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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Quando Rachel chiude una porta, Noah apre un cancello. *** Capitolo 2: *** Amore litigarello *** Capitolo 3: *** Le scarpe della discordia *** Capitolo 4: *** Alla festa di Halloween.. l'importante è arrivarci vivi ***
Capitolo 1 *** Quando Rachel chiude una porta, Noah apre un cancello. ***
1.
Quando Rachel chiude una porta, Noah
apre un cancello.
La choir room era vuota, fatta eccezione per le sedie
sparse in modo disordinato e gli strumenti musicali affiancati al muro.
Gli occhi fissi sulle pareti azzurre, Rachel represse
un singhiozzo. Ormai tutto era finito ma, alla fine, la colpa era stata solo
sua.
Aveva rifiutato Finn e, si disse, quella era stata
davvero l’ultima volta. Era un capitolo chiuso della sua giovane vita.
L’estate l’aspettava, così come le vacanze organizzate dal rabbino Greenburg nel
solito villaggio alle porte della città.
Non poteva più pensare a quello che aveva perso. O meglio, a quello che aveva
voluto perdere.
Ma come avrebbe potuto far finta di nulla e tornare con Finn,
quando non era più sicura di niente, neppure di se stessa?
Sebbene ci fosse stata solo tre giorni, New York l’aveva cambiata.
L’aria umida, l’odore dei chioschi di hot dog fermi in ogni angolo e poi il suo
vero sogno, Broadway.
Eh si, New York l’aveva cambiata.. in meglio.
Adesso tutto il suo futuro era ben chiaro nella sua mente e non vi avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.
«A cosa pensi?»
Si girò di scatto, portandosi una mano al cuore.
Non l’aveva sentito entrare e adesso era di fronte a lei, le mani affondate
nelle tasche dei jeans e il solito sorriso storto a illuminargli il volto.
«All’estate» sorrise anche lei e si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio «e a Broadway»
«Pensi sempre a quello» la derise lui. Si fece più vicino e con una mano, fermò
le sue dita ancora ancorate ai capelli. «Gliel’hai detto?»
«Non ci sono riuscita» un risolino le scappò dalle labbra, mentre le loro mani
si intrecciavano. «Non puoi farlo tu?»
«Rach..»
«È che non gli è ancora passata. È ancora arrabbiato e tu sei così bravo a
parare i pugni! Io sono piccolina e tu non vorresti vedermi in pericolo, vero?»
era una bravissima attrice, se lo ripeteva di continuo.
E proprio in quel momento avrebbe tranquillamente potuto vincere un Oscar, o un
Golden Globe o.. anche l’MVP, perché no?
L’espressione da cucciola bastonata lo stava facendo sciogliere e per poco non
lanciò un urlo di vittoria.
«Mi freghi sempre» Noah poggiò la fronte sulla sua e
i due sorrisero, immersi nel silenzio dei loro sguardi.
Dopo la scottante sconfitta alle nazionali, e la definitiva rottura tra Rachel e Finn, avevano trovato
conforto l’una nelle braccia dell’altro.
Solo che, mentre Puck aveva trovato il coraggio per rompere con Lauren che non
vedeva l’ora di ritrovare la sua libertà, Rachel si
sentiva ancora troppo in colpa nei confronti di Finn
per chiedergli persino l’ora.
«E tu ti fai fregare» rispose lei sibillina, rifugiandosi tra le sue braccia.
Al sicuro vicino a lui, si sentiva ancora più piccola del solito.
A contatto con quel corpo massiccio e muscoloso, si sentiva protetta e si,
anche amata.
Perché lei sapeva, anche se lui non glielo aveva mai confessato a parole.
Lei sapeva che NoahPuckerman
la amava, così come lei amava lui.
Un affetto sincero e amichevole che in quei due anni, nel silenzio più
assoluto, si era trasformato in un amore vero e profondo.
E anche delicato, ma guai a dirlo a lui. Puckzilla
poteva essere tutto, ma non delicato.
Quel termine non lo avrebbe perdonato neppure alla sua Rachel.
«Che facciamo stasera?» ancora stretta tra le sue braccia, le fece alzare il
viso per poi posarle un leggero bacio su quelle labbra che adesso erano solo
sue. E lo sarebbero rimaste, anche a costo di pestare a sangue Hudson e tutto
il resto del genere umano.
Incuranti della porta aperta, le loro labbra continuarono a toccarsi
dolcemente. Noah, spinto dalla foga e anche da un po’
di mal di schiena per la posizione perché Rachel era
davvero bassa, la sollevò da terra e si sedette sullo sgabello del pianoforte,
con lei sistemata sulle gambe.
«Me lo dici?» le domandò ansante quando si furono staccati.
Le mani ancora ancorate ai suoi fianchi, riusciva a percepire il calore delle
sue gambe nude attraverso i jeans scuri.
«Che cosa?»
«Che fai stasera?»
«La valigie» sospirò affranta, mentre il broncio sulle labbra di lui la fece
quasi sciogliere.
«Però potrei sempre farle domani» si avvicinò, con le braccia attorno al suo
collo, a pochi centimetri da lui. «O dopodomani»
«Interessante» mormorò lui tornando a baciarla, ma una presenza indesiderata li
fece separare.
Era entrato nella stanza e li fissava immobile, con le braccia lungo i fianchi
e i pugni chiusi.
«Finn, possiamo spiegare» Rachel
si alzò e provò ad avvicinarsi, ma venne subito bloccata dal suo ragazzo.
«Voi due insieme, cosa vorresti spiegare?»
«Noi» provò a dire lei, «è successo tutto così in fretta, non sapevamo come
dirtelo»
«È per questo che non sei voluta tornare con me? Per lui?» La voce di Finn era carica di sentimenti contrastanti.
Rabbia, delusione, furia. Si sentiva tradito, ancora una volta.
«No» disse Puck.
«Si» confessò invece Rachel, attirandosi addosso due
sguardi completamente differenti.
Il primo, se possibile, ancora più infuriato. E il secondo sorpreso e felice,
accompagnato da un sorriso largo e sincero, di quelli che piacevano a lei. «Davvero?»
«L’ho capito quando mi hai riportata a casa quel giorno, dopo il funerale.
Quando siamo rimasti in macchina a parlare fino a quando ha smesso di piovere»
Puck la prese per mano, sotto lo sguardo attonito dell’altro ragazzo. «Io
l’avevo capito prima»
«Ma che carini» urlò Finn sempre più arrabbiato.
Oltre al danno, anche la beffa. Non solo era stato tradito per l’ennesima volta
dalle stesse persone, ma adesso doveva anche sorbirsi la loro smielata
dichiarazione d’amore eterno. «Avete finito?»
