Mirror|rorriM

di BigMistake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduction ***
Capitolo 2: *** Part 1x1 ***
Capitolo 3: *** Part 1x2 ***
Capitolo 4: *** Part 1x3 ***
Capitolo 5: *** Part 1x4 ***
Capitolo 6: *** Part 1x5 ***
Capitolo 7: *** Part 1x6 ***
Capitolo 8: *** Part 1x7 ***
Capitolo 9: *** Part 1x8 ***
Capitolo 10: *** Introduction 2 ***
Capitolo 11: *** Part 2x1 ***
Capitolo 12: *** Part 2x2 ***
Capitolo 13: *** Part 2x3 ***
Capitolo 14: *** Part 2x4 ***
Capitolo 15: *** Part 2x5 ***
Capitolo 16: *** Part 2x7 ***
Capitolo 17: *** Part 2x6 ***
Capitolo 18: *** Part 2x8 ***
Capitolo 19: *** Part 2x9 ***
Capitolo 20: *** Part 2x10 ***
Capitolo 21: *** Explanations ***



Capitolo 1
*** Introduction ***


Note dell'autrice:  Salve  ... benvenuti nel mio nuovo parto malato.
Adoro Streghe ed è ovviamente la prima volta che scrivo su questo fandom. C'è da dire ben poco su questa  fic (tranne che è quasi completamente scritta) spero che parli da sola. Comunque è ambientata in parte nella sesta stagione (nel futuro più esattamente) ed in parte dopo l'ottava. E' rivolta alla generazione futura di streghe, perchè la storia di Prue, Piper, Phoebe e Paige è perfetta così com'è. Come al solito ci sarà una nuova protagonista (come ogni mia personaggia nuovo ha capelli castani e occhi scuri, io purtroppo ho un debole per la tipica fisionomia rinascimentale). Non sarà divisa in capitoli ma in parti che non saranno molte e sarà una sorta di diario scritto in prima persona (escluso questo ed un altro capitolo).

Per ogni domanda sono qui. Spero che  vi piaccia e che sia "incantato" proprio come la serie.  Aspetto con ansia la vostra opinione .
Buona lettura ^^.
La vostra Mally.


 

Mirror|rorriM

She was a little girl … and now?

 

Era stata una bambina un tempo.

Un tempo che sembrava così lontano.

Sua madre le raccontava di quanto lei fosse speciale.

Proprio come il suo papà: un padre che l’amava tanto, talmente tanto che non voleva fosse libera di scegliere con il rischio che sbagliasse, che s’allontanasse da quelli che potevano essere i suoi insegnamenti.

Le voleva scrollare l’ingrato compito di accettare il suo destino come un dono o una condanna, un fato che aveva ereditato da lui e che lui soltanto avrebbe potuto toglierglielo.

Ricordava poco di lui, qualche piccolo flash di quando aveva quattro forse cinque anni,prima che sua madre la portasse via.

Lei era una donna particolare, con quei suoi abiti colorati e sgargianti da figlia dei fiori e nata con un senso di libertà che trasmise a sua figlia in ogni azione, prima fra tutti quella notte quando la prelevò dal suo letto in segreto, nel silenzio omertoso di una casa che fingeva di dormire e di occhi che decisero di accettare l’evidenza senza potersi opporre.

Non si parlava mai del perché avesse compiuto un tale gesto, una bambina cresciuta nell’inconsapevolezza, una colpa inespressa.

Voleva salvarla senza sacrificare il suo dono.

Sapeva quanto fosse pericoloso lasciarla libera di agire, ancora troppo piccola, instabile e lei una guida insicura.

Un compito troppo arduo per una semplice umana, così tanto da renderla quasi disperata.

Rinnegò persino i suoi principi.

La costrinse a dimenticare, o meglio ad ignorare, chi e cosa fosse.

Doveva scordare i bellissimi giochi con suo padre, voleva allontanarla da un mondo magico e fatato, avrebbe voluto vederla attiva e sorridente con gli altri bambini.

La spinse involontariamente a rintanarsi invece in quel mondo, l’unico in cui lei si sentiva a suo agio e, nel timore che gli altri si accorgessero di quanto fosse diversa, era divenuta chiusa, isolata, poco socievole.

Eppure era una bambina che sapeva illuminare con il suo sorriso.

Tutti i giorni provava a portarla al parco. Gente nuova, diversa, con cui magari fare amicizia. Non voleva che fosse vittima dei pregiudizi per il suo modo strano di comportarsi.

Come se non si avvertisse quanto lei fosse speciale.

Ricordava di Mandy, l’unica bambina che aveva osato avvicinarsi. Era una di quelle bamboline con i lunghi boccoli biondi, occhi di un azzurro intenso e pelle candida di fine porcellana, la tipica bambina americana di buona famiglia.

Le aveva chiesto se le andasse di giocare insieme. Sua madre avvolta in un caftano variopinto le guardava con un sorriso estatico, soddisfatta che la sua speranza di una vita normale non fosse del tutto solo un’illusione.

Fu costretta a ricredersi, in realtà, l’avrebbe solo presa in giro.

Umiliata e derisa quando l’aveva spinta nel fango.

Si sa i bambini sanno essere crudeli, innocentemente crudeli. E lei prevedeva le loro mosse, vinceva facilmente ogni partita, ogni gioco prevaleva, sembrava leggesse nel pensiero.

Non aveva amici. Nessuno aveva voglia di giocare con la piccola Lee la strana.

Lee sapeva essere amabile, mansueta, tranquilla, spensierata, un po’ testarda, anche allegra nei suoi giochi con bamboline e folletti quando in casa stava con la sua mamma.

Ma sapeva anche essere terrificante.

Non che fosse un mostro, o uno strano essere dal corpo per metà animale.

Lei era una bella bambina dai capelli castani e grandi, dolci occhi scuri.

Era la sua mente il suo più grande segreto. La sua giovane mente che sapeva leggere ciò di non detto, che poteva parlare e mostrare tante cose come vere. Anche quelle spaventose.

Entrava senza chiedere il permesso a suo piacimento nell’universo privato e personale di adulti e piccini. Li sentiva e poteva camminare con loro in un mondo che poteva diventare suo. Li creava addirittura, piccoli scenari costruiti dalla sua fantasia, storie, vissuti, da interfacciare con le vite degl’altri, nuvole rosa che inebriavano i sensi di una persona dormiente.

Ma aveva anche il potere di trasformare il suo mondo in un incubo e Mandy l’aveva fatta tanto arrabbiare con il suo stupido scherzo.

La bambina il giorno dopo non venne al parco.

«Non devi fare del male, hai capito … non devi giocare mai più come facevi con tuo padre!»

Lei era cattiva, era diversa.

Crebbe con la consapevolezza di essere sola.

Il passo dal diventare una giovane donna divenne breve e lento. Appassiva apatica, rinchiusa nella tremenda solitudine edificata attorno alla sua vita. Una muraglia che la schermava dalla derisione e dalla crudeltà di chi non riusciva a capirla. O dal suo saper fare del male.

Si nascondeva.

A casa, in biblioteca, nell’aula d’arte della sua scuola ovunque dove potesse chiudersi al resto del mondo.

Doveva far tacere le voci.

Far tacere i suoi sogni, quelli che penetravano nelle teste sbagliate.

Alcune volte non riusciva a trattenersi, nel sonno quando ogni freno inibitore viene disattivato.

Spiava la vita che non avrebbe mai avuto.

Una notte però venne scoperta.

Niente di nuovo.

Sapeva come si strutturavano i sogni, da quelli più articolati a quelli meno.

Era la padrona indiscussa di quel mondo parallelo fatto d’incertezze, desideri, paure.

Ed erano quelli da sfruttare per uscirne.

La mattina seguente camminava per i corridoi della sua scuola. Ormai era all’ultimo anno, finalmente avrebbe smesso di girovagare fra la moltitudine di persone che la denigravano.

Disprezzo.

Lo sentiva anche se non le parlavano direttamente.

Mille pensieri con la stessa cantilena:

È così strana ...

Mi spaventa …

Sarai mia …

Si era voltata in quel corridoio cercando la provenienza di quell’ultima scia captata per caso.

Stupida, è nella tua testa!

Si ripeteva, eppure non poteva fare a meno di cercarla attraverso i volti e le espressioni dei suoi colleghi di scuola.

Quel pomeriggio era rimasta a dipingere nell’aula d’arte. Viveva dei lavori saltuari di sua madre, a casa poteva permettersi al massimo matite, qualche blocco per schizzi, nulla di più. Ogni qual volta poteva quindi approfittava delle strutture scolastiche.

La sua insegnante voleva che intraprendesse la carriera d’artista.

Le ripeteva quanto fosse brava.

Non voleva esserlo. Non voleva spiccare. Non voleva essere diversa.

Voleva solo essere normale, confondersi tra la gente, la stessa che la disprezzava.

Essere anonima. Invisibile.

Non voleva avere una voce.

Il concentrarsi nel creare la isolava, riempiva la sua mente con altro.

Le serviva solo chiudere gli occhi ed abbandonarsi alla fantasia. Quel pomeriggio aveva una voce in più da cancellare.

Chi sei? Perché sei entrato nella mia testa? Perché non vuoi più uscirne?

«Potrei porti le stesse domande …»

Lei aveva tentato di fuggire raccattando in fretta e furia le sue cose tutte sporche di vernice, provato a sviare quello sguardo che l’aveva terrorizzata la notte precedente.

Non poteva.

Il ragazzo del sogno, quello che l’aveva scoperta si trovava proprio davanti alla piccola porta che dava accesso all’aula.

Aveva la sua età. Diciotto o poco più.

Era alto, atletico, occhi penetranti e sconvolgenti, occhi che la stavano scrutando, manipolando, che la stavano incatenando. La tratteneva per il polso, lo stringeva e lei non riusciva a liberarsi della sua morsa.

La lasciò andare, ma era troppo tardi.

Era entrato in lei assumendo la connotazione di un’ossessione. Qualcosa d’indescrivibilmente attraente come la lanterna per la falena, emersa senza un apparente motivo. Era stata percossa dalla sua forza, dal suo mero significato oscuro e tenebroso. Quella voce, minacciosa ma calda, quasi rassicurante, in una triste mattinata di liceo bigia come il suo umore, l’aveva in qualche modo colpita.

La notte volle lei stessa andare da lui.

Voleva scusarsi per essere scappata senza alcuna spiegazione.

Trovò il suo sogno tra tanti altri nella città di San Francisco.

Parlarono.

Dissero di rivedersi.

Iniziarono a frequentarsi.

Non aveva amato nessuno come aveva amato sua madre.

Il suo gioco era appena iniziato.

Lei scoprì di non essere sola, molti altri con poteri come i suoi si trovavano per le strade dove la gente normale camminava tranquilla ignara di un mondo parallelo. Lui le rimase accanto, la strinse nelle notti in cui gli faceva visita in sogno. La capiva, la faceva sentire importante.

Lei lo aiutava, pensava di fare del bene.

S’innamorarono.

Si baciarono.

Divennero una cosa sola.

Era una strega.

Era una strega e sapeva manipolare il pensiero, sapeva manipolare i sogni delle persone. Un grande potere, che lui rese ancor più vigoroso attraverso allenamento e costanza. L’avrebbe trasformata in qualcosa di più se solo l’avesse voluto.

E lei voleva.

Da quelle rivelazioni sua madre fu costretta a confessare.

Era sempre stata una strega, anche molto brava.

Aveva ereditato i poteri da suo padre, uno stregone. In una notte lontana era scappata perché lui voleva togliere la magia dal suo mondo, ma poi si era scontrata con la corruzione della paura.

Fu costretta a farle dimenticare chi e cosa fosse.

Le notizie volavano veloci e chi sapeva era terrorizzato.

Avrebbe voluto per lei solo una vita normale, non voleva che fosse rincorsa e condannata a morte come durante la Santa Inquisizione. Aveva visto Liam troppe volte rincasare sudato, sporco e ferito perché qualcuno minacciava la sua vita e quella della sua famiglia. Lei non aveva avuta altra scelta.

Era tutto a fin di bene, per proteggerla. Se non avesse saputo, non l’avrebbero cercata.

Come se fosse possibile fingere di non sapere ciò per cui si è nati, sottovalutare un istinto.

Lei era una semplice mortale, sua figlia no ed i demoni, il male stesso, non erano meramente angosce fittizie.

Ogni pezzo ha un suo posto predisposto sulla scacchiera, così che la sua natura non tardava mai a farsi sentire, urlava indignata alla sua porta di permettergli d’uscire.

Non fu un demone ad allontanare sua figlia, ma la paura, o l’amore, o qualcosa di più che l’attirava dalla sua parte e la faceva sua senza che lei se ne accorgesse: Lee le disse che l’odiava, che aveva pensato per una vita di essere pazza a causa delle sue omissioni.

Era solo per proteggerti. Perdonami bambina mia, perdonami.

Le aveva detto.

Fu uccisa quella notte stessa da un pazzo criminale.

Almeno così le disse la polizia mentre stava a scuola.

Un pazzo criminale. Ormai sapeva con certezza che fosse opera di un essere magico.

La lasciò sola, non sapeva nemmeno chi fosse suo padre, dove cercarlo.

No, non sola. C’era lui, il ragazzo che amava, che l’aveva chiamata a sé e che la voleva accanto come una regina.

I tempi stavano cambiando.

Il confine fra il bene e male si assottigliava sempre più prepotentemente, fino a divenire un unico e solo marasma.

I buoni diventavano cattivi.

I cattivi restavano cattivi.

Persino lui.

Presto si accorse che nulla fosse come pensava, lui era bravo a manipolare gli altri almeno quanto lei a governare i sogni.

Il suo volto trasfigurava, diveniva crudele spesso e le sue azioni erano del tutto prive di ogni senso logico.

«Sei diverso, non ti riconosco più!»

Sei con me o contro di me …

Eppure in lui c’era ancora un briciolo di bontà, qualcosa lo aveva fatto divenire la persona spietata che aveva di fronte.

Aveva rinnegato tutto e tutti.

La sua famiglia, i suoi amici, i suoi alleati ed ora anche lei, la sua piccola Lee, la timida ragazza che gli faceva visita nei sogni, che amava nonostante lo stesse ripudiando.

Addio  …

L’ultima parola che riuscì a pronunciare sussurrata nel silenzio prima di scomparire dalla sua vita, prima di andarsene per sempre. Le sembrò di sentire l’esplosione provocata dalla sua rabbia scagliata contro uno di quei demoni con cui piaceva adornare il suo salotto.

Per proteggerci …

Non l’avrebbe lasciata andare così facilmente.

No.

E lei lo sapeva mentre qualcun altro l’aiutava a scappare, sparendo in una nuvola di luci bianche lontana da San Francisco, lontana da quella casa, lontana da lui.

«Ci dovremo nascondere per sempre?»

Si fidava di lui. Si fidava anche di lei. Erano due bravi ragazzi.

«Forse no, Lee, forse no …»

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Capitolo 2
*** Part 1x1 ***


Nord Africa, September 2026

 

Sento il suo fiato sporgersi sul mio collo. Lo sento come se fosse qui in questa bettola magrebina in cui mi sto nascondendo per non si ancora quanto tempo.

Non che me ne sia rimasto molto, forse sono già in ritardo.

Non dovrei trattenermi oltre. Ma da un lato sembra che io lo stia aspettando.

Lo amo ancora. Troppo.

È diventato cattivo, crudele, malvagio, ma io non ho mai smesso di amarlo.

Non si può dimenticare un sentimento così forte.

Che stupida, vero?

Nemmeno quando una persona cambia in modo così drastico.

Fa caldo, tanto tremendamente caldo.

Non volevo venire qui. Mi ha convinta lei a farlo.

Le sonde non arrivano in questi posti dimenticati da Dio e se lo fanno le posso eliminare facilmente.

Io sarei voluta andare a Berlino, rimanere fino al Natale fra qualche mese. Ho perso decisamente il conto del tempo.

Chissà se ancora si festeggia il Natale.

Sognavo di visitare la capitale tedesca a Dicembre da quando ho memoria: una volta mi promise che sarebbe stata una delle cose che avremmo fatto insieme. Io e lui, camminando sotto la neve tra le luci e lo splendore di un Natale vissuto come la più grande festa mai esistita.

Mi promise così tante cose che avrei dovuto immaginare che fossero solo bugie per tenermi vincolata a sé.

Dio che assurdità!

Sono proprio una strega strana io! Forse perché non sapevo neppure cosa fossero le streghe fino a poco tempo fa, se non fosse stato per lui molto probabilmente non l’avrei mai scoperto, non avrei mai saputo di cosa sono capace.

Invece eccomi qui a scappare magicamente per non farmi uccidere dalla persona che più amo al mondo.

Vorrei ancora sentirmi protetta dal suo abbraccio, addormentarmi ascoltando il suo cuore battere, incontrarlo nei sogni come facevo le prime volte, tendermi in un dolce e lunghissimo bacio onirico dove smettevano di essere identificati con i nostri doveri, dove saremmo stati per sempre due semplici ragazzi che si amano.

Chissà se può ancora provare qualche sentimento o se il suo cuore è talmente ottenebrato dal desiderio di potere che non ricorda più nemmeno cosa sia l’amore. Magari ora ha una di quelle demoni, o quelle streghe in tutti i sensi, a ronzargli attorno con i loro completini da film hard a basso budget e la loro aria menefreghista.

Io l’ho amato, amato davvero, impazzisco al solo pensarlo con un'altra che non sia io.

Volevo il suo bene, forse anche per questo mi trovavo ad assecondarlo prima che si mostrasse realmente per quel che era.

L’ho amato, continuo ad amarlo nonostante tutto, nonostante abbia giurato di eliminare chiunque lo tradisse.

È pronto ad uccidermi dal momento in cui l’ho rinnegato.

Quella notte sono scappata da lui, orbitata lontano prima che mi raggiungesse.

Umiliata e minacciata, per cosa? Per un amore non corrisposto?

Io l'ho amato, ma lui?

No. Forse mi ha amata in un primo momento.

Poi il suo amore si è trasformato in qualcosa di diverso: necessità, morbosità, senso di possessione.

Sono diventata il suo giocattolo, nient’altro. la sua bella finestra nella mente altrui con la mia potente telepatia e la mia capacità di plasmare i sogni.

L'unica persona che potessi pensare mia alleata è morta. Ormai ne sono certa. Non mi cerca da mesi e non era mai successo.

Io non so cosa le sia accaduto di preciso, so solo che vago da molto tempo e le pozioni stanno terminando. Non posso rimediare il materiale per farne di nuove, da quando la magia è stata preclusa a tutti eccetto i suoi adepti è difficile trovare anche solo bacche e radici. Lo spostarmi con i metodi tradizionali, di certo, non è il modo migliore per fuggire.

Ci sarebbe anche qualcun altro da contattare, ma non posso. È troppo pericoloso. Non solo mi esporrei io in prima persona, ma porrei in serio pericolo anche lui  che già rischia molto per tutti. 

Gli voglio bene e non vorrei che dovesse subire tutto questo anche a causa mia.

Spero che lui  non venga mai a sapere chi mi sta aiutando.

Chi sto aiutando.

Non voglio immaginare cosa sarebbe capace di fare una volta che venisse a conoscenza di chi mi tiene lontana, non oso nemmeno farlo per paura di scoprire quanto sia realmente cambiato.

Non so più come muovermi e sono sola.

Come se non bastasse, con un tempismo oserei dire hollywoodiano, il mio potere ha sviluppato la sua forza. Un’altra occasione di farmi scoprire in un battito di ciglia.

Fa caldo, troppo caldo.

I miei risparmi non mi permettono nemmeno di andare in un albergo decente, con un climatizzatore magari. Ho solo pochi contanti, le carte mi sono precluse. Non le ha bloccate, ne avrebbe avuto la facoltà, ma non l’ha fatto.

Se mi fossi tradita sarebbe stato un buon modo alla vecchia maniera per trovarmi. Invece no, io sono qui con queste poche migliaia di dollari, che con i cambi di moneta continui si riducono drasticamente, riuscendo a malapena di sopravvivere.

