ancora arrabbiato e Arthur si sbatté la mano in faccia, esasperato.
 
L’ispettore rientrò nel proprio appartamento verso le cinque del pomeriggio, iperteso.
Non aveva concluso praticamente nulla.
Nel tragitto quel deficiente di Orkney aveva continuato a tartassarlo di chiamate, ma Arthur non aveva risposto, certo che il viceispettore volesse semplicemente divertirsi prendendolo in giro per la sfuriata del “paparino”. Idiota.
Perché suo padre non aveva pensato a una cosa del genere? Era ovvio che dopo la divertente uscita sulla sua presunta relazione con Merlin, tutto il distretto si sarebbe divertito a sue spese per settimane!
Aprì la porta iroso, facendo scattare la porta della serratura, senza curarsi del’eventuale presenza del coinquilino: gli aveva mandato un messaggio poco prima della gara per avvertirlo che sarebbe rimasto al ranch per quella notte.
Sbuffò.
Non aveva voglia di cucinare o, meglio, non era in grado di farlo. Si sarebbe accontentato di una tisana rilassante, certamente più utile di qualunque altro cibo per placare i suoi nervi tesi. Entrò a passo di carica, diretto alla cucina, gettando malamente la giacca di pelle sul divano, provocando un mugugno infastidito da parte del suo inaspettato occupante.
Arthur si avvicinò a lui, allucinato.
-Cosa...? Pensavo che fossi dai tuoi, che ci fai qui?-
-Avevo paura che bruciassi l’appartamento e sono tornato. I miei hanno rimandato a domani il lavoro- sbadigliò sonoramente, mettendosi a sedere sui cuscini. Si stropicciò gli occhi come un bambino e Arthur sorrise.
Era stata una piacevole sorpresa.
-Mi dispiace di averti svegliato. Ti ho fatto male?- domandò, alludendo al lancio della giacca.
-No, figurati. E poi, i tuoi leggiadri passi sulle scale mi avevano già svegliato-farfugliò, costringendosi ad alzarsi per pura inerzia. –Risotto?-
Arthur accettò, prima di correre a lavare le mani. Una volta tornato in cucina, iniziò ad apparecchiare per due. Inutile, quella casa cambiava aspetto quando c’era Emrys.
-Com’è andato l’esame?-
-Bene- il moro rispose, con scarso entusiasmo. –Anche se poteva andare meglio...credi che un ventotto mi rovinerà la media?-
Arthur rispose con un’occhiataccia, minacciando di tirargli addosso una sedia, suscitando le risate dell’amico.
-Sei un brutto secchione! Per punizione, dovrai cucinare tu per altri ventotto giorni!-
-Anche perché se lasciassi a te i fornelli, morirei avvelenato!- lo prese in giro Merlin, procurandosi un pugno amichevole sulla spalla.
Arthur lo osservò armeggiare con una padella in silenzio, finchè lo studente non parlò nuovamente.
-A te com’è andata al distretto?- domandò, afferrando l’asse per tagliare le verdure dallo scolapiatti.
-Sai che mio padre ti credeva un gatto?- grugnì riluttante il biondo.
Merlin ridacchiò.
-Oh, e gli hai detto che sono un cane?-
-Sì. Il problema è che pensava mi fossi preso davvero un segugio e quando ho provato a spiegargli che sei il mio nuovo coinquilino è andato su tutte le furie. Pensa, si era convinto che fossimo fidanzati o roba simile!-
A quel punto, il moro cadde a terra, sbellicandosi dalle risate con le lacrime agli occhi, rischiando quasi di soffocarsi e schizzando pezzi di verdura qua e là.
-Non rideresti così se avessi visto la sua faccia- sbottò, irritato.
L’altro si rialzò, ancora divertito e riprese a tagliare le verdure sforzandosi di non ridere, così da non far esplodere il coinquilino, già fin troppo nervoso. Appena terminò il soffritto, si avvicinò al biondo, facendo scivolare le mani sulle spalle del ragazzo in un massaggio rilassante.
-Andiamo, Arthur, non è così grave. Quando si accorgerà di aver preso un granchio, ti chiederà scusa-
L’ispettore rise, isterico.
-Merlin, mio padre non chiederebbe scusa nemmeno se avesse torto!-
Il moro si bloccò all’istante, intontito.
-Che significa “se”?-
Arthur si rese conto solo in quel momento della gaffe, ma riuscì a mascherarla con uno scherzo.
-Andiamo, non essere timido. Lo so che sei pazzo di me!- si voltò, per fissare la reazione dell’amico, provocandolo con uno sguardo vispo e malandrino degno di Morgana.
-Certo, asino. Nei tuoi sogni- rispose a tono, con uno scappellotto sulla nuca bionda e tornò a rimestare il riso.
 
Merlin si alzò finalmente tranquillo, dopo mesi di studio. Per quella mattina non aveva nessun programma: i suoi genitori avrebbero preparato il maggengo nel pomeriggio, quindi il ragazzo poteva dirsi libero fino all’ora di pranzo.
Per questo, appena Arthur gli propose di accompagnarlo al commissariato, accettò di buon grado. Dopo cena gli aveva anche parlato dell’incidente all’ippodromo, quindi si era offerto di aiutarlo, conoscendo bene l’ambiente ippico. Con un po’ di fortuna, inoltre, avrebbe visto il campo delle selezioni maschili prima della ricognizione con Belinor, prevista per la settimana seguente.
-Ehi, Merlin!- Gwaine gli corse incontro, scompigliandogli affettuosamente i capelli scuri: tra loro si era instaurata una bellissima amicizia e il più delle volte, il viceispettore Orkney si comportava come se il moro fosse il suo fratellino.
Arthur diede segni di impazienza: erano usciti in fretta e in furia, senza nemmeno fare colazione per colpa della sua stupida sveglia, che si era scordata di destarlo.
-Merlin, portami un caffè- ordinò, lanciandogli la chiavetta per il distributore. –Oh, Gwaine. Seguilo, non vorrei che combinasse uno dei suoi disastri. L’ultima volta è stato un incubo!-
-Puoi dirlo forte!- ridacchiò il viceispettore, ricordando quasi nostalgico la lattina di coca cola che si era sparsa sul generatore di corrente elettrica, provocando il blackout del commissariato. –Ah, Merlin è una forza della Natura!-
-No. Merlin è un Disastro della Natura! E ora, per carità, muovetevi con quel caffè, sto morendo di fame!-
-Ti porto anche una brioche?- suggerì il coinquilino tranquillo, come se non avesse davanti a sé un Pendragon infuriato col mondo.
-Merlin! Se non ti muovi, mangerò te per colazione!-
-Se fossi in lei, non direi cose ambigue qui in commissariato- gli ricordò Orkney, malizioso.
-Sparite dalla mia vista- sibilò l’ispettore, sparendo oltre il corridoio. Poco dopo, la sua voce tuonò nuovamente tra le mura del commissariato. -E voglio quel dannatissimo caffè!-
Il viceispettore rise, trascinando Merlin al distributore. Incuranti dei bisogni del “principino capriccioso”, i due si persero in una lunga chiacchierata, interrotta di tanto in tanto da Lancelot, Perceval e altri agenti che salutavano il moro sorridenti.
-Ho saputo da Arthur che ieri c’è stato un gran trambusto all’EDR. Per fortuna Morgana sta bene!- Merlin sorseggiò il suo tè dal bicchierino di plastica.
-Dovevi vedere il commissario, era una furia! Ha fatto aprire un’inchiesta e l’ha nominata “Caso Priscilla”, come se qualcuno ci avesse rimesso le penne!- Gwaine soffiò sulla cioccolata calda, che gli aveva quasi ustionato la lingua.
-Lo capisco, però. Morgana poteva farsi davvero male, è ovvio che si sia preoccupato per lei e che desideri punire il responsabile. E poi bisogna scoprire se questa bravata era tesa alla squalifica di sua figlia o se ci sia dietro qualcosa di peggiore. Per quanto ne sappiamo, poteva anche essere un tentativo di farle del male-
Gwaine restò ammaliato da tanta perspicacia.
-Hey, dimmi una cosa, Merlin. Hai mai pensato di entrare in polizia? Secondo me saresti portato!-
-Oh, no. È solo un hobby per me. Dovrai accontentarti di Arthur, temo- rise il moro. –Comunque, se volete posso darvi una mano con il caso, visto che conosco abbastanza bene l’ambiente. Forse lo staff dell’ippodromo ha notato qualcosa-
-In realtà, in un ambiente affollato, è molto più complicato trovare degli indizi. In questo senso, il responsabile dell’incidente è stato molto astuto e ha approfittato della confusione per agire indisturbato. Ad ogni modo, dubito che qualcuno volesse attentare alla vita di Morgana, rimango del parere che volessero ostacolare la sua selezione.-
-Non so se può esservi di aiuto, ma so di una ragazza con cui ha avuto delle divergenze al maneggio. Si chiama Morgause, era una sua amica fino a qualche anno fa, poi sono diventate rivali. Non voglio insinuare nulla, ma è la sola cosa che mi viene in mente in questo momento.-
Gwaine aveva ascoltato tutto con estremo interesse.
-Hai detto che frequenta il maneggio Wildwoods?-
-Oh, non più. Ora è iscritta al vecchio maneggio dei Greller. Ha cambiato gestione, lo ha acquistato la signora Myer. Dovrebbe chiamarsi Sally’s Ranch- precisò Merlin.
-Accidenti, sei informato!- il castano si complimentò con l’amico.
-Questo perché c’è una storica rivalità tra quel maneggio e il nostro. Credo sia per questo che Morgause l’abbia scelto tra tanti.- Merlin gettò il bicchiere vuoto nel cestino, seguito da un viceispettore desideroso di ottenere maggiori informazioni.
-Ricordi anche il cognome di quella ragazza, Merlin?-
-No, mi spiace. Non le ho mai dato particolare confidenza e comunque credo di averla incrociata solo un paio di volte quando andavo agli allenamenti. Le poche cose che so, derivano dalle chiacchierate con mia madre. Puoi domandare a lei, ti sarà certamente più utile.- Merlin si voltò nuovamente verso il distributore automatico per prendere un caffè da portare a Arthur.
Purtroppo per lui, nel tragitto, inciampò nella gamba di una sedia, che qualcuno aveva malauguratamente abbandonato in corridoio. Rovinò a terra e come se ciò non bastasse, rovesciò la bevanda calda sui pantaloni di qualcuno.
Alzando gli occhi incontrò prima una macchia marrone scuro gocciolante, poi uno scintillante distintivo e per finire un’espressione a dir poco furente.
-Mi dispiace!- farfugliò concitato, intuendo di trovarsi di fronte al padre del biondo.
-Stai più attento, idiota! Guarda qua che disastro!- Uther borbottò mentre si allontanava. Improvvisamente però, si riscosse e richiamò il ragazzo. –Aspetta un momento. Dov’è la tua uniforme?-
Merlin lo guardò stranito.
-Io non ho un’uniforme. Non sono un poliziotto-
-Non sei un poliziotto.- ripeté il commissario –E dove vai con quel caffè?-
-Eh? Oh, questo!- Merlin sorrise (a parere di Uther, come un perfetto imbecille), alzando il bicchiere ormai mezzo vuoto. –È per Arthur.-
-“Arthur”. Intendi forse dire l’ispettore Pendragon?-
-Sì. Sì, esatto- il moro rise.
-E tu chi saresti? Il suo segretario?- domandò ironico.
-Sono Merlin. Merlin Emrys.- il ragazzo porse entusiasta la mano libera, sotto lo sguardo sconvolto del Pendragon.
-Oh, povero me!- Uther se ne andò, lasciando il povero studente nel corridoio semideserto.
In effetti, ci era rimasto piuttosto male: non era colpa sua se gli aveva rovesciato il caffè addosso e anche se lo fosse stato, si era scusato gentilmente. Perché mai il commissario lo aveva trattato così freddamente?
Entrò ancora pensieroso nell’ufficio dell’ispettore, che lo salutò sbraitando.
-Era ora! Pensavo fossi andato in Messico a raccogliere i chicchi di caffè! E perché quel bicchiere è quasi vuoto?- s’infervorò appena il moro lo posò sulla sua scrivania.
L’amico alzò le spalle come se nulla fosse.
-Pensavo lo volessi ristretto- scherzò, fingendosi però serio.
-Merlin!- dallo sguardo dell’ispettore trapelava la sua intenzione di incenerire il coinquilino.
-Beh, se non lo vuoi, lo bevo io.-
-Sparisci!-
Lancelot e Gwaine, che si trovavano davanti all’ufficio del biondo per gli ultimi ragguagli sul “caso Priscilla” a loro affidato, sghignazzarono.
Quando erano insieme, sembravano cane e gatto, ma i due avevano notato da tempo il legame che li univa. Il problema era che i soli a non rendersene conto, fossero proprio i diretti interessati.
-Ci vorrebbe un modo per aprirgli gli occhi!- esclamò Gwaine solenne, una volta finito il suo rapporto.
-Potrei provare a chiedere un consiglio a Gwen, in fondo conosce bene entrambi- suggerì allora Lancelot, ottenendo un grido euforico in risposta.
-Questa sì che è un’ottima idea! Con i suoi consigli, entro la fine del mese capiranno di essere fatti l’uno per l’altro. Agente Lake, hai la mia autorizzazione a procedere!-
Tutti esaltati, i due tornarono al noioso lavoro.
Mezz’ora più tardi, Gwaine tornò nell’ufficio del suo superiore.
-Arthur, sto andando a parlare con Hunith di questa ragazza, Morgause. Vieni con me?-
Il biondo alzò la testa da una pila di scartoffie, fiondandosi incontro al collega, suscitando la risata dell’altro.
-E Merlin?- Gwaine si guardò attorno, cercando l’amico.
-È dovuto tornare a casa in fretta, sembra che il suo cavallo stia ancora male. Era molto preoccupato- Arthur salì in macchina, al posto di guida e i due partirono alla volta del maneggio.
-Di nuovo?-
-Già. È da un mesetto che Kilgarrah dà segni di sfinimento, Belinor gli ha perfino sconsigliato di gareggiare con lui. Ma Merlin non vuole nessun altro cavallo, lo sai-
-Quei due sono una cosa sola. Non li hai mai visti gareggiare insieme?-
-No e mi piacerebbe. Ma se non si riprenderà in fretta, Merlin sarà costretto a ritirarsi-  
Gwaine s’insospettì.
-Ehi, Arthur. Non è strano che ben due cavallerizzi di Wildwoods siano così sfortunati?-
Il biondo scosse il capo.
-Kilgarrah sta male da tempo, saranno almeno due mesi. Dubito che l’incidente di Morgana possa essere collegato alla sua malattia. In ogni caso, per sicurezza, proverò a chiedere il parere del veterinario.-
-Sarà meglio controllare anche il fantomatico Sally’s Ranch. Sai, ho davvero un terribile presentimento-
Arthur lo guardò a metà tra il torvo e il divertito.
-Oh, te ne prego, Gwaine! Smettila di fare l’uccello del malaugurio! È solo uno stupido caso di arrivismo giovanile: una ragazza che sogna di essere la prima e, per farlo, mette fuori combattimento una rivale. È tutto sotto controllo!- il biondo scese gli scalini esterni del distretto, diretto alla macchina.
Il castano sospirò affranto al vento.
-Speriamo bene...-
 
Hunith li rimpinzò di frutta, latte e verdure per un esercito; almeno, non avrebbero fatto la spesa per una settimana intera. Inoltre, sentendo i gorgoglii dello stomaco dell’ispettore, gli aveva preparato un panino super farcito, accettato di buon grado dal biondo.
Dopo aver ottenuto conferme e il nome dell’ormai famigerata Morgause, i due ragazzi si erano diretti al maneggio della signora Myer: la donna stava tenendo una lezione a un gruppo di bambini e li costrinse ad aspettarla per un’ora e mezza.
Quindi, si avvicinò a loro, sbottando irritata.
-Per le iscrizioni non dovete chiedere a me, ma a Vivian, in segreteria! Io ho da fare, ho da fare!-
I due poliziotti restarono basiti.
Arthur le mostrò il distintivo un’altra volta, scioccamente pensando che la donna si fosse dimenticata di parlare con dei pubblici ufficiali.
-Signora Myer, non vogliamo iscriverci: sono l’ispettore Pendragon e questo è il mio vice, Orkney. Ricorda?-
La donna sbuffò, scocciata.
-Allora dovete rivolgervi a mio marito, è lui che tiene i conti e che si occupa dei permessi, io non voglio saperne nulla!- sbraitò acida, sputazzando saliva.
-Signora, non ci interessano i suoi permessi! Desideriamo semplicemente sapere dove possiamo trovare la signorina Morgause Lot.- esplose Gwaine, stanco della scortesia della signora.
-E come faccio a saperlo? Oggi non c’è e non so neppure quando avrà la prossima lezione! Chiedete a Vivian!- così dicendo, Sally Myer si allontanò in gran fretta, con passo pesante e movimenti scoordinati.
Gwaine e Arthur si guardarono basiti: in tanti anni di carriera, ne avevano viste di persone strane, ma mai quanto quella donna.
-Fortuna che un’istruttrice dovrebbe essere paziente!- ironizzò il viceispettore, dirigendosi alla segreteria.
Le stranezze non erano finite, perché la ragazza che li accolse era una svampita, con una scollatura esagerata, che anziché concentrarsi sulla ricerca di Lot, iniziò ad ammiccare allusiva verso il povero Arthur. Tanto che Gwaine, esasperato, la spintonò oltre la postazione del computer per occuparsi personalmente di spulciare l’archivio dati. Durante tale ricerca, Vivian si arpionò al braccio dell’ispettore, sbattendo le lunghe ciglia in un patetico tentativo di seduzione, destinato a fallire miseramente.
Certo, un Pendragon non si sarebbe mai mostrato scortese con una ragazza, ma a Gwaine non sfuggirono le espressioni spazientite, così come la silenziosa supplica di sbrigarsi a trovare quel dannatissimo indirizzo.
-Oh, ispettore! Sarebbe un perfetto cavaliere, con questi muscoli. E poi...che pettorali! Ma va in palestra? Andiamo, la lasci perdere, si iscriva da noi! Vedrà come si tonificherà! Non che ne abbia bisogno, s’intende. Oh! Le ho già detto che i suoi capelli sono i più belli che abbia mai visto? Senta, ma questa sera è libero?-
Alla sola prospettiva di uscire con quella logorroica biondina, Arthur rischiò seriamente di minacciare la sventurata con il vaso di porcellana che adornava la scrivania.
-Trovato!- per sua fortuna, Orkney lo salvò da quella pessima idea. Dopo aver annotato l’indirizzo, Gwaine trascinò via il superiore. –Ci perdoni, signorina, ma ora dobbiamo tornare al nostro dovere. Ah! Dove andrebbe a finire questa città, senza l’ispettore Pendragon! Vero Arthur?-
Il biondo lo trucidò con lo sguardo per aver osato rivelare il suo nome a quella piattola.
-Oh, certo certo! Allora torni presto a trovarmi, questo è il nostro biglietto da visita.- la giovane guardò intensamente l’ispettore, ammaliatrice. – Spero che la prossima volta non sia per lavoro-
Arthur la salutò con un sorriso tirato ed i nervi a fior di pelle.
-Arrivederci, ispettore!- la ragazza li seguì sulla soglia della segreteria, appoggiando la schiena allo stipite della porta, con sguardo trasognato.
Arthur finse di non averla sentita e quando fu abbastanza distante, sibilò “A mai più!”, visibilmente scocciato.
-Andiamo, Arthur. Era...-
-Non aggiungere una sola parola, Orkney- lo ammonì il biondo, affrettandosi verso la macchina, impaziente di allontanarsi da quel maneggio di pazzi. –Allora, cos’hai scoperto?-
-La nostra cara Morgause abita dall’altra parte della città. Ma ho un’altra interessante notizia: forse la conosco-
-Cosa? E me lo dici ora?-
-Beh, non ne sono sicuro. Insomma, chissà quante Morgause esistono qui a Guilford! Ma a quanto pare è iscritta a una facoltà di medicina veterinaria, vicino al “Break Time”. Da questo posso dedurre che si rechi spesso lì, quindi potrei conoscerla di vista, essendo un cliente abituale.-
Ad Arthur, per poco non venne un infarto.
-Aspetta un momento! Non vorrai portarmi al “Break”!-
-Ispettore Pendragon, è per lavoro!-
-Non me ne importa nulla! Io non ci vengo!-
-Una chiacchierata con Elyan e via, promesso-
-Ho detto no! Non mi va! E poi, Morgause potrebbe non esserci!-
-Così come può darsi che oggi non ci sia Gwen.-
-Sì, una possibilità su cinque miliardi!-
-E se entrassi solo io?-
L’ispettore sbuffò. Dopotutto, Gwaine aveva ragione, si trattava di lavoro. Inoltre la vittima del torto, questa volta, era Morgana. Non poteva esimersi da quell’ingrato compito solo perché non voleva vedere la sua ex.
-Hai vinto, Orkney. Ma se questa Lot non c’è, andremo via subito-
L’altro annuì, schiacciando l’acceleratore.
-Ad ogni modo, ti facevo più professionale, Pendragon. Capisco che vi siete lasciati da poche settimane ma, andiamo! Il mondo è pieno di belle pollastrelle! Ad esempio!- il castano, avvistando una bellissima bionda, accostò la macchina, richiamando la sua attenzione, sotto gli occhi costernati di Arthur.
-Ma sei pazzo?- sibilò a denti stretti, ma fu tutto inutile.
-Oh, taci e impara! Ehi, riccioli d’oro! Dove hai lasciato il tuo principe azzurro, oggi?-
L’ispettore era a bocca spalancata per la sfrontatezza del collega.
-Gwaine!- provò nuovamente a richiamare la sua attenzione, ma ormai il castano era totalmente preso dai fianchi snelli e dalla generosa scollatura della biondina. A proposito. Aveva una fisionomia familiare!
La fanciulla sorrise, ammiccando. Amava essere ammirata e Gwaine approfittò del colpo di fortuna.
-Per colpa di quell’imbecille, ho fatto una figuraccia.-
Arthur non poteva sapere che la ragazza era uscita dal locale con un cespuglio d’insalata rovesciato in testa, ma il collega collegò immediatamente quell’accusa a quanto accaduto la mattina prima, riconoscendo finalmente la ragazza.
-Davvero? Non me ne sono neppure accorto, abbagliato dalla tua bellezza!- mentì spudoratamente, baciandole la mano.
La giovane rise, lusingata.
-Ad ogni modo, l’ho lasciato-
-Sai che la cosa non mi dispiace affatto? Ne trovi di molluschi come quelli, in giro! Un vero principe azzurro dovrebbe sempre difendere una principessa come te, anche dai broccoli!-
-Oh. Immagino che tu sia molto coraggioso...principe azzurro-
-Puoi contarci- il castano le fece l’occhiolino
-Siete svenevoli.- commentò Arthur, alzando gli occhi al cielo. Inutile dire che venne bellamente ignorato.
-Sono Gwaine. Posso avere l’onore di conoscere il vostro nome, mia graziosa riccioli d’oro?-
-Io sono Morgause.- la ragazza allungò la mano, intenzionata a stringere quella della nuova conquista, ma quest’ultimo era rimasto a fissarla a bocca aperta.
-Morgause Lot? La cavallerizza?-
La giovane restò notevolmente sorpresa.
-Come hai fatto a...?-
Arthur aveva improvvisamente mutato atteggiamento nei suoi confronti, mostrandosi tutt’a un tratto interessato a lei.
-Signorina Lot, le spiacerebbe seguirci un momento in commissariato? Avremmo qualche domanda da porle. Come saprà la gara a cui ha partecipato è stata interrotta a causa di uno spiacevole scherzo.-
La bionda osservò l’ispettore scettica, ma infine si decise a salire in macchina: così facendo, avrebbe saltato un’ora di anatomia dei rettili, ma ne valeva certamente la pena, per un poliziotto carino come Gwaine.
 
Neanche un quarto d’ora più tardi, i tre erano al distretto di Guilford, nell’ufficio del viceispettore.
Morgause si guardò attorno, incuriosita: era una stanza piuttosto sobria e ordinata, con alcuni documenti sulla scrivania, un portapenne di legno con un’incisione tribale e una fotografia con...
-Una birra?- la ragazza osservò l’oggetto, incredula.
-Purtroppo quando sono in servizio non posso bere alcolici, quindi quella è la mia consolazione!-
La bionda sorrise. Aveva ottenuto una preziosa informazione: poteva invitarlo a un pub, una di quelle sere.
Ma l’ispettore Pendragon spezzò l’idilliaco momento, intenzionato a venire a capo di quel caso, il prima possibile.
-Si sieda, vorrei essere a casa per Natale-
La giovane lo squadrò in malo modo, ma non si azzardò a rispondergli male.
-Cosa volete sapere?-
-Questo è il modulo in cui dovrà inserire le sue generalità. Potrà compilarlo anche più tardi, ora veniamo a noi. Ci hanno detto che lei frequentava il maneggio Wildwoods, in passato. Posso sapere per quale motivo è passata al Sally’s Ranch?- domandò, incrociando le braccia al petto, senza staccare un secondo gli occhi dalla cavallerizza.
-Beh, perché non mi trovavo più molto bene con il mio gruppo. E poi avendo cambiato gli orari dei corsi, in università, non mi sarebbe stato possibile continuare a frequentare le lezioni di Belinor. Perciò mi sono rivolta alla signora Myer-
-Non si trovava bene con il gruppo o con qualcuno in particolare?-
Morgause guardò l’ispettore con aria di sfida.
-So cosa si è messo in testa. Probabilmente le hanno riferito dei miei screzi con Morgana ed ora sospetta che io abbia voluto vendicarmi, facendola cadere da cavallo per ottenere l’accesso alle regionali. Ma non è così. Non avevo alcun bisogno di farlo, dato che ho sempre ottenuto risultati migliori dei suoi.-
-Questo è tutto da vedere. Ad ogni modo...sappiamo che studia alla facoltà di medicina veterinaria.-
-Già, svolgo anche un tirocinio, presso lo studio del veterinario Witcher Aridian. Credo che lui sia ancora in contatto con gli Emrys, e che si occupi di alcuni cavalli del loro maneggio.-
-Ma davvero? Tu guarda che singolare coincidenza...- insinuò Arthur, alzandosi in piedi e cominciando a girare attorno alla scrivania, cercando di mettere in agitazione la giovane.
-Non ci trovo nulla di strano- ribatté lei. –È un ottimo veterinario, sono stati i miei docenti a consigliarmi di far richiesta a lui, data la mia preparazione. E poi, se avessi qualcosa da nascondere, crede davvero che le avrei dato queste informazioni?-
-Andiamo, Arthur. Non essere così aggressivo! Perdonalo, riccioli d’oro, ma sai...è arrabbiato perché conosce molto bene Morgana-
-Arthur Pendragon? Allora lei è il fratellastro di quell’arpia!-
L’ispettore la fulminò con lo sguardo.
-La prego di moderare i termini! E poi...- si avvicinò tanto alla ragazza, da farle quasi pensare che avrebbe ricevuto un morso. Sibilò, perentorio -...sono io, quello che fa le domande, qui. Lei si limiti a rispondere.- 
Andarono avanti con quell’estenuante interrogatorio per un’abbondante mezz’ora. Quindi, Gwaine lanciò al superiore uno sguardo esausto, che lo persuase a interrompere.
-Può andare, per ora- annunciò, con tono vagamente piatto.
La giovane si alzò, ma prima di dirigersi alla porta, si avvicinò al viceispettore Orkney, con sguardo malizioso.
-Spero di incontrarla in circostanze migliori...magari questa sera in un pub.- poi avvicinò le labbra al lobo del suo orecchio, bisbigliando sensuale. –Le offrirò una birra...-
Gwaine ricambiò lo sguardo con immenso interesse, praticamente mangiandola con gli occhi.
-Non dico mai di no a una bionda...-
Morgause sorrise a quel doppio senso, quindi si allontanò ancheggiando dall’ufficio del castano, che ancora ghignava come un ebete.
Quando furono soli, Arthur lo guardò esasperato.
-Ehi, genio. Non puoi uscire con un’indagata-
-Oh, andiamo. Sono il poliziotto buono, no? Se la seduco, sarà più facile estorcerle informazioni, non credi?-
-Ah, allora è questo il tuo piano! Grandioso!- sbottò, ironico.
Gwaine lo ignorò; afferrò il modulo sul quale Morgause aveva segnato le generalità, quindi copiò il suo numero di cellulare e l’indirizzo su un’agenda.
-Tu invece? Cosa farai stasera, capo?-
-Non saprei. Non mi va di uscire, probabilmente dopo cena mi metterò sotto le coperte e guarderò un film sul portatile.- fu la risposta del biondo.
-Capisco...serata intima con Merlin, eh?-
-Per caso ti stai esercitando per il festival delle idiozie?-
-Andiamo, perché non ammetti che ti piace?-
-Certo che no! Come ti viene in mente?-
-Antipatico-
-Imbecille-
I due andarono avanti con quel battibecco, finchè non vennero interrotti dall’entrata del Commissario Uther, che gridando come un’aquila, intimò loro di tornare al lavoro.
 
Il giorno seguente, Hunith salì le scale concitata: non vedeva l’ora di dare il regalo che teneva in mano alla sua adorata bambina. Anche se Freya era stata adottata, i genitori di Merlin la consideravano una figlia a tutti gli effetti.
Bussò alla porta della ragazza, che la invitò ad entrare.
Appena varcò la soglia, la donna vide sul viso della giovane un’espressione a metà tra l’indeciso e il nervoso. Uno sguardo al letto ed alla sedia, stracolmi di vestiti provati e “bocciati”, le bastò per capirne la ragione.
-Non sai cosa mettere, vero?-
-Oh, mamma! Sono così indecisa...-
Freya scostò infastidita una ciocca di capelli dagli occhi.
-Lo immaginavo, è così tutti gli anni. Per questo, ho deciso di darti il mio regalo in anticipo- Hunith le sorrise, carezzandole una guancia e vide gli occhi della figlia illuminarsi di gioia.
-Oh, mamma! È un vestito?-
-Su, avanti! Aprilo!-
Entrambe non stavano più nella pelle: Freya per la curiosità e sua madre per l’emozione. Era certa che quell’abito sarebbe piaciuto tantissimo alla ragazza.
La giovane fece spazio sul letto, scostando gli indumenti provati in precedenza per sedersi.  Aprì il pacco con cura, facendo attenzione a non rovinare eccessivamente l’incarto: adorava collezionare i campioni della carta da regalo, ne avrebbe tagliato un pezzetto più tardi.
Quando finì di rimuovere in nastro adesivo, trattenne il fiato; vedendo il contenuto, si rialzò velocemente, lasciando scivolare a terra la carta. Era semplicemente meraviglioso. Lo contemplò per una manciata di secondi, in tutto il suo splendore: era un abito lungo fino alle ginocchia, bordeaux. La parte superiore era piuttosto semplice: senza maniche, aderente, con una cerniera sul lato sinistro e una leggera scollatura. La gonna, invece, era a balze, con i bordi neri.
-Mamma è...fantastico!-
-Su, avanti, provalo! Io ti aspetto in cucina, con papà- Hunith posò un bacio sulla fronte della figlia, quindi la lasciò alle prese con gli ultimi preparativi.
Appena la porta si chiuse, un sorriso diabolico si aprì sulle labbra di Freya.
-È degno di una principessa. Finalmente lui sarà mio...-
Un tonfo, proveniente dalla cucina, la fece sobbalzare. L’espressione, sul suo volto tornò dolce come sempre, ma velata di preoccupazione.
-Tutto bene?- gridò, correndo in cucina, dove trovò Belinor sommerso dalle pentole.
Forse, era il caso di fare un po’ d’ordine in quegli armadietti... 