«Scusa amico, colpa mia»
«Non chiamarmi amico. Mi avevi giurato che non lo avresti più fatto» Finn si avvicinava sempre di più a passo spedito, «che non
te la saresti fatta più con la mia ragazza. E mentre mi dicevi di portarla a
cena, sotto sotto mi prendevi per il culo! La volevi tutta per te!»
«Ma no, non è così. Diglielo anche tu» Rachel tirò un
pugnetto al braccio di Noah che non aveva nessuna
intenzione di darla vinta al suo amico. Si, l’aveva preso in giro, e allora?
L’aveva spinto a chiedere un appuntamento a Rachel,
perché sapeva che lei lo avrebbe rifiutato.
Ci era rimasto un po’ male quando invece aveva accettato di uscire. Ma quando
l’aveva mollato da solo in mezzo alla strada, si era chiuso nel bagno della
loro camera e aveva urlato di gioia, facendo credere a Sam e gli altri di
essere finalmente arrivato al mondo otto di Mario.
«E invece è così. Mi hai rotto con tutte quelle storie su Quinn e Rachel. Non sono tue, fattene una ragione.» Aveva alzato la
voce, tenendo un braccio davanti a Rachel, con il proposito
di proteggerla. Come se poi ce ne sarebbe stato bisogno. Sapevano tutti che Finn non era il tipo che picchiava le ragazze, ma Noah a volte non si fidava di se stesso, figurarsi di
qualcun altro.
E infatti, tanto veloce che neppure lo vide, il pugno del più alto andò a
scontrarsi con la sua faccia, facendolo cadere a terra. «Noah!»
Rachel si inginocchiò per controllare che non fosse
ferito e poi lanciò un’occhiataccia a Finn che aveva
preso a fissare meravigliato il pugno ancora chiuso. «Ma sei impazzito? Potevi
ammazzarlo»
«Nessuno ammazza NoahPuckerman»
lui si alzò e con una mano si pulì il labbro coperto di sangue.
«Tranne quell’imbecille di Finn Hudson» aggiunse
grave Rachel.
«Imbecille?»
«Si, imbecille, Finn. Quando ti sei rimesso con Quinn
mi hai forse vista prenderla a pugni?»
«E adesso sarebbe colpa mia?» Rachel strinse le labbra, incerta se far uscire tutte
le parole che si era tenuta dentro per troppo tempo.
Lo avrebbe ferito ma era giusto così. Finn, sebbene
non lo sapesse ancora, aveva bisogno di sentirselo dire.
Era un bravo ragazzo, ma aveva ancora tanto da imparare.
«Per due anni mi hai trattata come un giocattolo. Mi lasciavi all’improvviso e
quando mi vedevi interessata a qualcun altro tornavi all’attacco, perché eri
sicuro che sarei tornata da te senza problemi. E avevi ragione, perché non
volevo altro che ti accorgessi di me. Ma adesso io sto insieme a Noah e tu devi crescere»
Durante tutto il discorso, Puck non aveva mai lasciato la sua mano e si chinò
per dirle all’orecchio: «Finalmente l’hai capito»
«Ma io ti amo, questo non conta?» domandò l’altro, fissando lo sguardo dietro i
due perché proprio non riusciva a vederli insieme.
«Adesso un pugno te lo tiro io però» Noah si mosse in
avanti, ma un’occhiata della sua ragazza lo fermò e sbuffò alzando gli occhi
verso il soffitto, «E va bene, non te lo tiro. Ma sei fortunato che c’è lei»
«Finn, noi tre eravamo amici prima di tutto questo.
Non possiamo esserlo ancora?»
«In questo momento mi fate solo schifo» rispose lui sprezzante, uscendo dalla
stanza quasi correndo non riuscendo a sentire il “tanto piacere” urlato da Puck
che riprese la sua piccola tra le braccia.
Esattamente ad un anno esatto da quella litigata, tutti i senior del McKinley
erano seduti in file ordinate sull’erba verde del campo da football
appositamente sistemato per l’occasione. Rachel e Noah, seduti a quattro sedie di distanza, si scambiarono
un’occhiata felice mentre il preside Figgins elencava
i primi nomi della lunga serie di neo diplomati.
Quattro file più avanti, Finn Hudson batteva nervoso
un piede sull’erba e fu fermano da un gesto stizzito del fratello che moriva
dalla voglia di mangiarsi le unghie, anche se non lo aveva mai fatto. O forse
proprio per quello.
Nel corso dell’anno appena passato, il ragazzo aveva avuto modo di chiarire con
i due amici e aveva cercato rifugio in Quinn che, però, lo aveva gentilmente
rifiutato a causa di un altro ragazzo che era al centro dei suoi pensieri.
Così Finn, ancora una volta, era rimasto solo con le
sue aspettative sul College e la prossima partenza per l’Arizona.
Finita la lunga lista di nomi, il preside Figgins
lasciò liberi i ragazzi che, una volta lanciato in aria i tocchi blu, poterono
avvicinarsi agli amici e ai parenti.
«Ce l’abbiamo fatta, non ci posso credere» fece Puck brandendo il rotolo di
pergamena come se fosse un trofeo.
«Ero sicura che ci saremmo diplomati insieme» Rachel,
che aveva indossato i tacchi più alti del solito per l’occasione, non trovò
difficile stampare un bacio euforico sulle labbra del suo ragazzo.
«La mia bambina» Hiram Berry, con le lacrime agli occhi, abbracciò la figlia
sotto lo sguardo esasperato del compagno.
«Lasciala respirare» disse infatti quello e strinse la mano al ragazzo di
fronte a sé, «Congratulazioni, Noah»
«Grazie, signore» rispose lui, un po’ in soggezione. Mai nessun adulto l’aveva
fatto sentire in quel modo e i papà di Rachel erano
sempre stati gentili con lui, ma Leroy Berry gli metteva uno strano timore a
dosso. Forse perché era il padre della sua piccola o forse perché era più
massiccio di lui.
«Siamo stati bravi lì sopra, vero?»
«Rach, abbiamo fatto solo tre scalini»
«Ci vuole bravura anche per quello, non lo sai?»
«Favolosi entrambi» disse Hiram e fece segno alla madre di Puck, «Oh Rebecca,
ci stavamo giusto congratulando col tuo ragazzone»
«Mamma, stai piangendo?» fece Noah stranito. Non
vedeva spesso sua madre cedere alla commozione o alla disperazione,
soprattutto in pubblico. Era una donna così riservata che non sembrava nemmeno
sua madre a volte.
«È che mi sembra un sogno, ti avevo quasi dato per spacciato»
«Mamma!» esclamò strozzato lui, facendo ridere tutto il gruppetto.
