Demolition Lovers~ (i'm not dead) di itsjjoy (/viewuser.php?uid=118631)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** verse 1: in this tug of war you’ll always win, even when I’m right. ***
Capitolo 2: *** chorus: how do you feel in the morning when it comes and everything’s undone? ***
Capitolo 3: *** verse 2: I'm lyin' here, on the floor, where you left me, I think I took too much. ***
Capitolo 4: *** chorus: it's like one of those bad dreams, when you can't wake up. ***
Capitolo 5: *** bridge: I'm not asleep, but I'm not awake, after the way you loved me. ***
Capitolo 6: *** coda: I might have not been clear to say I never looked away, I never looked away... ***
Capitolo 1 *** verse 1: in this tug of war you’ll always win, even when I’m right. ***
demolition
lovers ~
I’M NOT DEAD
Disclaimer:
I
protagonisti non mi appartengono (già, che peccato, eh?)
fatta
eccezione per un OMC che poi incontreremo più avanti *si
tappa la
bocca in fretta per non fare spoiler*...
Quindi dicevamo?
Oh,
sì, ecco, Adam, Tommy e Isaac non mi appartengono, non li
conosco,
né so cosa fanno dalla mattina alla sera, non li spio mica
con le
telecamere..!
*controlla
lo schermo con le telecamere spia e cinguetta* OH! AMOREGGIANO! Che
cari.. *torna a guardare i lettori* Noo, non è come pensate,
è il
Grande Fratello! *sorride innocentemente*
Oh, e non ci guadagno
nulla scrivendo questa roba!
Nota:
Questa
storia è una mia interpretazione tutta personale della
canzone ‘I’m
not dead’ di P!nk, e ho cercato di rappresentare
e spiegare
il mio
modo di percepire ogni parola del testo. Ovviamente il tutto dal PoV
di Tommy, perché ho una certa ossessione
per
quest’uomo.
Mi
scuso per l’infinita depressione che questa storia potrebbe
causare, ma ehi, che gusto c’è a scrivere senza
neppure un po’
di angst?
Ho
diviso la storia in cinque parti che, dopo un lunghissimo periodo di
indecisione, ho deciso di postare separate; ognuna è una
strofa
della canzone e vi ho abbinato una frase tratta dal testo di
un’altra
canzone, che funge da titolo della ‘parte’. Tutte
queste canzoni
fanno parte della piccola playlist che mi ha ispirato la storia, ve
le consiglio tutte, anche perché ovviamente sono tra le
più
ascoltate del mio iPod.
VERSE 1:
in
this tug of
war you’ll always win
even
when I’m
right.
There's
always cracks,
crack
of sunlight,
crack
in the mirror, or on your lips.
It's
the moment of a sunset Friday
when
our conversations twist;
It's
the fifth day of ice on a new tattoo,
but
the ice should be on our heads.
We
only spun the web to catch ourselves,
so
we weren't left for dead.
And
I was never looking for approval
from
anyone but you,
and
though this journey is over
I'll
go back if you ask me to...
~
Tommy
sospirò e osservò una piccola parte del proprio
riflesso in uno dei
frammenti dello specchio rotto, che giacevano sparsi disordinatamente
sul pavimento del salone. Assieme a loro, i cocci di un vaso e
l’acqua e i fiori che quest’ultimo conteneva prima
di finire
infranto sul pavimento. Tommy osservava le proprie labbra nel piccolo
pezzetto triangolare di vetro quasi come se da un momento
all’altro
avesse potuto vederle muoversi indipendentemente da lui e dirgli
qualcosa. Ovviamente non accadde nulla.
Sospirò
ancora, guardandosi intorno alla ricerca di una sigaretta. Una
sigaretta. Possibile che non avesse una sigaretta? Sì, okay,
era
possibilissimo che non ne avesse, non fumava. Ma, insomma, quella era
un’eccezione! (Una delle tante.)
Be’,
ne sarebbe andato a prendere un pacchetto più tardi. Ora
doveva
ripulire quel disastro. Ma il solo guardare tutti quei cocci sparsi
per terra gli ricordava il motivo per cui erano lì e lo
lasciava
paralizzato. Era seduto nella stessa posizione, per terra, da quelli
che gli sembravano secoli, e fissava il pavimento e quei cocci e i
resti dello specchio infranto. Non si muoveva da lì da
quando la
porta era stata sbattuta con violenza ed era calato il silenzio in
casa. Chissà quanto era passato. Sfortunatamente, nella sua
testa
c’era ancora un’indescrivibile caos, aggravato da
un dolore tanto
persistente che vi si stava quasi abituando. E poi rumore. Tanto
rumore. Come se tutti i pensieri, le frasi e i suoni che aveva
sentito quel giorno si ripetessero all’infinito nella sua
testa,
tutti insieme, tutti nello stesso momento.
Chiuse
gli occhi, prendendosi la testa tra le mani. Doveva calmarsi. Tutto
sarebbe andato per il meglio. E mentre respirava profondamente,
cercando disperatamente di cacciare indietro le lacrime, fra gli
spiragli tra le tende filtravano i sottili raggi di luce di un
soleggiato venerdì mattina come un altro, raggi che andavano
poi a
posarsi morbidamente sul pavimento e sul tavolino accanto a lui.
Delicati e morbidi. Indolori.
Un
singhiozzo soffocato, poi un altro ed un altro ancora.
Per
essere un soleggiato Venerdì mattina, faceva abbastanza
schifo.
Adam
lo guardò e scosse la testa.
“Ma lo capisci o no che non posso?
Non posso lasciarlo, Tommy!” La sua voce pareva esasperata.
Tommy
esitò a rispondere, ma alla fine tutta quella rabbia
repressa
esplose, prima ancora che lui riuscisse a trattenerla. “Non
ti ho
chiesto se puoi o no. Ho detto che devi!”
“Be’,
non posso. Cosa fai adesso, mi lasci?” Adam inarcò
un
sopracciglio, le labbra serrate, assottigliate in una smorfia di
rabbia e gli occhi puntati nei suoi, chiaramente alla ricerca di una
qualunque reazione alla sua provocazione. Era così
terribilmente
sicuro di sé, e il peggio era che poteva permetterselo.
“Potresti
almeno evitare di andarci
a letto?
Sai com’è, sei il mio
ragazzo.
Ami me,
non lui! Lui è quello di copertura, ricordi?”
Tommy aggirò la sua domanda ma non mancò di
rivolgerglisi duramente
e iniettando di veleno ogni singola parola.
“Quello
che faccio non sono cazzi tuoi.” borbottò Adam
poco convinto, e
visibilmente in colpa. Tommy si lasciò sfuggire un ghigno
soddisfatto. Eccolo là, il punto debole, il senso di colpa.
Rise
senza allegria.
“Ah,
no? E dimmi Adam, non sono cazzi miei quando ti presenti ubriaco qui,
a casa mia, dicendo che non ce la fai più, che lo odi e che
vuoi
stare solo con me? E non sono cazzi miei quando mi scopi? Non sono
cazzi miei quando mi dici che mi ami?” Tommy sentì
qualche lacrima
bagnargli gli occhi, ma non si fermò. “Non sono
cazzi miei quando
stai male e ti sto accanto mentre lui si gode i tuoi soldi e di te se
ne frega? Non sono cazzi miei neppure quelle volte dopo certi
terribili litigi, che torni da me e mi implori perdono? Oh,
sì,
capisco!”
Lo
sguardo di Adam guizzò da una parte all’altra
della stanza,
dovunque, ma non negli occhi di Tommy. Si soffermò sui fiori
che gli
aveva portato la settimana prima. Colpito
e affondato.
“Non
dovresti parlare così di Sauli.”
borbottò, continuando ad evitare
accuratamente lo sguardo del biondo.
“E
tu non dovresti scopartelo. Siamo pari.” Tommy non si
lasciava
sfuggire mai l’occasione di propinargli una risposta
tagliente e si
chiese per quanto ancora Adam avrebbe mantenuto la calma.
Adam
esitò prima di rispondere. Le labbra gli tremavano appena.
“Non è
cattivo. Mi vuole bene, Tommy.”
Tommy
rise di nuovo senza alcuna allegria.
“Adam,
non mi interessa. Non so se mi fa più schifo lui che va a
letto con
uno fidanzato o tu che mi tradisci.” O
se mi faccio più schifo io che non riesco a fare a meno di
un
cazzone come te.
La
mano di Adam tremava lievemente. Tommy si morse le labbra. Eccolo che
partiva. Era quello che aveva voluto, no? L’aveva provocato
per
godere della sua rabbia. Per sentire che aveva ancora potere su di
lui. Ma forse non era quello che voleva davvero.
“Perché
non provi per una santa volta a pensare agli errori che fai
tu?”
Adam fece una breve pausa e si decise a guardarlo negli occhi.
“Perché non la smetti di criticarmi e criticarmi e
criticarmi in
continuazione e provi , per esempio, ad essere più coerente?
Potresti anche evitare di dire che non vuoi venire a vivere con me
per nessun motivo al mondo quando te lo chiedo e poi cambiare idea
quando la settimana dopo decido di ospitare Sauli. Perché
non la
smetti di comportarti come un fottutissimo bambino
capriccioso?“
Tommy
non lo stette a sentire in silenzio. Non provò neanche a
mantenere
la calma. Bambino capriccioso, lui?
“Spero
tu stia scherzando, Adam.” Lo disse con una innaturale
tranquillità, ed Adam di tutta risposta scosse la testa con
decisione.
“Scherzando? No, sono serissimo.”
“Ah,
quindi io sarei un bambino capriccioso? Io?! Ti faccio presente,
Adam, che tu
hai tutto quello che una persona potrebbe desiderare.
Successo, soldi a palate, una famiglia che ti ama, degli amici
fantastici, dei fans accanitissimi e adoranti, milioni di persone che
ti amano alla follia. Hai me, il
tuo ragazzo,
Adam, e dici di amarmi e di voler passare la tua vita con me e io
voglio lo stesso. Eppure non sei mai contento! Mai! Ti scopi quel
Sauli e chissà quante altre persone per motivi che ancora
non riesco
a comprendere, ti lamenti della tua auto, della tua casa e del fatto
che hai continuamente impegni. Ed io sarei il bambino
viziato?”
Tommy
urlò quasi senza prendere fiato e alla fine lo spinse via:
non
sopportava di stargli così vicino, avrebbe voluto che
scomparisse e
la smettesse di fargli così male. Ma allo stesso tempo non
voleva
che andasse via. E non voleva dirgli neanche una delle cose che aveva
detto fino a quel momento. Forse erano vere, ma a lui non importava
quanti difetti avesse o quanti errori facesse, aveva bisogno di lui.
Non era che non volesse lasciarlo, semplicemente non ne era capace.
Tommy cercò disperatamente di riprendere il controllo, di
ricominciare a pensare e poi parlare, ma sapeva che chiedere scusa
non sarebbe servito. Dall’espressione di Adam capì
che neanche lui
cercava più di trattenersi. Capì che avrebbe
fatto esattamente
quello che il corpo e il cervello gli avrebbero ordinato di fare,
senza riflettere, senza pensare a cosa fosse giusto e sbagliato. E
capì che era troppo tardi per fare un passo indietro.
La
reazione di Adam fu improvvisa. Per una trentina di secondi dopo le
parole di Tommy, scese il silenzio. Furono trenta secondi
lunghissimi. Poi, Adam lo spinse, forte, più forte di quanto
avrebbe
voluto. Tommy non cadde per miracolo, e arretrò di qualche
altro
passo, verso la parete, con aria preoccupata, mentre l’altro
gli si
avvicinava con fare deciso. Non minaccioso, Adam non aveva mai
un’espressione minacciosa. Solo deciso.
“Sei
uno stronzo.” Adam sibilò quasi, incollerito.
Tommy
si guardò intorno e fece un altro passo indietro. Oramai era
praticamente appoggiato alla parete. Ma non si diede per vinto. Era
Adam a dovere chiedere scusa per come lo stava facendo sentire e per
come lo faceva sentire in continuazione, non viceversa.
“E
tu sei una puttana.” Tommy sbottò, guardandolo
negli occhi.
Neanche un briciolo di insicurezza gli si lesse negli occhi, mentre
lo diceva. Vide le lacrime riempire gli occhi di Adam e scivolare
lentamente lungo le sue guance, sentì il senso di colpa
attanagliargli lo stomaco e notò un’ombra di
rabbia negli occhi
del moro, improvvisamente cupi come non ricordava di averli visti
mai. Ma prima che potesse dire o fare qualcos’altro, Adam lo
spinse
con violenza contro il muro.
Tommy
sbatté la testa contro lo specchio che neanche si era
accorto fosse
dietro di lui prima di quell’istante, e che si
frantumò sotto il
violento impatto, mentre il dolore sembrava prenderlo ovunque e
da nessuna parte, e la testa gli girava orribilmente.
Scivolò a
terra, mentre cercava ancora di capire cosa diamine fosse successo.
La
prima cosa che fece quando riuscì a riaprire gli occhi fu
cercare
Adam con lo sguardo; lui era in piedi accanto alla porta
d’ingresso.
Lo stava guardando. Tommy aveva la vista vagamente offuscata e non
seppe dire se piangesse. Era tutto così assurdo,
paurosamente
assurdo, non aveva senso. Non era mai successa una cosa simile. Non
era da Adam.
Tommy
era spaventato. Non riusciva neanche a piangere. Era terrorizzato, e
sorpreso, sì, ma soprattutto, era deluso. E sapeva che non
avrebbe
avuto bisogno di dire quanto lo fosse, perché era certo che Adam
glielo
avrebbe letto negli occhi. In quel momento, Tommy sperò che
i propri
occhi, e la delusione, la paura, la confusione, il dolore che provava
in quell’istante, avrebbero tormentato la coscienza di Adam
per
sempre. Era crudele, lo sapeva, ma era l’unica cosa che
poteva
sperare. Oramai Tommy era certo che il senso di colpa era
l’unica
cosa che gli permetteva di tenere Adam con sé: il cantante non voleva
ferirlo e
allora trascinava avanti quella relazione che non voleva più.
Tante
volte se ne era andato, ed era sempre tornato. All’inizio,
Tommy
era convinto che tornasse perché lo amava, anche se, con il
passare
del tempo, aveva iniziato a dubitarne, un po’ alla volta; ma
non
aveva mai abbandonato la speranza. In fondo erano fatti l’uno
per
l’altro!
“Non chiamarmi, non mandarmi messaggi, non cercarmi.
È finita, okay?” la voce di Adam interruppe di
colpo le sue
riflessioni, improvvisa e violenta come uno schiaffo in pieno volto,
e dolorosa come un trapianto di reni senza anestesia. Adam era
esitante, aveva il fiatone e lo sguardo basso, i pugni stretti,
sembrava ancora così pieno di rabbia.
Tommy
riuscì a metterlo a fuoco, finalmente, e lo
guardò praticamente
sotto shock. Mosse appena le labbra, ma nessun suono le
lasciò.
Serrò le gli occhi e chiuse la bocca di scatto, sentendo
l’impellente bisogno di vomitare. Si prese la testa tra le
mani, e
nel tentativo di lenire almeno un po’ di tutto quel dolore,
portò
le mani dietro la testa, lì dove aveva urtato lo specchio e
dove
bruciava e faceva male; sentì tanti piccoli e pungenti pezzi
di
vetro sotto le dita, ancora impigliati tra i capelli biondi. Un
po’
di sangue gli bagnò i polpastrelli e quando lo vide la
nausea tornò,
ancora più forte, per poi passare dopo qualche istante, e
lasciarlo
boccheggiante. Si chiese se era possibile sentire tutto quel dolore
ed essere ancora vivi, e quello fu l’unico pensiero chiaro ad
attraversargli la mente.
Sentì
Adam deglutire e quando alzò lo sguardo, lui tirò
un calcio alla
prima cosa che vide: un vaso, laccato di nero, che conteneva
l’ultimo
mazzo di fiori che lui stesso gli aveva spedito; il vaso si
frantumò
in mille pezzi, e l’acqua e i fiori caddero a terra. A quel
gesto
Tommy gemette, di paura, dolore, tristezza, rabbia. Confuso come non
mai, desiderava solo di chiedergli di restare. Desiderava solo che
gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
Adam
non parve neanche far caso a lui; si voltò, aprì
la porta e la
richiuse sbattendola.
Il
silenzio che scese nella casa fu disturbato soltanto da sporadici
singhiozzi soffocati.
Tommy
si accoccolò meglio sotto le lenzuola, nonostante facesse
caldo.
Teneva il condizionatore al massimo solo per potersene stare a letto
sotto le coperte, ma il freddo che sentiva non dipendeva dal
condizionatore, anzi, sembrava partire dal suo interno, sprigionarsi
dalle sua ossa, dal centro del suo petto e diffondersi in tutto il
corpo. Si sentiva la febbre, ed erano ormai tre giorni che non usciva
di casa, né mangiava, né parlava con nessuno se
non era
strettamente necessario. A stento beveva ed andava in bagno, giusto
perché morire di sete in un letto puzzolente di piscio non
era
proprio il massimo. Si strinse le ginocchia al petto, e con un
flebile lamento ricominciò a piangere, senza neppure
accorgersene.
Poi tossì, numerose volte. Una terribile tosse, secca, che
sembrava
rastrellargli la gola. Tirò su col naso. Aveva perso ogni
genere di
controllo su sé stesso e ogni briciolo di
dignità, tanto a cosa
serviva? Nessuno poteva vederlo.
Non
riusciva a smettere di pensare ad Adam, a come tutto fosse perfetto
cinque giorni prima, quando era corso da lui entusiasta, a mostrargli
il suo nuovo tatuaggio e a spiegargliene il significato. Era felice,
e lo guardava con gli occhi che brillavano e un sorriso sognante. In
quel momento era l’uomo che Tommy amava, in tutto e per
tutto,
senza sconti, senza vergogna. Adam l’artista, il ragazzone
divertente, dolce e sensibile, quello col sorrisetto malizioso e il
profumo irresistibile. Tra loro andava tutto magnificamente. Avevano
parlato un sacco, riso e scherzato, cenato insieme, avevano fatto
l’amore e poi si erano addormentati abbracciati. Cosa era
successo
poi?
Tommy
si morse le labbra e chiuse gli occhi, stringendosi ancora di
più le
ginocchia al petto, il corpo scosso dai singhiozzi e dai colpi di
tosse. Piangeva da così tanto che oramai si stupiva non solo
di
avere ancora lacrime, ma persino di avere la forza di soffrire
ancora. Iniziava a scivolare in uno stato di apatia: non gli
importava quasi più di nulla, neanche di sé
stesso, riusciva solo a
ripensare ad Adam e a piangere; se ne rendeva conto, eppure non si
sentiva capace di fare niente per cambiare tutto ciò.
Passava il suo
tempo a rimuginare su cosa era successo, aveva ripercorso col
pensiero l’ultima settimana almeno una decina di volte al
giorno e
ancora non riusciva a spiegarsi perché: perché
Adam si era
comportato così? Non aveva mai alzato un dito su di lui,
fino a quel
momento, non era una persona violenta. Cos’era che lo aveva
spinto
a comportarsi così? Il senso di colpa era davvero
così forte ed il
dolore così accecante? O era la frustrazione? Cosa era che
lo
spingeva a trattarlo come se di lui non gli importasse nulla?
Perché
lo tradiva, perché faceva finta che gli piacesse comportarsi
così?
Forse Adam davvero non lo amava. Forse, se tornava era solo
perché,
fondamentalmente, era una persona buona, e non voleva farlo soffrire.
L’unica
cosa che gli faceva dimenticare tutte quelle domande, l’unico
spiraglio di luce che lo separava dall’oblio
dell’apatia totale e
della depressione, era il pensiero di Adam. Era così
assurdo: la
stessa persona che lo faceva stare così male era quella che
gli
impediva di abbandonare definitivamente ogni speranza.
