Tell me a story into that goodnight. di DK in a Madow (/viewuser.php?uid=152458)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I got a really bad disease, now. ***
Capitolo 2: *** For what will divide us? ***
Capitolo 3: *** I lost everything in the fire, so I send all my love to you. ***
Capitolo 4: *** Little girl, inside your reastless soul your heart is dying. ***
Capitolo 5: *** They burned my dream into the ground. ***
Capitolo 1 *** I got a really bad disease, now. ***
I got a really bad disease, now.
Sento che potrei vomitare il cuore
da un momento all'altro.
Non so dove mi trovo. Non so come mi chiamo.
So soltanto d'esser completamente sola.
Mi hanno insegnato che se qualcuno sta male bisogna soccorrerlo, dargli
aiuto, sollevargli la testa e farlo respirare o chiamare con urgenza
un'ambulanza.
E invece??
Io sono sola, ho questo cuore a pezzi, in cerca di una cura.
L'insicurezza ha preso il possesso di ogni mia cellula e liberarmene
sembra impossibile. Il dolore che sento è talmente forte che
quasi ne ho dimenticato il motivo.
Sollevo leggermente la testa, gli occhi nascosti dietro un velo di
lacrime.
Christian è andato via.
Per me è come se fosse già morto, soffocato nella
fabbrica di morte per eccellenza.
"Vado in guerra", ha detto.
Lo diceva da tempo che un giorno sarebbe andato al fronte, a macellarsi
i piedi nel fango della trincea e il cuore nel sangue dei compagni
morti.
Ormai è partito e io non ho avuto il cuore per salutarlo in
stazione; magari non mi perdonerà mai di avergli negato
l'ultimo gesto d'amore, ma di certo non capirà mai quanto mi
sarebbe costato sostenere il suo sguardo nostalgico supplicarmi un
addio.
Lentamente mi guardo intorno, facendo ruotare le orbite gonfie di
pianto nel cranio svuotato dalla stanchezza.
Sono in camera mia, già. Devo essermi addormentata sul
pavimento, rannicchiata attorno al mio stesso ventre. Guardo la sveglia
sul comodino. Segna le sette del pomeriggio; Christian avrà
già preso l'aereo che da New York l'avrebbe portato in
Afghanistan.
Sollevo lentamente un braccio appoggiandomi al letto alla mia sinistra,
cercando di mantenermi sulle ginocchia. Abbandono il mio peso sul
materasso e gli occhi si soffermano su una cornice di legno sul
comodino, quella che Christian mi aveva regalato un mese fa per San
Valentino. Il suo volto sorrideva raggiante nella foto che lui stesso
aveva messo in quella cornice. C'ero anche io in quello scatto.
Stranamente non facevo schifo, mi piaceva quella foto. Avevo pianto di
felicità quando me la regalò. Il ricordo mi ha
fatto risalire le lacrime e con la disperazione che mi attraversa i
polsi, tiro un pugno in quel quadro che ormai è un monumento
alla memoria di un amore morto sotto le bombe.
"Addio Christian"
Avrei dovuto dirglielo.
E invece sono qui, sepolta in un letto, con il cuore a pezzi e fissando
il soffitto cerco tra mattoni e vernice una cura a tutto questo.
Non è la storia finita a farmi del male, ma il ricordo che
ne porto dentro e finalmente realizzo che l'unico modo per guarire
sarebbe perdere la memoria. Potrei esultare se riuscissi a dimenticare
e invece trattengo con le mani un mal di testa incalzante, una specie
di ulcera sanguinante nel cervello.
Impotente.
Eppure ho sempre reagito di fronte a qualunque situazione, ma di fronte
all'addio di Christian il coraggio è venuto meno e solo il
Signore, che non ho mai pregato, sa quante strade ho cercato per
scappare, per nascondermi. E ci sono riuscita.
Ma il prezzo è stato caro; il prezzo era Christian.
"Addio Christian, io sono malata. E se tu sapessi che cosa ho
saresti sorpreso. D'amore e vigliaccheria non si guarisce. E purtroppo
ne sono malata."
Sono impalata nel mio letto, afflitta. Il dolore che mi consuma. In
questo momento sono il peggior pericolo per me stessa.
Non conosco il mio nemico e il mio nemico sono io.
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Capitolo 2 *** For what will divide us? ***
For what will divide us?
Polvere.
