Light me up.

di Fog_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


__Vas Happenin'?__
Salve gente!
Qui If_you_Belive e Comiky vi dicono ciao!
Questa non è la nostra prima storia, ma è la prima che scriviamo insieme :3
è da un po' che ci pensiamo e ora eccoci qui, vi presentiamo questa ff un po'...diversa dalle altre per la presenza di Justin.
Volevamo solo spiegarvi solo una cosa: Io, 
If_you_Belive , scriverò i POV di Taylor e dei One Direction, mentre Comiky quelli di Laura, Justin e Selena.
Tutto qui, giusto per puntualizzare :)
Lasciateci un commentino e fateci sapere che ve ne pare, se una storia nata su una canoa va scritta e pubblicata o va chiusa nelle nostre menti!
Alla prossima, enjoy the read!

Comiky e If_you_Belive <3

Cap 1.

 

Laura

“It’s like a year without raaaaaain, yhea”
Odio profondo per Selena Gomez, ovvero odio profondo per la mia sveglia.
Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è una foto di me e mio cugino Gianmarco il giorno della mia comunione. ‘Non mi va di pensare a Gianmi…’ e mi giro facendo cadere il piumone per terra e il cuscino sopra di esso.
«Laura sbrigati che fai tardi a scuola!» urla mia madre dalla cucina.
«Se,se…» rispondo con una voce degna dell’oltretomba.
Apro gli occhi e come ogni mattina riesco a svegliarmi grazie ad una personcina che anche se non sa nemmeno che esisto mi fa sempre ridere. Justin Drew Bieber.
Poi mi accorgo che sono le 8 e 25 e che io se non esco entro e 38 a scuola è difficile che ci arrivo,quindi dopo uno scatto -degno di questo nome se mi permettete- verso il bagno mi vesto con la solita felpa imbottitissima, la maglia della Bieber for life - la mia maglia preferita- e i miei mitici Jeans che ho da circa la terza media e mi vanno ancora. Corro a salutare mamma e papà, mi infilo il giubbotto ed esco con la cartella infilata ad una spalla e le mani in tasca. Ore 8 e 40 e mi sto già rompendo le palle. Evviva.
 

Taylor.

 
La sveglia è semplicemente gelosa della relazione che ho con il mio letto.
È questo l’unico motivo che mi trattiene dal prenderla e lanciarla contro il muro. Mi dispiace, poveretta, la gelosia è una brutta bestia.
Mi decido ad aprire gli occhi quando, per qualche sconosciuto motivo, anziché staccare quel bip bip stressante riesco solo ad alzare il volume.
Se il buongiorno si vede dal mattino allora quella doveva proprio essere una giornata di merda.
Mi giro a pancia in su e trovo gli sguardi allegri di quelle cinque teste di carota che mi guardano dai poster sul soffitto, riescono come sempre a strapparmi un mezzo sorriso, che dura finché non mi rendo conto che manca solo mezzora al suono della campanella. Mi fiondo fuori dal letto, inciampo in un paio di jeans che afferro e decido di indossare, prendo la prima maglietta dall’armadio, il solito felpone grigio scuro e mi dirigo in bagno.
Faccio una doccia veloce, neanche dieci minuti, poi cerco di sistemare quell’ammasso di capelli la quale forma non è ancora stata riconosciuta dall’universo dei parrucchieri. Sta mattina sono mossi, perfetto, la mia versione preferita.
Striscio i piedi fino in cucina, mi getto sulla solita sedia e ingurgito tutto il latte nella grande tazza bianca dello Sturbucks che ho comprato qualche anno fa in Spagna. Mamma continua a ripetermi che è tardi, come se non lo sapessi. Mio fratello saltella per casa, papà è già uscito.
Il solito caos del mattino.
Mi affretto ad uscire il prima possibile di lì, a volte casa è il posto più invivibile. Non per i miei, che rompono e non capiscono le mie esigenze, e neanche per mio fratello che è sempre lì a dare fastidio, ma perché lì è sempre tutto uguale.
Non succede mai niente di clamoroso, di interessante.
Preferisco stare fuori casa, anche semplicemente in giro per il centro, ad osservare le persone che passano e a catturare le loro espressioni, i loro movimenti o magari al porto, in riva al mare, per immortalare le onde con la mia macchina fotografica professionale.
Reflex di quelle ancora con il rullino, una compagna fedele.
Tanto quanto l’iPod che sto facendo saltare tra le mie mani.
Canzone di quella mattina? Mmm…How to love, la nuova di Lil Wayne, ultimamente la ascolto sempre.
Riesce sempre a rilassarmi.
Mi raddrizzo il cappello di lana che ho in testa per non ghiacciarmi le orecchie, l’aria è fredda, ma non esageratamente considerando che siamo a dicembre.
Il Natale è già nell’aria, in città stanno iniziando a montare le solite lucine colorate e i negozi addobbano le solite vetrine.
Una cosa carina, ma che si ripete tutti gli anni.
Voglio qualcosa di diverso per quest’anno, qualcosa di…di esplosivo, di irripetibile.
Oggi è un tipico giovedì, di una tipica settimana, di un tipico mese, di un tipico anno, niente di nuovo. Bene, le cose devono cambiare.
Non avrei mai immaginato che i miei desideri sarebbero stati esauditi.
 