Un’ora dopo, in uno dei ristoranti più raffinati della città, Leroy alzò il
bicchiere e si schiarì la voce.
«Un brindisi a questo capitolo appena concluso»
«E al futuro che comincia adesso» continuò Hiram.
«Rachel» la chiamò Rebecca una volta arrivati alla
seconda portata, «sei pronta per New York?»
«Si, anche se sarà difficile separarsi da tutti voi e dal mio Noah» un broncio comparì sulle labbra della ragazza che in
quei giorni aveva fatto tutto il possibile per non pensare alla partenza.
«Ma vi rivedrete per le vacanze di Natale e in estate e..» fece Leroy,
stringendo una mano della figlia.
«E per tutto il resto dell’anno»
«Come? Cosa?» fecero le due donne colte di sorpresa.
«Pensavi davvero che ti avrei lasciata a New York da sola, con tutti quei co..
cretini» si corresse subito, a causa della presenza dei Berry.. e di sua madre,
«pronti a mettere le mani sulla mia sexy principessa ebreo-americana?» Rachel si portò una mano al volto, felice come mai
prima di allora. «Vieni con me?»
«E Noah, come farai col college?» s’intromise
Rebecca, preoccupata.
«Quest’inverno ho fatto domanda per una borsa di studio alla New York University e, strano ma vero, l’hanno accettata. Sempre
meglio dell’università del Maine»
«E poi quasi tutti i vostri amici staranno lì, quindi starete ancora insieme
come al liceo» proseguì Leroy, mentre Rachel gettava
le braccia al collo di Noah.
«Ti amo» esclamò al suo orecchio che lui, ne era certo, avrebbe avuto ancora
poca vita.
«Io di più e non provare a ribattere come al solito o ti faccio partire da
sola» Rachel spalancò gli occhietti furbi e alzò le mani in
segno di resa, «Tutto quello che vuoi.»
Author notes Eh si lo so, è un po’ pomposo come nome, va volevo provarlo almeno una
volta.
“Author notes” fa così.. stronza saputella! Ma lasciamo perdere.
Ciao a tutti, sono tornata con questa OneShot assolutamente senza pretese, che farà parte di una
raccolta incentrata sulla vita newyorkese nei nostri ragazzi.
Non parleremo solo dei Puckleberry (anche se loro
sono i protagonisti di una bella parte delle shots),
ma ci saranno anche altre coppie.
Questa prima parte è stata un pochino triste, ma solo perché dovevo dare uno
stacco ai Finchel e spiegare qualcosa su Rachel e Noah.
Dalla prossimo sarà tutto più.. divertente? Bah, diciamo che può starci.
Come al solito i personaggi non sono miei, ma dei RIB e della Fox.
Ma se mi volessero regalare Puckzilla, non lo
rifiuterei di certo. GIAMMA!
E mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare.
Allora a presto, Alessia.
Dal sesto piano di un palazzo nel Village provenivano
strani rumori, insieme a urla e imprecazioni. NoahPuckerman, forte della
sua prestanza fisica, posò un grosso scatolone e si accasciò sul pavimento,
esausto. Quel trasloco lo stava uccidendo. Anzi, era la sua ragazza a
ucciderlo. Dall’alba non faceva altro che dare ordini, sia a lui che ai poveri
Mike e David che, chissà per quale ragione, erano arrivati in soccorso.
Anzi, la ragione la sapeva.
Le loro dolci metà erano, se possibile, ancora più tiranneggianti della sua.
«Non ce la faccio più» ansimò Mike, raggiungendo gli altri due. Era il più
magrolino, ma aveva forza da vendere. Non a caso era stato preso in una delle
scuole più pesanti dell’intero Stato.
«Non dirlo a me, questo è il terzo trasloco in una settimana. Birra, ho bisogno
di una birra» disse Dave, tirando la testa indietro.
«Certe volte mi chiedo chi me l’ha fatto fare» mugugnò Puck, dopo un’occhiata
alla montagna di scatoloni nel pianerottolo, ancora da portare dentro.
«Non lo dire a me» fece Mike, pensando alla sua ragazza e a tutti i pacchi che
il giorno prima gli aveva fatto sistemare nel minuscolo appartamento al piano
di sotto. Non voleva essere cattivo, ma a volte voleva proprio scappare.
Lontano, dove lei non lo avrebbe trovato per metterlo sotto con una delle sue
solite idee “geniali”.
«Però non ho ancora capito una cosa» David attirò l’attenzione degli altri due,
«Perché le vostre ragazze devono stare qui e voi sotto? Insomma, se state
insieme, a che servono due case?»
«Quinn dice che non va bene convivere prima del matrimonio» spiegò Mike
annoiato.
«Lo stesso Rachel» sbuffò Noah.
«Quindi il sesso va bene, ma non la convivenza?»
«A quanto pare» il ragazzo diede una spallata all’amico, «E invece tu te la
godi, nella stessa casa con Hummel. Qui non c’è
giustizia». Si allungò verso il piccolo frigo bar sulla parete e lanciò un paio
di birre, aprendone una per sé.
«Che cosa state facendo? C’è ancora tanto lavoro e vi riposate bevendo.. birra?»
Quinn entrò nell’appartamento seguita da Rachel. Le
due si fermarono in piedi davanti ai ragazzi, le mani ancorate ai fianchi e le
labbra strette. Sapevano che non c’era da fidarsi di quei pigroni.
«Una pausa, dateci una pausa» le implorò Mike.
«Dov’è il vostro amico?» domandò burbero Dave.
«Perché siede seduti?» della serie “parlando del diavolo..”, Kurt entrò in casa
e ridacchiò alla vista dei tre ragazzi distrutti. Erano così teneri –ma questo
non lo avrebbe detto ad alta voce per paura di pagarla cara- che prese il
telefono e scattò una foto.
«Ehi, tu sei un ragazzo, devi fare la tua parte!» esclamò Noah,
un dito teso in direzione di Kurt che lo fissò incurante.
«Puckerman, la mia crema per le mani costa quanto la
tua macchina, non la spreco per fare lavori pesanti.»
Dal suo canto, dopo avergli lanciato un’occhiata di fuoco, Noah
fece in modo di trattenersi. Se avesse torto un solo capello ad Hummel, Karofsky lo avrebbe spezzato in due, quindi meglio
non rischiare. Ma quella petulante copia al maschile di Rachel
certe volte gli faceva perdere la ragione. Un dito in un occhio, una gomitata
alle costole.. sarebbe stato così semplice mettere fuori combattimento quel piccolo
genio del male!