Sì,
tutto pareva riguardare Adam e averlo in continuazione nella testa
gli faceva male, ma poi era proprio quello che lo tirava su.
Da
qualche parte dentro di sé sapeva che per Adam era lo
stesso, che
anche lui non riusciva a smettere di pensarlo. Insomma, dopo tutte
quelle promesse, quei giuramenti.. Tommy l’aveva guardato
negli
occhi, sapeva che era tutto vero. Ne era convinto.
Se
c’era una cosa che Tommy aveva imparato su Adam in quei due
anni
era che ciò che lo spaventava più qualsiasi cosa
era restare solo.
Era una delle persone più forti che Tommy avesse mai
conosciuto,
sapeva essere forte per sé e per gli altri, aveva imparato a
tenere
il dolore e le preoccupazioni dentro e a mostrare al mondo solo
ciò
che voleva mostrare; ma aveva sempre avuto accanto qualcuno che gli
voleva bene e che lo accettava, e la sua unica paura era perdere queste
persone, perché era certo che non ce l’avrebbe
fatta ad
andare avanti da solo. Tommy si domandava perché, allora,
facesse di
tutto per rovinare quello che avevano insieme, che già di
per sé
era qualcosa di instabile ed incerto.
Ma
la paura fa fare cose stupide alle persone, cose che non si possono
capire, si possono solo accettare. Tommy lo sapeva fin troppo bene,
ed era per questo che accettava ogni errore e difetto di Adam. Lui
gli chiedeva scusa, era sincero, perché non perdonarlo? Se
lo
meritava. Meritava qualcuno che lo amasse all’inverosimile. E
Tommy
sentiva – anzi, sapeva
– di essere lui quel qualcuno. Perché ogni volta,
anche solo a
guardarlo, si sentiva il cuore gonfio d’amore dibattersi nel
petto;
perché ogni singola volta che Adam lo feriva, era capace di
nascondere il dolore e dirgli che non importava, e quando alzava lo
sguardo e lo guardava negli occhi non importava più per
davvero,
perché Adam piangeva, ma gli spuntava un sorriso e gli
diceva
‘grazie’ e Tommy avrebbe dato la vita pur di
vederlo sorridere
sempre; perché ogni volta che facevano l’amore era
come essere in
paradiso, ed era certo che non esistesse sensazione che potesse
essere paragonata a quella che provava in quei momenti.
Era
per questo che Tommy cercava sempre di capire le ragioni Adam, anche
quando ragioni non ne aveva. Era lì che sbagliava? Qualcosa
doveva
pur sbagliare, perché erano ormai quattro giorni che Adam
aveva
sbattuto quella porta, e non era tornato indietro. Chissà se
si era
almeno voltato. Le altre volte non era stato così; questa
volta Adam
non l’aveva chiamato, non gli aveva scritto messaggi, email,
o
lettere e bigliettini di nessun tipo. Pareva che l’avesse
cancellato dalla propria vita, che avesse semplicemente chiuso quella
porta e dimenticato di averla mai aperta.
Ai
suoi amici che l’avevano chiamato aveva detto che stava bene
e
aveva solo bisogno di stare un po’ da solo. Aveva dovuto
insistere
un po’, ma alla fine avevano ceduto e l’avevano
lasciato stare.
A
Tommy sfuggì un ennesimo singhiozzo, e si asciugò
le lacrime con le
lenzuola, ancora umide di altri pianti.
Come
faceva Adam a non avere voglia di sentirlo? A non voler sapere se
stava male o bene? Non era preoccupato per lui, neppure un
po’?
Scosse
la testa. Si sentiva ignorato. Inutile. E iniziava a pensare di
essere davvero un illuso. Alla fine Adam non aveva certo bisogno di
lui per non sentirsi solo, aveva tantissime altre persone che gli
volevano bene, che lo amavano. Forse l’unico motivo per cui
si
erano messi insieme era il desiderio di Adam di non essere solo, ed
ora che non si sentiva più così non aveva senso
stare con lui...
Tossì
un paio di volte e scrollò le spalle, innervosito tanto dal
mal di
gola quanto dai propri pensieri.
Non
poteva credere ad una cosa del genere! Lo pensava solo
perché era
giù. Se lo disse tra sé e sé un paio
di volte e poi annuì piano.
Era solo per quello. Si asciugò le lacrime con il dorso
della mano e
guardò il cellulare con aria malinconica.
Gli
sarebbe bastato un sms da parte di quell’unica persona al
mondo che
aveva fatto di tutto per compiacere e rendere fiera di lui,
dall’unico ragazzo di cui si era sempre fidato ciecamente
nonostante tutto, e di cui anche in quel momento, dopo tutto quello
che era accaduto, continuava a fidarsi; anche solo un ‘tutto
okay?’
dall’uomo che amava e che non aveva intenzione di smettere di
amare
mai, un semplice squillo da colui la cui opinione era l’unica
al
mondo che contasse per Tommy.
Adam era tutto. Era troppo chiedere
una telefonata, giusto per controllare che non fosse morto
dissanguato?
Tommy
fece una smorfia.
La
cosa peggiore era che sapeva perfettamente che se Adam avesse anche
solo accennato a scusarsi lui sarebbe tornato a gettarsi tra le sue
braccia come se non fosse successo nulla. Anche se continuava a fare
male, anche se Adam avrebbe continuato a tradirlo ed a utilizzarlo
come valvola di sfogo quando era nervoso, Tommy sarebbe stato
lì a
lasciarglielo fare, senza battere ciglio, perché non era
capace di
fare altrimenti.
Forse
Adam meritava una persona che lo amasse all’inverosimile, ma
Tommy
meritava davvero una persona che lo trattasse in quel modo?
Note di fine capitolo: Che
dire, ringrazio la mia cara Romea (per gli amici FrankieSleepWalker,
per me Romy u.u) per avermi fatto da Beta e per avermi assicurato che
questa schifezzuola è leggibile ed anche carina. Ogni
errore, imprecisione, bruttura, o schifezza che trovate (specialmente
il disclaimer!) mi appartiene (e ne vado anche fiera D:).
Mi scuso in anticipo del dolore che vi causerà, e vi prego
gentilmente di fornirmi ogni dettaglio di quanto abbiate pianto e vi
siate sentite male per i miei tesorini, perché mi provoca
un piacere immenso *evilgrin*
E.. nulla, se siete arrivati fin qui recensitemi almeno.
Per favore...? *-*
P.S.: La canzone di questa parte è "I love the way you lie (Part II)" di Eminem e Rihanna.
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Capitolo 2 *** chorus: how do you feel in the morning when it comes and everything’s undone? ***
CHORUS:
How do you feel
in the morning
when it comes and
everything’s undone?
I'm
not dead just floating ,
right
between the ink of your tattoo
in
the belly of the beast we turned into.
I'm
not scared just changing,
right
beyond the cigarette and the devilish smile
you're
my crack of sunlight.
~
Quando
riaprì gli occhi la stanza si era fatta più
scura. Doveva essersi
appisolato.
Sbadigliò
e gli sembrò di ricordare una telefonata, la voce di Adam.
Fu la
prima cosa che gli tornò alla mente. Ricordò che
stava piangendo, e
poi aveva sentito il telefono squillare. Aveva dato
un’occhiata,
pensando fosse sua madre, o chissà chi altro. Ne era tanto
sicuro
che quasi non aveva fatto caso al nome di Adam scritto sul display.
Quando lo aveva visto, era saltato su, seduto, con un’energia
che
non credeva di avere, e aveva risposto immediatamente. Poi non aveva
detto una parola, solo respirato, affannosamente, il cuore a mille.
Adam doveva essersi accorto che aveva risposto, perché dopo
un po’
di esitazione si era deciso a parlare.
“Tommy, perdonami..”
Neanche
ripensò in dettaglio a quello che aveva detto. Gli bastava
che gli
avesse chiesto scusa.
Chissà
quanto doveva sentirsi in colpa...
Tommy
si accorse di stare di nuovo piangendo. Senza fare neanche un suono,
le lacrime gli riempivano gli occhi e scivolavano sulle sue guance
quasi come se avessero una volontà propria. Si morse le
labbra,
sorridendo, il cuore gli batteva fortissimo. Doveva richiamarlo.
Saltò
su e si sedette sul letto. Tossì un paio di volte,
violentemente, ma
non vi badò più di tanto. Si asciugò
le lacrime con il dorso della
mano, frettolosamente, allungò una mano verso
l’iPhone, poggiato
sul comodino, e cercò la lista chiamate. Gli tremavano le
mani e
aveva le lacrime agli occhi, il che rese l’operazione
più
difficile del solito.
Abbassò
le palpebre prima di guardare tra le chiamate ricevute. Non riusciva
neanche a parlare, gli faceva male la gola, ogni respiro era come
grattugiarsi la trachea, per non parlare di quei maledetti colpi di
tosse. Eppure non gli importava, voleva sentire ancora quella voce, e
voleva dirgli che lo perdonava, che non gli importava cosa avesse
detto o fatto, lui lo amava, lo amava più della sua stessa
vita.
Aprì
gli occhi e guardò tra le chiamate ricevute.
L’ultima
era di Adam, sì, ma risaliva a quattro giorni prima.
Quando
si svegliò ebbe la sensazione di stare sognando. Niente mal
di
testa, niente muscoli doloranti, solo lo stomaco brontolante e tanta
voglia di una sigaretta. Si sentiva talmente leggero che era come se
non toccasse davvero terra. Questo non significava certo che si
sentisse bene, anzi, il contrario. Si sentiva come un fantasma. E
nonostante si sentisse così leggero, ogni movimento era uno
sforzo
terribile.
Se stava sognando davvero, sperò che non succedesse
nulla di bello. Non avrebbe retto ad un altro risveglio shock. Al
solo pensiero lo stomaco gli faceva male di nuovo, e sentiva un
dolore tremendo al petto.
Aveva fame. Ma soprattutto, voglia di
una sigaretta.
Aprì
lentamente il cassetto del comodino e frugò più
in fondo possibile,
sotto le mutande. Un pacco di Kleenex, delle canottiere, un paio di
preservativi e del lubrificante – il solo sfiorare le
confezioni
con le dita gli fece tornare le lacrime agli occhi e gli ci volle un
enorme sforzo psicologico per far finta di nulla – poi, alla
fine,
trovò il pacchetto di sigarette. Ne teneva qualcuno
lì, in caso di
“emergenze” come quella.
Tirò
fuori il pacchetto e controllò che dentro ci fosse
l’accendino.
L’odore di tabacco gli sfiorò le narici e le
labbra si distesero
in un vaghissimo sorriso. Si tirò su con la stessa
agilità ed
energia di un vecchio con l’artrite e sospirò,
prima di condire la
camminata strascicata e affaticata con dei colpi di tosse. Si diresse
in cucina.
Con
suo grande sollievo, non riusciva a pensare a nulla. Aveva solo una
terribile angoscia, e tanta voglia di una sigaretta. Magari due.
Ma
prima, pensò di mangiare qualcosa. Si avvicinò al
frigo, ma quando
lo aprì, la semplice idea di mangiare gli diede il
voltastomaco.
Guardò lo stesso all’interno, adocchiando degli
hamburger.
Quelli gli erano sempre piaciuti, e se li lasciava lì presto
avrebbe
dovuto buttarli. Mangiarne qualcuno non sarebbe stato male... giusto
per mettere qualcosa sotto i denti.
Poggiò
le sigarette sul tavolo, aprì la confezione degli hamburger
e li
mise nel forno a microonde.
Li
osservò cuocersi con lo stomaco che si contorceva dalla fame
e, allo
stesso tempo, per via di un certo senso di nausea. Si
mordicchiò il
labbro. Probabilmente era la prima volta nella sua vita che non
mangiava per così tanto tempo. Si sorprese di riuscire
ancora a
stare in piedi e, guardandosi, si rese conto di essere già
dimagrito
tantissimo. Inoltre, le ginocchia gli tremavano, per la stanchezza
probabilmente. Non ricordava neanche di cosa sapesse il cibo. La
sensazione di ingoiare qualcosa di solido era totalmente estranea
alla sua mente, in quel momento. Ma, sinceramente, non gliene
importava.
Tirò
fuori quello che sarebbe dovuto essere il suo pasto, guardandolo come
se fosse dello sterco di mucca. Si sedette e si limitò a
fissare il
piatto, come se così facendo il cibo sarebbe potuto
magicamente
finire dritto nel suo stomaco, senza passare per la bocca, dato che
l’essere costretto ad assaporare e masticare quella roba gli
dava
il disgusto.
Prese
una forchetta e un coltello e con estrema lentezza mangiò il
primo
morso. Sapeva di catarro e di carne di pessima qualità. Si
costrinse
ad ingoiare, poi mise la mano davanti alla bocca quando un conato di
vomito minacciò di vanificare il suo lavoro.
Anche
se a fatica, finì l’hamburger.
Ma
non stava meglio, affatto.
Un
ennesimo conato di vomito minacciò il suo autocontrollo, ma
alla
fine a nulla valsero i suoi sforzi, e si diresse di corsa verso il
lavandino, dove finì per vomitare non solo ciò
che aveva appena
ingoiato, ma anche succhi gastrici a non finire, e catarro, e sangue.
Ad un certo punto fu sicuro che avrebbe vomitato anche le proprie
interiora. Poi, si calmò, improvvisamente.
Restò
con gli occhi chiusi e le labbra serrate, quel terribile sapore e
quella puzza incredibile dappertutto. Strinse la presa sul ripiano
finché le nocche non divennero bianche. E poi pianse.
Disperatamente, singhiozzando come un bambino, e tossendo,
finché
non passò anche quello. Non seppe per quanto tempo stette
lì con il
proprio vomito sotto il naso e le labbra sporche di cibo rigurgitato,
catarro e sangue. Ma, sinceramente, neanche di questo gli importava.
Quando
si fu calmato si lavò la faccia, lasciando la fontana aperta
fin
quando il lavello non fu libero da quella schifezza. Si
sciacquò la
bocca e poi bevve un po’.
Era
troppo stanco persino per chiedersi per quale assurdo motivo avesse
vomitato. Probabilmente per via della tosse o del terribile sapore
che aveva in bocca.
Voleva
la sua benedettissima sigaretta.
Prese
il pacchetto ed uscì sul balcone. Tirava vento, ed aveva i
brividi.
Tremava di freddo, eppure era certo di stare sudando. Ma tanto ci
avrebbe messo cinque minuti a fumare, non gli andava di andare a
prendersi qualcosa con cui coprirsi. Mise la sigaretta tra le labbra
e dopo alcuni tentativi, riuscì ad accenderla;
aspirò subito,
chiudendo gli occhi. Ne restavano altre due, ma da quanto ricordava,
doveva esserci qualche altro pacchetto nel cassetto. Sbuffò
fuori il
fumo, senza riaprire gli occhi.
Che
beatitudine.
Ripensò
per l’ennesima volta al tatuaggio di Adam e a con quanta
eccitazione era arrivato lì a spiegargli che cosa
significava. Al
suo tono di voce quando gli aveva detto “Insomma, vuol dire
che
vedo le cose con gli occhi di un bambino. E ci riesco grazie a
te.”
E quello che era successo, riusciva ancora a vederlo con gli occhi di
un bambino?
Fece
una smorfia e sbuffò. Qualche lacrima gli era sfuggita.
Aspirò
ancora, tanto profondamente che arrivò a metà
della sigaretta con
solo due tiri. Vaffanculo. Avrebbe finito il pacchetto.
Alla
fine se erano arrivati a litigare ogni giorno era solo per via della
fama. E di quella schifosa fissazione che tutti avevano per il
‘nascondere’ il loro amore. Chi diamine se ne
fregava se la gente
lo veniva a sapere? E quindi? Che cazzo cambiava tra una relazione
con lui ed una con quel Sauli? Pensavano che lui ed Adam fossero
così
perversi e schifosi da non riuscire neppure a trattenersi dallo
slinguarsi in pubblico? Era quello il problema? Forse lo staff
dell’RCA era convinto che uscire allo scoperto li avrebbe
rafforzati, ed era per quello che non volevano, ma Adam invece aveva
paura che farlo sapere a tutti avrebbe distrutto tutto.
Tommy?
Lui non aveva paura di tutto quello. Non aveva paura di nulla se
aveva Adam accanto. Ci aveva provato tante di quelle volte a
farglielo capire, gli aveva sempre detto che gli bastava averlo al
proprio fianco e tutto sarebbe andato bene...
Sospirò
e si lasciò scivolare stancamente a terra, la schiena
appoggiata al
muro. Tossì ancora un paio di volte, sputando del catarro ed
un po’
di sangue. Sbuffò, roteando gli occhi. Fece un altro tiro,
poi
spense il mozzicone a terra accanto a sé e si accese
un’altra
sigaretta.
Maledetto
lui. Era innamorato come un coglione.
All’inizio
non era così, all’inizio era sesso. Era
fantastico, era tutto più
semplice. Poi era cambiato tutto, e contro ogni previsione, era
cambiato anche lui. E invece di rimpiangere quei momenti in cui tra
loro c’era solo attrazione fisica e astinenza troppo
prolungata,
come ci si sarebbe aspettato da lui, aveva iniziato a diventare
patetico.
Ma
alla fine, sinceramente, non gli importava neanche di quello.
Alla
fine, tutto ciò di cui gli importava era dove stava Adam,
come
stava, e cosa stava facendo. Sapeva che lo stava pensando, ne era
sicuro. Chissà cosa pensava. Probabilmente si sentiva in
colpa per
quello che aveva fatto, forse voleva chiedergli scusa, avrebbe dovuto
farlo.
Magari
sarebbe tornato...
Note di fine capitolo:
Ringrazio ancora Frankie per il betaggio. Ricordo che gli errori mi
appartengono tutti , dal primo all'ultimo.
Mi dispiace che sia molto breve, ma c'è abbastanza
sofferenza anche così, c'è bisogno di aggiungerne
altra? u.u
Anche se in effetti come capitoli sono un po' sproporzionati... ma c'est la vie D:
Spero vi piaccia comunque!
Oh, e... perdonatemi se sono stata un po' cattiva, ma non avete ancora
visto niente u.u |
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Capitolo 3 *** verse 2: I'm lyin' here, on the floor, where you left me, I think I took too much. ***
VERSE
2:
I'm lyin' here,
on the floor, where you left me,
I think I took
too much.
You
can do the math a thousand ways, but you can't erase the fact
that
others come and others go, but you always come back.
I'm
a winter flower underground always thirsty for summer rain,
and
just like the change of seasons,
I
know you'll be back again.
~
Una
mano calda gli sorreggeva la testa. Tommy aveva i brividi e sudava
freddo.
Un’altra
mano, anch’essa tanto calda da sembrare bollente, gli
accarezzava
la guancia.
“Tommy!
Tommy, svegliati!” Un sussurro pieno di panico.
Poi
la mano di Adam che scivolava a chiudersi attorno al suo polso.
Alcuni
lunghi, infiniti secondi di attesa, poi un sospiro di sollievo.
Qualche
bestemmia.
Tommy
tentò di aprire gli occhi o di parlare, ma scoprì
con un certo
disappunto che il suo cervello pareva scollegato dal resto del corpo.
Poi
Adam lo tirò su, prendendolo in braccio.
Riuscì
a socchiudere gli occhi e a distinguere la sagoma del viso del moro,
le labbra contratte in un’espressione preoccupatissima. Poi
li
richiuse, stanco come se avesse appena sollevato un macigno.
Quando
si svegliò gli ci vollero alcuni secondi per realizzare dove
si
trovava.
Era
sul divano della cucina, un plaid stretto attorno alle spalle e Adam
che lo manteneva seduto, mentre parlava con un dottore. Non aveva
aperto gli occhi, ma era certo che fosse un medico: poteva sentire
l’odore di medicine nella stanza.