Laura.

 
Ora di disegno tecnico. Che palle. Fa freddo.
La prof di tecnica sta parlando con la prof di inglese. Quelle due fanno sempre comunella. Le prof rientrano e quella di inglese mi si avvicina mentre quella di tecnica continua a spiegare a quel complessato di Mirko che per mettere la squadra a 45° la doveva girare dall'altro lato.
«Laura» dice serissima «Chiama dalla 1F Letizia Montaruli e raggiungetemi nel laboratorio di informatica subito.»
Un po' perplessa mi alzo per andare verso la prof di tecnica a chiederle il permesso di uscire, ma non ho neanche il tempo di arrivare alla cattedra che lei alza lo sguardo dal banco di Mirko e mi fa cenno con la testa di andare.
Eccomi al terzo piano. La 1F è infondo a destra come i bagni nei film. Questa non è una mia considerazione personale ma una voce che gira in tutto il liceo. Ora vi sarete fatti una idea di cosa pensano gli altri della sezione F. Se non avete capito intendevo dire che è un cesso di classe. Oppure una classe di merda. Scegliete la versione che preferite.
«Salve, la professoressa Marcelli desidera Letizia Montaruli nell'aula di informatica, potrebbe uscire un attimo?» dico tutto d’un fiato.
«Montaruli è appena andata in bagno, aspettala qui se vuoi o direttamente fuori dalla porta.»
«Ah,va bene,aspetterò fuori, grazie professoressa.» dico uscendo, ma la prof mi blocca chiedendomi cosa volesse la Marcelli e questa frase da inizio ad una serie di film mentali, i quali però contengono anche troppi finali con punizioni o note di demerito, la più catastrofica finisce con una sospensione per una settimana, mentre quella con il finale migliore finisce con la frase: "Ragazzi mi date una mano ad allestire il teatro per la rappresentazione di domani pomeriggio?".
Nel frattempo che mi faccio tutti queste paranoie Letizia arriva e saliamo al 5° piano per poi andare nell'aula di informatica.
Letizia apre la porta e la prof ci invita a sederci, per poi rivelarci una cosa che ci sconvolge - che mi sconvolge- tutti i programmi che avevo per il natale ed il capodanno.
 

Taylor.