 

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Capitolo 4
*** Le fobie del ragazzo di Wildwoods ***


In questo capitolo avrete molte risposte: perchè Freya sorride in modo inquietante? A chi si riferiva dicendo "Finalmente lui sarà mio"? Perchè la fic è un giallo, ma non è ancora morto nessuno (a questo proposito, rimediamo subito)? Arthur capirà sì o no di essere irrimediabilmente cotto del suo coinquilino "idiota e imbranato"?...Beh, leggete e lo scoprirete ^_^

Ringrazio tutte voi, che seguite la fic!
Un grazie speciale a elfin emrys, che oltre a recensire, è la mia segnalatrice ufficiale di sviste XD
Marta e Bea, perchè senza di loro, i miei non avrebbero chiamato il centro di igiene mentale credendomi pazza, vedendomi ridere da sola come una scema al PC ed io non avrei una ragione per continuare a seguire il faccialibro. E Zara, perchè se non fosse stato per lei, mi sarei tranquillamente ritirata dal contest perchè sono stupida.

 

Grazie tesore *_* Vi lovvo!
 

41 di sangue


Capitolo 3:
Le fobie del ragazzo di Wildwoods


 

Arthur sbadigliò rumorosamente: era il suo giorno libero e ne aveva approfittato per crogiolarsi nel comodo letto qualche ora in più. Scostò le coperte, si stirò come un gatto particolarmente pigro, quindi si decise ad alzarsi. Il primo contatto con le piastrelle del pavimento lo fece rabbrividire.
Ancora intontito dal sonno si diresse barcollando in bagno, per lavarsi il viso con acqua gelata e svegliarsi del tutto.
Ma non ne ebbe alcun bisogno: appena aprì la porta, si ritrovò di fronte Merlin, totalmente nudo ad eccezione di un minuto asciugamano attorno alla vita. La pelle ancora umida per la recente doccia. Una visione più che sufficiente a destarlo definitivamente.
-Merlin?-
-Ah, io...pensavo stessi dormendo e...-
Il biondo alzò le mani, come ad affermare che non gliene importava nulla.
-Lascia perdere. Devo solo lavarmi la faccia- ormai ci aveva fatto l’abitudine: era solamente intontito dal sonno, per questo aveva reagito in quel modo. Merlin non aveva mai imparato a chiudere la porta del bagno, chissà poi perché.
Perfino quando Morgana passava a trovarli, il moro si limitava ad avvertirla, così da evitare momenti imbarazzanti.
A dire il vero, quella non era la sola bizzarria del giovane Emrys: aveva anche il brutto vizio di lasciare le finestre spalancate, perfino in inverno, quando c’era una temperatura polare all’esterno. Così come quella di scordare l’abatjour accesa tutte le sante notti, con delle ovvie impennate sulla bolletta della luce.
Merlin si avvicinò a lui, afferrò lo spazzolino da denti dal bicchiere, quindi vi spalmò sopra una generosa dose di dentifricio.
-Arhur, possho chieveti un fahoe?- farfugliò il moro, dopo un po’.
-No- l’ispettore si asciugò il volto ed uscì dal bagno, guardando di sottecchi il coinquilino, che gonfiò le guance.
-Inshommha he hi coha?-
-Vuoi deciderti a parlare inglese?- Arthur rise, divertito, andando a sedersi sul divano.
Merlin sciacquò la bocca, poi lo seguì in salotto.
-Ti ho chiesto se puoi farmi un favore-
-Allora avevo capito bene. La risposta è ancora no-
-Perché?-
-Merlin, è il mio primo giorno libero dopo una settimana estenuante, ho tutta l’intenzione di passarlo qui sul divano, in pantofole, possibilmente giocando a “Resident Evil” e sgranocchiando patatine- detto ciò, afferrò il telecomando ed iniziò a fare zapping, alla ricerca di un telegiornale.
Lo studente non si arrese e prese posto accanto all’altro, senza smettere un secondo di pregarlo con i suoi occhi blu e un’espressione dolcissima, degna del gatto con gli stivali del film Shrek.
Infine, giocò il suo asso nella manica.
-E se ti dicessi che avrai come ricompensa il pollo allo spiedo?-
Arthur continuò a fissare imperterrito la televisione.
-E tutte le focaccine che vuoi?-
Si morse il labbro, valutando l’offerta.
-Con la crema di nocciole. Tanta crema di nocciole...-
-Mh- Arthur mugugnò. Non aveva detto “sì”, ma almeno aveva dato cenno di ascoltarlo. –Dipende dal favore. Sai, crostata e pollo potrebbero non bastare-
- Ci saranno anche la torta salata e le patate al forno...Per favore...-
In quel preciso istante, l’ispettore commise il fatale errore di voltarsi, con una certa foga.
Voleva dirgli di smetterla con tutte quelle tentazioni, che comunque non lo avrebbe corrotto così facilmente, che il prezzo sarebbe stato più alto di due manicaretti.
Così, tanto per ridere e stuzzicarlo un po’. Perché adorava farlo arrabbiare.
Ma gli fu impossibile dire anche una sola sillaba, dato che, girandosi, si ritrovò con le labbra a un soffio da quelle di Merlin, che ricambiò il suo sguardo attonito con occhi spalancati dalla sorpresa.
Vi lesse tutta la confusione del moro.
In un momento, si sentì svuotato da tutti i pensieri, tanto che, per alcuni istanti, sospettò di avere la febbre. Quando, però, si accorse di avere anche un leggero batticuore, iniziò seriamente a preoccuparsi.
Nel ricordare che Merlin era appena uscito dalla doccia e che l’asciugamano era il solo pezzo di stoffa che indossava, rischiò seriamente la tachicardia.
I pochi secondi in cui restarono in silenzio, sembrarono durare in eterno.
Per fortuna, Merlin spezzò quegli attimi imbarazzati, riempiendo nuovamente la stanza con la propria voce.
-Beh, allora...chi tace acconsente, giusto?- abbassò momentaneamente gli occhi, ma tornò a posarli quasi immediatamente in quelli del biondo, pur non riuscendo a celare un lieve rossore sulle gote.
 
Così, Arthur Pendragon si era ritrovato a dover abbandonare il beneamato divano, nel primo giorno di riposo, per tornare a casa di Hunith.
Quel giorno, era il ventiduesimo compleanno di Freya, la sorella adottiva di Merlin e nonostante dovesse studiare, il ragazzo non avrebbe mai osato mancare ai festeggiamenti. Avrebbe recuperato nel pomeriggio, quando l’ispettore sarebbe stato troppo impegnato a rintronarsi il cervello davanti a uno stupido gioco e un’altrettanto stupida console.
La famiglia Emrys li accolse a braccia aperte; Hunith abbracciò il figlio come se non lo vedesse da anni e la stessa sorte toccò all’ispettore, nonostante si fossero incontrati solo il giorno prima.
-Sono così felice che ci sia anche tu, Arthur! Vieni, accomodati in casa. Prendi tutto quello che vuoi.-
Il biondo fu costretto ad ammettere che, tutto sommato, non era così male trascorrere il suo tempo libero con la famiglia di Merlin: erano persone fantastiche e sebbene non avesse molta confidenza con Belinor e Freya, non ci mise molto a rompere il ghiaccio. Erano persone deliziose.
Al grande tavolo di legno, imbastito con ogni ben di Dio, c’erano, oltre ai quattro componenti della famiglia, Will, alcune compagne di classe della festeggiata e due uomini che Arthur non aveva mai visto.
Merlin gli si affiancò, porgendogli un’abbondante porzione di pollo.
-Questo è per te, asino- il suo sorriso, per un momento, rischiò di abbagliarlo.
L’ispettore continuò a fissarlo, mentre aiutava i genitori con le porzioni, i piatti, mentre rideva con gli invitati, mentre offriva il proprio regalo alla sorellina.
Come folgorato, intuì che quel posto, per Merlin era una sorta di paradiso personale.
L’incidente di quella mattina era già dimenticato, o quasi.
Se non fosse stato per quelle fugaci occhiate che si scambiarono, certi di passare inosservati. Ma si sbagliavano: se la madre di Merlin aveva sorriso dolcemente, intenerita dal loro legame unico e speciale, la seconda persona ad averlo notato, non era del suo stesso parere.
Freya, per una frazione di secondo, rivolse all’ispettore un’occhiata iniettata di odio puro, mentre con la mano torturava la collana che indossava sempre, dal giorno in cui aveva conosciuto Merlin: un pegno per la principessa che aveva tratto in salvo da un orco cattivo. Halig la osservò senza farsi scoprire, infastidito dalle attenzioni che quella ragazzina riservava al fratellastro.
La afferrò per un braccio e la trascinò in un angolo della stanza. Dopo aver controllato rapidamente che nessuno li avesse visti, si concentrò su di lei.
-Che diavolo stai combinando, Freya? Così ti farai scoprire!-
-Lasciami andare, scimmione idiota! Non vedi come si guardano?- replicò lei, gesticolando con stizza. Gli sguardi tra Arthur e il suo amato fratello non le piacevano affatto.
-Non puoi essere seriamente innamorata di un Emrys! Quello è l’assassino dei tuoi genitori, ricordi?-
-Togliti dai piedi, Halig- sibilò, spintonandolo lievemente. Sapeva che l’uomo non si sarebbe mai opposto al suo volere. Lo aveva sedotto, facendo in modo che dipendesse da lei.  –E poi...è una ragione in più per averlo. Quando Merlin sarà mio, i sensi di colpa lo divoreranno. Ora lasciamo che la piccola, dolce e indifesa Freya si diverta. In fondo, è anche il suo compleanno-
La castana mosse la testa, come se fosse stata colpita da un lieve malore. Halig le portò un braccio attorno alla vita, sorreggendola.
-Halig? Ma cosa ci faccio qui?-
-Temo tu abbia esagerato con lo spumante, Freya- mentì, accompagnandola nuovamente nella sala.
Fino a quel momento, era l’unico a sapere della sua doppia personalità. Non poteva amare la figlia di Belinor, ma il suo alter ego si era concessa a lui. L’amava, perdutamente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per quella ragazza, così fragile e diabolica...
 
Lancelot entrò al Break Time trafelato, fradicio come un pulcino: il tempo era mutato repentinamente e l’agente si era ritrovato sotto una pioggia scrosciante, senza ombrello.
-Ehy, Lance! Sei appena uscito dalla doccia?- lo prese in giro Elyan, lanciandogli addosso uno strofinaccio pulito affinché si asciugasse il viso gocciolante.
-Lascia perdere, Elyan. Piuttosto...hai visto Gwen?-
-È in cucina, sta preparando le piadine. Vuoi qualcosa, nell’attesa?-
-No, ti ringrazio. In realtà sono qui per lavoro, sospettiamo che una vostra cliente abbia fatto cadere Morgana durante le selezioni per le regionali di salto agli ostacoli.-
-Cosa? Ma è terribile! Si è fatta male?- Gwen emerse dalla cucina proprio in quel momento, preoccupata per la sua migliore amica.
-Nulla di grave, per fortuna è solo una piccola slogatura. La cosa peggiore è che non potrà partecipare alle regionali, almeno per quest’anno.- la rassicurò il ragazzo.
-Poverina, si era allenata tanto...- la mulatta si rattristò, pensando alla delusione che doveva provare la figlia del commissario.
Lancelot si lasciò sfuggire un fugace bacio a fior di labbra.
-Troveremo il colpevole, vedrai- sussurrò, accarezzandole una guancia scura.
-Ne sono sicura, siete i migliori!- Gwen annuì.
-Se dovessi notare qualcosa di strano, te lo farò sapere- assicurò Elyan.
-Grazie. Tieni gli occhi e le orecchie aperte, soprattutto con una certa Morgause Lot.- Lancelot non attese risposta ed era già sull’uscio del locale quando si sentì trattenere per un polso: Gwen gli sorrise dolcemente, porgendogli un ombrello blu scuro.
L’agente la ringraziò.
-Vado a finire le piadine- annunciò Elyan, senza avere la vaga certezza che i due piccioncini lo avessero davvero sentito.
 
-Sto per esplodere!- dichiarò lo stalliere, che Arthur aveva scoperto chiamarsi Halig Hunter. In effetti, il suo pancione, durante il lauto pasto, sembrava essersi gonfiato almeno di due taglie.
-I miei complimenti alla cuoca- si congratulò il secondo uomo, il veterinario della fattoria, Aridian Witcher. –Ora, se non vi dispiace, dovrei tornare al mio lavoro, non posso abbandonare la mia tirocinante. Chissà cosa potrebbe combinare!-
L’ispettore Pendragon aguzzò i sensi: era il momento migliore per fare all’uomo qualche domanda. Si alzò anche lui, asserendo di voler prendere una boccata d’aria, quindi attese il signor Aridian all’uscio. Presto lo avrebbe raggiunto, ne era certo.
Desiderava parecchie informazioni, per esempio: davvero Morgause era una sua tirocinante? Si era mai comportata in modo strano o aveva parlato male di Morgana? Con intenzioni vendicative? O era una ragazza semplice e tranquilla come tante altre?
Sospirò, all’idea che un poliziotto non va mai in vacanza.
All’improvviso, qualcuno lo afferrò per una spalla, tirandolo velocemente di lato rispetto al pianerottolo.
Arthur si voltò, pronto a reagire, ma bloccò le sue mosse di autodifesa sul nascere, riconoscendo il ragazzo che lo aveva preso da parte.
Will si era avvicinato a lui con circospezione e aveva afferrato il giovane Pendragon cogliendolo di sorpresa.
-Oh, sei tu Will!- il biondo sorrise amichevole, riconoscendo il ragazzo della sorellastra.
-Ispettore, vorrei parlarle di una cosa importante-
Arthur lo scrutò con curiosità, aspettando che proseguisse.
Will, invece, diede segni d’impazienza ed iniziò a guardarsi attorno, nervoso, come se temesse che qualcuno li stesse spiando. Cosa che, ovviamente, non poteva sfuggire all’ispettore.
-Puoi parlarmene tranquillamente- lo assicurò, cercando di metterlo a proprio agio.
-Ecco, io...preferirei non farlo qui- il ragazzo parlò così piano che Arthur pensò di essere improvvisamente diventato sordo. Ma bastò l’intuito per capire quanto si sentisse a disagio.
-Se preferisci puoi passare dal commissariato. O se non vuoi dare nell’occhio, potresti sempre venire a casa mia con la scusa di una visita a Merlin- suggerì.
Ma Will sembrava ancora titubante.
-Non potremmo vederci in un pub o qualcosa di simile? Preferirei che Merlin non sapesse del nostro incontro...-
La curiosità del commissario crebbe a dismisura: perché mai Will desiderava tenere nascosto il loro incontro al suo migliore amico? Non aveva senso!
Stava per porgli altre domande, quando l’ingresso cigolò lievemente, facendo emergere l’alta figura di Aridian poco dopo. Dannazione!
-Will, devo scappare. Se vuoi domani mattina potremmo fare colazione insieme, da Starbuck’s. Non ti sarà difficile trovarlo, è a pochi metri dal commissariato, sulla sinistra.-
Il giovane annuì e all’ispettore sembrò di vedere un’ombra delusa sul suo volto: probabilmente sperava di incontrarlo entro poche ore, ma Arthur non poteva fare diversamente. Si sarebbe fermato dagli Emrys ancora per un po’, poi probabilmente sarebbe tornato a casa con Merlin.
Si sarebbe goduto qualche ora di sano relax (perché sapeva di meritarselo!) mentre Merlin studiava, quindi avrebbero cenato.
Per sentirsi meno in colpa, tuttavia, porse gentilmente un cartoncino azzurro all’amico del suo coinquilino: il biglietto da visita di cui andava immensamente fiero.
-Se ci dovessero essere dei problemi, comunque, non esitare a chiamarmi, a qualunque ora.-
 
Appena arrivati a casa, Merlin si fiondò nella sua stanza per studiare in pace.
Arthur si abbandonò sul divano, mentre la stanchezza e le preoccupazioni accumulate nelle giornate precedenti, lo assalivano: Aridian aveva confermato ciò che Morgause aveva affermato. La ragazza era davvero una tirocinante, presso il suo studio, mentre lui era rimasto in buoni contatti con gli Emrys, da cui si recava periodicamente per visitare gli animali. Aveva anche rivelato al giovane che il cavallo di Merlin era da alcuni mesi sotto stress e che spesso s’imbizzarriva senza preavviso, risultando così pericoloso. Di recente, si recava molto più spesso dal destriero del ragazzo.
L’ispettore, tuttavia, nutriva ancora dei dubbi sulla buona fede di Morgause e il fatto che Gwaine volesse uscire con lei, per quanto odiasse ammetterlo, poteva davvero rivelarsi una tattica vincente. Non c’era possibilità che il viceispettore Orkney si attendesse al regolamento, quindi era inutile sprecare fiato nel vano tentativo di dissuaderlo da una simile idiozia.
La suoneria del cellulare lo risvegliò dal momentaneo torpore e si affrettò a rispondere.
-Ispettore Pendragon-
-Sai, dovresti rispondere “Ispettore Imbecille”. Ti si addice di più!- la voce squillante di Morgana sembrava più irritante del solito, probabilmente a causa della degenza forzata cui Katrina la stava sottoponendo.
-Oh, “Miss Simpatia”! Cosa posso fare per lei?- ribatté, acido.  
-Sai, Arthur...stasera avrei un appuntamento- iniziò la ragazza, ma il fratellastro non le lasciò nemmeno il tempo di aggiungere una sillaba.
-Per carità, Morgana! Risparmiami i dettagli!-
-Non sapevo fossi così inesperto da imbarazzarti per certi discorsi. Comunque, non era questo che volevo dirti- sbuffò, contrariata per l’interruzione. –Non riuscirò ad uscire, con mamma e Uther che mi sorvegliano a vista! Sono infortunata, non invalida!-
-C’è solo una cosa che non mi è chiara-
-Sarebbe?-
-Esattamente, come dovrebbe riguardarmi questa faccenda?- il biondo non aveva alcuna intenzione di darla vinta tanto facilmente alla sorellastra. Ma non aveva fatto i conti con l’astuzia della ragazza, già pronta a farlo capitolare con un piano geniale. D’altronde, conosceva Arthur più di chiunque altro e persuaderlo, per lei, era facile come rubare le caramelle a un bambino!
-Oh, beh. Uther mi sembrava molto contrariato per la tua relazione con Merlin. A proposito, avresti dovuto dirmelo! Pensavo non ci fossero segreti tra noi!-
-Morgana! Io non ho nessuna relazione con Merlin! È stato solo un maledettissimo malinteso!-
-Certo, certo...- la mora lasciò cadere il discorso, ma Arthur aveva capito che non credeva a una singola parola, senza bisogno di guardarla in viso. Quella maledetta arpia! –Ad ogni modo, Uther potrebbe “accidentalmente” vedere le fotografie dello scorso capodanno...-
A quelle parole, l’ispettore impallidì: non poteva dimenticare la foto che Elyan aveva scattato, senza farlo apposta, sul finire della serata.
Ed era davvero ambigua. Certo, chi aveva partecipato alla festa, avrebbe tranquillamente riconosciuto la situazione: quell’idiota di Merlin aveva per sbaglio bevuto del rum al posto dell’acqua, tradito da un brutto raffreddore ed essendo astemio, si era irrimediabilmente ubriacato. Arthur aveva cercato di aiutarlo, dato che l’imbecille non si reggeva nemmeno in piedi, accompagnandolo fino al divano. Ma nel tragitto, era inciampato in qualcosa (non aveva mai capito esattamente cosa ) e i due avevano raggiunto la meta cadendo l’uno sopra l’altro.
Elyan aveva scelto proprio quel dannato momento per scattare una foto a Gwen e Morgana, sedute di fronte a lui alla tavolata. Ma sullo sfondo erano ben riconoscibili i due ragazzi che, a un’occhiata superficiale, potevano sembrare abbracciati.
Se suo padre avesse visto quella fotografia, senza dubbio avrebbe frainteso la situazione e pensato chissà che!
-Mi stai ricattando, Morgana?-
-Certo che no. Ma è una foto compromettente, non vorrei finisse nelle mani del commissario. Ci rimetterebbe anche Merlin, non credi?-
Arthur doveva ammetterlo: stavolta aveva davvero le mani legate.
-E va bene, mi hai convinto. Ma in cambio voglio quella foto e l’originale, chiaro?-
-È un piacere fare affari con lei, Pendragon!- sorrise, divertita.
-Io l’avrei evitato invece. Ad ogni modo, dimmi...avevi già un piano?-
-Ne dubitavi, forse?-
I due restarono ancora per qualche minuto al telefono. Una volta liberato l’orecchio dall’apparecchio, Arthur sbuffò, alzandosi controvoglia dal divano.
Quando entrò in camera per vestirsi, urtò il gomito contro lo stipite della porta. Cacciò un lamento strozzato, massaggiandosi con vigore il punto colpito.
Merlin non si mosse, né gli chiese cosa fosse successo. Cosa insolita.
-Ehi, secchione- l’essere ignorato non gli piaceva affatto, perciò afferrò la prima cosa che gli era capitata a tiro, una felpa grigia, e la lanciò al coinquilino.
Merlin lo fissò di sbieco, sbuffando. Comportamento inusuale. Sembrava inspiegabilmente scocciato.
-Insomma, che hai?- domandò, sedendosi di fianco al moro e soffermandosi con lo sguardo sul pesante tomo di anatomia. A giudicare dalle immagini, il ragazzo stava studiando un capitolo sui felini.
-Nulla- mentì. –sono concentrato-
-Merlin-
Il moro alzò gli occhi al cielo. Dannazione a lui! Perché quando pronunciava il suo nome in quel modo, si sentiva in trappola? Come se l’ispettore potesse scrutare nei suoi pensieri, senza alcun rispetto per la sua privacy! Si diede dell’idiota.
- Va tutto bene, ok?- sperò ardentemente che Arthur lo lasciasse in pace.
Fu la volta dell’ispettore di sbuffare: se quel testone si era messo in testa di tenersi tutto dentro, non lo avrebbe convinto a parlare nemmeno torturandolo.
-Come vuoi. Se cambi idea, sono da Morgana-
-Da Morgana?- Merlin strabuzzò gli occhi, assolutamente certo di aver capito male.
-Mi ha chiesto un favore-
-Scusa, stiamo parlando della stessa Morgana? Tu vorresti andare da lei per...farle un favore?- il moro non riusciva a credere alle proprie orecchie.
-Diciamo che è stata molto convincente. Ci vediamo stasera, cerca di non distruggere la casa, nel frattempo!-
Dopo aver dato a Merlin un pugno scherzoso sulla spalla, l’ispettore sparì oltre la porta e l’amico lo guardò mentre abbandonava la stanza.
Sbuffò: non riusciva a concentrarsi, quindi studiare era impensabile. Si abbandonò a peso morto sul letto, premendo la faccia contro il cuscino. Era vero, si era divertito un mondo alla festa e trascorrere l’intera giornata con i suoi genitori, Freya e Will dopo tanto tempo, era stato meraviglioso. Allora perché si sentiva tanto triste?
Era una sensazione che non riusciva a spiegare. Afferrò lo zaino e ne estrasse l’i-pod dalla tasca. Infilò le cuffie ed alzò il volume, cercando di rilassarsi. Un po’ di riposo, non avrebbe compromesso la sua carriera!
Restò per ore a fissare il soffitto, cantando i pezzi che gli piacevano di più.
Senza preavviso alcuno, i ricordi lo assalirono.
Deglutì a fatica.
Improvvisamente comprese cosa lo aveva reso così depresso. Erano passati quasi diciotto anni da quel terribile giorno. Era vero, aveva conosciuto Freya, ma ciò che ne era seguito, era stato tremendo, soprattutto per due bambini come loro.
Si alzò di scatto, colto da un profondo malessere e corse in cucina per bere qualcosa di fresco. La musica era alta, proprio per questo non udì il telefono di casa squillare e il messaggio che veniva lasciato in segreteria passò del tutto inosservato.
Il ragazzo tornò a sdraiarsi, ignaro e lasciò che i ricordi tornassero a tormentarlo. Rabbrividì ripensando ai terribili momenti trascorsi, insieme alla piccola Freya. Senza che se ne rendesse conto, le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, inondando quelle pozze blu come l’oceano. Colto da un improvviso attacco di panico, fece scattare lo sguardo sulla finestra.
Era aperta.
L’abatjour accanto al suo letto aveva la spina già inserita nella presa della corrente, quindi gli bastò premere il bottoncino per ottenere luce.
Gli bastarono queste due azioni per sentirsi vagamente sollevato.
 
-Piccolo bastardo!-
A gridare era stato un uomo alto e possente. Afferrò saldamente l’arma improvvisata che stringeva nella mano sinistra e colpì con tutta la forza che aveva il ragazzo davanti a lui. Se quelle erano le sue intenzioni, non poteva lasciarlo in vita. Si era già preparato per quella possibile evenienza, oh sì. Ma aveva sperato di riuscire a dissuaderlo, magari trovando la sua collaborazione. Invece no, quel dannato impertinente aveva osato fin troppo!
Il suo interlocutore cadde sulle ginocchia sputando saliva, stordito dalla botta ricevuta sulla guancia destra, che gli aveva spaccato il labbro. Aveva la mente annebbiata. Non poteva permettere che quell’uomo portasse a termine ciò che aveva iniziato, non dopo ciò che aveva scoperto. Doveva fare qualcosa, qualunque cosa.
Ma ormai, la consapevolezza di essere spacciato, alla sua mercé, lo aveva raggiunto. Vide il forcone alzarsi, minaccioso, sopra la sua testa, per poi abbattersi, fatale, nell’addome.
Il sapore metallico del sangue gli raschiò la gola, senza trovare uscita, mentre il dolore si spandeva come una fiamma distruttrice all’altezza dello stomaco. Si sentiva corrodere dall’interno.
Si voltò con la forza della disperazione. Sentiva la morte avvolgerlo, ma non voleva ancora arrendersi. Poteva ancora avvisarlo del pericolo che correva...
M...
Γ...
Una fitta acuta gli annebbiò la vista, spandendosi come una scarica elettrica attraverso il cranio.
Si accasciò a terra, con una pozza vermiglia che si apriva sotto di lui, impregnando il terreno e l’erba con il suo odore pungente e infradiciando i vestiti leggeri.
L’assassino era rimasto impassibile, perfino quando il sangue era schizzato a fiotti sui suoi vestiti. Gli sarebbe bastato eliminarli, bruciandoli. Non aveva alcun bisogno di tornare al maneggio, per farlo: conosceva un posto molto più isolato, perfetto per liberarsi delle prove a suo discapito. Mosse alcuni passi in direzione della meta, voltandosi solo per controllare le proprie impronte.
Le orme scarlatte erano ben visibili, ma quello era il minore dei suoi problemi. Al centro delle sagome, era ben visibile un cerchio, prodotto dal bassorilievo sulla suola, con all’interno un numero insanguinato: 41.
Ghignò, trionfante: nessuno si sarebbe mai accorto che quelle scarpe non erano sue...
 
