Until The End [Vecchia]

di __Aivlis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Nuovi Inizi ***
Capitolo 3: *** Proiettili ***
Capitolo 4: *** Marchio a fuoco ***
Capitolo 5: *** 4 - Continua a sorridere ***
Capitolo 6: *** 5 - A mezz'aria ***
Capitolo 7: *** 6 - Equilibri Instabili ***
Capitolo 8: *** 7 - Rimorsi ***
Capitolo 9: *** 8 - La forza del mondo ***
Capitolo 10: *** 9 - Tradimenti ***
Capitolo 11: *** 10 - Il silenzio non esiste ***
Capitolo 12: *** 11 - Wishing the clock would stand still, the world can wait. ***
Capitolo 13: *** 12 - We're all so weak, no matter how strong ***
Capitolo 14: *** 13 - With my back against the wall ***
Capitolo 15: *** 14 - Danger Line ***
Capitolo 16: *** 15 - He was a shooting star... ***
Capitolo 17: *** 16 - Prova a ricominciare ***
Capitolo 18: *** 17 - Still Alright ***
Capitolo 19: *** Epilogo - Memorie di spettri ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


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Capitolo 2
*** Nuovi Inizi ***


© Amor vincit omnia.

Disclaimer.
Questa fan-fiction è in gran parte frutto della mia fantasia. Lo scheletro di partenza si basa su fatti realmente accaduti o gossip di rete, e ruota attorno a personaggi già esistenti, quali i membri della band, Joel Madden per questo capitolo ed eventuali affiliati. Non è scritta a scopo di lucro e non vuole dare un'idea, neanche vaga, sul reale profilo dei personaggi succitati, realmente esistenti. Pertanto, tutto ciò che è di mia invenzione, personaggi quali Eloyn e Chelsea, Annalyse, o comunque sia tutto ciò che non ruota realmente attorno agli Avenged Sevenfold, proviene appunto dal mio cervello e dalla mia fantasia. Non vi venisse in mente di riprodurla interamente e/o in parte, o di spacciarla per vostra perché non vi conviene.

14 settembre 2009, Huntington Beach

Eloyn cammina da sola per le strade di Huntinghton Beach, la città dove è appena arrivata. E' una ragazza non troppo alta e dai lunghi capelli corvini; la pelle color neve contrasta con l'ambiente soleggiato tipico della California e gli occhi sono verde smeraldo - bellissimi - di quelli che ti smascherano, di quelli che sorprendono, - trasparenti - puoi leggerci dentro una vita intera; i lineamenti del viso sono leggeri, giusto accennati, ma ogni linea si lega perfettamente alla successiva; la corporatura è magra ed esile, le gambe lunghe e slanciate, sembra che basti un soffio di vento a farla cadere in pezzi, questo viene smentito dalla camminata decisa di chi sa cosa vuole e come ottenerlo. Il suo abbigliamento è semplice: pantaloncini corti di jeans scuro, una felpa nera e scarpe da ginnastica, adatto al il clima fresco delle serate californiane, quando c'è ancora il sole ma tira una fresca brezza che fa venire i brividi.
E' arrivata in questa città da poco meno di due ore, ha già prefissato il suo obbiettivo e lo sta raggiungendo.

La sua vita è stata costellata da obbiettivi da raggiungere, ogni volta diversi. I suoi genitori le hanno sempre insegnato a porsi dei paletti prima di fare qualsiasi cosa, a prefissarsi un percorso e ad andare avanti seguendolo alla lettera. Questo vale anche per le piccole cose, come, per esempio, trovare la via di casa della sua amica Chelsea. 
Chelsea è sempre stata la sua migliore amica sin dai tempi dell'asilo e da quando se ne era andata da Washington, la loro città, un mese prima, la sua vita era cambiata troppo radicalmente.
Trasferirsi ad Huntington Beach era sempre stato il loro sogno di bambine; volevano incontrare la loro band preferita, gli Avenged Sevenfold, e ci sarebbero riuscite a tutti i costi. 
Quando sei bambina ti innamori dei tuoi idoli, è normale; sogni tutti i giorni di vivere storie assurde con uno di loro, anche se sai che sono sogni che non potranno mai avverarsi. La differenza è che il loro sogno era durato anche dopo il diploma, questo faceva pensare che, forse, non era un sogno così irraggiungibile. Gli Avenged Sevenfold e le loro canzoni erano sempre stati, per loro, altri dei loro pochi punti fissi nella vita, le avevano salvate innumerevoli volte e la voglia di conoscerli era aumentata di giorno in giorno.
D'improvviso Chelsea aveva deciso di farlo; era partita, aveva lasciato tutto ed era andata a vivere ad Huntinghton. Il fine primario era quello di cercare una vita diversa. Chelsea non era mai stata una ragazza abitudinaria e, dopo 20 anni di monotonia, costretta nella sua stessa città, aveva deciso di reagire. Era arrivata a un punto di non ritorno e perfino uscire di casa per fare la spesa gli costava una fatica immane. Così era partita senza dare troppe spiegazioni, decidendo che chi doveva capire lo avrebbe fatto senza troppi giri di parole. Era ovvio che avrebbe scelto Huntinghton come meta, avrebbe approfittato del trasferimento per andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, e magari avrebbe anche avuto l'occasione di incontrare i suoi idoli. 
Eloyn non l'aveva seguita, non ne aveva avuto il coraggio. Delle due era sempre stata la più debole in qualsiasi cosa e anche in quel caso non si era smentita, non era partita. Solo che quando qualcuno a te caro ti lascia senti il il bisogno di riaverlo con te ancora una volta, allora ne aveva approfittato: si era posta un nuovo obbiettivo e l'aveva raggiunto. Aveva preso il primo volo per la California e ora era su quel marciapiede alla ricerca di una via a lei sconosciuta. Dopo tre o quattro chilometri di camminata decise che era il caso di chiamare Chelsie e farsi dire per l'ennesima volta la strada per ritrovare la casa.
Prese il telefono dalla tasca e compose il numero che ormai sapeva a memoria.
« Chelsie, non riattaccare, sono ancora io »

Probabilmente la sua amica doveva averne avuto abbastanza di tutte quelle chiamate e così, ciò che disse, lo disse tutto d'un fiato, prima che Chelsie interrompesse la chiamata.
« Dio, Eloyn, sei un disastro! Dove sei? » fu la risposta sarcastica.
« Ehm.. non lo so di preciso, in una grande piazza con una palma enorme al centro »
« Potevi dirlo prima!! Sono a due isolati da li, ok? Allora, dietro alla palma dovrebbe esserci un negozio di dolciumi, no? »
« Si, lo vedo. »
« Bene, sulla destra c'è una stradina buia molto stretta, segui quella. Dovrebbe portarti in una via principale, proprio sul lungomare, costeggiata da molte villette a schiera. La mia è la prima sulla tua sinistra. »
« Ok, ci provo. Se mi perdo ti richiamo.. »
« No! Non ci provare! Se ti perdi rimani fuori tutta la notte! »
« Ah ah, ok ok. »
Eloyn rimaneva sempre sorpresa dalla spontaneità di quella ragazza, era sempre pronta a scherzare su tutto anche se, infondo, non era difficile pensare che avrebbe potuto veramente lasciarla a dormire fuori tutta la notte.
Trovandosi davanti al negozio di dolciumi, Eloyn, con la sua passione per tutto ciò che contenga zucchero, ne approfittò per fare la scorta di caramelle gommose che piacevano tanto anche alla sua amica; le avrebbe fatto una bella sorpresa. Uscì al negozio soddisfatta dei suoi 17 dollari di spesa totale e si diresse nello stretto vicolo che le era stato indicato. 
Era una stradina buia e chiusa, tra una casa e l'altra, davvero un ottima location per un film horror, che sfociava, però, in quella che avrebbe potuto catalogare sicuramente tra le strade più belle e luminose che aveva avuto l'opportunità di vedere in quella città.
Una strada principale divideva il mare e la spiaggia dalla serie di villette a schiera che le erano state descritte, in perfetto stie Orange County: quello era sicuramente il suo sogno che diventava realtà. 
La prima casa a sinistra era una delle più belle e lussuose, si poteva benissimo vedere la piscina nel giardino sul retro e un piccolo giardinetto davanti. Quella sarebbe stata la sua abitazione per il resto della sua vita? Lo sperava con tutta se stessa.
Era di proprietà dei genitori di Chelsea ma era intestata alla figlia; Eloyn era al corrente della ricchezza della famiglia di Chelsea, non che lei fosse da meno, ma non pensava che potesse arrivare a tanto.
Improvvisamente la stanchezza della lunga camminata si fece sentire, così Eloyn si catapultò al campanello vogliosa di mettere giù tutto e farsi un lungo, rilassante e infinito bagno caldo. 
La ragazza dovette arrivare ad attaccarsi con il dito al piccolo pulsante di bronzo perché qualcuno aprisse la porta. Non appena vide il viso di Chelsea con uno dei suoi sorrisi più grandi, Eloyn non poté non saltargli al collo in una abbraccio; le era mancata da morire e il pensiero che avrebbero vissuto insieme per il resto dei loro giorni la faceva urlare di gioia.
« Eloyn! Ce l'hai fatta, finalmente!! » un urlo invase l'atrio di casa.
« Si, pazza! Cosa credevi? E ti ho portato anche una sorpresa.. » fece per mettere una mano in borsa per cercare il pacco gigante di caramelle per la sua amica quando si accorse della musica che proveniva dai piani superiori: Afterlife degli Avenged Sevenfold.

« Allora ti tratti proprio bene! Ma con la musica così alta i vicini non protestano? »
Tirò fuori il pacco e vide gli occhi di Chelsea illuminarsi come quelli di una bambina. Dovette agitargli una mano davanti al viso per avere la sua attenzione.
« Eh? Ah, si! No, sai com'è, con i muri insonorizzati.. »
« No, aspetta! Questo significa musica a tutto volume per il resto dei nostri giorni senza che qualche vecchia megera bussi alla porta minacciandoci di chiamare i carabinieri? »
Questo non sembrava reale. Nella sua vecchia città abitavano in un quartiere di anziani e, ad ogni movimenti sbagliato o rumore molesto, ne usciva fuori uno minacciando la denuncia o chissà cos'altro.
« Ehi, siamo nel regno della gioventù, non esistono vecchi rompipalle nella West Coast! Qui anche i vecchietti hanno l'animo dei ventenni! »
Eloyn rise dell'umorismo della ragazza e si addentrò ancora di più nell'atrio.
Alla sua sinistra, un'enorme scala di marmo formava un semicerchio e portava ad un soppalco che conduceva, probabilmente alle stanze superiori, mentre, davanti a sé, l'atrio era ampio e si estendeva in lungo fino ad arrivare ad un più piccolo ma comunque immenso corridoio che conduceva alle altre stanze. Rimase incantata ad osservare la bellezza dell'arredamento e la cura dei particolari; era tutto arredato in stile classicheggiante, il colore predominante era il crema che veniva abbinato ad un legno scuro che rifiniva le scale, i battiscopa e gli infissi. Sembrava davvero di essere in una serie televisiva californiana: era molto meglio di ciò che si aspettava.

Nonostante Eloyn fosse rimasta incantata dalla bellezza di quel posto, sentì il bisogno impellente di farsi una doccia, così non esitò a chiedere a gran voce di poter esaudire i suoi desideri all'amica. Chelsea mostrò subito la camera ad Eloyn che fu felice di vedere che le due avrebbero dormito nella stessa stanza. La casa era talmente grande che disponeva anche di altre stanze dette "degli ospiti", dotate di letto matrimoniale, che sarebbero servite, a detta di Chelsea, "in caso di emergenza".
« Lo sai bene che se non ci porto Zacky Vengeance non ci porto nessun altro in queste stanze! » disse Eloyn all'amica che già la guardava con aria arresa: era al corrente della sua cotta per Zacky, ma a volte diventava davvero logorroica, riusciva ad infilarlo dappertutto.
« Tu e i tuoi obbiettivi! Con questa tenacia mi farai credere che li incontreremo davvero! »
« Perché tu non ci credi? Siamo ad Huntington Beach, è una città molto piccola e ci sono anche loro, quindi.. »
« Mah.. in un mese che sono qui non li ho mai visti, sarà che sono uscita si e no due o tre volte... » Chelsea, a differenza dell'amica, non credeva poi così tanto che li avrebbero incontrati. Non che non ci sperasse, anzi, solo si rifiutava di crederlo possibile, semplicemente per non rimanere delusa. Eloyn a quella risposta la guardò con sguardo ovvio, con la promessa che da quel momento in poi sarebbero uscite quantomeno tutte le sere.
Avrebbero dovuto trovarsi un lavoro entrambe, Chelsea doveva assolutamente smetterla di vivere a sbaffo con i soldi dei suoi perché prima o poi sarebbero finiti, o meglio li avrebbe finiti e questo Eloyn lo sapeva molto bene.
Il soggiorno di Eloyn, la doccia, la dormita successiva e tutto il resto si svolsero tranquillamente sotto le note del Self Titled Album degli Avenged Sevenfold con sua somma gratitudine nei confronti di Chelsea. La sera stessa Eloyn avrebbe scollato Chelsea da quella casa e l'avrebbe portata fuori, nel locale più metal che conoscevano, nella speranza di incontrare i propri miti e soprattutto di passare una meravigliosa serata.
Si prepararono entrambe al meglio che potevano. Chelsie indossò un tubino molto sexy sui toni dell'azzurro, del colore dei suoi occhi, che si intonava molto bene anche con l'incarnato chiaro e i capelli rossastri, che lasciò sciolti a formare delle ampie onde a circondarle il viso.
Eloyn optò per qualcosa che mettesse in risalto il suo fisico, così decise di indossare una gonna in jeans veramente molto corta con un top dalla scollatura vertiginosa sulla schiena, i capelli raccolti in un non-troppo-elegante chignon con qualche ciocca di capelli che le incorniciava il viso. 
Appena furono pronte si avviarono verso la porta ed Eloyn fu felice di sentire che non sarebbero andate a piedi. « Ho la macchina, che pensi! »

E che macchina! Eloyn non si intendeva molto bene di quattro ruote, ma sapeva bene che quando si trattava di macchine basse, nere, lucide e con un motore che era piacevole da ascoltare, doveva trattarsi sicuramente una macchina molto costosa.
« Allora, dove si va? »
« Pensavo di andare al Blurb, c'è più probabilità di incontrarli, in più il barista del sabato sera è una bomba sexy e i suoi drink sono divini. »
« Mi fido! Se poi c'è pure il barista sexy.. come dire di no? »


Il locale era un classico pub in stile country arredato con panche e tavoli di legno rovinato; anche il bancone era dello stesso materiale e le luci soffuse creavano un'atmosfera da film Western che cozzava con la musica puramente Metalcore che passavano alla radio. La stanza principale era di media grandezza, nella parete in fondo c'era un grande bancone dove sostava il famoso barista sexy. Sullo sfondo c'erano delle scaffalatura colme di bicchieri da birra e bottiglie di superalcolici di ogni genere, sul lato destro della stanza dei tavoli già gremiti di gente erano accostati alla parete, mentre sulla sinistra c'erano due archi che collegavano la stanza principale ad altre due: una era la sala del biliardo, l'altra una semplice stanza più appartata arredata con altrettanti tavoli. Non era precisamente il locale dei loro sogni ma a quanto pareva era il meglio che avessero trovato.
Appena entrate, le due ragazze si appostarono al bancone, pronte a fare indigestione di alcol. Era il classico locale adatto per bere birra; in un posto del genere si era sicuri di trovare qualsiasi genere o marca ma nonostante questo le due optarono per i superalcolici,pensando che, dopotutto, l'ambiente già cozzava da sé, allora tanto valeva completare l'opera.
In Eloyn si era già insediato uno strano sentore, un inizio di ansia crescente, come se ci fosse qualcuno o qualcosa dietro l'angolo pronto a spaventarla. Riduceva i movimenti al minimo, per paura che qualsiasi gesto brusco avrebbe interrotto quel meccanismo per il quale erano in quel locale, in una Huntighton Beach tanto agognata e in cerca dei loro idoli di sempre. Era un situazione assolutamente irreale, se ne rendeva conto. Si sentiva come se fosse prigioniera in una bolla di sapone, sarebbe bastato un soffio per farla scoppiare; la differenza, però, è che dentro a quella bolla lei ci stava da dio e la sua volontà non avrebbe mai permesso a nessuno di rompere quell'incantesimo che l'aveva avvolta da quando aveva messo piede in quella città, la città dei suoi sogni da bambina. 
Iniziarono con i primi shot: vodka alla menta, rum e pera e ancora vodka. Le risate cominciavano ad aumentare, così come anche il volume delle loro voci e il livello di alcol in circolo nei loro corpi. L'aria iniziava a scaldarsi, ed erano passati solo quindici minuti, durante i quali le due erano rimaste incollate al bancone con gli occhi puntati verso la miriade di bottiglie di alcolici. Rimanere con lo sguardo rivolto al muro era un comportamento poco giustificabile, dato che si trovavano in un pub, ma il solo pensiero di potersi voltare e trovarsi davanti i loro miti o chissà quale altra star suscitava in loro un certo sconforto. Al quarto shot Eloyn, che stava per afferrare il bicchierino, iniziò a fissare con aria basita un punto impreciso dietro all'amica.
« Ehi Eloyn, che ti prende?
» Chelsea fece per girarsi e guardarsi alle spalle « Oh, cazzo! - Si era accorta anche lei, adesso: dietro di lei sostava Joel Madden, cantante dei Good Charlotte, altra band a loro molto cara. Il ragazzo era davvero molto vicino a Chelsea, o almeno quanto bastava per sentire chiaramente l'esclamazione della rossa. Quando si girò per controllare chi avesse imprecato in maniera così palese si accorse anche dello sguardo incredulo dell'altra e così capì che le due erano potenziali fan.

« Salve belle ragazze, posso offrirvi qualcosa? » Stava decisamente esagerando, se ne rendeva conto da solo. Joel, dall'alto della sua modestia, si divertiva spesso ad attaccare bottone con persone che, magari, potevano essere sue fan, e la cosa che lo divertiva di più erano le espressioni sconcertate e assolutamente impagabili della gente, come in quel caso quelle due ragazze.
« Tutto bene?
» Sì, stava decisamente esagerando. Lo poté decretare con certezza quando vide la mora annaspare cercando di riprendersi.
Eloyn si ripeté più volte di mantenere il controllo, ma la cosa iniziava a sfuggirle di mano, stava facendo la figura della stupida e se ne rendeva conto da sola. Intanto, Chelsea guardava il ragazzo con aria adorante, cosa che divertì molto il cantante.

« Si-una-birra-grazie » Gli occhi di Chelsea erano quasi lucidi per l'emozione e la frase che uscì dalla sua bocca suonò decisamente troppo vicina alla realtà, fece esprimere involontariamente tutta la sua adorazione nei confronti del cantante e del suo gruppo.
« Due birre, scure
»

Scure, proprio come piacciono a me fu il primo pensiero della ragazza. Era rimasta decisamente affascinata da Joel, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, era catturata da tutti i suoi lineamenti. E tutto questo perché lui era Joel Madden! Quel Joel Madden, il suo secondo amore d'infanzia, subito dopo i capelli del Syn.
« Sono di là, nella sala del biliardo con degli.. amici. Mi piacerebbe presentarveli, che ne dite? Ah comunque piacere io sono Joel » disse lui appoggiandosi con un gomito al bancone e incrociando le gambe mentre beveva un lungo sorso dalla bottiglia di birra che aveva in mano. Era un cazzone
 e se ne rendeva conto. Si divertiva troppo a prendersi gioco della gente così facilmente. Era più forte di lui. Il suo animo intraprendente rischiava di rasentare la strafottenza in quei casi, basti pensare che aveva cercato di rimorchiarle ancor prima di aver saputo i loro nomi. 
Gli sguardi delle due si fecero sempre più increduli, Eloyn era ormai nel mondo dei sogni, persa tra mille esclamazioni, nessuna delle quali, però, riuscì ad arrivare fino alle sue corde vocali. 
« Ci sto!.. » Chelsea decise di prendere la palla al balzo, sfoderando anche lei la sua intraprendenza e ridestandosi da quella nuvola di adorazione che le si era creata intorno nel giro di pochi minuti. Questa esclamazione improvvisa fece sobbalzare gli altri due per motivi diversi. Da un parte Eloyn era stata brutalmente riportata con i piedi per terra, ora conscia del fatto che Joel Madden era davvero lì e stava cercando di rimorchiarle nella maniera più palese; dal canto suo Joel fu sorpreso di vedere la rossa accendersi di fuoco. Tutto avrebbe pensato, tranne che quella ragazza, apparentemente tra le nuvole, potesse nascondere un animo così brioso. Si rimise in piedi, sempre con la birra in mano, e fece per avviarsi nella sala del biliardo, dando per scontato che le due l'avrebbero seguito. Infatti così fu: le due lo seguirono senza battere ciglio. Non si sarebbero mai e poi mai fatte scappare l'opportunità di passare una serata in compagnia di Joel Madden. Ormai erano entrate in quello stato mentale per il quale sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa di assurdo, e non gli avrebbe fatto effetto. Dopo essere state rimorchiate da Joel Madden, niente avrebbe potuto farle più effetto di quello. O almeno così credevano.
Seguirono il ragazzo fino alla stanza del biliardo quando i loro pensieri vennero smentiti da una visione celestiale. Eloyn fu catturata immediatamente dalla figura intenta a colpire una pallina con la stecca da biliardo, quasi sdraiata sul tavolo da gioco. Non riuscita a vedergli bene il volto ma poteva benissimo capire di chi si trattasse, avrebbe riconosciuto i lineamenti della sua fronte corrugata ovunque: Zacky Vengeance eri li davanti a lei che giocava a biliardo e scherzava con i suoi amici come se niente fosse. Ovviamente lui non poteva sapere cose stesse succedendo nello stomaco di Eloyn. Sembrava che la terza guerra mondiale avesse deciso di svolgersi proprio nelle viscere della mora a cui mancava apparentemente il respiro.
Chelsie dal canto suo non si rese subito conto di chi ci fosse nella stanza, solo dolo un po', notando lo sguardo sconcertato della mora se ne accorse: a pochi metri di distanza da lei vedeva perfettamente i capelli del 
suo Synister Gates. Andò in panico. « ..oh cazzo! Sono loro, sono loro! E adesso che facciamo? Che facciamo Eloyn? » sussurrò la ragazza all'orecchio dell'amica cercando di farle riprendere coscienza della situazione.
Era una di quelle occasioni che capitano una sola volta nella vita ed Eloyn non se la sarebbe fatta scappare: prese il coraggio a quattro mani e si avvio con passo deciso verso Joel che intanto, si era affiancato agli altri, ovvero gli Avenged Sevenfold al completo. Si fermò quando fu proprio davanti a loro, seguita dall'amica che si nascondeva dietro di lei.
Questa volta i ruoli si erano invertiti, Eloyn sfoderò tutta la sua tenacia, riuscendo a nascondere il suo turbamento e il tremore alle mani. Si avvicinò, stando attenta che la sua voce non esplodesse in un urlo acuto, che già cercava di farsi spazio tra le corde vocali. Chelsie l'aveva seguita in silenzio rischiando l'infarto quando si trovò a pochi centimetri dai capelli del suo Syn. Aveva una vera e propria fissa per quei capelli. A dire il vero Eloyn era arrivata a pensare che, forse, le interessavano più i capelli che l'individuo stesso.
« Complimenti al nostro Joel per l'ottimo buon gusto » esclamò una voce che Eloyn conosceva fin troppo bene, a furia di ascoltarne le interviste alla radio.
Zacky Vengeance aveva finalmente battuto un colpo alla pallina e si era rialzato da quella scomoda posizione. Ora era appoggiato alla stecca del biliardo e la stava squadrando da capo a piedi con i suoi occhi glaciali. Eloyn poté finalmente constatare che dal vivo erano tutta un'altra cosa. La colpirono come un proiettile, proprio al centro dello sterno, annullando tutto il coraggio che aveva cercato di tirare fuori fino a quel momento.
Arrossì non sapendo cosa dire. Anche lei, come l'amica, era in panico. In un altra situazione avrebbe sicuramente capito il complimento nascosto dietro a quella frase, ma in momenti come quello si tende a lasciare le opzioni migliori per ultime, e fu proprio quello che fece. Fece finta di niente, in realtà. Era sicura che il giorno successivo non avrebbe avuto ricordi ben nitidi di quel momento, vuoi per l'adrenalina in circolo, vuoi per l'alcool che aveva bevuto, ne era sicura. Ora non sapeva cosa fare, come attaccare bottone. Non si sarebbe di certo accontentata di una foto e un autografo. Non ora che era arrivata fin lì. Ma forse chiedere un autografo per attaccare bottone sarebbe stata la mossa migliore, aggirare l'ostacolo e, in seguito, mirare all'approccio diverso. Ovviamente tutti questi pensieri nella testa di Eloyn erano solo dei sentori, sensazioni non ben decifrate, dettate dal suo istinto. 
« Ragazzi, queste sono.. » improvvisamente Joel si ricordò che non avevano ancora fatto le presentazioni, intanto Eloyn lo stava ringraziando interiormente per aver distolto l'attenzione dei tutti dalla battuta di Zacky.
« Io sono Chelsea e questa è la mia amica Eloyn veniamo da Washington » furono le parole uscire dalla bocca di Chelsea per puro errore. In realtà erano le parole che erano rimaste cullate nei meandri della sua mente per il tragitto tra le due stanze e che, in quel momento, le erano uscite di bocca involontariamente. Per questo, non appena le parole finirono di fluirle via dalla bocca, si mise subito entrambe le mani a coprirsela, quasi a volersi scusare della spontaneità. Quel gesto suscitò il divertimento di molti nella stanza e fu coronato da varie risatine di tutti gli spettatori.
Eloyn sposto lo sguardo su Zacky, l'unico che non aveva accennato a risolini o robe varie alla vista della scena. Invece, continuava a guardarla e a percorrere ogni centimetro del suo corpo con gli occhi. Credeva che fosse la ragazza più bella del pianeta, ora se ne rendeva conto. E quegli occhi.. Quegli occhi così verdi l'avevano smascherato, erano gli occhi più belli che Zacky avesse mai visto in vita sua. Eloyn ricambiò lo sguardo e si accorse che aveva i capelli tirati su con il gel come ai tempi di All excess e questo la mandava in estasi. 
« E così siete nostre fan, eh? » La voce profonda del Signor Ombra irruppe prepotentemente nei pensieri di Eloyn che, nel frattempo, era immersa negli occhi di Zacky. Era una scena quasi imbarazzante, erano rimasti a fissarsi per tutto il tempo, dritti negli occhi, senza mollare la presa, nessuno dei due. Questo suscitava un emozione sempre crescente in Eloyn. Era qualcosa di diverso, non il panico per avere davanti Zacky Vengeance, ma un emozione per Zacky, solo Zacky, non il suo mito adolescenziale, quello ormai non esisteva più, ora c'era Zacky Baker davanti a lei, ed Eloyn era fermamente convinta che fosse la creatura più bella del pianeta.
Intanto Zacky continuava a fissarla, e più lo faceva più capiva, capiva che c'era qualcosa di diverso in quella ragazza, c'era qualcosa nel modo in cui lo guardava e che gli confondeva i pensieri, non riusciva nemmeno a mettere due parole in fila adesso che lei aveva piantato gli occhi sui suoi.
Fecero mente locale sulle parole di Matt. 
Cosa diavolo stava dicendo? O meglio, Come faceva a a saperlo?
« Dai, andiamo, non fate le difficili.. Si vede lontano un chilometro!! » Disse Matt, quasi le avesse letto nel pensiero, vedendo le facce preoccupate delle amiche.
Questo era imbarazzante! Il viso delle due avvampò di vergogna, non poteva essere così palese la loro assoluta adorazione per quei cinque, anche se, effettivamente, Eloyn non riusciva a contenersi, nemmeno se li sentiva solo nominare da qualcuno. E adesso che li aveva lì, di fronte a lei aveva davvero un'espressione da pesce lesso..
Improvvisamente dalla radio del locale provenì una canzone che tutti nella stanza conoscevano molto bene: era Burn it down, la canzone preferita di Eloyn. Al sentirla, le si illuminarono gli occhi. Era una scena perfetta: era lì con i suoi unici miti e come sottofondo la sua canzone preferita, guardando in faccia il volto di quella voce e i proprietari delle mani che suonavano gli altri strumenti. Appena iniziò il ritornello, si girò verso Johnny con sguardo quasi omicida, ricordava bene che nel ritornello di quella canzone il pezzo di basso la faceva sognare ogni volta. 
« Ehi, ehi! Che ho fatto, adesso? »

Il povero Christ era abituato ad essere sempre incolpato dagli altri anche per cose che non aveva fatto, questo aveva aiutato a far crescere in lui una coda di paglia di proporzioni epiche. Così, anche quella volta, sentì di aver commesso qualcosa di sbagliato.
Eloyn ci mise un po' a capire che lo aveva guardato forse con troppa insistenza, così il suo sguardo riprese naturalezza.

« Ehm.. ah no scusa è che questa è la mia canzone preferita e in particolare adoro la parte di basso nel ritornello.. allora, non so mi è venuto di guardarti.. scusa.. » disse in un sussurro e abbassò lo sguardo.
Johnny guardò prima Zacky, che stava ancora scrutando Eloyn, quasi sentisse anche lui il suo imbarazzo, poi di nuovo Eloyn e il suo cervello cominciò a macchinare qualcosa. Il suo sguardo si scontrò con quello di Jimmy che nel frattempo era stato attento a tutta la scena, perciò si era accorto anche lui degli sguardi che si erano scambiati Zacky e la ragazza. Gli occhi dei due J si illuminarono contemporaneamente e un idea meschina sfiorò le menti di entrambi, che annuirono inquietantemente. 
« Bene, ne sono onorato, l'ho scritto io quel pezzo! Allora.. » tornò a guardare Jimmy strofinandosi le mani chiedendo un segno di consenso, che arrivò subito dopo « ...potrei fartelo sentire live se vuoi...facciamo domani mattina a casa mia? Facciamo per le dieci e trenta? »
Ora gli sguardi di tutti, anche di Zacky, erano puntati su di lui, interrogativi tranne quello di Jimmy che aveva già capito tutto.
« Ehi Christ! E in quanto tempo l'avresti organizzato questo incontro? » chiese Brian che nel frattempo aveva attaccato bottone con la rossa e avevano iniziato a parlare del più e del meno.
« In ben 25 secondi, Haner! A differenza vostra, in questo cervelletto c'è ancora traccia di materia grigia! »

Ovviamente in pochi capirono la sottile ironia intrinseca nella frase, puro riferimento agli sguardi eloquenti dei due innamorati, Eloyn e Zacky.
In quel momento Eloyn non poté credere alle sue orecchie, non poteva davvero. Era tutto così irreale che si sarebbe potuta benissimo svegliare da un momento all'altro e rendersi conto che era tutto un sogno. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nella carne per controllare che provasse dolore e anche per scaricare la tensione. Era la realtà. E stava succedendo proprio a lei. Eloyn Mayer. 20 anni. Nazionalità Americana. Due gambe, due braccia, una testa.. ok c'era ancora tutta. Eppure non le sembrava, le sembrava come se ci fosse solo la sua testa, adesso, a galleggiare nel vuoto, tanto era eccitata.
Ancora non poteva sapere che avrebbe dovuto ringraziare il piccolo Christ per il resto dei suoi giorni..
«Ok, allora domani mattina vi passiamo a prendere noi, ok? Dove state? »
« Green Street, proprio sulla costa. Dalla piazza, la prima a destra »

Questa volta era stata Chelise a parlare, che per tutto quel tempo aveva proferito parola solo con Brian, e ne avevano proferite di parole, anche troppe..
« Tu vuoi dire che abitate in quella villa gigantesca con tanto di piscina? » Gli occhi di Jimmy si illuminarono al ricordo della villa che la rossa gli stava descrivendo.
« Ehm.. si, proprio quella.. »
« Bene, domani alle 10 e 30! » concluse Johnny.
Quella sera Eloyn e Chelsie avevano realizzato il sogno della loro vita.
Eloyn non riuscì a dormire molto, tanta era l'agitazione e la voglia di rincontrarsi con quel ragazzo, più che mai sconosciuto, in quel momento, ma che le aveva rubato l'anima, che era rimasta incastrata tra le sfumature dei suoi occhi e sarebbe rimasta li ancora per molto tempo...


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Capitolo 3
*** Proiettili ***


© Amor vincit omnia.


15 settembre 2009, Huntington Beach

Un raggio di luce si fece spazio tra le tende bianche.
Si doveva ricordare di chiudere le persiane la prossima volta. Se c'era qualcosa che Eloyn odiava davvero con tutta se stessa era essere svegliata dal sole sugli occhi.
Si stropicciò gli occhi e lentamente si svegliò.
Voleva avere una prova che tutto quello che era successo la sera prima fosse vero. Non voleva illudersi, non voleva crederci fino all'ultimo, quando qualcuno avrebbe bussato alla sua porta, o avrebbe fatto squillare il suo telefono. Le speranze sono solo incertezze. Ed era proprio l'incertezza che in quel momento governava incontrastata sul caos nella sua mente. Sono sensazioni che ti prendono: l'incertezza, l'incredulità. Ti prendono e non sai come affrontarle. Ti mandano in confusione con te stessa e la cosa migliore che potresti fare sarebbe rimanere ferma e aspettare che succeda qualcosa, qualsiasi cosa.
Non era il caso di Eloyn, non era mai stata capace di rimanere ferma, mai. Neanche quella mattina ci sarebbe riuscita. Svegliò Chelsea noncurante delle sue lamentele, noncurante del suo sognare. Perché qualsiasi sogno in confronto alla realtà, in quel momento sarebbe stato un nonnulla, una frase appena accennata.

Prima che potesse dire niente, ci fu attimo, un frammento di secondo in cui il suo cuore smise di battere per lo spavento: un rumore di rottura nel suo sterno fu soffocato dal brusco suono del campanello di casa. Sentì un velo gelido scenderle dalla testa in giù, gradualmente.
C'era comunque quella probabilità, l'ombra di una certezza. Poteva davvero essere uno di loro dietro la porta, magari persino lui.
Dopo essere rimasta un po' a contemplare immobile il caos di neuroni che si affrettavano affannati nella sua testa cercando di dare un senso logico alla situazione, si decise a muoversi.
« Hanno suonato! »
« E vai ad aprire allora, no? » disse l'alta, con la voce ancora impastata dal sonno. Rimise la testa sotto al cuscino. Poi ebbe un illuminazione, il suo cervello si riaccese bruscamente, tirò di nuovo fuori la testa dal cuscino con i capelli in confusione e gli occhi sbarrati.

«.. No, no, no.. no è possibile! ».
Fece un salto e si rizzò in piedi sul letto, apparentemente cercando qualcosa che non sapeva nemmeno lei stessa cosa fosse. Scese dal letto, sempre in panico e cercò con gli occhi l'amica che nel frattempo si stava spazzolando i capelli alla meglio per non sembrare uno zombie appena uscito dalla tomba.
« Chi era El? Chi ha suonato? ».
Ancora un altro suono dal campanello.
Le due si guardarono spaventate.

« Non lo so, non lo voglio neanche immaginare! »
« Bisognerà andare ad aprire »

Chelsea sembrava stesse impazzendo: non si muoveva ma i suoi occhi scorrevano velocemente l'intera stanza mentre con la mano teneva fermo il braccio dell'amica. Una scena esilarante.
« Io vado! » si fece coraggio Eloyn, liberandosi dalla presa dell'amica.
Allora Chelsea prese la spazzola dalle mani di Eloyn e iniziò a spazzolarsi furiosamente, più in fretta che poté, cercando di dare un senso a quella chioma di fuoco.
Eloyn era già nell'atrio, appostata davanti alla porta con la mano appoggiata sulla maniglia indecisa se aprire o meno. Senza pensarci aprì la porta giusto un po', quello che bastava per far spuntare fuori solo la testa e chiedere chi fosse. Come se dall'altra parte ci fosse qualcuno con un fucile pronto ad ucciderla.

Un po' per essersi ricordata di essere in pigiama e un po' per lo spavento nel vedere Jimmy in tutta la sua altezza, richiuse immediatamente la porta maledicendosi immediatamente dopo.
Suonarono di nuovo.

Ancora una volta Eloyn aprì la porta, questa volta con un po' di imbarazzo.
« Scusate.. » disse « ..è che.. no niente, sono in pigiama e.. in realtà mi avete spaventato. » accennò un timido sorriso che tornò subito ad essere lo sguardo agitato di prima.
« Ok, allora vi aspettiamo qua fuori ok? Siamo con la macchina di Zacky, vi portiamo in spiaggia, quindi portate i costumi.. » ammiccò Jimmy.
« Ma non dovevamo.. » Eloyn cerò di ricordare agli altri il vero motivo per cui si sarebbero dovuti vedere, poi ci ripensò: era con gli Avenged Sevenfold, decise che certi dettagli non sarebbero stati importanti da li in poi. « .. niente. Ci vediamo tra 5 minuti qua fuori.. » disse quasi in un sussurro prima di chiudersi la porta alle spalle.

Sostò qualche secondo con la schiena appoggiata alla porta e gli occhi chiusi, cercando di assaporare ogni sensazione, ogni profumo, tutto, di quel momento.
E così ce la stavano facendo, erano arrivare fin lì, ad un passo dal coronare il loro sogno.
Finalmente lasciò la porta e si diresse in camera. Appena svoltato l'angolo per il corridoio vide Chelsea intenta ad origliare, era evidente che, non appena la scorse si ritrasse subito e tornò in camera, imbarazzata. Anche Eloyn entrò e si fermò davanti all'amica che intanto si stava già cambiando, in fretta e furia. Con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso, sospirò. Non può essere vero, pensò.

Uscirono di casa con il costume già sotto i vestiti, come a non voler perdere tempo inutile. Per viverla, quella vita, una volta per tute.
Nel breve tragitto fino all'uscita del cancello Eloyn sentì il cuore salirle in gola e pulsarle violentemente da dentro. La sensazione le ricordò la sua prima recita scolastica, alle elementari. Si sentiva proprio come quel giorno in piedi di fronte a quei pochi genitori. Le venne in mente se fosse anche quella una piccola recita. Se quel nuovo posto non fosse solo una scenografia pre-montata, di quelle da due soldi, dove puoi immaginare di essere chi non sei e di fare ciò che non potrai mai fare.
Superato il cancello, li vide. Fu la scena più bella dell'intera vita. Decise di immortalare quel momento nella sua memoria cercando di assimilare ogni piccolo dettaglio.
L'aria fresca, il sole mattutino e la lieve nebbiolina tipica di Huntington in autunno. Cinque ragazzoni tatuati dai vestiti scuri e sciatti. Poco più in là, una grande macchina nera e lucida. Matt sostava appoggiato al cofano. Non era come la sera prima, quando Eloyn aveva potuto leggergli in faccia i sentimenti tanto bene che ne era rimasta colpita. Ora portava i suoi immancabili ray ban a specchio e tutto era improvvisamente più chiaro.

Ecco perché lo fa. Di tenere gli occhiali sempre addosso. Gli bastava davvero poco per mascherarsi a dovere. Imprigionato nel suo stesso ruolo di signor ombra. Quegli occhi così verdi stonavano con il suo ruolo. Per questo quegli occhiali sempre addosso, per paura. Paura del limpido in quei pozzi d'erba.
Johnny era seduto sul marciapiede, sigaretta alla mano, e cresta da moicano.

Dall'alto della sua statura, Jimmy sostava in piedi dietro alla macchina chiacchierando con Brian del più e del meno. Si bloccarono di colpo non appena le ragazze varcarono la soglia del cancello.
Poi lo vide, sotto l'ombra di un albero ingiallito dalla stagione. Con una mano in tasta e l'altra portata alla bocca per dare un tiro alla sua sigaretta, la fissò per un attimo interminabile. Poi spostò lo sguardo in un punto fuori da tutta quella scena.
« Voi donne non avete bene in mente quanti siano cinque minuti. »

Il tono improvvisamente espansivo di Brian sorprese Eloyn. Le faceva strano.
« Cafone! » lo rimproverò Jimmy accompagnandosi con una grossa sberla. « Forza, partiamo altrimenti non facciamo in tempo. Zacky buttò fuori l'ultimo alito di fumo mentre schiacciava con il piede il mozzicone caduto atterra. Si avvicino agli altri. Aveva una camicia a righe verticali e orizzontali sui toni del celeste aperta sotto ad una T-shirt a maniche corte. I piercing al labbro inferiore scintillavano al sole.
Johnny passò intorno alle due ragazze e aprì la porta dello sportello anteriore.

« Chi delle due sta davanti? »
Chelsea andò da Brian che intanto la invitata ad entrare con un gesto del braccio.
« Sono abbastanza galante, adesso, Jimmy? »
« Sì, direi che così va molto meglio. » ridacchiò l'amico, divertito.
Così Chelsea si ritrovò schiacciata tra due armadi a muro tatuati, cosa poteva desiderare di più dalla vita?
« E Johnny dove lo mettiamo? » chiese Eloyn, posizionandosi sul sedile, notando che mancava un posto.
« Portabagagli.. » finalmente l'oggetto della sua adorazione parlò. « .. lui va sempre nel portabagagli quando non c'è posto, è come un cagnolino domestico.. » rise. Bello come non mai, tanto che Eloyn quasi non fece caso alla battuta crudele rivolta al piccolo Christ. Così mise in moto e partì tra i borbotti di lamento di Johnny sul perché non fosse necessario dergli del cagnolino domestico.
Partirono sullo sfondo del sole cocente. Zacky odiava il sole, lei lo sapeva. Non appena un raggio di luce lo colpì in volto inforco gli occhiali da sole, leggermente infastidito. Lei rise.
« Perché mi guardi e ridi? »
« Niente, pensavo una cosa.. »
« Cosa? »
« No, niente di importante »
A quello scambio di battute calò il silenzio su tutta la macchina. Tutti gli altri sapevano cose c'era tra quei due, era stato palese sin dalla sera prima quando non avevano smesso un secondo di cercarsi con lo sguardo. Così anche quando furono in spiaggia e si furono sistemati, non smise mai di cercare i suoi occhi.
La mattina passò indisturbata con la sabbia tra le dita.

Ad un tratto Jimmy prese Chelsea e la buttò in acqua. Era nato un certo feeling tra i due e l'attenzione di Chelsea nei confronti dei capelli di Brian si era spenta quando questi si erano bagnati e di conseguenza afflosciati. Proprio in quel frangente di tempo successe ciò che Eloyn non avrebbe mai immaginato: stava parlando distrattamente con Johnny in piedi in mezzo alla spiaggia del più e del meno quando all'improvviso Zacky, seguendo l'esempio di Jimmy, la tirò su di peso, come il principe azzurro con la principessa, esclamando « Te la rubo un secondo! » Il cuore della mora iniziò a battere, forte, troppo forte, faceva quasi rumore.
Vide il viso di Zacky a pochi centimetri dal suo, poteva sentire sulla pelle del viso il suo respiro affannato, sapeva di buono, di fresco.

Avevano iniziato a prendere confidenza quella mattina stessa. Erano seduti sul bagnasciuga osservando i loro amici fare i matti in lontananza quando lui gli aveva detto: « Perché sei qui? » Lei a quella domanda si era trovata in difficoltà. Perché era lì? Quale era la vera motivazione?
Lei aveva subito cambiato argomento, facendo qualche stupido riferimento al tempo. A lui non era sfuggito niente.
« Ma dove mi porti? » chiese lei ancora in braccio a Zacky.
« Al faro.. » si voltarono entrambi di scatto l'uno verso l'altro « .. perché fai quella faccia? » solo in quel momento Eloyn si accorse del suo sorriso ebete, arrossì.

Appena furono arrivati Eloyn tocco terra con i piedi e si fermò ad osservarlo. Si voltò verso il faro.
« E' bello. » disse.
« Già.. »

Zacky aveva paura, era messo in soggezione da quelle gambe lunghe e slanciate, da quella pelle di velluto del colore della neve e soprattutto, da quei fottutissimo occhi verdi.
« Perché mi hai portata qua? »

« Per farti vedere questa città con i miei occhi. » dichiarò lui deciso. « Di primo impatto fa effetto a tutti. Certi la odiano, altri la amano. Nessuno di loro vede questo posto come lo vedo io. Credo che questo faro sia uno dei posti che rappresentano di più Huntington. E' il luogo più bello che conosco. »
Sapeva cosa stava cercando di fare. Sentiva le emozioni di lui come se fossero anche sue. Quel posto era davvero magico.
Quella ragazza gli stava bruciando tutti i neuroni nel cervello, era ufficiale.
Lo capì quando il suo respiro in bocca con il silenzio intorno a loro. Ormai ogni movimento veniva da sé, niente era più sotto il loro controllo e le loro bocche si facevano sempre più vicine ad ogni secondo che passava.

Tutto quello che stava succedendo era dannatamente sbagliato nella mente di Eloyn. Lei non era che l'ennesimo ripiego, e quando si sarebbe stufato di lei, del suo corpo e del suo essere logorroica l'avrebbe buttata come si fa con i vestivi vecchi. Non era che una delle tante e tutto ciò che significava per lei non sarebbe stato lo stesso per lui, perché lui era Zacky Vangeance, infondo, e per quanto cercasse di convincersi che anche lui era una persona come tante, sapeva che non lo era affatto. Era una rock star, con un passato di nove anni di successo alle spalle e la sua vita era stata sicuramente costellata di ragazze come lei.
Quel momento non sarebbe dovuto esistere.
« Forse sarebbe meglio tornare dagli altri, si chiederanno dove siamo finiti »

Ma il suo corpo non accennò a volersi muovere. Aveva parlato rimanendo nella stessa posizione, a pochi millimetri dal suo naso. Non voleva soffrire, non un altra volta. Le era bastato aver sofferto sei mesi per il suo vecchio fidanzato; era anche uno dei motivi per cui era partita da Washington, voleva ricominciare a vivere di nuovo anche senza di lui. Voleva dimostrare al mondo che Eloyn Mayer non si tira indietro di fronte a niente, voleva smetterla di fare l'immatura e continuare a rimanere chiusa in casa a torturarsi con mille quesiti. Era stata davvero molto male e ora che l'aveva superata, non voleva cascarci di nuovo. Si era creata un corazza che le impediva di avvicinarsi di nuovo all'amore. Era diventata un blocco di ghiaccio impossibile da sciogliere. O almeno così pensava, fino alla sera prima, quando quegli occhi, invece, l'avevano fatta sciogliere, ma non tanto da permettergli di fare ciò che stava per fare. Si voltò e si avviò verso gli altri.

La mattinata continuò senza esitazione, senza mai prendere respiro, tutta d'un fiato. E le due ragazze cominciavano già ad abituarsi alla presenza del gruppo nella loro vita. Cominciavano a vederla come una cosa normale, come se lo fosse davvero.
« Andiamo a casa nostra? » ancora una volta il piccolo Christ si era rivelato più utile di quanto tutti pensassero. Infondo era merito suo, e in parte anche di Jimmy, se adesso erano lì, tutti insieme; ed era colpa sua, invece, se adesso Eloyn doveva fare i conti con le sue crisi esistenziali.
In pochi minuti, spinti più dalla fame che dalla voglia di muoversi, tutti raccattarono le loro poche cose che avevano portato e si avviarono verso la macchina.
« Quindi voi vivete insieme? » Eloyn era vicina a Zacky ma la domanda era rivolta in generale. Tornati dal faro, infatti, i due non si erano scambiati più neanche una parola, neanche uno sguardo, nemmeno si erano più sfiorati.
« In un certo senso.. soprattutto in questo periodo, con un CD da scrivere è molto importante che rimaniamo insieme quasi ogni istante.. »

Il gruppo in quei giorni era alle prese con il suo ultimo album. Jimmy continuava a ripetere che avrebbe cambiato il mondo e, a forza di sentirglielo dire, anche gli altri si erano quasi convinti che sarebbe stato così. Insomma, ciò che avevano attualmente per le mani non era niente male, ma erano ancora in alto mare.
Le ragazze avano sentito vociferare già dai fan di un presunto nuovo CD, ma sentirlo dire dal grande Synyster Gates in persona faceva tutto un altro effetto, dovevano ammetterlo.

Casa Sevenfold era una villa enorme, con un grande giardino, una piscina, un atrio immenso e un porticato. Ma la casa vera e proprio si ergeva lungo i due piani di altezza tappezzati da milioni di camere differenti dall'uso apparentemente vago. C'era una sala musica dove c'erano tutti gli strumenti della band e dei macchinari per facilitare il lavoro, Eloyn ne fu subito attratta.
Tutti si misero subito alle prese con i fornelli, chi rovistando nella dispensa, come Matt, Chelsea e Jimmy, chi, invece, come Eloyn e Brian, cercando un punto di inizio nel frigo. Altri invece stavano semplicemente seduti sul divano della cucina a guardare gli altri lavorare, come Zacky e Johnny. In particolare Zacky si soffermava spesso su Eloyn, avendo l'occasione di osservarla passando inosservato, dato che lei sembrava quasi aver dimenticato la sua presenza, cosa che infastidiva molto il ragazzo.
Quello che Zacky non poteva sapere era che, in realtà, Eloyn sentiva la sua presenza forte ogni minuto, come un pericolo alle sue spalle e, per paura, non osava rivolgergli lo sguardo. Entrambi sapevano quale era il motivo, Eloyn più di Zacky dato che era stata lei ad andarsene. Zacky pensava solamente che il sentimento non fosse ricambiato e si sentiva una merda per questo.
Finalmente dopo varie peripezie riuscirono a mangiare qualcosa di commestibile e digeribile e decisero di rimandare le faccende domestiche al pomeriggio inoltrato.
Avevano mangiato tutti davvero come degli animali e, dopo la mattinata stancante, sentivano tutti il bisogno di una dormita o solo di riposare un po' spalmati sul divano del grande salotto.

Ad Eloyn e a Chelsea vennero concesse due camere matrimoniali dove, se volevano, potevano riposare. Entrambe ci si fiondarono, per via del sonno.
Chealsea si buttò immediatamente tra le lenzuola bianche dell'enorme letto e, dopo pochi minuti, qualcuno bussò alla porta.
« Chi è? » la voce di Chelsea era già un po' insonnolita, tanta era la stanchezza.
« Jimmy » così la rossa si ricompose subito e si mise a gambe incrociate.

« Avanti »
« Disturbo? »
« No, figurati.. mi stavo solo riposando un po' » in realtà si stava per addormentare, e quell'intrusione non era propriamente gradita, ma questo, lei, al grande The Rev non l'avrebbe mai detto.

Avevano passato la mattinata a raccontarsi come due bambini curiose, a scherzare ad ogni minima battuta, anche per niente a volte.
« Allora, venite da Washington, giusto? »

« Si, ma ad Huntington si sta molto meglio.. »
« Si è una bella città.. »
« Favolosa.. » gli aveva dato la possibilità di realizzare i suoi sogni, cosa poteva chiedere di più? « .. e mi ha fatto incontrare voi, è abbastanza... » questo non era stato programmato, non voleva veramente dirlo, ma lo disse lo stesso.
Certo, cosa poteva desiderare di più? Una giornata con i suoi idoli di sempre, in camera con il suo batterista preferito, niente sarebbe potuto andare meglio, se non..
Se non fosse stato per le labbra di Jimmy improvvisamente premute sulle sue.
Fu un bacio feroce, di quelli che tolgono il respiro. O perlomeno a lei il respiro glie lo aveva tolto, decisamente. La casa era silenziosa e in quel piccolo angolo di una villa immensa nessuno li avrebbe mai sentiti. Presi dalla passione del momento cominciarono a togliersi i vestiti mentre le loro lingue ballavano nelle loro bocche. Jimmy, rimasto con solo i bermuda, si alzo, chiuse la porta a chiave e chiuse anche le tende, per evitare inconvenienti. In quei pochi secondi che lui fu lontano, Chelsea sentì il suo viso avvampare di vergogna per essere rimasta in costume. Nel giro di pochi secondi sia i bermuda di Jimmy, che il costume di Chelsea andarono a fare compagnia agli altri vestiti.
La camera era scura, adesso e i corpi dei due erano nudi sotto le lenzuola. Chelsea schiacciata dal peso del corpo di Jimmy sentì i battiti del suo cuore accelerare sempre più ad ogni bacio.
« Jimmy ..Jimmy.. aspetta.. » lui percepì la paura nella voce della ragazza, così si fermo e la guardo, per quello che la poca luce gli permetteva di fare.
« C'è qualcosa che non va? »
« Io.. sono vergine.. » riuscì a dire in un sussurro, prima di diventare paonazza in volto. Ringraziò mentalmente Jimmy di aver chiuso tende e luce.
« Solo se lo vuoi anche tu.. » aveva lasciato intendere Jimmy. Chelsea ribaltò la situazione.

La fioca luce che penetrava da uno squarcio tra le tende li illuminava leggermente, Chelsea si alzò un po' e poté vedere la scritta 'Fiction' sul torso di Jimmy.
« Fiction » sussurrò tra sé con un piccolo sorriso compiaciuto.

E così il loro amore si consumò, alla fioca luce filtrata da una tenda, tra i sospiri sempre più accelerati e i loro corpi uniti in uno solo.
Chelsea non poteva crederci, non era nelle sue facoltà ma decise di farlo, più che altro decise di far finta di vivere un sogno, almeno finché tutto quello non fosse finito.

Nel frattempo anche Eloyn si era recata nella sua stanza, si era rinfrescata e si era stesa sul letto fissando il soffitto, a riflettere. Pesava più che altro a Zacky e a quello che era successo la stessa mattina. Il sogno della sua vita era stato ad un passo dall'avverarsi e lei era stata capace di mandare tutto in fumo per cosa? Per delle stupide paure, per colpa di Justin, quel fottuto amore mancato, del quale, a quanto pare, continuava a pagare le conseguenze.
Qualcuno bussò.
« Avanti »

Rimase immobile fissando il soffitto.
« Ciao, ehm senti, possiamo parlare? » era lui. L'oggetto dei suoi pensieri ormai da una giornata buona. Ed era titubante.
Eloyn si mise seduta. « Sì, certo. Dimmi? »
« Be' volevo parlare di quello che è successo sta mattina in spiaggia.. »

Ed ecco la frase che Eloyn avrebbe evitato volentieri, avvampò certa di essere diventata rossa in volto, così abbassò lo sguardo per farlo vedere il meno possibile.
« Sì, a proposito. E' colpa mia.. »
« ..No, è colpa mia. Io.. non dovevo, è stato un errore..scusami » la interruppe lui.
A quelle parole Eloyn sentì che stava per esplodere come un fiume in piena. Improvvisamente tutti i suoi castelli di carta erano crollati miseramente, riducendola uno straccio nel giro di pochi secondi. Era stato uno sbaglio lo aveva detto lui stesso. Perciò niente importava più, niente che lei averbbe potuto dire sarebbe servito. Avrebbe potuto superare tutti i suoi ostacoli e tutte le sue paure, non sarebbe comunque servito più a niente.
Stava per scoppiare, lo sentiva. I suoi occhi si arrossarono e cominciarono a bruciarle, aveva un groppo in gola e in pochi secondi sentì gli occhi inumidirsi leggermente ma abbastanza da sfocarle la vista. Con un urlo strozzato in gola, sputava fuori tutto ciò che aveva da dire.
« Ah, allora è diverso.. Questo.. cambia decisamente le cose. » sospirò per mantenere il controllo. « E quindi ci sono cascata un'altra volta.. »
« Non ti seguo »

« Sai, io sono fuggita da Washington, solo letteralemente fuggita. Sono fuggita perché sei mesi prima il mio ex fidanzato Justin mi ha lasciata, dopo 3 anni di fidanzamento. »
Zacky rimase immobile, mentre il soliloquio di Eloyn si trasformava in una confessione in sordina.
« E adesso mi sembro una ragazzina adolescente a reagire così. » accennò una risata triste. « E' che mi ha lasciato come un buco sullo sterno. Ho toccato il fondo e credevo che non sarei mai più risalita. Ma quando ti ho visto al pub ho capito che avevo ancora qualche possibilità.

« Io ti avevo sempre visto come quel figo della televisione. Ma poi quello che avevo davanti non era quello che mi ero aspettata. Era meglio. Sei meglio.
« Questa mattina ti avrei baciato, ma non ce l'ho fatta. Dopo sei mesi di.. non so neanche come chiamarla. Depressione? .. forse, non saprei. Comunque, dopo tutto quel tempo, non lo so.. ho avuto paura di poter cambiare le cose. Potrebbero anche peggiorare, infondo, no? Certo, potrei mettermi in testa di cambiare. Ma hai detto che è uno sbaglio e.. »
Decise di fermarsi. Magari non glie ne importava niente.
« No, El. Non è per quello che credevo fosse un errore. Cavolo, come hai fatto a non capirlo? Tu mi hai fottuto il cervello dalla prima volta che ti ho vista, anche se è passato poco tempo, me ne rendo conto. Ma in queste poche ore i miei pensieri non si sono mai spostati, nemmeno un attimo, da te. »
Rimasero così, a fissarsi ancora per qualche attimo, prima che Eloyn si alzasse per raggiungere la porta finestra del terrazzo.
« Sarebbe comunque troppo difficile.. » sussurrò. Ancora qualche lacrima, giusto accennata. Gli occhi gonfi e arrossati.
Il silenzio, a volte, è il modo migliore per dire, tutte insieme, milioni di cose che a parole sarebbe impossibile comunicare. Così, solo con quel silenzio si erano detti mille cose. Si erano confessati un amore, avevano fatto avanti le loro paure e i loro sentimenti. Ma certi silenzi, come quello, lasciano l'amaro in bocca. Lasciano incompleti, lasciano le situazioni a metà tra il bene e il male. E il beneficio del dubbio, a volte, è impossibile da sopportare.


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Capitolo 4
*** Marchio a fuoco ***


© Amor vincit omnia.