 
«Iniziate!» grida la professoressa di educazione fisica, la sua voce da strega rimbomba tra le pareti della palestra e ci fa sussultare.
Quella nanetta è una specie di reincarnazione di Hitler, mi fa sinceramente paura, soprattutto quando ci ordina di disporci con le spalle al muro e inizia a camminare tra noi, additandoci mentre chiama i nostri cognomi, come se volesse fucilarci.
Agghiacciante.
La lezione di stamattina prevede “cinque si schiaccia”, che nel nostro caso è più una cosa tipo “a cinque si ammazza”. Ogni volta che giochiamo qualcuno si fa male, dire che ne sono successe di tutte i colori non rende l’idea. Avete mai visto un dito che si spezza sotto i tuoi occhi? E un naso che si storce per una pallonata? Cose davvero raccapriccianti, dovremmo smetterla con quel gioco-killer.
«Cinque!» grida Luca, il ragazzo al mio fianco, mentre mi schiaccia contro.
Schivo la palla con una mossa in pieno stile matrix abbassandomi di scatto e facendo rimbalzare la palla prima sul muro, poi contro la guancia di Ilaria che inizia subito ad arrossarsi. Primo ferito neanche dopo cinque minuti, ottimo direi.
Andiamo avanti e l’adrenalina si alza, come se quella fosse una lotta alla sopravvivenza.
Continuiamo per una mezzoretta finché da ventinove non restiamo in cinque, io, Luca, Eva, Michele e Federico. I tre ragazzi si sono alleati contro di noi, decisi a cacciarci dal gioco con qualche osso rotto. Il loro schema lo conosciamo, a Federico tocca il terzo passaggio, Luca alza e Michele schiaccia e fidatevi, quando Michele schiaccia è la fine per tutti.
La prima palla arriva contro la biondina a 1273482375486754 chilometri orari, lei cade a in ginocchio mentre Michele si massaggia il polso, ha schiacciato troppo forte.
Guardo Eva e mi sale una piccola risata, non l’ho mai sopportata quella finta bionda, si crede la migliore qui, ma non lo è. Vederla in quello stato non mi dispiace.
«Porca Eva!» grida Michele aprendo e chiudendo le dita della mano.
«Ehi!» si lamenta Eva rialzandosi, io e Luca scoppiamo a ridere.
«Abbassate i toni» ci ammonisce Hitler dalla sua postazione strategica dietro la cattedra, con il registro aperto come a ricordarci il suo potere. Che poi, comunque, nessuno di noi ha più paura di quel registro, è così pieno di note che una in meno o una in più non fanno la differenza.
Rincominciamo con i passaggi, ora il bersaglio sono io e in quel momento penso di riuscire a capire come si sente una volpe durante il periodo di caccia.
Luca mi salva all’ultimo da una palla che mi avrebbe di sicuro ammazzato, lo ringrazio con un sorriso che ricambia caloroso. Al turno successivo il cinque tocca a me che, con una specie di salto alla Mila e Shiro e una rotazione del pallone che neanche Holli e Benji, schiaccio contro la spalla di Federico. Ora, ciò doveva essere una cosa positiva, se non fosse che la palla, rimbalzando, finisce in testa alla prof.
Guai in arrivo.
«TAYLOR» tuona lei alzandosi dalla sedia minacciosa, mi sento improvvisamente piccola e indifesa, ma quando si avvicina e il mio mento supera di molto la sua testa la sua aria superiore svanisce in pochi secondi. Inizia a blaterare le solite cose, “Taylor, sei sempre tu”,  “Taylor sei una scostumata”, “Taylor finiscila, sei in terzo non all’asilo!” e nel frattempo io me la immagino con dei capelli da uomo, un pizzetto nero e folto proprio sotto le narici e un accento tedesco che scandisce tutte le parole.
Le scoppio a ridere in faccia, con tanto di mano sulla pancia e bocca spalancata.
«Taylor, fuori!» ordina indicandomi la porta, ancora ridendo e sotto lo sguardo divertito dei miei compagni mi avvio verso quello che mi sembra tanto il passaggio d’uscita dell’inferno.
Mi faccio un giretto per la scuola, passo dal teatro sperando che qualcuno mi chieda “ehi tu, ci dai una mano ad allestire il palco?” e mi fermo un po’ davanti alla macchinette per aggiornarmi sui vari pettegolezzi settimanali, quando il repertorio delle due ragazze con cui stavo parlando si esaurisce mi decido a salire fino al 5° piano, giusto per perdere tempo.
Arresto la scalata dell’Everest con tanto di piccone e diecimila maglioni a coprirmi  -quelle dannate scale!- solo quando vedo una ragazza vagamente familiare che mi viene incontro.
«Taylor!» grida lei iniziando a scendere le scale due a due e allora la riconosco, è Laura, chi altri può essere?
«Ciao Laura!» esclamo allungandole una mano, lo sa che la gente la preferisco salutarla battendo un cinque e non con quei stupidi due baci.
«Non hai la più pallida idea di ciò che mi è appena successo» dice con gli occhi che quasi le escono dalle orbite, un sorriso grandissimo si è impossessato del suo viso.
«Che c’è, hanno deciso di produrre uno dei tuoi manga?» scherzo riferendomi alla sua innata capacità nel disegno, i miei otto in arte dipendono tutti da lei.
«No, meglio» continua e ci manca poco che inizia a saltellare sul posto, deve essere qualcosa di davvero straordinario.
«Cosa c’è di meglio?»
«Non ci crederai mai, ma…» Laura non fa in tempo a terminare la frase che sulle scale ci raggiunge la mia prof. di inglese, la Ranieri, che complotta qualcosa con un’altra prof. non del mio team.
«Oh, Laura, sei ancora qui?» dice la tizia che non conosco, ha un’aria giovanile e dei capelli biondi super laccati.
«Si, stavo parlando alla mia amica della grande opportunità che mi avete offerto» spiega ancora sorridendo, la professoressa annuisce.
«Che “vi” è stata offerta» la corregge la Ranieri e io guardo tutte e tre interrogativa, non ho idea di quale possa essere questa “grande proposta” «Taylor, stavo cercando proprio te»
«Non vi seguo…» dico e Laura mi fa un cenno con la testa.
«Taylor, i tuoi ultimi voti in inglese sono eccellenze, no?» fa la Ranieri muovendo ripetutamente le mani, una cosa davvero, davvero snervante.
«Si, è l’unica materia in cui ho questo risultati» rido, ma lei è serissima.
«Puoi seguirmi?» chiede facendomi cenno di affiancarla, la cosa mi puzza di bruciato, ma Laura sta sorridendo ancora più di prima e mi guarda incoraggiante, così mi sento un po’ più sicura.
Cosa vogliono da me, però, non l’ho ancora capito.