Quando l’ispettore tornò a casa, era quasi ora di cena. Era andato a prendere Morgana, detto al padre che l’avrebbe accompagnata al Break Time, approfittandone per chiedere alcune informazioni a Elyan.
In effetti, i due si erano recati proprio al locale della sua ex, ma anziché entrare con lei, Arthur si era limitato a seguirla all’ingresso.
Morgana lo aveva ringraziato, consegnandogli le foto, come promesso. Lui aveva insistito, per restare finchè non si fosse presentato Will che, come sospettava, si era rivelato essere il ragazzo di sua sorella. Ma, ovviamente, Katrina e Uther ignoravano la loro relazione.
La sorellastra lo aveva ringraziato, preferendo però entrare per chiacchierare con Gwen.
Erano trascorse solo un paio d’ore da quando era uscito e si domandò se, per caso, Merlin avesse ritrovato il buon umore.
-Merlin?- lo chiamò, senza ottenere risposta. Incuriosito, si affacciò alla porta della sua stanza, trovandolo accucciato sul letto, placidamente addormentato.
“Ma tu guarda!”
Sorrise, divertito, avvicinandosi senza fare rumore, sedendosi sul bordo del materasso per poter osservare il suo volto disteso, e l’espressione angelica, come quella di un bambino.
Si diede mentalmente dell’idiota: come poteva pensare una cosa simile su Merlin? Forse, la stanchezza gli aveva tirato un brutto tiro. Come al solito, il coinquilino aveva scordato di spegnere la luce.
-Merlin, sei il solito idiota- lo rimproverò, bisbigliando. La sua mano raggiunse l’interruttore, spegnendolo l’attimo dopo.
Una volta arrivato in cucina, si rese conto con orrore che le pentole della colazione non erano ancora state lavate e, cosa ancora peggiore, non c’era nulla di pronto per la cena. Che poteva fare? Lui non sapeva nemmeno da che parte prendere una padella!
Per un momento, pensò di chiamare un Takeaway, ma all’ultimo momento ci ripensò: se Merlin era in grado di cucinare, poteva benissimo farlo anche lui, giusto?
Aprì il frigorifero e i suoi occhi caddero immediatamente sullo spezzatino. No, troppo complicato, sarebbe morto di fame prima che la cottura fosse ultimata!
Doveva preparare qualcosa di veloce e sfizioso, qualcosa di facile...
Infine, l’illuminazione: la pasta!
Entusiasta, riempì la pentola d’acqua e aggiunse un cucchiaio di sale, poi la sistemò sul fornello acceso. Attese, fino all’ebollizione e calò gli spaghetti. Era a dir poco soddisfatto: non sembrava così difficile. Già immaginava Merlin, inginocchiato, che lo supplicava di dargli la ricetta.
Aspettò un paio di minuti prima di preparare un semplice soffritto in padella: aglio, olio e peperoncino. Era tutto perfetto...
Un urlo pazzesco lo fece saltare per aria, insieme al coltello che stava utilizzando per affettare i pomodori. La lama roteò, seguendo un’elegante parabolica e atterrò sul divano, infilzandosi tra i cuscini, da cui uscirono alcune piume. Il cuore del biondo batteva furioso nella cassa toracica, tanto che il poverino temeva di poterlo sputare da un momento all’altro.
Un nuovo, terribile grido terrorizzato lo convinse a scattare verso la camera da letto. Entrò trafelato, ancora scosso e preoccupato.
-Merlin!- entrando nella stanza di fretta, prese male le misure, andando così a sbattere contro lo spigolo dell’armadio. Si morse la lingua per non gridare, con i lucciconi agli occhi per il dolore. Sentì dei singhiozzi e il respiro del coinquilino sempre più affannoso. Che diamine stava succedendo?
Cercò a tentoni la luce e quando l’elettricità raggiunse la lampada a muro, i suoi occhi azzurri catturarono l’immagine del moro, spaventato a morte e bianco come un cencio. Tremava come una foglia e guardava un punto indefinito della stanza, il diaframma che si alzava e abbassava in un ritmo fin troppo frenetico.
Arthur riconobbe immediatamente quei sintomi: era un attacco di panico. Con un balzo raggiunse il letto, spaventando ancora di più il moro.
-Merlin...Merlin, va tutto bene. È tutto a posto...- Arthur non sapeva esattamente cosa fare, sperava solamente che la crisi passasse in fretta.
-Fammi uscire! Fammi uscire, ti prego...sono morti!- il moro continuava ad agitarsi, dicendo frasi che per l’ispettore erano prive di senso, sconvolto.
-Merlin, era solo un incubo. Va tutto bene...-
-No! Sono morti...i Greller sono morti!-
Arthur era sconcertato. Per quale motivo Merlin aveva sognato i vecchi proprietari del Sally’s Ranch? Ora non aveva tempo per pensarci: ciò che contava di più, era tranquillizzare Merlin.
-Merlin, non è successo niente. Sei a casa nostra, ricordi? Non è morto nessuno, sono semplicemente andato da Morgana e tu ti sei addormentato mentre studiavi-
L’altro ragazzo scosse ancora la testa.
-No, no Arthur! Tu non capisci! È stata tutta colpa mia! L’incidente...i Greller...Freya...-
-Ehy, frena, frena! Non ti seguo. Avanti, fai un bel respiro e spiegami tutto dall’inizio- lo incoraggiò, sedendosi al suo fianco e accarezzandogli i capelli, rassicurante.
-Io...Io ero con Freya, stavamo giocando. Sono arrivate delle persone e poi non lo so, c’è stata confusione, tanta confusione. E poi c’era una macchina, ricordo che il signor Greller stava andando troppo veloce. Si è scontrato con un’altra macchina, poi...poi...sono morti. Sono morti tutti...- Merlin iniziò a piangere e Arthur, istintivamente, lo abbracciò.
Quello non era un normale incubo, probabilmente il moro aveva davvero vissuto quei momenti, in passato. Questo spiegava l’altrimenti immotivato attacco di panico: sapeva che gli Emrys avevano adottato Freya dopo la morte dei genitori, ma non immaginava che Merlin fosse con loro, il giorno dell’incidente.
-Non è stata colpa tua- sussurrò appena, baciandogli la nuca e l’amico gli si accoccolò addosso, affondando la testa nell’incavo della sua spalla.
-Ti prego...ti prego, Arthur, non andare via...ho paura...-
L’ispettore sentì il cuore stringersi, vedendolo in quello stato. Il suo corpo, già minuto, sembrava essere diventato ancora più piccolo e fragile e i brividi non avevano ancora smesso di torturarlo.
Probabilmente, fu in quel momento che il suo cervello andò in tilt, permettendo a una forza magnetica d’impossessarsi del suo corpo, che si mosse da solo. La sua mano si strinse delicata sul mento di Merlin, costringendolo ad alzare lo sguardo, il pollice sulla guancia.
I loro occhi s’incatenarono, riempiendo l’aria di parole inespresse, privandoli di ogni pensiero e razionalità, mentre le labbra seguivano un percorso invisibile che le unì.
Un bacio a fior di labbra in grado di stordirli completamente, rendendoli vittime della passione che li travolse. A quel semplice contatto, ne seguirono altri, più istintivi ed incandescenti e le mani dell’ispettore iniziarono a vagare sul corpo dell’altro, infilandosi sotto la maglietta; ma proprio quando stava per rimuoverla, Merlin lo fermò.
-Aspetta un momento, Arthur...-
Il biondo farfugliò delle proteste incomprensibili, ma l’altro gli tappò la bocca, annusando l’aria e storcendo il naso.
-Non senti uno strano odore? Come se...sì, come se stesse bruciando qualcosa-
Senza sapere bene come, l’ispettore tornò in sé. Effettivamente, Merlin aveva ragione. Ma cosa poteva mai essere quella puzza terribile?
Improvvisamente impallidì. Scattò su come una molla, lanciando imprecazioni e corse fuori dalla stanza, lasciando così il moro piuttosto interdetto.
Lo raggiunse di corsa in cucina, appena in tempo vedere il biondino armeggiare con una padella col manico ormai quasi sciolto, il suo contenuto completamente carbonizzato e un fumo denso e nero che prendeva possesso della sala. Che scempio! Un altro minuto e avrebbe incendiato la casa!
Corse alla finestra per spalancarla, tenendo il naso tappato con una mano e sventolando l’altro braccio per cacciare il più distante possibile quella nube tossica: rischiavano seriamente di morire asfissiati, là dentro!  
-Che cos’era in origine?- si volle informare, dopo aver portato a termine la vitale manovra.
-Pasta aglio e olio...- s’imbronciò Arthur, immaginando perfettamente la reazione dell’altro, che non tardò a manifestarsi: Merlin cadde al suolo, tenendosi la pancia rischiando seriamente di soffocarsi per le troppe risate.
-Non c’è niente di divertente, Merlin!- tuonò, senza però sortire l’effetto sperato: in fondo, non sarebbe mai riuscito a far valere la sua autorità sul coinquilino. Era un caso senza speranza!
-Sì, invece! Arthur, sei una calamità in cucina!- riuscì ad articolare, tra una risata e l’altra.
L’ispettore sbuffò: non c’era modo di rimediare. Forse però, poteva farla pagare a quell’impertinente.
-Se lo trovi tanto divertente...- con un balzo, gli piombò addosso, immobilizzandolo con una mano ed iniziando a fargli il solletico con l’altra.
Merlin, se possibile, iniziò a ridere ancora più forte, fino alle lacrime, contorcendosi sotto il suo peso e pregandolo di smettere. Quando iniziò a piagnucolare, Arthur smise di torturarlo in quel modo. Ma anziché spostarsi, si chinò ancora di più su di lui, catturando ancora una volta le sue labbra invitanti: per avere la sua rivincita e rimuovere una simile onta per il suo orgoglio...
-Preparati, Merlin...perché mangerò te, per cena!-
 
Morgana lanciò uno sguardo preoccupato all’orologio affisso alla parete: ormai le nove erano passate da un pezzo e non era possibile che Will si fosse scordato dell’appuntamento.
Sospirò, catturando così l’attenzione dell’amica, che ancora si affaccendava oltre il bancone, intenta a passare uno straccio sulla vetrina per renderlo lucente e brillante.
-Arriverà, Morgana. Ne sono certa- cercò d’incoraggiarla, fermandosi un momento e concedendosi qualche momento di riposo, per allietare l’insopportabile attesa.
-È così strano, Gwen...Will non si è mai dimenticato di un appuntamento e di solito mi avverte per eventuali ritardi- la cavallerizza sembrava fin troppo pensierosa, quindi Elyan pensò bene di cambiare argomento, per distrarla.
-Oh, non pensarci! Piuttosto, sorellina. Hai già un piano per aiutare Lance e Gwaine?- il ragazzo sorrise, notando il mutamento di espressione nella figlia del commissario: ora aveva tutta la sua attenzione.
-Di che parli Elyan? Di che si tratta?-
-Non c’è bisogno che lo sappia mezzo mondo, Elyan!- lo rimproverò la mulatta. Cambiò immediatamente tono di voce, nel rendersi conto della gaffe. –Cioè...non volevo dire che tu sei mezzo mondo, Morgana! Quello che volevo dire, era solo che...occielo!-
-Non preoccuparti, Gwen. Ti perdono se mi racconti tutto, sono proprio curiosa, ora!-sorrise l’amica.
-Vedi, il fatto è che quei due si sono messi in testa di far capire a Arthur e Merlin quanto siano importanti l’uno per l’altro e mi hanno chiesto di aiutarli, visto che li conosco bene entrambi- Gwen sperò che almeno la sua migliore amica comprendesse il suo punto di vista: non voleva impicciarsi in quel modo.
-Ma che splendida idea!- esultò, invece, Morgana.
-Ti rendi conto di quello che dici? Anche io ho notato che quei due sono qualcosa di più che semplici amici, ma...insomma, gli eventi devono seguire il loro corso e...-
-Oh, suvvia Gwen! Se lasciassimo fare a quei due, li vedremo insieme quando ormai saremo vecchie sdentate! E poi, sarà divertente! Ci sto, voglio anch’io la mia parte! Cosa devo fare?-
La mulatta sbuffò, alzando gli occhi al cielo: perché aveva degli amici così impiccioni?
Le ore passarono velocemente, alla ricerca di una possibile strategia. Ma quando Elyan sbadigliò sonoramente e Gwen guardò l’orologio, spalancò la bocca in una “O” perfetta: era già l’una passata!
Morgana trattenne a stento la delusione: era una ragazza forte e di sicuro Will le avrebbe dato una buona spiegazione, probabilmente insieme a un bellissimo mazzo di fiori, per farsi perdonare. Ma non riusciva davvero a credere che non le avesse mandato nemmeno un messaggio per avvertirla. Che le avesse dato buca così, pur sapendo quanto fosse difficile per lei uscire di casa con Uther e Katrina che la seguivano come cani da guardia!
-Morgana, avevi detto ai tuoi che saresti rimasta a dormire da Arthur, non è vero?-
-Già, ma a quest’ora starà dormendo come un ghiro- la ragazza annuì debolmente, con un sorriso rassegnato.
-Beh, la nostra casa ha sempre un letto per te!- sorrise la proprietaria del Break Time, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Morgana la ringraziò: era davvero fortunata ad avere un’amica come Gwen.
 

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Capitolo 5
*** Le deduzioni del commissario ***



Prometto che alla fine, vi ringrazierò tutte come si deve *_* Vi adoro, lo so di essere ripetitiva, ma è la verità!
Si avvicinano tempi di guai, per i nostri eroi. Con questo capitolo, si entra nel vivo del giallo...o almeno, io ci ho provato XD Non sono molto esperta del genere, se qualcosa non fosse chiaro, vi darò spiegazioni più esaurienti ^_^
Vi dico sin da ora, che i prossimi capitoli sono disseminati di indizi (in realtà anche i precedenti), ma non sono stati evidenziati in alcun modo perchè la sottoscritta è sadica e perfida. L'obiettivo era quello di arrivare all'ultimo capitolo e, finalmente, ricollegare tutto in una sorta di "Oh, ma è vero! E' successo questo e quell'altro" collettivo. Temo di aver fallito, ma questo me lo direte voi ^^'
Buona lettura!
PS: Intanto, posso dire che tutte avete indovinato a chi è toccato il triste destino =°
Un minuto di silenzio e una lacrimuccia per il best friend...


41 di sangue


Capitolo 4:
Le deduzioni del commissario

 

 Il mattino arrivò velocemente, con la sua luce dorata e il vociare di qualche passante che si affrettava per le strade.
Perceval salutò stancamente un felice e pimpante Gwaine: mentre quello scellerato del viceispettore se la spassava con qualche bellissima ragazza, lui si era dovuto sorbire il turno notturno, cosa che avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque. Soprattutto dopo una notte noiosa come quella appena trascorsa. Per fortuna, l’agente aveva un encomiabile pazienza, quindi lasciò correre. In fondo, non era colpa di Gwaine.
Ma qualcun altro, non era dello stesso parere.
-Possibile che ne rimorchi una al giorno?- esclamò Lancelot, esasperato, quando il castano varcò la soglia con l’indice e il medio sollevati, in segno di vittoria: un modo idiota per dire che la preda era caduta ai suoi piedi.
-Che hai da lamentarti? Sei tu quello che ha deciso di accasarsi con la sorella di Elyan- rispose, senza un reale interesse per l’irriverente tono scocciato dell’amico.
-Ma nessuno sta indagando su di lei!-
Perceval abbandonò l’idea di tornare a casa a dormire, per pura lealtà di cameratismo. E sì, doveva ammetterlo, anche per impicciarsi degli affari altrui. Non tanto per il pettegolezzo in sé, sia chiaro; più semplicemente, Gwaine era un suo amico, nonostante fosse un suo superiore e doveva metterlo in guardia dai rischi che correva.
-Cosa cosa? Sei uscito con un’indagata? Ma sei pazzo! Se il commissario lo scopre...-
-Grazie papà- gli rispose sarcastico, voltandosi verso di lui. –Ma sinceramente non me ne importa un fico secco. Per una bomba simile, ne vale davvero la pena!-
L’interessante discorso venne interrotto dalla suoneria di Lancelot.
-Fammi indovinare...la tua mogliettina- lo prese in giro il viceispettore, scimmiottando un’espressione decisamente mielosa, che mandò in tilt il povero Lancelot per l’irritazione.
-Viceispettore Orkney, ci sono delle cartelle da riordinare nel suo ufficio e dei moduli da portare in archivio! E deve apporre la firma ai rapporti impilati sulla sua scrivania! Per non parlare del caso Priscilla! Ha davvero tanto tempo da perdere?-
-Per te, sempre!- lo stuzzicò il castano, sorridendo beffardo.
-Ti prego, Perce! Portalo via, prima che lo strozzi!- sbottò, prima di decidersi a rispondere alla sua amata.
Sentì le lamentele del ragazzo, mentre veniva trascinato lontano dalle forti braccia del collega, quindi si concentrò sulla telefonata. –Tesoro!-
La risposta che ottenne, anziché lo sperato “buongiorno”, fu un pianto a dirotto. Sentiva in sottofondo dei singhiozzi disperati.
-Gwen! Gwen, cosa succede?- alzò la voce, apprensivo.
-Oh, Lance...Lance! È successa una cosa...una cosa...Oddio...-
-Gwen! Cosa? Cos’è successo? Perché piangi?- la paura crebbe, attorcigliandogli lo stomaco.
-Il ragazzo di Morgana, Will...lui è...l’hanno ucciso...-
Lancelot restò immobile per un momento, come se assimilare una notizia simile fosse davvero troppo per lui. Ma durò solo pochi attimi: non aveva tempo da perdere, non poteva lasciare sola Gwen, in quel momento.
-Dove sei?-
Gwaine e Perceval, che osservavano la scena da un angolo distante, notarono immediatamente l’agitazione del collega e appena riagganciò, gli corsero incontro.
-C’è stato un omicidio, al maneggio di Hunith!- disse, prima ancora che i due potessero chiedergli qualcosa.
Gwaine, come prevedibile, sbiancò.
-Cosa? A Wildwoods? Sei sicuro di aver capito bene, Lance?-
L’agente annuì.
-Sembra che poco fa abbiano trovato il ragazzo di Morgana, morto. Da quel poco che ho capito, lo hanno assassinato-
Il viceispettore deglutì, cercando di rallentare i battiti cardiaci: per un momento, aveva temuto che fosse accaduto qualcosa al suo amico Merlin. Ma la faccenda era comunque terribile.
-D’accordo. Allora muoviamoci!- i tre scattarono sul retro, dove li attendeva una volante. –Ti chiedo solo un po’ di pazienza, Perce. Dopo il sopralluogo, ti do uno strappo a casa-
L’agente annuì alla gentile offerta del viceispettore.
 
-Bene. Vediamo un po’ cos’abbiamo qui- Edwin Muirden, il coroner*, era già all’opera: varcò il nastro a strisce gialle e nere e si chinò sul telo bianco che copriva i resti della povera vittima. Lo sollevò leggermente e fece una smorfia, che risaltò maggiormente la grossa cicatrice da ustione che aveva sul volto. –Accidenti! Brutta storia!-
Gwaine s’inginocchiò al fianco dell’uomo, scrutandolo con curiosità: la scena del crimine era già abbastanza insolita, senza che ci mettesse lo zampino anche il coroner con le sue affermazioni sibilline.
-Sai dirmi a che ora è morto, Edwin?-
L’uomo scosse la testa.
-Credo che dovrete aspettare l’autopsia del medico legale per questo. Ma potrebbe essere stato, approssimativamente, intorno alle sette di ieri sera-
Il castano annuì, annotando l’informazione insieme a quelle che già aveva preso, su un block notes.
A trovare il ragazzo era stato il padre di Merlin, durante la sua solita cavalcata mattutina: Will era riverso, prono, sulla strada che dal maneggio portava fino al vecchio granaio, passando proprio in mezzo alle verdi radure della campagna. Attenendosi alle parole di Belinor, la prima cosa che l’uomo aveva notato, era stata la pozza di sangue vermiglio che si mescolava con la terra e l’erba, imbrattando i ciottoli e i sassi del sentiero isolato. In effetti, quel lago scarlatto non passava inosservato e i due agenti avevano già verificato che fosse visibile dalla curva da cui l’insegnante di equitazione affermava di averlo avvistato. Era bastato uno sguardo al corpo per capire che ormai, era troppo tardi per salvarlo, per questo aveva chiamato subito la polizia e non il pronto soccorso.
Il viceispettore afferrò il cellulare, per scattare alcune fotografie: la vittima aveva il braccio teso davanti a sé, come se...
Bingo!
-Ehy! Qui c’è scritto qualcosa!- annunciò, tenendo ben stretto un fazzoletto davanti a naso e bocca, per proteggerli dall’odore nauseabondo e pregnante.
Lancelot si chinò, per guardare meglio il punto indicato dal superiore. In effetti, sotto la mano insanguinata di Will, c’erano dei segni:
-Già. Ma cosa significano?- domandò, incuriosito.
-Non ne ho idea, ma te ne occuperai tu, Lance. Io seguirò le orme che il nostro assassino si è premurato di lasciarci, sembrano proprio un invito ad arrestarlo!- così, dopo aver dato una pacca d’incoraggiamento all’agente, si allontanò insieme a Perceval.
Quella faccenda puzzava di brutto: innanzi tutto, perché l’omicida aveva lasciato Will sulla strada che Belinor avrebbe percorso il giorno dopo? Era risaputo, che l’istruttore percorreva quella stessa strada tutte le mattine. Non che gli dispiacesse, in fondo aveva risparmiato loro la fatica di cercare un corpo ben occultato. Ma il fatto che lo avesse abbandonato proprio in un punto frequentato, lo lasciava perplesso e preoccupato. Che avesse in mente qualcosa?
Forse era una persona estranea a Wildwoods e per questo inconscia delle abitudini del proprietario? No, era improbabile: le orme si erano allontanate proprio in direzione del vecchio granaio, e a giudicare dalla distanza che intercorreva tra un’impronta e l’altra, l’assassino doveva essersela presa comoda. Quindi, non aveva agito in preda a una pulsione, ma calcolato ogni cosa con cura, di questo il viceispettore era certo.
Conosceva bene il maneggio e i suoi dintorni. Che questo lo avesse portato a un’eccessiva fiducia in sé stesso? O, forse, voleva sfidare la polizia.
-Viceispettore Orkney- l’agente al suo fianco lo richiamò alla realtà: mancavano una cinquantina di metri all’edificio abbandonato, ma in lontananza potevano scorgere le ultime scie di un fuoco, acceso con ogni probabilità durante la notte.
-Andiamo, Perce, ho una pessima sensazione- ordinò, accelerando il passo, seguito dall’amico.
Quando arrivarono ai piedi del falò ormai morente, Gwaine emise un lamento frustrato: il fatto che ci fossero delle impronte gli era sembrato davvero troppo bello per durare. Il colpevole aveva bruciato ogni vestito, così da eliminare le prove.
-Ma...se i vestiti sono qui...- Perceval osservò il suo capo, pensieroso.
-Ci ha fregati! Scommetto che non troveremo niente!- il ragazzo scosse il capo, amareggiato. –Di sicuro, aveva premeditato l’omicidio di Will. Ha portato dei vestiti per cambiarsi nel granaio e ha bruciato quelli usati per il delitto-
-Sì, ma qui c’è solo stoffa e legno. Questo significa che ha ancora addosso le scarpe. Forse le ha lavate con quella canna, a terra c’è del fango misto al sangue. Ma se eseguiremo delle prove al luminol, potremo comunque riconoscerle - gli fece notare l’altro.
Gwaine esultò mentalmente: il  loro uomo, aveva davvero commesso un errore, sopravvalutandosi a quel modo.
-Perfetto. Avvisa gli altri agenti, dobbiamo assolutamente trovarle! Dobbiamo cercarle in ogni angolo, qui attorno e alla fattoria!-
 
Uno spiraglio di luce colpì il volto dell’ispettore Pendragon, che mugugnò infastidito. Si rigirò tra le coperte, premendosi meglio contro “l’occupante abusivo” del suo letto. Ma svegliarsi con quel profumo non era poi così male. Certo, doveva abituarsi all’idea che le cose si fossero evolute in quel modo, ma era accaduto tutto in modo così naturale, da sembrare la cosa più giusta del mondo.
Sorrise tra sé, inspirando il profumo della sua pelle.
Non sapeva se lasciarlo dormire o meno, ma dei forti colpi alla porta, accompagnati da una voce autoritaria a lui ben nota, decisero per lui.
-Arthur! Apri immediatamente la porta, o la farò abbattere!- Uther sembrava infuriato e l’ispettore iniziò a sudare freddo: se suo padre avesse scoperto quello che era successo, ne sarebbe seguita una catastrofe! Inoltre come poteva spiegare l’assenza di Morgana? Era domenica, non poteva certo dire di averla già accompagnata a scuola!
Per sua fortuna, Merlin si alzò di scatto, come se si fosse scottato ed iniziò a raccattare tutte le possibili prove della loro colpevolezza, bisbigliando a denti stretti un isterico “Muoviti!”, lanciandogli addosso i vestiti, che Arthur indossò prontamente.
-Sto arrivando!- gridò, temendo che il commissario irrompesse senza preavviso.
Percorse a grandi falcate la distanza che lo separava dall’uscio e fece scattare la serratura. La porta si aprì cigolando, mostrando la figura autoritaria di Uther Pendragon, accompagnato da due agenti con cui il biondo non aveva molta confidenza.
-Perquisite la casa-
Arthur strabuzzò gli occhi: cosa diavolo andava dicendo suo padre?
I due poliziotti entrarono senza troppi complimenti, perlustrando ogni minimo angolo del corridoio. Quando spalancarono la porta della camera da letto, trovarono Merlin intento a rifare il letto e si avvicinarono minacciosi. Il moro, in un primo momento, non ci fece caso, ma quando un agente lo strattonò, sobbalzò leggermente.
-Ehy, cosa...?- l’altro agente disfò i due letti, sotto lo sguardo attento di Uther.
L’ispettore spalancò la bocca, adirato.
-Che significa tutto questo? Si può sapere cosa stai cercando?-
-Dovresti riconoscere la prassi. Cerchiamo delle prove.- suo padre rispose senza guardarlo, troppo impegnato a guardarsi attorno.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata interrogativa. In quel momento, Merlin si rese conto di un dettaglio a cui Arthur non aveva fatto caso; portò il pugno chiuso davanti alla bocca, fingendo un colpo di tosse, sperando che il biondo capisse. Ma niente, tutto ciò che ottenne in risposta da quell’idiota fu uno sguardo stranito.
Merlin abbassò lo sguardo sulla propria maglietta, augurandosi che il coinquilino lo imitasse e guardasse la propria. Ma non aveva fatto i conti con la sua ottusità.
Non gli rimaneva altro da fare.
“La maglietta!” mimò con il labiale, esasperato.
Arthur, finalmente lanciò un’occhiata al suo indumento e si accorse, con orrore, che l’aveva indossata al contrario. Agì d’impulso, sfilandola senza preavviso e lasciando basiti tutti i presenti.
-Avevo caldo- motivò, cercando di risultare serio.
Uther scosse la testa, contrariato.
-Cambiamo stanza, qui non c’è niente- ordinò, infine.
I due agenti lo seguirono in cucina. Il commissario Pendragon osservò con ribrezzo i resti della padella bruciacchiata.
-Ma che accidenti è successo in questa cucina?-
-Ecco...Arthur stava cucinando e...- Merlin iniziò a spiegare, ma venne bruscamente interrotto dall’uomo.
-Nessuna persona sana di mente glielo lascerebbe fare! È come dare della dinamite a uno psicopatico!- esclamò adirato, mentre il volto assumeva un’espressione incredula.
-Si è impossessato dei fornelli mentre dormivo- si difese Merlin, cercando di non scoppiare a ridere di fronte al viso offeso del biondo.
-Guarda che stava uscendo alla perfezione! Se tu non avessi gridato, non mi sarei distratto! Non avrei dimenticato di spegnere il fuoco e tutto il resto!- sbottò Arthur, senza riuscire a trattenersi. Solo dopo si rese conto di quello che aveva fatto: la domanda spontanea di Uther non tardò ad arrivare.
-Gridato per cosa?-
Merlin s’irrigidì leggermente. Non gli andava di parlare a tutti delle sue fobie!
-Un ragno- mentì prontamente, lanciando un’occhiata complice all’ispettore, pregandolo con gli occhi di non dire la verità.
Il ragazzo sospirò, in risposta.
Merlin, sono Will. So che sei impegnato, ma devo dirti una cosa. È una questione urgente, raggiungimi a Wildwoods appena ricevi il messaggio!
Un agente aveva notato la spia lampeggiante della segreteria telefonica: la voce di Will impregnò la stanza.
-A che ora ha lasciato il messaggio?- Il commissario tornò serio, più austero che mai.
L’agente riavvolse il nastro.
Messaggio delle 18.23 - Merlin, sono Will. So che sei impegnato, ma devo dirti una cosa. È una questione urgente, raggiungimi a Wildwoods appena ricevi il messaggio!
-Le 18.23, commissario.-
Il padre di Arthur annuì, poi posò lo sguardo sul coinquilino del figlio, che ricambiò incuriosito.
Ma poteva avvertire una strana atmosfera nell’aria e non gli piaceva affatto.
-Portate Merlin Emrys in commissariato-
L’ispettore aprì la bocca, indignato.
-Come sarebbe? Vuoi dirmi che sta succedendo?-
-Puoi venire anche tu, Arthur. Così mi spiegherai per quale motivo hai mentito e coperto la piccola fuga d’amore di tua sorella!-
Merlin lanciò uno sguardo preoccupato al ragazzo di fronte a sé. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma era spaventato. Perché quegli agenti erano piombati in casa loro? Perché lo stavano trascinando giù dalle scale e accompagnando a una volante della polizia, come se fosse un criminale? Che cos’era successo?
Inoltre, sembrava che tutto fosse partito da quel messaggio che Will gli aveva lasciato in segreteria.
Arthur era, se possibile, ancora più spiazzato di lui: lo aveva raggiunto subito dopo essersi reso presentabile e aveva preso posto accanto al moro, irritato.
-Non guardarmi così, Merlin. Ne so quanto te- sbottò.
Lo studente provò a fare qualche domanda al commissario, ma quest’ultimo gli intimò di non dire nulla, che avrebbe spiegato tutto quando sarebbero arrivati a destinazione.
 
Con sommo stupore dei due ragazzi, una volta arrivati al commissariato trovarono i loro conoscenti: Gwen, Morgana, Elyan e come era prevedibile, Lancelot.
Inspiegabilmente, il loro ingresso sortì un effetto imprevisto: senza preavviso, la voce rotta dai singhiozzi di Morgana rimbombò tra le pareti color pesca. Guardò Merlin con gli occhi iniettati di dolore e follia, sputandogli addosso parole cariche di rancore.
-Ti odio! Ti odio, Merlin, non ti voglio più vedere! Che cosa ti aveva fatto, eh? Come hai potuto fargli questo, Merlin? Sei un mostro!-
Merlin, basito, aveva aperto la bocca senza riuscire a proferire parola. Si voltò in direzione di Lancelot, sperando che almeno lui gli spiegasse qualcosa, ma l’agente non ne ebbe il tempo materiale: i poliziotti lo accompagnarono nell’ufficio del commissario. Arthur desiderava seguirli, ma il padre lo bloccò, tendendo il braccio a simboleggiare una barriera.
-Non è ancora il tuo turno, Arthur.- disse semplicemente, prima di dargli le spalle e chiudere la porta.
-Ma che accidenti è successo, Lancelot? Morgana?- il biondo si voltò, sempre più costernato a fissare i due.
Morgana si era accasciata su una sedia, gli occhi gonfi di pianto e Gwen, al suo fianco, le porse un fazzoletto.
Arthur si rese conto che non l’aveva mai vista in quello stato e la sua ansia crebbe.
-Arthur, ti prego, devi aiutare mio figlio! Ho provato a telefonargli, per avvertirlo di quanto era successo, ma il cellulare era spento! Sapendolo in quel modo terribile, gli verrà un colpo!- Hunith gli corse incontro, generando una reazione a catena e tutti iniziarono a parlare contemporaneamente.
-Uno alla volta!- tuonò l’ispettore.
Quella giornata era iniziata in un modo terrificante!
Lancelot lo prese da parte, spingendolo nell’ufficio del viceispettore: Gwaine non c’era, ma il suo gilet era abbandonato sulla spalliera della sedia, segno evidente della sua presenza al distretto.
-Ok, ti spiegherò ogni cosa, ma prometti di non perdere la testa-
Arthur annuì, sorpreso dal tono grave dell’amico e dal suo sguardo, fin troppo serio. Deglutì, attendendo che proseguisse. 
 