Da giorni non vedo altro. Panorami
monotoni si aprono di fronte a me, gli occhi abbagliati dal sole del
deserto. La distruzione si realizza giorno per giorno; sangue, piscio,
sudore. Morte. Questa è la guerra. Una discarica di anime e
una boutique dell’odio. Tra tutte queste cose che riempiono
quelle che un tempo chiamavo le mie “giornate”,
l’unico modo per vincere la morte è continuare a
vivere nei miei pensieri.
Sono esattamente tre mesi, due settimane e un giorno che sono lontano
da casa, disperso in una terra dimenticata da Dio. Già, Dio.
Dov’è Dio? Per caso si è trasferito?
E’ andato in vacanza? Ha smesso di prendere appuntamenti con
i fedeli che gli chiedono di porre fine a quest’inferno?
Già, il mio inferno. Ho il fuoco nelle vene. Si, mi sento un
demone e nonostante io stia soffrendo, sono in uno stato di grazia che
mi permette di riflettere sulla vita, l’amore, la morte.
Tutto ciò diventa immensamente importante quando la tua
esistenza è in bilico tra un respiro e una pallottola.
Penso sempre, specialmente quando mi trovo nel capannone che da mesi
è diventato il nostro punto di ristoro, una mensa che ti
serve brodaglie insipide e pane raffermo e un dormitorio che puzza di
muffa. Ma nella morte e nella distruzione, questa è
diventata la nostra casa. In questi giorni avrei anche ingoiato il
piombo se necessario. Guerra e fame ti lacerano talmente infondo che
per assurdo la cosa più importante che senti nascere dentro
di te è la voglia di vivere.
-“John!
Posta!”
-“Arrivo!!! Da
parte di chi??”
-“Ma dalla tua
“piccola”, e chi dovrebbe essere?? Cristo, ti
scrive ogni santo giorno”
-“Dai qui
coglione!”; John sta sorridendo, il compiacimento sul viso
mentre prende posto alla mia destra.
-“Buongiorno
Christian!”; l’omone che ha portato la posta sta
gracchiando il mio nome.
-“
‘Giorno Fred!”; riesco a malapena ad aprir bocca.
-“Quando
avrò l’onore di darti una lettera?? Possibile che
tutti si siano scordati di te?”; a Fred piace scherzare, per
questo non mi offendo.
-“Beh, amico,
esiste un aggeggio chiamato ‘cellulare’, hai
presente??”
-“Giusto! Beh,
buon appetito allora!”
-“Anche a
te!”
Fred si lascia cadere
pesantemente sulla sedia alla mia sinistra, addentando una mela e
imprecando perché tardavano a servire la cena.
Già, nessuno mi scriveva. Soprattutto, da quando sono
arrivato qui, non avevo notizie di Gloria. Non una lettera, non un
messaggio. Nulla.
Gloria. Nei momenti in cui la stanchezza inizia a farsi sentire, credo
di vederla nel deserto ed è come vedere la salvezza sul
punto di morte. I suoi occhi neri bruciano all’orizzonte,
più forti del sole, più neri della notte. Si, la
notte. Il tocco delle sue mani e delle sue labbra sono sogni frequenti,
destinati a rimanere tali; ormai Gloria non c’è.
Non l’avrei ritrovata al mio ritorno così come non
la vidi un’ultima volta prima di partire. Non sarebbe venuta
a cercarmi e io non l’avrei mai ritrovata, nascosta
chissà dove.
Gloria, la mia Gloria. La più dolce, la più
coraggiosa. Lei che significa tutto per me, lei che ho perso per
combattere nel deserto.
Forse avrei dovuto pensarci, forse avrei dovuto considerare cosa fosse
davvero fondamentale per me.
-“Mangia che si
fredda”
Fred mi sta ridestando
bruscamente dai miei pensieri e senza accorgermene mi ritrovo in piedi.
-“Non ho fame,
devo andare”
Ormai mancano poche
settimane al mio ritorno e non posso viverle nella sconfitta,
consapevole che non ho fatto nulla per tenermi stretta la mia Gloria.
Un pugno alla porta del dormitorio e inizio a rovistare nella mia
valigia finché non trovo una penna e un quaderno dove da
tempo annotavo i miei giorni al fronte. Strappo un foglio, mi siedo sul
letto e con le parole ben chiare in mente, inizio a scrivere una
lettera per Gloria.
La mia Gloria.
