Black Ties

di Rita Scheen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dylan ed Aidan ***
Capitolo 3: *** Mia. Ellie, sei mia. Mia, mia. Sei mia. ***
Capitolo 4: *** Appiccicati, uniti. Una cosa sola. Eravamo una cosa sola. ***
Capitolo 5: *** In trappola ***
Capitolo 6: *** Tamburi ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Questo racconto è dedicato ad una persona realmente speciale, siamo vicine, molto, ma divise da 933 chilometri.
Da quando la conosco, ho sempre desiderato dirle molte cose, ma non sono brava a parlare espressamente, non lo sono mai stata.
Spero, in questi sette capitoli che scriverò, di riuscire a farle capire ogni cosa, omaggiandola dell'unica cosa che le posso offrire, le parole che sgorgano dalla mia penna.
Buoni quindici anni, Ellie.
Un giorno sarai libera.












S’avvolse nel lenzuolo, intriso del suo odore. Un buon odore. Di pulito, ma anche.. acido. Appena appena. Acre, forse. In qualche modo, le portò alla mente di quando era piccola. Piccola? Erano solo.. Due anni.
Ed erano successe così tante cose. Con un sospiro si rannicchiò in posizione fetale, coperta dal lenzuolo freddo.
Adesso, era una donna. Ed era diversa, tanto. D’aspetto, di tutto.
Era davvero il caso di svelarsi ad uno sconosciuto? Uno sconosciuto, suvvia. Per quanti anni aveva consumato con gli occhi la sua immagine sui poster patinati che collezionava e attaccava in camera sua, protetti da buste di plastica trasparenti? Quanti articoli aveva letto? Tanti, troppi.
Eppure, non poteva conoscerlo. Non sapeva chi fosse in realtà. Conosceva solo un viso, un sorriso furbo.
Occhi vivi. Ecco, l’immagine che aveva di lui.
Voleva conoscerlo, arrivare a conoscerlo davvero. Nella speranza che sapesse smettere di fingere, e tornasse ad essere il ragazzo che doveva essere stato.
E se avesse finto così a lungo da diventare chi fingeva di essere? Sarebbe stato insopportabile.
Avrebbe fatto male, svelarsi ad un uomo che non sapeva più chi fosse.
La ragazza sospirò ancora, appoggiandosi sulla schiena e tirando il lenzuolo a coprirle il reggiseno scuro. Aveva le palpebre pesanti, gli occhi le facevano male e le bruciavano.
Li chiuse per qualche istante. Percepiva ancora la luce che era rimasta accesa, in attesa del suo arrivo, e sentiva d’essere osservata.
Socchiuse gli occhi di poco per controllare, ma non c’era ancora nessuno. Sarebbe arrivato, sì.
Ne era certa.
Non ne aveva mai avute troppe di certezze, nella vita, per non dire nessuna. No, sbagliato. Ne aveva avute, fino.. fino a un certo punto.
Poi.. basta. La sua intera esistenza era scoppiata in una bolla di sapone. Il suo muro era crollato. Forse, negli ultimi mesi le cose erano migliorate. Ma non era per niente convinta di poter ricostruire la sua vecchia vita, il suo vecchio muro.
I mattoni di quella vita, cadendo, s’erano sbeccati, o s’erano rotti. E non si poteva ricostruire un muro con dei mattoni rotti. Alla prima folata di vento, cadeva di nuovo.
Ed Ellie non aveva mattoni nuovi per ricostruire un muro, né per sostituire quelli rotti.
Si era ritrovata, semplicemente, con tanti pezzi di mattoni tra le mani, in un ricordo sfocato che faceva male.
Era a pezzi, semplicemente, anche lei come i mattoni. Non che avesse il cuore a pezzi, anzi, non aveva mai sentito espressione più sciocca.
Il suo cuore era a posto, al centro del petto, a pompare sangue per il suo corpo.
Era il resto ad essere rotto. Il pensiero, l’anima. I ricordi. Erano tutti rotti, in schegge troppo piccole per essere incollate tra loro.
Perché doveva farsi male in quella maniera, ricordando tutto quello? Era masochista, forse? Forse.
Sospirò, l’ennesimo sospiro della serata, mentre si portava una mano al ciondolo che portava sempre, facendolo correre sulla catenina.
Dei passi leggeri ma perfettamente udibili la riportarono alla realtà: la ragazza aprì gli occhi, e contemporaneamente la  bocca, mentre gli occhi da aperti si facevano sgranati, e la mano, dalla catenella, correva a tormentare l’angolo di un cuscino, nel tentativo di nascondere uno stupore esageratamente evidente.
 