Cercò
di ribellarsi alla stretta di Adam: macché medico, si
sarebbe messo
a letto e tutto sarebbe passato! Non voleva medicine, non voleva
dottori puzzolenti, voleva che Adam gli chiedesse scusa!
Ma
appena provò a muoversi e ad aprire gli occhi, a spingere
via il
cantante, a chiedergli spiegazioni, la testa iniziò a
girargli
vorticosamente, e riuscì a stento a blaterare qualcosa,
prima che la
vista gli si oscurasse di nuovo.
Tremava
di freddo, stretto sotto delle coperte.
Dove
si trovava?
Provò
ad aprire gli occhi, ma era troppo debole. Adam era lì, ne
era
certo. Poteva sentirlo respirare. Era certo che fosse lui. Non sapeva
perché, ma ne era certo.
“Adam...”
mormorò con un tono quasi impercettibile. Non era sicuro che
l’altro
lo avesse sentito, ma era certo che l’idea che fosse
lì, solo per
lui, gli riempiva il cuore di un flebile calore.
La
mano di Adam stavolta pareva ghiacciata quando gli sfiorò il
viso.
“Shh...
Riposati...”
Adam
lo sorreggeva, lo faceva stare seduto.
Dalle
labbra di Tommy sfuggì qualche lamento. Che doveva fare?
Voleva
riposare, era stanco. Perché doveva stare seduto?
Sentì
le dita di Adam fargli aprire le labbra e poi imboccarlo. Un
cucchiaio con quello che sembrava pastina col brodo. Non voleva
mangiare, avrebbe vomitato ancora! Provò a ribellarsi, ma fu
inutile. Non ne aveva la forza.
Adam
gliene diede altri quattro, forse cinque, obbligandolo a schiudere le
labbra e poi a deglutire, con gesti delicatissimi, ma incredibilmente
decisi. Con le dita gli spinse tra le labbra qualcosa dal sapore
orribile. Sembravano pillole. Poi gli fece bere dell’acqua.
Tommy
lo lasciò fare, deglutì anche le pillole sperando
che fosse finita
lì.
Alla
fine l’altro lo fece stendere di nuovo, gli scostò
i capelli dal
viso e sospirò.
A
Tommy parve di sentirgli sussurrare qualcosa, ma non capì
cosa.
Buio
pesto.
La
mano ghiacciata di Adam sulla sua fronte, ed uno sbuffo preoccupato.
Lo
sentì alzarsi, poi ascoltò i suoi passi
allontanarsi. Dopo un po’
lo sentì tornare e posargli una pezza bagnata e
incredibilmente
fredda sulla fronte, mentre sussurrava qualcosa.
Socchiuse
gli occhi, e sorrise nel vedere la sua sagoma sfocata.
“Sei
tornato, Adam... Sei... tornato...” mormorò piano.
Il
ragazzo gli rivolse uno sguardo a metà tra il preoccupato ed
il
triste. Scosse la testa.
“Shh... Hai 41° di febbre, stai
delirando...” Adam lo sussurrò dolcemente,
scostandogli i capelli
dalla pezza bagnata. Tommy non sapeva se aveva davvero la temperatura
così alta, ma era quasi certo di non stare delirando. Ma era
troppo
stanco per insistere.
Faceva
meno freddo, e di certo la temperatura gli si era abbassata,
perché
Tommy riuscì persino ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco
quello
che aveva intorno.
Era
nella sua camera. La stanza era buia, e non distingueva bene quello
che c’era intorno.
Adam
era seduto su una sedia, accanto al letto. Sembrava addormentato.
Era
tornato, sì, non c’era dubbio. Tommy
provò a sorridere, ma aveva
le labbra terribilmente secche. E doveva andare in bagno.
Sospirò,
cercando di alzarsi. Si sentiva debolissimo, ma rispetto alle altre
volte riusciva almeno a muoversi. Il bagno era vicinissimo, non
sarebbe poi stato così difficile arrivarci. O no?
La
risposta parve arrivare da sola quando, alzatosi dal letto, le
ginocchia tremanti lo obbligarono ad accasciarsi per terra.
Si
lasciò sfuggire un gemito di frustrazione. Fanculo.
Batté debolmente i pugni sul pavimento, senza ottenere
neanche di
farsi male. Poi, quasi come se spuntassero dal nulla, le mani di Adam
lo tirarono su e lo sorressero. Tommy fece una smorfia sofferente,
quasi come se quel tocco bruciasse.
“Torna
a letto..” Adam mormorò, senza avvicinarsi troppo.
Era come se
avesse paura di una sua reazione. Tommy mugolò e si
sforzò di
guardarlo.
C’era
una tensione terribile, di attesa, di pensieri non detti, di parole
ingoiate e di offese prese e mai restituite.
“Io
devo... devo andare... in bagno.”
Riuscì
a leggere l’imbarazzo negli occhi di Adam quando quegli
esitò e
annuì, poi lo aiutò ad arrivare al bagno
sfiorandolo quasi come se
fosse un filo d’erba. Okay, forse non stava molto bene.. ma a
Tommy
tutto quello parve decisamente esagerato! Era solo un po’ di
febbre..
Tommy
guardò Adam tutto il tempo, lasciandosi trasportare di peso
da lui,
che nel frattempo evitava testardamente il suoi occhi. Arrivati in
bagno, il moro gli tirò giù pantaloni e mutande,
frettolosamente,
ed arrossendo. Tommy vide chiaramente il rossore sulle sue guance, ma
non disse nulla, ed arrossì a sua volta. Avrebbe voluto
dirgli che
almeno i pantaloni sapeva abbassarseli anche da solo, farselo fare
era imbarazzante anche in una situazione del genere, ma non era
sicuro che ci sarebbe davvero
riuscito da sé, così restò in
silenzio. Si sedette sulla tazza e
Adam si voltò, facendo per uscire.
“Ti lascio solo... Non
alzarti. Quando hai fatto chiamami.” Parve sforzarsi di
controllare
il tono della propria voce, poi praticamente scappò via,
fuori dalla
stanza, chiudendo la porta di scatto.
Adam
parlava al telefono, Tommy poteva cogliere spezzoni delle sue frasi.
“Ti
preoccupi per me? Questa sì che è una
novità!” Adam rise senza
allegria e la cosa diede i brividi a Tommy. L’ultima volta
che
l’aveva sentito ridere così, era arrabbiato con
lui.
“Perché
nessuno si preoccupa per lui, invece?”
Tommy
cambiò posizione tra le coperte, nel modo più
silenzioso possibile,
scoprendo un orecchio che teneva premuto contro il cuscino, in modo
da sentire meglio.
“Non
m’importa un cazzo del lavoro. Non lo lascio solo!”
Tommy
sorrise tra sé e sé. Parlava di lui, non era
così? Avrebbe tanto
voluto abbracciarlo, ma era così stanco...
“No
che non mi ammalo, idiota. Sono sotto antibiotici anche io, razza di
coglione che non sei altro!”
Chissà
con chi parlava, per usare termini così coloriti con tanta
tranquillità.
“Licenziami
pure, fai il cazzo che ti pare. Io da qui non mi muovo.”
Tommy
rabbrividì e gli venne ancora da piangere. Stavolta per via
di
qualcosa di molto simile alla felicità, però.
Come aveva potuto
dubitare dell’amore di quel ragazzo anche solo per un
istante?
Sicuramente gli avrebbe chiesto scusa, appena sarebbe stato meglio. E
poi si stava prendendo cura di lui...
Sentì
Adam borbottare qualcos’altro e mandare a quel paese il suo
interlocutore, per poi ritornare verso il letto. Richiuse gli occhi e
fece finta di dormire.
Lo
sentì avvicinarsi, poi sentì il calore delle sue
labbra sulle
proprie.
E
l’odore, e il sapore, e la morbidezza di quel semplice bacio
lo
fecero rabbrividire flebilmente.
Non
seppe se Adam se ne fosse accorto o meno. Probabilmente pensava che
stesse dormendo.
“Non
mi allontaneranno da te. Mai più. Te lo prometto.”
La
mano di Adam tra i propri capelli fu la prima cosa che
percepì,
ancora prima di aprire gli occhi. Glieli accarezzava delicatamente,
sicuramente per evitare di svegliarlo, e teneva l’altra mano
posata
sulla sua. Era curioso come la mano che gli sfiorava il viso paresse
terribilmente fredda, mentre l’altra poggiata sulla sua
sembrasse
invece molto calda. Tommy sorrise e aprì lentamente gli
occhi.
Adam
ritrasse la mano in fretta e le posò entrambe su quella
ghiacciata
di Tommy. Scosse la testa.
“Sei
tornato...” il sussurro di Tommy fu appena percettibile, ma
Adam lo
udì chiaramente e sembrò riscuotersi dai propri
pensieri. Non
rispose. Gli posò una mano sulla fronte, probabilmente per
controllargli la temperatura. Pensava di nuovo che delirasse?
“Sono
semplicemente venuto a vedere se eri ancora vivo.. non hai risposto
al telefono e mi sono spaventato.”
Tommy
sentì il cuore mancare un battito. L’aveva
chiamato! Lo aveva
pensato, e si era preoccupato per lui... Non poté fare a
meno di
sorridere. Adam scosse la testa e abbassò lo sguardo.
“E
poi sei rimasto..” Tommy lo aggiunse, flebilmente,
guardandolo
felice.
“Stavi
male! Ti ho trovato svenuto fuori sul balcone! Ho... ho avuto tanta
paura, Tommy...” Adam si interruppe, ma Tommy non disse
nulla. Non
c’era nulla da dire. Era tornato. Poteva metterla come gli
pareva,
negare fino alla morte, ma era lì con lui, si stava
occupando di
lui, lo stava curando, e Tommy lo sapeva che quella era una cosa che
non avrebbe fatto per nessun altro. Solo per lui.
Adam
alzò lo sguardo su Tommy. La sua espressione
cambiò dall’intenerito
ad una smorfia che Tommy non riuscì ad identificare. Poi
abbassò lo
sguardo, sospirò e tornò a guardarlo con
un’espressione intensa,
tra la rabbia, la frustrazione e la malinconia.
“Non
vorrei sembrati invadente... Ma mi spieghi cosa hai in testa, al
posto del cervello? Segatura?” fece una breve pausa,
guardando
l’espressione confusa di Tommy. “Avrai perso
qualcosa come dieci
chili in una settimana e ora devo anche darti da mangiare o
continueresti a star digiuno! Il medico era preoccupatissimo, voleva
ricoverarti! Sei pazzo o cosa?”
Tommy
era sorpreso, nell’accezione negativa: ora era lui che doveva
chiedere scusa? Ma come si permetteva? Avrebbe dovuto essere
preoccupato, sentirsi in colpa – e lui fu sordo a quelle
sfumature
di voce che trasmettevano apprensione, e che ripensandoci in seguito
si rese conto (o forse si convinse?) di aver udito ma di non aver
ascoltato. In quel momento, però, si rese conto soltanto che
Adam se
la stava prendendo con lui, di nuovo. Non solo non gli aveva chiesto
scusa – aveva il dovere
di farlo, diamine, dopo tutto quello che era successo! – ma
aveva
persino il coraggio di arrabbiarsi con lui! Era possibile passare
dallo stare così bene allo stare di nuovo tremendamente male
in un
solo istante – con una sola frase? Forse, in fondo, aveva
fatto
bene a dubitare del suo amore: c’erano dei buoni motivi per
farlo e
quello era uno di essi. Non era difficile, bastava dire una parola,
una sola,
scusa.
“Io..
non lo so...” borbottò Tommy, guardandolo di
sottecchi e sperando
solo che si calmasse. Lui non riuscì ad alterarsi, stava
troppo
male, voleva solo lasciare cadere la discussione e far finta di
nulla, ne aveva abbastanza di finire sempre in quella situazione. E
poi, davvero non sapeva perché si era comportato in quel
modo: stava
uno schifo e aveva semplicemente fatto quello che il suo corpo gli
aveva detto di fare; non aveva fame e non aveva mangiato. Non era
colpa sua se si era ammalato!
Adam,
dal canto suo, non sembrava volersi fermare. Non lasciò a
Tommy il
tempo di pensarci, magari di formulare qualche scusa, qualcosa da
dire, qualunque cosa preservasse quel poco di orgoglio che gli
restava e che non fosse un patetico ‘perdonami, non lo faccio
più’.
“Non
lo sai?! Tommy! Sei stato a digiuno per sei giorni! SEI GIORNI!! Cosa
cercavi di fare, morire di fame?! Ti ho trovato svenuto, avevi la
febbre a 41° e avevi vomitato sangue,
Tommy, sangue!
E per fortuna che sono venuto io! Hai la polmonite. Vuoi spiegarmi
come cazzo hai fatto a prendere la polmonite in estate?! Ti rendi
conto che hai messo in pericolo la tua vita?!”
Tommy
non riuscì a trattenere le lacrime, cominciarono a scendere
da sole,
ancora una volta come di volontà propria; iniziò
a singhiozzare e
dei forti colpi di tosse lo scossero tutto. Dio, che figura orribile.
Adam
smise di urlargli contro quando vide le lacrime, e fece per dire
qualcosa, ma poi Tommy tossì, e singhiozzò e lui
semplicemente gli
si avvicinò, lo sguardo da cucciolo bastonato che aveva
sempre
quando si sentiva in colpa, e gli passò un braccio attorno
alle
spalle, stringendolo a sé.
“No...
Io... Calmati, Tommy...”
Ma Tommy lo ignorò. Anzi, singhiozzò
ancora più forte, ed un altro attacco di tosse lo scosse
tutto.
Cercò persino di allontanarlo, ma non ci riuscì,
riusciva a stento
a stare seduto senza che gli girasse la testa!
“Io non volevo
che succedesse tutto questo... Non è colpa mia.. Non
è colpa
mia...” Tommy non riuscì più a
trattenersi, tirò su con il naso,
poi riprese a piangere, come un bambino; si sentiva così
gracile,
debole, sembrava bastasse un soffio a portarlo via, che si
sentì
consolato quando l’altro lo strinse a sé.
Aveva bisogno di
Adam, in quel momento, ed era assurdo, ma lui era proprio
lì, al suo
fianco, eppure era come se non ci fosse. Il calore e l’odore
erano
quelli, ma quello non era il suo ragazzo, quello era un suo amico a
cui aveva fatto pena e che per pura compassione lo stava aiutando.
A
poco a poco Tommy si calmò, con grande sforzo,
iniziò a piangere in
silenzio, stretto al moro con una forza che neanche lui stesso si
sarebbe aspettato di avere. Sperava di sentire quella fatidica
parola da un’istante all’altro, lo sperava con
tutto il cuore, ma
quando quella non arrivò, decise di provare a fare lui il
primo
passo.
“L’ho
fatto perché... Non avevo la forza di fare nulla sapendo che
i
nostri ‘per sempre’ erano una bugia...”
il biondo lo mormorò
con un filo di voce e poi tirò su col naso, gli occhi chiusi
e
l’aria stanca. Adam sospirò e lo strinse appena di
più.
Tutto
quello che Tommy silenziosamente implorava che accadesse era che lui
gli facesse delle maledette scuse, che gli dicesse che quei per
sempre non erano una bugia e che non lo sarebbero mai diventati, che
lui era lì e sarebbe rimasto, perché non potevano
fare a meno l’uno
dell’altro.
Ma
Adam non disse nulla.
Note
di fine capitolo:
...do re mi soool ♪
LOL!
No, okay, torniamo seri.
Spero che vi piaccia e che non odierete troppo il mio Adam adorato
perché, fidatevi della
vostra amata autrice, ha le sue ragioni ed è convinto che
siano valide! Per quanto riguarda il nostro piccolo e maltrattato
micetto, beh.. non è un cretino irresponsabile pazzo
d'amore, lui? *-*
La canzone di questo capitolo è "Just Like A Pill" di P!nk,
perfetta per il tema, non pensate? :P
|
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Capitolo 4 *** chorus: it's like one of those bad dreams, when you can't wake up. ***
CHORUS:
It's
like one of
those bad dreams,
when you can't
wake up.
I'm
not dead just floating..
Underneath
the ink of my tattoo,
I've
tried to hide my scars from you.
I'm
not scared just changing,
right
beyond the cigarette and the devilish smile,
You're
my crack of sunlight, oh.
~
Dopo
appena tre giorni, Tommy stava già molto meglio.
La
febbre era scesa drasticamente, e raramente si alzava sopra i
37°;
erano ormai più di ventiquattr’ore che non tossiva
più così
spesso, anzi, succedeva abbastanza raramente, ed era ritornato ad
avere un colorito sano e non più bluastro come nei giorni
precedenti. Aveva riacquistato già le forze e nonostante
fosse
ancora un po’ debilitato, avrebbe potuto tranquillamente
tornare
alle sue solite abitudini.
Ma
Adam si occupava di lui con uno zelo ed un’attenzione persino
eccessivi: gli misurava la temperatura tre volte al giorno, dormiva
poco e nulla per controllare che stesse bene e prendesse le medicine
all’ora giusta, che mangiasse, che non andasse in giro da
solo, che
non fumasse e che non facesse sforzi eccessivi. Inutile dire che gli
impediva di uscire, spaventato da una possibile ricaduta, ed in
più
aveva una fisima particolare per il dover ‘cambiare
l’aria’
nella stanza: ogni sei ore, puntualmente, lo faceva spostare nella
camera degli ospiti perché nella sua doveva aprire la
finestra e
lasciar ventilare la stanza. Persino per farsi la doccia impiegava il
minimo possibile, quasi come se fosse potuto accadere davvero
qualcosa a Tommy nei dieci minuti che non lo teneva d’occhio.
Per
non parlare di quando era Tommy a dover fare la doccia! Doveva
chiedergli il permesso – da quando in qua uno deve chiedere
il
permesso di lavarsi a ventinove anni, bah – ed Adam, seppur
con un
po’ di imbarazzo, aspettava che uscisse, poi lo asciugava, lo
aiutava addirittura a vestirsi ed insisteva anche per asciugargli i
capelli!
Una
noia terribile, insomma.
Eppure
– Tommy non lo avrebbe ammesso mai a voce alta –
gli piaceva.
Amava essere il soggetto di tutte quelle attenzioni, amava il tocco
delicato di Adam quando cercava di obbligarlo a prendere quelle
disgustose pillole, o a mangiare, amava la sue parole dolci, e amava
il fatto che fosse così infinitamente paziente, e calmo,
come se
vederlo in quella situazione gli avesse fatto raggiungere la pace dei
sensi. Ma – perché c’é sempre
un ma
– un problema c’era. Ed era il confine che Adam non
accennava a
voler superare, quello dell’amicizia. Neanche un bacio,
neanche
sulla guancia, e gesti sempre misurati al millimetro, molto spesso
imbarazzanti proprio per via di quella barriera che il cantante
pareva essersi auto-imposto. E poi le scuse che Tommy ancora
aspettava, che da quello che sembrava, non avevano sfiorato la mente
di Adam neppure per sbaglio.
Tra
loro spesso c’era una tensione così palpabile che
Tommy era
convinto che avrebbe potuto persino toccarla, mentre appestava
l’aria
tutta intorno e oscurava tutto. Adam sembrava essere lì solo
perché
gli
voleva bene.
Non perché volesse tornare con lui o cazzate simili. Faceva
quello
che avrebbe fatto Isaac, o Sutan. C’era qualcosa di peggio?
Avrebbero
dovuto parlarne, ma forse per timidezza o mancanza di coraggio, non
lo facevano.
“Vuoi
fare una mossa o hai deciso di aspettare che mi spunti un capello
bianco?”
I pensieri di Tommy furono bruscamente interrotti da
Adam.
“Ma
tu hai già i capelli bianchi, Adam.” Tommy
snocciolò la sua
risposta sempre pronta,
in tono canzonatorio; era impegnativo nascondere i sentimenti, ma
poteva farcela. Doveva mostrarsi forte, fargli vedere che stava bene
anche senza lui accanto. Doveva.