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Capitolo 3 *** I lost everything in the fire, so I send all my love to you. ***
I lost everything in the fire,
so I send all my love to you.
02.07.2007
Gloria,
A
scriverti è
un uomo che abita all’inferno.
Si, perché qui tutto brucia. Il deserto, il sole, la puzza
di benzina e i colpi
di cannone. In guerra, ogni cosa porta in sé il fuoco della
distruzione, ma
niente ha potuto sui ricordi. Quelli bruciano come allucinazioni,
proprio
davanti ai miei occhi.
Gloria, non c’è giorno in cui non rivolga i miei
pensieri a te e non c’è notte
in cui i miei sogni siano privi del tuo sorriso, della tua voce, del
tuo
abbraccio. La luna qui splende del tuo riflesso ogni sera e tutto
ciò mi fa
marcire dentro, perché non dovrei vivere del tuo riflesso,
ma della tua
presenza. Perché a sfiorarti il viso dovrei esserci io e non
il tuo cuscino
che, ne sono sicuro, stringi forte durante la notte perché
non puoi stringere
me.
Miglia e miglia ci separano e, credimi, potrei percorrerle a piedi se
sapessi
di trovarti alla fine del mio viaggio. Eppure so che non è
abbastanza, so che
dovrei essere lì, di fianco a te, e non nascosto dietro un
foglio di carta e
qualche goccia d’inchiostro.
Gloria, la mia vita è un inferno! Assaggio ogni giorno la
morte con la punta
delle dita mentre stringo il fucile, mentre combatto per questa madre
America
che ci ha lasciati orfani. Ho perso tutto qui, il fuoco ha devastato
ogni
sorriso, ogni carezza, persino le lacrime non arrivano agli occhi.
Se sono qui a scriverti, Gloria, è per onorarti,
perché se la morte non mi ha
ancora trovato è perché il cuore l’ho
lasciato in mano a te.
Hey Gloria, mi manchi e so che la guerra che hanno iniziato, per me sta
per
finire. Abbandonerò il fronte tra non più di tre
settimane. Gloria, la lotta
per le nostre vite qui al fronte ha segnato il nostro amore immortale,
ma non
l’ha lacerato.
Io sono qui, ancora per una notte sono su questa terra. Non so se
sarà
l’ultima, ma nel caso lo fosse, voglio che tu sappia che sono
morto col tuo
viso negli occhi e nei ricordi e che al mondo non esiste una morte
più dolce di
questa.
Detto questo, ti chiedo solo di recitare le tue preghiere e di
accendere il
fuoco che porti nel cuore mentre lo fai. Prega per me, Gloria.
Non
lasciare
andare via il tuo splendore nella mia ultima notte sulla terra.
Ti
amo.
Christian.
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Capitolo 4 *** Little girl, inside your reastless soul your heart is dying. ***
Little girl, inside your
reastless soul your heart is dying.
Brividi.
Le mani affondate nel gelo
nonostante il caldo
infernale che luglio aveva portato con sè. A malapena i miei
pensieri
riuscivano a delinearsi.
-"Christian"; il suo nome in un
soffio
d'aria.
Respirare sembrava la cosa
più difficile e al contempo
più dolorosa da fare. Immobile, ecco la parola giusta! Il
mio corpo, l'aria
intorno a me, le nuvole che attraversavano il cielo della California;
tutto
ricordava un film in bianco e nero messo in pausa. Mi obbligai a
respirare e
lentamente realizzai cosa accadeva.
Solo tre mesi e mezzo fa Christian aveva lasciato il vuoto dietro di
sè
partendo per andare in guerra. Ora, tra le mani, stringevo un pezzo di
carta
che lui stesso aveva scritto. Una lettera, l'inchiostro sbavato.
Piangeva.
Piangeva mentre confessava le sue paure, raccontava i giorni di guerra,
svelava
le sue speranze. Gli mancavo e anche se non l'avesse scritto
esplicitamente
l'avrei capito. Ogni sua parola era carica di nostalgia, di dolore,
d'amore.
Mi amava ancora e, non so perchè, ne rimasi sorpresa. Ero
certa che niente era
così importante per impedirgli di andare al fronte, niente
era così sicuro e
prezioso per convincerlo a restare. Nemmeno io.
Mi sbagliavo.
Eppure qualcosa non quadrava; l'annuncio del suo ritorno avrebbe dovuto
farmi
gioire. Eppure non ne ero capace. Le sue parole avevano un retrogusto
amaro.
