Demolition Lovers~ (i'm not dead)

di itsjjoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** verse 1: in this tug of war you’ll always win, even when I’m right. ***
Capitolo 2: *** chorus: how do you feel in the morning when it comes and everything’s undone? ***
Capitolo 3: *** verse 2: I'm lyin' here, on the floor, where you left me, I think I took too much. ***
Capitolo 4: *** chorus: it's like one of those bad dreams, when you can't wake up. ***
Capitolo 5: *** bridge: I'm not asleep, but I'm not awake, after the way you loved me. ***
Capitolo 6: *** coda: I might have not been clear to say I never looked away, I never looked away... ***



Capitolo 1
*** verse 1: in this tug of war you’ll always win, even when I’m right. ***







demolition lovers ~
I’M NOT DEAD


Disclaimer:
I protagonisti non mi appartengono (già, che peccato, eh?) fatta eccezione per un OMC che poi incontreremo più avanti *si tappa la bocca in fretta per non fare spoiler*...
Quindi dicevamo?
Oh, sì, ecco, Adam, Tommy e Isaac non mi appartengono, non li conosco, né so cosa fanno dalla mattina alla sera, non li spio mica con le telecamere..!
*controlla lo schermo con le telecamere spia e cinguetta* OH! AMOREGGIANO! Che cari.. *torna a guardare i lettori* Noo, non è come pensate, è il Grande Fratello! *sorride innocentemente*
Oh, e non ci guadagno nulla scrivendo questa roba!


Nota:

Questa storia è una mia interpretazione tutta personale della canzone ‘I’m not dead’ di P!nk, e ho cercato di rappresentare e spiegare il mio modo di percepire ogni parola del testo. Ovviamente il tutto dal PoV di Tommy, perché ho una certa ossessione per quest’uomo.
Mi scuso per l’infinita depressione che questa storia potrebbe causare, ma ehi, che gusto c’è a scrivere senza neppure un po’ di angst?

Ho diviso la storia in cinque parti che, dopo un lunghissimo periodo di indecisione, ho deciso di postare separate; ognuna è una strofa della canzone e vi ho abbinato una frase tratta dal testo di un’altra canzone, che funge da titolo della ‘parte’. Tutte queste canzoni fanno parte della piccola playlist che mi ha ispirato la storia, ve le consiglio tutte, anche perché ovviamente sono tra le più ascoltate del mio iPod.




VERSE 1:    
in this tug of war you’ll always win
even when I’m right.

There's always cracks,  
crack of sunlight,    
crack in the mirror, or on your lips.  
It's the moment of a sunset Friday    
when our conversations twist;  
It's the fifth day of ice on a new tattoo,
but the ice should be on our heads.    
We only spun the web to catch ourselves,
so we weren't left for dead.    
And I was never looking for approval  
from anyone but you,    
and though this journey is over  
I'll go back if you ask me to...    

~

Tommy sospirò e osservò una piccola parte del proprio riflesso in uno dei frammenti dello specchio rotto, che giacevano sparsi disordinatamente sul pavimento del salone. Assieme a loro, i cocci di un vaso e l’acqua e i fiori che quest’ultimo conteneva prima di finire infranto sul pavimento. Tommy osservava le proprie labbra nel piccolo pezzetto triangolare di vetro quasi come se da un momento all’altro avesse potuto vederle muoversi indipendentemente da lui e dirgli qualcosa. Ovviamente non accadde nulla.

Sospirò ancora, guardandosi intorno alla ricerca di una sigaretta. Una sigaretta. Possibile che non avesse una sigaretta? Sì, okay, era possibilissimo che non ne avesse, non fumava. Ma, insomma, quella era un’eccezione! (Una delle tante.)

Be’, ne sarebbe andato a prendere un pacchetto più tardi. Ora doveva ripulire quel disastro. Ma il solo guardare tutti quei cocci sparsi per terra gli ricordava il motivo per cui erano lì e lo lasciava paralizzato. Era seduto nella stessa posizione, per terra, da quelli che gli sembravano secoli, e fissava il pavimento e quei cocci e i resti dello specchio infranto. Non si muoveva da lì da quando la porta era stata sbattuta con violenza ed era calato il silenzio in casa. Chissà quanto era passato. Sfortunatamente, nella sua testa c’era ancora un’indescrivibile caos, aggravato da un dolore tanto persistente che vi si stava quasi abituando. E poi rumore. Tanto rumore. Come se tutti i pensieri, le frasi e i suoni che aveva sentito quel giorno si ripetessero all’infinito nella sua testa, tutti insieme, tutti nello stesso momento.

Chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani. Doveva calmarsi. Tutto sarebbe andato per il meglio. E mentre respirava profondamente, cercando disperatamente di cacciare indietro le lacrime, fra gli spiragli tra le tende filtravano i sottili raggi di luce di un soleggiato venerdì mattina come un altro, raggi che andavano poi a posarsi morbidamente sul pavimento e sul tavolino accanto a lui. Delicati e morbidi. Indolori.

Un singhiozzo soffocato, poi un altro ed un altro ancora.

Per essere un soleggiato Venerdì mattina, faceva abbastanza schifo.


Adam lo guardò e scosse la testa.
“Ma lo capisci o no che non posso? Non posso lasciarlo, Tommy!” La sua voce pareva esasperata.

Tommy esitò a rispondere, ma alla fine tutta quella rabbia repressa esplose, prima ancora che lui riuscisse a trattenerla. “Non ti ho chiesto se puoi o no. Ho detto che devi!”

Be’, non posso. Cosa fai adesso, mi lasci?” Adam inarcò un sopracciglio, le labbra serrate, assottigliate in una smorfia di rabbia e gli occhi puntati nei suoi, chiaramente alla ricerca di una qualunque reazione alla sua provocazione. Era così terribilmente sicuro di sé, e il peggio era che poteva permetterselo.

Potresti almeno evitare di andarci a letto? Sai com’è, sei il mio ragazzo. Ami me, non lui! Lui è quello di copertura, ricordi?” Tommy aggirò la sua domanda ma non mancò di rivolgerglisi duramente e iniettando di veleno ogni singola parola.

Quello che faccio non sono cazzi tuoi.” borbottò Adam poco convinto, e visibilmente in colpa. Tommy si lasciò sfuggire un ghigno soddisfatto. Eccolo là, il punto debole, il senso di colpa. Rise senza allegria.

Ah, no? E dimmi Adam, non sono cazzi miei quando ti presenti ubriaco qui, a casa mia, dicendo che non ce la fai più, che lo odi e che vuoi stare solo con me? E non sono cazzi miei quando mi scopi? Non sono cazzi miei quando mi dici che mi ami?” Tommy sentì qualche lacrima bagnargli gli occhi, ma non si fermò. “Non sono cazzi miei quando stai male e ti sto accanto mentre lui si gode i tuoi soldi e di te se ne frega? Non sono cazzi miei neppure quelle volte dopo certi terribili litigi, che torni da me e mi implori perdono? Oh, sì, capisco!”

Lo sguardo di Adam guizzò da una parte all’altra della stanza, dovunque, ma non negli occhi di Tommy. Si soffermò sui fiori che gli aveva portato la settimana prima. Colpito e affondato.

Non dovresti parlare così di Sauli.” borbottò, continuando ad evitare accuratamente lo sguardo del biondo.

E tu non dovresti scopartelo. Siamo pari.” Tommy non si lasciava sfuggire mai l’occasione di propinargli una risposta tagliente e si chiese per quanto ancora Adam avrebbe mantenuto la calma.

Adam esitò prima di rispondere. Le labbra gli tremavano appena. “Non è cattivo. Mi vuole bene, Tommy.”

Tommy rise di nuovo senza alcuna allegria.

Adam, non mi interessa. Non so se mi fa più schifo lui che va a letto con uno fidanzato o tu che mi tradisci.” O se mi faccio più schifo io che non riesco a fare a meno di un cazzone come te.

La mano di Adam tremava lievemente. Tommy si morse le labbra. Eccolo che partiva. Era quello che aveva voluto, no? L’aveva provocato per godere della sua rabbia. Per sentire che aveva ancora potere su di lui. Ma forse non era quello che voleva davvero.

Perché non provi per una santa volta a pensare agli errori che fai tu?” Adam fece una breve pausa e si decise a guardarlo negli occhi. “Perché non la smetti di criticarmi e criticarmi e criticarmi in continuazione e provi , per esempio, ad essere più coerente? Potresti anche evitare di dire che non vuoi venire a vivere con me per nessun motivo al mondo quando te lo chiedo e poi cambiare idea quando la settimana dopo decido di ospitare Sauli. Perché non la smetti di comportarti come un fottutissimo bambino capriccioso?“

Tommy non lo stette a sentire in silenzio. Non provò neanche a mantenere la calma. Bambino capriccioso, lui?
“Spero tu stia scherzando, Adam.” Lo disse con una innaturale tranquillità, ed Adam di tutta risposta scosse la testa con decisione.
“Scherzando? No, sono serissimo.”

Ah, quindi io sarei un bambino capriccioso? Io?! Ti faccio presente, Adam, che tu hai tutto quello che una persona potrebbe desiderare. Successo, soldi a palate, una famiglia che ti ama, degli amici fantastici, dei fans accanitissimi e adoranti, milioni di persone che ti amano alla follia. Hai me, il tuo ragazzo, Adam, e dici di amarmi e di voler passare la tua vita con me e io voglio lo stesso. Eppure non sei mai contento! Mai! Ti scopi quel Sauli e chissà quante altre persone per motivi che ancora non riesco a comprendere, ti lamenti della tua auto, della tua casa e del fatto che hai continuamente impegni. Ed io sarei il bambino viziato?”

Tommy urlò quasi senza prendere fiato e alla fine lo spinse via: non sopportava di stargli così vicino, avrebbe voluto che scomparisse e la smettesse di fargli così male. Ma allo stesso tempo non voleva che andasse via. E non voleva dirgli neanche una delle cose che aveva detto fino a quel momento. Forse erano vere, ma a lui non importava quanti difetti avesse o quanti errori facesse, aveva bisogno di lui. Non era che non volesse lasciarlo, semplicemente non ne era capace. Tommy cercò disperatamente di riprendere il controllo, di ricominciare a pensare e poi parlare, ma sapeva che chiedere scusa non sarebbe servito. Dall’espressione di Adam capì che neanche lui cercava più di trattenersi. Capì che avrebbe fatto esattamente quello che il corpo e il cervello gli avrebbero ordinato di fare, senza riflettere, senza pensare a cosa fosse giusto e sbagliato. E capì che era troppo tardi per fare un passo indietro.

La reazione di Adam fu improvvisa. Per una trentina di secondi dopo le parole di Tommy, scese il silenzio. Furono trenta secondi lunghissimi. Poi, Adam lo spinse, forte, più forte di quanto avrebbe voluto. Tommy non cadde per miracolo, e arretrò di qualche altro passo, verso la parete, con aria preoccupata, mentre l’altro gli si avvicinava con fare deciso. Non minaccioso, Adam non aveva mai un’espressione minacciosa. Solo deciso.

Sei uno stronzo.” Adam sibilò quasi, incollerito.

Tommy si guardò intorno e fece un altro passo indietro. Oramai era praticamente appoggiato alla parete. Ma non si diede per vinto. Era Adam a dovere chiedere scusa per come lo stava facendo sentire e per come lo faceva sentire in continuazione, non viceversa.

E tu sei una puttana.” Tommy sbottò, guardandolo negli occhi. Neanche un briciolo di insicurezza gli si lesse negli occhi, mentre lo diceva. Vide le lacrime riempire gli occhi di Adam e scivolare lentamente lungo le sue guance, sentì il senso di colpa attanagliargli lo stomaco e notò un’ombra di rabbia negli occhi del moro, improvvisamente cupi come non ricordava di averli visti mai. Ma prima che potesse dire o fare qualcos’altro, Adam lo spinse con violenza contro il muro.

Tommy sbatté la testa contro lo specchio che neanche si era accorto fosse dietro di lui prima di quell’istante, e che si frantumò sotto il violento impatto, mentre il dolore sembrava prenderlo ovunque e da nessuna parte, e la testa gli girava orribilmente. Scivolò a terra, mentre cercava ancora di capire cosa diamine fosse successo.

La prima cosa che fece quando riuscì a riaprire gli occhi fu cercare Adam con lo sguardo; lui era in piedi accanto alla porta d’ingresso. Lo stava guardando. Tommy aveva la vista vagamente offuscata e non seppe dire se piangesse. Era tutto così assurdo, paurosamente assurdo, non aveva senso. Non era mai successa una cosa simile. Non era da Adam.

Tommy era spaventato. Non riusciva neanche a piangere. Era terrorizzato, e sorpreso, sì, ma soprattutto, era deluso. E sapeva che non avrebbe avuto bisogno di dire quanto lo fosse, perché era certo che Adam glielo avrebbe letto negli occhi. In quel momento, Tommy sperò che i propri occhi, e la delusione, la paura, la confusione, il dolore che provava in quell’istante, avrebbero tormentato la coscienza di Adam per sempre. Era crudele, lo sapeva, ma era l’unica cosa che poteva sperare. Oramai Tommy era certo che il senso di colpa era l’unica cosa che gli permetteva di tenere Adam con sé: il cantante non voleva ferirlo e allora trascinava avanti quella relazione che non voleva più.

Tante volte se ne era andato, ed era sempre tornato. All’inizio, Tommy era convinto che tornasse perché lo amava, anche se, con il passare del tempo, aveva iniziato a dubitarne, un po’ alla volta; ma non aveva mai abbandonato la speranza. In fondo erano fatti l’uno per l’altro!
“Non chiamarmi, non mandarmi messaggi, non cercarmi. È finita, okay?” la voce di Adam interruppe di colpo le sue riflessioni, improvvisa e violenta come uno schiaffo in pieno volto, e dolorosa come un trapianto di reni senza anestesia. Adam era esitante, aveva il fiatone e lo sguardo basso, i pugni stretti, sembrava ancora così pieno di rabbia.

Tommy riuscì a metterlo a fuoco, finalmente, e lo guardò praticamente sotto shock. Mosse appena le labbra, ma nessun suono le lasciò. Serrò le gli occhi e chiuse la bocca di scatto, sentendo l’impellente bisogno di vomitare. Si prese la testa tra le mani, e nel tentativo di lenire almeno un po’ di tutto quel dolore, portò le mani dietro la testa, lì dove aveva urtato lo specchio e dove bruciava e faceva male; sentì tanti piccoli e pungenti pezzi di vetro sotto le dita, ancora impigliati tra i capelli biondi. Un po’ di sangue gli bagnò i polpastrelli e quando lo vide la nausea tornò, ancora più forte, per poi passare dopo qualche istante, e lasciarlo boccheggiante. Si chiese se era possibile sentire tutto quel dolore ed essere ancora vivi, e quello fu l’unico pensiero chiaro ad attraversargli la mente.

Sentì Adam deglutire e quando alzò lo sguardo, lui tirò un calcio alla prima cosa che vide: un vaso, laccato di nero, che conteneva l’ultimo mazzo di fiori che lui stesso gli aveva spedito; il vaso si frantumò in mille pezzi, e l’acqua e i fiori caddero a terra. A quel gesto Tommy gemette, di paura, dolore, tristezza, rabbia. Confuso come non mai, desiderava solo di chiedergli di restare. Desiderava solo che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.

Adam non parve neanche far caso a lui; si voltò, aprì la porta e la richiuse sbattendola.

Il silenzio che scese nella casa fu disturbato soltanto da sporadici singhiozzi soffocati.


Tommy si accoccolò meglio sotto le lenzuola, nonostante facesse caldo. Teneva il condizionatore al massimo solo per potersene stare a letto sotto le coperte, ma il freddo che sentiva non dipendeva dal condizionatore, anzi, sembrava partire dal suo interno, sprigionarsi dalle sua ossa, dal centro del suo petto e diffondersi in tutto il corpo. Si sentiva la febbre, ed erano ormai tre giorni che non usciva di casa, né mangiava, né parlava con nessuno se non era strettamente necessario. A stento beveva ed andava in bagno, giusto perché morire di sete in un letto puzzolente di piscio non era proprio il massimo. Si strinse le ginocchia al petto, e con un flebile lamento ricominciò a piangere, senza neppure accorgersene. Poi tossì, numerose volte. Una terribile tosse, secca, che sembrava rastrellargli la gola. Tirò su col naso. Aveva perso ogni genere di controllo su sé stesso e ogni briciolo di dignità, tanto a cosa serviva? Nessuno poteva vederlo.

Non riusciva a smettere di pensare ad Adam, a come tutto fosse perfetto cinque giorni prima, quando era corso da lui entusiasta, a mostrargli il suo nuovo tatuaggio e a spiegargliene il significato. Era felice, e lo guardava con gli occhi che brillavano e un sorriso sognante. In quel momento era l’uomo che Tommy amava, in tutto e per tutto, senza sconti, senza vergogna. Adam l’artista, il ragazzone divertente, dolce e sensibile, quello col sorrisetto malizioso e il profumo irresistibile. Tra loro andava tutto magnificamente. Avevano parlato un sacco, riso e scherzato, cenato insieme, avevano fatto l’amore e poi si erano addormentati abbracciati. Cosa era successo poi?

Tommy si morse le labbra e chiuse gli occhi, stringendosi ancora di più le ginocchia al petto, il corpo scosso dai singhiozzi e dai colpi di tosse. Piangeva da così tanto che oramai si stupiva non solo di avere ancora lacrime, ma persino di avere la forza di soffrire ancora. Iniziava a scivolare in uno stato di apatia: non gli importava quasi più di nulla, neanche di sé stesso, riusciva solo a ripensare ad Adam e a piangere; se ne rendeva conto, eppure non si sentiva capace di fare niente per cambiare tutto ciò. Passava il suo tempo a rimuginare su cosa era successo, aveva ripercorso col pensiero l’ultima settimana almeno una decina di volte al giorno e ancora non riusciva a spiegarsi perché: perché Adam si era comportato così? Non aveva mai alzato un dito su di lui, fino a quel momento, non era una persona violenta. Cos’era che lo aveva spinto a comportarsi così? Il senso di colpa era davvero così forte ed il dolore così accecante? O era la frustrazione? Cosa era che lo spingeva a trattarlo come se di lui non gli importasse nulla? Perché lo tradiva, perché faceva finta che gli piacesse comportarsi così? Forse Adam davvero non lo amava. Forse, se tornava era solo perché, fondamentalmente, era una persona buona, e non voleva farlo soffrire.

L’unica cosa che gli faceva dimenticare tutte quelle domande, l’unico spiraglio di luce che lo separava dall’oblio dell’apatia totale e della depressione, era il pensiero di Adam. Era così assurdo: la stessa persona che lo faceva stare così male era quella che gli impediva di abbandonare definitivamente ogni speranza.