30 settembre 2009, Huntington Beach

Quella giornata era stata una giornata di transizione per entrambe le ragazze; simboleggiava una svolta necessaria nella loro vita, la svolta che stavano cercando da quando erano arrivate in quella nuova città.
Chelsea era innamorata, era evidente; dopo il primo incontro con Jimmy ne erano seguiti tanti altri e lei sembrava quasi essere rinata. Quando Eloyn la osservava poteva vedere nei suoi occhi la scintilla che prima non c'era illuminarle il viso; sapeva bene come ci si sentiva ad essere innamorati, lo aveva provato sulla sua pelle, ma rivedeva se stessa sette mesi prima. Si rivedeva insieme a Justin e alla vita che avev vissuto. A distanza di tempo si vedeva come una povera illusa.
Stava vivendo nell'angolo più buio dell'abbandono. Si sentiva come un cane randagio abbandonato ai margini di un autostrada. Buttato fuori da un'auto in corsa, cercando di rimanere in piedi nonostante il violento impatto con l'asfalto, strisciano i piedi per non cadere.
La scelta di Eloyn di vivere all'ombra della sua stessa vita non era stata voluta da lei; era una conseguenza di ciò che era successo prima di venire ad Huntinghton. Avrebbe potuto sciogliersi da quella scomoda situazione e ricominciare a vivere in qualsiasi momento, ma era stanca di dover sempre trovare una giustificazione ai suoi comportamenti, era stanca di doversi sforzare e far finta che andasse sempre tutto bene; non era disposta a fingere una felicità inesistente. Perciò aveva deciso di rimanere in quella situazione di grigia staticità finché qualcun altro non fosse stato disposto ad abbattere il muro che si era creata intorno e salvarla da quell'inferno. Per una volta desiderava ci fosse qualcun altro ad agire per lei.
Essere innamorati per Eloyn era stata la cosa più bella del mondo, ma tutte le cose belle sono destinate a finire, prima o poi, e quelli che prima chiamavi sogni presto si trasformeranno in veri e propri incubi. Dopo la storia con Justin, per Eloyn essere innamorati aveva assunto un significato amaro. Ricordava cosa si provava ad amare qualcuno ma, dopo quella storia, aveva catalogato l'amore sotto la voce 'precario'; l'aveva provato con mano, l'amore per lei era stato un gioco fasullo destinato a crollare; era stata lei stessa a basarlo su un soffio di vento, l'aveva presa troppo alla leggera, e così tutte le certezze che si era costruita erano crollate insieme a lei.
Eloyn era stata per molto tempo fermamente convinta che Justin fosse quello giusto; aveva cominciato a crederci davvero e a fidarsi completamente di lui, cosa che poi si era dimostrata essere una delle cose più sbagliate che avesse potuto fare in vita sua.
Forse è questo il pericolo dell'amore: ti chiude gli occhi. Quando sei innamorato non vedi più ciò che ti succede intorno, non ci pensi più, e questo ti rende vulnerabile; chiunque può avvicinarsi e rovinarti i piani di una vita in un batter d'occhio, senza che tu te ne accorga. E così dopo tre anni di fidanzamento, di rose, cioccolatini e frasi sussurrate, Justin era venuto fuori dal nulla con una frase: "Io non credo di voler continuare, sono stato a letto con Margaret l'altro giorno e ho capito che non è questa la vita che voglio".
Questa frase era tutt'ora stampata nella testa di Eloyn come un marchio a fuoco; impossibile da cancellare. Ogni parola, ogni lettera era come una lama ben affilata e messe tutte insieme in quel modo avevano agito come una macchina da guerra. Justin era stato molto bravo ad usarla, evidentemente, perché aveva lasciato in Eloyn delle cicatrici ben visibili. Quello che la aveva delusa maggiormente non era stato tanto il contenuto di quelle parole quanto il modo in cui erano state pronunciate: senza scrupoli; dal tono di voce di Justin traspariva il suo menefreghismo nei confronti di quella che era stata la sua ragazza per tutti quegli anni. Eloyn si era sentita messa da parte nella sua stessa vita e così erano passati sei mesi di totale tristezza in cui Eloyn aveva vagato indisturbata come un fantasma, coperta da un velo di malinconia.
Era arrivata ad Huntinghton con tutti i buoni propositi; prima di partire si era promessa che quella sarebbe stata la sua svolta, di certo non pensava che potesse esserlo in una maniera così altrettanto buia; infatti, mentre Chelsea continuava a sentirsi e a vedersi con Jimmy quotidianamente, Zacky era come sparito.
Erano passati quindici giorni da quel pomeriggio ed Eloyn era spaventata; sentiva di provare qualcosa per quel ragazzo ma stranamente la sua paura di amare aumentava sempre di più ogni giorno; non era pronta ad affrontare tutto quello che la vita le avrebbe riservato, anche se questo avrebbe significato mandare in fumo tutti i suoi buoni propositi; non sarebbe riuscita a parlare di nuovo con Zacky, come avrebbe potuto prenderlo da una parte e scaricargli addosso tutti i suoi pesi? No, non avrebbe potuto. Aveva paura delle conseguenze che le sue azioni avrebbero portato, aveva paura di poter dare il via ad una reazione a catena che lei non sarebbe stata in grado di gestire. Divisa tra la voglia di amare e la paura di farlo, si sentiva come costretta tra l'incudine e il martello.
Per fortuna in quei quindici giorni casa sua era stata costantemente in preda della presenza di Jimmy.
Eloyn poteva dire che in quei giorni Jimmy era stato la sua salvezza e con il tempo aveva imparato a conoscerlo, nei momenti in cui Chelsea faceva la doccia o si assentava per altri motivi; avevano instaurato un rapporto di amicizia che andava oltre ogni aspettativa di entrambi. Eloyn in quel momento più di tutti aveva bisogno di qualcuno diverso da Chelsea con cui confidarsi, qualcuno che sarebbe stato in grado di capirla, ascoltarla e aiutarla, per forza di cose uno più forte di lei, uno come Jimmy.
In quei quindici giorni avevano parlato molto di loro stessi, si erano conosciuti e si erano raccontati ognuno le proprie storie e, oltre a questo, di tanto in tanto, veniva fuori l'argomento Zacky. Al contrario di come si possa pensare non era un argomento Tabù, anzi, tutt'altro; Eloyn era sempre felice di sfogarsi sotto questo punto di vista. Dal canto suo Jimmy le diceva che dal giorno che si erano visti Zacky era cambiato, per quanto impercettibilmente, ma era cambiato; Jimmy non poteva non attribuire questo cambiamento al comportamento che aveva assunto Eloyn quindici giorni prima. Quello che però Zacky non aveva ben capito era che quello di Eloyn non era stato un rifiuto ma semplicemente una implicita richiesta di aiuto; forse fin troppo implicita.

« Te l'ho detto Jimmy, io ho paura. Ho questa fottutissima paura di buttarmi. Voglio innamorarmi ma non ce la faccio, e a dare peso al tutto c'è il fatto che lui non è uno qualunque, lui è il ragazzo che ho venerato per una vita intera.. »
« Eloyn, sai meglio di me che quello di cui eri innamorata non era Zacky che hai conosciuto l'altra volta, me l'avevi detto tu stessa.. Non puoi paragonare l'adorazione di una ragazzina a un sentimento vero e proprio! E poi lascia che ti dica una cosa, quello di cui hai paura è di perdere il controllo. Ormai ti conosco abbastanza da poter dire che sei una perfezionista, vuoi che tutto sia sotto il tuo assoluto controllo, ma per tua sfortuna nella vita non funziona così.. un rapporto va vissuto in due e se ti buttassi, adesso come adesso, sono sicuro che Zacky sarebbe ben felice di reggere parte del tuo peso finché non avrai superato i tuoi problemi.. »
« Come lo sai? »
« Senti, lo so e basta; lo conosco e vedo che è davvero interessato a te, forse sei la ragazza che lo ha interessato di più negli ultimi dieci anni, glie lo si legge in faccia.. »

Quello che le piaceva di più di Jimmy era la sua capacità di leggere dentro agli occhi delle persone; la sua era una dote innata e, almeno per lei, ci aveva sempre azzeccato.
E così Jimmy era diventato il suo migliore amico e il fidanzato di Chelsea; era entrato nella loro vita come un uragano, aveva messo un po' della confusione che serviva ad entrambe le ragazze per lanciarsi completamente in quella nuova vita.
Secondo Eloyn, Chelsea non aveva ancora preso del tutto coscienza della situazione; la prendeva con troppa leggerezza, con troppa naturalezza. In realtà lo faceva semplicemente perché aveva imparato a vedere Jimmy sotto un altro aspetto; da un giorno all'altro era passato dall'essere 'The Rev', il fantastico batterista del suo gruppo preferito, all'essere semplicemente Jimmy; quel Jimmy che per lei c'era sempre, quello con cui passava la maggior parte delle notti, quello con cui aveva avuto la sua prima volta e anche lo stesso Jimmy che le faceva battere il cuore all'impazzata solo con un semplice sguardo. Chelsea aveva un animo romantico per natura e non poteva non assaporare ogni istante in sua presenza: quando la abbracciava o anche se la sfiorava solamente, le venivano i brividi e il suo sguardo si faceva assente, quei due si erano trovati quando ne avevano più bisogno entrambi.
Nonostante questo, la situazione era comunque precaria. I ragazzi erano presi dalla scrittura del nuovo CD e si erano completamente dimenticati di cosa significasse avere rapporti al di fuori del gruppo. Questo escludeva ovviamente Jimmy e Zacky che, chi per un motivo, chi per un altro, avevano ben impressa in testa la presenza delle due ragazze.
Quella situazione a Zacky faceva quasi comodo; dal suo punto di vista Eloyn lo aveva respinto e questo aveva aiutato a sotterrare la sua autostima anche se, dopo quel fatidico giorno, Eloyn non se n'era mai andata dai suoi pensieri.
Jimmy aveva da un po' cominciato a mostrare segni di fastidio nei confronti di quella situazione precaria; in qualche angolo della sua mente l'idea che le ragazze potessero entrare definitivamente nelle loro vite, come loro compagne di avventure e di tour, lo faceva sentire come un bambino con le sue caramelle. Allora decise di mettersi in moto e cambiare l'assetto delle cose: organizzò un'uscita tutti insieme per far incontrare Eloyn e Zacky e ne avrebbe approfittato anche per far rincontrare la band con le ragazze.
Eloyn dapprima fu contraria ma lo sapeva anche lei che alla fine avrebbe ceduto alle moine di Jimmy. In fondo la sua volontà gli diceva di accettare senza esitazione, avrebbe dato qualunque cosa per poter vedere Zacky un'altra volta, ma pensava che cedere subito avrebbe significato mettere da parte il suo orgoglio e mostrarsi vulnerabile, l'ultima cosa che lei avrebbe voluto; perciò ci girò intorno per qualche giorno e alla fine cedette e andò alla cena.
Fu una cosa piccola: giusto i membri della band e le ragazze; cena da asporto e film horror a coronare la serata. Quello che preoccupava di più la mora era il film, non tanto la compagnia di Zacky; i film horror erano la principale causa delle sue notti insonni, ne era davvero terrorizzata.
A parte l'imbarazzo iniziale tra Zacky ed Eloyn, la serata incominciò bene; i due cominciarono a rilassarsi solo dopo mezz'ora, e a scambiarsi qualche battuta solo a cena finita.
In quei giorni di confessioni con Jimmy, Eloyn era arrivata alla conclusione che se voleva concludere qualcosa avrebbe dovuto assolutamente parlare con Zacky delle sue preoccupazioni. Jimmy l'aveva caricata di coraggio e di fiducia, era pronta per buttarsi, anche se le sue paure le attanagliavano lo stomaco al solo pensiero.
Avevano organizzato tutto Eloyn e Jimmy: a cena finita Eloyn avrebbe chiesto a Zacky di parlare e sarebbero andati a fare un giro in giardino dove sarebbero potuti stare in pace senza essere disturbati da nessuno. Ma ovviamente non andò così: a Eloyn mancò il coraggio e non si fece avanti; Jimmy aspettò fino all'ultimo minuto prima di prenderli entrambi per le braccia e trascinarli verso la porta-finestra del terrazzo della cucina:
« Allora mettiamo in chiaro le cose; Eloyn, tu sei una vigliacca ma questo lo sapevo già. E tu Zacky sei un coglione perché non hai capito nemmeno uno dei messaggi impliciti che ho cercato di mandarti in questi giorni. Ecco, l'ho detto.. » e li teneva ancora ben stretti per le braccia prima di varcare la soglia della finestra e portarli entrambi fuori. I volti di entrambi stupiti e impauriti come due cuccioli di gatto in mezzo alla strada. « ...ora voi starete qui finché non vi sarete chiariti e voglio che quando uscirete vi parlerete come persone civili, ok? Ecco il mio cellulare, quando avete fatto chiamate il numero di casa »
Appena finito di dettare ordini, Jimmy scomparve dietro il vetro della finestra e, a seguire, un rumore sordo di una maniglia che veniva girata con insistenza fece capire ai due che erano in trappola.
Quando neanche rimanere ad ascoltare i passi di Jimmy che si allontanavano dalla parte opposta del muro poteva distrarli dal guardarsi in faccia , cominciò l'imbarazzo. Entrambi sembravano intenti a fissarsi le punte delle scarpe, soprattutto Zacky.
Eloyn, dopo alcuni istanti di immobile silenzio, alzò lo sguardo e cominciò a squadrare da capo a piedi il terrazzo: la parete della casa e il piccolo muretto che fungeva da ringhiera erano in mattoncini rosso chiaro, non c'era nessun tetto sopra le loro teste perché si trovavano all'ultimo piano di quella villa il cui giardino assomigliava più ad una riserva naturale, sopra le loro teste la notte nera sovrastava l'ampio giardino gremito di pini. Sul terrazzo c'erano due sedie in plastica bianche accostate al muro, mentre dalla parte opposta coronava l'atmosfera perfetta un divano a dondolo.
Eloyn ricordò le parole di Jimmy: "..forse lui sarà disposto a portare anche il tuo peso per un po'..", e prese coraggio. Si spostò verso il divano a dondolo e ci si sedette, facendo cenno al ragazzo di sedersi accanto a lei. « Ti devo parlare.. » le tra parole famose, quelle che possono cambiarti la vita, stravolgerla o distruggerla, segnano il confine netto tra quello che c'era prima e quello che c'è stato dopo, erano anche le parole che Justin aveva usato quando aveva lasciato Eloyn e adesso pronunciarle ad un altro le faceva un po' impressione « ...di quello che è successo l'altra volta » Zacky si fece rosso in volto e suoi battiti accelerarono ancora di più, annuì e si sedette accanto alla ragazza facendo oscillare leggermente il divano. Appoggiò la schiena e si concentrò sul cielo stellato cercando di mantenere il suo autocontrollo. Intanto, Eloyn aveva iniziato a fissare il pavimento con una certa insistenza.
« Ecco.. tu mi piaci » Zacky sorrise e abbassò lo sguardo scontrandosi bruscamente con gli occhi di lei, verdi e bellissimi « ..ma.. Jimmy mi ha detto che l'altra volta hai pensato il contrario.. »
Ora Zacky stava mentalmente maledicendo Jimmy per non aver tenuto chiusa quella sua boccaccia quando si ricordò che se non fosse stato per lui loro probabilmente avrebbero continuato ad osservarsi da lontano per tutta la serata: « Non è che la tua reazione dava spazio a tante altre interpretazioni.. »
Zacky non voleva dirla così fredda, ma questo uscì dalla sua bocca forse a simboleggiare il suo orgoglio ferito.
« Lo so, ma in realtà non è così, è che Jimmy ha fottutamente ragione, io ho paura di prendermi le mie responsabilità, ho paura di dover sorreggere un peso troppo grande.. io ho solo paura di buttarmi » ancora il suo sguardo era attaccato al pavimento. Si fece coraggio e si sforzò di raccontare tutto il suo passato: di Justin e di come l'aveva abbandonata a se stessa, dell'amore che c'era prima, e del vuoto che aveva lasciato dopo; raccontò ogni dettaglio, ogni particolare, forse più per se stessa che per Zacky; in quel terrazzo, ripercorse gli ultimi tre anni della sua vita e, mentre parlava, si rese conto di tante cose; stava raccontando una storia che sembrava la storia di una perfetta imbecille. E quell'imbecille era proprio lei.
Parlò, parlò tanto e senza stancarsi; le parole le fluivano via dalla bocca da sole, senza comandi. Intanto Zacky ascoltava imperterrito annuendo ogni tanto «.. pensavo che forse, con una mano da parte tua, io potrei riuscire a superare certi blocchi..forse.. perché tu mi piaci, mi piaci sul serio » alla fine del suo racconto Eloyn era quasi in lacrime e disse le ultime parole quasi in un sussurro. Aveva la gola leggermente secca per aver parlato tanto e anche per l'agitazione nell'attesa di una risposta da parte di quel ragazzo davanti a lei, dagli occhi incredibilmente belli. Si sentì quasi una stupida: un mese prima era una ragazza qualunque di una grigia Washington, e adesso era seduta lì e stava raccontato la sua vita al ragazzo che le aveva rubato i sogni da ragazza. Era tutto così irreale.
Ci fu un attimo di silenzio in cui si sentirono solo i loro respiri.
« Ne sarei onorato » e un sorriso a trentadue denti comparì sul volto di Zacky che, da quel momento, fu la persona più felice della terra. Zacky cercò di avvicinarsi lentamente alla ragazza, quasi involontariamente; la sua storia l'aveva emozionato e, ai suoi occhi, Eloyn adesso compariva come un cucciolo ferito di cui sentiva il bisogno di prendersi cura, la sentiva sua.
Furono di nuovo a pochi centimetri di distanza, come quindici giorni prima, e allo stesso modo la ragazza avvertì il pericolo; si alzò di scatto e prese a gesticolare in modo nervoso: « Bè adesso sarebbe il caso di chiamare Jimmy, hai il cellulare? »
« Si, lo chiamo subito » Certo, che pretendeva? Lei gli aveva appena rivelato le sue paure e lui pretendeva quel bacio tanto agognato? Sarebbe stato troppo facile.
Chiamarono il batterista che li fece rientrare, accompagnandoli con uno dei suoi sorrisi migliori e lanciando occhiatine ad entrambi che, di rimando, lo ignoravano. Comunque Jimmy sapeva che avrebbe saputo tutto a tempo debito.
« Avete fatto giusto in tempo per l'inizio del film, stavamo per cominciare senza di voi.. »
Così tutti si accomodarono in salotto, chi sul divano, chi per terra.
Zacky si mise seduto sul divano più piccolo accanto a Eloyn che si era tolta le scarpe e si era rannicchiata nell'angolo opposto più lontano a Zacky, abbracciata ad un cuscino e con la faccia coperta per metà.
Zacky la guardò un attimo: era terrorizzata. Rise e scosse la testa, era quasi ridicola. « Non puoi avere così tanta paura per uno stupido film! » gli disse mentre Johnny era intento a far partire il lettore DVD.
« Sta' zitto Vengeance! » gli urlò contro la mora, realmente terrorizzata e ancora scossa per la chiacchierata di prima.

Più il film andava avanti e più Eloyn sentiva di voler morire; la paura aumentava sempre di più e la rendeva tesa come non mai. Ad un tratto un mostro schifoso spuntò fuori da dietro l'angolo nel film e la fece sobbalzare; istintivamente andò a riparare la propria testa tra il divano e la schiena di Zacky che, con un gomito appoggiato al bracciolo, venne scosso dai suoi mille pensieri. Improvvisamente si ritrovò l'altro gomito sopra alla testa della ragazza che tremava di fianco a lui: gli fece davvero tenerezza; sembrava una scena di un film comico ma gli venne comunque istintivo di cingerla con un braccio.
« Ma dai, è solo uno stupido film! »
A questo gesto Eloyn si irrigidì, ma fece comunque come Zacky la guidava: strisciò lungo il suo petto e andò a posare la sua testa sull'incavo del collo di Zacky.
Sono gesti che non hanno bisogno di parole, qualsiasi verbo potrebbe distruggere quel clima precario che si crea intorno alle persone e rovinare tutto. Perciò non dissero niente e improvvisamente la loro attenzione si spostò dal film a chi avevano vicino; Eloyn guardava lo schermo ma non riusciva a vedere oltre una serie di immagini non definite in movimento; il suo cuore aveva cominciato a battere a mille e la paura cominciò a farsi sentire; cercò di farsi forza e questa volta di non tirarsi indietro.
Voleva davvero uscire dal quella situazione statica che era la sua vita, lo voleva con tutta se stessa.
Zacky sentiva il suo respiro solleticargli il collo e aumentare sempre di più insieme al battito del suo cuore.
La verità è che gli sembrava fragile e in quel momento niente poteva permettersi di andare storto.
In una vita costellata di ragazze da poco, reggiseni di pizzo e notti insonni, Zacky se ne rese conto: lei poteva essere la sua opportunità di tornare a vivere sul serio.
Zacky la abbracciò e le accarezzò la testa con una mano, la strinse forte come a voler dire "io ci sono" e infatti Eloyn lo sentiva forte e chiaro, era la sensazione più bella di una vita intera. Chiuse gli occhi e si abbandonò nel tepore del suo corpo affondando nel suo profumo.

Mezz'ora prima della fine del film Zacky si accorse che Eloyn stava dormendo.
Dio, com'è bella, pensò.
Chelsea sarebbe rimasta ancora un po' con Jimmy, forse ancora per molto, così Zacky decise di riportarla a casa e di rimanere con lei fino al ritorno dell'amica; in realtà la scusa di non volerla lasciare sola non reggeva molto bene: tutti si erano accorti che era solo un pretesto per rimanere con lei più tempo possibile.
Eloyn per Zacky stava diventando come un droga, se ne era accorto dal primo giorno che l'aveva incontrata; improvvisamente tutto intorno a lui si era fatto moto insignificante, sicuramente più insignificante di lei. E di quegli occhi verdi di quella bocca rossa. E del suo attorcigliarsi nervosamente una ciocca di capelli tra le dita.
« .. tu Chelsea tanto stai qui per un po', no? » le disse quasi supplicandola.
« Sì Zacky, sto con Jimmy; credo che tornerò per le cinque o forse le sei. Potrei anche non tornare.. » disse con tono malizioso guardando Jimmy che intanto annuiva divertito. Quei due, da quando si erano conosciuti, non erano mai stati lontani per più di dodici ore consecutive; forse si amavano, ma ancora non lo sapevano, o meglio, non se ne rendevano conto.
« Allora porto a casa Eloyn. Ragazzi, sto con lei finché non torna Chelsea, ok? »
« Basta che torni in tempo per domani, dobbiamo fare l'arrangiamento della canzone nuova.. »
Zacky prese in braccio Eloyn stando attento a non svegliarla. Le prese la borsa e se la mise in spalla.
« Ei Vee. Quella borsa ti dona! » esclamò Matt divertito.

Poco meno di diaci minuti dopo erano arrivati.
« Dove siamo..? »
« Ti ho riportata a casa.»
La ragazza si girò su un fianco e riprese a dormire, mentre Zacky spegneva il motore. La prese in braccio, dove lei si accoccolò dolcemente facendo stringere lo stomaco di Zacky. Le prese le chiavi dalla borsa e, con un po' di difficoltà, aprì la grande porta di legno intagliato che li divideva dell'interno della casa.
Salì le scale ed entrò in una stanza a caso, non sapendo dove fosse quella della ragazza.
Era una grande stanza tutta bianca e panna, accostato al muro c'era un enorme letto a baldacchino dove fece sdraiare Eloyn senza neanche metterla sotto le coperte. Si sdraiò stancamente accanto alla ragazza e incrociò le mani sotto la testa mentre fissava il vuoto sopra di lui.
Passarono le ore senza che Zacky se ne accorgesse; Eloyn intanto aveva cambiato posizione e ora stava usando il petto di Zacky come cuscino.
Il suo gesto aveva colto inizialmente Zacky di sorpresa e aveva fatto aumentare il suo battito cardiaco, ma poi ci si era abituato e aveva iniziato ad accarezzarle i lunghi capelli quando qualcuno aprì leggermente la porta.
« Zacky, sono tornata, se vuoi puoi andare » bisbigliò Chelsea dalla fessura della porta che aveva fatto entrare in piccolo fascio di luce dal corridoio illuminando i profili dei due ragazzi distesi sul letto. Ora Zacky poteva vedere bene il profilo di Eloyn: rimase interdetto per qualche secondo prima di rispondere alla ragazza.
« Ok, adesso vado » la ragazza richiuse la porta e se ne andò.
Zacky fece per alzarsi facendo attenzione a non far svegliare Eloyn: non ci riuscì.
« D-dove vai? .. » Eloyn alzò la testa e lo trattenne leggermente per un lembo della camicia a quadri. Sembrava turbata ma probabilmente era ancora con un piede nel mondo dei sogni.
« El, devo andare, è tornata Chelsea »
« No, rimani anocra un po'.. sto comoda! »
Zacky non si fece pregare; tornò al suo posto così che Eloyn potesse di nuovo rimettersi a posto.
« El? »
« mm? »
Silenzio.
« ...perché? »
Eloyn alzò di nuovo la testa e si stropicciò gli occhi con una mano: era ancora assonnata.
« Perché cosa? »
« Perché mi hai chiesto di restare? »
« Non lo so.. magari è perchè sto bene con te.. »
Di notte si riesce a dire ciò che di giorno non si potrebbe.
Di notte i nostri più intimi pensieri vengono alla luce e trovano una via d'uscita: le nostre parole.
Così, anche quella notte, Eloyn aveva detto ciò che non avrebbe mai immaginato di poter dire; aveva una paura quasi ossessiva che Zacky avrebbe potuto lasciarla da un momento all'altro, che anche lui avrebbe potuto lasciarla sola in balia del mondo.
Era una cosa al cui solo pensiero Eloyn si sentiva morire dentro, forse perché il dolore di certe perdite lei lo aveva provato su se stessa, forse perché sapeva come ci si sentiva ad essere abbandonati.
Non era un amore sano, questo lei lo sapeva bene, ma era un sentimento impossibile da ignorare, perlomeno non in quel momento, non in quella stanza buia, non quella notte.
Eloyn continuò a concentrarsi sul battito cadenzato del suo cuore, sul calore del suo corpo e sulla sua presenza.
Zacky era lì adesso, era lì con lei e per quel momento non l'avrebbe lasciata.
In poco tempo riuscì ad assopirsi cercando di convincersi che nessuno l'avrebbe più lasciata sola. Mai più.

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Capitolo 5
*** 4 - Continua a sorridere ***


© Amor vincit omnia.

14 Ottobre 2009, Huntington Beach

Per Eloyn il Martedì mattina era sempre stato il giorno più pesante e faticoso della settimana. Non aveva lo sprint del lunedì e neanche le voglia di tirare avanti dei giorni tra il mercoledì e la domenica, è semplicemente un grigio e banale martedì.
Era ormai da qualche giorno che le due ragazze avevano iniziato a lavorare in un piccolo bar sulla spiaggia proprio davanti a casa di Matt – dove i ragazzi passavano la maggior parte del loro tempo – un po' per il caso e un po' per il volere di Eloyn che sosteneva fieramente fosse colpa del destino, e non potevano non lamentarsi di quanto fosse noioso lavorare in una città splendente di sole come Huntington Beach.
Lavoravano alle dipendenze di una grassa, ricca e alquanto antipatica signora, la quale non era neanche troppo severa con le giovani che si trovavano evidentemente inesperte nel campo di quello che definivano “servire ai tavoli portando in mano pericolosi aggeggi pesanti e barcollanti” – che poi non erano altro che piatti da lavare o bicchieri da servire - “stando attente a non far cadere niente se non si vole essere puniti severamente” – e la punizione consisteva nel ripulire il macello fatto e avere meno stipendio alla fine del mese.
Era ovvio che quel lavoro non faceva proprio per loro. Abituate ad una vita di privilegi tra la borghesia di Washington DC, erano cresciute come due bambine viziate e venerate. Solo meno antipatiche.
Quella che di più si trovava in difficoltà senza era senza dubbio Chelsea che all'apparenza poteva benissimo rispondere al nome di 'Barbie senza cervello'. O almeno così era come tutti l'avevano sempre additata a scuola e anche nella società stessa. Quello che pochi avevano capito era che la sua testa non serviva solo per portare i capelli, ma che conteneva un cervello perfettamente in grado di funzionare.
Comunque sia Chelsea non si era mai fatta condizionare più di tanto da ciò che si vociferava nella sua città; certo, essere additata come una stupida viziata era comunque un dispiacere, ma grazie proprio alla sua intelligenza aveva capito che non ne valeva la pena e che sarebbe stato meglio andare avanti per la propria strada. In quella giungla d'asfalto che era Washington aveva sicuramente imparato a vivere.
Nemmeno i suoi genitori si erano mai accorti delle sue innate doti per i calcoli rapidi, e forse nemmeno la stessa Chelsea se ne era mai accorta, ma fu proprio grazie a questa dote che il suo primo incarico fu quello di stare ferma alla cassa e fare i conti ai clienti. Per Chelsea equivaleva al lavoro migliore che le sarebbe potuto capitare. Già si immaginava seduta sul suo sgabello di legno a non far nulla. Magari a leggere un po' o a giocare con la playstation. Quello che Chelsea non poteva nemmeno immaginare era con quanta velocità un cliente fosse capace di finire la sua consumazione e andare alla cassa a pagare. Proprio per questo quel ''lavoretto'' che si era prospettato come un gioco da ragazzi la fece finire sul lastrico della pazienza e con qualche goccia di sudore a imperlarle la fronte.
Nel frattempo Eloyn si dimenava violentemente tra i tavoli cercando – assolutamente – di non far cadere i piatti e le bevande, il tutto cercando di reggersi in piedi con due paia di pattini a due file ai piedi; cose del genere a Washington non si erano mai viste in nessun bar, e anche il caos che la gente era capace di procurare su una delle coste più pacifiche del pianeta era una cosa il cui senso sfuggiva alle due ragazze.
Quel giorno in particolare sembrava essere, secondo Eloyn, uno dei più afosi e torridi dell'inverno Californiano – il che era tutto un dire, non osava nemmeno immaginare come potesse essere d'estate –, proprio per questo una folla di gente aveva inondato il locale subito dopo la consueta apertura mattutina.
Dopo incalcolabili ore passate, come al solito, a fare avanti e indietro tra i tavoli apparecchiati all'estero e la cucina, Eloyn sentiva la testa in fiamme e un'imminente voglia di togliersi pattini e divisa e correre giù per la spiaggia per tuffarsi in quel mare così cristallino che dall'inizio della spiaggia, proprio dove era situato il piccolo bar, era così invitante.
Purtroppo tutte le fantasie di una Eloyn mezza addormentata in piedi in mezzo al passo, vennero brutalmente scosse dalla profonda voce del capo che la richiamava a gran voce a tornare con la testa sulla spalle.
« Sì, Annie! Scusami! Torno al lavoro! » rispose Eloyn di malavoglia, tornando dritta in piedi e voltandosi verso il bancone. Mise sopra al ripiano i piatti con gli avanzi e i bicchieri sporchi e vi si appoggiò con il gomito destro osservando, ancora un volta, il mare cristallino.
« E non chiamarmi mai più “Annie”! » sottolineò l'altra in tono insopportabile, facendo scuotere nuovamente Eloyn che si alzo da quella posizione così comoda per prendere in mano le nuove ordinazioni e avviarsi frettolosamente verso i tavoli.
Effettivamente si era dimenticata che quel soprannome, per qualche strano motivo, infastidiva la grande donna che sostava nullafacente su uno sgabello accanto alla cassa. La donna in questione preferiva di gran lunga il più pomposo e a sua detta degno di rispetto 'Annalise' che poi, secondo Eloyn, non aveva niente di così grandioso come lei credeva.
« ..mi chiedo come tu faccia a sopportarla. » due braccia cinsero la vita della ragazza che sobbalzò pericolosamente, rischiando di rovesciare tutte le portate che aveva in mano, mentre riconosceva perfettamente la voce del ragazzo che le aveva appena sussurrato all'orecchio. Ebbe un brivido impercettibile.
Non si era ancora del tutto abituata a quella sensazione, quella di avere qualcuno con cui condividere pezzi della sua vita, anche i più banali come quello. Era una cosa che le metteva paura e un'angoscia insostenibile, a volte.
Cercò di mandare via dalla testa quei pensieri e si concentrò di nuovo sul suo lavoro.
« Ehi, Baker! 'giorno! ..ora ti dispiacerebbe lasciarmi continuare a lavorare? » disse Eloyn in tono di sfida ma sempre con il sorriso sulle labbra.
In qualche modo, le piaceva stuzzicarlo con battutine del genere, la mettevano sulla difensiva evitando però di farla sembrare scontrosa, anche se un fondo di verità c'era sempre, le veniva naturale.
« Vedi di non farmi arrabbiare, eh? » e Zacky sfoderò quel suo sorriso malizioso che sapeva avrebbe mandato nel caos la mora. « Quando stacchi vieni a casa mia? » riprese.
Eloyn poteva dirsi abituata a domante del genere da parte sua, erano ormai due settimane che continuavano a frequentarsi incessantemente e non erano state poche le volte in cui erano rimasti da soli. E invece non era così ed Eloyn rimaneva fermamente convinta che non si sarebbe mai abituata a quel tuffo al cuore che la coglieva ogni volta che Zacky si sporgeva un po' di più. Era una cosa che lei non era in grado di controllare.
« Suppongo di no. Chelsea mi ha già detto che la macchina la prende lei, oggi. Credo vada a casa di Jimmy » lo disse in modo un po' deluso perché non era proprio quella la giornata giusta per stare lontana da Zacky, proprio per niente.
Zacky stava diventando indispensabile per Eloyn e questo la spaventava perché si sentiva vulnerabile. Aveva la sensazione che stessero correndo troppo. Erano quattordici giorni che praticamente vivevano insieme, anche se la relazione ancora non era andata oltre i semplici baci o le semplici coccole.
« ELOYYNN! » sta volta fu una voce più acuta a replicare, sempre la voce di Annie che rischiava di spazientirsi e che scatenò in Eloyn l'improvvisa e totalmente impulsiva voglia di scaraventargli in faccia uno dei piatti che teneva in mano, e che interruppe Zacky proprio nell'istante in cui il suo cervello aveva connesso con la sua bocca.
« Ok, ora devo andare » Eloyn fece per voltarsi ma non fece in tempo perché la mano di Zacky le afferrò un braccio e la costrinse a voltarsi avvicinandola un po' a lui così da permettergli di salutarla con lieve bacio a fior di labbra.
Certi gesti prendevano in contropiede la ragazza che rischiava sempre, tutte le volte, di svenire al suolo.
In questo caso la aiutarono solo a rimanere con la sua solita faccia da allocco a fissare un punto imprecisato del viso di Zacky, cosa che suscitò grande divertimento nel ragazzo.
Così accennò un sorriso e se ne andò.
« Allora ti passo a prendere io appena stacchi, ci vediamo qua davanti! » pose fine Zacky ai conflitti interiori di Eloyn sul come fare per vedere Zacky dopo il lavoro.
E la lasciò lì a contemplare il vuoto per qualche secondo fino a che la sua coscienza la obbligò a tornare al lavoro prima che Annie decidesse di licenziarla al volo.

« Vacci piano.. » una voce irruppe all'improvviso tra i pensieri di Eloyn. Era quella dell'amica Chelsea che parlava da dietro di lei mentre era intenta ad appoggiare i piatti sporchi nel lavello della cucina del bar.
Eloyn, che era appoggiata con tutto il suo peso sul ripiano in marmo accanto al lavello, dava le spalle all'amica e fu costretta a voltarsi. Era di nuovo persa in mille paranoie e in altrettante fantasie; lo sguardo perso nel vuoto di chi sogna ad occhi aperti.
In quel periodo pause del genere erano all'ordine del giorno e la concentrazione scarseggiava sempre di più. Questi attimi di perdizione non erano sfuggiti all'occhio attento di Chelsea che era sempre molto attenta ai movimenti dell'amica. Era sempre stata protettiva di natura, soprattutto nei confronti delle persone a cui voleva bene, e per questo veniva sempre additata come supervisore delle situazioni. Tali supposizioni erano sempre state per lei impossibili da smentire; era una maestrina nata e le piaceva esserlo, non c'era niente da nascondere.
« A che ti riferisci? » Eloyn non poteva davvero indovinare da dove potesse essere stata scaturita l'improvvisa preoccupazione di Chelsea.
« ..a te e Zacky! »
« Che intendi dire? »
« Intendo dire che se non allentate la presa basterà niente a farvi crollare.. »
« Cosa te lo fa pensare? » Eloyn cominciava ad innervosirsi. Certi discorsi fatti da lei potevano solo simboleggiare tanta tanta ipocrisia. Infondo, chi era lei per dirgli di mollare la presa? Anche lei e Jimmy si vedevano di continuo eppure Eloyn non era spuntata dal nulla mettendo becco negli affari loro.
« Senti, ci sono passata tante volte da poter dire che non è un fattore che cambia a seconda dei soggetti, è così e basta. Io faccio sempre lo stesso errore, ogni volta, anche adesso con Jimmy, ma è un mio difetto e non ne posso fare a meno. Ma tu no, sei ancora in tempo. Non far finire tutto; era da un po' che non ti vedevo così felice. » e un sorriso apprensivo coronò quella frase da perfetta “mamma preoccupata”.
« Sì, mamma! » Tagliò corto Eloyn che ne aveva davvero abbastanza di avvertimenti e precauzioni, voleva viverla fino in fondo, non chiedeva altro.
Intanto Chelsea fu risvegliata dalle sue stesse parole. E se avesse sbagliando tutto con Jimmy? Se fosse finita tutta in tragedia un'altra volta?
Era lei quella che stava correndo, non solo Eloyn. Entrambe erano arrivate ad un punto di non ritorno, e quando lo avrebbero superato sarebbe successo qualcosa che avrebbe sconvolto le loro vite. La loro vita aveva preso una piega assurda, quasi sbagliata per certi versi.
Quello che non le quadrava era il non essersi ancora pentita di aver corso così tanto con Jimmy. Adesso si trovava con il fiato corto per il trambusto che la sua vita aveva generato, e ne era inspiegabilmente felice. Chelsea sapeva che lui sarebbe stato l'ultimo. Era sicuramente presto per trarre qualsiasi conclusione che, a mente lucida, sarebbe venuta sicuramente meglio, ma una delle poche cose che aveva imparato dalla vita era vivere ogni attimo come se fosse l'ultimo ed era quello che stava facendo. Si stava immergendo completamente in quella nuova vita che l'aveva travolta come un ciclone, si stava lasciando trasportare, noncurante delle conseguenze, e grazie a questo si sentiva bene davvero come non si era mai sentita. Allora come poteva tutto questo essere in qualche modo sbagliato? Chelsea non sarebbe riuscita a darsi una risposta entro al fine della mattinata e neanche oltre, ne era sicura.
Dal canto suo Eloyn cominciava a capire i lati di Chelsea che odiava.
Primo su tutti era il suo modo subdolo di entrare nel cervello delle persone; anche con una sola frase era capace di distruggere un intero equilibrio nella mente di qualcuno come se niente fosse, e non bastava ignorarla, o comunque sia non ci si riusciva; le sue parole avrebbero continuato a fluttuare nelle teste delle persone fino alla morte.
La seconda cosa che odiava di lei è che aveva sempre, fottutamente, ragione.

Qualche ora e molti piatti sporchi dopo, il turno di lavoro di Eloyn, per quel giorno, era finito.
Conscia del fatto che il ritardo cronico di Zacky si sarebbe fatto sentire anche questa volta, si era seduta sul muretto del marciapiede che costeggiava la spiaggia, in attesa.
Ogni volta che si fermava un attimo a pensare, come ogni volta che si prendeva qualche secondo di pausa da quella nuova vita frenetica che l'aveva sorpresa, si accorgeva di quanto stesse bene. In momenti come quello, quando il caldo torrido di Huntington e il sole che le picchiava sulla testa le invadevano i pensieri, si chiedeva cosa avesse fatto per meritarsi tutto quello. A volte pensava che mesi e mesi di sofferenza fossero stati il prezzo da pagare, ma in tutta quella storia era convinta che ci sarebbe stato qualcosa di più da dover sopportare in cambio di quella felicità. Qualcosa che rimaneva nascosto, in agguato dietro l'angolo, in attesa del momento migliore per colpire e risvegliarla da quel sogno.
Si accese un sigaretta sperando di poter cacciare via quei pensieri.
Dopo qualche minuto, notevolmente in ritardo, un grande suv nero le si parò davanti. Dal finestrino aperto poteva vedere chiaramente il viso contrariato di Zacky che fissava accigliato la sigaretta che Eloyn stava portando di nuovo alla bocca.
« Quand'è che la smetterai? ». La voce di Zacky arrivò alle orecchie di Eloyn con una lentezza assoluta, colpevoli forse il caldo e il sole cocente che le impediva di aprire bene gli occhi.
Zacky odiava il sole, proprio per questo aveva assunto qualsiasi tipo di precauzione fosse possibile adottare, primi tra tutti un paio di giganti e scurissimi occhiali da sole per non avere problemi con gli occhi e per evitare di assumere espressioni assurde come quella di Eloyn in quel momento: un occhio quasi completamente chiuso, l'altro socchiuso e il naso arricciato. In qualche modo questa espressione divertiva immensamente l'altro, la trovava tenera.
Eloyn aspirò profondamente l'ultimo tiro della sua amata sigaretta mentre passava davanti al muso di quella macchina gigantesca.
Sputò fuori il fumo con tutta la violenza che poteva ostentare e buttò di lato il mozzicone consumato. Aprì lo sportello e salì in macchina cercando di non far trasparire tutto lo sforzo che quel gesto le implicava, data l'altezza delle ruote della macchina.
Zacky sorrise alla vista della ragazza che cercava di ''arrampicarsi'' sul sedile dell'auto cercando, difficilmente, di nascondere lo sforzo immane.
« Ti ricordo che anche tu fumi, Baker! »
« Quello è diverso.. »
« Cosa è diverso? » replicò Eloyn con lo sguardo fintamente sconcertato.
« Dai, è diverso e basta. Mettiamola così! »
« Ipocrita.. » borbottò lei cercando di non farsi sentire.
« Guarda che ti ho sentita! » E lo disse ridendo, perché mai e poi mai avrebbe osato ferirla.

Arrivati a casa di Zacky, Eloyn optò subito per fare un assalto alla super-fornitissima collezione di DVD di Zacky, certa di trovare – non così tanto nascosto dagli altri –, quello che tutti dicevano fosse il DVD preferito del ragazzo: Watchmen.
Eloyn, da brava fan, poteva dire di conoscere perfettamente ogni dettaglio di ciò che traspariva dai mezzi di comunicazione di massa, tutto ciò che di inerente a lui passassero alla TV, radio o internet. Certo, quando era con lui cercava di nascondere questo suo lato da fangirl che, ora come ora, non le apparteneva più.
Quasi rideva ricordando il suo modo di vedere Zacky prima di conoscerlo di persona. Quello di cui sicuramente si era fatta un'idea completamente sbagliata; lo aveva idolatrato come una star senza paragoni, ma quello che i media omettevano era il suo essere un essere umano esattamente come tanti altri. Aveva imparato a conoscere e a toccare con mano i compromessi dovuti allo showbiz e si era fatto plasmare.
In un certo senso era stata quasi delusa da ciò che aveva trovato in lui.
Dopo lo stupore assolutamente irreale del primo impatto, dopo aver quasi rischiato lo svenimento, tutto era diventato talmente tanto ordinario che Eloyn poteva ancora sentire quell'emozione tipica di qualsiasi fan solo se si concentrava a vedere Zacky come “Vengeance” e a dirsi “sei in macchina con il chitarrista dei tuoi sogni, svegliati!”. Per il resto tutto era diventato completamente e assolutamente normale.
Certo, il tipo di delusione che aveva provato era paragonabile solo alla delusione di un bambino che riceve il regalo sbagliato per natale per poi accorgersi che era meglio di quello che desiderava, perché Zacky era davvero molto di più di ciò che lei si aspettasse.
Quando Eloyn ebbe finito di scrutare tra i tanti DVD sotto l'occhio curioso e confuso del ragazzo che sostava appoggiato alla stipite della porta, prese il DVD che stava cercando e si diresse da lui con lo sguardo più soddisfatto che avesse mai avuto e proclamò: « Oggi guardiamo questo! » che di per sé non è una frase solenne, ma detta con quell'espressione e quel tono di voce poteva benissimo essere paragonata all'annuncio dell'avvento dell'apocalisse.
« Watchmen? Posso sapere perché proprio questo? » chiese lui, incuriosito da qualcosa.
« Perché me lo chiedi? E' un DVD come un altro.. » non si divertiva a mostrare quel suo lato.
« E' il mio DVD preferito... ma.. questo tu o sapevi già, non è vero? » chiese lui con aria sospetta.
« Ehm, diciamo di si, più o meno.. » rispose Eloyn assolutamente incerta e sicura che questo non avrebbe fatto piacere a Zacky.
Al contrario di ciò che immaginava il ragazzo rispose con un semplice e secco “ok” che forse, se interpretato bene, poteva risultare peggiore di qualsiasi sfuriata.
Il fatto che Eloyn fosse una sua ex-fan di quelle accanite non faceva che peggiorare le cose. La paura di Eloyn era se lui avrebbe potuto avere dei pregiudizi su di lei, cose che se fosse successa, Zacky avrebbe sbagliato a pensarla, senza dubbio. Perché, se c'era una cosa che Eloyn in quei pochi giorni aveva imparato, era stata vedere i cinque ragazzi come se fossero degli sconosciuti. Certo, le si erano sfatati dei miti, ma era molto meglio così che farsi prendere dal panico ogni volta che uno qualsiasi di loro la sfiorava, la baciava o semplicemente le parlava.
Il film cominciò ed andò avanti per un po' mentre Zacky, perso nei suoi pensieri, rimuginava sui presentimenti che quello che era successo poco prima gli avevano fatto venire. Pensava a come Eloyn lo potesse vedere. Forse lo vedeva come una star e stava con lui solo per quello, o forse no. Forse stava con lui solo per i suoi soldi, ma era improbabile. Ma c'era che si era perso nei meandri del successo e che se ne stava accorgendo solo adesso che aveva provato a mettersi nei panni di Eloyn. Era diventato un prodotto, proprio come tanti.
« Zack? Che hai? » Eloyn era appallottolata a mo' di gatto sulla spalla di Zacky che contemplava lo schermo con aria fin troppo pensierosa, e che venne distratto improvvisamente come fosse stato svegliato da un bel sogno.
« Eh? Ah.. no, niente Eloyn, non ti preoccupare » e le schioccò un bacio a fior di labbra come rassicurazione.
Così ognuno rimaneva nel suo territorio e osservava ad un distanza di sicurezza il preludio di quello che sarebbe potuto essere, senza avere il vero coraggio di buttarsi in quel qualcosa che aspettava solo loro.

Era già notte inoltrata quando Zacky si mise davanti allo specchio del suo bagno, contemplando i mille tatuaggi sulla sua pelle. Macchie di inchiostro impossibili da rimuovere; i segni della sua vita, e, a volte, anche di quella degli altri. Una bottiglia di Jack sul ripiano a destra lo aspettava invogliandolo a perdere il controllo ancora una volta. Respirava l'aria attorno a sé, si guardava intorno e poi di nuovo allo specchio, e si accorgeva di non essere invisibile, e di esistere davvero.
Sei qui, e stai vivendo. Questo bagno, questa casa, è tutto tuo. Questo corpo cambiato dalla vita stessa, sei solo tu.
Era da molto tempo che non pensava davvero alla sua vita da solo o a ciò che era lui per se stesso. Viveva ormai da tanto sotto i riflettori del palco che era la sua vita e solo ora capiva che non era mai stato vivo realmente. Tutto quel successo improvviso, il denaro, musica da scrivere, poi da registrare, i tour, e ancora successo e così via.. Un circolo vizioso di finte soddisfazioni che si fondono con quelle vere, a tal punto che non le distingui più, e tutto assume un retrogusto amaro di cui solo in quel momento Zacky si era accorto.
Prese la bottiglia e svitò il tappo con tutta la calma che gli era stata concessa, ne bevve un lungo sorso e sentì l'alcol bruciargli ogni parte sul quale scivolava all'interno della gola.
Ottimo rimedio per smettere di pensare.
Ci sono sempre momenti nella vita di una persona in cui le decisioni, i fatti, le reazioni causa-effetto sono troppe da sopportare tutte insieme, e senti che il tuo cervello non sopporterà niente di tutto questo, e l'unica cosa che sei in grado di fare è scappare via da qualsiasi cosa tu non sia all'altezza di risolvere. Sono quei giorni in cui l'unico rifugio che trovi interessante è la tua amata bottiglia di Jack Daniel's. Un po' di perdizione basta per dimenticare tutto, solo per una notte. Sono quei giorni in cui la voglia di vivere improvvisamente ti abbandona, e anche quella di pensare, e l'unica cosa che fai è semplicemente non fare nessuna delle due.
Da questa vita si possa solo scappare o di imparare qualcosa.
Lui stava decidendo di scappare e qualsiasi cosa stesse succedendo, ci avrebbe pensato domani.


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Capitolo 6
*** 5 - A mezz'aria ***


© Amor vincit omnia.


15 Ottobre 2009, Huntington Beach

Il giorno seguente Matt apriva la porta principale di casa di Zacky sotto richiesta di Eloyn. Infatti, a detta della ragazza, era da qualche ora buona che lei provava a rintracciarlo senza ottenere nessun risultato; non rispondeva ai messaggi, né alle chiamate, né al campanello di casa. Sparito. La cosa aveva fatto incazzare, e non poco, il grande e grosso Matt che non tollerava certi comportamenti, soprattutto sotto scrittura di canzoni. La sua ira aumentò sicuramente quando, aperta la porta di casa di Zacky con le chiavi di riserva e arrivato nel soggiorno con Eloyn al seguito, lo trovò semi-morente e mezzo-addormentato sul divano, con i soli pantaloni addosso e una bottiglia di Jack sul tavolino. « ZACKARY! JAMES! BAKER!! » era Matt che aveva urlato e se ne erano accorti anche i genitori di Eloyn a Washington, sicuramente. Non a caso era il cantante di una band di successo, la sua voce era portentosa e ora ne avevano avuto la conferma veramente tutti. Zacky, spaventato da tanto rumore, si sveglio di soprassalto facendo uno scatto che lo fece cadere rovinosamente atterra; per di più la sua fronte andò ad urtare contro lo spigolo del tavolino. « Ma porc... Matt ma che cazzo ti dice il cervello? » riuscì a bofonchiare tra un'imprecazione e l'altra, la voce attutita e impastata dalle poche ore di sonno turbato. Eloyn ridacchiò cercando di non farsi sentire da Zacky, era decisamente incazzato e non era il caso di farlo adirare ancora più del dovuto. Ovviamente i piani di Eloyn saltarono in un millesimo di secondo quando lo sguardo di Zacky, che intanto cercava di rialzarsi mentre con una mano si strofinava la fronte, si posò su di lei come a voler dire ''con te faccio i conti dopo''.
« Allora, si può sapere che è successo qua dentro ieri sera? ». In effetti, solo ora Eloyn si era accorta del disastro che era diventato quel posto, sembrava che fosse scoppiata una rivoluzione. C'erano bicchieri vuoti o semi-pieni ovunque, alcuni anche rotti, e ognuno di essi aveva fatto conoscenza con un tipo di alcolico diverso; il divano era un enorme ammasso di stoffa e cuscini e c'erano mozziconi di sigaretta spenti per terra o sui mobili. Ora era Eloyn ad essere arrabbiata. « Si, infatti. Che è successo ieri sera qua dentro Zack? » andò subito dietro a Matt come a volerne enfatizzare le parole. Non lo chiamava mai Zack, solo ed esclusivamente quando era molto, molto arrabbiata. Evidentemente quel giorno lo era.
« Giuro su mia madre che se non mi dici immediatamente cosa è successo ti sbatto fuori dalla band! » Matt era decisamente incavolato, anche se non avrebbe mai e poi mai cacciato fuori dal gruppo uno dei chitarristi migliori che aveva avuto l'opportunità di conoscere. « Ecco, se non ci dici subito che hai fatto ti sbattiamo fuori! » Eloyn ci stava prendendo troppo la mano con quel giochetto “ripeti tutti ciò che dice Shads così sembri più cattiva”. « Eloyn, non sembri più cattiva se ripeti ciò che dico » disse Matt, neanche gli avesse letto nel pensiero.
« Si, Eloyn. Non sembri più cattiva se ripeti ciò che dice » evidentemente Zacky aveva ancora addosso la sbornia della sera prima.
« BASTA! » la pazienza di Matt era giunta al termine « ora io faccio finta di niente e me ne vado prima che voi due mi facciate diventare ESAURITO! » effettivamente un po' esaurito ci stava diventando, si era capito da quell'ultima parole leggermente troppo accentuata rispetto alle altre. Così Matt uscì dalla casa massaggiandosi le tempie e ripetendo tra se e se, come un mantra, le parole “tu non hai visto niente, Matt, niente..”. Ora Eloyn era quasi certa di essere capitata nel regno dei pazzi.
« Mmmh.. » erano le lamentele di Zacky che si teneva la testa con le mani. Abituato com'era alle sclerata di Matt aveva imparato ad ignorarle e si era rimesso sdraiato sul divano cercando di ritrovare la lucidità per capire almeno ciò che stava succedendo.
« Zacky, si può sapere cosa è successo ieri sera? » Eloyn aveva abbassato un po' il tono dato che aveva capito che prima di arrabbiarsi sarebbe stato meglio provarci con le buone a capire cos'era successo. Evidentemente quelle che per Eloyn erano le “buone”, per Zacky erano comunque una tortura; ogni parola nel suo cervello veniva amplificata all'ennesima potenza e gli rimbalzava ovunque.
« Sssssh » cercò di zittirla.
« Giuro che se non mi dici immediatamente che è successo inizio ad urlare.. » lo disse piano in modo che poi, se non avesse fatto come lei diceva, il contrasto sarebbe stato ancora più sofferente per le orecchie del povero Zacky che intanto era ancora agonizzante sul divano.
« Ok, ok..solo.. portami di sopra..ti prego.. » la implorò Zacky.
« Si si, solo perché mi fai pena! .. » si avvicinò a lui e lo abbracciò sul torace cercando con tutte le sue forze di tirarlo su, poi ci ripensò « ..tu credi che io ti tirerò su a forza? muoviti dammi una mano! » e tra i lamenti di Zacky riuscì a tirarlo su dal divano e a percorrere le scale con il suo peso addosso. Si sentì sollevata, e anche soddisfatta, quando riuscì a farlo sdraiare sul letto.

« Sai, Eloyn. Sei molto più di quando mi fossi mai aspettato. »
Eloyn era sdraiata accanto a lui e aveva la testa sul suo petto mentre lui l'aveva appoggiata al cuscino. Si girò di scatto e lo fissò per un secondo. « Zacky, sei ancora ubriaco? » In quel momento le loro parole erano quasi un bisbiglio nel buio di quella stanza. Poca luce filtrava dalle tapparelle delle imposte e si rifrangeva sui loro corpi vicinissimi. Silenzio e il rumore dei loro respiri affannati.
« Probabilmente sì, non saprei dirlo con esattezza » il tono vago di Zacky fece ridere Eloyn che intanto disegnava il contorno dei tatuaggi di Zacky per quello che la fioca luce le permetteva.
« Forse è meglio così.. » disse Eloyn. Per lei in quel momento, la semi-ubriachezza di Zacky, non poteva che essere di aiuto. Sapeva molto bene come ci si sentiva il giorno dopo una bevuta come si deve; ci si sente imbattibili, distrutti fisicamente ma imbattibili dentro. Sono quei momenti in cui uno si sente in potere di tutto, soprattutto a parole.
« Ancora non ti ho detto cos'è successo alla casa.. e a me.. »
« Hai ragione, me lo stavo quasi per dimenticare! »
« Allora, lo vuoi sapere ancora? »
« Be direi di si.. »
« E' iniziato tutto con la storia del DVD.. »
« la storia del DVD? »
« Tu sapevi che quello era il mio preferito.. » affermò senza quasi rendersi conto di ciò che diceva.
« Lo dici come se fosse una cosa negativa » e lo era, una cosa negativa, lo sapeva anche lei.
« ..forse si » biascicò tra la saliva che gli impastava la bocca e il sonno perso che gli rimbombava pericolosamente in testa. « ..bah, non so bene nemmeno io cosa, so solo che la storia è finita con la bottiglia di Gin che hai visto rovesciata non-so-dove per terra.. »
« ah, si. Quella l'ho notata » Anche Eloyn, essendo una persona intelligente si rendeva conto che non era quello il momento adatto per parlare di una cosa di rilevante importanza. Per quanto volesse con tutta se stessa approfittarne, sapeva che era una cosa sbagliata. Anche in passato, con altre persone, in una realtà molto distante da quella, con lo sfondo di città non proprio simili a quella; anche in quel passato che echeggiava tra i suoi ricordi, ora sostituito da immagini più vivide, c'erano state sere in cui l'alcol aveva perso il posto delle parole, o anche solo lo stordimento da esso provocato, come in quel momento. Se c'era qualcosa che aveva imparato dalla vita, era che l'alcol è un pessimo consigliere, perché la realtà fa paura a tutti, e l'alcol è realtà allo stato puro, se visto dall'esterno. Persa tra questi pensieri, Eloyn aveva già deciso che per quel giorno avrebbe lasciato che il discorso si fermasse a mezz'aria tra loro due. La scusa era che quella situazione non aveva le credenzialità per fungere da scenario di una lite, la verità era che la paura era assordante.
Intano Zacky si era già perso nel mondo dei sogni e stava smaltendo l'ubriachezza che si era trascinato fino a quel mattino. Così Eloyn si alzò e cercò di sistemarlo come meglio poteva; lo mise sotto le coperte e si fermò con la schiena appoggiata al muro al lato del letto a contemplare quell'essere perfetto che riposava a pochi centimetri da lei.
La verità, su tutta questa storia, era che lei non era ancora pronta a tutto quello; ci era già dentro ma non era pronta. Prese la palla al balzo e si permise di staccarsi, almeno per un po', dalla realtà dei fatti; per una volta si limitò a contemplare dal fuori la sua vita, sorprendendosi quando si accorse dei garbugli di pensieri che si concentravano in determinati punti del suo cervello. Si mise a pensare, anzi, a liberare la mente da tutto e da tutti, e collocò ogni pensiero al posto giusto. Così facendo non fece che peggiorare le cose, perché c'erano fatti, persone, relazioni, in quella vita, che non avevano spazio preciso in lei. Non erano collocabili da nessuna parte, e per questo si limitava ad ammucchiarli un po' qua e un po' la, alla meno peggio, creando un equilibrio instabile, come era sempre stato da quando era arrivata, scoprendo finalmente il mistero che si nascondeva dietro a quei nuovi sentimenti. E non c'era via d'uscita.