"Prega per me, Gloria". Quelle parole bruciavano
come se il
mio cuore l'avessero marchiato a fuoco. In effetti mi sentivo un
animale da
macello, anche se colui che rischiava di doversi sacrificare era
Christian. Ma
nella più orrenda delle ipotesi, colei che avrebbe avuto la
morte nel cuore e
una tomba su cui piangere sarei stata io. Il solo pensiero mi
bagnò gli occhi e
le guance e la bocca si piegò in una smorfia di dolore.
Ero ancora in piedi, ferma davanti alla cassetta delle lettere nel mio
giardino. Mia madre era in casa a preparare il pranzo, mio padre
sarebbe
tornato a momenti dal lavoro. In questo periodo tremendo i miei
genitori mi
erano stati accanto come mai avevano fatto prima. Io avevo abbandonato
gli
amici, avevo concluso l'anno scolastico e per miracolo ero stata
promossa. La
mia vita sarebbe stata fottuta senza di loro.
Abortire un amore non è facile, lascia il freddo in grembo e
il rimpianto nel
cuore; ma grazie a loro avevo recuperato la forza per ricominciare a
sopravvivere. Si, sopravvivere, perchè senza Christian non
potevo dire di
vivere. Ma Christian stava per tornare e solo allora mi accorsi che
quell'amore
che credevo d'aver ucciso, cresceva sano e forte dentro di me.
Le lacrime continuavano a scorrere fuori senza che potessi fermarle,
mentre
sentì mio padre parcheggiare sul vialetto alle mie spalle.
Io rimasi immobile
mentre sentivo i suoi passi avvicinarsi dietro di me, non volevo che mi
vedesse
piangere.
-"Hey Gloria, che ci fai qui?"
"Troppo tardi", pensai, mentre mio padre mi poggiava una mano sulla
spalla.
-"Niente!" risposi, restando di spalle.
-"Ti sento strana", la preoccupazione nella voce.
-"Davvero, non c'è niente!" cercai di rassicurarlo e nascosi
la lettera
nei jeans, prima che mio padre mi facesse girare per guardarlo negli
occhi.
-"Piccola, perchè piangi?"
Il mio debole tentativo di non piangere e nascondere tutto si infranse
appena
incontrai lo splendore dei smeraldi incastonati nel volto di mio padre,
spalancati dalla preoccupazione. Mi si strinse il cuore; non volevo
essere una
preoccupazione per lui. William, sessant'anni di cui quaranta passati
in una
fabbrica a costruire auto, le mani consumate dalla fatica e ricamate
dai calli.
Eppure mio padre aveva il volto della giovinezza, le guance paffute
increspate
da un perenne sorriso, i capelli colorati dalla cenere costantemente
elettrizzati come una specie di criniera. Il tatuaggio del nome di mia
madre
spiccava sul braccio destro, disegnato pochi giorni prima del
matrimonio.
Matrimonio perfetto, tranne me.
-"Papà, C-Christian sta per tornare"
Una sfumatura di tristezza attraversò quegli occhi che avrei
tanto voluto
ereditare, ma che in quel momento si muovevano frenetici, in cerca
probabilmente delle parole giuste da dirmi.
-"Ragazzina, so che dentro alla tua anima irrequieta il tuo cuore sta
morendo. So che in questo momento anche il cielo sta crollando su di
te, ma
devi esser forte, piccola. Sai bene che questa è la tua vita
e devi essere tu a
fare le tue scelte. In ogni caso, io e tua madre ci saremo, sempre e
comunque.
Anche se tutto dovesse volgere al peggio, sai perfettamente che non
c’è nessun
posto migliore di casa tua quando non avrai un posto dove andare! Ti
voglio
bene piccola."
Le parole di mio padre non contribuirono a far smettere la pioggia nei
miei
occhi e l'abbraccio che seguì il suo discorso si strinse
prepotentemente
intorno al cuore. E fu nel calore forte e sicuro di quelle braccia che
trovai
la soluzione alle mie incertezze.
Avrei aspettato, si. Non potevo abbandonare Christian anche questa
volta.
Tra una settimana sarò lì, in quella fottuta
stazione ad aspettare di vederlo
scendere dal treno che lo avrebbe riportato da me. E anche qualora una
tragica
notizia avrebbe impedito il suo ritorno avrei raccolto tutto il
coraggio
possibile per poter pregare per la sua anima.
