Gorecki - Gentle and Peacefull in a World of Madness.

di Bianca Wolfe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-If I should die in this very moment. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-Some things aren't meant to be. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2-Then I will carry you in that day. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3-A dad's hints. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4-As above, so below. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5-It's probably the best for you. ***



Capitolo 1
*** Prologo-If I should die in this very moment. ***


Prologo
If I should die this very moment

 

 

 

 

 

 

 

Non mi ero mai resa conto di quanto l’asfalto potesse essere duro: sotto le suole delle scarpe sembra quasi sgretolarsi quando è fresco. Il calore si profonde tutt’intorno a me, ma è un calore metallico, così come l’odore che mi circonda. La testa mi pulsa, mentre un dolore lancinante quasi mi permette di non pensare. Una cacofonia di suoni riempie l’aria: sirene della polizia, dell’ambulanza… Ma la sua voce dov’è? Perché non è qui? Perché non mi spiega con le sue calde parole cosa mi sta accadendo, perché sto così male?
            « Non capisco » mi ritrovai a mormorare piano, la voce fievole, anche se avrei preferito fosse più forte e sicura.
            Fu allora che una voce in lontananza iniziò a chiamarmi: « Signorina? Signorina? ». Le parole erano scandite, lente. Ero più che sicura che fosse il mio cervello a rallentare la voce dell’infermiere.
            « Signorina, la stiamo portando in ospedale » ancora quella voce in lontananza. Oltre all’uomo – riuscii a distinguere – c’erano altre due persone, altri due infermieri che in modo agitato cercavano di tenermi sveglia, se non addirittura in vita. Ma tu dove sei? Dovevano averlo già trovato, avvertito che fossi in un’ambulanza, diretta all’ospedale. E lui sarebbe dovuto correre da me; sarebbe dovuto essere accanto a me, la quarta persona, a stringermi la mano, a dirmi che sarebbe andato tutto bene.
            Mentre trascinavano il lettino, sentii un distinto “Dov’è?” e finalmente mi lasciai trasportare da un debole sorriso: era lui, era arrivato. Molto probabilmente, mi vide, perché sentii la sua mano calda nella mia, quasi insensibile ormai ed esangue.
            « Signore, deve andarsene! » grido una donna tra gli infermieri, che continuavano a spingere il lettino su rotelle a una velocità stratosferica. A quanto pareva, le mie condizioni erano critiche.
            « Resta con me » mi sussurrò lui, prima di lasciarmi la mano.
            Evidentemente, eravamo entrati in sala operatoria – luogo in cui non gli era permesso entrare. Volevo solo piangere, avevo paura. Come avevo fatto a fare quell’incidente? E perché, poi? Non trovai la risposta: all’improvviso, persi coscienza e fu tutto buio.














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Note dell'autrice:
Prima di tutto, salve! Non ho molto da dirvi, più che altro mi scusa per quanto sia breve questo prologo. Ma volevo che fosse incisivo e dritto il punto. Quindi, BOOM! Ecco la caccavella che ne è uscita.
Spero che almeno v'incuriosisca - anche il soggetto, che è il mitico Logan Lerman (per il quale provo una profonda infatuazione da ben due anni, ebbene sì).
Che altro dirvi? Niente. Anche se mi piacerebbe una recensioncina, anche una critica, per me è un momento di crescita personale.
Bye, Sara <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-Some things aren't meant to be. ***


Capitolo 1
Some things aren’t meant to be

 

 

 

 

 

 

 

« Perché ti butti così giù? » quando Valerie mi pose quella domanda, non risposi subito. Già: perché mi buttavo così giù? Non sapevo che dirle; sapevo solo che era così e basta. Non ero fatta per vedere avverati i miei sogni. Anzi, a dirla tutta, non ero fatta per credere di riuscire a vedere avverati i miei sogni. Perciò mi strinsi nelle spalle, in tutta risposta, e continuai ad asciugare con lo straccio quel bicchiere dove poco prima un bambino aveva bevuto del latte.
            Valerie fissò il bicchiere. Probabilmente, lo stavo strofinando da fin troppo tempo, come se lo stessi massacrando. Lo poggiai, dunque, passando a una tazza che puzzava ancora d’orzo. Storsi il naso e mi misi all’opera con la pulizia. Lo avrete capito: lavoravo a un bar e Valerie Tuller era la mia collega, nonché migliore amica e consulente personale. Non che le chiedessi molto, anzi; le mie crisi erano ben poche, o almeno quelle di cui riuscivo a parlarle. In effetti, la maggior parte di esse me le tenevo per me. Perché? Perché ero fatta così.
            Ovviamente, voi non starete campendo nulla. Innanzitutto, di cosa stavamo parlando io e Valerie? Lavorare in un caffè non era l’aspirazione della mia vita. Fare l’attrice, lo era, ma il mio carattere mi permetteva ben poco di raggiungere quel mio grande sogno. Ho paura, continuavo a dirmi. Ed era vero. Non ero sicura di me e i complessi che la mia mente escogitava ogni giorno erano fin troppo forti per riuscire ad avere anche solo una parvenza di sicurezza.
            E come potevo essere sicura a Los Angeles? Con tutte quelle ragazze anoressiche che ricevono tutto dalla vita, capelli biondo platino e occhi quasi bianchi. Il sinonimo di perfezione, in quel posto. La stessa Valerie era da mozzare il fiato: non era anoressica, ma perlomeno era slanciata, alta. Avete presente, poi, le pubblicità degli shampoo? Dove i capelli delle ragazze sono sempre perfettamente acconciati e morbidi? Così erano i capelli della mia amica. Bionda, anche se scura, quasi castana, e occhi nocciola.
            Io? Io com’ero? Le curve non mi mancavano di certo. I miei capelli castani non erano nulla di speciale – un taglio comune –, mentre gli occhi… Li ho sempre ritenuti strani. A parte il fatto che fossero cangianti, ma all’interno erano marroni, e diventavano verdi man mano che si arrivava al limite massimo delle iridi.
            « Cosa ti costa andare agli studi e fare un provino? » ribadì Valerie. Ed ecco che ritorniamo alla fatidica domanda principale.
            Da dove comincio? « Non credo gli possa servire una tipa come me, tutto qui » mi strinsi nelle spalle, dicendo la pura e semplice verità. Chi potrebbe mai volere una ragazza come me per un film? Non era certo il ruolo principale, ma comunque non me la sentivo.
            Valerie fece una smorfia, come se stessi dicendo qualche scempiaggine. « In questo modo, rimarrai per sempre qui » questa fu la sua sentenza. E poi andò a timbrare il cartellino, lasciandomi da sola con i clienti.

 