‘No.. ‘






 

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Capitolo 2
*** Dylan ed Aidan ***





« H-Hai gli occhi verdi.. »
 
 
 


Mormorò a mezza voce la ragazza, con il viso luminoso, in uno stupore sincero. Fu l’unica cosa che riuscì a dire. Era troppo stupita. Girava tra le dita l’angolo del cuscino, senza farsi notare, e si passava la lingua sui denti, stando ben attenta che il ragazzo non notasse nessuno dei due gesti.
L’ultimo dei suoi mattoni sbeccati, era stato Ace. Un bel ragazzo. Alto, i capelli corvini, gli occhi verdi.
Non esisteva. Era solamente frutto della sua immaginazione.
Un gioco, nulla di più. Era nato come gioco di ruolo, con un’amica, nulla di più. Era stato l’ultimo mattone a cadere. Quello che aveva tenuto più a lungo.
Forse era anche per quello che si era tanto invaghita di Josh. Capelli neri, alto. L’unico difetto erano gli occhi, azzurri.
O almeno, credeva fossero azzurri. Invece erano.. Verdi.
« E i tuoi sono nocciola.» ,ridacchiò il ragazzo. « I truccatori erano sicuri che gli occhi azzurri sarebbero piaciuti di più. » spiegò poi assumendo un tono serio. « Porto continuamente delle lenti azzurre. Hanno cambiato anche il mio nome. Io, in realtà, mi chiamo Dylan. »
La ragazza ascoltava stupita, mentre lui si sedeva sul letto.
Era molto più bello, in jeans e dorso nudo, senza la riga nera di matita che gli solcava sempre la palpebra, dandogli quello sguardo che la faceva sciogliere dentro, con i capelli che ricadevano il avanti morbidi, senza strane creste di gel.
« Verdi sono belli. Anche Dylan, è bello. Come nome. » Si affrettò a replicare la ragazza, assumendo un aspetto dolce e furbetto, tipico suo.
Lo credeva veramente. E il fatto che gli assomigliasse talmente, la faceva sentire ancora più felice, e, allo stesso tempo, inquieta.
In ragazzo si avvicinò a lei, appoggiandosi agli avambracci.
Iniziò a baciarle con delicatezza la spalla, sfiorandole la pelle chiara con piccoli baci fugaci, per poi spostarsi, sopra di lei, mentre passava a baciarle il collo e il viso, per poi arrivare alle labbra, come l’ultima volta, lo lasciò fare.
La guardò per alcuni istanti negli occhi, prima di tirarsi sulle braccia, rimanendo sospeso sul suo corpo. Si mise a sedere accanto a lei, ancora coricata. Le accarezzava il viso, senza guardarla, perso in un ricordo lontano.
« Mio fratello era migliore di me in tutto. Io non sapevo fare nulla, se non suonare la chitarra. Così, mi prese nella sua band. Credo rimpianga ancora quel giorno. Infatti, una volta che lui rimase senza voce, cantai io. Neppure io sapevo di saper cantare. Sono diventato cantante dei Black Ties, gli ho rubato il posto. Sono diventato il fratello intelligente, capace di far tutto, lui la spalla. Quello che ero io prima, capisci? Eppure il maggiore era lui. E’ lui. Io vivo ancora nel senso di colpa. Porto la maschera di Josh così tanto che ho paura di dimenticare chi sono.»
Stava parlando sciolto, fissando il vuoto, dove probabilmente rivedeva quegli ultimi anni di vita scorrere. Posò la mano su quella del ragazzo che le accarezzava il viso e la fermò lì. Lui si era aperto, l’aveva fatto per primo, per metterla a suo agio.
« Io ero felice. Poi, troppo velocemente, è cambiato tutto. E da quel giorno io sono a pezz- »
La ragazza scattò a sedere, interrotta dall’echeggiare di singhiozzi.
Il fratello di Dylan, dietro la porta, piangeva, silenziosamente, ma non abbastanza.
« Hey, Aidan, aspetta..  » mormorò a mezza voce la ragazza, mentre Dylan si alzava dal letto e gli correva appresso.
Si fermò sui gradini di metallo del furgone, a guardarlo correre via. Se anche l’avesse raggiunto, non avrebbe saputo cosa dirgli.
Tornò dentro, con un sospiro, e la voce rotta, mormorò.:  « Continua, Ellie. Devo sentirti parlare. Mi piacciono le tue storie. »