Scacciò
via i pensieri, seppellendoli sotto quella maschera di apparente
tranquillità, e tornò a concentrarsi sulla
scacchiera: si era
distratto ed ora, ovviamente, non aveva idea di che fare. Decise di
muovere un pezzo a caso, l’alfiere. Tanto, la cosa peggiore
che
avrebbe potuto succedergli sarebbe stata perdere, per la decima volta
di fila. Non che gli importasse, si era rassegnato ormai: aveva
sempre avuto problemi a mantenere la concentrazione, e ogni volta,
puntualmente, si distraeva e faceva mosse idiote.
Adam
lo guardò inarcando un sopracciglio, poi spostò
la propria regina a
qualche casella di distanza dal re avversario. “Scacco
matto.”
scandì, guardandolo negli occhi.
Tommy
fece spallucce e sorrise, distogliendo lo sguardo e fingendo
indifferenza anche se un brivido lo aveva scosso tutto a quell'occhiata.
Prese
a raccattare tutti i pezzi sparsi per il tavolo, rimettendoli in
ordine. Adam fece lo stesso, e si scoccarono qualche sguardo di
sottecchi, ogni tanto, a turno.
Dovevano
decisamente parlare, e al più presto.
Tommy
pensò a cosa dire per mettere fine a
quell’orribile silenzio che
parlava del discorso che non avevano mai iniziato eppure restava in
sospeso, e della loro vigliaccheria a starsene zitti e lasciare
scivolare via le ore in quella situazione di merda, incapaci di
lasciarsi e lasciarla perdere e incapaci di risolvere il problema che
continuava a fluttuare sulle loro teste, nuvola scura, tanto
invisibile quanto pesante.
Prese
fiato per dire qualcosa, ma Adam lo anticipò.
“Secondo
me lo fai apposta. Mi fai vincere.”
Tommy
rimase interdetto per qualche istante: tutto si sarebbe aspettato,
tranne che Adam si mettesse a parlare di scacchi. Chi se ne fregava?
Ma
poi, inevitabilmente, quando guardò Adam negli occhi,
sorrise.
Cos’altro
poteva fare, d’altronde? Era Adam.
“O
forse sei tu ad essere più bravo di me...”
Quando
si svegliò, Adam lo osservava. Era seduto sul letto, accanto
a lui,
e teneva una mano poggiata sul suo petto. Tommy provò a dire
qualcosa, ma il moro lo zittì, scuotendo la testa. Si
chinò su di
lui e gli baciò le labbra, dolcemente, sfiorandole appena.
“Forse
non l’hai capito, ma ti amo.”
Tommy
sorrise, il cuore gli si dibatteva nel petto, e stava sudando, ed era
certo di essere arrossito; corpo traditore, come si fa a nascondere
al mondo i propri sentimenti se uno sfiorare di labbra ti riduce ad
un pazzo lobotomizzato sbavante e felice come una Pasqua?
Allungò
una mano e la posò sulla nuca di Adam, intrecciando le dita
tra i
suoi capelli corvini, morbidi e profumati, che l’odore poteva
sentirlo da lì, e facendolo si sentì come uno che
riprende a
respirare dopo lunghissimi minuti di apnea.
“Anche
io.” Disse in un mormorio e sorrise, ed Adam era salito sul
letto,
a cavalcioni su di lui, così in fretta che era bastato un
battito di
ciglia per trovarselo sopra.
“E
mi dispiace tanto di tutto, davvero...” Adam lo disse con un
sorriso, sincero, bellissimo, con gli occhi che gli brillavano. Tommy
si tirò su, appoggiandosi sui gomiti e avvicinando le labbra
alle
sue, schiudendole appena. Lo guardò negli occhi, gli
sembrò di aver
aspettato una vita per riavere quelle labbra sulle sue, e quando Adam
lo baciò, non volle più lasciarle andare via, le
avrebbe
semplicemente baciate per sempre, perché non poteva essere
possibile?
Il
moro lo strinse a sé, dolcemente ma con decisione, e lui si
sentì
finalmente bene per davvero. E lo desiderò, tremendamente,
improvvisamente, desiderò essere suo e il suo odore
dappertutto, e
lussuria nei suoi occhi e il piacere in ogni fibra del corpo. E
glielo disse, semplicemente, stupendosi di sé stesso, ma lo
fece.
“Voglio
fare l’amore con te.”
Lo
sussurrò piano, guardandolo in quegli occhi magnifici, e poi
fu solo
dolcezza, e amore, e passione, in un singolo bacio, e i loro gesti
frettolosi ma intrisi di una certa dolcezza, mentre si spogliavano
l’un l’altro e poi rimasti nudi, la
fisicità e l’incredibile
naturalezza di quando si strinsero l’uno all’altro,
e le loro
erezioni si sfiorarono. Tommy ansimò, sussurrando
più volte il nome
del suo amante, mentre quello faceva scivolare la mano tra i loro
corpi e lo toccava, e le sue dita parevano bollenti e scivolavano
lungo la sua erezione con una sapienza tale che avrebbero potuto
essere quelle di Tommy stesso.
CRASH!
Spalancò
gli occhi di scatto, svegliato da un’assordante rumore di
vetri
rotti.
Porca
puttana.
Era
nel letto, la camera era illuminata perfettamente, doveva essere
mattina. Ma soprattutto, cosa decisamente più importante,
aveva il
fiatone, una bella erezione costretta nelle mutande e la mano
infilata nei pantaloni; la sfilò fuori come se bruciasse e
cercò
senza molto successo di mimetizzare il gonfiore dei suoi pantaloni
con le lenzuola.
Porca
puttana.
Si
affacciò appena al di sopra del letto, ed Adam era
lì, chinato a
raccogliere i cocci di chissà che.
Porca
puttana,
non poteva essere un sogno anche quello? Voleva sprofondare,
diventare parte del materasso, sparire per un centinaio buono di anni
e tornare solo quando tutti si fossero dimenticati persino il suo
nome.
“Ehm,
io... stavo.. sono inciampato.” Adam borbottò,
rosso in viso,
evitando il suo sguardo. Perfetto, se ne era accorto. Fantastico.
Scese
dall’altro lato del letto e se ne andò
direttamente in bagno,
senza dire una parola. Si chiuse di scatto la porta dietro e vi si
appoggiò contro, mettendosi le mani tra i capelli e
lasciandosi
scivolare a terra.
Che
terribile figura di merda.
Ma
non ebbe il tempo di rimuginarci su ed arrossire per la vergogna
bruciante, perché Adam bussò alla porta
praticamente l’istante
dopo che lui l’ebbe chiusa. Una volta, due, tre.
Perché non lo
lasciava in pace? Non era imbarazzato almeno un po’? Si
divertiva o
che?
“Tommy..
ehm.. tutto bene?” disse il cantante, dall’altro
lato della
porta, con un tono preoccupato.
Tommy
strinse la presa tra i propri capelli e gli venne da piangere. Non
era mai stato più imbarazzato in tutta la sua vita, ed Adam
si
comportava come se nulla fosse? Non capiva che voleva essere lasciato
in pace?
“Vattene.”
Mezz’ora
dopo, Tommy se ne stava sotto la doccia, gli occhi chiusi, appoggiato
al muro freddo, ed era da circa un quarto d’ora che lasciava
che
l’acqua gli scivolasse addosso e poi via, giù,
nelle tubature.
Piano piano, anche i suoi pensieri avevano fatto lo stesso, e avevano
abbandonato la sua mente, uno dopo l’altro, lentamente,
erano scivolati via e l’avevano lasciato ad ascoltare il
rumore
dell’acqua scrosciante, e a sentire il freddo delle
piastrelle
dietro la schiena e a confrontarsi con quell’assurdo mal di
pancia,
con l’ansia e la vergogna.
Non
era successo nulla.
Andava
tutto bene.
Ora
sarebbe uscito dalla doccia, con il sorriso sulle labbra, e si
sarebbe comportato come se nulla fosse successo.
Sarebbe
uscito dalla doccia, e Adam avrebbe fatto finta di niente, si sarebbe
comportato come sempre.
Sarebbe
uscito dalla doccia, e ben presto l’imbarazzo sarebbe
scomparso.
E
magari, poi, Adam sarebbe andato via. E lui lo avrebbe lasciato
andare, di nuovo.
Forse
era per questo che era lì, Adam. Per ucciderlo
più lentamente. Per
assicurarsi che il suo corpo restasse forte ed in salute e che il suo
cuore pompasse con tutta la forza che aveva, mentre lui lo uccideva
dentro, lo svuotava.
Perché
era quello,
che sentiva adesso. Un dolore tremendo, un vuoto,
forse peggiore di quello che aveva provato quando suo padre era
morto. Peggiore di tutto quello che aveva mai provato.
Perché Adam
era lì, era fottutamente
lì, era tornato, ma di lui non pareva volerne sapere nulla.
Avrebbe
dovuto essergli
grato
per avergli salvato la vita? Beh, non gli era grato proprio per
nulla. Magari poteva sembrare
ancora
vivo, ma sapeva che non sarebbe stato davvero
così per molto tempo. E Adam anche lo sapeva, Tommy ne era
certo, e
tutto quel prendersi cura di lui, probabilmente era solo un modo per
addolcirgli la pillola.
Il
fatto è che quella era la fottutissima pillola
più disgustosa del
pianeta; un po’ di zucchero non sarebbe mai bastato.
Peccato
che si possa nascondere il proprio stato d’animo, ma non ci
si
possa
nascondere
da esso.
Tutto
quello lo stancava, lo sfibrava, gli toglieva la forza, la grinta e
il sorriso. Per quanto quella tortura avrebbe dovuto andare avanti?
Quanto doveva soffrire per scontare la sua colpa di
essere
stato felice?
Era
tutto lì, alla fine: in quel momento non era felice, anzi,
non lo
era da un po’, ma era da quando conosceva Adam che aveva
scoperto
cosa voleva dire felicità. E cosa voleva dire dolore.
Ma
non aveva rimpianti, no, quello no. Se ripensava a quanto era stato
bene, be’, forse un po’ ne valeva la pena di
soffrire così.
Forse
se ne sarebbe stato sotto la doccia ancora un po’. Ad
aspettare che
quella schifosa sensazione di stare per vomitare sparisse.
Mentre
si passava l’asciugamano tra i capelli, tamponandoli
dall’acqua,
gli parve di sentire la porta aprirsi. Si voltò di scatto.
La porta
era chiusa, proprio come prima. Si passò
l’asciugamano sul viso,
poi tornò a voltarsi verso lo specchio e scosse la testa,
era
diventato anche paranoico adesso?
Okay,
non aveva chiuso a chiave, ma Adam non si era mai permesso di entrare
senza bussare, in quei giorni. Perché avrebbe dovuto farlo
proprio
in quel momento?
Sospirò
scuotendo la testa e continuò a massaggiarsi i capelli,
chiudendo
gli occhi e appoggiandosi alle piastrelle fredde, cercando di
rilassarsi. Stava decisamente esagerando. C’era bisogno di
angosciarsi e torturarsi a quel modo per un sogno? Aveva ancora il
diritto di sognare il cazzo che gli pareva (letteralmente
e non), era Adam che avrebbe dovuto lasciarlo dormire in pace!
Sentì
di nuovo la porta aprirsi e qualcuno entrare nella stanza. Non
aprì
gli occhi per controllare se se lo fosse immaginato, anzi, li strinse
ancora di più e si disse che appena uscito di casa avrebbe
dovuto
seriamente andare da uno psicologo: non c’era nessuno nella
stanza,
men che meno Adam! Figurarsi, sicuramente aveva di meglio da fare!
Ma
non poté negare l’evidenza quando sentì
una mano posarsi sul suo
petto attraverso la stoffa dell’accappatoio.
Poteva
sentire il suo calore, ed il suo inconfondibile odore.
“Adam,
esci immediatamente.”
Lo
disse freddamente, senza aprire gli occhi, né muoversi di un
millimetro e scandendo per bene l’ultima parola. Ma Adam non
dette
segno di aver sentito, anzi, Tommy lo sentì avvicinarsi.
Sentì le
sue labbra e il suo fiato caldo vicino al proprio orecchio e poi le
sue dita scivolargli lungo un fianco. Fremette e si morse forte le
labbra, poi aprì di scatto gli occhi.
“Quale
parte di ‘esci immediatamente’ non ti è
chiara?”
Cercò
di mantenere un tono freddo, distaccato, seppure alla fine la sua
voce tremò.
Ancora
una volta, nessuna risposta. Le labbra calde e morbide di Adam si
posarono sulle sue, dolcemente. Tommy non si mosse, ma non
riuscì a
trattenere un sospiro. Come sempre, bastava che lo sfiorasse e lui
diventava incapace di intendere e di volere. Socchiuse lentamente gli
occhi, pienamente consapevole di quanto il proprio fosse un segno di
resa.
“Perché
ti vergogni?”
Adam
parlava con un tono di voce così tranquillo che
calmò anche Tommy.
Il biondo lo guardò negli occhi e abbozzò un
sorrisino timido.
“Perché
non dovrei..?”
Sussurrò timidamente, si sentiva a disagio, voleva mandarlo
via e
restare solo, ma ovviamente non ci riusciva. Maledisse mentalmente la
bellezza di quell’uomo, e il suo fascino, e il potere che
esercitava su di lui probabilmente senza neppure rendersene conto.
Adam
gli baciò ancora le labbra, spingendolo contro la parete.
Gli diede
giusto il tempo di rendersene conto, però, staccandosi da
lui quasi
subito e guardandolo negli occhi. Tommy si mordicchiò le
labbra.
“Adam...
Ti... Ti prego...”
Vai via. Solo questo voleva dirgli. Non
perché non volesse le sue labbra, non perché non
desiderasse più
di ogni altra cosa averlo accanto sempre, ma perché tutta
quella
situazione era troppo ambigua, e incasinata, e strana. Voleva solo
che Adam gli chiedesse scusa. Tutto lì.
“Shh,
Tommy.” Quel dannato sorriso che lo stregava.
“Volevo solo...
Spero che tu un giorno possa perdonarmi per tutto questo.”
Buio.
Sentì
il rumore di una porta chiudersi di colpo.
Aprì
gli occhi.
Un
altro sogno. Di nuovo Adam.
Non
si poteva andare avanti così.
“Non
si può andare avanti così, Tommy!”
Adam
urlava. Sembrava arrabbiato, ma forse era solo frustato, o stressato.
Tommy, dal canto suo, si mostrava innaturalmente calmo: sinceramente,
non aveva la forza di litigare. Non aveva la forza di combattere per
poi arrivare ad ottenere.. be’, nulla. Si sentiva totalmente
svuotato delle proprie forze, di tutto. Pazienza inclusa.
“Cosa
vuoi da me, Adam?” scandì lentamente, alzando lo
sguardo verso di
lui. Se ne stava seduto su una sedia, in cucina, i gomiti poggiati
sul tavolo e le dita intrecciate tra loro, e seguiva Adam con lo
sguardo, squadrandolo da sotto in su, mentre lui girava attorno al
tavolo nervosamente.
“Cosa
voglio?!” sbottò il cantante, come se fosse
più che normale che
si fosse messo a sbraitargli contro senza alcun motivo apparente
pretendendo che lui sapesse di cosa stavano parlando. Adam scosse la
testa e proseguì. “Che tu la smetta, forse?
Smettila di guardarmi
in quel modo, di... di provare a farmi sentire in colpa, di
comportarti come se la nostra storia funzionasse e io sia lo stronzo
che ha messo fine al tuo sogno, smettila di.. di pensarmi in
continuazione, o per lo meno di sognarmi!”
Tommy
sospirò. Se precedentemente pensava che non fosse possibile
sentirsi
peggio di come stava, in quel momento si ricredette. Era possibile
eccome.
Ma chi era quell’uomo? Dov’era il suo Adam, che
fine
aveva fatto? Perché si comportava in quel modo,
perché diceva
quelle cose? E cosa avrebbe dovuto fare lui? ‘Smettere di
pensarlo’, bah! Come se lui potesse farci qualcosa!
“Quando
scopri il modo di scegliere che sogni fare, fammi sapere,
perché
risparmierei un botto in film porno, sai com’è.
Fino ad allora, be’, sono libero di sognare il cazzo che mi
pare.” Rispose
con freddezza – anche se la voce gli tremò un
po’ all’inizio –
ma non aveva intenzione di dare a vedere ancora quanto stava male per
lui. Non lo meritava, non più. Non meritava nulla di tutto
quello.
Adam
ringhiò e batté i palmi delle mani sul tavolo,
mettendosi proprio
di fronte a lui e avvicinandosi pericolosamente. Tommy non
batté
ciglio.
“Vaffanculo,
Tommy.”
“Sì,
ti amo anche io, Adam.” Tommy rabbrividì, la
risposta gli era
uscita spontanea, e sì, era provocatoria sicuramente, ma
dire quelle
parole, in quel momento, con quel nome accanto... Gli fecero male per
quanto
erano vere
nonostante tutto. Lo guardò negli occhi, per un istante,
e non si aspettava di vedere ciò che vide. Si aspettava
rabbia,
quasi furia,
e frustrazione, e qualcosa di tremendamente distante da quello che
aveva sempre visto in lui – sempre che l’avesse
davvero visto e
non avesse semplicemente voluto
vederlo.
Invece,
trovò quello che aveva sempre visto in lui: quello era
ancora il suo
Adam. In quegli occhi non c’era furia, né
frustrazione, né nulla
di quello che si era aspettato: c’era rabbia, sì,
ma una rabbia
offuscata da tristezza e dolore, e senso di colpa, e Tommy davvero
non capiva. Era Adam a ferirlo sempre in quel modo, a trattarlo senza
riguardo dei suoi sentimenti, come un giocattolo, e poi stava anche
così male? Perché lo aveva lasciato,
perché si comportava in quel
modo se poi soffriva così? Sembrava volesse essere
disprezzato,
quasi lo facesse apposta. Cos’era, un modo di metterlo alla
prova?
Adam
chiuse gli occhi, e scosse piano la testa, con l’aria
improvvisamente stanca. “Non sei divertente.”
“Non
voglio essere divertente.” Tommy rispose, ancora una volta in
automatico, mentre la fredda rabbia di prima se ne scivolava via,
dopo quello sguardo, lasciando il posto ad una malinconia che
sembrava prendergli a calci l’intestino.
L’altro
sbuffò, roteando gli occhi, e si sedette. Si guardarono
negli occhi,
in silenzio.
Fu
Tommy il primo a parlare: “Tu stai male quanto me, non
è così,
Adam? Tu non vuoi davvero lasciarmi. Non hai mai voluto.”
Adam
scosse la testa, e si prese il viso tra le mani. “Ti ho
già
lasciato. Accettalo.”
Oh,
certo. Ma Tommy ricordava quella chiamata, con chi parlava, con il
suo manager? L’aveva mandato a fanculo perché
doveva stare con
lui. E poi tutte quelle cose sussurrate quando pensava che lui non
ascoltasse? E tutta quella dolcezza nei suoi gesti? E il modo in cui
si preoccupava per lui?
C’era
qualcosa che Adam gli nascondeva. Non si stava semplicemente
illudendo, era così! Doveva essere
così.
“E perché
l’hai fatto, Adam?”
Il
moro guardò dovunque tranne che verso Tommy.
“Dovevo.
E tu dovresti lasciarmi andare.”
A
quel punto Tommy sentì nuovamente la rabbia montargli
dentro. Cosa
significava che ‘doveva’? Era una motivazione,
quella? Non era
neppure capace di usare una banale scusa del cazzo? Lo
fulminò con
lo sguardo, poi chiuse gli occhi e si morse le labbra, con forza,
cercando di mantenere la calma, almeno apparentemente.
“Ah,
dovevi.