Sottovalutarmi di certo non era il mio hobby preferito, ma le persone che mi volevano bene erano ovviamente accecate dall’affetto. Mio padre, il resto dei miei parenti, la stessa Valerie: tutti convinti che fossi una mammasantissima della recitazione. Ogni volta che arrivava un complimento, nella mia testa partiva quel fastidiosissimo rumore che ogni gioco a premi ha per indicare la risposta sbagliata.
            Il tutto cambiò un giorno in particolare. Ero proprio nelle cucine, ad allacciarmi il grembiule in vita, quando Valerie mi raggiunse tutta eccitata. « Tu non potrai mai credere a chi è appena entrato! » esclamò, la voce tremolante e le mani che fremevano.
            Onestamente, non riuscivo a immaginare chi potesse essere quell’individuo che faceva emozionare così tanto la mia amica. Perciò scossi la testa e aspettai una risposta. Valerie si guardò attorno guardinga, e, a bassa voce, mi disse: « Logan Lerman! ».
            Conoscevo il nome, avevo visto anche qualche suo film, ma ero di gusti diversi per quanto riguardava gli attori, perciò non rimasi così spiazzata dall’annuncio. Insomma, non ero una fan. « Beh, potrai prendere il suo ordine » commentai.
            « Ma non sei per niente informata, vero? » lo sguardo che mi lanciò fu fulminante. « Logan è l’unico nome certo per recitare in un nuovo film, quello di cui ti parlavo l’altro giorno! Sai, qualche raccomandazione non fa mai male ».
            « Valerie! ». Ok, la cosa m’infastidiva: non mi piaceva l’idea che potessi essere una raccomandata, una che va avanti per forza d’altri e non per le proprie.
            Lei sbuffò. Evidentemente, le sembravo una – scusatemi il termine – rompipalle di prima categoria. Tornò al bancone: almeno lei ne avrebbe ricavato una chiacchierata.
            Lo ammetto: non feci a meno di lanciare un’occhiata oltre la porta della cucina. Sapete, vedere un personaggio famoso dal vivo è assolutamente un’esperienza strana. Strana nel senso che, chissà come mai, te l’immagini sempre distaccati, distanti. Logan Lerman sembrava, invece, un ragazzo comune, che, come tutti, beve il cappuccino con lo zucchero e non amaro perché “fa figo”. Il suo sorriso non era falso e tirato, ma timido, e ciò era evidente nell’espressione dei suoi occhi. Nessun attore è così bravo, mi venne da pensare.
            Ricacciai la testa, dicendomi che sarei potuta uscire dopo che Valerie l’avesse servito – altrimenti mi sarei ritrovata in un’imbarazzante situazione in cui l’amica avrebbe provato a, proprio come aveva detto lei poco prima, raccomandarmi. E così feci, ma Logan Lerman non se n’era andato; era seduto a uno dei tavoli a leggere qualcosa (probabilmente il copione).
            Valerie era entusiasta, il sorriso che sembrava permanente sul suo volto. « Ti sei persa una chiacchierata davvero stimolante » mi rinfacciò, e io risi di quella sua reazione.
            « Che peccato! » esclamai sarcastica « Scommetto che avrete parlato dei suoi bellissimi occhi… Di che colore sono? ».
            « Azzurri » rispose una terza voce « Anche se, in realtà, i miei occhi non sono stati nemmeno nominati, nel discorso ».
            Adesso, avete presente quelle figuracce che ricorderete per il resto della vostra vita? Questa l’avrei anche potuta dimenticare se non mi fosse stata rinfacciata più volte; eppure la gaffe che avevo appena fatto – anche se può risultare una cosa stupida – diventò uno di quei momenti. Mi voltai verso il signor Lerman. Non so che espressione avessi in quel momento, ma doveva essere buffa, perché lui rise. « Quindi è lei Madeline? ». Ah, sì, non ve l'avevo detto: il mio nome è Madeline.
            Valerie annuì. « Ed è molto più contenuta di così » aggiunse « Anzi, con gli estranei quasi non riesce a parlare ».
            « Beh, io sono Logan. Adesso non dovremmo più essere estranei, giusto? » disse con un sorriso a labbra serrate.
            Annuii, avendo ormai perso ogni capacità di parola. Forse perché avevo fatto quella figuraccia, forse perché – come aveva detto Valerie – non riuscivo a parlare con gli estranei…
            « Ehm… Sto creando troppa fila » disse quindi Logan, dato che nessuno riempiva il silenzio « Ci vediamo, ragazze » e con un ultimo sorriso, lasciò il locale.
            Mi lasciai andare a un profondo sospiro di sollievo: ero proprio negata. Anche Valerie era d’accordo con questa opinione, tant’è che, mentre servivamo alcuni clienti, mi chiese: « Perché con te è tutto così difficile? ».
            Scrollai la testa, stanca di quella domanda che, ormai, era diventata abitudinaria, giornaliera. La risposta era sempre la stessa: perché per me, Madeline Hofstadter, di anni diciotto, alcune cose non avevano modo di essere. E i miei sogni non si sarebbero mai realizzati, se continuavo su quella linea.








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Note dell'autrice:
Benvenuti al primo e ufficiale capitolo di questa storia. Come avrete notato, è completamente distaccato dal prologo (piuttosto drammatico). Ma vi sto preparando ahahah
Non ho molto da dirvi, solo che spero che vi piaccia anche questo capitolo :3
Baci, Sara.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2-Then I will carry you in that day. ***


Capitolo 2
Then I will carry you in that day

 

 

 

 

 

 

 