Sì, tutto pareva riguardare Adam e averlo in continuazione nella testa gli faceva male, ma poi era proprio quello che lo tirava su.

Da qualche parte dentro di sé sapeva che per Adam era lo stesso, che anche lui non riusciva a smettere di pensarlo. Insomma, dopo tutte quelle promesse, quei giuramenti.. Tommy l’aveva guardato negli occhi, sapeva che era tutto vero. Ne era convinto.

Se c’era una cosa che Tommy aveva imparato su Adam in quei due anni era che ciò che lo spaventava più qualsiasi cosa era restare solo. Era una delle persone più forti che Tommy avesse mai conosciuto, sapeva essere forte per sé e per gli altri, aveva imparato a tenere il dolore e le preoccupazioni dentro e a mostrare al mondo solo ciò che voleva mostrare; ma aveva sempre avuto accanto qualcuno che gli voleva bene e che lo accettava, e la sua unica paura era perdere queste persone, perché era certo che non ce l’avrebbe fatta ad andare avanti da solo. Tommy si domandava perché, allora, facesse di tutto per rovinare quello che avevano insieme, che già di per sé era qualcosa di instabile ed incerto.

Ma la paura fa fare cose stupide alle persone, cose che non si possono capire, si possono solo accettare. Tommy lo sapeva fin troppo bene, ed era per questo che accettava ogni errore e difetto di Adam. Lui gli chiedeva scusa, era sincero, perché non perdonarlo? Se lo meritava. Meritava qualcuno che lo amasse all’inverosimile. E Tommy sentiva – anzi, sapeva – di essere lui quel qualcuno. Perché ogni volta, anche solo a guardarlo, si sentiva il cuore gonfio d’amore dibattersi nel petto; perché ogni singola volta che Adam lo feriva, era capace di nascondere il dolore e dirgli che non importava, e quando alzava lo sguardo e lo guardava negli occhi non importava più per davvero, perché Adam piangeva, ma gli spuntava un sorriso e gli diceva ‘grazie’ e Tommy avrebbe dato la vita pur di vederlo sorridere sempre; perché ogni volta che facevano l’amore era come essere in paradiso, ed era certo che non esistesse sensazione che potesse essere paragonata a quella che provava in quei momenti.

Era per questo che Tommy cercava sempre di capire le ragioni Adam, anche quando ragioni non ne aveva. Era lì che sbagliava? Qualcosa doveva pur sbagliare, perché erano ormai quattro giorni che Adam aveva sbattuto quella porta, e non era tornato indietro. Chissà se si era almeno voltato. Le altre volte non era stato così; questa volta Adam non l’aveva chiamato, non gli aveva scritto messaggi, email, o lettere e bigliettini di nessun tipo. Pareva che l’avesse cancellato dalla propria vita, che avesse semplicemente chiuso quella porta e dimenticato di averla mai aperta.

Ai suoi amici che l’avevano chiamato aveva detto che stava bene e aveva solo bisogno di stare un po’ da solo. Aveva dovuto insistere un po’, ma alla fine avevano ceduto e l’avevano lasciato stare.
A Tommy sfuggì un ennesimo singhiozzo, e si asciugò le lacrime con le lenzuola, ancora umide di altri pianti.

Come faceva Adam a non avere voglia di sentirlo? A non voler sapere se stava male o bene? Non era preoccupato per lui, neppure un po’?

Scosse la testa. Si sentiva ignorato. Inutile. E iniziava a pensare di essere davvero un illuso. Alla fine Adam non aveva certo bisogno di lui per non sentirsi solo, aveva tantissime altre persone che gli volevano bene, che lo amavano. Forse l’unico motivo per cui si erano messi insieme era il desiderio di Adam di non essere solo, ed ora che non si sentiva più così non aveva senso stare con lui...

Tossì un paio di volte e scrollò le spalle, innervosito tanto dal mal di gola quanto dai propri pensieri.

Non poteva credere ad una cosa del genere! Lo pensava solo perché era giù. Se lo disse tra sé e sé un paio di volte e poi annuì piano. Era solo per quello. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e guardò il cellulare con aria malinconica.

Gli sarebbe bastato un sms da parte di quell’unica persona al mondo che aveva fatto di tutto per compiacere e rendere fiera di lui, dall’unico ragazzo di cui si era sempre fidato ciecamente nonostante tutto, e di cui anche in quel momento, dopo tutto quello che era accaduto, continuava a fidarsi; anche solo un ‘tutto okay?’ dall’uomo che amava e che non aveva intenzione di smettere di amare mai, un semplice squillo da colui la cui opinione era l’unica al mondo che contasse per Tommy.
Adam era tutto. Era troppo chiedere una telefonata, giusto per controllare che non fosse morto dissanguato?

Tommy fece una smorfia.

La cosa peggiore era che sapeva perfettamente che se Adam avesse anche solo accennato a scusarsi lui sarebbe tornato a gettarsi tra le sue braccia come se non fosse successo nulla. Anche se continuava a fare male, anche se Adam avrebbe continuato a tradirlo ed a utilizzarlo come valvola di sfogo quando era nervoso, Tommy sarebbe stato lì a lasciarglielo fare, senza battere ciglio, perché non era capace di fare altrimenti.

Forse Adam meritava una persona che lo amasse all’inverosimile, ma Tommy meritava davvero una persona che lo trattasse in quel modo?






Note di fine capitolo:
Che dire, ringrazio la mia cara Romea (per gli amici FrankieSleepWalker, per me Romy u.u) per avermi fatto da Beta e per avermi assicurato che questa schifezzuola è leggibile ed anche carina. Ogni errore, imprecisione, bruttura, o schifezza che trovate (specialmente il disclaimer!) mi appartiene (e ne vado anche fiera D:).
Mi scuso in anticipo del dolore che vi causerà, e vi prego gentilmente di fornirmi ogni dettaglio di quanto abbiate pianto e vi siate sentite male per i miei tesorini, perché mi provoca un piacere immenso *evilgrin*
E.. nulla, se siete arrivati fin qui recensitemi almeno. Per favore...? *-*
P.S.: La canzone di questa parte è "I love the way you lie (Part II)" di Eminem e Rihanna.

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Capitolo 2
*** chorus: how do you feel in the morning when it comes and everything’s undone? ***


CHORUS:     
How do you feel in the morning
when it comes and everything’s undone?

I'm not dead just floating ,  
right between the ink of your tattoo  
in the belly of the beast we turned into.  
I'm not scared just changing,
right beyond the cigarette and the devilish smile    
you're my crack of sunlight. 

~

Quando riaprì gli occhi la stanza si era fatta più scura. Doveva essersi appisolato.

Sbadigliò e gli sembrò di ricordare una telefonata, la voce di Adam. Fu la prima cosa che gli tornò alla mente. Ricordò che stava piangendo, e poi aveva sentito il telefono squillare. Aveva dato un’occhiata, pensando fosse sua madre, o chissà chi altro. Ne era tanto sicuro che quasi non aveva fatto caso al nome di Adam scritto sul display. Quando lo aveva visto, era saltato su, seduto, con un’energia che non credeva di avere, e aveva risposto immediatamente. Poi non aveva detto una parola, solo respirato, affannosamente, il cuore a mille. Adam doveva essersi accorto che aveva risposto, perché dopo un po’ di esitazione si era deciso a parlare.
“Tommy, perdonami..”

Neanche ripensò in dettaglio a quello che aveva detto. Gli bastava che gli avesse chiesto scusa.

Chissà quanto doveva sentirsi in colpa...

Tommy si accorse di stare di nuovo piangendo. Senza fare neanche un suono, le lacrime gli riempivano gli occhi e scivolavano sulle sue guance quasi come se avessero una volontà propria. Si morse le labbra, sorridendo, il cuore gli batteva fortissimo. Doveva richiamarlo.

Saltò su e si sedette sul letto. Tossì un paio di volte, violentemente, ma non vi badò più di tanto. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, frettolosamente, allungò una mano verso l’iPhone, poggiato sul comodino, e cercò la lista chiamate. Gli tremavano le mani e aveva le lacrime agli occhi, il che rese l’operazione più difficile del solito.

Abbassò le palpebre prima di guardare tra le chiamate ricevute. Non riusciva neanche a parlare, gli faceva male la gola, ogni respiro era come grattugiarsi la trachea, per non parlare di quei maledetti colpi di tosse. Eppure non gli importava, voleva sentire ancora quella voce, e voleva dirgli che lo perdonava, che non gli importava cosa avesse detto o fatto, lui lo amava, lo amava più della sua stessa vita.

Aprì gli occhi e guardò tra le chiamate ricevute.

L’ultima era di Adam, sì, ma risaliva a quattro giorni prima.


Quando si svegliò ebbe la sensazione di stare sognando. Niente mal di testa, niente muscoli doloranti, solo lo stomaco brontolante e tanta voglia di una sigaretta. Si sentiva talmente leggero che era come se non toccasse davvero terra. Questo non significava certo che si sentisse bene, anzi, il contrario. Si sentiva come un fantasma. E nonostante si sentisse così leggero, ogni movimento era uno sforzo terribile.
Se stava sognando davvero, sperò che non succedesse nulla di bello. Non avrebbe retto ad un altro risveglio shock. Al solo pensiero lo stomaco gli faceva male di nuovo, e sentiva un dolore tremendo al petto.
Aveva fame. Ma soprattutto, voglia di una sigaretta.

Aprì lentamente il cassetto del comodino e frugò più in fondo possibile, sotto le mutande. Un pacco di Kleenex, delle canottiere, un paio di preservativi e del lubrificante – il solo sfiorare le confezioni con le dita gli fece tornare le lacrime agli occhi e gli ci volle un enorme sforzo psicologico per far finta di nulla – poi, alla fine, trovò il pacchetto di sigarette. Ne teneva qualcuno lì, in caso di “emergenze” come quella.

Tirò fuori il pacchetto e controllò che dentro ci fosse l’accendino. L’odore di tabacco gli sfiorò le narici e le labbra si distesero in un vaghissimo sorriso. Si tirò su con la stessa agilità ed energia di un vecchio con l’artrite e sospirò, prima di condire la camminata strascicata e affaticata con dei colpi di tosse. Si diresse in cucina.

Con suo grande sollievo, non riusciva a pensare a nulla. Aveva solo una terribile angoscia, e tanta voglia di una sigaretta. Magari due.

Ma prima, pensò di mangiare qualcosa. Si avvicinò al frigo, ma quando lo aprì, la semplice idea di mangiare gli diede il voltastomaco. Guardò lo stesso all’interno, adocchiando degli hamburger. Quelli gli erano sempre piaciuti, e se li lasciava lì presto avrebbe dovuto buttarli. Mangiarne qualcuno non sarebbe stato male... giusto per mettere qualcosa sotto i denti.

Poggiò le sigarette sul tavolo, aprì la confezione degli hamburger e li mise nel forno a microonde.

Li osservò cuocersi con lo stomaco che si contorceva dalla fame e, allo stesso tempo, per via di un certo senso di nausea. Si mordicchiò il labbro. Probabilmente era la prima volta nella sua vita che non mangiava per così tanto tempo. Si sorprese di riuscire ancora a stare in piedi e, guardandosi, si rese conto di essere già dimagrito tantissimo. Inoltre, le ginocchia gli tremavano, per la stanchezza probabilmente. Non ricordava neanche di cosa sapesse il cibo. La sensazione di ingoiare qualcosa di solido era totalmente estranea alla sua mente, in quel momento. Ma, sinceramente, non gliene importava.

Tirò fuori quello che sarebbe dovuto essere il suo pasto, guardandolo come se fosse dello sterco di mucca. Si sedette e si limitò a fissare il piatto, come se così facendo il cibo sarebbe potuto magicamente finire dritto nel suo stomaco, senza passare per la bocca, dato che l’essere costretto ad assaporare e masticare quella roba gli dava il disgusto.

Prese una forchetta e un coltello e con estrema lentezza mangiò il primo morso. Sapeva di catarro e di carne di pessima qualità. Si costrinse ad ingoiare, poi mise la mano davanti alla bocca quando un conato di vomito minacciò di vanificare il suo lavoro.

Anche se a fatica, finì l’hamburger.

Ma non stava meglio, affatto.

Un ennesimo conato di vomito minacciò il suo autocontrollo, ma alla fine a nulla valsero i suoi sforzi, e si diresse di corsa verso il lavandino, dove finì per vomitare non solo ciò che aveva appena ingoiato, ma anche succhi gastrici a non finire, e catarro, e sangue. Ad un certo punto fu sicuro che avrebbe vomitato anche le proprie interiora. Poi, si calmò, improvvisamente.

Restò con gli occhi chiusi e le labbra serrate, quel terribile sapore e quella puzza incredibile dappertutto. Strinse la presa sul ripiano finché le nocche non divennero bianche. E poi pianse. Disperatamente, singhiozzando come un bambino, e tossendo, finché non passò anche quello. Non seppe per quanto tempo stette lì con il proprio vomito sotto il naso e le labbra sporche di cibo rigurgitato, catarro e sangue. Ma, sinceramente, neanche di questo gli importava.

Quando si fu calmato si lavò la faccia, lasciando la fontana aperta fin quando il lavello non fu libero da quella schifezza. Si sciacquò la bocca e poi bevve un po’.

Era troppo stanco persino per chiedersi per quale assurdo motivo avesse vomitato. Probabilmente per via della tosse o del terribile sapore che aveva in bocca.

Voleva la sua benedettissima sigaretta.

Prese il pacchetto ed uscì sul balcone. Tirava vento, ed aveva i brividi. Tremava di freddo, eppure era certo di stare sudando. Ma tanto ci avrebbe messo cinque minuti a fumare, non gli andava di andare a prendersi qualcosa con cui coprirsi. Mise la sigaretta tra le labbra e dopo alcuni tentativi, riuscì ad accenderla; aspirò subito, chiudendo gli occhi. Ne restavano altre due, ma da quanto ricordava, doveva esserci qualche altro pacchetto nel cassetto. Sbuffò fuori il fumo, senza riaprire gli occhi.

Che beatitudine.

Ripensò per l’ennesima volta al tatuaggio di Adam e a con quanta eccitazione era arrivato lì a spiegargli che cosa significava. Al suo tono di voce quando gli aveva detto “Insomma, vuol dire che vedo le cose con gli occhi di un bambino. E ci riesco grazie a te.” E quello che era successo, riusciva ancora a vederlo con gli occhi di un bambino?

Fece una smorfia e sbuffò. Qualche lacrima gli era sfuggita. Aspirò ancora, tanto profondamente che arrivò a metà della sigaretta con solo due tiri. Vaffanculo. Avrebbe finito il pacchetto.

Alla fine se erano arrivati a litigare ogni giorno era solo per via della fama. E di quella schifosa fissazione che tutti avevano per il ‘nascondere’ il loro amore. Chi diamine se ne fregava se la gente lo veniva a sapere? E quindi? Che cazzo cambiava tra una relazione con lui ed una con quel Sauli? Pensavano che lui ed Adam fossero così perversi e schifosi da non riuscire neppure a trattenersi dallo slinguarsi in pubblico? Era quello il problema? Forse lo staff dell’RCA era convinto che uscire allo scoperto li avrebbe rafforzati, ed era per quello che non volevano, ma Adam invece aveva paura che farlo sapere a tutti avrebbe distrutto tutto.

Tommy? Lui non aveva paura di tutto quello. Non aveva paura di nulla se aveva Adam accanto. Ci aveva provato tante di quelle volte a farglielo capire, gli aveva sempre detto che gli bastava averlo al proprio fianco e tutto sarebbe andato bene...

Sospirò e si lasciò scivolare stancamente a terra, la schiena appoggiata al muro. Tossì ancora un paio di volte, sputando del catarro ed un po’ di sangue. Sbuffò, roteando gli occhi. Fece un altro tiro, poi spense il mozzicone a terra accanto a sé e si accese un’altra sigaretta.

Maledetto lui. Era innamorato come un coglione.

All’inizio non era così, all’inizio era sesso. Era fantastico, era tutto più semplice. Poi era cambiato tutto, e contro ogni previsione, era cambiato anche lui. E invece di rimpiangere quei momenti in cui tra loro c’era solo attrazione fisica e astinenza troppo prolungata, come ci si sarebbe aspettato da lui, aveva iniziato a diventare patetico.

Ma alla fine, sinceramente, non gli importava neanche di quello.

Alla fine, tutto ciò di cui gli importava era dove stava Adam, come stava, e cosa stava facendo. Sapeva che lo stava pensando, ne era sicuro. Chissà cosa pensava. Probabilmente si sentiva in colpa per quello che aveva fatto, forse voleva chiedergli scusa, avrebbe dovuto farlo.

Magari sarebbe tornato...




Note di fine capitolo:
Ringrazio ancora Frankie per il betaggio. Ricordo che gli errori mi appartengono tutti , dal primo all'ultimo.
Mi dispiace che sia molto breve, ma c'è abbastanza sofferenza anche così, c'è bisogno di aggiungerne altra? u.u
Anche se in effetti come capitoli sono un po' sproporzionati... ma c'est la vie D: Spero vi piaccia comunque!
Oh, e... perdonatemi se sono stata un po' cattiva, ma non avete ancora visto niente u.u

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Capitolo 3
*** verse 2: I'm lyin' here, on the floor, where you left me, I think I took too much. ***



VERSE 2:          
I'm lyin' here, on the floor, where you left me,
I think I took too much.   

You can do the math a thousand ways, but you can't erase the fact    
that others come and others go, but you always come back.
I'm a winter flower underground always thirsty for summer rain,  
and just like the change of seasons,
I know you'll be back again.     

~

Una mano calda gli sorreggeva la testa. Tommy aveva i brividi e sudava freddo.
Un’altra mano, anch’essa tanto calda da sembrare bollente, gli accarezzava la guancia.

Tommy! Tommy, svegliati!” Un sussurro pieno di panico.
Poi la mano di Adam che scivolava a chiudersi attorno al suo polso.
Alcuni lunghi, infiniti secondi di attesa, poi un sospiro di sollievo.
Qualche bestemmia.
Tommy tentò di aprire gli occhi o di parlare, ma scoprì con un certo disappunto che il suo cervello pareva scollegato dal resto del corpo.
Poi Adam lo tirò su, prendendolo in braccio.
Riuscì a socchiudere gli occhi e a distinguere la sagoma del viso del moro, le labbra contratte in un’espressione preoccupatissima. Poi li richiuse, stanco come se avesse appena sollevato un macigno.


