Tell me a story into that goodnight.

di DK in a Madow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I got a really bad disease, now. ***
Capitolo 2: *** For what will divide us? ***
Capitolo 3: *** I lost everything in the fire, so I send all my love to you. ***
Capitolo 4: *** Little girl, inside your reastless soul your heart is dying. ***
Capitolo 5: *** They burned my dream into the ground. ***



Capitolo 1
*** I got a really bad disease, now. ***


I got a really bad disease, now.


 

Sento che potrei vomitare il cuore da un momento all'altro.
Non so dove mi trovo. Non so come mi chiamo.
So soltanto d'esser completamente sola.
Mi hanno insegnato che se qualcuno sta male bisogna soccorrerlo, dargli aiuto, sollevargli la testa e farlo respirare o chiamare con urgenza un'ambulanza.
E invece??
Io sono sola, ho questo cuore a pezzi, in cerca di una cura.
L'insicurezza ha preso il possesso di ogni mia cellula e liberarmene sembra impossibile. Il dolore che sento è talmente forte che quasi ne ho dimenticato il motivo.
Sollevo leggermente la testa, gli occhi nascosti dietro un velo di lacrime.
 
Christian è andato via.
Per me è come se fosse già morto, soffocato nella fabbrica di morte per eccellenza.
"Vado in guerra", ha detto.
Lo diceva da tempo che un giorno sarebbe andato al fronte, a macellarsi i piedi nel fango della trincea e il cuore nel sangue dei compagni morti.
Ormai è partito e io non ho avuto il cuore per salutarlo in stazione; magari non mi perdonerà mai di avergli negato l'ultimo gesto d'amore, ma di certo non capirà mai quanto mi sarebbe costato sostenere il suo sguardo nostalgico supplicarmi un addio.
Lentamente mi guardo intorno, facendo ruotare le orbite gonfie di pianto nel cranio svuotato dalla stanchezza.
Sono in camera mia, già. Devo essermi addormentata sul pavimento, rannicchiata attorno al mio stesso ventre. Guardo la sveglia sul comodino. Segna le sette del pomeriggio; Christian avrà già preso l'aereo che da New York l'avrebbe portato in Afghanistan.
Sollevo lentamente un braccio appoggiandomi al letto alla mia sinistra, cercando di mantenermi sulle ginocchia. Abbandono il mio peso sul materasso e gli occhi si soffermano su una cornice di legno sul comodino, quella che Christian mi aveva regalato un mese fa per San Valentino. Il suo volto sorrideva raggiante nella foto che lui stesso aveva messo in quella cornice. C'ero anche io in quello scatto. Stranamente non facevo schifo, mi piaceva quella foto. Avevo pianto di felicità quando me la regalò. Il ricordo mi ha fatto risalire le lacrime e con la disperazione che mi attraversa i polsi, tiro un pugno in quel quadro che ormai è un monumento alla memoria di un amore morto sotto le bombe.
 
"Addio Christian"
Avrei dovuto dirglielo.
E invece sono qui, sepolta in un letto, con il cuore a pezzi e fissando il soffitto cerco tra mattoni e vernice una cura a tutto questo.
Non è la storia finita a farmi del male, ma il ricordo che ne porto dentro e finalmente realizzo che l'unico modo per guarire sarebbe perdere la memoria. Potrei esultare se riuscissi a dimenticare e invece trattengo con le mani un mal di testa incalzante, una specie di ulcera sanguinante nel cervello.
Impotente.
Eppure ho sempre reagito di fronte a qualunque situazione, ma di fronte all'addio di Christian il coraggio è venuto meno e solo il Signore, che non ho mai pregato, sa quante strade ho cercato per scappare, per nascondermi. E ci sono riuscita.
Ma il prezzo è stato caro; il prezzo era Christian.
"Addio Christian, io sono malata. E se tu sapessi che cosa ho saresti sorpreso. D'amore e vigliaccheria non si guarisce. E purtroppo ne sono malata."
Sono impalata nel mio letto, afflitta. Il dolore che mi consuma. In questo momento sono il peggior pericolo per me stessa.
Non conosco il mio nemico e il mio nemico sono io.

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Capitolo 2
*** For what will divide us? ***


For what will divide us?



Polvere.