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


But what do you say to taking chances?
What do you say to jumping off the edge?
Taking chances - Celine Dion

 

Cap 2.
 

Taylor

«Allora?»
«Allora cosa, Taylor?»
«La stessa cosa che vi sto chiedendo da due giorni, mamma!»
Ok, questo è troppo.
Mi alzo da tavola sbattendo la tazza del latte e me ne vado in camera.
È tardi, che novità! Devo scegliere ancora cosa mettermi, così mi butto di testa nell’armadio in cerca di qualcosa che sia degna per quello che rinominerò il giorno più brutto della mia vita. Il giorno in cui rifiuterò la più grande occasione che mi sia mai capitata.
«Taylor, ne abbiamo già parlato» dice mio padre fermandosi sullo stipite della porta, mi giro di scatto verso di lui con uno sguardo che potrebbe incenerire anche uno sbriluccicante Edward Cullen.
«No, voi avete parlato, non io, non volete neanche che vi spieghi quanto sia importante per me! Vi interessa solo che non perda giornate di scuola e vada da sola a Londra!» sbraito isterica.
Lancio uno sguardo al soffitto sperando che almeno le facce di quei cinque possano calmarmi, ma non faccio altro che peggiorare la situazione. A Londra voglio andarci anche per loro.
«Taylor, il fatto è che…»
«Il fatto è che non vi fidate di me»
«Esatto»
Come può mio padre affermare che non si fida di me? Ci vuole un bel coraggio per dire una cosa del genere!
«Solo perché degli stupidi professori dicono che ultimamente sto esagerando non vuol dire che sia una cattiva ragazza, una depressa, una drogata o una troia. Sono sempre io, la ragazza che andava in una scuola privata con le suore, sto solo crescendo e affrontando il liceo.» dico e, sinceramente, mi stringerei la mano da sola per questo discorso molto…ispirato.
«Taylor i tuoi professori hanno ragione»
«Con questo stai dicendo che è più importante ciò che pensano loro di quello che ti dico io?»
«No, però…»
A quel punto arriva anche mia madre per sostenere la loro battaglia.
«Voi non capite, vero?»
«Cosa non capiamo? Che vuoi andare a Londra?» chiede mamma appoggiandosi a papà. Di solito è lei quella buona e malleabile, ma non sta volta.
«No, non capite quanto sia importante. Dicono che dobbiamo rincorrere i nostri sogni, e io come faccio con voi che me lo impedite?»
Due a zero per Taylor, fuck yhea!
«Il fatto è che è per tanto tempo! Fosse stata una settimana ok, due anche, ma un mese? Sai quant’è un mese?»
«Si, sono quattro settimane, trenta giorni e 720 ore, ti basta così?»
Ok, con questa voglio l’oscar. Tre a zero per Taylor.
Mi infilo la maglia che prima avevo afferrato dall’armadio, quella con la bandiera inglese (oh, che combinazione) e con un’uscita plateale raggiungo l’ingresso dove cerco di infilare le converse senza slegare i lacci.
«Taylor perché fai questa tragedia per niente?»
Persiste mia madre raggiungendomi, proprio non vuole capire.
«Continua a fare finta di non capire, tanto è lì che me ne andrò all’università. A Londra, non qui in Italia, in Regno Unito. Meglio che iniziate ad abituarvi all’idea.»
«E ora questo cosa c’entra?» si intromette papà e a quel punto non ce la faccio più.
Mi allungo verso la cartella che è a pochi passi da me e prendo il solito cappello con in mio fidato IPod.
«Niente, comunque oggi a scuola la preside vuole incontrare i genitori degli alunni prescelti, non vi obbligo ad andare, sappiate solo che se non partecipo a questo dannato viaggio ce l’avrò con voi per il resto della mia vita»
Apro la porta, faccio un sorriso falsissimo a trentadue denti e la sbatto con tutta la forza del mondo.
Esco di casa e mi incammino verso scuola.
Ditemi voi se è modo di iniziare una mattina, questo.
 