Come si può capire in che modo una giornata possa iniziare nel peggiore dei modi? Ecco a voi alcune delle ragioni più diffuse in tutta la popolazione mondiale: numero uno, una catastrofe di proporzioni apocalittiche – esempi lampanti sono tsunami, terremoti di magnitudo undici o attentati terroristici; numero due, quella serie di sfortunati eventi che riescono a stravolgere la nostra routine mattutina – figuriamoci quella del resto della giornata –, tramutando la nostra vita ordinaria a straordinaria almeno per un giorno; numero tre, il malfunzionamento del proprio telefono cellulare – motivo assai futile, ma capace di rovinarci una giornata; numero quattro, l’estrema convinzione che la propria vita faccia schifo.
            Riguardo quest’ultimo punto, vorrei soffermarmi. Perché, bene o male, il conseguente rammarico alle prime tre motivazioni è giustificato. La quarta, invece, è un qualcosa di psicologico da dover analizzare. Prima di tutto, perché una persona deve pensare che la propria vita sia un re-cesso e che non valga la pena di essere vissuta appieno? Basandomi sull’esperienza personale, risponderei che il tutto si basa sulle proprie capacità. Non tanto quelle che si basano sui cosiddetti talenti, ma più quelle riguardanti la sfera sociale: quei modi sfacciati che ti permettono di importi su altri, di far ascoltare alla gente le tue idee. Quei modi che riescono a strapparti da bocca la frase: “Eccomi, sono qui!”.
            Ecco di cosa mancavo, io. Ecco perché mi ostinavo a dire che tutto ciò che facevo non era nulla, in confronto a ciò che facevano gli altri. Apri gli occhi, Madeline, diceva una voce nella mia povera testa bacata. Dove mai finirai, di questo passo? Non lo so, non prevedo il futuro, era la mia sarcastica risposta. Eppure la mia coscienza mi avvertiva, cercava di dirmi che non sarebbe andata poi così bene, che a un certo punto mi sarei stancata di quel mio “buttarmi giù”.
            In particolare, una mattina mi sembrò la peggiore di tutte. Pensandoci adesso, mi viene da ridere, pensando che fossi una sciocca a preoccuparmi per così poco. Cosa accadde? A parte la mia solita depressione da “sono una buona a nulla”, quel giorno ebbi il mio primo bel litigio con la mia auto, proprio davanti al portone di casa. Una Mini un po’ vecchiotta, ma che mi aveva portato nei luoghi più disparati di Los Angeles per tre mesi interi da quando avevo preso la patente. Aggiungeteci che stavo andando al lavoro e avrete creato la mia catastrofe.
            Praticamente sarei arrivata in ritardo, avrei preso un rimprovero – cosa che per me era inaccettabile – e avrei dovuto fare un turno in più per farmi perdonare dal capo. Tutto questo mentre Valerie se la sarebbe sghignazzata come meglio poteva. Si presagiva, quindi, una pessima giornata? Sì. Se non fosse arrivato il mio salvatore.
            Non credo nei casi, che si sappia, ma non mi sarei mai aspetta che la persona che si fermò con la sua lussuosa macchina proprio accanto alla mia fosse proprio quella che pochi giorni prima era riuscita a farmi ammutolire. Insomma, in diciotto anni della mia vita come abitante della città che ospitava Hollywood, non avevo mai incontrato qualche personaggio famoso – incredibile, ma vero. E adesso mi ritrovavo a incontrare lo stesso attore a distanza di un breve arco di tempo.
            « Serve un passaggio? » mi chiese dopo aver abbassato il finestrino completamente nero.
            In un primo momento non lo riconobbi, presa com’ero a maledire il motore della Mini; infatti riuscì a rispondere con un: « Sì, grazie, sarebbe il massimo! ». Ma poi incrociai il suo sguardo e non feci a meno di arrossire. Logan Lerman, ecco chi era, gentile come sempre.
            « Per fortuna hai risposto! » esclamò con un sorriso. « Su, sali in macchina. Devi andare a lavoro, giusto? ».
            Annuii e, dopo aver raccattato tutta la mia roba, salii su quella macchina di cui non ricordo nemmeno quale fosse il modello. Intanto presi il cellulare, evitando accuratamente i suoi occhi, e chiamai mio cugino Harry, un meccanico, perché andasse a controllare la macchina – e forse anche aggiustarmela. Una volta finita la chiamata, nell’abitacolo calò il silenzio, un silenzio imbarazzante.
            Logan guidava con naturalezza, lo sguardo fisso sulla strada, mentre io sedevo rigida accanto a lui, abbracciandomi la borsa. Non mi era mai importato dei personaggi famosi, e mi ero sempre detta che, semmai ne avessi incontrato qualcuno, sarei stata calma come al solito, ma con lui era diverso: sembravo non essere all’altezza di sedere accanto a lui, non mi ritenevo alla sua portata. Calmati, diceva la parte razionale del mio cervello. È un ragazzo normale, proprio come te – per quanto tu possa essere normale. Grazie per l’incoraggiamento, coscienza.
            Trovai il coraggio di voltarmi e di dire, con voce riconoscente e timida: « Grazie per il passaggio. Molti non si sarebbero nemmeno fermati ».
            « Figurati » rispose, mentre il sorriso riappariva sul suo volto « Mi sembrava di averti riconosciuta. E poi, eri in difficoltà: e io non mi tiro mai indietro quando si tratta di aiutare un’amica ».
            Amica? « Ma se non mi conosci nemmeno… ».
            « Imparerò. Intanto so già che ti chiami Madeline Hofstadter, ma preferisci essere chiamata Maddie, hai diciotto anni, lavori in una caffetteria, ma vorresti fare l’attrice e hai un’automobile che non funziona ». Ogni tanto, mentre compilava quella lista, mi lanciava uno sguardo per vedere quale fosse la mia espressione.
            Ovviamente, ero molto confusa sul fatto che volesse conoscermi, ma anche divertita, tant’è che risi, appena ebbe finito. « Beh, è già molto per un novellino ».
            « Lo credo anch’io! E, a proposito, posso farti una domanda? ».
            A questo punto, entrai in iperventilazione senza riuscire a controllarmi. « Certo ».
            « Beh… Vivi a Los Angeles, sei un’attrice e hai studiato per diventarlo. Perché non hai mai fatto un’audizione? ».
            Eccola, la domanda che temevo. Ogni persona nuova che conoscevo finiva per chiedermi la fatidica domanda. La seconda domanda che mi ponevo da sola, adesso, era: posso espormi del tutto a uno sconosciuto di cui, seppure sia famoso, non conosco le vere intenzioni? Posso dirgli chi sono realmente? Ovvero Maddie, la ragazzina spaventata del mondo? Chiunque sano di mente e non in preda a un attacco di fan-girling avrebbe detto no. Ma io non ero una sana di mente – ma non ero nemmeno sua fan –, quindi gli risposi in tutta sincerità, parlandogli della mia paura di sbagliare, di essere respinta, che i miei sogni rimanessero in un cassetto e neanche integri come erano prima che fossi buttata giù.
            Logan ascoltò in silenzio e, intanto, mentre parlavo, eravamo anche giunti a destinazione e aveva spento il motore, ma mi lasciò parlare fino alla fine. « Secondo me » disse quindi « dovresti darti una possibilità ». Parlò con tono pacato, come se le sue parole fossero le più naturali di questo mondo. Ma mi aveva sentito?
            « Sì, certo. E come? » replicai con una risatina sarcastica, incrociando le braccia e sprofondando nel sedile.
            « Credo che tu abbia sentito parlare del nuovo film che dovrò girare. Cercano ancora attori per delle parti di secondo piano: è pur sempre un inizio! Perché non ci provi? ».
            Lo guardai come se fosse impazzito, allora aggiunse: « Domani alle quattro di pomeriggio iniziano i provini. È l’ultimo giorno disponibile. E dato che la tua macchina non funziona, ti accompagnerò io, così potrò anche controllarti ».
            Non riuscii a non nascondere un sorriso. Quel ragazzo era davvero incredibile: sapeva essere dolce e impacciato, ma anche determinato e serio. Chissà cos’altro nascondeva… Sospirai. « D’accordo. Ma solo perché mi hai accompagnato fino a lavoro ».
            « Bene. A domani, allora. Verrò a prenderti alle tre in punto » mi salutò soddisfatto, mentre io abbandonavo l’abitacolo. Lo salutai con la mano e, dopo aver chiuso la portiera, entrai nel bar con un sorriso ebete stampato in faccia che Valerie non poté non notare.
            Subito mi chiese: « Quella non era assolutamente la tua auto. Chi era? Era un ragazzo? Era carino? » iniziò a tartassarmi, ma non mi diede il minimo fastidio. Anzi!
            « Non ci crederesti mai » commentai, mentre mi spogliavo del cappotto e indossavo il grembiule.
            « Mettimi alla prova, no? » sembrava eccitata. Dopotutto, non era cosa di tutti i giorni che venissi accompagnata a lavoro. La mia routine era così abitudinaria che anche la mia migliore amica l’aveva assimilata, tanto da ricordarsela a memoria.
            « Beh, era un ragazzo e sì, era carino » risposi quindi alle sue domande. « E tu lo conosci bene! ».
            Fu allora che Valerie sgranò gli occhi. « E chi sarebbe? ».
            Borbottai, senza farmi capire. Ovviamente, lei mi guardò male e io dovetti risponderle con più chiarezza. « Logan Lerman » dissi a bassa voce. Ciò che avvenne dopo – l’esplosione emotiva di Valerie, intendo – potete benissimo immaginarlo. Dovetti spiegarle che non era come pensava lei, che non m’interessava (o almeno così credevo al tempo) e che l’unico motivo per cui mi aveva accompagnata era la sua innata gentilezza. Inutile dire che iniziò a crearsi dei film pazzeschi, manco fosse lei la protagonista delle sue storie. Ma, dopotutto, era anche per questo che Valerie era Valerie, e io l’adoravo per come era.
 

La mattina seguente passò lentamente. Molto lentamente, nell’attesa delle tre del pomeriggio. Passai la maggior parte del tempo, a lavoro, a pensare a cosa avrei dovuto indossare per l’audizione. Dovevo essere elegante? Casual? Una via di mezzo? Sospirai più e più volte, mentre Valerie cercava di aiutarmi, passando mentalmente in rassegna del mio armadio.
            Arrivarono le tre che ero in preda all’ansia. Un’audizione… Come facevo a crederci? Non sapevo nemmeno come sarebbe andata, cosa mi avrebbero potuto porre, che battute mi avrebbero fatto leggere.
            Aspettavo Logan davanti al portone. Per fortuna aveva una buona memoria, perché alle tre in punto fu lì, con la sua solita auto lussuosa. Entrai in macchina, salutandolo, e il mio timore doveva essere evidente perché, per tutto il tragitto verso gli studi cinematografici in cui si sarebbero tenuti i provini, tentò invano di tranquillizzarmi. Quando arrivammo, mi misi in fila, mentre tutte le altre ragazze gridavano e si emozionavano alla vista del famoso Logan Lerman. Incredibile come, in quel connubio di grida, io fossi l’unica persona agitata non perché lui fosse lì, ma per l’audizione. Una ragazza, dietro di me, aveva addirittura l’aria annoiata! Ma come fa?, mi chiesi ingenuamente.