Da giorni non vedo altro. Panorami monotoni si aprono di fronte a me, gli occhi abbagliati dal sole del deserto. La distruzione si realizza giorno per giorno; sangue, piscio, sudore. Morte. Questa è la guerra. Una discarica di anime e una boutique dell’odio. Tra tutte queste cose che riempiono quelle che un tempo chiamavo le mie “giornate”, l’unico modo per vincere la morte è continuare a vivere nei miei pensieri.
Sono esattamente tre mesi, due settimane e un giorno che sono lontano da casa, disperso in una terra dimenticata da Dio. Già, Dio. Dov’è Dio? Per caso si è trasferito? E’ andato in vacanza? Ha smesso di prendere appuntamenti con i fedeli che gli chiedono di porre fine a quest’inferno? Già, il mio inferno. Ho il fuoco nelle vene. Si, mi sento un demone e nonostante io stia soffrendo, sono in uno stato di grazia che mi permette di riflettere sulla vita, l’amore, la morte. Tutto ciò diventa immensamente importante quando la tua esistenza è in bilico tra un respiro e una pallottola.
Penso sempre, specialmente quando mi trovo nel capannone che da mesi è diventato il nostro punto di ristoro, una mensa che ti serve brodaglie insipide e pane raffermo e un dormitorio che puzza di muffa. Ma nella morte e nella distruzione, questa è diventata la nostra casa. In questi giorni avrei anche ingoiato il piombo se necessario. Guerra e fame ti lacerano talmente infondo che per assurdo la cosa più importante che senti nascere dentro di te è la voglia di vivere.

-“John! Posta!”

-“Arrivo!!! Da parte di chi??”

-“Ma dalla tua “piccola”, e chi dovrebbe essere?? Cristo, ti scrive ogni santo giorno”

-“Dai qui coglione!”; John sta sorridendo, il compiacimento sul viso mentre prende posto alla mia destra.

-“Buongiorno Christian!”; l’omone che ha portato la posta sta gracchiando il mio nome.

-“ ‘Giorno Fred!”; riesco a malapena ad aprir bocca.

-“Quando avrò l’onore di darti una lettera?? Possibile che tutti si siano scordati di te?”; a Fred piace scherzare, per questo non mi offendo.

-“Beh, amico, esiste un aggeggio chiamato ‘cellulare’, hai presente??”

-“Giusto! Beh, buon appetito allora!”

-“Anche a te!”

Fred si lascia cadere pesantemente sulla sedia alla mia sinistra, addentando una mela e imprecando perché tardavano a servire la cena.
Già, nessuno mi scriveva. Soprattutto, da quando sono arrivato qui, non avevo notizie di Gloria. Non una lettera, non un messaggio. Nulla.
Gloria. Nei momenti in cui la stanchezza inizia a farsi sentire, credo di vederla nel deserto ed è come vedere la salvezza sul punto di morte. I suoi occhi neri bruciano all’orizzonte, più forti del sole, più neri della notte. Si, la notte. Il tocco delle sue mani e delle sue labbra sono sogni frequenti, destinati a rimanere tali; ormai Gloria non c’è. Non l’avrei ritrovata al mio ritorno così come non la vidi un’ultima volta prima di partire. Non sarebbe venuta a cercarmi e io non l’avrei mai ritrovata, nascosta chissà dove.
Gloria, la mia Gloria. La più dolce, la più coraggiosa. Lei che significa tutto per me, lei che ho perso per combattere nel deserto.
Forse avrei dovuto pensarci, forse avrei dovuto considerare cosa fosse davvero fondamentale per me.

-“Mangia che si fredda”

Fred mi sta ridestando bruscamente dai miei pensieri e senza accorgermene mi ritrovo in piedi.

-“Non ho fame, devo andare”

Ormai mancano poche settimane al mio ritorno e non posso viverle nella sconfitta, consapevole che non ho fatto nulla per tenermi stretta la mia Gloria.
Un pugno alla porta del dormitorio e inizio a rovistare nella mia valigia finché non trovo una penna e un quaderno dove da tempo annotavo i miei giorni al fronte. Strappo un foglio, mi siedo sul letto e con le parole ben chiare in mente, inizio a scrivere una lettera per Gloria.

La mia Gloria.