Il caldo sta diventando insopportabile e l’unico modo di combatterlo è lavarmi il viso.

Almeno il bagno qui è pulito. Da fuori, questa sottospecie di ostello, dava tutta l’idea di non conoscere la parola igiene, invece, nonostante l’arredamento scarno e i pochi lussi concessi è vivibile. Il più vivibile che sono riuscita a trovare.

La temperatura esterna non permette nemmeno all’acqua di raffreddarsi nelle tubature, la lascio scorrere a lungo ed invano. Tanto so che non supererà l’essere tiepida almeno fino a che il calore del sole non muoia nella notte.

Ho l’occasione di osservarmi allo specchio: ho il viso pallido, emaciato, smagrito per me in maniera eccessiva, i capelli non hanno più una forma, ricadono lisci sulle mie spalle inspessiti dalla sabbia che sembra appesantire l’aria ancor di più, gli occhi mi colpiscono con la loro forza muta.

I miei occhi, i miei bellissimi occhi scuri.

A lui piacevano tanto i miei occhi. Anche a me.

Sono grandi e profondi, liquidi, sinceri, incapaci di mentire.

Sono lo specchio della mia anima, pura e semplice.

Parlano prima ancora che lo possa fare io. Come se non bastasse saper comunicare con il pensiero.

Quella notte lo vide dal mio sguardo che non l’avrei più seguito.

Ero nella nostra camera. Già, nostra.

La mia prigione dorata.

C’erano demoni, streghe e stregoni che la sorvegliavano.

Che mi sorvegliavano.

Ho solo bisogno di passeggiare, di prendere un po’ d’aria, lasciami uscire un po’.

Lo dissi come se fosse normale, una finta diffidenza che mi concesse.

Va bene.

Avevo nascosto una borsa con alcuni abiti tra i cespugli in giardino.

Lui lo sapeva, sapeva benissimo cosa stavo covando da tempo, mi vedeva soffocare ogni giorno a quell’odioso tentativo di assoluto potere. Io non ho mai voluto essere la compagna dell’essere più potente sulla terra.

Volevo essere la sua compagna e basta.

Avrei voluto solo fare del bene.

La sera prima litigammo. Non lo riconoscevo più, mi sentivo fuori luogo, sbagliata.

Sei con me, o contro di me Eileen.

Lo baciai. I miei occhi gli stavano dicendo addio.

Sono con te, anche se tu non lo credi.

I miei occhi stasera sono silenziosi, più del solito, da tempo spenti del loro guizzo allegro che avevano acquisito da quando entrò nella mia vita. Stanchi mi osservano attraverso il riflesso dello specchio, segnati da cerchi scuri sulla mia pelle candida che contrasta in questa terra così baciata dal sole.

Non dormo, o perlomeno dormo il necessario a reggermi in piedi ad orari astrusi.

Incredibile che io, proprio io che posso governare i sogni altrui mi ritrovi a non riuscire a gestire i miei.

Lo sogno spesso, anche se non vorrei. Ho paura che questo mio desiderio possa rivelarsi il piede in fallo, la buca che mi porterà a cadere tra le sue fauci.

Nei miei sogni però ritrovo la pace.

C’è lui ed è bellissimo: non porta i suoi soliti abiti scuri, non ha l’aria di essersi fatto un giro per gl’inferi. È il ragazzo dolce che conoscevo, il ragazzo sorridente di cui mi sono innamorata, con cui condividevo ogni parte di me.

Il mio maestro, il mio compagno, il mio amante.

Vedevo attraverso i suoi occhi il mondo magico che si nascondeva ai miei, imparavo a conoscerlo e a farlo diventare anche mio.

Pensare che era tutta finzione solo per avere i miei poteri al suo servizio.

Quel ragazzo non è mai esistito, quel ragazzo non avrebbe mai cercato in ogni modo di uccidermi.

L’acqua è meno tiepida.

La raccolgo.

Immergo il mio viso un momento, ma l’acqua scivola attraverso le mie dita.

Provo a strofinarla. Ho bisogno di lavare via la polvere fitta fra le mie incertezze e scoprire come concedermi l’illusione di cancellare tutta la stanchezza.

So che non è così, ma è bello ingannarsi quando la speranza è l’ultima a morire.

Cerco l’asciugamano in tela dell’albergo alla cieca e lo trovo.

Mi sollevo con ancora il volto coperto dal panno.

Lo lascio scivolare piano per asciugarmi godendomi l’unico istante di beneficio che traggo da quel rituale.

Fa caldo ancora, ma mi sento meno soffocare per pochi istanti, quelli necessari ad accorgermi di non essere sola.

Rimango senza respiro, un macigno piantato dritto nel petto.

È lì alle mie spalle, lo vedo riflesso nello specchio e non so cosa credere.

È un sogno? È realtà? Sono forse svenuta? Ho battuto la testa credendo che l’oggetto dei miei più torbidi desideri si materializzasse accanto a me?

Lui rimane fermo, non parla. Non pensa.

Cerco di carpire qualsiasi cosa gli stia passando per la testa.

È bello, ancor più di come lo ricordassi.

Istintivamente cerco di toccare il suo riflesso, alzo la mano come se muovendomi possa scacciarlo.

Il cuore si ferma. Riprende a tamburellare. Poi batte furiosamente nel mio petto.

Confuso. Non capisce cosa stia provando.

Paura, sgomento, commozione.

Vorrei girarmi, abbracciarlo e baciarlo fino a farmi mancare il fiato perché lo amo incondizionatamente.

Vorrei scappare, eclissarmi e sparire in una nuvola di fumo perché ho paura di lui.

La pozione.

Improvvisamente il mio istinto di sopravvivenza riporta alla mia mente il piano B.

Tengo sempre una pozione pronta per casi come questo nella tasca della mia maglia.

La cerco.

È vuota.

«Volevi per caso questa?» La vedo materializzarsi nelle sue mani, in uno sciame nero che ormai conosco come il palmo della mia mano. Me la mostra prima di farle prendere forma lontano da noi e schiantarla rendendola inoffensiva. «Finalmente ti ho trovata “amore mio” …» è arcigno, sarcastico, le ultime parole pronunciate così sono come una pugnalata.

«Smettila …» La mia bocca si schiude, esalo quel poco che riesco ad emettere; non riesco ad andare oltre, ogni mia funzione è interrotta.

«Cosa dovrei fare con te Eileen? …» Sospira, mentre io reticente non rispondo. Mi guarda attraverso lo specchio, con il suo ghigno soddisfatto, sadico con cui si diverte a spaventarmi. Non sono pronta, non ho preparato la frase ad effetto da utilizzare come finale epico alla mia tragica dipartita sotto la mano di chi amo.

Avrei dovuto sapere che prima o poi mi avrebbe trovata.

Che sciocca a pensare di avere ancora una possibilità.

È calmo, troppo per esserlo realmente.

Sono in sua balia completa, sento le catene avvinghiarmi le caviglie trattenermi fino a farmi crollare. Ma è rabbia, collera quella che alimenta il suo cuore nei miei confronti.

La quiete prima della tempesta.

Non l’ho mai visto così.

«Ti avevo avvertita … tu non dovevi tradirmi, mi dovevi solo ubbidienza e devozione.»

Udirlo pronunciarsi con quel suo tono austero, privo di ogni inclinazione o trasporto aumenta solo il mio rancore provato in tutto il periodo da fuggitiva ormai scaduto al termine, accresce la sensazione costruita nella mia mente di essere solo un oggetto per lui, uno dei tanti nelle sue mani.

Io non sono un burattino. Ho un cuore, una mente, un’anima a cui devo rendere conto.

Ho un orgoglio a cui mantengo la mia fede e l’unica persona a cui devo devozione è solo me stessa.

Sono fuori di me. Sento il flusso dei miei pensieri divenire incontenibile, traboccare dal vaso. Non sarà l’unica cosa che farò.

-Ubbidienza e devozione? Alla stregua di quei demoni che tanto si lasciano abbindolare dal tuo potere? Sono sempre stata questo per te. Io ti ho amato, veramente. Tu mi hai mai amato Wyatt? –

Non ho bisogno di molto se non il prendere da lui il necessario.

Devo provare.

Allungo una mano  con uno scatto.

Lui non si aspetta una cosa simile, magari riesco a prendere tempo.

La mia concentrazione completamente votata al vaso che ho alla mia destra. Mi sente entrare, piccoli pezzettini di lui si sciolgono e, per un attimo, nel suo sguardo c’è l’incertezza. Il sorriso bieco si trasforma in una smorfia di stupore. Ci sono riuscita con Bianca, potrò farlo anche con lui.

L’oggetto trema, traballa, si muove.

Si solleva da terra e ci viene incontro, ma prima che possa colpire Wyatt  lui devia il colpo.

Ha capito.

È stancante sostenere la sua aura così forte in confronto alla mia. Barcollo, mi sorreggo alla ceramica scorticata dell’acquaio. Sento le mie gambe cedere. Da quanto non faccio un pasto degno di questo nome?

E fa ancora troppo caldo.

Alzo gli occhi dal lavandino a fatica.

Lui è ancora lì, immobile mi fissa.

Ha capito.

«Non cerco il tuo perdono …» cambia di nuovo. Il suo viso per un attimo sembra tornare quello del mio Wyatt.

Invece no, l’uomo oscuro e tenebroso è sempre presente in lui, mi guarda ora duro ed inflessibile.

Questa volta ho superato ogni limite.

Non voglio neanche sapere a cosa sta pensando.

Non voglio conoscere in anteprima la mia fine.

Chiudo definitivamente ogni accesso alla sua testa.

È come se riuscissi a sintonizzarmi sulla radio della polizia e potessi interferire con i comandi della centrale, non saprei come spiegarlo meglio il mio potere.

Wyatt lo sa, lo percepisce. Ha sempre avuto un canale preferenziale di cui render conto.

Sa anche che è tutto inutile, che sono una testarda.

Una dolce testarda con poco sale in zucca.

«Se è questo quello che vuoi …»

La sua mano descrive un cerchio in aria dietro la mia nuca. Immagino di dovermi sentire pesante, senza respiro, incapace di continuare a vivere alla sua opprimente presenza ed invece sono leggera, impalpabile, quasi che le mie gambe non fossero che un’illusione.

Sì, è per forza un’illusione.

Le sue braccia cingono il mio busto, sollevandomi come fossi una piuma.

Se la mia ultima sensazione è di essere stretta a lui, è un bel modo di morire.

 


Note dell'autrice: Bene ora entriamo nel vivo! Sì, per questa prima parte il protagonista è il Wyatt cattivo, quello del futuro da cui fugge Chris. Diciamo che questo aspetto mi ha sempre affascinato e in un certo qual modo voglio rendergli omaggio, anche a dare una spiegazione per un tale cambiamento (ho voluto tappare qualche piccolo buco che mi aveva lasciato la serie ^^, sono un po' pazza lo so... eheheh). Ma non temete avrà anche spazio il futuro nuovo, quello che costruiranno dopo la morte di Gideon perchè anche la vita di Eileen sarà molto diversa.

Alla fine della storia comunque ci sarà una scheda esplicativa su tutto quello che riguarda Eileen e la mia visione del futuro positivo di Streghe.

Sono sempre aperta alle vostre domande!!!

Besitos!

Enjoy  it!

Mally

 

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Capitolo 3
*** Part 1x2 ***


?. September2026

 

Si prova dolore dopo la morte?

Nessuno è mai tornato per dirmelo.

Sarebbe stata una delle cose che voleva insegnarmi.

Come evocare lo spirito di una persona defunta.

Io avrei evocato mia madre solo per poterle dare quel saluto che le avevo negato. Ero persa, non sapevo chi fossi realmente, cosa fossi. La sera prima le avevo urlato contro che l’odiavo, perché non mi aveva mai rivelato la mia natura, e la mattina non le avevo nemmeno augurato il Buongiorno. Non ho pianto quando, a scuola, con davanti un giovane poliziotto dal tatto delicato di un aratro, ho saputo del ritrovamento del suo corpo nel bagno della nostra casa.

Piango raramente, quasi mai. È la mia caratteristica.

Pensai di non esserne capace.

Lei non la vedeva così.

Diceva che io ero piangevo con il cuore, per questo non avevo lacrime a segnare la mia tristezza.

Comunque c’era lei ad averne abbastanza per entrambe, visto che si commuoveva per un nonnulla.

Ci si sente indolenziti per colpa della morte?

Avere piccoli dolori ovunque, sentirsi come dopo essere stati schiacciati da qualcosa.

Le mie mani. Da loro parte un intenso formicolio, si propaga lungo le braccia rendendole pesanti.

Mi fanno male le spalle, proprio all’attaccatura con il collo, la testa, oh, la testa sembra scoppiarmi.

Tento di muovere le gambe. Sollevo il ginocchio destro. Sembra rispondere al mio comando.

La mia mano si allunga a fatica e mi scontro con qualcosa di estremamente morbido, confortevole.

Sento l’odore del detersivo che usava anche mia madre.

Probabilmente sto rivivendo una parte della mia vita, le rimembranze della mia infanzia, quando mi divertivo a camminare fra i lembi delle lenzuola ancora umide stese in giardino durante le giornate di sole. Adoravo farlo, sentire in me quell’intenso profumo di bucato, le risa di mia madre per quel piccolo piacere a cui mi abbandonavo fra le stoffe caratterizzate dalla sua predilezione per i colori vivaci.

Forse quando si dice di ripercorrere la propria vita si parla proprio di questo: avvertire antiche sensazioni dimenticate a ritroso fino a ricordare un sorriso, una gentilezza, i bei momenti vissuti con le persone che si amano. Lo spero, perché questo significherebbe che forse potrò rivederlo.

Sono stupida, lo so, forse anche un po’ infantile nel volerlo assaporare dopo che mi ha tolto la vita, eppure non posso fare a meno di volerlo.

Anche solo per un’ultima volta.

Si prova la sete da morti?

Ho come l’impressione di aver ingoiato sabbia.

Gratta, gratta contro le pareti della mia gola riarsa.

Avrei bisogno di bere.

Non ce la faccio, sento appesantirsi persino il mio respiro che come carta vetrata acuisce l’aridità che mi sta lacerando. Tossisco. Non riesco a trattenermi e qualcosa preme contro la mia spalla quando tento di alzarmi.

Una mano.

C’è qualcuno con me.

Un angelo?

Devo aprire gli occhi.

I muscoli della mia faccia si contraggono nello sforzo, mi esce una sorta di miagolio.

Non riesco a parlare, la gola è dolorante.

-Do … dove sono?-

Sono così stanca. Non sono certa che la mia domanda silenziosa sia stata ascoltata.

Forse sì.

Sento quel qualcuno muoversi spostarsi per allontanarsi da me come se attendesse che io mi alzassi improvvisamente.

«Importa davvero?» la sua voce, appena sussurrata. Ma non sembra falsata dal sogno o dal ricordo. È vera, tangibile, reale. Io so distinguere quando qualcosa è reale. «Ben svegliata, Eileen …»

«Wyatt …?»

Mi sento il volto impastato, gli occhi ancora ermetici.

Provo nuovamente ad aprirli.

Qualcosa li ferisce, mi fanno male, le palpebre non sono disposte a cedere.

Una luce forte, accecante, una luce da cui emergono lentamente i lineamenti del suo viso.

«Wyatt!» lo urlo quasi.

Gli occhi si spalancano, finalmente supero il dolore delle mie membra e del mio corpo.

Lo supero grazie anche all’incontenibile paura che provo.

Realizzo che non sono morta, no, mi ha risparmiato non so per quale motivo.

Non ho alcuna possibilità di scampo.

Mi alzo di scatto e mi ritiro il più possibile da lui, non posso ripararmi, non posso più fuggire.

Ovunque io sia lui è con me e mi guarda da sotto le sue ciglia folte.

Con sprezzo?

Devo distrarmi, capire dove mi trovo e cosa vuole farmi.

Mi rendo conto di essere in una stanza.

Non capisco.

Ho come l’impressione di conoscerla, la trovo familiare, eppure non credo di essere mai venuta qui.
Sono su di un vecchio letto dalla struttura in legno molto alta, un pezzo d'antiquariato forse dei primi anni del '900. Sulle pareti una carta da parati a fiori dalle tinte pastello, un leggerissimo ma pungente odore di naftalina, di chiuso. I mobili vintage fanno da sfondo: un comò in arte povera, una specchiera a figura piena puntinata dal tempo, le ante di un armadio a muro, quadri dalle cornici in legno pesante, un divano, due poltrone, un tavolino da caffè.
Delle tendine di organza impreziosiscono una finestra da cui sento provenire un ronzio che ho imparato a riconoscere come un pericolo.
Sonde.
«Ma dove …?»
«Sei in casa Halliwell …» I conti tornano. La familiarità del posto, il riconoscere pezzi antichi come tali, l'arredamento e la carta da parati. L'odore di chiuso. Per anni questo posto è stato un museo, un monumento alla sua potenza e forza distruttiva.

«Perché mi hai portata qui, invece di …» sono confusa non capisco, forse mi sporgo troppo avvicinandomi in maniera intossicante. È meraviglioso e terribile con i capelli legati dietro la nuca, una ciocca ribelle che ricade sui suoi tratti spigolosi, caratterizzati da un sottile filo di barba attorno alle labbra piene, gli zigomi alti e marcati, le sue iridi chiare che mi fissano senza muovere ciglio.

«Ucciderti?» annuisco con un piccolo cenno. Non riesco ad articolare altro.

Gli basta un gesto per annichilirmi completamente.

Sfiora i miei capelli, li sposta dietro l’orecchio.

Non si limita a questo.

Il suo palmo rovente si adagia sulla mia guancia, il pollice sfiora lieve la pelle ancora più morbida sotto le sue dita.

Un’autentica tortura, come di un assetato ingannato da un miraggio nel deserto.

La mia schiena viene percorsa da un brivido caldo, tremo come una debole foglia appena attaccata al suo ramo in una mattinata autunnale, socchiudo gli occhi e mi abbandono ad un respiro carico di tutto quello che provo.

Per quanto me lo neghi mi manca da morire.

Dovrei reagire, scansarmi, scacciarlo. Il mio corpo non sembra disposto a sottostare alle mie richieste.

«Hai così tante cose da dirmi, sarebbe un peccato, non credi?»

Sento il suo fiato riverberarsi in un sussurro. È vicino, estremamente vicino, in maniera così insana. Dovrei soltanto allungarmi di poco per saggiare le sue labbra, riscoprire il sapore mielato che hanno.

Con me non gli servono armi, poteri: basta solo questo, insensato, inspiegabile. Mi ha braccata per mesi, mi vuole assassinare come qualsiasi altra inezia gli si pari davanti, mi ha evidentemente rapita ed io mi sciolgo ad una sua carezza perdendo ogni capacità cognitiva.

Vorrei solo che il mio cuore si mettesse a tacere.

«Co – cose da dirti?»

Provo ad allontanarmi, con riluttanza.

Alzo le palpebre a fatica.

«Potresti rivelarmi chi ti ha aiutata a fuggire, scommetto che non hai fatto tutto da sola …»

C’è qualcosa di più, qualcosa di diverso.

Mi allontano, cerco di riprendere il controllo di me attraverso uno sguardo severo, freddo, il più freddo che posso donargli.

Deluso.

«Allora non ho nulla da dirti … Non mi ha aiutata nessuno …» Mi scruta, mi sta studiando, ed io mi sento come nuda, sotto processo con i suoi occhi intransigenti a farne da giudice. Chiudo le mie ginocchia sul petto, le circondo con le braccia nel vano tentativo di proteggermi da lui, dalla sua riesamina. Non si muove, proprio come quando mi ha preso di sorpresa nel mio nascondiglio, mi segue solo con gli occhi. Sono terrorizzata, lo vede, lo sente.

So che può avvertire il mio cuore esplodere e crollare improvvisamente, so cosa legge nella proverbiale trasparenza che ho nel confrontarmi con lui.

«Mmm … non dovresti dire bugie … sai che le bambine cattive vanno all’inferno!»