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

‘Dylan,






tu stai..


 




piangendo.’




















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Capitolo 3
*** Mia. Ellie, sei mia. Mia, mia. Sei mia. ***


« Non c’è molto da raccontare, Dylan. Ero.. felice. Poi le cose sono iniziate ad andare male, tra i miei, con gli amici, vedi, anche a scuola era un inferno perché..»
S’interruppe guardandolo. Si sentì stupida, per aver parlato di sé. Sì, lui gliel’aveva chiesto esplicitamente. Ma.. stava piangendo. Non disse niente, semplicemente, lo abbracciò, e si mise stesa con lui, braccio contro braccio.
Il ragazzo si era addormentato, ma Ellie aveva paura di svegliarlo. Avrebbe aspettato, solo un altro po’, per essere certa che dormisse profondamente. Aveva paura di addormentarsi anche lei, per questo stava appoggiata sui gomiti, mentre cercava di pensare agli ultimi due anni. Nei film, in effetti, le persone ricordavano perfettamente anche le cose successe molto tempo prima. Per lei non era così. Lei, era stata troppo occupata a vivere i momenti, piuttosto che ad analizzarli per ricordarli alla perfezione.
Anche se le sarebbe piaciuto, ricordarlo alla perfezione.
Quando aveva deciso di andare via da casa, i suoi non le avevano detto nulla. E ne era stata contenta, certo. Ma da un lato, forse, avrebbe voluto che la trattenessero. Perché le sarebbe piaciuto, sapere di contare ancora un po’, per loro. Bhe, effettivamente non era stato così. Quando se n’era andata, era ancora una ragazzina timida e cicciottella.
Era diventata.. l’opposto. Esattamente. Di certo, a tredici anni, non avrebbe mai pensato di diventare così magra e formosa, così bella, così estroversa. Decisamente, estroversa. Troppo. Il tempo passava troppo lento, e lei pensava al passato, che si condensava in un peso compatto sul petto.
Ricordava di quando lui le era inciampato addosso, e lei l’aveva insultato. E s’erano incontrai, poi, qualche volta.
Erano diventati amici.
Era passata mezzora. Spense la luce che era rimasta accesa e uscì dal furgone, stringendosi addosso la camicia di Dylan, che a malapena la copriva, vestita solo del suo intimo.
Il primo gradino.
Stavo scendendo questo gradino, l’ultima volta.
Il secondo, il terzo.
Mi aveva preso il polso, mi ha ritirata dentro.
L’asfalto, sotto i suoi piedi nudi, faceva un po’ male.
Me ne sarei andata, quel giorno. Se non mi avesse fermato.
Un passo, due. Tre.
Vieni, Ellie.
Quattro, ritmo più veloce. Corsa. A perdifiato. La sua voce in testa.
Voglio farti mia,Ellie.
Aidan, il fratello. Ce l’aveva davanti, gli occhi pesti, seduto a terra, le braccia sulle ginocchia, lo sguardo vuoto.
Il ricordo di quella notte con Dylan, che si faceva sempre più lontano, facendo scomparire le voci dalla sua mente.
I ragazzi famosi erano facili al pianto. Anche i tennisti, l’aveva trovato in diverse biografie. Forse quel mondo stressava troppo. E dopotutto, agli eroi greci era permesso piangere. L’aveva studiato, se lo ricordava. Neanche Aidan gli sembrava un femminuccia. Forse lui aveva diritto, di piangere, come un eroe greco.
Seduto lì, nel buio. Le faceva paura, sì.
E, stranamente, la paura svaniva, mentre lui si alzava di botto, la bloccava contro la parete del furgone e le stringeva i polsi.
Sentiva il suo alito leggero sul collo, le sue labbra, forti, insistenti, sul collo, i suoi morsi sulla spalla.
Aidan non era delicato come Dylan. Era.. libero. Selvaggio. Una bestia ferita. Sapeva di bosco. Sapeva di buono. I due odori, quello di Aidan, e quello di Dylan, nella camicia che Ellie aveva addosso, non si mischiavano, restavano distinti. Diversi, troppo, troppo diversi.
Buoni, sì, entrambi, ma diversi.
Le labbra, le une contro le altre. Ed ecco, i ricordi, tornare, rimbombarli in testa, più forti che mai.
Lui, le sue mani, sul mio collo, vicini, di più, le labbra, unite, noi, uniti.
Le sue mani, le accarezzavano la schiena, la spingevano contro il muro, di più, più forte.
Ellie tu sei mia.
Aidan, le sue mani, le sfilavano la camicia, con rabbia, con foga.
Ellie, sei mia.
Allontanare Dylan, il suo odore.
Ellie, sei mia. Sei mia. Mia.
Allontanare ogni parte di lui.
Mia. Mia. Mia, mia. Mia. Mia. MIA. Ellie, sei mia.
Va via, Dylan.
Mia, mia. Sei mia. Mia.