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Capitolo 3
*** I lost everything in the fire, so I send all my love to you. ***


I lost everything in the fire, so I send all my love to you.

 

02.07.2007

Gloria,

A scriverti è un uomo che abita all’inferno.
Si, perché qui tutto brucia. Il deserto, il sole, la puzza di benzina e i colpi di cannone. In guerra, ogni cosa porta in sé il fuoco della distruzione, ma niente ha potuto sui ricordi. Quelli bruciano come allucinazioni, proprio davanti ai miei occhi.
Gloria, non c’è giorno in cui non rivolga i miei pensieri a te e non c’è notte in cui i miei sogni siano privi del tuo sorriso, della tua voce, del tuo abbraccio. La luna qui splende del tuo riflesso ogni sera e tutto ciò mi fa marcire dentro, perché non dovrei vivere del tuo riflesso, ma della tua presenza. Perché a sfiorarti il viso dovrei esserci io e non il tuo cuscino che, ne sono sicuro, stringi forte durante la notte perché non puoi stringere me.
Miglia e miglia ci separano e, credimi, potrei percorrerle a piedi se sapessi di trovarti alla fine del mio viaggio. Eppure so che non è abbastanza, so che dovrei essere lì, di fianco a te, e non nascosto dietro un foglio di carta e qualche goccia d’inchiostro.
Gloria, la mia vita è un inferno! Assaggio ogni giorno la morte con la punta delle dita mentre stringo il fucile, mentre combatto per questa madre America che ci ha lasciati orfani. Ho perso tutto qui, il fuoco ha devastato ogni sorriso, ogni carezza, persino le lacrime non arrivano agli occhi.
Se sono qui a scriverti, Gloria, è per onorarti, perché se la morte non mi ha ancora trovato è perché il cuore l’ho lasciato in mano a te.
Hey Gloria, mi manchi e so che la guerra che hanno iniziato, per me sta per finire. Abbandonerò il fronte tra non più di tre settimane. Gloria, la lotta per le nostre vite qui al fronte ha segnato il nostro amore immortale, ma non l’ha lacerato.
Io sono qui, ancora per una notte sono su questa terra. Non so se sarà l’ultima, ma nel caso lo fosse, voglio che tu sappia che sono morto col tuo viso negli occhi e nei ricordi e che al mondo non esiste una morte più dolce di questa.
Detto questo, ti chiedo solo di recitare le tue preghiere e di accendere il fuoco che porti nel cuore mentre lo fai. Prega per me, Gloria.

Non lasciare andare via il tuo splendore nella mia ultima notte sulla terra.

Ti amo.

Christian.

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Capitolo 4
*** Little girl, inside your reastless soul your heart is dying. ***


Little girl, inside your reastless soul your heart is dying.

 

 

Brividi.

Le mani affondate nel gelo nonostante il caldo infernale che luglio aveva portato con sè. A malapena i miei pensieri riuscivano a delinearsi.

-"Christian"; il suo nome in un soffio d'aria.