«Qualsiasi posto è meglio del tuo fianco, persino l'inferno Wyatt!» sputo velenosa come se mi avesse punta sul vivo, senza pensarci.
Sono sola. Non ho molto altro da fare qui se non cercare di resistere. È quello che ho intenzione di fare.
«Cerca di non provocarmi … potrei spedirti davvero all'inferno …» il suo è un ringhio, si trattiene.

Vorrebbe farmi tacere, ma c’è qualcosa di me che lo blocca. Anch’io in qualche modo influisco sul suo umore, forse perché con me non può esercitare in pieno la sua influenza. Non riesco nemmeno ad immaginare che l’essere con la più alta concentrazione magica nella sua anima, l’uomo più potente sulla faccia della Terra capace di assoggettare tutto il mondo terreno e non, messo in difficoltà da una inesperta ed insignificante strega.

«Fallo allora: so cosa succede a chi pecca di tradire la tua fiducia. Io non aspetto altro Wyatt … »
Sono in piedi davanti a lui in pochissimo tempo, disincastrando le caviglie dalle lenzuola che mi avevano imprigionata. Gli punto l’indice inquisitore contro il petto, lo sfido apertamente. Voglio dirgli cosa penso, come mi sento e spero di poterlo fare almeno guardandolo in viso per quanto mi sia possibile.

Lui è così alto ed io sono decisamente più piccola, quasi una bambina in confronto.

Ricordo che i primi tempi in cui stavamo insieme mi sembrava di essere la sua bambolina.

Non che sia l’apoteosi della magrezza, proporzionata ovviamente, ma il mio essere abbastanza bassa - con il mio esiguo metro e sessanta sfiorato e svariati centimetri che ci differiscono – mi ha da sempre conferito un aspetto minuto.

Mi potrebbe schiacciare persino fisicamente come un insetto.

«Eileen …» lo sospira. Sembra quasi che voglia controllarsi, che non desideri realmente farmi del male.

Questo suo aspetto così stranamente remissivo mi dona coraggio.

«Avanti “potente signore” uccidimi …» allargo le braccia invitandolo a compiere quello che io credo voglia.

-Uccidimi ancora Wyatt! Il mio cuore l'hai già spezzato, non puoi fargli ulteriormente del male, non più di quello che hai già fatto … -

Si alza, mi osserva dall’alto verso il basso come se volesse farmi sentire insignificante. Vuole esercitare il suo controllo quello che possiede su qualsiasi essere che lo teme almeno quanto lo temo io. Ha smesso di giocare.

Ma il mio non è un semplice timore, una paura da bambina che si concretizza nell’essere spaventoso che risiede sotto il letto.

Il mio è il terrore di una donna per la condanna dell’uomo che ama.

Ottiene il mio silenzio, un silenzio teso carico di scintille di mal celata irritazione.

Non cedo, non ora che mi sento in grado di affrontare la morte a viso aperto.

«Pensi che non ti conosca Eileen, che non sappia cosa ti spaventi realmente …» Mi volta le spalle ampie e quasi potrei azzardare che dietro di esse stia sospirando, forse per calmarsi o qualcosa di simile. «Non è con la morte che ti punirei realmente …»  Non si gira, non mi fredda attraverso i suoi occhi così particolari, ma alza di poco la testa. «Io ti conosco anche troppo bene. Sei una persona che ama la libertà, odi le costrizioni, le catene che ti opprimono … Se pensi che io questo non lo sappia mi deludi …» torno a guardarlo, il busto leggermente voltato fasciato da quelle sue amate t-shirt nere. Come odio quel colore su di lui.
«Mai quanto tu abbia deluso me!» Gli giro attorno. Oso fissarlo in viso, dritto negl'occhi. Mi congela il sangue quando ha quello sguardo, eppure tento di nascondermi dietro una maschera, provo a fermare ogni sensazione per non farmi vedere totalmente atterrita, o perdutamente persa come è accaduto solo pochi istanti prima.
«Io avrei deluso te? Fino a prova contraria sei tu che mi hai tradito!»
«Non posso tradire qualcuno che non riconosco. Tu non sei più la persona che amavo.» L'ho esasperato conducendo io la conversazione, cercando di avere l’ultima parola. Stringe i pugni lungo i fianchi fino a farsi sbiancare le nocche. «Wyatt …» il mio tono sembra affievolirsi, morire tra le labbra mentre emano il suo nome. Ho come l'impressione che lo faccia tremare. «Sono stanca di giocare al gatto e al topo, cosa ne sarà di me?»
«Ho fatto un incantesimo alla camera, nessuno vi può entrare e nessuno vi può uscire … escluso chi io desideri …»

Ogni parvenza d’umana voglia di stare insieme scompare davanti alla sentenza che sta per pronunciare, la potrei terminare io persino. Non ha ancora finito il suo monologo, io già conosco l’epilogo.

È triste, dal sapore del fiele che circonda le pareti di questa casa.

La mia testa riprende a pulsare.

Troppe emozioni e controllare il mio potere diventa difficile, distruttivo, non volevo essere rinchiusa nella torre più alta del castello circondata dalla negatività dei suoi leccapiedi.

-Non puoi farmi questo Wyatt … tu non puoi … tutto, ma non questo … -

No, questo nemmeno nei miei incubi più tetri poteva accadere.

Il suo sguardo è tornato su di me e non prova alcuna emozione.

Il mio invece vaga fra le assi del pavimento.

Cerco nella sua mente, avverto una nebbia fitta cogliermi più forte. Non so nemmeno perché mi senta così debole e fragile, incapace di fare qualsiasi cosa.

Lo stomaco si contorce.

L’addome mi fa male e si aggiunge alla serie di dolori che sento ovunque.

Sono tornata ad alcuni minuti fa.

«Rassegnati …»

Cado a terra sulle ginocchia.

Percepisco lo sciabordio ed un’aura nera che illumina il pavimento.

È andato via.

Entrerà solo chi lui vorrà.

Uscirà solo chi lui vorrà.

Ed io non sono fra gli eletti.

Ho appena ricevuto la mia condanna a vita: sono e sarò sempre una sua prigioniera.

 

 

Note dell'autrice: Buonasera! Non c'è molto da dire sul capitolo. Volevo solo ringraziare chi sta leggendo anche in silenzio e ricordate sempre che per ogni spiegazione io sono qui.

Besitos.

Mally.

 

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Capitolo 4
*** Part 1x3 ***


Ex Museum Halliwell Manor, September2026

 

«Spiriti buoni che mi assistite

Con le mie mani la porta aprite!»

E che Dio me la mandi buona - aggiungo mentalmente.

Sono stata scagliata tre volte dall’altra parte della stanza, il mio corpo è coperto per lo più da lividi violacei distribuiti ovunque. Da ore cerco di uscire, lotto con questo scudo invisibile che non permette nemmeno di avvicinarmi alle pareti. Come vorrei avere un potere offensivo in questo momento!

Ho deciso di reagire dopo un iniziale apatia che mi aveva cristallizzata: rannicchiata in un angolo ho atteso che il giorno mutasse nella notte, guardando fuori il cielo velarsi con i colori del tramonto e la camera tingersi come un quadro impressionista che immortala il tempo passato.

Il passato.

Chris.

Chris è da qualche parte, in un altro tempo, magari si trova in questa stessa stanza dove sono io ora.
La speranza è l'ultima a morire quando si combatte per essa.

Devo uscire da qui.

Chris non si è dato per vinto. Io non sarò da meno.

Mi appresto alla quarta crudele scaraventata.

Avvicino la mia mano alla maniglia che reagisce nell’immediato alla mia vicinanza.

La scossa è potentissima, quasi mi stesse aspettando e mi vedesse. Si scarica energica percorrendo il mio corpo rapidamente, respingendomi con tutta la sua forza. Forse comincia a stancarsi anche lo scudo di sopportare i miei attacchi. Mi urta lontana, contro lo specchio. Lo investo, si frantuma scintillando alla luce della luna che penetra impertinente dalla finestra.

Ogni piccola punta aguzza e acuminata si conficca nella mia pelle al contatto con il suolo. Sono praticamente stesa su di un letto composto da mille lame di vetri piccolissime che lacerano me, i miei vestiti, il mio amor proprio. Ho come l’impressione di essermi rotolata su di un cactus.

Provo a fatica a rialzarmi.

Al cambio di posizione avverto la nausea salire assieme fiotti di bile ed una lancinante fitta dietro la nuca. Sento l’odore del sangue misto alla sensazione di umido sulla testa ed una confusione che s’aggiunge alla debolezza diffusa in tutto il mio corpo.

Mi accarezzo il punto dolente.

Le dita si sporcano di un pasticcio umidiccio di sangue e capelli.

Ho battuto la testa, mancava effettivamente la commozione celebrale all’appello.

Mi sollevo piano sorreggendomi alla parete provocando il tintinnio dei frammenti argentati. Vedo nel mio braccio la punta acuminata di una scheggia più grande.

Il vetro scivola dalle mie mani, è troppo pieno di sangue.

Entro nel bagno della camera, almeno qui ho libero accesso.

Devo toglierla prima che m’infetti.

Cerco di usare il piccolo panno  e strappo con decisione.

Fa male. Tanto. Troppo.

La nausea aumenta, se avessi avuto qualcosa da rigettare l’avrei fatto.

In questo caso il mio digiuno praticamente forzato è stato utile.

Gemo, tossisco alle forze di stomaco che continuano a contrarre i muscoli del ventre.

Cerco di riprendermi il più possibile mentre rovisto fra i vari cassetti e ante per trovare nel più fortunato dei casi un kit di pronto soccorso. Mi devo accontentare di solo qualche benda, alcuni cerotti, dell’acqua ossigenata che verso direttamente sulla ferita reagendo al mio sangue con una sfrigolante schiuma giallina. Forse dovrei medicarmi più a fondo, togliere tutte le schegge e evitare di farmi ulteriore male.

No, mi curerò della salute dopo essere uscita da qui.

Prendo un cerotto e copro la lacerazione livida che si sta formando. Si sta gonfiando, probabilmente l’urto è stato veramente troppo forte. Ma non riesco a pensare a molto altro se non alla mia prossima fuga. 

- Com’era l’incantesimo?-

Credo di ricordarlo appena, la botta è stata pesante.

Torno nella camera e di nuovo, davanti alla porta nemica, inizio a sforzarmi di ricordare.

Ecco, forse ci sono.

«Rinchiusa in questa cella dorata

Cerco una via di fuga disperata

Con la voce voglio trovare la chiave

Per poter dischiudere questo portale»

Questa volta lancio un sopramobile contro la porta.

Non ho voglia di essere sballottata nuovamente, mi domando anche perché non l’abbia fatto prima.

L’oggetto viene respinto e per poco non mi colpisce.

Lo schivo maldestramente e quasi rotolo per terra posando le mani nuovamente sui vetri.

«AH! MALEDIZIONE!»

Sono furiosa, no anzi altamente incazzata. Certe volte il turpiloquio rende meglio l’idea di qualsiasi altra forma ingentilita dello stesso termine.

Mi devo sfogare con qualcosa. Ho bisogno di scaricarmi, incurante delle ferite e dei vari acciacchi.

La magia di Wyatt è troppo potente per me, ogni tentativo è risultato vano.

Mi gira la testa, non m’interessa.

Il cuscino diventa il mio avversario, lo prendo a pugni, lo scaravento a destra e a sinistra come lo scudo ha fatto con me.

La stanza inizia a vorticare, ho bisogno di stendermi.

Premo il cuscino contro il mio viso. Urlo. Forte.

Contro la situazione, contro il dolore che provo con le schegge di vetro conficcate nella schiena, contro quello stramaledettissimo scudo che non vuole farmi uscire.

Contro Wyatt.

Contro l’amore che provo per lui, contro l’attrazione che sento nei suoi confronti, contro la voglia di lasciarmi cullare dal suo abbraccio forte. Non è più il mio Wyatt possibile che non riesco ad impararlo! Quanto ancora mi farà soffrire, perché devo essere così autolesionista?

Perché con ogni parte del mio corpo intorpidita, il mio cuore in frantumi al pari dello specchio, io non riesco a smettere di giustificarlo, di amarlo come se mi fosse necessario farlo?

Dov'è ora lo splendido orgoglio che mi ha fatto persino rinnegare la persona che mi ha messa al mondo?

Dove sei? Cosa mi è successo? Cosa mi ha fatto?

Tolgo il cuscino dalla faccia.

Un ultimo tentativo disperato.

Molto disperato.

Mi sollevo sui gomiti il più possibile, il caterpillar che mi sta passando sopra non ha ancora finito il suo operato.

Sono così perplessa che avverto persino il sopracciglio tirarsi in maniera spropositata.

«Apriti sesamo?»

Sono proprio una cretina.

Affondo con la schiena sul letto, con tutto il dolore possibile che si possa provane nel tenere conficcate schegge di vetro nella carne. Non mi resta molto altro se non questo materasso, almeno ho un posto dove dormire senza dover combattere con zanzare ed insetti fastidiosi.

Come non detto.

Uno strano fruscio giunge da un angolo imprecisato della stanza.

Odio i passi che calpestano con un insopportabile rumore di vetri sotto i piedi.

-Vai all’inferno chiunque tu sia! –

«Vorrei, ma non posso ragazzina impertinente. Devo rimanere qui a fare da guardia ad una brutta copia di strega noiosa, incapace persino di fare un incantesimo senza ferirsi …» ha una voce stridula, quasi un tremendo squittio. No, forse è più simile ad un oca che ad un topo.

«Lasciami in pace!» grugnisco, non ho voglia di ascoltarla oltre. 

«Ho l’ordine di farti mangiare!» Se non sbaglio avverto non solo ostilità nei suoi versi, c’è forse una piccolissima punta d’invidia.

Solo una stupida demone pennuta può provare rancore per una strega imprigionata. Già me la immagino: capelli biondissimi, occhi chiari, incarnato d’alabastro e pantaloni super aderenti con cotanto di mercanzia in bella mostra. Il tipico demone medio, forse di bassa lega che pende dalle labbra di chi ha più potere su questa terra.

In questo caso Wyatt.

«Puoi anche dire al tuo “padrone” che ci si può strozzare con la cena. Ho il voltastomaco!»

Ride, in realtà starnazza.

È sempre più odiosa e la sua risata non fa altro che stridere sui miei nervi tesi come corde di violino.

«Non ci siamo, insolente piccola arpia! Io devo farti mangiare!»

Comunque il suo strano atteggiamento solletica la mia parte curiosa. Voglio proprio constatare se ho indovinato il tipo. Sollevo la testa e mi sistemo sui gomiti per poterla osservare.

Sono andata lontana nella mia descrizione.

La cara nonna papera si trova appoggiata con la schiena al muro, accanto ad un mobile su cui ha posato un vassoio, presumo in argento, coperto da una vistosa campana lucente. È vestita normalmente, una camicetta nera e pantaloni da manager fallita, capelli di uno slavato biondo rossiccio raccolti in un ordinato chignon, occhi verdi castani.

Niente di che.

Di una normalità disarmante se escludiamo la svendita dei magazzini infernale a cui sembra si siano rivolti ogni demone di livello superiore.

«Cosa del discorso “non ho fame” non hai capito? Avrai qualcosa di meglio da fare …»

So essere tagliente, cinica e crudele quando voglio. Solo con i demoni.

Credo di averla fatta arrabbiare con la mia aria insofferente e purtroppo la mia irritazione ha raggiunto livelli storici con i vetri che ancora se ne stanno conficcati un po’ ovunque e i lividi che pulsano ininterrottamente.

«… se solo potessi ti ridurrei ad un mucchietto di cenere! Non capisco cosa ci trovi in te e perché non ti abbia ancora uccisa!» La demone afferra il coperchio del mio vassoio e lo brandisce come uno scudo.

Sembra quasi che me lo voglia scagliare contro.

Mi parla, sbraita, si agita di fronte a me senza che io l’ascolti.

Anzi la ignoro, sollevandomi dal letto e passandole accanto. Il mio interesse è stato catturato da altro.

Guardo cosa c’è nel piatto con rinnovato stupore.

Bistecca al sangue e una grigliata di verdure miste.

Puoi propinarmi qualsiasi cucina sofisticata, ma dammi una bistecca al sangue con un piatto di verdure grigliate e sarò tua per sempre!

Mi convinco che è la fame a farmi commuovere – dopo mesi passati a ingurgitare roba precotta di cui non conoscevo nemmeno l’origine, quel ben di Dio potrebbe davvero commuovermi – in realtà è qualcos’altro che mi blocca l’anima all’altezza della trachea. 

Ricorda i miei gusti.

Una gentilezza, stupida, innocua, forse fatta senza davvero un motivo apparente.

Mi sto solo illudendo, sarà una casualità.

Di lei sembra rimasto solo un ronzio fastidioso.

Basta.

Sono stata insultata abbastanza e non ho proprio dell’umore adatto per sopportare oltre ingoiando senza fiatare. Credo di averglielo dimostrato.

Mi alzo.

Lei si zittisce.

« Tu, che osi il riposo disturbare

Torna nella tua aia a starnazzare;»

Avanzo solennemente di un passo, la demone indietreggia intimidita.

Forse il mio sguardo le deve già aver svelato cosa ho intenzione di fare.

È tardi: il confine della mia pazienza è stato superato.

«Non oserai ragazzina! Non puoi permetterti di fare quello che ti pare solo perché eri la sua compagna!» Cerca di distrarmi d’interrompermi. Per quanto io non ho un aspetto minaccioso, per quanto io non possegga spaventosi poteri offensivi, tutti sanno chi mi ha istruita. Non sono una sprovveduta.

«Che il tuo padrone ti trovi mutata

Nell’oca dalla quale sembri nata!»

Prova a replicare ma dalla sua bocca esce solo uno stridulo Quack!

Porta le mani alla sua gola facendo cadere il coperchio in terra con un sonoro rumore metallico.

Il mio incantesimo è solo all’inizio: mille piccole lucine bianche illuminano la stanza una ad una, in una danza altamente divertente che mi strappa persino un sorriso mentre volteggiano attorno alla sempre più attonita mia momentanea compagna di stanza. In un attimo le dita si trasformano in leggere piume bianche, le braccia distese piegate in maniera innaturale, il corpo si abbassa in un tozzo catino, il naso e la bocca si congiungono in un becco arancio acceso.

Le luci scompaiono, resta solo una poco piacevole bestia pennuta che starnazza con le sue ali spiegate.

Fa un baccano infernale, devo farla tacere in qualche modo.

Cerco di afferrarla, in un primo momento scappa.

La manco ancora rischiando di finire di nuovo sui vetri.

Da brava oca la sua stupidità non si fa attendere e presto la chiudo in un angolo.

Ha quasi atteggiamenti antropomorfi per come si stringe alle pareti, braccata da me.

I suoi versi ed i miei richiami investono tutta la stanza, in un chiasso sempre più crescente.

«Vieni qui!»

La placco scagliandomi su di lei come un giocatore di rugby, le stringo le ali attorno al corpo in un abbraccio costrittivo mentre prova futilmente a liberarsi.

Tenta persino di beccarmi.

Libero una mano e le stringo il becco in modo che non posso aprirlo.

Da due forti strattoni con il collo per tentare di dinoccolarsi, ma io sono evidentemente più forte per una volta.

«Basta! Sta buona!»

Se solo avessi una cucina a portata di mano …

Mi dovrò accontentare di un bagno dove rinchiuderla.

La scaravento senza nessuna grazia. Scivola sulle piastrelle beige fino ad incontrare la ceramica della vasca dove sbatte rumorosamente in un concerto di schiamazzi e ali sbattute alla ricerca dell’equilibrio perduto.

Io sono alla porta, l’osservo scuotere la piccola testa per riprendersi.

Tengo una mano sulla maniglia, l’altra sullo stipite.

«Se non vuoi prendere il posto della bistecca è meglio che tu stia zitta!»

Persino nella sua forma animale riesce a farmi percepire la propria invidia, il suo astio.

Bene, l’odio è reciproco.

Mi punta, tenta di avventarsi su di me, ma poco prima che possa raggiungermi chiudo la porta a chiave.

La prudenza non è mai troppa.