Con ancora quei pensieri violenti per la testa, il ragazzo lanciò uno sguardo
d’intesa agli altri due che, una volta in piedi, si avvicinarono meccanicamente
a Kurt che, ormai spalle al muro, si coprì il volto con entrambe le mani, prima
che il contenuto di due bottiglie ambrate finisse dritto sulla sua testa. Le
due ragazze si allontanarono di qualche passo, trattenendo malamente le risate.
Il ragazzo, con ancora la birra che gli gocciolava dal viso alla nuovissima
giacca di Adam Killem, strizzò gli occhi e spalancò
la bocca un una O muta. «Voi.. avete.. Dave!» tuonò
furioso.
«Che c’è? Io non ho fatto niente, la birra preferisco bermela» sghignazzò lui,
dopo aver alzato la sua bottiglia verso gli amici, come a complimentarsi.
«Kurt» Rachel fece per posargli una mano sulla
spalla, ma ci ripensò. «Mi dispiace»
Con lo stesso tono che non aveva nulla di serio, anche Quinn si avvicinò «Puoi
darti una sistemata in bagno»
Lui seguì il consiglio e fece per allontanarsi, ma si voltò di scatto, col suo
solito atteggiamento di superiorità. «David Karofsky, questa me la paghi»
sibilò lasciando tutti gli altri a ridere di lui.
«Stavolta l’avete combinata grossa, non vi perdonerà mai» disse Rachel, ancora con le guance imporporate dall’ilarità.
«Se l’è meritato, almeno per come tratta i miei vestiti» rispose Dave, ripensando alle sue povere felpe sempre insultate
dall’altro. Ma cos’avevano di brutto? Solo perché non erano capi di grande
moda, o come diamine si diceva. Si sporse insieme agli altri verso l’ingresso,
richiamati dalla risata di Santana che, Brittany al
suo fianco, fece la sua comparsa.
«Ancora in questo stato» continuò a ridere lei mentre la sua ragazza si sedeva
sulle gambe di Mike, sotto lo sguardo di Quinn che venne presa dal solito tic
nervoso all’occhio. Sapeva che con la biondina non aveva nulla da temere, ma
non sopportava che qualcuno toccasse il suo Mike. «Noi abbiamo finito ieri,
vero Britt?» si guardò a lato, ma non la trovò.
«Su Mike» le disse Quinn e, insieme, digrignarono i denti.
«Non mi piace quando il tuo chiodo salterino mette le mani addosso alla mia
ragazza»
«Non lo dire a me. Ehi» batté le mani verso i due che chiacchieravano fitto,
«basta, voi due»
«Ma come avete fatto a metterci solo un giorno?» domandò Mike a Santana. Se non
gli avesse rivolto la parola, come minimo l’avrebbe fucilato.
«Abbiamo chiamato una ditta di traslochi e in un paio d’ore era tutto in
ordine»
«Ma allora siamo proprio scemi!» esclamarono in coro i tre ragazzi.
«Certo, io lo dico sempre»
«Vuoi darci una mano, Lopez?» la sfidò Dave scaltro,
conoscendo già la risposta.
«Grazie, ma piuttosto preferirei fare shopping con la Berry»
«Beh, in effetti» concordò Kurt, che nel frattempo era tornato, guardando
l’orribile vestitino che l’amica indossava.
«Ehi, ma perché ve la prendete sempre con i miei vestiti?» s’imbronciò la
diretta interessata, «Noah, difendimi»
«Io lo farei, piccola. Ma quei cosi bianchi sono proprio strani»
«Sono pois! E vanno di moda» rispose alterata la mora, lisciandosi il vestitino
dal taglio vintage.
Mentre lo guardava offesa, un colpo di genio gli balenò nella testa. Senza
farsi vedere dagli altri, strizzò un occhio al fidanzato che sorrise
all’istante, pronto per cominciare.
«Un secolo fa, forse.»
«NoahPuckerman» un suono
gutturale e per nulla dolce gli sfuggì dalle labbra, facendo atterrire tutti
gli altri. La conoscevano e sapevano come diventava quando si arrabbiava.
«Rachel» la chiamò Quinn. Non che le dispiacesse sentire
una stigliata ai danni di Puck, ma poi la nanetta isterica se la sarebbe dovuta
sopportare lei e sentirle cantare per l’ennesima volta l’intera discografia
della Streisand non l’allettava molto, anzi per
niente.
«E dai Berry, Puck qui c’ha ragione. Non mi fai arrapare per niente con quel
saio addosso, non che di solito tu mi faccia arrapare..» andando avanti con la
frase, la voce di Santana si affievoliva sempre di più mentre un paio di occhi
azzurri come il cielo la guardavano stranita. «Ok, la smetto»
«Santana, non stiamo parlando di te, ma di lui» Rachel
tornò a guardarlo, una mano sul fianco e il piede che batteva sul pavimento,
«Quindi non sono abbastanza carina per te?»
«Ma certo.. quando non ti metti quei cosi strani»
«Puck!» lo ripresero tutti in coro, a occhi spalancati. Quella, pensarono, era
guerra aperta.
«Brutto cafone maleducato!» la ragazza gli lanciò la custodia vuota di un
vecchio vinile, la prima cosa a portata di mano che, però, andò a sbattere
dritta in faccia a Mike.
«Ehi, ma vuoi ammazzare qualcuno?» fece questo avvicinandosi alla fidanzata che
si allungò a controllargli il viso. Nella stanza era calato un silenzio
tombale, rotto solo dallo scoccare delle lancette sull’orologio a muro. Rachel si era portata le mani al viso, mortificata.
«Scusa, volevo prendere lui»
«Non sai nemmeno centrare il bersaglio, sei proprio persa» sghignazzò Puck.
Provò ad avvicinarsi, ma lei lo scansò malamente. «Non devi toccarmi»
«E allora non ti tocco» Noah tornò al suo posto,
continuando a guardarla con astio, naturalmente ricambiato. «Mocciosa
petulante»
«Ok, noi togliamo il disturbo» disse Santana a voce alta, trascinandosi dietro
tutti gli altri. La porta si chiuse con uno scatto e i due si guardarono fissi
per poi scoppiare a ridere.
«Se ne sono andati, dici che se la sono bevuta?»
«Sicuro» finalmente soli, Noah le si avvicinò e le
posò le mani sui fianchi, «Ma non credi di aver esagerato? Per poco non
accecavi il povero Mike.» Non era la prima volta che usavano quella tattica.
Sapevano entrambi quanto i loro amici detestassero vederli litigare e, per non
assistere allo spargimento di sangue, si defilavano. E avevano imparato a usare
tutto questo a loro vantaggio. Quando volevano rimanere da soli, usavano anche
il più inconsistente pretesto per accendere una dura discussione. Fino a quel
momento aveva sempre funzionato.