Non ricordo quanto tempo aspettai, ma comunque non sembrò passare mai, e quando fu il mio turno, entrai nella sala e mi sentii avvampare. La pressione saliva a ogni passo, e sapevo che ero diventata rossa come un peperone. Respira, Madeline. Respira, mi ripetevo, ma non serviva a nulla. Salutai tutta la “giuria” cordialmente, e loro mi risposero allo stesso modo.
            Nessuno mi guardò in faccia per due minuti buoni, finché un uomo che stava leggendo delle carte alzò lo sguardo – forse era uno dei produttori. « Nome? » mi chiese.
            « Madeline Hofstadter » dissi con voce fortunatamente calma. In fin dei conti, ero una brava attrice.
            L’uomo sorrise. Evidentemente, aveva capito che, seppure ostentassi naturalezza e tranquillità al di fuori, al di dentro tremavo tutta. « Ed è qui perché? ».
            Onestamente? Mi ero aspettata di tutto, ma quella domanda proprio no. Rimasi in religioso silenzio per almeno cinque minuti, cercando di pensare a una risposta soddisfacente, piena di concetti e significati così da impressionarli. Ma il mio cuore diceva tutt’altro e parlò da solo. « So di non essere la migliore tra le attrici. So che probabilmente avrete già preso la vostra decisione, che avrete già scelto chi farà parte di questa produzione. Eppure io sono qui, per provare a realizzare un sogno » avrei voluto aggiungere un “Adesso tocca a voi”, ma non volevo sembrare troppo impertinente, perciò aspettai che mi ponessero un’altra domanda.
            Adesso non era solo il produttore, a sorridere, ma anche tutte le altre persone presenti nella stanza. « Bene, continuiamo ».


Rimasi in quella stanza più di chiunque altro, quel giorno. Che fosse un segno? Quando uscii, ero soddisfatta di me. Incredibile come mi sentissi leggera e… Forte.
            Trovai Logan ad aspettarmi in un angolo, per non farsi vedere dalle fan scatenate. « Come è andata? » mi chiese. Aveva un tono diverso, come se fosse consapevole di qualche cosa.
            « Hanno detto che mi avrebbero fatto sapere » risposi, e ci avviammo verso la macchina.
            Era strano da pensare, ma sembrava che io e Logan stessimo, pian piano, diventando amici per davvero. Si stava instaurando un rapporto di confidenza, e non ero più tanto agitata quando ero in sua compagnia. Il tutto in meno di tre giorni! Stavo facendo passi da gigante. Ben fatto, Madeline, diceva la solita voce nella mia testolina. Grazie, voce.










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Note dell'autrice:
So che sta accadendo tutto troppo in fretta tra Madeline e Logan. Per questo chiedo venia, ma se non fosse così ci sarebbero tanti di quei capitoli inutili e noiosi che voi vi stanchereste subito di questa fan fiction, e io non voglio che sia così. Dopotutto, è un qualcosa di fittizio no - anche se è un vero e proprio peccato. çwç
Comunque, spero che non vi stia deludendo, e che siate ancora curiose di sapere cosa accadrà più in là, seppure adesso il tutto sembri piuttosto ordinari.
Baci, Sara <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 3-A dad's hints. ***


Oh. Mio. Dio. No, dico, vi rendete conto? Quanto tempo è passato prima che aggiornassi questa storia? Quanto? Proprio per questo motivo, vorrei "giustificarmi", prima di lasciarvi al seguente capitolo: ho avuto altro a cui pensare. Molto altro. Della serie "ma che cazzo sto facendo?" (scusate la volgarità). Non state capendo, è comprensibile. Diciamo che le mie priorità si sono fatte sentire, e che, con mio enorme rammarico, ho lasciato un po' da parte la scrittura. Avevo troppe idee che mi vorticavano in testa e non riuscivo a metterle in ordine, per non parlare della mia autostima da scrittrice che si era andata a sotterrare a ventimila leghe sotto il mare.
Ma voglio promettervi che mi impegnerò di più e aggiornerò con una certa (si spera) regolarità. Mi prendo questo impegno, e se non lo mantengo siete autorizzate a darmi a sprangate in testa.
Ora vi lascio alla lettura di questo corto capitolo. Un bacio.
Sara.


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Capitolo 3
A dad’s hints

 

 

 

 

 

 

 

Quando la fatidica frase “Dobbiamo parlare” viene pronunciata da un padre due possono essere le reazioni: ascoltare di buon grado ciò che ha da dire, al limite dell’imbarazzo, oppure scappare a gambe levate. Adesso: mio padre era la persona più dolce che conoscessi, severo e autoritario nei momenti giusti, che si arrabbia davvero solo in rarissime occasioni, ma – se lo fa – solo perché è per il mio bene. Con ciò non voglio dire che è un dio misericordioso, è soltanto un padre che ha capito bene qual è il suo compito. È la perfetta antitesi di mia madre: per niente calma, affrettata, quasi sempre pronta a scoppiare in un esaurimento nervoso.
            Comunque, dicevo, la frase… C’erano poche volte in cui mio padre la pronunciava, ma lo si sarà capito dal (non tanto) dettagliato profilo caratteriale che ho appena proposto. Eppure, ogni volta che la ripeteva era sempre perché aveva capito che avevo qualcosa di diverso; che mi era capitato un avvenimento particolare, che avevo conosciuto persone nuove… Praticamente, ogni volta che mi sentivo felice, lui mi analizzava prontamente e percepiva subito il cambiamento.
            « Dobbiamo parlare ». Lo disse un pomeriggio, circa una settimana dopo la mia audizione. Ovviamente, avevo detto ai miei genitori del film per cui mi ero presentata, ma non avevo parlato loro di Logan – con cui, ogni tanto, uscivo insieme a Valerie e che ci veniva a trovare spesso alla caffetteria. Si stava instaurando un bel rapporto di amicizia che mai avrei creduto possibile. E poi mi divertivo, in qualche modo, a scappare via dai paparazzi per non farmi fotografare: fino ad allora ero stata bravissima a scansarli tutti, e non gli avevo mai permesso di scattare una foto decente. Quindi non avrebbero mai potuto scoprirmi, soprattutto mia madre, intenditrice in riviste sul gossip.
            A ogni modo, annuii. « Certo, dimmi tutto » risposi cercando di ostentare naturalezza, ma sapevamo entrambi che sapevo ciò che stava per chiedermi.
            « Hai, per caso, conosciuto un ragazzo? » quella era una delle domande per cui mi ero preparata psicologicamente.
            Avevo già la risposta pronta: « Sì, ma è solo un amico ». Avevo optato per la verità. Se gli avessi mentito, l’avrebbe comunque saputo, e avrebbe trovato sempre il modo per scoprire cosa nascondevo. Perciò, non c’era modo di scamparla.
            Mi scrutò, e quando decise che ero stata sincera, passò subito a quella che io definivo “la morale”. « Semmai questo ragazzo diventasse più che un amico, ti raccomando l’attenzione, soprattutto se si tratta di un attore di Hollywood ».
            Rimasi piuttosto sconvolta da quell’ultima affermazione. « Ma come…? » non mi diede il tempo di completare la domanda.
           « Con gli attori può finire sempre male, sia che abbiano buone intenzioni, sia che ne abbiano di cattive. Dalla loro parte hanno la capacità di saper fingere, e ci vuole poco che riescano a ingannare qualcuno con i loro bei visini truccati! Possono usarti e gettarti via in un istante. E seppure siano sinceri nei loro sentimenti, spesso e volentieri sono costretti a partire lontano per andare a girare un qualche film e non tornano dai tre ai sei mesi. Mica può portarti con te sul set, no? E anche se volessi andare a trovarlo, hai la tua carriera a cui pensare! Se anche tu riuscissi finalmente a diventare attrice, proprio come desideri, tesoro mio, anche tu sarai costretta a raggiungere luoghi sperduti per lavoro. Quando avrete il tempo di vedervi? Quando? ».
            Ascoltai il tutto con aria scettica. Gli avevo forse detto che volevo sposare Logan? Mi sembrava proprio di no. « Ripeto e sottoscrivo: » dissi in tono solenne, appena capii che ebbe finito con la sua filippica « È solo un amico. E poi come hai fatto a capire che si tratta di un attore? ».
            « Ci sono cose che riuscirai a vedere anche tu, piccola mia » replicò saggiamente « Quando avrai un figlio tuo, potrai leggere nei suoi occhi come fosse un libro di grammatica per bambini ».
            Risi. Un libro di grammatica per bambini? A volte mi chiedevo da dove prendesse queste similitudini.