 
 
 



‘Sono..


 
 


tua.’

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Capitolo 4
*** Appiccicati, uniti. Una cosa sola. Eravamo una cosa sola. ***


Lo lasciò fare.
Mentre la spingeva contro il furgone, rivedeva gli stessi gesti, che Dylan aveva già fatto su di lei.
Con maggiore delicatezza. Aidan non era delicato. Rude, piuttosto.
Le sue mani armeggiavano con foga, levandole la camicia, spingendola contro il furgone della tournée, di più.
Il suo respiro, affannato, che le si condensava sulla pelle. Freddo, e caldo, nello stesso momento, come con l’influenza.
Una sorta di malessere. Un malessere dolce.
Le loro labbra, vicine, attaccate, le sue mani, suoi suoi seni, la pelle di Aidan, la pelle di Ellie. Aidan, Ellie. Aidan ed Ellie.
Una cosa sola, vicini, tanto, troppo, forse.
Con un braccio armeggiava sulla parete del furgone, fino a far scorrere una porta, e a spingerla dentro.
Con forza, con forza maschile. Caddero entrambi all’indietro, sugli scalini di ferro del furgone.
Ruvidi, freddi, le graffiarono la pelle della schiena, mentre sentiva Aidan cadere su di lei, il suo petto sul suo, i loro corpi più vicini di prima.
Una pedata, e la porta si chiuse, lasciandoli nell’oscurità più completa, a fare l’amore distesi sui gradini del furgone.
Lo fecero a lungo, con passione. Con.. amore. Se poteva essere amore, quello tra due persone che neppure s’erano mai parlate in tutta la loro vita. Persone che forse amavano l’uno ciò che Dylan diceva dell’altro. Forse.
Finché la stanchezza scese su di loro, ed Ellie chinò la testa all’indietro sull’ultimo gradino,  mentre anche lui chiudeva gli occhi, ancora sopra di lei, e così trascorsero la notte, vicini, una cosa sola.
 