Laura

6.30. Cazzo fa freddo anche in casa. Dov’è la felpa?
«Mamma,allora che ne dici del viaggio? Sarebbe una bellissima esperienza e … »
«Per me e tuo padre va bene»
« … dopo tutto sono stata una settimana dagli zii in Francia e poi … »
«Ho detto che va bene»
« … poi in gita in terza media siamo andati senza genitori a Berlino e me la sono cavata benissimo,e … »
«LAURA!»
«Mamma non alzare così la voce,che la rompipalle dorme ancora e se sei nervosa tranquilla io me la caverò,sai che sono responsabile,insomma ho fatto da babysitter ai figli della vicina,ai miei cugini e … »
«Laura se non mi fai parlare il viaggio lo sogni»
«
Eh?»
«Hai capito quello che ho detto o devo ripeterlo?»
«No mamma. Ricevuto mamma. Avviso Taylor che io vado. Mi tiri fuori la valigia gialla dato che oggi non vai a lavoro? Voglio portarmi la maglia a righe, ma la metto solo con i jeans della fornarina, perche solo quelli ci stanno bene, quindi mi devi prendere la maglia a righe che ora sta a lavare e i jeans. Ah poi ci sono gli stivaletti con … »
«Ciao amore »mi dice di tutta risposta spingendomi verso la porta e porgendomi la mia borsa e l’ombrello pieghevole verdino.
«Ciao ma’ »dico dandole un bacio sulla guancia.
«CIAO PA’!» urlo per farmi sentire da papà e sento un “iao” provenire dal bagno.

 

Taylor.

 

È la terza ora di scuola, ma a parte questo non ho idea di ciò che sta succedendo in classe. Di che sta parlando la professoressa, di che ore sono o di chi stanno sparlando Giulia e Silvia davanti a me, seguo solo i fitti discorsi che intraprendo con Luca, il mio compagno di banco. Abbiamo da poco chiuso l’argomento moto del quale, stranamente, me ne intendo abbastanza e stiamo affrontando quello musica. O meglio, lui parla, anzi straparla, e io lo contesto ogni tanto, quando esagera con le cazzate e cerco di consigliarli musica che possa essere definita musica.
Intanto mi fermo a guardarlo, come faccio ogni volta che ne ho l’occasione.
Lo guardo e come sempre penso che se si facesse i capelli castani, si togliesse quegli occhialoni neri e si alzasse un po’ potrebbe passare come copia perfetta di Harry Styles. I curly hair, quegli occhi da cucciolo e quel sorriso da mozzare il fiato ricordano proprio lui, Harry, e per me che sono sicura che l’originale non lo incontrerò mai, Luca è la miglior cosa che mi sia mai capitata.
«Capisci, la musica house non è per niente male, riesce sempre a tirarti su quando non ci stai con la testa e ti fa sempre ballare! Per questo mi piace tanto!» esclama guardandomi attraverso quelle lenti enormi, probabilmente senza quegli occhiali non lo riconoscerei… o lo scambierei per Harry.
«Non la penso così…» rispondo, ma sono una delle uniche che riesce ad andargli contro. Luca riuscirebbe a convincerti su tutto, a farti piacere una certa canzone, persino a farti credere che i maiali volano, perché quando lui parla pendi dalle sue labbra.
E se sei una Directioner avresti voglia di saltargli addosso all’istante, che è più o meno quello a cui sto pensando io in questo momento.
«Dimmi una bella canzone, allora!» mi sfida alzando un sopracciglio.
In quel momento sento il mio banco vibrare, o c’è un terremoto in corso oppure mi è arrivato un messaggio. Si, decisamente la seconda.
È di Laura, vuole che ci vediamo alle macchinette, così metto il telefono in tasca e faccio per alzarmi.
«Te lo dico nella prossima puntata» gli faccio un occhiolino e lui capisce che starò fuori per il resto dell’ora, o almeno per la gran parte.
Chiedo alla prof di uscire e lei dice subito di si, probabilmente non vede l’ora di liberarsi di me, pensa che stia distraendo Luca quando invece è lui che distrae me. Affolla la mia testa di strane idee, come tingergli i capelli e mettergli un microfono in mano. In effetti, mica sarebbe male…