 

« Ti ha fatto la morale? » Valerie rabbrividì. Sì, le avevo riportato le parole di mio padre. Lo facevo sempre, dopotutto. Quando annuii, lei spalancò la bocca in una O e io gliela richiusi. « Attenta, o ci entreranno le mosche » dissi pacatamente, tornando a pulire il bancone.
            Dovete sapere che a Valerie qualsiasi forma di ramanzina con i propri genitori era un pugno nello stomaco. Lei ne era avvezza – i suoi genitori erano dei tipi severi –, perciò le odiava così tanto. Io, al contrario, le trovavo divertenti. Forse perché mio padre non era proprio il tipo severo e convenzionale di padre a cui la gente è abituata, come avrete potuto notare.
            « Scommetto che è stato orribile » continuò lei « Avere la morale per frequentare un figo assurdo, bravo e gentile come Logan! ».
            « Non ci stiamo frequentando! » mi affrettai a replicare. Quella risposta gliel’avevo data un centinaio di volte. « Siamo solo amici, Valerie, e questo tu lo sai ».
           « Maddie, Maddie, Maddie… » mi avvolse le spalle con un braccio « Come devo fartelo capire? Voi uscite insieme. A lui piaci. A te lui piace. Perché devi complicare le cose, eh? ».
            Risi, come facevo sempre ormai. « Vivi in un mondo di favole ».
            Il mio telefono, che si trovava sul bancone per chissà quale motivo, vibrò, segnale che fosse arrivato un messaggio. Valerie fu più veloce di me: afferrò il cellulare e lesse il messaggio. « È di Logan! » esclamò tutta contenta e con gli occhi che le brillavano. « Dice che vuole vederti perché ha buone notizie da darti… Oh, oh, Madeline! Chissà quali sono queste “buone notizie” » fece anche il segno delle virgolette, alle ultime due parole.
            Ripresi con forza il cellulare e lessi a mia volta il messaggio. « Non di certo quello che credi tu » sospirai.
            Ero certamente curiosa di quale notizia si trattasse. Forse si trattava del film, chissà… Sarà stato quello, ovvio, anche se non ero poi così fiduciosa.

 

C’incontrammo in un parco isolato di periferia. Chi avrebbe mai potuto trovarlo? Era ben nascosto e poco frequentato. Le prime volte ammetto di essere stata preoccupata che potesse esserci qualche tossicomane, ma Logan mi aveva assicurato che era un posto tranquillo, e mi fidai. Sarà stupido, ma avevo riposto molta fiducia in quel ragazzo. Non accadeva spesso: non sono quel tipo di persona che concede la propria fiducia al primo che capita. Eppure lui era così gentile, così sincero… Come poteva prendermi in giro un ragazzo del genere?
            Mi addentrai un pochino nel parco, finché non lo trovai seduto sulla solita panchina, a guardarsi intorno con le mani nelle tasche. Un sorriso affiorò sulle mie labbra e mi avvicinai. « Buon pomeriggio » salutai sedendomi di fianco a lui.
            « Buon pomeriggio » rispose, voltandosi a guardarmi e regalandomi un sorriso. Probabilmente mi aveva notato con la coda dell’occhio.
          « Allora, queste buone notizie? » andai al sodo, dato che quel bel sorriso che aveva mi metteva leggermente in imbarazzo. Sembrava dicesse tutto di lui, ma in realtà era enigmatico, non riuscivo mai a capire cosa significasse.
            A quel punto si alzò, e la sua altezza s’impose su di me. Alzai lo sguardo, sentendomi piccola piccola di fronte a lui. Evidentemente, se l’era programmato, pensai divertita tra me e me. Poi, finalmente, parlò: « La buona notizia consiste nel fatto che sei stata presa nel film » lo disse piano, con calma, ma non ci fu modo d’impedire alla gioia di travolgermi.
            Non ci avrei mai creduto, mai. Invece era vero: ero stata presa per un film. Mi ero buttata a capofitto in un’occasione e questa mi ha ripagato. Urlando di felicità, mi alzai dalla panchina e mi gettai al collo di Logan per abbracciarlo e renderlo partecipe del mio momento. Dopotutto, se non fosse stato per lui, non ce l’avrei mai fatta. Incredibile come uno sconosciuto possa cambiarti la vita in un modo così evidente. Mi strinse a sé e mi fece roteare, ridendo. Era una bella sensazione.
            Quando riuscii a calmarmi un pochino, sciogliemmo entrambi l’abbraccio e ci fu un lungo momento in cui i nostri occhi s’incontrarono. Non avevo mai notato quanto i suoi fossero così… blu. Erano fatti dell’acqua dell’oceano più puro, un oceano in cui volevo gettarmi. “Semmai questo ragazzo diventasse più che un amico, ti raccomando l’attenzione”, la voce di mio padre risuonò nelle mie orecchie come un’eco. Distolsi quindi lo sguardo e con la scusa di voler dare la buona nuova ai miei genitori e a Valerie, mi allontanai.
            Mentre digitavo il numero di quest’ultima, mi chiesi come avevo fatto a ridurmi in quel modo. Avevo avuto qualche cotta, in diciannove anni della mia esistenza, ma non mi ero mai interessata a un ragazzo in quella maniera. Cosa stava accadendo? Cosa rendeva Logan diverso dagli altri? Non me lo riuscivo a spiegare.
            « Pronto? Maddie? » Valerie mi distolse dai pensieri. Grazie, Valerie. Altri due minuti e sarei caduta in una crisi di panico. Avrei voluto dirle questo, sfogarmi con lei, ma poi pensai che Logan potesse sentirmi e perciò cercai di essere il più naturale possibile mentre le domandavo: « Indovina un po’ chi reciterà in un film? ». Valerie gioì per me, ma io sentivo le domande corrodere ciò che c’era dentro di me.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4-As above, so below. ***


Capitolo 4
As above, so below

 

 

 

 

 

 

 