Aidan, la mattina dopo, decisamente presto, la rivestì della camicia del fratello e la prese in braccio, portandola nel letto dove, fortunatamente, dormiva ancora Aidan.
E quando Ellie si svegliò, tutto era tornato come la sera prima. Era accanto a Dylan, e la camicia sapeva di lui. Ma aveva sulla pelle l’odore di resina, di selvaggio di Aidan, e in bocca il sapore delle sue labbra.

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Capitolo 5
*** In trappola ***


« La paura sta nell’unico posto dal quale non puoi fuggire. La tua mente. »  [Cit.]




« Ellie, mi stai ascoltando? »
La seconda, o terza volta che la stessa frase le veniva rivolta in meno di un ora. I Black Ties stavano facendo una prova. Una prova spesso intervallata dai consigli che Dylan continuava a chiedere ad Ellie.
Stava cercando di ascoltarlo, ci stava provando con tutta se stessa. Con tutto il cuore.
Di nuovo quello stupido paragone? Ellie, il cuore e un organo, capiscilo, una buona volta.
Dylan era bello, lo era sempre stato. E poi, gli occhi verdi.. Era carino, era molto più che carino per lei. Era dolce, e sapeva di bucato. Era gentile.
Eppure aveva ancora addosso l’odore di Aidan. Quell’odore selvaggio. Le dava fastidio. Le dava fastidio, perché le piaceva. Non doveva piacerle.
Era terrorizzata dall’idea che Dylan, avvicinandosi, l’avesse potuto sentire. E riconoscere.
Aveva ancora quel sapore in bocca. Aveva bevuto acqua, mangiato la colazione, bevuto un caffè amaro, fatto moltissimi sciacqui con il colluttorio, ma quel sapore restava lì, acre, pizzicava, dolce, in fondo, come il miele selvatico, pastoso, sulle gengive, sotto la lingua, ovunque.
Se lo rigirava in bocca.
« Sì, Aidan. » Mormorò distrattamente, tirando un sorriso.
« Dylan. » La corresse il ragazzo trattenendo l’esasperazione.
Aidan, leggermente voltato, mentre avvolgeva una corda, sorrise, senza farsi notare.
Dopotutto, pensava Ellie, quella mattina Aidan non l’aveva degnata d’uno sguardo.
Certo, l’aveva voluta, come puttana. Carina, la cosa. Bhe, dopotutto c’era abituata. Da un po’ a quella parte, almeno.
Ed ecco, rincominciavano a litigare. E lei aveva mal di testa. Sospirò, e uscì. Nessuno dei due se ne accorse.
Woah, aveva fatto sesso con due persone in così poco tempo e nessuna delle due si era accorta che stava male, e che se n’era andata. Bene, bene davvero.
Era arrabbiata, amareggiata, delusa. Le pulsavano le tempie, aveva caldo e freddo. Nausea. Eppure, non le sembrava di avere la febbre. O  forse sì.
Oh, diamine, non sapeva nulla con esattezza.
Si limitò ad issarsi nel furgone vecchio. Era, per l’appunto, un furgone vecchio, dove si riponevano diversi abiti. Le emergenze, quando un vestito andava rovinato e non c’era tempo, ecco, si ci adattava con quelli.
In quell’ultimo spostamento, le grosse ruote  anteriori si erano afflosciate, lasciando il vecchio furgone in un angolo, tutto storto.