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Capitolo 7
*** 6 - Equilibri Instabili ***


© Amor vincit omnia.

29 Ottobre 2009,  Huntington Beach

Passavano i giorni e tra Eloyn e Zack persisteva quello che era ormai diventato l'argomento tabù, e che nessuno aveva capito bene di cosa si trattasse. Il dilemma era stato scaturito apparentemente da un DVD un po' troppo famoso o, per meglio dire, da un animo da fangirl nascosto fin troppo bene. Passavano i giorni e con loro anche i silenzi stroncati da battute ironiche per non imbattersi nell'imbarazzo, nemico di ogni innamorato. In quel periodo nessuno dei due sapeva davvero cosa stesse succedendo. Andavano avanti a presentimenti, sospetti e deduzioni, ma nessuno dei due aveva realmente il coraggio di tornare sull'argomento. Avevano entrambi paura di interrompere quel meccanismo che si era innescato nel loro rapporto, quello fatto di silenzi a fin di bene, quelli che Eloyn aveva sempre odiato. La sua vita era sempre stata fatta da compromessi, “tutti ovviamente a fin di bene”, le ripeteva sempre sua madre, in risposta a certe litigare evitate con il marito pur di non creare tensione nell'aria. Il padre di Eloyn era una persona complessa, estremamente problematica, per via del suo passato non proprio tranquillo. E così tutta la sua rabbia la riversava dove poteva e non era colpa sua. Eloyn aveva ormai imparato a vederlo come un vaso troppo pieno che come si muove butta acqua ovunque, e non era colpa sua se qualcuno continua a riempirlo costantemente, e tutto quello che avrebbe dovuto fare è star fermo, ma a stare fermi troppo tempo va a finire che si muore e nemmeno ci si rende conto. Così, pur non volendo, ad ogni azione faceva scattare una molla dentro di se, per colpa della quale ne risentivano tutti in famiglia. Eloyn con il tempo aveva imparato ad ignorarlo, ma quando esagerava e sua madre, in risposta, stava zitta, “per il bene della famiglia”, questa cosa la faceva irritare perché non riusciva minimamente a capire cosa passasse per la testa di quella donna consumata dal tempo. A fare da sfondo a questa intricata situazione familiare si aggiungeva l'ultimo legame che teneva ancora appigliata Eloyn alla sua vecchia città, ovvero sua sorella Silvie Mayer, spesso elemento scatenante le litigate a ora di pranzo. Silvie aveva quattro anni più di sua sorella e ai tempi delle superiori, quando Eloyn aveva poco più di sedici anni, le era capitato spesso di dover sopportare litigare con suo padre sul suo futuro, o meglio, sul futuro che suo padre voleva per lei. Si era già costruito un percorso ben preciso e, quando la ragazza si era rifiutata, lì erano cominciate le litigate. In tutto questo Eloyn rimaneva impassibile, seduta al tavolo da pranzo, sempre negli orari dei pasti e ascoltava, decidendo, giorno dopo giorno che non avrebbe fatto la stessa fine. Era anche nata un po' da lì l'idea di andarsene da quella città che, lei ne era certa, avrebbe finito col risucchiarla in quel suo vortice di eventi concatenati; l'aveva voluto evitare. La parte più difficile era stata abbandonare sua sorella che, invece, non era mai riuscita a scappare da quell'oblio infernale e aveva finito per rimanere inchiodata alla vita che gli era stata assegnata, un po' per pietà nei confronti di un padre che cadeva a pezzi, un po' per la poca forza che le era rimasta. E adesso Eloyn si trovava leggermente stordita, con solo Chelsea accanto a lei, cercando di prendere confidenza con una nuova realtà e con nuove persone con cui faceva un po' fatica a lasciarsi andare del tutto.
A volte, c'erano momenti, nel cuore della notte o nel pieno del giorno, in cui sua sorella le mancava con non mai, e in cui quelle telefonate rubate al tempo che non gli era stato dato non bastavano più a colmare il vuoto che la sua assenza aveva provocato, e in quei momenti l'unica cosa che rimaneva da fare era aggrapparsi ai ricordi, perché non c'era niente, nessuno, che, in momenti come quello, potesse sostituire quella mancanza.
Avvolta da questi pensieri, Eloyn stava sdraiata sul letto della sua camera circondata dal bianco che dominava l'atmosfera candida, a tratti sembrava di stare quasi in un paradiso poco realistico. Sdraiata supina guardava il soffitto con le mani giunte sul ventre e il cuscino sotto alla testa.
Quello era uno di quei momenti in cui, anche dopo un mese, le sorgeva alla mente il pensiero che forse, e solo forse, sarebbe stato meglio non sconvolgere quel perfetto equilibrio di pesi, quello nel quale una star quale Zacky era, stava da un lato e dall'altro, sempre bene al suo posto, c'era lei, con la sua realtà incasinata e altri equilibri da far rimanere stabili. Perché in nessun caso si era mai sentito dire che una fan si fosse avvicinata alla propria celebrità in quel senso, proprio mai. E guarda caso doveva essere lei la prima, considerato la serie di eventi che quel fatto aveva comportato? - Non dire cavolate, cosa avresti fatto senza di lui, adesso? - pensava. E poi ancora – saresti stata meglio di ora, ecco cosa! Perché è una situazione irrisolvibile, ecco perché! - continuava a scervellarsi cercando un perché a ciò che un senso davvero non ce l'aveva.
« El, vado a fare spesa, vieni? » la voce di Chelsea interruppe i sui pensieri. Proveniva a tratti dal corridoio e a tratti dalla sua camera, segno che stava facendo avanti e indietro per prepararsi ad uscire.
« ..viene Jimmy a prenderci. » continuò.
- quasi quasi. Magari così penso ad altro. - si rizzò a sedere sul letto facendo sobbalzare improvvisamente la lunga coda di cavallo che ondeggiava dietro la sua nuca mentre la lunga frangia veniva mantenuta saldamente alla testa da un cerchietto color magenta, il suo colore preferito. « fra quanto arriva? » ma non fece in tempo a finire che già qualcuno stava bussando alla porta di casa.
« Ora! »
Improvvisamente Eloyn aveva ripreso tutta la sua vitalità, e la testa le si era svuotata da tutti i pensieri, era l'effetto Sullivan, questo lo sapeva per certo. E d'improvviso il suo corpo smilzo stava già facendo mille corse per mettersi a posto alla meglio. Infilò al volo le scarpe da ginnastica e si guardò allo specchio. Era arrivato il momento di reagire alla vita invece di subirla, anche se sapeva che il tutto non sarebbe successo quel giorno, aveva bisogno di ancora un po' di tempo. Ma comunque distrarsi le avrebbe fatto senz'altro bene. Così prese al volo la borsa e, insieme con Chelsea, uscirono di casa. Jimmy le aspettava ai piedi della gradinata che conduceva al pianerottolo con la sua BMW blu scuro scintillante sotto il sole delle 10 di mattina. Una musica frastornante proveniva dal finestrino destro completamente abbassato. Scesero entrambe i gradini con il sorriso in volto, più Chelsea che Eloyn.
« Buongiorno ragazze! » le accolse Jimmy con quel suo stupendo sorriso e con la felicità che inebriava tutto intorno a lui. Era la sua capacità di trasmettere emozioni che faceva sì che tutto fosse assolutamente in armonia con lui, come quel giorno in cui lui era evidentemente felice, anche loro non potevano che essere felici semplicemente standogli accanto.
« 'giorno Jim » replicò Eloyn mentre Chelsea gli dava un bacio. Eloyn non poté non notare il cambio di espressione di Jimmy dopo il bacio: da semplicemente felice a “al settimo cielo”, cosa che la fece stupire.
Quello che piaceva ad Eloyn del passare del tempo con Jimmy e Chelsea era il non sentirsi come il terzo incomodo ma come parte di un trio. Era un'altra delle infinite cose che amava di Jimmy anche se non sapeva bene se quel sentirsi parte di qualcosa fosse scaturito dalla meravigliosa amicizia che era nata tra loro o semplicemente dal carattere di Jimmy. In qualsiasi caso era la cosa più bella del mondo.
Il supermarket dove erano solite fare la spesa si trovava non troppo lontano da casa delle due e decisamente molto vicino a casa di Matt e Val, quella che in quel periodo veniva chiamata “casa Sevenfold” data la costante presenza di tutti i componenti. Era un ampio edificio totalmente grigio e squadrato; sulla parete principale era ben evidente un insegna luminosa color rosso scuro che rappresentava la parola “Billy's”, era evidente dalle condizioni dell'insegna che quel posto aveva vissuto tempi sicuramente migliori di quello.
I tre entrarono nell'edificio tramite una porta di quelle ad apertura automatica che però ci mise i suoi buoni 3 secondi per aprirsi, dato che testimoniava la trascuratezza di quel posto.
« Non fate queste facce ogni volta che veniamo qua! Ormai l'avrete capito che è solo apparenza! »
A dirla tutta Jimmy aveva assolutamente ragione. Era ormai un mese che si rifornivano in quel posto e potevano constatare entrambe che quello squallore che emanava era solamente apparenza. Infatti, a detta dei ragazzi e sotto approvazione delle due, quel posto era il migliore in assoluto per quanto riguardava i prodotto freschi. Eloyn scrollo impercettibilmente la testa cercando di non far trasparire la sua disapprovazione. Dopo tutti quei giorni ancora non si capacitava di come certe cose in quelle città potevano essere assolutamente l'opposto di quello che apparivano. Una cosa era certa, chiunque fosse convinto di sapere che l'abito non fa il monaco non poteva esserne certo finché non andava ad Huntington Beach.
« Allora. Ho qui la lista delle cosa che ci servono, dividiamoci e facciamo in fretta, ho fame e voglio tornare a casa! » improvvisamente la dittatrice che era in Chelsea si fece sentire.
Così si divisero e iniziarono a cercare ognuno ciò che c'era scritto sul foglietto che gli era stato consegnato da Chelsea. Eloyn stava cercando il tipo di cereali giusto tra i miliardi di marche differenti quando il suo cellulare squillò.
« Pronto? »
« Buongiorno! » era Zacky stranamente di buon umore, intanto qualcuno la stava chiamando da fine corsia.
« EL! »
Eloyn si girò e vide in lontananza la sagoma in controluce di Brian con a seguito la sua fidanzata Michelle.
« 'giorno anche a te, Vee » disse alla cornetta mentre alzava la mano libera per salutare Brian che si stava avvicinando.
« Allora ci siete anche voi per pranzo? » disse Zacky dal cellulare lasciando Eloyn leggermente perplessa.
« Oggi a pranzo dove? » e intanto Brian, che aveva ascoltato le sue ultime parole, si era avvicinato alla ragazza e disse in fretta: « si, siete invitate da me per pranzo! »
« siamo da Gates, non lo sapevi? » rispondeva simultaneamente Zacky. « Ok ok, uno per volta! » disse Eloyn più confusa che mai.
« Ovviamente Jimmy non vi ha detto niente, dovevo immaginarmelo! »
Eloyn sorrise, felice che Brian avesse pensato anche a loro.
« Allora te lo dico io, faccio un barbecue a casa mia e tu ed Eloyn siete invitate, non si accettano “no” come risposta! » disse Brian sfoderando quella dolcezza e quella simpatia che lo caratterizzavano.
« beh, a dire la verità dovrei sentire Chelsea.. voleva tornare a casa e.. »
« no, voi ci venite punto e stop » aveva obbiettato Zacky che, intanto aveva sentito tutta la loro conversazione.
« ..hai sentito che ho detto: niente “no”. » la stoppò immediatamente Brian.
« a quanto pare non mi permetterete di dissentire, quindi penso che ci saremo » si affrettò a rispondere Eloyn al telefono.
« Ok, allora a dopo! » e così facendo Zacky interruppe la chiamata.
In tutto questo Michelle era rimasta totalmente impassibile, come se anche lei avesse paura di rompere un qualche meccanismo. Forse reagiva così per non sembrare di parte. Da un lato voleva ardentemente tenersi stretta il suo Haner ma dall'altro non poteva intromettersi nella vita di suo marito, perché dopotutto era libero di fare le sue scelte e lei era tenuta a fidarsi. Michelle era un ragazza come tante, niente di speciale. Come tante amava i tacchi alti e il trucco appariscente, come tante amava tingersi i capelli, come tante amava i vestiti fascianti e, sempre come tante, era una persona che passava ad Eloyn completamente inosservata. Era una di quelle persone che non entusiasmano, piatte, senza niente da raccontare. O perlomeno era questo l'effetto che aveva avuto su di lei quelle poche volte che si erano incontrate. Così, anche quel giorno come tutti gli altri, era vestita secondo i canoni che ciò che traspariva del suo carattere consigliavano: tacchi alti, molto alti e jeans fascianti, top molto stretto e capelli ondulati a tratti biondi su fondo castano scuro e occhiali da sole in testa. Aveva quel tipico aspetto di immacolato che poteva piacere solo ad uno scalmanato quale era Brian che, invece, era il perfetto opposto.
La verità era che Eloyn non era per niente sicura di quel pranzo, si sentiva come se stese violando una proprietà privata inaccessibile, popolata da persona che, come Michelle, era abituata a vedere solo dall'esterno, non le sembrava giusto. Ma in quel momento sembravano altre le persone che dovevano decidere per lei, ovvero Brian che sicuramente non le avrebbe lasciato libertà di parola a riguardo.
« Eccola! » Eloyn si girò e vide Jimmy e Chelsea con il fiatone che si sorreggevano con le mani appoggiate alle ginocchia cercando di riprendere fiato.
« ..Jimmy.. » lo rimproverò Brian mentre Jimmy cominciava a ricordarsi del compito non svolto.
« oh cazzo! Mi ero dimenticato! » disse schiaffandosi una mano sulla fronte facendo ridere di gusto tutti tranne Chelsea che continuava a non capire.
« Qualcuno mi spiega che sta succedendo? » disse Chelsea con aria finto scocciata.
« Solo se mi spiegate come mai avete il fiatone e state quasi sudando! » replicò Eloyn, curiosa.
Jimmy e Chelsea si guardarono e poi scoppiarono in una fragorosa risata. « stavamo facendo a gara a chi ti ritrovava per prima! Comunque Chelsea, siete invitate ad un barbecue a casa di Haner per pranzo. » chiarì i fatti Jimmy.
« Oh, che bello! Adoro i barbecue! E tu quando pensavi di dirmelo? » disse Chelsea mentre tirava un leggero schiaffo sulla nuca di Jimmy che intanto aveva cominciato a riprendere il suo colorito normale.

Il signor Brian Haner Senior era quasi l'esatto opposto del figlio Brian Haner Junior. Eloyn se ne accorse quando, arrivati in quella reggia degna di un californiano, li vide vicini, uno accanto all'altro nel giardino addobbato a festa per il barbecue. Uno, il più piccolo, era alto, moro e dagli occhi scuri, il classico metallaro truccato dai vestiti a volte improponibili che a quanto pareva era stato concepito in parte anche da quell'uomo bassetto e leggermente tozzo che gli stava accanto. Il signor Haner a differenza del figlio era biondo e di un colorito decisamente più abbronzato. Eppure c'era qualcosa che Eloyn non riusciva bene ad inquadrare che faceva chiaramente trasparire il loro legame di parentela. Forse i movimenti, o alcune smorfie del viso; Eloyn provò addirittura ad immaginarsi Haner Jr completamente struccato per provare a riconoscere qualche carattere in comune. A parte le lievi “borse” al disotto degli occhi che a loro detta “contraddistinguevano qualsiasi Haner degno di quel nome”, non trovò niente di visibile nei loro aspetti. C'era qualcosa che però li legava nonostante tutto. C'era come quella chimica tra di loro, scaturita forse dal passato un po' movimentato, o dalla semplice intesa, che li rendeva belli a vederli insieme. Qualcosa che comunque Eloyn non si sapeva spiegare.
Era la prima volta che le ragazza avevano il piacere di scambiare qualcosa in più di due semplici battute con Val, storica ragazza di Matt. Eloyn l'aveva sempre ammirata da lontano perché dopotutto era grazie a lei che gli Avenged Sevenfold potevano vantare tutto quel successo, era lei la fautrice del sogno, lei l'artefice di una realtà decisamente molto improbabile. Val, al contrario della sorella, non si era mostrata affatto indifferente alle ragazze, ma le aveva accolte da subito facendole sentire davvero parte della famiglia, come se si conoscessero da una vita.
« E insomma la nostra cara Chelsea è riuscita a conquistare il cuore del mio migliore amico! » aveva esclamato Val dopo un po' che stavano parlando.
Sì, Val e Jimmy erano migliori amici, e lo si sarebbe capito anche senza quella conferma.
Sembravano come fratelli separati alla nascita, fatta eccezione per i caratteri somatici; lui era protettivo nei suoi confronti e lei, di rimando, era ben felice di farsi proteggere. Era bello vedere come questo non facesse ingelosire Matt.
Chelsea arrossì alla battuta della bionda, abbassando lo sguardo.
Val era una ragazza assolutamente bellissima, con grandi occhi verde nocciola da cerbiatta e lunghi capelli platinati, che a vederla da lontano sembrava quasi una bambola di porcellana. Era identica a Michelle, sua sorella gemella, ma le si poteva distinguere grazie ai tratti decisamente più marcati della castana, testimonianza del suo carattere opposto a quello di Val. Erano come due energie che insieme si completano.

Dopo circa un quarto d'ora dal loro arrivo, Eloyn sostava appena fuori dalla porta finestra con in mano una bottiglia di birra, pensando a che casa favolosa fosse quelle del signor Haner. Dalla sua posizione poteva benissimo vedere, appena dietro l'angolo di casa una grande piscina dal fondale azzurro che però, in quel periodo dell'anno era pressoché inutilizzabile per via delle temperature non proprio così calde.
Proprio in quel momento, avvolta tra i sui pensieri, Eloyn senti due braccia cingerle la vita e attirarla a se, facendola entrate in casa, delicatamente. Capì subito di chi si trattasse. Zacky era appena arrivato e aveva in piano, secondo Eloyn, di farla morire d'infarto.
« Stupido! Mi hai fatto paura » si lamentò lei con il sorriso sulle labbra. Intanto Zacky la fece voltare e la spinse leggermente conto il muro del salotto, proprio accanto alla porta-finestra, fronte contro fronte.
La stanza era immersa nella penombra, ancora più buia per Eloyn che avvertiva il contrasto tra il chiaro del sole e il buio di una stanza non illuminata. Per di più l'azione era stata commessa in così poco tempo che la ragazza non aveva avuto il tempo necessario per abituarsi; si stropicciò gli occhi.
« Oh, mi dispiace tanto.. sì sì, davvero tanto.. » rispose lui, chiaramente ironico, sorridendo malizioso. La guardò negli occhi per una frazione di secondo che sembrò durare una vita e poi la baciò, lentamente ma con quella foga nel sentirla sua ancora.
Per la precisione erano tre giorni che i due non si rivedevano e adesso, finalmente, dopo tutto quel tempo, Zacky poteva tornare a respirare il suo ossigeno personale, come se lei fosse diventata la droga che lo faceva rimanere in piedi. Poteva affermare che quei giorni erano stati d'inferno, e ancora più brutti perché tutti gli impedimenti che avevano scaturito quella lontananza forzata erano stati causa del suo lavoro e del CD in via di scrittura.
Le loro bocce si muovevano a sincrono e i loro respiri si incatenavano in quella stretta fatale che li obbligava a stare vicini, sempre più vicini, corpo su corpo, anima su anima. Si distaccarono leggermente, distanti di qualche millimetro, o forse meno e Zacky le morse leggermene una guancia, vicino all'angolo della bocca, cingendola ancora più stretta a se e facendola scostare dal muro. Di rimando lei gli diede un piccolo e veloce bacio sulla guancia, quasi fosse una bambina timorosa che fa tutto veloce per paura di non avere più il coraggio. Zacky sorrise di una felicità che non aveva mai pensato di meritarsi e adesso osservava Eloyn, incredulo, convinto che tutto quello che stava tenendo nelle mani fosse troppo, troppo per i suoi canoni. Non sembrava neanche reale. La fissava in quegli occhi verdi come l'erba sottolineati da una linea sottile di matita nera che ne accentuava il colore già vivido di per sé. E sembravano raccontargli in un soffio la vita intera che si era perso, la vita della Eloyn che non aveva conosciuto. Ripensò al primo giorno che si erano conosciuti, all'imbarazzo e alla paura nei suoi occhi quando si era avvicinata a loro.
Ancora qualche attimo e il sussurro della sua voce, quella di Eloyn, risuono nella testa del ragazzo come la più bella melodia di sempre: « ..forse.. forse sarebbe meglio uscire.. » e per qualche strana ragione Eloyn aveva avvertito un soffio, un alito di vento sul cuore al contatto dei loro sguardi e aveva capito che, per la sua salute psicologica, sarebbe stato meglio interrompe lì. Un po' alla volta sarebbe andato meglio.

Johnny. Johnny era sempre stato l'incognita, anche quando Eloyn lo vedeva solo tramite la televisione. Sempre in disparte, non parlava mai; sembrava prendere vita solo quando metteva piede sul palco, solo quando prendeva in mano il suo basso. Era sempre stato l'individuo più misterioso che Eloyn avesse mai incontrato, e ad ogni parola, ogni gesto che lui faceva, Eloyn era sempre più vogliosa di capirne la psicologia. Voleva conoscerlo, capire cosa gli frullava in testa, il perché era come era, che detta così sembra una cosa stupida, ma per capire bene cosa si fosse scatenato in Eloyn quella frazione di secondo, bisognerebbe provarla, la curiosità per una persona. Il volerla spogliare delle maschere che si porta appresso e vederla per come è realmente, per sete di sapere e di capire cose che sembrano impossibili esistere. Come Johnny, impossibile da esistere, secondo Eloyn.
La giornata andò avanti tra i deliri generali di tutti; tra le risate e le battute stupide. Mangiarono fino a scoppiare e risero fino a farsi venire le lacrime agli occhi. E fu proprio in uno di quei momenti che Eloyn si rese conto di star vivendo più del solito.
Dopo quello che le sembrò un tempo decisamente troppo breve, il sole era già calato e l'aria si era raffreddata in tutti i sensi. Era arrivato quel momento della giornata dedicato alle riflessioni, quello in cui stare in disparte con una birra in mano e una sigaretta nell'altra è l'unica cosa chi ti possa confortare dalla malinconia. E lei era proprio lì, seduta sugli scalini che conducevano al cancello principale, dietro di se una festa si stava consumando a ritmo lento. Sentì dei passi e voltandosi vide Johnny con in mano altre due birre che accennava a volersi sedere vicino alla mora per farle compagnia, cosa che non dispiacque poi tanto alla ragazza, che si fece da parte e lo fece sedere.
« buonasera, piaciuta la festa? »
« direi molto.. »
« sì, si sente dal tuo tono di voce »
« ah, no, non ci fare caso.. solo un po' di malinconia, niente che non si possa risolvere con questi » e tirò su entrambe le mani per mostrargli la sigaretta e la birra che teneva in mano.
Johnny accennò una lieve risata sommessa e poi « ti capisco, capita anche a me a volte.. »
Ci furono brevi attimi di silenzio e poi Eloyn si sbottonò un po' di più.
« .. è che non capisco come certi eventi magnifici possano avere conseguenza così.. tristi »
« per “eventi magnifici” ti riferisci a Zacky? » replicò lui improvvisamente interessato ai problemi della mora.
« .. intendo tutto, tutti voi.. questa vita.. » ci pensò un attimo « .. a tutto quello che ho sempre desiderato.. »
« ..ma? »
« ma non pensavo che tutto questo avrei dovuto pagarlo così tanto. E' neanche un mese che sto via di casa e già vorrei non essere partita.. »
« allora quegli “eventi” di cui parlavi prima non sopo poi così eccezionali.. »
« al contrario, lo sono eccome, è che.. io non mi aspettavo che anche la vostra vita potesse avere così tanti intoppi.. »
« siamo persone normali, a quanto pare.. »
« .. e io me ne sto accorgendo solo adesso.. è che è difficile, e poi è tutto così assurdo.. » Johnny annuì, poteva anche solo vagamente capire il concetto, tutto quel trambusto in così poco tempo. « .. e ora ci siete voi, e non siete come mi immaginavo.. »
« e come siamo, invece? »
« migliori » poi si voltò verso il ragazzo « e tu dalla televisione sembri più basso di quel che realmente sei! »
« Oh, dovrebbe essere una specie di complimento » rispose Johnny diverto.
Eloyn rise, poi tornò seria. « è tutto così difficile. Avere un rapporto serio con uno di voi, intendo. »
« ti riferisci a Zacky, ovviamente »
« ..ovviamente.. »
« sì, mi ha accennato qualcosa.. »
Eloyn lo guardò con aria interrogativa.
« ..riguardo al fatto che tu gli sbavavi dietro prima che vi conosceste.. »
« quello che lui non capisce è che io sbavavo dietro a quello che hanno fatto di lui.. non a ciò che è lui realmente. Fatico a farglielo capire e ogni volta mi sembra di non poter dire niente per non farlo arrabbiare, per non toccare quell'argomento che potrebbe rovinare tutto.. »
« credimi, lui è confuso più di te, ma di una cosa è certo e quella cosa sei tu. Quindi, se anche tu ne sei certa, parlaci.. ha bisogno di più sicurezze » e in un certo senso capiva ciò che Johnny le voleva dire. Avere bisogno di sicurezze era una cosa che lei aveva provato sulla sua pelle e, in effetti, era arrivato davvero il momento di parlarne con Zacky.
« hai ragione... » mormorò lei sussurrando.
E rimasero ancora un po' a contemplare la luna che, nel frattempo, si era accesa sulle loro testa con una prepotenza quasi fastidiosa ma affascinante.
« torniamo dagli altri? » le fece lui con un cenno del capo.
Li non rispose, lui intanto si alzò e la aiutò a fare lo stesso porgendole la mano che lei accettò di buon grado. Così si avviarono insieme verso gli altri, entrambi sicuri di aver trovato qualcuno su cui aggrapparsi in caso di necessità.



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Capitolo 8
*** 7 - Rimorsi ***


© Amor vincit omnia.

Avvertimenti. Mi sento in dovere di avvertire tutti lettori che mi sono presa alcune libertà sulle date di certi avvenimenti realmente accaduti, come per esempio il matrimonio tra Matte Val che, come tutti sappiamo, è avvenuto il 17 ottobre 2009; per forza di cose ho dovuto anticipare la data a prima dell'inizio della narrazione dell'intera storia.

10 Novembre 2009, Huntington Beach

Più la guardava e più si convinceva che non c'era essere più bello al mondo di quella ragazza dagli occhi da cerbiatta che in quel momento stava mettendo in ordine la casa in vista della giornata che le si prospettava davanti. Matt la osservava incredulo chiedendosi cosa avesse fatto di tanto buono per meritarsi una persona così sorprendentemente magnifica accanto nel bene e nel male; era sicuramente molto più di ciò che Matt si fosse mai aspettato dalla vita. Già dalla mattina presto Val vagava senza sosta tra una stanza e l'altra come ogni giorno in cui i ragazzi si riunivano per scrivere; era sempre stata una perfezionista e anche in quel frangente la sua natura veniva allo scoperto facendola impazzire nelle faccende domestiche.
Matt sedeva sul grande divano in pelle nera dell'ampio salotto di casa e aspettava pazientemente che la ragazza smettesse di dannarsi per mettere in ordine la casa. Aspettò ancora un po' e poi si decise che non si sarebbe mai fermata senza l'aiuto di qualcuno. Si alzò lentamente, quasi a non voler farsi sentire per coglierla impreparata e si avviò verso la televisione, sul lato opposto della stanza, dove lei stava mettendo in ordine tutti i DVD di famiglia.
« Oh, diavolo! Ma cosa ci fa questo CD dei Pantera in mezzo ai DVD? » imprecò la ragazza mantenendo lo sguardo fisso sul CD che aveva appena preso in mano e al contempo muovendosi in direzione del corridoio. Se non fosse stato per quella perfezione costante che inspiegabilmente non l'abbandonava mai, ora avrebbe di certo la fronte imperlata di sudore. Matt le stava alle spalle e riuscì a fermarla giusto in tempo per impedirle di ricominciare a correre su e giù per il corridoio, cingendole il busto.
« Eh no! Adesso basta, dai. » la attirò a sé ignorando i suoi lamenti.
« Matt! Lasciami andare, devo mettere apposto questo CD e.. »
In certi momenti Val le sembrava un robot di quelli che fanno tutto in automatico, si disse che avrebbe avuto bisogno di una rinfrescata di idee che le chiarisse il suo stato di umanità. Così la fece voltare e approfittando del suo stato di momentanea confusione le prese il viso tra le mani.
« Val, stai impazzendo e spero che te ne renda conto da sola. » tagliò corto lui in un sussurro che conferì alla scena un tocco in più di ilarità.
« Non è vero! » protestò lei come una bambina.
« Sì che è vero, ed è per questo che adesso tu metterai via questo CD e ti rilasserai.. » disse lui cingendole la vita con una mano mentre con l'altra le toglieva il CD dalle mani e lo appoggiava sul tavolo della sala.
« Ok, forse hai ragione »
« Forse? » chiese conferma il più alto.
« Senza forse » sorrise lei evidentemente rilassata. Matt la guardò negli occhi e riprese i pensieri che aveva abbandonato poco prima.
Val aveva i capelli raccolti con un mollettone e un fascetta nera divideva la frangia che le ricadeva sulla fronte dal resto dei capelli.
Si fissarono intensamente negli occhi per qualche attimo, dopodiché lei sorrise. “Il sorriso più bello del mondo” pensò Matt. In quel momento suonò il campanello distruggendo tutta la catarsi attribuibile ad una scena come quella.
Matt andò ad aprire e trovo dietro alla porta Jimmy con in mano due casse di birra e uno dei suoi più felici sorrisi a coronare la scena.
« Alcol! » aveva esclamato in tono festoso non appena aveva varcato la soglia di casa.
« ..dovevo immaginarmelo! » lo rimproverò fintamente la biondina avvicinandosi e dandogli due baci sulle guance.
« A proposito, dove le metto? »
« Sopra al tavolo, tanto nel giro di un'ora saranno tutte finite » replicò alla svelta lei lasciandosi andare sul divano.
« Ragazzi, vi lascio soli un momento. Devo andare da Larry per dirgli delle cose.. » disse Matt interrompendo i due.
« Sì sì, te la tengo d'occhio io.. » disse malizioso Jimmy.
« Allora sto sicuro.. povero me.. » esclamò in tono arreso Matt uscendo di casa con le chiavi in mano. « ma non me la consumare, ti prego.. » continuò divertito dall'espressione scandalizzata della moglie.
« MATT! » urlò Val lanciando il primo cuscino che le fu sotto mano verso la porta che intanto si chiudeva tra le risate divertite dei due ragazzi.
« Dai, forza piccoletta. Vieni di là che ti faccio sentire una cosa. » la sollecitò Jimmy.
I due erano migliori amici dal tempo del liceo e Val sapeva già bene cosa fosse qual qualcosa di cui lui parlava. Era ormai tradizione, prima della pubblicazione di ogni album, che Jimmy facesse sentire a Val ciò che componeva prima di proporlo agli altri. Lui riteneva che portasse bene al gruppo. Così andarono nella piccola sala registrazioni che Matt aveva fatto costruire subito di fianco alla porta del garage ad un piano di differenza dal soggiorno e Jimmy si mise subito al pianoforte.
« E' una nuova canzone.. non so come sia, volevo un parere, come sempre... »
Così Val si posizionò su una sedia accanto a lui e stette ad ascoltare i pochi accordi.
« There comes a day when we all find out for ourselves
That once we have the words to say,
There's no one left to tell.
I know why you're running away... »
« … e poi pensavo, tipo ad un attacco di batteria e a qualcosa tipo “you got one more chance to die”, o cazzate simili » concluse Jimmy in tono umile.
« Cazzate Jimmy? E' una delle canzoni più belle che tu abbia mai scritto! » disse Val con le lacrime agli occhi facendo sorridere Jimmy di soddisfazione. Erano pochi accordi accompagnati da poche parole giusto accennate ma, come ogni volta, la voce e il sentimento che Jimmy metteva quando suonava erano riusciti a farla commuovere, forse perché in tanti anni di amicizia aveva capito il modo di pensare dell'altro e aveva imparato anche a mettersi nei suoi panni. Sapeva come lui vedeva il mondo e tutto ciò che c'era dentro tanto che, alle volte, credeva quasi di essere dentro di lui perché si commuoveva senza saperne il vero motivo.
« Beh, è un buon risultato considerato che l'ho scritta alle quattro della mattina! »
« Non riuscivi a dormire? » gli chiese lei, preoccupata da qualcosa di più che da una semplice insonnia. Lui sospirò impercettibilmente « … lo sai, sempre le solite.. » disse lui rassegnato.
« Ancora gli attacchi d'ansia? »
« Sempre. » puntualizzò lui. Val abbassò lo sguardo. Sapeva bene da che cosa fossero scaturiti quegli attacchi d'ansia. Jimmy era nato con dei problemi al cuore, questo lo sapevano tutti, e lei sapeva anche che non c'era gran che da poter fare per risolverli. Certo, la sua dipendenza dell'alcol non faceva che peggiorare le cose ma quello era un argomento del quale avevano parlato e riparlato, tutte le volte rischiando di sfociare in una lite o peggio; quello che tutti avevano imparato a fare era assecondarlo e fargli capire che doveva fare qualcosa a riguardo solo con l'uso degli sguardi e di gesti impliciti.
Proprio in quel momento si affacciò alla porta della stanza Matt con Brian e Mich al seguito.
« Ciao sorellina! » esclamò Michelle alla sorella.
« Ciao Mich, 'giorno Gates » si avvicinò e li salutò con un abbraccio.
Suonò di nuovo il campanello ma questa volta andò Val ad aprire. Era Johnny con Eloyn e Chelsea e le faceva strano. Certo, era successo altre volte che le due fossero capitate a casa sua per vari motivi e mai le aveva dato fastidio, ma quel giorno era diverso, quel giorno erano tutti insieme, veramente tutti dopo quasi un mese; era un giorno importante per Val e la presenza di quelle due “sconosciute”, per quanto avesse cercato di negarlo, le dava un po' fastidio.
Val non sapeva come catalogarle; era bello parlare con loro, era bello pensare che la famiglia Sevenfold si fosse allargata ancora di più, pensare alle giornate di shopping che avrebbero potuto fare, i consigli da amica che avrebbe potuto ricevere, ma c'era sempre quella strana sensazione che non se ne voleva andare. Come se in tutta quella situazione ci fosse qualcosa di sbagliato, perché infondo quelle due ragazze dai tratti così marcati che sembravano uscite da un film, erano state loro fan in precedenza e in qualche modo questo avrebbe avuto delle conseguenze per tutti. In primis per loro stesse, poi anche per gli altri, e quindi indirettamente anche per Val. Nonostante questo, le fece entrare e le saluto con un caloroso abbraccio dato forse proprio per contraddire quei pensieri che le balenavano in testa una volta ogni tanto, le fece accomodare nello studio dove nel frattempo chi era già presente si era messo comodo, poi si mise di fianco a Matt che sostava in piedi di fianco alla porta.
« Quindi chi manca? »
« Baker, come al solito.. »
« il ritardo non se lo risparmia mai a quel ragazzo.. »
« no, è lui che non si risparmia il ritardo nemmeno una volta.. » finì il discorso Jimmy interrotto di nuovo dal campanello che annunciava l'arrivo dell'ultimo Sevenfold. Matt andò ad aprire accompagnato da Val che nel tragitto, precisamente nel corridoio, sentì l'impulso di confidarsi al volo, senza volerlo.
« Non lo so, ho una sensazione strana »
« riguardo cosa » Matt si fermò e si voltò verso di lei.
« quelle ragazze.. ah non so nemmeno spiegarmi. Ho una sensazione strana, ecco tutto! » cercò di spiegarsi gesticolando vistosamente e guardando diversi punti indefiniti dello spazio.
Il campanello suonò di nuovo.
« Ne parliamo stasera, ok? »
Val annuì e insieme si diressero alla porta.
Zacky entrò in casa scusandosi e continuò anche arrivato in sala di registrazione.
« Baker calma, sei in ritardo di appena quattro minuti. » gli disse Johnny, evidentemente divertito dall'affanno con il quale l'altro si era presentato. Zacky guardò l'orologio che portava al polso, poi si voltò verso Johnny e poi di nuovo sull'orologio. Le 10 e 34.
« Non dovevamo vederci alle 10? »
« No, Vee. Era per le 10 e 30 »
Zacky, sorpreso, sbuffò e appoggiò la chitarra che aveva in spalla sul muro, poi si avvicinò ad Eloyn che era seduta su piccolo divanetto, e ci si sedette sopra facendola imprecare.
« Oh Zacky mi pesi! » esclamò divertita mentre il ragazzo se la rideva di gusto. La sua faccia esasperata causò le risate di quasi tutti nella stanza.
« E dai, non sono così pesante, no? » e le mise le mani attorno al collo come se improvvisamente i ruoli si fossero invertiti.
« Togliti! Adesso! » disse lei cercando di farlo cadere.
« E va bene ma solo perché sei tu! » e prima di alzarsi le diede un bacio a fior di labbra che lei non ricambiò, tanta era la sofferenza provocata dal suo peso. Doveva ricordarsi di fargli fare un po' di palestra uno di quei giorni.
« Forza ragazzi, mettiamoci al lavoro. » era il momento in cui Matt diventava la mamma-leader che li aveva portati dov'erano. In fondo gran parte del lavoro lo faceva lui.
« Ragazze, che ne dite di farci un tè? » chiese Val. Tutte annuirono e si avviarono verso la cucina.
« Ragazzi, ho qualcosa di nuovo da farvi sentire.. » e le parole di Jimmy sfumarono nelle orecchie di Eloyn che si allontanava sempre di più.
Le cose si facevano man man sempre più difficili e ogni giorno si trovava di fronte più e più situazioni da dover decifrare, le stesse che sognava di vivere da bambina come per esempio assistere alla creazione di una delle loro canzoni. Era tutto sempre più confuso e non trovava le parole per esprimere il suo stato d'animo.
L'idea del tè si dimostrò fantastica, le ragazze parlarono molto e si scoprirono a vicenda. Capirono che infondo erano molto simili e Michelle per la prima volta non fu la solita impassibile e indifferente ma, anzi, si scoprì essere una persona molto divertente, proprio come la sua gemella.
« Io vado a fumarmi una sigaretta, il tè era buonissimo » annunciò Michelle alle altre.
« Ti accompagno, va anche a me. » replicò Eloyn.
« Mi chiedo quando la smetterai con queste sigarette. » la rimproverò Chelsea.
« Sì, me lo chiedo anche io, Mich! » le andò dietro la bionda. Era proprio in questo senso che erano molto simili perché, anche se Eloyn e Chelsea non erano gemelle, rappresentavano comunque i corrispettivi delle altre due. Infatti Michelle era molto simile ad Eloyn, per abitudini, vizi e modi di vedere il mondo, mentre Chelsea era molto simile a Val per gli stessi motivi. Era proprio per quello che si trovavano molto bene insieme nonostante i primi contrasti.

« Sai, ti immaginavo diversa. » disse Eloyn a Mich una volta fuori.
« Me lo dicono sempre tutti dopo avermi conosciuta, anche Brian! » sorrise e anche Eloyn fece lo stesso. « .. é che faccio uno strano effetto alla gente. Non so perché ma mi vedono sempre tutti come una sottospecie di Barbie venuta male. »
« anche io l'ho pensato, solo non venuta male. »
« se non altro è un passo avanti » e prese un tiro dalla sigaretta. Eloyn gettò il mozzicone e lo spense con il piede. « vado dentro a prendere il cellulare.
« sì sì, tanto appena finisco vengo anche io »
Eloyn rientrò e si diresse verso la stanza di registrazione per recuperare la sua borsa che aveva lasciato là distrattamente. Stava per aprire la porta già socchiusa della stanza quando si accorse della melodia che da fuori non poteva udire per via dei muri insonorizzati, si bloccò. Era Dear God e quella canzone faceva riemergere fin troppi ricordi. Era la canzone sua e di sua sorella Silvie, la stessa causa della voragine che ora si portava nel petto per via della sua mancanza, e le parlava di troppe cose. Erano Zacky e Matt che la stavano suonando per divagarsi mentre gli altri lavoravano attorno ad un tavolo, probabilmente ad un testo, e nessuno di loro poteva mai immaginare cosa avrebbe provocato quella canzone a Eloyn.

« We all need that person who can be true to you,
but I left her when I found her
and now I wish I'd stayed
'Cause I'm lonely and I'm tired,
I'm missing you again oh no
Once again.. »

Cantava Matt ignaro della sua presenza dietro a quella porta.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci sia sincero, come lo era Silvie per Eloyn, era l'unica certezza, l'unica persona di cui sentiva di potersi fidare ciecamente, più di Chelsea, perché le era stata vicina tante di quelle volte, e tante altre ancora averebbe potuto aiutarla se solo non fosse partita, ed ora Eloyn era stanca di quello stress, di quell'equilibrio sbagliato che la costringeva sul filo di una ragnatela. Era esasperante.

« ..I found you, something told me to stay.
I gave in, to selfish ways,
And how I miss someone to hold when hope begins to fade... »

Però c'era lui, quell'angelo che ora stava suonando la chitarra in modo divino suscitando il lei emozioni mai provate, per quanto negative esse fossero.
E lacrime amare solcavano le guance di Eloyn che continuava ad ascoltare ad occhi chiusi cercando di controllarsi, perché sapeva che se fosse sbottata non averebbe avuto l'opportunità di rimediare. Però c'era qualcosa, qualcosa che la costringeva a non tornare indietro, perché anche se non se lo meritava, aveva Zacky e lui valeva molto ma non troppo. Lui c'era ma non era un appiglio sicuro, però non sopportava l'idea di doversene separare, non ora che era riuscita a coronare il suo sogno.
Aveva bisogno della sua Silvie in quel momento più dell'aria, voleva stringerla e costringerla a non lasciarla mai più, perché quella era la loro canzone anche a chilometri di distanza, e l'amore per una sorella è più forte di qualsiasi altra cosa. Ma allora perché faceva così fatica a decidersi ad andarsene, perché? Non riuscì a trattenersi e per evitare figure banali che avrebbero solo sminuito i suoi sentimenti difronte a a tutta quella gente, si rifugiò nella stanza più vicina, per potersi sfogare, perché era tutto troppo pesante da sostenere. Iniziò a camminare a passo fin troppo spedito, tanto che fece cadere il pacchetto di sigarette proprio davanti allo studio, facendolo sbattere contro la porta. Sentì quella melodia spezzarsi all'improvviso e tacere. Un brusio e qualcuno che usciva dallo studio.
« EL! » gridava Zacky andandole incontro a passo veloce. Il tempo di due passi, in un frastuono di immagini sfocate e tremanti, lei si era già rifugiata nel bagno chiudendosi bruscamente la porta alle spalle e sfogando tutto quello che altrimenti sarebbe rimasto in se stessa e che avrebbe causato, con il tempo, reazioni ben peggiori a quella. Dall'altra parte della porta Zacky batteva contro il legno per farsi aprire.
« EL, CAZZO! APRI QUESTA FOTTUTA PORTA! » Eloyn si appoggiò con la schiena contro la porta e si fece scivolare giù fino a ritrovarsi seduta sul pavimento di un bagno sconosciuto, con le gambe raccolte e la testa tra le braccia a chiedersi il perché di quella tortura, a chiedersi se fosse tutto un brutto scherzo o un bellissimo sogno. Non rispose e si abbandonò ad un pianto sommesso e soffocato. L'aria nel bagno era umida e ristagnante ed Eloyn poté scorgere i profili di quel luogo, impigliati al suo cervello come i ricordi di una vita che mai avrebbe voluto vivere. Tra le lacrime, immagini di mattonelle tremolanti e umide, di color verde. La porta cessò di tremare sotto le scosse del ragazzo che intanto si era arreso e si era anche lui accasciato al suolo con la testa tra le mani, confuso più che mai. Non capiva cosa c'era che non andava e non gli stava bene che lei soffrisse senza che lui potesse muovere un muscolo per farla stare meglio. Sapeva bene, lo aveva saputo dal giorno in cui avevano parlato a casa di Jim, che lei era come una bomba a orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro, eppure aveva continuato, non si era arreso, perché lei era una delle tante ma anche la sola che gli aveva davvero preso cuore ed anima con uno sguardo, e non se la poteva far scappare.
Zacky sentì finalmente lo scrosciare del rubinetto e si alzò in piedi aspettando che la ragazza uscisse, sicuro che nella stanza accanto si fossero riuniti tutti aspettando in silenzio un qualche verdetto che attestasse la stabilità della situazione che però tardava ad arrivare.
Eloyn uscì di fretta senza neanche guardarlo negli occhi, e in qualche modo il ragazzo non riuscì a muovere un muscolo davanti al volto straziato della ragazza che si diresse immediatamente verso l'uscita sotto gli occhi incuriositi e impietriti di tutti gli altri. Dopo qualche istante di silenzio Matt decise che non potevano lasciarla andare via così, senza neanche una spiegazione. La seguì in fretta fuori casa e cercò di raggiungerla accelerando il passo mentre lei viaggiava spedita sul marciapiede.
« El, aspetta » ma la ragazza non accennò a volersi fermare.
Matt la arrivò e la prese per il braccio facendola girare di scatto. Aveva il viso contratto dal pianto e umido di lacrime.
« Che è successo? » Ma Eloyn non ce la fece e scoppiò di nuovo a piangere. Matt la abbracciò cercando di farla calmare, ancora decisamente molto confuso.






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Capitolo 9
*** 8 - La forza del mondo ***


© Amor vincit omnia. 

11 Novembre 2009, Huntington Beach

La sera precedente era stato lasciato tutto un po' in sospeso; Eloyn non aveva avuto la giusta forza per dare spiegazioni concrete al suo comportamento, non aveva potuto o forse non aveva voluto, nemmeno con se stessa. Perché in certi casi la cosa migliore da fare è rimanere in silenzio e lasciarlo parlare al posto nostro, che lui da solo fa più rumore di qualsiasi inutile grumo scomposto di parole prive di significato.
Quando Matt l'aveva rincorsa per capire, capire davvero cosa stesse passando per la testa di quella ragazza, lei non aveva dato spiegazioni; aveva continuato con quel pianto lento e straziante, e nella sua ingenuità, tra una parola e l'altra, aveva pensato che quelle lacrime e quei pochi monosillabi avrebbero fatto capire a tutti perché quella melodia avesse scatenato un susseguirsi di eventi concatenati l'uno con l'altro, ma in realtà nessuno avrebbe mai potuto capire al meglio cosa stesse succedendo dentro di lei, forse perché infondo non c'era arrivata neppure lei stessa. Intanto Zacky se ne andava sbattendo la porta dell'auto.
Si sentiva soffocare; come se ci fosse stato un mattone sul suo petto che le bloccava il respiro e lo lasciava a metà, e lei con quella sensazione di mancanza d'aria che la uccideva a poco a poco, e tutto questo cercare di sopravvivere all'inevitabile le aveva bruciato tutte le forze, perché quello non era il suo posto, perché l'unica persona che sarebbe stata in grado di capirla, forse, era sua sorella Silvie, a chilometri di distanza da Huntington, perché tutto quello a cui aveva sempre aspirato, la vita che aveva sempre voluto, ora era lì in attesa di essere vissuta, e non era più tanto sicura di volerla avere.
Eloyn era sempre stata una persona estremamente solitaria e sapeva bene che certe cose poteva risolverle solo da sé, o sapeva che chiudersi in se stessi a volte è l'unica soluzione per non dire qualcosa di sbagliato, e tra le lacrime di quel freddo pomeriggio, nella stretta di Matt che le teneva le braccia, si era divincolata scuotendo il capo e aveva continuato dritto per la sua strada, lanciando, prima di voltarsi, uno sguardo supplichevole a Matt che stava quasi a sussurrare uno “Scusa” a fior di labbra, le parole che non riusciva a pronunciare. Era scappata, proprio come una vigliacca, come una che non sa tenere testa alla vita, era scappata, e Chelsea si era dannata per capire dove fosse andata, l'aveva cercata ovunque e l'aveva rivista solo a notte inoltrata, quando era rientrata in casa evidentemente distrutta. Chelsea la aspettava in salotto accanto ad una bottiglia di Tequila liscia per ammortizzare le preoccupazioni quando sentì la porta scricchiolare e aprirsi lentamente scoprendo il volto arrossato e gli occhi iniettati di sangue di una Eloyn fuori di sé. La scena che le si prospettò davanti le fece venire un colpo al cuore: Eloyn teneva lo sguardo basso e aveva la tuta celeste sgualcita; i capelli raccolti in una coda posticcia e fin troppo disordinata; lo sguardo vacuo. Era cresciuta insieme a quella ragazza ma mai in tutto quel tempo l'aveva mai vista così moralmente implicata in qualcosa di importante.
Per come la vedeva lei, Eloyn era sempre stata una persona indifferente alla vita e per quanto questo potesse sembrare triste, lei stava bene così, solo che ora era tutto diverso, ora le circostanze l'avevano piegata al volere degli altri e non aveva via di fuga, nemmeno l'indifferenza. C'era dentro con tutta se stessa e questo vivere così intenso, questa mancanza che non aveva mai provato, la stava atterrendo lentamente. Eloyn si chiuse la porta alle spalle e vide Chelsea in piedi al centro del soggiorno, passò oltre e salì le scale, e i loro occhi si sfiorarono solo per un interminabile secondo. Entrò in camera e si chiuse il mondo alle spalle; si sdraiò sul letto, scarica di troppe lacrime e sfinita da quelle emozioni nuove e terribili allo stesso momento e così si abbandonò ad un sonno ristoratore.

Il giorno seguente i caratteri rossi su sfondo nero della sveglia di Eloyn le diedero un beffardo buongiorno. La ragazza stropicciò gli occhi e si accorse di essere ancora vestita e sporca del dolore di poco tempo prima, ricordò la nottata precedente e tutte le paure che il sonno sembrava aver assopito ma che tornarono più chiare di prima, giusto in tempo per farle riprendere conoscenza. Cercava di focalizzare ogni istante trascorso, eppure tutto sembrava essere stato quasi un brutto sogno.
Bussarono alla porta con un tempismo degno di nota.
« Avanti » mormorò la mora.
Chelsea spuntò fuori dalla porta con un vassoio in mano. Colazione a letto. Ora Eloyn ne aveva la certezza, quella ragazza la conosceva meglio di se stessa, anche se una colazione a letto non avrebbe sistemato di certo tutti i problemi che lei stessa aveva portato ad Huntington.
« Come stai? » disse Chelsea con un tono ovattato.
Eloyn si limitò a scrollare le spalle e tirarsi su seduta. Non aveva più forze per parlare e niente da dire. Chelsea le appoggiò accanto il vassoio e stette un po' là, seduta, aprì la bocca e sembrò quasi che volesse dire qualcosa, poi evidentemente ci ripensò e la richiuse ma l'altra non ci fece nemmeno troppo caso. Squillò il telefono sul comodino ed Eloyn lo guardò un po' prima di prenderlo in mano e vedere il nome del mittente impresso sullo schermo.
« Zacky » sussurrò tra sé. Chelsea colse la palla al balzo e ne approfittò per alzarsi e andarsene da quella situazione.
« Allora io vado.. » si guardò intorno e prese la via della porta. Era strano, ma non riusciva a sostenere quell'aria pesante che accompagnava la sua amica in quei giorni, non riusciva a parlarci, così, semplicemente, senza imbattersi in qualche silenzio imbarazzante, preferiva sempre aspettare la scusa giusta per andarsene, che in quel caso era Zacky.

« Continuo a non capire! La conosco da non mi ricordo quanti cazzo di anni eppure non capisco cosa le stia succedendo! Stamattina è entrata in casa che sembrava uscita da una gabbia di leoni affamati, e per di più non mi ha detto niente e io non ho avuto le palle di chiederglielo!! »
Mezz'ora dopo Chelsea era già uscita da quella casa che, in quelle circostanze, rappresentava una tortura ed era andata a casa di Jimmy intenta a sfogare tutte le sue preoccupazioni sull'unica persona che lei sapeva per certo non si sarebbe mai lasciata atterrire.
Chelsea agitava le mani in aria gesticolando pericolosamente davanti al volto di Jimmy, era arrabbiata con la sua migliore amica e anche con se stessa, perché stavano succedendo cose strane e lei ne era stata completamente tagliata fuori. Era stata esclusa da quella che una volta era anche la sua vita, quella che condivideva da sempre con Eloyn ma che adesso stava prendendo una direzione diversa dalla sua, senza un motivo.
Jimmy la osservò nel suo sfogo, a braccia conserte, sistemandosi gli occhiali da vista ogni tanto con l'indice facendo pressione tra le due lenti, per poi avvicinarsi e bloccarle le braccia in una stretta dalla quale difficilmente sarebbe riuscita a liberarsi. Erano dieci minuti che la ragazza stava parlando a vanvera, solo per il gusto di farlo, senza neanche ragionare su cosa stesse dicendo.
« Cazzo Chelsea, adesso basta! » aveva usato parole forti e decise ma con un tono delicato e premuroso, contrastanti tra loro.
« Non puoi dannarti così! Senti, la risolveremo, se vuoi andrò a parlare con lei, ma adesso smettila di urlare! » le diede un bacio tra i capelli rossi e ondulati e la guardò negli occhi. Quegli occhi così verdi e così vividi da togliergli il fiato ogni volta che ci si soffermava per più di mezzo secondo, sembravano volergli esprimere tutto quello che lui stesso, di rimando, provava per lei.
Aveva passato una vita tormentato dal dubbio che questo mondo non facesse per lui, e solo ora che la guardava negli occhi capiva che quella era la sua dimensione, proprio lì, proprio con lei.
Chelsea affondò il visto, teso dalla rabbia, sul petto del ragazzo e ne respirò il profumo dolciastro misto all'odore di nicotina che lo seguiva sempre come un'ombra, ma al quale Chelsea aveva fatto abitudine molto presto, quell'unico profumo che aveva il potere di calmarla in qualsiasi situazione. Gli mise le braccia attorno corpo e lo strinse più forte che poté, cercando in lui quella forza di cui aveva bisogno e che adesso le mancava, quella che solo lui le sapeva dare. Tra loro c'era un legame che andava al di là di qualsiasi ragionamento logico, proprio perché lui stesso e tutto intorno a lui non era ordinario, mai al suo posto.
« E adesso andiamo a fare il pranzo altrimenti non mangiamo! » e così Jimmy si congedò e sciolse controvoglia quell'abbraccio.
« Devo avvertire Eloyn. »
« Non penserai di squagliartela e far apparecchiare me, vero? »
« Ok, le manderò un messaggio. » replicò lei ridendo all'insinuazione del suo fidanzato.
Jimmy si avviò attraverso il lungo corridoio verso la cucina mentre Chelsea raccattava dalla borsa il suo cellulare per avvertire l'amica che non sarebbe tornata a pranzo. Era la cosa migliore, lasciarla sola.