Respirare sembrava la cosa più difficile e al contempo più dolorosa da fare. Immobile, ecco la parola giusta! Il mio corpo, l'aria intorno a me, le nuvole che attraversavano il cielo della California; tutto ricordava un film in bianco e nero messo in pausa. Mi obbligai a respirare e lentamente realizzai cosa accadeva.
Solo tre mesi e mezzo fa Christian aveva lasciato il vuoto dietro di sè partendo per andare in guerra. Ora, tra le mani, stringevo un pezzo di carta che lui stesso aveva scritto. Una lettera, l'inchiostro sbavato. Piangeva. Piangeva mentre confessava le sue paure, raccontava i giorni di guerra, svelava le sue speranze. Gli mancavo e anche se non l'avesse scritto esplicitamente l'avrei capito. Ogni sua parola era carica di nostalgia, di dolore, d'amore.
Mi amava ancora e, non so perchè, ne rimasi sorpresa. Ero certa che niente era così importante per impedirgli di andare al fronte, niente era così sicuro e prezioso per convincerlo a restare. Nemmeno io.
Mi sbagliavo.
Eppure qualcosa non quadrava; l'annuncio del suo ritorno avrebbe dovuto farmi gioire. Eppure non ne ero capace. Le sue parole avevano un retrogusto amaro.
"Prega per me, Gloria". Quelle parole bruciavano come se il mio cuore l'avessero marchiato a fuoco. In effetti mi sentivo un animale da macello, anche se colui che rischiava di doversi sacrificare era Christian. Ma nella più orrenda delle ipotesi, colei che avrebbe avuto la morte nel cuore e una tomba su cui piangere sarei stata io. Il solo pensiero mi bagnò gli occhi e le guance e la bocca si piegò in una smorfia di dolore.
Ero ancora in piedi, ferma davanti alla cassetta delle lettere nel mio giardino. Mia madre era in casa a preparare il pranzo, mio padre sarebbe tornato a momenti dal lavoro. In questo periodo tremendo i miei genitori mi erano stati accanto come mai avevano fatto prima. Io avevo abbandonato gli amici, avevo concluso l'anno scolastico e per miracolo ero stata promossa. La mia vita sarebbe stata fottuta senza di loro.
Abortire un amore non è facile, lascia il freddo in grembo e il rimpianto nel cuore; ma grazie a loro avevo recuperato la forza per ricominciare a sopravvivere. Si, sopravvivere, perchè senza Christian non potevo dire di vivere. Ma Christian stava per tornare e solo allora mi accorsi che quell'amore che credevo d'aver ucciso, cresceva sano e forte dentro di me.
Le lacrime continuavano a scorrere fuori senza che potessi fermarle, mentre sentì mio padre parcheggiare sul vialetto alle mie spalle. Io rimasi immobile mentre sentivo i suoi passi avvicinarsi dietro di me, non volevo che mi vedesse piangere.
-"Hey Gloria, che ci fai qui?"
"Troppo tardi", pensai, mentre mio padre mi poggiava una mano sulla spalla.
-"Niente!" risposi, restando di spalle.
-"Ti sento strana", la preoccupazione nella voce.
-"Davvero, non c'è niente!" cercai di rassicurarlo e nascosi la lettera nei jeans, prima che mio padre mi facesse girare per guardarlo negli occhi.
-"Piccola, perchè piangi?"
Il mio debole tentativo di non piangere e nascondere tutto si infranse appena incontrai lo splendore dei smeraldi incastonati nel volto di mio padre, spalancati dalla preoccupazione. Mi si strinse il cuore; non volevo essere una preoccupazione per lui. William, sessant'anni di cui quaranta passati in una fabbrica a costruire auto, le mani consumate dalla fatica e ricamate dai calli. Eppure mio padre aveva il volto della giovinezza, le guance paffute increspate da un perenne sorriso, i capelli colorati dalla cenere costantemente elettrizzati come una specie di criniera. Il tatuaggio del nome di mia madre spiccava sul braccio destro, disegnato pochi giorni prima del matrimonio. Matrimonio perfetto, tranne me.
-"Papà, C-Christian sta per tornare"
Una sfumatura di tristezza attraversò quegli occhi che avrei tanto voluto ereditare, ma che in quel momento si muovevano frenetici, in cerca probabilmente delle parole giuste da dirmi.
-"Ragazzina, so che dentro alla tua anima irrequieta il tuo cuore sta morendo. So che in questo momento anche il cielo sta crollando su di te, ma devi esser forte, piccola. Sai bene che questa è la tua vita e devi essere tu a fare le tue scelte. In ogni caso, io e tua madre ci saremo, sempre e comunque. Anche se tutto dovesse volgere al peggio, sai perfettamente che non c’è nessun posto migliore di casa tua quando non avrai un posto dove andare! Ti voglio bene piccola."
Le parole di mio padre non contribuirono a far smettere la pioggia nei miei occhi e l'abbraccio che seguì il suo discorso si strinse prepotentemente intorno al cuore. E fu nel calore forte e sicuro di quelle braccia che trovai la soluzione alle mie incertezze.
Avrei aspettato, si. Non potevo abbandonare Christian anche questa volta.
Tra una settimana sarò lì, in quella fottuta stazione ad aspettare di vederlo scendere dal treno che lo avrebbe riportato da me. E anche qualora una tragica notizia avrebbe impedito il suo ritorno avrei raccolto tutto il coraggio possibile per poter pregare per la sua anima.
Io e mio padre tornammo in casa abbracciati ed entrando in cucina vedemmo mia madre che fissava la TV con occhi spalancati. Mi ritrovai a tremare, il peggio si stava realizzando, ne ero certa. Mia madre volse la testa verso di me e fissò il vuoto dei suoi occhi neri nei miei così identici ai suoi, il fiato corto.