Tanto in alto, così in basso. Questo è l'unico modo in cui possa descrivere il mio primo giorno di lavoro sul set. Avete presente quella bellissima sensazione di appartenere a un posto? Ecco il punto più alto della mia giornata: appena varcati i cancelli – insieme alla mia fedele Valerie, al fianco – del set, non potei non sorridere come un ebete. Non riuscivo a vedermi in faccia, ma sapevo che avevo lo sguardo dell’estasi. Anche perché Valerie continuava a rinfacciarmelo e a ridere di me in modo spudorato. Non volli contraddirla… Il punto più basso della giornata, per contro? L’incontro con Catherine “Cat” Fleble. La domanda sorge spontanea: chi diavolo è Catherine “Cat” Fleble? Facciamo un passo indietro.
            Come ho già detto, mentre facevo il mio ingresso trionfale da ebete sul set, Valerie non faceva che prendermi in giro. Per fortuna, a “soccorrermi”, arrivò Logan che salutò entrambe. « Ehilà, voi due! ».
            E proprio mentre la mia migliore amica stava canticchiando la sua famosissima canzone “Madeline è Santa Teresa”, si voltò di scatto verso l’attore e urlò senza pudore, e in perfetto stile fan: « Oddio, Logan Lerman! ». Lo avrete sicuramente notato, ma no, Valerie non si era per niente abituata al fatto di conoscere Logan Lerman.
            Il ragazzo sorrise. « È un piacere vederti, Valerie! Mentre filmiamo puoi avvicinarti al tavolo del buffet insieme ai tecnici » indicò un punto in lontananza dove, però, era ben visibile una calca di gente che mangiava ingorda. Questa è Hollywood, gente! « E Maddie, ti aspettano al trucco e parrucco » onestamente, non me l’aspettavo. Non avrei mai pensato che proprio in quel momento Logan mi prendesse per mano, per condurmi alla roulotte dove mi avrebbero acconciata per girare. Probabilmente arrossii, dato che sentii letteralmente le guance andare in fiamme. Credo che potreste immaginare la mia sensazione.
            Arrivammo in un arco di tempo relativamente breve – che invece mi sembrò durare un’eternità, come se il tempo stessp avesse rallentato di proposito per farmi sentire ancora più in imbarazzo – e Logan mi lasciò lì, augurandomi un buon divertimento con un sorriso irresistibile.
            Avevo ancora l’aria un po’ stordita mentre salivo le scalette e varcavo la soglia della roulotte. Mi accolse una ragazza giovane – doveva avere come massimo venticinque anni – di nome Ceryl, molto entusiasta. Nell’abitacolo c’era anche un’altra ragazza che stava asciugando i capelli ad una terza, bionda. Ceryl mi fece sedere a una di quelle sedie da parrucchieri e iniziò a lavarmi i capelli con minuziosa attenzione: di solito la mia chioma era intrattabile, ma sembrava che per la parrucchiera fosse facile maneggiarli – potevo dunque affermare con sincerità che era brava nel suo lavoro. Dopodiché, mi fece sedere accanto alla bionda, che veniva acconciata in maniera particolare.
            Mi lanciò uno sguardo strano, uno sguardo che non mi piacque tanto. Per niente. « Ma guarda tu » disse acida.
            « Cosa dovrei guardare, scusa? » replicai in modo non tanto amichevole. Ero timida, certo, ma quando qualcuno mi trattava in una maniera tanto cattiva, sapevo come difendermi.
            La ragazza ridacchiò sarcasticamente. « Certo che prendono chiunque in questi film. Perlomeno hanno avuto il buon gusto di scegliere una vera attrice come protagonista. Già, sarò io ad affiancare Logan Lerman in questa produzione… » sospirò sognante. Volevo picchiarla. Forte. « Dicono che sia un gran baciatore! ».
            Non dissi nulla. Come potevo risponderle? A quanto pareva, lei era la coprotagonista (una parte che avrei accettato con piacere), mentre io ero soltanto un personaggio inferiore. Avevo al massimo quattro battute!
            « Comunque il mio nome è Catherine Fleble, ma preferisco di gran lunga essere chiamata Cat » continuò la bionda imperterrita « E il tuo nome sarebbe…? ».
            Escludevo che fosse realmente interessata, ma risposi, a ogni modo: « Madeline Hofstadter ».
            Fece una smorfia, come se il mio nome le desse fastidio – come tutto il resto, a quanto pareva. Bene, era ufficiale: quella lì mi stava sulle palle.

 

A vederla meglio, dopo, non potevo negare la bellezza di Catherine: corpo perfetto, slanciato e magro, proporzionato; volto rotondo e fluenti capelli biondi; occhi cerulei, quasi grigi, labbra carnose e naso perfettamente levigato. Insomma… Una bomba sexy impareggiabile.
            Ero accanto a Valerie quando mi accorsi di tutte queste cose. « Secondo me, Logan non si lascerà abbindolare da quella… cosa! » esclamò, avendo notato il mio sguardo disperato. Sì, ero disperata. No, non sapevo perché lo fossi.
            « Perché dovrebbe interessarmi? Insomma, lei sarà la “compagna” di Logan in questo film. Punto. È normale, è lavoro » sembrava stessi cercando di convincere me stessa. Ma perché? Da quando conoscevo Logan non avevo mai avuto bisogno di giustificare il fatto che lui dovesse lavorare con altre ragazze. Ma adesso…
            « Perché sei cotta, ecco perché! C – O – T – T – A. Cotta fino al midollo, e non posso certo biasimarti: Logan Lerman è… uno strafigo, un bravissimo attore, un ragazzo fantastico, gentile, amorevole… ». Mi accorsi che Valerie era appena entrata in modalità fan scatenata. Una modalità preoccupante, se si conosce il soggetto in questione, colpito da tale scatto. Nel caso di Valerie, gli occhi iniziavano a illuminare e uno leggero strato di bava le ricopriva le labbra e le scendeva lungo il lato destro della bocca. Non è disgustato a vederlo, anzi: è piuttosto divertente. Uno show in piena regola. « Vero, Maddie? È vero che tu sei cotta di Logan? Cioè, si vede lontano un miglio! ».
            Non sapevo che rispondere. Setacciai la mia mente, cercando dei segnali che mi dicessero se fosse vero o no che provassi qualcosa in più dell’amicizia nei confronti di quel ragazzo. Iniziai a balbettare: « Io… Io non lo so, Valerie! » ero sull’orlo di un esaurimento nervoso.
            Ringraziai il cielo quando il regista chiamò tutti gli attori in scena. Svuotai la mia testa di tutto ciò che non fosse una mia battuta, per poi avvicinarmi al gruppetto.

 