Eloyn rispose alla chiamata poco sicura delle sue azioni.
« Pronto? »
« Grazie al cielo Eloyn! E' tutta la notte che ti chiamo! » Zacky aveva un tono tra l'arrabbiato e il rassicurato, evidentemente doveva avergli fatto prendere un colpo.
« ..Sì, scusa.. » riuscì a dire Eloyn, ma capiva che tutte quelle lacrime non erano servite poi a così tanto dato che sentiva la gola chiudersi e il mento tremante, sull'orlo delle lacrime, di nuovo. Ci fu un attimo di silenzio.
« Sei a casa? »
« Si »
« Arrivo! » Eloyn non fece in tempo a dire “no, Zacky..” che la comunicazione era già stata bruscamente interrotta. Guardò la colazione vicino a lei e ci pensò su, poi si voltò e si sdraiò di nuovo, aspettando l'inizio della fine: Zacky.
Non sapeva che reazione avesse scatenato il suo atteggiamento e aveva paura di scoprirlo. Il problema era che lei era una persona impulsiva, e sentire quella canzone che conosceva tanto bene, suonata proprio da loro, in un contesto completamente opposto a quello di sempre, le aveva fatto un po' impressione, se poi ripensava anche a ciò che era legato a quella canzone che descriveva perfettamente la sua situazione, le cose non facevano che farsi più serie. Tutto era più pressante in quella città e tutto sembrava farle paura.
Dopo poco Eloyn sentì qualcuno salire le scale e la porta si aprì. Strinse ancora di più il cuscino che aveva sotto la testa e aspettò in silenzio la parole che non arrivarono mai in tempo. Zacky entrò con quell'incertezza fragile di chi non sa bene cosa fare, stette un po' in piedi e poi si sedette sul letto dando le spalle alla ragazza che aveva il volto rivolto dalla parte opposta. Si prese la testa tra le mani e fece due respiri profondi; era davvero intenzionato a fare luce sulla faccenda perché non aveva senso il comportamento della ragazza, o meglio, non lo aveva per lui. Ma il coraggio di farsi avanti veniva meno ad ogni secondo che passava. Chiamò a sé tutta la forza che gli rimaneva in corpo e sputò fuori i suoi dubbi senza neanche pensare bene a cosa stava dicendo.
« Si può sapere che diavolo è successo ieri sera? » di nuovo, come al telefono, il suo tono di voce era sul limite tra l'arrabbiato e il preoccupato, anche un po' confuso.
La ragazza si volto e si mise supina con lo sguardo fisso sul soffitto cercando le parole giuste per descrivere ciò che era successo dentro di lei. « Io non ce la faccio »
« Che vuol dire che non ce la fai? »
« Mi manca tutto, mi manca mia sorella, mi manca la mia casa, mi manca la mia città.. »
« Questo vuol dire che tornerai a Washington? » la interruppe violentemente lui, quasi sull'orlo delle lacrime, come se non ci fosse più niente da dire e tutto fosse già stato deciso. Come se quell'elenco insulso delle cose che la facevano star male non fosse importante, perché tutto quello, qualsiasi cosa fosse, avrebbe portato ad un solo ed unico risultato, l'unico che Zacky non avrebbe sopportato.
Eloyn non rispose, Zacky si girò dall'altra parte come ad aver afferrato la sua risposta muta.
« Bene. » Sospirò lui quasi arrabbiato.
« Tutto questo non ha senso, Zacky! » replicò lei alzando la schiena dal letto e fissando la sua nuca sperando che si voltasse.
« E allora cosa ha senso, eh? Dimmelo tu perché non ci sto capendo niente! » nel mentre, si alzò e si giro guardandola negli occhi con una foga che faceva quasi paura. Eloyn scosse la testa e abbassò lo sguardo incapace di guardare quegli occhi di ghiaccio, ora più freddi che mai. Non sapeva nemmeno lei che risposta dare a quella domanda, perché in quei giorni niente aveva senso.
Zacky riprese a gesticolare viaggiando per la stanza come un'anima in pena. « Ci siamo conosciuti che già c'erano problemi e ci siamo ripromessi di affrontarli insieme, ma se tu non mi dici niente, se non hai nemmeno la voglia di farlo o non puoi, non lo so, io come faccio ad aiutarti? Fin ora siamo sempre stati sinceri, perché adesso no? »
« Va bene, allora ti dirò che mi succede.. » cominciò lei con tutta la calma del mondo. Stava facendo uno sforzo per far andare tutto liscio, uno sforzo immane, ma doveva pur provarci. « Quella canzone, Dear God, era la canzone che cantavamo sempre io e mia sorella a Washington, e ora mi rendo conto che sembra che l'abbiate scritta giusta per questo momento. Lei mi manca come l'aria che respiro, Zacky, mi manca lei e tutto quello che le appartiene.. e.. in parte vorrei tornare ma.. » si fermò un attimo come a soppesare le parole che stava per dire.
« Ma.. Cosa? »
« Ma ci sei tu, ci siete voi e tutta questa vita che non mi sarei mai aspettata! » e quello che era un tono calmo e lineare stava sfociando in un pianto, l'ennesimo pianto affogato dal veleno delle sue stessa parole. « Voi eravate i miei idoli, lo siete stati per tanto tempo, eravate la mia vita e ora siete qui e ne fate parte. Sono cresciuta ascoltando la vostra musica convincendomi di conoscervi almeno un po', ma mi sbagliavo.. eccome se mi sbagliavo.. Capisci, tutte le mie certezze sono crollate e ora mi ritrovo a dover ricostruire i rapporti che sono andati in fumo, quelli che in realtà non sono mai esistiti.. »
Zacky la osservava stupefatto. Ma la capiva. « … ed è tutto più difficile quando si è lontani da casa, e poi c'è Justin, l'ombra di quello che è stato per me, che ogni volta che mi avvicino a qualcuno mi ricorda quanto ho sofferto e mi ricorda anche che voi siete chi siete e che sarebbe quasi impossibile avere un rapporto serio con uno di voi, perché non so nemmeno se siete reali o no, non so nemmeno chi siete realmente.. » quel soliloquio stava veramente degenerando, Eloyn parlava senza capire cose stesse dicendo, semplicemente parlava senza sosta, sfogando tutto e dicendo tutto quello che c'era da dire. Senza guardarlo negli occhi.
« Eloyn, basta! » la interruppe bruscamente lui facendo il giro del letto per mettersi seduto accanto a lei, le prese il viso tra le mani e la fissò. « Eloyn, io sono qui, sono reale quanto l'aria che respiri e voglio solo te! Di cosa dovresti aver paura? » ma mentre lo diceva non lo sapeva nemmeno lui quanto potesse essere vero, quanto lui fosse vero. Infondo era diventato ciò che gli altri volevano, non sicuro che quello fosse ciò che voleva anche lui.
Si guardarono ancora negli occhi con un intensità che sembravano aver perduto, e poi si baciarono con una delicatezza che risvegliò nei loro animi la calma di cui entrambi avevano bisogno. E improvvisamente tutto intorno si fece ovattato e non importava più della tuta sgualcita di Eloyn e delle sue paranoie, non importava più nemmeno di quelle di Zacky.
La stanza era immersa in un buio velato dalla poca luce che filtravano le tende. Due cuori in uno solo, due corpi in uno che alla fine scoprono che il tempo passato assieme è il migliore per entrambi e in quei momenti ogni problema scompare, perché lui aveva il potere di farla stare bene come nessun altro era mai riuscito a fare. E ripensandoci in quel momento, che forse non si poteva nemmeno definire reale, andarsene e lasciare tutto sarebbe stato l'errore più grande della sua vita. Forse era meglio risolverla senza scomodare i sogni, che stavano già bene dov'erano, ovvero proprio davanti a lei. E allora quale forza estranea sarebbe stata in grado di negarle quei momenti, se proprio in essi riusciva ad essere felice?
Che poi alla fine è tutta una questione di attimi, e in quel preciso momento lei stava bene, davvero bene.
Non si era nemmeno accorta che i baci si stavano facendo intensi ad ogni secondo che passava e che la voglia di appartenersi aumentava ad ogni battito mancato, e all'improvviso quella selvaggia voglia l'uno dell'altro li stava divorando dentro, facendoli sembrare animali affamati della pelle dell'altro, del suo profumo, della sua anima. E allora per la prima volta decisero in silenzio di zittire quella voglia di amarsi come non avevano mai fatto prima, come lei non aveva mai avuto il coraggio di fare. E così iniziò una nuova giornata, una danza di corpi che si fondono in uno solo tra respiri confusi, tra dolore e piacere, tra battiti accelerati e stanchezza, e la gioia di sentirsi uniti una volta per tutte.

Quella era stata la prima volta che Eloyn aveva fatto l'amore con Zacky Baker, e se le cose potevano sembrare surreali prima, adesso erano diventate una finzione bella e buona in cui Eloyn stava pian piano trovando la sua dimensione.
In tutta la sua vita si era concessa fino a quel punto solo con il suo ex e quando poi l'aveva trovato a letto con un'altra, aveva ripudiato il sesso dalla sua vita; una parte del suo cervello si era creta una barriera da quell'evento che le aveva impedito di avere qualsiasi tipo di rapporto con altri uomini, tanto la scena l'aveva inorridita. Ma con lui era stato tutto completamente diverso, tanto che si meravigliava di come fosse accaduto con naturalezza, era stato magnifico.
Zacky era sdraiato accanto a lei con le mani sulla pancia e fissava il soffitto con aria vaga; Eloyn non poteva davvero indovinare a cosa stesse pensando. Forse pensava che era stato tutto un errore dettato dai suoi ormoni di maschio in caccia, o forse che era stato sbagliato contando tutte le preoccupazioni che avevano assalito Eloyn in tutti quei giorni. Nel dubbio, l'unica certezza di Eloyn era la convinzione che non c'era niente di positivo in quello sguardo perso nel bianco del soffitto.
« Vuoi ancora partire? » interruppe ad un tratto il silenzio, Zacky. Immobile.
« Non credo.. » Eloyn si voltò e si appoggiò con un gomito al cuscino, osservandolo. Lui girò gli occhi nella sua direzione.
« Che c'è? » disse lui notando il suo sguardo indagatore.
« Io? Tu piuttosto.. sei pensieroso »
« Pensavo a te su un aereo per Washington.. » Eloyn si limitò ad annuire con un cenno del capo e a distogliere lo sguardo da lui alle lenzuola. « … non devi partire. »
« Non ho mai detto che lo farò. »
« Ma l'hai pensato.. »
« Comunque adesso non lo penso più. »
« Meglio » ma il tono di voce di Zacky rimaneva un po' distaccato.
« Io vado a farmi una doccia! » prese iniziativa lei alzandosi dal letto e portandosi via anche tutte le coperte per coprirsi, lasciando Zacky completamente nudo sul letto. Con noncuranza prese l'altro cuscino e sì coprì, sempre osservando il soffitto. Eloyn rise per la scena decisamente comica.

Mezz'ora dopo Eloyn era in bagno a lavarsi i denti vestita e pronta per uscire o per fare qualsiasi cosa fosse in serbo per la giornata. Zacky entrò, anche lui pronto e con una domanda tra le labbra.
« Pensavo.. ci sarà mai una soluzione a tutto questo? »
Eloyn fu presa in contropiede con il dentifricio ancora un bocca.
« Cosha inhendi per “huho quesho” ? » Zacky si avvicinò ridendo e le cinse i fianchi non appena lei si fu sciacquata la bocca.
« Intendo.. questa situazione, tutti questi problemi.. Ci sarà pure un modo per risolverli, no? »
« Sì, le opzioni sono due: o mi abituo a stare lontana da casa, o torno.. ma escludo a priori la seconda. »
« Quindi ti abitui.. »
« si.. »
Zacky ci pensò un po' su.
« Che ti va di fare oggi? »
Lei si girò e lo abbracciò, poi ci pensò su e una lampadina si accese nel suo cervello: « Ichabod!! » esclamò.
« Che c'entra Ichabod adesso? » rispose lui quasi geloso del suo cane che, stranamente, aveva preso in simpatia Eloyn molto più di quanto non avesse mai fatto con lo stesso Zacky.
« Portiamo Ichabod a fare una passeggiata sulla spiaggia! Hai presente la Pet Teraphy? Mi potrebbe aiutare, no? »
« Mh, forse.. si può provare.. ma prima andiamo a casa mia a mangiare qualcosa» si soffermò un secondo sui suoi pensieri e continuò: « … .. e con il fangirling come la mettiamo? »
« Pensi che dopo questa mattina io ti veda come il mio mito di quando avevo 15 anni? »
« E con gli altri? »
« … abitudine anche in quel caso? »
« vediamo come va', no? »

La spiaggia di Huntington Beach era coperta da uno spesso strato di nubi vaporose e grigiastre che si rifletteva su tutta la costa conferendo al paesaggio uno sfondo malinconico. Il venticello freddo che spirava dal mare obbligava i passanti a coprirsi ancora di più nelle loro felpe e tutto era attorniato da un'aura triste; solo che era una tristezza fine, simile alla fine di qualcosa di più violento, e quella malinconia era come se andasse man mano sfumando.
Aveva piovuto per tutta la notte ed ora il cielo andava rischiarando, e quella sembrava proprio la quiete dopo la tempesta, la tregua dopo la guerra; solo Eloyn, Zacky e Ichy sulla riva deserta del mare, in un fresco pomeriggio di Novembre, accompagnati dal rumore delle onde che si infrangevano sulla sabbia, lente e assolute allo stesso tempo. Ed Eloyn si specchiava in quell'acqua scrosciante, ci si riconosceva e sentiva che quel rumore a tratti assordante era la cornice perfetta per quella scena deliziosa che stava lentamente sciacquando via le preoccupazioni dalla sua vita.
Mano nella mano i due ragazzi camminavano sulla sabbia a piedi nudi con le scarpe nelle mani e un guinzaglio in quella libera di Eloyn.
« Non ti sembra strano che mi abbia preso così in simpatia? Infondo l'hai detto tu che convive a stento con Brian e gli altri. » chiese lei riferita al cane, sicura di aver fatto centro nel punto debole del ragazzo.
« Cosa vorresti insinuare? » chiese lui, colpito in pieno, girandosi verso la ragazza che fece altrettanto.
« Mah.. forse è destino. »
« Non credo troppo nel destino, credo solo che siamo fatti per stare insieme. E che Ichy ti adori per istinto di imitazione, fino a prova contraria sono io il suo padrone. Poi, è una sensazione che ho dalla prima volta che ti ho visto. »
« … ..Cosa hai pensato? »
« Quando? »
« Quando mi hai vista per la prima volta. »
« Ho pensato “lei è quella giusta”, e anche “cazzo, sarà difficile se non smette di tremare”! » disse ridendo sull'ultima parte.
« Stavo tremando? » replicò lei con gli occhi sbarrati. Da quella sera non si era più soffermata a pensare a cosa avesse combinato, perché tutti i ricordi che aveva erano sfumati dall'alcol e dell'emozione, ma di certo non la sfiorava nemmeno l'idea che avrebbe potuto tramare nel vedere i suoi miti.
« Come una foglia! » lui era evidentemente divertito.
« E pensare a dove siamo arrivati.. »
« Non mi meraviglio, io lo sapevo già.. »
« Chi ti dava la certezza che mi saresti piaciuto? »
« Non lo so. » Continuò lui. « Forse lo speravo talmente tanto da darlo per scontato »

18 Novembre 2009

Era il venticinquesimo compleanno del piccolo Christ che aveva deciso di offrire una bella cena a base di tutto ai suoi amici, comprese le due nuove arrivate. Lo aveva aggiornato sugli avvenimenti dei giorni precedenti e si era fatta ascoltare, aveva riversato su di lui tutto ciò che aveva in corpo e lui, di rimando, l'aveva ascoltata con una luce negli occhi, molto simile a quella degli innamorati ma molto meno intensa.
No, Johnny Christ non era innamorato di Eloyn Mayer, aveva solo un debole per lei, ma come persona in sé. Era l'unica ragazza verso la quale non provava alcun tipo di istinto ormonale, cosa rara per Johnny che non riusciva a stare fermo appena vedeva un scollatura un po' più provocante del normale.
In lei aveva trovato la giusta consigliera e la giusta persona da aiutare.
« Te lo giuro, Jay.. è stato fantastico! »
« Ci posso credere ma, ti prego, evita i particolari! Non credo di voler avere una descrizione dettagliata delle doti sessuali di Baker»
Eloyn rise.
« E tu invece, come va con quella ragazza ?? ... non mi ricordo come si chiama! » disse lei con tono di dubbio.
« Lacey. Si, diciamo che ci sto lavorando.. e sto per chiederle di uscire! »
« Wo, facciamo passi avanti, eh Christ? »
« Be', ci proviamo più che altro.. anche se so già che non mi dirà mai di sì! »
« Andiamo Johnny, cos'è che ti manca? »
« Aah, non lo so, El. E' che lei è così.. così.. bah, è perfetta! »
« No, sei tu che sei innamorato! » e così gli spettinò i capelli brizzolati biondi e mori, convincendosi che quel ragazzo un po' bassetto e simpatico le sarebbe rimasto nel cuore ancora per molto.

23 Novembre 2009

Erano così arrivati agli sgoccioli di un Novembre più freddo del solito. Johnny era finalmente riuscito a chiedere a Lacey di uscire e lei aveva accettato di buon grado, Eloyn era già convinta che quei due si sarebbero sposati. Lui era innamorato e le rivolgeva tutte le attenzioni che una donna avrebbe potuto desiderare, senza però rischiare di diventare oppressivo, ed Eloyn era convinta che, se Lacey l'avesse scaricato sarebbe stata la ragazza meno intelligente di Huntington. Per il resto, il piccolo bassista era felice e il fatto che andasse in giro cantando la vecchia Trashed and Scattered come inno di battaglia per farsi forza con la ragazza, quelli erano solo dettagli tralasciabili.
Anche il rapporto con Zacky andava rafforzandosi sempre di più, tanto che i due passavano sempre meno tempo divisi e le notti le passano, anche quelle, quasi sempre insieme latitando tra la casa dell'uno e quella dell'altro.
Jimmy e Chelsea erano sempre più uniti e sempre più convinti di voler passare la vita insieme.
« Sì, forse Huntington potrebbe essere un bel posto, ma trasferirci a LA non sarebbe poi così male, sarebbe comodo per le soste tra un tour e l'altro fermarci lì invece che ad Huntington... » aveva esordito un giorno lui mentre parlavano del futuro insieme.
Erano sdraiati sullo spazioso divano del soggiorno di casa di Jimmy; lui stava girato su un fianco e la guardava mentre si torturava nervosamente una ciocca di capelli color fuoco mentre lui faceva lo stesso con la mano appoggiata svogliatamente sul bracciolo del divano che ricadeva leggera sulla spalla della ragazza.
« LA? Mmmh, bello sfondo ma non mi convince.. » aveva risposto lei. Molte volte avevano affrontato discorsi come quello e tutte le volte avevano concluso sempre la stesa cosa: Huntington Beach era il paradiso terrestre.
« Sì, hai ragione, è meglio Huntington! » l'aveva guardata di nuovo e l'aveva trovata splendida, come sempre. Si era abbassato un po' e le aveva alzato il mento con la mano libera baciandogli leggermente le labbra.
Proprio in quel momento spuntò fuori dalla porta del corridoio una strana creatura verde e orrida che Chelsea aveva imparato a riconoscere come Mr. Bungle. In qualsiasi modo la ragazza aveva imposto a Jimmy di tenere “quella bestia” sotto chiave quando lei era nei paraggi, ma quel giorno qualcosa andò storto e per qualche strano motivo Jimmy si era dimenticato di chiuderla nel suo recinto.
« CHE SCHIFO! JIMMYTOGLIIMMEDATAMENTEQUELL'ANIMALE! » aveva urlato Chelsea in preda al panico aggrappandosi con più foga alla maglia del ragazzo.
« Chelsea, non urlare che lo spaventi e poi se non mi lasci non posso andarlo a prendere »
Si alzò e si avvio verso la creatura che si era acquattata su un angolo del corridoio, spaventata dalle urla della ragazza.
« Vieni qui Mr. Bungle. Ti ha spaventato la ragazza cattiva? » la prese in braccio neanche si fosse trattato della razza più bella di cane o gatto. A parere della ragazza, un iguana non poteva essere un'animale domestico. « e comunque “quella bestia” ha un nome » urlò lui per farsi sentire dalla stanza accanto.
« Che non userò mai ovviamente! » replicò lei a tono, rabbrividendo alla scena.

1 Dicembre 2009

Quel giorno Brian aveva svegliato Zacky facendogli una sorpresa che però si rivelò decisamente poco azzeccata. Aveva in mente di entrare in casa sua con la sua copia delle chiavi, sicuro di trovarlo ancora nel letto a ronfare come un koala semi-morto, e di gettargli un secchio d'acqua in faccia, ma il suo piano non andò come previsto. Infatti, non appena fu in camera di Zacky si accorse della creatura celestiale che gli dormiva affianco. Per sua sfortuna, le bellezze di Eloyn erano coperte da un leggero lenzuolo bianco che poteva comunque dare adito alle sue fantasie più estreme ma che non gli concedeva una completa visuale di “quel corpo da favola” come lo aveva denominato nella sua mente. La sua rinomata sfortuna arrivò al culmine quando Zacky, svegliatosi per colpa dei passi pesanti di Brian, si accorse delle occhiate ambigue che il chitarrista lanciava alla sua ragazza.
« BRIAN ELWIN HANER JUNIOR! COSA CAZZO STAI FACENDO??? »
Le urla di Zacky fecero sobbalzare sia Brian che si era un po' imbambolato, sia la ragazza che dormiva beata. I mugolii sommessi di Eloyn fecero ridere Brian che continuava a sperare che, nel muoversi, la ragazza avrebbe fatto cadere il lenzuolo.
« Ehm, l'hai svegliata! » commentò ironico Brian che, chiaramente, non desiderava di continuare a vivere. Lo sguardo di Zacky fu eloquente e spinse Brian direttamente fuori dalla porta.
« Ok, ok, me ne vado.. » disse così l'altro, allontanandosi a mani in alto.
« Poi me lo spiegherai cosa volevi! » aggiunse all'ultimo Zacky sentendo delle urla lontane come risposta.
« Ma che è successo? » chiese Eloyn ancora evidentemente assonnata.
« Sei nuda, e c'era Brian » L'evidente poco tatto di Zacky sorprese ancora una volta la ragazza che ebbe l'istinto di coprirsi ancora di più nonostante Brian se ne fosse già andato. Eloyn assunse un'espressione tra l'esasperato e lo sconcertato che fece divertire Zacky.
La risata di Zacky. La risata di Zacky era un'altra di quelle cose che Eloyn amava alla follia di lui. Perché anche in un momento come quello, di prima mattina, con i postumi del sonno ancora addosso e lo spavento per essersi quasi fatta vedere nuda davanti al migliore amico del proprio ragazzo, riusciva comunque a farla sciogliere come un ghiacciolo al sole. Era una di quelle cose che portavano luce nella sua vita, una di quelle per la quale valeva la pena di resistere ancora a lungo, perché per nulla al mondo avrebbe mai rinunciato a quel sorriso.





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Capitolo 10
*** 9 - Tradimenti ***


© Amor vincit omnia.


10 Dicembre 2009

Si trovavano tutti al Blurb proprio come la prima sera che si erano incontrati, erano davvero tutti e quella serata si era prospettata già dal pomeriggio come un epilogo della prima parte di quel sogno inaspettato che con il tempo stavano imparando a vivere.
Serate come quella erano tutto ciò che Eloyn poteva desiderare. Vedersi unita a qualcosa di più grande di lei, in una realtà totalmente diversa da quella che si era immaginata, ma infinitamente migliore.
Quella sera c'era anche la “nuova arrivata”. Lacey era la nuova ragazza di Johnny. Ed era bello non sentirsi più l'intrusa del gruppo ma parte di quella stessa famiglia che mesi prima l'aveva adottata, pronta ad accogliere altre persone.
Il fatto che Johnny non ebbe aspettato a presentarla al resto del gruppo era, secondo gli altri ragazzi, un buon segno. Un tipo come Johnny, così timido e impacciato, ci avrebbe messo secoli prima di essere sicuro di una donna, e invece lui no, lo era stato dal primo giorno che si erano visti, ed era tornato a casa con un sorriso che faceva invidia a quello di Zacky. Ovviamente, quest'ultima affermazione era uscita dalla bocca di Eloyn.
E quindi ora erano tutti intorno ad un tavolo di legno, quello in stile country nella sala da biliardo del locale, che quel giovedì sera era quasi deserto. Nonostante questo, i dieci ragazzi si stavano divertendo come matti.
Lacey era una ragazza ordinaria, non troppo eccessiva, né troppo noiosa. Era simpatica e bella e sapeva divertirsi. Non aveva fatto difficoltà ad integrarsi con gli altri e, forse proprio per questo, arrivati alla terza birra aveva già cominciato a raccontarsi.
« Mi sono trasferita ad Huntington qualche anno fa, mi sembra cinque, per la precisione. E' stato per motivi di lavoro, mio padre fa il chirurgo e lo avevano trasferito a Los Angeles. I miei non amavano la vita caotica di quel posto, e quindi decisero di trasferirsi qui, in modo che mio padre potesse fare avanti e indietro dall'ospedale a casa e che noi, io mio fratello e mia madre, non dovessimo stare scomodi per questo. Questa è la breve storia della mia vita, una cosa noiosa, insomma! » aveva concluso alzando la bottiglia di birra in alto, a mo' di brindisi, per poi scolarsene una buona sorsata. Stava seduta composta con i gomiti sul tavolo e la birra tra le mani, e con il fare sciolto di un'amica di vecchia data, e questo era lo stesso effetto che aveva avuto su tutti quelli che la stavano guardando rapiti nonostante quella storia fosse davvero una storia noiosa. Ma quello di cui tutti erano rimasti un po' male era che la ragazza aveva venti anni, cinque in meno di Johnny. Loro non erano tipi che facevano molto caso alle età, ma Johnny sì, e li sgridava ogni volta che si portavano a letto una ragazza che avesse meno di due anni di differenza da loro; questo ovviamente accadeva molto tempo prima. Quindi i ragazzi erano rimasti sconvolti e non avevano aspettato a canzonarlo per bene e a ricordargli ironicamente che la ragazza poteva essere sua figlia.
Zacky era appoggiato allo schienale della panca di legno su cui stavano seduti, accanto ad Eloyn che ne aveva copiato la postura, teneva una braccio intorno alle sue spalle come per definire che quella ragazza era di sua proprietà, era una cosa che faceva spesso ma che ad Eloyn non dispiaceva affatto.
« Poi dopo andiamo a casa mia, giusto? » le aveva sussurrato all'orecchio, stringendola di più a se per avvicinarle il volto al suo. Eloyn aveva annuito con decisione ed era tornata ad ascoltare le chiacchiere e gli aneddoti dei suoi amici.
« .. sì quella volta era stato fantastico, e avevo solo quindici anni! »
« Jim, sinceramente non credo che essere espulso da una scuola a quindici anni sia proprio una cosa da elogiare! » aveva ribattuto Zacky, che conosceva Jimmy proprio dai tempi di quella espulsione.
« Beh, perlomeno posso vantarmi di essere stato espulso per “una valanga di infrazioni comportamentali”! Quando mio padre aveva sentito queste precise parole dal preside della scuola gli era quasi preso un infarto, era diventato bianco come questo tovagliolo! » disse entusiasta alzando con noncuranza il tovagliolo di carta bianco che aveva di fronte. Anche lui aveva accanto la sua Chelsea e teneva l'altra mano sotto il tavolo, forse per tenerle la mano.
« Ti ricordo che mi hanno arrestato per aver rubato dei microfoni , chi può competere con questo? » continuò Zacky, con tono di sfida, quella sfilza ironica di infrazioni adolescenziali.
« Io sono stato espulso da altre due scuole! » Jimmy si sporse leggermente verso Zacky, alla sua sinistra. E lì sono incominciati i problemi. Avrebbe voluto aggiungere. Ma ci ripensò e si appoggiò allo schienale della panca, stringendo un po' di più la mano di Chelsea e abbassando impercettibilmente gli occhi. Chelsea se ne accorse e gli lanciò una sguardo inquisitore al quale Jimmy rispose con un'occhiata che poteva benissimo significare “ne parliamo dopo”. Per quanto Chelsea ne sapeva, la vita di Jimmy non era chiara quasi a nessuno al di fuori di quel gruppo. In effetti non era sicura che i suoi migliori amici sapessero davvero tanto tutto sulla sua vita. Jimmy era sempre stato una di quelle persone introverse e socialmente impacciate ma con un cuore ed un cervello che compensavano i vuoti. Chelsea aveva subito capito che se lui avesse voluto parlarle della sua vita, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà.
Ancora non riusciva a capirlo fino infondo. Confidarsi gli avrebbe fatto bene, eppure si rifiutava di farlo.
C'era un mistero sepolto nei meandri della sua anima, qualcosa di inconfessabile e nascosto che Chelsea riusciva quasi a percepire quando gli stava vicino. Aveva il cuore pesante, come quello di un anziano malinconico e timoroso. Chelsea sapeva che quel segreto che lui si ostinava a nasconderle, qualsiasi cosa fosse, lo aveva invecchiato prima del tempo e rinchiuso dentro ad un palazzo di angoscia e scherno che solo in pochi erano riusciti a penetrare.
Si concentrò di più sulla situazione e come sempre, le appariva surreale. Guardava Matt e Val e vedeva la coppia perfetta, quella alla quale aveva sempre aspirato, li guardava e capiva che il vero amore esisteva davvero. Erano sposati e felici; ogni gesto dell'uno sembrava essere perfettamente concatenato con quello dell'altro. Forse era solo un'impressione data dalle troppe birre che aveva bevuto, però in quel momento tutto le sembrava così estremamente perfetto.
Poi c'erano Brian e Mich. Brian era stato davvero una sorpresa ai suoi occhi. A parte i capelli alla porcospino che erano rimasti tali, sia da fuori che da dentro i riflettori, tutto le era sembrato l'opposto di ciò che immaginava. Aveva capito cosa significava essere manipolati dal palcoscenico e lui ne era la prova. Quel Brian che tutti vedevano, playboy da strapazzo, latin lover come non se ne erano mai visti, era invece la persona più buona e meno eccessiva del mondo. Esattamente il contrario di quello che voleva apparire. Con quegli occhi nocciola che l'avevano rapita sin dal primo giorno, e quel sorriso – che poi Chelsea aveva capito appartenere al ramo Haner –, proprio identico a quello del padre, l'aveva ammaliata. Ma non come aveva fatto Jimmy, non con quella passione travolgente e con quell'amore che entrambi sapevano di provare dal primo giorno. Era qualcosa di diverso, tanto che Chelsea non sapeva nemmeno dirsi se fosse più forte o no, ma era sicuramente qualcosa di diverso. Era un fidanzato esemplare, fedele e fiducioso allo stesso tempo, geloso ma non troppo, servizievole ma non schiavo. L'uomo che ogni donna avrebbe voluto ma che ne desiderava solo una, Michelle, l'unica donna che era stata capace di farlo andare in tilt. O almeno così diceva Jimmy. Le aveva detto che da quando Brian stava con Michelle tutto era cambiato radicalmente, dal suo modo di suonare, al modo di comportarsi. Era cresciuto, e non aveva avuto paura di farlo. Aveva osato e aveva capito che ogni tanto rischiare fa bene, anche se poi si fallisce.
Chelsea si alzo, dopo tutti quei pensieri, e andò a fumarsi una sigaretta.
« Vado fuori a fumare »
Brian si alzo, e fece lo stesso.
« Aspetta, ti accompagno »
Chelsea intanto si era già avviata all'uscita del locale e non appena fu sulla soglia che si apriva alle cupe strade di Huntington, accese la sua sigaretta. Si allontanò un po' dal locale per godere del gioco di luci che una luna piena come quella garantiva nelle buie e cupe strade di Huntington Beach. Quando Haner la raggiunse, si appoggiò al muro e rivolse lo sguardo all'oceano, proprio davanti a lei e proprio ad un passo dal locale. Bastava attraversare la strada deserta per sentire la sabbia sotto i piedi. Aspirò una boccata dalla sua sigaretta e sentì gli occhi di Brian su di lei scrutarla impercettibilmente.
Brian la stava osservando e ciò che vedeva lo catturò a tal punto da farlo sentire male, lo colse di sorpresa. Chelsea aveva i capelli color fuoco che le scendevano lunghi e mossi sulle spalle, il profilo delineato dal chiarore della luna che si imbatteva nella sua pelle color latte e risaltava il colore violaceo del suo vestito, un tubino che accompagnava le sue forme nei pensieri di Brian. Rimase un po' interdetto da quella visione e si accorse di essersi soffermato sul suo corpo un po' troppo, quando la ragazza si voltò per guardarlo. Accese anche lui la sua Marlboro e guardò nella stessa direzione di Chelsea, cercando di dare un ordine agli ultimi tre o quattro pensieri.
« Sai, ti immaginavo diverso. » disse lei dopo interminabili attimi di silenzio.
« E come mi immaginavi? » rispose lui, tossicchiando, rimasto attonito dal suo tono di voce, così provocante e sexy.
« Più tosto, e più stronzo! »
« Mh » si limitò lui, stupito. Aspirò un secondo tiro dalla sua sigaretta e riprese a fissare l'oceano, cercando di ostentare un'aria indifferente.
« Ti va di fare un giro sulla spiaggia? » azzardò lui.
« Sì. »
Quel “sì”, per Chelsea, fu un segnale eloquente. Era come se avesse risposto si ad una domanda simile a “ti va di tradire insieme il mio migliore amico ed il tuo fidanzato?”, ma non ne aveva la certezza assoluta. Sapeva che stava sbagliando, ma fino all'ultimo secondo tutto avrebbe potuto essere diverso da come appariva e quel “sì” avrebbe anche potuto significare un'innocua passeggiata sulla spiaggia. Perché per convivere bisogna conoscersi, e loro due non si conoscevano affatto. Ma quel sentore, quel peso sullo stomaco, un misto di colpa e tentazione che le attanagliava le viscere e che in un certo senso la allettava, in realtà la stava divorando. Si stava spingendo troppo oltre, lo aveva capito dopo pochi passi sulla spiaggia, mentre si stava togliendo i tacchi per camminare meglio. Aveva sentito che quello sarebbe stato il primo degli altri indumenti che sarebbero scivolati via dal suo corpo, uno ad uno. Ma comunque non ne era sicura, e i sensi di colpa non l'avrebbero colpita in pieno fino a che non avesse avuto la prove concrete, per se stessa, che fosse realmente successo qualcosa di più.
Ma solo quando furono sulla riva, con i piedi nella fredda acqua di Dicembre, capirono entrambi di essere entrati in un gioco dal quale non sarebbero più usciti.
E poi alla fine è tutta colpa della notte, perché di notte lo sguardo di Brian sul suo corpo non fa così paura, perché di notte quel calore al petto, quell'impeto primo di ciò che potrebbe essere, non fa male. E anche se Brian stava avvicinando pericolosamente il viso al suo non importava, perché a coprirli c'era la luna, l'unica in gradi di vederli, e Chelsea si fidava della luna, non li avrebbe traditi. E al primo bacio, labbra calde che si incontrano, leggere, che quasi si sfiorano, per poi volersi con una fame di passione senza eguali, in quella notte, scattò qualcosa di impercettibile, qualcosa di dannatamente terribile, ma dolce e delicato, come un soffio freddo al cuore, che rinfresca ma fa star male.
Le loro mani che si insinuavano nel corpo dell'altro a volerlo conoscere con la curiosità che solo i bambini ancora conservano ma che per quella sera li aveva ritrovati entrambi. Le fecero ricordare i pensieri che aveva avuto su di lui poco prima, al pub, quelli inerenti al fidanzato fedele che non si fa ammaliare da nessuna. Cazzate, ora ne aveva la certezza.
« Ma che cazzo stiamo facendo? » bisbigliò lui ansimando, senza però avere il coraggio di fermare quella danza di corpi.
« Non lo so » fu la risposta, altrettanto secca. « Non possiamo, non qui. »
Così, senza esitare, Brian interruppe in un secondo ciò che prima non aveva avuto il coraggio di manipolare, lasciandosi con il suo sapore in bocca e la voglia di lei che aumentava ad ogni respiro. La prese per mano e la condusse ad una piccola costruzione di legno, quella per i bagnini. Una sola stanza sollevata da terra da quattro gambe di legno, con una scala che conduceva all'entrata, preceduta da un piccolo portico. Forzò la serratura e riuscì ad entrare. L'aria era salmastra e il buio dominava incontrastato. In pochi secondo avevano già ripreso quello che avevano lascito in sospeso, dando voce a quell'attrazione che li aveva coinvolti irrevocabilmente. E un po' anche le troppe birre stavano conducendo quel gioco pericoloso, o forse erano soltanto quelle, perché Chelsea sentiva la testa girargli e non sapeva a quale delle tante cause attribuirlo. E invece Brian ne era sicuro, erano le birre che gli impedivano di smettere di tradire il suo migliore amico, in condizioni diverse non l'avrebbe mai fatto, pensava, solo per darsi una ragione.
« E' la birra.. » disse lui.
« Non ci sono scuse.. » rispose lei.
Erano ad un passo dalla fine e alcuni vestiti avevano già toccato terra, come la maglia di Brian, per esempio, o il vestito di Chelsea. Lei era costretta con la schiena al muro di legno mentre Brian, nel suo cervello, cercava una scusa, una qualsiasi, che andasse bene a fermarlo. Che la casetta crollasse, una chiamata inaspettata, qualsiasi cosa per bloccare la sete che aveva di lei, a dispetto di ciò che invece stava realmente facendo. Erano due corpi avvinghiati l'uno all'altro, lui la teneva per le cosce sollevata da terra quanto bastava e lei gli cingeva i fianchi con le gambe mentre si baciavano in ogni parte del corpo con una furia inarrestabile. Poi ad un tratto, tra un bacio e l'altro, Chelsea si soffermò su un particolare: Brian aveva uno strano tatuaggio su una spalla che la fece riflettere.
« Aspetta » disse, fermandosi « è questo. »
« Cosa, “è questo?” » rispose lui con sguardo inquisitore.
« Il tatuaggio, quello che hai fatto con gli altri » e gli toccò la parte di pelle che era solcata dall'inchiostro nero che l'aveva attirata. Rappresentava tre lettere intrecciate l'una con l'altra, la lettera “Z” , la “M” e un ultima che era composta da due “J” legate a specchio. Rispettivamente Zacky, Matt, Jimmy e Johnny.
« Quello, ah sì. » Lui abbassò lo sguardo e la rimise con i piedi per terra. Come se, improvvisamente, la stanchezza del mondo intero gli si fosse riversata sulle spalle, come se ci fosse un peso tropo grande da dover sostenere.
« Non possiamo, Bri. »
Brian sembrò soppesare le sue parole ad una ad una, giudicandone l'importanza e la consistenza, e poi concluse: « No, infatti »
Ci fu un attimo di silenzio.
« Ma che cazzo stavamo facendo? » Continuò lui, quasi ridendo, un po' per l'adrenalina in circolo e un po' per la disperazione.
I due si guardarono e accennarono brevi spasmi di risate sconnesse, per tentare di coprire l'imbarazzo o forse il senso di colpa. Infondo, erano semi nudi in una baracca in riva al mare mentre il loro migliore amico e fidanzato se ne stava tranquillo nel pub che avevano appena lasciato, ignaro del fatto che entrambi lo stessero tradendo. Non era una situazione ordinaria.
« Forse è meglio che ci rivestiamo, si chiederanno dove siamo finiti. » disse lei, poiché lui non accennava a muoversi e rimaneva attaccato a lei, facendo pressione sul suo corpo appoggiato al muro, con gli sguardi ancora troppo vicini.
Brian osservò il suo volto e ne squadrò la fisionomia; la linea della bocca; il taglio degli occhi; la forma del naso. Ne rimase incantato, come qualche attimo prima. Distolse lo sguardo promettendosi che non avrebbe più fatto quel gesto.
« Brian, muoviti! » fu lei a interrompere i suoi pensiero poco casti, dandogli una pacca sul petto, spostandolo leggermente. Si accucciò per raccogliere frettolosamente i suoi vestiti, offrendo così al povero Brian una visione decisamente meno casta dei pensieri che aveva avuto poco prima. Rimase sconvolto dalla visione del suo fondo schiena, e forse fu proprio quello che lo convinse a non cedere, non proprio in quel momento che lei aveva avuto le forze di fermarsi lì e non andare avanti. Distolse lo sguardo e cercò di concentrarsi sul buio che inondava la stanza. Doveva rivestirsi, aveva ragione Chelsea.

Uscirono in fretta da quella baracca e si avviarono a ritroso sui loro passi, cercando di mostrare l'un l'altro la migliore espressione rilassata e per niente turbata che potevano ostentare. Ogni tentativo risultava vano. Arrivati all'entrata del locale, si convinsero che in quel lasso di tempo non era successo assolutamente niente.
« Haner, dimentica questa serata! » disse lei rientrando nel pub.
Lui annuì, intimorito.
« Se ne fai parola con qualsiasi persona, giuro che farò in modo che non potrai mai più mettere mano su una chitarra! » lo incenerì lei. Brian ci rimase un po' male, perché non capiva del tutto l'atteggiamento che aveva assunto lei, tutto d'un tratto. Non capiva come poteva essere possibile cambiare opinione in meno di due minuti. Ma evidentemente era un altro dei tanti aspetti che non conosceva ancora di lei. La vide entrare frettolosamente nel locale e, d'istinto, la blocco prendendola per una braccio.
« Chelsea, non possiamo far finta di niente così! »
« Oh, sì che possiamo. Ed è proprio quello che farai anche tu! »
« Lo sai che non vuoi nemmeno tu. »
« Brian, lascia che ti spieghi. Io amo Jimmy e anche tu gli vuoi bene. Non possiamo e comunque sia non vorrei; io voglio lui, non te! »
Furono come tante piccole pugnalate al petto, per Brian. Necessarie, forse, ma fecero male lo stesso. E la cosa peggiore era che lui non ne capiva il motivo. Con che faccia sarebbe tornato da Michelle, adesso?
Ancora non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma era sicuro che dopo una bella dormita le cose gli sarebbero apparse più chiare.
Rientrarono entrambi nel pub e fecero finta di niente per il resto della serata, ci fu solo qualche occhiata che Chelsea sperò fosse passata inosservata.

Tornati a casa, Zacky ed Eloyn si ritrovarono più stanchi di ciò che pensavano, così, senza troppi indugi, decisero di comunque accordo di buttarsi sotto le coperte e dormire fino a che non gli si fossero fossilizzati gli occhi. Testuali parole di Zacky.
« Però, è stata una giornata un po' movimentata, no? »
« Sì, Danger Line sta venendo una meraviglia. »
Infatti, proprio quel pomeriggio Jimmy aveva sfornato un'altra delle sue melodie fantastiche e Danger Line era già quasi finita. Eloyn, in quel breve ma intenso pomeriggio, aveva imparato ad amare quella canzone. Per quanto fosse l'ennesima canzone di guerra, lei ne era rimasta completamente affascinata. E le parole erano meravigliose.
Ora i due ragazzi stavano in piedi accanto al letto, lei tra le braccia di lui, pronti per adempire al loro desiderio di dormire a lungo.
Se c'era qualcosa che Eloyn adorava più degli occhi di Zacky, era dormire con lui, solo dormire. Senza sesso, senza troppe parole, solo stare tra le sue braccia e sentirsi protetta. Aveva capito che anche nelle notti più buie, quelle che tolgono il fiato, c'era sempre una soluzione; perché tra le sue braccia non c'era da avere paura.
« Sì, sta venendo decisamente bene. » disse lui stringendola un po' per i fianchi e accarezzandole il collo scoperto con la bocca. Lei chiuse gli occhi e sospirò.
« Jimmy è un genio. »
« sì, ma oggi l'ho visto un po' turbato »
« Quando, di preciso? »
« Al pub, quando Chelsea è tornata con Haner, si è comportato in modo strano, come se sospettasse qualcosa » lui si allontanò leggermente per enfatizzare con gli occhi l'ultima parola.
« Vuoi dire?.. ». Lui annuì « No, non credo.. Non può essere! »
« Non saprei, secondo me la nostra cara Chelsea non la racconta giusta. »
« Ci parlerò, appena ne avrò il tempo. » e appoggiò di nuovo la testa sulla sua spalla, lasciandosi cullare ancora un po', improvvisamente immersa nei ricordi.
Ricordava i comportamenti di Chelsea a Washington; ricordava come voleva avere sempre tutto e subito, come non sapesse scegliere tra due cose, o, come in questo caso, tra due persone, e allora se le prendeva entrambe. Non era un bel comportamento ma Eloyn aveva creduto, o forse sperato, che in quei mesi fosse cambiata, perché Jimmy sembrava davvero averla cambiata. Questo flusso di pensieri la riportò con i piedi per terra, tutto d'un tratto le venne in mentre sua sorella Silvie e Washington, e i suoi genitori, che non le mancavano poi così tanto.
I suoi genitori erano quel che si direbbe di due persone “classiche”. Non c'era termine migliore per descriverli e proprio per questo motivo lei li aveva sempre disprezzati.
Loro stessi, inconsciamente, avevano fatto in modo che la vita delle due figlie diventasse un incubo. La perfezione delle cose immutate, che puzzano di stantio e naftalina, aveva caratterizzato gran parte della loro vita. Una casa a schiera immacolata, identica a tutte quelle di quella via, le aspettava dopo la scuola, e le dava il benvenuto quel cortile che ogni giorno diventava sempre più verde. Crescendo, Eloyn aveva capito che dietro a tutto quell'apparire si nascondeva la malattia.
Una volta, non molto tempo prima, Silvie le aveva raccontato il perché di tutto quello. Le aveva fatto vedere le cose con i suoi occhi e Eloyn aveva scoperto che sua madre, per esempio, non era la santa che tutti pensavano. Non che fosse una donna cattiva, tutt'altro. Ma nell'ingenuità della sua ignoranza aveva sudato sette camicie per riuscire ad entrare in quella élite di gente popolare del suo paese alla quale aveva sempre aspirato far parte, in modo da poter essere accettata in quella nuova città che sembrava odiarla. E suo padre aveva fatto i salti mortali per assecondarla. Per questo erano arrivati fin lì, e per questo Eloyn era scappata, a differenza di sua sorella che era rimasta incastrata in quel labirinto infernale.
Tra loro c'era un legame speciale, qualcosa che Eloyn non aveva mai provato con nessun altro, nemmeno con Zacky, nemmeno con Justin o con Chelsea, con nessuno che si fosse avvicinato a lei abbastanza da conoscerla c'era stato quello che c'era stato e c'era tutt'ora con Silvie. Era sua sorella, dopotutto, e le voleva bene, la amava. A questi pensieri così malinconici, Eloyn strinse ancora di più il braccio di Zacky che le cingeva i fianchi e sprofondò un altro po' il suo viso nel petto di lui. Tempestata da una valanga di ricordi, sospirò.
« Che hai? » Zacky la conosceva, e non ci voleva molto per capire cosa stesse succedendo.
Lei di rimando scosse la testa, come a dire che comunque non importava.
Allora lui le prese il viso tra le mani e vide i suoi occhi luccicare più del solito. Si guardarono per attimi interminabili quando “Beast and the Harlot” riecheggiò per tutta la stanza, la suoneria del cellulare di Eloyn, facendo sobbalzare Zacky, nonostante quella canzone l'avesse scritta lui stesso. Allora imprecò.
« Ma quando ti deciderai a cambiare questa cavolo di suoneria, eh, El? » le disse lui con tono di rimprovero mentre lei scioglieva l'abbraccio e andava a prendere il cellulare nella sua borsa.
Zacky stette un po' ad osservarla mentre guardava il nome sul display. Indossava un fine pigiama di cotone, quasi trasparente ma coperto nei punti giusti che quasi si confondeva con la sua pelle color neve; pantaloncini corti e canottiera. Vide il suo viso esplodere di gioia un attimo prima di rispondere alla chiamata tardiva.
« Silvie!!! » esclamò lei al telefono. Zacky capì che la serata era finita lì. Le si avvicinò e le fece segno che lui sarebbe andato a dormire, le mise una mano ad un lato della testa e le diede un bacio sulla fronte. Lei rispose accennando un “sì” con la testa e facendogli segno che sarebbe andata sulla terrazza a parlare. Prese una felpa, disse a Silvie di aspettarla in linea e la infilò.
« 'notte Zacky! » ne approfittò per dare la buonanotte all'altro che si stava già avviando dalla sua parte di letto.
« Buonanotte amore. »

Si richiuse la porta della terrazza alle spalle. Non riusciva a ricordare quando era stata l'ultima volta che aveva sentito sua sorella; non capiva perché, ma non erano molte le volte in cui era riuscita a dedicarsi alla sua vecchia vita.
« Silvie! Come stai? »
« Oh, qua tutto bene, diciamo ordinario. Non ti rubo molto tempo, ho solo una notizia da darti. »
Per un attimo Eloyn temette il peggio; il suo carattere a volte così pessimista la obbligava a pensare a ciò che poteva essere successo “di così brutto” invece che “di così bello”. E il tono di voce della sorella era così freddo e distaccato; certo, a volte usava quello stesso tono per comunicare qualcosa di tragico.
« Cosa? » azzardò lei, appoggiata con il bacino alla ringhiera del terrazza. L'aria notturna le pungeva sulla pelle liscia e scoperta e davanti a lei si stagliava il giardino di quella reggia da favola, una delle tante che aveva imparato ad abitare in quei mesi. Era davvero meravigliosa, il verde dominava incontrastato e c'erano migliaia di fiori e piante tropicali.
« Vengo ad Huntington!! »
In quel preciso istante quelle parole risuonarono nella testa di Eloyn come bagliori di speranza, sostituendosi, nella mente di Chelsea, alla vegetazione circostante.
« Ma.. ma come? Cioè? Il lavoro? E papà? Mamma? » Come quando ci sono troppe cose da dire tutte insieme, i pensieri nella sua testa si fecero densi di uno stupore palpabile che contaminava anche l'aria attorno a lei.
« Ho mollato tutto, mi sono stufata. Proprio come hai fatto tu!! »
« E quindi vieni per restare? »
« Questo non lo so, adesso ti direi di no, ma nella vita tutto può essere! Adesso ti lascio che sono stanchissima, è stato il mio ultimo giorno di lavoro! »
Nella vita, tutto può essere.
« Quindi parti domani? »
« Per la precisione parto fra circa quattro ore. »
Come nei film americani di adolescenti svampiti, entrambe scoppiarono in quegli urli striduli e fastidiosi da chearleader che stapperebbero gli orecchi anche ad un sordo, ed Eloyn iniziò a saltellare di gioia per tutto il terrazzo con gli occhi chiusi e i denti stretti.
« Allora ci vediamo tra qualche giorno! »
« Sì, a presto piccoletta »
A quelle parole Eloyn si senti, finalmente, dopo tutti quei mesi, a casa. Respirò profondamente l'aria fredda della sera e poi rientrò in camera per raggiungere Zacky sotto le coperte.
Non appena fu dentro, si diresse accanto al letto cercando di non andare a sbattere da qualche parte nel buio pesto che regnava in quella camera. Si infilò anche lei nel letto e mise una fredda mano sulla spalla scoperta di Zacky.
« Zacky.. ehi, Zacky.. » bisbigliò piano, intenta a svegliarlo.
Lui mugolò qualcosa di incomprensibile.
« Come hai fatto ad addormentarti in così poco tempo? » osservò lei.
Zacky si voltò verso di lei e si mise supino per osservarla meglio.
« Che ne so, sarò una specie di koala. » biascicò lui.
« Silvie viene ad Huntington » dichiarò lei cercando di trattenere quell'entusiasmo che aveva sfogato poco prima sulla terrazza.
« Ecco cos'erano quegli schiamazzi, pensavo che ti stessero uccidendo. »
« E tu non saresti venuto a salvarmi? » ironizzò lei.
« Ovviamente no! » bluffò lui.
Eloyn gli diede una spinta rischiando di farlo cadere dal letto e poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò con quella felicità che le era stata regalata. Lui la cinse per i fianchi e la portò sopra di lui, baciandola con più passione.
« Parte domani mattina » accennò lei, tra un bacio e l'altro.
« Mh mh » rispose lui come a dire che aveva capito ma che in quel momento non era poi così importante.
« Eloyn.. » la chiamò lui, ad un tratto. Ora erano girati su un fianco, abbracciati, con i nasi a pochi millimetri di distanza.
« Si... ? »
« Io.. ti amo. »
Un tuffo al cuore colse Eloyn di sorpresa che si chiese se esistesse giorno migliore di quello mentre cominciata lentamente ad impazzire.
Non ricordava quando era stata l'ultima volta che qualcuno le aveva rivolto parole simili. Non ricordava nemmeno cosa si provasse e rimase spiazzata quando sentì un bruciore al petto attanagliarle la gole bloccandole in respiro.
« Ti amo anch'io. » rispose in un sussurro.
« Anche io. »


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Capitolo 11
*** 10 - Il silenzio non esiste ***


11 Dicembre 2009

Brian e Mich erano davvero una bella coppia e in quel momento, pensare di averli quasi divisi le faceva attorcigliare lo stomaco.
In quei giorni le temperature stavano cominciando ad alzarsi,  così al senso di colpa si aggiungeva anche il caldo californiano, il meno sopportabile della storia.
Davanti a Chelsea il termometro dell'ombrellone azzurro segnava ventiquattro gradi e sette e il sole picchiava violento sulla sabbia che ne rifletteva i raggi a piccole scaglie di luce. Quella poca ombra che la copriva sembrava essere l'unica, magra, soddisfazione.
Era seduta sotto l'ombrellone con le cuffie agli orecchi e un libro tra le mani, ma tutto intorno a lei le dava dannatamente fastidio. Sapeva lei stessa che era dovuto ad un unico fattore scatenante. Esso sostava a pochi metri da lei.
Era passato solo il tempo di una notte dopo che si erano detti le loro ultime parole, all'entrata del pub. Ora lui se ne stava tranquillamente sdraiato sulla sabbia accanto a Michelle, sotto al sole cocente del Dicembre californiano, come se tutto il rimorso e i sensi di colpa fossero intrinseci solo del subconscio di Chelsea. Per tutta la mattina si era atteggiato a finto ignorante, come se tutto quello che era successo non lo riguardasse. Anzi, no. Per la precisione si era comportato con estrema indifferenza. Le aveva rivolto la parola solo quando non facendolo avrebbe destato troppi sospetti. Aveva interagito con lei quel minimo sindacale che le circostanze gli avevano imposto – Chelsea era sicura che se avesse potuto avrebbe fatto finta che lei non fosse stata visibile. E a tratti la uccideva dentro, con quegli sguardi che le ricordavano piccoli tratti di momenti passati assieme, e la corrodevano dentro.
Non capiva che bisogno ci fosse di ostentare segretamente tutto quello sprezzo. Avevano fatto una cazzata, ok, ma era finita lì. Si erano detti che non sarebbe più successo e di dimenticare tutto ma evidentemente la parola “dimenticare” per Brian non aveva lo stesso significato che aveva per il resto del mondo.
La cosa la infastidiva molto, soprattutto perché i suoi tentativi di fare finta di niente venivano vanificati dalla sua ostilità, accompagnata da svariate frecciatine che non facevano altro che metterla a disagio. Era certo, però: in un modo o nell'altro la volontà di Brina di ignorarla completamente non era abbastanza forte da competere con il suo istinto.
L'unica cosa alla quale Chelsie non riusciva a darsi una spiegazione era il come fosse successo. Cosa aveva fatto scaturire certe azioni? Sapeva che se si fosse soffermata a pensarci si sarebbe sicuramente ritrovata gli occhi sugli addominali scolpiti di Brian. Era solo attrazione fisica e poteva sopportarlo.
Distolse lo sguardo dall'orizzonte e si voltò. Lo sguardo di Brian la incenerì di nuovo non appena Michelle si fu distratta un secondo. Era troppo, gli avrebbe rotto il naso.
Chiuse il libro violentemente e si tolse le cuffiette. Appoggiò tutto sullo sdraio dove era seduta e si avviò verso l'oceano, decisa a rinfrescarsi le idee e a sbollentare la rabbia.
« Dove vai? » le chiese Eloyn che stava risalendo la spiaggia dal verso opposto, assieme a Johnny.
« A suicidarmi! » procedendo spedita verso la riva.
C'era qualcosa che in quei mesi l'aveva fatta stare bene, oltre a Jimmy: era l'oceano. Una cosa che le era mancata nella sua vita, lo aveva capito poco dopo essere arrivata.
Il suo primo mese ad Huntington Beach era stato tragico. Era una ragazza sola in una città dalla parte opposta del paese. Ed era senza Eloyn. Una sera si era seduta sulla riva della spiaggia insieme ad una Corona e aveva osservato le sfumature dell'acqua all'orizzonte. Aveva capito di non essere sola. Che finché ci fosse stato il mare non avrebbe avuto paura. Perché quella sera l'oceano le aveva fatto compagnia e per la prima volta da quando era arrivata si era sentita a casa.
Dopo quella sera, il mare era diventato il suo consigliere. Ogni volta che c'era un problema, ogni volta che litigava con Jimmy o con Eloyn, o semplicemente se aveva voglia di distrarsi, andava sulla riva a riflettere, e funzionava sempre.
Johnny ed Eloyn si scambiarono un'occhiata eloquente mentre superavano la rossa.
« Che le succede? » chiese Johnny.
« Non ho idea » rispose l'altra raccogliendosi i capelli per strizzar via l'acqua in eccesso.
« Secondo me c'entra il nostro chitarrista da strapazzo. » disse lui.
« Ma chi? Zacky? » ribatté Eloyn perplessa.
« No, scema. » puntualizzò Johnny lanciando un'occhiata ad un Brian semi addormentato sulla sabbia con le cuffie alle orecchie.
Eloyn roteò gli occhi esasperata.
« Ma che avete tutti con questa storia? Vi dico di no! Me lo avrebbe detto.. » cercò di autoconvincersi.
Me lo avrebbe detto.

16 Dicembre 2009

Chelsea stava sorseggiando il suo tè delle cinque quando sentì di nuovo il cuore pesarle. Non era la prima volta che le succedeva.
Accanto alla finestra, con una mano a scostare la tendina bianca e con gli occhi che mitragliavano l'esterno come uno scanner, aspettando Jimmy: in quei momenti sì, sentiva il cuore pesarle. E succedeva ogni volta da quando le cose con Brian si erano complicate in quel senso. Perché si sentiva dannatamente in colpa.
La sua più grande paura era che Jimmy arrivasse da lei dicendogli: “Haner mi ha detto tutto! Tra noi è finita.”; e invece non succedeva mai. E allora aspettava impazientemente ogni volta che Jimmy la veniva a prendere, e durante quell'attesa il cuore le pesava. Proprio come quel pomeriggio davanti a quella tazza di tè.
Stava crescendo, purtroppo e finalmente. E se ne stava rendendo conto. Stava capendo quali erano le sue priorità, e molto probabilmente Jimmy era una di queste.
Avvicinò cautamente la bocca all'orlo della tazzina assaporando il contatto con quel liquido bollente e il calore che le avvampava il viso. Cercò di rilassarsi.
Nel mentre, la porta si aprì leggermente facendola risvegliare da quell'estasi di pace che si era creata.
« Disturbo? » chiese Eloyn spuntando fuori dalla porta.
C'era silenzio in quella stanza; la voce di Eloyn era un sussurro.
« No, figurati » rispose Chelsea appoggiando la tazza sul tavolo. « Vuoi del tè? »
« Ma sì, dai. »
Chelsea allungò un'altra tazza verso Eloyn che si stava sedendo dalla parte opposta del tavolo e le versò il tè fin quasi ad arrivare al bordo.
Eloyn avvicinò a sé la ciotola dello zucchero e si versò tre cucchiaini.
Doveva parlare con Chelsea.
Doveva dirle dei sospetti che tutti nutrivano nei suoi confronti. Dei sospetti che cominciava ad avere anche lei.
Aprì la bocca e fece per parlare ma il campanello fu più veloce; qualcuno aveva suonato.
Eloyn rimase stranamente confusa dall'espressione nel volto di Chelsea. Era.. preoccupata. Era stata quasi spaventata dal campanello, non era da lei e non era una cosa normale.
Non sapeva più che succedesse alla sua amica, non le parlava davvero da troppo tempo. Era che tutti quei casini, quei fatti così rapidi le avevano distolte l'una dall'altra. Si erano perse di vista pur abitando nella stessa casa.
« Vado io. » disse Chelsea alzandosi dal tavolo.
Appena fu davanti alla porta fece un bel respiro. Era sicuramente Jimmy. E come sempre aveva paura di cosa avrebbe potuto dirle.
Finalmente si decise e quando aprì la porta rimase interdetta da quel volto che non era affatto quello di Jimmy.
Silvie sostava appoggiata allo stipite con quell'aria vispa e impaziente che la contraddistingueva dalla sorella.
« Silvie!! » esclamò la rossa stupita.
« Ehi Chel! Cos'è? Mia sorella è troppo pigra per venirmi ad accogliere? » ironizzò l'altra abbracciandola.
« Ma cosa ci fai qui? »
« Come? Eloyn non ti ha detto niente? »
« Be'.. veramente no.. »
Non le aveva detto niente. Non avevano parlato di niente in particolare in quei giorni, in effetti. Non parlavano seriamente da qualche settimana, ormai.
« Sono scappata da Washington, come avete fatto voi. » disse entrando in casa.
Chelsea non capiva bene perché tutti tendessero a fuggire da quella città. Certo, capiva perché lei stessa lo avesse fatto. Ma tutti gli altri? Eloyn? E adesso Silvie? C'era qualcosa in quella città che faceva paura a più persone di quello che pensava.
« Oh, hai fatto bene. »
« Dov'è la mia sorellina? »
« E' di qua, stavamo prendendo del tè, vuoi? »
« Oh sì, lo voglio anche io. Ho fatto non so davvero quante ore di viaggio. Sono distrutta. »
« Vieni, di qua. »
Entrarono in cucina dove Eloyn aspettava di vedersi entrare Jimmy. Il suo cuore saltò un colpo quando vide Silvie varcare la soglia della porta, seguita da Chelsea.
« SILVIE! » le corse incontro e le saltò addosso.
I effetti si assomigliano parecchio, pensava Chelsea. Non fisicamente; Silvie era molto più magra e più alta. Ma avevano gli stessi caratteri somatici. Stessa bocca; stessi occhi; stesso naso. Solo posti in due contesti differenti. Quasi opposti. Infatti, mentre Eloyn aveva dei lunghi capelli neri, Silvie li aveva cortissimi e rossicci, color rame.
« Sorellina! Come stai? »
« Oh, adesso benissimo! Tu, piuttosto? Mamma e papà? Devi raccontarmi un sacco di cose! »
Chelsea adesso la riconosceva, quella Eloyn che le mancava da morire. Quella sorridente, quella con cui era cresciuta. La riconosceva, solo ora che si era riaccesa.