Quando si svegliò gli ci vollero alcuni secondi per realizzare dove si trovava.
Era sul divano della cucina, un plaid stretto attorno alle spalle e Adam che lo manteneva seduto, mentre parlava con un dottore. Non aveva aperto gli occhi, ma era certo che fosse un medico: poteva sentire l’odore di medicine nella stanza.
Cercò di ribellarsi alla stretta di Adam: macché medico, si sarebbe messo a letto e tutto sarebbe passato! Non voleva medicine, non voleva dottori puzzolenti, voleva che Adam gli chiedesse scusa!
Ma appena provò a muoversi e ad aprire gli occhi, a spingere via il cantante, a chiedergli spiegazioni, la testa iniziò a girargli vorticosamente, e riuscì a stento a blaterare qualcosa, prima che la vista gli si oscurasse di nuovo.


Tremava di freddo, stretto sotto delle coperte.
Dove si trovava?
Provò ad aprire gli occhi, ma era troppo debole. Adam era lì, ne era certo. Poteva sentirlo respirare. Era certo che fosse lui. Non sapeva perché, ma ne era certo.

Adam...” mormorò con un tono quasi impercettibile. Non era sicuro che l’altro lo avesse sentito, ma era certo che l’idea che fosse lì, solo per lui, gli riempiva il cuore di un flebile calore.
La mano di Adam stavolta pareva ghiacciata quando gli sfiorò il viso.

Shh... Riposati...”


Adam lo sorreggeva, lo faceva stare seduto.
Dalle labbra di Tommy sfuggì qualche lamento. Che doveva fare? Voleva riposare, era stanco. Perché doveva stare seduto?
Sentì le dita di Adam fargli aprire le labbra e poi imboccarlo. Un cucchiaio con quello che sembrava pastina col brodo. Non voleva mangiare, avrebbe vomitato ancora! Provò a ribellarsi, ma fu inutile. Non ne aveva la forza.
Adam gliene diede altri quattro, forse cinque, obbligandolo a schiudere le labbra e poi a deglutire, con gesti delicatissimi, ma incredibilmente decisi. Con le dita gli spinse tra le labbra qualcosa dal sapore orribile. Sembravano pillole. Poi gli fece bere dell’acqua. Tommy lo lasciò fare, deglutì anche le pillole sperando che fosse finita lì.
Alla fine l’altro lo fece stendere di nuovo, gli scostò i capelli dal viso e sospirò.
A Tommy parve di sentirgli sussurrare qualcosa, ma non capì cosa.


Buio pesto.
La mano ghiacciata di Adam sulla sua fronte, ed uno sbuffo preoccupato.
Lo sentì alzarsi, poi ascoltò i suoi passi allontanarsi. Dopo un po’ lo sentì tornare e posargli una pezza bagnata e incredibilmente fredda sulla fronte, mentre sussurrava qualcosa.
Socchiuse gli occhi, e sorrise nel vedere la sua sagoma sfocata.

Sei tornato, Adam... Sei... tornato...” mormorò piano.
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo a metà tra il preoccupato ed il triste. Scosse la testa.
“Shh... Hai 41° di febbre, stai delirando...” Adam lo sussurrò dolcemente, scostandogli i capelli dalla pezza bagnata. Tommy non sapeva se aveva davvero la temperatura così alta, ma era quasi certo di non stare delirando. Ma era troppo stanco per insistere.


Faceva meno freddo, e di certo la temperatura gli si era abbassata, perché Tommy riuscì persino ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco quello che aveva intorno.
Era nella sua camera. La stanza era buia, e non distingueva bene quello che c’era intorno.
Adam era seduto su una sedia, accanto al letto. Sembrava addormentato.
Era tornato, sì, non c’era dubbio. Tommy provò a sorridere, ma aveva le labbra terribilmente secche. E doveva andare in bagno.
Sospirò, cercando di alzarsi. Si sentiva debolissimo, ma rispetto alle altre volte riusciva almeno a muoversi. Il bagno era vicinissimo, non sarebbe poi stato così difficile arrivarci. O no?
La risposta parve arrivare da sola quando, alzatosi dal letto, le ginocchia tremanti lo obbligarono ad accasciarsi per terra.
Si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
Fanculo. Batté debolmente i pugni sul pavimento, senza ottenere neanche di farsi male. Poi, quasi come se spuntassero dal nulla, le mani di Adam lo tirarono su e lo sorressero. Tommy fece una smorfia sofferente, quasi come se quel tocco bruciasse.
Torna a letto..” Adam mormorò, senza avvicinarsi troppo. Era come se avesse paura di una sua reazione. Tommy mugolò e si sforzò di guardarlo.
C’era una tensione terribile, di attesa, di pensieri non detti, di parole ingoiate e di offese prese e mai restituite.

Io devo... devo andare... in bagno.”
Riuscì a leggere l’imbarazzo negli occhi di Adam quando quegli esitò e annuì, poi lo aiutò ad arrivare al bagno sfiorandolo quasi come se fosse un filo d’erba. Okay, forse non stava molto bene.. ma a Tommy tutto quello parve decisamente esagerato! Era solo un po’ di febbre..
Tommy guardò Adam tutto il tempo, lasciandosi trasportare di peso da lui, che nel frattempo evitava testardamente il suoi occhi. Arrivati in bagno, il moro gli tirò giù pantaloni e mutande, frettolosamente, ed arrossendo. Tommy vide chiaramente il rossore sulle sue guance, ma non disse nulla, ed arrossì a sua volta. Avrebbe voluto dirgli che almeno i pantaloni sapeva abbassarseli anche da solo, farselo fare era imbarazzante anche in una situazione del genere, ma non era sicuro che ci sarebbe
davvero riuscito da sé, così restò in silenzio. Si sedette sulla tazza e Adam si voltò, facendo per uscire.
“Ti lascio solo... Non alzarti. Quando hai fatto chiamami.” Parve sforzarsi di controllare il tono della propria voce, poi praticamente scappò via, fuori dalla stanza, chiudendo la porta di scatto.


Adam parlava al telefono, Tommy poteva cogliere spezzoni delle sue frasi.

Ti preoccupi per me? Questa sì che è una novità!” Adam rise senza allegria e la cosa diede i brividi a Tommy. L’ultima volta che l’aveva sentito ridere così, era arrabbiato con lui.
Perché nessuno si preoccupa per lui, invece?”
Tommy cambiò posizione tra le coperte, nel modo più silenzioso possibile, scoprendo un orecchio che teneva premuto contro il cuscino, in modo da sentire meglio.

Non m’importa un cazzo del lavoro. Non lo lascio solo!”
Tommy sorrise tra sé e sé. Parlava di lui, non era così? Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma era così stanco...

No che non mi ammalo, idiota. Sono sotto antibiotici anche io, razza di coglione che non sei altro!”
Chissà con chi parlava, per usare termini così coloriti con tanta tranquillità.

Licenziami pure, fai il cazzo che ti pare. Io da qui non mi muovo.”
Tommy rabbrividì e gli venne ancora da piangere. Stavolta per via di qualcosa di molto simile alla felicità, però. Come aveva potuto dubitare dell’amore di quel ragazzo anche solo per un istante? Sicuramente gli avrebbe chiesto scusa, appena sarebbe stato meglio. E poi si stava prendendo cura di lui...
Sentì Adam borbottare qualcos’altro e mandare a quel paese il suo interlocutore, per poi ritornare verso il letto. Richiuse gli occhi e fece finta di dormire.
Lo sentì avvicinarsi, poi sentì il calore delle sue labbra sulle proprie.
E l’odore, e il sapore, e la morbidezza di quel semplice bacio lo fecero rabbrividire flebilmente.
Non seppe se Adam se ne fosse accorto o meno. Probabilmente pensava che stesse dormendo.

Non mi allontaneranno da te. Mai più. Te lo prometto.”


La mano di Adam tra i propri capelli fu la prima cosa che percepì, ancora prima di aprire gli occhi. Glieli accarezzava delicatamente, sicuramente per evitare di svegliarlo, e teneva l’altra mano posata sulla sua. Era curioso come la mano che gli sfiorava il viso paresse terribilmente fredda, mentre l’altra poggiata sulla sua sembrasse invece molto calda. Tommy sorrise e aprì lentamente gli occhi.
Adam ritrasse la mano in fretta e le posò entrambe su quella ghiacciata di Tommy. Scosse la testa.

Sei tornato...” il sussurro di Tommy fu appena percettibile, ma Adam lo udì chiaramente e sembrò riscuotersi dai propri pensieri. Non rispose. Gli posò una mano sulla fronte, probabilmente per controllargli la temperatura. Pensava di nuovo che delirasse?
Sono semplicemente venuto a vedere se eri ancora vivo.. non hai risposto al telefono e mi sono spaventato.”
Tommy sentì il cuore mancare un battito. L’aveva chiamato! Lo aveva pensato, e si era preoccupato per lui... Non poté fare a meno di sorridere. Adam scosse la testa e abbassò lo sguardo.

E poi sei rimasto..” Tommy lo aggiunse, flebilmente, guardandolo felice.
Stavi male! Ti ho trovato svenuto fuori sul balcone! Ho... ho avuto tanta paura, Tommy...” Adam si interruppe, ma Tommy non disse nulla. Non c’era nulla da dire. Era tornato. Poteva metterla come gli pareva, negare fino alla morte, ma era lì con lui, si stava occupando di lui, lo stava curando, e Tommy lo sapeva che quella era una cosa che non avrebbe fatto per nessun altro. Solo per lui.
Adam alzò lo sguardo su Tommy. La sua espressione cambiò dall’intenerito ad una smorfia che Tommy non riuscì ad identificare. Poi abbassò lo sguardo, sospirò e tornò a guardarlo con un’espressione intensa, tra la rabbia, la frustrazione e la malinconia.

Non vorrei sembrati invadente... Ma mi spieghi cosa hai in testa, al posto del cervello? Segatura?” fece una breve pausa, guardando l’espressione confusa di Tommy. “Avrai perso qualcosa come dieci chili in una settimana e ora devo anche darti da mangiare o continueresti a star digiuno! Il medico era preoccupatissimo, voleva ricoverarti! Sei pazzo o cosa?”
Tommy era sorpreso, nell’accezione negativa: ora era lui che doveva chiedere scusa? Ma come si permetteva? Avrebbe dovuto essere preoccupato, sentirsi in colpa – e lui fu sordo a quelle sfumature di voce che trasmettevano apprensione, e che ripensandoci in seguito si rese conto (o forse si convinse?) di aver udito ma di non aver ascoltato. In quel momento, però, si rese conto soltanto che Adam se la stava prendendo con lui, di nuovo. Non solo non gli aveva chiesto scusa – aveva il
dovere di farlo, diamine, dopo tutto quello che era successo! – ma aveva persino il coraggio di arrabbiarsi con lui! Era possibile passare dallo stare così bene allo stare di nuovo tremendamente male in un solo istante – con una sola frase? Forse, in fondo, aveva fatto bene a dubitare del suo amore: c’erano dei buoni motivi per farlo e quello era uno di essi. Non era difficile, bastava dire una parola, una sola, scusa.
Io.. non lo so...” borbottò Tommy, guardandolo di sottecchi e sperando solo che si calmasse. Lui non riuscì ad alterarsi, stava troppo male, voleva solo lasciare cadere la discussione e far finta di nulla, ne aveva abbastanza di finire sempre in quella situazione. E poi, davvero non sapeva perché si era comportato in quel modo: stava uno schifo e aveva semplicemente fatto quello che il suo corpo gli aveva detto di fare; non aveva fame e non aveva mangiato. Non era colpa sua se si era ammalato!
Adam, dal canto suo, non sembrava volersi fermare. Non lasciò a Tommy il tempo di pensarci, magari di formulare qualche scusa, qualcosa da dire, qualunque cosa preservasse quel poco di orgoglio che gli restava e che non fosse un patetico ‘perdonami, non lo faccio più’.

Non lo sai?! Tommy! Sei stato a digiuno per sei giorni! SEI GIORNI!! Cosa cercavi di fare, morire di fame?! Ti ho trovato svenuto, avevi la febbre a 41° e avevi vomitato sangue, Tommy, sangue! E per fortuna che sono venuto io! Hai la polmonite. Vuoi spiegarmi come cazzo hai fatto a prendere la polmonite in estate?! Ti rendi conto che hai messo in pericolo la tua vita?!”
Tommy non riuscì a trattenere le lacrime, cominciarono a scendere da sole, ancora una volta come di volontà propria; iniziò a singhiozzare e dei forti colpi di tosse lo scossero tutto. Dio, che figura orribile.
Adam smise di urlargli contro quando vide le lacrime, e fece per dire qualcosa, ma poi Tommy tossì, e singhiozzò e lui semplicemente gli si avvicinò, lo sguardo da cucciolo bastonato che aveva sempre quando si sentiva in colpa, e gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo a sé.

No... Io... Calmati, Tommy...”
Ma Tommy lo ignorò. Anzi, singhiozzò ancora più forte, ed un altro attacco di tosse lo scosse tutto. Cercò persino di allontanarlo, ma non ci riuscì, riusciva a stento a stare seduto senza che gli girasse la testa!
“Io non volevo che succedesse tutto questo... Non è colpa mia.. Non è colpa mia...” Tommy non riuscì più a trattenersi, tirò su con il naso, poi riprese a piangere, come un bambino; si sentiva così gracile, debole, sembrava bastasse un soffio a portarlo via, che si sentì consolato quando l’altro lo strinse a sé.
Aveva bisogno di Adam, in quel momento, ed era assurdo, ma lui era proprio lì, al suo fianco, eppure era come se non ci fosse. Il calore e l’odore erano quelli, ma quello non era il suo ragazzo, quello era un suo amico a cui aveva fatto pena e che per pura compassione lo stava aiutando.
A poco a poco Tommy si calmò, con grande sforzo, iniziò a piangere in silenzio, stretto al moro con una forza che neanche lui stesso si sarebbe aspettato di avere. Sperava di sentire quella fatidica parola da un’istante all’altro, lo sperava con tutto il cuore, ma quando quella non arrivò, decise di provare a fare lui il primo passo.

L’ho fatto perché... Non avevo la forza di fare nulla sapendo che i nostri ‘per sempre’ erano una bugia...” il biondo lo mormorò con un filo di voce e poi tirò su col naso, gli occhi chiusi e l’aria stanca. Adam sospirò e lo strinse appena di più.
Tutto quello che Tommy silenziosamente implorava che accadesse era che lui gli facesse delle maledette scuse, che gli dicesse che quei per sempre non erano una bugia e che non lo sarebbero mai diventati, che lui era lì e sarebbe rimasto, perché non potevano fare a meno l’uno dell’altro.
Ma Adam non disse nulla.







Note di fine capitolo:

...do re mi soool

LOL!
No, okay, torniamo seri. 
Spero che vi piaccia e che non odierete troppo il mio Adam adorato perché, fidatevi della vostra amata autrice, ha le sue ragioni ed è convinto che siano valide! Per quanto riguarda il nostro piccolo e maltrattato micetto, beh.. non è un cretino irresponsabile pazzo d'amore, lui? *-*
La canzone di questo capitolo è "Just Like A Pill" di P!nk, perfetta per il tema, non pensate? :P

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Capitolo 4
*** chorus: it's like one of those bad dreams, when you can't wake up. ***



CHORUS:

It's like one of those bad dreams,
when you can't wake up.

I'm not dead just floating..
Underneath the ink of my tattoo,    
I've tried to hide my scars from you.  
I'm not scared just changing,
right beyond the cigarette and the devilish smile,   
You're my crack of sunlight, oh.  


~

Dopo appena tre giorni, Tommy stava già molto meglio.

La febbre era scesa drasticamente, e raramente si alzava sopra i 37°; erano ormai più di ventiquattr’ore che non tossiva più così spesso, anzi, succedeva abbastanza raramente, ed era ritornato ad avere un colorito sano e non più bluastro come nei giorni precedenti. Aveva riacquistato già le forze e nonostante fosse ancora un po’ debilitato, avrebbe potuto tranquillamente tornare alle sue solite abitudini.

Ma Adam si occupava di lui con uno zelo ed un’attenzione persino eccessivi: gli misurava la temperatura tre volte al giorno, dormiva poco e nulla per controllare che stesse bene e prendesse le medicine all’ora giusta, che mangiasse, che non andasse in giro da solo, che non fumasse e che non facesse sforzi eccessivi. Inutile dire che gli impediva di uscire, spaventato da una possibile ricaduta, ed in più aveva una fisima particolare per il dover ‘cambiare l’aria’ nella stanza: ogni sei ore, puntualmente, lo faceva spostare nella camera degli ospiti perché nella sua doveva aprire la finestra e lasciar ventilare la stanza. Persino per farsi la doccia impiegava il minimo possibile, quasi come se fosse potuto accadere davvero qualcosa a Tommy nei dieci minuti che non lo teneva d’occhio. Per non parlare di quando era Tommy a dover fare la doccia! Doveva chiedergli il permesso – da quando in qua uno deve chiedere il permesso di lavarsi a ventinove anni, bah – ed Adam, seppur con un po’ di imbarazzo, aspettava che uscisse, poi lo asciugava, lo aiutava addirittura a vestirsi ed insisteva anche per asciugargli i capelli!
Una noia terribile, insomma.

Eppure – Tommy non lo avrebbe ammesso mai a voce alta – gli piaceva. Amava essere il soggetto di tutte quelle attenzioni, amava il tocco delicato di Adam quando cercava di obbligarlo a prendere quelle disgustose pillole, o a mangiare, amava la sue parole dolci, e amava il fatto che fosse così infinitamente paziente, e calmo, come se vederlo in quella situazione gli avesse fatto raggiungere la pace dei sensi. Ma – perché c’é sempre un ma – un problema c’era. Ed era il confine che Adam non accennava a voler superare, quello dell’amicizia. Neanche un bacio, neanche sulla guancia, e gesti sempre misurati al millimetro, molto spesso imbarazzanti proprio per via di quella barriera che il cantante pareva essersi auto-imposto. E poi le scuse che Tommy ancora aspettava, che da quello che sembrava, non avevano sfiorato la mente di Adam neppure per sbaglio.

Tra loro spesso c’era una tensione così palpabile che Tommy era convinto che avrebbe potuto persino toccarla, mentre appestava l’aria tutta intorno e oscurava tutto. Adam sembrava essere lì solo perché gli voleva bene. Non perché volesse tornare con lui o cazzate simili. Faceva quello che avrebbe fatto Isaac, o Sutan. C’era qualcosa di peggio?

Avrebbero dovuto parlarne, ma forse per timidezza o mancanza di coraggio, non lo facevano.
Vuoi fare una mossa o hai deciso di aspettare che mi spunti un capello bianco?”
I pensieri di Tommy furono bruscamente interrotti da Adam.