-Sai, quando ti ho visto l’altro giorno ho pensato che tu fossi un idiota- esordì tranquillamente Uther, guardando negli occhi lo studente seduto alla sua scrivania. –Ma non pensavo che lo fossi fino a questo punto. Hai lasciato un mucchio di prove-
Merlin ingoiò saliva, stupito. Perché quell’uomo lo scrutava come se volesse leggergli i pensieri?
-Non capisco...-
-Fare il finto tonto non ti servirà a niente- sospirò il commissario, tirando fuori da un cassetto un sacco trasparente, contenente una scarpa usurata.
Merlin la riconobbe: faceva parte di un paio che usava spesso, quando era al maneggio, per non rovinare le sue tennis.
-Continuo a non capire- quella situazione non gli piaceva affatto. Sembrava che Uther lo stesse accusando di qualcosa, che ancora gli sfuggiva. E poi, lui non aveva fatto proprio niente!
-È tua, questa scarpa?- domandò l’uomo, a bruciapelo.
-Sì, ma...- la sua risposta titubante venne interrotta.
-Non avevo dubbi. Guardala bene, non ti rinfresca la memoria?-
Merlin avvicinò il viso alla busta trasparente, ma a prima vista gli sembrava che fosse tutto a posto, anche se era bagnata. Scosse il capo, frastornato e un attimo dopo si ritrovò con il cuore in gola, per il forte pugno che Uther aveva tirato al tavolo: il rumore inaspettato lo aveva fatto sobbalzare.
-È inutile mentire! Abbiamo già fatto analizzare l’altra scarpa con il luminol ed è piena di tracce ematiche! Vuoi ancora nascondere di averle indossate per commettere l’omicidio?-
Merlin alzò la testa, guardando Uther come se fosse impazzito.
-Ma di che omicidio parla? Io non ne so niente!-
-Parlo del modo barbaro e spietato in cui hai ucciso il povero William Grant!- il commissario sibilò di rabbia, ma nel pronunciare il nome della vittima, il volume s’impennò, facendo trapelare tutta la sua collera.
Merlin sbiancò di colpo, gli occhi spalancati per la sorpresa e il dolore che si faceva strada come un serpente nel suo petto, stringendo le sue spire attorno alla cassa toracica, mozzandogli il respiro.
No. No, Will non poteva essere morto. Quello era senza dubbio un incubo.
-Voglio sapere perché lo hai fatto e dove hai nascosto l’arma del delitto- Uther prese posto alla sua poltrona girevole, guardando in cagnesco il giovane Emrys.
Lui scosse la testa, con le lacrime che si affacciavano agli occhi sconvolti.
-Will...Will non può essere morto, è una bugia!-
-Oh, allora è per questo che lo hai lasciato sulla strada. Lo hai colpito in preda a un raptus di follia e quando ti sei accorto di essere ricoperto di sangue, hai semplicemente pensato di sbarazzarti delle prove. In fondo, era evidente che lo avesse ucciso un principiante!-
Merlin boccheggiò, senza riuscire a difendersi: tutto ciò era assurdo. Era uno scherzo, un orribile scherzo.
-Ti faciliterò le cose. So già quello che hai fatto: appena ricevuto il messaggio di Grant, sei andato a Wildwoods, dove la vittima ti aspettava impaziente sulla strada che conduce al vecchio granaio. Avete parlato e le cose sono degenerate, gli hai strappato di mano il forcone con cui stava lavorando e lo hai colpito. Poi ti sei allontanato. Non potevi tornare al maneggio, perché sapevi che a quell’ora sarebbe stato troppo pericoloso e che qualcuno avrebbe potuto vederti. Quindi ti sei recato al vecchio granaio, dove sapevi che avresti trovato una canna per lavarti ed eliminare le tracce di sangue. Hai trovato degli indumenti per cambiarti nel capanno degli attrezzi e hai pensato bene di bruciare quelli usati per commettere l’omicidio. Ora dimmi. Dove hai messo l’arma del delitto?-
-Non sono stato io!- Merlin sentiva che se il commissario lo avesse tenuto sotto torchio ancora per un po’, sarebbe esploso: l’aria iniziava già a mancargli. Le finestre erano chiuse, tutte quelle insinuazioni lo opprimevano. –Per...per favore, aprite la finestra...-
Il suo respiro stava già ignorando i normali ritmi.
-Non ci penso nemmeno!- ribatté il commissario, torvo.
Merlin lo supplicò con lo sguardo, ma non ottenne nulla.
-Per...per favore, io...soffro di claustrofobia...-
Uther scoppiò a ridere. Una risata ironica e distaccata.
-Questa è la scusa più patetica che abbia mai sentito!-
-È la verità! Deve credermi! E poi, non avevo nessuna ragione per uccidere Will, era il mio migliore amico!- Merlin si sentiva male: un nodo in gola gli rendeva difficile respirare e lo stomaco si era attorcigliato. Aveva la nausea. Quelle accuse erano assurde, così come la situazione nel suo insieme: ancora non riusciva a credere che Will fosse morto e che il principale indagato fosse proprio lui. Non aveva fatto niente di male!
Voleva bene a Will, dannazione! Perché il commissario era cieco, di fronte alla sua sofferenza?
-Confessa, o ti farò marcire in galera- gli occhi turchesi di Uther fiammeggiarono, minacciosi.
-Sono innocente!- Merlin urlò. I nervi stavano cedendo, per la disperazione. Sentiva gli occhi ricolmi di lacrime: perché non gli credeva? Perché lo stava accusando?
-Allora guarda queste! Prima di morire, William Grant ha cercato di scrivere il nome dell’assassino sul terreno, con il dito! Purtroppo, è riuscito a scrivere solamente la “M” e parte della “E”-
Improvvisamente, la stanza sembrava troppo stretta, l’aria troppo poca. L’atmosfera asfissiante.
Appena il commissario mise davanti alla sua vista le fotografie scattate durante il sopralluogo, indicando le fantomatiche lettere accanto alla mano della vittima, , Merlin fu costretto a mettere la mano davanti alla bocca, per costringersi a non vomitare.
Il malessere che lo aveva colpito all’addome era risalito velocemente, diramandosi anche alle altre parti del corpo.
Singhiozzò, in preda al panico. Cosa doveva fare? Come poteva convincere quell’uomo che stava dicendo la verità? Che non riusciva a spiegarsi la ragione che aveva spinto Will a scrivere il suo nome.
-La prego...la prego, deve credermi- lo supplicò, ma ottenne solamente un’altra occhiata colma di disgusto.
-Non credo agli assassini-
-Ora basta! La smetta, commissario!-
La porta dell’ufficio si era spalancata di colpo e Arthur aveva fatto il suo ingresso con passo deciso, guardando furioso il padre. Si avvicinò al coinquilino, poggiandogli una mano sulla spalla, rassicurante, sorridendogli. Poi tornò a rivolgersi a Uther, che lo osservava con cipiglio severo.
-Arthur, questo ragazzo è un assassino. Abbiamo le prove che lo inchiodano-
-Un paio di vecchie scarpe non significano nulla, potrebbe averle indossate chiunque!-
-E le lettere, allora?-
-Non è detto che Will volesse scrivere proprio “Merlin”! E poi, ieri sono stato con lui tutto il giorno, non avrebbe avuto il tempo per commettere l’omicidio!-
-La vittima è morta verso le sette di ieri sera. Poteva benissimo sgattaiolare fuori e commettere l’omicidio, mentre eri con Morgana per mettere in scena quell’assurda pagliacciata. A proposito, come hai potuto farlo?-
Arthur scosse la testa, convinto.
-Va bene, lo ammetto, non avrei dovuto assecondare Morgana. Ma questa è un’altra faccenda! Merlin è innocente, ne sono sicuro!-
-Sentiamo, cosa te lo fa pensare?- Uther si era alzato in piedi e si era avvicinato lentamente al figlio, specchiandosi nei suoi occhi azzurri: non c’era incertezza nel suo sguardo.
-Perché dopo aver accompagnato Morgana al Break Time, sono tornato subito a casa. Sono partito verso le sei e saranno state al massimo le sette e cinque quando sono tornato, ma lui stava già dormendo!-
-Purtroppo, stando a quanto ha detto il coroner, la vittima non è morta immediatamente. Ha perso i sensi quasi subito, questo è vero, ma è deceduta solo in seguito, per dissanguamento. Quindi potrebbe essere a Wildwoods appena ricevuto il messaggio, diciamo le sei e quaranta? Aver commesso l’omicidio ed essere tornato a casa-
-È impossibile che abbia ucciso Will e sia tornato a casa in meno di trenta minuti! Di sicuro ci sarebbe andato in bicicletta, Merlin non usa mai i mezzi!-
-Dannazione, Arthur! Questo lo sapremo quando si deciderà a confessare! E poi, Will nel messaggio diceva che era urgente, forse stavolta li ha presi- ipotizzò Uther, ormai certo della colpevolezza del giovane.
-No, non uso i mezzi perché sono claustrofobico! E non mi ero accorto del messaggio, mi sono addormentato appena Arthur è andato via!- Merlin provò a spiegarsi, ma il commissario non voleva sentire ragioni: ormai lo aveva etichettato come assassino.
-Questa volta avete preso un granchio, commissario e ve lo dimostrerò- assicurò, sprezzante l’ispettore.
-Come vuoi, figliolo. Ma fino ad allora, il tuo amico resterà in cella. Agenti!-
Merlin scattò in piedi, terrorizzato e il biondo intuì le sue preoccupazioni: lui odiava i posti chiusi e bui, sarebbe certamente morto di paura, nel giro di una notte.
-Non puoi farlo!- tentò di convincere il padre a lasciarlo andare, mentre due poliziotti accorrevano, attirati dal tono imperativo del commissario Pendragon.
-Certo che posso. Quel ragazzo è il solo indagato per l’omicidio volontario di William Grant, fino a prova contraria resterà in cella. E non guardarmi così!- gridò, perentorio e vagamente stizzito dal comportamento infantile del figlio.
-Arthur! No...no, vi prego! Sono innocente! Arthur, diglielo, ti prego! Non ho fatto niente, sono innocente!- Merlin continuò a urlare in preda alla frustrazione, disperato, voltandosi per quanto gli fosse consentito dalla morsa dei due agenti che lo stavano trascinando lontano, verso un loculo freddo e buio.
Aveva paura.
Paura che quell’incubo non sarebbe mai finito.
Paura che il commissario, così ostinato, se la prendesse con lui, lasciando in libertà il vero assassino.
Paura che quest’ultimo colpisse ancora le persone che amava.
Paura che, alla fine, anche l’ispettore lo abbandonasse al suo triste destino.
Fu proprio Arthur a riportarlo alla realtà: lo aveva afferrato per una spalla, rallentando così il percorso degli agenti. Lo aveva abbracciato, stringendolo a sé, protettivo.
-Giuro che ti tirerò fuori di qui, fosse l’ultima cosa che faccio...- aveva sussurrato, affondando il palmo nei suoi capelli scuri.
A Merlin non era rimasto poi molto da fare, quindi si era limitato ad annuire, inspirando a fondo il profumo dell’amico per farne scorta. Quello stesso profumo che lo aveva cullato nel buio, aiutandolo ad addormentarsi la sera prima.
Continuò a guardare l’ispettore, mentre i due agenti lo trascinavano lontano da lui. Lontano da tutto e tutti.
La sua nuova casa, sarebbe stata una cella piccola e stretta, di fredde mura e sbarre.
Quando la serratura scattò, lasciandolo solo in quella prigione, fu come essere pugnalati allo stomaco. Avrebbe potuto gridare la sua innocenza per ore, finchè la gola non avrebbe iniziato a raschiare ed i polmoni a bruciare. Ma sarebbe stato completamente inutile: solo Arthur gli credeva, ma non poteva fare nulla contro il padre. Perfino Morgana, sembrava convinta della sua colpevolezza.
Ora poteva solamente aspettare e sperare che il biondo trovasse il vero colpevole...
 
Arthur sbatté con forza la porta dell’ufficio, pronto ad affrontare il padre. Doveva convincerlo dell’innocenza di Merlin, ad ogni costo.
-Come puoi pensare che sia stato lui? L’hai guardato bene?- gridò, roso di rabbia.
Uther nemmeno lo guardò: tornò a sedersi alla scrivania, appuntando qualcosa su un fascicolo.
-Allora, Arthur. Quand’è che troverai un coinquilino con la testa sulle spalle? Prima un’adultera e ora un assassino! Il prossimo chi sarà? Un ladro?-
-Mi vuoi ascoltare? Conosco Merlin, non ucciderebbe mai qualcuno!-
-Tutte le prove dicono il contrario. Appena Gaius finirà di esaminare le scarpe e il corpo di William Grant, avremo le conferme necessarie-
-Ma non è evidente che stanno solo cercando di incastrarlo?-
-Dannazione, Arthur! Questo è il rapporto, se non credi a ciò che dico leggilo e cerca un’altra strada!-
-Puoi contarci, che lo farò! Le tue teorie sull’omicidio sono completamente sbagliate, ti sei fissato su Merlin solamente perché è il mio ragazzo e questo non ti va giù!- gridò, con tutto il fiato che aveva.
Sentiva la testa più leggera del solito...
Solo in seguito però, si accorse del clamoroso errore appena commesso.
-Bene. È evidente che sei troppo coinvolto per occuparti di questa faccenda.-
-Cosa? No! Io...io posso!-
-Temo che quel ragazzo abbia approfittato dei tuoi sentimenti per costruirsi un alibi. Se fossi in te, non perderei tempo facendo l’avvocato del diavolo e cercherei un nuovo coinquilino- Uther lo liquidò, congedandolo.
Arthur uscì dall’ufficio visibilmente scosso: anche se non lo avrebbe ammesso, le parole del padre lo avevano insidiato di dubbi. No, di sicuro il commissario si sbagliava.
Ma allora perché non aveva trovato la forza di ribattere e difendere Merlin da quelle insinuazioni?
Entrò abbattuto nel proprio ufficio, dove lo aspettavano Gwaine e Hunith.
-Arthur!- la donna gli corse incontro. –Ti prego, devi fare qualcosa, mio figlio è innocente, lo sai anche tu! Non avrebbe mai ridotto in quello stato il suo migliore amico...-
Con sgomento, l’ispettore si rese conto che il padre aveva perfettamente ragione: non era lucido. Non sarebbe mai riuscito ad affrontare il caso con la dovuta razionalità. Gli rimaneva solamente una cosa da fare.
-Mi spiace, Hunith. Ma non devi convincere me. Sono stato sollevato dall’incarico-
La donna si portò le mani alla bocca, stravolta dal dolore.
-Mio figlio è innocente!- continuava a ripetere.
-Vedrai, troveremo il vero assassino Hunith- Gwaine le strinse affettuosamente la spalla, anche se il suo viso continuava a mostrarsi amareggiato.
Arthur sospirò.
Improvvisamente, una domanda affiorò spontanea alle sue labbra.
-Hunith... Merlin è davvero claustrofobico?-
Il viceispettore Orkney lo guardò come se stesse dicendo un’assurdità, ma la madre del moro annuì.
-Sì, da quando era piccolo. In realtà, ha iniziato a manifestare questo disturbo dopo un incidente in macchina, ma lui non lo ricorda. Credo sia convinto di averne sempre sofferto. Ha anche paura del buio.-
Arthur si morse la lingua, per non parlare: Merlin lo ricordava eccome, quell’incidente. Gliene aveva parlato la sera prima ma, evidentemente, non voleva che i genitori lo sapessero. Probabilmente, lo teneva nascosto per non farli preoccupare. Il solito, stupido e generoso Merlin, insomma.
Improvvisamente, molti tasselli iniziarono a combaciare, nella sua mente: le finestre spalancate d’inverno, la porta del bagno perennemente aperta, le salate bollette della luce. Tutte strategie per evitare degli attacchi di panico, come quello della sera prima, quando il moro si era risvegliato al buio.
No, rifiutava di credere che una persona altruista come lui fosse un assassino spietato. Anche se...
-Will ieri pomeriggio mi voleva parlare. Ma in quel momento stavo cercando Aridian, per interrogarlo riguardo a Morgause, quindi gli avevo chiesto di venire in commissariato o di passare da casa. Ma lui ha risposto che voleva parlarmi in privato, senza Merlin. Hai idea del perché abbia detto una cosa simile?-
Hunith scosse il capo.
-Se non si fidava di Merlin, perché chiedergli di raggiungerlo a Wildwoods?- domandò retorico Orkney.
-Infatti non ha senso e Merlin non l’ha nemmeno ascoltato quel messaggio! Credo l’abbia sentito la prima volta quando i poliziotti hanno visto la spia lampeggiare, accanto al telefono- aggiunse l’ispettore.
-Ne sei sicuro?-
-Sì. La nostra segreteria ripete l’orario in cui è stato lasciato il messaggio solo dal secondo ascolto in poi. E quando è partito il nastro registrato, non ha annunciato l’ora. Questo significa che Merlin non aveva fatto caso al messaggio e che non aveva ricevuto l’invito di Will.- spiegò Arthur, appollaiato sulla sedia, accanto alla madre del coinquilino.-
-E non è possibile bloccare la segreteria dopo che è stata pronunciata l’ora?-
-No, la ripeterebbe, come un nastro rotto-
-Già...sarebbe una prova, se solo riuscissimo a dimostrare che Merlin fosse già addormentato quando Will ha telefonato e quindi non abbia sentito il messaggio mentre veniva inciso-
-Questo non posso testimoniarlo, purtroppo...-
Gwaine sospirò, affranto.
-E che mi dici dell’altro giorno?-
Arthur si accigliò: di che stava parlando il suo collega?
Dall’espressione del biondo, il viceispettore intuì che non aveva colto il collegamento. O, più probabilmente, non ne sapeva niente.
-Poco fa, tornando dal distributore, ho scoperto alcuni agenti che parlavano di Merlin. È uno studente di Belinor, proprio come Morgana. Se i loro pettegolezzi arrivassero al commissario, accadrebbe un pandemonio!-
-Quali pettegolezzi?-
-Dicevano che Merlin potrebbe aver tagliato le cinghie di tua sorella- rivelò infine Gwaine.
-Questo è impossibile! Quel giorno Merlin era in università per un esame. Figurati se un secchione come lui si farebbe rimandare a settembre per fare un dispetto a Morgana! Ho visto il suo libretto, sono certo che i suoi docenti confermeranno la sua presenza a scuola. E se fosse stato sugli spalti, lo avrei visto!-
-Bene, almeno non dovremo lasciarlo in balia della furia di Uther. Sai bene quanto può diventare vendicativo, se c’è di mezzo lei-
Arthur annuì. Aveva una tale confusione, in testa e il solo pensiero di tornare a casa, consapevole che non avrebbe trovato Merlin come ogni giorno, lo fece sentire vuoto, come se gli mancasse una parte di sé stesso...
 
Morgana si buttò distrutta sul letto, privata persino delle lacrime, ormai completamente esaurite. Will...
Pensare che la sera prima, si era perfino arrabbiata con lui, per non averla chiamata. Mentre lei si divertiva con Gwen e Elyan, lui stava morendo!
Se solo avesse seguito l’istinto, se gli fosse andata incontro, se invece che andare al Break Time si fosse fatta accompagnare al maneggio, forse tutto questo non sarebbe successo.
E Merlin!
Ripensò ai bei momenti trascorsi con il moro e Will. Non riusciva a credere che fosse stato proprio lui!
Era totalmente sconvolta, non riusciva a pensare a nulla. Sembrava che niente avesse più importanza. Neanche la ragione per cui Will era morto: saperlo, non lo avrebbe certamente riportato in vita o alleviato il suo dolore. Già, il dolore.
Era quella, la sola cosa che le era rimasta...
 
*Nei paesi anglosassoni, il coroner si occupa dei sopralluoghi, ma non delle autopsie, che vengono eseguite dal medico legale. Quindi, li ho inseriti entrambi, per rendere più verosimile la fic.

 

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Capitolo 6
*** La pazzia di Kilgarrah ***


 Mi scuso per il ritardo: avrei dovuto postare nel week end, ma davvero, con i preparativi della festa di Samhain (perchè Halloween è troppo commerciale) non ho avuto tempo per farlo. So che per voi non sarà assolutamente importante, ma vi assicuro che ne è valsa la pena XD
E' stato un lunedì meraviglioso, sia io che i miei amici eravamo felicissimi della riuscita *_* E il mio vestito home-made ha fatto colpo sui bambini XD Per essere il mio primo abito, è stata una grande soddisfazione *__*


41 di sangue


Capitolo 5:
La pazzia di Kilgarrah

 

Un intero giorno era trascorso nell’incredulità, nel dolore della perdita, nella disperazione e nell’ansia per chi, conoscendo bene Merlin, credeva nella sua innocenza.
Nessuno dei diretti sottoposti di Arthur era persuaso dalla ricostruzione fatta dal commissario. Anche Gwen e Elyan erano assolutamente certi della sua estraneità ai fatti.
La sola ad essersi lasciata ingannare, era Morgana. Ma lei non faceva testo, essendo troppo sconvolta per la morte di Will: i ragazzi erano certi che appena avessero chiarito la dinamica dell’omicidio, la figlia del commissario si sarebbe precipitata da Merlin, per chiedergli di perdonarla.
Arthur era arrivato al distretto terribilmente mogio, tanto che Leon, ignaro degli eventi del giorno precedente, gli aveva portato un cappuccino con brioche, pensando ingenuamente che si sentisse debole per aver saltato la colazione.
L’ispettore lo aveva rassicurato e dandogli delucidazioni, aveva contagiato il centralinista con la sua depressione. D’altronde, non c’era nulla da fare, se non aspettare il referto del medico legale.
L’uomo si presentò nel suo ufficio proprio quel pomeriggio. I capelli bianchi, lunghi fino alle spalle, erano raccolti in una coda bassa. Gli occhi chiari, coperti da un paio di occhiali dalla spessa montatura nera, si posarono sulla documentazione relativa al referto, prima di rivolgersi al giovane poliziotto.
-Ispettore Pendragon?-
Appena il ragazzo lo vide, saltò giù dalla sedia con un balzo, raggiungendo l’uomo con uno scatto felino. Lo invitò concitato ad entrare e accomodarsi: in fondo, era un uomo di una certa età, prossimo alla pensione.
-Dimmi, Gaius. Hai scoperto qualcosa?-
-Purtroppo, il colpevole non ha lasciato molte tracce. Ho fatto del mio meglio, ma quasi certamente ha usato dei guanti, per non lasciare impronte digitali. Anche se questo potrebbe essere un punto a nostro vantaggio-
-Che intendi dire?- Arthur lo osservò, avido di sapere ciò che passava per la testa del medico.
-Mi sembra strano che un assassino così attento a non disseminare impronte, lasci delle tracce così evidenti e le scarpe incriminate in bella mostra. Quasi certamente, voleva far ricadere i sospetti su Merlin. Ma la stazza lo ha tradito-
-La stazza, eh?- l’ispettore Pendragon era sempre più interessato.
-Già. Sembra che abbia inferto a Will un solo, potente colpo di forcone all’addome, che lo ha quasi trapassato da parte a parte, trafiggendo gli organi. Cosa che per una persona esile, risulterebbe piuttosto difficile- proseguì Gaius, mostrando all’ispettore un paio di foto scattate al busto della vittima, in laboratorio. –Come può vedere, i colpi inferti sono simili a buchi, tutti alla stessa distanza. Sarebbero molto diversi se per colpirlo avesse usato una lama: non sarebbe riuscito a dare delle pugnalate parallele, inoltre avendole analizzate, posso affermare che hanno tutte uguale profondità. -
-Quindi sappiamo con cosa è stato ucciso!-
-Esattamente. Inoltre, devo fare una precisazione sulla presunta ora del decesso: posso certamente confermare che sia morto attorno alle sette di sera, lo scorso sabato, in seguito allo shock ipovolemico. Ma il decesso per dissanguamento può sopraggiungere molto lentamente e questo mi fa pensare che sia stato colpito solo pochi minuti dopo aver telefonato a Merlin Emrys. -
Arthur esultò. Quello poteva significare solo una cosa: avevano le prove della sua innocenza!
Stava già per scattare nell’ufficio del padre, quando il medico legale lo invitò a sedersi di nuovo.
-Che c’è ancora?- gridò, isterico.
-Non ho finito. Indubbiamente, il colpo mortale è stato inferto con le punte del forcone; ma Will Grant è stato prima stordito con una forte botta sul viso: la guancia presenta un ematoma esteso, di forma lineare, compatibile probabilmente con il manico dell’arma. Probabilmente ha visto in faccia l’assassino. Forse, voleva lasciarci un messaggio, ma è stato raggiunto da un’altra botta, in testa. Non era letale, ma gli ha fatto perdere i sensi. Potrebbe essere per questa ragione che non ha finito di scrivere il messaggio. Inoltre, se consideriamo che dallo stomaco perforato sono fuoriusciti gli acidi gastrici...Mah! Arthur, mi ascolti?- Gaius sbuffò, rendendosi conto che l’ispettore si era già dileguato, probabilmente da un bel pezzo. La gioventù era sempre così di fretta! Possibile che nessuno riconoscesse le sue fatiche?
 
Hunith e Belinor corsero incontro al figlio, commossi. Freya si limitò a sorridergli, almeno finchè Merlin non la raggiunse, abbracciandola.
Erano tutti felici che fosse stato rilasciato e, come previsto, anche Morgana si era precipitata al distretto, per vedere Merlin, stringerlo e chiedergli scusa per tutte le cose orribili che aveva detto e pensato sul suo conto.
Arthur osservò da lontano quelle manifestazioni d’affetto: anche a lui era mancato, ma quello non era il suo momento. Avrebbe parlato con Merlin più tardi, una volta arrivato a casa. Per il momento, doveva accontentarsi. Il suo cuore, però, perse un battito quando il moro si voltò a guardarlo: nei suoi occhi poteva intravedere tutta la sua riconoscenza e il sorriso che gli rivolse, gli sembrò ancora più bello del solito.
Ciò che rovinò il suo buonumore, fu il commento del suo vice.
-Bene, bene! Sembra che oggi sia il mio giorno libero, quindi credo che verrò a festeggiare con voi! Mi raccomando, ispettore! Mi sostituisca come si deve!-
Quel dannato si faceva beffe di lui! Non solo doveva restare confinato al distretto, a lavorare, ma doveva addirittura sopportare l’ironia di Gwaine!
-Sparisci dalla mia vista, Orkney!- intimò, provocando l’ilarità di tutti i presenti.
Quando la piccola combriccola si fu dileguata, probabilmente diretta a Wildwoods, Arthur tornò nel suo ufficio dove, noncurante di tutto il lavoro che lo attendeva, prese a fissare il muro di fronte a sé.
Dopo ciò che era successo tra loro, non aveva trascorso un solo attimo di pace, insieme a Merlin.  Chissà cosa sarebbe successo quella sera...
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dalla vibrazione del suo cellulare: qualcuno gli aveva appena mandato un messaggio.
Quando aprì la cartella, trovò un nuovo sms di Merlin.
“Sapevo che ci saresti riuscito...grazie Arthur”
Il biondo, senza rendersene conto, si aprì in un sorriso raggiante. Anche la prospettiva di affrontare il padre, certamente furioso e ferito nell’orgoglio, non sembrava più un’impresa impossibile.
Lancelot entrò nel suo ufficio, trovandolo ancora impegnato a fissare il muro con un’espressione da ebete.
-Arthur?-
L’ispettore si riscosse, fingendo di essere sempre stato vigile e attento, ma ormai la frittata era fatta. Comunque, l’agente Lake non gli domandò nulla a riguardo.
-Ho analizzato i tabulati telefonici del cellulare di Will. Aveva fatto solamente un’altra chiamata, quel mattino. A Morgana. Sembra che all’ora della telefonata a Merlin, si trovasse nei campi adiacenti alla strada in cui è stato ritrovato il corpo, almeno stando a quanto mi ha detto Hunith. Gli aveva chiesto di rimestare l’erba, per farla essiccare meglio e lo ha aiutato fino alle 6.20 pm, circa, quando è tornata a casa per preparare la cena.-
-Infatti, è verso quell’ora che ha chiamato Merlin. Sono certo che volesse parlargli da solo. Ma per quale motivo? Insomma, mi aveva chiaramente fatto intendere di volermi dire qualcosa, ma non in sua presenza.-
-Questo non lo so. Ad ogni modo, per quanto riguarda le lettere che ha trovato il viceispettore, non è detto che volesse scrivere il nome di Emrys: parlando con Morgana, ho scoperto che aveva l’abitudine di scrivere la lettera “D” più bombata nella parte superiore e ristretta in quella inferiore.-
-“MD”? ma che significa?-
-“MD”, “MB”, “MP”...o forse, “MF”. Sto valutando le varie possibilità-
-Ma sono tutte senza senso! Senti, Lance. Lascia perdere quelle lettere, per il momento. Secondo me, Will aveva notato qualcosa di strano, cerca di scoprire cosa.-
L’agente lo fissò incuriosito.
-Se posso chiederlo, cosa te lo fa pensare?-
-Il fatto che volesse parlarmi con una certa urgenza, senza Merlin. Forse aveva ricordato qualche dettaglio riguardo l’incidente di Morgana all’EDR.-
-Ma, Arthur. Non ha alcun senso. Perché avrebbero dovuto ucciderlo per una sciocchezza simile? Morgana si è solo slogata una caviglia e sembra più una bravata che un serio tentativo di farle del male-
-Questo è vero, ma non è detto che non lo possa diventare. Ti dirò quello che penso: il colpevole voleva fare del male a Morgana, facendolo sembrare un incidente. Will, che era sempre molto attento a lei, essendo il suo ragazzo, aveva scoperto qualcosa che ci avrebbe certamente portati all’arresto del colpevole e voleva parlarmene. Probabilmente aveva intuito che dietro a quel tentativo goffo si nascondeva una persona pericolosa e non voleva coinvolgere Merlin. Per questo, mi ha chiesto di parlarne in privato. Però, alcune ore dopo ha comunque pensato di mettere in guardia il suo migliore amico e gli ha lasciato quel messaggio in segreteria. Che ne dici?-
-No, non mi convince- ammise Lancelot, sinceramente.
-Cosa c’è che non ti torna?-
-Se la persona che Will voleva denunciare fosse stata così pericolosa, ti avrebbe rivelato subito il suo nome, senza aspettare. Gwaine mi ha riferito che non l’hai ascoltato perché volevi confrontarti con Aridian riguardo Morgause, la sospettata del caso Priscilla. Ma se ciò che intendeva dirti riguardava lo stesso caso, ti avrebbe fermato, soprattutto se le sue informazioni fossero state fondamentali per risolverlo. Inoltre, avrebbe detto a Merlin di fare attenzione in quel messaggio, senza chiedergli un incontro che poteva potenzialmente metterlo nei guai: se il colpevole li avesse visti insieme, avrebbe potuto colpire anche lui. Di certo, Will non voleva far correre un simile rischio al suo migliore amico-
Arthur sbuffò: Lancelot aveva dannatamente ragione.
-Lance?-
-Sì?-
-Torna al lavoro su quelle maledette lettere- si arrese, infine.
 
Gwen esultò, raggiante, nel ricevere l’sms del suo ragazzo.
-Elyan! Lance mi ha appena scritto che hanno rilasciato Merlin!- gridò, festosa, correndo ad abbracciare il ragazzo.
-Fantastico! Lo sapevo, che era innocente, è un bravo ragazzo-
La mulatta annuì.
-Direi di preparare una festa a sorpresa, qui al Break!- suggerì, subito dopo.
Elyan valutò la proposta, e si aprì in un sorriso che, secondo la sorella, non prometteva nulla di buono.
-Io avrei un’idea migliore. E sono sicuro che Lance e Gwaine saranno d’accordo con me...-
La povera Gwen si rese conto di una cosa: era terrorizzata dalla malsana idea che certamente albergava la testa di suo fratello.
 