Si trattava di un film d’azione: due giovani ragazzi venivano coinvolti in un complotto statale per via di alcune loro conoscenze informatiche e bla, bla, bla. Sembra il solito cliché, film già visti e rivisti, ma avreste dovuto leggere il copione per capire che, invece, era diverso: era… Toccante. La protagonista femminile, poi, era un non so che di meraviglioso: un personaggio pieno di rabbia, rancore, ma anche paura. La caratterizzazione psicologica era spettacolare. Durante una pausa feci anche i miei complimenti allo sceneggiatore.
            Intanto vi chiederete: ma tu, Maddie, che parte hai? Ero quella che dava ai due eroi l’ultimo pezzo, quello mancante per costruire un’enorme arma per salvare il mondo. Era una bella parte dopotutto, e avevo una specie di soliloquio molto breve con il protagonista maschile poco prima di morire. Sì, sarei morta, ma la cosa non mi dava molto fastidio. Anzi, morire è un momento clou per un attore, l’affermazione di tanti anni di studio.
            Iniziarono le riprese. Non mi sentivo molto a mio agio, davanti alla telecamera – dopotutto, era la mia prima volta –, ma dovevo trovare un modo per dimenticare che si trattasse di un film: dovevo immergermi nel mio personaggio.
            Ci trovavamo in una landa di desolazione metropolitana, completamente distrutta. I due giovani camminavano, guardandosi intorno e chiedendosi cosa sia successo. « Lei dovrebbe essere qui » stava dicendo Logan, nei panni di Flynn – così si chiamava il personaggio. « Il radar non sbaglia mai ». Un commento personale: Logan che recita dal vivo è uno spettacolo a cui spero possiate partecipare, un giorno.
            « Ma potrebbe essere ovunque, sotto queste macerie! » esclamò in risposta Catherine, interpretando Alex. Dovevo ammettere che era proprio brava…
            Io ero stesa sotto un enorme macigno, e solo la parte superiore del mio busto era visibile. Ovviamente, la roccia era finta, e molto leggera. Che magia! Iniziai a tossire, a gemere e a lamentarmi, feci di tutto perché sembrassi una moribonda e dovetti far bene, poiché nessuno della produzione fermò le riprese per rimproverarmi. I due sobbalzarono e si avvicinarono alla fonte di quel rumore. Sembravano sconvolti nel vedermi ancora viva sotto tutto quel peso, piena di lividi, graffi e sanguinante. « S- sapevo che… » tossii « Sapevo che sareste arrivati ».
            Avevo la mano sinistra contratta in un pugno, stringendo il famigerato ultimo pezzo. Pian piano, aprii la mano, mostrando a Logan e Catherine cosa nascondevo. I loro occhi brillavano, e mentre la ragazza prendeva l’oggetto, l’altro mi prese la mano appena libera. Tremai, ma questa volta per davvero. « Lasciati aiutare » gentile anche nel film… Mi veniva da piangere, e una lacrima solcò il mio volto.
            « Non c’è nulla che tu possa fare per me » replicai in preda agli spasmi. Questa volta erano finti. « Puoi farmi soltanto un piccolo favore… Se vuoi una cosa, prenditela! Non aspettare che il mondo finisca. Fa questo per me, e riposerò contenta » fu allora che chiusi gli occhi e spirai. Lasciai andare la mano di Logan e una sua lacrime mi finì sulla guancia.
            « E… Stop! » urlò il regista attraverso il suo megafono. « È andata bene, ma per sicurezza la rifacciamo. Ottimo lavoro, ragazzi! ».
            Aprii gli occhi e fui sorpresa di trovare Logan ancora chino su di me. « Sei stata bravissima, davvero » disse, aiutandomi ad alzarmi « Sei sicura di non aver mai recitato di fronte a qualcuno? ».
            « A meno che non l’abbia fatto da sonnambula, non credo proprio » sorrisi.
            Evidentemente tanta confidenza diede sui nervi a Catherine, che si avvicinò a noi e, scontrosa, disse: « Beh, io non la trovo così brava. Per colpa sua dobbiamo ripetere l’intera scena! ».
            Tanto in alto. Aggrottai la fronte, cercando di non picchiarla con tutte le mie forze e lasciarla sofferente sul pavimento.
            « La professionalità non è proprio nel suo carattere » proseguì, quindi, vedendo che non reagivo in alcun modo.
            « Perché non chiudi il becco, Catherine? » pensavo di aver pronunciato io quelle parole, invece era stato Logan. « Stan ha detto “per sicurezza”, non è stata colpa di nessuno. E Maddie è stata bravissima! ».
            « Per me invece è stata pessima. Ma ovviamente è soltanto rozza, non sa suscitare emozioni ».
            Così in basso. Avevo tentato, avevo tentato davvero… Ma con dei soggetti simili o gli si dà una lezione, o bisogna sopportarli e rimanere in tacito silenzio. E la mia pazienza aveva raggiunto il limite. La rabbia mi offuscò la vista e il pugno che colpì il suo bel visino partì da solo. Riuscii a udire un urlo concitato di Valerie, in fondo al set, prima che tutti si dessero da fare per soccorrere Catherine.








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Angolo dell'autrice:
Spieghiamo un paio di cose prima che possiate recensire. *musichetta di Elmo in sottofondo (?)* Allora, prima di tutto ammetto di non aver riletto e corretto come si deve il capitolo - soprattutto l'ultima parte -, ma appena lo farò, siate sicure che correggerò tutti gli errori.
Secondo: forse - e quando dico forse intendo sicuramente - avrò esasperato l'immagine di Catherine. Sappiate che questa persone esiste ed è proprio così. Quindi no, per me non è affatto esasperata. .-.
Terzo: se siete arrivate fin qui, avete un coraggio da vendere e meritate tutta la mia stima.
Un bacione,
Sara.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5-It's probably the best for you. ***


Capitolo 5
It’s probably the best for you

 

 

 

 

 

 

 