17 Dicembre 2009

Silvie era una ragazza quasi sui venticinque, ma ne dimostrava molti di meno. Uguale ad Eloyn; due gocce d'acqua se ci si faceva caso.
In realtà a primo impatto non gli erano sembrate nemmeno parenti. Una capelli lunghi, l'altra corti. Una lenta e pacata, l'altra un uragano di elettricità.
Ma la somiglianza stava nei lineamenti, identici.
C'era da dire che da quando Silvie era arrivata ad Huntington, Eloyn sembrava essere rinata, quasi fosse stata un'altra persona. E di questo, Zacky poteva esserne solo felice.
« Piacere, io sono Silvie e vi amo da quando avete iniziato a suonare! » aveva esordito subito.
Ed era in questo che erano diverse. In questi piccoli dettagli. Eloyn non avrebbe mai detto una cosa del genere. E anche la schiettezza con la quale aveva iniziato subito a legare con tutti, la solarità con la quale chiedeva gli interessi di Matt, era diversa.
Però gli piaceva, perché li trattava come persone normali e niente più. E Zacky non avrebbe potuto desiderare niente di meglio, qualcuno che li trattasse da umani. Perché aveva questo bisogno ormai da un po' di tempo. Voleva una vita normale. Con amici normali, senza fotografi e interviste. Ne aveva anche declinate due o tre in più, in quel periodo. Larry diceva che era colpa di Eloyn, che gli faceva uno strano effetto. E in parte aveva anche ragione. Lo aveva salvato, se così si poteva dire.
Silvie gli aveva raccontato la sua vita in meno di mezz'ora. Di suo padre e di come la opprimeva con le sue paranoie sul suo futuro. E di come ora fosse scappata da Washington, come aveva fatto sua sorella, per forza di necessità. Aveva raccontato la sua vita senza dargli peso, come se non fosse importante. Però, nel modo in cui raccontava, si capiva che non lo faceva con superficialità. Perché ci metteva se stessa in quelle parole. Era solo voglia di lasciarsi indietro un pezzo di vita senza dimenticarlo del tutto.
«...e così sono arrivata qui. E cazzo! Non mi sembra vero di potervi conoscere! » disse stringendo una spalla a Matt.
Gli altri risero. Anche in quello non si smentiva. Era la prima fan che non rischiava di svenire, era più reale.
Zacky cinse la vita di Eloyn, vedendola felice davanti a sua sorella. Lei gli sorrise di rimando e tornò ad ascoltare gli aneddoti di Silvie.
« El.. » le sussurrò all'orecchio.
Lei si voltò.
« Ho davvero bisogno di stare un po' con te. Da soli. »
Eloyn lo prese per un braccio e lo incitò a seguirla.
« Scusateci.. andiamo a fare una passeggiata! »
« A ma non sembra giusto che tu ti sia accaparrata proprio il più bello. » le gridò dietro Silvie. Eloyn sapeva che stava scherzando.
Andarono in spiaggia, a pochi passi da lì.
« Di a tua sorella che potrei cambiare idea e prendermi la più matura delle due, eh? » ironizzò Zacky.
Lei lo incenerì con lo sguardo, ed era seria. Si volto e fece un passo nella direzione opposta.
Zacky le prese un braccio e la attirò a sé.
« E andiamo, non te la sarai mica presa! »
« Se vuoi passare un o' di tempo con me, va bene. Altrimenti vai da lei che nessuno te lo impedisce. »
« Eloyn, stavo scherzando! Non posso credere che te la sia presa sul serio. »
Lei ci pensò su e incrociò le braccia al petto, con lo sguardo basso.
« Non lo so.. »
« Cosa? »
« Niente.. volevi dirmi qualcosa? »
« C'è bisogno di dover dire qualcosa per stare un po' da solo con la mia ragazza? » le cinse i fianchi e la baciò, ancora confuso dal suo comportamento di poco prima.
« Suppongo di no. »
« Quant'è che non passiamo un po' di tempo da soli? »
« Tre giorni. »
« Tre giorni possono essere un'infinità di tempo. »
« Mh » acconsentì lei guardando altrove, qualsiasi cosa che non fossero stati i suoi occhi.
« Che c'è? » la richiamò lui. Faccia a faccia.
« Niente » E che Eloyn ci provava sempre ad essere convincente, ma gli veniva male.
E poi nella sua vita c'era dell'altro con cui aveva imparato a convivere, erano i momenti come quello. Riempiti solo dallo spazio di due occhi celesti. Un buco nell'anima.
« Pensi che Chelsea e Brian ci stiano davvero nascondendo qualcosa? »
« Non ci credo che è questa la tua vera preoccupazione »
« Tu rispondimi »
« No, non lo penso. Anzi, non so che pensare. Non parlo a quattrocchi con Haner da troppo tempo. Sembra essere assente. »
« Secondo me c'entra qualcosa. Stanno succedendo cose strane. Loro si comportano in modo strano »
« Facciamo così: io parlerò con Brian e tu parlerai con Chelsea. Non credo che ci sia niente sotto, ma se la cosa ti fa stare meglio.. lo farò. »
Eloyn abbassò lo sguardo.
« .. ma non è questo che ti preoccupa.. » concluse Zacky mettendosi le mani nelle tasche posteriori dei Jeans.
« No, Zacky. E' che sono paranoica. »

18 Dicembre 2009

Casa di Brian era una casa semplice, senza troppe pretese. Una piccola e innocua villetta, una tra le tante, tenuta splendidamente grazie al tocco fatato di Michelle.
« Siediti pure Zack, ti porto qualcosa da bere? »
La gentilezza e l'ospitalità di Michelle gli erano familiari. Erano quelle piccole cose, quegli accenti, quei toni di voce che lo facevano sentire a casa ogni volta.  Aveva la sicurezza delle sue azioni e anche di quelle degli altri. Con Michelle potevi benissimo sapere cosa avrebbe fatto e in che momento. Era una di quelle abitudini che non vanno mai a stufo. Quelle certezze assolute che non ti stancano mai. Una monotonia che non cade mai nel banale.
« Sai com'è fatto Brian, ci metterà un secolo per scendere.. »
« Non ti preoccupare Mich, lo vado a stanare io. »
Fece i gradini a due a due, tanto per scaricare lo stress. Aveva paura di cosa Brian avrebbe potuto dirgli. Magari quel segreto inconfessabile che aleggiava nell'aria già da un po'. O magari niente.
Lo stava facendo per Eloyn e non c'era nulla da temere. Però in qualche modo gli ci aveva fatto pensare, a quegli “e se..” a cui non aveva mai dato peso.
Aprì di colpo la porta della stanza da letto dell'amico ed esclamò: « Brian! Dobbiamo parlare. »
« Buongiorno anche a te Zacky »
Brian osservava confuso il suo armadio.
« Che stai cercando? »
« No. La domanda giusta sarebbe: perché le mie magliette bianche sono diventate tutte rosa? »
« Ok. Perché le tue magliette bianche sono diventate tutte rosa? »
« Non lo so. E' quello che mi sto chiedendo anche io. » disse voltandosi con una calma contenuta.
Zacky scoppiò a ridere vedendo la sua faccia completamente inespressiva difronte ad un fiume di indumenti rosa.
« Dai, infila qualcosa al volo e andiamo al molo. E' importante. »
« Ok, arrivo. » Sbuffò.

Ora ce lo aveva davanti ed era ad un passo dal chiederglielo. Sarebbe stato per Eloyn e per le sue paure, niente più.
« E' tanto che non parliamo »
E la spiaggia tutt'intorno si fece un po' più nebulosa.
« Ora non iniziare con le tue moine da checca e dimmi cosa mi devi dire »
« Girano delle voci. »
Secco e diretto.
« Che voci? » ma lo sapeva benissimo.
« Riguardo te e Chelsea. »
Lo vide impallidire e farsi rosso dubito dopo.
Tacque.
« Ora, voglio solo che tu mi dica che non ti stai vedendo con Chelsea »
« Non mi sto vedendo con Chelsea. Non più, per lo meno. »
Gli occhi di Zacky sugli occhi di Brian.
« Jimmy non sa niente »
« Lo so »
Ovvio.
« Che ci hai fatto, Bri? »
“Bri”. Come se un nomignolo avesse potuto cambiare le cose. Ricordare quell'amicizia andata sfumando. Quella che un volta c'era e adesso no. Ma i ricordi di essa, le macerie di un terremoto, quelle sì. Ed Eloyn era stato il terremoto.
« Niente, ma ci sono andato vicino » abbassò lo sguardo sulla sabbia.
« Quanto vicino? » alzò poco la voce.
Quello era un interrogatorio e le domante delle pallottole.
« Eravamo mezzi nudi del capannone del pontile, cazzo! » disse quasi urlandolo.
« Mi spieghi che cazzo ti è preso? » per sovrastare la voce dell'altro. Come due leoni che lottano per la supremazia.
« Ma che diavolo ne so! » sbraitò Brian avvicinandosi al mare.
« Senti Zacky, non so come siano andate le cose, è successo e basta. Ma giuro con tutto me stesso di essermi pentito... perché io non lo farei mai, non lo tradirei mai. Perché Jimmy.. » si voltò verso l'amico che lo osservava qualche passo indietro.
Nel suo delirio, pianse.
« lui non se lo merita.. e vorrei poter tornare indietro, ma non si può.. Io non lo avrei mai fatto, Zacky. Credimi.. non lo so.. »
Zacky lo osservò ancora un po', stupefatto. Si avvicinò e semplicemente lo abbracciò.
Quell'abbraccio era la loro personale ricongiunzione, lo “scusa” silenzioso di cui avevano bisogno.
Per non esserci stati l'uno per l'altro.
Per essersi trascurati e per essersi fatti distrarre.
Per essersi odiati non volendo.
Una stretta ferrea di due presenze state assenti per troppo tempo.
Dopo un po': « Mi mancavi, Vee. »
« Anche tu mi mancavi, Haner »

18 Dicembre 2009

Chelsea avvicinò il volto alla tazza fumante e assaporò il calore che emanava.
Era il solito tè delle cinque, intanto che le cose stavano cominciando a mettersi a posto da sole.
Si chiuse nel vapore bollente che le faceva arrossire leggermente le guance, tanto che per un po' smise di pensare ai casini con Brian. Il tempo se li stava portando via, come un fiume che scorre e lava via ogni cosa. Perché il tempo alla fine guarisce ogni ferita.
Quella era una giornata piovosa, ma le era sempre piaciuta la pioggia. Certamente non era così quando la coglieva impreparata, come quella mattina. Aveva iniziato improvvisamente a piovere e al bar avevano dovuto fare i salti mortali per portare dentro tutti i tavoli e le sedie, senza contare i clienti che se ne erano andati. E si erano ritrovate bagnate e infreddolite ad aspettare la fine del turno. Per questo adesso si sentiva comoda, di nuovo asciutta nella sua tuta di felpa, avvolta nel tepore di un tè caldo ristoratore.
Quello che le piaceva, però, della pioggia, era la capacità terapeutica che aveva su di lei. Era un po' come un fiume, lavava via tutto.
Piccole e sferzanti gocce d'acqua picchiettavano sui vetri delle finestre. E questo rumore continuo e frastornante la faceva sentire a casa, protetta da quel dettaglio familiare. Le fece capire che anche a chilometri di distanza, la pioggia che si infrangeva sui vetri faceva lo stesso identico rumore. Le fece capire che era mondo anche quello.
Cullata da quel rumore dolce e da quel tepore sul suo viso, nei meandri delle sue paure più nascoste, non ci fece nemmeno caso quando Eloyn entrò in cucina. Quando, invece, si sedette davanti a lei e il suo sguardo la studiò attentamente da ogni angolazione, allora si sentì chiamata in causa.
« Be'? Che c'è? »
« Devo parlarti »
Chelsea annuì prestando la massima attenzione a ciò che aveva da dirle.
« Gli altri credono che tu stia uscendo con Brian »
Per poco non le andò di traverso il tè. Stava cominciando a sudare freddo. Sgranò gli occhi cercando di mostrarsi convincente; sapeva che sarebbe stato inutile.
« Non è assolutamente vero! »
« Ok. »
« ...ma? »
« Niente ma »
Eloyn si alzò e se ne andò, senza far trasparire la minima emozione.
Non voleva approfondire la questione, ne aveva paura.
Entrando in cucina aveva sperato con tutta se stessa di ricevere quel “no” che le avrebbe risparmiato una delusione e lo aveva ottenuto. Che bisogno c'era di scovare lo sporco dietro a quelle parole?
Entrando in cucina aveva sperato anche di ottenere parole sincere. Ovviamente non poteva pretendere che tutto ciò che sperava si avverasse.

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Capitolo 12
*** 11 - Wishing the clock would stand still, the world can wait. ***


Avvertimenti. Ok, Silvie è solo un personaggio random che non ha un vero scopo nella storia. E' che una sera mi è venuto in mente e allora ho dovuto inserirlo in qualche modo. XD
Seconda cosa: non metto più le date perché mi danno noia. Per far vedere il cambio di giorno metterò questo --> ***

Doveva ammettere che averli tutti a meno di un chilometro di distanza era una cosa surreale. Poter uscire di casa, prendere il cellulare e chiamarli anche solo per sapere come stavano le faceva strano, ma era ciò che aveva sempre sognato di poter fare. Era bello sentire che stava diventando una cosa normale, proprio come in quel momento era normale essere in un bar sulla costa insieme al grande The Rev. Non che lui fosse speciale rispetto agli altri, era solo che le infondeva sicurezza, la faceva sentire protetta. O semplicemente, aveva prestato su di lui maggiore attenzione rispetto agli altri.
« Come mai ti sei trasferita qui, di punto in bianco? Cioè, qual'è il vero motivo? »
Senz'altro le era mancata sua sorella, ma provava nei suoi confronti lo stesso sentimento che provava quando da bambine Eloyn aveva una bambola più bella della sua. Erano cose che tra sorelle non sarebbero mai cambiate.
« Ok. Mettiamola così: in un certo senso ero gelosa di lei » disse ridendo di se stessa.
Secondo Jimmy, Silvie sarebbe potuto essere un individuo adorabile se solo avesse voluto. E invece si ostinava ad erigere quella maschera da finta dura che sembrava esserle stata modellata addosso.
Lo aveva capito subito quando era rimasto catturato dalle lunghe e abbronzate gambe e dalla striscia di pelle lasciata scoperta sotto il top grigio-blu. E anche quel taglio ribelle e quegli occhi verde acqua contornati da uno spesso strato di matita nera, non facevano che delineare i dettagli di un carattere deciso. Non sarebbe stato di certo il trucco pesante e le grandi labbra carnose dipinte di un rosso scuro color sangue a farlo spaventare.
Non sapeva bene il perché, ma era abituato ad andare oltre alle apparenze, e per quanto quell'apparire una ragazza forte le si addicesse, si vedeva chiaramente che non era nata per fare la dura.
La vide portarsi la sigaretta alla bocca in maniera innocente. Sì, sarebbe stata sicuramente una mossa innocente se non fosse stato per il contesto.
« Non dovresti essere gelosa di Eloyn. Cos'ha lei che tu non hai? »
Lei gli offrì una sigaretta che lui accettò.
« Lei ha voi.. »
« Mh, credo possa essere un buon motivo » rise pavoneggiandosi a finto snob. Lui non era così, nonera come Zacky o come Brian. Loro ci credevano davvero, di essere sul tetto del mondo.
« Non fraintendermi. Le voglio bene, ma è un sentimento che non riesco a controllare »
« Ti capisco, succedeva così anche con mia sorella quando eravamo ragazzi »
Silvie diede un tiro alla sigaretta e butto fuori il fumo dai polmoni.
« Pensavo, no? » iniziò a dire lei dopo qualche attimo di silenzio. « Tu sei il batterista che adoro di più, sin da piccola. Potresti darmi delle lezioni di batteria »
« Ti piace la batteria? »
« Mi è sempre piaciuta ma sono sempre stata negata. Magari il grande The Rev potrà cambiare le cose. »
« Ci sarà da ridere, allora! »

***

Forse doveva smetterla di avere paura per gli altri – pensava mentre attraversava a passo serrato il vialetto di casa di Zacky.
Lui aprì la porta mentre lei si affrettava a raggiungerlo e lo sentì parlare ancor prima che lei si accorgesse della sua presenza.
« Allora, che ti ha detto? »
« Prima tu, sei quello più grande. » replicò lei entrando di fretta e voltandosi subito verso di lui.
Che Eloyn fosse preoccupata, lo capiva perfettamente anche Zacky. Non capiva, invece, perché fosse così assiduamente attaccata a tutto ciò che la sua amica facesse o non facesse.
Zacky si chiuse la porta alle spalle e le si avvicinò. Sospirò e intrecciò le dita con le sue dandole un dolce e delicato bacio.
« Innanzi tutto: ciao! » sorrise prima di ricominciare a baciarla lentamente.
Stava solo cercando di alleggerire un po' l'aria che si era impregnata di preoccupazione con il suo arrivo, tanto che Eloyn si fece quasi incantare da quel suo comportamento evidentemente studiato per farla distrarre.
Si allontanò bruscamente dalla sua bocca lasciandolo chino sul nulla.
« Seconda cosa: non capisco cosa c'entri l'età in tutto ciò. » affermò lui rimasto confuso.
Poi la fissò incerto e vide che si era fatta seria.
« Che ti ha detto? » chiese lei.
Sì. Era decisamente seria, forse anche troppo.
« Ha detto che.. è vero. » disse lui. E vide la delusione colmare in un attimo gli occhi di lei, che abbasso lo sguardo.
« Quello che mi fa strano è che mi ha guardata negli occhi mentre giurava che tra loro non c'era stato niente. » disse lei guardando altrove.
Sapeva che il rapporto tra loro due si era allentato con quel viaggio; ritrovarsi a vivere insieme in una nuova vita era stato strano sin dall'inizio, era stata una delle prime cose che Eloyn gli aveva confessato. Ma quella era stata solo la conferma di tutte le sue preoccupazioni: le due indivisibili Chelsea ed Eloyn non erano più così inseparabili, e questo faceva male anche allo stesso Zacky che non sopportava di vedere Eloyn in quel modo.
La osservava timoroso di una qualsiasi reazione, quasi trattenendo il respiro. La abbracciò soltanto quando vide il suo volto cambiare espressione e farsi triste, ancora più triste di prima.
La strinse forte a sé perché capiva il suo disagio.
« Brian mi ha detto che non si sono spinti oltre... e che è stato solo per una sera, comunque. Magari non voleva farti allarmare per niente. »
Eloyn affondò il volto nel suo petto e annusò a pieni polmoni il suo profumo dolce.
Si sentì protetta e non disse niente.
Lui le accarezzò i capelli e, vedendo i suoi occhi lucidi, le diede un bacio sulla fronte.
« Si sistemerà tutto, vedrai. » disse prima di iniziare a baciarla dolcemente sulle labbra e poi sul collo.
Eloyn socchiuse gli occhi a quel contatto cercando di non pensare a niente e non obiettò quando Zacky la prese in collo baciandola con più trasporto, anzi, strinse le gambe attorno al suo busto e intrecciò le dita tra i suoi capelli.
Ancora una volta lo sentì suo e si fece guidare fino in camera. Lo baciava e ancora non le sembrava vero. Lui era lì ed era lì per lei. La voleva e Eloyn lo sentiva forte e chiaro. Si sentiva amata.
Pensò che infondo la vita non era così brutta.

***

Stavano registrando i demo da mandare a Larry per farsi dare il via con le registrazioni ed erano tutti insieme, pronti per fare il possibile per quel nuovo album.
Jimmy era sempre stato fragile, ma mai come in quel momento. Era entrato in studio con il volto distrutto dalla tristezza, e fin lì poteva anche non essere una novità. Tutti avevano iniziato a preoccuparsi dopo, quando aveva preso in mano le bacchette e aveva iniziato a suonare. Faceva fatica a concentrarsi, aveva il fiatone e, nonostante questo, batteva su quei piatti con quanta più forza aveva in corpo.
Ad un tratto capì di non poter continuare per molto. Batté ancora un volta la sua bacchetta sul rullante e poi finì, con lo sguardo abbattuto e il fiato corto.
Tutti in quella stanza erano consapevoli dei suoi problemi – davvero tutti, a parte Silvie – ma mai a nessuno era venuto in mente che forse la sua malattia avrebbe potuto compromettere la sua passione: la musica.
Alzo lo sguardo verso gli altri.
« Jimmy, che hai? » gli chiese Matt, preoccupato.
« Niente Matt, io.. io credo di aver bisogno di un po' d'aria. » si alzò e andò fuori. Si sedette atterra con la schiena appoggiata al muro respirando profondamente.
Dopo pochi minuti, Matt uscì dalla porta e si sedette accanto a lui.
« Cos'è successo? »
Jimmy lo fissò in silenzio.
« Il cuore.. »
Matt sbiancò in volto.
« Credi davvero che possa essere quello il problema? Magari è qualcos'altro, che ne sai.. potrebbe anche essere solo stanchezza.. »
« Matt, non è la prima volta che succede..e.. sono andato a fare una visita l'altro giorno. E' quello il problema, hanno detto che non devo affaticarmi..» replicò Jimmy mantenendo lo sguardo atterra.
« E allora perché continui? Potresti allentare il tiro, almeno per un po'..»
« Matt, mi conosci. Siamo ad un passo dal registrare un altro album, poi ci sarà il tour e tutto il resto.. » gli sorrise « non smetterò.. » ma era un sorriso amaro.
« Sono con te, qualsiasi cosa deciderai di fare.. »
Matt era uno di quelli che non lo avevano mai abbandonato. Sin dall'inizio, quando erano ancora tre poveri sfigati con qualche strumento in mano, lui era sempre stato lì per dargli la carica e andare avanti. Nonostante tutto. Nonostante quella malattia che si trascinava dietro. Nonostante tutti i problemi. E forse era proprio per questo che erano lì, ora. Non lontani dal loro quinto album. Ancora insieme e ancora uniti. E proprio per questo, Matt sapeva benissimo che, qualsiasi cosa fosse successa, non si sarebbe arreso e avrebbe continuato a suonare imperterrito.
Jimmy ne era certo, lo sapeva dal primo giorno che aveva preso in mano le bacchette; niente e nessuno gli avrebbe impedito di suonare. E allora no, non lo avrebbe fatto nemmeno il suo stupido cuore stanco.

Erano in macchina da più di cinque minuti e sempre da cinque minuti nessuno aveva osato proferire parola. Chelsea era seduta accanto al posto di guida e dopo quello che era successo in sala prove non aveva avuto il coraggio di chiedere spiegazioni. Dal canto suo, Jimmy continuava a guidare con lo sguardo fisso sull'asfalto con aria triste. Era abbattuto.
« Tanto prima o poi dovrai parlarmene, no? » sussurrò lei, intimidita.
Certi argomenti erano troppo per lei, si sentiva piccola a confronto. E a chiedere certe cose a volte ci si sente di essere invadenti. Ma in una coppia la sincerità è fondamentale, no?
Avevano già parlato in passato della sua malattia, ma mai si era rivelata così insistente nella vita di Jimmy da renderli incapaci di comunicare tra loro.
« Sono.. sono andato a fare una visita l'altro giorno.. » incominciò lui angosciato. « dicono che ho il cuore affaticato e che dovrei stare più calmo almeno per questi giorni »
Chelsea fece per aprir bocca ma venne subito interrotta.
« Ora, prima che tu possa dire niente. Sappi che stare fermo e non suonare non mi guarirà, non credo esista niente che mi possa guarire. Perciò, no. Non smetterò di suonare. » Non smetterò di suonare. – pensò tra sé con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Chelsea si ammutolì, diciamo ancor più di prima, e stette in silenzio fino alla fine del viaggio rimuginando su quella miriade di pensieri che le volavano in testa.
Jimmy stava male. E questo era un dato di fatto. Quello che non capiva era perché volesse a tutti i costi farsi ancor più male, per cosa? Per una batteria? Chelsea era convinta che quello fosse l'unico lato della musica che non capiva. Come si potesse scegliere la musica alla propria vita. Era sicura di averlo quasi capito quando aveva visto Jimmy suonare per la prima volta. Ma il concetto le era sfuggito quasi subito, come se avesse tentato di trattenere nel suo palmo una manciata d'aria.
Quando entrarono in casa l'atmosfera si fece più tesa.
Chelsea si mise a sedere sul divano, incerta sul da farsi, quando lui le sedette accanto. Entrambi guardavano davanti a loro.
« Scusa per prima » dichiarò lui. E Chelsea pensò che era veramente un idiota, la verità era che ci era rimasta davvero male. Non tanto per la risposta in sé, ma perché era un comportamento che non riusciva ad afferrare.
In quei momenti sentiva di non conoscerlo abbastanza.
« Mi sento sempre ripetere che non devo affaticarmi o cazzate del genere.. » disse lui, e poi accennò una risata per alleggerire l'aria non ottenendo però nessuna reazione particolare. Lei continuava ad osservare il tavolino in mogano del soggiorno con i gomiti appoggiati alle lunghe e ormai abbronzate gambe. La bocca socchiusa e i muscoli evidentemente tesi. Gli occhi spenti ma vivi all'interno.
« Scusa.. » ripeté lui in un sussurro abbassando la testa.
Lei si voltò ad osservarlo e vide la sua tristezza. La sentiva quasi sua.
Jimmy guardava il pavimento mentre con una mano si grattava il collo e aveva le sopracciglia corrucciate in un espressione di scuse. No, non era per lui che era arabbiata, ma per tutto il resto.
I loro sguardi si incontrarono e Chelsea desiderò che una spaccatura nel terreno sotto di lei la risucchiasse completamente. Non era possibile che ad un tratto tutto quello che aveva sempre desiderato potesse sfuggirle di mano così velocemente.
Non aveva mai pensato seriamente ala sua malattia, non gli aveva mai dato il giusto peso forse perché non se ne rendeva perfettamente conto. Ma averlo visto in quelle condizioni quel giorno in sala prove l'aveva fatta sbattere contro la realtà dei fatti.
« Non devi chiedermi scusa.. » disse lei alzandogli il mento e abbracciandolo in tutta la sua grandezza.
Jimmy la prese e se la mise in collo appoggiandosi allo schienale del divano, così lei poté appoggiarsi all'incavo del suo collo. « E' che.. oggi in sala prove mi sono un po'... spaventata »
Le si creò un groppo in gola alle sue stesse parole. Sentiva gli occhi cominciare a bruciarle. Lui la strinse più forte a sé.
« Questa malattia.. insomma.. c'è pericolo.. ecco.. » lasciò intuire lei, un po' in imbarazzo.
« Non lo so, Chel. Nessuno lo sa.. per quanto mi hanno detto potrebbe succedere in qualsiasi momento.. diciamo che ci sono le stesse probabilità che io esca fuori ora e vanga investito da un auto.. ma non mi spaventa.. non ancora, perlomeno »
Ed era quella la botta che cercava e che tardava ad arrivare, lo schianto contro quel muro di mattoni che vedeva in lontananza.
« Non ci voglio pensare.. »
« Non sei costretta a farlo. »
Lei alzò la testa e lo guardò negli occhi, poi lo baciò con trasporto e senti quel calore accanto a lei ancora un volta.
Jimmy ribaltò le cose e la fece sdraiare sotto di lui. Rimase un po' così, a fissarla, e si accorse di quanto fosse fortunato. Perché anche fosse morto domani, almeno ora aveva quello che aveva sempre desiderato e non sarebbe stato solo. Quegli occhi così blu, più blu del mare lo facevano sentire a casa.
« Che c'è? » sorrise lei con gli occhi anocra un po' lucidi, osservando il suo sguardo sbigottito.
« Niente.. » Jimmy scosse la testa. « Sei bellissima » e la vide arrossire un po'.
E quindi era questa la felicità, quella che non provava da troppo tempo. Quella stretta all'altezza del petto che lo faceva sorridere involontariamente. Avere qualcuno accanto da amare, e sentirsi amato di rimando.
« Io.. io credo di amarti Chelsea. »
Lei andò quasi subito in panico. Si sentiva piena, piena di Jimmy e piena di se stessa. Piena di orogoglio e di felicità, tanto che sarebbe potuta esplodere come un bomba ad orologeria.
« Ti amo, Jimmy »  
Era questa la felicità.

***

« No, devi battere più forte sul rullante.. no, non così »
Quello che Jimmy aveva capito di Silvie era che i suoi tentativi di imparare a suonare la batteria erano completamente vani.
Se non altro, in momenti come quello il divertimento era assicurato; la completa rigidità di arti di Silvie aveva qualcosa di comico, infondo.
« Ma Jimmy! » si lamentava lei « no, se fai così no! »
Per un motivo sconosciuto a Jimmy lei non accettava alcun tipo di aiuto pratico.
« Silvie, come faccio ad insegnarti a suonare se non posso neanche toccarti? »
Ovviamente lei non rispondeva a questo tipo di domande. Era testarda, e quando si impuntava su qualcosa non c'era verso di farle cambiare idea. L'opposto di Eloyn, insomma.
« Ok, Jimmy. Non riuscirò mai a suonare la batteria! » concluse lei con il sorriso sulla bocca.
Era la terza lezione che Jimmy le aveva dato e non erano arrivati a niente di buono. Si erano ritrovati tutte e tre le volte a spanciasi dalle risate, sudati e con ancora le bacchette in mano.
Silvie aveva la fronte imperlata di sudore ed era stremata. Si alzo dalla sua postazione e si diresse nella stanza accanto con Jimmy al seguito. Avevano ufficialmente mollato la spugna.
« Birra? » chiese lui una volta arrivati in cucina.
« Mh, sì. » rispose lei accasciandosi bruscamente su una sedia.
Jimmy prese due bottiglie di birra fresche di frigo e le stappò con un gesto tanto fluido che sembrava non facesse altro nella vita. Proprio quando si voltò per dare la birra a Silvie sentì una leggera fitta al petto. Si mise immediatamente seduto cercando di respirare il più profondamente possibile. Aveva il fiatone per essersi affaticato e come sempre, quei dolori improvvisi non lo avrebbero risparmiato. Se non altro aveva imparato a conviverci, lentamente.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo al suo corpo e più il tempo passava più le fitte aumentavano e cominciava a rendersi conto che forse doveva davvero allentare un po' il tiro.
« Jimmy?.. Che hai? »
« Niente.. » rise lui malinconico. « non è niente, solo un po' di stanchezza.. »
« So che non è solo stanchezza »
Jimmy respirò e prese un lungo sorso della sua birra.
« Te l'ha detto Eloyn? »
« No, Chelsea. L'altro giorno alle prove, mi sono un po' spaventata e quindi lei mi ha “rassicurato” e mi ha raccontato a grandi linee di questa tua.. malattia.. »
« Bah, ci convivo da quando sono nato e non mi ha mai dato problemi, solo adesso il mio cuore inizia a fare i capricci.. »
« Bene, credo che questa sia stata ufficialmente la nostra ultima lezione! » rise lei.
« Silvie, non dobbiamo smettere di esercitarci solo perché sono stanco.. non ho intenzione di fermarmi. »
« No, Jimmy, non è per quello. Non solo, perlomeno. E' che credo che la batteria non faccia per me, ecco. »
In effetti tutti i torti non li aveva.
Quando Silvie lo guardava vedeva un amico. Era l'unica cosa di cui era realmente certa. C'era qualcosa di rassicurante nei suoi occhi che le faceva dimenticare tutto il passato, tutti i suoi momenti brutti.
E in un viaggio alla ricerca dela propria stabilità, tra alti e bassi, l'aveva trovata proprio nel celeste di quegli occhi glaciali. Così familiari e confortanti ma anche inquietanti allo stesso tempo.
« Ancora non ho ben capito.. » iniziò Jimmy dopo qualche minto di silenzio, guardandola negli occhi. « ..perché sei venuta qui così all'improvviso, perché non prima? » le chiese curioso.
Silvie le aveva già spiegato a grandi linee il vero motivo, ma quello che gli interessava in quel momento erano i dettagli di quella storia travagliata. I retroscena di una vita tormentata che lo avevano affascinato.
Voleva bene ad Eloyn cose fosse sua sorella, ormai, e in qualche modo sentiva di avere un certo feeling anche con Silvie. Forse per associazione.
E così Silvie le raccontò la sua vita. I problemi con i suoi genitori e il volere di suo padre di farla radicare a tutti i costi a Washington, nonostante lei sognasse la West Coast da quando era piccola. Le raccontò di Eloyn e alcuni aneddoti divertenti di quando erano ancora bambine.
Andarono avanti così per molto, fino a notte inoltrata, quando entrambi caddero in un sonno profondo davanti ad una rassegna televisiva di "Dr. House".

***

Saaaalve.
Allora, che dire? Mi sento stupida perché mi sembra di parlare da sola sato che nessuno recensisce più. ç_ç
Ma vabbè, passiamo ad altro.
Sono stata a Roma al concerto dei nostri cari e amati Avenged e vi giuro che è stato il giorno più bello della mia vita. A parte il concerto in sé (alla prima canzone avevo già la tachicardia), mi sono divertita proprio in generale grazie a Lucrezia (BBBlondie) e a tanta altra bella gente.
Quindi che dire? Niente. Potete lasciare una recensione anche per inslutarmi pesantemente, a me non importa, mi farebbe felice ugualemnte! :D
Baci, Silvia.

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Capitolo 13
*** 12 - We're all so weak, no matter how strong ***


12 - We're all so weak, no matter how strong, da finire.
© Amor Vincit Omnia 

Avvertimenti: Ovviamente, come sempre, mi sono presa varie piccole libertà riguardo al reale svolgimento dei fatti privati della band, come è giusto che sia. 

Il testo introduttivo è una parte di "Brompton Cocktail" del Cd Avenged Sevenfold anche se penso e spero che molti di voi lo sapranno già. Se non la conoscete andatevela a sentire perché, oltre ad essere una canzone davvero eccezionale, è anche la canzone che ha ispirato questo capitolo.

***
I'm not running away, been fighting this so long
Such a price that we pay, we gotta be so strong
And I take my life tonight 'cause I have the right to die how I wanna
and leave how I arrived, so alive

Il bello di conoscere gente pazza come loro era che una semplice giornata tra amici poteva trasformarsi in un pericoloso festino – con alcolici e fumo annessi – nel giro di mezz'ora scarsa. Johnny aveva capito che invitare Brian a casa sua sarebbe stata un condanna quando insieme a lui si presentò anche il resto del gruppo con relative mogli, fidanzate e affiliati; cominciò a preoccuparsi davvero quando sentì Matt al telefono con qualcuno dire di portare quanti più alcolici e cibo fosse in grado di caricare in macchina.
« Matt, chi era al telefono? » 
« Matt Barry, viene qui con Jason e un altro po' di gente. Non ti dispiace, no? » gli disse dandogli una pacca sulla spalla, superandolo con quel classico sorriso meschino stampato in faccia, quello che indossava quando era consapevole di star commettendo qualcosa di pericoloso.
Quindi no, certo, perché Johnny avrebbe dovuto preoccuparsi? Forse perché la sua casa stava per essere distrutta da uno sciame di gente ubriaca e fuori di sé? No, assolutamente no.
Poi penso che lui stesso non sarebbe stato da meno; non riusciva a concentrarsi quando davanti a lui c'erano belle donne o alcool, quella sera sarebbero abbondate entrambe e vista la sua recente rottura con Lacey decise di lasciarsi andare almeno per una sera. Smise completamente di pensarci appena prese la sua prima birra in mano. 
Avevano deciso di organizzare una festa in casa sua senza dirgli nulla? Per quanto lui fosse sicuro che tutto quello era stato premeditato dal vecchio Brian, decise di lasciarli fare. Infondo, stavano per realizzare l'ennesimo CD, ci voleva qualcosa per festeggiare.
Arrivarono veloci le dieci di sera e l'atmosfera cominciava già a scaldarsi. Qualcuno a sua insaputa aveva appena montato un impianto stereo da far paura a bordo piscina, anche se, a parere suo, la musica lasciava un po' a desiderare. 
Tutti iniziarono a ballare e le ragazze erano già quasi tutte ubriache. A loro maschi non bastavano due birre per ubriacarsi, fatta eccezione per i gemelli Barry che stavano dimostrando l'esatto contrario dando il loro meglio nella pista da ballo che si era creata accanto all'impianto stereo.
Proprio al centro di questa pista improvvisata ballavano le ragazze sopra ad un tavolo mentre gli sguardi dei ragazzi sotto di esse lasciavano intuire la poca castità di quei movimenti così incredibilmente fluidi. 
« Ehi Zacky! Sali, su dai! » urlò Silvie al ragazzo che la guardava sbigottito sotto di lei. 
Era in questi momenti che una ragazza come Silvie poteva essere potenzialmente pericolosa. Già il suo aspetto era provocante di per sé, aggiungendoci una musica ballabile e qualche mossa decisamente molto sensuale e il mix si faceva pericoloso.
L'aria si fece tesa quando una decisamente-poco-sana Eloyn lanciò un'occhiata fulminea prima a Silvie e subito dopo a Zacky, il quale se ne accorse non dandogli troppo peso. Non era ubriaco, ma aveva bevuto abbastanza da non prestare più troppa attenzione attenzione ai particolari. Silvie, invece, era ad uno stadio più avanzato dell'ubriacatura, e neanche si rese conto di starci provando con il fidanzato di sua sorella. 
« Vecchia puttana! » esclamò Eloyn in un'affermazione che fu udita da pochi. Così abbassò lo sguardo e tirò su con sé uno dei gemelli Barry. Non sapeva riconoscere quale fosse ma poco importava.
Così, sotto gli sguardi sbigottiti di mezza folla, Eloyn ci stava sfacciatamente provando con qualcun altro, noncurante del fatto che Zacky la stesse osservando infuriato. 
« Eloyn, scendi immediatamente da lì! » le urlò cercando di farsi sentire con tutta quella musica assordante che aveva improvvisamente iniziato a pulsargli nelle orecchie. 
« Vai a farti mia sorella, stronzo! » lo scansò via lei, a parole.
« Chelsea, per favore. Tu che sei l'unica sana, falla scendere da la sopra! » implorò Zacky all'amica che le stava accanto. 
Chelsea si avvicinò ad Eloyn e la prese per una spalla. 
« Eloyn, dai. Smettila, c'è Zacky. » 
« Chissene frega! » rispose l'altra scontrosa, non si era neanche accorta che la persona che stava cercando di persuaderla era proprio Chelsea. 
« Ok, ora basta. » disse Chelsea decisa. La prese per un braccio e la strattonò leggermente  facendola voltare verso di lei, lasciando così il gemello Barry a ballare da solo. 
Eloyn si voltò e la guardò meglio negli occhi, si accorse che era stata Chelsea ad averle gridato di smetterla e un turbine di pensieri misti a rabbia le si fece spazio in testa. 
« Tu! Proprio tu, eh?! » iniziò la mora carica di rabbia contro alla rossa che la guardava senza capire davvero cosa stesse succedendo.  
« Tu mi fai la morale? Ti sei quasi scopata Brian, per Dio! E oltretutto non mi hai detto niente, hai negato tutto! »
Ora quasi tutti stavano prestando reale attenzione a ciò che Eloyn aveva da dire. 
Brian era a pochi metri da quella scena e si sentì avvampare e sbiancare subito dopo. 
E così, ciò che avevano cercato di nascondere per tutto quel tempo era venuto fuori così, in meno di tre secondi? Si sentiva incredibilmente stupido, come sempre. 
Non sapeva davvero se sentirsi sollevato o impaurito vedendo il volto di Michelle cambiare toni di colore con una rapidità impressionante. In un contesto diverso sarebbe stata sicuramente un scena comica.
« Sei una stronza! » finì una Eloyn infuriata e delusa, ma ancora abbastanza ubriaca da tornare a pavoneggiarsi con il gemello Barry. 
Chelsea, rimasta gelata dalle parole dell'amica, scese dal tavolo  e corse nel bagno più vicino a scaricare la vergogna e la delusione che la verità di quelle stesse parole le avevano inflitto. Aveva sbagliato e non riusciva a perdonarselo.
Zacky aveva assistito alla scena senza dire niente, con lo sguardo sconcertato e la bocca semi- aperta, ma quando vide che dopotutto Eloyn aveva ripreso a ballare con Jason, allora si infuriò davvero. Prese Jason per un braccio e lo fece scendere dal tavolino, tenendolo ancora per il braccio gli diede un cazzotto bene assestato sulla guancia facendolo cadere atterra. Sentiva la rabbia ribollirgli nel corpo e la mano dolorante. 
Era stata evidentemente una mossa dettata dalla rabbia, a mente lucida non si sarebbe mai azzardato a dare un cazzotto ad uno dei suoi migliori amici. Solo dopo si rese realmente conto di ciò che aveva fatto, quando le nocchie cominciarono a fargli davvero male. 
E fu come se Eloyn, a vedere quella scena, si fosse ripresa per un attimo dall'ubriacatura che fino ad un attimo prima l'aveva accalappiata, tornando a confondere i suoni e le immagini qualche secondo dopo. 
Si sentì tirare giù dal tavolo da qualcuno che molto probabilmente era Zacky. Se ne rese del tutto conto solo qualche passo più avanti, lontana dal casino di quella festa e  da tutto quel rumore. 

Silvie aveva anch'essa assistito a quella scena. 
Sarà che quando succedono certe cose non importa quanto tu possa aver bevuto, a meno che tu non sia in stato semi-comatoso riesci sempre a riprenderti e a cercare di dare un senso a quello che sta succedendo. Poi, per una come Silvie, abituata ad avere tutto sotto controllo, in certi casi andare a perlustrare in giro la situazione è una conseguenza vitale. 
Si avvicinò alla porta del bagno doveva pochi attimi prima aveva visto Chelsea rinchiudersi e sentì dei singhiozzi provenire dall'interno. 
Bussò e senti una voce rotta dal pianto risponderle: « Chi è? »
« Sono Silvie, apri. » 
Un rumore di passi e lo scatto della serratura. Qualche attimo dopo aveva davanti il volto di Chelsea con gli occhi lucidi. 
Entrò senza nemmeno chiedere il permesso e si richiuse la porta alle spalle. Si sedette atterra accanto a lei.
« Allora, cos'è successo? » 
« Silvie si è arrabbiata perché non le ho detto la verità. » 
« La verità su cosa? » chiese Silvie passandole il rotolo di carta igienica che stava già per terra prima che arrivasse. 
« Pensavo te lo avesse detto. » 
Lo sguardo eloquente dell'altra le fece capire che evidentemente non era così.
« Io.. ho tradito Jimmy.. con Brian. » riuscì a dire prima di mettersi di nuovo a piangere rannicchiata su se stessa. 
« Tu hai fatto cosa? » chiese Silvie sbalordita. Non riusciva a credere a ciò che Chelsea le stava dicendo.
« Ma non ci sono andata a letto. No.. quello no.. E comunque è durato solo una sera e mi sono pentita. Ci eravamo giurati che non lo avrebbe saputo nessuno e invece quel coglione è andato a spifferare tutto non so a chi che lo ha ridetto poi ad Eloyn. Credo sia stato Zacky e spero solo che non l'abbia detto a Jimmy. » 
« Non credo l'abbia fatto, sembrava molto tranquillo stasera » 
Chelsea fissava un punto indeterminato davanti a sé e Silvie si chiedeva cose stesse pensando. 
« Ma c'è dell'altro, giusto? »
Chelsea si voltò a guardarla come a volerle dire che aveva ragione. 
« Con Eloyn.. non è più la stessa cosa.. Con il trasferimento e tutto, non siamo più quelle di una volta. » 
« Questo è normale, ci sono passata anche io. E non lo dico per fare la donna vissuta; chi vuole imparare da me avrà poco da lavorarci su, sono un completo disastro. Solo che quando arrivi a questa età, la scuola finisce, le nuove avventure e tutto il resto, è normale che ci si perda un po'. Non per questo la vostra amicizia è destinata a finire. Vi ho viste crescere insieme e confidarvi qualsiasi cosa. E ora vi sto vedendo crollare sotto forze più grandi di voi. Non si può sempre reggere qualsiasi peso, a volte si deve imparare a mollare la presa e farsi un po' distrarre da ciò che si sta vivendo. Lasciati andare, ma non dimenticare chi per te c'è sempre stato. » 

« Che cazzo ti è passato per la testa, Zacky! » 
La gelosia, ecco cos'era. Non ci aveva visto più e gli era partito un cazzotto. Perché, poi? Era colpa di Eloyn, ne era sicuro. Fosse stato per lui non l'avrebbe mai fatto, non era lui quello ubriaco. E dire che in tutti quei mesi non era mai stato un tipo particolarmente geloso della sua donna. Anche in generale, nella sua vita, non era un tipo da scenate da innamorato in stile serie Tv adolescenziale, meno che mai ora che cominciava ad avere i suoi ventotto anni ancora non compiuti. 
Eppure quando l'aveva vista strusciarsi sensualmente contro il suo amico – neanche fosse stato un palo per la lap dance – si era sentito davvero male. Un qualcosa di molto simile ad un dolore all'altezza del petto gli aveva infiammato l'umore, e improvvisamente gli erano cominciate a prudere le mani per il nervoso, e poi il cazzotto era volato neanche a farlo apposta. Però, poi si era sentito molto più leggero di prima. 
Gli veniva quasi da piangere a pensarci, e ancora, se si concentrava, vedeva bene dei pochi fotogrammi nitidi di quella scena.
Adesso guardava Eloyn in quegli occhi offuscati dall'alcool e solo Dio sapeva da cos'altro e si chiedeva semplicemente una cosa.
« Perché? » 
« Perché cosa? » 
« No, aspetta. Sei stata per cinque minuti di seguito a ballare sensualmente con Jason Barry sotto ai miei occhi, e mi chiedi “perché cosa”? »
Lei lo guardava con quegli occhi lucidi di tutto e sporchi di peccato, lo guardava e sembrava quasi supplicarlo di qualcosa. Qualcosa che però Zacky non riusciva a capire, era una richiesta muta che non era in grado di decifrare. 
« Tu, piuttosto. Carina mia sorella, eh? » 
« Cosa c'entra Silvie adesso? » 
« Ti ho visto come la guardavi poco prima! Se ti piace tanto perché sei qui adesso? Eh? Hia avuto modo di portartela a letto tante di quelle volte, perché non l'hai fatto? » 
Aveva iniziato a parlare con tono relativamente calmo in quello sproloquio i cui toni aumentavano sempre di più in relazione alla rabbia che Eloyn covava dentro nei confronti di Silvie, e ora anche nei confronti di Zacky che l'aveva delusa. 
Zacky sembrò pensarci un po'. 
« Ecco cos'era che avevi l'altro giorno. Non era per Chelsea. Non solo, se non altro. Ma Eloyn, non penserai davvero che mi piaccia tua sorella? » 
Avanzò le mani per sfiorarle le braccia ma lei si ritirò bruscamente indietro di qualche passo. 
« Magari tu stesso non te ne sei accorto, ma io non sono così ubriaca da non capirlo.. Io ho visto, ho visto come la guardavi.. come facevi anche con me. Non fare il cretino, cazzo! Vai da lei! » 
Si stava sviscerando per sfogare ciò che aveva dentro, in una maniera che non aveva mai sperimentato prima. E capiva che l'alcool a volte serve a questo, a liberarsi da ciò che si ha dentro senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni. 
Quello che stava facendo, in realtà, era chiedergli aiuto. Sentirsi dire qualcosa che l'avrebbe rassicurata, perché in realtà l'arrivo di Silvie le aveva sconvolto i piani, ma non lo avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai ammesso che ancora una volta Silvie aveva avuto la meglio. 
Sin da bambine erano state unite contro il mondo, e in quell'unione era normale quella rivalità classica che c'è tra ogni sorella. Ora, però, le stava uccidendo lentamente. 
E allora lei stava prendendo al volo l'occasione e stava sputando tutto il veleno che aveva in corpo con quelle parole, forse perché quegli occhi così azzurri che conosceva tanto bene  puntati sulle labbra rosse e carnose – provocati – della sorella erano stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E a guardarli adesso le sembravano sporchi. Poi aveva reagito d'istinto e aveva sperato con tutta se stessa in quella reazione da parte di Zacky. Voleva capire se lui teneva davvero a lei. Voleva sentirsi protetta. 
« No! Eloyn, porca miseria! Ma che cazzo ti salta in testa? » 
Aveva davvero guardato Silvie in quel modo? Come era stato possibile? No, non poteva essere e anche se fosse stato vero non sarebbe più successo. Amava Eloyn e non poteva permettersi di perderla, sarebbe stata la sua fine. 
Si avvicinò a lei quando vide che stava piangendo e tra le lacrime continuava il suo sfogo e tirava fuori la rabbia che aveva dentro a che lo stava facendo star male. Si sentiva in colpa. 
Decise di non curarsi se lei opponeva resistenza. 
« ..Vattene! Stronzo!.. » continuava lei cercando di allontanarlo.
Cedette quando sentì il suo calore. Smise di respingerlo e lo lasciò fare, abbandonandosi ad un pianto liberatorio. 
« Eloyn! Guardami cazzo! » la prese per le spalle e se la mise davanti. 
Lei lo guardava con quegli occhi rossi d'odio e di passione bruciata. 
« Io ti amo! Ti amo, lo capisci questo? Non ho mai amato niente e nessuna come amo te! Ti voglio e ti vorrò sempre! Non pensare nemmeno che io possa desiderare qualcun'altra o non volerti più! Neanche per sogno! » le urlava contro lui, in risposta alla sua sfuriata. Perché voleva lo capisse, che non l'avrebbe mai lasciata sola. 
Lei si aggrappò più forte alle sue spalle e affondò completamente il viso sul suo petto, piangendo di disperazione tanto che sentiva i muscoli farle male. Lui la strinse più forte che poteva, rischiando quasi di farle male. La strinse a sé con la forza con la quale si tengono strette le cose importanti della vita.
Sentiva la sua stretta di rimando come se non lo volesse lasciare andare mai e capì che era un essere troppo fragile per combattere questa battaglia da sola.
« Giuramelo. Dimmi che ci sarai sempre..» disse lei con fatica tra un singhiozzo e l'altro. 
« Sempre Eloyn, sempre. » le disse più piano tra i capelli prima di darle un bacio e continuare ad accarezzarla, per calmarla.
« Non mi lasciare mai, Zacky. Non farlo mai.. non anche tu. » 
La cullò ancora un po' tra le braccia e poi si incamminò verso uno scalino di mattoni dove si sedette e dove fece sedere Eloyn, proprio tra lui e il muro. Era ancora ubriaca, doveva aver bevuto molto e non era in condizioni di reggersi da sola. 
« Adesso calma, dai. » le sussurrava accarezzandola e stringendola a sé. 
Comunque i singhiozzi del pianto si stavano diradando e lei cominciava ad appoggiarsi un po' di più a lui, segno che stava cominciando a cedere piano piano. 
« Mi spieghi cos'è successo? Perché fai così? » 
« Non-non lo so.. ho paura.. » 
Certo, approfittarsi di persone ubriaca sicuri che diranno la verità non era la cosa più onesta da fare, ma sapeva che farla parlare l'avrebbe anche sfogata maggiormente. 
« Ma di cosa dovresti aver paura? » 
Lei si voltò verso di lui con occhi supplichevoli e gli disse: « Che tu te ne vada e che lei possa in qualche modo far tornare le cose come erano prima.. Quando è arrivata. .. mi sono accorta che lei fa parte di quel passato che mi sono lasciata alle spalle.. e indietro deve rimanere.. lei non c'entra niente qui.. » 
Le baciò la fronte e poi scese sulle labbra accarezzandole il viso con la bocca, leggermente, e nonostante l'odore di alcool e fumo fu un bacio bellissimo. Le sue labbra contro quelle morbide di Eloyn avevano un potere miracoloso su di lui, lo rilassavano terribilmente.
Poi ad un tratto si accorse della sua foga e di come piano piano si stesse facendo avara dei suoi baci. La capiva subito quando faceva così e si disse che farlo lì non sarebbe stata la cosa migliore, a pochi metri da una festa da mille invitati. 
Si alzò e la prese in collo dirigendosi verso la macchina dopo aver salutato con gli occhi un Johnny alle prese con molte persone che cercavano in tutti i modi di distruggergli casa. Vide Chelsea avvicinarsi all afesta con Silvie al seguito. Aveva gli occhi leggermente arrossati ma un espressione fiera in volto mentre appoggiava una mano sul braccio di Haner intento a discutere con Michelle. Molto probabilmente si sarebbe scatenata la terza guerra mondiale a quella festa ma osservò Eloyn apooggiarsi alla sua spalla e decise di non pensarci.

 « Haner, dobbiamo chiarire la situazione. » gli disse Chelsea interrompendo il suo discorso con Michelle che di rimando la incenerì con lo sguardo.
« Innanzitutto, Michelle ti chiedo scusa. Non avevo nessun diritto di mettermi in mezzo a voi, ho sbagliato e spero che tu possa perdonarmi, in futuro. » finì di dire riferita alla donna che aveva davanti. Ad osservarla bene incuteva più timore di quello che ricordava.
« Chelsea, tu non mi devi niente. Eravamo amiche, ok. Ma da quanto tempo? Poco, troppo poco per sentirsi in colpa. Sì, ce l'ho con te ma ce l'ho di più con Brian. Perché da te non mi sento poi così tanto tradita. Limitiamoci all'indifferenza. » le rispose secca e schematica l'altra, lasciando Chelsea con un po' di amaro in bocca.
« Ok. » abbassò leggermente lo sguardo per rialzarlo subito dopo in direzione di Brian che la osservava aspettando che dicesse qualcosa.
« Tu Haner, lo sai. Non c'è niente tra di noi e mai potrà esserci niente. Finisce qui, amici come prima? »
Michelle li osservava attonita e pensava che era una scena patetica, non si era mai visto risolvere un tradimento in una maniera così banale e pacifica, non era da lei.
Vide Brian osservarla prima di rispondere.
« Come prima » e sorrise. Michelle sentì il viso avvamparle di rabbia dopo quel sorriso. Era troppo.
« Ok, adesso se non ti dispiace sarei io quella che è stata tradita e quindi ciao. » disse Michelle acida prendendo Brian per un braccio e portandoselo via.
Chelsea non disse niente, le stava bene così, aveva ragione. Li vide allontanarsi e andarsi a riparare dietro la casetta in piscina.

« Ok, adesso spiegami perché lo hai fatto? »
« Mich, non lo so. Stiamo insieme da così tanto tempo, ho ceduto, ok? »
Brian era supplichevole, le faceva venire il voltastomaco.
« Quindi tu stai con me per resistere alle tentazioni? Brian se stai con me deve essere perché vuoi, non per metterti alla prova, non è giusto nei miei e nei tuoi confronti. »
Brian sospirò e guardo in basso grattandosi svogliatamente la nuca.
« Non è questo e lo sai bene. E' che.. ah non lo so, so solo che qualsiasi cosa fosse stato non ero io. Non lo rifarei mai più. »
« Non riesco più a fidarmi di te, lo capisci? » disse lei con le lacrime agli occhi nella penombra di quella notte senza luna.
Lui la guardava negli occhi e si malediceva per essere stato così stupido. La amava, aveva fatto uno sbaglio, se ne era pentito. Perché doveva essere tutto così difficile?
Era sempre stato cosciente del fatto che gli errori si pagano, ma non pensava che la pena da scontare sarebbe stata così difficile da sopportare
« Io ti amo, di cosa hai bisogno per fidarti di nuovo di me? »
« Non lo so.. » sussurrò « forse è troppo tardi »
Brian sentì quelle parole senza attribuirgli un significato preciso. Tutt'attorno si fece ovattato e lui andò subito in panico. Erano stati inseme per così tanti anni, e ora tutto andava in fumo per colpa del suo essere maledettamente stronzo?
« Mich, non puoi. Non dopo tutto questo tempo. »
« Ma cazzo, Bri. Anche prima hai dimostrato di essere un gradissimo stronzo. Lei è venuta qua a chiarire, e fin lì mi stava anche bene. Poi le hai sorriso in una maniera così.. sincera. Non so, sono contenta per te ma non hai pensato che forse io ero lì e vi stavo osservando? Immagina come posso essermi sentita. »
Non l'aveva mai vista così decisa in tutto quel tempo che la conosceva, e essere cosciente delle circostanze era una cosa che lo spaventata dannatamente.
« Scusami.. » disse in un sussurrò spezzato « non so vivere senza di te.. » continuò prendendole le mani nelle sue mentre le si avvicinava un po'.
Lei scuoteva la testa con un espressione di dolore in volto ma lo lasciò fare. Guardò quegli occhi marroni così intensi e fu difficile per lei rimanere nella sua posizione. Non voleva farsi mettere i piedi in testa ed era stata delusa, era ferita e ci sarebbe voluto tempo. E poi, quando la ferita si sarebbe rimarginata cosa sarebbe rimasto del suo amore per lui? Era questo che non sapeva ed era per questo che non se la sentiva di fargli promesse che non poteva mantenere.
« Michelle, sposami. »
La colse di sorpresa tanto che scatenò qualcosa nel suo basso ventre, una sensazione simile alla paura del rimorso e delle scelte che stava per compiere. Era sicura che si sarebbe pentita di quello che stava facendo, ma non le importava. Chiuse gli occhi e sentì una lacrima scenderle veloce lungo il volto e cadere.
Lui la osservava in preda al panico, non sapeva come mai glie lo aveva detto, sentiva solo che era la cosa giusta. Una lacrima gli cadde sulla mano, una lacrima di Michelle, gli si chiuse lo stomaco.
« Lo dici solo perché non sai come riparare al danno.. » concluse lei sciogliendo la presa con cui lui la teneva a sé e andandosene lasciandolo solo.