Il tubo con le rotelle con i vestiti appesi era finito appunto sulla parte anteriore, buia, lasciando il sole che filtrava dalla porta illuminare la parte sgombra, quella posteriore.
Si tirò su con le braccia e si lasciò scivolare fino alla parte opposta del furgone, dove erano scivolati i vestiti.
Non sopportava più i suoi vestiti, in fondo, non erano mai stati suoi. Si levò con sollievo le scarpe col tacco, stringendo gli occhi, e si levò il vestito e i collant. Tanto, quella parte era buia pesta.
Infilò dei pantaloncini di jeans stracciati, una cannottiera e una felpa larga e maschile, con cappuccio. Rimase in calzini. Allungò una mano ad aprire di uno spiraglio la finestra e poi si lasciò ricadere sul fondo, in discesa, del furgone.
Teneva gli occhi semi aperti, la schiena abbandonata alla parete.
Le faceva male tutto. Forse era solo una conseguenza psicologica di quello che aveva fatto la sera prima.
Trillò il cellulare, spaventandola. Grazie al cielo, pensò.
Altrimenti, l’avrebbe dimenticato nel vestito.
Un messaggio bene. Lo schermo luminoso del cellulare faceva male agli occhi.
Si slegò i capelli e aprì il messaggio.
Era Dylan, che si preoccupava per lei.
Da una parte, fu delusa. Era Dylan, che si preoccupava per lei. Non Aidan. Bhe, bene. Lei era innamorata di Dylan.
Dall’altra, rispose con freddezza, che stava male, che era nel furgone vecchio e di non preoccuparsi per lei. Sì, si era fatto vivo. Ma prima si era arrabbiata tanto, e non gli andava di rimangiarsi tutto.
Dopotutto, si era preoccupato, ma dopo. Questa era una scusa valida per rimanere incavolata.
Non rispose, pazienza. Aveva altro a cui pensare. Al suo mal di testa, per esempio.
Dopo molto, troppo tempo, si affacciò Dylan. Disse qualcosa, la guardò con commiserazione.
Doveva fargli schifo, vestita così.
Come si vestiva di solito, dopotutto.
Sospirò pesantemente, mentre Dylan andava via.
Un’ora, due. Verso le quattro del pomeriggio, lei era ancora lì, quando scoppiò un temporale. Aidan, che passava di lì, si nascose nel furgone.
La vide.
« Dovresti vestirti così più spesso. » disse con tono sincero, senza salutarla in alcun modo.
La ragazza non si accorse del piccolo miracolo appena accaduto, qualcuno che l’apprezzava per quello che era. Stava male, e i temporali la spaventavano.
Stringeva gli occhi e si premeva le mani sulle tempie e sulle orecchie.
« Hey, stai bene? »
« No, non sto bene! » gridò di rimando la ragazza, con le lacrime agli occhi. « ..Per niente.»
Il vento sbatté violentemente la porta, chiudendola, lasciandoli nel buio totale. « Che ha- Ma che diamine.. » mormorò il ragazzo infastidito, allungando un braccio ad aprire la porta.
Che non si aprì.
Era bloccata. Erano bloccato in un furgone buio, sotto l’acqua, in discesa, con una tizia che lo attirava, che stava male, e che stava con suo fratello.
Grande.
« Merda, siamo chiusi dentro.» Decise, dopo un buon numero di spallate, che non servirono a nulla.