Merlin guardò l’ingresso di casa, come se non lo avesse mai visto in vita sua: quasi non gli sembrava vero. Era libero. Gwaine lo aveva seguito a Wildwoods, spiegandogli tutti i dettagli e, anche se avrebbe dovuto ringraziare più di tutti il medico legale, aveva comunque mandato un sms a Arthur. Grazie al cielo, almeno lui aveva creduto fermamente nella sua innocenza.
-Dimmi, Merlin. Com’è tornare a casa?- chiese retorico il viceispettore, ricevendo in risposta un sorriso enigmatico.
-C’è una cosa che vorrei fare, prima ancora di festeggiare. Seguimi!- il moro scese dalla macchina.
Hunith e Freya erano già a casa, occupate a preparare una torta e Belinor si era gentilmente offerto di aiutarle. Ma c’era qualcosa di cui il giovane Emrys aveva assoluto bisogno, per sentirsi libero a tutti gli effetti: aprì il cancello di legno che conduceva ai box dei cavalli, seguito da Gwaine che, finalmente, iniziava a intuire le sue intenzioni.
Aiutò l’amico ad attrezzarsi con tutto l’occorrente.
-Ci conviene restare nel campo di allenamento, la strada che porta al granaio sarà chiusa per i rilevamenti. O, se preferisci, possiamo fare una cavalcata per strada- gli ricordò Orkney.
-No, non me la sento di rischiare. Kil potrebbe agitarsi, vedendo le macchine- rispose Merlin, allacciando la sella.
Kilgarrah nitrì, come in assenso.
Il viceispettore annuì e si lasciò aiutare dal più esperto amico nel preparare il suo destriero; quindi condussero i rispettivi corsieri nel campo, camminando affiancati.
Merlin salì in groppa senza problemi, e l’emozione di essere nuovamente in sella all’amato Kil gli fece scordare per un momento tutto ciò che stava accadendo attorno a lui, il modo in cui la sua vita tranquilla si stava sgretolando. Per un attimo, fu come rivedere Will, accanto agli ostacoli, intento a prepararli per i suoi allenamenti. Come se fosse ancora vivo, accanto a lui. A quel pensiero, si rattristò.
Non l’avrebbe rivisto mai più.
-Andiamo?- Gwaine era finalmente riuscito a inforcare le staffe e montare.
Merlin annuì.
-Riesci a saltare Gwaine?-
-Credo di poterti battere a occhi chiusi- ghignò il castano, divertito.
-Mi sembrava che avessi difficoltà a stare in sella- lo stuzzicò l’altro e il viceispettore scoppiò a ridere.
-E va bene, mi hai scoperto. Credo che farò una cavalcata in tondo, mentre tu ti diverti con quegli aggeggi infernali!- ammise, spronando il suo cavallo, allontanandosi.
Merlin concentrò tutta la sua attenzione su una barriera.
Diede un leggero colpo di staffe al suo cavallo, pronto a fare un salto di riscaldamento con un ostacolo basso; Kilgarrah, però, ignorò le sue direttive. Il cavallo nitrì e con una lieve impennata, partì al galoppo. Anziché dirigersi all’ostacolo che il suo fantino intendeva saltare, superò la staccionata che delimitava il campo degli allenamenti.
-Kil! Kil, fermati, non da quella parte!- Merlin tirò le briglie, ma non servì a nulla. Al contrario, il suo destriero s’innervosì ed iniziò ad impennarsi, provando a disarcionarlo.
-Merlin!- Gwaine, che aveva assistito incredulo alla scena, scese dal cavallo, correndogli incontro.
Belinor, allarmato dalle urla dei due ragazzi, si affacciò alla finestra della cucina e vedendo il figlio in difficoltà, si precipitò all’esterno, per cercare di raggiungerlo prima che la situazione precipitasse.
Intanto, il moro, si era aggrappato con tutte le proprie forze alle redini e teneva premuto il petto contro il manto bruno del suo cavallo, sforzando gli addominali e assecondando come meglio poteva i suoi movimenti, per non finire a terra. Ma con un ultimo, violento scossone, Kilgarrah lo disarcionò; Merlin ruzzolò a terra, ma per fortuna, la sua caduta fu prontamente attutita dal viceispettore, che lo aveva preso al volo. Questo non gli impedì di prendere una bella botta alla spalla, ma almeno era ancora tutto intero. Il cavallo, ancora in preda a quella strana crisi di nervi, provò a colpirli.
I ragazzi videro gli zoccoli a un palmo dal loro naso, pronti ad abbattersi impetuosi sui loro poveri corpi.
-Oh!- Belinor si frappose tra l’animale ed i giovani giusto in tempo: afferrò saldamente le briglie, avvicinando il più possibile la presa al muso del destriero, per placare la sua furia e immobilizzarlo.
Il cavallo si ribellò ancora per alcuni minuti, ma infine sbuffò, cedendo all’autorità dell’istruttore.
Il cuore di Merlin batteva all’impazzata e lui si sentiva ancora completamente stordito.
-Hunith, vieni qui! Ragazzi, lo riporto nel box, prima che combini altri danni.- disse, prima di rivolgersi direttamente al figlio. –Merlin, ti proibisco di gareggiare con lui. In queste condizioni, ti romperesti l’osso del collo!-
Freya, terrorizzata, corse ad abbracciare il ragazzo, che rispose al gesto con la poca forza che gli era rimasta, annuendo impercettibilmente al padre.
 
Morgause aprì la porta del suo appartamento, piacevolmente sorpresa: non si aspettava una visita da parte di Orkney. Ovviamente, adorava le sorprese e il fatto che un uomo dimostrasse iniziativa. E, per sua fortuna, Gwaine ne aveva da vendere: un esempio lampante era il bacio con cui la stordì, senza darle nemmeno il tempo di dire “ciao”.
-Cosa ci fai qui?- domandò incuriosita, quando (purtroppo) si staccarono.
-Oh...è stata una giornataccia. Ma ora che il tuo bacio l’ha resa meravigliosa, tolgo il disturbo- il viceispettore si voltò, già pronto ad andarsene, ma lei lo attirò in casa.
-Anche la mia è stata una giornataccia. Ma visto che sei qui, non penserai di accontentarmi con un bacio...- la bionda sorrise, fissandolo maliziosa, avvicinando il suo corpo a quello del castano.
-Sai...ora che mi ci fai pensare, credo di essere terribilmente d’accordo con te, riccioli d’oro!- Gwaine sorrise malandrino, sospingendola in camera da letto.
In effetti, era stata davvero un giorno allucinante: povero Merlin!Subito dopo essere stato rilasciato, aveva rischiato di essere ridotto in poltiglia dal suo cavallo! Per fortuna era intervenuto Belinor. Per quanto si fosse sforzato di sembrare allegro, era evidente che l’accaduto aveva parecchio scosso il suo amico: era molto abbattuto, quando si era congedato dalla casa degli Emrys.
Se fosse stato superstizioso, Gwaine avrebbe giurato che qualcuno avesse fatto il malocchio al moro!
-Che ti succede?- chiese la bella ragazza, vedendolo insolitamente distratto.
-Nulla, sono solo preoccupato per un amico. Sta passando un brutto momento- confessò.
-Qualcosa di grave?-
-Beh...è stato accusato dell’omicidio di un suo amico. Ora lo hanno rilasciato, per fortuna. Ma oggi il suo cavallo ha dato i numeri-
Morgause s’incuriosì.
-Oh, cavalca anche lui?-
-Sì, credo che tu lo conosca, almeno di vista. È il figlio di Belinor-
-Oh! Sì, ho capito! Si chiama Merlin, vero? Lo ricordo, spiccava per la sua goffaggine al maneggio- la bionda annuì.
Il castano sorrise, baciandole la punta del naso.
-Ehi, ti assicuro che non è così goffo come vuole far credere. È una copertura!-
La ragazza rise. Repentinamente, però, tornò seria.
-Mi dispiace per il suo amico. Immagino come possa essersi sentito, nell’essere accusato del suo omicidio. A volte, voi sbirri sapete prendere di quelle cantonate!-
-Se noi sbirri non prendessimo certe cantonate, come le chiami tu, noi due non ci saremmo più visti dopo quel divertente incontro al Break Time!- le fece notare, saccente.
-Per carità, non ricordarmelo! Sono stata costretta a prendere la metro con i capelli che puzzavano di maionese!-
Il castano scoppiò a ridere e lei lo fulminò con gli occhi color nocciola, indispettita.
-Scusa, scusa!- si affrettò Gwaine, abbracciandola in vita, pronto a farsi perdonare tra le coperte.
 
Arthur corse ad aprire la porta, certo che si trattasse della persona che attendeva con tanta impazienza e, in effetti, si ritrovò di fronte il coinquilino.
Restarono immobili per alcuni secondi, senza sapere cosa dire o fare. Del resto, dopo i recenti avvenimenti, non avevano avuto modo di parlarsi e la tensione era palpabile. Rendendosi conto che quella situazione era assolutamente ridicola, il biondo si affrettò a rimediare.
-Ehm...ciao- disse, facendosi da parte per invitarlo ad entrare.
Merlin non si mosse. Continuava semplicemente a fissarlo con i suoi occhi blu.
-Merlin...- Arthur alzò leggermente la voce, ottenendo finalmente l’attenzione del moro. –Qua la zampa!-
Il ragazzo rispose a quell’ordine giocoso con uno sguardo confuso ma finalmente reagì, porgendo la mano all’ispettore che lo attirò in casa. Merlin, che non si aspettava un gesto simile, si ritrovò stretto al biondo; sorrise, ricambiando l’abbraccio.
Non sapeva dire con certezza quando Arthur avesse iniziato a baciarlo, ma appena lo spinse contro la parete, si ritrovò a urlare a causa della fitta; l’ispettore si staccò immediatamente da lui, spaventato da quella reazione.
-Scusa, io pensavo che...- avrebbe voluto dire “che fossi d’accordo”, ma Merlin scosse la testa, interrompendolo.
-Non è colpa tua. Oggi mi sono fatto male alla spalla-spiegò, con il viso contratto dal dolore.
Arthur ricambiò con un’occhiata severa, pretendendo che gliela mostrasse.
-Non ce n’è alcun bisogno, non è grave- provò a opporsi.
-Questo lo vedremo! Avanti, fammi controllare-
Merlin sbuffò. Era troppo stanco per tener testa alla testardaggine di un Pendragon, quindi andò a sedersi e sfilò con qualche difficoltà la t-shirt blu.
Arthur restò sbigottito.
-Non è grave? Merlin, hai un livido grosso come una casa! Si può sapere che è successo? Povero me...spero che non sia rotta!- sbraitò, correndo in bagno per attrezzarsi con garza e pomata.
-Arthur, dico davvero. Non è niente- sospirò, nel comprendere che era tutto inutile: quello stupido asino non lo stava nemmeno ascoltando.
-Allora? Com’è successo?- insisté l’altro, sedendosi accanto a Merlin, per medicarlo.
-Stavo...Ahia! Avevo deciso di saltare gli ostacoli con Kilgarrah ma mi ha disarcionato. Non era mai successo prima...Ahi! Vuoi fare piano, testa di fagiolo?-
-Pensavo avessi detto che non ti faceva male- ironizzò Arthur, guardandolo di sbieco. –Sei il solito! Mi spieghi com’è che ti cacci sempre nei guai? È un miracolo che non sia fratturata o roba simile!-
-Non è stata colpa mia! Non pensavo che s’imbizzarrisse così all’improvviso, era calmissimo!-
-Sei stato comunque un incosciente! Scommetto che hai agito senza pensare!-
-Ma io...-
-Merlin!-
Il silenzio calò nella stanza e il moro attese rassegnato l’imminente sfuriata: era certo che Arthur avrebbe ripreso con quei rimproveri, invece il coinquilino lo sorprese, approfittando del silenzio per impadronirsi delle sue labbra.
-...Bentornato- Arthur sorrise, furbo. Ora che aveva scoperto il modo per zittirlo, vi avrebbe ricorso ad ogni occasione possibile! Il momento non tardò: Merlin provò a ribattere, ma l’ispettore non glielo permise. Lo attirò a sé, facendo attenzione a non stringere la spalla infortunata e provò un fremito nel sentirlo insolitamente arrendevole e docile.
Improvvisamente, il moro si aggrappò a lui.
Il biondo si staccò a malincuore, rendendosi conto che c’era qualcosa di strano: infatti, si scontrò con gli occhi del coinquilino, così insolitamente tristi e spenti. Vederli, gli provocò una fitta al petto.
-Ehi, Merlin...?-
-L’avete trovato?- da quella domanda trapelavano tutti i suoi dubbi e le preoccupazioni.
E l’ispettore si sentì un vero idiota: aveva quasi scordato tutto quello che era successo, distratto dalla frenesia di riprendere un discorso lasciato, per così dire, in sospeso. Aveva scordato che il moro era stato accusato, ingiustamente, di aver brutalmente assassinato il suo migliore amico. Che qualcuno aveva cercato di incastrarlo e che quella persona era ancora in libertà. Era assolutamente normale che il ragazzo volesse delle informazioni al riguardo.
-Stiamo ancora indagando sul significato di quelle lettere. Ma non abbiamo ancora una risposta. Mi dispiace- Arthur sospirò, vedendo la sua espressione incupirsi maggiormente. –Lo troverò, Merlin. Te lo prometto, ok?-
-Ho paura...-
L’ispettore sgranò gli occhi: mai e poi mai si sarebbe aspettato una simile affermazione, da lui.
Il più giovane proseguì, incoraggiato da quello stupore.
-Stanno succedendo delle cose troppo strane, a Wildwoods. Prima Kilgarrah, poi l’incidente di Morgana. Ora Will...Ho paura che qualcuno faccia del male a...a Freya...o ai miei genitori...non so cosa fare...-
Il biondo non sapeva cosa dire: Merlin non aveva tutti i torti ad essere preoccupato. Avevano a che fare con un killer che non aveva lasciato tracce di sé, ma che aveva dimostrato un notevole sangue freddo nel far combaciare gli elementi così che i poliziotti arrestassero lo studente. Era un individuo davvero pericoloso e imprevedibile.
-Conosci qualcuno che poteva avercela con Will?-
-No. Certo che no! Lui era buono come il pane!- rispose, mentre le lacrime gli pungevano gli occhi.
-Ascoltami. So che Will voleva nasconderti qualcosa, forse qualcosa di pericoloso. Non hai idea di cosa potesse essere?-
Ancora una volta, Merlin scosse la testa. Si sentiva male, per quell’improvviso vuoto, ma sapeva di dover collaborare. Altrimenti, l’assassino l’avrebbe passata liscia. Eppure, anche sforzandosi, non riusciva a ricordare nessun dettaglio che potesse risultare utile. Era deprimente sentirsi così impotenti.
-Non mi ha detto nulla. Anche il giorno dell’omicidio, quando eravamo alla festa...mi sembrava il solito Will-
Arthur annuì, rendendosi conto che Merlin aveva ragione. Per tutta la festa, la vittima aveva sorriso gioviale con gli altri invitati, scherzato con il suo amico e aiutato i suoi genitori. Ma quando lui era uscito, lo aveva raggiunto e aveva chiesto quell’incontro. Perché?
Forse, era proprio la festa la chiave di tutto. Forse, durante i festeggiamenti, era accaduto qualcosa che aveva messo in allarme il ragazzo di Morgana, tanto da averlo spinto a chiedere aiuto alla polizia. Qualcosa di così grave, da spingerlo a tenere perfino il suo migliore amico all’oscuro di tutto, per proteggerlo da un possibile pericolo.
-Hai notato qualcosa quel giorno, negli altri invitati?- provò a confrontarsi con lui. In fondo, si sapeva bene, il giovane Emrys era un osservatore migliore di lui.
-No. Perché?-
L’ispettore sospirò. Niente da fare, quelle indagini non volevano proprio saperne di andare avanti. Quelle dannate lettere erano il loro solo indizio, ma essendo incomplete, non aiutavano affatto.
Però, c’era una strada a cui non aveva ancora pensato. Forse, le stranezze citate da Merlin erano tutte collegate tra loro. La sua espressione mutò, ma quando il moro gli chiese a cosa stesse pensando, Arthur liquidò il discorso, portando la conversazione sulla cena, con la scusa di essere affamato.
Per il momento, non voleva farlo agitare.
Era possibile che tutte quelle violenze avessero uno scopo ben diverso, ma per esserne assolutamente certo, ne doveva parlare con i gestori di Wildwoods...
Lo squillare insistente del cellulare, pose fine alle proteste di un curioso Merlin e Arthur afferrò l’occasione al balzo.
-Pronto?-
-Ehi, ispettore!- il centralinista di Guilford lo salutò, stanco ma gioviale.
-Leon! Dimmi pure...-
Il biondo restò impegnato per una decina di minuti nella conversazione, annuendo e scherzando di tanto in tanto. Quando disse “Ah, sì è così. È Appena arrivato a casa”, il moro si fece attento.
Intuendo di essere diventato il soggetto della conversazione, Merlin abbandonò un pentolone ricolmo d’acqua sul fornello spento, per sedersi sul divano, corrucciato. Quel maledetto asino! Prima gli nascondeva qualcosa e ora lo prendeva in giro! Lo stava deliberatamente provocando, quindi perché preparargli la cena? Dopotutto, non ne aveva voglia. Non dopo una giornata simile, almeno. Forse, potevano ordinare qualcosa a un Takeaway, o prendere delle piadine da Gwen. Se solo quello stupido non si fosse ostinato e avesse ceduto all’idea di vederla!
L’ispettore gli sorrise, divertito dal suo viso imbronciato; si alzò, prese un blocco di post-it e una penna, quindi lo raggiunse, baciandolo.
-Ho capito- disse infine, prendendo nota sul foglietto colorato. –Allora a domani sera!-
Merlin lo guardò riagganciare, con espressione indispettita ma curiosa.
-Siamo stati invitati a una pizzata, organizzata da Elyan e gli altri. Ci saranno tutti!- lo informò.
-E se non volessi venire?- chiese il moro, alzando un sopracciglio.
-Non puoi astenerti! Sei l’ospite d’onore!-
-Che?- il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo.
-I ragazzi hanno organizzato una cena per il tuo rilascio, non puoi mancare!- spiegò il biondo, avvicinando le labbra al suo orecchio per mordicchiarlo.
Merlin arrossì a quel contatto, tanto da opporsi balbettando, provocando le risate dell’ispettore.
Era bello riaverlo nuovamente a casa...

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Capitolo 7
*** Tracce e verità ***


Uther direbbe: "Sta diventando un'abitudine, per te! Per caso soffri di qualche disturbo mentale?!" XD
In effetti, c'è stato un altro, clamoroso ritardo, dovuto alla consegna della crossover per il contest. Mi piacerebbe dirvi che anche stavolta ne è valsa la pena, ma la fic che ne è uscita fuori non mi piace proprio. Non è stato un buon lavoro ç_ç
Gestire una crossover "Tsubasa R.C. - D.Gray Man - Merlin" in 18 pagine è...impossibile T^T Una fic che per i miei standard avrebbe richiesto almeno 15 capitoli!
Sarà colpa mia, che mi divulgo sempre. Beh, almeno ora so di non dover più cercare di iscrivermi a Crossover-One shot  perchè non sono in grado di scrivere cose brevi XD
Se entro giovedì non posto, mandatemi pure un Parsifal superminaccioso (stile 4x08 all'entrata del castello) a casa XD anche se non garantisco che ritornerà indietro(bwahahahaha! Lo sequestrerò!)
Ma almeno, mi ricorderà che devo postare XD Se non disponete di un Parsy portatile...andrà bene anche un mp (U_U mi accontenterò)

Ok! Dopo gli scleri, vi lascio a un capitolo alla fine del quale mi ucciderete. Credetemi. Ma per piacere, niente bombe a orologeria a casa, avreste sulla coscienza una gatta di 2 anni U_U Ha ancora tutta la vita, davanti *piange teatralmente*


41 di sangue


Capitolo 6:
Tracce e verità

Morgause uscì dallo studio di Aridian affamata: quella mattina non era andata in università per dare una mano al veterinario, con la sterilizzazione di un micio che aveva richiesto più tempo del previsto, dato che la bestiola si era difesa con gli artigli e con i denti, prima di essere finalmente sedata. Era piena di graffi sulle braccia. Il suo umore sarebbe stato certamente più lieto se, almeno, ci fosse stato Gwain ad aspettarla. Invece, il ragazzo era stato contattato dal suo odioso capo, Arthur Pendragon ed era costretto a prestare servizio anche nel suo giorno libero!
Arthur gliel’avrebbe certamente pagata per quell’affronto!
Ma le sventure della ragazza non erano ancora terminate: riuscì a malapena a sfilare il cellulare dalla borsa, per accenderlo e controllare eventuali messaggi sul cellulare, quando sentì uno strattone che la fece barcollare e rovinare a terra.
-Ehi!- gridò, alzando la testa e rendendosi conto di essere stata scippata da un uomo corpulento, con un casco da motociclista.
Si rialzò, prontamente. Riusciva a stare in piedi e correre, quindi provò ad inseguirlo, gridando per attirare l’attenzione.
Erano in Inghilterra, dannazione! Qualcuno l’avrebbe certamente fermato, se non altro, per galanteria nei suoi confronti! Ma, con suo sommo sgomento e rammarico, appena svoltato l’angolo, il rapinatore montò in sella a una moto e partì a tutta velocità.
La bionda colpì il muro con il pugno chiuso, facendosi tra l’altro, un gran male.
Poi ebbe un’illuminazione: ora sì che aveva una scusa per vedere Gwaine. Anche se avrebbe preferito mille volte incontrarlo casualmente e non in commissariato, per una denuncia!
 
Perceval entrò circospetto al Break, cercando con lo sguardo i due proprietari.
Appena ebbe individuato Elyan, lo salutò.
-Sono venuto a dirti addio, amico! Domani l’ispettore commetterà un omicidio di massa- annunciò, riferendosi alla sua pessima idea, senza sapere che Gwen si trovava perfettamente d’accordo con lui.
-Ma che dici? Ci ringrazierà! Sarà un’occasione da cogliere al volo, per lui- cercò di convincerlo, ma la sorella intervenne.
-Ha ragione, Elyan. Non dovremmo immischiarci nei loro affari. E se Arthur se la prendesse con Merlin?-
-Come potrebbe? Anche lui è all’oscuro di tutto! E poi, andiamo! State sottovalutando gli occhi di Emrys! Vi assicuro, li ho visti all’opera e, parola mia, è come guardare il gatto con gli stivali di Shrek. Ora, conoscete qualcuno che potrebbe colpirlo, quando sfodera i suoi occhioni? No! Quindi, stasera quei due faranno faville!-
L’agente sbottò qualcosa, ordinando un caffè macchiato. Tanto, con Elyan, era inutile ragionare. Aveva provato a persuadere anche il viceispettore, ma niente.
Avrebbe preparato un cartello, quella notte, con la scritta “Io, Leon e Gwen siamo innocenti!”. In quel modo, avrebbe implicitamente accusato tutti gli altri, ma che ci poteva fare? Anche Lancelot si era proclamato d’accordo con quella pagliacciata!
-Ad ogni modo, non credo che dargli buca in massa possa servire a fargli comprendere i reciproci sentimenti! Ci vorrebbe qualcosa di più...di più...- Gwen provò per l’ultima volta a dissuaderlo, ma non trovò le parole.
-Sorellina, andrà tutto bene! E se proprio non sei d’accordo, pensa ai muffin ai mirtilli!-
Perceval sgranò gli occhi nocciola.
-Non ci posso credere, ti sei fatta corrompere con dei muffin?-
La mulatta si strinse nelle spalle, colpevole.
Non c’era davvero nulla da fare; l’agente prevedeva una bella bufera...
 
Gwaine non riusciva a credere ai suoi occhi, quando vide Morgause varcare la soglia del commissariato.
-Ehi, riccioli d’oro! Sei venuta a trovarmi?- la salutò con un bacio, a cui la bionda rispose con trasporto. Ma, nel ricordarsi la ragione della sua visita, si distaccò.
-Mi piacerebbe...devo fare una denuncia, mentre stavo andando a pranzo, mi hanno scippata. Sono riuscita a salvare solo il cellulare, l’avevo appena preso in mano. Per fortuna, lo studio di Aridian è qui vicino-
Il viceispettore, dispiaciuto, la invitò a seguirlo nel suo ufficio.
-Di solito, sono gli agenti a occuparsi di questi casi. Ma per te, farò un’eccezione- sorrise, incoraggiante, aprendo un nuovo file.
-Pensavo che i poliziotti scrivessero a macchina-
-Guarda che anche gli sbirri sanno essere moderni! Così è molto più semplice e si fanno meno sprechi. Pensa a quanti fogli buttati via, solo per degli errori di battitura!- spiegò, cercando di scostare un ciuffo ribelle, finito impudentemente davanti agli occhi.
La ragazza sorrise.
-Allora...dimmi pure. Com’era la borsa?-
-Vuoi i dettagli?-
-Certo, devo fare un rapporto. Deve essere il più dettagliato possibile.
-Dunque. Era una borsa rosso scuro, tendente all’argilla, con delle decorazioni dorate. Dei ghirigori fatti più o meno così...- era davvero difficile descriverli, quindi prese un pezzo di carta, per disegnarli.
-Ok, ok. Altro?-
-Aveva due tasche esterne, una sul davanti e una sul retro. Con la cerniera. Dentro era foderata, color panna.-
-Perfetto- completò la stesura. –Allora, ora passiamo al contenuto.
-Beh, oltre al portafoglio, con le tessere dell’abbonamento ai mezzi e al ranch, c’erano i documenti, la patente. Le chiavi di casa, il tesserino della scuola e...oh, no! Avevo messo lì anche le chiavi dello studio di Aridian! Andrà su tutte le furie! Ho provato a rincorrerlo, a chiamare aiuto, ma è salito in moto. Non sono neppure riuscita a prendere la targa- la ragazza sospirò, affranta e il viceispettore si alzò, per metterle una mano sulla spalla.
-L’importante è che non ti sia fatta male. La prossima volta, limitati a chiamare aiuto, poteva essere armato. Per il resto, è davvero difficile riuscire a recuperare la borsa, con questi elementi. Probabilmente, era interessato ai soldi. Non ricordi nient’altro?-
-No, aveva il casco, quindi non sono riuscita a vederlo. Anche se...era un individuo robusto. Un uomo, con una maglietta nera.-
Gwaine annuì, aggiungendo i dettagli alla denuncia ed inviandola in stampa.
-Nel pomeriggio sono libero, se vuoi ti do uno strappo. Avrai un bel d’affare, dopo questo scippo-
-Puoi ben dirlo! Se solo penso ai documenti e...dovrò rifare la serratura! Chissà quanto costa! Dannato ladro, se mi capita per le mani, io...-
Gwaine la baciò, per interrompere quel flusso di minacce.
Arthur entrò proprio in quell’istante, sorprendendoli.
-Non si può pomiciare, sul lavoro, Orkney- ricordò, fintamente severo.
-Ti rigirerò la frase tale e quale, quando ti beccherò in atteggiamenti simili, ricordalo!- lo ammonì l’altro, divertito.
-Questo non accadrà mai. Non al distretto! Comunque...lei che ci fa qui, signorina Lot?- s’informò.
-Sono qui per una denuncia. Ma non si preoccupi, ho finito- rispose acida, alzandosi per il sommo dispiacere del viceispettore, che salutò con un fugace bacio, prima di andarsene.
-Che denuncia?- s’incuriosì Arthur.
-Oh, uno scippo. A quanto pare, un uomo robusto in moto, le ha rubato la borsa-
-Cosa?- l’ispettore restò vagamente scosso.
-Che ti prende?-
-Oh, nulla. Mi sarò sbagliato- lo liquidò il biondo. Ma una vocina si era insinuata nella sua testa e non poteva ignorarla a lungo. –C’era qualcosa di importante nella borsa?-
-Le solite cose. Portafoglio, documenti, chiavi. Anche quelle dell’ambulatorio. Dovranno rifare la serratura!-
Arthur annuì. Forse, si era davvero sbagliato.
Eppure, quella vocina era ancora lì, a ricordargli che il loro uomo, stando alle informazioni dell’autopsia, era una persona corpulenta.
Ma no! Di sicuro era una coincidenza. Per quale motivo, il criminale avrebbe dovuto scippare Morgause?
 
Lancelot lanciò la sua matita attraverso la stanza, rischiando di colpire un ignaro Perceval, che varcava la soglia del suo ufficio.
-Ma che...? Volevi cavarmi un occhio, per caso?- strillò, incredulo.
-Mi spiace, Perce! Oh, queste dannate lettere, mi stanno tirando pazzo!- si arrese, accasciandosi sulla scrivania e provocando un sonoro tonfo con la fronte.
Il collega capì che, effettivamente, l’agente Lake aveva iniziato a dare i numeri.
-Quindi, quella mezza parola, è ancora il solo indizio?-
-No, in effetti. Ma anche l’altro non è molto d’aiuto-
-Di che indizio parli?- Perceval prese posto al suo fianco, in attesa di ulteriori delucidazioni.
 -Gaius ha finito di analizzare le scarpe insanguinate e ha notato un piccolo dettaglio- lo informò il moro.
-Unghie? Si potrebbe risalire al DNA-
-Magari! Niente DNA, purtroppo. Ma le scarpe sono piegate verso l’interno, nel lato del tallone. Come se a indossarle, fosse stato qualcuno con il piede più grande, rispetto al 41 di Merlin. Infatti, le tracce ematiche sono minori, in quella parte, perché con ogni probabilità era coperta, schiacciata dal piede del killer-
-E come possiamo trovarlo con un indizio simile? Non possiamo certo far indossare le scarpe che abbiamo trovato a tutte le persone del Surrey, come ha fatto il principe con Cenerentola!-
-Proprio una bella idea! Chiamiamo il caso “Bloody Cinderella”!- annotò, ridacchiando. Non aveva tempo da perdere, lo sapeva. Ma lo stare rinchiuso in quell’ufficio, alla ricerca di una parola enigmatica, per giorni, aveva messo a dura prova la sua sanità mentale. Un momento di svago, se lo poteva concedere
Nemmeno Perceval trovò nulla da rimproverargli, per questo.
-Posso darti una mano?- domandò, invece, offrendo il proprio appoggio. Aveva appena risolto un caso e, fino a nuovo incarico, poteva tirare il fiato aiutando i colleghi.
-MΓ. Non riesco proprio a trovargli un senso- ammise Lancelot, sospirando.
-Forse sono delle iniziali. Forse  sono due parole distinte-
-Già, ma anche se così fosse, sono davvero troppo vaghe. La seconda lettera, in particolar modo. Non sappiamo nemmeno che lettera sia, come potremmo decifrarla?-
-E se l’avesse deliberatamente interrotta? Non perché l’assassino lo ha sorpreso e colpito, ma perché la seconda lettera ha più significati?-
-Anche in questo caso, non riusciremmo a capirli. Siamo a un punto morto.- si arrese il ragazzo di Gwen, abbandonandosi con le spalle allo schienale della sedia.
 