Ma tu hai già i capelli bianchi, Adam.” Tommy snocciolò la sua risposta sempre pronta, in tono canzonatorio; era impegnativo nascondere i sentimenti, ma poteva farcela. Doveva mostrarsi forte, fargli vedere che stava bene anche senza lui accanto. Doveva.
Scacciò via i pensieri, seppellendoli sotto quella maschera di apparente tranquillità, e tornò a concentrarsi sulla scacchiera: si era distratto ed ora, ovviamente, non aveva idea di che fare. Decise di muovere un pezzo a caso, l’alfiere. Tanto, la cosa peggiore che avrebbe potuto succedergli sarebbe stata perdere, per la decima volta di fila. Non che gli importasse, si era rassegnato ormai: aveva sempre avuto problemi a mantenere la concentrazione, e ogni volta, puntualmente, si distraeva e faceva mosse idiote.

Adam lo guardò inarcando un sopracciglio, poi spostò la propria regina a qualche casella di distanza dal re avversario. “Scacco matto.” scandì, guardandolo negli occhi.
Tommy fece spallucce e sorrise, distogliendo lo sguardo e fingendo indifferenza anche se un brivido lo aveva scosso tutto a quell'occhiata.
Prese a raccattare tutti i pezzi sparsi per il tavolo, rimettendoli in ordine. Adam fece lo stesso, e si scoccarono qualche sguardo di sottecchi, ogni tanto, a turno.
Dovevano decisamente parlare, e al più presto.

Tommy pensò a cosa dire per mettere fine a quell’orribile silenzio che parlava del discorso che non avevano mai iniziato eppure restava in sospeso, e della loro vigliaccheria a starsene zitti e lasciare scivolare via le ore in quella situazione di merda, incapaci di lasciarsi e lasciarla perdere e incapaci di risolvere il problema che continuava a fluttuare sulle loro teste, nuvola scura, tanto invisibile quanto pesante.
Prese fiato per dire qualcosa, ma Adam lo anticipò.

Secondo me lo fai apposta. Mi fai vincere.”
Tommy rimase interdetto per qualche istante: tutto si sarebbe aspettato, tranne che Adam si mettesse a parlare di scacchi. Chi se ne fregava?
Ma poi, inevitabilmente, quando guardò Adam negli occhi, sorrise.
Cos’altro poteva fare, d’altronde? Era Adam.

O forse sei tu ad essere più bravo di me...”


Quando si svegliò, Adam lo osservava. Era seduto sul letto, accanto a lui, e teneva una mano poggiata sul suo petto. Tommy provò a dire qualcosa, ma il moro lo zittì, scuotendo la testa. Si chinò su di lui e gli baciò le labbra, dolcemente, sfiorandole appena.
Forse non l’hai capito, ma ti amo.”

Tommy sorrise, il cuore gli si dibatteva nel petto, e stava sudando, ed era certo di essere arrossito; corpo traditore, come si fa a nascondere al mondo i propri sentimenti se uno sfiorare di labbra ti riduce ad un pazzo lobotomizzato sbavante e felice come una Pasqua?

Allungò una mano e la posò sulla nuca di Adam, intrecciando le dita tra i suoi capelli corvini, morbidi e profumati, che l’odore poteva sentirlo da lì, e facendolo si sentì come uno che riprende a respirare dopo lunghissimi minuti di apnea.
Anche io.” Disse in un mormorio e sorrise, ed Adam era salito sul letto, a cavalcioni su di lui, così in fretta che era bastato un battito di ciglia per trovarselo sopra.

E mi dispiace tanto di tutto, davvero...” Adam lo disse con un sorriso, sincero, bellissimo, con gli occhi che gli brillavano. Tommy si tirò su, appoggiandosi sui gomiti e avvicinando le labbra alle sue, schiudendole appena. Lo guardò negli occhi, gli sembrò di aver aspettato una vita per riavere quelle labbra sulle sue, e quando Adam lo baciò, non volle più lasciarle andare via, le avrebbe semplicemente baciate per sempre, perché non poteva essere possibile?

Il moro lo strinse a sé, dolcemente ma con decisione, e lui si sentì finalmente bene per davvero. E lo desiderò, tremendamente, improvvisamente, desiderò essere suo e il suo odore dappertutto, e lussuria nei suoi occhi e il piacere in ogni fibra del corpo. E glielo disse, semplicemente, stupendosi di sé stesso, ma lo fece.

Voglio fare l’amore con te.”
Lo sussurrò piano, guardandolo in quegli occhi magnifici, e poi fu solo dolcezza, e amore, e passione, in un singolo bacio, e i loro gesti frettolosi ma intrisi di una certa dolcezza, mentre si spogliavano l’un l’altro e poi rimasti nudi, la fisicità e l’incredibile naturalezza di quando si strinsero l’uno all’altro, e le loro erezioni si sfiorarono. Tommy ansimò, sussurrando più volte il nome del suo amante, mentre quello faceva scivolare la mano tra i loro corpi e lo toccava, e le sue dita parevano bollenti e scivolavano lungo la sua erezione con una sapienza tale che avrebbero potuto essere quelle di Tommy stesso.

CRASH!

Spalancò gli occhi di scatto, svegliato da un’assordante rumore di vetri rotti.
Porca puttana.

Era nel letto, la camera era illuminata perfettamente, doveva essere mattina. Ma soprattutto, cosa decisamente più importante, aveva il fiatone, una bella erezione costretta nelle mutande e la mano infilata nei pantaloni; la sfilò fuori come se bruciasse e cercò senza molto successo di mimetizzare il gonfiore dei suoi pantaloni con le lenzuola.
Porca puttana.

Si affacciò appena al di sopra del letto, ed Adam era lì, chinato a raccogliere i cocci di chissà che.
Porca puttana
, non poteva essere un sogno anche quello? Voleva sprofondare, diventare parte del materasso, sparire per un centinaio buono di anni e tornare solo quando tutti si fossero dimenticati persino il suo nome.

Ehm, io... stavo.. sono inciampato.” Adam borbottò, rosso in viso, evitando il suo sguardo. Perfetto, se ne era accorto. Fantastico.
Scese dall’altro lato del letto e se ne andò direttamente in bagno, senza dire una parola. Si chiuse di scatto la porta dietro e vi si appoggiò contro, mettendosi le mani tra i capelli e lasciandosi scivolare a terra.
Che terribile figura di merda.

Ma non ebbe il tempo di rimuginarci su ed arrossire per la vergogna bruciante, perché Adam bussò alla porta praticamente l’istante dopo che lui l’ebbe chiusa. Una volta, due, tre. Perché non lo lasciava in pace? Non era imbarazzato almeno un po’? Si divertiva o che?
Tommy.. ehm.. tutto bene?” disse il cantante, dall’altro lato della porta, con un tono preoccupato.

Tommy strinse la presa tra i propri capelli e gli venne da piangere. Non era mai stato più imbarazzato in tutta la sua vita, ed Adam si comportava come se nulla fosse? Non capiva che voleva essere lasciato in pace?
Vattene.”


Mezz’ora dopo, Tommy se ne stava sotto la doccia, gli occhi chiusi, appoggiato al muro freddo, ed era da circa un quarto d’ora che lasciava che l’acqua gli scivolasse addosso e poi via, giù, nelle tubature. Piano piano, anche i suoi pensieri avevano fatto lo stesso, e avevano abbandonato la sua mente, uno dopo l’altro, lentamente, erano scivolati via e l’avevano lasciato ad ascoltare il rumore dell’acqua scrosciante, e a sentire il freddo delle piastrelle dietro la schiena e a confrontarsi con quell’assurdo mal di pancia, con l’ansia e la vergogna.

Non era successo nulla.
Andava tutto bene.
Ora sarebbe uscito dalla doccia, con il sorriso sulle labbra, e si sarebbe comportato come se nulla fosse successo.
Sarebbe uscito dalla doccia, e Adam avrebbe fatto finta di niente, si sarebbe comportato come sempre.
Sarebbe uscito dalla doccia, e ben presto l’imbarazzo sarebbe scomparso.
E magari, poi, Adam sarebbe andato via. E lui lo avrebbe lasciato andare, di nuovo.

Forse era per questo che era lì, Adam. Per ucciderlo più lentamente. Per assicurarsi che il suo corpo restasse forte ed in salute e che il suo cuore pompasse con tutta la forza che aveva, mentre lui lo uccideva dentro, lo svuotava.

Perché era quello, che sentiva adesso. Un dolore tremendo, un vuoto, forse peggiore di quello che aveva provato quando suo padre era morto. Peggiore di tutto quello che aveva mai provato. Perché Adam era lì, era fottutamente lì, era tornato, ma di lui non pareva volerne sapere nulla.
Avrebbe dovuto essergli
grato per avergli salvato la vita? Beh, non gli era grato proprio per nulla. Magari poteva sembrare ancora vivo, ma sapeva che non sarebbe stato davvero così per molto tempo. E Adam anche lo sapeva, Tommy ne era certo, e tutto quel prendersi cura di lui, probabilmente era solo un modo per addolcirgli la pillola.

Il fatto è che quella era la fottutissima pillola più disgustosa del pianeta; un po’ di zucchero non sarebbe mai bastato.
Peccato che si possa nascondere il proprio stato d’animo, ma non ci si possa
nascondere da esso.

Tutto quello lo stancava, lo sfibrava, gli toglieva la forza, la grinta e il sorriso. Per quanto quella tortura avrebbe dovuto andare avanti? Quanto doveva soffrire per scontare la sua colpa di essere stato felice?
Era tutto lì, alla fine: in quel momento non era felice, anzi, non lo era da un po’, ma era da quando conosceva Adam che aveva scoperto cosa voleva dire felicità. E cosa voleva dire
dolore.
Ma non aveva rimpianti, no, quello no. Se ripensava a quanto era stato bene, be’, forse un po’ ne valeva la pena di soffrire così.

Forse se ne sarebbe stato sotto la doccia ancora un po’. Ad aspettare che quella schifosa sensazione di stare per vomitare sparisse.


Mentre si passava l’asciugamano tra i capelli, tamponandoli dall’acqua, gli parve di sentire la porta aprirsi. Si voltò di scatto. La porta era chiusa, proprio come prima. Si passò l’asciugamano sul viso, poi tornò a voltarsi verso lo specchio e scosse la testa, era diventato anche paranoico adesso?

Okay, non aveva chiuso a chiave, ma Adam non si era mai permesso di entrare senza bussare, in quei giorni. Perché avrebbe dovuto farlo proprio in quel momento?
Sospirò scuotendo la testa e continuò a massaggiarsi i capelli, chiudendo gli occhi e appoggiandosi alle piastrelle fredde, cercando di rilassarsi. Stava decisamente esagerando. C’era bisogno di angosciarsi e torturarsi a quel modo per un sogno? Aveva ancora il diritto di sognare il cazzo che gli pareva (
letteralmente e non), era Adam che avrebbe dovuto lasciarlo dormire in pace!

Sentì di nuovo la porta aprirsi e qualcuno entrare nella stanza. Non aprì gli occhi per controllare se se lo fosse immaginato, anzi, li strinse ancora di più e si disse che appena uscito di casa avrebbe dovuto seriamente andare da uno psicologo: non c’era nessuno nella stanza, men che meno Adam! Figurarsi, sicuramente aveva di meglio da fare!
Ma non poté negare l’evidenza quando sentì una mano posarsi sul suo petto attraverso la stoffa dell’accappatoio.
Poteva sentire il suo calore, ed il suo inconfondibile odore.

Adam, esci immediatamente.”
Lo disse freddamente, senza aprire gli occhi, né muoversi di un millimetro e scandendo per bene l’ultima parola. Ma Adam non dette segno di aver sentito, anzi, Tommy lo sentì avvicinarsi. Sentì le sue labbra e il suo fiato caldo vicino al proprio orecchio e poi le sue dita scivolargli lungo un fianco. Fremette e si morse forte le labbra, poi aprì di scatto gli occhi.

Quale parte di ‘esci immediatamente’ non ti è chiara?”
Cercò di mantenere un tono freddo, distaccato, seppure alla fine la sua voce tremò.

Ancora una volta, nessuna risposta. Le labbra calde e morbide di Adam si posarono sulle sue, dolcemente. Tommy non si mosse, ma non riuscì a trattenere un sospiro. Come sempre, bastava che lo sfiorasse e lui diventava incapace di intendere e di volere. Socchiuse lentamente gli occhi, pienamente consapevole di quanto il proprio fosse un segno di resa.

Perché ti vergogni?”
Adam parlava con un tono di voce così tranquillo che calmò anche Tommy. Il biondo lo guardò negli occhi e abbozzò un sorrisino timido.

Perché non dovrei..?”
Sussurrò timidamente, si sentiva a disagio, voleva mandarlo via e restare solo, ma ovviamente non ci riusciva. Maledisse mentalmente la bellezza di quell’uomo, e il suo fascino, e il potere che esercitava su di lui probabilmente senza neppure rendersene conto.

Adam gli baciò ancora le labbra, spingendolo contro la parete. Gli diede giusto il tempo di rendersene conto, però, staccandosi da lui quasi subito e guardandolo negli occhi. Tommy si mordicchiò le labbra.

Adam... Ti... Ti prego...”
Vai via. Solo questo voleva dirgli. Non perché non volesse le sue labbra, non perché non desiderasse più di ogni altra cosa averlo accanto sempre, ma perché tutta quella situazione era troppo ambigua, e incasinata, e strana. Voleva solo che Adam gli chiedesse scusa. Tutto lì.

Shh, Tommy.” Quel dannato sorriso che lo stregava.
“Volevo solo... Spero che tu un giorno possa perdonarmi per tutto questo.”

Buio.

Sentì il rumore di una porta chiudersi di colpo.
Aprì gli occhi.
Un altro sogno. Di nuovo Adam.
Non si poteva andare avanti così.


Non si può andare avanti così, Tommy!”

Adam urlava. Sembrava arrabbiato, ma forse era solo frustato, o stressato. Tommy, dal canto suo, si mostrava innaturalmente calmo: sinceramente, non aveva la forza di litigare. Non aveva la forza di combattere per poi arrivare ad ottenere.. be’, nulla. Si sentiva totalmente svuotato delle proprie forze, di tutto. Pazienza inclusa.

Cosa vuoi da me, Adam?” scandì lentamente, alzando lo sguardo verso di lui. Se ne stava seduto su una sedia, in cucina, i gomiti poggiati sul tavolo e le dita intrecciate tra loro, e seguiva Adam con lo sguardo, squadrandolo da sotto in su, mentre lui girava attorno al tavolo nervosamente.

Cosa voglio?!” sbottò il cantante, come se fosse più che normale che si fosse messo a sbraitargli contro senza alcun motivo apparente pretendendo che lui sapesse di cosa stavano parlando. Adam scosse la testa e proseguì. “Che tu la smetta, forse? Smettila di guardarmi in quel modo, di... di provare a farmi sentire in colpa, di comportarti come se la nostra storia funzionasse e io sia lo stronzo che ha messo fine al tuo sogno, smettila di.. di pensarmi in continuazione, o per lo meno di sognarmi!”

Tommy sospirò. Se precedentemente pensava che non fosse possibile sentirsi peggio di come stava, in quel momento si ricredette. Era possibile eccome.
Ma chi era quell’uomo? Dov’era il suo Adam, che fine aveva fatto? Perché si comportava in quel modo, perché diceva quelle cose? E cosa avrebbe dovuto fare lui? ‘Smettere di pensarlo’, bah! Come se lui potesse farci qualcosa!

“Quando scopri il modo di scegliere che sogni fare, fammi sapere, perché risparmierei un botto in film porno, sai com’è. Fino ad allora, be’, sono libero di sognare il cazzo che mi pare.” Rispose con freddezza – anche se la voce gli tremò un po’ all’inizio – ma non aveva intenzione di dare a vedere ancora quanto stava male per lui. Non lo meritava, non più. Non meritava nulla di tutto quello.

Adam ringhiò e batté i palmi delle mani sul tavolo, mettendosi proprio di fronte a lui e avvicinandosi pericolosamente. Tommy non batté ciglio.
Vaffanculo, Tommy.”

Sì, ti amo anche io, Adam.” Tommy rabbrividì, la risposta gli era uscita spontanea, e sì, era provocatoria sicuramente, ma dire quelle parole, in quel momento, con quel nome accanto... Gli fecero male per quanto erano vere nonostante tutto. Lo guardò negli occhi, per un istante, e non si aspettava di vedere ciò che vide. Si aspettava rabbia, quasi furia, e frustrazione, e qualcosa di tremendamente distante da quello che aveva sempre visto in lui – sempre che l’avesse davvero visto e non avesse semplicemente voluto vederlo.

Invece, trovò quello che aveva sempre visto in lui: quello era ancora il suo Adam. In quegli occhi non c’era furia, né frustrazione, né nulla di quello che si era aspettato: c’era rabbia, sì, ma una rabbia offuscata da tristezza e dolore, e senso di colpa, e Tommy davvero non capiva. Era Adam a ferirlo sempre in quel modo, a trattarlo senza riguardo dei suoi sentimenti, come un giocattolo, e poi stava anche così male? Perché lo aveva lasciato, perché si comportava in quel modo se poi soffriva così? Sembrava volesse essere disprezzato, quasi lo facesse apposta. Cos’era, un modo di metterlo alla prova?

Adam chiuse gli occhi, e scosse piano la testa, con l’aria improvvisamente stanca. “Non sei divertente.”
Non voglio essere divertente.” Tommy rispose, ancora una volta in automatico, mentre la fredda rabbia di prima se ne scivolava via, dopo quello sguardo, lasciando il posto ad una malinconia che sembrava prendergli a calci l’intestino.

L’altro sbuffò, roteando gli occhi, e si sedette. Si guardarono negli occhi, in silenzio.
Fu Tommy il primo a parlare: “Tu stai male quanto me, non è così, Adam? Tu non vuoi davvero lasciarmi. Non hai mai voluto.”
Adam scosse la testa, e si prese il viso tra le mani. “Ti ho già lasciato. Accettalo.”

Oh, certo. Ma Tommy ricordava quella chiamata, con chi parlava, con il suo manager? L’aveva mandato a fanculo perché doveva stare con lui. E poi tutte quelle cose sussurrate quando pensava che lui non ascoltasse? E tutta quella dolcezza nei suoi gesti? E il modo in cui si preoccupava per lui?
C’era qualcosa che Adam gli nascondeva. Non si stava semplicemente illudendo, era così! Doveva essere così.
“E perché l’hai fatto, Adam?”

Il moro guardò dovunque tranne che verso Tommy.
Dovevo. E tu dovresti lasciarmi andare.”

A quel punto Tommy sentì nuovamente la rabbia montargli dentro. Cosa significava che ‘doveva’? Era una motivazione, quella? Non era neppure capace di usare una banale scusa del cazzo? Lo fulminò con lo sguardo, poi chiuse gli occhi e si morse le labbra, con forza, cercando di mantenere la calma, almeno apparentemente.