 

Note dell'autrice: Salve salvino streghette!!! Bene è arrivata l'oca, ricorda un po' Hanna Webster (si lo ammette mi stava veramente sulle balls). Una piccola curiosità: la camera in cui è rinchiusa Eileen è la camera di Piper. Spero che vi stia piacendo e se volete lasciate pure un commentino!!!

Per ogni perplessità io sono qui!

Besitos

Mally

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Capitolo 5
*** Part 1x4 ***


Ex Museum Halliwell Manor, September2026

 

Mi brucia la schiena. Con tutto il trambusto provocato dall’oca il mio cervello aveva totalmente resettato le mie lesioni. Credo vi sia un principio d’infezione, dopotutto sono solo riuscita a sfilarmi la maglia e a metterne una pulita.

Ho scoperto che l’armadio è pieno di vestiti.

Gonne, pantaloni, jeans, qualsiasi cosa mi possa piacere. Persino un abito da sera.

Di sicuro Wyatt è un maestro nell’arte dell’indorare la pillola.

Perché poi? In fondo sono sua prigioniera, poteva limitarsi a qualche maglietta, un tozzo di pane e acqua ed invece …

Non so davvero cosa pensare.

L’oca ha smesso di combattere contro il legno della porta da un po’, si è arresa finalmente. Ora che sta buona di certo non ho alcuna intenzione di disturbarla per prendere il necessario a medicare le mie ferite. Immagino che se provassi ad affacciarmi ricomincerebbe a starnazzare.

Meglio lasciarla tranquilla.

Strano però, iniziavo ad abituarmi ai suoi lamenti di sottofondo.

Sono riuscita ad assopirmi, coricata su l’unico lato rimasto integro del mio busto. Il destro.

Ormai è notte fonda. Potrei essere crollata senza avvertire la veglia cedere il passo al sonno, ho sempre ricevuto una botta sulla testa non indifferente. C’è qualcosa che mi sfiora la schiena delicatamente, la percorre in una lenta tortura in cui palpiti di piacere si susseguono a piccole fitte, in un turbinio di sensazioni incontrollabili.

Non qualcosa, qualcuno.

Sento nitidamente i polpastrelli superare vellutati la scapola, sfiorare la mia spalla.

Passa al braccio dove spicca il cerotto completamente imbrattato del mio sangue. Combattendo con la pennuta

un angolo si è sollevato sporcandosi con la polvere, l’adesivo è diventato praticamente inutilizzabile in quella porzione.

Lo solleva e gemo involontariamente.

Nella mia vecchia casa c’era un giardino bellissimo.

Una piccola distesa di prato selvaggio con cespugli scapigliati e piante selvatiche, che mia madre curava con eccessiva attenzione. Amava così tanto il suo giardino che alcune volte finivo per esserne gelosa.

La mattina la sentivo parlare con loro, danzava per loro, le accudiva molto più di quello che faceva con me.

Vieni Lee, balla con me!

Non ho mai avuto un fratello o una sorella con cui misurarmi.

C’eravamo solo io e le sue piante. Tra di esse nascosta vi era una fontana scavata nella corteccia di un vecchio albero abbattuto. Il muschio cresceva rigoglioso su quella piccola sorgente artificiale, zampillava fresca e delicata, scorrendo lungo l’esiguo pendio articolato su di un secondo albero poco più grande.

Sai cos’è questo albero, Lee? È un melograno, la mamma lo ha fatto piantare per te. L’acqua invece è il tuo elemento, è vita e speranza … insieme ti proteggeranno …

Io credevo ciecamente ad ogni sua assurdità, quando mi parlava a quel modo sembrava così lucida che avrebbe convinto persino uno scettico convinto.

Ho sempre pensato che il mondo di mia madre fosse fantasioso, incantevole ai miei occhi. Si chiamava Alice dopotutto, quale altra persona non poteva risiedere stabilmente nel mondo delle meraviglie se non lei. Viveva di spiritualità, vedeva l’anima delle cose come io riuscivo a leggere nella mente delle persone.

Finché, un giorno, caddi dall’albero che mi doveva proteggere.

Nei miei ricordi di bambina vi è solo un dolore lancinante, fortissimo, che dopo tutti i miei sforzi fece uscire vittoriose due lacrime.

Mi ruppi un braccio e da allora cominciai ad avere paura delle altezze, mentre le teorie di mia madre si trasformarono in chimere. Dopo la caduta dal melograno divenni schiva molto più di quello che già ero. 

Forse è lei che mi accudisce come ogni volta che ero malata, come quando avevo la febbre, oppure quando mi ruppi il braccio. Vegliava su di me come un angelo custode nonostante non avesse poteri, non fosse in grado di farlo realmente, non conoscesse neanche come il mondo magico a cui io e papà appartenevamo fosse strutturato.

Per lei ero tutto. Non avrebbe mai permesso che demoni, stregoni o quant’altro ci fosse in serbo per il mio destino mi costringesse ad una vita di sacrifici.

È dura capirlo solo ora. Rimpiango ancora di non averla nemmeno salutata quella mattina.

Lei c’era, ci sarebbe stata sempre.

Non mi ha sorretto mamma, mi ha lasciato cadere. Come hai fatto tu.

Mia madre dipinse il ramo di un melograno sul mio gesso e tante gocce d’acqua.

Io lo feci incidere sulla sua lapide.

Lo farà adesso.

Il dolore che sentii allora ora lo avverto moltiplicato lungo tutto il mio corpo, sconquassato dal crepitio recalcitrante delle mie ossa totalmente intorpidite.

«Mamma …» la chiamo, più per una speranza che sia realmente lei. Mi sono state negate tante cose in questo mondo tra cui anche la sua assidua presenza. Mi carezza dolcemente, sta spostando i miei capelli, probabilmente per osservare meglio la contusione dietro la mia testa. Qualcosa di umido sfiora morbidamente la mia tempia. Il peso sul materasso cambia, affonda alle mie spalle con un sospiro pesante. Probabilmente ha solo modificato la propria posizione.

Quel qualcuno intrufolato furtivamente nella mia stanza non è la mia mamma.

È troppo concreto per essere un fantasma.

Temo e spero che possa essere il mio carceriere.

Voglio spiarlo, solo un pochino, per vedere se davvero è lui o un bellissimo sogno, dove la dolcezza del mio Wyatt torna nella maniera più inaspettata. Alzo impercettibilmente la testa, mordendomi le labbra per non emettere alcun suono o lamento, voglio solo scrutare la figura oscura che ho accanto.

La stanza è immersa abbastanza nell’oscurità, illuminata dalla semplice luce argentata proveniente dell’esterno. Questa esigua fonte luminosa mi permette di vedere il monte delle sue spalle ricurve ed i lievi bagliori di alcuni suoi riccioli biondi che ricadono disordinati su di esse.

Riconoscerei la sua fisionomia da lontano.

Forse potrei chiamarlo, almeno dirgli che sono sveglia.

Ascoltarlo.

Sì, potrei farlo. Vorrei.

La voce si blocca ha deciso che non devo proprio.

Potrei usare il mio potere? No, sono troppo indebolita dal continuo utilizzo che ho fatto della magia nelle ultime ore e dalla perdita cospicua di sangue, non contando le mie emozioni contrastanti.

È chinato in avanti, almeno lo deduco, come se si tenesse la testa sostenendo i gomiti sulle ginocchia.

Dio come vorrei abbracciarlo ora!
Lotto con lui, lo sfido in ogni mio atteggiamento, ma è come combattere contro me stessa, all'impulso di sorridere pensando al broncio da ragazzino che metteva quando lo facevo arrabbiare. Adesso non è più così: ha il viso sicuramente duro, scuro, contratto al pari del mio.

Potrei carezzargli la scapola e basta.

Non avevamo bisogno di molte parole prima.

Ho il tempo di sollevare appena la mano, quando qualcosa d’indecifrabile richiama la sua attenzione.

Qualcosa di estremamente fastidioso, caotico e pennuto.

L’oca. L’avevo dimenticata per ben un quarto d’ora ed è tornata più arzilla di prima.

Riprendo a far finta di dormire, niente comunicazione da persone civili. Miss Duck tornerà ad assumere la sua vera forma ed io a crogiolarmi nel mio muto dissenso. Wyatt si è alzato, ma prima mi ha concesso un’ultima lieve carezza. So che mi ha controllata, ho avvertito i suoi occhi arrivare fino al mio viso.

Il fracasso aumenta mentre s’avvicina alla porta.

Ero io poi la noiosa.

La maniglia si gira.

Cla – clak.

«Cosa diamine …» lo bisbiglia, un pensiero scivolato tra le labbra, riesco a distinguerlo fra tutti i versi confusionari e il battito delle ali della mia “amica” che si ripercuotono nella stanza, neanche fosse una gran cassa.

Passa un po’ di tempo.

Sento che la papera armeggia ancora con il suo corpo animale.

Wyatt non impiegherà molto a capire.

Infatti presto i versi diventano una voce, anche se non tanto diversi gli uni dall’altra.

«Hai visto cosa mi ha fatto?»

Stringo gli occhi ed affondo la faccia nel cuscino per soffocare al minimo le mie reazioni.

È difficile trattenermi dal ridere, quasi sbotto tradendo la mia copertura di Bell’Addormentata.

«Vedi di abbassare la voce!» le intima autoritario - preoccupato?- è stato duro, secco, perentorio. Ha impartito una delle tante direttive che gli piace dare.

«Cos’è, hai paura che la disturbi?»

Non ho voglia di seguire la conversazione, la piega che sta prendendo non mi piace affatto.

Capto qualcosa qua e la, su come io e la stanza siamo ridotte, se è stata lei a farmi del male, cosa ci trovi in me tanto da risparmiarmi nonostante il mio tradimento … Bella domanda, me lo chiedo anch’io.

Passano altri bisbigli, fruscii e piccoli rumori dei frammenti di specchio calpestati.

Poi, dopo un intenso ronzio nella stanza, tutto tace.

Presumo che Wyatt sia uscito.

Bene.

O male.

Non saprei, sono sempre più combattuta.

«So che sei sveglia!»

Non era Wyatt ad essere andato via. Probabilmente avrà orbitato solo l’oca fuori.

La sua orbitazione nera. Non era così quando l’ho conosciuto. Il suo arrivo veniva preannunciato dal trillo delicato di campanellini e da un pacifico alone azzurro. Le prime volte mi sorprendeva prendendomi di soppiatto, spaventandomi.

Poi iniziai a farci l’abitudine.

Non sapevo cosa fosse un angelo bianco. Non sapevo nemmeno di essere una strega.

Allora non era ancora così corrotto, anche se il seme era stato impiantato in lui da quando era appena un bambino. Non ricordava molto di quello che accadde realmente, sapeva solo che gli Anziani non si azzardarono ad intervenire. Tradito proprio da chi giurava di proteggere lui e la sua famiglia.

Come si può continuare ad avere fiducia in un sistema quando tua madre, le tue zie, tutte le persone che ami vengono trucidati da un demone senza che chi abbia il potere di fermarlo non muove un dito.

Era solo un ragazzo, aveva sedici anni o poco meno, suo fratello quattordici.

E lui che poteva fare?

Gli Anziani non agirono neanche allora lasciando due ragazzini da soli, senza una famiglia che li soccorresse dagl’attacchi dei demoni i quali tentavano tenacemente d’impadronirsi del loro potere. Come viverla se non come un’ingiustizia?

La sua vendetta è stato il definitivo input che lo ha reso quello che è ora.

Assurdo capii i primi cenni di cambiamento dal suo modo di orbitare con delle piccole macchie scure tra le luci che l’accompagnavano, come un virus che infettava la sua purezza con qualcosa di putrido ed oscuro.

Tutto è iniziato la sera stessa in cui ha dato principio alla sua guerra contro l’intero mondo.

Una guerra con un esercito composto da una sola persona.

Distrusse dapprima la Sorgente poi, una volta assunto il controllo degl’inferi, si dedicò agl’Anziani tra cui vi era anche suo padre. Un padre che c’era stato molto poco nella sua vita, un padre che non li aveva protetti, che non aveva nemmeno provato a salvarlo quando tentarono di ucciderlo.

Il passo all’assolutismo fu breve, debellò qualsiasi forma di opposizione: le streghe che non appoggiavano la sua dittatura venivano giustiziate da coloro che noi stesse combattevamo, gli umani ridotti a burattini e i demoni a schiavi.

Il mondo è cambiato adesso non c’è più il bene o il male, non c’è più equilibrio e tutto perché c’era stato troppo male ad influenzargli il carattere e troppo bene che se ne era infischiato.

Sono stati loro ha contribuire a tutto questo.

Nessuno ora è più al sicuro.

Esiste solo lui e il suo potere.

Ci sono i suoi nemici e i suoi servi.

Null’altro.

Niente libero arbitrio, niente fughe, niente tradimenti, nessuna via di mezzo.

Nessuna pietà, nemmeno per me.

«Perché non raggiungi la tua amica e mi lasci riposare?»

È una lama che trafigge il mio cuore, rimasta incastrata e che affonda ogni volta che lui mostra un minimo di premura. Cerco di ricordarmi quanto crudele e meschino sia, come mi ha indotto a imbrattare le mie mani di sangue con l’inganno, ripetendo a me stessa come una preghiera la causa reale per cui mi ha voluta con sé.

Ciò non cambia quello che provo e continuo a farmi del male.

Mi uccido ad ogni risposta acida, il pugnale affonda ancora ed ancora.

Rimango distesa, gli occhi socchiusi.

Sinceramente non sono pronta al secondo round.

«Perché l’hai trasformata?» non posso glissare l’argomento, né sfuggirgli, rinchiusa in questo angolo cieco composta da quattro mura. Io da qui dentro non posso uscire, sono obbligata a rispondere e a parlare con lui.

Dio! Fino a qualche istante fa avrei voluto tornare indietro ed invece ora mi sembra tutto così irraggiungibile.

Mi alzo con la schiena ancora appesantita, voglio guardarlo. Ha trovato posto sulla poltrona poco distante, stravaccato come se non gl’importasse di essere il signore dell’universo conosciuto. Ha lasciato i capelli sciolti i riflessi dorati ora sono liberi di riverberarsi sul suo viso dalla pelle per metà resa opalescente dalla luce lunare, i suoi occhi fendono il buio attraversando la stanza fino a me seduta scomposta sul materasso.

Posso percepire dalle ombre che gli disegnano il volto una sorta di pacatezza, calma, strana, irreale, una mano a sorreggergli la testa, il gomito appuntato sul bracciolo, il braccio contrario mollemente abbandonato sull’altro. Bello come un angelo dannato, bello come i miei ricordi non gli rendono mai giustizia, bello come un desiderio irrealizzabile.

«Ho fatto solo un incantesimo di ritorno per farle assumere la sua forma originale, non è poi tanto sbagliato, giusto?»

Tace.

Mi fissa.

Io trattengo il respiro, ma lo guardo dritto negl’occhi con un’espressione da finta innocente, o quello che ne viene fuori se escludiamo le piccole smorfie delle mie labbra che, indipendentemente dalla mia volontà, si contraggono quando mi muovo.

Un piccolo accenno di una risata. Vuole provare a nasconderlo, ma so che il mio scherzo in fondo l’ha fatto divertire.

E per me non c’è nulla di più meraviglioso che vederlo ridere per una volta sincero.

Una vera sinfonia alle mie orecchie, travolgente, coinvolgente.

Inizia come un dolce scrosciare di una sorgente zampillante, come quella che sentivo ai piedi della fontana del mio giardino.

Una musica dolce gentile alla sua overture.

Piano, trattenuta.

Quando però anch’io non riesco più a bloccarmi, entrambi crolliamo ed iniziamo a ridere a pieni polmoni come due ragazzini quali non siamo più. Proviamo anche a smettere, appena però i nostri sguardi s’incrociano involontariamente riprendiamo più forte di prima.

Gli è sempre piaciuto il mio irriverente senso dell’umorismo, soprattutto perché avendo un carattere schivo risultava sorprendente.

Ridevamo spesso insieme.

Così, liberamente. Anche per una sciocchezza.

Poi, come un’onda nostalgica e romantica trasportata dal vento, giungono i ricordi, i miei, i suoi uniformarsi in un unico intruglio delle nostre vite. Vecchie rimembranze di quello che eravamo.

Lo sento, arriva.

Il primo singhiozzo.

Sussulto.

Le lacrime si gonfiano sugl'angoli degl’occhi. Tento di oppormi strenuamente, la gola mi fa male, la colgono alcune fitte mentre il pianto erode nuovamente le sue pareti.

La prima goccia di rugiada cade inesorabile lungo la mia guancia arrossata dallo sforzo di trattenermi.

Altre due si susseguono di dimensioni crescenti fino a morire fra le mie labbra.

Sto piangendo e lui se ne accorge, smette di ridere, torna ad essere serio.

Non voglio piangere, non davanti a lui.

Guardo il mio braccio e finisco per stillare altre lacrime ancora più amare, dimentico il perché ero stata così contenta fino a poco fa.

«MALEDIZIONE!»

Sono qui, sua prigioniera, ferita ed umiliata.

Stringo la mano attorno alla lesione, con rabbia, facendomi del male volontariamente quasi cercassi con il dolore fisico di cancellare quella mentale. Le mie labbra tremano, si dischiudono cercano l’aria che mi permetta di smettere.

Invece continuo, continuo, ho abbandonato ogni speranza.

«Dai qua!»

Non mi sono accorta di averlo di fronte, praticamente inginocchiato ai miei piedi.

Le mie spalle sussultano cercando di controllarmi. Gli argini sono distrutti, tutte le mie sensazioni si stanno manifestando dentro ogni singola lacrima che cade sulle sue mani intente nello studiare la mia ferita.

Tiene il mio braccio, l’osserva quasi con fare clinico, come se potesse ricucirmi la ferita con la sola imposizione dello sguardo. Tutta questa sua benevolenza mi distrugge, mi rende ancor più frustrata di quello che la mia condizione di prigioniera m’infonde.

«Lascia stare!»

Mi alzo sfuggendogli come ho sempre fatto, strattonando il mio braccio per sottrarglielo.

Mi rinchiudesse in una cella per l’affronto, io di certo non ho voglia di avere alcun debito con lui.

Cerco di raggiungere il bagno, ma poco prima che superi la soglia avverto una fitta bruciare sulla ferita.

Wyatt mi stringe il punto lacerato con forza, ha orbitato solo per trovarsi alle mie spalle e prendermi alla sprovvista. Il malessere che provo arriva fino al cervello, non mi permette di ragionare, combattere.

Lui stringe sempre più forte. Preme la mia schiena contro il suo corpo modellandomi sul suo torace tornito, quasi mi accascio su di esso trattenendo a stento il dolore attraverso le mie labbra.

Non posso nemmeno urlare.

Non posso respirare.

Ho paura, molta più di quella provata fino ad ora.

Abbasso lo sguardo.

Improvvisamente, senza che mi possa capacitare di ciò che sta accadendo, avverto una strana sensazione di benessere. La sua morsa non cede, preme con insistenza, ma dalla sua mano chiusa attorno al mio braccio si dirada una luce eterea che prende lentamente possesso del mio corpo.

Mi lascia.

Fa un passo indietro. Ho l’affanno come se avessi corso per chilometri, ma continuo ad osservare il cerotto in parte sollevato. Lo levo con uno strappo deciso. Lui invece è calmo anche se nei suoi occhi avverto una strana scintilla.

Un dubbio balenato nella sua mente quando il suo sguardo si è spostato sul mio braccio.

Passo la mano pensando di trovare il dosso della tumefazione ed invece avverto solo lo strato liscio della mia pelle.

Non posso crederci.

La ferita è scomparsa.

Non esiste più alcun dolore.

La testa, le ossa, la mia schiena, tutto perfettamente sano ed integro.

Sono sorpresa. Completamente atterrita.

«Come è possibile?»

Provo ad avvicinarmi, l’osservo sconvolta.

Lui deglutisce rumorosamente, la bocca si distorce combattendo con la voglia di dirmi qualcosa. Sembra quasi che non riesca a sostenere il mio sguardo. Lo distoglie infatti, in direzione del vassoio ancora ordinatamente adagiato sul mobile.