Freya s’illuminò, nel riconoscere l’esile figura che percorreva in bicicletta il sentiero alberato della fattoria.
-Fratellone!- gli corse in contro e Merlin scese dalla bici, abbandonandola come sempre contro al muro di casa, per abbracciarla.
-Kil è nel box?- domandò, a bassa voce, quando la ragazza si staccò da lui.
In tutta risposta, la castana si allarmò.
-Non vorrai riprovare a saltare con lui, dopo quello che è successo?-
-No, certo che no. Non subito, almeno. Ma vorrei almeno vederlo, per controllare che stia bene. Non è da lui imbizzarrirsi così, forse qualcosa l’ha spaventato- ipotizzò Merlin, che non era riuscito a chiudere occhio, tra le altre cose, anche per colpa di quel dilemma. Ma c’era dell’altro e non voleva spaventare la sua sorellina.
Freya sembrò tranquillizzarsi, in parte. Quindi annuì, raccomandandosi, però, di fare attenzione e non avvicinarsi troppo, se lo avesse trovato nervoso e scalpitante.
Merlin le rispose con un sorriso luminoso, che la convinse definitivamente. In fondo, era un giovane campione, sapeva come comportarsi e come trattare il suo cavallo. Non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Lo vide scomparire sul selciato, diretto al maneggio, inghiottito dalla porta che conduceva ai box.
Il giovane entrò, leggermente titubante: anche se si era dimostrato tranquillo, per non far preoccupare la ragazza, era un po’ indeciso. Il cuore iniziò a battere più forte, ricordando il dolore provato in seguito alla caduta da cavallo. Eppure, doveva vedere Kil.
Era assolutamente necessario che si avvicinasse a lui, che entrasse nel suo box. Anche perché c’era qualcosa che doveva assolutamente verificare. Il cavallo si era dimostrato nervoso, negli ultimi tempi, questo era vero.
Ma mai, mai aveva disarcionato qualcuno. Tantomeno il suo fantino.
E poi, il fatto che si fosse agitato improvvisamente, lo aveva allarmato. Forse, Kilgarrah non era malato, come tutti credevano. E il dubbio era sorto quella mattina in università, mentre sfogliava il volume di Reazioni chimiche negli organismi viventi: i cavalli, in biblioteca.
Avvicinandosi a Kilgarrah con mani tremanti, era riuscito ad accarezzarlo, senza che il cavallo reagisse allontanandolo o, peggio, sbranandogli la mano. Ma quando si abbassò, per rimuovere il gancio inferiore del cancello, il moro s’immobilizzò, incredulo.
A terra, proprio davanti a lui, c’era l’ultima cosa che avrebbe voluto trovare. Aveva sperato, fino all’ultimo momento di essersi sbagliato. Raccolse la preziosa prova con la bandana che portava al collo, per non lasciare impronte. Proprio come gli aveva insegnato Arthur: mai a mani nude. La studiò, cercando di capire quale sostanza avesse contenuto. Ma era vuota e, stranamente, priva dell’ago. Forse, però, analizzandola in laboratorio avrebbe ottenuto delle risposte.
C’erano solo due persone che si sarebbero potute avvicinare indisturbate al suo cavallo, con una siringa. Ma per quale ragione avrebbero dovuto farlo? E poi...come poteva sospettare di loro?
Infilò l’oggetto nello zaino e uscì a tutta velocità. Doveva assolutamente venire a capo di quella faccenda, non poteva aspettare in eterno che la polizia decifrasse le ultime lettere di Will!
Incrociò Freya e la salutò, con un frettoloso bacio sulla guancia. Ma appena uscì all’aria aperta e lanciata un’occhiata alla bici, restò sconvolto: quando accidenti si era bucata la ruota anteriore? Quello sì che era un bel problema: il furgone di suo padre non c’era e la macchina di Freya era in concessionario per una revisione. Sarebbe stato costretto a tornare in università a piedi!
Per un momento, fu solleticato all’idea di chiedere un passaggio a Arthur, ma una voce conosciuta lo distrasse, impedendogli di avviare la chiamata con il cellulare.
-Merlin! Da quanto tempo!- un uomo con la maglietta nera e il casco da motociclista, si avvicinò al ragazzo, salutandolo cordialmente.
-Ciao! Come stai?- Merlin ricambiò, allegro, riconoscendo il motociclista.
-Oh, non posso lamentarmi. Tu, piuttosto! Mi pare che la tua bicicletta sia buca. Vuoi un passaggio?-
Merlin sorrise, riponendo il cellulare nello zaino.
Una volta tanto, la fortuna gli sorrideva...
 
Hunith era stata convocata con la massima urgenza al distretto di polizia, perciò era stata costretta ad abbandonare le faccende domestiche e guidare il furgone del marito fino al commissariato.
Quando entrò, chiese a Leon dove fosse l’ispettore Pendragon e il ragazzo le rispose che lo aveva appena visto uscire dall’ufficio per recarsi al distributore.
La madre di Merlin lo ringraziò e si precipitò nel luogo indicato, trovando Arthur totalmente assorto nell’assaporare il bastoncino ricolmo di zucchero.
-Spero per te che sia zucchero di canna! Quello raffinato fa male- lo salutò, catturando la sua attenzione.
-Oh, Hunith! Ti aspettavo, vieni. C’è una cosa che devo assolutamente chiederti-
La donna lo seguì nell’ufficio del viceispettore, dove li attendeva Orkney e si accomodò, senza attendere un invito preciso: ormai, era di casa in quel distretto, esattamente come Merlin.
-Signora Emrys- la salutò Gwaine, sorprendendola con quei modi formali. Ma d’altronde, doveva aspettarselo: se l’avevano convocata con tanta urgenza, doveva esserci una buona ragione.
A proseguire, fu il figlio del commissario.
-Sai, Hunith. Mi è venuto un dubbio atroce e, purtroppo, con i pochi elementi a nostra disposizione, le indagini non proseguono. Quindi penso sia giusto andare per tentativi.-
La donna non comprese appieno quel discorso, finchè il biondo non le pose la fatidica domanda.
-C’è qualcuno che potrebbe avercela con te e Belinor? Un Greller, per esempio?-
Hunith boccheggiò.
-No! Arthur, non starai davvero pensando a Freya!- gridò subito dopo, incredula per quelle improvvise insinuazioni.
-No, scusami. Credo di essermi espresso male. Conosci qualcuno legato ai Greller, che potrebbe avere dei rancori nei vostri confronti?-
Ancora una volta, la donna scosse il capo, decisa.
-Freya è la sola Greller rimasta, dopo l’incidente dei suoi genitori. E ci sono molte persone che li conoscevano. Anche il signor Aridian, il nostro veterinario. Ma non credo che abbiano dei rancori nei nostri confronti! Siamo rimasti in buoni contatti. Ma perché mi fate una domanda simile?-
-Perché sto iniziando a convincermi che tutte le stranezze accadute ultimamente, abbiano un denominatore comune. Una sorta di vendetta personale, insomma, forse atta a screditarvi. Qualche tempo fa, Merlin ha parlato a Gwaine di una storica rivalità tra i vostri maneggi, quindi, la domanda ci è sorta spontanea. Vorremmo saperne di più.- spiegò il biondo.
Il suo vice annuì, confermando le sue parole.
La signora Emrys sospirò.
-È dura, per me, rivangare il passato. Dubito sia di qualche utilità, ma vi dirò tutto.- La donna prese un lungo respiro, prima di proseguire in quel doloroso racconto. –Tutto è cominciato prima che Merlin nascesse. Belinor era un caro amico del signor Greller e il loro sogno era quello di aprire un ranch per gestirlo insieme. Così nacque il maneggio dei nostri rivali. Purtroppo, durante un allenamento, accadde una disgrazia.-
Gwaine e Arthur trattennero quasi il fiato, leggendo nella figura curva della donna tutto il dolore provato negli anni trascorsi e che ora stava prepotentemente tornando a galla.
- Il figlio maggiore dei Greller morì, cadendo da cavallo- Hunith trattenne coraggiosamente le lacrime. –I Greller accusarono Belinor, dicendo che non aveva fatto attenzione. Che il cavallo era nervoso...che non avrebbe dovuto permettere a loro figlio di cavalcare. Ma si era trattato di un incidente! Anche la polizia, dopo le necessarie analisi, è giunta alle stesse conclusioni, ma loro non erano contenti. Così, io e Belinor ce ne siamo andati. Abbiamo atteso che si calmassero le acque e grazie alle persone che credevano nella nostra innocenza, ci siamo risollevati e abbiamo fondato Wildwoods. Pensavamo che tutto fosse finito, invece...invece...-
Non riuscì a trattenersi oltre: le lacrime ed i singhiozzi ebbero la meglio, costringendo Arthur ad alzarsi, per porgerle un fazzoletto.
Gwaine prese un bicchiere di plastica dall’armadietto della scrivania e lo allungò verso Hunith, riempiendolo d’acqua.
-Tieni- offrì gentilmente, con un sorriso incoraggiante e rassicurante allo stesso tempo.
La signora Emrys lo ringraziò, cercando di proseguire nel suo racconto.
-Quando Merlin aveva cinque anni, Anita, la moglie di Marcus Greller, si è presentata a scuola, precedendo Belinor. E ha rapito nostro figlio-
I due poliziotti sgranarono gli occhi, increduli.
-Cos’hai detto? L’ha rapito?-
-Sì. La polizia non ha impiegato molto a risalire all’accaduto e rintracciarli. Speravamo che tutto si concludesse per il meglio, invece...invece c’è stato quel terribile incidente...-
Arthur deglutì. Aveva quasi paura di domandarlo, paura di sapere cosa Merlin fosse stato costretto a passare. Ma quello, era il suo lavoro. E quelle informazioni potevano davvero rivelarsi utili per risolvere il misterioso omicidio di Will e tutti gli altri strani avvenimenti.
-Cos’è successo?-domandò, mordendosi il labbro un secondo più tardi.
Hunith scosse la testa, totalmente sconvolta.
-Marcus e Anita hanno cercato di portare via i bambini, ma sono riusciti a prendere solo Merlin. Freya è stata portata via da due agenti. Per fortuna, altrimenti sarebbe rimasta coinvolta anche lei. Ma...lui...lui ha vissuto ogni attimo di quell’inferno. Nemmeno io so con precisione cos’è accaduto. C’è stato un inseguimento, in macchina, a una velocità assurda. O, almeno, così mi è stato detto. Alla fine, la loro Opel è finita fuori strada e la volante che li inseguiva non è riuscita a frenare in tempo. Sono morti anche gli agenti. Merlin è rimasto intrappolato lì dentro...per ore...io...- Hunith era scossa dai brividi e dai singhiozzi.
Arthur distolse lo sguardo e abbandonò l’ufficio di Gwaine, precipitandosi in bagno: non ricordava di essersi mai sentito così male in vita sua.
Merlin, il suo Merlin, era rimasto intrappolato in una macchina distrutta, con delle persone...morte...
Era orribile, non riusciva a immaginare la paura di un bambino costretto a vivere una simile esperienza. Non stentava a credere che avesse sviluppato quelle sue strane paure! Dopo una simile esperienza, era più che comprensibile! Scotofobia e claustrofobia non erano più tanto insensate.
Deglutì a vuoto, tentando invano di cacciare un nauseante conato di vomito. Comprese che, senza sfogarsi, non ci sarebbe mai riuscito e picchiò con forza i pugni contro le piastrelle di ceramica bianca.
Bagnò il viso e i polsi con abbondante acqua fredda, cercando di ritrovare la calma.
Ad aiutarlo in quell’impresa, contribuì il cellulare, che vibrò un paio di volte. Lo prese in mano, trovando un messaggio del coinquilino.
Si diede dello stupido, per il modo in cui gli occhi pizzicarono.
Dannazione, doveva comportarsi come se nulla fosse: il moro era terrorizzato da quei ricordi, a differenza della madre del ragazzo, lo sapeva bene. Aveva letto il terrore nei suoi occhi, quando aveva sognato l’incidente. Un incidente che fingeva di non ricordare, per non destare preoccupazioni nei genitori, anche se ciò significava sacrificare la sua serenità, implodendo le sue paure.
Non desiderava più vederlo in quello stato.
Doveva comportarsi come sempre, non voleva vedere altro dolore attraversare quelle iridi blu. Quindi, nonostante il pallore e il senso di malessere dovuti alla fastidiosa nausea, si sforzò di sorridere, come se Merlin fosse proprio davanti a lui. Aprì il messaggio, curioso di scoprire cosa gli avesse scritto.
Ma con suo sommo sgomento, lo trovò completamente vuoto. Questo bastò a farlo precipitare nell’ansia. Tornò trafelato da Gwaine e Hunith, domandando loro dove fosse Merlin.
-So che aveva lezione, questa mattina. Ma ora, dovrebbe essere a casa- rispose la madre del ragazzo.
Arthur si attaccò immediatamente al telefono, cercando in tutti i modi di contattarlo, ma fu inutile: imprecò contro la segreteria telefonica.
-Gwaine, vai a chiamare Lance! Ho bisogno di lui per rintracciare il suo maledettissimo cellulare. Ho una pessima sensazione-
-Poi sono io, l’uccellaccio del malaugurio!- brontolò il viceispettore, ma si affrettò a eseguire gli ordini, sotto lo sguardo apprensivo della signora Emrys.
-Forse è meglio che torni a casa. Nel caso tornasse.-
L’ispettore annuì. Quella storia non gli piaceva affatto...
 
Merlin osservò la schiena del motociclista, domandandosi stupidamente, come sarebbe stato fare un giro in moto con Arthur. Dove lo avrebbe portato. Cos’avrebbero fatto una volta arrivati.
Immaginò una strada pressoché deserta e un bivio, Arthur che insisteva nel difendersi. Perché no, non si era perso, aveva solamente voluto allungare la strada, per rendere il viaggio più interessante. Perché quel giro godeva di un’ottima panoramica!
Merlin ridacchiò, immaginando la loro lite furiosa ed arrossì immaginando il modo in cui si sarebbero riappacificati. Doveva ammettere che quell’asino sapeva come mettere a tacere le sue proteste; la cosa avrebbe dovuto infastidirlo. Perché Arthur era uno stupido e lui detestava cedere alle sue idiozie. Gli piaceva averla vinta nelle discussioni e stuzzicarlo per vederlo irritato. Ma sapeva bene che quella era solamente una facciata del suo dispettoso coinquilino.
Non era solo irritante.
Era...
Era semplicemente Arthur. E aveva scoperto di amarlo, più di chiunque altro al mondo. Cosa c’era di male, in questo?
Si riscosse dai suoi pensieri, rendendosi contro che il motociclista stava tornando indietro, anche se percorrendo una strada alternativa.
-Dove stai andando?- domandò, incuriosito e con una punta d’irritazione: doveva analizzare in fretta quella siringa, se voleva scoprire cos’avessero somministrato al suo Kil!
-Ho dimenticato di prendere una cosa, Merlin. Solo un attimo e sono da te!- promise l’uomo, abbandonando la moto e il suo occupante ai bordi del sentiero, accanto al vecchio granaio.
Il moro rabbrividì.
Aveva riconosciuto quella stradina. Will era morto a pochi metri da lì, in direzione del maneggio.
-Andiamo via, per favore- si accorse con orrore di aver parlato al vento: l’uomo che lo aveva condotto lì, era già sparito.
Il vento soffiò, insinuandosi nella sua maglietta, facendolo tremare: il tempo stava rapidamente cambiando. Forse, entro pochi minuti, sarebbe sopraggiunto un bel temporale.
Cercò a tentoni il cellulare nella tasca dei jeans, e lo estrasse. Compose a memoria il numero di Arthur. Non voleva disturbarlo, ma sentirlo l’avrebbe certamente tranquillizzato. Udì dei passi.
Si voltò di scatto, ma non c’era anima viva.
Inghiottì la saliva rumorosamente. Quel posto era inquietante. Forse, si stava lasciando suggestionare dal recente ritrovamento del corpo. Già, quell’evento stava riportando a galla con prepotenza le paure infantili. Non c’era altra spiegazione.
Probabilmente, aveva confuso il rumore di rami spezzati con la camminata di qualcuno. Sì, doveva essere così. Tutto qui, nulla di cui preoccuparsi. Sospirò, portando la mano libera sul cuore, come se questo bastasse a ripristinare i battiti.
Cambiò idea: se l’ispettore avesse letto paura nella sua voce, lo avrebbe di sicuro preso in giro. Non voleva dargli questa soddisfazione, anche se pensando al possibile epilogo del loro battibecco, non gli sembrò un’opzione così tremenda. No. Ormai aveva deciso: avrebbe semplicemente scritto un SMS e atteso che Arthur rispondesse.
Non notò l’ombra alle sue spalle.
Il cellulare cadde e si aprì. La batteria ruzzolò al suolo.
Il giovane studente, invece, si accasciò tra le braccia dell’aggressore, che ghignò, trionfante: era già stato scoperto da una persona ed era stato costretto a metterla a tacere. Ma, finalmente, il giovane Emrys era nelle sue mani...
 
Gwen strabuzzò gli occhi e rischiò seriamente un collasso per la sorpresa, nel leggere sul display del cellulare il nome del suo ex, seguito dal numero di cellulare.
Sapeva di avergli inflitto una ferita colossale ed erano trascorse poche settimane perché si fosse già cicatrizzata. Ma allora, perché la stava chiamando?
-Pr...pronto?- rispose, titubante.
-Gwen!- il tono urgente dell’ispettore la preoccupò: non aveva mai sentito la sua voce tanto agitata. Come se ciò non bastasse, dal giorno in cui l’aveva sorpresa con Lancelot, non l’aveva più chiamata per nome. Beh, a dirla tutta, non l’aveva proprio chiamata! Era strano che così all’improvviso, avesse deciso di cercarla. –Gwen, Merlin è lì con te?-
La mulatta rispose “no”, sperando che il biondo le desse delle spiegazioni. Invece, il ragazzo riagganciò.
Infastidita da quell’atteggiamento, a suo parere infantile, lo richiamò.
-Hai trovato Merlin?- chiese, speranzoso.
-Vuoi dirmi cosa sta succedendo?- abbaiò, abbandonando per una volta la proverbiale calma.
-Non lo so! Mi ha mandato un messaggio vuoto, ho provato a richiamarlo ma non mi risponde! Ho il sospetto che si sia cacciato in qualche guaio!-
Finalmente, ecco spiegato tutto.
-Non hai provato in fattoria?- suggerì.
-Mi ha risposto Freya, ma ha detto che Merlin se n’è andato da un pezzo! So solo che ha lasciato da loro la bici, perché aveva una ruota bucata. Ma di lui non c’è nessuna traccia-
Gwen iniziava ad essere contagiata dall’apprensione del suo ex: non era da Merlin sparire così.
Inoltre, l’assassino poteva ancora essere nei paraggi. No, non doveva nemmeno pensarle, certe cose!
-Provo a chiamare Morgana, forse può cercarlo in macchina con Elyan, mentre mi occupo del Break. Se so qualcosa, ti avverto-
Arthur la ringraziò per la disponibilità, quindi riagganciò.
-Chi dovrei cercare, con Morgana?- il fratello spuntò dal retro, dove stava affettando l’arrosto per i panini fino a pochi istanti prima.
-Sembra che Merlin sia sparito dopo aver lasciato un messaggio vuoto a Arthur e ora non è raggiungibile al cellulare-
Il ragazzo ricambiò con uno sguardo altrettanto preoccupato.
-Vado a prendere Morgana, allora- sapeva che non servivano altre parole: era tempo d’agire.
 
Merlin, ancora intontito dal colpo ricevuto in testa, non si rese immediatamente conto della terribile situazione: tutto ciò che provava, era un forte dolore alla nuca. Come se qualcuno avesse provato a fratturargli il cranio.
Ma appena il dolore diventò insostenibile, anche i suoi sensi si riattivarono completamente e la percezione di quanto lo circondava, diventò spaventosamente limpida: sarebbe morto di paura entro pochi minuti.
Era solo e a giudicare dalla forte stretta attorno ai polsi, qualcuno lo aveva legato, con le mani dietro la schiena. Quel posto, ovunque fosse finito, puzzava di plastica e di erba marcia.
Ma non era questo a preoccuparlo maggiormente, quanto la pressoché totale oscurità che lo attorniava e l’essere chiuso in un luogo apparentemente molto, molto stretto.
Gli mancava l’aria.
Desiderò con tutto sé stesso la luce e gridò con tutta la voce che racchiudeva nei polmoni, sforzando oltre ogni immaginazione il diaframma.
-Fatemi uscire! Fatemi uscire, vi prego!-
Merlin si sentì vagamente sollevato, quando uno spiraglio di luce gli colpì il volto. Forse lo avevano trovato e lo avrebbero tirato fuori di lì. Ma quella gioia svanì così com’era venuta. Nessuno lo avrebbe salvato.
L’oggetto che si calava sinuoso come un cobra velenoso in quel contenitore, era una canna per l’acqua. La scrutò, domandandosi in un momento di ingenua lucidità per quale ragione lo avessero rinchiuso lì, con quell’affare. La risposta non tardò ad arrivare: un potente getto lo colpì in testa, infradiciandogli i capelli color ebano, che gli si appiccicarono alla nuca e sulla fronte. Il liquido trasparente gli colò lungo il viso, sul naso, rendendo ancora più difficile respirare.
I suoi polmoni iniziarono a lavorare energici, mentre la sensazione di soffocamento lo fece precipitare nell’angoscia. Provò a dimenarsi, a liberarsi dalle corde, ma inutilmente. Quello spazio era troppo angusto per lui e il panico si era ormai completamente impossessato delle sue membra, annebbiando la ragione.
Quando l’acqua riempì il contenitore fino alla caviglia, ne ebbe la certezza: stava per morire...
Il respiro strozzato, il cuore che batteva furioso e i polmoni affaticati per lo sforzo.
Terrorizzato, non si rese neppure conto di aver iniziato a piangere.
Non voleva morire così. Non voleva, senza aver prima detto addio alle persone che amava.
Oh, se solo avesse avvertito Arthur di ciò che aveva scoperto, forse la sua morte non sarebbe stata totalmente inutile! Forse, utilizzando la siringa come indizio, sarebbe risalito al colpevole! Perché era stato così stupido?
L’acqua, ormai, gli arrivava alle spalle. Singhiozzò e avvertì il muco risalire la trachea, tappargli il naso.
Sarebbe morto...
La paura ebbe il sopravvento. Il buio e il poco spazio rimasti lo portarono al limite della sopportazione e il suo fisico, i suoi polmoni si arresero, bloccandosi per alcuni, lunghi secondi.
Tanto, era tutto inutile. Ormai era spacciato, no?
L’acqua aveva superato il mento.
Merlin si accasciò, contro quella superficie liscia che lo costringeva all’oscurità. Quando le sue labbra sfiorarono la superficie di quel liquido, pensò intensamente ad Arthur. Immaginando che quello fosse il loro ultimo bacio.
Così, forse, avrebbe trovato la forza di affrontare la divina mietitrice.

 

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Capitolo 8
*** Dov'è Merlin? ***



 Oggi mi sento particolarmente buona e dato che domani non ci sono, invece di rimandare il post a lunedì, ho deciso di postarlo ora ^_^
Spero che la cosa vi renda felici. Il prossimo, sarà l'ultimo capitolo della serie, ma chissà...pensavo di farvi anche un regalino *_* 


41 di sangue


Capitolo 7:
Dov'è Merlin?

 

Arthur imprecò, prendendo a pugni la scrivania.
-Non è possibile che sia sparito nel nulla!- era oltremodo frustrato. La ricerca non aveva dato frutti ed ora stavano tutti aspettando che Lancelot rintracciasse il segnale del cellulare, da cui era partito l’ultimo messaggio di Merlin. –Ti ci vuole ancora molto?-
Lancelot, esaurito da quelle pressioni, esplose.
-Sto facendo del mio meglio, ispettore! Ma ci sono migliaia di persone, di cellulari e di celle qui nel Surrey! Quindi, se volesse fare un po’ di silenzio, mi faciliterebbe in parte il compito!-
Il biondo emise un ringhio strozzato, quindi voltò le spalle agli agenti e uscì come una furia. Non poteva stare con le mani in mano. Non era affatto tranquillo.
Merlin gli aveva detto che stavano succedendo cose strane a Wildwoods e, conoscendolo, era certo che il moro avesse tentato di ficcare il naso. Quel suo silenzio era qualcosa di eccessivamente snervante.
-Arthur!- Gwaine lo rincorse, forse per farlo ragionare.
-Lasciami in pace! Tu non puoi capire, io lo devo trovare!-
-Invece ti capisco benissimo! Voglio ritrovarlo sano e salvo quanto te, ma comportandoti così sei d’intralcio!- il viceispettore alzò la voce, ma almeno riuscì a placare l’agitazione dell’ispettore, che si accasciò su una sedia.
Le spalle chine in avanti e una mano a coprire gli occhi sconvolti.
-Mi dispiace. È solo che...non riesco a stare fermo, sapendo che potrebbe essere in pericolo- ammise. –So che non è colpa di Lance, che sta facendo del suo meglio. Ma io non posso fare nulla.-
Alzò lo sguardo, alla ricerca di quello del castano.
-Se dovesse succedergli qualcosa, io...-
Gwaine prese posto accanto al biondo.
Anche lui aveva un pessimo presentimento, a riguardo. Ma disperarsi non sarebbe servito a nulla. Dovevano mantenere la calma e tutta la loro razionalità, per risolvere il più in fretta possibile quel problema e riportare a casa Merlin.
-Ovunque sia andato a cacciarsi, lo troveremo. Però tormentarsi nei dubbi non farà che peggiorare la situazione. Quindi pensiamo alla prossima mossa, così da essere pronti ad agire-
-Allora...andiamo a Wildwoods- Arthur ritrovò, chissà dove, la forza per programmare un piano d’azione.
-Hai detto che Freya...-
Il biondo alzò un braccio, bloccando sul nascere le proteste del suo vice.
-So quello che ho detto. Ma è lì che Freya l’ha visto, l’ultima volta. Forse, troveremo qualcosa. Qualunque cosa andrà bene, pur di non stare qui fermo ad aspettare, Gwaine-
Il castano annuì.
-Vado a prendere la giacca e avvertire gli altri.- Arthur si alzò di scatto, iperattivo. Ormai era al limite della sopportazione, era evidente.
-Ti aspetto in macchina-
 
Durante il tragitto, Arthur pensò per tutto il tempo agli elementi in loro possesso: Kilgarrah, il cavallo di Merlin, nervoso da mesi. La caduta di Morgana. Will: il messaggio in segreteria e le lettere incomplete da lui lasciate, prima di morire. La storia che Hunith gli aveva raccontato. Il fatto che avesse citato Aridian, il loro veterinario non gli piaceva per niente.
Sentì Gwaine premere dei tasti, sul cellulare.
-Avverto Morgause, le avevo promesso che saremmo usciti, ma vista l’emergenza, dovrà perdonarmi- il castano parlò più che altro con sé stesso.
Ma questo contribuì a ricordare un altro dettaglio all’ispettore: le chiavi dell’ambulatorio veterinario erano state rubate, verso l’ora di pranzo. Prima che Merlin sparisse.
E se...
-Gwaine, chiama il signor Witcher e chiedigli se esistono delle sostanze in grado di far innervosire i cavalli, facilmente reperibili. E già che ci sei, chiedigli se nel suo studio manca qualcosa!-
Il viceispettore restò basito, per quell’improvvisa richiesta, ma non obiettò. Cercò il numero del veterinario, nella sua agenda e avviò la chiamata.
Pose all’uomo le domande che gli aveva suggerito l’ispettore ed attese le risposte.
Quando riattaccò, aveva un viso ancora più interrogativo.
-Che ti ha detto?- Arthur era impaziente. Una nuova teoria si era fatta strada nella sua mente e doveva assolutamente verificarla.
-Ci sono alcuni alimenti che agiscono sul sistema nervoso, come cioccolato, caffeina e tè. Ha effettuato un rapido controllo, dice che è sparita una fiala di apomorfina. Mi sembrava sorpreso-
Arthur annuì.
-Immagino che controlli i medicinali periodicamente, se ne sarebbe accorto solamente allora. Gwaine. Credo di aver intuito come sono andate le cose. Anche se mi manca ancora il tassello delle lettere lasciate da Will- il biondo afferrò il cellulare, cercando un’ultima volta di contattare Merlin. Niente da fare, il cellulare era spento.
Una goccia di pioggia s’infranse sul parabrezza, seguita da un’infinità di altre minuscole sorelle.
La paura crebbe.
Ormai erano arrivati a destinazione.
Il suo cellulare squillò e sul display comparve il nome della sorellastra, seguita dall’icona di un messaggio, che aprì trepidante. Falso allarme: “L’abbiamo cercato in università, ma qui non c’è. L’ultima persona ad averlo visto, è stata l’addetta alla biblioteca, verso l’ 1.00 pm”.
Arthur sbuffò, scendendo velocemente dalla macchina. Non tentò nemmeno di aprire l’ombrello, lo avrebbe certamente rotto per il nervoso. Lanciò delle rapide occhiate tutt’intorno, alla ricerca di qualcosa e finalmente, la individuò. Si precipitò al fianco della bici di Merlin, seguito da Gwaine.
-Qui non c’è niente- sospirò il castano.
Ma l’ispettore non lo ascoltava.
-È strano- concluse, lasciando spiazzato l’altro poliziotto.
-Cosa?-
-Guarda, non noti nulla?-
Gwaine aguzzò la vista, ma quello che vedevano i suoi occhi, non cambiò.
-Ha una gomma bucata, e allora?-
-Beh, il modello, no?- suggerì allora il biondo.
Il castano lo osservò. Era una comunissima mountain bike, non c’era niente di strano in questo. Anche se, in effetti...
-Immagino che la ruota fosse piuttosto spessa. Deve aver preso un sasso bello grosso, per ridurla così- soppesò, mentre il collega si affaccendava attorno a quella maledetta ruota, scrutandone minuziosamente ogni millimetro.
-Gwaine, passami un guanto. E una busta- ordinò, serio, mentre si appiattiva contro il terreno, cercando qualcosa nelle vicinanze.
Orkney tornò alla macchina, aprì il cruscotto e trafficò alla ricerca di ciò che gli era stato richiesto.
Quando tornò indietro, Arthur infilò velocemente la protezione e si affrettò a raccogliere un oggetto caduto a pochi centimetri di distanza dal cerchio di gomma. Dopo averlo riposto nella busta, lo mostrò al collega, che rimase a bocca aperta.
-Un ago?-
Arthur restò in ginocchio, di fronte al trabiccolo di Merlin. Posò lo sguardo a terra. E notò un nuovo elemento.
-Queste sembrano le ruote di una moto. La pioggia le ha quasi cancellate, ma si allontanano da Wildwoods!- quella cosa non lo rincuorò affatto.
-Ma se la ruota di Merlin non si è bucata da sola...-
Gwaine e Arthur si lanciarono uno sguardo di atterrita intesa: ormai era lampante. Qualcuno aveva deliberatamente bucato la ruota del ragazzo. Probabilmente, quella persona gli aveva offerto un passaggio, per tendergli una trappola.
Ed entrambi, non potevano accettare una simile eventualità. Dovevano assolutamente trovarlo e in fretta!
 