Ah, dovevi. Ora si spiega tutto.” Fece una breve pausa, guardandosi le mani. “Credi che io non sia capace di stare senza di te, Adam? Che io non sia abbastanza forte? Credi che se ti ho sempre perdonato, ogni cazzo di volta, è stato perché non riesco a lasciarti andare? Ne sei davvero convinto?”

No, non è questo, Tommy. Io.. lo faccio..” Adam iniziò a parlare, interrompendolo e iniziando a mettere confusamente in fila le parole, balbettando e incespicando, gesticolando, visibilmente nervoso. Cercava di giustificarsi? Di mentirgli ancora? No, grazie, non aveva più bisogno delle sue cazzate. O si decideva a dirgli la verità o la faceva finita.

Lo interruppe a sua volta, senza riuscire a trattenersi un secondo di più, e iniziando ad urlare: “Non mi interessa, Adam! Ne ho abbastanza delle tue bugie e della tua presunzione, del tuo modo di trattarmi, di essere sottovalutato... Ne ho abbastanza di darti tutto e di ricevere solo sofferenza in cambio! Sai perché ti perdono sempre tutto, Adam? Non perché non riesco a fare a meno di te o non mi rassegno al fatto che non mi vuoi, ma perché ti amo. E non sono io a trattenerti qui con me, quindi se mi hai lasciato, se puoi fare a meno di me, se davvero non vuoi più che la nostra relazione vada avanti, vattene.”

Adam alzò lo sguardo verso di lui. Silenzioso e con l’aria afflitta, lasciava che qualche lacrima gli colasse lungo le guance e neanche sembrava accorgersene; scosse la testa e sembrò voler dire qualcosa. Tommy però non aveva ancora finito.

Sto dicendo sul serio, Adam. Vattene via, se è così. Alzati, apri quella porta, esci da casa mia e non tornarci mai più. Ti lascio libero di andare.” E nel dire quelle parole, Tommy non riuscì a trattenere le lacrime, né un vago tremolio della voce; “Ma se resterai qui, allora avrai la prova che non sono io quello che ha bisogno di te.” Concluse infine, e si sentiva esausto, e anche ridicolo.
Aveva trasformato la loro discussione in un monologo melodrammatico, degno delle
telenovelle più inguardabili del piccolo schermo. Una raffica di parole, ma soprattutto di emozioni e sentimenti, repressi fino a quel momento, che avevano trovato sfogo in parole messe in fila senza neanche pensarci, allineate con la loquacità della rabbia e dell’impulsività. Era per questo che era anche un po’ spaventato: non era sicuro di essere davvero pronto ad un addio così definitivo, ma in fondo sapeva che Adam non se ne sarebbe andato. Ne era certo: aveva promesso!

Una certezza, la sua, a cui si aggrappò disperatamente con ogni fibra del corpo, mentre osservava l’altro dirigersi verso la porta, fermarsi sulla soglia e guardarsi indietro, con gli occhi tristi. Una certezza che, testardamente, gli teneva le radici piantate nel cuore e non voleva saperne di essere sradicata via, mentre il suo proprietario non riusciva a provare nulla, nessun sentimento: sapeva solo che quell’allontanamento lasciava in bocca un sapore amaro, simile a quello della sconfitta, ma anche a quello del dolore.

Guardò impotente Adam che usciva da casa sua e dalla sua vita. Per sempre.
Quel giorno imparò che gli addii sapevano di lacrime e sangue, lacrime amare, e sangue versato come fosse acqua, e che le delusioni, quelle vere, non sono quelle che ti svuotano: sono quelle che ti spezzano. E una volta spezzati, be’, non si torna più indietro.








Note di fine capitolo:
SCUSATEMI!
Vi prego, vi supplico, sono in ginocchio qui davanti a voi a scongiurarvi, scusatemi se Adam fa così terribilmente schifo e Tommy è un povero caro che le passa tutte lui, e se avete pianto come delle coglione/dei coglioni.. eccetera.
Mi dispiace. çç
Il capitolo vi piace tanto lo stesso, non è così? *-* ♥
Baci!!
P.S.: La canzone del capitolo è I Don't Believe You di P!nk, azzeccatissima a mio parere! :P
P.P.S.: Vi toccherà aspettare almeno un'altra settimana per il quinto e due per il sesto in quanto uno ancora non è finito e l'altro non è neppure iniziato .__.


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Capitolo 5
*** bridge: I'm not asleep, but I'm not awake, after the way you loved me. ***



BRIDGE:        
 I'm not asleep, but I'm not awake,
after the way you loved me.  

I'm not dead just yet.  
I'm not dead, I'm just floating
doesn't matter where I'm going,  
I'll find you.
I'm not scared at all,    
underneath the cuts and bruises,  
I finally gained what no one loses:
I'll find you,  
I will find you.

~


Tommy aveva ricominciato ad uscire.

Si divertiva, anche.

Be’, okay, forse no, ma fingeva tanto bene che a volte, per qualche istante, si illudeva che fosse vero.

Isaac, poi, era davvero fantastico. Gli stava vicino proprio come piaceva a lui: senza fare troppe domande, ascoltandolo, assecondandolo, perdonandogli tutto e offrendogli da bere, soprattutto! In più, lo teneva aggiornato su Adam, che invece – a quanto pareva – non aveva poi tutta quella voglia di divertirsi.

Tommy non riusciva a non dispiacersene. L’ultima cosa che voleva era che Adam lo vedesse mentre fingeva di essere allegro – non era affatto un bravo attore – perciò gli conveniva che quello se ne stesse a casa fare il depresso, ma gli dispiaceva davvero che soffrisse.
Era consapevole che pensarlo e dispiacersi per lui non gli faceva bene, specialmente quando aveva promesso a sé stesso che non avrebbe più ceduto alla tentazione di perdonarlo, che sarebbe andato avanti. Ma preoccuparsi per lui non significava perdonarlo, no?

Tommy sapeva che la relazione da cui era appena uscito – gli costava fatica anche pensarlo, ma sì, ne era uscito – non era sana e lo faceva solo soffrire. Perciò, lasciarsela alle spalle era la cosa giusta. E per quanto la cosa giusta, in quel caso, fosse ciò che meno desiderasse fare, purtroppo era stato Adam a scegliere, e Tommy non gli avrebbe più permesso di tornare, era stato chiaro: fuori da quella porta, fuori dalla sua vita. Per sempre.
Fine della storia.

Iniziò a pensare a come sarebbe stata la sua esistenza senza Adam, e nello stesso istante in cui quel pensiero gli sfiorò la mente, lo stomaco iniziò a fargli male. Fece una smorfia. Non aveva ancora deciso cosa avrebbe fatto per vivere, da quel momento in poi. Toccare un qualsiasi strumento musicale gli faceva pensare a lui. Anche ascoltare musica – qualsiasi musica – gli faceva pensare a lui. Guardare la TV, leggere il giornale, sfogliare riviste di gossip, andare dal parrucchiere, persino stendersi a letto, qualunque cosa facesse gli faceva pensare ad Adam.

Isaac l’aveva anche ospitato un paio di giorni, per fargli ‘cambiare aria’, ma non era cambiato proprio un bel nulla. Non importava quanto scappasse, il suo pensiero lo seguiva come un’ombra.
Sperava solo di riuscire a dimenticarlo e di poter ricominciare a vivere. Se la vita senza Adam poteva essere considerata tale.

Fu proprio quando tutti quei ragionamenti minacciavano di sommergerlo, e lui minacciava di auto-flagellarsi per i suoi stessi pensieri, che Isaac – che sia beatificato, sant’uomo – lo riscosse dai suoi pensieri: “Credo ti stia puntando” disse, indicando un ragazzo dall’altra parte della sala.

Puntando? Cos’è, un cane da caccia?” Tommy rise, ma rivolse comunque lo sguardo verso il ragazzo che Isaac gli aveva appena indicato. Capelli neri, alto, pelle chiara, pantaloni aderenti scuri, stivali, camicia. Gli mancava solo una cosa. Incontrò il suo sguardo: occhi marroni. Scosse la testa.

Ma possibile che non te ne piaccia nessuno, né nessuna? Hai la fila dietro!” Nonostante ciò che diceva, Isaac non sembrava annoiato dal suo comportamento. Forse ne era un po’ preoccupato.
Non è vero, idiota!” rise ancora Tommy, ma stavolta la sua risata gli sembrò un po’ isterica, e butto giù un sorso di birra, sperando di sembrare credibile.
Ma poi, che gliene fregava di chi gli veniva dietro? Sapeva cosa cercava, e non ne andava affatto fiero.

Hey, scusa, posso offrirti il prossimo giro?”
Tommy si voltò di scatto, sorpreso: non si aspettava che qualcuno fosse interessato a lui a tal punto da avvicinarglisi. In realtà, ad essere sincero, non pensava sul serio di poter piacere a qualcuno: al massimo poteva attrarre qualche povero disperato vagamente guardabile, o qualche volta anche carino, che fosse alla ricerca di qualche scopata, e per il quale, quindi, un ragazzo valesse l’altro; non si aspettava che qualcuno fosse seriamente interessato a
lui in particolare. Squadrò bene il tipo, ma gli bastò vedere i suoi occhi azzurri incorniciati dai ciuffi neri a farlo annuire lentamente, con un sorrisino.

Sapeva quello che cercava, ma era stato quello che cercava a trovare lui.


Sembrò passato un secolo dall’ultima volta che qualcuno l’aveva toccato in quel modo.
Sembrò il paradiso, chiudere gli occhi e lasciarsi prendere da quel ragazzo di cui neppure ricordava il nome, semplicemente perché voleva farlo.
E fu fantastico, facile, e leggero, un sollievo per il corpo e la mente, liberatorio, quasi
terapeutico.

Il calore fu la cosa che gli restò per più tempo addosso.
Con tutto quello che era successo, il freddo lo sentiva nelle ossa e nel cuore, quasi fossero improvvisamente divenuti di marmo, ed il sesso gli restituì un po’ del tepore e della serenità che aveva perso; abbastanza da consentirgli di dormire tranquillo, per una volta. E non si lasciò sfuggire l’occasione, scivolando in un sonno profondo appena la freddezza del
post-sesso tra due estranei minacciò di guastargli la ritrovata tranquillità.
Con l’imbarazzo avrebbe fatto i conti l’indomani mattina.


Fu una delle dormite più riposanti da quando lui ed Adam avevano avuto quel dannato litigio, tanto che quando si svegliò gli ci volle più del solito per ricordarsi in che merda di situazione si trovasse.
Quando gli tornò in mente che non era tornato a casa il giorno prima, spalancò gli occhi di scatto, sperando senza troppa convinzione che fosse ancora mattino presto e che l’altro stesse dormendo, così da poter sgattaiolare via in silenzio. Ma la prima cosa che vide furono gli occhi blu del ragazzo fissarlo intensamente, con curiosità.

Tommy, gli occhi spalancati, gli restituì un’occhiata stranita, e si sentì terribilmente nudo. La sua prima reazione fu quella di disagio: si tirò il lenzuolo più su, fino alle spalle, senza dire una parola, totalmente nel panico. Probabilmente era anche arrossito. Certo era che il sonno scomparve in pochi istanti.

Buongiorno!”
Il ragazzo – a quanto ricordava doveva chiamarsi Sebastian – lo salutò sorridente, come se nulla fosse. Era una persona solare ed estroversa, l’esatto opposto di Tommy, questo lo aveva appurato già la sera prima, e sembrava anche un tipo molto semplice, uno di quelli con cui è davvero piacevole avere a che fare.

“Uhm.. Sì.. Buongiorno..” Tommy esitò, guardandosi intorno spaesato. Il giorno prima non aveva notato quanto fosse carina la camera (non che ne avesse avuto la possibilità, era decisamente troppo impegnato a fare altro!). L’arredamento era davvero molto curato, e la stanza era ordinata al limite del maniacale. Il letto, i comodini, l’armadio e la scrivania erano di legno chiaro, semplice, con le rifiniture ed i dettagli bianchi e in alluminio. Una delle ante dell’armadio era costituita da un’enorme specchio, che contribuiva a rendere la stanza più luminosa. La luce, tutta naturale, proveniva dalla porta a vetri che dava sul balcone, ed era filtrata da tende bianche. Il tutto dava una sensazione di serenità e pace tali che Tommy era certo che fosse impossibile piangere in un letto del genere. Si rilassò un po’.

Vuoi fare colazione? O se vuoi puoi usare il bagno prima!”
Tommy si voltò di nuovo a guardare il ragazzo e si mise seduto, sentendosi un po’ più a suo agio. Si domandò se quel tipo lo stesse prendendo in giro o trattasse davvero così gli estranei, e per quale assurdo motivo fosse gentile al limite del digusto. Era davvero un tipo
strano.

I-io... non saprei. Posso... posso usare il bagno? E, ehm...” disse, facendo cenno verso il lenzuolo che lo copriva fino in vita. “Arrivarci con un minimo di privacy?”
Il ragazzo rise, di una risata cristallina, che dava la stessa sensazione di purezza che suggeriva la sua camera da letto. Poi si alzò, aprì un cassetto e porse a Tommy un paio di boxer; ne aprì un altro e da lì tirò fuori una maglia e diede anche quella a Tommy.

Certo che puoi, bellezza! Avvisami quando hai finito, il bagno è di là.” esclamò sorridendo, indicandogli la porta che stava accanto al grande armadio, prima di uscire dalla stanza e lasciarlo solo.

Era strano, davvero, ma nell’accezione più positiva del termine. Sprizzava una vivace solarità tutt’intorno a sé e chiunque vi entrava in contatto non poteva che esserne contagiato. Lo stesso Tommy si sentiva molto meglio di quanto avesse immaginato. La migliore dormita di quel periodo, seguita dal migliore (e dal più strano) risveglio da secoli a quella parte. Wow, davvero sorprendente!


Quando ebbe finito di lavarsi, infilò le mutande e la maglia che il ragazzo gli aveva prestato e i pantaloni che indossava la sera prima – trovati piegati su una sedia. Degli altri vestiti, invece, nessuna traccia.

Uscì dalla stanza, e si diresse esitante verso quella che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la cucina. Ci prese quasi, la cucina era giusto una porta più in là, e quando entrò si chiese sul serio se non stesse facendo uno strano sogno, o fosse sotto l’effetto di stupefacenti: la tavola era imbandita.

Nulla di particolarmente eccessivo, oh no, una semplice tavola apparecchiata per fare colazione, con latte, succo di frutta, biscotti , ciambelle e un paio di muffin. Niente di salato o che sembrava essere stato cucinato per l’occasione, quello sì. Ma la cosa sorprese comunque Tommy: da quanto tempo era che qualcuno, per colazione, non apparecchiava la tavola per lui?

Si sedette osservando con aria stranita il ragazzo di fronte a lui, come se avesse paura di scoprire che era un pazzo furioso che voleva tenerlo prigioniero per usarlo come bambola a grandezza naturale, o qualcosa del genere. Troppi film horror.

Prendi quello che vuoi, non sapevo cosa ti piacesse, così ho messo a tavola quello che avevo! Spero che vada bene...”
Tommy scosse la testa, tutta quella gentilezza era quasi eccessiva, in un certo senso lo insospettiva, anche. Ma trovò molto più giusto ringraziare, piuttosto che chiedere spiegazioni e accusarlo di essere un serial killer.

Grazie, davvero. Non dovevi...”
Sebastian sorrise e fece spallucce, dando l’ultimo morso alla propria ciambella.

Oh, tranquillo, io faccio sempre colazione così!”


Per favore, mi apri?”
Tommy, si strinse le ginocchia al petto, rannicchiandosi per terra, la schiena poggiata contro la porta d’ingresso. Strofinò il viso contro la manica, bagnandola tutta.
Era il sesto giorno di fila che accadeva, come diamine doveva fare a farlo smettere?

Ti ho detto di no.”
Voce ferma, neanche un tremolio. Bisognava che sembrasse forte.

E dai! Sono due ore che aspetto!”
Se ne avesse avuto la forza, Tommy avrebbe riso, o l’avrebbe mandato a fanculo per l’ennesima volta. Tirò su col naso, invece.

Cosa vuoi che m’importi? Te l’avevo detto. Fuori da quella porta, fuori dalla mia vita. La scelta era tua, tu hai voluto questo!”
Sentì Adam sospirare, poi bussare di nuovo alla porta. Gli venne da piangere: cosa voleva? Quanto ancora voleva fargli male? Perché era tornato?

Ti prego, Tommy. Ho sbagliato...”

E per fortuna che lo sai, Adam. Ma ormai è fatta, e non si torna indietro. Vattene.” Lo disse con tutta la freddezza di cui era capace, poi nascose la testa tra le mani, e immaginò di sparire.

Ti supplico, aprimi! Voglio solo parlare!”

Tenne gli occhi testardamente chiusi e immaginò di essere scivolato via da sé stesso, di essere libero per davvero, da tutto, pensieri, sentimenti, sensazioni, sogni, desideri. Libero. Si figurò di nuovo in quella stanza dalle pareti bianche e il letto di legno chiaro, che in un nonnulla era divenuta il luogo in cui si rifugiava quando voleva smettere di pensare; per scacciare i pensieri doveva concentrarsi su qualcosa, e non c’era nulla di meglio di un morbido piumone chiaro, cuscini di piume d’oca, un perfetto ordine e le tende bianche che si muovevano piano, sospinte dal vento che entrava dalla porta-finestra...

Il rumore di Adam che insisteva a bussare e la sua voce che lo implorava sembravano più distanti, intangibili. Non gli avrebbero fatto del male, erano solo parole.
Solo parole.


Digli che non deve permettersi di tornare mai più! Diglielo, Isaac!”

Il suo migliore amico sbuffò, dall’altro capo del telefono.
Non ti senti un po’ stupido a rifiutarti di parlare con lui? Insomma è venuto lì, è ritornato, è una settimana che viene tutti i giorni e aspetta di entrare, di parlarti, e tu non glielo permetti. Ci sta male, Tommy, ci state male entrambi! E lui si è davvero pentito, vuole chiederti scusa. Basta comportarsi da bambini...”
Il biondo scosse la testa, si passò la mano libera sul viso, massaggiandosi la fronte.

Non me ne faccio un cazzo delle sue scuse, Isaac! Non me ne fotte che è pentito! È sempre così, è sempre la stessa storia! Le seconde possibilità non hanno senso, la gente non cambia mai. Mai!”
Tutto quello che aveva detto era dannatamente vero, eppure Tommy non lo pensava. Anzi, sembrava doversene convincere, perché quando era solo, nel letto, la sera, pensava ad Adam, e gli aveva già perdonato tutto quanto, gli aveva dato una seconda possibilità ed era pronto a dargliene milioni ancora, e gli pareva
stupida la convinzione che la loro relazione andasse di merda. Avrebbero potuto sistemarlo. Avrebbero potuto sistemare tutto, perché era destino che stessero insieme.