«Wyatt?» provo a chiamarlo e lui torna a guardarmi.

Nei suoi occhi la strana luce riflessa che avevo visto prima viene trattenuta dalla sua volontà oscura.

Lo so, lo avverto.

Può fingere con chiunque, ma non con me. Quelli che tenta di nascondermi sono gli occhi del mio Wyatt.

«Dovresti mangiare qualcosa Lee …» non finisce nemmeno di parlare che lo avvolgono una miriade di lucine oscure.

«No, aspetta Wyatt …»

La mia mano afferra il vuoto.

Orbita fuori prima che io possa pronunciarmi o provi a trattenerlo. È praticamente scappato.

Mi ha chiamata con il mio nomignolo, non lo faceva da molto prima che scappassi.

Realizzo ben più di quello che riesco a fare consciamente, provo a connettermi con la realtà, mi risulta complesso. Forse mi sono sbagliata, sono impazzita e tutto quello che è successo negl’ultimi secondi è stato un delirio.

Non può averlo fatto, giusto? Non può più, perlomeno.

Controllo il mio braccio, voglio essere certa di essermi sbagliata.

No, ha sanato le mie ferite. Mi ha guarita

 

Note dell'autrice: Salve salvino!!!Spero che la storia vi stia piacendo, è molto introspettiva comunque ci sarà anche un po' di movimento.Allora per le spiegazioni rimando al prossimo capitolo.

Se volete farmi qualche domandina io sono qui sempre a disposizione!!!

Besitos!^^

Mally


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Capitolo 6
*** Part 1x5 ***


?, ?

 

Vago nella molteplicità dei sogni da quando ho avuto il coraggio di chiudere le palpebre, immersa una volta in un incubo, altre in qualcosa di più lieto. È difficile che lo trovi visto che ci separa non solo la distanza fisica bensì anche il tempo, oltre alle difficoltà che subentrano con l’influsso che questo posto ha sulla mia forza.

Vero, non potrà fare molto per me da dove si trova ora, ma devo contattarlo e in questa stanza i miei poteri sembrano indebolirsi ad ogni minuto. Sarà complicato riuscire in questa impresa disperata ora, se non impossibile.

Ho iniziato a cercarlo appena entrata nel mio reame provando da subito a compiere il miracolo.

La mente, sia essa umana, demoniaca o di strega, è un terreno particolare dove passeggiare. Si potrebbe paragonare ad un lungo corridoio disposto su di un asse infinita, dove si aprono milioni di porte tutte uguali all’apparenza le quali nascondono i pensieri di tutti. Da ogni porta si diramano altri corridoi, altri accessi, altri pensieri in una sorta di matriosca multi direzionale ed illimitata sempre più articolata che solo alcuni hanno il privilegio di poter comprendere.

Un gomitolo fittissimo impossibile da districare se non si è un plasmatore della mente.

Come me, come mio padre, come mio nonno e tutti i miei avi. In effetti io sono stata la prima strega donna dopo generazioni di stregoni nella mia famiglia. Ognuno di noi aveva una peculiarità sul controllo del pensiero, sviluppando la telepatia a seconda delle proprie inclinazioni personali.

Il corpo non esiste senza la mente, come la mente non esiste senza corpo.

Un binomio inscindibile. Delle poche nozioni che mio padre mi ha trasmesso ho sempre in mente questa: ciò che accade nella propria testa influisce anche sul resto, se non apertamente ha comunque un effetto sulla nostra vita.

Io, la mia famiglia da quello che ho saputo, non possiamo essere definiti semplicemente telepatici.

Noi siamo viaggiatori del pensiero, quel genere di poteri che attirano sventure su sventure.

Ma ci sono molti modi in cui la mente assume un’importanza rilevante nella vita fisica.

I sogni ad esempio: liberano dai dogmi, lasciano che la mente vaghi oltre i propri doveri, ti permettono di essere libero dalle mille catene che ci vincolano ad un modo di ragionare o di vivere la nostra esistenza. Ogni inibizione, regola o paura scompare sotto il lieve velo grigiastro di un mondo parallelo, ma diverso. Sono composti da ogni genere d’emozione, pensiero, sensazione, esperienza che incontriamo sul nostro cammino anche se a prima vista non ci segna ed agiscono radicandosi nella nostra coscienza, nel nostro io più profondo, in quello strato della mente che rimane sconosciuta persino a sé stessi.

Ogni sogno è di per sé un mondo a sé stante ed io sono in grado di forgiare la materia di cui sono fatti.

Ecco io sono questo: una manipolatrice onirica.

Posso rimanere una semplice spettatrice, oppure imprimere l’impronta del mio passaggio. Posso plasmare scenari, spostare le persone da un mondo all’altro, posso incontrare, far incontrare, far vivere i desideri, le speranze, i timori rendendo il sogno invivibile, folle, assurdo. Posso scoprire dove si nasconde qualcuno osservando le sue paure più torbide e raramente i miei ospiti si accorgono di essere studiati a meno che io non voglia.

È una realtà fittizia complessa, difficile da gestire. Anche i sogni sono fatti di porte, di entrate ed uscite. Persone come me, le così dette “catene di congiunzione”, hanno la facoltà di riconoscere tali porte, varcarle significa risvegliarsi prima che il sogno sia finito, senza rimanerne intrappolati, uno dei gravi rischi di chi può saltare da un universo scibile umano all’altro.

Io vivo nel bilico fra le porte e il mondo reale, attraversando di strato in strato le varie menti che la compongono quando in rari casi s’intrecciano i sogni di diverse persone, talvolta addentrandomi in uno in particolare così come ho fatto con Wyatt la notte in cui l’ho visto la prima volta.

Entrai nella sua porta per noia, forse. Avevo avuto una giornata dura, un po’ come le altre che mi trovavo a passare vivendo con il terrore dei miei poteri. Ero così inesperta allora che per me era un continuo vociare insensato di gente, non potevo chiudere la spia che s’insinuava nel pensiero altrui se non con l’isolamento. Non avevo amici, non riuscivo nemmeno a parlare con una persona senza confondere ciò che diceva realmente da quello che pensava, ma conoscevo comunque il parere che avevano di me ogni singolo mio compagno di scuola.

D’altronde pensavo di essere io l’elemento sbagliato, non la stupidità della gente.

Era un sogno strano il suo. Mi attirò per la singolarità del suo richiamo, protetto da una singolare luce accecante a metà fra la benefica e l’assoluto panico, di quelle che ti sconquassano, ti prendono e catturano anche se conosci la loro pericolosità del loro possibile volta faccia.

Lui si trovava ad un bivio, due strade bianche e battute che attraversavano altrettante foreste: da una parte una verde e rigogliosa, un vero Paradiso in Terra, con il canto degl’uccellini e la danza delle farfalle, dall’altra un bosco triste e spoglio mangiato dall’inverno, che emanava un alone sinistro di terrore. Dietro di lui invece c’era solo una distesa bianca, neutra, senza alberi né strade, il nulla più assoluto. L’osservavo alle sue spalle, m’incuriosiva la sua indecisione, il suo tormento.

Non mi aveva notata e non l’avrebbe fatto se io non avessi tentato di fermarlo quando lo vidi intraprendere la foresta oscura. Tentai di nascondermi, ma fu tutto vano. Lui è Wyatt, la sua magia supera quella di chiunque altro, persino quella della sua stessa famiglia. La mia in confronto, anche se abbastanza forte, è niente.

Non mi restò che scappare anche se mi ritrovò e non in sogno, nella vita vera.

Fu lui ad iniziarmi alla magia, vide in me un grande potenziale e mi volle al suo fianco.

Prima come compagna, poi solo come un mezzo. Gli ero estremamente utile con il mio potere di influenzare il decorso dei sogni.

In molti sono stati uccisi a causa mia.

Sto rischiando, ma ho decisamente bisogno di risposte di quel genere che qui è vietato avere e lui forse potrà darmele. Spero che il nostro legame mi guidi nel trovare la sua mente .

Sono in un altro sogno.

Credo di essere in una specie di deposito.

Vi sono mobili molto vecchi accatastati disordinatamente lungo le pareti con le travi e i pilastri a vista, oggetti della più disparata natura, libri di ogni genere, addirittura un piccolo calderone annerito dal fuoco. In un angolo c’è una casa delle bambole bellissima, perfetta in ogni piccolo particolare  come quelle che io sognavo da bambina e che mia madre mi vietava perché mi avrebbe costretta alla mia condizione di donna casalinga. Vorrei muovermi, andare a vederla più da vicino, ma non posso ora.

Se ho imparato con l’esperienza devo prima farmi un idea di cosa mi aspetta.

Alzando gli occhi invece noto come il soffitto s’inclina spiovente, tipico delle case di montagna o quelle di vecchia data.

Forse, più che un deposito è un ripostiglio molto grande, una mansarda, un sottotetto … una soffitta.

L’aria qui è diversa e non per l’odore di chiuso che ne impregna ogni singola particella. È più qualcosa che mi lascia con ogni scudo mentale sollevato, all’erta come un cane che avverte l’uragano.

Qualcosa di troppo vivido, quasi tangibile.

Un potere forte che opprime i miei sensi fino a farli confondere fra di loro.

Non è un sogno come gl’altri.

Questo è un sogno di un bambino.

Si distinguono facilmente da quelli degli adulti, hanno come una visione del mondo in technicolor che aumenta le gradazioni della tricromia fino a farli divenire quasi reali. Questo immagino sia per la capacità dei bambini di vivere di fantasia e realtà contemporaneamente.

Dalla finestra si dipinge sulla moltitudine di tappeti polverosi un gioco coloratissimo fatto di luci brillanti, piccoli ritagli di una splendente giornata inondata dal sole che pare indicarmi qualcosa di molto più rispetto al semplice tempo. Un’indicazione, un segno di qualcosa che devo vedere.

Al centro della stanza si erge su di un leggio in metallo e legno, un particolare libro dalle notevoli dimensioni, la copertina pesante, rigida di grande spessore scenico con il suo verde logorato dal tempo e lo strano simbolo che non riesco a distinguere tra le ombre. Sembra antichissimo, molto più che le pareti da cui e contornato, consunto nelle sue pagine ingiallite e i due nastri che pendono come lingue forcute a segnare un punto inespresso di consultazione.

D’un tratto la copertina si solleva e con essa le pagine iniziano a sfogliarsi freneticamente. Qualcosa m’invade, uno strano senso di possesso. Non voglio che altri lo leggano, lo sento mio, soltanto mio, nessuno nemmeno una forza invisibile si deve permettere di toccarlo. Mi precipito a chiuderlo investendo il leggio, quasi l’abbraccio per tenerlo stretto prima che io possa realizzare cosa stia facendo.

Sono involontariamente incappata in un’emozione del proprietario del sogno.

No, non va assolutamente bene.

Stacco precocemente le mie mani dal leggio e dal libro quasi ne fossi rimasta scottata, combattendo l’impulso a prenderlo e scappare quando sento un lievissimo rumore ovattato dietro di me.

Non sono più da sola.

Mi volto lentamente e c’è un bambino piccolissimo, in piedi ad osservarmi con il suo sguardo vivace e tra le braccia un orsacchiotto di pezza. Ha un aria intelligente, vispa, contrariata per la mia evidente incursione nel suo sogno. Lo conosco, di sicuro ha qualcosa che si riflette nei miei ricordi o forse è solo un’impressione dovuta all’eco della sua mente che si ripercuote nella mia.

Rallento ogni mio movimento, scendo in ginocchio, seduta, in modo da essere alla sua altezza e parlargli con la voce più bassa, rimanendo sempre a distanza.

Non voglio che mi veda come una minaccia.

Amo i sogni dei bambini, meno gl’incubi.

Mi spaventano le loro paure.

Un uomo adulto di media trasforma le sue preoccupazioni in brutti sogni: un lavoro andato male, il mutuo da pagare, tutte cose tangibili e materiali che si possono facilmente superare. Invece quando un bambino ha un incubo non c’è mai la certezza di riuscire a farcela, come se non si è mai abbastanza forti o protetti, come se sentissimo tutti la paura di essere abbandonati.

Sono gli incubi delle giovani menti i più labirintici, oppressivi, i più complicati da gestire, i più dispersivi, i più coinvolgenti, quelli che t’intrappolano nel mondo dei sogni senza possibilità di trovare l’uscita.

Se dovesse cambiare idea, vedermi come un pericolo sarebbe difficile convincerlo del contrario.

«Ciao, scusami se ho toccato il tuo libro …» alle mie parole stringe a sé teneramente ancora di più il suo orsacchiotto. «Io mi chiamo Lee … stavo cercando un mio amico. Purtroppo credo di essermi persa …»

Devo ammettere che mi sorprende la razionalità del sogno di questo bambino, avrà neanche due anni e controlla benissimo il suo subconscio. Di solito a questa età, l’attenzione, così come la voglia di apprendere e conoscere, sfuma facilmente da un obbiettivo a l’altro, per cui capita di cambiare scenario in un battito di ciglia.

Invece lui sa benissimo cosa vuole, è cosciente di dove è e del fatto che io sia un’estranea. Sembra sia stato educato ad una certa diffidenza, ma al contempo non ha paura perché sa anche che può benissimo difendersi – e non ho alcuna intenzione di scoprire il come possa farlo-. Percepisco la sua curiosità, ma anche la sua profonda incertezza, come se non sapesse decidersi realmente se sono o no un pericolo.

Sia avvicina a me dondolando sui suoi passi incerti, studiandomi ancora. Guardo i delicati lineamenti del suo viso contrarsi, assumendo quasi un’espressione adulta. Sul mio viso si dipinge un sorriso spontaneo a cui il piccolo risponde con un altro quasi timidamente, cercando di coprire con il suo peluche i piccoli dentini che spuntano dalle labbra.

Devo essere cauta, molto cauta, non ho alcun desiderio che tutto muti all’improvviso.

Quando solleva le mani indicando il mio collo invitandomi a prenderlo in braccio, lo accolgo molto delicatamente, sostenendo la sua schiena e lasciando che la sua testa trovi spazio sulla mia spalla in maniera naturale.

È dolcissimo ed è il bimbo più bello che abbia mai visto. Ha splendidi capelli dorati e occhi grandi, le gote coperte da un delicato rossore. Somiglia molto ad un putto, un angioletto di quelli che arricchiscono gli affreschi parietali delle chiese.

Il senso di beatitudine che mi pervade, la pace e la tranquillità che il battito del mio cuore provoca in lui, mi offre una nuova gamma di emozioni, sua non mia ma di cui sento non potrei fare a meno.

Non importa, non ora che ho questo bambino tra le braccia. Sospira rilassato mentre mi azzardo ad accarezzargli le spalle minute. Chiudo gli occhi, mi viene naturale beneficiare del profumo di borotalco che emana la sua pelle. Ho un vago ricordo, una cosa che mi appartiene e sono sicura che sia mia: un piano e le note dolcissime di una ninna nanna in un carillon, le braccia di un uomo che si muovevano al ritmo della musica che invadeva il nostro appartamento di New York.

Inizio a canticchiarla con le labbra socchiuse, solo per lasciarmi trasportare dalla malinconia di quelle note dal sapore dell’addio, volare assieme ad esse nel mio passato, mentre un lieve formicolio cattura ogni parte del mio corpo. Forse lo sto facendo, forse sto proprio volando perché sento il mio corpo smaterializzarsi e fluttuare oltre ogni luogo, totalmente rapita, incatenata ad una sensazione che non ho intenzione di abbandonare.

Voglio restare così, sempre abbracciata al fragile corpo di questa creatura benedetta e tenerla con me.

L’immedesimazione è uno dei più gravi pericoli che corriamo noi viaggiatori della mente: provare gli stessi ricordi, avere le medesime sensazioni del nostro ospite, l’empatia che si produce una volta superata la soglia è una lama a doppio taglio. Ci aiuta da un lato a percorrere i sentieri conoscendo tutte le buche e gli avvallamenti, ma allo stesso tempo può inghiottirci, annegare nel mare di una personalità diversa, divenire talmente assuefatto a quella di non riconoscersi più rimanendo per sempre incatenato in un sogno non tuo o nel limbo che lo precede senza ritrovare il proprio corpo.

Sento il mio nome in lontananza, qualcuno mi chiama, forse mi vogliono svegliare.

Lee … Lee …

Sì è il mio nome, lo conosco.

Non voglio nemmeno più sentirlo. Ma non stanno tentando di svegliarmi.

È qualcuno all’interno del mio sogno.

«Apri gli occhi Lee …»

Apri gli occhi Lee. Apri gli occhi Lee, ma non quelli veri. Quelli dell’anima.

Apri gli occhi Lee.

Una mano accarezza la mia guancia, è fredda, mi fa rabbrividire il suo contatto costringendo le mie ciglia a sbattere tre volte prima che riesca a riprendermi del tutto e a focalizzare chi ho davvero di fronte.

«Chris?» fatico a parlare.

«Lee, non so come tu abbia fatto …» è lui. Tiene le sue mani sulle mie spalle, i suoi occhi verdi brillano attraverso la patina ologrammata che vive attraverso i sogni.

L’ho trovato, è qui e sono attonita dall’esserci riuscita.

Agisco d’istinto aggrappandomi a lui, come se fosse dimentica di tutto e tutti.

« Chris! Sono riuscita ad arrivare a te! Non posso crederci …»

Lo stringo sempre più forte, non voglio lasciarlo andare e neanche lui a giudicare da come mi ha cinto la vita e sollevato. Con Chris ho sempre avuto un rapporto speciale e Wyatt non ha mai potuto soffrire l’intesa che dimostravo di avere con suo fratello. Ne era geloso, scommetto che anche ora lo sarebbe se sapesse che la sua sonda personale è in combutta con lui per cambiare il futuro. Sono molto affezionata a Chris, molto più che affezionata.

«Come hai fatto a raggiungermi?»

Ci stacchiamo mal volentieri per permetterci di guardarci negl’occhi. Siamo spaventati, tristi e felici di ritrovarci. Sono contenta di vederlo quasi sereno.

Ma qualcosa manca all’appello, come se mi fosse scivolato dalle mani.

«Dov’è il bambino?»

«Bambino?»

«Quello che avevo in braccio, il bambino che mi … ha condotto … da te …» sono perplessa da quello che ho vissuto. Io stessa sono stata una viaggiatrice bambina, mai così piccola e nemmeno così brava da poter saltare da un mondo all’altro senza muovermi.

L’ambiente è cambiato, la soffitta è scomparsa, i colori sono sbiaditi.

Siamo accanto ad un divano tappezzato di bianco con sopra stampati dei grandi fiori arabescati rosa antico e beige, l’arredamento circostante è molto simile alla camera dove tristemente alloggio.

Ho oltrepassato un varco, senza nemmeno accorgermene.

Finalmente riprendo coscienza di me, di ciò che mi circonda.

«Siamo in casa Halliwell?»

«Sì, a meno che tu non decida di spostarci …»

«No, meglio restare qui. Almeno il luogo deve essere lo stesso …» Chris è confuso almeno quanto me, si guarda attorno come se cercasse di capirlo lui visto che io non mi decido a dare spiegazioni.

«Lee cosa sta succedendo? Hai rischiato molto cercandomi …»

«Mi ha trovata Chris …» Sospira affondando nello schienale del divano. Immagino che se lo aspettasse dal momento in cui non vi è più Bianca a coprirmi. Porta una mano al viso per massaggiarsi gli occhi e stringere fra due dita la base del naso, come se un’improvvisa stanchezza lo avesse colto. «Mi ha imprigionata con un incantesimo qui a casa Halliwell …»

«Come?»

«Io sto bene, più o meno, non mi ha eliminata intendo. Sono viva e vegeta in una delle stanze delle sorelle suppongo …» I nostri occhi s’incontrano ed in quello sguardo c’è tutto.