Perceval fissava apprensivo Lancelot, mentre componeva il numero del loro superiore. Il commissario entrò in ufficio, proprio in quel momento.
-Si può sapere dov’è l’ispettore Pendragon?- domandò, imperioso, restando sconcertato quando si rese conto di essere stato ignorato dai due agenti.
-Voi due!-
Perceval lo guardò torvo, mettendo un dito davanti alla bocca per zittirlo. Poco importava la gerarchia! C’era di mezzo la vita di un loro amico!
Uther spalancò la bocca, incredulo.
Finalmente, Arthur rispose alla chiamata.
-Ispettore, ho individuato la zona approssimativa. Dovrebbe essere ancora nei dintorni di Wildwoods!- lo informò, senza troppe perifrasi.
La risposta spiccia, fu un semplice “ok”, dopodiché, il biondo riagganciò.
-Qualcuno mi spiega che sta succedendo?- s’indignò il commissario, lanciando fulmini con gli occhi e disseminandoli per tutta la stanza.
-Ecco...è scomparsa una persona, se ne stanno occupando l’ispettore e il vice Orkney.- Lancelot sperò ardentemente che l’uomo non iniziasse a dare i numeri. Aveva appositamente omesso il fatto che si trattasse di Merlin, ma fu tutto inutile.
-Per quale motivo non sono stato informato? Si tratta del caso Priscilla, vero?-
-Ecco...veramente, ora si chiama “Bloody Cinderella”. Per via delle scarpe insanguinate.- gli fece stancamente notare Perceval, appollaiato sulla sedia.
-I due casi sono collegati? Ma insomma! Perché nessuno mi dice mai nulla? Chi è il responsabile?- Uther era una furia.
Lancelot cercò di tranquillizzarlo: nessuno l’aveva aggiornato, perché erano troppo affaccendati a cercare il colpevole. Era un buon segno, indice del loro impegno!
-Non importa se eravate impegnati! Quel caso riguarda anche mia figlia, avreste dovuto dirmi che aveva a che fare con l’assassino di William Grant! Cos’altro state omettendo? Chi è la persona scomparsa?-
Perceval sospirò.
Anche Lancelot si arrese all’evidenza: ormai, non potevano più nasconderlo al commissario.
-Ecco...è scomparso Merlin...-
Uther divenne rosso come un pomodoro, pronto ad esplodere. Una vena pulsava furiosa sulla tempia.
-Avrà preso un volo per chissà dove! Lo sapevo, quel ragazzo nascondeva qualcosa, si vedeva lontano un miglio che era il colpevole! Voglio che lo rintracciate, non m’importa dove sia! E che lo portiate qui, sono stato chiaro?- non attese nemmeno la risposta dei due agenti: inforcò la porta e la richiuse con forza alle proprie spalle, tanto che i due si stupirono della sua resistenza. Erano pronti a giurare che il commissario l’avesse scardinata!
-Idiota!- si lasciò sfuggire Lancelot, in un impeto di rabbia.
Quell’ottuso del loro capo era ancora fermamente persuaso della colpevolezza di Merlin, anche dopo tutte le prove che dimostravano l’opposto!
Perceval si lasciò sfuggire un sorriso tirato: condivideva pienamente l’opinione del collega. Ma era troppo preoccupato per l’amico, per rallegrarsi sinceramente di quell’uscita spontanea.
 
Arthur era sfinito e scoraggiato: avevano cercato ovunque. Ovunque. La sola cosa che non avevano ancora tentato, era cercare sotto i sassi, cosa che sperava caldamente di non dover fare. Sarebbe stato davvero avvilente.
Gwaine uscì dai box, deluso.
-Sembra che sia passato da qui, il gancio superiore del cancello di Kilgarrah è stato aperto. Come se avesse provato a entrare. Ma qualcosa o qualcuno gliel’ha impedito- Comunque, ho già controllato lì attorno, non c’è nient’altro.
-Dannazione!- l’ispettore era sull’orlo di una crisi di nervi.
Doveva pensare. Ci doveva essere qualche pista che non avevano considerato.
Freya, che li stava aiutando nelle ricerche, scoppiò a piangere.
-Fratellino...il mio fratellino! Perché ci sta succedendo tutto questo? Non ha fatto niente di male, perché hanno preso mio fratello? Ti prego, Arthur, devi ritrovarlo, non voglio che...che faccia la stessa fine di Will!- la ragazza si aggrappò alla giacca di pelle dell’ispettore, spiazzandolo totalmente.
-Cos’hai appena detto, Freya?-
La castana sollevò gli occhi, incredula per quella stravagante domanda.
-Io ti ho...chiesto di trovarlo...per favore...-
Anche Gwaine fissò stralunato il poliziotto, mentre questi scuoteva energicamente il capo, concitato.
-No, hai detto Will! Esiste un’altra strada che porta al vecchio granaio, Freya?-
-Beh...mi pare di sì. Dovrebbe essere una stradina secondaria, che passa attraverso i boschi.-
-Quindi, ci si può arrivare, dalla strada!-
La ragazza annuì, incerta. Non capiva dove il biondo volesse arrivare.
-Seguimi, Gwaine, Dobbiamo prendere la macchina! Freya, chiama un’ambulanza! Se ho ragione, potrebbero essere al granaio!-
Un terribile dubbio s’insinuò nella mente dell’ispettore, mentre il castano sfrecciava con la volante, diretto alla nuova meta.
-Se fosse troppo tardi?- farfugliò, tremando leggermente. Per la rabbia, per la frustrazione, per l’incredulità. Per la paura. Perché sì, dannazione, anche se detestava ammetterlo, non sapeva cos’avrebbe fatto, senza quell’imbranato di Merlin!
-Non pensarlo nemmeno!- lo rimproverò Gwaine. Ma al biondo non sfuggirono né l’espressione contratta, né i muscoli, che si tendevano per l’incertezza, mentre cambiava marcia.
 
Quando arrivarono al granaio, trovarono l’area completamente vuota. Si guardarono attorno, alla ricerca di Merlin, ma evidentemente il ragazzo non c’era.
Un tuono squarciò l’aria e il vento tagliente iniziò a soffiare con più vigore.
-Io vado da quella parte! Se trovi qualcosa, chiamami!- Gwaine si separò dal’ispettore: di certo, dividendosi, avrebbero avuto maggiori possibilità di trovarlo.
Iniziò a correre, percorrendo la strada sterrata che conduceva al maneggio degli Emrys, chiamando a gran voce l’amico.
Percorse parecchi metri, correndo tra l’erba, i ciottoli. Improvvisamente, il castano inciampò e rovinò a terra, imbrattandosi di fango vischioso. Lanciò uno sguardo alle proprie spalle, cercando una pietra: era assolutamente certo di aver picchiato il piede contro una superficie dura e che questa gli avesse fatto perdere l’equilibrio. Invece, trovò uno spuntone d’acciaio, che sbucava dal terreno scivoloso.
Spalancò gli occhi, incredulo. Si sarebbe messo a scavare con le unghie, se il suo cellulare non avesse preso a suonare.
-Gwaine, sono io!-
-Arthur- riconobbe immediatamente la voce concitata del collega. –Hai trovato...-
-Il suo cellulare! È qui a terra!-
Il viceispettore valutò la situazione: la priorità era trovare Merlin. Ma quella che aveva davanti, poteva essere l’arma del delitto!
-Ti raggiungo tra un attimo, credo di aver trovato qualcosa di utile. Chiamo la scientifica e sono da te!-
 
Arthur riagganciò, posando le iridi azzurre sui resti del cellulare che aveva ritrovato. Ma come ci era finito lì, a terra, vicino all’entrata di quell’edificio abbandonato?
Entrò titubante, spalancando la porta che si aprì cigolando. Il legno era quasi completamente marcito e l’odore, reso ancora più pregnante dall’umidità, era insopportabile. Avanzò nella penombra, lanciando sguardi tutt’attorno. Ma dov’era Merlin?
Ormai era lampante che fosse stato aggredito nelle vicinanze e la possibilità che fosse già troppo tardi era insopportabile ma, purtroppo, incombente.
-Merlin...- Arthur provò una morsa insopportabile all’altezza dello stomaco. Non c’erano altre tracce che potesse seguire. Nessun altro segno di lui. Anche se ci fosse stata una pista, lasciata dall’assassino, la pioggia torrenziale che si agitava all’esterno, doveva averla già cancellata, completamente.
-Ho immaginato che qui dentro fosse buio, ho portato una torcia!- Gwaine, come promesso, lo raggiunse trafelato.
L’ispettore annuì, assente. Non riusciva a pensare. La sua mente ed i suoi occhi erano annebbiati dalla tremenda minaccia di perdere per sempre il ragazzo che, così rapidamente, aveva mutato la sua vita.
Ingoiò a vuoto, cercando di riprendersi: no, lui avrebbe trovato Merlin. Lo avrebbe salvato, a qualunque costo. Doveva crederci, se voleva salvarlo!
-Non ero qui, il giorno del sopralluogo. Forse tu noterai qualcosa di diverso. Potrebbe essere importante-
Il viceispettore studiò con minuzia ogni più piccolo anfratto del granaio fatiscente. Era tutto sporco e polveroso, lì attorno, eppure...
-Sembra che laggiù sia stato rimosso qualcosa. Ci sono meno ragnatele, e delle impronte scure, sulla polvere. Con la luce della torcia, si vedono chiaramente-
L’ispettore osservò l’angolo indicato dal castano, costretto ad ammettere che non aveva tutti i torti.
Annuì, avvicinandosi, stando ben attento a non calpestare le orme lasciate in precedenza dal misterioso aggressore.
-Ma è solo un vecchio granaio, cosa può aver rubato?-
Gwain scrollò le spalle: non ne aveva la più pallida idea.
Arthur si chinò a terra.
-Qui è pulito, come se ci fosse stato un oggetto. È una macchia più o meno circolare, probabilmente un barile di plastica, come quelli qui attorno. Sembra che l’abbia trascinato, prima di portarlo via.- concluse, indicando dei contenitori simili, proprio accanto alla zona senza polvere.
Gwaine uscì all’esterno. Aveva la sensazione che gli fosse sfuggito un dettaglio importante. Ma cosa poteva essere?
Ripensò attentamente al giorno del ritrovamento di Will: il ragazzo riverso a terra, in una pozza di sangue piuttosto estesa. Le orme misteriose lasciate dal colpevole. Le aveva seguite, insieme a Perceval, fino al granaio, dove avevano individuato i resti del falò con cui l’assassino aveva bruciato le prove. Cosa mancava?
Lo sguardo cadde casualmente accanto al telaio della porta, nella parte in basso a sinistra: lo ricordava diverso e non perché i residui di sangue erano stati completamente cancellati dal temporale.
Improvvisamente, venne colto da un flash. Chiamò a gran voce l’ispettore, che si precipitò da lui.
-Che succede, Gwaine?-
Il castano indicò il lato basso della parete, che aveva scrutato con tanto interesse.
-Laggiù manca qualcosa. L’assassino aveva lavato le scarpe, ricordo bene la macchia di sangue misto al fango. L’aveva notata Perceval-
-E allora?- Arthur non capiva. Era ovvio che la pioggia avesse spazzato via quelle tracce.
-Per lavarle aveva usato una canna, attaccata al rubinetto laggiù e...- Gwaine si bloccò. I suoi occhi, insieme a quelli dell’ispettore, si erano rapidamente spostati dal punto indicato al lavabo esterno. L’attrezzo incriminato, era attaccato al rubinetto aperto.
I due si scambiarono uno sguardo incerto, quindi Arthur prese l’iniziativa, nonostante sentisse il cuore battere come impazzito e il sangue affluire veloce alle tempie.
Girarono attorno alle pareti dell’edificio, seguendo la canna color giallo canarino. La trovarono immersa in un barile di plastica.
Gwaine la afferrò, estraendola dal buco presente sulla sommità del grosso contenitore.
-Eccoti qui, bellezza! Si può sapere perché non sei al tuo posto?-
-Perché lasciare il rubinetto aperto con la pioggia?- Potevano semplicemente lasciarla esposta al...- Arthur sbiancò. Un terribile presentimento lo aveva appena folgorato. –Gwaine! Aiutami a togliere il coperchio, veloce!-
I due ci misero il minor tempo possibile, ma l’impresa risultò davvero ardua: il barile di plastica era reso scivoloso dall’acqua. Non avevano usato precauzioni, come guanti o altro, infischiandosene altamente del protocollo.
Finalmente, udirono un sonoro “clack”  e un getto d’acqua, sollevato dall’interno del barile, li investì in pieno, inzuppandoli più di quanto già non fossero per colpa del temporale.
Appena i suoi occhi si posarono sul contenuto, il viceispettore sentì il terreno mancargli sotto ai piedi, mentre il biondo smise per alcuni, interminabili secondi, di respirare.
Il gelo s’impossessò di lui, penetrandogli fin nelle ossa. Fu come morire...   
 
Aridian sfrecciava a gran velocità sull’asfalto. La maglietta nera svolazzava leggermente, aderendo al busto snello, lasciando penetrare l’aria gelida. Per fortuna,aveva smesso di piovere. Detestava i temporali improvvisi, soprattutto quando viaggiava in moto. Svoltò alla sua destra, percorrendo il viale alberato che conduceva a Wildwoods, rallentando per evitare di incappare in qualche sasso e rovinare a terra.
Restò ammutolito quando vide un’ambulanza percorrere la strada a ritroso, con le sirene in azione. Arrivato davanti all’abitazione degli Emrys, trovò un gran subbuglio: Freya che piangeva, il viceispettore Orkney, che aveva sentito poco prima per telefono, attaccato come un folle al cellulare, gridando qualcosa che non riuscì a capire, il cortile pieno di poliziotti...
-Ma che è successo?- domandò, togliendosi il casco e avvicinandosi alla ragazza dai lunghi capelli castani.
Freya lo guardò come se non lo vedesse realmente, gli occhi rossi e gonfi per le troppe lacrime.
-Aridian...- lo abbracciò di slancio, rischiando di farlo cadere a terra. –Una cosa terribile...oh, Aridian...-
-Freya!- tuonò Gwaine, aprendo lo sportello della volante.
La giovane si staccò immediatamente dal veterinario, correndo appresso al poliziotto e salendo in macchina con lui, lasciando il signor Witcher interdetto.
 
Arthur teneva saldamente la mano di Merlin, come se volesse impedirgli di perdere consistenza, temendo che diventasse un fantasma. Per un lungo, terribile momento, lo aveva davvero creduto.
Lo avevano trovato bianco come un lenzuolo, le labbra bluastre, il corpo gelato. Stentava a credere che fosse ancora nel mondo dei vivi, dopo aver bevuto tutta quell’acqua. Pensava di averlo perso per sempre.
Gwaine era stato sicuramente più svelto di lui a ritrovare la lucidità e prendere in mano la situazione: lo aveva allontanato dal barile e afferrato il moro, trascinandolo rapidamente fuori, adagiandolo a terra.
Si era chinato sul ragazzo, effettuando tutta una serie di manovre per verificare che nulla ostruisse le vie respiratorie, che respirasse, che il cuore battesse ancora.
Aveva scosso la testa, sconvolto e per l’ispettore si era aperta una voragine nell’anima. Non ricordava di aver mai provato una sensazione simile, in tutta la sua vita. Era stato orrendo.
Orkney l’aveva riportato alla realtà, schiaffeggiandolo: aveva bisogno della sua collaborazione.
Dovevano almeno provare a rianimarlo. Dovevano.
Era così iniziato l’estenuante massaggio cardiaco, che aveva gettato il giovane Pendragon nello sconforto e nel terrore. Avevano fatto di tutto e Merlin non si era svegliato. Non aveva aperto gli occhi. Non aveva tossito, né dato cenni di vita. Il cuore ancora fermo.
Ed era stato allora che era finalmente arrivata l’ambulanza, che era accaduto il miracolo.
Arthur vide i volontari del pronto soccorso senza esserne davvero consapevole, come se fosse caduto in un limbo ovattato. Un limbo da cui era stato strappato, appena Merlin aveva ripreso coscienza.
Vedeva i suoi occhi blu aperti, confusi e terrorizzati, udiva le sue parole prive di senso, deliranti e sentiva la presa attorno al suo palmo debole, come quella di un moribondo.
Ma Merlin era vivo.
Era vivo, per chissà quale grazia concessagli dal cielo.
Per fortuna, avevano chiamato i soccorsi ancor prima di raggiungere il vecchio granaio, altrimenti...
Non voleva immaginare cosa sarebbe potuto accadere, se non fossero intervenuti tempestivamente. Aveva ingerito molta acqua, stando a quel poco che aveva compreso, con la scarsa lucidità rimastagli e le vie respiratorie erano occluse dal liquido. Aveva seriamente rischiato di affogare, in un modo terribile.
Chiunque gli avesse fatto una cosa simile, l’avrebbe pagata. Ma ora, la sola cosa a cui voleva pensare, era il fagotto bagnato e impaurito davanti a lui.
-Va tutto bene...sei al sicuro- continuava a ripetere, come una cantilena, con il cuore che risaliva in gola ogni volta che vedeva il suo esile corpo scosso dai brividi. Di freddo? Di paura? Non lo sapeva con esattezza, ma era come se provasse esattamente le stesse cose.
Lo avevano caricato con una rapidità inaudita sulla barella, per portarlo in ospedale, d’urgenza, così da effettuare tutti gli accertamenti del caso.
-...thur... Ar...- Merlin farfugliava, sbattendo i denti per il freddo che lo attanagliava.
Il biondo passò una mano sui suoi capelli, in una carezza rassicurante.
Erano entrambi sotto shock.
 
-Arthur!- Hunith si era precipitata nel reparto di rianimazione, insieme a Belinor. Freya era già sul posto: lei e Gwaine erano arrivati per primi ed erano rimasti tutto il tempo con Arthur.
La ragazza corse incontro alla madre, stringendola con disperazione, tra le lacrime.
-Che cos’è successo? Dov’è Merlin?-
-Lo stanno visitando- rispose il viceispettore, piatto. Sentiva la bocca impastata, ma si sforzò di proseguire. –Il dottore non ci ha ancora detto nulla-
Hunith si voltò verso l’ispettore, agitata e confusa. Non riusciva a capire. Come poteva essere accaduto? Perché l’assassino di Will se l’era presa anche con suo figlio? Ma sembrava che anche il poliziotto non fosse in grado di risponderle, in quel momento.
Improvvisamente, la porta si aprì, permettendo agli ansiosi presenti di fissare l’uomo in camice bianco. Arthur non aspettò nemmeno che quest’ultimo prendesse parola: lo superò fulmineo, allontanando in malo modo la sua presa quando il medico tentò di fermare la sua avanzata.
-Non può entrare, deve...-
-So perfettamente che deve riposare, grazie- sbuffò, sottolineando quell’ultima parola con un tono particolarmente aspro. –Quello che non so, è chi l’ha ridotto così! Quindi, se non le spiace, faccia il suo lavoro e parli con i genitori, mentre io faccio il mio, sbattendo in galera quel pezzo di...-
-Ohi, ohi...piano, ispettore!- lo ammonì il collega.
Il biondo alzò gli occhi al cielo e chiuse la porta alle proprie spalle, sotto lo sguardo attonito del povero medico, che però sembrò riprendersi quando Hunith prese le difese dell’ispettore. Sapeva quanto Arthur fosse importante per il suo bambino. Vederlo lo avrebbe certamente fatto sentire al sicuro, più di qualunque altra cosa. Comunque, gli domandò quali fossero le condizioni di Merlin, per distrarlo.
-Il ragazzo è sotto shock, probabilmente gli ci vorrà un po’ di tempo, prima di ristabilirsi completamente. È ancora molto indebolito dall’arresto cardiaco e le vie respiratorie non sono ancora completamente libere. Dovremo tenerlo sotto controllo per un po’, i polmoni si sono indeboliti e...-
Il medico si rese conto solo in quel momento che la signora e il suo consorte, così come la figlia e il viceispettore, lo guardavano ammutoliti e sconvolti, come se avesse appena detto che il paziente sarebbe morto da un momento all’altro. Si schiarì la voce, rassicurandoli velocemente.
-Ma credo di poter affermare che il peggio è passato-
Un sospiro di sollievo collettivo si levò nell’aria.
 
L’ispettore uscì dalla camera di Merlin alcuni minuti dopo. Lo sguardo stravolto, ma vagamente più tranquillo, sapendo che il moro era fuori pericolo e, soprattutto, lontano dalle grinfie di quell’essere.
Cercò gli occhi di Gwaine, il suo sguardo non ammetteva repliche o tentennamenti.
-Orkney. Voglio che convochi in commissariato mia sorella Morgana e Aridian Witcher. Pregherei anche voi di seguirmi, signori Emrys.-
Hunith sembrò perplessa, ma acconsentì.
-Freya, tu rimani pure qui con tuo fratello- Arthur si sforzò di sorriderle e la giovane annuì, in una muta risposta.
 
-Tutto bene?-
L’ispettore guardò il castano, esausto per quella lunga, orribile giornata.
Erano soli, in macchina, davanti al distretto di Guilford e stavano aspettando i signori Emrys; Gwaine aveva appena salutato Morgana, la prima della lista ad essere stata contattata per quella improvvisa riunione voluta da Arthur. Non riusciva a capire le intenzioni del suo superiore.
Il biondo si limitò ad annuire.
-So chi è il colpevole e per ricostruire i fatti, vorrei che fossero tutti presenti. Ma ho bisogno di chiederti un altro favore... Vorrei che convocassi anche il signor Hunter e che chiedessi alla signorina Lot di fare alcune analisi per me. Deve portarle in commissariato il prima possibile.-
Il poliziotto lo scrutò curioso, attendendo indicazioni con impazienza: chissà cosa aveva in mente Arthur. Forse, Merlin gli aveva rivelato qualche importante dettaglio?
 
Ormai erano arrivati tutti: Belinor e Hunith Emrys, Morgana le Fay (accompagnata da Elyan), Morgause Lot, Aridian Witcher e Halig Hunter, l’ultima persona contattata dal viceispettore.
Qualcuno bussò alla porta e Arthur invitò Lancelot e Perceval a entrare: anche il loro contributo si sarebbe rivelato fondamentale.
-Si può sapere per quale motivo ci hai radunati qui?- Morgana era a dir poco stizzita: non riusciva a comprendere per quale ragione dovesse presenziare anche lei. Nemmeno il dover rivedere la rivale, le andava molto a genio.
-Ti chiedo solo un po’ di pazienza, sorellina. Perché vedi, tra le altre cose, sono riuscito a risolvere anche il mistero del caso “Priscilla”- sorrise Arthur, sicuro di sé.
La giovane restò ammutolita per quell’improvvisa rivelazione e il suo stupore raggiunse l’apice quando anche il commissario Uther Pendragon entrò nella stanza, euforico.
-Allora è vero! Hai trovato il colpevole!- esultò, pregustando il momento in cui l’autore di quei crimini sarebbe finito in cella.
-Ora vi dirò come sono andate le cose...- Arthur annuì, solenne.
Il silenzio calò prepotente nella stanza. Nessuno osava fiatare e tutti attendevano con impazienza che ogni mistero venisse svelato.

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Capitolo 9
*** Giù le maschere, signori! ***



Siamo infine giunti al termine della prima serie ç_ç Sono commossa. Ma in realtà, non è finito proprio nulla . Vi aspetto prossimamente, con un piccolo regalino per avermi seguita fin'ora, così numerosi/e! A presto! ^_^


41 di sangue


Capitolo 8:
Giù le maschere, signori!

 