There dreams will never leave you, never leave you asking why.


Note. Beeene, capitolo un po' cortino e a dire la verità avrei potuto fare di meglio, ci sono stata su un po' poco dato che voglio velocizzare un po' il tutto. Fra poco parto per l'Inghilterra e  volevo lasciarvi con qualcosa da leggere (Sì, so che leggete anche se non recensisce praticamente nessuno XD ).
Secondo me sono stata frettolosa ma davvero non saprei come agire per migliorarlo. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un grazie particolare va a Lucrezia (BBBlondie) perché si sorbisce i miei problemi esistenziali anche se non ha voglia di recensire ç_ç (ti amo lo stesso *^* ), e ringrazio anche quelle due buone anime che hanno recensito il capitolo precedente (prendete esempio, su .-. e siate brutali per piacere).
E quindi niente, spero vi sia piaciuto e alla prossima. 

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Capitolo 14
*** 13 - With my back against the wall ***


© Amor Vincit Omnia

Avvertimenti. Il pezzo di brano all'inizio è parte della canzone Almost Easy degli Avenged Sevenfold, anche se so che tutti voi l'avevano già riconosciuta, spero. XD
 Il tempo in questa storia è diventato del tutto relativo, lol. Dimenticate le date che ci sono state fino a qualche capitolo fa, adesso è tutto diverso. Mi serviva tempo e ho dovuto aumentare i giorni che avevo a disposizione. Chi non ha ancora capito, capirà in seguito. Buona lettura e ci vediamo a fondo pagina. ^^


***
Now that I've lost you it kills me to say,
I tried to hold on as you've slowly slipped away,
I'm losing the fight, I've treated you so wrong now let me make it right.

« Sta male, Chelsea. E' distrutta. Fai qualcosa per lei.. » 
La voce robotica di Zacky al telefono la stava implorando di recuperare un'amicizia che rischiava di scomparire nel nulla. Lui, proprio lui che adesso faceva parte di quel noi che prima rappresentava solo lei ed Eloyn, lui che era nella loro vita da così poco la stava pregando di fare qualcosa per salvarsi da quell'inferno senza Eloyn, da quella prospettiva di vita senza la sua metà. 
Era tutto irreale ormai da qualche mese. Era stata dura imparare a vivere tra le nuvole, in una realtà che sembrava ad entrambe fin troppo irreale, ma c'erano riuscite. Avevano dovuto farlo, pena le conseguenze che poi si erano verificate lo stesso, ma alle quali c'era rimedio nonostante Chelsea volesse ignorarlo con tutta se stessa pur di non ammettere il proprio errore.
« Senti, Zacky. Farò qualcosa, solo non ora. Non è il momento adatto »
« Fai come ti pare, ricordati solo che la cazzata l'hai fatta tu e che a te spetta di rimediare » 
Aveva maledettamente ragione. 
Quella crescita che avevano subito comportava anche questo, prendersi le proprie responsabilità e risolvere i problemi nel migliore dei modi. 
Essere la causa di quei problemi le avrebbe dovuto dare una spinta in più, invece Chelsea si sentiva inesorabilmente spinta al suolo dai sensi di colpa. Doveva smetterla di fare la vittima e concentrarsi sul da farsi. 

« Sì, hai ragione »
« Fra un'ora siamo tutti alla spiaggia. Tutti... diciamo tutti quelli che sono rimasti da ieri sera » 
« Che intendi dire? »
« Brian e Michelle si sono lasciati quindi adesso lui è distrutto - sembra che gli sia passato sopra un trattore, per intenderci - e si è chiuso in casa, stessa cosa vale anche per lei » 
Aveva combinato una catastrofe. 
« Sono una stupida » 
« No, Chelsea. Siete degli stupidi; tu e Brian. Il danno lo avete fatto in due »
« Ma le conseguenze adesso le paga solo lui »
« Tu hai litigto con Eloyn. Hai sicuramente più possibilità per rimediare, ma diciamo che lui aveva più responsabilità.. Dalla tua parte hai la fortuna di essere fidanzata con uno come Jimmy; lui capirà, mentre Michelle no » 
I tentativi di far sembrare la cosa un po' più leggera della realtà erano del tutto vani. 
I sensi di colpa rimanevano, con o senza le parole di Zacky. E ora c'era il passo più importante da fare. 
« Devi dirlo a Jimmy » le disse lui in tono di velato rimprovero. 
La sera prima Jimmy non si era accorto di niente. Per sua fortuna non si era neanche vagamente avvicinato alla pista da ballo - la scena del delitto - e quindi ne era uscito illeso, e ignaro. Avrebbe cominciato a farsi delle domande quando le sarebbe arrivata voce dello scioglimento di Brian e Michelle e del litigio tra Chelsea ed Eloyn. Avrebbe chiesto il perché, e a quel punto non ci sarebbe stato nient'altro da fare. Le possibilità erano due: o i ragazzi erano così diligenti da non dire niente e aspettare che fosse Chelsea a farlo, o qualcuno di loro glie lo avrebbe detto e quel punto il trucco sarebbe stato batterli sul tempo e agire d'astuzia. 
« A che ora oggi pomeriggio? » 
« Alle quattro su al molo, se vuoi ti passo a prendere. Tanto Eloyn non credo verrà. » 
« La lasci sola? » 
« No, torno a casa presto, sto un'oretta e scappo. »
« Ok, accetto il passaggio se per te non è un problema. Ma non dire niente a Eloyn, non vorrei peggiorare la situazione. »
« Ma le parlerai? » 
« Sì, promesso. Dammi tempo fino a stasera o domattina »  
« Ok, ci vediamo dopo. »
« A dopo Vee »
Lui riattaccò lasciandola da sola con il fastidioso “beep” del telefono nell'orecchio. 
Aveva combinato un vero e proprio casino e doveva rimediare. 

« Arrivo! Arrivo! » 
Chelsea stava sbracciando dalla finestra aperta per far zittire il clacson della macchina di Zacky che la stava assordando da circa due minuti. 
Prese la borsa e scese le scale ad un velocità lampo per far cessare quel rumore orribile e fastidioso. Si stupì del caldo che, nonostante fosse Dicembre inoltrato, continuava a farsi sentire. Gli inverni in California non erano mai stati particolarmente freddi, ma non era mai successo, a detta degli altri, che le temperature si mantenessero alte anche durante quel mese. 
Chelsea, salita in macchina, salutò Zacky con uno sguardo del tutto eloquente. 
« Ehi, ci stavi mettendo tanto! », rispose lui per scusarsi del baccano che stava facendo con il clacson. « Stamattina mi sono visto una maratona di quella serie televisiva che adoro.. » aveva poi cominciato a blaterare. 
Le frivole parole da checca di Zacky arrivavano alle orecchie di Chelsea come ovatta e non raggiungevano il suo cervello. Intanto la rossa faceva il resoconto mentale di cosa aveva preso e cose le sarebbe servito. Costume, crema solare, bibite, cibo.. c'era tutto, tranne..
« Gli occhiali da sole, cazzo! » esclamò improvvisamente interrompendo il flusso di parole di Zacky. 
« No, veramente Gary in quella puntata voleva comprarsi un paio di scarpe, non un paio di occhiali! » 
« Eh? Ah, no, ma che dici! Mi sono dimenticata gli occhiali.. » 
E osservò il volto semi-deluso e ingenuo dell'altro con uno sguardo assai eloquente. 
« Cos..? Ah, no.. No, Chelsea, non fare quella faccia, non ti presterò i miei occhiali, neanche per sogno! »
Cinque minuti dopo Chelsea aveva addosso i suoi occhiali, fiera di se stessa e del suo sguardo convincente. 
« Me la pagherai, prima o poi.. » si lamentava lui socchiudendo gli occhi per il fastidio provocato dal sole in viso. « Sai quanto odio il sole.. »
Chelsea rise a quella scena esilarante. 
« E andiamo, fai il maschio per una volta, so che ti viene male ma almeno sforzati.. » 
« Stronza.. »
« Infante! » 
Già venti metri prima della spiaggia si sentivano gli schiamazzi dei loro amici che erano intenti in un'improbabile partita di beach volley.
Parcheggiarono di fianco al marciapiede e si avvicinarono ai compagni. Le squadre erano formate da: Jimmy, Val, Silvie e Matt Barry in una e nell'altra Jason, Matt e Johnny. Decisamente poco bilanciate e per di più mancava anche un giocatore.
« Ti piace vincere facile, eh Jimmy? » disse Zacky all'amico che si divertiva a sfottere Johnny per le sue inesistenti doti da pallavolista; una tra le tante, l'altezza. 
« Dici a me? Non mi sembra che siano state fatte male, le squadre! » finse l'altro battendo il primo colpo. 
« No, infatti! » lo assecondò ironica Chelsea. 
« Sì, ti amo anche io amore mio! » rispose Jimmy alla sua fidanzata. 
A Chelsea le si strinse lo stomaco. Doveva dirglielo, doveva proprio, ma se lui faceva così come poteva? Stava rendendo tutto maledettamente difficile. 
Fece un respiro profondo per controllare i crampi che le avevano attanagliato lo stomaco, poi stese il suo telo e si mise seduta. 
« Zacky, invece di guardare, perché non ci vieni a dare una mano? » lo rimproverò Johnny. 
« Johnny! Ma Zacky è fottutamente grasso, sarebbe una lotta ancora più impari » rise Matt.
« Matt, non è che perché sei un fottuto palestrato allora devi offendere noi diversamente magri! » gli rispose Zacky sicuro di sé. Si tolse la maglietta e li raggiunse sul campo. Jason lo guardò un attimo e ci pensò su, preoccupato. 
« Andrà a finire che tu rotolerai al suolo e noi dovremo aiutarti a rialzarti.. ne sono sicuro! » disse poi, acido, autocompiacendosi per la bella battuta. 
Zacky semplicemente lo fulminò con lo sguardo e si posizioni al posto di battuta con il pallone in mano. 
Durante la partita Zacky ebbe modo di far pentire gli altri per quei commenti poco gradevoli sfoggiando le sue ben nascoste doti di pallavolista facendo terminare la partita con un dignitoso quando altrimenti impossibile pareggio. 
Chelsea decise di arbitrare la partita verso il secondo tempo, quando vide Jimmy e Johnny litigare per un punto a bordocampo e, a partita finita,  poteva dire di essersi stancata almeno quanto loro che giocavano. 
« Sono sfinita, vado a farmi una doccia.. » disse stremata mentre tornavano verso i loro asciugamani. 
« Ma non hai fatto niente! Di che ti lamenti? » sentì dirsi da uno dei gemelli. Non ci fece caso e deviò verso l'entrata della spiaggia non appena furono usciti dal campo e sentì qualcuno che la strattonava per un braccio. 
« Chelsea, vengo con te! » 
Jimmy la raggiunse allungando il passo e Chelsea desiderò di non essere mai nata, o perlomeno di non essere mai arrivata ad Huntington Beach. Adesso non aveva scampo, doveva dirglielo per forza. Per se stessa, per Eloyn, per Brian e Michelle e per lui, che la stava guardando con quegli occhi di ghiaccio che potevano pietrificarla o scioglierla a seconda delle occasioni. 
« Ehi.. » lo salutò, e quasi tentennò quando lui cercò di baciarla. 
« Che c'è? » 
Ma perché doveva essere così chiaroveggente ogni volta? Perché non si faceva mai sfuggire nessun particolare?
Perché era Jimmy, ovviamente. 
« N-Niente.. » mentì. 
Si diressero verso le docce a gettone ed entrarono insieme in una cabina. Jimmy cercò nella tasca ed estrasse una moneta che inserì nella fessura accanto a Chelsea sfiorandole il braccio. 
Non sapeva davvero il perché, ma in momenti come quello ogni azione ed ogni avvenimento le venivano amplificati in maniera assordante. E quello che in un altro contesto poteva sembrare un semplice contatto, una banalità, qualcosa che avveniva quotidianamente, invece ora le era sembrato l'inferno e il paradiso contemporaneamente. Sentì che le gambe le stavano per cedere. 
Il getto d'acqua calda partì all'improvviso spaventandola mentre era impegnata in tutt'altri pensieri facendola sussultare. 
« Sicura di stare bene? » le chiese Jimmy, con aria preoccupata. 
L'altra inizialmente annuì per poi contraddirsi subito dopo.
« In realtà no, non proprio.. devo dirti una cosa » 
Frasi di convenzione come “dobbiamo parlare”, “c'è qualcosa che non sai” o, come in quel caso “devo dirti una cosa”, sono tutte frasi che si dicono per gettare l'esca e vedere come va. E così non puoi più tirarti indietro, sei incastrata e hai fatto tutto da sola, non hai possibilità di tornare indietro. 
« Mh, ok. » disse lui calmo avvicinandosi pericolosamente alla sua bocca. La baciò con trasporto e la trovò rigida, ma non ci fece troppo caso. 
Gli avevano accennato della lite con Eloyn ma per qualche strano motivo nessuno era mai entrato nei dettagli. 
Chelsea aveva anche solo pensato di poter opporre resistenza ma ci ripenso quando le labbra di Jimmy cominciarono a scendere sulle sue guance e lungo il collo; sentì la sua stretta sui fianchi attirarla a sé. 
« Si tratta di Eloyn, giusto? » 
« Sì. » rispose in fretta lei. 
Si disse che certe frasi di circostanza sono infallibile finché non si incontrano persone come Jimmy, che in un certo senso ci azzeccano sempre. E anche in quel momento ci aveva azzeccato, perché anche Eloyn era un problema in quei giorni. Ma quello che in realtà gli avrebbe voluto dire era tutt'altra cosa. Voleva parlare di loro e di quanto stessero bene insieme, di cosa aveva sbagliato e di quanto si era pentita. Voleva pregarlo di non lasciarla sola perché non lo avrebbe tollerato. E invece ciò che uscì dalla sua bocca fu solo e soltanto un breve, netto e deciso “Sì” per riprendersi al volo da quelle famose frasi di circostanza. 
« Ne vuoi parlare? » 
Forse il vero problema era che lui non aveva smesso di baciarla e Chelsea aveva avuto paura. Paura che se avesse interrotto quei baci gli avrebbe dovuto dire addio per sempre, a quei baci e quindi a lui. E non ne aveva avuto il coraggio. 
Sapeva benissimo che arrivata a quel punto non sarebbe potuta tornare indietro.
« Abbiamo litigato. Vivere insieme ci ha allontanato, bella contraddizione, eh? » 
C'era da ringraziare Dio, o forse solo il fato, che non tutte le voci riguardo alla loro litigata della sera prima erano arrivate alle orecchie di Jimmy, altrimenti il lavoro duro non sarebbe spettato a lei. E la responsabilità di quella confessione era l'unica che desiderava avere. 

Dopo mezzora Zacky tornò a casa per controllare Eloyn. Era andato alla spiaggia solo perché lei lo aveva praticamente sbattuto fuori da casa sua dicendogli che stava bene, ma era una menzogna a cui non credeva nemmeno lei.
Aprì la porta di casa e si diresse in salotto, sicuro di trovarla poltrire sul divano; e così fu.
La vide rannicchiata in un angolo con addosso la felpa grigia che le stava immensa, quella che gli aveva sapientemente sottratto dall'armadio ormai da qualche settimana, e i leggins. I capelli raccolti in una coda di cavallo scompigliata che le faceva spuntare ciuffi ovunque. Dormiva a braccia conserte e Zacky capì che doveva essersi addormentata mentre guardava la televisione. 
Si guardò intorno e vide sul tavolino una vaschetta di gelato alla vaniglia di cui erano rimasti solo degli scarti in fondo, e un cucchiaio grande gettato dentro alla meglio. Vicino ad essa un barattolo di Nutella aperto che fortunatamente riportava i segni di poche cucchiaiate.
I rimedi delle donne sono micidiali, pensò. 
Tornò a guardarla e vide i suoi occhi cerchiati da delle profonde occhiaie nere, un po' per lo stress e un po' per il mascara nero che doveva esserle scivolato via con il pianto. Forse aveva sbagliato a lasciarla sola. 
Prese una coperta e glie la mise addosso; nonostante fuori fosse un caldo tropicale, dentro a quella casa il condizionatore funzionava anche troppo bene: in effetti si ibernava.
Le diede un bacio in fronte e si allontanò solo per abbassare un po' l'aria fredda. 
Tornò da lei e spense la televisione allungandosi sull'altra ala del divano. Un divano ad angolo, comodo per due. 
Capì di averla svegliata quando la sentì mugugnare qualcosa di molto simile a: « Zacky, sei tu? » 
« El, sei sveglia? » 
« Più o meno.. »
« Ti porto di sopra? » 
La osservò annuire a chiudersi di più in se stessa e si alzò per portarla nel letto al piano di sopra, quello che ormai era il loro letto.
La prese in bracciò con facilità e noto che ultimamente aveva perso peso, come biasimarla. Certamente con tutte le schifezze che aveva ingurgitato quel giorno sarebbe tornata a pesare come sempre senza difficoltà.
Salì le scale e arrivato in cima fece qualche passo per arrivare alla porta. Cercò di aprirla e ci riuscì solo dopo vari tentativi. La fece sdraiare e le si mise accanto rigirandosela tra le braccia con una facilità che gli faceva capire quanto fosse stanca per non ribellarsi. La strinse a sé come fosse il suo piccolo gioiello da proteggere, e in un certo senso era davvero così. 
La vide aprire gli occhi. 
« Che ore sono? » gli chiese prima di dargli un leggero bacio a fior di labbra. 
« Le cinque, da quanto è che dormi? » 
« Stavo guardando Beautiful quindi dalle due più o meno.. »
« Stavi guardando Beautiful?!? ». Lei odiava quella serie televisiva, Zacky non poteva credere alle sue orecchie. 
« Sono messa male, eh? » sorrise amaramente.
A Zacky si strinse il cuore a vederla in quel modo. 
« Piccola la mia Eloyn.. » disse con una vocina alquanto strana portandola sopra di lui. 
« Quando fai questi versi ho quasi paura di te, ma ti amo per questo » rispose baciandolo con poca forza, era ancora molto assonnata. 
« Anche io ti amo, Eloyn. Ti amo tanto! » 
Lei non capiva perché lui fosse così felice. Certo non poteva immaginare che tutta quella gioia potesse essere scaturita solo da dei pensieri a caso, come avere la certezza che sarebbero potuti stare insieme per tutta la vita. 
Infatti, la sola cosa che Zacky aspettava per chiederle di sposarlo era il tempo. Che passasse ancora un po', per vedere se uno dei due si sarebbe stancato. Anche se dei suoi sentimenti era ancora completamente sicuro. 
Nessuno sapeva che l'anello di fidanzamento era già pronto nel cassetto più nascosto della camera e accuratamente chiuso a chiave. Però c'era ed era già qualcosa. 
Si riaddormentarono abbracciati l'uno all'altra e vennero svegliati dal campanello che suonava. 
Zacky si alzò improvvisamente e diede un'occhiata fugace alla radiosveglia vicino al letto: erano le sette di sera, probabilmente era Chelsea alla porta che voleva parlare con Eloyn. 
« El, dobbiamo alzarci. Hanno bussato » 
« Ma vacci tu ad aprire, è casa tua.. » 
« Certo, è casa mia solo quando ti fa comodo è? No, troppo facile. Stavolta vai tu. » 
« Zacky James Baker, ti odio. Sappilo. » disse lei strisciando fuori dal letto con una lentezza impressionante. 
Ovviamente, solo Zacky sapeva chi ci fosse dietro alla porta ad aspettarla, ed era per quello che sarebbe dovuta andare Eloyn ad aprire. 
Chelsea aspettava impaziente che qualcuno si degnasse ad aprire la porta e quasi sperò con tutta se stessa che fosse Eloyn a farlo, tanto per evitarle ulteriori complessi pre-discorso.
Non sapeva bene cose le avrebbe detto. Forse solo “scusa”  o forse le sarebbe uscito un fiume di parole inarrestabile. Sotto questo punto di vista, Chelsea era sempre stata imprevedibile.
La porta si aprì e le si presentò davanti lo stato più trasandato e trascurato della sua Eloyn. Stava davvero così male? Si maledì mentalmente. 
La osservò guardarla stupefatta dalla testa ai piedi. Era arrabbiata. 
« Cosa diav-.. » iniziò Eloyn, ma fu interrotta da Chelsea.
« Scusa! » esclamò sopra le parole dell'altra facendola rimanere di sasso. « Io.. non dovevo mentirti. Ho fatto una cazzata. Tu ci sei sempre stata per me e mi hai sempre detto tutto. Scusa.. » 
Eloyn non sapeva davvero cosa dire. Era felice che fosse stata lei a farsi avanti, altrimenti lei stessa non ne avrebbe avuto le forze. 
Aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse che non c'era più niente da dire. Allora la richiuse e semplicemente le si avvicinò abbracciandola con tutte le forze che le erano rimaste. 
Chelsea accolse quell'abbracciò con sincera felicità e si sentì sollevata da una peso più grande di lei. 
« Vuoi.. vuoi entrare? » 
« Ma c'è Zacky.. » 
« La casa è abbastanza grande per tutti.. alla più brutta lo chiudiamo in bagno » rise Eloyn, illuminata di una nuova luce. 
Mentre Chelsea si faceva spazio in casa di Zacky, il diretto interessato scendeva le scale con i vestiti sgualciti e lo sguardo spento dal sonno. 
« Ti ho svegliato, Zacky? » chiese Chelsea come se la risposta fosse ovvia. 
« Veramente ci hai svegliato » 
« Sì ma io sono felice di essere stata svegliata » rispose Eloyn guardando l'amica. 
C'erano momenti in cui si soffermava sui suoi particolari e capiva di non poterne fare a meno. 
Erano ormai passati i tempi in cui giocavano con le bambole, quando definirsi “migliori amiche” aveva ancora un significato speciale, andato poi sbiadendo col tempo. 
Però sapeva che infondo c'era qualcosa che le legava inesorabilmente. Come quando da piccole Chelsea partiva e stava via ogni santa estate lasciando Eloyn da sola ad aspettarla. E quando poi tornava si soffermava sempre su quei capelli rossi e sui suoi occhi azzurri e si sentiva stupida considerandoli dettagli fondamentali nella sua vita. 
Quel giorno le stava succedendo la stessa cosa di quando erano piccole, e si stupì di come il colore dei suoi occhi non fosse cambiato di una virgola. 
« Zacky, mi hai convinto tu a venire, non ricordi? Adesso non ti lamentare » lo rimproverò Chelsea. 
« Tu hai fatto cosa? » chiese Eloyn perplessa.
« Perché credi che sia venuta lei a parlarti, scusa? Sai meglio di me quanto sia testarda e orgogliosa » 
Eloyn sentì il cuore riempirsi di felicità. Poteva desiderare di più? No, affatto. 
Si avvicinò a Zacky e lo abbracciò con forza sui fianchi –  cosa che le veniva bene data la sua statura – facendolo quasi morire soffocato.
« Ok, ok. Ti amo anche io ma così mi uccidi! »  rise lui abbracciandola di riflesso. 
Chelsea ed Eloyn passarono il resto della serata a parlare di tutto ciò che non si erano dette e di tutto ciò a cui non avevano fatto caso l'una dell'altra. Riscoprirono quell'amicizia andata trascurando e capirono che niente le avrebbe mai divise. 

***

Brian stava arpeggiando i nuovi accordi che aveva pensato per la canzone  “God Hates Us” aspettando che gli altri arrivassero. 
Doveva davvero farglieli sentire, sarebbero stato un intro perfetto – pensava.
Era a casa di Matt e lui non c'era; gli aveva aperto la porta Val, che per lui era come una seconda mamma, ormai. Era un po' la madre di tutto il gruppo. E quella casa, in quei giorni, era diventata anche un po' la sua. 
« Vuoi qualcosa da bere? », aveva fatto irruzione lei, nella sala incisioni. 
« Una birra, volentieri » 
« Ma sono le dieci di mattina! » 
Lo sguardo eloquente che Brian le aveva lanciato le aveva fatto intuire subito quale sarebbe stata la sua risposta. 
« Ok, te la porto. » 
« Grazie Val, sei un angelo », le aveva urlato dietro mentre Val si allontanava dal corridoio. 
Dopo cinque minuti Matt si presentò con due birre in mano. 
« Una a te » e gli porse una bottiglia « e una a me, anche se Val ha minacciato di lasciarmi » ridacchiò.
« Allora Haner, cos'hai per me? » 
Brian appoggiò la birra sul tavolo e ricominciò a prestare attenzione alla sua chitarra.
« Ho pensato ad un arpeggio per God Hates Us, lo potremmo mettere all'inizio.. » disse mentre iniziava a suonare. 
« Sì, mi piace! Magari lo mettiamo anche alla fine a sfumare » 
« Si potrebbe fare » 
Nel frattempo li avevano raggiunti anche Jimmy e Johnny.
« E Zacky? » 
« Con Eloyn, ci raggiunge più tardi » rispose Jimmy. 
« Dobbiamo finire la base dell'ultima canzone, altrimenti Larry ci uccide, o peggio.. » sentenziò Johnny. 
« Quando abbiamo l'ultimo incontro? » chiese Matt con in mano la sua chitarra. 
« Fra tre giorni » 
« Quel che è certo è che non gli porteremo anche il testo, non ci riuscirei neanche volendo » disse Matt.
« Non credo che farà storie per il testo, le sue parole sono state “voglio la musica finita!” » lo imitò Jimmy « non ha parlato di testi » 
« Comunque mi ci impegnerò nei prossimi giorni » concluse Matt.
Per tutta la mattina Jimmy fu velato da una patina di tristezza, cosa che era trasparita anche in ciò che aveva scritto; aveva deciso che la nuova canzone si sarebbe chiamata “Tonight The World Dies” e ne erano rimasti tutti un po' sorpresi. 
Zacky no, aveva osservato quella scena con estremo silenzio ed era rimasto sorpreso da come tutti facessero finta di non vedere. Come era sempre stato, d'altronde.
Jimmy era entrato nel tunnel della depressione qualche anno prima, per problemi che probabilmente conosceva solo il suo analista. Qualcosa che aveva a che fare con la sua esistenza, avevano supposto gli altri. Per questo non era la prima volta che entrava in studio con una faccia simile a quella. Ma atterra come quel giorno Zacky non ce lo aveva davvero mai visto. 

Certo era che dover lavorare anche il giorno di natale era una cosa un po' fastidiosa. Fortunatamente si trattava solo di due orette al pomeriggio e niente più.
Jimmy aveva avuto la classica “illuminazione” pre-CD. 
Tutte le volte, infatti, aveva una di quelle idee-lampo assolutamente geniali. 
« L'ho finita » aveva dichiarato quel pomeriggio. Era da qualche tempo che si vociferava di questa presunta canzone, ma Jimmy non aveva voluto svelare niente a nessuno. 
« In quanto tempo? »
« Una notte insonne, e ci sono poche e semplici parti di batteria così non mi dovrò affaticare ancora » aveva ridacchiato amaramente. Anche lui sapeva che non c'era niente di felice in quella dichiarazione. 
Iniziò a suonare e, dopo i primi accordi, Matt lo fermò dicendogli che andava bene e che l'avrebbero registrata subito per guadagnare tempo; avrebbero passato un natale alternativo. 
La sala di registrazione a casa di Matt era stata tempestata di decorazioni natalizie ed era pronta per essere usata. Probabilmente c'era lo zampino delle gemelle DiBenedetto in tutto quello sfarzo, e il solo pensiero faceva chiudere lo stomaco a Brian. 
Le mancava Michelle come l'aria che aveva sempre respirato, in tutto quel tempo. Ancora non si rivolgevano la parola e Brian non sapeva davvero più dove sbattere la testa. Infatti c'era amore nell'aria, fatta eccezione per loro due, Michelle e Brian, ognuno ad un capo opposto della stanza che si parlavano solo per chiedersi l'ora. Stavano male entrambi, era evidente. 
La canzone di Jimmy era malinconica e triste e la registrarono subito dopo aver preparato i demo delle parti di batteria, tanto per svalicare quello che era diventato un ostacolo insormontabile per Jimmy.  
Ora Jimmy era pronto al pianoforte per iniziare a suonare e accanto a lui c'era Matt seduto su uno sgabello che lo guardava sorridendo. Davanti a loro degli spartiti e un microfono. A dividerli dagli altri il solito vetro freddo. 
Iniziò a suonare al pianoforte i primi accordi gioendo quando la batteria che aveva registrato gli inondò le orecchie, scaturita dalle cuffie che aveva in testa.
« Now I think I understand, 
how this world can overcome a man » iniziò Jimmy accompagnandosi con il pianoforte. 
Era quell'amaro in fondo che faceva pensare a Jimmy, Chelsea l'aveva capito, e forse era per quello che gli voleva così bene. Era una sua caratteristica.
« Like a friend we saw it through,
in the end I gave my life for you. » 
E ancora quel pianoforte che lacerava i cuori di chi lo ascoltava.
« Gave you all I had to give,
found a place for me to rest my head.
While I may be hard to find,
heard there's peace just on the other side. » 
Valary guardò suo marito e anche lei capì perché lo amava. Quando si dice “il potere della musica”. 
Aveva una felpa nera con il cappuccio che faceva venire voglia di abbracciarlo e in testa il cappellino nero di Brian, quello con i teschi. Era così tenero e poco consono alle parole di quella canzone, eppure così affascinante, come se quelle stesse parole fossero state scritte apposta per lui. 
Matt e Jimmy avevano una sintonia magica che li legava. Si volevano bene, come agli inizi, erano cresciuti insieme. E questa cosa degli Avenged Sevenfold era solo un dettaglio nella loro vita insieme. Perché loro erano ugualmente, nonostante tutto quello.
« I hope it's worth it, here on the higway, yeah.
I know you'll find your own way when I'm not with you... » cantò Jimmy guardando Matt negli occhi, come se volesse dirgli che quelle parole erano per lui, in onore di quello che erano stati fino a quel momento, in onore di quell'amicizia che li aveva tenuti uniti nonostante il successo, nonostante i soldi o qualsiasi altro ostacolo.
« So tell everybody, the ones who walked beside me, yeah.
I hope you'll find your own way when I'm not with you, tonight. » 
« I hope it's worth it, what's left behind me, yeah. 
I know you'll find you own way when I'm not with you.
So tell everybody, the ones who walked beside me, yeah.
I know you'll find your own way when I'm not with you, tonight.. » 
Tutti li guardavano esterrefatti, come se quella canzone li avesse messi a nudo davanti al mondo. Carne viva sul fuoco ed emozioni senza veli. C'era dell'essenziale in tutto quello, che poteva essere colto al meglio solo da chi l'aveva vissuto da vicino. 
Ma era triste, in una maniera che poteva essere capita solo da un occhio attento come quello di Zacky, che si era accorto di tutto da un po' di tempo, ormai. 
Quella canzone era triste nel modo che solo Jimmy era stato capace di concepire, in tutti quegli anni che facevano canzone deprimenti. 
Qualcosa era cambiato in quei giorni, Zacky ne era certo, ma decise di vedere se le cose sarebbero cambiate prima di agire. Sarebbe stato meglio per tutti.

Note. And soooo, stiamo arrivando agli sgoccioli... o quasi. Mancano all'incirca sei capitoli a meno che io non decida di perdermi in quell'atmosfera tanto carina che si crea alla fine di una storia e decida di dilungarmi nell'epilogo con qualche Slice of Life (Cosa che accadrà, molto probabilmente). 
Aggiornamenti recenti:
- Ho scoperto di amare alla follia il CD Waking The Fallen. Non che prima non mi piacesse ma adesso è proprio uno dei miei preferiti.
- Mi sono innamorata di Brompton Cocktail. Strano, eh? Fatto sta che è la mia fissa, attualmente.
Ora i ringraziamenti:
Grazie a Buried e KikiSuicide che non so con qualche forza di spirito hanno deciso di seguirmi. Grazie davvero per i consigli, e i complimenti. <3 
Un grazie va anche a BBBlondie semplicemente perché mi sopporta. Anche se non recensisci, ti capisco.. sei un ghiro. XD
Grazie anche e soprattutto a chi deciderà di recensire e far felice questa povera donna in crisi. No, seriamente, ve lo dico sempre, anche se mi insultaste sarei felice lo stesso. *^*
Baci, Silvia. :*

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Capitolo 15
*** 14 - Danger Line ***


© Amor Vincit Omnia.

Scusate per il ritardo ma l'Inghilterra ha avuto la meglio sulla mia voglia di scrivere. Buona lettura e ci vediamo a fondo pagina.



So think of the times,

the days we spent laughing away..

« Adesso o più tardi, dovrai dirgli tutto. Non puoi continuare a far finta di niente e rischiare di farti venire un colpo ogni volta che lui si presenta da te dicendoti che deve parlarti »
Stava vivendo in agguato ad aspettare il colpo del nemico. Ogni santo giorno pregava un qualsiasi Dio che lui non sapesse ancora niente, e quando lui le si presentava con lo sguardo ancora felice e rilassato di chi è ignaro di tutto, allora si riprometteva che prima o poi glie lo avrebbe detto, perché alla fine era un peso troppo grande da dover sopportare troppo a lungo.
Ora le parole di Eloyn le rimbombavano in testa mentre pensava se fosse giusto o no finirla così, quella favola che l'aveva presa e portata in alto per la prima volta nella sua vita. Era giusto che dopo tutto quel tempo finalmente avesse trovato un posto nel mondo e che proprio per colpa sua fosse costretta a rinunciare?
L'aria in quella anonima macchina ferma sul ciglio della strada cominciava a farsi pesante e ad ogni respiro il suo corpo immetteva ed emetteva umidità. Tolse le mani dal volante e abbassò il finestrino per far circolare un po' d'aria, respirò a pieni polmoni. Aveva come una sorta di dolore all'altezza dello stomaco, qualcosa di forte che la faceva muovere in modo strano e nervoso.
L'orologio elettronico della macchina segnava le sei e un quarto, era in quella gabbia da circa un quarto d'ora, poteva anche bastare come tempo di riflessione e la sua meta era ferma a qualche passo da li. Eppure le sembrava tutto così strano. Sapeva bene cosa sarebbe successo se solo avesse avuto il coraggio di confessargli tutto, sapeva che la loro relazione sarebbe arrivata al capolinea, la sua negatività cronica glie lo accertava. Ma sapeva anche che se non fosse stata lei a farlo, glie lo avrebbe detto qualcun altro, e allora avrebbe fatto meglio a cambiare paese pur di non sentire i suoi silenzi. L'unica cosa certa in quel momento era la paura che Chelsea aveva dei silenzi di Jimmy. Perché ogni cosa che lui compiva era sempre amplificata solo per il fatto che era lui a farla. E se una sua risata era capace di scioglierti il cuore, un suo silenzio sarebbe bastato a sconfiggerti, annientarti completamente.
Poi in certe situazioni arriva il momento di non-lucidità e allora dai il via a quella catena di movimenti inarrestabili che porteranno ad una inevitabile e disastrosa fine, ma che avvengono, l'uno concatenato al successivo, con una naturalezza forse eccessiva. Come era naturale in quel momento scendere dall'auto e dirigersi velocemente verso la porta di casa di Jimmy e suonare al campanello. Poi ad un tratto si ritrovò lì ad aspettare che qualcuno le aprisse. E come ci era arrivata? Come in un trip mentale, come quando ti ubriachi, il tragitto dall'auto al portone era per lei un buco nero. Non ricordava bene con quale forza era arrivata fin lì, ma l'importante era che alla fine, volente o nolente c'era arrivata.
Jimmy le aprì la porta e Chelsea volle davvero morire lì. Lo guardò negli occhi come se fosse la sua ultima volta. E doveva essere davvero scossa perché Jimmy se ne era accorto, dal suo sguardo.
« Chelsea, che hai? », le chiese con il tono di voce più preoccupato che Chelsea gli aveva mai visto addosso.
« Ehm.. Jimmy », cominciò, quasi ridendo di quello che aveva da dirgli, come per sdrammatizzare. « Io... devo parlarti. E' importante. »
Stava tremando come una foglia secca.
« Ok, ok. Però.. santo cielo Chelsea calmati.. vieni, entra.. »
Le fece spazio per entrare le strinse le spalle nelle sue forti e grandi mani. Vedeva la preoccupazione del suo volto per qualcosa che pensava non lo riguardasse direttamente. Invece si sbagliava. La condusse in cucina e la fece sedere su una sedia.
« Ti faccio un tè? Anzi, sarebbe meglio una camomilla.. » fece lui, tranquillo.
« No, no! Niente, grazie.. », si alzo lei di scatto.
Improvvisamente, ogni gesto che lui compiva nei suoi confronti le sembrava immeritato.
« Ho bisogno di dirti una cosa, seriamente. »
« Ok, sentiamo.. » rispose lui quasi per rassicurarla e sedendosi accanto a lei.
Chelsea si rimise seduta e lo guardò negli occhi, sentiva già le lacrime pungerle dietro agli occhi e un groppo salirle alla gola.
« Io.. Jimmy, c'è qualcosa che non sai e che ti riguarda abbastanza da vicino.. » iniziò. Lui la guardava, impassibile. « Ho baciato Brian. »
In quel preciso istante il tempo sembrò congelarsi. Anche Jimmy davanti a lei non sembrava più vivo, e nemmeno lei stessa, il suo cuore.
Jimmy la guardò, neanche tanto sconcertato, come se in un certo senso se lo aspettasse. Stette un po' così, a contemplare il suo volto teso, le rughe che le si erano formate sulla fronte e poi riuscì a parlare.
« Oh, b-bhe.. », balbettò. « Questo cambia le cose.. E tu... Tu lo ami? » chiese lui paralizzato.
Chelsea si accorse di non aver dato nessun tipo di giustificazione: le deduzioni di Jimmy potevano essere più che fondate.
« No, no, no, assolutamente no! Jimmy, ho fatto un cazzata enorme e me ne sono pentita.. Michelle e Brian si solo lasciati per questo e mi sento una vera merda ma, credimi.. io.. »
« Forse sarebbe meglio che smettessimo di vederci anche noi. » la interruppe lui, secco.
Era proprio quello che temeva e che sapeva sarebbe successo. Si era preparata per quell'ultimo, straziante colpo. Doveva esserlo, se non altro. E invece no: lo fissò negli occhi per interminabili secondi e lui fece lo stesso, con gli occhi lucidi pieni d delusione. Lo fissò chiedendosi il perché di quella storia finché non sentì un a lacrima solcarle una guancia e scivolarle lungo la bocca semi aperta. Sentì quel sapore salato della sconfitta: il suo mondo era appena crollato.
Chelsea si alzo lentamente in piedi e tirò su col naso mentre con la mano si asciugava la lacrima. Ma non fece in tempo a scacciarla via che un'altra, più grande, le stava già scivolando via sull'altra guancia, stavolta più vicina al naso.
Si allontanò a passi lenti dalla stanza e si diresse verso la porta. Aveva la mano sulla maniglia quando la voce di Jimmy le scaldò ancora un volta il cuore facendola quasi sussultare.
« Chelsea, torna qui. Ho solo detto “forse”.. »
In realtà, quando aveva visto il volto di Chelsea soffermarsi su di lui come fosse stata l'ultima volta, ci aveva completamente ripensato. Per quanto potesse esser stata stupida, lui la amava e non poteva vivere senza. Con Brian avrebbe fatto i conti in separata sede.
Si alzò dalla sedia e andò incontro a Chelsea che dalla porta di era voltata e lo osserva con il volto rigato di lacrime. Le si avvicinò e lei fece lo stesso, ma inaspettatamente Chelsea allungò il passo e lo abbracciò, come a volersi sostenere a quell'unico appiglio che le era stato concesso. Anche ora, come se fosse l'ultima volta.
Lui non poté  far altro che abbracciarla di rimando e tranquillizzarla. Ormai la sua decisione l'aveva presa e per adesso non si sarebbe allontanato da lei. Non avrebbe potuto, neanche volendo.
« Chelsea, io non voglio lasciarti.. ma prova a capirmi, sono deluso... mi chiedo solo perché lo hai fatto. »
« Non lo so! » esclamò prima di iniziare a singhiozzare come una bambina.
Era arrivata al punto di stare per perdere la sua unica ragione di vita in quella città. Si era vista messa a nudo difronte al mondo e, anche se per un attimo solo, l'idea di tornarsene a Washington le aveva sfiorato la mente. Era normale reagire così.
« OK, ok. La supereremo, va bene? Insieme, come sempre.. » la rassicurò Jimmy, e le diede un delicato bacio tra i capelli.

Improvvisamente, dopo quella confessione improvvisa, gli era tutto più chiaro. Michelle e Brian chiusi nelle rispettive case da più di qualche giorno, la litigata tra Chelsea ed Eloyn e anche gli strani comportamenti di tutti. Tutto era chiaro, e più che mai lo erano anche i suoi sentimenti.
Ora però era arrivato il momento di scontare la pena, non tanto per Chelsea – che aveva visto il proprio mondo sgretolarsi e ricostruirsi in meno di venti secondi – e in quel lasso di tempo Jimmy aveva potuto constatare che lo amava davvero – quanto per Brian. Non usciva di casa di una settimana, era sicuro che lo avrebbe trovato lì.
Quando bussò alla porta sentì quasi la rabbia scivolargli fino alle nocche e ricadere violenta sui battiti sul legno freddo e aumentò – per un motivo non precisato – quando vide Brian in condizioni davvero pietose che lo osservava quasi impaurito da dietro la soglia di casa.
« Che c'è? » chiese Brian all'amico.
« Non pensi dovremmo parlare? »
« Ti ha detto tutto, perfetto.. » rispose Brian sconsolato, alzando le braccia per farle poi ricadere stancamente di nuovo sui fianchi.
« Sì, direi di sì e.. »
« Senti, non mi sto lamentando. E' giusto così. Dai, entra.. ». Volse lo sguardo verso l'interno della casa invitandolo ad entrare. Jimmy lo fece, varco la soglia di casa di Brian e lo vide stranamente calmo, come se non avesse più niente da perdere.
« Non vengo in pace, Haner. » statuì Jimmy in tono pacato.
Brian si voltò e lo guardò profondamente negli occhi.
« Lo so, Jimmy. »
Continuarono a camminare fino a raggiungere la camera da letto di Brian. Quando Jimmy entrò rimase scioccato dalla visione che gli si prospettava. La camera era in subbuglio: c'erano bottiglie di alcolici ovunque, piatti sporchi con gli avanzi di pranzi e cene posticci e panni sporchi appoggiati qua e là sui mobili.
« Questa è la mia vita da neo single, amico. » annunciò Brian con tono decisamente molto amaro.
« Ognuno a ciò che si merita » replicò l'altro, fermo sulla soglia della porta.
Brian sembrò pensarci su prima di incassare il colpo.
« Te lo concedo, Sullivan. »
Ci fu qualche attimo di silenzio, qualcuno di troppo.
« Adesso, hai intenzione di spiegarmi cosa ti è passato in testa oppure continuiamo a far finta di niente? »
« Vi siete lasciati? »
« Rispondi. »
Brian stette in silenzio, poi disse: « Se l'hai lasciata sei un idiota.. »
« Non c'è bisogno che tu me lo dica. E comunque no, non l'ho asciata. Stiamo ancora insieme, abbiamo chiarito. Ma in tutto questo lei non c'entra un cazzo. Qui si parla di me e di te... Sei un grandissimo stronzo, Haner. »
« Io, Jimmy senti. Chelsea è bella, ha un corpo da favola.. » ma si accorse che la sua premessa stava facendo arrossare Jimmy più del dovuto. « ..insomma, lo sai quanto io sia attratto dalle belle donne.. »
« Mi hai tradito, Brian. Siamo amici da quando eravamo ancora tutti vergini, per Dio. E tu mi hai tradito come se tutti questi anni non abbiano significato niente per te! » gli urlò contro, Jimmy, sfogando tutto il rammarico che aveva dentro. Ancora stentava a crederci, si sentiva quasi stanco, come se tutto quel tempo passato assieme gli fosse stato risucchiato via.
« Credi che avrei scelto lei invece che te? Me ne sono pentito nel momento stesso in cui è successo e poi mi sembra che la stia scontando anche io la mia pena, no? »
« Mi hai deluso, Brian. »
« Non ti chiedo di capirmi, solo di perdonarmi. »
Jimmy scosse il capo e lo guardò mettersi seduto sul letto e prendersi la testa tra le mani.
« Mi vedi? Vedi come mi sono ridotto per quella cazzata? Credi che non mi sia pentito? Ho perso la persona più importante della mia vita. L'avrei sposata se non fosse successo niente, cazzo. L'avrei anche sposata! »
Brian aveva gli occhi lucidi e stava perdendo il controllo.
« Non lo so, Brian. Non riesco più a fidarmi di te. »
« Riuscirai mai a farlo? »
« Forse sì.. »
« Sei mio fratello.. Jimmy » gli disse guardandolo intensamente negli occhi ancora una volta. Una piccola lacrima gli scese lungo il viso, accanto al naso e Jimmysi ritrovò a pensare a quante volte l'aveva visto piangere per qualcosa: veramente poche.
« Non puoi abbandonarmi.. non adesso » aveva poi continuato, Brian, senza togliere le sguardo dagli occhi di Jimmy.
Jimmy sospirò e si guardò intorno. Glie lo dicevano sempre che era troppo buono. Ma davvero non ci riusciva a lasciarlo nei casini.
« Ok, facciamo finta che non sia successo niente. Mi basta sapere che te ne sei pentito. »
« Non immagini quanto » rispose Brian alzandosi e andando ad abbracciare l'amico.
Forse in certi casi l'amicizia era più forte di qualsiasi altra cosa.

***

Silvie era riuscita ad integrarsi bene ed in fretta nel gruppo. Non le costava molto: era sempre stata un persona estremamente socievole. Eloyn poteva ancora ben ricordare le mattinate al parco con i suoi; di solito Silvie si metteva lì e giocava con gli altri in modo naturale ed Eloyn era sempre con lei, ma in disparte che la osservava ammaliata da ogni suo gesto.
La rapidità con cui Silvie faceva conoscenza era sempre stata una cosa che Eloyn le aveva invidiato, pensava mentre camminava lentamente tenendo il passo con gli altri. Si strinse ancora un po' nel suo cardigan quando un lieve brezza le scompigliò i capelli. La spiaggia di notte era uno dei posti che preferiva di Huntington Beach. Le infondeva pace, si sentiva bene quando i suoi piedi nudi sfioravano la sabbia ad ogni passo.
« El, hai idea di quando verrà Zacky? » le chiese Johnny facendola sentire come un pesce in una palla di vetro: isolata dagli altri e immersa nei suoi mille pensieri.
Eloyn si voltò e vide Johnny, Silvie e Matt guardarla, poi rispose: « E' a casa, faceva la doccia e arrivava ».
« Oh, sì. Me lo ha detto anche Val, la passava a prendere dopo aver fatto la doccia » confermò Matt.
Continuarono a camminare fino ad un ammasso di scogli situati proprio sulla riva del mare. Eloyn si fermò un attimo di più davanti a quell'enorme opera d'arte e sentì Silvie dichiarare: « Li aspetteremo qui ».
« Voi credete che questi scogli siano naturali? »
« Credo proprio di sì, cara Eloyn. Pazzesco, no? » le aveva risposto Johnny, fiero di vivere in quel posto magico.
Gli scogli formavano delle piccole grotte e dei piccoli balconi dove era possibile sedersi. Eloyn non aveva mai visto niente di simile. Il lieve bagliore della luna piena evidenziava i profili marroni e spigolosi di quella babele di anfratti bui.
Si sedettero ognuno in un angolo diverso, abbastanza vicini da poter parlare tranquillamente.
Eloyn prese la sua borsa e se la appoggiò sulle gambe incrociate, cercandovi dentro il pacchetto di Marlboro che aveva comprato prima. Quando lo ebbe trovato, lo aprì e si mise una sigaretta tra le labbra in cerca dell'accendino.
Il cellulare le squillò un attimo dopo che lo ebbe preso in mano per farsi spazio in borsa e ne approfittò per rispondere.
« Chelsea, ci raggiungi? »  chiese direttamente dopo aver premuto il pulsante verde.
« Alla scogliera, no? »
« Sì, siamo qui. »
« Arrivo con Jimmy fra poco. »
Intano altre due sagome indefinite si stavno avvicinando alla scogliera. Eloyn chiuse il cellulare e sgranò gli occhi; quando furono abbastanza vicine poté distinguere chiaramente i volti di Zacky e Val.
Lo fissò intensamente quando prese posto accanto a lei.
« Che c'è? » le chiese lui.
« Niente », e distolse lo sguardo. « Pensavo.. »
« A che pensavi? », chiese Zacky appoggiando la schiena al muro e invitandola a sedersi tra le sue gambe e trascinandola a sé per i fianchi.
« Pensavo a quanto ti amo ». Veramente Eloyn se ne accorse solo dopo della naturalezza con la quale aveva pronunciato quella frase, tanto che Zacky rimase dapprima interdetto, poi la strinse a sé e le diede un bacio sul confine tra il collo e la guancia. Rimasero stretti in quel modo ancora un po', comodi l'uno sull'altro come due pezzi di un puzzle che si completano a vicenda.

L'orizzonte era tempestato da mille colori diversi e il primo spicchio di sole saliva dal confine con il mare e si rifletteva sull'acqua tremolante. Con gli occhi infastiditi dai primi raggi di luce, Zacky diede l'ennesimo tiro alla sua sigaretta e appoggiò accanto a sé l'ultima bottiglia di birra vuota. Sentì i suoi occhi rilassarsi per quella frazione di secondo in cui guardò lo scoglio su cui era seduto mentre appoggiava la birra e contrarsi subito dopo quando rialzò lo sguardo. Passò gli occhi sopra al sole ancora una volta e si voltò verso Jimmy.
« Sai che c'è? Che l'alba è sempre stato il momento più bello della giornata.. » disse Jimmy.
Lo aveva quasi preso alla sprovvista quando aveva iniziato quel discorso. Un momento erano lì che parlavano di marche di birra artigianale e musica e l'attimo dopo lui se ne veniva fuori con affermazioni come quella. Non che ci fosse niente di strano, era solo un contrasto troppo accentuato, suonava quasi male.
« A me l'alba non è mai piaciuta, invece.. » aveva risposto Zacky meno convinto, cercando di dargli meno importanza di quanta Jimmy fosse riuscito a fare.
« Non so perché, c'è qualcosa in questa luce che mi fa sentire a casa.. i primi raggi di sole. E' come quando sei in casa e vieni abbagliato da un raggio trasverso, tanto che rimani cieco per qualche secondo buono.. solo che l'alba è un fastidio tenue e continuo, quasi straziante.. »
Zacky sembrò pensarci su ancora un po' prima di rispondere.
« Certo che tu sei strano. Eh, Jimmy? »
Jimmy lo guardò torvo di rimando.
« Però in un certo senso capisco cosa intendi dire.. » continuò Zacky, improvvisamente conscio delle parole dell'amico.
Jimmy spostò di nuovo lo sguardo verso l'orizzonte canticchiando le prime parole di Nightmare e poi disse: « Questa roba sconvolgerà il mondo »
« Lo dici ogni giorno e spero davvero che sia così »
« Io ne sono convinto » affermò fissandolo dritto negli occhi.
Zacky annuì cercando di convincersene anche lui.
« Chelsea ha baciato Brian.. » iniziò a raccontare Jimmy. Cambiò direzione quando si accorse dello sguardo di scuse negli occhi dell'amico. « ..ma questo tu già lo sapevi ».
« Credimi, te lo avrei detto se non avesse deciso di farlo lei stessa.. »
« Ti credo, dai. Mi chiedo solo cosa sia successo.. intendo dire, cosa mi è sfuggito? Ho sbagliato qualcosa? »
« A volte le persone hanno bisogno di rischiare di perdere ciò che hanno per rendersi conto di quanto importanti queste cose siano.. il problema si pone quando ti spingi troppo oltre e certe cose le perdi davvero.. »
« Io non la lascerò mai, Zacky. Non so davvero cosa sarei senza di lei. Già è tutto difficile, adesso, con questa faccenda del cuore e il CD e tutto il resto.. Dovete ringraziare lei se sto provando ad andare avanti nonostante tutto.. »
« Provvederemo in separata sede.. » ridacchiò Zacky. « Parlando di cose serie, non farti condizionare troppo dal CD. La salute è più importante di tutto il resto in certi casi.. Non fare cazzate.. »
« Non farò cazzate, ma non potete negarmi la mia batteria. Morirei senza poterla suonare.. »
« Ti chiediamo solo di allentare il tiro.. »
« “Allentare il tiro”. Quante volte l'ho sentita questa frase in questi giorni.. »
« Lo facciamo per te, Jimmy.. »
« E io ti dico, come sempre, che non raggiungerò i trent'anni, ma prima di raggiungere quella soglia voglio cambiare il mondo, Zacky, con la mia batteria.. »
« Fai come credi, ti staremo accanto in ogni caso, e questo lo sai già »
Jimmy gli rispose con due pacche sulla spalla, poi si voltò e dietro di lui vide che gli altri cominciavano lentamente a svegliarsi. Avevano passato la nottata lì senza neanche rendersene conto.
« Ragazzi, bisogna fare un brindisi! » urlò Jimmy alzandosi per aprire l'ennesimo cartone di birra. Così facendo svegliò chi ancora dormiva. Diede una birra stappata a testa e nel frattempo lo aveva raggiunto anche Zacky.
« A Nightmare, che cambierà il mondo e anche la nostra vita! » disse alzando la sua birra verso quelle degli altri.

Erano ormai e sette di mattina quando decisero di tornare a casa. Avrebbero passato la giornata ognuno chiuso in casa a dormire, probabilmente. Erano tutti molto stanchi.
« Ehi, hai bisogno di un passaggio? »
Silvie sentì che Johnny le si era avvicinato solo perché le aveva parlato; quasi le prese un colpo.
« Ah, Johnny, sei tu. Sì, magari. », sorrise.
Nessuno sembrava essersi accorto dell'intesa che era nata tra i due durante la notte. La notizia della rottura del fidanzamento tra Johnny e Lacey era arrivata alle orecchie di Silvie come una speranza molto viva. E solo in quel momento aveva cominciato a vedere Johnny come qualcosa di più che un semplice amico.
Dopo aver salutato gli altri Johnny e Silvie si diressero in macchina. A quanto pareva avrebbe passato la nottata da sola. Chelsea andava a dormire da Michelle insieme a Val per cercare di tirarla su di morale ed Eloyn se ne sarebbe andata a casa di Zacky.
Johnny non poté non vedere in quella situazione l'occasione perfetta per stare da solo con Silvie.
« Sto morendo dal sonno.. » esclamò Johnny non appena furono davanti alla porta di casa di Silvie.
« Sono sola, le altre sono tutte sparse per la città, che ne dici di farmi un po' compagnia? Così finiamo per discorso sugli zombie di Call of Duty di cui parlavamo prima.. »
« Con piacere.. »
Entrarono in casa lasciandosi alle spalle una ancora dormiente Huntington Beach immersa nei dolci colori dell'alba.

I never meant to leave this world alone,
I never meant to hurt the ones who care,
And all this time I thought we'd just grow old,
You know, no one said it's fair..

***
Note: Be' Londra era bellissima, lasciatevelo dire. A parte questo credo che questo capitolo mi sia venuto bene - cosa strana dato che di solito mi fanno tutti schifo -, ma sentitevi comunque in diritto di insultarmi se non vi piace. Credo che ormai abbiate capito tutti a che punto della storia siamo arrivati. Se non lo avete capito, avete qualche problema serio. No, scherzo, semmai lo capirete nel prossimo capitolo. Alla prossima, baci.

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Capitolo 16
*** 15 - He was a shooting star... ***


© Amor Vincit Omnia

Avvertimenti. Secondo me, questo è il capitolo più importante di tutta la storia. Buona lettura, ci vediamo a fondo pagina.