Ma al mattino c’era l’orgoglio a fare a pugni con quei pensieri, e puntualmente vinceva quella battaglia interiore. Ed ogni risveglio significava ripercorrere tutto quello che era successo, secondo per secondo, e voleva dire un misto di rabbia e panico che gli metteva sottosopra lo stomaco, e la fame che passava prima ancora di venirgli.
“Va bene, okay, hai ragione, Tommy! Allora perché non glielo dici tu che deve smetterla di venire? Sono stanco di fare da segreteria telefonica!” Isaac sembrava irritato, e Tommy si sentì anche un po’ in colpa, ma solo per un istante. Poi la rabbia prevalse, quasi ringhiò, e poco ci mancò che lanciasse per aria il telefono. Lo trattenne dal farlo solo la consapevolezza che poi ne avrebbe dovuto comprare un altro.

Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di riacquistare la calma. Non ebbe molto successo: tremava dal nervoso, si sentiva impotente, confuso e stravolto da tutte quelle emozioni che lo martellavano e non gli lasciavano tregua. Ancora una volta desiderava soltanto scappare da se stesso.

Perché non glielo dico io?! Perché l’ho già fatto! Gli ho detto che se andava via sarebbe stato per sempre, e lui se n’è andato. Perché ho perso il conto delle volte che mi ha ferito e mi ha fatto stare male, perché sono stanco di essere trattato da lui come carta straccia! Perché dopo tutto quello che mi ha fatto lo amo ancora, Isaac, e questo non è normale: questo è da malati!”

Piangeva, sembrava che avesse due rubinetti al posto degli occhi, non la smetteva più; e non era solo un pianto di dolore, non era liberatorio, era esasperato, rabbioso, nervoso, quasi isterico. In piedi al centro della cucina, cercava di scacciare i ricordi, ma gli bastava abbassare le palpebre per un’istante e quelli tornavano a perseguitarlo. Troppo poco tempo era passato, quasi due anni – i più belli della sua vita – non si dimenticano in due settimane, anzi, probabilmente non si dimenticano mai, ma lui voleva solo che tutto finisse. Voleva indietro la sua dignità, quella che un tempo gli impediva di piangere al telefono come una ragazzina, quella che gli avrebbe permesso di lasciare Adam molto tempo prima, e di soffrire molto meno, e quella che gli avrebbe permesso, in quel momento, di andare avanti.

Ma c’era quella schifezza che la gente chiamava amore, che tutti pensavano fosse un Paradiso, e che invece assomigliava ad un girone dell’Inferno. Eppure quel sentimento superava qualunque cosa, cancellava il rancore, la rabbia, il dolore, l’angoscia, tutto ciò che di negativo uno provasse, come gesso da una lavagna. E – in fondo – era bello perdonare, certo: fino a quando non si presentava ancora lo stesso problema. Fino a quando non si soffriva di nuovo.


Guardò dallo spioncino prima di uscire di casa. Erano le sette, possibile che Adam fosse ancora lì? Sembrava quasi che sapesse che doveva uscire. Se ne stava lì a combinare qualcosa con il cellulare, forse era su twitter. Era meglio che non facesse cazzate con le fans, perché Tommy non se la sentiva di affrontare anche i loro giudizi, né nei propri confronti né in quelli di Adam. Be’, fortunatamente se quel cretino twittava stronzate l’avrebbe saputo: ancora non si era deciso a disattivare la notifica sms per il suo account.

Guardò l’orologio. Doveva affrontarlo, o avrebbe fatto decisamente troppo tardi all’appuntamento.
Si strinse nella felpa, prese portafoglio e chiavi, inforcò gli occhiali da sole – una semplice precauzione in caso avesse pianto – infilò le mani in tasca ed uscì di casa.
Si chiuse la porta dietro facendo finta di nulla, ma appena Adam lo vide si alzò di scatto e gli si avvicinò.

Vuoi un passaggio?” azzardò il moro.
Tommy fece finta di non aver sentito, il cuore gli batteva all’impazzata, e cercò solo di ignorarlo. Si voltò. Dritto per la propria strada, l’auto non era molto lontana.

Almeno potresti rivolgermi la parola...”

Tommy scese alcuni scalini e aprì il portone del palazzo. No, non poteva rivolgergli la parola o avrebbe ceduto. L’imbarazzo e il dolore nelle parole di Adam erano palpabili, e Tommy non sarebbe riuscito ad essere freddo, o buttava fuori tutto il dolore sotto forma di rabbia – sperando invano di stare meglio – oppure avrebbe finito per supplicarlo di tornare da lui e si era ripromesso di non farlo. Dio, come avrebbe voluto abbracciarlo!
Adam lo seguì fuori, esitante, e solo quando Tommy fu praticamente all’auto si decise a parlare.

Okay, ho capito... Volevo solo dirti che mi dispiace. Davvero, mi dispiace di tutto, per come ti ho-”

“ADAM, STAI-ZITTO!” Tommy urlò, fu più forte di lui, non riuscì a trattenersi, urlò con tutta la forza che aveva mentre le mani gli tremavano talmente che neppure riusciva ad aprire l’auto. Urlò per coprire quelle parole, urlò illudendosi che così gli avrebbe fatto meno male, urlò sperando di non soffrire più. Voleva solo infilarsi in macchina e scappare da quella valanga di sentimenti ed emozioni contrastanti, ma non ci riusciva, perché tremava tutto e non riusciva a calmarsi o a respirare normalmente.
Non voglio parlarti, non voglio ascoltarti, non voglio vederti, non voglio sapere nulla di te, nulla! Lasciami stare! Sparisci dalla mia vita! Cosa credi, che io sia un giocattolo che puoi lasciarmi e riprendermi quando ti pare?!”

Tommy trovò il coraggio di guardarlo attraverso gli occhiali, dopo che, tra le lacrime a i singhiozzi, gli aveva urlato l’esatto opposto di quello che pensava. Cazzate, cazzate, cazzate. Voleva che in quel momento Adam lo sbattesse contro l’auto e lo baciasse e gli dicesse che non poteva stare lontano da lui. Pregò che lo facesse, lo pregò con tutto se stesso.

Ma Adam fece un sospiro, si mordicchiò le labbra, con gli occhi lucidi e sembrava stesse facendo l’impossibile per non scoppiare a piangere anche lui.
“No, io non l’ho mai pensato, Tommy.. So che sei arrabbiato, ma se solo tu mi lasciassi spiega-”

VAI-A-FARE-IN-CULO! Vattene! ADESSO!”
No, non gli avrebbe lasciato spiegare un cazzo, il tempo per spiegarsi e per scusarsi era finito, l’occasione era andata ormai. Ora doveva lasciarlo in pace.
Aprì finalmente lo sportello ed entrò in auto in fretta, richiudendolo subito dopo. Voltò lo sguardo verso Adam, ma non riuscì a reggere i suoi occhi puntati direttamente nei propri per più di qualche secondo. Mise in moto e partì, senza neanche badare a dove andava.
Si fermò appena fu abbastanza lontano da casa, e finalmente scoppiò a piangere liberamente.

Urlò a pieni polmoni, e prese a pugni il volante, il cruscotto, il finestrino, facendosi male, ma senza che quel dolore lo fermasse o lo scalfisse minimamente. Pianse disperatamente, fino a che non ebbe più lacrime da versare, né rabbia a tormentarlo. Quando finalmente la respirazione tornò normale e la gola iniziò a bruciargli e a fargli male, esattamente come le nocche, tutto ciò che voleva era tornare a casa e stare solo con sé stesso.
Invece dovette correre a quello schifoso appuntamento del cazzo.


È successo qualcosa, Tommy?”

Tommy guardò Sebastian con una smorfia, poi riabbassò lo sguardo e tornò a contemplare le patatine fritte, senza alcuna intenzione di mangiarle: si era sforzato anche troppo con quel panino. Perché aveva accettato di uscire con quel tipo? Perché non gli aveva dato buca? Che gliene fregava di lui?
Sicuramente c’era un altro ragazzo anche solo vagamente somigliante ad Adam da rimorchiare e portare a letto, da qualche parte, in qualche locale. Qualcuno con cui non fosse già stato. Non avrebbe dovuto essere lì, dato che non aveva intenzione di avere relazioni di alcun tipo. Accettando di uscire con lui lo aveva solo
illuso.

Va bene, se non vuoi parlarne non posso obbligarti.”
Ora si sentiva anche in colpa. Perfetto. Lui neanche lo conosceva quel tipo, che gliene fregava di ferirlo?

Eppure, quel ragazzo era stato fantastico con lui. Gentile, disponibile e sorridente, anche quando Tommy aveva occupato il suo letto senza averne diritto né chiedere il permesso, anche quando era arrivato con un’ora di ritardo, gli occhi arrossati, le nocche sbucciate e la voce roca.. Lo era stato dal primo momento, e ancora lo era. Magari si meritava di sapere qualcosa.

Scusa...” sospirò. Dopotutto quel Sebastian non meritava di essere trattato in quel modo.
E poi non conosceva Adam, magari avrebbe potuto avere da lui un consiglio neutrale.

Così, un minuto dopo, stava raccontando tutto quello che gli era successo – fin dall’inizio – ad un totale sconosciuto.


Alla fine del racconto, Sebastian sembrava sconvolto.

Tommy non aveva detto il nome di Adam, né aveva accennato a caratteristiche fisiche o a segni particolari o, men che meno, al suo mestiere: nessuno avrebbe dovuto sapere nulla, e già sentiva di stare facendo un madornale errore a raccontare tutto a quel tipo, che per quanto ne sapeva, poteva anche essere malintenzionato.
Ma, be’, voleva fidarsi e lo fece, seppure con prudenza.

Il ragazzo, comunque, aveva ascoltato il racconto a bocca aperta, interrompendolo solo con qualche incredulo ‘sul serio?’, ‘ha fatto cosa?!’ e ‘stai scherzando?!’. Tommy era rimasto incuriosito da tutto quello stupore. Sì, era successo che Adam si comportasse da stronzo, in modo assurdo, che lo facesse sentire usato, che addirittura finissero alle mani più di una volta, ma in fondo non gli sembrava tanto sorprendente. E poi, la loro relazione aveva tanti di quei lati positivi che tutto quello finiva in secondo piano. Ad esempio il loro feeling incredibile, musicale e non, e i loro interessi in comune, e quanto si divertivano quando erano insieme, il modo in cui Adam sorrideva a lui, per lui e solo quando era assieme a lui, le sue carezze, e le sue mani dolci, grandi, e calde, ed il suo odore di casa – non avrebbe saputo come altro definirlo, dalla prima volta che l’aveva sentito gli aveva dato la sensazione di essere a casa...

È meglio che sia finita tra voi.”
La voce decisa di Sebastian e il suo sguardo insistente sembravano provenire da chilometri di distanza. Tommy scosse la testa e si sforzò di tornare alla realtà; quella frase gli mise una tristezza tremenda: non la pensava così, proprio per nulla. Adam era stata la migliore cosa che gli fosse mai capitata, e più passava il tempo, più lo rivoleva indietro.

Già, hai ragione, molto meglio così...”


Guardò attraverso lo spioncino: Adam era lì fuori.

Era lì da quando Tommy si era svegliato, quel venerdì mattina, e non se n’era ancora andato. Sembrava non essersi mai mosso, come se fosse rimasto seduto lì su quelle scale per tutto il dannato giorno. Dio, perché non se ne stava a casa?

Tommy era combattuto: non sapeva se voleva o meno che Adam vedesse Sebastian che lo veniva a prendere. Farlo ingelosire sarebbe servito a mandarlo via. Ma voleva davvero mandarlo via? Quella che non ne voleva sapere nulla di lui non era solo una bugia che raccontava a se stesso e agli altri per fingere di stare bene?

Aprì la porta e si trovò a pochi metri da Adam, senza nessun tipo di barriera a separarli e con l’intenzione di parlargli davvero per la prima volta dopo quasi un mese. Il moro alzò lo sguardo versò di lui e la sua espressione si distese percettibilmente.
Fece per dire qualcosa, ma Tommy lo interruppe.

Ti prego, vai via.” sussurrò, in tono supplicante. “Ti prego, Adam, ti prego.”

Ma l’altro scosse la testa. “Non finché non mi permetti di chiederti scusa per bene. Fammi entrare. Ti prometto che cambie-”

Tommy scosse la testa, zittendolo con ‘no!’, prima ancora che finisse la frase. No, non voleva quella promessa, si rifiutava! Erano cazzate!
E poi, a dirla tutta, non voleva che Adam cambiasse. Era perfetto così com’era.

Non voglio sentirlo! Non voglio che tu cambi, Adam.” Sospirò ancora, chiudendo gli occhi, e fece trascorrere una decina di secondi prima di riaprirli e ricominciare a parlare, con un tono più calmo. “Ne parleremo, contaci, fidati di me, ti darò la possibilità di dirmi tutto, ma ti prego, vai via adesso. Non è il momento adatto...”

Proprio mentre lo diceva, vide Sebastian fuori dal portone. Troppo tardi. Roteò gli occhi, poi li chiuse, aprì al ragazzo premendo sull’interruttore qualche passo più in là, poi si appoggiò al muro accanto l’uscio di casa.

Il ragazzo portava una busta con i vestiti che Tommy non aveva più trovato quella mattina a casa sua: li aveva lavati e stirati e gli aveva promesso di portarglieli quella sera, prima del cinema.
Sì, il cinema, un altro dannato appuntamento a cui non aveva saputo dire di no.

Il nuovo arrivato aveva osservato gli sguardi che Adam e Tommy si scambiavano solo per un’istante, attraverso il vetro del portone e fu chiaro che aveva capito. Si avvicinò al biondo, senza guardare il cantante un secondo di più, e gli scoccò un bacio sulle labbra.

Tommy non se lo aspettava, e ci mise alcuni secondi per realizzare la situazione e tentare di allontanarlo, ma per allora si stava già allontanando da solo. Gli lanciò mentalmente diversi insulti, guardandolo malissimo.

Ecco i vestiti che ti dovevo portare, amore.” sorrise Sebastian, in modo evidentemente forzato, porgendogli la busta, che Tommy afferrò bruscamente. Poi il ragazzo si voltò verso Adam, come se l’avesse appena notato. “Ehm, scusami Tommy, stavi per caso... parlando con lo sfigato, qui?” domandò con un sorriso malizioso. “E tu, non hai una casa dove stare, che te ne stai seduto nella rampa delle scale di un condominio? Che fai, chiedi l’elemosina?” aggiunse, rivolgendosi direttamente ad Adam.

La rabbia che Tommy provò in quegli istanti fu a stento paragonabile al dolore che provò nel vedere la delusione ed la vergogna negli occhi di Adam, mentre andava via.
Mentre lo perdeva.
Di nuovo.










Note di fine capitolo:
Okay, lo comprendo è davvero un modo di merda di lasciarvi. Mi odierete sicuramente di più di quanto state odiando Sebastian adesso, per avervi lasciate/i così.
Ma gioite, donzelle e fanciulli (?): siamo quasi alla fine!
Non manca molto all'agognato "happy(?) end" di questa storia. In realtà qualcuna di voi più di altre sa che le mie intezioni per il finale non sono sempre state molto chiare e sinceramente non ho ancora deciso quale delle due 'strade' prenderò... *fa calare un alone di misssssshtero*
In ogni caso, tenetemi di buon umore con tante recensioni come fate sempre e andrà tutto bene!  :P
(E non odiate tanto Sebastian, si è ingelosito, povero caro T___T)
A presto! (si spera!)

P.S.: Una caramella a chi indovina la canzone del capitolo! :P

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Capitolo 6
*** coda: I might have not been clear to say I never looked away, I never looked away... ***







CODA:       
I might have not been clear to say
I never looked away, I never looked away...

I'm not dead, just floating.  
I'm not scared, just changing.
You're my crack of sunlight, yeah.    


~

Esci immediatamente da casa mia, stronzo.”

Adam era andato via neanche dieci minuti prima, e nell’istante in cui Tommy aveva superato il momento di stordimento e aveva pienamente realizzato cosa fosse successo, aveva spinto immediatamente Sebastian dentro casa, aveva chiuso la porta e gli aveva scaricato addosso tutti gli insulti che conosceva, e ne conosceva tanti.
Solo dopo gli aveva chiesto spiegazioni. E lui, con l’aria mortificata, aveva risposto che guardandoli aveva capito la situazione e che pensava di fargli un
favore, il che aveva causato una nuova scarica di insulti.

Senza considerare che mi ci hai fatto entrare tu, in casa tua, ma prima di cacciarmi mi spieghi che ho fatto di male?” Sebastian scosse la testa, gesticolando mentre parlava. Era come al solito più calmo di quanto ci si aspettasse da lui – insomma, Tommy era furioso, lui invece sembrava solo vagamente irritato. Era tanto freddo da far venire i brividi. Tommy si chiese come aveva fatto a non farci caso prima.

Io ho semplicemente fatto quello che tu non hai avuto il coraggio di fare fino ad ora: mandarlo via. Non è difficile, hai visto? È bastato dargli dello sfigato ed è scappato quasi in lacrime!” Continuò Sebastian in risposta al suo silenzio. “È solo un patetico perdente. Cosa avrebbe fatto se l’avessi chiamato perdente? Si sarebbe messo a piangere e sarebbe corso a dirlo a mammina?”

Tommy non era stato mai così furioso in vita sua.
Non seppe in che modo si trattenne dal prenderlo a schiaffi, a calci, a pugni, dal pestarlo e dal lasciarlo lì per terra mezzo morto. Continuò a ripetersi stupidaggini come il fatto che la violenza non era roba per lui e che se fossero finiti alle mani ne sarebbe uscito a pezzi. In realtà gli avrebbe volentieri rotto i denti a furia di pugni in faccia: poi sarebbe stato lui a ridere. E di gusto, anche.
Non poté trattenersi, fu un’istante, gli si avventò addosso e lo spinse contro il muro, tenendolo per la collottola, con una forza che neanche si aspettava di avere.

Ma sei scem-” Sebastian strillò, ma si interruppe subito quando Tommy lo spinse ancora più forte contro la parete. Finalmente il moro sembrava provare emozioni simili a quelle di un essere umano.

Tommy non gli lasciò la possibilità di dire altro. Adesso toccava a lui.
Primo, schifoso figlio di puttana,
sfigato e patetico perdente ci sarai tu. Non permetterti mai più di insultare il mio uomo in mia presenza, perché tu non vali neanche quanto la carta con cui lui si asciuga il culo. Ci siamo intesi, razza di sottospecie di armadillo sottosviluppato?” fece una breve pausa, e tremava tanto intensi erano l’odio e la rabbia che gli pulsavano nelle vene in quell’istante. Il ragazzo lo guardò senza battere ciglio.