-Vediamo...- l’ispettore Pendragon si schiarì la gola. –Sapete, il problema principale di queste due indagini, è che abbiamo immediatamente pensato che ci fosse un collegamento e che la vittima avesse scoperto qualcosa riguardo all’incidente avvenuto all’EDR. Poi, però, il dubbio è sorto spontaneo: che fosse una vendetta ai danni dei signori Emrys? Dopo quello che Hunith mi ha raccontato, mi ero quasi convinto che fosse così. Ma in seguito, mi sono dovuto ricredere-
-Che intendi dire? Pensavo che a tagliare le cinghie del mio cavallo fosse stata la stessa persona che ha ucciso Will e cercato di fare lo stesso al povero Merlin- sussultò la mora, confusa.
Arthur sbirciò in direzione del colpevole, sorprendendolo mentre cercava di trattenere un sussulto di tensione. Sapere che la vittima designata era ancora viva, doveva essere stato un duro colpo, per lui.
-Ripeto, all’inizio abbiamo pensato la stessa cosa. Anche se, a dirla tutta, in parte, la colpa è del killer. Comunque, grazie a un’accurata analisi delle prove, abbiamo scoperto che a commettere un simile gesto...- Arthur alzò il dito contro la persona incriminata. –Sei stata tu!-
Morgause sbuffò, risentita.
-Insomma, ancora con questa storia?-
-Non preoccuparti. Sappiamo bene per quale ragione l’hai fatto. Volevi salvare Morgana-
La ragazza sgranò gli occhi. Allora quel biondino dalla faccia idiota aveva davvero capito tutto.
Le espressioni confuse di tutti, lo convinsero a proseguire con la spiegazione.
-Il giorno delle selezioni per i campionati regionali all’EDR, dopo che Morgana e Belinor si erano occupati di sellare il cavallo ed altri preparativi di varia natura, hai atteso che uscissero dai box, perché avevi notato dei movimenti sospetti. So per certo che avevi visto qualcosa di anomalo, ti spiacerebbe dirci com’è andata?-
La bionda si arrese all’evidenza.
-Beh...prima della gara volevo incontrare Morgana. Forse sembrerà strano, ma desideravo augurarle buona fortuna-
-Come? Facendomi cadere durante la gara?- la mora era a dir poco scettica.
-Certo che no! Ma se fossi stata squalificata per la caduta, nessuno si sarebbe accorto che Priscilla era stata dopata!-
-Ma di che diamine parli?- Morgana era a dir poco furente per quelle illazioni.
-Qualcuno è entrato di nascosto, dopo che ve ne siete andati. L’ho visto dare qualcosa a Priscilla, con una siringa in mano. Non sono una stupida. Ho capito immediatamente che, per qualche motivo desiderava che tu venissi squalificata. Ma se avessero eseguito i test, avrebbero incolpato te, o Belinor. Non potevo permetterlo. Nonostante le incomprensioni, ti considero ancora la mia più grande rivale. Solo...non pensavo che ti saresti slogata la caviglia. Mi dispiace molto.-
La figliastra del commissario boccheggiò, sconvolta.
-Ma chi era, Morgause?-
La bionda, sul punto di risponderle, venne bloccata dall’ispettore, che scosse convinto la testa.
-Non ancora. Prima vorrei proseguire con le spiegazioni, se non vi spiace. A differenza di quanto aveva inizialmente ipotizzato il commissario...- riprese, lanciando un’occhiata allusiva al padre, che ricambiò insospettito –il nostro, caro colpevole non era affatto uno sprovveduto. Al contrario, conosceva bene il centro ippico di Wildwoods e le persone che vi lavoravano, così come il loro passato. Per questo, è riuscito ad organizzarsi così bene, convincendoci per un momento che il suo scopo fosse quello di vendicarsi per la morte dei signori Greller. In realtà, stava pianificando di uccidere il suo obiettivo da mesi. Aveva calcolato ogni cosa: la squalifica di Morgana e la presunta malattia di Kilgarrah erano solamente dei diversivi. Mi sto forse sbagliando, signor Hunter?-
L’uomo, accorgendosi di essere al centro dell’attenzione, alzò le spalle con noncuranza.
-Non capisco di cosa stiate parlando. Per quale ragione avrei dovuto uccidere Will? Lo conoscevo appena. E poi, come avrei fatto a dopare Priscilla?-
-Bene, ora mi spiego. Il commissario Pendragon, avrà anche commesso un errore nel pensare che Merlin fosse il responsabile della morte di Will. Ma aveva ragione sul messaggio lasciato dalla vittima: William voleva scrivere proprio il nome del suo migliore amico e questo perché lo voleva proteggere!-
-Ma se davvero era questo il suo obiettivo, perché ha cercato di scrivere il suo nome? Era ovvio che la polizia avrebbe collegato le sue lettere al colpevole!- la domanda di Hunith sorse spontanea.
-Questo perché Will non voleva fornirci il nome del colpevole, ma la persona che l’assassino aveva programmato di uccidere. -
Il silenzio calò nell’ufficio di Arthur.
- Signor Halig, qualcuno deve averle raccontato il passato dei signori Emrys e lei, che già progettava di uccidere loro figlio, ha ben pensato di approfittarne, coinvolgendo anche il signor Witcher.- Arthur si rivolse quindi al veterinario, ora assediato dagli sguardi furenti di Hunith e Belinor. –Ha fornito una fiala di apomorfina al signor Hunter, certo che nessuno l’avrebbe mai scoperta. Infatti, il furto avvenuto l’altra mattina, ai danni della signorina Morgause, era studiato appositamente per ottenere le chiavi dell’ambulatorio, così da far ricadere i sospetti sul ladro improvvisato. Quando Gwaine le ha chiesto se mancasse qualcosa dal suo studio, lei sapeva già che non avrebbe trovato quella sostanza dopante.-
-Sono solo supposizioni!- si lamentò Aridian. –Non avete uno straccio di prova!-
-Allora perché non ha avvertito i signori Emrys delle condizioni di Kilgarrah? Perché lei sapeva, che gli veniva puntualmente somministrato del cioccolato. O sbaglio?-
-No! No, io non me ne sono mai accorto!- assicurò.
-Come può non essersene reso conto? Lei è il migliore veterinario della città! E sono certa che abbia seguito la prassi, con dei prelievi e tutto il resto.- lo riprese Morgause.
-No, no! Non ne so nulla!- l’uomo continuava a negare.
-È inutile, signor Witcher.- Gwaine prese parola. –Ho già chiesto alla signorina Lot, la sua tirocinante, di effettuare le analisi in laboratorio e lei è stata così gentile da fornirci I risultati. Diamine, ci credo che quel cavallo era agitato! Chissà per quanto tempo lo avete rimpinzato di schifezze!-
Aridian boccheggiò, senza riuscire a ribattere.
-Come hai potuto aiutarlo? Aridian, mi fidavo di te! Mio figlio ha rischiato di morire, per colpa tua! E Will...oh, povero Will!- Hunith scoppiò in lacrime, incredula.
-E va bene, lo ammetto! Sapevo delle condizioni di quel cavallo. Ma non avevo la più pallida idea che sarebbe morto qualcuno! Mi hanno raggirato!- si difese l’uomo, facendo sbuffare sonoramente il commissario.
- Per favore! Portalo via!- ordinò a Perceval, alzando gli occhi al cielo.
Il ragazzo annuì solenne, trascinando via un avvilito veterinario.
-Bene. Direi che ora possiamo tornare a lei, signor Hunter- riprese il giovane Pendragon. –Questi tiri mancini erano tesi solamente a depistarci e indurre la polizia a pensare che qualcuno volesse screditare Wildwoods. Avremmo tutti pensato che Merlin fosse stato ucciso per vendetta e avremmo ricollegato l’accaduto alla morte dei Greller, indagando su quelle vicende e accusando, di conseguenza, il signor Aridian, che aveva lavorato per loro. Invece, per sua sfortuna, qualcuno ha scoperto la verità e lei è stato costretto ad uccidere William Grant. Di certo, avrà prima cercato di persuaderlo. Se avesse collaborato, come aveva fatto il signor Witcher, sarebbe stato molto più semplice e, soprattutto, non avrebbe attirato in quel modo l’attenzione della polizia. Purtroppo per lei, Will era un vero amico ed ha preferito morire atrocemente, piuttosto che tradire Merlin.-
-Ma lei aveva previsto anche questo- intervenne Lancelot, senza lasciare all’uomo la possibilità di spiegare. –Infatti, aveva predisposto tutto, nel caso in cui Will non avesse accettato. Aveva indossato delle scarpe che non le appartenevano, rubandole dalla scarpiera dei signori Emrys e le ha indossate. Inoltre, sapeva che quel giorno Will avrebbe aiutato i proprietari a rimestare il foraggio da essiccare e ha atteso che Hunith tornasse a casa, per preparare la cena. Ha colpito Will, con il forcone da lei abbandonato, lo ha lasciato esanime sulla strada e poi è andato al granaio.
-Progettava l’omicidio di Merlin da molto tempo, di sicuro aveva già lasciato lì dei vestiti di ricambio e il necessario per sbarazzarsi delle prove. Ha raccolto della legna, bruciato i suoi vestiti e lavato le scarpe. Sapeva che le avrebbero esaminate col luminol, ma non saremmo risaliti a lei, poiché il suo piede era più grande. Beh, le è andata male, perché Gaius, insieme alla scientifica ha svolto un ottimo lavoro e se n’è accorto. Senza contare che, nella fretta, ha preso proprio le scarpe di Merlin.-
Arthur annuì.
-Will non poteva saperlo e ha cercato, con le ultime forze, di scrivere “Merlin is in danger”. Ma lei lo ha colpito alla testa, facendogli perdere i sensi e vanificando i suoi sforzi. Ad ogni modo, il nome, unito al numero di scarpe ritrovate sulla scena del crimine, hanno condotto le indagini a una svolta per lei inaspettata: abbiamo arrestato Merlin-
-Ma è stato rilasciato perché incompatibile con la fisionomia dell’assassino, che secondo il referto del medico legale, era una persona robusta. Ovviamente, la cosa avrà fatto piacere anche a lei, visto che le si è ripresentata l’occasione per ucciderlo- concluse per lui il viceispettore Orkney.
Il viso rubicondo dell’omaccione diventò paonazzo per le fragorose risate. Improvvisamente, tornò serio. Gli occhi lampeggiavano, in una muta sfida.
-Tutto ciò che avete detto è estremamente interessante, ma non avete uno straccio di prova! Se, come avete detto, i vestiti e l’arma sono andati distrutti, con cosa pensate di dimostrare queste vostre folli teorie?- sottolineò, canzonatorio.
-Oh, ma Lancelot non ha detto che l’arma è andata distrutta. Non del tutto, almeno- Arthur sorrise trionfante. –Vede, lei si sarà anche liberato del manico in legno, bruciandolo. Ma sapeva di non potersi sbarazzare tanto facilmente della forca in acciaio. Quindi l’ha sotterrata, vicino al granaio. Non è forse così, Gwaine?-
-La pioggia ha riportato in superficie l’attaccatura, sulla quale sono inciampato poche ore fa. La scientifica la sta già esaminando, sono certo che troveranno tracce di sangue con il DNA di Will. E forse, anche delle impronte digitali.- il viceispettore sfoderò il suo sorriso più irriverente. –A meno che non abbia usato dei guanti come ha supposto Gaius. Ma, anche in quel caso, potremmo avvalerci di altre prove. Per esempio, vorrebbe consegnarci le sue scarpe?-
Halig si aprì in una smorfia scettica.
-Non vedo come potrebbero servirvi le mie scarpe. Se quello che dite è vero, non troverete proprio nulla esaminandole-
-Beh, allora vediamo se comprende in questo modo: l’assassino, dopo aver barbaramente ucciso Will, ha sì lavato le scarpe di Merlin, ma poi ha indossato le proprie. Ed avendo utilizzato una calzatura che gli andava piccola per commettere l’omicidio, ha lasciato che il tallone uscisse dalla suola. Secondo questa ricostruzione, se le mie ipotesi sono corrette, troveremo delle mezzelune di sangue, all’interno delle sue scarpe. Se questo non dovesse bastarle, le fornirò un’altra prova.-
-Sarebbe a dire?- Halig iniziò a sudare freddo.
-Potrebbe scrivere il suo nome, su questo foglio?- lo invitò, porgendogli un pezzo di carta.
L’uomo si avvicinò con riluttanza, scrivendo ciò che l’ispettore gli aveva richiesto. Si rimise in posizione eretta, scrutando il biondo con impazienza.
-Quindi?-
-Quindi, come pensavo, lei è mancino-
-E con questo?-
-Prima di infliggere il colpo mortale a Will, sull’addome, ha stordito Will con una potente botta sul viso, inferta con il manico del forcone. Signor Emrys?-
Il padre di Merlin focalizzò tutta la sua attenzione sul coetaneo del figlio, domandandogli come potesse essergli utile.
-Potrebbe fingere per un momento di essere l’assassino, per cortesia?-
Belinor annuì, incerto. Che aveva in mente l’ispettore?
Vide Lancelot avvicinarsi con una scopa in mano.
-Immagini che l’agente Lake sia la vittima e simuli il colpo sul suo viso-
L’istruttore annuì e alzò la scopa sulla spalla destra come se volesse colpire Lancelot, avvicinandola alla guancia del ragazzo fino a sfiorarlo con il manico.
-Molto bene. Dov’è arrivato il colpo, Lance?-
-Sulla guancia sinistra- rispose prontamente il giovane.
-Questo perché Belinor è solito usare la mano destra. Ma se prendessimo il signor Halig, che è mancino, il bastone sarebbe certamente arrivato a colpire la guancia destra, proprio come è successo a Will!- terminò brillantemente Arthur.
-Forse lo hanno colpito alle spalle!- provò a opporsi l’accusato.
-Non avrebbe senso. Lo avrebbero aggredito con un colpo diretto alla nuca. E anche se così fosse, ricevendo il colpo da dietro, non si sarebbe spaccato il labbro come invece è accaduto- gli fece notare il biondo.
-Ottimo lavoro, figliolo!- si complimentò il commissario.
-No! No, vi state sbagliando! Non ho ucciso io quel ragazzo, dico sul serio!- il signor Hunter iniziò ad agitarsi.
-Lei dimentica una cosa fondamentale, Halig.-
L’uomo bloccò ogni protesta sul nascere, incuriosito da quanto l’ispettore stava per dirgli.
-Anche se non dovessimo trovare lo zaino di Merlin, lui è sopravvissuto. Abbiamo un testimone oculare, quindi non ha possibilità di scampo. Avanti, ci dica la verità-
Hunter sospirò, sconfitto.
-Se solo quell’idiota di Will non mi avesse scoperto...Mi ha minacciato. Io gli avevo offerto la possibilità di salvarsi, dei soldi. Ma quello stronzetto insisteva. Diceva che Merlin era il suo migliore amico, che non mi avrebbe permesso di toccarlo. Che avrebbe chiamato gli sbirri, se non lo avessi lasciato in pace e che lo avrebbe detto a tutti. A quel punto, ho capito che non potevo lasciarlo in vita. Avrebbe rovinato il mio piano perfetto, dopo che avevo faticato tanto a convincere Aridian a collaborare. Non potevo permettere a un moccioso di mandare a monte tutto. Se non mi avesse scoperto, a quest’ora il mio piano...-
-Perché voleva uccidere il figlio degli Emrys?- l’ispettore non era certo di volerlo sapere.
-Io lo odiavo! La donna che amo non ha occhi che per lui! Era una palla al piede! Per questo io...io volevo ucciderlo. Conoscevo le sue fobie, per questo l’ho chiuso in quel bidone, al buio. Volevo che la sua morte fosse terribile, così avrebbe pagato per tutto quello che ho dovuto subire per colpa sua!- fu la risposta furibonda.
Arthur fu costretto a chiamare a raccolta tutta la sua calma per non saltargli addosso e sbranarlo: quell’uomo era certamente pazzo. Come si poteva anche solo pensare di far del male a un ragazzo, a Merlin, per una ragione stupida come quella?
E pensare che se lui e Gwaine fossero arrivati un minuto più tardi, per il moro non ci sarebbe stato più nulla da fare. Era mancato così poco...
Distolse lo sguardo dalla faccia di quel folle: aveva la nausea.
-Portatelo via-
Lancelot e Gwaine si avvicinarono a lui, bloccandogli i polsi con le manette. Lo trascinarono lontano dall’ufficio del giovane Pendragon, prima che quest’ultimo potesse perdere le staffe.
Arthur sperava che quella giornata d’inferno fosse finita e dopo aver riposto il cellulare nella tasca interna del giubbotto, salutò tutti.
-Vado in ospedale a controllare se Merlin si è ripreso-
Hunith e Belinor annuirono, pronti a seguirlo. Purtroppo per loro, il viceispettore Orkney tornò indietro piuttosto agitato.
-Arthur! Hunter ci ha appena riferito che hai commesso un errore nel decifrare il messaggio!-
-Ritrattare ora non gli servirà a nulla. Se vuole, può parlarne con il suo avvocato- sbuffò il biondo, seccato.
-Invece credo che dovresti ascoltare ciò che mi ha riferito. Potrebbe essere una sciocchezza, ma non possiamo ignorarlo, se avesse ragione sarebbe tremendo! A quanto pare, Will aveva scoperto anche un’altra cosa e le lettere da lui lasciate, potrebbero essere riferite a Freya!-
I coniugi Emrys si scambiarono un’occhiata preoccupata.
-Che intende dire, viceispettore?- il commissario si accigliò.
-Il signor Hunter sostiene che la ragazza abbia una doppia personalità e in quel caso, il messaggio potrebbe essere “MP”: Multiple Personality. Non è detto che sia vero, ma se avesse ragione...- il castano non terminò la frase, perché venne bruscamente interrotto dall’ispettore.
-Merlin è da solo con lei!-
Arthur schizzò via, senza aspettare un secondo di più.
 
Quando Merlin si svegliò, riconobbe l’esile figura di Freya accanto alla finestra aperta. Un vento leggero le scompigliava i capelli, facendoli ondeggiare lievemente.
-Sorellina?-
La ragazza si voltò a guardarlo, ma c’era qualcosa di insolito nel suo sorriso, nel suo atteggiamento: si avvicinò al letto sicura, decisa, sorprendendo il moro ancora intontito.
-Sono felice che ti sia ripreso, Merlin. Eravamo tutti molto preoccupati.- disse, prendendo posto sul letto, sedendosi sul bordo.
Lui cercò di sedersi, ma la giovane bloccò i suoi movimenti.
-Sei ancora debole, non affaticarti.-
Improvvisamente, gli eventi recenti investirono la memoria del ragazzo e le conseguenze non tardarono a manifestarsi: gli occhi si riempirono di paura e agitazione, mentre il respiro diveniva difficoltoso.
Freya gli accarezzò i capelli corvini, ancora umidi, scendendo poi sulla guancia pallida e magra.
-Non aver paura, ora sei al sicuro. Il tuo ispettore avrà già arrestato Halig e Aridian, quindi non hai motivo di preoccuparti. Anche se...-
Merlin, confuso e impaurito, cercò nuovamente di alzarsi, di allontanarsi da lei. Ma lei bloccò nuovamente i suoi movimenti, stringendo la mano attorno alla gola e prendendo possesso delle sue labbra.
Il ragazzo restò impietrito per quell’inaspettato gesto. Avvertiva una strana sensazione, come se sua sorella fosse improvvisamente stata posseduta da una presenza maligna. E ne era terrorizzato.
-Freya...ma cosa...?- provò a chiedere, ma era troppo sconvolto per formulare una frase sensata. Restò semplicemente a fissarla, ammutolito, aprendo la bocca e richiudendola subito, come un pesce.
La castana rise di gusto.
-Ho sempre sognato di poterlo fare, Merlin. Io sono sempre stata innamorata di te, ma tu...tu non ti sei mai nemmeno accorto dei miei sentimenti. Mi hai fatto soffrire, Merlin!-
Il moro non riusciva a credere che il volto dolce della sorellina fosse sfigurato da quel ghigno malvagio.
-Tu...tu non sei Freya- provò ad allontanarsi da lei, ma era costretto a letto, troppo debole per reagire in modo efficace.
Le sue parole provocarono una nuova risata sguaiata della ragazza, che tornò a baciarlo con prepotenza.
Cosa stava succedendo a sua sorella? Perché, improvvisamente, agiva in quel modo, strappandogli dei baci non voluti? Era una sensazione orribile: non aveva mai pensato a Freya in quell’ottica, perché l’aveva sempre trattata come se fossero davvero fratelli. E non voleva che qualcosa cambiasse, dannazione! Era tutto perfetto così.
-Ma cosa ti prende, così all’improvviso, Freya? Le cose che hai detto...- Merlin scrutò il viso della giovane, ora completamente diverso. Non la riconosceva più.
-È esattamente come ho detto, fratellino. Io dovrei odiarti, per quello che hai fatto ai miei genitori. Dovrei maledirti, invece ti desidero più di ogni altra cosa. Io non avrò pace, finchè non sarai mio. E se per farlo dovrò uccidere il tuo poliziotto, allora sta certo che andrò fino in fondo- sibilò minacciosa.
Merlin boccheggiò, la gola improvvisamente secca e il torace bruciava in modo pazzesco.
-Tu non sei Freya! Non sei...- le sue proteste si bloccarono sul nascere: la sorella aveva afferrato qualcosa dalla tasca dei jeans scuri, mettendola bene in vista. Una catenina d’argento, con un ciondolo a forma di cuore, in plastica rossa.
-Te lo ricordi, Merlin?- chiese retorica, con voce nostalgica.
Eccome, se lo ricordava. Non riusciva a credere che Freya lo tenesse ancora con sé.
Era un ciondolo che aveva trovato da bambino, più precisamente il giorno in cui aveva incontrato Freya, in una confezione di patatine. Mentre giocava con la piccola, glielo aveva regalato, come pegno per la bellissima principessa da lei interpretata. Si era stupito, quando la bambina gli aveva gettato le braccia al collo, raggiante, ma ne era stato felice. Era certo che, dopo tutto quel tempo, se ne fosse liberata; non immaginava che lo avesse conservato come una reliquia.
-L’ho sempre portato con me, come portafortuna. Questo è il simbolo dell’amore che ci lega-
-No, Freya. Io ti voglio bene, è vero. Ma solo come sorella, non potrà mai esserci qualcosa, tra noi!- il moro era a dir poco sconvolto. Non riusciva in alcun modo a spiegarsi l’improvviso cambiamento della ragazza. Provò a farla ragionare, ma fu tutto inutile. Ricordarle i bei momenti trascorsi insieme, da bambini, non servì a nulla.
-Hai ragione, fratellino. Ne abbiamo passate tante insieme ed era tutto così semplice, quando eravamo dei bambini. Ma non posso continuare a guardare, senza fare nulla. Credo che sparirò, per un po’ di tempo. Così, mentre sarò in viaggio avrai tempo di riflettere meglio sui tuoi sentimenti per me. Ma sappi che se dovessi decidere di restare con quel biondino, non potrò mai perdonarti!-
-Freya...ti prego, ascoltami-
-No, Merlin! Ascoltami tu... Avrei tanto desiderato che le cose restassero così per sempre. Mi dispiace, Merlin. Devo farlo. Non ho altra scelta, capisci?-
Il ventitreenne guardava Freya con aria assente. Gli occhi spenti, la bocca dischiusa in un misero tentativo di dire qualcosa, di fermare quella follia. Ma non ci riuscì. La ragazza che da anni considerava una sorellina, improvvisamente, appariva come una sconosciuta.
In un momento, venne colto dalla consapevolezza che tutto stava per finire. Il suo mondo era stato sconvolto troppo velocemente, crollato a pezzi in pochi secondi.
Incredulo, appena venne colpito dall’oggetto che la giovane teneva in mano, cadde all’indietro, mentre la ragazza spariva dal suo campo visivo, che lentamente si offuscava.
Il respiro mozzato, l’aria si rifiutava di raggiungere i polmoni, nonostante la leggera brezza che gli carezzava il viso. Si sentiva solo, ora più che mai.
Un solo, flebile nome uscì dalle sue labbra, lo stesso che lo aveva tormentato in quei giorni d’inferno.
Il nome di una persona di cui non poteva più fare a meno.
“Arthur”.
 
-...lin...Merlin!-
Il moro riaprì gli occhi, disturbato dalla voce insistente dell’ispettore: era chinato su di lui, con l’espressione più preoccupata che ricordasse di aver mai visto su quel volto da babbeo.
-Arthur? Cos’è successo?- sbatté più volte le palpebre, cercando di richiamare alla memoria gli ultimi eventi. Scacciò immediatamente la discussione avuta con Freya dai propri ricordi, così come i baci che la ragazza gli aveva dato: quella situazione era davvero troppo assurda, probabilmente l’aveva sognata. Si guardò attorno, scrutando ogni angolo della stanza d’ospedale, cercando la sorellina. -Dov’è Freya?-
Il biondo sospirò: l’infermiera alla reception affermava di aver visto la ragazza andarsene pochi minuti prima e i suoi colleghi la stavano già cercando in ogni angolo della città. Ma finchè non si fossero accertati della veridicità delle accuse di Halig, non poteva allarmare Merlin, già provato dalla terribile esperienza.
-Le ho detto di tornare a casa, è rimasta con te tutto il tempo e mi sembrava piuttosto stanca- lo rassicurò, sperando che credesse a quella bugia.
Per sua fortuna, il ragazzo annuì, ancora vagamente intontito. Si riaddormentò quasi subito.
L’ispettore tirò un sospiro di sollievo: non voleva pensare a nulla.
Merlin era sano e salvo e questa era la sola cosa che gli importasse davvero.

 
 


CONTINUA...                  

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Capitolo 10
*** Capitolo Extra: Deleted Scene ***



Vorrei ringraziarvi tutte, per averla letta: ne sono felice!
Bene. Siamo davvero giunti alla fine, stavolta. Almeno per questa serie v.v Ma c'è ancora qualcosa che dovrei dire: esistono due "deleted scene" che ho dovuto appunto tagliare, per ragioni di spazio e non. Il “non” sta per “avevo paura di spingermi oltre con lo slash e avevo mal interpretato le parole della giudice che aveva affermato di non amarlo, ma non che fosse vietato” v.v
Ergo,non avevo inserito la scena sottostante (anche se il mio timore non era affatto fondato XD Non aspettatevi nulla di che, è un trafiletto piuttosto corto...) e ripensandoci, è meglio così: è un regalino, un capitolo extra per tutti/e coloro che hanno letto/commentato/seguito questa fic. Bea, alla fine capirai cosa deve capire il babbeo con la "cena ambigua", promesso! (Post del faccialibro XD)

  La seconda era ambientata in una locanda come quella della prima apparizione di Gwaine. Ma è davvero troppo bella e sarebbe un peccato non usarla. Credo che la conserverò per il futuro, anche perchè quando l'ho scritta ero sulla nave del ritorno dalla Sardegna, con il mio migliore amico, che mi aveva dato dei suggerimenti. Rappresenta un bel ricordo e ci siamo divertiti tantissimo a scriverla (alle tre di notte. Mentre l'inserviente della nave passava lo straccio sul corrimano delle scale, proprio davanti alla vetrata dei nostri tavolini. XD A un certo punto, alzando lo sguardo mentre scrivevo, ho beccato, sul bancone del bar con la frutta ecc...un gatto nero, che passeggiava bel bello, in tutta tranquillità! °_° Pensavo di avere le allucinazioni o che per uno strano scherzo divino, il barman si fosse trasmutato, invece era scappato dal trasportino di una donna che ricordava troppo la professoressa Cooman! X°D), anche se forse è un po' spinta XD Ma vabbè, non credo vi scandalizzerete, no?!

Ah! Importantissimo! Pensavo di sviluppare una fic parallela a 41, nella sezione del Cast (un capitolo per ogni storia della serie), ambientata in un ipotetico Comic-con. Ma non riesco a trovare/ricordare il nome della solita intervistatrice bionda del Cast di Merlin. Qualche anima pia potrebbe illuminarmi sul suo nominativo? XD

 


41 di sangue



Le fobie del ragazzo di Wildwoods - Missing Moments

 

-Aspetta un momento, Arthur...-
Il biondo farfugliò delle proteste incomprensibili, ma l’altro gli tappò la bocca, annusando l’aria e storcendo il naso.
-Non senti uno strano odore? Come se...sì, come se stesse bruciando qualcosa-
Senza sapere bene come, l’ispettore tornò in sé. Effettivamente, Merlin aveva ragione. Ma cosa poteva mai essere quella puzza terribile?
Improvvisamente impallidì. Scattò su come una molla, lanciando imprecazioni e corse fuori dalla stanza, lasciando così il moro piuttosto interdetto.
Lo raggiunse di corsa in cucina, appena in tempo vedere il biondino armeggiare con una padella col manico ormai quasi sciolto, il suo contenuto completamente carbonizzato e un fumo denso e nero che prendeva possesso della sala. Che scempio! Un altro minuto e avrebbe incendiato la casa!
Corse alla finestra per spalancarla, tenendo il naso tappato con una mano e sventolando l’altro braccio per cacciare il più distante possibile quella nube tossica: rischiavano seriamente di morire asfissiati, là dentro!  
-Che cos’era in origine?- si volle informare, dopo aver portato a termine la vitale manovra.
-Pasta aglio e olio...- s’imbronciò Arthur, immaginando perfettamente la reazione dell’altro, che non tardò a manifestarsi: Merlin cadde al suolo, tenendosi la pancia rischiando seriamente di soffocarsi per le troppe risate.
-Non c’è niente di divertente, Merlin!- tuonò, senza però sortire l’effetto sperato: in fondo, non sarebbe mai riuscito a far valere la sua autorità sul coinquilino. Era un caso senza speranza!
-Sì, invece! Arthur, sei una calamità in cucina!- riuscì ad articolare, tra una risata e l’altra.
L’ispettore sbuffò: non c’era modo di rimediare. Forse però, poteva farla pagare a quell’impertinente.
-Se lo trovi tanto divertente...- con un balzo, gli piombò addosso, immobilizzandolo con una mano ed iniziando a fargli il solletico con l’altra.
Merlin, se possibile, iniziò a ridere ancora più forte, fino alle lacrime, contorcendosi sotto il suo peso e pregandolo di smettere. Quando iniziò a piagnucolare, Arthur smise di torturarlo in quel modo. Ma anziché spostarsi, si chinò ancora di più su di lui, catturando ancora una volta le sue labbra invitanti: per avere la sua rivincita e rimuovere una simile onta per il suo orgoglio...
-Preparati, Merlin...perché mangerò te, per cena!-
 
Il moro spalancò gli occhi confusi, senza capire il riferimento.
Arthur lo guardava con un’intensità che avrebbe potuto scioglierlo, annebbiandogli completamente ogni pensiero, annullandone persino la sagacia.
Si ritrovò a deglutire, a disagio, vittima di un inspiegabile sfarfallio allo stomaco mentre il viso dell’ispettore si avvicinava sempre di più al proprio. Sfiorandogli le labbra in un casto bacio, che ebbe però il potere di farlo tremare impercettibilmente.
La lingua del biondo saggiò nuovamente le sue labbra, morbide e irresistibili che si schiusero in un muto invito.
Fu una questione di secondi e quel bacio dolce si trasformò con la rapidità di una tempesta estiva. Famelico, passionale, bisognoso, affamato...tanto che Arthur si staccò da lui per riprendere fiato, gli occhi lucidi di desiderio.
Gli baciò la tempia sinistra, dolcemente, prima di scendere a torturargli l’orecchio (“assurdo”) con piccoli e provocanti morsi, mentre le sue mani risalivano curiose sui fianchi asciutti del coinquilino.
Merlin non riusciva a pensare ad altro se non alla bocca di Arthur e a tutte le sensazioni che gli stava provocando.
Tante.
Troppe.
Così, quando Arthur si rialzò, tendendogli una mano per aiutarlo a fare lo stesso, il moro restò immobile.
-Merlin...- Arthur sussurrò appena il suo nome, quasi temesse di spaventarlo con la propria voce. Ma bastò a far tornare un minimo di lucidità all’interpellato, che finalmente posò le dita sul palmo del biondo, dandosi anche lo slancio per rimettersi in piedi quando l’ispettore lo tirò a sé.
 
Arthur, vedendo la sua espressione confusa, non riuscì a trattenersi e si avventò nuovamente sulla sua bocca, sentendolo così meravigliosamente arrendevole, per una volta.
-Sembra che abbia finalmente trovato il modo di farti tacere...Merlin- lo stuzzicò.
Ma il moro si limitò a rispondere con un broncio adorabile, arrossendo leggermente per l’insinuazione del compagno, che ridacchiò, scompigliandogli i capelli.
Non era la prima volta che li accarezzava così, ma mai come in quegli ultimi giorni si era ritrovato a desiderare così intensamente di poterli sfiorare di continuo. Non aveva mai pensato a lui così spesso, insistentemente e di sicuro, mai lo aveva guardato sotto quella nuova luce: l’aveva sempre visto come un caro amico, per quanto sincero e leale, ma ora...
Era tutto cambiato, così rapidamente e la sua sola presenza, bastava ad accendere in lui il desiderio di quel corpo.
Gli cinse i fianchi, attirandolo a sé, beandosi del contatto che gli donò il suo torace esile. Indietreggiò, cercando a tentoni la porta della propria camera, senza staccarsi un solo istante dalle labbra dell’altro. Quando furono abbastanza vicini al letto, invertì le posizioni, per sospingere il compagno sul materasso; lo vide cadere all’indietro, come stordito, ma non gli lasciò il tempo di scostarsi.
In un battito di ciglia, il moro si ritrovò di fronte l’ispettore, che riprese la sua tortura di baci e carezze. La nuova vittima ad essere presa di mira, fu il collo niveo dello studente, che ansimò leggermente, sorpreso e sconvolto da simili attenzioni.
Sentiva le mani di Arthur, le sue labbra, quella sua lingua da asino borioso, ovunque. E ad ogni tocco, a ogni carezza e ogni bacio, o morso, o qualunque altra attenzione dedicatagli dal biondo, sentiva il sangue incendiarsi e scorrere a velocità folle sottopelle, donandogli una sensazione indescrivibile.
La maglietta volò a terra, seguita immediatamente da quella di Arthur, poi dai loro jeans.
Fu quando la mano del biondo provò a rimuovere anche l’ultima barriera, che la mano di Merlin si strinse sul suo polso, decisa.
L’ispettore si sollevò leggermente, sentendo il corpo del compagno teso come una corda di violino, abbastanza da poterlo osservare negli occhi.
Merlin abbassò lo sguardo, mettendosi seduto, rannicchiandosi in posizione fetale, con la schiena contro il muro, cercando probabilmente di occupare meno spazio possibile, nonostante l’altezza.
E sembrava così piccolo, in quel momento, che il biondo restò paralizzato. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Si era solo immaginato quell’alchimia che li aveva incendiati fino a un istante prima? No, non lo credeva davvero possibile. Che Merlin ci avesse ripensato?
Il silenzio era opprimente, così il giovane Pendragon si impose di dire qualcosa. Qualunque cosa.
-Merlin, io...-
-Mi dispiace- lo interruppe il moro, curvando ancora di più le spalle, appoggiando la fronte sulle ginocchia così da nascondere il viso in fiamme per l’imbarazzo. –Non ce la faccio, scusami...-
Arthur boccheggiò, incapace di replicare. Non riusciva a crederci: non aveva nessuna esperienza con i ragazzi, ma Merlin gli aveva appena spezzato il cuore. Non riusciva più a vedere il coinquilino come “ragazzo”, ma solo come “Merlin”. Non aveva più importanza il fatto che fossero entrambi maschi, ma il moro non era dello stesso parere. Era questo che lo aveva ferito, più del rifiuto in sé.
Almeno finchè Merlin non riprese a parlare.
-E’ che tu sei il primo e...non lo so, Arthur. Stai correndo troppo, non riesco a starti dietro. Mi sento troppo strano e poi...oh, non lo so! Ho paura di rovinare tutto, credo...- biascicò, in un timido pigolio.
Arthur lo guardò: aveva finalmente rialzato lo sguardo e gli sembrò di annegare in quei pozzi d’oceano spauriti. In quelle iridi colme d’insicurezza, in cui poteva leggere la silenziosa supplica di perdonarlo, come se ce ne fosse davvero bisogno. Occhi che si sgranarono, appena l’altro gli cinse le spalle, con fare protettivo.
-Merlin sei...un idiota, ecco!-
L’idiota in questione sentiva il cuore battere impazzito, fino a fargli temere di poter provocare un terremoto. E il profumo che lo solleticò, insieme ad una carezza rilassante di Arthur che gli massaggiava la nuca, scompigliandogli i capelli corvini, a dispetto delle parole lo fece sentire al sicuro.
E questa sensazione crebbe, quando il più grande lo invitò a sdraiarsi, permettendo a Merlin di accoccolarsi al suo fianco, avvolgendolo con la coperta subito dopo.
 
Restarono semplicemente così, tutta la notte, scambiandosi baci ora dolci, ora focosi.
Ma il biondo non tentò in alcun modo di forzarlo oltre. E di questo, Merlin gliene fu immensamente grato.
Le prime luci dell’alba li sorpresero finalmente addormentati e ancora stretti l’uno all’altro.

 

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