Ora si spiega tutto.” Fece una breve pausa, guardandosi le
mani.
“Credi che io non sia capace di stare senza di te, Adam? Che
io non
sia abbastanza forte? Credi che se ti ho sempre perdonato, ogni cazzo
di volta, è stato perché non riesco a lasciarti
andare? Ne sei
davvero convinto?”
“No,
non è questo, Tommy. Io.. lo faccio..” Adam
iniziò a parlare,
interrompendolo e iniziando a mettere confusamente in fila le parole,
balbettando e incespicando, gesticolando, visibilmente nervoso.
Cercava di giustificarsi? Di mentirgli ancora? No, grazie, non aveva
più bisogno delle sue cazzate. O si decideva a dirgli la
verità o
la faceva finita.
Lo
interruppe a sua volta, senza riuscire a trattenersi un secondo di
più, e iniziando ad urlare: “Non mi interessa,
Adam! Ne ho
abbastanza delle tue bugie e della tua presunzione, del tuo modo di
trattarmi, di essere sottovalutato... Ne ho abbastanza di darti tutto
e di ricevere solo sofferenza in cambio! Sai perché ti
perdono
sempre tutto, Adam? Non perché non riesco a fare a meno di
te o non
mi rassegno al fatto che non mi vuoi, ma perché ti
amo.
E non sono io a trattenerti qui con me, quindi se mi hai lasciato, se
puoi fare a meno di me, se davvero non vuoi più che la
nostra
relazione vada avanti, vattene.”
Adam
alzò lo sguardo verso di lui. Silenzioso e con
l’aria afflitta,
lasciava che qualche lacrima gli colasse lungo le guance e neanche
sembrava accorgersene; scosse la testa e sembrò voler dire
qualcosa.
Tommy però non aveva ancora finito.
“Sto
dicendo sul serio, Adam. Vattene via, se è così.
Alzati, apri
quella porta, esci da casa mia e non tornarci mai
più.
Ti lascio libero di andare.” E nel dire quelle parole, Tommy
non
riuscì a trattenere le lacrime, né un vago
tremolio della voce; “Ma
se resterai qui, allora avrai la prova che non sono io quello che ha
bisogno di te.” Concluse infine, e si sentiva esausto, e
anche
ridicolo.
Aveva trasformato la loro discussione in un monologo
melodrammatico, degno delle telenovelle
più inguardabili del piccolo schermo. Una raffica di parole,
ma
soprattutto di emozioni e sentimenti, repressi fino a quel momento,
che avevano trovato sfogo in parole messe in fila senza neanche
pensarci, allineate con la loquacità della rabbia e
dell’impulsività. Era per questo che era anche un
po’
spaventato: non era sicuro di essere davvero pronto ad un addio
così
definitivo, ma in fondo sapeva che Adam non se ne sarebbe andato. Ne
era certo: aveva promesso!
Una
certezza, la sua, a cui si aggrappò disperatamente con ogni
fibra del corpo, mentre osservava l’altro dirigersi
verso la porta, fermarsi
sulla soglia e guardarsi indietro, con gli occhi tristi. Una certezza
che, testardamente, gli teneva le radici piantate nel cuore e non
voleva saperne di essere sradicata via, mentre il suo proprietario
non riusciva a provare nulla, nessun sentimento: sapeva solo che
quell’allontanamento lasciava in bocca un sapore amaro,
simile a
quello della sconfitta, ma anche a quello del dolore.
Guardò
impotente Adam che usciva da casa sua e dalla sua vita. Per
sempre.
Quel
giorno imparò che gli addii sapevano di lacrime e sangue,
lacrime
amare, e sangue versato come fosse acqua, e che le delusioni, quelle
vere, non sono quelle che ti svuotano: sono quelle che ti spezzano. E
una volta spezzati, be’, non si torna più indietro.
Note di fine capitolo:
SCUSATEMI!
Vi prego, vi supplico, sono in ginocchio qui davanti a voi a
scongiurarvi, scusatemi
se Adam fa così terribilmente schifo e Tommy è un
povero caro che le passa tutte lui, e se avete pianto come delle
coglione/dei coglioni.. eccetera.
Mi dispiace. çç
Il capitolo vi piace tanto lo stesso, non è così?
*-* ♥
Baci!!
P.S.: La
canzone del capitolo è I Don't Believe You di P!nk,
azzeccatissima a mio parere! :P
P.P.S.: Vi
toccherà aspettare almeno un'altra settimana per il quinto e
due per il sesto in quanto uno ancora non è finito e
l'altro non è neppure iniziato .__.
|
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Capitolo 5 *** bridge: I'm not asleep, but I'm not awake, after the way you loved me. ***
BRIDGE:
I'm
not asleep,
but I'm not awake,
after the way you
loved me.
I'm
not dead just yet.
I'm
not dead, I'm just floating
doesn't
matter where I'm going,
I'll
find you.
I'm
not scared at all,
underneath
the cuts and bruises,
I
finally gained what no one loses:
I'll
find you,
I
will find you.
~
Tommy
aveva ricominciato ad uscire.
Si
divertiva, anche.
Be’,
okay, forse no, ma fingeva tanto bene che a volte, per qualche
istante, si illudeva che fosse vero.
Isaac,
poi, era davvero fantastico. Gli stava vicino proprio come piaceva a
lui: senza fare troppe domande, ascoltandolo, assecondandolo,
perdonandogli tutto e offrendogli da bere, soprattutto! In
più, lo
teneva aggiornato su Adam, che invece – a quanto pareva
– non
aveva poi tutta quella voglia di divertirsi.
Tommy
non riusciva a non dispiacersene. L’ultima cosa che voleva
era che
Adam lo vedesse mentre fingeva di essere allegro – non era
affatto
un bravo attore – perciò gli conveniva che quello
se ne stesse a
casa fare il depresso, ma gli dispiaceva davvero che soffrisse.
Era
consapevole che pensarlo e dispiacersi per lui non gli faceva bene,
specialmente quando aveva promesso a sé stesso che non
avrebbe più
ceduto alla tentazione di perdonarlo, che sarebbe andato avanti. Ma
preoccuparsi per lui non significava perdonarlo, no?
Tommy
sapeva che la relazione da cui era appena uscito – gli
costava
fatica anche pensarlo, ma sì, ne era
uscito
– non era sana e lo faceva solo soffrire. Perciò,
lasciarsela alle
spalle era la cosa giusta. E per quanto la cosa giusta, in quel caso,
fosse ciò che meno desiderasse fare, purtroppo era stato
Adam a
scegliere, e Tommy non gli avrebbe più permesso di tornare,
era
stato chiaro: fuori da quella porta, fuori dalla sua vita. Per
sempre.
Fine
della storia.
Iniziò
a pensare a come sarebbe stata la sua esistenza senza Adam, e nello
stesso istante in cui quel pensiero gli sfiorò la mente, lo
stomaco
iniziò a fargli male. Fece una smorfia. Non aveva ancora
deciso cosa
avrebbe fatto per vivere, da quel momento in poi. Toccare un
qualsiasi strumento musicale gli faceva pensare a lui. Anche
ascoltare musica – qualsiasi musica – gli faceva
pensare a lui.
Guardare la TV, leggere il giornale, sfogliare riviste di gossip,
andare dal parrucchiere, persino stendersi a letto, qualunque cosa
facesse gli faceva pensare ad Adam.
Isaac
l’aveva anche ospitato un paio di giorni, per fargli
‘cambiare
aria’, ma non era cambiato proprio un bel nulla. Non
importava
quanto scappasse, il suo pensiero lo seguiva come un’ombra.
Sperava
solo di riuscire a dimenticarlo e di poter ricominciare a vivere. Se
la vita senza Adam poteva essere considerata tale.
Fu
proprio quando tutti quei ragionamenti minacciavano di sommergerlo, e
lui
minacciava di auto-flagellarsi per i suoi stessi pensieri, che Isaac
– che sia beatificato, sant’uomo – lo
riscosse dai suoi
pensieri: “Credo ti stia puntando” disse, indicando
un ragazzo
dall’altra parte della sala.
“Puntando?
Cos’è, un cane da caccia?” Tommy rise,
ma rivolse comunque lo
sguardo verso il ragazzo che Isaac gli aveva appena indicato. Capelli
neri, alto, pelle chiara, pantaloni aderenti scuri, stivali, camicia.
Gli mancava solo una cosa. Incontrò il suo sguardo: occhi
marroni.
Scosse la testa.
“Ma
possibile che non te ne piaccia nessuno, né nessuna? Hai la
fila
dietro!” Nonostante ciò che diceva, Isaac non
sembrava annoiato
dal suo comportamento. Forse ne era un po’ preoccupato.
“Non
è vero, idiota!” rise ancora Tommy, ma stavolta la
sua risata gli
sembrò un po’ isterica, e butto giù un
sorso di birra, sperando
di sembrare credibile.
Ma
poi, che gliene fregava di chi gli veniva dietro? Sapeva cosa
cercava, e non ne andava affatto fiero.
“Hey,
scusa, posso offrirti il prossimo giro?”
Tommy
si voltò di scatto, sorpreso: non si aspettava che qualcuno
fosse
interessato a lui a tal punto da avvicinarglisi. In realtà,
ad
essere sincero, non pensava sul serio di poter piacere a qualcuno: al
massimo poteva attrarre qualche povero disperato vagamente
guardabile, o qualche volta anche carino, che fosse alla ricerca di
qualche scopata, e per il quale, quindi, un ragazzo valesse
l’altro;
non si aspettava che qualcuno fosse seriamente interessato a lui
in
particolare. Squadrò bene il tipo, ma gli bastò
vedere i suoi occhi
azzurri incorniciati dai ciuffi neri a farlo annuire lentamente, con
un sorrisino.
Sapeva
quello che cercava, ma era stato quello che cercava a trovare lui.
Sembrò
passato un secolo dall’ultima volta che qualcuno
l’aveva toccato
in quel modo.
Sembrò
il paradiso, chiudere gli occhi e lasciarsi prendere da quel ragazzo
di cui neppure ricordava il nome, semplicemente perché
voleva farlo.
E
fu fantastico, facile, e leggero, un sollievo per il corpo e la
mente, liberatorio, quasi terapeutico.
Il
calore fu la cosa che gli restò per più tempo
addosso.
Con
tutto quello che era successo, il freddo lo sentiva nelle ossa e nel
cuore, quasi fossero improvvisamente divenuti di marmo, ed il sesso
gli restituì un po’ del tepore e della
serenità che aveva perso;
abbastanza da consentirgli di dormire tranquillo, per una volta. E
non si lasciò sfuggire l’occasione, scivolando in
un sonno
profondo appena la freddezza del post-sesso
tra due estranei minacciò di guastargli la ritrovata
tranquillità.
Con
l’imbarazzo avrebbe fatto i conti l’indomani
mattina.
Fu
una delle dormite più riposanti da quando lui ed Adam
avevano avuto
quel dannato litigio, tanto che quando si svegliò gli ci
volle più
del solito per ricordarsi in che merda di situazione si trovasse.
Quando
gli tornò in mente che non era tornato a casa il giorno
prima,
spalancò gli occhi di scatto, sperando senza troppa
convinzione che
fosse ancora mattino presto e che l’altro stesse dormendo,
così da
poter sgattaiolare via in silenzio. Ma la prima cosa che vide furono
gli occhi blu del ragazzo fissarlo intensamente, con
curiosità.
Tommy,
gli occhi spalancati, gli restituì un’occhiata
stranita, e si
sentì terribilmente nudo. La sua prima reazione fu quella di
disagio: si tirò il lenzuolo più su, fino alle
spalle, senza dire
una parola, totalmente nel panico. Probabilmente era anche arrossito.
Certo era che il sonno scomparve in pochi istanti.
“Buongiorno!”
Il
ragazzo – a quanto ricordava doveva chiamarsi Sebastian
– lo
salutò sorridente, come se nulla fosse. Era una persona
solare ed
estroversa, l’esatto opposto di Tommy, questo lo aveva
appurato già
la sera prima, e sembrava anche un tipo molto semplice, uno di quelli
con cui è davvero piacevole avere a che fare.
“Uhm..
Sì..
Buongiorno..” Tommy esitò, guardandosi intorno
spaesato. Il giorno
prima non aveva notato quanto fosse carina la camera (non che ne
avesse avuto la possibilità, era decisamente troppo
impegnato a fare
altro!). L’arredamento era davvero molto curato, e la stanza
era
ordinata al limite del maniacale. Il letto, i comodini,
l’armadio e
la scrivania erano di legno chiaro, semplice, con le rifiniture ed i
dettagli bianchi e in alluminio. Una delle ante dell’armadio
era
costituita da un’enorme specchio, che contribuiva a rendere
la
stanza più luminosa. La luce, tutta naturale, proveniva
dalla porta
a vetri che dava sul balcone, ed era filtrata da tende bianche. Il
tutto dava una sensazione di serenità e pace tali che Tommy
era
certo che fosse impossibile piangere in un letto del genere. Si
rilassò un po’.
“Vuoi
fare colazione? O se vuoi puoi usare il bagno prima!”
Tommy
si voltò di nuovo a guardare il ragazzo e si mise seduto,
sentendosi
un po’ più a suo agio. Si domandò se
quel tipo lo stesse
prendendo in giro o trattasse davvero così gli estranei, e
per quale
assurdo motivo fosse gentile al limite del digusto. Era davvero un
tipo strano.
“I-io...
non saprei. Posso... posso usare il bagno? E, ehm...” disse,
facendo cenno verso il lenzuolo che lo copriva fino in vita.
“Arrivarci con un minimo di privacy?”
Il
ragazzo rise, di una risata cristallina, che dava la stessa
sensazione di purezza che suggeriva la sua camera da letto. Poi si
alzò, aprì un cassetto e porse a Tommy un paio di
boxer; ne aprì
un altro e da lì tirò fuori una maglia e diede
anche quella a
Tommy.
“Certo
che puoi, bellezza! Avvisami quando hai finito, il bagno è
di là.”
esclamò sorridendo, indicandogli la porta che stava accanto
al
grande armadio, prima di uscire dalla stanza e lasciarlo solo.
Era
strano, davvero, ma nell’accezione più positiva
del termine.
Sprizzava una vivace solarità tutt’intorno a
sé e chiunque vi
entrava in contatto non poteva che esserne contagiato. Lo stesso
Tommy si sentiva molto meglio di quanto avesse immaginato. La
migliore dormita di quel periodo, seguita dal migliore (e dal
più
strano) risveglio da secoli a quella parte. Wow, davvero
sorprendente!
Quando
ebbe finito di lavarsi, infilò le mutande e la maglia che il
ragazzo
gli aveva prestato e i pantaloni che indossava la sera prima
–
trovati piegati su una sedia. Degli altri vestiti, invece, nessuna
traccia.
Uscì
dalla stanza, e si diresse esitante verso quella che, secondo lui,
sarebbe dovuta essere la cucina. Ci prese quasi, la cucina era giusto
una porta più in là, e quando entrò si
chiese sul serio se non
stesse facendo uno strano sogno, o fosse sotto l’effetto di
stupefacenti: la tavola era imbandita.
Nulla
di particolarmente eccessivo, oh no, una semplice
tavola apparecchiata per fare colazione, con latte, succo di frutta,
biscotti , ciambelle e un paio di muffin. Niente di salato o che
sembrava essere stato cucinato per l’occasione, quello
sì. Ma la
cosa sorprese comunque Tommy: da quanto tempo era che qualcuno, per
colazione, non apparecchiava la tavola per
lui?
Si
sedette osservando con aria stranita il ragazzo di fronte a lui, come
se avesse paura di scoprire che era un pazzo furioso che voleva
tenerlo prigioniero per usarlo come bambola a grandezza naturale, o
qualcosa del genere. Troppi film horror.
“Prendi
quello che vuoi, non sapevo cosa ti piacesse, così ho messo
a tavola
quello che avevo! Spero che vada bene...”
Tommy
scosse la testa, tutta quella gentilezza era quasi eccessiva, in un
certo senso lo insospettiva, anche. Ma trovò molto
più giusto
ringraziare, piuttosto che chiedere spiegazioni e accusarlo di essere
un serial killer.
“Grazie,
davvero. Non dovevi...”
Sebastian
sorrise e fece spallucce, dando l’ultimo morso alla propria
ciambella.
“Oh,
tranquillo, io faccio sempre colazione così!”
“Per
favore, mi apri?”
Tommy,
si strinse le ginocchia al petto, rannicchiandosi per terra, la
schiena poggiata contro la porta d’ingresso.
Strofinò il viso
contro la manica, bagnandola tutta.
Era
il sesto giorno di fila che accadeva, come diamine doveva fare a
farlo smettere?
“Ti
ho detto di no.”
Voce
ferma, neanche un tremolio. Bisognava che sembrasse forte.
“E
dai! Sono due ore che aspetto!”
Se
ne avesse avuto la forza, Tommy avrebbe riso, o l’avrebbe
mandato a
fanculo per l’ennesima volta. Tirò su col naso,
invece.
“Cosa
vuoi che m’importi? Te l’avevo detto. Fuori da
quella porta,
fuori dalla mia vita. La scelta era tua, tu hai voluto
questo!”
Sentì
Adam sospirare, poi bussare di nuovo alla porta. Gli venne da
piangere: cosa voleva? Quanto ancora voleva fargli male?
Perché era
tornato?
“Ti
prego, Tommy. Ho sbagliato...”
“E
per fortuna che lo sai, Adam. Ma ormai è fatta, e non si
torna
indietro. Vattene.” Lo disse con tutta la freddezza di cui
era
capace, poi nascose la testa tra le mani, e immaginò di
sparire.
“Ti
supplico, aprimi! Voglio solo parlare!”
Tenne
gli occhi testardamente chiusi e immaginò di essere
scivolato via da
sé stesso, di essere libero per davvero, da tutto, pensieri,
sentimenti, sensazioni, sogni, desideri. Libero.
Si figurò di nuovo in quella stanza dalle pareti bianche e
il letto
di legno chiaro, che in un nonnulla era divenuta il luogo in cui si
rifugiava quando voleva smettere di pensare; per scacciare i pensieri
doveva concentrarsi su qualcosa, e non c’era nulla di meglio
di un
morbido piumone chiaro, cuscini di piume d’oca, un perfetto
ordine
e le tende bianche che si muovevano piano, sospinte dal vento che
entrava dalla porta-finestra...
Il
rumore di Adam che insisteva a bussare e la sua voce che lo implorava
sembravano più distanti, intangibili. Non gli avrebbero
fatto del
male, erano solo parole.
Solo
parole.
“Digli
che non deve permettersi di tornare mai più! Diglielo,
Isaac!”
Il
suo migliore amico sbuffò, dall’altro capo del
telefono.
“Non
ti senti un po’ stupido a rifiutarti di parlare con lui?
Insomma è
venuto lì, è ritornato, è una
settimana che viene tutti i giorni e
aspetta di entrare, di parlarti, e tu non glielo permetti. Ci sta
male, Tommy, ci state male entrambi! E lui si è davvero
pentito,
vuole chiederti scusa. Basta comportarsi da bambini...”
Il
biondo scosse la testa, si passò la mano libera sul viso,
massaggiandosi la fronte.
“Non
me ne faccio un cazzo delle sue scuse, Isaac! Non me ne fotte che
è
pentito! È sempre così, è sempre la
stessa storia! Le seconde
possibilità non hanno senso, la gente non cambia mai.
Mai!”
Tutto
quello che aveva detto era dannatamente vero, eppure Tommy non lo
pensava. Anzi, sembrava doversene convincere, perché quando
era
solo, nel letto, la sera, pensava ad Adam, e gli aveva già
perdonato
tutto quanto, gli aveva dato una seconda possibilità ed era
pronto a
dargliene milioni ancora, e gli pareva stupida
la convinzione che la loro relazione andasse di merda. Avrebbero
potuto sistemarlo. Avrebbero potuto sistemare tutto, perché
era
destino che stessero insieme.