Il telefono squillò fastidioso interrompendo il flusso di note emanato dalla chitarra che aveva in mano e per una frazione di secondo Zacky maledisse se stesso per non aver spento il cellulare. 
In quei giorni ne erano successe davvero tutti i colori e si era fatto trascinare forse un po' troppo dalle paure paranoiche di Eloyn, ma era più forte di lui: quando lei chiamava, lui rispondeva, era come un riflesso involontario, un organismo che va avanti da sé senza bisogno di alcuno stimolo esterno; nonostante questo, il loro rapporto non era mai stato uno di quegli stereotipi in cui l'uomo assume una forma molto simile a quella di uno zerbino, era qualcosa di più profondo e reciproco, come una simbiosi particolare che però gli aveva procurato una buona dose di stress sulle spalle.  Suonare, in quei casi, era la parte migliore. Perché per un musicista – Zacky ne era sempre stato convinto – sopportare certe situazioni diventava molto più facile. Non tutti avevano qualcosa di sicuro su cui contare, non sicuro come un rapporto umano, molto più fragile e complesso, ma sicuro come una chitarra, un pezzo di legno e cinque corde tese su cui riversare emozioni e paure, ansie e stress, un amico fedele su cui sai che portai contare sempre, a prescindere da tutto.
Smise di suonare malgrado non avesse voglia di farlo e raccolse il cellulare dal comodino. Rimase un po' stupito quando vide il nome di Val sul display, non succedeva tutti i giorni che lei lo chiamasse, o che chiamasse qualcuno della band in generale. Ormai faceva da tempo parte di quella famiglia, ma per qualche motivo si era sempre tenuta alla larga da qualsiasi tipo di rapporto interpersonale che non avesse coinvolto anche Matt in prima persona, nei confronti di tutto i resto del gruppo. Erano amici come non mai, lei li aveva sempre aiutati, economicamente e non, era per tutti come una sorella, ma c'era sempre quel qualcosa che non gli permetteva di andare oltre a ciò che tutti potevano vedere. Quindi erano amici, ma era sempre stato un volersi bene filtrato dai pensieri di Matt. Solo Jimmy era riuscito ad abbattere quel muro e a stabilire un'amicizia vera con Val, forse per il suo modo di fare schietto e sfacciato, o forse per la sua naturale simpatia, fatto sta che i due avevano finito per diventare migliori amici e lo erano ormai da qualche anno, mentre con gli altri la situazione rimaneva immutata. 
Quando premette il tasto verde e avvicinò svogliatamente il cellulare all'orecchio gli ci volle qualche secondo per accorgersi che la ragazza dall'altra parte della cornetta stava piangendo. 
Sentirla piangere è una cosa così strana. Aveva pensato, invece di chiedersi quale fosse il motivo delle sue lacrime; si sentì stupido prima di chiedere spiegazioni.
« Val? Che succede? »
Quel che sentì uscire in risposta da quella cornetta fu una sola parola soffocata e sussurrata, un solo nome: « Jimmy.. »
« Jimmy cosa?  Val, dimmi cosa è successo. »
Zacky era confuso, aveva la stessa sensazione che provava quando nei sogni urlava e urlava contro qualcuno ma questo qualcuno non riusciva a sentirlo, come se lui stesso fosse in una campana di vetro. Non gli era mai piaciuta quella sensazione, perché nella sua vita non aveva mai sopportato sentirsi impotente nei confronti di qualcuno o di qualcosa. Ora non riusciva a pensare a niente di razionale, niente che potesse giustificare quel comportamento. In qualche modo, l'agitazione che Val aveva nella voce aveva fatto angosciare anche Zacky che sentì una fitta allo stomaco, molto simile a quella che si prova quando baci qualcuno per la prima volta, ma molto più forte e decisamente negativa. 
Rimase con il telefono in mano per qualche secondo senza sapere cosa fare, sapeva che se avesse insistito non avrebbe ottenuto nulla di nuovo. Fece un respiro profondo e si disse che si stava preoccupando per niente, o che perlomeno avrebbe dovuto aspettare di sapere cosa fosse successo prima di farsi prendere dallo sconforto.
Poi ad un tratto Val sembrò aver smesso di piangere per una frazione di secondo. 
« Vieni qui, Zacky. Matt sta dando in escandescenze e.. io.. » disse, ma la frase venne troncata a metà e Val ricominciò a piangere senza sosta. 
« Arrivo », aveva risposto Zacky, decidendo di mettere fine a quell'agonia. Avrebbe preso le chiavi dell'auto e sarebbe rimasto calmo, e così fece: riagganciò il telefono e si avviò verso le scale recuperando all'ultimo le chiavi dell'auto sul tavolo accanto alla porta d'ingresso. Sulle scale del vialetto incontrò Eloyn e si ricordò che dovevano vedersi proprio a quell'ora, si sentì un po' meglio ora che c'era qualcuno con lui, sentiva che da solo sarebbe impazzito.
« Dove stai andando? » 
« Da Matt. » 
Zacky aveva il viso corrucciato in un'espressione preoccupata, guardava dritto e apparentemente aveva la testa vuota di troppi pensieri. 
« A fare cosa? » 
« Non lo so, mi ha chiamato Vale stava piangendo... vado a vedere cosa è successo. »
« Vengo con te » disse istintivamente. Si era convinta a seguirlo quando aveva visto le sue mani torturare con agitazione le chiavi che aveva in mano, Eloyn lo conosceva abbastanza da sapere che  Zacky in quello stato da solo non sarebbe andato lontano. Ma forse andò con lui più semplicemente perché quando lo aveva visto così serio e preoccupato si era preoccupata davvero.
Zacky salì in macchina e accese il motore cercando di non dare peso ai suoi pensieri, alle sue viscere che cercavano di dare un  senso a quella telefonata. 
Prese istintivamente il telefono e digitò il numero di Johnny. Pochi squilli e rispose.
« Ciao Johnny. Sai qualcosa di quel-.. »
Si interruppe quando senti che anche lui stava piangendo, e ora le sue viscere avevano fatto una capriola e si erano messe al contrario.
« Zacky.. è successo un gran casino. » gli rispose l'altro, rassegnato.
« Ma mi volete dire che cazzo sta succedendo? » urlò lui nella cornetta.
Il pianto si fece più forte, straziante.
« Zacky! Cazzo! Jimmy è morto! »
Una doccia fredda, quelle parole erano state una doccia fredda, solo che faceva molto più male. Zacky sentì un brivido forte corrergli in faccia, e se non fosse rimasto pietrificato da quella telefonata, sicuramente avrebbe scommesso di essere sbiancato in volto, perché tutto intorno a lui era diventato come nebbioso, anche i suoi pensieri. 
« Zack, che è successo? ». Eppure lei non lo chiamava mai Zack, solo quando si trattava di qualcosa di serio, e di qualcosa di serio doveva trattarsi se Zacky era rimasto di sasso tutto d'un tratto.
« Jimmy è morto. », sussurrò Zacky, non credendo davvero alle sue stesse parole.
Giusto il tempo di riprendere fiato e vide un'auto andargli addosso, poi si accorse di essere nella corsia sbagliata. Sterzò bruscamente all'ultimo minuto portandosi dietro la scia del clacson dell'altra auto. Schiacciò il piede sull'acceleratore.
Eloyn non sapeva cosa voleva dire sentirsi abbandonati da qualcuno a cui vuoi bene, non aveva mai sperimentato la tristezza e l'agonia della perdita di qualcuno di importante. Ora aveva le braccia paralizzate e come un pugno al centro dello stomaco, le veniva da vomitare ma non sapeva perché, non sapeva dargli un senso. 
« Che cazzo vuol dire? »
« Non lo so nemmeno io! » 
In meno di due minuti erano arrivati a casa di Matt e gli aprì la porta una Val sformata dal dolore. E mentre Zacky osservava quella scena straziante, Eloyn era concentrata su ciò che stava succedendo alle spalle di Val. C'era Matt seduto sul divano con la testa tra le mani. Eloyn entrò a piccoli e lenti passi scrutando l'aria attorno a sé, c'era uno spesso strato di tensione che aleggiava a mezz'aria, un silenzio insolito e turbante. Ansia e sfinimento. 
« M-Matt.. » le tremava il labbro inferiore.
Lui alzò la testa, aveva gli occhi iniettati di sangue e le sopracciglia contratte, il viso rosso di chi ha appena litigato con se stesso. Le venne da piangere quando capì che non era uno scherzo, ma cercò di trattenersi, perché cedere adesso avrebbe significato ammettere che era vero, che quel coglione li aveva piantati in asso con le loro merde di vite. E lei da sola non avrebbe mai ammesso che quello schifo non era un incubo ma la realtà. Anzi, un incubo in terra. 
« Jimmy.. » sussurrava tra sé, Matt, con la testa ancora tra le mani. 
Eloyn si voltò e vide Zacky avanzare verso di lei, e non fece molto caso a Val che le sfiorava una spalla con la sua, a testa bassa mentre andava da Matt. Lo fissò negli occhi e vide che cominciava a scuotere la testa a destra e a sinistra. 
« No.. non può essere vero » 
« Zacky, che sta succedendo? » chiese Eloyn con un filo di voce e le lacrime agli occhi. Le sembrava che ogni ogni parola che voleva pronunciare esitasse ad uscire, come se le rimanesse impigliata alle corde vocali, e le faceva quasi male la gola per questo.
« Jimmy è morto.. »
« Val! » la chiamò, Eloyn, con voce un po' più alta.
Val spostò lo sguardo da suo marito ad Eloyn, senza le forze di proferire parola.
« Fammici capire qualcosa... ti prego.. » sussurrò con tono supplichevole mentre la bionda si avvicinava. 
« Non lo so.. ci hanno chiamato.. sta mattina » cominciò tra un singhiozzo e l'altro. « ci hanno detto che hanno.. trovato il suo cadavere in casa sua. Non si sa ancora quale sia stata la causa. ». Si asciugò le lacrime e per un istante sembrò che avesse smesso di piangere. Invece le bastò tornare ad avere la mente libera per un attimo per ricominciare tutto da capo.
Poteva essere vero? No, non poteva.
Eloyn prese una sedia e  si mise seduta con i gomiti sul tavolo. Senza neanche accorgersene era già in lacrime. 
E così aveva ceduto, e in quel momento Jimmy era morto davvero in qualche angolo nel suo cuore.
Tiro fuori un pacchetto di sigarette dalla borsa e se ne accese una, continuo così, a tiri infiniti e dolore al petto. Come a voler soffocare un altro dolore, quello del cuore, quello che in qualche modo c'era anche se non credeva ad una singola parola di quello che gli altri le stavano dicendo.
Che senso avrebbe avuto la loro vita senza quella colla che li teneva uniti? Non riusciva ad immaginare una vita senza Jimmy. Era come suo fratello. Amico. Padre. Tutt'insieme. 
« Credo che.. dovremmo avvertire gli altri » Val si era avvicinata ad Eloyn e si stava mettendo seduta accanto a lei. 
« Dov'è lui? » 
« Ci stanno pensando i suoi genitori per adesso.. lo portano a casa loro per fare i controlli e capire cosa sia stato... a farlo morire così.. » appoggiò le braccia al tavolo e cominciò a singhiozzare come una bambina, il pianto soffocato sotto le maniche della maglia. 
« Io.. devo vederlo » disse ad un tratto Zacky da un angolo della stanza.
Eloyn si alzo e andò da lui. Stava rannicchiato con le gambe al petto e il viso rosso e contratto, gli occhi color sangue. Non aveva mai visto Zacky in quelle condizioni.
Si chinò e gli prese un braccio per alzarlo da lì, per cercare di farlo reagire, dato che con se stessa aveva perso le speranze, o forse sperava che fosse Zacky a farla reagire in qualche, qualsiasi, modo. Era una scena anche un po' patetica: due persone schiacciate dal dolore, compresse nei loro stessi pensieri, l'uno che cerca di smuovere qualcosa nell'altro, che a vederli da fuori lo capivi subito che era una guerra persa in partenza.  
« Vengo con te.. » gli sussurrò una volta che lui fu in piedi. 
Lui annuì e raccolse le chiavi della macchina da terra. 
« Noi rimaniamo qui, sta arrivando Johnny.. » disse Matt asciugandosi le lacrime con il palmo delle mani. 
Zacky e Eloyn uscirono da quella casa in completo silenzio. Entrarono in macchina e ancora nessuno aveva il coraggio di dire niente, forse perché non c'era davvero più niente da dire, come se quella mattina, in quella casa, il mondo intero avesse cessato di esistere.
Eloyn prese il suo cellulare dalla borsa e compose il numero di Chelsea. Mentre teneva il cellulare in una mano, con l'altra prese un altra sigaretta e l'accese.
Pochi squilli e Chelsea rispose. 
« Ehi ciao, Eloyn! »
Quella felicità nella sua voce, era così.. ingiusta. Era ingiusto più che altro doverla avvertire che non sarebbe mai più stato così, ma sentiva di dover essere lei a dirglielo.
« Chelsea.. è successa una cosa.. » 
Evidentemente dall'altro capo del telefono Chelsea aveva sentito il suo tono di voce e i singhiozzi che ogni tanto interrompevano le sue parole. 
« C-cosa? » 
« Jimmy.. lo hanno trovato morto in casa sua, stamattina.. », sentì che le veniva da piangere di nuovo. ma cercò di trattenere le lacrime, stringendo i denti. 
« Come? » era sconcertata. 
« Vai da Val e Matt, io sono con Zacky e stiamo andando a casa sua.. » 
« No.. non può essere vero.. l'ho chiamato ieri, stava bene.. »
« ..mi dispiace » il suo tono di voce si fece acuto sull'ultima sillaba per le lacrime che stavano per scoppiarle in faccia, e in quel momento si sentì come uno di quei poliziotti che annunciano la morte del figlio ai genitori. Bussano alla pota di casa in un giorno qualsiasi, magari anche una bella giornata, e vedono i volti dei genitori cambiare espressione in una frazione di secondo. Un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo.
« Vengo là da Jimmy »
« Ok » 
Chiuse la chiamata senza sentire cosa avrebbe risposto Chelsea dall'altra parte. Raccolse le gambe al petto per nascondere il viso tra di esse e si lasciò andare in silenzio. Ma mentre di solito ad ogni singhiozzo si sentiva meglio, questa volta non era così. Piangeva e si scaricava di tutte le sue forze, ma niente migliorava, niente accennava a tornare come prima. 

« E quindi tu avresti passato la giornata con il nostro caro Seward, eh? » le domandò Brian, malizioso, mentre prendeva delle schifezze dallo scaffale e le buttava malamente nel carrello. 
« Eh già.. sinceramente non me lo sarei mai aspettato.. »
« Cosa? » 
« Johnny, di vederlo come qualcosa di più.. » 
« Nessuno se lo aspetta da lui.. » rispose in tono ironico.
« Cosa intendi dire? » chiese chiarimenti, Silvie, che non aveva ben colto il sottile sarcasmo. 
«Vuol dire che lui è un nano e che nessuna se lo fila, ma quando poi qualcuna gli si avvicina scopre quello che c'è sotto.. non so se mi spiego.. » cercò di chiarire dandole una lieve gomitata maliziosa. 
Improvvisamente Silvie capì a cosa Brian si riferisse e rimase sconcertata. 
Intanto Brian continuò: « A proposito, com'è a letto? », ridendo sotto i baffi. 
Silvie non credeva alle sue orecchie, quell'uomo era l'emblema dei doppi sensi e delle porcherie. 
Prese un pacco di carta igienica da uno scaffale e glie lo tirò dicendo: « Non verrò mai più ad aiutarti a fare spesa, Haner! » 
Brian rise insieme a lei, si accovacciò per raccogliere il pacco di carta e lo mise nel carrello. Intanto il cellulare di Silvie stava squillando e la vide rispondere con il sorriso in bocca.
Ma il suo volto, da gioioso che era, prese d'improvviso una piega cupa e triste. Brian non capiva cosa fosse successo. 
« Stai scherzando.. » la sentì dire al telefono. « No.. non può essere.. o-ok.. », e rimise il telefono in borsa. Era sbiancata.
« Silvie, stai bene? Chi era al telefono? » 
« M-Michelle.. » 
Ad una risposta come quella Brian si sarebbe potuto aspettare davvero di tutto, qualsiasi cosa ma non quella. « Jimmy è morto.. » 
« Dai, Silvie ma che dici! » le rispose lui facendo finta di ironizzare, anche se in realtà faceva fatica a ridere. Le mise le mani sulle spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi. 
« Silvie, non scherzare.. » 
« ...mi dispiace.. » sussurrò lei con le lacrime già agli occhi. « ..ha detto che dobbiamo andare da Matt e Val, che sono tutti lì. » 
« Lui dov'è? » 
« A casa sua.. » rispose ormai in un sussurro quasi impercettibile. Poi più niente, rumori in sottofondo e una mano che la trascinava fuori dal negozio. Forme indistinte e rumori soffocati. Una corsa contro il tempo, come se ci fosse ancora qualcuno da salvare. 

Zacky ed Eloyn erano già arrivati a casa di Jimmy quando Chelsea avvertì Eloyn che li stava raggiungendo. Zacky scese dall'auto sbattendo violentemente la portiera, deciso con tutto se stesso a voler entrare in quella casa che ora sembrava troppo triste. Arrivò all'imbocco del cortile e si fermò di colpo, Eloyn dietro di lui non capiva. 
« Io non ce la faccio. » disse con lo sguardo puntato a terra.
Eloyn gli si parò davanti e gli disse: « Devi.. » 
Zacky aveva lo sguardo completamente vuoto, privo di emozioni o di sentimenti. Eloyn gli si avvicinò, gli prese il viso tra le mani e gli alzò il mento per invitarlo a guardarla. « Zacky, ti prego.. ho bisogno di te, non fare così.. » gli sussurrò con fare nervoso. 
A vederlo in quelle condizioni era andata in panico. Come avrebbe fatto se nemmeno l'unica persona di cui si fidava davvero era più cosciente delle sue azioni? Lo abbracciò incrociando le braccia dietro al suo busto e affondò il viso sul suo collo, sentì che le sue braccia si mossero di un millimetro sopra la sua schiena e accennarono ad un abbraccio debole e che durò poco. Poi sentirono dei rumori provenire della porta di entrata e si voltarono: una squadra medica trasportava una barella fuori dall'edificio e dietro di essa i genitori di Jimmy stavano abbracciati l'un l'altro, il viso della madre fuori di sé, quello del padre impassibile mentre guardavano il proprio figlio abbandonare quella che era stata casa sua per così poco tempo, per l'ultima volta. 
Zacky ed Eloyn si avvicinarono alla barella e videro il volto di Jimmy bianco e freddo. Eloyn chiuse gli occhi mentre Zacky non fece un gesto, ma sotto l'apparenza, una morsa gli si strinse attorno al cuore con una violenza inaudita. Proseguirono verso le scale e si fermarono davanti ai genitori di Jimmy. 
« Come.. come è successo? » chiese Zacky, come se prima di disperarsi fosse necessario chiarire i fatti ed essere sicuri di non poter più tornare indietro. 
Eloyn si era accasciata sulle scale e aveva appoggiato la testa al muro mentre piangere le toglieva il respiro. 
« Non si sa, si pensa ad un infarto ma bisognerà aspettare i referti medici.. », aveva risposto il padre con foce secca e ferma, il volto inespressivo che cambiava solo quando posava gli occhi su sua moglie, accasciata su di lui. 
Zacky annuì e fece per salire le scale, lanciando uno sguardo di richiesta al padre di Jimmy che rispose con un assenzio. 
Zacky salì i gradini a due a due noncurante di Eloyn infondo ad essi, entrò in quella casa consapevole del fatto che sarebbe stata l'ultima volta. Entrò e sembrava quasi che Jimmy fosse ancora lì, tra quegli oggetti, e in un certo senso era vero. 
Andò diretto in camera sua e quando entrò cominciò a girargli la testa. Cercò di ignorare il macello e le bottiglie di alcol lasciate ovunque e il suo sguardo venne catturato da un foglio di carta sulla scrivania. Riconobbe subito la sua calligrafia sconnessa e iniziò a leggere. 
Come sempre erano parole di una canzone e accanto ad esse un pentagramma con una serie di note scritte sopra. Come avrebbe potuto lasciarli se non con l'ennesima canzone?
Improvvisamente tutto si fece un po' più inutile. Né Eloyn né nessun altro sarebbe riuscito a contare qualcosa in quel momento. 
Molte idee gli frullavano in testa, mnemmeno per un solo secondo gli venne in mente che si fosse trattato di suicidio, perché se c'era qualcosa che Jimmy condannava con tutto se stesso era proprio il suicidio, e non lo avrebbe mai fatto. 
Prese il foglio, lo ripiegò e se lo mise in tasca. Poi scese le scale e vide Eloyn ancora lì, ma accanto a lei c'era Chelsea.
« Hanno detto che lo portano a casa dei suoi, io vado là. » gli disse Chelsea quando lo vide scendere le scale. Anche lei aveva gli occhi rossi.
« Anche io.. »
« Vengo con te.. » gli rispose Eloyn, sorpresa del fatto che non avesse parlato al plurale come faceva sempre quando erano insieme. Stava cambiando qualcosa, ma lei non era assolutamente preparata.
Durante il tragitto verso casa dei genitori di Jimmy regnò il silenzio più totale anche se nessuno dei due ci fece troppo caso. Solo quando furono fermi sul vialetto di casa Zacky si decise a sputare il rospo, ma lo fece solo perché non sapeva a chi dirlo. Se ci fosse stato qualcuno del gruppo accanto a lui sarebbe stato sicuramente meglio. Non che Eloyn non fosse importante, solo che in un caso come quello, lei era l'ultima persona che desiderava vedere. Infondo, non era con lei che Zacky sentiva di voler condividere il suo dolore; non solo, perlomeno. 
« Ho trovato questo. » le disse ad un tratto porgendole il foglio di carta ripiegato. Vide Eloyn prenderlo dalle sue mani con aria incerta e rigirarselo tra le dita per qualche secondo. 
« Dove lo hai trovato? » gli chiese Eloyn mentre lo apriva. 
« Sopra alla sua scrivania. » 
Vide Eloyn scorrere velocemente gli occhi sul foglio e ne approfittò per leggere di nuovo ciò che c'era scritto.
« “These dreams will never leave you asking why..” » ripeté Eloyn tra sé. Era l'ultima riga di quel testo, ed era anche quella che l'aveva colpita maggiormente, forse perché in realtà rappresentava l'esatto opposto di quello che pensava della sua vita. Anche in quel momento se lo stava chiedendo, il perché. Il perché di quella morte ingiusta, il perché era venuta a vivere in California, il perché avesse incontrato Zacky, il perché stesse andando tutto a rotoli. La sua vita si era improvvisamente riempita di perché e in quel momento, quelle parole le sembrarono come di conforto. Poteva sentirlo, Jimmy, proprio accanto a lei. Poteva vederlo dirle quelle stesse parole, sentirlo mentre la rassicurava su tutto, come era sempre stato da quando lo conosceva. Non c'era mai stata mossa che avesse fatto senza il consulto di Jimmy, mai nessun pianto di cui lui non fosse stato a conoscenza, e in quel momento le sembrava tutto davvero così assurdo che anche piangere le veniva male. Alzò lo sguardo negli occhi di Zacky, che la guardava sofferente. Non c'era bisogno di aggiungere altro. 
Zacky guardò Eloyn volgere lo sguardo in avanti e arricciare gli occhi e la bocca in una strana espressione, e quando la vide piangere per l'ennesima volta, capì che senza Jimmy il mondo non avrebbe avuto davvero senso. Non riusciva più a guardare le cose con quel velo di positività che lo contraddistingueva, non riusciva più ad essere felice per qualcosa, e anche se era presto per dirlo, era convinto che le cose non sarebbero mai più cambiate. 
Scesero dalla macchina con passo spedito e si avvicinarono al portone aperto della casa. Mossero i primi passi in quell'antro infestato di preoccupazione e videro che gli altri erano già tutti lì, tutti sul divano. E più che una casa gli sembrò un centro igiene mentale. 
Zacky si avvicinò a Matt, che stava seduto sul divano esattamente come stava quando era a casa sua, sembrava quasi che l'avessero trasportato là di peso, e forse era stato così. Gli si avvicinò e gli porse il solito foglietto ripiegato, senza dire nulla. 
Matt lesse ciò che c'era scritto e fece cadere il braccio di lato mentre il suo volto si piegava rozzamente in un espressione di dolore mista al pianto più terribile che Zacky avesse mai visto. 
« E adesso che facciamo, Zacky? Come si fa senza di lui ad andare avanti? » gli aveva chiesto Matt, in lacrime. 
« Non lo so, Matt.. » 
Non lo sapeva davvero. Non sapeva niente. Sentiva come se l'indomani il mondo avrebbe cessato di esistere, sparito in una nuvola di fumo. Non c'era vita senza di lui, non c'era neanche morte senza di lui; né gioia, né tristezza, non c'era proprio niente. 
Val gli sfilo lentamente il foglietto tra le mani e lesse anche lei. La reazione le venne quasi in automatico, perché conosceva quelle parole, perché non c'era canzone che Jimmy scrivesse della quale Val non fosse a conoscenza, e d'improvviso le venne in mente quel pomeriggio in cui Jimmy le aveva fatto sentire quel brano che anche gli altri conoscevano ma di cui solo lei sapeva le parole. Jimmy era il suo migliore amico, e non avrebbe mai smesso di dirselo. Era il suo migliore amico e forse era l'unica persona che la conosceva per quello che era veramente. 
« Zacky.. » lo chiamò con voce debole e rotta dal pianto. « .. io conosco queste parole.. » 
« Credo sia un testo, no? » 
« E' una canzone che mi aveva fatto sentire un giorno in sala, con il pianoforte... era bellissima.. » 
Val tremò al sentire le sue stesse parole, una scossa di brividi le inondò la schiena e si mise una mano a sorreggere la fronte, con il gomito appoggiato alle gambe. Matt la guardava senza dire niente, perché sapeva anche lui che in quella situazione, la parte delle mamma protettiva spettava a lei. Spettava a lei badare a Matt, come era sempre stato sotto a quella corazza che ostentavano al mondo. Perché Val era sempre stata più forte di Matt, emotivamente, e anche in quel momento, soprattutto in quel momento, Val era più forte nonostante tutto. Nonostante ci fosse quella melodia ad inondarle la testa in maniera così ingiusta. 
“I know why you're running away..” 
La voce di Jimmy le assordava le orecchie ancora una volta, e chissà che non fosse stata l'ultima volta che sarebbe riuscita a ricordarsi la sua voce, chissà che non fosse arrivato un giorno in cui se la sarebbe dimenticata. E a quel punto cosa avrebbe fatto? Avrebbe smesso di lottare? Sicuramente non ci sarebbe stato più niente per cui lottare.
Zacky sfilò il foglietto dalle mani di Val e lo appoggiò delicatamente sul tavolo, cercando di non fare rumore, perché in quel frangente c'era spazio solo per pochi e distinti suoni. Lo appoggiò lì, così che chiunque potesse leggerlo, come a dire: queste sono le sue ultime parole, la sua eredità per noi. Poi vide gli sguardi di Johnny, Brian, Chelsea, Silvie e Michelle tutti sul foglietto, ma nessuno che avesse il coraggio di prenderlo e leggere ciò che c'era scritto. Poi, nello stesso istante due mani si avvicinarono per prenderlo e così facendo si sfiorarono, Zacky alzò lo sguardo e vide Michelle e Brian scambiarsi un'occhiata tra il complice e il risentito, poco più in là, Chelsea distoglieva lo sguardo altrove. 
Davanti a certe cose, tutti i problemi del mondo diventano piccoli, e mentre in una qualsiasi altra situazione Brian e Michelle si sarebbero uccisi a suon di sguardi, in quel momento Brian ritirò la mano e Michelle lo ringraziò con gli occhi. Era come la fine di una battaglia ma non della guerra. Un tregua meritata e necessaria. 
Gli occhi di Michelle scorsero il foglietto che passò poi nelle mani di tutti. E per quanto dolore ci fosse nell'aria, la giornata passo più veloce di quel che tutti immaginavano, forse troppo veloce contro il volere di tutti. Perché oggi, Jimmy era ancora tra loro, lo sentivano, ma con il passare della notte il domani diventava un po' più buio e un po' più scuro, e nessuno sapeva se Jimmy sarebbe stato ancora con loro o se i loro cervelli si sarebbero abituati alla sua assenza, tanto da rassegnarsi all'evidenza della sua pelle fredda come il marmo. 
Rimasero tutti lì, chi andava e chi veniva dalla sua camera. Chi aveva ancora lo sguardo incantato nel nulla e lo shock nel sangue. 
Brian sentì il suo stomaco contorcersi quando il medico entrò in casa, quella era la prova tangibile di cui aveva bisogno per rendersi conto davvero di cose fosse successo. Lo seguì in camera dell'amico seguito da Zacky, Matt e Johnny. Lo vide fare i dovuti controlli e le dovute analisi per l'autopsia. Stette lì, seduto su una sedia a guardare il mondo passargli davanti, lo sguardo fisso sul volto di Jimmy. Vide Matt andarsene in lacrime dopo poco e pensò che già lo sapeva che avrebbe reagito così, perché non sarebbe stato da Matt rimanere lì con loro. Johnny se ne andò verso sera, quando ormai tutti stavano dormendo tranne Brian e Zacky, decise di andarsene per non sentirsi inutile, sarebbe andato in qualche bar ad ammazzarsi di alcol, probabilmente, non lo sapeva nemmeno lui. E la notte passo quasi lenta e a tratti veloce, ma nessuno dei due riuscì a chiudere occhio. Ogni tanto Zacky lanciava degli sguardi e Brian, che puntualmente non lo guardava, e gli faceva domande a cui lui non rispondeva, si limitava a guardare il vuoto e a farsi da solo le stesse domande che neanche lui cominciava più a capire.
Zacky aveva ancora quel foglietto in mano e lo rilesse un'ultima volta: 

“There comes a day when we all find out for ourselves
That once we have the words to say there's no one left to tell
I know why you're running away.
There's a place where nothing seems to be as simple quite cohesively,
Something little shouldn't feel this way, we got a million thoughts we can't convey
I'm gonna teach you about mortality
Let's find out who we are.
There dreams will never leave you anking why.” 1

Decise che lo avrebbe messo insieme a Jimmy l'indomani, al funerale. Avrebbe messo le sue parole con lui per sempre, la sua arte custodita con lui, così che non sarebbe mai andata persa. E poi gli vennero in mente tutti quei fan che non sapevano ancora niente, o forse i genitori di Jimmy avevano già avvertito Larry, che aveva già avvertito i fan. Non lo sapeva e non gli importava saperlo. Pensava solo a tutte le vite che quella morte avrebbe sconvolto, a quella famiglia allargata a cui Jimmy avrebbe di nuovo cambiato la vita, per l'ultima volta. Pensava a quante lacrime sarebbero andate versate e agli Avenged Sevenfold, ma capiva che non sarebbero mai più esistiti. 
E' stato un piacere suonare con te, lavorare con te e vivere con te, Jimmy. 

Quella notte sarebbe stata inesorabilmente lunga, Matt lo aveva capito quando era tornato a casa con Val che dormiva sui sedili posteriori della sua auto. Se l'era caricata addosso e l'aveva posata sul suo letto, contento che almeno lei avesse ceduto, alla fine. Poi le aveva tolto le scarpe e l'aveva coperta, e si era chiuso la porta alle spalle. La casa era terribilmente fredda e buia e allora aveva visto il pianoforte e non aveva potuto fare a meno di mettersi a suonare. 
Se c'era qualcosa di bello, o di meno triste, in un momento come quello per un musicista, era avere la certezza di una valvola di sfogo dove incanalare tutta la tua rabbia, Zacky glie lo aveva detto spesso, ma solo in quel momento capiva davvero cosa intendesse dire. E allora si era messo a comporre qualcosa, qualcosa a caso, senza pensare a nessun CD, a nessuna pubblicazione. Aveva solo scritto un testo e arrangiato qualche nota, e aveva quasi finito quando sentì Val urlare dalla stanza accanto. Poso tutto sul ripiano e si precipitò nella stanza accanto dove Val era ancora sdraiata sul letto, al buio, con il volto affondato sul cuscino che urlava di dolore, come se qualcuno le avesse squarciato la pelle o le avesse sparato. 
Matt le si avvicinò preso dal panico e maledisse il mondo per l'ennesima volta.
La prima cosa che pensò fu che se Val avrebbe ceduto non ci sarebbe stata nessuna speranza per nessuno di loro. Val e Jimmy erano sempre stati la loro colla, quel qualcosa che li teneva tutti insieme, e senza almeno uno di loro non sarebbero andati avanti, Matt ne era certo. 
« Val, calmati.. » 
Lei si era alzata continuando a piangere come una bambina di cinque anni e gli si era aggrappata alla maglia. 
« Matt, dimmi che mi sono sognata tutto.. », gli disse lei. Ma non credeva davvero a quello che diceva, sapeva bene che non se lo era immaginata, sapeva bene che quella musica che continuava a girarle in testa aveva un suo perché. 
« Vorrei poterlo fare.. non sai quanto », le disse mentre l'abbracciava accarezzandole i capelli.
« Io non ce la faccio, non posso vivere senza di lui. » 
« Sì che puoi. Devi farlo per me, perché sai che senza te io non sto in piedi. » 
« Non ce la faccio.. » continuava a ripetere. « C'è quella maledetta canone che continua a girarmi in testa! » 
« Quale canzone? »
« Quella che Zacky a trovato a casa di Jimmy.. » 
« Ti va di farmela sentire? » 
« Non so se ce la faccio... »
« Val, devi farcela. Per me, ma prima di tutto per lui. »
Allora Val decise di prendere il toro per le corna, e se doveva far male, allora avrebbe fatto male sul serio, ma non le importava. 
Si alzò in piedi e prese Matt per mano. Insieme attraversarono il lungo corridoio e arrivarono al pianoforte, si misero seduti uno accanto all'altro e Val iniziò a suonare quella melodia straziante, e a Matt venne da piangere ancora una volta, tanto che sentiva di non avere più lacrime in corpo, gli facevano male gli occhi. La voce di Val gli entrò nelle orecchie con una facilità dolorosa, e quelle parole segnarono il netto confine di un periodo che adesso sembrava concluso. 
« I know why you're running away.. », aveva cantato Val prima di rimettersi a piangere. E aveva continuato con le lacrime che le scivolavano tra le dita e bagnavano i tasti del pianoforte, poi si era interrotta di colpo, portandosi le mani a coprire il viso, e Matt l'abbracciò.
« Però lui ha detto che la voleva fare più cattiva, senza pianoforte e che la batteria doveva essere pesante.. e poi non è finita, c'è un altro pezzo ma.. » 
« Basta così, Val.. è abbastanza.. » 
« C'è una frase che dice: “these dreams will never leave you asking why”, e io ci credo Matt, io ci credo che alla fine di tutto capiremo il perché di tutto questo, ci credo perché me l'ha detto Jimmy.. » 
« Ci credo anche io, amore mio.. » 
Matt la guardò sfogarsi sul suo petto e si accorse di non averla mai vista così distrutta. Si avvicinò a lei e le diede un bacio tra i capelli.

Infondo era sempre stato il suo passatempo preferito, l'unico modo che riusciva a consolarlo dai problemi che gli si ponevano davanti. Stare al bancone del bar ad ubriacarsi fino allo svenimento erano una di quelle cose che alla fine lo avevano sempre rigenerato. Solo che di solito questo succedeva quando accanto a lui c'era ancora Jimmy. 
Stavolta, al posto di Jimmy c'era Silvie, seduta su uno sgabello poco più in là. Avevano già perso il conto di quanto avevano bevuto da quando erano usciti da casa dei genitori di Jimmy. 
« Jimmy diceva sempre che la cosa migliore che puoi fare è inseguire i tuoi sogni, e forse aveva ragione. » blaterava Johnny con in mano l'ennesimo bicchiere di Jack Daniel's della nottata. 
« Forse il problema è che non gli ho mai dato retta a quello stronzo. » 
« A me invece ha dato lezioni di batteria, ma non c'è riuscito. » aveva detto Silvie, ormai più che ubriaca, ridendo. 
« Lui non era un batterista, era un inseguitore di papere.. ». E dopo due secondo erano entrambi piegati in due dalle risate, che però non erano vere risate, era più un pianto misto alla risata. C'era qualcosa di più malinconico di quello? Confondere il bene con il male, il triste dal felice. 
Quando si furono ripresi, Johnny la guardò negli occhi e disse: « Ho passato gli anni più belli della mia vita insieme a lui... gli voglio bene, era il mio migliore amico.. » 
Silvie aveva ricambiato lo sguardo e aveva alzato il bicchiere in alto: « A Jimmy! », aveva esclamato. 
« A Jimmy! », aveva risposto l'altro. E insieme si scolarono tutto i bicchiere di Jack in un solo sorso. Stavano risolvendo il problema alla maniera Seward, anche se lui stesso non era convinto che quella volta avrebbe funzionato.

Zacky uscì dalla stanza in silenzio per paura di svegliare qualcuno, rimase sorpreso quando si accorse che fuori dalla stanza erano rimaste solo Chelsea ed Eloyn, la prima sveglia a differenza dell'altra. 
« Chelsea.. » le sussurrò. 
« C'è Brian dentro? »
« Sì, ma non sembra esserci sul serio.. insomma, non so, vai a vedere.. » 
Posò lo sguardo su Eloyn addormentata mentre Chelsea se ne andava dalla stanza. Le si avvicinò e si mise seduto accanto a lei. Aveva lo sguardo stanco anche mentre dormiva, gli occhi cerchiati da delle occhiaie scure e da piccoli puntini rossi per via del pianto. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e pensò che sarebbe stato tutto così ingiusto. Si sentiva scombussolato, triste, accecato dal dolore, tanto che quasi non riusciva a provare niente nei confronti di nessuno se non di quella piccola cerchia di persone che erano state con Jimmy come lui. Anche Johnny gli sembrava quasi indifferente, ma mai quanto Eloyn e Chelsea. Non perché da un giorno all'altro non le volesse più bene, era che non aveva più tempo per pensarci, non aveva più spazio nel cervello per continuare relazioni impegnative come quella. Si sentiva come un'adolescente che non aveva il coraggio di dire alla sua fidanzata che non voleva continuare a stare con lei per paura di pentirsi. Ed era così, in un certo senso, solo che lui non aveva gli argomenti adatti per giustificare il suo comportamento. Cosa le avrebbe detto? Come si sarebbe comportato? Proprio nel momento in cui lei avrebbe più avuto bisogno di una spalla su cui piangere, Zacky decideva di andarsene, in senso figurato, dalla sua vita. 
Non sapeva neanche lui cosa pensare o cosa no, ma il suo pensiero fisso ora era un altro. Tornò in camera insieme a Brian e Chelsea e si fece cullare da quel senso di terribile frustrazione che era sicuro lo avrebbe accompagnato ancora per molto tempo.

“Jimmy wasn't addicted to anything, he was addicted to life. 
He was a shooting star, and all those things fuckin' burn out quickly...” - Brian Haner Jr. 

Note. Ecco la fine di un altro, intenso capitolo. Che dire, ormai parlare di Jimmy è diventato quasi scontato, però mi ero ripromessa che sarei stata fedele alla realtà, e quindi l'ho fatto. 
Che dire? Sono stata male mentre scrivevo questo capitolo, ma per fortuna la maggior parte delle cose me le ero già appuntate altrove, quindi è stato anche abbastanza facile, diciamo. 
Come sempre, recensite anche solo se volete insultarmi perché il capitolo vi ha fatto schifo. Mi servono pareri sinceri per poter migliorare, quindi fatevi sotto. 
Grazie mille a chi è arrivato fin qui, significa molto per me. E un grazie ancora più grande va a chi ha recensito, siete magnifici. 
Per chi non lo sapesse, la frase finale è una frase che Brian ha realmente detto in riferimento a Jimmy credo durante un intervista ma non ne sono sicura, da cui ho poi preso qualche parola per il titolo del capitolo. Fatto sta che mi sembrava un bel modo per concludere questo capitolo infernale, che ne dite?
Ovviamente, per chi non l'avesse capito, la canzone sul foglietto è 4:00 am, canzone che inevitabilmente mi ricorda Jimmy, e credo anche che l'abbia scritta lui se non sbaglio, ma non ne sono sicura. Comunque non è scritta come la troviamo scritta noi adesso, quello che lui aveva scritto sul foglietto era solo un'abbozzo di qullo che sarebbe poi stato il testo vero e proprio. Val la sapeva perché Jimmy glie la aveva cantata, e lei se la ricordava. Tutto qui. Giusto per chiarire. 
Bene, quindi al prossimo aggiornamento che credo avverrà molto presto dato che ho già abbozzato qualcosa di concreto, quindi a presto. Baci e grazie di tutto. <3 
 

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Capitolo 17
*** 16 - Prova a ricominciare ***


© Amor Vincit Omnia

Avvertimenti. La canzone che ha fatto da musa a questo capitolo è “Little Lion Man” dei Mumfor and Sons, quindi se volete calarvi meglio nell'atmosfera vi consiglio di ascoltarla.

Weep for yourself, my man,
You'll never be what is in your heart
Weep Little Lion Man,
You're not as brave as you were at the start
Rate yourself and rake yourself,
Take all the courage you have left

Così Jimmy aveva toccato il fondo, ma quando lo fai in una maniera così irrevocabilmente sbagliata non ti vengono concesse seconde possibilità per risalire.
« Jimmy », cominciò. La sua voce rimbombava per tutta la chiesa, così che tutti potessero sentire ciò che un cuore affranto come il suo aveva da dire. Per Zacky, stare davanti ad un pubblico senza un chitarra in mano era tutta un'altra cosa. Non gli era mai piaciuto stare al centro dell'attenzione in quel modo, figuriamoci farlo per un motivo come quello. Aveva la gola secca. « ...era il mio migliore amico ». Le parole che aveva tracciato sul foglietto che ora si stava rigirando in mano cominciavano già a diventare sfocate; aveva gli occhi colmi di lacrime. « ...e.. non saprei immaginarmi senza di lui ».
Era stata un'idea del pastore, quella del foglietto.
Allora il suo sguardo incontrò quello di Eloyn, fra le prime file di panche, dall'alto della sua postazione, e la vide soffrire nel rimbombo delle sue parole.
Zacky tornò a guardare il foglietto stropicciato e umido di sudore, chiuse un attimo gli occhi. Cadde una lacrima e il rumore sordo del suo impatto con la carta cadde insieme a lei. Un piccolo schianto ignaro al mondo, una tragedia nella testa di Zacky. L'inchiostro si disperse a macchia d'olio un po' attorno; impregnava tutto, come faceva la perdita di qualcuno.
Quel momento era dannatamente sbagliato.
Sì, era stata un'idea del pastore, quella del foglietto. Scrivere il discorso su uno stupido foglietto. Parole già pensate. Pochi impulsi; niente istinto. Cosa doveva dire? Cosa voleva dire? Era Jimmy, cazzo; niente al mondo avrebbe dovuto portarglielo via.
Ripiegò il foglietto; stava tremando.
« Addio Jimmy » e le sentiva, le lacrime tra le ciglia. Umide. Scomode.
E in quel preciso istante, in quella chiesa, Jimmy morì. E tutta quella consapevolezza gli si scaraventò addosso. Fece parte del suo essere per la prima, vera volta.
Volse lo sguardo alla vetrata attraversata da un fascio di luce e molti ricordi gli si affollarono in testa.

« Io non arriverò ai trent'anni, Zacky, ve l'ho sempre detto »
« Ma cosa stai dicendo? »
« Mi ci vedi da vecchio? A stare fermo su una poltrona senza fare niente, senza poter più suonare? Vivrò per sempre, nel cuore di chi mi vuole bene, ma non supererò i trenta. »

Le parole del suo amico gli risuonavano ancora in testa da quel lontano pomeriggio estivo, forse appartenente ad una vita diversa.
Quel fascio di luce che attraversava la vetrata colorata di quella piccola chiesa, quello era l'addio di Jimmy.
« Addio » sussurrò di nuovo, ora per se stesso.
Poi si voltò di nuovo e scese i pochi gradini che lo separavano dalle panche; attraversò la navata sotto lo sguardo di quegli automi rovinati e sfiniti dal dolore. Quegli occhi lucidi che lo seguivano in silenzio.
In quella chiesa si soffocava, c'era aria consumata. Dolore consumante. Uscì dalla chiesa senza neanche voltarsi a guardare indietro.

*
« Scusate.. », venne interrotto da un'altra lacrima. Tirò su col naso.
Gli sguardi di tutti, attoniti, su di lui. Gli sembrava che quelle persone non avessero più aria da respirare. Ma il suo dolore non apparteneva al loro, era distante anni luce da quella chiesa. Spinto un po' oltre il confine del reale.
A dirla tutta il suo cuore aveva perso un battito quando Zacky aveva interrotto il suo discorso.
Non capì perché lo aveva fatto, perché se ne era andato in quel modo. Non lo capì finché non si trovo al suo posto, di fronte a tutta quella gente che si aspettava qualcosa da lui. Difronte a Jimmy, che si aspettava qualcosa di più da lui.
Brian non era mai stato un tipo riflessivo. A lui bastava la musica. Senza troppi perché. Ma quel momento era diverso.
Erano solo un branco di energie confuse dal dolore di quella perdita, davanti a lui. Accomunati da quella stessa perdita e da quello stesso sconforto. Occhi arrossati e visioni sfocate e soffocate. Volti congelati in quell'espressione di dolore. Niente più.
« Non credo ci sia molto da dire.. Jimmy manca a tutti; è un dato di fatto. » fece un respiro profondo e continuò. «  .. ce lo aveva detto, non avrebbe superato i trent'anni. E aveva ragione su questo come su tutto il resto.. »
Ripensò a quel pomeriggio sulla spiaggia in cui Jimmy gli aveva detto che tutti tradiscono e tutti vengono traditi almeno una volta nella vita. E quell'errore piccolo e insignificante per gli altri ma scomodo per lui gli pesava addosso nonostante fosse passato del tempo e avessero chiarito tutto.
L'aveva tradito, ed era una cosa che non si sarebbe mai perdonato. Jimmy aveva bisogno di un amico che gli stesse vicino, e invece lui cosa aveva fatto? Si era quasi scopato Chelsea a sua insaputa. Gli si strinse lo stomaco, perché sapeva che ora non poteva più nascondersi da Jimmy.
« Perciò, Jimmy.. ti chiedo scusa per non essere stato l'amico perfetto. Ti voglio bene. »
Scese gli scalini e si rimise seduto, in attesa che qualcun altro, come lui, salisse su quel palchetto e lasciasse qualche parola a Jimmy. Per Jimmy.


Proprio non ce l'aveva fatta a rimanere in quella maledetta chiesa. Aveva iniziato a dire qualche parola e poi non era riuscito a continuare. Si chiedeva cosa volesse la gente da lui, cos'altro fosse rimasto da dire? E più di tutti, si chiedeva cosa avrebbero significato quelle parole senza Jimmy. Cosa voleva dire il mondo, senza Jimmy? E allora quel fottuto bigliettino con quelle inutili parole era andato a far compagnia alla massa di rifiuti ospitata dal cestino del parco della chiesa.
Aveva preso la sua macchina e il primo luogo che gli era venuto in mente era stato l'albero in mezzo al parco cittadino. Non un albero qualsiasi, ma l'unico albero degno di quel nome. Si era fermato in un bar a prendere due birre e aveva guidato dritto fino alla sua meta. E ora era lì, avvolto nei ricordi, con la cravatta allentata e senza giacca, e si sentiva come dieci anni prima, fece finta di essere lo Zacky bambino che aveva costruito una casa su quello stesso albero, fece finta di stare lì ad aspettare Jimmy, come sempre, come tutti i pomeriggi estivi in cui Jimmy faceva sempre, puntualmente tardi agli appuntamenti.
Stappò la prima birra e sorrise ricordando quei momenti a cui non aveva mai dato troppa importanza e che adesso gli sembravano come oro.
Ora la casetta di legno che avevano montato non c'era più, l'avevano tolta arrivati a venti anni, sotto l'obbligo dei loro genitori che si sentivano d'impiccio alla società tenendo quella casetta ancora lì, inutilizzata, nel parco pubblico. Effettivamente, ora che ci pensava, era strano che non gli avessero detto di toglierla prima, non era sicuro che fosse una cosa proprio legale. L'avevano fatto perché costruire una casa sull'albero in casa propria non faceva figo. Nessuno di loro era intenzionato a rimanere nel recinto di casa quando c'era un mondo da scoprire, tanto meno uno come Jimmy, che non riusciva a stare fermo un attimo. Un artista. E Zacky lo sapeva da sempre che era destinato a qualcosa di grande.
Sentì dei passi avvicinarsi all'albero, abbassò lo sguardo e vide l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato di vedere. Joel Madden stava salendo le scalette di legno sull'albero per raggiungerlo.
« Me la offri una birra? » gli chiese, ridendo. E Zacky si chiese come facesse a essere sempre felice, anche in un momento come quello.
Zacky gli porse la birra senza dire niente non appena gli fu accanto.
« Perché non sei rimasto in chiesa? »
« Perché ho visto come te ne sei andato.. ». Joel gli parlava come se fosse tutto ovvio e semplice, la naturale conseguenza di tutto. Ma per Zacky non era così, e mentre l'altro gli parlava cercando di guardarlo negli occhi, lui stava fermo e lo ascoltava guardando dritto davanti a sé, la stessa visuale di dieci anni prima.
« A te che importa, la fai sempre facile.. »
« Non la faccio facile, Zacky.. Non sono felice, e dopo tutti questi anni di amicizia dovresti almeno averlo capito. »
Poi, all'improvviso, qualcosa si accese in Zacky, come una scintilla che gli fece capire qualcosa in più, di tutta quella faccenda.
« Io non ho mai capito, Joel. Non ho mai capito niente e nessuno, è questa la verità. Jimmy aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, di una spalla che lo sorreggesse, perché quella cazzo di malattia lo stava distruggendo, e io non avevo capito niente. »
« No, Zacky! Questo non te lo permetto! Non puoi cominciare a fare tu la parte della vittima! Quelle lasciamole ai film di serie B, per piacere.. non è colpa di nessuno se Jimmy ci ha lasciati.. »
Zacky stette zitto, perché in realtà non era sicuro di ciò che Joel gli stava dicendo.
« Cosa intendete fare? Con gli Avenged Sevenfold, intendo. »
« Non si sa, nessuno lo sa. Non abbiamo parlato più. Brian ieri sera non dava segni di vita, e neanche stamattina. Matt se n'è andato subito, l'ho rivisto oggi ma non ne abbiamo parlato e Johnny aveva una brutta cera perché ieri sera si è ubriacato con Silvie. Quindi non lo so, ma io non ho intenzione di andare avanti. »
« Non può finire tutto così. Cosa te ne fai adesso di tutte quelle belle parole che hai sempre predicato? Una montagna di CD con incise frasi che per te adesso non valgono più niente? Ti sei dimenticato cosa vuol dire stare vicino a qualcuno fino alla fine? Me lo avevi detto tu stesso quando hai scritto il testo di Until The End, che ci saresti sempre stato per i tuoi amici, fino alla fine, ricordi? »
Forse aveva ragione, forse. Ma proprio non ce la faceva. Aveva solo pochi ricordi sfumati delle sue emozioni prima di tutto.
Si alzò in piedi e scese le scale sull'albero.
« Adesso dove vai? », gli chiese Joel quando fu abbastanza lontano da dover urlare per farsi sentire.
« A casa, salutami gli altri. Io mi ritiro. » e da lontano aveva alzato un braccio in segno di saluto.
Ora era tutto diverso, e lui non era disposto a mettersi in gioco in quelle condizioni. Sarebbe andato a casa e ci si sarebbe chiuso dentro con se stesso aspettando che le cose cambiassero. Aspettando Jimmy, in qualche modo.

*

“Ciao Johnny, ti starai chiedendo cosa sia questo pezzetto di carta, e avrai subito la tua risposta.
Me ne vado da Huntington. Anzi, probabilmente quando leggerai questa lettera me ne sarò già andata da un po'. Dormivi così bene che non ha voluto svegliarti, tutti meritate un po' di riposo in questo momento. No, in realtà avevo paura che avresti cercato di farmi rimanere, ma non voglio.
Quando sono venuta qui pensavo di trovare qualcosa di assolutamente fantastico, la vita che avevo sempre immaginato. E così è stato. E' stato un sogno, ma si sa che i sogni fanno presto a diventare incubi, e per dimenticare gli incubi ci vuole qualcosa di drastico. Beh, questo è il mio modo di reagire e spero che potrai perdonarmi. Non lo considero un addio perché voi stessi mi avete insegnato che il mondo riserva sempre molte sorprese, e chissà che un giorno non ci rincontreremo e scopriremo che siamo fatti per stare insieme, ma mi rendo conto che questo non è il nostro momento. Probabilmente non sapremo mai se siamo fatti l'uno per l'altra, ma sappi che sei stato importante, almeno per quel poco tempo che ci è stato concesso.
Saluta tutti gli altri e dì ad Eloyn che non sarei riuscita a dirle addio di nuovo, né tanto meno a scriverle una lettera. Dille che mi dispiace, che le voglio bene e di perdonarmi se può.
Scusami, dal profondo del cuore.
Ti voglio bene.
Silvie”

Quando Johnny finì di leggere quella lettera non spese neanche una lacrima in più. Sapeva già che Silvie non sarebbe rimasta ad Huntington, perché non era fatta per la California, ma aveva sempre cercato di negarlo a se stesso sperando che per una volta si stesse sbagliando. E invece no, se ne era andata, e con lei tutto ciò che di buono c'era per lottare ed andare avanti. Capì che le disgrazie non arrivano mai da sole ma sempre in compagnia, e non c'era affermazione più vera di quella.
Se non ricordava male, qualche giorno prima Silvie le aveva confidato il suo sogno nascosto, la vita che avrebbe voluto ma che non sarebbe mai stata in grado di avere. Strano, come anche lei era sempre stata strana, ma il suo sogno era andare a vivere in Norvegia, e questo faceva già capire bene perché non si trovasse bene lì ad Huntington. Per un solo secondo, l'idea che Silvie stesse davvero andando in Norvegia gli sfiorò la mente e gli fece pulsare il cuore in gola di un solo battito. E allora decise di non pensarci, perché tanto qualsiasi supposizione avessee fatto sarebbe stata vana: aveva deciso di lasciarla libera, e così avrebbe fatto, pur andando contro se stesso e contro tutti gli altri, anche facendosi del male, se sarebbe stato necessario, ma se Silvie voleva tornare, lo avrebbe fatto da sola.
Piegò il foglio e se lo mise nel portafoglio. Poi prese il suo cellulare e fece il numero di Eloyn. Dopo qualche squillo rispose.
« Johnny.. »
« Ehi, El.. »
« Dimmi.. »
Come glie lo avrebbe detto? Si sentiva in colpa per essere lui l'unico a saperlo, non ne aveva il diritto
« Silvie se n'è andata.. »
« Come sarebbe se n'è andata? »
« E' andata via da Huntington, mi ha lasciato una lettera, non ho potuto fare niente per fermarla. Ha scritto di dirti che non sarebbe riuscita a dirti addio di nuovo, che ti vuole bene e di perdonarla se puoi. »
« Ma, dove è andata? »
« Non lo so, ma va bene così. Lei qui non voleva rimanerci, si vedeva. »
« Ma aveva trovato te.. »
« Evidentemente non ero un buon motivo per farla rimanere. »
« ... »
« ... »
« Hai provato a chiamarla al cellulare? »
« No, non voglio fare niente per farla tornare, sarebbe infelice e non voglio.. »
« Tornerà, ne sono sicura. »
« Lo spero.. »
Eloyn sapeva che Silvie sarebbe partita, tutti lo sapevano ma tutti avevano fatto finta di niente. Era solo un altro tassello che tornava al suo posto. In fin dei conti la morte di Jimmy stava sortendo lo stesso effetto di una scossa di terremoto, susseguita da degli assestamenti di terreno. E in quel momento Eloyn si sarebbe aspettata di tutto.
Interruppe la chiamata con Johnny e mise il cellulare sul tavolino. Sospirò guardandosi intorno. Era stanca, stanca di tutto e di tutti, e avrebbe voluto spegnere le sue emozioni, spegnere i sentimenti, tutto, e mettersi a letto per non uscire mai più.
Dopo che Zacky era uscito dalla chiesa in quel modo, non si era più fatto sentire e nessuno l'aveva più sentito. L'unica persona con cui pareva aver parlato era Joel che era poi tornato al funerale dando l'ennesima brutta notizia a tutti.
« Ho parlato con Zacky ed è davvero distrutto. Se n'è andato dicendo di dirvi che è stato un piacere ma che lui si ritira. L'ho visto davvero affranto, non so, magari ha bisogno di stare un po' da solo per riflettere »
Li il mondo era crollato ancora per tutti. Era la fine, la fine degli Avenged Sevefold e delle loro vite insieme. Sembrava l'apocalisse e infondo non c'era poi così tanta differenza. Se non altro tutti si erano messi un po' l'anima in pace con Zacky, si fidavano e sapevano che era un uomo responsabile. Secondo loro, entro una settimana avrebbe cambiato idea. Sapevano che ci aveva messo l'anima, in quel gruppo. Quindi gli unici a preoccuparsi realmente sembravano essere Eloyn e Brian. Dal canto suo, Eloyn non lo aveva mai visto così distrutto da quando lo conosceva, ed era forse per questo che si preoccupava così tanto. Invece Brian si preoccupava per punto preso, perché era sempre stato l'unico a sostenere fermamente che Zacky in quelle condizioni non era padrone delle proprie azioni. Nonostante questo, a entrambi era stato dato il divieto implicito da parte di Matt di fare qualsiasi cosa che lo avrebbe coinvolto. Infondo Matt gli aveva chiesto solo un po' di pazienza, tre o quattro giorni per farlo riprendere e a quel punto avrebbero potuto fare qualcosa per aiutarlo. Erano passati due giorni ed Eloyn era molto più preoccupata del previsto.
Si passò le mani in volto per stropicciarsi gli occhi. Aveva addosso la maglia dei Misfits di Zacky che aveva ancora il suo profumo, e così si sentiva un po' protetta; era quasi come averlo lì e sentire che la stava abbracciando, anche se non era proprio la stessa cosa.
Si stiracchiò la maglia e salì le scale per andare in camera. Quella casa era diventata soffocante da quando era morto Jimmy. Chelsea vagava come uno spettro e non sembrava dare segni di vita, nonostante Eloyn avesse provato in tutti i modi a farla reagire. Poi aveva deciso che non poteva sempre stare a curare gli altri quando la prima ad avere problemi era lei stessa, e aveva rinunciato.
Si era stesa sul suo letto da qualche minuto quando qualcuno bussò alla sua porta, ed Eloyn si meravigliò di vedere Chelsea entrare in camera con una luce diversa negli occhi. Er, in un certo senso, più viva.
« Avanti »
Una chioma rossa si fece lentamente spazio tra la confusione che regnava in quella camera.
« Eloyn, ti devo parlare. »
Subito lo sguardo di Eloyn ricadde sulle sue scarpe e sul suo abbigliamento
« Vai da qualche parte? »
« Sì, era di questo che volevo parlarti. »
Forse era perché in quei giorni i contatti con le persona erano stati ridotti al minimo, o forse perché in quel periodo un “ti devo parlare” poteva benissimo trasformarsi in una bomba a mano, ma quelle parole fecero preoccupare Eloyn e non poco. Sentì il suo stomaco contorcersi.
Non disse niente, si limitò a guardarla negli occhi in attesa di spiegazioni.
« Sarò breve, me ne vado da qui. »
« Come? »
« Vado in Italia da degli zii. »
« Tu non puoi lasciarmi qui da sola. »
Eloyn stava andando in panico. Già una vita in quel posto sarebbe stata dura, ma un vita in quel posto senza Chelsea sarebbe stata un inferno. Lei era la persona con cui tutto era iniziato, non esisteva Huntington Beach senza Chelsea, era una realtà che non riusciva a concepire.
Sentì i suoi occhi inumidirsi di lacrime e il mento tremarle. Sbatté le palpebre e due lacrime le caddero sulle gambe incrociate.
« Non fare così, questo non è un addio »
« Ma.. ma come faccio io senza di te? E poi, l'Italia? Proprio così lontano dovevi andare? Io non ce a faccio senza di te, Chelsea » le disse mentre la abbracciava. Intanto l'altra si era seduta sul letto insieme a lei e si era lasciata trascinare dal pianto singhiozzante di Eloyn. « Non puoi abbandonarmi anche tu.. » aveva sussurrato Eloyn.
« Infatti non lo sto facendo, è solo che questo non è più il mio posto, perché ovunque vado c'è Jimmy, e se continuò così va a finire che ci lascio la vita. »
« Ma non è giusto.. »
« Non sempre ciò che è giusto è ciò che ci fa bene, Eloyn. »
« Tu mi avevi promesso che niente ci avrebbe mai divise. »
« E sarà così, questo non è un addio, Eloyn. Io tornerò, solo non so quando, non so quanto tempo mi ci vorrà per assimilare tutto. »
« Giurami che tornerai. »
« Te lo giuro. Ma ora devo andare, ho l'aereo tra tre ore. »
« Salutami l'Italia » le disse infine cercando di ostentare quanta più naturalezza aveva in corpo, cercando di farle vedere che aveva preso bene la notizia mentre invece stava lentamente morendo dentro. Non voleva farla partire con rimorsi e rimpianti. Quel periodo era come vivere in un universo parallelo in cui tutto può davvero accadere. E un'altra parte di se se ne stava andando.
« Tu salutami gli altri.. »
Che partisse senza dire niente agli altri era una cosa che a Eloyn non importava, però l'aveva fatta pensare.
« Chiamami quando arrivi »
« Certo »
Lei non ce l'avrebbe mai fatta ad andarsene in quel modo, a rinunciare a Zacky o a ciò che in quei giorni stava diventando.
La vide scomparire dietro la porta della camera, si rimise con la testa sul cuscino e guardò il soffitto, le veniva ancora da piangere. Si sdraiò su un fianco e dopo qualche minuto si addormentò.