Avevo la vista offuscata, quindi non capii in pieno cosa accadde dopo che ebbi dato il pugno a Catherine. Sentivo le gambe molli, non mi reggevo in piedi. Pensavo che sarei svenuta di lì a poco, ma per fortuna Valerie venne in mio soccorso e mi sorresse. Tutto quello che continuava a ripetere era: “Ma dove hai trovato la forza?”, “Oddio!” e “Hai fatto proprio bene a darle quel pugno, se lo meritava!”.
            Intanto, attorno a noi, lo staff si operava per vedere se Catherine stesse bene. Non vedevo Logan, un po’ per la calca che si era venuta a formare attorno a lei e un po’ anche perché – come ho già detto – ero come febbricitante. Non capivo più nulla. Mossi le labbra, ma non percepii alcun suono uscire dalla mia bocca. Mi voltai verso Valerie. « Che ho fatto? » mormorai dopo essermi un po’ ripresa. Adesso la vista si era messa a fuoco e le gambe avevano ripreso forza.
            « Hai dato un pugno in faccia a quella smorfiosa! » esclamò lei e la sentii chiaramente in mezzo a tutto quel caos.
            Soltanto in quel momento mi resi conto del casino che avevo combinato. Seppure credessi fermamente che tutto quel trambusto per un semplice pugno fosse esagerato, sapevo anche che mi ero ficcata in un enorme guaio. Rischiavo di essere licenziata al mio primo incarico come attrice… E chissà se fossi stata ingaggiata di nuovo.
            Presi respiri profondi e regolari, tentando di calmarmi del tutto, ma non accadde nulla. Scappai via, in preda al panico, e mi nascosi dietro una roulotte. Scivolai lungo la parete di metallo e qualche lacrima mi scappò dagli occhi. Non mi ero mai comportata in quel modo, come sono potuta impazzire in tale maniera? Stavo forse diventando una di quelle psicopatiche con tre miliardi di gatti in un minuscolo appartamento e che adescano i bambini per squartarli e farci i brodi? Ok, stavo esagerando, ma mi sembrava tutto così orribile. Ero sempre stata una ragazza pacifica, eppure avevo appena dato un pugno – anche bello forte – in faccia a qualcuno perché… Perché? Perché ero gelosa, ecco perché.
            Udii dei passi che si avvicinavano, ma non me ne importò molto: prima o poi mi avrebbero trovata e l’unica cosa che potevo fare era accettare qualsiasi sorte avessero predisposto per me. Sapevo di aver sbagliato. Non guardai il volto di chi era venuto a cercarmi, ma aspettai che parlasse.
            « Quanto è stato soddisfacente? » dopo qualche momento di silenzio, la voce di Logan arrivò alle mie orecchie, e il mio cuore iniziò a martellare nel mio petto per la paura. Sì, la paura di una sua reazione negativa.
            Non risposi. Anzi, raggomitolai le gambe, tenendole ben strette tra le mie braccia, e affondai il viso in quel cuscino improvvisato. Avrei voluto urlare. Logan si chinò alla mia altezza, proprio davanti a me, perché sentii il suo respiro sulle mie mani quando riprese a parlare: « Ehi, guardami » la sua voce era dolce, rassicurante. Che non volesse “strigliarmi”?
            Alzai lentamente lo sguardo rosso di lacrime e lui mi sorrideva. « Devo ammettere che è stato un bel gancio. E se lo meritava ».
            Tentai anch’io un sorriso, ma ne uscì una smorfia piuttosto goffa. Dovevo sembrare un mostro!
            « Dai, alzati » mi porse la mano, e insieme ci alzammo da terra. Un ultimo singhiozzo uscì dalla mia bocca. « Se avessi un fazzoletto, ti asciugherei le lacrime… Torniamo dagli altri, il regista vuole parlarti ».
            « No! » esclamai, forse un po’ troppo forte « Non voglio tornare da loro… ».
            « Raccogli il tuo coraggio. So che ne hai tanto, nascosto lì dentro ».
            Chissà con quale di quel coraggio di cui stava parlando, in un momento come quello, quando la mia carriera appena iniziata era già sull’orlo del baratro, riuscii soltanto a pensare che quel ragazzo ci sapeva fare col gentil sesso. Scossi la testa, cercando di rimuovere anche fisicamente quell’idiozia dalla testa, deglutii sonoramente un altro malloppo di lacrime e cercai di darmi un contegno, asciugandomi il volto con le maniche larghe della felpa che indossavo (ebbene sì, al mio personaggio piacevano le felpe, a quanto pare).
            Seguii Logan ancora titubante, ma con la consapevolezza che, qualunque cosa fosse accaduto, me la meritavo – a parte morire, ovvio. Cavolo, sono ancora giovane! Zitta, voce petulante che abita la mia testa!
            Non c’era più alcuna traccia di Catherine. Probabilmente, aveva trovato una bustina di ketchup e se l’era versata addosso per simulare una bella perdita di sangue. Fintona. Il regista mi aspettava a braccia incrociate con un espressione che, dapprima, doveva essere seria, ma che poi si addolcì appena mi vide. Ripeto: dovevo sembrare davvero orribile…
            « Maddie, Maddie, Maddie… » anche la sua voce tradiva la sua non-durezza « Sai che ti sei cacciata in guai grossi. Vero? ».
            Annuii, sostenendo come meglio potevo il suo sguardo. Sospirò e sentii un braccio che mi strinse a sé. Era Valerie, che non era molto in vena di battute come al suo solito; anzi, era anche piuttosto seria. La situazione era grave. Il regista continuò: « E sai anche che non posso permettere che tu rimanga sul set, dopo quello che è appena accaduto ». Annuii di nuovo. Abbassai lo sguardo. Dopodiché sentii un respiro che emanava odore di sigarette misto a chewing gum alla menta proprio accanto al mio orecchio. « Ma sappi che lascerò la tua scena nel film, perché è stata davvero buona e per far rosicare la Fleble ».
            Voi direte: ma come? Sei stata appena licenziata e cosa fai? Sorrido. Sorrido perché, seppure il mio comportamento non sia stato uno dei più corretti, qualcuno ha capito le mie ragioni. E non si trattava solo di Valerie, o del regista. Accanto a me, anche Logan sorrideva, ed era questo l’importante.
            « Bene, direi che si riprende domani, visto che Catherine “non se la sente di continuare, per oggi” » quando citò la frase, il regista accompagnò il tutto con il gesto universale delle virgolette.
            Io e Valerie iniziammo già a incamminarci verso il parcheggio, quando entrambe udimmo un “Hey!” in lontananza. Era Logan. Ancora. Ci voltammo e l’osservammo mentre ci raggiungeva: di nuovo il cuore iniziò a martellare. Tu-tum, tum. Tu-tum, tum. Ritmico e inesorabile, avevo paura che potesse essere chiaramente udibile all’esterno così come lo era dentro di me.
            « Maddie… » aveva il fiatone, eppure il mio nome non era mai stato pronunciato così bene. « Vorrei accompagnarti a casa ».
            Valerie mi diede una gomitata, come per dirmi di andare. La guardai. « Ma Valerie…? ».
            Non mi diede nemmeno il tempo di concludere la frase. « Valerie starà bene. Valerie prenderà la tua auto in prestito! » e mi scippò le chiavi dalla mano e corse via, in modo che ogni tentativo di discussione andasse vano. Restammo soli e lui sorrise, di nuovo. Non chiedetemi come ho fatto a restare calma.
            In silenzio, mi prese per mano e mi condusse alla sua auto, ormai diventata alquanto familiare ai miei occhi. Salimmo e Logan mise in moto e partì. Non parlammo, ma quella quiete non era imbarazzante, era invece normale, intima. Perfetta. Come quando guardate il vostro lui, o la vostra lei, e non servono le parole. Come faceva quella canzone? Ah sì, more than words. Non c’azzecca nulla, ma mi era venuta in mente.
            Sostò proprio di fronte casa mia, ma non diede accenno di volermi salutare. Non che io lo volessi: mi sentivo in pace col mondo, in quell’abitacolo. Ma la quiete venne interrotta. « C’era qualcosa di più, dietro quel pugno, non è così? » chiese all’improvviso. « Non era solo per quello che Catherine aveva detto, giusto? ».
            Possibile che la gente riesca a leggere perfettamente me, ma che io non riesca a leggere perfettamente la gente? A quel punto, tanto valeva essere sincera… O perlomeno un po’. « Non volevo che ti baciasse ».
            « Ma in quella scena non c’era alcun bacio » rispose prontamente. Bene, era anche sveglio!
            « Lo so » replicai, quindi, con il mio tono più imbarazzato. Ti prego, fa che non sia diventata rossa!, questo mi dicevo intanto.
            Seguì un ennesimo, lungo silenzio.
            « Vorresti che baciassi te? ».
            Sì. « No », se non ero diventata un peperone proprio in quel momento, mi chiedo quando…
            « Sicura? ».
            No. « Sì ».
            Protese il volto oltre la leva del cambio manuale. « E se ti dicessi che io vorrei baciarti? ». Non avrei mai immaginato quanto serio potesse risultare mentre mi poneva quella domanda. Logan non era uno di quei playboy da strapazzo, tutti “dammela, ma domani non ci rivedremo più”. I suoi occhi trasmettevano timore, timore di un rifiuto. Proprio come mi ero sentita io poco prima.
            « A- adesso? » balbettai. Che idiota sono…
            Annuì leggermente e si protese ancor di più. Rimasi immobile, di ghiaccio. Durante il tragitto non avevo più pianto, il volto era tornato a un colorito piuttosto normale, mentre gli occhi erano ancora un po’ rossi. Eppure eravamo lì, lui voleva baciarmi seppure stessi di… Di… Lasciatemelo dire: di merda! Ma tutto passò. Al diavolo!, pensai e mi buttai. Durò quanto? Tre secondi? Appoggiai soltanto le labbra, ma le ritrassi subito – se ve lo state chiedendo, sì: era l’isteria.
            Logan mi guardò stranito. Io mi strinsi nelle spalle con un sorrisetto poco convinto. « Mi dispiace » dissi.
            « Possiamo riprovare, se vuoi ». Il suo sorriso gli illuminò di nuovo il volto.
            Il secondo bacio fu decisamente migliore. Non ero avvezza a certa pratica, ma con Logan sembrò tutto così facile. Intanto mi dicevo che era solo un bacio, ma non era così: non era un bacio come gli altri. Era un bacio che mi stava dando uno dei ragazzi più dolci che abbia mai conosciuto in vita mia… Il più dolce, a dire il vero. Era una magia, e il mio stomaco ne risentiva gli effetti. Sembra stupido dirlo, ma le farfalle che svolazzano esistono davvero. Purtroppo, nel mio caso particolare, non ne erano solo cinque o sei, ma un intero stormo che avrebbe potuto forarmi il corpo da un momento all’altro. Non fu proprio uno dei più romantici, visto quanto fosse scomoda la sua auto, ma fu lo stesso un bacio che non avrei mai dimenticato.






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Lo so, è passato più di un mese. Lo so, è corto. Lo so, non è bello come i precedenti. Però! Cioè, avete visto che è capitato, alla fine del capitolo? No, ok, non era un tentativo di "corruzione" nei vostri confronti, il capitolo mi è uscito semplicemente in questo modo perché... Perché volevo che accadesse.
In questo periodo sono successe un sacco di cose e sono sabato sono tornata a casa ispirata. Così.
Questo discorso non ha senso (infatti è solo un flusso di coscienza che dovrebbe servire a farvi capire in che stato si trova il mio cervello bacato). E comunque, se non avete capito, meglio così.
Spero di riuscire a postare il seguito il più presto possibile!
Un bacio,
Sara.

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