Ma
al mattino c’era l’orgoglio a fare a pugni con quei
pensieri, e
puntualmente vinceva quella battaglia interiore. Ed ogni risveglio
significava ripercorrere tutto quello che era successo, secondo per
secondo, e voleva dire un misto di rabbia e panico che gli metteva
sottosopra lo stomaco, e la fame che passava prima ancora di
venirgli.
“Va bene, okay, hai ragione, Tommy! Allora perché
non
glielo dici tu che deve smetterla di venire? Sono stanco di fare da
segreteria telefonica!” Isaac sembrava irritato, e Tommy si
sentì
anche un po’ in colpa, ma solo per un istante. Poi la rabbia
prevalse, quasi ringhiò, e poco ci mancò che
lanciasse per aria il
telefono. Lo trattenne dal farlo solo la consapevolezza che poi ne
avrebbe dovuto comprare un altro.
Sospirò
profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di riacquistare la
calma. Non ebbe molto successo: tremava dal nervoso, si sentiva
impotente, confuso e stravolto da tutte quelle emozioni che lo
martellavano e non gli lasciavano tregua. Ancora una volta desiderava
soltanto scappare
da se stesso.
“Perché
non glielo dico io?! Perché l’ho già
fatto! Gli ho detto che se
andava via sarebbe stato per sempre, e lui se n’è
andato. Perché
ho perso il conto delle volte che mi ha ferito e mi ha fatto stare
male, perché sono stanco di essere trattato da lui come
carta
straccia! Perché dopo tutto quello che mi ha fatto lo amo
ancora,
Isaac, e questo non è normale: questo è da malati!”
Piangeva,
sembrava che avesse due rubinetti al posto degli occhi, non la
smetteva più; e non era solo un pianto di dolore, non era
liberatorio, era esasperato, rabbioso, nervoso, quasi isterico. In
piedi al centro della cucina, cercava di scacciare i ricordi, ma gli
bastava abbassare le palpebre per un’istante e quelli
tornavano a
perseguitarlo. Troppo poco tempo era passato, quasi due anni
– i
più belli della sua vita – non si dimenticano in
due settimane,
anzi, probabilmente non si dimenticano mai, ma lui voleva solo che
tutto finisse. Voleva indietro la sua dignità, quella che un
tempo
gli impediva di piangere al telefono come una ragazzina, quella che
gli avrebbe permesso di lasciare Adam molto tempo prima, e di
soffrire molto meno, e quella che gli avrebbe permesso, in quel
momento, di andare avanti.
Ma
c’era quella schifezza che la gente chiamava amore,
che tutti pensavano fosse un Paradiso, e che invece assomigliava ad
un girone dell’Inferno. Eppure quel sentimento superava
qualunque
cosa, cancellava il rancore, la rabbia, il dolore,
l’angoscia,
tutto ciò che di negativo uno provasse, come gesso da una
lavagna. E
– in fondo – era bello perdonare, certo: fino a
quando non si
presentava ancora lo stesso problema. Fino a quando non si soffriva
di nuovo.
Guardò
dallo spioncino prima di uscire di casa. Erano le sette, possibile
che Adam fosse ancora lì? Sembrava quasi che sapesse che
doveva
uscire. Se ne stava lì a combinare qualcosa con il
cellulare, forse
era su twitter. Era meglio che non facesse cazzate con le fans,
perché Tommy non se la sentiva di affrontare anche i loro
giudizi,
né nei propri confronti né in quelli di Adam.
Be’, fortunatamente
se quel cretino twittava stronzate l’avrebbe saputo: ancora
non si
era deciso a disattivare la notifica sms per il suo account.
Guardò
l’orologio. Doveva affrontarlo, o avrebbe fatto decisamente
troppo
tardi all’appuntamento.
Si
strinse nella felpa, prese portafoglio e chiavi, inforcò gli
occhiali da sole – una semplice precauzione in caso avesse
pianto –
infilò le mani in tasca ed uscì di casa.
Si
chiuse la porta dietro facendo finta di nulla, ma appena Adam lo vide
si alzò di scatto e gli si avvicinò.
“Vuoi
un passaggio?” azzardò il moro.
Tommy
fece finta di non aver sentito, il cuore gli batteva
all’impazzata,
e cercò solo di ignorarlo. Si voltò. Dritto per
la propria strada,
l’auto non era molto lontana.
“Almeno
potresti rivolgermi la parola...”
Tommy
scese alcuni scalini e aprì il portone del palazzo. No, non
poteva
rivolgergli la parola o avrebbe ceduto. L’imbarazzo e il
dolore
nelle parole di Adam erano palpabili, e Tommy non sarebbe riuscito ad
essere freddo, o buttava fuori tutto il dolore sotto forma di rabbia
– sperando invano di stare meglio – oppure avrebbe
finito per
supplicarlo di tornare da lui e si era ripromesso di non farlo. Dio,
come avrebbe voluto abbracciarlo!
Adam lo seguì fuori, esitante,
e solo quando Tommy fu praticamente all’auto si decise a
parlare.
“Okay,
ho capito... Volevo solo dirti che mi dispiace. Davvero, mi dispiace
di tutto, per come ti ho-”
“ADAM,
STAI-ZITTO!” Tommy urlò,
fu più forte di lui, non riuscì a trattenersi,
urlò con tutta la
forza che aveva mentre le mani gli tremavano talmente che neppure
riusciva ad aprire l’auto. Urlò per coprire quelle
parole, urlò
illudendosi che così gli avrebbe fatto meno male,
urlò sperando di
non soffrire più. Voleva solo infilarsi in macchina e
scappare da
quella valanga di sentimenti ed emozioni contrastanti, ma non ci
riusciva, perché tremava tutto e non riusciva a calmarsi o a
respirare normalmente.
“Non
voglio parlarti, non voglio ascoltarti, non voglio vederti, non
voglio sapere nulla di te, nulla! Lasciami stare! Sparisci dalla mia
vita! Cosa credi, che io sia un giocattolo che puoi lasciarmi e
riprendermi quando ti pare?!”
Tommy
trovò il coraggio di guardarlo attraverso gli occhiali, dopo
che,
tra le lacrime a i singhiozzi, gli aveva urlato l’esatto
opposto di
quello che pensava. Cazzate, cazzate, cazzate. Voleva che in quel
momento Adam lo sbattesse contro l’auto e lo baciasse e gli
dicesse
che non poteva stare lontano da lui. Pregò che lo facesse,
lo pregò
con tutto se stesso.
Ma
Adam fece un sospiro, si mordicchiò le labbra, con gli occhi
lucidi
e sembrava stesse facendo l’impossibile per non scoppiare a
piangere anche lui.
“No, io non l’ho mai pensato, Tommy.. So
che sei arrabbiato, ma se solo tu mi lasciassi spiega-”
“VAI-A-FARE-IN-CULO!
Vattene! ADESSO!”
No,
non gli avrebbe lasciato spiegare un cazzo, il tempo per spiegarsi e
per scusarsi era finito, l’occasione era andata ormai. Ora
doveva
lasciarlo in pace.
Aprì finalmente lo sportello ed entrò in auto
in fretta, richiudendolo subito dopo. Voltò lo sguardo verso
Adam,
ma non riuscì a reggere i suoi occhi puntati direttamente
nei propri
per più di qualche secondo. Mise in moto e partì,
senza neanche
badare a dove andava.
Si fermò appena fu abbastanza lontano da casa,
e finalmente scoppiò a piangere liberamente.
Urlò
a pieni polmoni, e prese a pugni il volante, il cruscotto, il
finestrino, facendosi male, ma senza che quel dolore lo fermasse o lo
scalfisse minimamente. Pianse disperatamente, fino a che non ebbe
più
lacrime da versare, né rabbia a tormentarlo. Quando
finalmente la
respirazione tornò normale e la gola iniziò a
bruciargli e a fargli
male, esattamente come le nocche, tutto ciò che voleva era
tornare a
casa e stare solo con sé stesso.
Invece
dovette correre a quello schifoso appuntamento del cazzo.
“È
successo qualcosa, Tommy?”
Tommy
guardò Sebastian con una smorfia, poi riabbassò
lo sguardo e tornò
a contemplare le patatine fritte, senza alcuna intenzione di
mangiarle: si era sforzato anche troppo con quel panino.
Perché
aveva accettato di uscire con quel tipo? Perché non gli
aveva dato
buca? Che gliene fregava di lui?
Sicuramente
c’era un altro ragazzo anche solo vagamente somigliante ad
Adam da
rimorchiare e portare a letto, da qualche parte, in qualche locale.
Qualcuno con cui non fosse già stato. Non avrebbe dovuto
essere lì,
dato che non aveva intenzione di avere relazioni di alcun tipo.
Accettando di uscire con lui lo aveva solo illuso.
“Va
bene, se non vuoi parlarne non posso obbligarti.”
Ora
si sentiva anche in colpa. Perfetto. Lui neanche lo conosceva quel
tipo, che gliene fregava di ferirlo?
Eppure,
quel ragazzo era stato fantastico con lui. Gentile, disponibile e
sorridente, anche quando Tommy aveva occupato il suo letto senza
averne diritto né chiedere il permesso, anche quando era
arrivato
con un’ora di ritardo, gli occhi arrossati, le nocche
sbucciate e
la voce roca.. Lo era stato dal primo momento, e ancora lo era.
Magari si meritava di sapere qualcosa.
“Scusa...”
sospirò. Dopotutto quel Sebastian non meritava di essere
trattato in
quel modo.
E
poi non conosceva Adam, magari avrebbe potuto avere da lui un
consiglio neutrale.
Così,
un minuto dopo, stava raccontando tutto quello che gli era successo
–
fin dall’inizio – ad un totale sconosciuto.
Alla
fine del racconto, Sebastian sembrava sconvolto.
Tommy
non aveva detto il nome di Adam, né aveva accennato a
caratteristiche fisiche o a segni particolari o, men che meno, al suo
mestiere: nessuno avrebbe dovuto sapere nulla, e già sentiva
di
stare facendo un madornale errore a raccontare tutto a quel tipo, che
per quanto ne sapeva, poteva anche essere malintenzionato.
Ma,
be’, voleva fidarsi e lo fece, seppure con prudenza.
Il
ragazzo, comunque, aveva ascoltato il racconto a bocca aperta,
interrompendolo solo con qualche incredulo ‘sul
serio?’, ‘ha
fatto cosa?!’ e ‘stai scherzando?!’.
Tommy era rimasto
incuriosito da tutto quello stupore. Sì, era successo che
Adam si
comportasse da stronzo, in modo assurdo, che lo facesse sentire
usato, che addirittura finissero alle mani più di una volta,
ma in
fondo non gli sembrava tanto sorprendente. E poi, la loro relazione
aveva tanti di quei lati positivi che tutto quello finiva in secondo
piano. Ad esempio il loro feeling incredibile, musicale e non, e i
loro interessi in comune, e quanto si divertivano quando erano
insieme, il modo in cui Adam sorrideva a lui, per lui e solo quando
era assieme a lui, le sue carezze, e le sue mani dolci, grandi, e
calde, ed il suo odore di casa – non avrebbe saputo come
altro
definirlo, dalla prima volta che l’aveva sentito gli aveva
dato la
sensazione di essere a casa...
“È
meglio che sia finita tra voi.”
La
voce decisa di Sebastian e il suo sguardo insistente sembravano
provenire da chilometri di distanza. Tommy scosse la testa e si
sforzò di tornare alla realtà; quella frase gli
mise una tristezza
tremenda: non la pensava così, proprio per nulla. Adam era
stata la
migliore cosa che gli fosse mai capitata, e più passava il
tempo,
più lo rivoleva indietro.
“Già,
hai ragione, molto meglio così...”
Guardò
attraverso lo spioncino: Adam era lì fuori.
Era
lì da quando Tommy si era svegliato, quel venerdì
mattina, e non se
n’era ancora andato. Sembrava non essersi mai mosso, come se
fosse
rimasto seduto lì su quelle scale per tutto il dannato
giorno. Dio,
perché non se ne stava a casa?
Tommy
era combattuto: non sapeva se voleva o meno che Adam vedesse
Sebastian che lo veniva a prendere. Farlo ingelosire sarebbe servito
a mandarlo via. Ma voleva davvero mandarlo via? Quella che non ne
voleva sapere nulla di lui non era solo una bugia che raccontava a se
stesso e agli altri per fingere di stare bene?
Aprì
la porta e si trovò a pochi metri da Adam, senza nessun tipo
di
barriera a separarli e con l’intenzione di parlargli davvero
per la
prima volta dopo quasi un mese. Il moro alzò lo sguardo
versò di
lui e la sua espressione si distese percettibilmente.
Fece
per dire qualcosa, ma Tommy lo interruppe.
“Ti
prego, vai via.” sussurrò, in tono supplicante.
“Ti prego, Adam,
ti prego.”
Ma
l’altro scosse la testa. “Non finché non
mi permetti di
chiederti scusa per bene. Fammi entrare. Ti prometto che
cambie-”
Tommy
scosse la testa, zittendolo con ‘no!’, prima
ancora che finisse la frase. No, non voleva quella promessa, si
rifiutava! Erano cazzate!
E poi, a dirla tutta, non voleva che Adam
cambiasse. Era perfetto così com’era.
“Non
voglio sentirlo! Non voglio che tu cambi, Adam.”
Sospirò ancora,
chiudendo gli occhi, e fece trascorrere una decina di secondi prima
di riaprirli e ricominciare a parlare, con un tono più
calmo. “Ne
parleremo, contaci, fidati di me, ti darò la
possibilità di dirmi
tutto, ma ti prego, vai via adesso. Non è il momento
adatto...”
Proprio
mentre lo diceva, vide Sebastian fuori dal portone. Troppo tardi.
Roteò gli occhi, poi li chiuse, aprì al ragazzo
premendo
sull’interruttore qualche passo più in
là, poi si appoggiò al
muro accanto l’uscio di casa.
Il
ragazzo portava una busta con i vestiti che Tommy non aveva
più
trovato quella mattina a casa sua: li aveva lavati e stirati e gli
aveva promesso di portarglieli quella sera, prima del cinema.
Sì,
il cinema, un altro dannato appuntamento a cui non aveva saputo dire
di no.
Il
nuovo arrivato aveva osservato gli sguardi che Adam e Tommy si
scambiavano solo per un’istante, attraverso il vetro del
portone e
fu chiaro che aveva capito. Si avvicinò al biondo, senza
guardare il
cantante un secondo di più, e gli scoccò un bacio
sulle labbra.
Tommy
non se lo aspettava, e ci mise alcuni secondi per realizzare la
situazione e tentare di allontanarlo, ma per allora si stava
già
allontanando da solo. Gli lanciò mentalmente diversi
insulti,
guardandolo malissimo.
“Ecco
i vestiti che ti dovevo portare, amore.” sorrise Sebastian,
in modo
evidentemente forzato, porgendogli la busta, che Tommy
afferrò
bruscamente. Poi il ragazzo si voltò verso Adam, come se
l’avesse
appena notato. “Ehm, scusami Tommy, stavi per caso... parlando
con lo sfigato,
qui?” domandò con un sorriso malizioso.
“E tu,
non hai una casa dove stare, che te ne stai seduto nella rampa delle
scale di un condominio? Che fai, chiedi
l’elemosina?” aggiunse,
rivolgendosi direttamente ad Adam.
La
rabbia che Tommy provò in quegli istanti fu a stento
paragonabile al
dolore che provò nel vedere la delusione ed la vergogna
negli occhi
di Adam, mentre andava via.
Mentre
lo perdeva.
Di
nuovo.
Note di fine capitolo:
Okay, lo comprendo è davvero un modo di merda di lasciarvi.
Mi odierete sicuramente di più di quanto state odiando
Sebastian adesso, per avervi lasciate/i così.
Ma gioite, donzelle e fanciulli (?): siamo
quasi alla fine!
Non manca molto all'agognato "happy(?) end" di questa storia. In
realtà qualcuna di voi più di altre sa che le mie
intezioni per il finale non sono sempre state molto chiare e
sinceramente non ho ancora deciso quale delle due 'strade'
prenderò... *fa calare un alone di misssssshtero*
In ogni caso, tenetemi di buon umore con tante recensioni come fate
sempre e andrà tutto bene! :P
(E non odiate tanto Sebastian, si è ingelosito, povero caro
T___T)
A presto! (si spera!)
P.S.: Una
caramella a chi indovina la canzone del capitolo! :P
|
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Capitolo 6 *** coda: I might have not been clear to say I never looked away, I never looked away... ***
CODA:
I
might have not
been clear to say
I
never looked
away, I never looked away...
I'm
not dead, just floating.
I'm
not scared, just changing.
You're
my crack of sunlight, yeah.
~
“Esci
immediatamente da casa mia, stronzo.”
Adam
era andato via neanche dieci minuti prima, e nell’istante in
cui
Tommy aveva superato il momento di stordimento e aveva pienamente
realizzato cosa fosse successo, aveva spinto immediatamente Sebastian
dentro casa, aveva chiuso la porta e gli aveva scaricato addosso
tutti gli insulti che conosceva, e ne conosceva tanti.
Solo
dopo gli aveva chiesto spiegazioni. E lui, con l’aria
mortificata,
aveva risposto che guardandoli aveva capito la situazione e che
pensava di fargli un favore,
il che aveva causato una nuova scarica di insulti.
“Senza
considerare che mi ci hai fatto entrare tu, in casa tua, ma prima di
cacciarmi mi spieghi che ho fatto di male?” Sebastian scosse
la
testa, gesticolando mentre parlava. Era come al solito più
calmo di
quanto ci si aspettasse da lui – insomma, Tommy era furioso,
lui
invece sembrava solo vagamente irritato. Era tanto freddo da far
venire i brividi. Tommy si chiese come aveva fatto a non farci caso
prima.
“Io
ho semplicemente fatto quello che tu non hai avuto il coraggio di
fare fino ad ora: mandarlo via. Non è difficile, hai visto?
È
bastato dargli dello sfigato ed è scappato quasi in
lacrime!”
Continuò Sebastian in risposta al suo silenzio.
“È solo un
patetico perdente. Cosa avrebbe fatto se l’avessi chiamato
perdente? Si sarebbe messo a piangere e sarebbe corso a dirlo a
mammina?”
Tommy
non era stato mai così furioso in vita sua.
Non
seppe in che modo si trattenne dal prenderlo a schiaffi, a calci, a
pugni, dal pestarlo e dal lasciarlo lì per terra mezzo
morto.
Continuò a ripetersi stupidaggini come il fatto che la
violenza non
era roba per lui e che se fossero finiti alle mani ne sarebbe uscito
a pezzi. In realtà gli avrebbe volentieri rotto i denti a
furia di
pugni in faccia: poi sarebbe stato lui a ridere. E di gusto, anche.
Non
poté trattenersi, fu un’istante, gli si
avventò addosso e lo
spinse contro il muro, tenendolo per la collottola, con una forza che
neanche si aspettava di avere.
“Ma
sei scem-” Sebastian strillò, ma si interruppe
subito quando Tommy
lo spinse ancora più forte contro la parete. Finalmente il
moro
sembrava provare emozioni simili a quelle di un essere umano.
Tommy
non gli lasciò la possibilità di dire altro.
Adesso toccava a lui.
“Primo,
schifoso figlio di puttana, sfigato
e patetico
perdente ci
sarai tu. Non permetterti mai più di insultare il mio uomo
in mia
presenza, perché tu non vali neanche quanto la carta con cui
lui si
asciuga il culo. Ci siamo intesi, razza di sottospecie di armadillo
sottosviluppato?” fece una breve pausa, e tremava tanto
intensi
erano l’odio e la rabbia che gli pulsavano nelle vene in
quell’istante. Il ragazzo lo guardò senza battere
ciglio.