«Mi sono lasciata prendere la mano. E poi anche tu hai esagerato» sulle sue
labbra comparve un broncio, mentre alzava il capo per guardarlo meglio, «Pensi
davvero che sono una bambina?»
«La mia eccitante piccola principessa» le posò un dito sul naso e un sorriso si
allargò sulle sue labbra di pesca, ma non arrivò a illuminarle gli occhi da
cerbiatta.
«Non è una risposta»
«Se lo pensassi, non potrei fare questo» le posò un leggero bacio sulle labbra,
mentre lei sbuffò fintamente contrariata.
«E nemmeno questo» le fece scivolare una spallina del vestito sulla spalla
liscia e morbida, seguendone il cammino con una scia di baci.
«Mi fai il solletico» ridacchiò a occhi chiusi mentre le sue labbra si aprirono
in una o muta quando lui la prese in braccio e la addossò alla parete,
baciandola con desiderio. Rachel gli circondò i fianchi con le gambe e, con uno
scatto, gli aprì la camicia facendo saltare tutti i bottoni. «Scusa»
«Si» rispose lui indifferente, per poi tornare a impadronirsi della sua bocca.
Le mani di Noah vagavano esperte sulle cosce sode
artigliate attorno a lui mentre le mani di Rachel,
tremanti dall’eccitazione, gli accarezzavano il petto muscoloso e la schiena,
per poi ripetere il cammino. Fermi all’ingresso di quel piccolo appartamento,
continuavano ad ansimare mentre i loro vestiti con difficolta raggiungevano
punti diversi del pavimento.
Tra scatoloni e valigie, il ragazzo la poggiò delicatamente sul parquet lucido,
facendo attenzione a non pesare sul suo corpo esile. Raccattò i suoi pantaloni
e chiuse il pugno attorno alla bustina di plastica colorata. Si fermò a
guardarla per un istante, gli occhi chiusi e le labbra che gli dicevano quanto
lo volesse. Era perfetta, con i seni piccoli e quell’ombelico che era il suo
punto debole. Quella ragazza lo faceva impazzire e, tornato a baciarla con
frenesia, affondò in lei..
My corner:
Martedì è arrivato, così aggiorno con questa one-shot
. Doveva venire in un modo e invece è uscito fuori tutto il contrario, ma spero
vi possa piacere ugualmente.
Purtroppo non ho molto tempo perché sto organizzando un contest di fanfiction (ah, per chi volesse informazioni, contattatemi
in privato), ma risponderò alle recensioni dello scorso capitolo entro
pomeriggio. Vi ringrazio tantissimo per l’accoglienza che avete dato a questa
raccolta, ancora non ci credo.
Un bacio grande e a martedì prossimo (lunedì per la long), Alessia.
3. Le
scarpe della discordia
Con le gote arrossate per la rabbia, Kurt urlò entrando veloce nel salotto.
«Devi piantarla!» Era tanto veloce, che Dave lo
raggiunse solo dopo, i capelli dritti sulla testa e l’espressione di chi vorrebbe
commettere un omicidio.
«Piantala tu, stai sempre a lamentarti»
«Bene» fece Kurt, il mento alzato mentre si lisciava il gilet nero, «allora
tolgo il disturbo»
«Dove cazzo stai andando?» tuonò l’altro, raggiungendolo d’avanti alla porta
aperta e un paio di vicini a guardarli curiosi. Non era raro che quei due
litigassero. Anzi, era così frequente, che i loro amici ormai avevano imparato
a godersi le scenette. Mancava solo che preparassero i pop corn
e indossassero gli occhialini per il 3D.
«Fuori da questa casa» Dave come al solito gonfiò il petto per far prevalere
la sua figura su quella del più piccolo.
«Non fare il cretino, torna subito dentro» lo tirò per un braccio e gli sbatté
la porta alle spalle, tanto forte che il numerino laccato appeso al legno, si
staccò.
Kurt si scostò da lui e si avvicinò al divanetto bianco del salotto ancora un
po’ spoglio, «Se non butti quelle vecchie scarpe nella spazzatura, scordati di
entrare nel mio letto, stanotte.» Alzò un dito e socchiuse gli occhi, «E lo sai
che il divano ti fa venire il mal di schiena»
«Non butto le mie scarpe solo perché non ti piacciono. Sono autografate» Le sue
povere scarpe, non le avrebbe mai buttate. Non dopo aver passato un’intera
notte su internet, gareggiando con un tizio che di football non capiva niente.
«Ma puzzano di cadavere decomposto!»
«Come tutte le tue cremine del cazzo»sbottò Dave, certo
di non avere tutti i torti. Quel pazzo del suo ragazzo aveva perfino comprato
una crema alla bava di lumaca, per “arrestare la comparsa delle prima rughe”.
Come se a vent’anni si potessero avere le rughe! Kurt di certo non le avrebbe
avute fino ai quaranta mentre a lui le avrebbe fatte arrivare nell’arco di sei
mesi.
«Non insultare le mie creme»
«E tu non insultare le mie scarpe»
«Ma le tue scarpe fanno schifo!» strillò acuto Kurt, poggiando una mano al
petto, nella solita posa da diva consumata che ormai non aveva più alcun
effetto sull’altro.
«E anche le tue creme. Ogni volta che ti tocco, mi scivolano le mani»
«Ah, è così?» Kurt corse fuori dalla stanza e si chiuse la porta della camera
da letto alle spalle.
«Lo sai che mi fai incazzare quando mi lasci litigare da solo!» urlò Dave, tirando un calcio al portaombrelli dell’ingresso,
«Esci fuori!»
Kurt, nella camera, aprì la scarpiera e brandì l’oggetto della discordia e,
dopo averle messe con disgusto dentro una busta di plastica biodegradabile,
entrò a passo di marcia nel piccolo cucinotto.
«Cosa c’è lì dentro?»
«Le tue scarpe appesta-armadi» Dave chiuse gli occhi, mentre un ringhio sommesso
usciva dalla sua gola. «Non ci provare. Kurt, dammi quelle scarpe» strinse
forte i pugni mentre la rabbia cominciava a salire. Sarebbe esploso presto e
poi avrebbe preparato la cena, col suo ragazzo come portata principale.
Arrosto di Hummel, con contorno di cremine alla lumaca.
«Altrimenti?»
«Altrimenti ci dormi tu sul divano» Non sarebbe mai successo, lo sapeva bene.
Ormai quel divano era diventato il suo letto dopo ogni litigio. E la cosa
peggiore, era che Dave era troppo alto e grosso per
quel coso così piccolo e stretto.