-"Hanno attaccato la base americana in Afghanistan".

 

 

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Capitolo 5
*** They burned my dream into the ground. ***


They burned  my dream into the ground.

 


La notte è alle porte.
Sono seduta su uno sgabello del bar della stazione in preda al panico. E' come se questo fottuto sgabello fosse fatto di spine. Fuori le stelle non hanno abbandonato ol cielo. Sono lì, immobili. Niente e nessuno potrà staccarle da quel soffitto infinito.
Ho scolato due birre nel giro di pochi minuti, ma credo che l'ansia abbia fatto evaporare ogni traccia di alcool nel mio sangue.

21.25.

L'arrivo del treno che riporta a casa i volontari andati a combattere in Afghanistan era previsto per le nove e mezza. Mancavano solo cinque maledetti minuti. In parecchi eravamo agitati in quel buco di locale: le comunicazioni con l'Afghanistan erano state interrotte dopo l'attacco.
Nessuna telefonata. Non sapevamo se qualcuno fosse morto oppure no. Nemmeno ai giornalisti era stato permesso di avvicinarsi alla base e tutte le informazioni rimasero segrete. Solo l'esercito americano era a conoscenza della verità ed era per questo che avrebbe riaccompagnato i volontari a casa.
-"E' ARRIVATO!!!"
La voce angosciata di una signora che stava indicando l'uscita alla mia sinistra da cui s'intravedevano i binari e un treno rallentava stridulo sul binario tre.
Tutti ci precipitammo fuori, ma io rimasi indietro, sia perchè le gambe non mi reggevano più, sia perchè altri erano stati più veloci di me. Mamma e papà non erano con me, erano rimasti a casa. Dovevo farcela da sola.
I ragazzi dell'esercito iniziarono ad occupare lo spazio vicino al binario e con molta cautela fecero scendere una sedia a rotelle. La signora che prima aveva urlato si precipitò sulla carrozzella abbracciando quello che era suo figlio.
-"Mamma sto bene, non è niente, tranquilla!" diceva il ragazzo, mentre dietro di lui scendevano una decina di ragazzi che riportavano fratture e cicatrici. Fu un momento in cui cercai di mettere a fuoco i visi di quei ragazzi, ma in quegli occhi e in quelle labbra non trovavo tracce di Christian.
"Sta bene allora!", era il cuore ad urlarmelo. Velocemente iniziarono a scendere i ragazzi che stavano bene: chi riabbracciava i figli, chi da figlio veniva riabbracciato, chi si buttava tra le braccia della propria amata.

Di Christian nemmeno l'ombra.

La folla iniziò a dileguarsi tra risate e qualche lacrima, mentre io sentivo il cuore scendere giù di parecchi centimetri.
Nel giro di pochi minuti mi ritrovai da sola a fissare il treno. Christian non c'era!
Fu allora che il mio cuore andò a bruciare all'inferno, accasciandomi a terra in preda alla disperazione. Dopo pochi secondi che sembrarono un'eternità, un tovvo famigliare si posò sulla mia testa.
-"Hey ragazzina, perchè piangi?"
La voce sembrava sorridere.
Alzai lo sguardo e fu allora che il mondo, il tempo e il mio cuore ripresero ad andare avanti col ritmo giusto.
Senza sapere come e per quanto tempo, ci buttammo a capofitto in un bacio, le nostre labbra urlavano amore ad ogni movimento, mentre le mie braccia si intrecciavano dietro il suo collo e le sue mi cinsero la vita.
Non c'erano più treni.
La guerra era finita.
Il mondo era andato a farsi fottere.
Christian. Gloria.
Nient'altro.
Alla fine del bacio credevo quasi che avrei ritrovato un Christian invecchiato davanti a me, perchè tra le sue braccia il tempo sembrava avesse raddoppiato la velocità.
E invece no.
Christian era lì, finalmente a casa, consumato dalla stanchezza, ma bello come non mai.
-"E' come se ti baciassi per la prima volta, sai?"
-"Si? Io invece ho il cuore in gola" dissi spaesata.
-"Probabilmente il mio entrerà in collisione col tuo!", sorrise.
Ci rialzammo sorridenti ed uscimmo dalla stazione, ma non appena arrivati in strada Christian si fermò e mi attirò a sè, affinchè lo guardassi in faccia.
-"C'è una cosa che non ti ho mai detto di persona!"
-"Cosa?"
La mia domanda a quanto pare scatenò il cielo. Si!
 