 
Laura.
 

Terza ora. Piove a dirotto. Ora di storia dell’arte. Perché i pittori invece di rimanere chiusi in casa a disegnare non uscivano con gli amici? Insomma, io amo disegnare,però dai,esco con gli amici, vivo la mia vita, come si dice? Carpe diem, giusto? O qualcosa del genere.
Che ore sono? 10.20.
- … e quindi Brunelleschi fece questo affresco a pagina 342. Laura di che stiamo parlando?-
-Eh? Oh, di Brunelleschi ovviamente.-
-Un giorno ti beccherò mentre non segui la lezione e mi divertirò da morire a punirti-
Si, la mia professoressa di arte mi odia da morire solo perché in arte sono migliore di lei. E lei lo sa che io lo so.

A Taylor:
Qualunque materia tu stia facendo interrompi e vieni alle macchinette del secondo piano perché la macchinetta che fa la cioccolata calda sta solo lì. Ti aspetto per e 40 o meno un quarto.
Lo

Le macchinette sono la cosa più invitante e tentatrice che esista a scuola. La mia cioccolata calda è la fine del mondo. Ed è anche finita.
«Taylor non hai idea di che cosa mi è successo ieri, mentre andavo a comprare l’uva sai chi ho visto?»
«Chi?»
«Ho visto un ragazzo bellissimo! Era un biondino dagli occhioni azzurri che continuava a fissarmi. Ad un certo punto ero a dieci metri da lui mi giro e sai cosa stava facendo?»
«Cosa?» 
«Mi stava fissando il culo!»
«Ma nooo!»
«Si! Te lo giuro! Allora mi giro e vedo il mio angioletto che mi guarda il culo e quando si accorge che lo stavo guardando anche io prima arrossisce un po’ poi mi lancia un’occhiata de tipo “Fai attenzione ad avvicinarti che potrei saltarti addosso”»
«No vabbè…»
«Tu che combinavi in classe?»
«Parlavo con il mio Harry»
«Ma smettila»
«Scusate ragazze» dice il bidello «Siete Tania Acciani e Laura Parisi? Se è così la preside vi aspetta nel suo ufficio,o è per una punizione o è per un onore. Non avete né occhiali, né apparecchio e vi ho con dei ragazzi. Da ciò si deduce che non siete secchione sfigate,quindi ciò mi porta a pensare che sia una punizione.»
«Grazie eh!» diciamo all’unisono io e Taylor per poi incamminarci insieme verso la presidenza.
 

Taylor.