«Sono più piccolo e più veloce di te, arriverei in camera da letto per primo»
Il più grande, ormai sull’orlo della follia, distolse lo sguardo e lo puntò sul
camino spento, con un sorriso sadico a disegnargli il volto.
«Allora oggi il camino si accenderà con i tuoi vestiti»
«Non lo faresti» boccheggiò Kurt. No, non lo avrebbe fatto, pensò. Quale pazzo
avrebbe fatto una cosa simile ai suoi vestiti? Solo un pazzo, appunto. E Dave non lo era. Poteva essere di tutto. Burbero, musone,
troppo attaccato allo sport.. ma non pazzo.
«Ahno?» L’altro afferrò un pezzo di
stoffa rossa e in due falcate fu vicino al camino. Era quella la parte positiva
del vivere in un bilocale grande quanto la sua macchina: due passi e girava
tutta la casa.
«No. Ehi, quella sciarpa è di Donna Karan!»
«E’ un’amica tua?» David fece dondolare la sciarpa davanti al camino, fiero
della sua parte demoniaca, almeno per una volta. «Allora possiamo bruciarla»
«No!» Kurt si lanciò per prendere la sua adorata sciarpa, ma l’altro fu più
veloce e se la nascose dietro la schiena.
«Tregua? Io mi tengo le scarpe e tu ti tieni la sciarpa della tua amica»
«Kurt Hummel non scende mai a compromessi» incrociò
le braccia al petto e alzò il mento, in segno di sfida.
«E allora può dire addio a questo» Dalla tasca dei jeans, Dave
estrasse l’Ipod di Kurt. Si era preparato, afferrando
tutto quello che avrebbe potuto essergli utile, non appena aveva sentito il
primo strillo dell’altro.
«La mia compilation di Wicked»
«Addio compilation di Wic..» si fermò guardando
allucinato l’aggeggio che teneva per le cuffiette, «quel coso che mi hai fatto
vedere tre volte? Allora lo brucio davvero!»
«Ti prego, ti prego, ti prego»
«Lascia stare le mie scarpe e forse io mollo il tuo Ipod»
con la sciarpa rossa appesa a una spalla, David pensò che quella fosse una
causa persa e sobbalzò sorpreso quando sentì l’ “ok, va bene” stizzito
dell’altro.
«E non le butterai quando non ci sono»
«Non lo farei mai!» fece Kurt, offeso. O forse fingeva di esserlo, ma a David
questo non importava. Lo conosceva, così come conosceva le sue manie «un patto
è un patto»
«E chi ci crede più?»
«Bene, non le tocco le tue dannate scarpe.» Beccato, pensò bene di dare
un’ultima steccata all’oggetto del suo odio, «Almeno mi evito l’epatite»
«E io non tocco il tuo ipod, così mi evito la frocite»
«Cosa ti eviti?» Kurt scoppiò a ridere. Si poggiò con le mani sul divano,
mentre l’altro sbuffava.
«L’hai capito» borbottò Dave, roteando gli occhi alla
vista del suo ragazzo che continuava a ridere.
«No, invece»
«Si, invece. Non farmelo ripetere, non so nemmeno da dove m’è uscita questa
stronzata»
«La frocite» rise ancora Kurt, «Ormai sei in ritardo
per pensare di evitartela. Sei quasi più gay di me, e dire che fino a poco
tempo fa mi sembrava quasi impossibile.»
«Io sono un vero maschio.» sbottò Dave, «Tu, invece,
sei una fatina»
«Un vero maschio non custodisce gelosamente il poster di quattro giocatori di
football coperti solo da una palla nei punti strategici»
«E’ un’edizione limitata!» esclamò per poi abbassare subito la voce, «E poi è
per lo spirito di squadra e..la
beneficenza.»
«La beneficenza, si» Kurt annuì per niente convinto. Ma, alla fine, quel poster
piaceva anche a lui quindi non aveva nulla di cui lamentarsi.
Anche se quei palloni ovali avrebbero anche potuto toglierli!
«Tu non mi credi» Dave si avvicinò tanto da arrivare
a toccarlo, «vero?»
«Ma certo che ti credo»
«E invece no, quindi ora» allungò una mano e lo attirò a sé con un gesto secco,
«ti faccio vedere com’è un vero maschio»
«Ma io non voglio vederlo» sussurrò Kurt sulle labbra del ragazzo. Era alzato
sulle punte, con il braccio di Dave attorno ai
fianchi e un sorriso malizioso sulle labbra.
«Davvero?»
«Davvero» fece e un urletto gli scappò quando si ritrovòsteso sul corpo del compagno, il gilet
slacciato e i capelli spettinati.
Ale’s Corner
Chiedo perdono, questa cosina non so nemmeno da dove mi sia venuta.
Sono come Dave, a volte penso e dico cose che nemmeno
so da dove vengano.
È un po’ piccolina ma sono sicura che, se fossi andata oltre, sarebbe venuta
una cosa illeggibile.
Spero comunque che a qualcuno sia piaciuto e sarei contenta di leggere le
vostre opinioni.
La prossima settimana pubblicherò di lunedì, giusto per la OneShot su Halloween e poi.. via col Santittany
che mi manca tanto.
Un abbraccio stritolatore a tutti voi, Alessia.
Capitolo 4 *** Alla festa di Halloween.. l'importante è arrivarci vivi ***
Ripetiamo insieme: questi
personaggi non sono miei e non scrivo a scopo di lucro.
Qui siamo tutti bravi bravini e rispettiamo sempre le regole.
Detto questo, vi auguro un felice e divertente Halloween.. e attenti alle
carie!
4. Alla festa di Halloween.. l’importante è arrivarci vivi.
Con l’elastico a pizzicargli dietro le orecchie, Kurt si guardò allo specchio
con la solita aria critica. Era carino, questo lo sapeva, ma voleva essere
perfetto. Quel naso di plastica era troppo lungo e la piccola penna rossa del
cappello era andata perduta.
Con uno sbuffo, si era voltato verso il fidanzato che era appena entrato nella
stanza. Una mano guantata sul fianco, lo squadrò da capo a piedi. «Pirata?» Dave si passò una mano sulle due treccine incollate
al mento, assorto. «Si, perché?»
«Non si abbina per niente al mio costume»
«E che saresti?»
«Pinocchio!» esclamò il ragazzo, con una punta di sorpresa nella voce. Che la
perdita della penna l’avesse reso irriconoscibile? Eppure credeva che tutti
conoscessero la magica storia del burattino combina guai. «E tu dovresti essere
Geppetto, ti ho anche preso i baffi finti e la parrucca bianca»
«Il pirata è più cazzuto» rispose Dave, la voce
grossa e le mani che andarono ad ancorarsi al cinturone, «Ma l’hai visto Jack Sparrow?»