La paura, lo stupore, le emozioni che ho vissuto incontrando Wyatt, tutto è racchiuso nel nostro sguardo. «Anche tu suppongo sei qui altrimenti non ti avrei trovato …»

«Ricordo che stavo seguendo una pista su dei Demoni Scabbia e cercavo qualche informazione sul Libro delle Ombre … credo di essermi addormentato qui … » Passa una mano sul cuscino, saettando con lo sguardo da una cosa all’altra presente nella stanza. Non so a cosa stia pensando, non voglio rischiare d’indebolirmi ulteriormente utilizzando altra forza magica. «Deve aver chiuso il museo dopo quello che è successo …»

«Riguarda la morte di Bianca?»

Sospiro, ho decisamente bisogno di sedermi.

Mi appoggio sul divano e prendo la mia testa fra le mani, in un gesto disperato.

Chris mi è subito accanto, nemmeno avessi palesato il mio bisogno di conforto di sentirmi protetta.

Forse lui lo sa, mi conosce da tanto.

Ma non c’è tempo per i rimorsi o i rimpianti, l’ho cercato per un motivo.

Delle domande necessitano delle risposte, lui me le può dare. Sarà così.

«Bianca è morta …» Sollevo la mia testa per guardarlo, mentre i suoi occhi vagano sul pavimento alla ricerca della risposta giusta da darmi. Non può guardarmi, non riesce a farlo. «Non mentirmi!»

Afferra nuovamente le mie spalle costringendomi a fissare il mio sguardo nel suo.

La vede, so che vede la ferita che sta lacerando la mia anima.

È morta ed io l’ho capito.

Annuisce con un semplice cenno del capo, non riesce nemmeno a dire un semplice sì.

«Oh, Chris, non dirmi che è stato lui …» non risponde, il linguaggio del suo corpo parla per lui. C’è solo un verso eloquente, un movimento del suo pomo d’Adamo mentre deglutisce a fatica un pugno d’angoscia bloccato nella sua gola. Diviene rigido, la sua mano dapprima adagiata sulla mia spalla si chiude ermeticamente in un pugno. Incredibile come abbia gli stessi atteggiamenti del fratello quando viene messo in difficoltà. «… allora non è cambiato di molto …»

«Cosa significa non è cambiato di molto?»

Finalmente mi guarda, proprio mentre la mia testa torna pesantemente sorretta dal braccio.

«Ascolta Chris ho bisogno che tu mi chiarisca un dubbio, prima che sia costretta ad andarmene …» Sento che il tempo sta per scadere, il sonno inizia a scemare, almeno il suo. «Come funziona il potere della guarigione?»

Capisce la mia urgenza, inizia a sentire il lieve risveglio del corpo fisico invadergli l’anima, ma è confuso dalla mia domanda. Sbuffa cercando di riordinare le idee, dondolando la testa mentre gesticola nervoso come ogni volta che gli metto fretta nel fare qualsiasi cosa.

Siamo ragazzi in fondo, ragazzi che si sono sbrigati a crescere troppo in poco tempo.

«So che è un potere difficile da gestire, ci vogliono anni per apprenderlo e i sangue misto come me non è detto che lo abbiano. Comunque è un potere buono scaturito da emozioni positive, dall’amore principalmente …»

Dall’amore …

Quest’affermazione rimbomba nella mia testa al pari dei battiti del mio cuore.

Dall’amore …

«Come è possibile allora che lui mi abbia guarita?»

Rimane con la bocca letteralmente aperta, non si aspettava una cosa anche solo simile ed io non so fare altro che mordermi le labbra fino a sanguinare.

Il tempo è quasi giunto al termine, noi due di nuovo costretti da due mondi lontani nel tempo. Il mio angioletto tornerà presto alla nuova realtà remota per salvare il nostro futuro ed io resterò ancora più turbata di prima.

Ci abbracciamo.

Un abbraccio silenzioso ma fatto di mille parole non dette, un abbraccio costruito da uno spiraglio di luce appena accennato in questo mondo così tetro. Stringo le mie braccia sul suo torace, affondo il viso nell’incavo del suo collo, sento le sue labbra posarsi fra i miei capelli. È un fratello per me ed è probabilmente per le nostre affinità che riusciamo a captarci facilmente attraverso i nostri poteri. Lui sente i miei richiami ed io ho gli accessi alla sua mente totalmente spalancati, come neanche con i miei genitori ho mai avuto. È un po’ come se fosse il mio Angelo Bianco, immagino che sarebbe stato perfetto come tale se solo vi fosse ancora qualcuno lassù che regolasse questo genere di cose.

«Non è tutto perduto Chris!»

«Tieni duro sorellina … » ci scostiamo, sento gli occhi inumidirsi, le mie solite inibizioni totalmente liberate. Mi accarezza il viso, bacia la mia fronte e vedo attraverso i suoi splendidi occhi verdi la speranza che forse noi due riusciremo a combattere il destino, a cambiarlo, a sovvertire lo spazio ed il tempo.

Mi regala uno di quei suoi sorrisetti strafottenti, da spaccone mentre scompiglia la mia testa arruffando i capelli. Questa volta non protesterò per il suo gesto affettuoso. Anzi, gli sorrido di rimando mentre il suo viso traspare ai miei occhi nel risveglio al passato.

«Ci vediamo nel futuro, fratellino ... »

 

Note dell'autrice: Eccomi qui l'ultimo capitolo prima delle vacanze... purtroppo non credo che potrò postare per tutto Agosto e forse non potrò nemmeno rispondere alle recensioni immediatamente ma prometto che appena posso se ci saranno lo farò... rinnovo la mia disponibilità per dubbi, domande perplessità etc etc...

Veniamo a noi: eh già!Il bambino del sogno che incontra Lee è proprio ... ma sì lo so che lo avete capito però non ve lo dico apertamente ...

Comunque spero che vi piaccia questo po' di Chris che vi ho messo, vi garantisco che nel futuro positvo ce ne sarà molto di più!

Allora nel passato dovremmo essere nel periodo tra la puntata 16 e la 18 (Un magico arrivo e Teenager per caso), quindi Leo non sa ancora che Piper è incinta ecc.

Qui abbiamo anche la spiegazione di come funziona più o meno il potere dei sogni di Lee, spero vi piaccia e sia chiaro.

Credo di aver detto tutto gente!

Eh eh quindi un SUPER BUONE VACANZE A TODOS.

Besitos e ci rivediamo a settembre!!!

Mally

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Capitolo 7
*** Part 1x6 ***


Ex Museum Halliwell Manor, November2026

 

Giuro che non avrò pace finché quella maledettissima oca non finirà al forno!

La prigionia è nulla in confronto alla piaga che mi hanno assegnato come dama di compagnia, o come sorvegliante speciale. Non viene più sola, ha convinto Wyatt a farsi seguire da una guardia del corpo: c’è sempre un bel demone alto e muscoloso pronto a schiacciarmi con un dito se dovessi divenire più indisciplinata del solito. Visto che vivo in pochissimo spazio, mi sembra giusto condividerlo con altri riducendolo drasticamente di svariati centimetri preziosissimi anche solo per riuscire a respirare.

Niente più incantesimi di vendetta per me.

L’ho denominata “Miss Duck” in onore della nostra prima lite, mi diverte vedere la sua faccia divenire bordeaux ogni volta che l’apostrofo con il suo nuovo soprannome. Meglio di “piccolo rospo”, “arpia” o “stupida leprecauno cresciuta” come fa lei. Almeno io non insulto, se avverte il mio modo affettuoso di chiamarla come tale è solo perché ha la coda di paglia.

O di penne, qual dir si voglia.

Non solo si permette di entrare a suo piacimento nella mia camera invadendo la mia intimità come se fosse una sala d’attesa di un aeroporto, si prende anche la libertà di svegliarmi gettandomi addosso un secchio d’acqua gelata. Alle mie proteste poi si è “scusata” dicendo che non faccio altro che poltrire a letto, che agisce solo per il mio bene, per evitarmi piaghe da decubito.

Certo, come se non sapessi cosa gli è stato ordinato!

Non più di cinque ore di seguito, se escludiamo la volta in cui sono riuscita a contattare Chris.

Temo di rivolgergli anche solo un pensiero a quella notte. Con la precaria instabilità che avverto nel mio potere ultimamente ho avuto come l’impressione che nonostante tutto fosse sereno.

Non lo so, è sempre stata una di quelle persone che si fanno carico dei problemi altrui e ne assorbono ogni singola particella, cercando infine di non farteli pesare. È stato a lui involontariamente a spingermi a reagire, a non lasciarmi morire di fame.

Sta cercando di costruire un futuro migliore per tutti, io devo farlo da qui anche se sono sola.

Devo farlo per lui, per me, per Wyatt.

Anche per un eventuale noi.

Chissà se in un mondo diverso io sarei entrata comunque per caso nei suoi sogni, l’avrei conosciuto e ci saremmo amati.

O meglio l’avrei amato.

Il plurale stona alquanto con la mia situazione.

Non importa in fondo: un presente differente con un Wyatt che vive una vita felice in cui io non dovessi farne parte, lo preferirei in maniera assoluta a tutto questo, Oca e seguito compresi.

Soprattutto loro due.

Ora non sono qui a sorvegliarmi.

Almeno per la doccia mi concedono un po’ di privacy ed io ho intenzione di prolungarla fino ad esaurire le scorte idriche di San Francisco. Ne ho proprio bisogno, non solo come deterrente a Miss Duck per starmi alla larga cinque minuti, ma anche per me, per la necessità di sentire solo e soltanto la mia testa insieme all’incessante scrosciare dell’acqua sul mio corpo, scivolando sulla mia pelle come la stanchezza accumulata.  

Forse per questo la mamma credeva che fosse il mio elemento: da bambina stavo ore nei miei bagnetti serali, immergendomi il più possibile. Non cancellavo le voci che udivo di continuo, ma almeno attutivo  il traffico caotico che soggiornava nel mio cervello, l’unico vero rimedio che non mi facesse impazzire.

Non ho più questo problema da quando riesco a controllarmi, anche se si ripresenta in alcuni casi.

Come ora.

Sarà per il poco riposo, i dolci risvegli che mi dedica Miss Duck, ma sono preda dell’emicrania.

Succede a chi ha poteri prettamente mentali neanche troppo di rado.

Purtroppo però questo stato di malessere attiva il pulsante interno che libera i miei freni inibitori, abbassa il mio livello di attenzione sprigionando la mia telepatia involontariamente, costringendomi così ad origliare a sprazzi i pensieri preoccupati dei miei coinquilini.

Non sarebbe un problema tanto grave se si limitassero alla loro voglia di eliminarmi e al dissenso per le disposizioni impartite per rendere il mio soggiorno confortevole - per quello che può essere confortevole essere rinchiusa in dieci metri quadri -.

No, il vero problema nasce quando si rivolgono a Wyatt.

L'oca è la più fastidiosa in assoluto.

Lei mi odia, m’invidia per quello che ho avuto, come se non fosse una punizione già abbastanza atroce quella di perdere tutto.

Tutto questa acredine sbandierata, questa gelosia ingiustificata visto che un demone non può amare realmente – di sicuro una come lei è più interessata al potere – mi urta. Saperla così possessiva nei suoi confronti, come se potesse avere delle pretese è veramente insostenibile. Ho percepito ogni singolo desiderio, ho captato persino qualche ricordo, tutto sufficiente a creare un leggero prurito alle mie mani insieme alla gran voglia di fare un bel tupè con i suoi capelli.

Non ha senso, non stiamo insieme.

Non più se non altro.

Addirittura pensa che io possa condurlo alla distruzione, inducendolo a rinunciare alla sua posizione con la mia maligna influenza, veramente troppo per i miei gusti.  

Come se non ci avessi già provato quando contavo in qualche modo.

E poi come potrei distruggerlo? Con un incantesimo che su di lui ha lo stesso effetto di una piuma?

Magari con un sogno che lui riesce a governare benissimo e a plasmare quasi al mio pari, ritorcendomelo anche contro? Proprio come quel bambino.

Il bambino del mio sogno.

Mi ha dato molto da pensare il nostro fortuito incontro.

Nei miei numerosi viaggi ho vissuto diverse esperienze della più disparata natura, ma mai, mai come quella che ho avuto con il bambino. Ho sentito tutte le sue emozioni.

Non era un semplice episodio d’immedesimazione, no.

Vi era molto più di questo, qualcosa di profondamente radicato come se sapesse già chi fossi e fosse davvero intenzionato ad aiutarmi.

Mi ha portata da Chris con troppa facilità.

Mi domando come possa aver superato un varco e soprattutto come sia riuscito a farlo per entrambi. Le porte dei sogni non sono così facili da aprire, ne tantomeno da individuare. Non sono fatte di cardini o maniglie, non hanno nulla di convenzionale e l’accesso ad esse non è sempre lo stesso. Persino io, con il mio potere, incontro delle difficoltà anche solo nel comprenderle e di sicuro quando era una bambina, seppur molto dotata, non avevo una tale padronanza dei sogni da fluire da uno all’altro senza camminare fisicamente all'interno.

A meno che …

Quel bambino non fosse propriamente un bambino.

Io non ho mai avuto una famiglia unita. Mia madre non è – era- la mamma che ti guida. Lei era più una sorta di bambina molto cresciuta che giocava a fare la madre, molto immatura visto che io sono nata quando lei aveva solo venti anni. Era giovane, inesperta a differenza di mio padre che invece poteva contare dieci anni di più.

L’amore non ha necessariamente età …

Nel loro caso evidentemente era contato il divario generazionale e di vedute, visto che io conosco mio padre a mala pena e ne conservo un esiguo e vago ricordo di quando abitavamo a New York.

Non so nemmeno se è ancora vivo.

Lui è sempre stato solo un biglietto d'auguri alle feste comandate, una firma, non molto altro. Una firma tra l’altro falsificata  da mia madre per farmi credere che c’era anche se non fisicamente e mi voleva bene.

Una fantomatica figura stile Babbo Natale.

Invece no, se lui m’incontrasse probabilmente non riuscirebbe a riconoscermi.

Chissà se mi ha mai cercata, oppure ha vissuto la fuga di mia madre come una vera e propria liberazione.

So solo che loro due non andavano più d’accordo e l’argomento principali delle loro discussioni ero io.

Non mi ha mai rivelato cosa successe, cosa la spinse ed il perché di questa separazione drastica, di certo convivere con la mia pazza e infantile madre ha contribuito ad accrescere in me alcuni aspirazioni.

Ho sempre voluto avere figli.

Con una relazione stabile, quando almeno credevo di averla, la mia voglia è sicuramente accresciuta, tanto è vero che spesso mi capitava di pensare a come sarebbe stato un nostro bambino. Lo immaginavo bellissimo, alcune volte con il naso di mia mamma o il taglio dei miei occhi, ma praticamente sempre, nei miei piccoli puzzle di caratteristiche, finiva per somigliare in modo impressionante al mio Wyatt.

Sognavo davvero vivere una vita simile alle pubblicità dei biscotti.

Con tutto quello che è accaduto probabilmente ho finito di perdere ogni aspettativa di realizzazione della famiglia che tanto speravo di avere ed ho finito per accantonare da qualche parte la mia fantasia.

Freud diceva che i sogni sono la realizzazione di desideri inconsci.

In forme magari sconosciute e per vie traverse esprimono qualcosa che noi vorremmo vedere realizzata. 

E se il bambino non fosse il proprietario del sogno, ma fosse lui stesso il sogno?

Se fossi entrata nella mia mente, creando così un’eco dei miei pensieri facendo riaffiorare vecchi desideri perduti?

Si spiegherebbe la sua abilità nel comandare i miei poteri, la sua assoluta padronanza dell’inconscio, la sua somiglianza con …

Forse sto forzando i miei ragionamenti, voglio darmi una spiegazione quando vivo in un mondo in cui non vi è quasi mai una vera spiegazione. La magia agisce in modo misterioso1, talvolta subdolo ed io non sono nessuno per cercare di comprenderla.

Wyatt dalla notte incriminata non ha messo più piede qui e sono sempre più combattuta.

Lo detesto.

Lo amo profondamente.

È riuscito a guarirmi...Un potere che deriva soprattutto dall’amore.

Di tutto quello di cui ho parlato con Chris, solo questo tarlo non ha mai smesso di rodere.

Non riesco proprio a dimenticare tale dettaglio.

Sono proprio una sciocca a pensare che basti in qualche modo per dimostrare come vi sia la remota possibilità che in fondo al suo cuore lui mi abbia amata realmente, o che la sua personalità sia mutata, o almeno leggermente deviata dallo spietato Wyatt che voleva la morte del fratello.

L’illusione sempre più preponderante che lui possa ancora provare qualcosa per me.

Sono proprio una stupida ed inguaribile sentimentale. Sto  persino convincendomi che forse potrei spingere anch’io a cambiarlo, come dice Miss Duck, tanto per avere un piano B nel caso Chris non riuscisse a scoprire chi l'ha reso quello che è ora.

Una sorta di sindrome da crocerossina che ho acquisito attraverso la convivenza con mia madre.

A causa sua ho fatto dell’amore una missione, più che altro per la sua estrema idea romantica in cui amore e sofferenza erano l’essenza pura dell’animo umano.

A questo punto ho perso ogni capacità di comprendermi, la mia testa ha deciso di prendere la via più breve per l’implosione. Sono convinta che il più dei miei problemi nascono con la guerra delle due Rose che si sta attuando da questo tempo di lontananza, probabilmente perché la fiamma della speranza ha ripreso vita dalle braci ridotte quasi del tutto in cenere.

Sto decisamente diventando ossessiva e paranoica, mi rendo conto di come la segregazione stia conducendomi precocemente alla pazzia.  

Non contando l’imminente sdoppiamento di personalità che ne consegue.

Da un lato c’è la mia me razionale, mi suggerisce, neanche troppo velatamente, come sia diventata di nuovo sua succube. Dall’altra c’è la mia me emotiva, la più chiassosa, sciocca ed avventata me che abbia mai avuto. Lei si limita solo a farmi uscire il cuore dalla gabbia toracica ogni volta che me lo sono trovata davanti.

Il brutto è che una delle due è la dominante, e di razionale ha davvero ben poco visto come rimane ancorata ad un ricordo che ho di lui vivo ormai solo nella mia testa.

Così ad ogni minimo rumore, sussurro o movimento sospetto penso che sia lui, mi volto, lo cerco e poi rimango delusa se non trovo la sua massiccia figura ad incutermi del sano tetro terrore. 

Spero di rivederlo, come spero di non vederlo più.

Oh, al Diavolo!

L’acqua è diventata fredda, credo sia ora che esca dalla doccia.

Prendo coraggio chiudendo entrambi i rubinetti con un solo gesto ed afferro un telo da stringere attorno al corpo.

Mi sento rinata, posso quindi riprendere la mia intensa attività di antipatica con la cara Miss Duck. Un modo alternativo per passare il tempo quando si è costretti alla convivenza forzata. Potrei tamburellare con le mie adorabili unghie sul comodino per svariato tempo. I rumori costanti non sono di suo gradimento e con oggi vorrei che il mio record di minacce salisse vertiginosamente.

Spazzolo con cura i capelli ancora bagnati e passo la crema sulle mani.

Inizio perfino a canticchiare, perfettamente intonata al mio rinnovato buonumore per il mio piano di rendere la vita impossibile alla demone. Le piccole gioie della vita da prigioniera.

Esco dal bagno aspettandomi di trovare i miei soliti compagni ed invece scopro con sommo piacere di essere ancora sola.

Ho qualche secondo per godere dei miei spazi senza l’invasiva impudenza di Miss Duck.

Giusto quei pochi istanti per accorgermi che la parete che ho di fronte muta in uno sciame oscuro contro il mio sguardo.

No, non è la parete che sta cambiando.

Sono io che mi sono spostata.

C’è solo una persona che può avermi portata fuori dalla stanza protetta dal suo incantesimo.

Wyatt. Sono sicura che sia lui a sfogliare qualcosa alle mie spalle.

Mi ha voluta qui, non so quale sia il suo piano ma è meglio essere calma, concentrata il più possibile per non liberare qualche pensiero di troppo e complicare la mia situazione già precaria.

Come non detto.

Voltandomi l’ho visto davanti ad un antico leggio totalmente disinteressato dalla mia presenza, tutto preso dall’enorme volume che sta analizzando. È qui ad un passo da me dopo giorni che non l’ho visto.