Secondo, brutto essere con le capacità cognitive di una lumaca morta, tu non sei proprio nessuno per intrometterti nella mia fottuta vita, o per fingere di essere il mio ragazzo, né men che meno per arrogarti il diritto di cercare di risolvere i miei fottuti problemi! Nessuno ha chiesto il tuo intervento, decido io cosa fare della mia vita, e anche come farlo e quando. Tu non sei nessuno per me, sei stato a stento una scopata e neanche nulla di tanto straordinario. Per fartela breve: non me ne frega un cazzo di te.”

Stavolta riuscì ad intravedere un’espressione davvero ferita passare sul viso di Sebastian; lui la nascose efficacemente pochi istanti dopo, ma Tommy fu certo di averla vista, qualcosa era cambiato nei suoi occhi, da qualche parte, forse nelle pupille più dilatate, o nel suo sguardo più assente, e qualcosa era cambiato anche in tutto il resto del suo corpo, nei muscoli più tesi e nei tentativi più decisi di liberarsi dalla sua stretta, nel respiro accelerato e nel colorito, improvvisamente più pallido.

Tommy lo lasciò andare, fece qualche passo indietro e, mentre lo guardava barcollare e scoccargli sguardi d’odio, dovette ammettere che si sentì in colpa. Ma non rimpiangeva nulla.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro, Sebastian. Ora fuori dalla mia vita, all’istante.” disse, il tono calmo e distaccato, mentre si voltava verso la porta e faceva per aprirla.

Oh, sì che lo sei stato. Sufficientemente chiaro e stronzo.”
Pausa ad effetto. Tommy si voltò a guardarlo. Cosa cercava, delle scuse? 

“Pensavo di piacerti, sai? Che illuso. Credevo che volessi dimenticarlo, che ti avesse ferito. Me l’hai detto tu che era così, mi hai detto tu che non ti meritava!” Se nella sua voce si potevano cogliere sfumature isteriche e si poteva intuire la presenza di qualcosa di irrimediabilmente infranto lì, da qualche parte dentro di lui, i suoi occhi erano tutta un’altra cosa. Sebastian ne aveva un controllo straordinario. Lo guardava con l’aria di uno che sapeva di avere ragione, ne era certo, e non se ne starebbe mai stato in silenzio, lo avrebbe zittito. Tommy ne fu quasi spaventato.

Non capisco perché ci tieni così a lui. Ti ha trattato male, ti ha mollato senza riguardi, ti ha fatto stare da schifo e tu lo difendi così, a spada tratta?! Non gliene frega un cazzo di te, Tommy! È tornato perché sei l’unico idiota che lo sopporta e tu lo sai bene o, se non lo sai, forse sei anche più illuso di quanto io lo sia mai stato in tutta la mia vita.” Tommy dovette ammetterlo, quelle frasi rischiavano di trasformare in dubbi anche i suoi punti saldi. Sapeva dove andare a colpire, il ragazzo. In quel momento desiderava solo che se ne andasse e la smettesse di confonderlo. 

“Sai, continua a comportarti così, Tommy. Perderai tutti quelli che, come me, ci tenevano. Ma dato che lui è così magnifico da meritare tutto ciò, be’, tienitelo, quello sfigatello grassoccio da quattro soldi. Io posso trovare di certo qualcuno che sia meglio di te.”
Non diede neppure a Tommy il tempo di rispondergli ed uscì dalla porta, chiudendosela dietro con un tonfo e lasciandolo lì, tremante di rabbia, ad affogare nelle proprie insicurezze e nei propri sensi di colpa.


Scusami.”

Silenzio dall’altro capo del telefono. Il ragazzo non pareva voler rispondere. Non se lo aspettava o non voleva scusarlo?

Tommy... perdona la domanda, ma... perché ti stai scusando?” Isaac pareva seriamente perplesso.

A Tommy, sinceramente, venne da ridere. Tutto si aspettava, tranne che una risposta del genere! Scosse la testa.
“Perché ti ho annoiato con tutti i miei problemi in queste settimane, sono stato appiccicoso ed insopportabile e mi sono comportato da egoista. Mi dispiace...”
Dall’altro capo del telefono, il batterista rise di gusto, sembrava non volesse più smettere. Tommy arrossì, si sentiva un po’ ridicolo, vero, però aveva sentito il dovere di farlo finché era ancora lucido. Non sapeva cosa aspettarsi da Adam, da quel momento in poi...

Ma sei scemo?! Gli amici servono a questo, Tommy Joe! Ora, qual’è il problema? Spiegami cos’è successo!”

Il bassista avrebbe tanto voluto abbracciarlo e non lasciarlo più andare. Amava infinitamente Isaac, amava il modo in cui si preoccupava per lui, il modo in cui lo aiutava e gli stava sempre accanto, la sua dolcezza e la sua sua disponibilità persino eccessiva. Se Tommy l’avesse chiamato alle tre di notte, lui non avrebbe esitato un attimo a rispondere, pronto a consolarlo e ad aiutarlo, sempre.
Ti voglio bene, Isaac. Davvero.”

E lo sentiva davvero, con ogni fibra del suo corpo, gli voleva bene come non ne voleva a nessun altro. Fece una breve pausa, sorridendo, rasserenato da tutto quell’affetto.
Poi, cominciò a raccontare.


Quando parcheggiò l’auto al solito posto, quando percorse il vialetto, quando si trovò davanti a quella porta, pensò a tutte quelle volte che si era ripetuto che non ci sarebbe tornato mai più: che non si sarebbe mai più fermato in quella strada, che non avrebbe mai più posteggiato l’auto nelle vicinanze, che mai più avrebbe percorso quel vialetto e che mai, per nulla al mondo, avrebbe suonato ancora quel campanello.
Eppure lo fece, fece ogni singola cosa che aveva giurato di non fare mai più, e non un briciolo di esitazione lo percorse.

Che stupido che era stato. Con Adam il “mai” non esisteva, avrebbe dovuto impararlo tanto tempo prima: tra loro esisteva solo il “sempre”.
Adam era tornato perché avrebbe
sempre avuto bisogno di Tommy e Tommy avrebbe sempre avuto bisogno di lui; era tornato perché, era inevitabile, per quanto cercassero di allontanarsi, di stare con qualcun altro – e ci provavano, davvero! – alla fine tornavano sempre a cercarsi. Era tornato perché da quando si conoscevano non era passato un istante senza che Tommy si sentisse speciale e fottutamente fortunato ad averlo conosciuto e chissà, forse anche Adam si sentiva così.

Perciò, quando suonò quel campanello, Tommy aveva le idee chiare: non aveva alcuna intenzione di fare a meno di lui.
Peccato che ci fosse voluto tutto quel tempo e le parole di un idiota codardo e menefreghista a far sì che Tommy ne fosse certo.


Fu Sauli ad aprire la porta, e fu un po’ una sorpresa per entrambi.

Il finlandese lo guardò confuso, era impossibile capire cosa pensasse. Era sempre stato così per tutti, non riuscivano a decifrare alcune sue espressioni, alcuni suoi gesti, alcune sue reazioni. Lo attribuivano alla differenza culturale, senza sapere che era così che Sauli era fatto, semplicemente. Non era affatto un libro aperto.

Tommy, dal canto suo, si sentì tremendamente a disagio, ed in colpa. Il modo in cui aveva parlato di lui ad Adam... Sauli non lo meritava. Non era lui il nemico, non era sua la colpa. La colpa era loro, sua e di Adam, delle loro ipocrisie, delle loro intolleranze, delle loro bugie e delle loro verità. La colpa era di Tommy che lo lasciava libero – perché Adam era proprio quello, uno spirito libero, non si poteva fare altrimenti – e poi si lamentava quando si comportava da tale. La colpa era di Adam, che lo riempiva di troppe bugie e gli dava in pasto troppe verità azzardate, e pretendeva che lui non facesse una piega. La colpa era loro, che tanto insistevano a dire di non sopportare i difetti dell’altro da convincersene, e poi sentirne la mancanza una volta lontani.

Adam è di sopra. Non vuole parlarti.” Sauli fu telegrafico, un po’ freddo, ma cortese, a modo suo: almeno non l’aveva mandato a fanculo.

Come lo sai?”
Non avrebbe certo creduto a quella spudorata bugia. Adam che non voleva parlare con lui? No, non era possibile. Non poteva essere. Ma poi, che fosse vero o no, che il cantante volesse o meno, Tommy gli avrebbe parlato lo stesso. Era lì per quello e non se ne sarebbe andato fin quando non avesse raggiunto il suo scopo.

Sauli lo guardò per qualche secondo, severamente, e quegli occhi di ghiaccio misero i brividi a Tommy.
Non vuole parlare neanche con me, perché dovrebbe parlare con te?”

Okay. C’era da chiarire come stavano le cose. Perché avrebbe dovuto parlare con Tommy? Perché la questione in sospeso era tra loro, forse? Chi si credeva di essere quel tizio? Tommy conosceva e amava Adam da quasi due anni, e cercavano di far andare bene le cose da tutto quel tempo, non poteva permettere ad un biondiccio sciapito qualunque di rubargli il posto nel cuore di Adam!

Allora posso parlare con te, Sauli?”
Una smorfia strana e poi il suo interlocutore annuì, lasciandolo entrare in casa e chiudendosi la porta dietro.

Era il momento di fare chiarezza.


Mi pare ovvio che ti abbia preso per culo.”

Sauli sembrava sicuro di sé. Tommy scoppiò a ridere senza allegria. Scherzava, vero?

Gli aveva raccontato tutto, dal modo in cui Adam si riferiva a lui – sempre come ‘il ragazzo di copertura’ –, a come si lamentava di lui e del suo carattere, e gli aveva anche riferito di quando giurava che lo avrebbe lasciato volentieri, ma non poteva, era lavoro; Sauli non aveva fatto una piega. Anzi, aveva sostenuto che era Tommy l’illuso, lì, perché lui era solo il giocattolino di Adam, poteva metterci la mano sul fuoco.

Sì, quello a Tommy fece male. Si fidava di Adam, esattamente come faceva Sauli, ma i dubbi si insinuavano nella sua mente senza che neanche se ne accorgesse, e minacciavano di distruggere tutto. Come faceva Sauli, invece, ad essere così sicuro di non essere stato preso in giro? Come poteva essere così certo che le cose che diceva Tommy fossero cazzate? Non lo erano!

Si fidava così tanto di Adam? Beh, si sbagliava.
Lui non lo conosceva. Adam non avrebbe mai mentito a Tommy. Adam non lo avrebbe mai usato. Perché avrebbe dovuto? No, no, no. Non poteva ricominciare a dubitarne.

Mi pare ovvio che abbia preso per il culo te, Sauli.”

Fu a quelle parole, pronunciate con finta sicurezza, che sul guscio di impenetrabilità del finlandese comparve la prima crepa: dovette spostare lo sguardo dagli occhi del suo interlocutore, eppure Tommy riuscì a notare gli occhi lucidi, e poté quasi vederlo combattere con tutte le forze con quell’idea terribile, l’idea di essere stato preso in giro, usato, trattato al pari di un accessorio, senza alcun riguardo per i suoi sentimenti; l’idea con cui Tommy stava già facendo i conti ormai da molto tempo e più i giorni passavano più sembrava realistica, più faceva male, eppure non cambiava minimamente i suoi sentimenti per Adam.

Tommy avrebbe tanto voluto semplicemente smettere di stare male, ma l’unico modo per farlo era cancellare quei sentimenti, e quei ricordi, dimenticarli, andare avanti, e avrebbe dato qualunque cosa pur di non perdere nulla di tutto ciò: memorie, emozioni, desideri, tutto ciò che c’era e c’era stato tra lui ed Adam, erano la migliore cosa che potesse avere.

Fu quando vide la crepa nell’impenetrabilità di Sauli allargarsi ancora di più, e qualche lacrima sfuggire a quel ragazzo così chiuso e strano, che capì che, però, non era quello che voleva. Non voleva ferire nessuno per il proprio egoismo.

Adam non era suo.

Adam faceva quello che gli pareva, e se quello che gli pareva era prenderlo per culo, che lo facesse! Se ciò che voleva era stare con Sauli, anche tutta una vita, be’, che lo facesse! Perché anche se magari non era felice, era quello ciò che voleva, ciò che aveva scelto, e chi era Tommy per decretare che le sue decisioni erano sbagliate? Se Adam si sentiva bene con sé stesso a trattare così le persone, buon per lui, ma Tommy non riusciva a ferire Sauli in quel modo, vederlo cadere a pezzi di fronte a sé e restare impassibile.

Poteva tenere tutto per sé, mentirgli, risparmiargli quella sofferenza ed avere la coscienza pulita. Era un comportamento egoista? Sicuramente, ma almeno non avrebbe scaricato la sofferenza addosso ad un’altra persona.

Fece subito marcia indietro.
No, no, ascolta, scusa. Hai ragione tu. Mi ha... Sono... È che... Insomma, non è facile accettare che la persona che ami ti abbia preso in giro, credo che tu mi capisca. Vorrei solo... Voglio parlargli. Non voglio perderlo, Sauli. Per favore.”

Quegli occhi azzurro ghiaccio lo guardarono con sospetto, mentre dal canto suo, Tommy pregava per un sì, semplicemente.
Un sì che non arrivò.
Sauli se ne stette lì a guardarlo e non rispose per alcuni lunghi minuti.

Pensi che io sia stupido?” sbottò all’improvviso. “Pensi che io non sappia cosa c’è tra di voi? Pensi che non riconosca il tuo odore dappertutto addosso a lui quando torna a casa? Pensi che non lo sappia che per quanto possa tenerci a me non sarà mai comparabile a quello che prova per te? Pensi che ti permetterò di portarmelo via?”

Tommy scosse la testa, cercò di interromperlo, avrebbe voluto negare, negare con tutto sé stesso, anche se sapeva quanto fosse vero, e solo in quell’istante realizzava quanto male gli avesse già fatto. Si sentiva una merda.

Lotterò con le unghie e con i denti per tenermi il mio ragazzo, Tommy. Non provare neanche a pensare di impedirmelo.” Concluse Sauli, l’espressione decisa, forte, gli occhi puntati in quelli dell’altro.

No, no, no. Non era la guerra aperta quello che Tommy voleva! Gli pesava già abbastanza quando era un conflitto silente, che serpeggiava tra loro perennemente, dal primo istante in cui l’uno era venuto a conoscenza dell’altro. Non voleva che quella guerra scoppiasse.

Io non voglio portartelo via, Sauli, e anche se volessi, non potrei. Adam non è mio e non lo sarà mai.” si concesse una breve pausa,deglutì le lacrime. Quei concetti avrebbero dovuto essere acqua passata ormai, avrebbero dovuto essere stati assorbiti, eppure ancora gli facevano così male. Forse era il dirlo ad altra voce, che li rendeva più reali, e gli faceva così male. “Sai, mi piacerebbe se le cose fossero realmente come tu le immagini, ma non è così. Io non so più cosa provi Adam per me. So solo che ci sono giorni in cui mi fa sentire come se fossi l’unica persona di cui gli importi, e giorni in cui sembra che venga da me solo per svuotarsi le palle. Eppure... eppure qualunque cosa faccia mi fa sentire speciale. Io non posso cancellare ciò che provo per lui, Sauli, vorrei fosse possibile, ma non posso. Ti chiedo solo la possibilità di parlargli, di chiarire con lui, solo questo. Non voglio portartelo via. Voglio solo poter essere suo amico. Guardami, Sauli. Ti sto supplicando.”

Tommy pensava che mentire fosse più difficile, ma poi, quando si era trattato di difendere quella sottospecie di relazione che aveva con Adam, si era reso conto che era facile. Aveva infilato qualche bugia in mezzo ad alcune verità, ed era riuscito anche a guardarlo negli occhi senza imbarazzo mentre parlava.

Sauli sospirò. Una volta, due, tre. Alzò lo sguardo, ed il suo ‘guscio’ era di nuovo lì, e lui era di nuovo indecifrabile.
Poi, finalmente, Tommy lo vide annuire.

D’accordo. Ma pretendo massima sincerità da te. Ti sto dando la mia fiducia, e non credo affatto che tu te la sia meritata.”

Non riuscì a trattenersi, e neppure desiderò farlo, abbracciò Sauli, con entusiasmo, con gioia, cercando di infondergli tutto il suo senso di gratitudine. Gratitudine perché avrebbe potuto dirgli di no, mandarlo a fanculo, non credere alle sue bugie, dare il via ad una guerra che magari li avrebbe portati entrambi a perdere, eppure Sauli gli aveva detto di sì.

Percepì il suo imbarazzo quando sciolse l’abbraccio, ma non vi badò. Frugò nelle tasche e porse al finlandese le chiavi della propria auto.
“Prendila, vai a fare un giro, fai shopping, vai a mangiare qualcosa, quello che preferisci... ti chiedo un’oretta, solo questo. Ti riferirò tutto, se è questo che vuoi. Promesso. E grazie. Grazie, grazie, grazie. Davvero.”

L’altro lo guardò un po’ stranito, osservando quelle chiavi come se fossero un attrezzo sconosciuto; per tornare lucido gli ci vollero alcuni lunghi secondi – durante i quali Tommy fu certo che ci avesse ripensato, e tirò un sospiro di sollievo quando lo vide dirigersi verso la porta e sorridergli.

In bocca al lupo, Tommy.”


Silenzio.

Fissava la porta di casa di Adam, chiusa.

Sauli era appena uscito, lasciandoli soli.

Poteva sentire la TV accesa al piano di sopra, e immaginare Adam rannicchiato sotto le coperte a guardarla. Respirava talmente silenziosamente che neanche lui stesso si sentiva, e il panico gli attanagliava le viscere.

Cosa doveva fare?

Più ci pensava e più si sentiva un pezzo di merda.
Non meritava un briciolo della fiducia che Sauli gli aveva concesso. Non gli avrebbe mai riferito nulla di qualunque cosa fosse successa tra lui e Adam mentre era via, non sarebbe stato mai sincero con lui, non gli avrebbe lasciato avere Adam tutto per sé, perché non sarebbe mai stato
solo un suo amico.

Si sentiva un’orribile ipocrita, uno stronzo ad essersi comportato così, anzi, certamente era un’ipocrita, uno stronzo e una persona orribile. Ma lo sarebbe stato ancora di più se davvero fosse salito in camera di Adam e avessero chiarito, e tutto fosse tornato come prima. Lo sarebbe stato ancora di più perché avrebbe ferito consapevolmente un ragazzo che non solo non gli aveva fatto nulla, ma gli aveva anche concesso la propria fiducia, e perché non sarebbe mai davvero tornato tutto come prima, non avrebbe mai dimenticato tutti quei dubbi, quelle insicurezze, quelle bugie e soprattutto sarebbe sempre stato consapevole che stava regalando la propria fiducia ad una persona, Adam, che non la meritava e non le dava alcun valore.