«Dave» Kurt provò a reprimere una risata, per non
ferire il suo orgoglio. Quel patatone, su certi argomenti, diventava quasi più
sensibile di lui. «tu sai che ti amo, vero?»
«Certo, credo»
«Ecco» il ragazzo gli si avvicinò e alzò le braccia sulle sue spalle, «Io ti
amo, per me sei fantastico, ma Johnny Depp è tutta un’altra cosa»
«Non ti rispondo nemmeno» sbuffò Dave. Si allontanò
di qualche passo dall’altro e si avvicinò al letto sul quale era poggiata una
sacca bianca «Togliti quel naso finto e metti questo» gliela lanciò e fece un
cenno d’intesa al suo riflesso davanti allo specchio.
«Cos’è?» con la sacca a coprirlo quasi del tutto, Kurt si aggiustò il naso di
plastica.
«Will Turner» rispose Dave, avvicinandosi. «E anche
io ti amo, Kurt. Per me sei fantastico, ma Orlando Bloom è tutta un’altra
cosa.» Vedendolo assottigliare lo sguardo, il più grande intonò un canto di
vittoria e uscì dalla stanza a testa alta, lasciandolo solo a borbottare parole
sconnesse.
Entrambe assorte davanti all’enorme specchio del bagno, con la porta aperta e
la finestra socchiusa, Brittany e Santana erano
intente ad acconciarsi i capelli. Mentre una si lisciava la lunga chioma scura,
l’altra legava i capelli biondi in una coda alta. Fece per avvicinarsi di più
allo specchio, ma la gomma della pancia la fece tornare indietro.
«Sei rimbalzata» ridacchiò Santana, la piastra incandescente in una mano.
«L’ha fatto Kurt, ti piace? Sono Quinn» rispose l’altra, orgogliosa. Alla fine
per il ragazzo non era stato un lavoro tanto faticoso. Gli era bastato prendere
una delle vecchie uniformi dei Cheerios e cucire una
protesi non molto appariscente.
«Ti sta bene la pancia» commentò Santana, non ancora del tutto abituata a quel
costume. In fondo, si disse, Brittany aveva indossato
quella stessa uniforme per quasi quattro anni, non c’era nulla di strano.
«E tu sei una Pocahontas bellissima» Brittany le si
parò d’avanti e la prese per i fianchi, avvicinandosi a posarle un leggerobacio sull’incavo del collo.
«Che dolce la mia Britt» Santana sorrise e diede un
colpetto alla pancia finta della sua ragazza, «Ma sai, per essere una Quinn
convincente, devi toglierti quel sorriso dalla faccia»
La bionda puntò lo sguardo sul soffitto bianco, sporgendo il labbro inferiore.
«Ma Quinn ce l’ha il sorriso» mormorò pensierosa, attirandosi una carezza
dall’altra che la guardava intenerita.
«Adesso si, sembra quasi un’altra, ma al liceo era quasi più stronza di me»
«Oh» Brittany la baciò leggera, le mani intorno al
viso di Santana e il broncio sulle labbra, «ma tu non sei stronza.» Le posò un
altro bacio sulle labbra che, questa volta, sorridevano.
«Sei la mia San.»
«Dobbiamo andare a una festa e
vuoi litigare?» le guance imporporate per la rabbia, Quinn aveva una mano
ancorata al fianco destro mentre un tacco ticchettava nervosamente sul
pavimento.
Lo guardava fisso, gli occhi spalancati e le labbra in una linea retta.
«Ma no» rispose Mike, deglutendo a fatica, «perché vorrei litigare?»
La guardava tra il confuso e il terrorizzato, con il fiocco del mantello rosso
a soffocarlo. Quando Quinn si arrabbiava, non andava mai a finire bene. Anzi,
il più delle volte veniva sbattuto fuori dal suo stesso appartamento per ore.
«Ti sei vestito come il tizio di Mulan»
«E allora? E comunque, si chiama Shang» rispose lui
alzando le spalle, per poi riabbassarle alla vista della faccia di Quinn che,
ne era certo, sarebbe esplosa da un momento all’altro.
Avrebbe dovuto dire di no all’idea di Rachel. Quel
pomeriggio, ognuno avrebbe dovuto prepararsi nel proprio appartamento, così si
sarebbero evitate situazioni come quella.
«E perché ti sei vestito proprio come lui?» la voce della ragazza era bassa e
le parole lente.
«Perché è asiatico.. ed è realistico»
«Non me ne frega un accidenti se è realistico» tuonò Quinn che, adesso, aveva
definitivamente perso la calma. Con la bocca ancora aperta dallo stupore, si
lisciò il corto abitino verde e fece un profondo respiro. «Non puoi vestirti
così»
«Ma perché?» insistette Mike. Tra tutti i suoi amici, lui era quello più pacato
e riflessivo. Cercava di mettere sempre la pace all’interno del gruppo e per
questo era visto come il ragazzo calmo che non perdeva mai la pazienza. Ma lì
fermo davanti alla copia arrabbiata di Tinkerbell,
cominciava a perdere le staffe.
«Perché Shang è innamorato di Mulan»
Quinn batté velocemente le palpebre, «E Mulan è
asiatica» un altro battito di ciglia, questa volta più nervoso, «come la tua
ex.»
«Sei gelosa?» le domandò improvvisamente più rilassato. Se possibile, la amava
ancora di più quando faceva la gelosa senza motivo.
«No» fece lei guardandosi intorno.
«E invece si»
«Mike» digrignò i denti, fulminandolo con lo sguardo.
«Ma non ne hai motivo. Io voglio solo te, amo solo te» la baciò velocemente e
si allontanò di qualche centimetro per guardarla bene negli occhi tanto belli
quanto espressivi, «Anche se sembra impossibile, visto il tuo caratteraccio»
«Il mio caratteraccio?»
«Proprio quello» annuì lui, «E adesso, se permetti, vado a prendere la mia
spada.»
«Smettila di grattarti» gli ripeté per la terza volta negli ultimi cinque
minuti.
«Ma prude!» esclamò lui, con ancora una mano sotto la parrucca nera.
«Lo so che prude, ma non pensarci» disse Rachel,
chinata verso lo specchio del bagno, con ancora mezza faccia verde. Attenta a
non far cadere le costose bottigliette di profumo della sua coinquilina, si
spalmò il cerone colorato sull’altra metà del viso mentre il suo ragazzo, fermo
sull’uscio, continuava a lamentarsi. «Come faccio a non pensarci se la testa mi
va a fuoco? E mi bruciano anche gli occhi»
«Si può sapere da dove ti è venuta un’idea tanto stupida?» Si voltò a
fronteggiarlo, con ormai tutto il viso coperto di verde. Era soddisfatta del
suo lavoro, adesso le mancava solo il cappello.