“Secondo,
brutto essere con le capacità cognitive di una lumaca morta,
tu non
sei proprio nessuno per intrometterti nella mia
fottuta
vita, o per fingere di essere il mio
ragazzo, né men che meno per arrogarti il diritto di cercare
di
risolvere i miei fottuti problemi! Nessuno ha chiesto il tuo
intervento, decido io cosa fare della mia vita, e anche come farlo e
quando. Tu non sei nessuno per me, sei stato a stento una scopata e
neanche nulla di tanto straordinario. Per fartela breve: non me ne
frega un
cazzo
di te.”
Stavolta
riuscì ad intravedere un’espressione davvero
ferita passare sul
viso di Sebastian; lui la nascose efficacemente pochi istanti dopo,
ma Tommy fu certo di averla vista, qualcosa era cambiato nei suoi
occhi, da qualche parte, forse nelle pupille più dilatate, o
nel suo
sguardo più assente, e qualcosa era cambiato anche in tutto
il resto
del suo corpo, nei muscoli più tesi e nei tentativi
più decisi di
liberarsi dalla sua stretta, nel respiro accelerato e nel colorito,
improvvisamente più pallido.
Tommy
lo lasciò andare, fece qualche passo indietro e, mentre lo
guardava
barcollare e scoccargli sguardi d’odio, dovette ammettere che
si
sentì in colpa. Ma non rimpiangeva nulla.
“Spero
di essere stato sufficientemente chiaro, Sebastian. Ora fuori dalla
mia vita, all’istante.” disse, il tono calmo e
distaccato, mentre
si voltava verso la porta e faceva per aprirla.
“Oh,
sì che lo sei stato. Sufficientemente chiaro e stronzo.”
Pausa
ad effetto. Tommy si voltò a guardarlo. Cosa cercava, delle
scuse?
“Pensavo di piacerti, sai? Che illuso.
Credevo che volessi
dimenticarlo, che ti avesse ferito. Me l’hai detto tu che era
così,
mi hai detto tu che non ti meritava!” Se nella sua voce si
potevano
cogliere sfumature isteriche e si poteva intuire la presenza di
qualcosa di irrimediabilmente infranto lì, da qualche parte
dentro
di lui, i suoi occhi erano tutta un’altra cosa. Sebastian ne
aveva
un controllo straordinario. Lo guardava con l’aria di uno che
sapeva di avere ragione, ne era certo, e non se ne starebbe mai stato
in silenzio, lo avrebbe zittito. Tommy ne fu quasi spaventato.
“Non
capisco perché ci tieni così a lui. Ti ha
trattato male, ti ha
mollato senza riguardi, ti ha fatto stare da schifo e tu lo difendi
così, a spada tratta?! Non gliene frega un cazzo di te,
Tommy! È
tornato perché sei l’unico idiota che lo sopporta
e tu lo sai bene
o, se non lo sai, forse sei anche più illuso di quanto io lo
sia mai
stato in tutta la mia vita.” Tommy dovette ammetterlo, quelle
frasi
rischiavano di trasformare in dubbi anche i suoi punti saldi. Sapeva
dove andare a colpire, il ragazzo. In quel momento desiderava solo
che se ne andasse e la smettesse di confonderlo.
“Sai,
continua
a comportarti così, Tommy. Perderai tutti quelli che, come
me, ci
tenevano. Ma dato che lui è così magnifico da
meritare tutto ciò,
be’, tienitelo, quello sfigatello grassoccio da quattro
soldi. Io
posso trovare di certo qualcuno che sia meglio di te.”
Non
diede neppure a Tommy il tempo di rispondergli ed uscì dalla
porta,
chiudendosela dietro con un tonfo e lasciandolo lì, tremante
di
rabbia, ad affogare nelle proprie insicurezze e nei propri sensi di
colpa.
“Scusami.”
Silenzio
dall’altro capo del telefono. Il ragazzo non pareva voler
rispondere. Non se lo aspettava o non voleva scusarlo?
“Tommy...
perdona la domanda, ma... perché ti stai
scusando?” Isaac pareva
seriamente perplesso.
A
Tommy, sinceramente, venne da ridere. Tutto si aspettava, tranne che
una risposta del genere! Scosse la testa.
“Perché ti ho
annoiato con tutti i miei problemi in queste settimane, sono stato
appiccicoso ed insopportabile e mi sono comportato da egoista. Mi
dispiace...”
Dall’altro capo del telefono, il batterista rise
di gusto, sembrava non volesse più smettere. Tommy
arrossì, si
sentiva un po’ ridicolo, vero, però aveva sentito
il dovere di
farlo finché era ancora lucido. Non sapeva cosa aspettarsi
da Adam,
da quel momento in poi...
“Ma
sei scemo?! Gli amici servono a questo, Tommy Joe! Ora,
qual’è il
problema? Spiegami cos’è successo!”
Il
bassista avrebbe tanto voluto abbracciarlo e non lasciarlo
più
andare. Amava infinitamente Isaac, amava il modo in cui si
preoccupava per lui, il modo in cui lo aiutava e gli stava sempre
accanto, la sua dolcezza e la sua sua disponibilità persino
eccessiva. Se Tommy l’avesse chiamato alle tre di notte, lui
non
avrebbe esitato un attimo a rispondere, pronto a consolarlo e ad
aiutarlo, sempre.
“Ti
voglio bene, Isaac. Davvero.”
E
lo sentiva davvero, con ogni fibra del suo corpo, gli voleva bene
come non ne voleva a nessun altro. Fece una breve pausa, sorridendo,
rasserenato da tutto quell’affetto.
Poi,
cominciò a raccontare.
Quando
parcheggiò l’auto al solito posto, quando percorse
il vialetto,
quando si trovò davanti a quella porta, pensò a
tutte quelle volte
che si era ripetuto che non ci sarebbe tornato mai più: che
non si
sarebbe mai più fermato in quella strada, che non avrebbe
mai più
posteggiato l’auto nelle vicinanze, che mai più
avrebbe percorso
quel vialetto e che mai, per nulla al mondo, avrebbe suonato ancora
quel campanello.
Eppure
lo fece, fece ogni singola cosa che aveva giurato di non fare mai
più, e non un briciolo di esitazione lo percorse.
Che
stupido che era stato. Con Adam il “mai” non
esisteva, avrebbe
dovuto impararlo tanto tempo prima: tra loro esisteva solo il
“sempre”.
Adam
era tornato perché avrebbe sempre
avuto
bisogno di Tommy e Tommy avrebbe sempre
avuto bisogno di lui; era tornato perché, era inevitabile,
per
quanto cercassero di allontanarsi, di stare con qualcun altro
– e
ci provavano, davvero!
– alla fine tornavano sempre a cercarsi. Era tornato
perché da
quando si conoscevano non era passato un istante senza che Tommy si
sentisse speciale e fottutamente fortunato ad averlo conosciuto e
chissà, forse anche Adam si sentiva così.
Perciò,
quando suonò quel campanello, Tommy aveva le idee chiare:
non aveva
alcuna intenzione di fare a meno di lui.
Peccato
che ci fosse voluto tutto quel tempo e le parole di un idiota codardo
e menefreghista a far sì che Tommy ne fosse certo.
Fu
Sauli ad aprire la porta, e fu un po’ una sorpresa per
entrambi.
Il
finlandese lo guardò confuso, era impossibile capire cosa
pensasse.
Era sempre stato così per tutti, non riuscivano a decifrare
alcune
sue espressioni, alcuni suoi gesti, alcune sue reazioni. Lo
attribuivano alla differenza culturale, senza sapere che era
così
che Sauli era fatto, semplicemente. Non era affatto un libro aperto.
Tommy,
dal canto suo, si sentì tremendamente a disagio, ed in
colpa. Il
modo in cui aveva parlato di lui ad Adam... Sauli non lo meritava.
Non era lui il nemico, non era sua la colpa. La colpa era loro, sua e
di Adam, delle loro ipocrisie, delle loro intolleranze, delle loro
bugie e delle loro verità. La colpa era di Tommy che lo
lasciava
libero – perché Adam era proprio quello, uno
spirito libero, non
si poteva fare altrimenti – e poi si lamentava quando si
comportava
da tale. La colpa era di Adam, che lo riempiva di troppe bugie e gli
dava in pasto troppe verità azzardate, e pretendeva che lui
non
facesse una piega. La colpa era loro, che tanto insistevano a dire di
non sopportare i difetti dell’altro da convincersene, e poi
sentirne la mancanza una volta lontani.
“Adam
è di sopra. Non vuole parlarti.” Sauli fu
telegrafico, un po’
freddo, ma cortese, a modo suo: almeno non l’aveva mandato a
fanculo.
“Come
lo sai?”
Non
avrebbe certo creduto a quella spudorata bugia. Adam che non voleva
parlare con lui? No, non era possibile. Non poteva essere. Ma poi,
che fosse vero o no, che il cantante volesse o meno, Tommy gli
avrebbe parlato lo stesso. Era lì per quello e non se ne
sarebbe
andato fin quando non avesse raggiunto il suo scopo.
Sauli
lo guardò per qualche secondo, severamente, e quegli occhi
di
ghiaccio misero i brividi a Tommy.
“Non
vuole parlare neanche con me, perché dovrebbe parlare con
te?”
Okay.
C’era da chiarire come stavano le cose. Perché
avrebbe dovuto
parlare con Tommy? Perché la questione in sospeso era tra
loro,
forse? Chi si credeva di essere quel tizio? Tommy conosceva e amava
Adam da quasi due anni, e cercavano di far andare bene le cose da
tutto quel tempo, non poteva permettere ad un biondiccio sciapito
qualunque di rubargli il posto nel cuore di Adam!
“Allora
posso parlare con te, Sauli?”
Una
smorfia strana e poi il suo interlocutore annuì, lasciandolo
entrare
in casa e chiudendosi la porta dietro.
Era
il momento di fare chiarezza.
“Mi
pare ovvio che ti abbia preso per culo.”
Sauli
sembrava sicuro di sé. Tommy scoppiò a ridere
senza allegria.
Scherzava, vero?
Gli
aveva raccontato tutto, dal modo in cui Adam si riferiva a lui
–
sempre come ‘il ragazzo di copertura’ –,
a come si lamentava di
lui e del suo carattere, e gli aveva anche riferito di quando giurava
che lo avrebbe lasciato volentieri, ma non poteva, era lavoro; Sauli
non aveva fatto una piega. Anzi, aveva sostenuto che era Tommy
l’illuso, lì, perché lui era solo il
giocattolino di Adam, poteva
metterci la mano sul fuoco.
Sì,
quello a Tommy fece male. Si fidava di Adam, esattamente come faceva
Sauli, ma i dubbi si insinuavano nella sua mente senza che neanche se
ne accorgesse, e minacciavano di distruggere tutto. Come faceva
Sauli, invece, ad essere così sicuro di non essere stato
preso in
giro? Come poteva essere così certo che le cose che diceva
Tommy
fossero cazzate? Non lo erano!
Si
fidava così tanto di Adam? Beh, si sbagliava.
Lui non lo conosceva.
Adam non avrebbe mai mentito a Tommy. Adam non lo avrebbe mai usato.
Perché avrebbe dovuto? No, no, no. Non poteva ricominciare a
dubitarne.
“Mi
pare ovvio che abbia preso per il culo te, Sauli.”
Fu
a quelle parole, pronunciate con finta sicurezza, che sul guscio di
impenetrabilità del finlandese comparve la prima crepa:
dovette
spostare lo sguardo dagli occhi del suo interlocutore, eppure Tommy
riuscì a notare gli occhi lucidi, e poté quasi
vederlo combattere
con tutte le forze con quell’idea terribile, l’idea
di essere
stato preso in giro, usato, trattato al pari di un accessorio, senza
alcun riguardo per i suoi sentimenti; l’idea con cui Tommy
stava
già facendo i conti ormai da molto tempo e più i
giorni passavano
più sembrava realistica, più faceva male, eppure
non cambiava
minimamente i suoi sentimenti per Adam.
Tommy
avrebbe tanto voluto semplicemente smettere di stare male, ma
l’unico
modo per farlo era cancellare quei sentimenti, e quei ricordi,
dimenticarli, andare avanti, e avrebbe dato qualunque cosa pur di non
perdere nulla di tutto ciò: memorie, emozioni, desideri,
tutto ciò
che c’era e c’era stato tra lui ed Adam, erano la
migliore cosa
che potesse avere.
Fu
quando vide la crepa nell’impenetrabilità di Sauli
allargarsi
ancora di più, e qualche lacrima sfuggire a quel ragazzo
così
chiuso e strano, che capì che, però, non era quello
che voleva. Non voleva ferire nessuno per il proprio egoismo.
Adam
non era suo.
Adam
faceva quello che gli pareva, e se quello che gli pareva era
prenderlo per culo, che lo facesse! Se ciò che voleva era
stare con
Sauli, anche tutta una vita, be’, che lo facesse!
Perché anche se
magari non era felice, era quello ciò che voleva,
ciò che aveva
scelto, e chi era Tommy per decretare che le sue decisioni erano
sbagliate? Se Adam si sentiva bene con sé stesso a trattare
così le
persone, buon per lui, ma Tommy non riusciva a ferire Sauli in quel
modo, vederlo cadere a pezzi di fronte a sé e restare
impassibile.
Poteva
tenere tutto per sé, mentirgli, risparmiargli quella
sofferenza ed
avere la coscienza pulita. Era un comportamento egoista? Sicuramente,
ma almeno non avrebbe scaricato la sofferenza addosso ad
un’altra
persona.
Fece
subito marcia indietro.
“No,
no, ascolta, scusa. Hai ragione tu. Mi ha... Sono... È
che...
Insomma, non è facile accettare che la persona che ami ti
abbia
preso in giro, credo che tu mi capisca. Vorrei solo... Voglio
parlargli. Non voglio perderlo, Sauli. Per favore.”
Quegli
occhi azzurro ghiaccio lo guardarono con sospetto, mentre dal canto
suo, Tommy pregava per un sì, semplicemente.
Un sì che non arrivò.
Sauli
se ne stette lì a guardarlo e non rispose per alcuni lunghi
minuti.
“Pensi
che io sia stupido?” sbottò
all’improvviso. “Pensi che io non
sappia cosa c’è tra di voi? Pensi che non
riconosca il tuo odore
dappertutto addosso a lui quando torna a casa? Pensi che non lo
sappia che per quanto possa tenerci a me non sarà mai
comparabile a
quello che prova per te? Pensi che ti permetterò di
portarmelo via?”
Tommy
scosse la testa, cercò di interromperlo, avrebbe voluto
negare,
negare con tutto sé stesso, anche se sapeva quanto fosse
vero, e
solo in quell’istante realizzava quanto male gli avesse già
fatto. Si sentiva una merda.
“Lotterò
con le unghie e con i denti per tenermi il mio ragazzo, Tommy. Non
provare neanche a pensare di impedirmelo.” Concluse Sauli,
l’espressione decisa, forte, gli occhi puntati in quelli
dell’altro.
No,
no, no. Non era la guerra aperta quello che Tommy voleva! Gli pesava
già abbastanza quando era un conflitto silente, che
serpeggiava tra
loro perennemente, dal primo istante in cui l’uno era venuto
a
conoscenza dell’altro. Non voleva che quella guerra
scoppiasse.
“Io
non voglio portartelo via, Sauli, e anche se volessi, non potrei.
Adam non è mio e non lo sarà mai.” si
concesse una breve
pausa,deglutì le lacrime. Quei concetti avrebbero dovuto
essere
acqua passata ormai, avrebbero dovuto essere stati assorbiti, eppure
ancora gli facevano così male. Forse era il dirlo ad altra
voce, che
li rendeva più reali, e gli faceva così male.
“Sai, mi piacerebbe
se le cose fossero realmente come tu le immagini, ma non è
così. Io
non so più cosa provi Adam per me. So solo che ci sono
giorni in cui
mi fa sentire come se fossi l’unica persona di cui gli
importi, e
giorni in cui sembra che venga da me solo per svuotarsi le palle.
Eppure... eppure qualunque cosa faccia mi fa sentire speciale. Io non
posso cancellare ciò che provo per lui, Sauli, vorrei fosse
possibile, ma non posso. Ti chiedo solo la possibilità di
parlargli,
di chiarire con lui, solo questo. Non voglio portartelo via. Voglio
solo poter essere suo amico. Guardami, Sauli. Ti sto
supplicando.”
Tommy
pensava che mentire fosse più difficile, ma poi, quando si
era
trattato di difendere quella sottospecie di relazione che aveva con
Adam, si era reso conto che era facile. Aveva infilato qualche bugia
in mezzo ad alcune verità, ed era riuscito anche a guardarlo
negli
occhi senza imbarazzo mentre parlava.
Sauli
sospirò. Una volta, due, tre. Alzò lo sguardo, ed
il suo ‘guscio’
era di nuovo lì, e lui era di nuovo indecifrabile.
Poi,
finalmente, Tommy lo vide annuire.
“D’accordo.
Ma pretendo massima sincerità da te. Ti sto dando la mia
fiducia, e
non credo affatto che tu te la sia meritata.”
Non
riuscì a trattenersi, e neppure desiderò farlo,
abbracciò Sauli,
con entusiasmo, con gioia, cercando di infondergli tutto il suo senso
di gratitudine. Gratitudine perché avrebbe potuto dirgli di
no,
mandarlo a fanculo, non credere alle sue bugie, dare il via ad una
guerra che magari li avrebbe portati entrambi a perdere, eppure Sauli
gli aveva detto di sì.
Percepì
il suo imbarazzo quando sciolse l’abbraccio, ma non vi
badò. Frugò
nelle tasche e porse al finlandese le chiavi della propria
auto.
“Prendila, vai a fare un giro, fai shopping, vai a
mangiare qualcosa, quello che preferisci... ti chiedo
un’oretta,
solo questo. Ti riferirò tutto, se è questo che
vuoi. Promesso. E
grazie. Grazie, grazie, grazie. Davvero.”
L’altro
lo guardò un po’ stranito, osservando quelle
chiavi come se
fossero un attrezzo sconosciuto; per tornare lucido gli ci vollero
alcuni lunghi secondi – durante i quali Tommy fu certo che ci
avesse ripensato, e tirò un sospiro di sollievo quando lo
vide
dirigersi verso la porta e sorridergli.
“In
bocca al lupo, Tommy.”
Silenzio.
Fissava
la porta di casa di Adam, chiusa.
Sauli
era appena uscito, lasciandoli soli.
Poteva
sentire la TV accesa al piano di sopra, e immaginare Adam
rannicchiato sotto le coperte a guardarla. Respirava talmente
silenziosamente che neanche lui stesso si sentiva, e il panico gli
attanagliava le viscere.
Cosa
doveva fare?
Più
ci pensava e più si sentiva un pezzo di merda.
Non
meritava un briciolo della fiducia che Sauli gli aveva concesso. Non
gli avrebbe mai riferito nulla di qualunque cosa fosse successa tra
lui e Adam mentre era via, non sarebbe stato mai sincero con lui, non
gli avrebbe lasciato avere Adam tutto per sé,
perché non sarebbe
mai stato solo
un suo amico.
Si
sentiva un’orribile ipocrita, uno stronzo ad essersi
comportato
così, anzi, certamente era
un’ipocrita, uno stronzo e una persona orribile. Ma lo
sarebbe
stato ancora di più se davvero fosse salito in camera di
Adam e
avessero chiarito, e tutto fosse tornato come prima. Lo sarebbe stato
ancora di più perché avrebbe ferito consapevolmente
un ragazzo che non solo non gli aveva fatto nulla, ma gli aveva anche
concesso la propria fiducia, e perché non sarebbe mai
davvero
tornato tutto come prima, non avrebbe mai dimenticato tutti quei
dubbi, quelle insicurezze, quelle bugie e soprattutto sarebbe sempre
stato consapevole che stava regalando la propria fiducia ad una
persona, Adam, che non la meritava e non le dava alcun valore.