Si chiese sinceramente se ne valesse la pena.

Salì al piano di sopra perché sì, ne valeva la pena eccome.


Adam se ne stava seduto sul bordo del letto, a guardare qualcosa in TV, probabilmente qualche telefilm. Tommy aprì la porta in silenzio, e si fermò sulla soglia.
Quando alzò lo sguardo, Adam si bloccò, mordendosi un labbro. Lo guardò per alcuni secondi, e quando vide che non parlava cercò di dissimulare l’imbarazzo. “Ehm, ciao... Uhm... Sauli?”

Tommy scosse la testa e sorrise. Si poteva essere più belli? Gli era mancata quella sua espressione teneramente imbarazzata, e a stento badò alle sue parole; preferì osservare come si muovevano le sue labbra mentre parlava, e quegli occhi color del cielo, e le lentiggini un po’ dappertutto. Ci mise più di un minuto a realizzare che doveva dire qualcosa.

Sauli è... È uscito. Abbiamo un po’ di tempo per noi...”
Se ne stava lì, appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto e lo guardava. Aspettava una reazione, una qualsiasi reazione che significasse qualcosa, che gli desse un indizio su ciò che passava per la testa dell’altro.

Adam fece una smorfia, spegnendo la TV e poi sospirando.
Ascolta, forse sarebbe meglio se non... se evitassimo di parlarci... e vederci.”

Tommy tirò ad indovinare: pensava ancora a quello stronzo di Sebastian? Credeva davvero che quel tizio contasse qualcosa? Probabilmente. Sbuffò, si sedette al suo fianco e cercò di rassicurarlo.

Quel ragazzo, l’altra volta, era un pallone gonfiato qualsiasi con cui dovevo andare al cinema quella sera. Non stavamo insieme se è questo che ti preoccu-” Adam lo interruppe con un cenno, guardandolo con aria stanca, scuotendo la testa.

Non è importante. Non è questo il problema...”
Il biondo lo guardò, senza capire. “Ah, no?”
E allora perché diamine non avrebbero dovuto parlarsi e vedersi?!

Bene, allora qual’è il problema?”

Il moro sospirò: “Ti prego, comprendimi, Tommy, non posso... non...” Si prese la testa tra le mani, massaggiandosi la testa. Tommy non nascose quanto la cosa lo irritasse. Si erano sempre detti tutto, cos’erano quei segreti? Tanto peggio non poteva andare, o no?

Cosa devo capire, Adam, me lo spiegheresti? Perché mi piacerebbe saperlo. Perché tutto questo? Perché volevi chiudere con me? Perché mi hai lasciato e poi sei tornato? Perché te ne sei andato quando ti avevo chiesto di restare? Perché non fai altro che andare e tornare? Cosa vuoi da me, Adam?”

Le lacrime non poté trattenerle, gli sfuggirono, poche e silenziose, ed un abbraccio e qualche parola gentile erano tutto ciò che voleva per calmarle. Un abbraccio e qualche parola gentile che non arrivarono.

Adam lo guardò negli occhi, finalmente.

Perché tu meriti di meglio, Tommy, ecco perché. Perché io sono un bugiardo, un ipocrita, un bambino viziato, un indeciso cronico, uno stronzo, e perché sono solo capace di ferirti. Perché non vuoi di meglio, Tommy? Perché non mi lasci e cerchi qualcuno che sappia dimostrarti il suo amore?”

Tommy era estremamente confuso.
Il cuore gli batteva a mille, e gli sembrava che nessuna di quelle parole avesse senso. Lasciare Adam? E perché mai? Perché aveva dei difetti? Da quando in qua essere imperfetti era un crimine? A lui stava bene così, davvero. Preferiva convivere con i suoi difetti piuttosto che con quelli di chiunque altro sulla Terra.

Una domanda gli premeva forte però, più di ogni altra, più di tutti quei perché, ma aveva paura a farla, aveva paura che la risposta fosse un no.
Guardò Adam e si disse per l’ennesima volta che non poteva dubitare di lui, non dopo tutto quello che avevano passato, non dopo tutto quel tempo e quelle dimostrazioni d’affetto.
Eppure la realtà era che ne dubitava eccome.

Fu con un brivido ed un orribile sensazione di nausea che pose la domanda.
Mi ami, Adam?”

Il moro sembrò colto di sorpresa, e dopo alcuni secondi scostò lo sguardo, trovando improvvisamente il pavimento di parquet della camera molto affascinante. Quando alzò lo sguardo aveva gli occhi umidi.
Sì.”

La risposta fu decisa, senza ulteriori esitazioni, eppure le lacrime scivolarono giù da quegli occhi azzurri e, sebbene Adam non avesse fatto lo stesso per lui pochi minuti prima, Tommy gli strinse le braccia attorno ai fianchi e lo abbracciò teneramente.

Wow, faccio talmente schifo che l’idea di provare qualcosa per me ti fa venire da piangere?” ironizzò il biondo, poco dopo, una volta sciolto l’abbraccio.
Scoppiarono a ridere assieme, e Adam lo spinse delicatamente. “Idiota”, borbottò.

Si guardarono negli occhi per un po’, i loro sorrisi che lentamente sfumavano in sospiri afflitti, al pensiero che la loro relazione, in passato, era stata felice come quegli istanti, mentre ora sembrava un bicchiere rotto di cui cercavano inutilmente, quasi disperatamente, di rimettere insieme i cocci.

Ma quindi dov’è il problema?” Tommy insistette. Se doveva arrendersi, voleva sapere perché.

Che t’importa? Voglio dire... saresti davvero felice di stare con me? Nonostante i miei scatti di rabbia, le mie paranoie, i miei capricci, le mie bugie, la mia indecisione e la mia ipocrisia? Nonostante io abbia questa... relazione con Sauli?”

Tommy lo guardò negli occhi mentre rifletteva sulle sue parole. Non che avesse bisogno di decidere se fosse felice di stare con lui, ma aveva bisogno di dire ciò che sentiva o sarebbe esploso.

Sì, lo sarei. Ma è lui il vero problema, non è così? Ami anche Sauli, te lo leggo negli occhi.” fece una breve pausa, sperando in una sua replica, sperando di sbagliarsi. No, non glielo leggeva davvero negli occhi, non sapeva se fosse vero o meno, aveva solo paura che fosse così.
Ma, a quanto dedusse dal silenzio di Adam, la sua era una paura più che fondata.

Fu difficile combattere l’ondata di sentimenti confusi che lo travolse, ma si sforzò di farlo, mantenne l’autocontrollo. Quindi era così che finiva? Per un altro?
Come poteva accettare una cosa del genere?

Voglio che tu sia felice, Adam, e che tu sappia che io ci sarò, ad aspettarti, sempre. Se è lui che vuoi, mi faccio da parte. Bastava dirlo.” Sì, stava indossando la sua maschera migliore, ma ‘amore’ non significa certo possedere una persona, e questo non poteva cambiarlo.
Si voltò, doveva uscire di lì o sarebbe scoppiato a piangere, e non poteva piangere, non davanti ad Adam, non in quel momento.

No, Tommy! Aspetta!”

Si bloccò e deglutì, cercando di calmarsi con un lungo e profondo respiro. Non doveva piangere. Si voltò a guardare Adam, chiedendosi in silenzio se ci tenesse a vederlo piangere o doveva davvero dirgli qualcosa di importante e ignorando la risposta alla sua tacita domanda che lesse chiaramente – e stavolta per davvero – in quegli occhi blu, o almeno tentando di ignorarla finché non fu Adam stesso a dargliela.

Voglio bene a Sauli, è vero... ma è te che voglio, Tommy, credevo l’avessi capito! È questo il motivo per cui mi sono comportato in quel modo. Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, mi dispiace sul serio... Ma io ti amo, e ciò che più desidero è che tu sia felice; e con me non lo sei. Lo eri, lo eravamo, ma poi è cambiato tutto. Poi il tour è finito e abbiamo dovuto affrontare la realtà ed io non volevo farlo. Non sapevo cosa fare, non sapevo come comportarmi, cosa dire ai miei amici, ai miei parenti, ai fans... Sapevo solo che non sarei stato capace di mantenere tutte le promesse che ti avevo fatto, nonostante lo desiderassi davvero. E poi ho iniziato a mettere in fila errori su errori, uno dopo l’altro, e ho mandato tutto a puttane, e tu non ti arrendevi, stavi male ma non mollavi...”

Adam fece una lunga pausa, e tirò su col naso un paio di volte. Aveva il viso inondato dalle lacrime, proprio come Tommy, che si tratteneva quanto poteva ma le emozioni erano troppe, troppe tutte insieme. Come poteva finire, come poteva, se si amavano così?
Il moro sospirò prima di tornare a parlare, con la sua voce tremante e le guance arrossate.

Volevo solo farti capire che meriti di meglio, volevo che mi mandassi a fanculo, volevo che non soffrissi mai più per me, che ti sentissi libero di lasciarmi. Volevo che ti arrendessi, invece ho solo peggiorato le cose, e ho sfogato su di te tutto il mio stress, il mio risentimento, la mia tristezza e la mia rabbia... Non lo meritavi. Tu meriti solo il meglio, Tommy. Ciò che volevo dirti ieri era che sono un coglione e che non avrei mai dovuto neanche pensare di lasciarti. E ti ringrazio di non esserti arreso, di non aver mollato, di non avermi lasciato. Ti ringrazio per aver sempre creduto in me, perché sapevi che sarei sempre e comunque tornato; perché tu mi guardi con quegli occhi nocciola e mi leggi dentro, ed io mi sento nudo fin nell’anima. Ed è la sensazione migliore del mondo, ma è anche così spaventosa, perché mi fa sentire in trappola... La tua presenza mi fa sentire completo, a casa... Conosci la sensazione? Sento di appartenerti in un modo tanto profondo che cancellare o anche solo provare ad indebolire questo nostro legame sarebbe impossibile. E io non volevo appartenerti, volevo essere libero... Diamine, Tommy, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e io volevo mandarti via, capisci?”

Incredibile come due occhi, così piccoli, limitati, finiti, potessero contenere così tanto; non solo sentimenti, non solo lucide lacrime di gioia o di dolore, non solo brillanti, piccole briciole di una sensazione: l’intera sfera delle emozioni umane avrebbe potuto essere espressa anche solo con gli occhi.

Tommy amava osservare quegli occhi blu, tanto da rivederli anche nei propri sogni; aveva speso ore e ore della propria vita a rispecchiarcisi dentro, a studiarli quasi, a memorizzare minuziosamente ogni millimetro di quelle iridi chiare, e conosceva a menadito ognuna delle loro espressioni. Ad esempio, conosceva perfettamente la maniera in cui Adam corrucciava leggermente le sopracciglia e quel bagliore nei suoi occhi quando non capiva qualcosa o era incuriosito, oppure come non riusciva a tenerli fermi quando era nervoso, e la frequenza con cui batteva le palpebre quando mentiva.

Li conosceva così bene quegli occhi, ed in quell’istante poteva dire con certezza che non una di quelle parole era una bugia. Poteva giurare di non essere mai stato così felice nella propria esistenza, anche se probabilmente lo era stato eccome; però la felicità ha un valore diverso a seconda del momento in cui arriva, e lui si sentì come se stesse guardando di nuovo il cielo dopo aver passato anni chiuso in uno scantinato.

Gettò le braccia al collo di Adam e lo abbracciò, stringendolo con tutta la forza che aveva nelle braccia e mormorando che lo amava fino a restare senza fiato, godendosi il calore di quei sentimenti e di quelle grandi braccia, quelle di un amico, di un fratello, di un padre e di un amante, e inebriandosi del suo odore perfetto, che gli dava la sensazione di essere al posto giusto nel momento giusto.

Poi fu la volta del suo sapore, quando le loro labbra si incontrarono, e la dolcezza della sua bocca fu tutto ciò che aveva mai desiderato assaggiare, il suo corpo tutto ciò che aveva mai desiderato toccare, e se esisteva un Paradiso non era in cielo, ma sulla Terra, esattamente lì, in quell’istante, da qualche parte dentro di loro – non dentro Adam, o Tommy, ma dentro entrambi, dentro quel noi che non era mai stato così reale e che esisteva davvero solo per quelli che, come loro, neanche il Destino avrebbe mai potuto separare.

Il sapore divenne quello della pelle di Adam, del suo viso salato di lacrime, e poi del suo corpo, quando gettarono in terra i vestiti come inutili stracci, per lasciare posto l’uno alle labbra dell’altro, unico indumento da cui entrambi avrebbero voluto vedere coperte le proprie membra. Si bearono quanto più a lungo riuscirono ognuno delle imperfezioni dell’altro; ogni più piccolo difetto, anche se sfuggito al più attento degli osservatori, era in quel momento nei loro occhi, tra le loro labbra, tra le loro dita e nei sussurri di piacere sibilati a mezza voce, bellissimo nella propria inesattezza, esattamente come ogni essere umano.

Fronte contro fronte, poi labbra contro labbra e poi quell’abbraccio si fece più stretto, in una sorta di nobile violenza, un incontro di anime divenuto scontro di corpi, il cui unico scopo pareva essere lo sprofondare l’uno nell’altro, fermare il mondo per rendere quella stretta infinita e perdere i confini dei propri corpi e delle proprie identità, anzi, abbandonarli volontariamente, gettarli via, a favore di un abbraccio di anime che sarebbe durato per sempre, oltre lo spazio ed il tempo: una promessa come un abbraccio, che non può essere infranta se non lo vogliono entrambi, ed un abbraccio come una promessa, astratto ma infinitamente reale, che sarebbe continuato anche da lontano, che sarebbe perdurato in ogni istante quotidiano, provenendo da dentro, senza allentarsi mai, una stretta dal sapore agrodolce di eternità.


Quando, dopo minuti tanto lunghi da sembrare ore, si rivestirono, il campanello suonò, e Tommy dovette andarsene, ad un occhio esterno poteva sembrare che nulla fosse cambiato.

Ed era così, materialmente nulla lo era.
Le loro vite restavano le stesse di sempre, stesse compagnie, stessi rapporti, stesse abitudini; ma erano binari vuoti, perché le loro anime erano deragliate, sfuggite ad ogni barriera imposta dalla ragione, libere da ogni limite, due treni che avevano scelto di collidere nonostante i binari li conducessero da un’altra parte. Ed era quella la loro promessa: errore, disastro, distruzione, un’avventata rinuncia alla razionalità che in quanto tale non aveva parole per essere espressa, eppure loro la leggevano l’uno negli occhi dell’altro.

Avevano capito, senza parole, che stare insieme era un errore, ed avevano scelto di sbagliare; erano pronti in ogni istante a vedere il proprio mondo cadere loro addosso, e ad accoglierlo con gioia, a braccia aperte, perché unica conseguenza possibile all’irrazionalità e all’imperfezione così sproporzionate da assomigliare alla perfezione tanto quanto se ne allontanavano.

Avevano capito, senza parole ma col corpo, che il miglior errore che potessero fare era accettare quel loro morboso appartenersi senza tempo, e lo avevano fatto, avevano accolto dentro di sé quella consapevolezza più grande di loro, e lo avevano fatto insieme. E tutto, da quell’istante, era stato chiaro: si appartenevano, non nel corpo, ma nell’anima, ed in quell’appartenersi erano più liberi di quanto lo fossero mai stati.




Time has come for us to pause
and think of living as it was.
Into the future we must cross, must cross
I'd like to go with you,
I'd like to go with you.

You say I'm harder than a wall,
a marble shaft about to fall.
I love you dearer than them all, them all,
so let me stay with you,
so let me stay with you.

And as we walked into the day,
skies of blue had turned to gray.
I might have not been clear to say, to say:
I never looked away,
I never looked away

And though I'm feeling you inside,
my life is rolling with the tide.
I'd like to see it be an open ride,
along with you,
going along with you

The time we borrowed from ourselves
can't stay within a vaulted well
and living turns into a lender's will,
So let me come with you
and let me come with you

And when we came out into view
and there I found myself with you,
when breathing felt like something new, new,
along with you,
going along with you

È arrivato il momento, per noi, di fare una pausa,
e pensare alla vita com'era prima.
Nel futuro che dobbiamo affrontare, dobbiamo affrontare
vorrei stare con te,
vorrei stare con te.

Dici che sono duro come la pietra,
una colonna di marmo che sta per cadere.
Ti amo sinceramente più di tutti gli altri, tutti gli altri,
quindi lasciami stare con te,
quindi lasciami stare con te.

E proprio mentre iniziavamo la giornata,
i cieli da blu sono diventati grigi.
Forse non sono stato abbastanza chiaro nel dirlo, nel dirlo:
non ho mai distolto lo sguardo (da te),
non ho mai distolto lo sguardo (da te).

E anche se sento che sei dentro di me,
la mia vita viene trasportata dalla marea.
Mi piacerebbe vederla come un viaggio senza meta,
in sintonia con te,
sempre in sintonia con te.

Il tempo che abbiamo rubato a noi stessi
non può restare chiuso in un pozzo (dei desideri)
e vivere diventa un desiderio a pagamento,
Quindi lasciami venire con te,
lasciami venire con te

E quando siamo usciti allo scoperto
e ho trovato me stesso con te,
quando respirare sembrava un'esperienza totalmente nuova,
in sintonia con te,
ero in sintonia con te.














Note Finali:
Ebbene sì, questa è la fine.
Inizierò ringraziando prima di tutto voi adorati lettori. Grazie per essere arrivati fin qui e scusate per l'attesa per quest'ultimo capitolo – spero che almeno ne sia valsa la pena! Poi è d'obbligo un  grande grazie ad Adam, Tommy, Sauli, Isaac e il mio OMC per avermi ispirato e soprattutto essersi sottoposti ad una tale tortura. Poi P!nk, I MCR,  Adam, Eminem e Rihanna per le canzoni dei precedenti capitoli; un grazie particolare, per la canzone di questo capitolo va ad Eber Lambert, il caro papà Lambert, che l'ha twittata: al primo ascolto ho capito che era perfetta! Si chiama Genesis di Jorma Kaukonen.
Il grazie più grande va ovviamente alla mia Romea, che è stata la prima lettrice e la più importante critica, e che merita un grazie dal profondo del cuore.

Sul capitolo voglio solo dire che sono molto critica nei suoi confronti, e se da un lato sono soddisfatta, dall'altro vorrei buttarlo via e riscriverlo da capo. Vi chiedo di dirmi la vostra, anche un brevissimo commento, solo per dirmi con quale dei miei due "lati" vi schierate.
La canzone alla fine è sempre Genesis (credo si sia capito xD) e la traduzione l'ho fatta io, quindi ringraziate e non rubate! ♥

Un grandissimo abbraccio a chiunque ha recensito/recensirà, sappiate che mi rendete la scrittrice in erba più felice del pianeta.
Alla prossima!
Vostra,
Anthea.

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