 
‘Ho .. paura.


Aidan, cazzo.


Ho paura.’

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Capitolo 6
*** Tamburi ***


Ora che il buio era ancora più buio, la situazione per Ellie era a dir poco insopportabile. Odiava il buio, odiava i temporali, odiava gli spazi chiusi. Odiava Aidan. Forse.
Il ragazzo si lasciò scivolare fino a lei.
Guardò compiaciuto com’era vestita e le poggiò un cappello larghissimo sui capelli sciolti. Così, gli piaceva ancora di più.
 
 
 





Accidenti. Sei ancora più bella. Tu non sei mia, tu sei di mio fratello.
Lui mi ha già preso tutto, ma non può prendere anche te. Glielo impedisco. Tu sei mia, tu devi essere mia.
No, non è una stupida rivincita.
Non è un dispetto a mio fratello?
E amore, non lo capisci?
Adesso ti sto prendendo per le spalle, sto posando la tua testa sulle mie gambe, ti prego, non spostarti.
Ci sono i tuoi, è buio, lo so che non ti piacciono. Non pensarci, okay?
Qua ci sono io, non voglio che ti succeda nulla, devi capirlo.
Non andartene.

 
 







Non posso sopportarti. Mi spaventi, mi terrorizzi, come i tuoni. Mi fai ribrezzo, credo di odiarti.
Eppure guarda, non riesco a spostare la testa dalle tue ginocchia.
Non riesco a smettere di stringere gli occhi, ho paura.
Mi stai proteggendo, vero? Eppure non ne hai motivo.
E’ pieno di tamburi, qui. La pioggia suona il furgone, i battiti del mio cuore battono me stessa.
I miei respiri piccoli e affannosi, l’aria che c’è tra noi.
Oh, cavolo, cosa sto facendo?
Perché lo sto facendo? No, non fermarti.
Oh, Aidan, le tue labbra, sono buone come le ricordavo, meglio, forse.
Il tuo profumo, no, non te ne andare. Forse è perché ho paura che ti voglio, che non riesco a smettere di baciarti, forse sono una troia, forse sto tradendo Dylan.
Se fare la troia vuol dire baciare ancora la tua bocca, allora voglio essere una troia.
























Luce, debole, brucia. Il cielo dopo la pioggia. Liberi.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Ed eccomi qua, dopotutto.
Le cose sono andate come dovevano andare, lui è qui con me. Lui mi vuole bene.
Lui, i suoi occhi verdi, il suo odore di bucato e la sua gentilezza sono qui con me.
Mi piace, sentirlo cantare, assistere alle sue prove, parlargli.
Baciarlo, sentirlo vicino.
Sapere che è mio. Posso fare ogni cosa con lui. Ogni cosa che faccio, la faccia con lui.
C’è solo una cosa che non faccio con lui. Forse non posso, forse non voglio, forse non capirebbe.
Io sogno con Aidan. La sera, ci fermiamo a guadare le stelle, non parliamo, ma è come se lo stessimo facendo.
Abbiamo tanti sogni, uno è comune.
Sì, sto bene con Dylan.
Ma nonostante tutto, so che un giorno le cose cambieranno, sento dentro che la mia vita movimentata non si stabilizzerà mai.
Forse ne sto costruendo un’altra, nel silenzio delle stelle, con Aidan.
Stiamo mettendo tanti mattoni uno sull’altro, stiamo facendo attenzione. Li stiamo mettendo piano, con cautela.
Quando questo muro sarà finito, troveremo il coraggio che ci manca.
Questo muro è il risultato di due vite distrutte. Si arrampicano una all’altra, si fondono, per crearne una sola, migliore.
Perché anche noi siamo una cosa sola. Perché siamo destinati a stare insieme, perché le sue labbra sono mie, e le mie sono sue.
E sarà così, quando ogni mattone sarà al suo posto.
Non ho fretta, le cose stanno migliorando.
Sto acquisendo la forza, un giorno ne avremo abbastanza, per riscattare completamente il passato e avviarci nel nuovo presente, mano nella mano.
Ma non si può creare un rapporto quando ancora si sanguina dal passato.
Dylan mi sta aiutando, lo so. Lui è il transito, lui è fantastico. Lui è quello che volevo una volta.
Ma il muro sale, sale, e ancora sale, e io e Aidan siamo sempre di più una cosa sola.

Si dice che quando due persone credono insieme in un sogno, questo debba diventare realtà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Oh, bene. Eccoci alla fine. Solo sette capitoli, non è stato nulla di troppo lungo.
Ellie, io non so se sono riuscita a dirti tutto, in questi capitoli. Non so se ci riuscirò mai.
Ma sono felice di averti dedicato questo scritto per i tuoi quindici anni.
Sei una ragazza speciale, e forte, molto. E’ un’ingiustizia che sia tu a dover vivere la situazione che vivi da troppo tempo, ormai.
Ma tu ce la puoi fare, io ne sono certa. Ce la puoi fare, anche da sola.
Nonostante questo, io ci sarò sempre, là, dietro di te, perché vorrò esserci, quando spiccherai il volo, e ti vedrò volare via.

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