*

Magari il solito locale sulla costa lo avrebbe aiutato a tirarsi un po' su. Alla fine dei conti, una partita a biliardo da solo con se stesso, alle tre della mattina, con una buona birra in mano e chiuso nel suo stesso dolore lo avrebbero fatto tornare come quello di prima. Ma anche lui, in cuor suo, sapeva che il vecchio Brian non sarebbe mai tornato. Sentiva quella malinconia stagnata nelle sue ossa, una voragine all'altezza dello stomaco che non si sarebbe mai rimarginata.
A pezzi, ecco come si sentiva. Era un periodo brutto per tutti ma Brian era convinto che nessuno di loro si sentisse sbriciolato come lui. Per prima se n'era andata Michelle, con tutta la sua bellezza e il suo essere semplicemente lei. E il suo profumo aveva lasciato la sua casa per far spazio al meno sopportabile odore di tabacco. Così aveva dovuto fare i conti con se stesso e assaporare tutta la malinconia di una casa vuota di tutto se non di Brian. E per Brian convivere con se stesso era sempre stata un'impresa ardua.
Poi se n'era andato Jimmy, lo aveva lasciato solo con i suoi casini. Aveva il problema e l'unica persona che sarebbe stata in grado di risolverlo era proprio Jimmy, ma l'aveva lasciato lì, a guardare se stesso e il resto come i cocci di una vita in rovina. Inutile dire che tutto questo non aveva mai fatto parte dei suoi piani, ma che poteva farci? Assolutamente niente. Si stava arrendendo, tutto qui.
Entrò nel locale senza neanche far caso a chi sedeva sui tavoli all'ingresso, si diresse subito al bancone per ordinare la solita birra. Prese il bicchiere in mano e si diresse nella sala da biliardo ma arrivato sull'uscio della porta dovette arrestarsi per focalizzare bene.
Una chioma di capelli castani e biondi gli sostava davanti, appoggiata al biliardo con la stecca in mano, intenta a calcolare la prossima mossa. Conosceva bene quei capelli e il profumo che impregnava la stanza, ora così pungente sul suo naso.
« Michelle.. »
Lei si voltò di scatto, come presa da un brivido freddo e sgranò gli occhi. Quegli occhi. Quanto gli erano mancati in quelle notti. Solo ora capiva l'effetto che gli facevano, l'effetto che lei gli provocava.
« Ciao Brian ».
« Che ci fai qui? »
La prima volta che Michelle aveva esso piede in quel locale era stato dieci anni prima.
« Non è più solo la tua tana. Dovrai condividerla anche con me. »
Era stato lui a portarcela.
Ma non c'era malizia nei suoi occhi, solo malinconia e tristezza. In quel momento, Brian capì che erano tutti superstiti della stessa nave che affondava.
« Sai che non ho mai avuto problemi a dividere qualcosa con te »
Si diresse verso il muro a lato e prese anche lui una stecca. Con la mano libera iniziò a grattare il gesso blu sulla punta.
« Io invece ho sempre avuto problemi a dividere te con qualcuno »
Brian fu felice di vedere che none era cambiata di una virgola. Faceva sempre lo stesso genere di battute e sempre con la stessa punta di acidità mista a rabbia. Non che fosse successo spesso che Brian la avesse tradita, ma la gelosia che Michelle gli riservava era una di quelle cose che lo facevano sentire come fosse a casa in qualsiasi posto si trovasse.
« E' acqua passata, dovresti averlo capito »
Brian stava cercando in tutti i modi di sembrare disinteressato all'argomento, e lo era veramente, complice la sua stanchezza di combattere contro un mondo che correva inesorabilmente più veloce di lui; anche il tempo che passava aveva assunto un'importanza del tutto relativa.
Una delle cose che aveva fatto da quanto quella valanga di eventi gli si era scaraventata addosso era stato ripromettersi di allontanare da sé le cose che lo facevano stare male e avvicinare, invece, quelle che lo facevano stare bene. Nonostante Michelle non rientrasse precisamente in nessuna delle due categorie, Brian capiva che infondo quella posizione di stallo tra le due parti faceva scaturire  cose che in certi sensi potevano essere considerate positive. Michelle era da sempre la cosa più bella che gli fosse mai capitata, ma era stata anche la sola persona al mondo ad averlo ferito, e nonostante questo, stava zitto e a volto basso; infondo era stato lui ad iniziare quella battaglia e sarebbe stato lui a doverla finire. Stava abbassando l'ascia di guerra e ammettendo le sue colpe ancora una volta. Era stanco di piangere, di provare a risolvere situazioni scomode, era stanco di tutto. Aveva fatto il suo meglio per farsi perdonare e avrebbe sicuramente continuato di quella scia ma arrivati a quel punto, si era detto, sarebbe stata Michelle a dover prendere una decisione.
« Quello che ho capito è che finché lei sarà tra i piedi non ci sarà occasione di recuperare nessun rapporto »
Dopo quella frase, agli occhi di Brian Michelle si era come ridestata. Aveva appoggiato l'estremità della stecca sul pavimento e l'aveva impugnata nei pressi dell'altra estremità mentre il braccio libero si posizionava sul suo fianco in tono di sfida. Secondo il linguaggio del corpo di Michelle, quello che ormai Brian conosceva a memoria, stava cercando di comunicare in modo serio. Era davvero intenzionata a risolvere quella situazione, e prese Brian in contropiede.
Lui stette li ad osservarla per qualche secondo in attesa che il suo cervello connettesse con la bocca e pensò che le condizioni che Michelle gli stava imponendo, in una realtà diversa, sarebbero state infattibili. Fortunatamente, Chelsea se n'era andata, ed era notizia ormai comune a tutti.
« Sei fortunata, Chelsea se n'è andata l'altro giorno »
« Per festeggiare il nuovo anno? »
« Nessuno di noi ha festeggiato il nuovo anno e penso che neanche lei abbia avuto voglia di farlo. Se n'è andata perché l'unica persona che ha mai amato era Jimmy »
Certi messaggi impliciti non erano troppo difficili neanche per una come Michelle, abituata ad essere sempre chiara e precisa in quello che faceva. Ma l'espressione contrariata di Michelle, con la bocca socchiusa e le sopracciglia alzate, esprimevano il suo risentimento verso qualcosa che la metteva in crisi.
« Ti amo, Michelle »
Era inutile, per quanto Michelle cercasse di farsi enigmatica, non c'era niente che sfuggisse all'occhio attento di Brian. Sapeva sempre quando e dove colpire per far breccia nel suo cuore, che lei lo volesse o no.
La vide riprendere fiato e fare un respiro profondo.
« Anche io ti amo Brian, ma cerca di capirmi »
« Lo sto facendo. O meglio, l'ho fatto fino a qualche settimana fa. Ma adesso basta, non sei più al centro della scena. Jimmy è morto e nella mia vita non c'è più spazio per giochetti da adolescenti. Io ti amo e ti voglio indietro, adesso sta a te. Puoi decidere di perdonarmi o di dirmi addio, ma se lo fai è per sempre »
Brian non era uscito di casa con l'intento di mettere un punto alla situazione. Se era per questo, quando era uscito di casa non si aspettava neanche di vedersi Michelle giocare a biliardo in quello che era da sempre il suo locale di fiducia. Ma in quel momento l'aveva vista e aveva deciso che non voleva più giocare, capiva di essere arrivato ad un punto in cui abbandoni il tuo essere bambino, finalmente. E grazie alla concatenazione di certi avvenimenti, il dolore che un rifiuto di Michelle gli avrebbe potuto causare, non sarebbe stato neanche lontanamente paragonabile al dolore che stava attualmente sentendo dentro di se. In poche parole: non aveva più niente da perdere, e di conseguenza, in qualsiasi modo sarebbe andata a finire, ne sarebbe valsa la pena.
Lei lo guardava con un espressione addolorata in volto. Ad un tratto si avvicinò a lui e lo guardò negli occhi. Brian si sentì svenire quando lei avvicinò il suo volto a lui. Non resistette, le prese il viso tra le mani e la bacio, prima delicatamente, poi con più passione e fu solo felice di aver avuto indietro ciò che era suo di diritto, la donna della sua vita.

*

“Il numero da lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile...”. Era la quinta volta nel giro di dieci minuti che quella voce, ormai fastidiosa, le rispondeva al posto di Zacky. Alle prime telefonate, Eloyn era convinta che fosse solo un caso,  quando invece arrivò alla quinta chiamata le mani avevano già cominciato a tremarle. Decise di cambiare meta. Prese di nuovo il cellulare e scorse la rubrica fino al nome di Brian. Pochi squilli e la voce dal tono basso del ragazzo le rispose: « Pronto? »
« Sì, Brian.. Zacky ha il telefono staccato e i tre giorni di divieto sono finiti esattamente due ore fa »
« Mh, ok. Io credo che andrò a casa sua, tu rimani lì, poi ti faccio risapere »
« No, Brian. Vengo con te! »
Eloyn non sopportava i soliti comportamenti da Brian. Secondo lui le cose importanti e che implicavano uno sforzo fisico o psicologico maggiore dovevano essere fatte solo e solamente da maschi, o meglio, da lui. Il suo volerla escludere anche da quella faccenda la stava mandando in bestia. Non sentiva Zacky da quattro giorni e aveva anche staccato il cellulare. Come faceva a non volergli dare un cazzotto?
« Eloyn, non è per volerti escludere, è solo che ti senti agitata »
« E' perché sono agitata, Brian! »
« Credo sia meglio che tu resti lì... »
« No »
« Eloyn... »
« Mi sto vestendo... »
« Ah, fa come ti pare! »
Eloyn richiuse il telefono e lo gettò sul letto mentre con la mano libera si infilava una scarpa. Finì di vestirsi a tempo record e prese la macchina. In meno di dieci minuti era davanti a casa di Zacky, ma Brian sembrava averla preceduta.
Entrò in casa senza bisogno di bussare; la porta era già aperta. Attraversò lo stretto corridoio e sentì delle voci lontane provenire dal bagno, prima confuse e mano mano che si avvicinava si facevano più chiare.
« Cazzo Zacky! »
Era Brian che aveva urlato dal bagno, e sembrava molto preoccupato.
« Bri? », gli aveva urlato dal corridoio, camminando a passi lenti sperando di non arrivare mai alla porta del bagno. Aveva una sensazione orribile in tutto il corpo, sentiva che le mancava l'aria.
« Eloyn, sei tu? »
« S-sì.. »
« Chiama un'ambulanza! »

*

Note. Il testo ad inizio pagina è tratto dalla canzone che vi ho detto prima, mi sembrava ci stesse bene con il capitolo. Ovviamente è dedicata a Zacky.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi scuso immensamente per il ritardo.
Ringrazio tutti, come sempre, per aver letto tutta la fic fino a qui e in particolare VansVengeance, alexxx_fire_inside ed HelixDeath. Ringrazio anche SilentMoon ; dato che non ho fatto in tempo a risponderti lo faccio qui, ti dico solo “mai dire mai” e che tutto in questa fiction può accadere. Quindi non vi resta che continuare a leggere. ^^
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** 17 - Still Alright ***


© Amor vincit omnia.

Avvertimenti. La frase scritta tra virgolette prima del capitolo è presa dalla canzone "This in the house that doubt built" degli A Day To Remember, prima colonna sonora di questo ultimo capitolo. Sì, questo è l'ultimo. Dopodiché ci sarà l'epilogo e poi è finita. Inutile dire che sono decisamente molto triste per questo. Ed è così che vi saluto, mettendo tutta me stessa in quello che penso sia uno dei capitoli più intensi dell'intera fanfiction. Quindi, per immergervi meglio nell'atmosfera, vi consiglio di ascoltare la canzone che vi ho scritto prima e di seguito "Valentine's Day" dei Linkin Park e "Still Alright" di Adam Merrin. Queste sono le canzoni che hanno ispirato il capitolo, in particolare le ultime due. Quindi adesso vi lascio e ci vediamo a fondo pagina.

*

let's believe that if we all stand together we're a force that can shake the whole world”

Che il tentato suicidio di Zacky non fosse stato sbandierato ai quattro venti o dato in pasto agli squali dei media non significava assolutamente nulla. Quel fatto era stato un allarme che aveva fatto riflettere necessariamente tutti – con o senza giornalisti –, e forse questo silenzio era stato un po' il riflesso loro e di tutta quella serie di eventi. Era stato come una bomba scoppiata nel mezzo della confusione più totale – e dopo di essa più niente, il silenzio più assoluto –, anche se nel loro caso non si trattava di vera e propria confusione, ma più di mormorio di sottofondo, quello di un branco che si risveglia piano piano dal proprio letargo, la famosa quiete dopo la tempesta.
Per Eloyn, in particolare, vedere Zacky sdraiato sul pavimento freddo del bagno di casa sua, con il braccio nella vasca piena d'acqua rossastra, era stata una cosa straziante. In quel momento, dopo aver chiamato l'ambulanza, si era sentita sbiancare e aveva percepito chiaramente le ginocchia cederle. In lontananza, la voce di Brian le aveva consigliato di mettersi seduta da una parte e di non fare assolutamente niente. Così aveva fatto, perché in quel momento ragionare con la testa di Brian invece che con la sua era l'unica cosa che sarebbe riuscita a fare. Poco dopo era arrivata l'ambulanza e l'aveva portato via.
La seconda scena che l'aveva sconvolta era stata in ospedale, il giorno dopo, e in qualche modo le era sembrata la trasposizione meno cruenta della prima scena. Zacky era sdraiato sul letto d'ospedale quando lo aveva guardato fisso negli occhi e aveva visto che qualcosa in essi si era spezzato. Lo aveva capito non solo dalle profonde occhiaie e dalla pelle pallida, ma soprattutto dal suo sguardo: prima che tutto quello accadesse, in una realtà che ora le sembrava così lontana e impalpabile, c'era qualcosa nel modo in cui la guardava che la faceva sentire speciale e, in qualche modo, amata. Inutile dire che quella posizione privilegiata rispetto agli altri – se non altro agli occhi di Zacky – le stava molto comoda.
Qualsiasi cosa fosse quel suo modo di guardarla, ora non c'era più.
« Zacky... », gli aveva detto senza ricevere alcun tipo di risposta. Vederlo in quelle condizioni era la punizione peggiore che il mondo aveva potuto infliggerle.
« dì qualcosa.. » le veniva da piangere e sentiva la sua stessa voce strozzarglisi in gola.
« vattene, ti prego.. »
Gli occhi di Zacky erano rimasti fuori da quel piccolo scambio di battute, il suo sguardo perso da qualche altra parte fuori dalla finestra, probabilmente nel cielo, in ceca dell'unico volto che sarebbe stato in grado di riportarlo alla normalità.
Quelle parole erano state violente nella testa di Eloyn quanto nell'aria attorno a loro e ancora le rimbombavano in testa mentre ripensava a quel momento di qualche giorno prima. Ricordava di essersi voltata silenziosamente e, piangendo, era tornata a casa. Senza dare spiegazioni a nessuno, si era chiusa in camera e li era rimasta, uscendo qualche volta, di tanto in tanto, per andare a prendere qualcosa da mangiare o per chiudersi in un altra camera, quella di Chelsea, e immaginare che non l'avesse lasciata sola a sopportare il peso del mondo. Ma per quanto si sforzasse di immaginare una vita migliore di quella, in quel momento, sotto le coperte del suo letto in quella stanza buia, non vedeva altra soluzione se non seguire l'esempio della maggior parte di loro e andarsene da quella città. Come a dire: adesso la vostra realtà di merda affrontatela da soli. Come a chiamarsi fuori da qualcosa a cui non era mai appartenuta, quando in realtà anche lei sapeva di esserci dentro con tutte le scarpe.
Che a pensarci a distanza di tempo le veniva voglia si andare da Joel e dirgliene quattro per aver incasinato la sua vita presentandole i ragazzi. Provava per lui quella rabbia che si prova per le persone a cui si sa di dovere tutta la propria felicità – anche se era andata scemando via col tempo –, quella stessa rabbia che riservava anche per tutti i ragazzi, nessuno escluso, colpevoli di aver assemblato i pezzi della sua vita con una maestria degna di nota. E sotto a tutta questa rabbia, a tutto questo disprezzo, voleva solo il bene per loro che le avevano colmato le giornate donandole tutto ciò che avevano. E da certi punti di vista era per questo che stava decidendo di andarsene; voleva lasciarli soli con loro stessi, ad assimilare quel botto da un grattacielo troppo alto, a leccarsi le ferite e diagnosticare i traumi della caduta. Forse, fare il loro bene significava lasciarli soli come tutto era iniziato e capire che quello non era più il suo posto. Lei e Chelsea erano state il primo dei cambiamenti, e il seguito era noto a tutti. Tornare all'origine era il solo modo per attenuare il dolore, ed era un discorso valido per tutti loro.
Non ci sarebbero state più serate di sballo totale – quando il mondo era ancora un posto magnifico –, niente più locali e vita notturna. Avevano giocato a fare i bambini fino all'ultima goccia di vita, prima che il peso del tempo che scorre si facesse sentire sulle loro spalle, senza chiedersi il come o il perché di un bel niente. E poi d'un tratto qualcosa era cambiato, e con esso anche loro. Erano cresciuti in un colpo solo e andati direttamente in pasto ai leoni, come in un circo o in una vita troppo crudele per essere vissuta da cinque cazzoni come loro. E con tutte le angosce attribuibili al caso, invece di fermarsi a raccogliere i pezzi delle loro vite, avevano alzato lo sguardo e stavano andando avanti senza far niente per rimediare all'irrimediabile.
Il quella strada tortuosa, c'era stato anche chi era inciampato per sbaglio o per volontà inconscia, ma stavano andando avanti, a piccoli passi, come prima; come se fossero ancora in cinque contro il mondo.
Lentamente Eloyn si alzo dal suo letto e prese la valigia, e quasi le sembrava la scena finale di un film di serie B. Quando la protagonista se ne va e lascia che le cose viaggino per conto loro. E allora viene inquadrata la suddetta protagonista mentre arraffa le sue cose in maniera confusa dentro una valigia, con una musica malinconica come sottofondo. E pensò che doveva essere una scena davvero molto triste da vedere dal fuori.
Chiuse la cerniera della valigia con un unico e fluido movimento, ponendo fine alla sua lotta interiore. Uscì di casa senza pensare a niente di preciso.
Quando fu in macchina prese il suo cellulare, e il suo pollice scorse la rubrica in maniera automatica andandosi a posizionare proprio sopra al nome di Jimmy. Sorrise ricordandosi di non averlo ancora cancellato, sapendo anche che non lo avrebbe mai fatto. Si rese conto di cosa le stava mancando in quel momento, e capì di essere ancora più nella merda, perché l'unica cosa di cui aveva bisogno era l'unica che non poteva avere.
Decise di chiudere i conti con il passato, una volta per tutte, e si diresse a casa di Zacky, sperando con tutta se stessa di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che la spingesse a restare.

Non era la prima volta che Eloyn lo vedeva ubriaco, ma quello, più che ubriachezza, era uno stato di incosciente disperazione. Lo capì quando, entrando in casa, aveva notato le svariate bottiglie di alcolici in giro, segno che la cosa stava andando avanti da parecchio tempo.
Alzò lo sguardo e lo vide stare in piedi davanti a lei, forse chiedendosi come aveva fatto ad entrare, dimenticandosi della copia di chiavi che le aveva fatto fare. E non fu per niente sorpresa di vedere i suoi occhi iniettati di sangue, tanto era diventata una cosa abituale.
« Zacky, non mi importa.. », aveva detto Eloyn, iniziando a togliere di mezzo tutte le bottiglie di alcolici dal salotto. Era incazzata con il mondo, era furibonda, ma non c'era niente che poteva impedirle di volergli ancora bene.
« Non ti importa di cosa? »
« Non mi importa di quel che dici, non ti lascerò marcire in questa merda.. »
Prese due bicchieri colmi di alcolici dal tavolo e fece per portarli via, in cucina, quando sentì Zacky strattonarla e lo vide prendergli i bicchieri di mano.
« Questi vengono con me.. » e glie li prese di mano con tanta arroganza che Eloyn rimase a bocca aperta
« NO! Zacky, dammi quei bicchieri! » li urlò contro.
« No Eloyn, tu non hai poteri su di me, non hai mai avuto nessun tipo di potere su di me, nessuno ne ha mai avuti, cazzo! Neanche Jimmy! » e a quelle parole Eloyn sentì una morsa allo stomaco talmente tanto forte che dovette quasi piegarsi in due per sopportare il dolore. Forse, in quella frase c'erano scritte tutte le cose non dette che Zacky si portava dentro. E anche lei era convinta di non avere alcun potere su di lui, ma era qualcosa che andava un po' oltre le apparenze e le frasi fatte. Si parlava di una malinconia che ormai aveva impiantata nel segue, sottopelle, un po' come un tatuaggio, che non potrai mai togliere senza che lasci il segno.
Nessuno di loro era più forte come prima, e tutti, invece, stavano facendo i conti con loro stessi, lasciati soli come tanti piccoli nuclei solitari ad assemblare una nuova vita colma di quell'indipendenza che non aveva mai fatto parte delle loro esistenze.
« Zacky ti prego, ridammi quei bicchieri »
« No! E vattene, cazzo! »
Era questo quello che stava cercando? La battuta finale, l'ultimo scambio di parole, e poi più niente? Le luci si spengono e cala il sipario. Fine della rappresentazione.
« Sì, hai detto bene. Me ne vado, ma questa volta non torno..»
Vide lo sguardo di Zacky farsi improvvisamente serio, segno che era ancora abbastanza lucido da capire il significato di certe parole.
« Che significa? »
Eloyn stava crollando, aveva perso qualsiasi speranza. Pensava che facendo reagire Zacky sarebbe stata meglio anche lei, e invece ogni parola che lui le rivolgeva era come una pugnalata al petto. Si mise a piangere quando gli disse tutta la verità.
« Significa che ho un volo prenotato per Washington fra cinque ore, ed è un biglietto di sola andata...»
Zacky la guardò per qualche secondo dalla porta del corridoio, con ancora i suoi bicchieri in mano, sconcertato.
Sembrò pensarci su e poi scosse la testa, guardandola fisso negli occhi. Si voltò e sbatté la porta del corridoio dietro di sé, facendo cadere la chiave appesa allo spiraglio che emise un rumore sordo e fastidioso.
A quel punto Eloyn era già in lacrime e sull'orlo della pazzia. Prese la sua borsa del divano e si diresse verso la porta d'ingresso, ormai decisa sui suoi passi. Credeva anzi, ne aveva la certezza, che per avere certe cose ci voleva troppo impegno, troppa forza d'animo, e alla fine il gioco non valeva più la candela.
Posò le chiavi sul comò nell'atrio e si diresse in macchine. Sentì una fitta al petto quando mise in moto la macchina e si accorse che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quella casa, e quel volto.
Huntington Beach era stata il suo porto sicuro per la breve parentesi di un sogno, ma era tutto finito.

*

Eloyn sapeva che per annientare il dolore ci voleva altro dolore, ed era forse per quel motivo che si trovava davanti ai cancelli del cimitero comunale. Non era una cosa che amava particolarmente fare, ma quando si era accorta di averne bisogno, le sue mani sul volante avevano fatto tutto in modo automatico. Era passato del tempo dall'ultima volta che lo era andato a trovate – qualche giorno dopo al funerale, se ricordava bene -, e invece avrebbe voluto farlo più spesso.
Realizzò che sarebbe stata probabilmente la sua ultima chance di essere accanto a lui ed ebbe paura per la prima vera volta.
Quando fu davanti alla sua lapide ebbe un tremito strano, e oltre a tutti i pensieri macabri che una scena come quella poteva far scaturire, sentiva come un moto di onde che la spingevano via di lì. Non era un sentirsi respinta, quanto un sentirsi incoraggiata.
Fissò ripetutamente il volto impresso sulla lapide, e decise di volerlo ricordare così, sorridente, e come l'unica persona in grado di curare gli altri. Una sensazione di benessere le si installò nel cuore, e ad un tratto si sentì sollevata, come se un grande macigno le si fosse tolto dal petto.
Prese il cellulare e chiamò Johnny, l'unica persona con cui desiderava parlare in quel momento.
Il cellulare emise due squilli.
« Ehi, El.. »
Ed era proprio quella finta enfasi da cui voleva allontanarsi.
« Johnny, devo dirti una cosa »
« Certo, dimmi tutto.. »
« Me ne sto andando »
« Cosa? Ma dove? »
« Non lo so, via da qui. Per adesso vado a Washington dai miei, poi non so.. ti ho chiamato solo per dirtelo, ecco, mi sembrava giusto avvertirti »
« Sembra stupido dirlo, ma sapevo che questa realtà era destinata a sgretolarsi.. »
« Sì, mi dispiace.. »
« Tornerai, ne sono certo.. »
« Ne sono certa anche io »
« Allora chiama quando deciderai di farlo, la porta è sempre aperta »
« Grazie »
E interruppe la comunicazione.
Torno in macchina e aspettò qualche secondo, poi accese e partì senza chiedersi niente di più; senza chiedersi perché nessuno di loro faceva niente per interrompere l'avvenire dei fatti; senza chiedersi perché stava partendo; senza chiedersi ancora una volta se alla fine ne fosse valsa la pena. Aveva ogni singola risposta, ma stentava ad ammetterle anche a se stessa.

*

Camminava con le braccia strette al petto così forte che le premevano sullo stomaco, forse per paura di perdere se stessa mentre perdeva qualcosa di più importante. Quando sentiva una parte di sé lasciarla ad ogni passo che compiva, sapeva che Zacky avrebbe sempre fatto parte di lei.
Aveva paura che andando via da li, decidendo di arrendersi di nuovo, avrebbe sentito quel vuoto dentro di cui aveva sempre avuto una fottuta paura; il gelo arido che avrebbe padroneggiato nel suo sterno.
Passò accanto ad una delle tante edicole dell'aeroporto cercando di distrarsi mentre aspettava che annunciassero il suo volo, e il suo sguardo cadde subito sulla copertina di un giornale di musica, e maledisse il fato o qualsiasi Dio per averglielo fatto notare.
“Zacky Vengeance degli Avenged Sevenfold rilascia un'intervista inedita poco dopo la morte del batterista Jimmy 'The Rev' Sullivan”, recitava il giornale. In copertina il mezzo busto di Zacky la guardava con quella luce negli occhi che prima c'era e adesso no.
Poco realistica, pensò. Quella foto era stata scattata molto tempo prima che tutto avvenisse, e ricordava ancora quella giornata. Ricordava che il fotografo ce l'aveva con Zacky perché non riusciva ad essere naturale, e allora Eloyn si era messa qualche metro più dietro così che Zacky potesse vederla. In definitiva, il sorriso che compariva su quella copertina era la riprova che Zacky non era mai riuscito a fare il serio davanti alle facce buffe di Eloyn, nonostante sostenesse fieramente il contrario. Avevo ragione io, si disse.
Poi c'era stato il giorno dell'intervista, e anche quello se lo ricordava bene. Non che si parlassero molto in quel periodo, ma la rabbia e la paura che aveva provato Zacky le aveva sentite anche lei, di rimando. Nonostante tutto, era stato un giorno come un altro, come tutti quelli che erano passati. Un intervista in più non gli avrebbe sconvolto l'esistenza in quel periodo, piatto e grigio come tutto il resto.
Si soffermò ancora un po' su quell'immagine. Squadrò la sua postura: braccia conserte e volto fin troppo gioioso. Cercò di catturare tutto di quella copertina, come se fosse la sua ultima opportunità di vederlo.
Fece scorrere lo sguardo su quei tatuaggi che conosceva tanto bene, e improvvisamente le vennero in mente tutte le notti passate a studiarli, a studiare quella pelle, le linee irregolari e morbide, i colori sgargianti sopra i quali tante volte si era distesa; la sua pelle bianca contro quella di Zacky. Ricordava la strana sensazione di quando sfiorava i tatuaggi di Zacky con la pancia e ne sentiva i contorni, era una sensazione che le aveva sempre fatto venire i brividi. A quel pensiero chiuse gli occhi e cercò si scacciarlo via, ma esso non azzardava a muoversi di li, riviveva quei momenti ancora nitidi nel suo cervello, emozioni troppo forti da poter ignorare.
In pochi secondi aveva già il groppo in gola e lo stomaco sottosopra. Ancora non poteva credere di starsene andando via da quella vita che aveva sempre amato. Ma anche lei sapeva che infondo sono queste cose che compongono la nostra esistenza, e anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato troveremo sempre qualcosa su cui aggrapparci.
Eloyn prese la rivista dallo scaffale e la pagò alla cassa. Sapeva che stava sbagliando, ma per lei quell'appiglio erano le poche immagini e i pochi ricordi che aveva di lui.
Ricordava di aver avuto un passato mai vissuto. C'era stato un tempo, quando era molto piccola, di cui non aveva più ricordi, e chi poteva sapere se fra molti anni avrebbe dimenticato tutto di quegli attimi. E avrebbe voluto dire tanta sofferenza per niente, tante lacrime sprecate per poi dimenticare, e si disse che non poteva permetterselo, anche se quella sua presa di posizione avrebbe comportato rimanere agganciata ad una realtà i cui non faceva più parte, ormai.
Strinse a sé la rivista come se non ci fosse niente di più bello al mondo. E non c'era niente di più bello al mondo di Zacky. Niente che sarebbe stato in grado di sorreggerla se mai fosse caduta. Niente come il suo sguardo, niente come il suo carattere. Niente come il suo modo di sussurrarle “ti amo” in ogni momento utile. Niente come era solo lui al mondo. E sapeva per certo che la sua vita sarebbe valsa niente senza lui e senza Huntington Beach.
Persa nei suoi pensieri ebbe un sussulto quando una fredda mano le si posò sul braccio.
« Eloyn.. »
La prima cosa che pensò quando sentì quella voce fu che doveva stare veramente male per immaginarsi certe cose, ma non poté davvero credere ai suoi occhi quando si voltò e vide Zacky guardarla con quei soliti occhi da cane bastonato che le faceva quando aveva fatto qualcosa di sbagliato e voleva farsi perdonare, anche se quella era un'immagine un po' più malandata e martoriata.
« C-cosa ci fai qui...? »
Una lacrima le stava scendendo velocemente su una guancia e se la asciugò subito con la manica della felpa.
Zacky la guardò negli occhi come se avesse paura di non poterla più avere indietro. Ma era stato solo quando Johnny si era presentato a casa sua aprendogli gli occhi e tirandolo su da quella merda che aveva capito davvero che non ne valeva la pena, e che Jimmy non avrebbe voluto niente di tutto quello. Che si meritava di meglio da quello schifo di vita, e quel meglio di chiamava Eloyn Mayer, e stava proprio lì davanti ai suoi occhi.
Studiò il contorno del suo volto spento prima continuare. Aveva i capelli raccolti in una coda posticcia e qualche ciuffo le scendeva lentamente lungo il collo e lungo il viso, e Zacky non poteva capacitarsi di come riusciva ad essere semplicemente perfetta nonostante tutto.
« Sono stato un deficiente, perdonami se puoi... »
Era come aggrapparsi a qualcosa che non c'era realmente, come quella rivista. Era come tornare a respirare l'aria buona. Era come tornare a vivere dopo tanto tempo.
Si gettò tra le braccia di Zacky stringendogli la stoffa della camicia così forte che per un attimo ebbe paura di strapparla. Scoppiò a piangere come se finalmente ne avesse diritto, e si senti quasi una bambina quando cominciò a singhiozzare vistosamente.
Zacky la strinse a sé con tutta la protettività che gli era stata concessa, pensando, tra sé, che una creatura fragile come era Eloyn non meritava tutto quello. E la amava ancora più di prima solo per essere riuscita a sorreggere tutto quel peso in una volta sola. Ed è inutile dire che anche lui pianse per quella gioia ritrovata.
« Ti amo Eloyn »
Eloyn non rispose ma si limitò a stringerlo ancora più forte, sperando solo che non fosse un sogno dal quale si sarebbe dovuta risvegliare.
Non disse niente per paura di rovinare tutto, perché aveva capito che certi rapporti sono troppo fragili per rischiare di essere mandati in fumo, e che a parlare troppo a volte ci si fa del male senza rendersene conto.
Ma alla fine di tutto, il resto non conta niente quando perdi tutto ciò che hai, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ma troverai sempre un modo per tirarti su dalla merda in cui sei caduto. Un appiglio che può essere una stupidissima rivista – come quella che Eloyn aveva lasciato cadere atterra poco prima – o più semplicemente la persona che ami. Perché l'amore è una cosa più facile di quel che ci si aspetta. E' un po' come fare 2+2, ma basta davvero poco per mandare tutto a puttane e rischiare di perdere il treno di una vita.
Ma ci sono anche casi, come quello, in cui il treno, stranamente, passa due volte, e allora tu non puoi fare altro che approfittarne e continuare a vivere il tuo piccolo sogno come se niente fosse successo, e riuscire anche a perdonare qualsiasi errore sia stato fatto, perché per una dannata volta, ne va della tua stessa felicità.

*

Note. Un grazie immenso a tutti quelli che hanno letto o recensito recensito l'ultimo capitolo, in particolare HelixDeath e Vans Vengeance.
I ringraziamenti sommativi li lasciamo per l'epilogo che verrà pubblicato il prima possibile, ma comunque mi sento in dovere di iniziare a dire Grazie in particolare ad Alessia (Keiko su EFP), per le bellissime “chiacchierate”, i mille consigli di grafica/scrittura e vita, a Silvia (Lady Numb) perché è una tragedia vivente, a Lucrezia (BBBlondie) perchéssipuntoestop e aSimona (Arimi_chan)perché è stata la prima in assoluto a recensirmi qui su EFP. Grazie a tutte per avermi sopportato sempre e comunque, chi all'interno e chi all'esterno della fanfiction. Siete fantastiche, ragazze!
E adesso mi sento che devo morire perché sembrava una lettera di addio! XD
Comunque grazie a chi vorrà recensire anche questo ultimo capitolo.


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Capitolo 19
*** Epilogo - Memorie di spettri ***


Avvertimenti: Questo è l'epilogo, non ho davvero niente da dire.

*

Aveva chiamato Johnny poco prima, per dirgli qualcosa – non sapeva nemmeno lui cosa –, stava cercando una scusa qualsiasi per sentire la voce di un amico. Avevano parlato un po' del più e del meno, quando entrambi sapevano che lo facevano solo per non affrontare la realtà dei fatti e sbattersi in faccia le porcate che erano successe. Come se esistesse una legge non scritta che impedisse loro di parlare di qualcosa di davvero rilevante.
« Eloyn se ne torna a Washington e Zacky la sta andando a recuperare..»
« Cosa ti aspettavi, che l'avrebbe lasciata andare così? »
« A dire la verità mi aveva quasi convinto con la sua sceneggiata da ubriaco folle »
« Sei ingenuo, Johnny. Quella ragazza gli ha fuso il cervello... »
« ... »
« ... »
« Tu invece come stai? »
« Di merda »
C'era stato un bacio, un piccolo e insignificante bacio poi più niente. Michelle non si era fatta più senitre, e nemmeno Brian aveva accennato a volerla chiamare. Si era convinto che non erano ancora pronti, che non ce l'avrebbero fatta ad affrontare le raffiche di vento fino alla fine della tempesta. Si era detto che quello non era ancora il loro momento, pur di non tuffarsi a picco in una realtà che poteva prospettarsi un po' più crudele di quel che si era sempre immaginato. E' inevitabile: in certi casi l'unica cosa che ti viene nturale è cercare di stare a galla più tempo possibile, ma poi arriva il momento di fare i conti con ciò che sta sotto e che cerca di portarti giù nell'abisso.
Nella sua testa, tra tutti i pensieri più contorti, soggiornava quell'idea un po' insana che lo avrebbe visto affogare rovinosamente se solo avesse lasciato avvicinarsi Michelle alla sua vita. Per fortuna e nonostante tutto, sapeva bene che non era così.
« Chiamala, Brian, vai da lei. So cosa stai facendo: ti stai chiudendo in te stesso cercando di respingere indietro il mondo, ma nella vita non funziona così, bisogna alzare la testa e affrontare qualsiasi sfida ci si pari davanti, prendere il toro per le corna e farlo andare dove vuoi tu.. Non hai più niente da perdere. »
« E tu, Johnny? Cos'hai da perdere, tu? »
Già, cos'aveva da perdere? Passava il tempo a dispensare ottimi consigli a destra e a manca, ma della sua vita non ne faceva niente. Cos'era che voleva realmente? Silvie era ciò che voleva. Una vita che potesse finalmente tornare ad essere quella di prima, seppur con qualche ammaccatura. La tranquillità di poter chiamare quel posto di nuovo casa.
Il suono sordo di un messaggio in arrivo gli rimbombò nell'orecchio.
« Ti devo lasciare, mi è arrivato un messaggio »
Chiuse la conversazione e aprì il messaggio.

From: Silvie. To: Johnny. - H 4:32 p.m.
Sai, fuori piove. Non è che verresti ad aprirmi?

Per poco non gli prese un infarto quando lesse quella frase. Lascio che il cellulare gli cadesse di mano e corse verso la porta d'ingresso. Quando la aprì vide Silvie con qualche valigia in mano guardarlo con il volto più preoccupato del mondo. Era completamente bagnata e continuava a pioverle in testa. Anche in quelle condizioni, Johnny si disse che era sempre bellissima.
« Puoi perdonarmi? »
Johnny non rispose. Semplicemente la abbracciò con tutta la carica che aveva in corpo e la sollevò da terra, e sentì la pioggia battergli forte addosso.
Le diede il bacio più desiderato della sua vita, quello più atteso e anche il più bello.
Rimasero lì per qulache secodo prima di accorgersi di essere entrambi bagnati. Johnny si voltò tenendola per mano e la condusse fino all'ingresso di casa. Sentiva la sua presenza alle spalle, forte come non mai, e decise che da lì in poi non sarebbe importato niente di cosa sarebbe successo. Erano lì, in quel momento, e il resto del mondo poteva aspettare

*

Quando Brian chiuse la comunicazione con Johnny si sentì un emerito cretino. E poi, il piccolo Johnny ci prendeva sempre. Cosa ci stava facendo lì? Cosa stava aspettando, appesaoad un filo nel vuoto?
Riprese il cellulare tra le mani e compose il numero di Michelle, aspettò qualche secondo e dopodiché una fastidiosa vocina lo avvertì che il cullelare era spento o non ragiungibile. Gli tremavano le mani e sentiva come una forte pressione al cuore. Tuttavia, essa poteva essere un nonnulla in confronto alla centrifuga di emozioni dalla quale stava, lentamente, uscendo.
C'era stato qualcosa, tra loro, qualche giorno prima, qualcosa che assomigliava molto a quell'amore di sempre, quello che tutti sembravano aver dimenticato ma che nessuno dei due aveva il coraggio di eliminare. E se quel qualcosa c'era davvero stato, se non era solo una sua stupida fantasia, che senso aveva aspettare un segno del destino? Prendere il toro per le corna e cambiare la propria vita come vogliamo.
Prese le chiavi dell'auto e si diresse fuori, girò la chiave nella toppa - una, due volte - e poi ci rinunciò. Era petetico, sembrava di stare in un film in stile anni 2000, quando l'originalità aveva iniziato a mancare. Sbatté  violentemente una mano sullo sterzo e si maledisse del gesto fatto qaundo essa cominciò a pulsargli. E a quel punto si era sentito così tanto un verme che non gli importava più niente, magari avrebbe giocato anche la carta della compassione.
Scese dall'auto e iniziò a correre più forte che poteva, sotto quella pioggia che poteva significare un miliardo di cose. Sotto quella pioggia che quasi gli sembrava Jimmy che lo toccava, sferzante, sul volto. Corse ancora più veloce con tutta la rabbia che aveva in corpo mentre le sue lacrime si confondevano con le gocce di pioggia. Corse finché non arrivò a casa di Michelle e si attaccò letteralmente al campanello, ansiamndo per la fatica. Doveva avere davvero un brutto aspetto, vista la faccia di Michelle quano lo vide.
« B-Brian? Ma che ci fai qui, completamente bagnato? »
« Ascolami bene. Mi sono appena fatto sette isolati a piedi perché il tuo maledettissimo telefono è staccato e la mia fottuta macchina ha deciso di abbandonarmi proprio oggi. E l'ho fatto solo per dirti che ti amo.
Jimmy è morto, tu mi hai lasciato e la mia vita non ha più senso. Non ho più niente da perdere ma qualcosa da poter guadagnare... quella sì. E quel qualcosa sei tu. E se avrò te allora la mia vita sarà completa, perché per me tu vali tutto, Michelle, tutto. Ti amo come non ho mai amato nessun'altra al mondo e farei di tutto per farti tornare da me. E quella storia di Chel- » venne interrotto da un leggero accenno di Michelle. Aveva aperto la bocca e sollevato una mano come a voler parlare, poi si era portata nervosamente l'altra mano alla bocca e ci aveva ripensato. Lo guardava con un espressione tra il sorpreso e lo sconcertato. Con la bocca semi aperta e le lacrime agli occhi e il respiro bloccato.
« Io.. io.. non so che dirti,  Bri.. » rispose accennando a dei vaghi sorrisi ad intermittenza.
« Dimmi che mi sposerai » replicò lui, prendendole le mani.
Michelle ebbe un sussulto per il contrasto tra caldo e freddo.
« Io, io credo.. di sì.  »
Tutta l'adrenalina che Brian aveva in corpo sembrò sprigionarsi in quel momento. Fece un passo avanti e le prese il viso tra le mani baciandola lentamente, come a non voler fare troppa confusione e tornare al punto di partenza.

A qualche isolato di distanza l'ultima dei sopravvissuti camminava a passo spedito. L'ultima dei caduti di quelle macerie. E l'ultima che, malgrado le intenzioni, non era riuscita ad abbandonare Huntington Beach. Chesea era tornata, e si trascinava velocemente verso quella che poteva chimare casa sua, sperando con tutta se stessa che Eloyn non avesse deciso di cambiare serratura per la rabbia. Si trascinava appresso quella valigia troppo piccola per contenere una città intera. E poteva giurare di aver provato davvero a dimenticarti il mare della California, ma era stato tutto inutile. Quello spazio che non c'era, in quella valigia, non lo avrebbe mai potuto abbandonare.

*

Era quello che gli era sempre mancato: stare lì difornte ad un mare di persone che cantavno le sue canzoni; e correre su e giu per il palco come un bambino agitato; e fondersi con la stessa musica che gli era uscita dal cuore la prima volta che aveva preso in mano uno strumento, diventando, insieme ad essa, un'unica cosa. Un prodotto magnifico il cui solo scopo era quello di farlo sentire bene.
Nonostante questo, tutto quello che era sucesso dopo – la loro vita che riprendeva il lento scorrere di sempre, le azioni quotidiane e di seguito quel tour europeo e tutto il resto – era di una stranezza inaudita. Torni a fare cose che pensavi ormai finite, con mille tasselli di colore diverso rispetto allo sfondo. Era come se qualcuno si fosse sbagliato e avesse completato il puzzle della tua vita con i pezzi di una vita diversa, poi ti svegli e ti ricordi che tutto è esattamente come deve essere. E con il tempo impari anche a capire che quei pezzi, anche se stonano, sono sempre meglio del vuoto, e ti concentri su quello che invece è in perfetta armonia.
Facendo un resoconto veloce della sua vita, Zacky aveva capito fin troppe cose: che le persone sono dannatamente fragili e che il mondo è un posto troppo violento da abitare, ma anche che ormai erano lì, tutti sulla stessa barca, e tanto valva dimostrarsi all'altezza; che le persone cambiano e tu nemmeno te ne accorgi, e non ti resta che subirne le coseguenze; e che ci sarebbero mille motivi per soffrire, ma se li sommi tutti insieme capisci che in realtà non ne vale la pena.
Il problema, fin dall'inizio, era stato che Jimmy non poteva essere maggiormente coinvolto nella musica. Per un musicista, questa era la cosa peggiore che poteva capitarti. Perché se prima avevi la tua valvola di sfogo, il tuo modo di incanalare le emozioni, dopo una cosa del genere rimani semplicemente solo e perso, come se la tua vita fosse d'un tratto un labirinto in cui non sei abituato a vivere. E tutto assume un significato profondo molto diverso da quello che ricordavi, molto più grigio del solito.
Il dolore che si prova a riprendere in mano una chitarra è una cosa che può provare solo che c'è dentro, e nessuna parola in eccesso può descrivere bene quella sesazione. Perché per la prima volta nella sua vita, Zacky si era sentito tradito dall'unica cosa che non doveva farlo, la musica - che continuava imperterrita a far scorrere nella sua testa scene di vita quotidiana che gli erano così familiari - ed era una sensazione che non avrebbe mai augurato a nessuno.

*

Zacky P.O.V

Il concerto è finito da qualche minuto e come sempre sono convinto di aver dato il massimo.
Ogni concerto mi sorprende da quando abbiamo ricominciato a suonare, e la carica dei fan è sempre impagabile. Per la prima volta, da quando il tour è iniziato, ho sentito di aver ritrovato nel palco quella familiarità che pensavo persa senza Jimmy; il piacere di suonare e scatenarmi, questa volta, però, con il sorriso sulle labbra.
Poco dopo l'uscita di Nightmare abbiamo rilasciato anche la canzone che avevamo ritrovato sul foglietto a casa di Jimmy. Il contributo di Val è stato essenziale per arrangiare le varie parti in maniera più fedele che mai al volere di Jimmy.
Abbiamo ricominciato a fare concerti quasi subito – avevamo capito che infondo l'unico modo per andare avanti era ricominciare a fare ciò che ci riusciva meglio, - e alla fine non ci siamo pentiti della scelta fatta. Abbiamo iniziato un tour europeo al fianco di milioni di batteristi sempre diversi, e a nessuno di noi importava davvero chi ci fosse seduto su quella batteria, se non era Jimmy.
C'è stato un momento, dopo che le cose si erano stabilizzate, in cui abbiamo superato un confine immaginario dopo il quale abbiamo capito che le cose potevano solo migliorare o rimanere le stesse. Abbiamo toccato il fondo tutti insieme, aggrappandoci alle spalle di chi ci era vicino e trascinadolo inevitabilmente giù con noi.
Credo che Matt sia stato il primo a rendersene conto, quando capì che ogni suo atteggiamento influenzava Val e in qualche modo la faceva peggiorare. Ed è li che ha deciso di rialzarai e combattere, e lo abbiamo seguito tutti. Sotto questo velo di eroismo, tutti sappiamo che il merito è stato unicamente di Val. Lei è sempre stata quella forte, tra i due. Se davano retta a Matt si erano già lasciati da qualche anno buono, e quando sembrava aver ceduto, si era rialzata e aveva fatto il culo a tutti, come sempre. Sembra quasi che abbia imparato a vivere anche senza Matt, ora che Jimmy non c'è più. E' più indipendente. Riesce a venire fuori meglio ed è più spontanea, e sono sicuro che questo faccia parte dell'effetto Sullivan, perché uno come lui non poteva andarsene senza lasciare qualcosa di buono dietro di sé. E infatti qualcosa di buono ha lasciato ad ognuno di noi.
Vedete, le storie d'amore, quando l'amore è vero, per il 90% dei casi vanno a finire bene. Ed è stato per questo che mentre io andavo a salvarmi la vita, in quell'aereoporto, Brian si è fatto ben sette isolati a piedi sotto la pioggia. Così del disastro con Chelsea è rimasto solo il ricordo di una vecchia vita, quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, e dalla quale siamo usciti più forti. Anche Silvie e Johnny sembrano andare bene insieme.  Non dico che si sposeranno, ma Eloyn continua a dire che non ha mai visto sua sorella così felice come quando è con lui, e non stento a crederle. Alla fine anche lei si è lasciata ammaliare dal fascino della California, le ci è voluto solo un po' per assimilare la morte di Jimmy.
L'unica che credo non stia ancora troppo bene è Chelsea. Avea accennato a volersi trasferire, ed era anche partita, sembrava molto convinta. E invece poi è ritornata qausi subito, sconfitta dal senso di colpa e dalla rabbia, con il volto celato dietro a quel velo di rassegnazione che le segna tutt'ora gli occhi con una leggera ombra scura attorno. Non fa molto, nel senso che non vive molto. Passa la maggior parte del tempo a piangersi addosso accanto a Jimmy. Eppure è solo in quei momenti che puoi senitre il suo cuore battere ancora. Se la vedi aggirarsi nei pressi del cimitero con un libro sottobraccio o con le cuffie alle orecchie, allora puoi avere la possibilità di vederla sorridere, a volte. Ma quando ci parli ti accorgi della sua insormontabile sofferenza in ogni singola parola che esce dalla sua bocca. Sinceramente stento  credere che si riprenderà come ha fatto Eloyn. A lei viene tutto facile se la paragoni ad una come Chelsea, che è fragile e indifesa.
Chelsea ha amato Jimmy con tutta se stessa, corpo e anima, anche se per poco tempo. E infatti riesce a capirci bene, lei, a noi che ci siamo cresciuti.

E poi ci siamo noi, e non faccio in tempo a pensarci che sento il cellulare squilarmi nella tasca dei jeans e faccio appena in tempo e trovarlo e a leggere il nome sullo schermo. Rispondo e vado fuori dallo stabile dove alloggiamo.
« Hey »
Tengo il cellulare tra l'orecchio e la spalla mentre cerco in tasca il pacchetto di sigarette e me ne accendo una.
« Hey »  risponde Eloyn.
« Come stai? »  le chiedo, serio.
E' un mese che non la vedo e può sembrare poco tempo, in realtà senza di lei un mese può durare un'eternità.
Da quando la situazione si è stabilizzata siamo tutti un po' più sereni, per quello che le condizioni ci permettono. Ma stare lontani ormai è diventato troppo pesante. Perché lei c'è stata quando piangevo sulla tomba di Jimmy, a sorreggermi, a dirmi "ce la puoi fare, puoi andare avanti". Non so, ma credo che senza di lei io sarei un uomo morto. Sarei diventato matto, senza ombra di dubbio. Perché per quanto posso essere stato cretino o posso aver sbagliato; per quanto la morte di Jimmy mi abbia cambiato, lei c'è sempre stata. Sempre.
« Bene, ma mi manchi »
Parla piano, Eloyn, ed ha il tono di voce troppo debole per i miei gusti.
« E' successo qualcosa? »
« No »
E mi piace anche perchè è così, bisogna tirarle fuori le parole di bocca per farla parlare.
« Eloyn, ti conosco troppo bene ormai. Che c'è che non va? » che tira su col naso e mi si stringe il cuore a sentirla così.
« E' che mi manchi. Questa città è vuota senza di te. » un sospiro di sollievo perché so che questa è l'ultima data del tour europeo.
« Domani torno. Massimo dopodomani sono di nuovo in casa ad assillarti. »  ironizzo cercando di farla setire meglio. Abbiamo iniziato a convivere da una settimana dopo la scena all'aereoporto. Eravamo entrambi convinti, e lo siamo tutt'ora, che stare insieme ci avrebbe aiutato ad andare avanti a piccoli passi, e così è stato. Perché lei è diversa dalle altre, perché mi ha visto crescere come nessun'altra aveva mai fatto.
Lei accenna una risata, ma si sente chiaramente che ha pianto, almeno un po'.
Mi siedo atterra con la schiena appoggiata al muro e inspiro un tiro dalla mia sigaretta.
« Non sarai mai assillante, lo sai. »
« Giuramelo »  Sorrido.
« Te lo giuro »
« Mi manchi anche tu »
E immagino i tratti del suo volto. Le sopracciglia corrugate mentre cerca di imparare a suonare la chitarra che lo ho regalato per il suo ultimo compleanno, due mesi fa.
Ci ripenso e mi torna in mente la tristezza che ha avvampato ogni momento felice della nostra esistenza dalla morte di Jimmy. Penso anche che non sarà così quando tornerò. Non perchè la situazione sia cambiata – perché sono sicuro che la voragine al petto rimarrà ancora aperta a lungo, forse per sempre – ma perché sono io ad essere cambiato. E' come quando piangi e sfoghi tutta la tua rabbia e quando hai finito ti senti leggero e privo di qualcosa di negativo che prima ti tormentava, ti senti sollevato, non bene, ma sollevato. Così mi sento anche io, come dopo un lungo pianto, durato quasi un anno. Ma so che da oggi, dopo quest'ultimo concerto, Jimmy sarà solo la presenza costante nella mia vita, che mi accompagnerà e mi aiuterà ad andare avanti invece che tenermi bloccato nel passato.
« Come va con la chitarra? »
« Senza di te, davvero un disastro »
« Ma il padre di Brian che fine ha fatto? »
« Ci siamo stufati! Lo sai come siamo fatti, come siamo caratterialmente uguali e di conseguenza incompatibili. Siamo arrivati ad un punto che non ci sopportavamo più. »
Rido immaginandomi la scena.
« Povero Brian! »
Lei fa la finta incavolata e se la prende con me.
Continuiamo a parlare per quasi tutta la notte. Perché non riuscirei a dormire sapendo che domani torno da lei. E mi racconta un po' tutto quello che ha fatto in quel mese. Tutto quello che le telefonate rubate tra un concerto e l'altro non mi hanno concesso di sapere. E capisco di aver trovato qualcuno su cui contare per il resto della mia vita. Capisco di amarla più della mia stessa vita.
« Ti amo »
Le dico guardando l'alba sorgere. Da lei sarà appena sera.
« Sto guardando il tramonto dal balcone »
E' sempre stato il nostro momento, il tramonto sul balcone.
« Io l'alba »
E posso far finta che quest'alba sia un tramonto, anche se i due non si assomigliano per niente. E allora, quest'alba diventa un tramonto diverso, un tramonto freddo perché non c'è lei a scaldarlo. Ma per la prima volta nella mia vita, quest'alba per me non lo è affatto.
« Ti amo.. »  sussurra lei.
So che sta sorridendo come fa sempre ogni volta che lo dice. Con quel sorriso capace di bloccarlo, un tramonto. Che se solo volesse potrebbe distruggere l'universo.
« .. più della mia stessa vita »  concludo la frase al posto suo.
E alla fine cosa ci resta?
Flebili memorie di spettri del passato.
Quel bagaglio che ci porteremo dietro per l'eternità.

*

Note. E siamo quandi giunti alla fine. Posso solo dire che ora che ho concluso la mia prima fanfic sono certa che mi rimarrà nel cuore per sempre. Magari fra quache anno la rileggerò e mi renderò conto di quanti errori gramaticali ci siano, tutti quelli di cui non mi sono accorta.
Come sempre, sento di dover ringraziare chi ha recensito, anche una volta sola, e chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui.
Il grazie più grande va a gli Avenged Sevenfold che mi hanno "avviata" al mondo della scrittura. Se non fosse stato per loro non avrei preso niente di tutto ciò davvero sul serio.
Perciò, se volete commentare qualcosa, questa è la vostra ultma opportunità di farlo, e non so perché questa frase suoni molto come una televendita. XD
Un bacio immenso a tutti e per chi fosse interessato, sto scrivendo una nuova fic sulla sezione Paramore. La trovate qui.

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