Ho pensato a molte mie reazioni, ma tanto sapevo che sarebbe stata sempre e solo la stessa.

Sono una stupida, ripeto, una sciocca ragazzina innamorata con il milionario battito di ali di farfalla nello stomaco.

Uno spiffero solletica le mie gambe nude ed un tremore si aggiunge alla serie di sensazioni che mi provoca lo stare con lui.

Nude? Non ci credo.

Supero la paura, la pudicizia.

Non voglio affrontarlo coperta solo da un asciugamano che a malapena arriva alle ginocchia.

«Wyatt, rimandami subito in camera mia!»

Alza gli occhi di poco, con non curanza, nemmeno un attimo per guardare cosa ha provocato una tale reazione. Sembra come se lo avesse fatto apposta, giusto per creare un disagio in più a quello che già arreca lui senza che muova un dito.

«Non  è necessario, ti ho vista anche più svestita di così …»

Additare alla nostra vecchia intimità non lo rende meno orribile ai miei occhi, anzi se possibile fa pendere l’ago della bilancia dalla parte sbagliata.

Come ho anche potuto pensare di volerlo di nuovo?

È e rimarrà sempre l’odioso padrone assoluto del mondo emerso.

«Sei un essere spregevole!»

Mi ha portata qui, mezza nuda e si permette persino d’ignorarmi come se non fosse già abbastanza umiliante essere sua prigioniera. «Wyatt potresti almeno degnarti di guardarmi?»

Non dice nulla. Fa solo un gesto con le dita di una mano chiudendole sul palmo.

Le mie labbra rispondono incollandosi le une sulle altre, tutto senza sollevare nemmeno una volta la testa da quel suo stupido libro.

Ed io non posso far altro che mugugnare.

Alza finalmente lo sguardo su di me.

Si fissa nel mio, inchiodandomi al pavimento.

Afferra qualcosa che io non avevo notato.

Una pozione.

Che abbia finalmente deciso di eliminarmi?

O no sarebbe troppo bello a questo punto.

Siamo alla resa dei conti.

La lancia contro di me, indietreggio di un passo istintivamente allargando le braccia.

Il vetro si frantuma, si spande, libera il suo incanto con un fumo inebriante.

Mi sento strana.

Libera mentre il formicolio inizia a penetrare nella mia pelle facendomi tremare le ossa intorpidendole.

Schiude la mano così come la mia bocca torna ad essere indipendente.

«Cosa mi hai fatto?»

La mia domanda spunta incerta fra le mie labbra ancora doloranti.

Ma lui riprende a sfogliare il libro come se non  avesse alcuna importanza, come se non esistessi e non meritassi alcuna spiegazione.

Ed invece me le deve, eccome.

Questo è davvero troppo.

Non tollero essere la sua cavia.

Voglio che almeno si degni di dirmi il perché mi trovi fuori dalla mia cella e, soprattutto, che lo faccia guardandomi negli occhi.

Avanzo con due grandi falcate, infuriata con i capelli che, appesantiti e ancora umidi, si incollano alla mia pelle come tentacoli di una piovra, il viso in fiamme per la rabbia e l’imbarazzo che sento defluire nel mio sangue come vino in un calice.

Afferro la copertina e chiudo il libro con un sonoro tonfo prima che lui possa fermarmi.

Ma sono io a bloccarmi in uno strano ed immenso déjà vu .

C’ero già stata qui.

Ho già fatto questi movimenti.

Ho già toccato questo libro.

Come potrei dimenticarlo, così raro di questi tempi che anche solo volessi confonderlo non potrei.

Questo posto lo conosco, molto bene oserei dire, anche se ogni oggetto ha cambiato la sua posizione da quando l’ho visto. Sembra tutto più posato, un caotico ordine esposto, come se fosse messo in vetrina se escludiamo qualche frammento di legno in terra e alcuni mobili deturpati dalla colluttazione.

Le travi a vista percorrono il soffitto inclinato come vene pulsanti che irrorano un cuore, le finestre dalla parete di fondo dai vetri colorati decisamente di gusto liberty, in parte divelte e dagl’aguzzi frammenti dentati, emanano la luce soffusa di un cielo madido delle polveri sottili, l’acre odore di stantio di un luogo chiuso.

Sono nella soffitta in cui ho incontrato il bambino.

Sono sicura di non essere stata mai a casa Halliwell, anche se ho letto molto su questa costruzione attraverso i libri di storia. Ma non credo di aver mai visto foto dettagliate della soffitta o di tutta la casa in generale. Non ho potuto nemmeno visitarla visto che sono una strega.

Una volta lo chiesi a Wyatt, magari sopprimendo i miei poteri temporaneamente per evitare le sonde, ma lui mi disse con un buffetto sul mento che non ne avevo bisogno. Certo, non avevo bisogno di ricordare il potere da cui proveniva, vedevo tutti i giorni quanto logorasse la sua anima fino a renderlo la persona che detesto.

Non posso conoscere così bene questa casa da ricordarla in un mio sogno.

Dio, che confusione!

Ho paura.

Non posso nasconderlo.

Non posso perché ormai io sono preda dell’angoscia perché questo libro è qualcosa di assurdo e proibito che io non ho alcun diritto di ricordare.

Ritiro le mie mani, ma non riesco a staccare i miei occhi dalla sua copertina verde scura.

Le sue mani invece sono ancora lì, ferme, possessive, pigramente adagiate su di esso.

L’accarezza, le sue dita disegnano il simbolo inciso ad alto rilievo tra le squame logore del testo antico. Il Potere del Trio, la sua eredità magica, quella a cui nessuno era permesso di avvicinarsi. Vederlo davvero. Il Libro delle Ombre della sua famiglia di cui io non ho avuto accesso, così come suo fratello.

«Eileen credo sia giunto il momento che tu mi dica chi ti ha aiutata durante questi mesi ... Chi altri mi ha tradito ...»

Avevo dimenticato di essere con Wyatt. 

Indaga sul mio volto ogni genere di sensazione, legge nel mio sguardo la confusione, stavolta rischio seriamente di farmi scoprire. Se c’è una cosa a cui sono abituata con Wyatt è la mia assoluta incapacità di tenere a freno le mie emozioni e con esse ogni cosa legata alla mia forza di volontà.    

«Questo non ti è nuovo, eppure avevo severamente vietato di avvicinarti … immagino che chiunque sia il tuo complice te lo abbia mostrato … magari in sogno, non è così?»

«Sì, è così …»

La mia replica è uscita del tutto inaspettata, così come la mia mano che analizza le mie labbra per capire come si sono mosse senza che io glielo ordinassi.

Ho capito esattamente cosa mi ha fatto, riconosco i segni e so persino combatterli, lui questo lo dovrebbe sapere.

Una pozione della verità.

Non doveva farmi questo, non doveva.

«So che hai capito, te lo leggo negli occhi, è inutile che tu resista. Avanti Eileen, chi è stato?»

Mordo l’interno della mia bocca pur di non rispondere. Affondo i denti all'interno della guancia fino a sentire la pelle lacerarsi ed un intenso sapore di ferro invadermi la bocca.

Quanto ancora posso durare?

Ritiro gli artigli indifesa, allacciando le braccia sul mio petto in un vano tentativo di coprirmi di più, proteggermi.

Inutile.

Non mi resta che scappare. Forse posso far girare la situazione a mio vantaggio, visto che la soffitta probabilmente non è protetta da un incantesimo ed anche se chiusa da una porta questa non mi scaraventerà lontana.

Osservo il piccolo ricamo della chiave fuoriuscire dalla toppa, invitante, vicina, terribilmente vicina.

Basterà una leggera corsa, pochi passi ben calibrati.

Spero che ci sia un demone pronto ad uccidermi se metto piede fuori dalla stanza.

Le mie gambe agiscono prima dell’ordine che il mio cervello impone.

Corro, raggiungo la porta, sto per afferrare la maniglia.

Mi afferra per il braccio, vengo schiacciata violentemente con la schiena contro il legno.

Non solo.

È lui che mi schiaccia, mi blocca con il suo corpo contro il mio.

La chiave scompare in uno sciabordio nero.

Riappare sopra al leggio.

Fatico a respirare. Vorrei ma non posso.

Ansimo e gemo dalla posizione scomoda in cui mi trovo.

Agisco d’impulso, senza pensarci, scaraventando i pugni contro il suo petto per allontanarlo, ma lui mi blocca stringe i miei polsi neutralizzando il mio attacco.

Non distoglie i suoi occhi dai miei.

Le sue mani arrivano a stringere le braccia sollevandomi fin quasi ad avere il viso alla sua altezza.

Il contatto con la sua pelle arde, segna indelebile ogni parte di me.

Scosto il volto con uno scatto.

Non voglio che legga in me la debolezza, la voglia di allungare il collo e sfioragli le labbra, voglio solo che mi lasci andare.

Lui si diverte a torturarmi, sa benissimo che io nego ciò che invece evidente.

Potrei morire in questo momento.

«Lasciami!»

Ringhio come un animale ferito. Digrigno i denti in un gesto malato di rabbia, con una forza superiore a quella necessaria. Li odo stridere affilandosi mentre si sfregano le due arcate con il suo volto così poco distante da poter sentire il soffio leggero che attraversa le sue labbra lievemente dischiuse.

«Cosa pensavi di fare … ?» Si abbassa sul mio collo, un vampiro che pregusta la sua preda.

Inspira abbondantemente e sento il suo naso sfiorarmi la pelle sensibile dietro il lobo.

L’ansia e il piacere compongono una miscela distruttiva, infausta, appagante.

Da quanto non provavo più quel genere di attrazione così forte da far male?

«Volevo farmi uccidere da una delle tue guardie!»

«Sei disposta a perdere la vita per proteggerlo quindi?»

«Sì!» L’ho detto. È uscito così senza che io potessi frenarlo, la pozione diventa sempre più padrona di me, non riesco ad omettere nulla e presto, molto presto temo, i miei poteri finiranno per liberare tutti i mia pensieri. L’energia con cui la verità si fa spazio in me è dolorosa e nello sforzo di trattenerla sento due lacrime premermi conto gli angoli degli occhi come, dopo un pizzico sulla pelle, qualcosa che ti fora l’anima fino a renderla un puntaspilli.

Il costato mi duole dalla forza con cui il cuore ha preso a percuoterlo, lo sterno divenuto la sottile membrana di una grancassa. Vuole sfondarla, abbatterla solo per poterlo inseguire e raggiungere.

Una voglia pericolosa, malsana mi prende alla bocca dello stomaco.

Il mio corpo lo brama, lo desidera ed io sono qui, davanti a lui, vestita a malapena con uno straccio, disponibile e autolesionista come non lo sono mai stata.

Il fascino del male.

«Perché lo fai, perché continui a tradirmi?» lo sussurra vellutato contro la mia pelle ancora imperlata dall'acqua della doccia, con le sue labbra ad accarezzarla involontariamente. Sono paralizzata.

Dovrei scacciarlo, dirgli che se mi ha portata qui solo per sedurmi può anche tornare dalle sue demoni felici di prostituirsi per un po’ della sua attenzione. Non lo sopporto. Non può prendersi gioco dei miei sentimenti e dipingere quell’espressione di vittoria per avermi messa alle strette. Io ho una dignità, ancora per poco probabilmente, e non ho voglia di calpestarne i brandelli per il suo gusto personale.

Ma chi voglio prendere in giro ...

«Se tradirti significa cercare di cambiare le cose, ebbene SÌ! Sono una traditrice schiacciami ora se ne hai il coraggio, ma non aspettarti che t’implori o che mi prostri.»Vuole la verità e sarà quella che gli darò. Pura e semplice. Il tempo dei pensieri nascosti è finito, la rabbia, l’amore tutto ormai evidente. Più che mai l’irrimediabilità delle mie azioni, spero solo che il mio sacrificio contribuisca  a qualcosa di più grande. «Ammetto che se dovessi tornare indietro farei le stesse identiche cose. Preferisco che mi uccida piuttosto che vederti distruggere ogni cosa. Provo disgusto per tutto questo, odio la persona che sei diventata …. » Non capitolerò, non cederò le armi, non ora. Continuerò a scavare la mia fossa, che sia d’accordo o meno. «Potrai essere un despota, un tiranno, il padrone assoluto di tutto su questa Terra. Ma non avrai mai e poi mai la mia anima. »

Le sue mani aumentano la stretta, la pelle brucia sempre di più.

Sto logorando la sua pazienza,  me ne sto facendo gioco cercando di raggirare le sue domande con risposte sibilline.

Ma sa che prima o poi questa stramaledetta pozione avrà la meglio.

«Dimmi chi è stato ad aiutarti …» La sua voce si altera, s’inclina, tradisce la collera che sale con fiotti duri contro i suoi occhi iniettati di sangue.

Il mio sangue, quello di cui si macchierà a breve.

«Piuttosto mi taglio la lingua!» rispondo fra i denti, sibilando come una serpe che si protegge minacciosa.

È solo un vano tentativo di serrare la risposta in me.

Devo proteggerlo.

Nulla, sto cedendo.

Il suo nome vibra attraverso di me.

Non resisterò.

«Eileen! Chi ti ha aiutata a fuggire?»

Mi scuote con una tale violenza che il legno sulla mia schiena sembra penetrarmi la carne con le piccole schegge nate dall’usura.

Un input, un tasto con cui inizia il rapido percorso di quelle poche lettere che non avrei mai dovuto pronunciare nemmeno fra le parole silenziose che nella mia anima rimanevano segrete.

Il suo nome invade il mio corpo, la mia mente, il mio io.

-Perdonami CHRIS!-

Sono arrivata al capolinea, intrattenibile come un fiume in piena che esonda dai suoi argini dopo un’alluvione.

Siamo noi due, le nostre due menti in comunione quasi fossero una sola straripanti di pensieri contrastanti, di ostilità, disprezzo, affetto. Ogni sentimento come una saetta che squarcia il cielo plumbeo, un cuore che palpita prima d’arrestarsi e noi incapaci di reagire.

Ho detto l’unico nome che mi condanna, i pensieri a tradirmi.

Poteva sopportare chiunque, ma non lui.

Suo fratello, il ragazzo che l’ha contrastato davanti a tutti che fu l’unico a ribellarsi a lui.

Il ragazzo che si trascinò a sé una Fenice ed ora sa che lo fece anche con me.

Ci avrebbe voluti entrambi, avevamo un occasione in più rispetto a chiunque altro, io alla sua sinistra e lui alla sua destra, in un posto ambito da molti per banchettare sulle macerie della disperazione.

Il suo grande progetto di conquista a cui noi due ci stiamo rivoltando.

L’orgoglio ferito di un uomo calpestato da chi, secondo il suo deviato principio, gli doveva una devozione cieca.

So di averlo ferito irrimediabilmente cospirando con Chris, se il tentativo di salvare noi tutti si può definire cospirazione.

So anche cosa significa avergli appena dato ciò che mi permetteva di restare in vita.

Le sue mani sciolgono il loro abbraccio rovente sulle mie braccia ed io scivolo con la schiena ancora appoggiata alla porta fino a toccare con i piedi a terra debolmente, combattendo inutilmente contro la forza di gravità che spinge le mie gambe a crollare.

Sono a terra, sistemo l’asciugamano che ho attorno al corpo al meglio, più per cercare di fare qualcosa e non pensare a lui del quale non percepisco alcun pensiero.

Non voglio sentirlo.

Avverto un movimento.

Io sono ancora a terra come un verme e lui mi guarda con una collera che fa tremare il mio cuore, la mia anima.

Ha le mani allacciate dietro la schiena, impettito in una posa militare.

Alla resa dei conti ne sto uscendo sconfitta.

Bene, e sia ma a testa alta. Mi rialzo a fatica arrancando per ritrovare l’equilibrio.

Ormai siamo una di fronte all’altro specchiando le nostre figure come in un  quadro.

Ci separa almeno un metro se non più. Ma sono altre le distanze che prendiamo ora.

Non c’è molto altro da fare.

Il movimento della sua mano destra attira la mia attenzione, vedo una sfera di energia materializzarsi in essa.

La solleva come un trofeo.

Mi disinteresso, so che è destinata a me.

Voglio guardarlo in viso, che almeno sia il mio ultimo ricordo da viva.

Mi sarebbe piaciuto che fosse il mio Wyatt  con lo sguardo dolce e il ricordo triste di una famiglia persa.

Il suo labbro superiore trema sotto il lieve velo di barba incolta che la circonda.

Sono alla fine, stavolta ne sono certa eppure non ho paura.

Forse perché so che con lui ho fatto il possibile, ho cercato di combattere.

Forse perché Chris è al sicuro e non potrà tutto questo ritorcersi contro in un qualche modo, in salvo in un altro tempo.

-Ho tenuto duro fratellino e non ce l’ho fatta! Che tu sia benedetto … -

Mi auguro solo che possa realizzare il nostro sogno, che riesca almeno lui ha rendere questo futuro diverso, a salvare la sua famiglia. Se lo merita per il suo grande cuore, per la sua caparbia ostinazione, per il suo non arrendersi.

Merita un tempo roseo, merita di incontrare nuovamente la sua Bianca in circostanze migliori, redimerla come ha fatto.

Merita di riavere sua madre.

Il suo piede si sposta indietro, deve prendere il giusto slancio per scagliarla contro di me.

Come se potessi sfuggire al mio destino.

-Addio Wyatt … -

Chiudo gli occhi.

Spero che il trapasso sia un agonia più rapida di tutta la mia vita.

Spero che ci sarà la mia mamma ad aspettarmi.

Sono sicura che sia così.

È incredibile come i miei sensi si siano acuiti sentendo la morte così vicina.

Riesco a percepire il fruscio della sfera di energia mentre fende l’aria, il suo calore avvicinarsi.

Allontanarsi.

Il rumore del legno che esplode alle mie spalle.

Riapro gli occhi.

Sono ancora viva.

La sua mano vuota scende lungo il fianco.

Ansima.

Non mi guarda.

Fa solo un gesto, scaccia qualcosa davanti a sé.

Me.

 

 1Cit. Streghe 20x07 “L’amico immaginario”


Note dell'autrice: Buonasera bentornate! Allora siamo alla resa dei conti. Eileen ha rivelato che è stato Chris ad aiutarla e questo si rivela un doppio tradimento.

PRecisiamo che il Libro delle Ombre non dovrebbe esserci in casa Halliwell, ma Chris nella puntata 10 della sesta stagione lo invoca per tornare al passato. Compatibilmente con la mia storia in cui Casa Halliwell non è più un museo Wyatt ha deciso di mantenerlo nella soffitta.

Detto ciò spero che vi sia piaciuto.

Come al solito rinnovo la mia disponibilità per chiarimenti e quant'altro.

 

Volevo ringraziare CIELOLINA che ha fatto un breve commento e ARY88 che segue sempre.

Besitos

Mally

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Capitolo 8
*** Part 1x7 ***


Attenzione:a questo capitolo precede uno nuovo pubblicato il giorno precedente. Buona lettura!


Ex Museum Halliwell Manor, November 2026

 

Non credo di volermi muovere da qui.

Sono seduta sul divano della mia camera avvolta da una coperta.

Ho uno strano freddo addosso. Nemmeno l’irsuta lana del maglione che ho messo riesce a combattere questa sensazione innaturale, non credo di poter combattere il gelo che invade le mie ossa completamente intirizzite. Penetra nelle vene, nel sangue, giunge fino al midollo scorrendo rapido per tutta la spina dorsale. Ho provato a convincermi che fosse solo un incubo, che presto mi sarei risvegliata magari stimolata dal freddo come una reazione contraria al caldo afoso delle zone a basso rischio sonde.

Ho provato ad essere nuovamente falsa nei miei confronti, senza esito.

Presto l’effetto della pozione svanirà e con essa spero il senso di sconfitta che sento in me. Riuscirò forse a mentire nuovamente a me stessa, a dirmi che è solo un sogno orribile, un altro di cui rendere conto in questo girotondo di anime che mi sta vorticando attorno.