Si
chiese sinceramente se ne valesse la pena.
Salì
al piano di sopra perché sì, ne valeva la pena
eccome.
Adam
se ne stava seduto sul bordo del letto, a guardare qualcosa in TV,
probabilmente qualche telefilm. Tommy aprì la porta
in silenzio, e si fermò sulla soglia.
Quando
alzò lo sguardo, Adam si bloccò, mordendosi un
labbro. Lo guardò
per alcuni secondi, e quando vide che non parlava cercò di
dissimulare l’imbarazzo. “Ehm, ciao... Uhm...
Sauli?”
Tommy
scosse la testa e sorrise. Si poteva essere più belli? Gli
era
mancata quella sua espressione teneramente imbarazzata, e a stento
badò alle sue parole; preferì osservare come si
muovevano le sue
labbra mentre parlava, e quegli occhi color del cielo, e le
lentiggini un po’ dappertutto. Ci mise più di un
minuto a
realizzare che doveva dire qualcosa.
“Sauli
è... È uscito. Abbiamo un po’ di tempo
per noi...”
Se
ne stava lì, appoggiato allo stipite della porta, le braccia
incrociate sul petto e lo guardava. Aspettava una reazione, una
qualsiasi reazione che significasse qualcosa, che gli desse un
indizio su ciò che passava per la testa dell’altro.
Adam
fece una smorfia, spegnendo la TV e poi sospirando.
“Ascolta,
forse sarebbe meglio se non... se evitassimo di parlarci... e
vederci.”
Tommy
tirò ad indovinare: pensava ancora a quello stronzo di
Sebastian?
Credeva davvero che quel tizio contasse qualcosa? Probabilmente.
Sbuffò, si sedette al suo fianco e cercò di
rassicurarlo.
“Quel
ragazzo, l’altra volta, era un pallone gonfiato qualsiasi con
cui
dovevo andare al cinema quella sera. Non stavamo insieme se
è questo
che ti preoccu-” Adam lo interruppe con un cenno, guardandolo
con
aria stanca, scuotendo la testa.
“Non
è importante. Non è questo il
problema...”
Il
biondo lo guardò, senza capire. “Ah, no?”
E
allora perché diamine non avrebbero dovuto parlarsi e
vedersi?!
“Bene,
allora qual’è il problema?”
Il
moro sospirò: “Ti prego, comprendimi, Tommy, non
posso... non...”
Si prese la testa tra le mani, massaggiandosi la testa. Tommy non
nascose quanto la cosa lo irritasse. Si erano sempre detti tutto,
cos’erano quei segreti? Tanto peggio non poteva andare, o no?
“Cosa
devo capire, Adam, me lo spiegheresti? Perché mi piacerebbe
saperlo.
Perché tutto questo? Perché volevi chiudere con
me? Perché mi hai
lasciato e poi sei tornato? Perché te ne sei andato quando
ti avevo
chiesto di restare? Perché non fai altro che andare e
tornare? Cosa
vuoi da me, Adam?”
Le
lacrime non poté trattenerle, gli sfuggirono, poche e
silenziose, ed
un abbraccio e qualche parola gentile erano tutto ciò che
voleva per
calmarle. Un abbraccio e qualche parola gentile che non arrivarono.
Adam
lo guardò negli occhi, finalmente.
“Perché
tu meriti di meglio, Tommy, ecco perché. Perché
io sono un
bugiardo, un ipocrita, un bambino viziato, un indeciso cronico, uno
stronzo, e perché sono solo capace di ferirti.
Perché non vuoi di
meglio, Tommy? Perché non mi lasci e cerchi qualcuno che
sappia
dimostrarti il suo amore?”
Tommy
era estremamente confuso.
Il
cuore gli batteva a mille, e gli sembrava che nessuna di quelle
parole avesse senso. Lasciare Adam? E perché mai?
Perché aveva dei
difetti? Da quando in qua essere imperfetti era un crimine? A lui
stava bene così, davvero. Preferiva convivere con i suoi
difetti
piuttosto che con quelli di chiunque altro sulla Terra.
Una
domanda gli premeva forte però, più di ogni
altra, più di tutti
quei perché, ma aveva paura a farla, aveva paura che la
risposta
fosse un no.
Guardò
Adam e si disse per l’ennesima volta che non poteva dubitare
di
lui, non dopo tutto quello che avevano passato, non dopo tutto quel
tempo e quelle dimostrazioni d’affetto.
Eppure
la realtà era che ne dubitava eccome.
Fu
con un brivido ed un orribile sensazione di nausea che pose la
domanda.
“Mi
ami, Adam?”
Il
moro sembrò colto di sorpresa, e dopo alcuni secondi
scostò lo
sguardo, trovando improvvisamente il pavimento di parquet della
camera molto affascinante. Quando alzò lo sguardo aveva gli
occhi
umidi.
“Sì.”
La
risposta fu decisa, senza ulteriori esitazioni, eppure le lacrime
scivolarono giù da quegli occhi azzurri e, sebbene Adam non
avesse
fatto lo stesso per lui pochi minuti prima, Tommy gli strinse le
braccia attorno ai fianchi e lo abbracciò teneramente.
“Wow,
faccio talmente schifo che l’idea di provare qualcosa per me
ti fa
venire da piangere?” ironizzò il biondo, poco
dopo, una volta
sciolto l’abbraccio.
Scoppiarono
a ridere assieme, e Adam lo spinse delicatamente.
“Idiota”,
borbottò.
Si
guardarono negli occhi per un po’, i loro sorrisi che
lentamente
sfumavano in sospiri afflitti, al pensiero che la loro relazione, in
passato, era stata felice
come quegli istanti, mentre ora sembrava un bicchiere rotto di cui
cercavano inutilmente, quasi disperatamente, di rimettere insieme i
cocci.
“Ma
quindi dov’è il problema?” Tommy
insistette. Se doveva
arrendersi, voleva sapere perché.
“Che
t’importa? Voglio dire... saresti davvero felice di stare con
me?
Nonostante i miei scatti di rabbia, le mie paranoie, i miei capricci,
le mie bugie, la mia indecisione e la mia ipocrisia? Nonostante io
abbia questa... relazione con Sauli?”
Tommy
lo guardò negli occhi mentre rifletteva sulle sue parole.
Non che
avesse bisogno di decidere se fosse felice di stare con lui, ma aveva
bisogno di dire ciò che sentiva o sarebbe esploso.
“Sì,
lo sarei. Ma è lui
il vero problema, non è così? Ami anche Sauli,
te lo leggo negli occhi.” fece una breve pausa, sperando in
una sua
replica, sperando di sbagliarsi. No, non glielo leggeva davvero negli
occhi, non sapeva se fosse vero o meno, aveva solo paura che fosse
così.
Ma,
a quanto dedusse dal silenzio di Adam, la sua era una paura
più che
fondata.
Fu
difficile combattere l’ondata di sentimenti confusi che lo
travolse, ma si sforzò di farlo, mantenne
l’autocontrollo. Quindi
era così che finiva? Per un altro?
Come
poteva accettare una cosa del genere?
“Voglio
che tu sia felice, Adam, e che tu sappia che io ci sarò, ad
aspettarti, sempre. Se è lui che vuoi, mi faccio da parte.
Bastava
dirlo.” Sì, stava indossando la sua maschera
migliore, ma ‘amore’
non significa certo possedere una persona, e questo non poteva
cambiarlo.
Si voltò, doveva uscire di lì o sarebbe scoppiato
a
piangere, e non poteva piangere, non davanti ad Adam, non in quel
momento.
“No,
Tommy! Aspetta!”
Si
bloccò e deglutì, cercando di calmarsi con un
lungo e profondo
respiro. Non doveva piangere. Si voltò a guardare Adam,
chiedendosi
in silenzio se ci tenesse a vederlo piangere o doveva davvero dirgli
qualcosa di importante e ignorando la risposta alla sua tacita
domanda che lesse chiaramente – e stavolta per davvero
– in
quegli occhi blu, o almeno tentando di ignorarla finché non
fu Adam
stesso a dargliela.
“Voglio
bene a Sauli, è vero... ma è te che voglio,
Tommy, credevo l’avessi
capito! È questo il motivo per cui mi sono comportato in
quel modo.
Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, mi dispiace sul serio...
Ma io ti amo, e ciò che più desidero è
che tu sia felice; e con me
non lo sei. Lo eri, lo eravamo, ma poi è cambiato tutto. Poi
il tour
è finito e abbiamo dovuto affrontare la realtà ed
io non volevo
farlo. Non sapevo cosa fare, non sapevo come comportarmi, cosa dire
ai miei amici, ai miei parenti, ai fans... Sapevo solo che non sarei
stato capace di mantenere tutte le promesse che ti avevo fatto,
nonostante lo desiderassi davvero. E poi ho iniziato a mettere in
fila errori su errori, uno dopo l’altro, e ho mandato tutto a
puttane, e tu non ti arrendevi, stavi male ma non mollavi...”
Adam
fece una lunga pausa, e tirò su col naso un paio di volte.
Aveva il
viso inondato dalle lacrime, proprio come Tommy, che si tratteneva
quanto poteva ma le emozioni erano troppe, troppe tutte insieme. Come
poteva finire, come poteva, se si amavano così?
Il
moro sospirò prima di tornare a parlare, con la sua voce
tremante e
le guance arrossate.
“Volevo
solo farti capire che meriti di meglio, volevo che mi mandassi a
fanculo, volevo che non soffrissi mai più per me, che ti
sentissi
libero di lasciarmi. Volevo che ti arrendessi, invece ho solo
peggiorato le cose, e ho sfogato su di te tutto il mio stress, il mio
risentimento, la mia tristezza e la mia rabbia... Non lo meritavi. Tu
meriti solo il meglio, Tommy. Ciò che volevo dirti ieri era
che
sono un coglione e che non avrei mai dovuto neanche pensare di
lasciarti. E ti ringrazio di non esserti arreso, di non aver mollato,
di non avermi lasciato. Ti ringrazio per aver sempre creduto in me,
perché sapevi che sarei sempre e comunque tornato;
perché tu mi
guardi con quegli occhi nocciola e mi leggi dentro, ed io mi sento
nudo fin nell’anima. Ed è la sensazione migliore
del mondo, ma è
anche così spaventosa, perché mi fa sentire in
trappola... La tua
presenza mi fa sentire completo, a casa... Conosci la sensazione?
Sento di appartenerti in un modo tanto profondo che cancellare o
anche solo provare ad indebolire questo nostro legame sarebbe
impossibile. E io non volevo appartenerti, volevo essere libero...
Diamine, Tommy, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e io
volevo mandarti via, capisci?”
Incredibile
come due occhi, così piccoli, limitati, finiti,
potessero contenere così tanto; non solo sentimenti, non
solo lucide
lacrime di gioia o di dolore, non solo brillanti, piccole briciole di
una sensazione: l’intera sfera delle emozioni umane avrebbe
potuto
essere espressa anche solo con gli occhi.
Tommy
amava osservare quegli occhi blu, tanto da rivederli anche nei propri
sogni; aveva speso ore e ore della propria vita a rispecchiarcisi
dentro, a studiarli quasi, a memorizzare minuziosamente ogni
millimetro di quelle iridi chiare, e conosceva a menadito ognuna
delle loro espressioni. Ad esempio, conosceva perfettamente la
maniera in cui Adam corrucciava leggermente le sopracciglia e quel
bagliore nei suoi occhi quando non capiva qualcosa o era incuriosito,
oppure come non riusciva a tenerli fermi quando era nervoso, e la
frequenza con cui batteva le palpebre quando mentiva.
Li
conosceva così bene quegli occhi, ed in
quell’istante poteva dire
con certezza che non una di quelle parole era una bugia. Poteva
giurare di non essere mai stato così felice nella propria
esistenza,
anche se probabilmente lo era stato eccome; però la
felicità ha un
valore diverso a seconda del momento in cui arriva, e lui si
sentì
come se stesse guardando di nuovo il cielo dopo aver passato anni
chiuso in uno scantinato.
Gettò
le braccia al collo di Adam e lo abbracciò, stringendolo con
tutta
la forza che aveva nelle braccia e mormorando che lo amava fino a
restare senza fiato, godendosi il calore di quei sentimenti e di
quelle grandi braccia, quelle di un amico, di un fratello, di un
padre e di un amante, e inebriandosi del suo odore perfetto, che gli
dava la sensazione di essere al posto giusto nel momento giusto.
Poi
fu la volta del suo sapore, quando le loro labbra si incontrarono, e
la dolcezza della sua bocca fu tutto ciò che aveva mai
desiderato
assaggiare, il suo corpo tutto ciò che aveva mai desiderato
toccare,
e se esisteva un Paradiso non era in cielo, ma sulla Terra,
esattamente lì, in quell’istante, da qualche parte
dentro di loro
– non dentro Adam, o Tommy, ma dentro entrambi, dentro quel noi
che non era mai stato così reale e che esisteva
davvero solo per
quelli che, come loro, neanche il Destino avrebbe mai potuto
separare.
Il
sapore divenne quello della pelle di Adam, del suo viso salato di
lacrime, e poi del suo corpo, quando gettarono in terra
i vestiti come inutili stracci, per lasciare posto l’uno alle
labbra dell’altro, unico indumento da cui entrambi avrebbero
voluto
vedere coperte le proprie membra. Si bearono quanto più a
lungo
riuscirono ognuno delle imperfezioni dell’altro; ogni
più piccolo
difetto, anche se sfuggito al più attento degli osservatori,
era in
quel momento nei loro occhi, tra le loro labbra, tra le loro dita e
nei sussurri di piacere sibilati a mezza voce, bellissimo nella
propria inesattezza, esattamente come ogni essere umano.
Fronte
contro fronte, poi labbra contro labbra e poi quell’abbraccio
si
fece più stretto, in una sorta di nobile violenza, un
incontro di
anime divenuto scontro di corpi, il cui unico scopo pareva essere lo
sprofondare l’uno nell’altro, fermare il mondo per
rendere quella
stretta infinita e perdere i confini dei propri corpi e delle proprie
identità, anzi, abbandonarli volontariamente, gettarli via,
a favore
di un abbraccio di anime che sarebbe durato per sempre, oltre lo
spazio ed il tempo: una promessa come un abbraccio, che non
può
essere infranta se non lo vogliono entrambi, ed un abbraccio come una
promessa, astratto ma infinitamente reale, che sarebbe continuato
anche da lontano, che sarebbe perdurato in ogni istante quotidiano,
provenendo da dentro, senza allentarsi mai, una stretta dal sapore
agrodolce di eternità.
Quando,
dopo minuti tanto lunghi da sembrare ore, si rivestirono, il
campanello suonò, e Tommy dovette andarsene, ad un occhio
esterno
poteva sembrare che nulla fosse cambiato.
Ed
era così, materialmente nulla lo era.
Le loro vite restavano le
stesse di sempre, stesse compagnie, stessi rapporti, stesse
abitudini; ma erano binari vuoti, perché le loro anime erano
deragliate, sfuggite ad ogni barriera imposta dalla ragione, libere
da ogni limite, due treni che avevano scelto di collidere nonostante
i binari li conducessero da un’altra parte. Ed era quella la
loro
promessa: errore, disastro, distruzione, un’avventata
rinuncia alla
razionalità che in quanto tale non aveva parole per essere
espressa,
eppure loro la leggevano l’uno negli occhi
dell’altro.
Avevano
capito, senza parole, che stare insieme era un errore, ed avevano
scelto di sbagliare; erano pronti in ogni istante a vedere il proprio
mondo cadere loro addosso, e ad accoglierlo con gioia, a braccia
aperte, perché unica conseguenza possibile
all’irrazionalità e
all’imperfezione così sproporzionate da
assomigliare alla
perfezione tanto quanto se ne allontanavano.
Avevano
capito, senza parole ma col corpo, che il miglior errore che
potessero fare era accettare quel loro morboso appartenersi senza
tempo, e lo avevano fatto, avevano accolto dentro di sé
quella
consapevolezza più grande di loro, e lo avevano fatto
insieme. E
tutto, da quell’istante, era stato chiaro: si appartenevano,
non
nel corpo, ma nell’anima, ed in quell’appartenersi
erano più
liberi di quanto lo fossero mai stati.
|
Time has
come for us to pause
and think of living as it was.
Into the future we must cross, must cross
I'd like to go with you,
I'd like to go with you.
You say I'm
harder than a wall,
a marble shaft about to fall.
I love you dearer than them all, them all,
so let me stay with you,
so let me stay with you.
And as we
walked into the day,
skies of blue had turned to gray.
I might have not been clear to say, to say:
I never looked away,
I never looked away
And though
I'm feeling you inside,
my life is rolling with the tide.
I'd like to see it be an open ride,
along with you,
going along with you
The time we
borrowed from ourselves
can't stay within a vaulted well
and living turns into a lender's will,
So let me come with you
and let me come with you
And when we came out into view
and there I found myself with you,
when breathing felt like something new, new,
along with you,
going along with you
|
È
arrivato il momento, per noi, di fare una pausa,
e pensare alla vita com'era prima.
Nel futuro che dobbiamo affrontare, dobbiamo affrontare
vorrei stare con te,
vorrei stare con te.
Dici che sono duro
come la pietra,
una colonna di marmo che sta per cadere.
Ti amo sinceramente più di tutti gli altri, tutti gli altri,
quindi lasciami stare con te,
quindi lasciami stare con te.
E proprio mentre
iniziavamo la giornata,
i cieli da blu sono diventati grigi.
Forse non sono stato abbastanza chiaro nel dirlo, nel dirlo:
non ho mai distolto lo sguardo (da te),
non ho mai distolto lo sguardo (da te).
E anche se sento che
sei dentro di me,
la mia vita viene trasportata dalla marea.
Mi piacerebbe vederla come un viaggio senza meta,
in sintonia con te,
sempre in sintonia con te.
Il tempo che abbiamo
rubato a noi stessi
non può restare chiuso in un pozzo (dei desideri)
e vivere diventa un desiderio a pagamento,
Quindi lasciami venire con te,
lasciami venire con te
E quando siamo
usciti allo scoperto
e ho trovato me stesso con te,
quando respirare sembrava un'esperienza totalmente nuova,
in sintonia con te,
ero in sintonia con te.
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Note
Finali:
Ebbene
sì, questa è la fine.
Inizierò ringraziando prima di tutto voi adorati
lettori. Grazie per essere arrivati fin qui e scusate per
l'attesa per quest'ultimo capitolo – spero che almeno ne sia
valsa la pena! Poi è d'obbligo un grande grazie ad
Adam, Tommy, Sauli, Isaac e il mio OMC per avermi ispirato e
soprattutto essersi
sottoposti ad una tale tortura. Poi P!nk, I MCR, Adam, Eminem
e Rihanna per le canzoni dei precedenti capitoli; un grazie
particolare, per la canzone di questo capitolo va ad Eber
Lambert, il caro papà Lambert, che l'ha twittata: al primo
ascolto ho capito che era perfetta! Si chiama Genesis di
Jorma Kaukonen.
Il grazie più grande va ovviamente alla mia Romea, che
è stata la prima lettrice e la più importante
critica, e che merita un grazie dal profondo del cuore.
Sul capitolo voglio solo dire che sono molto critica nei suoi
confronti, e se da un lato sono soddisfatta, dall'altro vorrei buttarlo
via e riscriverlo da capo. Vi chiedo di dirmi la vostra, anche un
brevissimo commento, solo per dirmi con quale dei miei due "lati" vi
schierate.
La canzone alla fine è sempre Genesis (credo si sia capito
xD) e la traduzione l'ho fatta io, quindi ringraziate e non rubate!
♥
Un grandissimo abbraccio a chiunque ha recensito/recensirà,
sappiate che mi rendete la scrittrice in erba più felice del
pianeta.
Alla prossima!
Vostra,
Anthea.
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