Io e mio padre tornammo in casa abbracciati ed entrando in cucina
vedemmo mia
madre che fissava la TV con occhi spalancati. Mi ritrovai a tremare, il
peggio
si stava realizzando, ne ero certa. Mia madre volse la testa verso di
me e
fissò il vuoto dei suoi occhi neri nei miei così
identici ai suoi, il fiato
corto.
-"Hanno attaccato la base americana in Afghanistan".
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Capitolo 5 *** They burned my dream into the ground. ***
They burned my dream into the ground.
La
notte è
alle porte.
Sono seduta su uno sgabello del bar della stazione in preda al panico.
E' come
se questo fottuto sgabello fosse fatto di spine. Fuori le stelle non
hanno
abbandonato ol cielo. Sono lì, immobili. Niente e nessuno
potrà staccarle da
quel soffitto infinito.
Ho scolato due birre nel giro di pochi minuti, ma credo che l'ansia
abbia fatto
evaporare ogni traccia di alcool nel mio sangue.
21.25.
L'arrivo del treno che riporta a casa i volontari andati a combattere
in
Afghanistan era previsto per le nove e mezza. Mancavano solo cinque
maledetti
minuti. In parecchi eravamo agitati in quel buco di locale: le
comunicazioni
con l'Afghanistan erano state interrotte dopo l'attacco.
Nessuna telefonata. Non sapevamo se qualcuno fosse morto oppure no.
Nemmeno ai
giornalisti era stato permesso di avvicinarsi alla base e tutte le
informazioni
rimasero segrete. Solo l'esercito americano era a conoscenza della
verità ed
era per questo che avrebbe riaccompagnato i volontari a casa.
-"E' ARRIVATO!!!"
La voce angosciata di una signora che stava indicando l'uscita alla mia
sinistra da cui s'intravedevano i binari e un treno rallentava stridulo
sul
binario tre.
Tutti ci precipitammo fuori, ma io rimasi indietro, sia
perchè le gambe non mi
reggevano più, sia perchè altri erano stati
più veloci di me. Mamma e papà non
erano con me, erano rimasti a casa. Dovevo farcela da sola.
I ragazzi dell'esercito iniziarono ad occupare lo spazio vicino al
binario e
con molta cautela fecero scendere una sedia a rotelle. La signora che
prima
aveva urlato si precipitò sulla carrozzella abbracciando
quello che era suo
figlio.
-"Mamma sto bene, non è niente, tranquilla!" diceva il
ragazzo,
mentre dietro di lui scendevano una decina di ragazzi che riportavano
fratture
e cicatrici. Fu un momento in cui cercai di mettere a fuoco i visi di
quei
ragazzi, ma in quegli occhi e in quelle labbra non trovavo tracce di
Christian.
"Sta bene allora!", era il cuore ad urlarmelo. Velocemente iniziarono
a scendere i ragazzi che stavano bene: chi riabbracciava i figli, chi
da figlio
veniva riabbracciato, chi si buttava tra le braccia della propria amata.
Di Christian nemmeno l'ombra.
La folla iniziò a dileguarsi tra risate e qualche lacrima,
mentre io sentivo il
cuore scendere giù di parecchi centimetri.
Nel giro di pochi minuti mi ritrovai da sola a fissare il treno.
Christian non
c'era!
Fu allora che il mio cuore andò a bruciare all'inferno,
accasciandomi a terra
in preda alla disperazione. Dopo pochi secondi che sembrarono
un'eternità, un
tovvo famigliare si posò sulla mia testa.
-"Hey ragazzina, perchè piangi?"
La voce sembrava sorridere.
Alzai lo sguardo e fu allora che il mondo, il tempo e il mio cuore
ripresero ad
andare avanti col ritmo giusto.
Senza sapere come e per quanto tempo, ci buttammo a capofitto in un
bacio, le
nostre labbra urlavano amore ad ogni movimento, mentre le mie braccia
si
intrecciavano dietro il suo collo e le sue mi cinsero la vita.
Non c'erano più treni.
La guerra era finita.
Il mondo era andato a farsi fottere.
Christian. Gloria.
Nient'altro.
Alla fine del bacio credevo quasi che avrei ritrovato un Christian
invecchiato
davanti a me, perchè tra le sue braccia il tempo sembrava
avesse raddoppiato la
velocità.
E invece no.
Christian era lì, finalmente a casa, consumato dalla
stanchezza, ma bello come
non mai.