«Non ho fatto niente di tremendo e/o punibile, giuro! Ho colpito quella strega della Lomolo con una palla l’altro giorno, ma non penso sia punibile, o forse si? Be, di certo non l’ho fatto a posta, e poi quella mi odia, è risaputo e….» esordisco entrando presidenza con le mani sulla testa, Laura mi segue tranquilla, sicura che non ci abbiano convocato lì per qualcosa di negativo.
«Taylo, Taylor, calmati, sorprende anche me ma non sei qui per qualche demerito» mi stoppa la preside, la Carrante, una donna di mezza età con dei capelli corvini e degli occhietti dolci nascosti dietro un paio di occhiali. Ho sempre pensato che assomigliasse alla McGranit, la professoressa di Harry Potter, ma probabilmente sono io che vedo somiglianze in tutti.
«Salve preside» saluta la ragazza al mio fianco, la McGranit sorride composta.«Signorina Parisi»
Solo in quel momento mi rendo conto che la stanza è stracolma di gente, se fosse stato possibile avrei spinto il tasto rewind e rifatto la scena, perché lì, contro la parete, ci sono i miei genitori che mi guardano sconsolati a braccia conserte.
«Mamma, papà, siete venuti» sorrido a trentadue denti cercando di far scordare a tutti la mia “entrata trionfale”e lancio uno sguardo in giro in cerca di qualche aiuto divino, quattro ragazzi mi guardano divertiti dalle sedie davanti alla grande scrivania di legno, il resto dei genitori ha strane espressioni, tranne quelli di Laura, loro mi sorridono confortevoli, li conosco da sempre.
«Accomodatevi» ci consiglia la Carrante indicando le ultime due sedie rimaste, tra gli altri ragazzi. Mi sembra di non averli mai visti in giro, sono tre ragazzi e una ragazza, alcuni di loro li classifico come “senior”, altri si vede lontano dieci miglia che sono primini, la ragazza sembra avere la mia età.
«Penso abbiate capito perché vi ho convocati tutti qui» inizia la preside intrecciando le dita sulla scrivania, ci guarda uno ad uno da dietro gli occhiali.
Annuiamo tutti contemporaneamente.
«Bene, se siete qui vuol dire che avete accettato questa magnifica offerta che abbiamo proposto a voi sei, le più notevoli eccellenze in inglese della scuola. Dovete sentirvi onorati più che privilegiati, ve lo siete davvero meritato. Ora voglio che mi ascoltate anche voi, genitori, intendo spiegare meglio come si svolgerà il soggiorno a Londra. I ragazzi verranno affidati a coppia a delle famiglie selezionate personalmente dal nostro staff, dormiranno, mangeranno e potranno completamente affidarsi a queste, mentre di mattina frequenteranno dei corsi in un rinomato college in pieno centro.» la Carrante si ferma un secondo e sposta lo sguardo sui cassetti della scrivania, ne apre uno e inizia a frugarci dentro per poi tirarci fuori una busta bianca. «La partenza è prevista per il dodici, so che è tra due giorni e mi scuso per il poco preavviso, ma i tempi per sistemare le cose e scegliere gli alunni si sono prolungati più del previsto e quindi ci siamo ridotti a oggi. Qui ci sono i biglietti dell’aereo» la preside apre la busta e ne estrae sei foglietti rettangolari, scritti su ambi i lati «il ritorno è dopo un mese esatto dalla partenza, il dodici gennaio, per l’appunto. Ora, se non ci sono obbiezioni, proseguiamo all’estrazione delle famiglie. Avanti, ditemi le coppie»
Tra i genitori si alza un leggero brusio, io e Laura ci scambiamo uno sguardo d’intesa.
«Io e Daniele, glie l’avevamo già riferito» si fa avanti la ragazza sorridendo educatamente, da quello che mi ha detto Laura si chiama Letizia, il ragazzo al suo fianco annuisce.
«Se per i vostri genitori non ci sono problemi io non ne ho, ci tengo comunque a precisare che avrete camere differenti»
«Si, era chiaro» dice il presunto Daniele e, a questo punto, penso che quelli che si stanno facendo avanti sono i suoi genitori. “Si” confermano contemporaneamente a quelli della ragazza, o forse è il contrario? Chi lo sa!
«Taylor, tu che mi dici?» chiede “il capo” come se fossimo grandi amiche.
«Io e Laura» rispondo sorridendo e indicando quest’ultima, i nostri si lanciano sguardi d’intesa.
«Signori…Acciani e Parisi, per voi va bene?»
«Si, anche se non te lo meriti» sbuffa mio padre e mi lancerei volentieri verso di lui per abbracciarlo, deve aver convinto mamma che comunque mi guarda sorridendo.
Si, vado a Londra, si, SI! Non sono mai stata felice come in questo momento, giuro.
«Certo» rispondono i genitori di Laura, mi giro verso di lei e ci battiamo un cinque sonoro.
«Io e Davide» esulta un ragazzo biondino sulla sinistra indicando quello al suo fianco.
«Io e Andrea» continua l’altro, un brunetto dagli occhi scuri, indicando a sua volta il biondo.
«Genitori?»
«Siamo d’accordo»
«Bene, allora le coppie sono sistemate, manca solo l’estrazione delle famiglie» annuncia la preside chiedendoci di alzarci e avvicinarci alla scrivania.
La Carrante dispone tre buste di carta bianche con su stampata una lettera dell’alfabeto. A. B. C. Guardo quelle lettere come se la mia vita potesse cambiare in base a una di loro, in base alla famiglia a cui verremo assegnate.
A quel punto partono i film mentali e una strana agitazione mi prende e si mette lì, sulla bocca dello stomaco, come a volermi convincere che davvero dipende tutto da quelle lettere. Guardo Laura, ma non riesco a capire a cosa sta pensando, se anche lei è tutta in subbuglio o sono io l’unica che si sta facendo tutti questi problemi. Inizio a fare strani calcoli per riuscire a decidermi a prendere una cazzo di busta, ma il momento magico finisce.
Gli altri hanno già scelto la loro lettera, ne manca una sola, la nostra.
La C.
Mi sa tanto di fregatura, l’ultima ruota del carro, lo scarto.
Tiro un sospiro mentre la preside prende le tre buste e le apre cautamente, quasi inconsciamente incrocio le dita e continuo a chiedermi da dove viene tutta questa agitazione.
«Quindi, Davide e Andrea la A, ecco qui» inizia lei estraendo un foglio dalla busta e passandolo ai ragazzi.
«Letizia e Daniele,  la B»
La Carrante si avvicina a noi e, cautamente, consegna la busta nelle mie mani.
«Mi raccomando, tienila a bada» disse strizzando un occhio a Laura, lei annuisce divertita.
«Vediamo che ci hanno lasciato…» quasi sussurra la ragazza non appena la Carrante sparisce tra la folla di genitori.
Sul foglio che ora ha tra le mani c’è una specie di carta d’identità della famiglia, in alto a destra una foto che li ritrae.
Sono in quattro, due bambini, gemelli presumo, che non dimostrano più di quattro anni e due adulti, una donna dai lunghi capelli rossi e un uomo con una barba incolta e i capelli spettinati.
«Però, mica è andata male» esclamo leggendo l’età dei due grandi, lui, Bryan, ha 32 anni, lei, Charlotte, 30.
«Sarà una gran figata!» esulta Laura entusiasta, un sorriso grandissimo sul suo viso.
Nella busta ci troviamo anche i biglietti dell’aereo, con tutte le date e gli orari.
Così, in quel momento, capisco che ora non è più solo illusione, che Londra non è più così lontana. È lì, tra le mie mani, ne sento il peso.
Voglio sfruttare quest’occasione, voglio che sia tutto speciale.