Perchè all'improvviso il vento iniziò a scuotere feroce gli alberi circostanti. i lampioni si spensero e improvvisamente sembrò che il cielo si fosse illuminato di una nuova alba. Peccato, però, che il sole stesse precipitando in maniera sovrannaturale sopra di noi. Era la fine del mondo, ne ero certa!
-"GLORIA!!!!"
Christian urlava di fronte a me e come me era in preda al panico.
-"TI AMO, GLORIA!!!"
-"TI AMO ANCHE IO CHRISTIAN!"
E mentre le nostre bocche si fondevano nuovamente, il sole si frantumò sulla terra.

 

 

 

 

 

 

-"Ma che caz..."
Velocemente rifugiai la testa sotto il cuscino, gli occhi abbagliati dal sole che entrava dalla finestra. Lentamente cercai di riaprirli e di abituarli alla presenza della luce. Riemersi da sotto il cuscino. Nel letto, il posto di fianco a me era vuoto. Con la mente nel pallone mi voltai verso il comodino per guardare la sveglia.

9.30

-"Cazzo, ma quanto ho dormito? Adie?? ADIE??"
Il silenzio mi rispose.
-"Jake, Joey??"
Niente.
-"Cazzo, ma allora siete usciti tutti."
Mi voltai nuovamente verso la parte vuota del letto. C'era un biglietto che riportava la scrittura elegante di Adie.

-Sono uscita presto per comprare qualcosa per il pranzo. Non ho voluto svegliarti. Sei troppo bello quando dormi, specialmente quando farnetichi nei sogni come questa notte. Dovrai spiegarmi chi sono Christian e Gloria! -

Col sorriso sulla faccia riposi il biglietto sul comodino.
Christian e Gloria.
-"Ah già. Ecco cosa stavo sognando. Cristo quei due mi hanno bombardato il cervello per tutta la notte."
Con la mente svuotata che preannunciava l'arrivo di un mal di testa, scesi in cucina per prepararmi un caffè.
Era da mesi che cercavo l'ispirazione per il nuovo album che non aveva nemmeno un nome, ma nessuna idea brillante. Solo un ritornello:

"We are the cries of the class of 13!"

Mentre canticchiavo quel ritornello sottovoce, le immagini del sogno fatto la notte prima si ripresentarono alla mente. Fu allora che trovai la soluzione.
Christian.
Gloria.
The class of 13.

Chi meglio di loro? L'amore e la guerra. Lacrime, sangue e sorrisi fusi insieme.
Lasciai perdere il caffè, più tardi sarei andato a casa di Trè insieme a Mike. Anche loro da tempo aspettavano una mia idea e ora che era arrivata, un caffè me lo meritavo da parte loro.
Mi buttai sul divano, presi il blocchetto su cui avevo segnato il ritornello e ripresi a scrivere:

"We are the cries of the class of '13
Born in the era of humility
We are the desperate in the decline
Raised by the bastards of 1969..."

Appena ebbi finito, rilessi tutto e seppi che mi trovavo di fronte alla storia del XXI secolo.
-"Si, bambina, hai parecchio da raccontare al mondo"
Riposi accuratamente il blocchetto sul tavolino, la storia di Christian e Gloria stampata nella mente. Cinque minuti dopo ero sotto la doccia e, mentre ricantavo la canzone che avevo appena scritto, pensai al nome da darle. Rimasi nella doccia per qualche minuto ad occhi chiusi, mentre l'acqua e i pensieri scorrevano via insieme. Quando riaprì gli occhi, col cuore che tremava dall'emozione, poggiai un dito sul box di vetro e in poche, semplici parole racchiusi tutto ciò che mi portavo dentro.

"21st CENTURY BREAKDOWN"
 

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