-"E' come se ti baciassi per la prima volta, sai?"
-"Si? Io invece ho il cuore in gola" dissi spaesata.
-"Probabilmente il mio entrerà in collisione col tuo!",
sorrise.
Ci rialzammo sorridenti ed uscimmo dalla stazione, ma non appena
arrivati in
strada Christian si fermò e mi attirò a
sè, affinchè lo guardassi in faccia.
-"C'è una cosa che non ti ho mai detto di persona!"
-"Cosa?"
La mia domanda a quanto pare scatenò il cielo. Si!
Perchè all'improvviso il vento iniziò a scuotere
feroce gli alberi circostanti.
i lampioni si spensero e improvvisamente sembrò che il cielo
si fosse
illuminato di una nuova alba. Peccato, però, che il sole
stesse precipitando in
maniera sovrannaturale sopra di noi. Era la fine del mondo, ne ero
certa!
-"GLORIA!!!!"
Christian urlava di fronte a me e come me era in preda al panico.
-"TI AMO, GLORIA!!!"
-"TI AMO ANCHE IO CHRISTIAN!"
E mentre le nostre bocche si fondevano nuovamente, il sole si
frantumò sulla
terra.
-"Ma
che caz..."
Velocemente rifugiai la testa sotto il cuscino, gli occhi abbagliati
dal sole
che entrava dalla finestra. Lentamente cercai di riaprirli e di
abituarli alla
presenza della luce. Riemersi da sotto il cuscino. Nel letto, il posto
di
fianco a me era vuoto. Con la mente nel pallone mi voltai verso il
comodino per
guardare la sveglia.
9.30
-"Cazzo, ma quanto ho dormito? Adie?? ADIE??"
Il silenzio mi rispose.
-"Jake, Joey??"
Niente.
-"Cazzo, ma allora siete usciti tutti."
Mi voltai nuovamente verso la parte vuota del letto. C'era un biglietto
che
riportava la scrittura elegante di Adie.
-Sono uscita presto per comprare qualcosa per il pranzo. Non
ho voluto
svegliarti. Sei troppo bello quando dormi, specialmente quando
farnetichi nei
sogni come questa notte. Dovrai spiegarmi chi sono Christian e Gloria!
-
Col sorriso sulla faccia riposi il biglietto sul comodino.
Christian e Gloria.
-"Ah già. Ecco cosa stavo sognando. Cristo quei due mi hanno
bombardato il
cervello per tutta la notte."
Con la mente svuotata che preannunciava l'arrivo di un mal di testa,
scesi in
cucina per prepararmi un caffè.
Era da mesi che cercavo l'ispirazione per il nuovo album che non aveva
nemmeno
un nome, ma nessuna idea brillante. Solo un
ritornello:
"We are the cries of the class of 13!"
Mentre
canticchiavo quel ritornello sottovoce, le immagini del sogno fatto la
notte
prima si ripresentarono alla mente. Fu allora che trovai la soluzione.
Christian.
Gloria.
The class of 13.
Chi meglio di loro?
L'amore e la guerra. Lacrime, sangue e sorrisi fusi
insieme.
Lasciai perdere il
caffè, più tardi sarei andato
a casa di Trè insieme a Mike.
Anche loro da tempo aspettavano una mia idea e ora che era arrivata, un
caffè
me lo meritavo da parte loro.
Mi buttai sul divano,
presi il blocchetto su cui avevo segnato il
ritornello e
ripresi a scrivere:
"We are the cries of the
class of '13
Born in the era of humility
We are the desperate in the decline
Raised by the bastards of 1969..."
Appena ebbi
finito, rilessi tutto e seppi che mi trovavo di
fronte alla
storia del XXI secolo.
-"Si, bambina, hai
parecchio da raccontare al mondo"
Riposi accuratamente
il blocchetto sul tavolino, la storia di Christian
e
Gloria stampata nella mente. Cinque minuti dopo ero sotto la doccia e,
mentre
ricantavo la canzone che avevo appena scritto, pensai al nome da darle.
Rimasi
nella doccia per qualche minuto ad occhi chiusi, mentre l'acqua e i
pensieri
scorrevano via insieme. Quando riaprì gli occhi, col cuore
che tremava
dall'emozione, poggiai un dito sul box di vetro e in poche, semplici
parole
racchiusi tutto ciò che mi portavo dentro.
"21st CENTURY
BREAKDOWN"
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