«E allora tu? Almeno Marilyn Manson è un tipo tosto» Noah
alzò un pugno verso l’alto, seguito a ruota da un sopracciglio della ragazza.
Non era un segreto che quel tipo di musica non gli piaceva. Anzi, non piaceva a
nessuno dei ragazzi del loro ristretto gruppo. Sicuramente, pensò lei, Noah doveva aver preso l’idea da uno di quei balordi della
squadra di football del college. Oppure da tutti, insieme.. l’allegra
combriccola.
Ma, tornando con la mente alle parole che il suo ragazzo aveva appena detto,
brandì la spugnetta imbrattata di verde e gliela avvicinò al viso con fare
minaccioso, facendolo indietreggiare.
«Stai forse dicendo che Elphaba non è tosta?»
«Certo.. no» rispose lui, con il capo alzato e lo sguardo abbassato a fissare
la spugnetta, «Ephalba è tanto tosta, tostissima»
azzardò un mezzo sorriso che, però, non la fece sciogliere come accadeva di
solito. «Però con quella faccia verde sembri il Grinch»
«Si dice Elphaba» lo corresse abbassando di poco la
spugnetta, «E comunque, tu con quel cerone bianco sembri morto. A chi è andata
peggio?»
«A me?»
Con uno sbuffo, Rachel gettò la spugnetta nel
lavandino e uscì in corridoio, «Chiamo Kurt, magari può aiutarci.»
«Che succede?» dieci minuti dopo, Kurt era entrato nel piccolo appartamento e
si era fermato di scatto davanti a una montagna di muscoli dall’aspetto
cadaverico, «Accidenti, ti sei scontrato con un palo?»
«Karofsky» Noah, a denti stretti, chiamò l’amico che
era entrato in casa di seguito a Kurt che aveva già cominciato a parlottare con
Rachel, «attento al tuo bello, prima che te lo prenda
a calci in culo»
«Mi faresti un favore» borbottò Dave, ancora un po’
arrabbiatoper le sue adorate scarpe.
Alla fine Kurt non era riuscito a mantenere la parola e quelle scarpe erano
sparite. Al solo pensiero, per poco non gli sbatteva quella graziosa testolina
castana dritta contro il muro. La sua povera carta di credito avrebbe pianto
per mesi.
Troppo preso dal pensiero delle sue scarpe, non aveva notato che Kurt aveva
fatto per avventarsi su di lui e Rachel l’aveva
afferrato per il colletto della giacca.
«Ok, stasera siamo tutti nervosi» fece lei, con ancora la giacca di Kurt
stretta nel pugno, «ma cerchiamo di fare qualcosa di buono per quel testone»
indicò Noah intento a grattarsi la testa e roteò gli
occhi.
Kurt, con occhio critico, si avvicinò al malcapitato e lo guardò come se non
fosse altro che un pezzo di stoffa da trasformare in un paio di pantaloni.
«Potrei spuntare la parrucca, quei capelli sono troppo lunghi» inclinò la testa
di lato, mentre Noah continuava a guardarlo con astio,
«e magari spettinarli un po’.»
«Mi sento come un tacchino al Ringraziamento»
«Zitto tu» disse Rachel, per poi tornare a parlare
con Kurt, «E per la faccia?»
«Userò un po’ della mia magia»
Il povero Noah, seduto sulla sedia girevole della
scrivania di Quinn, aveva passato l’ultima mezz’ora con le mani gelate di Kurt
sulla sua faccia.
«Quindi adesso che sarei?»
«Se Santana arriva con i denti finti, saresti un vampiro. Altrimenti saresti un
pazzo con le venature sotto gli occhi» rispose Kurt, calandogli la parrucca
spettinata sulla testa.
Non aveva niente del vampiro, ma almeno non sembrava più una sottospecie di
cantante posseduto, e questo era già un gran passo avanti.
«Era meglio Marilyn Manson» disse Dave che era andato
ad aprire la porta. Santana e Brittany entrarono in
casa trafelate e con i costumi sgualciti.
«Ecco di denti» Santana lanciò il pacchetto di plastica a Kurt e sbuffò,
«Abbiamo dovuto girare tutto il Village per trovarli»
La ragazza si voltò verso l’altro amico e incrociò le braccia sotto il seno.
«Alla fine hai fatto come ti ho detto, ti sta bene il costume»
«Sei come Mr. Smee*» mormorò Brittany,
assorta. Dave fu sul punto di rispondere in malo modo, ma
venne interrotto da Kurt che, con un urletto di gioia, esclamò: «Ecco, adesso
sei perfetto!»
«Non riesco a parlare con questi cosi in bocca» la frase che ne uscì era un
misto di parole incomprensibili e rauche.
«E allora non farlo, non si capisce niente» ridacchiò Rachel
calandosi meglio il cappello nero a tesa larga sulla testa.
Gli ultimi ad arrivare furono Mike e Quinn, il primo quasi fin troppo
orgoglioso della sua uniforme da capitano e la seconda infreddolita dal
vestitino troppo corto.
«Eccoci, siete pronti?» la ragazza salutò le ragazze con un bacio sulla guancia
e i ragazzi con una smorfia. Ma lei faceva sempre così, quindi ormai ci erano
abituati. L’unico tra i ragazzi a non aver ricevuto una smorfia era Dave, ma solo perché non l’aveva ancora visto.
«Ehi, Campanellino» la salutò lui.
Quinn si voltò e, dopo un’attenta analisi dell’amico, sorrise vittoriosa perché
almeno qualcuno quella sera indossava un costume collegato al suo. «Oh, ciao
Spugna!»
«Sono Jack Sparrow!» esclamò lui, esasperato. I
ragazzi, nessuno escluso, lo guardarono ilari e risposero con un “Certo”
tutt’altro che convinto, facendolo cadere seduto su una poltrona, rassegnato.
Alla festa di Halloween, l’importante era arrivarci vivi.. ma non era più tanto
certo di poter mantenere la promessa.
*Mr. Smee è il pirata Spugna di Peter Pan.Giusto per chi non lo sapesse.. e non lo
sapevo neppure io, l’ho sempre chiamato Spugna!
Ecco, la piccola One-Shot è finita, possiamo andare
in pace.
Vi aspetto lunedì con un altro capitolo della long e con una nuova piccola
storiella di questa raccolta che sarà incentrata su.. le Brittana!
Olè, finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa su
di loro!
E adesso, dopo l’Happy Halloween che oggi è proprio tanto importante, vi lascio
festeggiare.
Buon inizio di settimana, Alessia.