 
Laura.

 
Ecco la solita pizzeria in cui ci vediamo ogni weekend con gli Acciani e i miei zii.
«Taylor!» saluto calorosamente la mia amica.
«Hei Lo!» risponde lei. E ci andiamo a sedere.
Ovviamente quella non era un’uscita per stare insieme e ridere,ma era mirata all’argomento “Londra”.
«Allora Patty, tu la fai andare Taylor a Londra?» chiede mia madre appena ci sediamo «Noi Lo la mandiamo,la reputiamo abbastanza grande per affrontare un mese all’estero … cosa ne pensate?» finisce la frase mia madre.
Guardo Taylor mentre lei fulmina con lo sguardo i suoi genitori.
«In realtà Angi io mi fido di Taylor… però,in casa con degli sconosciuti,per giunta trentenni e con due figli,io davvero non so … »
«Ma Patty,quei due sono adulti e vaccinati,non credi che meriterebbero una chance? Insomma cosa possono combinare dopotutto? È grande e sa anche badare ai piccoli,quindi potrebbe dare anche una mano in casa come Laura.»
«Cosa potrebbe combinare?» sbotta il padre di Taylor «l’altro giorno ha quasi fatto scoppiare un’ incendio per preparare un cappuccino e io la davo mandare a Londra da sola» risata generale. Ok,lo ammetto, ho riso anche io un poco ma era inevitabile,la faccia del padre di Taylor era veramente esilarante!
«Ormai abbiamo deciso,quindi ci vediamo alle 8.00 all’aeroporto per la partenza!» sbotta Taylor e con nonchalance comincia a tagliare la sua pizza Francesina come se nulla fosse.
Certo che quando ci vediamo con gli Acciani vuoi o non vuoi finiamo sempre a ridere.



__Vas Happenin'?__

Heilà gente! Oggi il Vas Happenin' lo scrivo io, Comiky.
Be', che dire, scrivere il capitolo è stato un parto, davvero!
Però adesso mi fate il piacere di leggerlo e recensirlo sto capitolo,
Understend?
Ahahah dai, tranquille, scherzo.
Fatevi sentire, un saluto anche da If_you_Belive.
Alla prossima, 
Comiky

 

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