Mi abbraccio, mi tengo stretta, perché sento che sto scivolando via vuota come non sono stata mai.

Sono ancora qui, le ginocchia raccolte al petto, le braccia aggrovigliate ad esse come sostegno, la testa completamente immersa in un gomitolo di arti e corpo.

Tremo.

Non riesco a piangere.

Tutto giace fermo immobile, statue di sale nel deserto.

Sono stanca, stanca, stanca.

Di scappare, di dibattermi dalla morsa gelida che si sta impadronendo di me.

Che il mio cuore fermi i suoi battiti contati, che il sangue smetta di scorrere, che la mia anima smetta di lottare!

Ho perso.

Definitivamente.

Non ho più nulla, niente, la desolazione che si accinge con la scheletrica mano nera ad incastrare la mia inutile esistenza per sempre. Sono morta dentro, arresa alle sabbie mobili che si saziano della mia aria inghiottendomi in un tomba sempre più opprimente.

Ho smesso di avere la forza, ho smesso di arrancare in questo mondo.

Il tempo si rincorre, rapido e lento in un istante, chiocciola di un io che non ritrovo nello specchio.

Le mie mani, i miei occhi, il mio viso.

Prima di conoscerlo ero una ragazzina che non sapeva chi fosse, persa in un mondo di fantasia.

E dopo? Sono stata sua allieva, sua compagna, il suo braccio destro.

Gli ho dato tutta me stessa e di me cosa è rimasto?

Dico di non riconoscere più lui, ed io? Mi riconosco?

No.

Non sono mai stata nulla prima di lui. Sono tornata ad essere trasparente da quando non mi appartiene più.

Sto sfiorendo come la fiamma di una candela privata dell’ossigeno in pochi minuti e solo perché ho visto in lui l’odio.

Sono lo spettro di me stessa.

Quante ore saranno passate?

È di nuovo buio. Non che io riesca a vedere molto altro se non l’oscurità.

L’unica cosa che arde ormai è una fiamma nera, mangia con le sue lingue affilate ciò che resta di me.

Non ci sarà più pace. Non ci sarà pietà.

Ma non riesco a non amarlo.

Voglio rimpicciolirmi sempre di più. Voglio scomparire da dietro il muro che ho deciso di erigere da quando ho iniziato ad essere cosciente di sentire i pensieri degl’altri.

Sono una strega, un essere mitologico che solo pochi anni fa era un eresia.

Ora l’eresia è l’umanità, avere sentimenti veri.

Provare affetto.

Amare.

È sbagliato.

Orribile e sbagliato.

Invidio la demone che mi sorveglia.

Lei non ha un cuore a cui rendere conto.

Non ha sentimenti contro cui combattere.

Invece io …

Di tutto quello che avevo mi sono rimaste solo tante piccolissime parti impossibili da riunire in un unico pezzo.

Anche se ci riuscissi cosa ne sarebbe di me? Solo una moltitudine di crepe scheggiate da dove il liquido che provo a contenere inizia a colare, a disperdersi in piccole pozze ai miei piedi.

Inizio persino ad avere le allucinazioni sensoriali.

Avverto una presenza in disparte, nell’angolo più remoto del divano.

Non sono di certo nuova agl’inganni della mia mente quando tenta di difendersi strenuamente contro la mia stessa volontà di sopprimerla.

Durante alcune notti avevo avuto come l’impressione che, nel dormiveglia, vi fosse lui sdraiato contro la schiena come gli piaceva addormentarsi quando ancora condividevamo una vita, con il suo braccio che si avvolgeva possessivo attorno ai miei fianchi. Pensavo davvero che potesse essere Wyatt, sempre più stolta e persa nella mia lotta fra il volerlo e il volerlo lontano; ho persino cercato di sorprenderlo svegliandomi di soprassalto.

Il mio letto è sempre stato vuoto, il suo lato perfettamente in ordine.

«Perché sei scappata?»

Mi ripeto come sia solo un processo strano che la mia stessa mente elabora forse perché ho bisogno io di spiegazioni.

Devo forse dirmi cosa mi ha spinto a oltrepassare la linea nemica? Ne sono realmente consapevole?

«Non sopportavo di essere tua complice ancora. Wyatt, non sono più la ragazzina che hai conosciuto in un sogno. Sono una donna, una donna libera, non una tua schiava e se questo significa morte, e sia. Sappi solo che non accetterò mai più di essere alla stregua dei seguaci senza orgoglio che strisciano ai tuoi piedi …  » Mi pronuncio in un solo fiato, lo lascio fluire languidamente tra le mie labbra schiacciate contro la lana sintetica che ricopre le mie braccia.

Le illusioni sono solo miraggi, i sogni i nostri desideri infranti e la veglia l’unico modo per restituire la sanità alla nostra mente martoriata dall’estremo bisogno di proteggersi con essi, così come io stringo me stessa in un abbraccio a riccio in cui mi faccio scudo contro l’esterno.

Devo scontrarmi con esse, farle sparire nella grigia monotonia di un condannato a morte che aspetta il patibolo con insofferente impazienza.

Giro la testa e lo intravedo attraverso una ciocca indisponente ricaduta sul mio viso.

Ha lo sguardo perso nel vuoto, dritto davanti a sé.

Se davvero è un allucinazione sa come confondermi.

«Dovrei porre fine alla tua vita … non dovevate farmi questo … nessuno dei due …»

Conosco bene lo stretto rapporto di causa e conseguenza, era giusto che si sentisse ingannato da me che ho congiurato con suo fratello aiutandolo a evadere dal nostro tempo, ma vederlo riflesso nei suoi occhi ha tutt’altro effetto. Mi odia per quello che gli ho fatto. Mi odio perché non sono stata capace di essere veramente indipendente, perché non so camminare sulle mie gambe malferme.

Per un attimo mi osserva, si scontra con i miei occhi parzialmente nascosti. Non rimane che qualche secondo a fissarmi per tornare alla posizione precedente. Stringe il pugno, lo porta alla bocca in un gesto di ira contenuta.

Socchiude gli occhi.

E vorrei avere ancora un po’ d’energia per smettere di pensare alle mie colpe.

Ho contribuito a renderlo un mostro.

All’inizio ero volontariamente cieca, non volevo vedere ciò che stava accadendo, non volevo vedere i demoni, gli stregoni, gli assassinii di cui si macchiava le mani. Poi, con il passare del tempo è subentrata la paura che potesse farmi del male.

Una notte mi chiese di cercare suo fratello nei sogni. Non sapevo che già qualcuno era stato sulle sue tracce. Una Fenice, una strega, un’assassina. Per me divenne soltanto Bianca.

Capii solo allora quanto il potere assoluto lo avesse avvelenato. Avrei accettato di tutto ma non questo: voleva suo fratello a tutti i costi, morto o vivo non gl’interessava ed in qualche modo anche io avevo influito sulla sua decisione di eliminarlo.

Lo trovai, anzi, li trovai entrambi.

Chris e Bianca.

Mi rivelarono il loro folle piano, il voler viaggiare nel tempo, cambiarne il decorso, salvare il futuro sanando il passato.

Da allora non sono scesa più a patti con la mia coscienza, non lo farò di certo ora.

«Uccidimi … non ho molto altro per cui combattere …»

«Non posso …»

Di scatto la mia testa si solleva e lui non scompare.

Quindi si trova davvero qui, è lui il vero Wyatt a parlarmi quasi con il cuore in mano non solo il malato frutto della mia immaginazione.

Indietreggio arrancando sul bracciolo, colpita dall’inaspettata ventata di terrore che mi ha preso alla gola.

Scappo di nuovo, non resisto al mio istinto di sopravvivenza, chiusa all’angolo opposto del sofà.

La mia reazione attira il suo sguardo.

Si sporge in avanti, i gomiti puntati sulle ginocchia per permettere alle mani d’immergersi tra i capelli.

Sospira pesantemente.

«Sono stato capace di assassinare mio padre, ero pronto a farlo anche con mio fratello, ma con te … perché?»

Sta forse cercando d’implorarmi?

Di tutto mi sarei aspettata, ma questo …

L’unica cosa a cui riesco a pensare ora è – Oh, Mio Dio … -

«Quando ti ho persa, Lee?» Ha abbandonato molto della sua arroganza, del suo dispotico modo di porsi, del suo diktat  pronto per chiunque provasse anche solo ad obiettare ragionevolmente ad una sua decisione. 

«Io …» Sono smarrita e turbata, sembra come se abbia corso ininterrottamente per ore e non avessi acqua per recuperare i liquidi che stanno fluidificando i miei organi. Le parole bloccate a metà fra l’esofago e il palato, la bocca completamente essiccata che stride al passaggio della lingua divenuta della consistenza della carta vetrata.

Il mio cuore rallenta, manca un battito.

Ho difficoltà a comprendere cosa sta accadendo, distaccata dal mio corpo mi osservo: schiacciata tra lo schienale ed il bracciolo, le unghie affondate sulla stoffa così che sembra strapparsi tra le mie dita, gli occhi sbarrati fino a farmi male.

«Cosa è successo per farmi odiare tanto da te?»

Forse anche le sue spalle hanno cominciato a cedere al peso di questo mondo.

Non l’ho mai visto così indifeso, insicuro, terribilmente fragile.

Che sia una menzogna?

Perché allora mi avrebbe guarita quella notte e risparmiata questa mattina?

Mi avvicino controllata, prudente, come se calpestassi il suolo onirico di un bambino. Perché forse lo vedo come tale ora. Sono seduta sulle ginocchia, vicina. Talmente vicina che posso seguire la sua cassa toracica in ogni contrazione dettata dal ritmo del suo respiro. Allungo una mano a cercare la sua persa fra i morbidi ricci biondi. Ne sposto alcuni, avverto la sofficità dei suoi capelli sui polpastrelli mentre sfioro le sue dita.

Un contatto appena accennato, ma utile a risvegliare il suo torpore incastrando le sue dita alle mie.

«Wyatt … guardami …» non  gira il suo viso a favore, non risponde al mio appello accorato, detto sottile e flebile come se volessi rivelargli un segreto.

Prende solo la mia mano divenuta un oggetto frangibile accuratamente custodita fra le sue.

Teme forse quello che potrei dirgli?

Ma c’è realmente qualcosa che potrei dire?

Afferro il suo mento, lo spingo a guardarmi e per la prima volta scopro che tutte le mie supposizioni sul fatto che in fondo il mio Wyatt era da sempre lì, nascosto da qualche parte sotto una scorza dura da scalfire, ma che con me ha sempre avuto un punto debole.

Non può nascondersi, non ora con la sofferenza che percepisco in lui.

No, non è lui che mi ha persa. Questo è il Wyatt che io ho perso.

Ho un’ultima volta, il mio ultimo desiderio.

La mia mano ancora fra le sue, il mio volto vicinissimo, il capo leggermente inclinato quel tanto che i nostri nasi si lambiscano senza scontrarsi.

Deglutisce.

Io sorrido, so che è un piccolo tic nervoso.

Tra di noi soltanto quei miseri millimetri a dividerci, inutile spazio in cui riesco persino a percepire la morbidezza delle sue labbra e il pungente filo di barba che le contorna. Il suo dolce soffio mi solletica, mi fa vibrare come le corde tese di un’arpa. Temo che tutto questo non sia vero, che possa svegliarmi all’improvviso e ricordarmi che nei sogni si celano anche le nostre illusioni. Ma siamo entrambi ad un limite, un limite che si chiude come i nostri occhi quando lui lascia la mia mano e mi afferra per eliminare quella stupida porzione d’aria che ci separava, avvolgendomi sul suo petto a cui io mi aggrappo in un crescendo di passione ed amore.

Mi accoglie dolce e premuroso, carezzando ogni parte di me come per saggiare se sia fatta di carne o di fantasia. Anch’io non credo a ciò che avviene, troppo abituata a vecchi ricordi che riaffiorano spesso prepotenti nella mia anima.

Ma è vero, sta accadendo.

Abbandonata alle sue braccia, a lui, abbandonata alla persona che amo, scompare tutto quello che è stato. Ed è incredibile come le sue mani non abbiano dimenticato il modo di plasmarsi su me, come la sua voce ricordi ancora come invocare il mio nome e farmi impazzire. Mi era mancato il contatto con lui, il calore che sapeva infondermi e non solo nel puro piacere fisico.

Mi mancano le sue carezze, il conforto, la sicurezza, il sentirlo così vicino da non percepire bisogno di averlo accanto.

Mi manca capirlo ad un solo sguardo.

Mi manca l’essere una sola anima.

Non durerà a lungo, questo già lo so come il bel sogno che stiamo vivendo tutto svanirà: la cedevole danza delle nostre labbra che si conoscono oltre ogni distanza, la nostra reciproca scoperta dei corpi dell’uno e dell’altra,  l’intreccio delle nostre pelli nude sotto l’abbraccio delle lenzuola che ci accoglie. Voglio solo un attimo, una piccola concessione del destino che ci è stato così avverso, le poche ore che prima di accorgerci che tutto finirà con questa notte.

Tutto attendendo solo che il canto dell’allodola porti via con sé la mia illusione che non ho ancora perduto il mio Wyatt.

Per ora so solo che questa notte il mio sogno non andrà via.

 

Devo essermi addormentata. Ricordo di aver combattuto con la stanchezza tra le sue braccia ed ora non riconosco il posto in cui mi trovo.

Vedo solo aride mura di pietra, circondarmi, ombre apparire sulla loro superficie, proiettate da fuochi fatui alimentati a loro volta da oscure magie, esalazioni mistiche dalla provenienza sconosciuta.  Ci sono urla disperate, imploranti una pietà di questo posto dimenticato da Dio. Sobbalzo al loro imprevisto sprigionarsi. Sto per impazzire. Provo a coprirmi le orecchie con le mani inutilmente, ormai sono entrate in me e continuo a sentirle fortissime.

Sono ovunque. Da nessuna parte.

Giro su me stessa più volte cercando angosciata da dove arrivino. Devo trovarle se voglio che cessino.

Dio mio! Ma dove sono?

È un luogo tetro, macabro, offuscato dalla paura. Questo è un incubo.

Inizio a correre senza una meta precisa, mi perdo nel dedalo di corridoi naturali, rocce scavate, scolpite, statue informi create dal umidità di questa intricata grotta. Sembra di essere in un labirinto.

In un angolo credo ci sia anche un qualcosa simile ad un altare sacrificale. Sobbalzo ad ogni rumore improvviso, al fumo che spruzza da una fenditura del muro sulla mia pelle ustionandomi con i suoi vapori sulfurei.  Non sono nella mia mente, altrimenti sarei già sveglia e soprattutto non avrei l’alone rosso che si sta tatuando scontornato sulla mia spalla. Fa male, probabilmente ne riporterò il segno anche dopo se mai potrò uscire da qui.

«Wyatt!»1

È stata troppo rapida, così diversa dalla confusione di suoni ed odori che si mescolano in questo turbinio di emozioni che caratterizzano ogni angolo.

Da esso una voce si distingue, sembra che chiami …

 «Wyatt!Mi senti? Sono papà!» 1

Sì, chiama proprio lui.

Possibile che sia incappata nel sogno di Wyatt?

Certo che è possibile, anche troppo facile da comprendere. Ci siamo riavvicinati a tal punto che non ho bisogno di cercare la sua porta.

Sono praticamente immersa nella sua mente, sono una cosa sola con lui.

Siamo un’anima.

Un’anima che sente tutta la sua paura, il suo terrore.

Wyatt non ha mai paura, piuttosto provoca paura.

Cosa diavolo sta succedendo?

Perché la sua testa è così confusa?

Riprendo a correre guidata da una forza invisibile che non  riesco a decifrare. Giungo in una stanza, se così si può definire questa strana grotta artificiale costruita a più livelli. Sembra deserta, stranamente silenziosa. Con gli occhi studio ogni angolo. So di dover stare qui, eppure non cancella la mia angoscia.

«Wyatt!Wyatt mi senti? Sono papà!» 1

Mi giro con tutto il corpo in direzione della voce. La sento, la vivo, ho un brivido che percorre la schiena come se stesse per accadere qualcosa di orribile. Devo voltarmi, non vorrei, ma un altro rumore attira la mia attenzione.

Un leggero suono come di campanelli.

Un alone azzurrino e mille luci bianche che scendono dal soffitto fino a materializzare un bambino.

Il bambino. È proprio lui, riconoscerei il suo visino angelico persino ad occhi chiusi. Ed è sporco, dimagrito, sembra stanco. I vestitini che indossa sono tutti logori e sudici, tiene le manine vicino al mento.

Per un attimo volge il suo sguardo attento a me, ma non sembra vedermi. Sono nascosta, è vero ma anche l'altra volta lo ero eppure sono finita con il provare le sue stesse emozioni. Lo starò facendo anche ora?

Non capisco: cosa ci fa un bambino così piccolo in questo inferno? Perché è nel sogno di Wyatt?

Sono così concentrata nel comprendere cosa accade, che non mi accorgo di chi attiva una gabbia fatta di cristalli attorno al piccolo.

C'è un uomo con noi. Dimostra un'età matura attraverso i solchi espressivi che disegnano i suoi occhi chiari, alto, indossa una toga che un tempo si usavano nelle scuole, tra le mani fa comparire un pugnale.

Quando lo vedo avanzare cauto, indietreggio inciampando su di una pietra.

Cado e striscio a terra cercando il più possibile di allontanarmi.

Ho le mani sbucciate.

Le sensazioni del piccolo sono vive in me, forti forse le più forti che ho mai sentito, quasi potessi guardare con i suoi occhi, pensare con la sua testa. Dio mio, cosa mi sta accadendo?  Ho paura di questo signore, non voglio che si avvicini a me, vuole uccidermi ...

Non sono io è il bambino che lo pensa.

No, non permetterò che lo faccia.

Non m'interessa cosa Wyatt vuole dirmi, questo non posso di certo sopportare tutto questo terrore.

Voglio prenderlo, afferrarlo e attraversare la soglia del risveglio.

Mi avvicino per spostare un cristallo, provo a calciarlo. Lo attraverso come se fossi un fantasma.

Non mi era mai successo, non quando voglio palesarmi in un sogno.

Posso solo guardare.
«Mi dispiace è per il bene di tutti …»1 fa una pausa, sospira appesantito. Io sono allibita cosa vuol dire che è per il bene di tutti? Cosa vuole fare? «... perdonami Wyatt!» 1
Wyatt?
Il bambino è Wyatt?
Non ho tempo di ponderare questa nuova informazione che lo vedo scagliarsi contro il piccolo.
«NO!»

Agisco d'impulso e tento di fermarlo, venendo investita e trapassata dal suo corpo continuando la sua corsa di morte, ma quando mi volto lo vedo arrestarsi emettendo un gemito. Torna indietro di qualche passo trapassandomi di nuovo.
L'elsa del piccolo pugnale spunta dal centro del petto e lui è più sorpreso di quanto lo sia io.
Alza lo sguardo su di me che sono fra lui ed il bambino.
So che non mi può vedere, ma i suoi occhi scavano la mia anima, implorano una pietà malsana, la pietà di chi si rende conto di aver sbagliato tutto ed è troppo tardi per tornare indietro.
Una goccia di sudore lascia una scia luminosa dalla sua tempia al suo mento.
Le ginocchia cedono, si piega su di esse ormai indebolito.
Abbassa gli occhi, delle fiamme artificiali iniziano ad avvolgerlo. Passano solo pochi istanti, pochi attimi che a me sono sembrati eterni.
Dell'uomo non c'è altro che cenere.
«Oh, Mio Dio …»

Wyatt non può ricordarlo, non può.
Sapevo che qualunque cosa fosse successa per cambiarlo era accaduta quando ancora lui era molto piccolo. Di certo non immaginavo cosa. E' orribile e disgustoso, come si può tentare di uccidere un bambino seppure in grado di difendersi come lui? Come?
Non ho parole, solo il cuore che mi scoppia nel petto e la tristezza che pare inondare ogni parte di me.
Una mano prende la mia adagiata lungo il fianco.
Mi volto e trovo i suoi occhi, stanchi, spenti.
«Lee io …»  sembra impacciato, scoperto forse perché sono l'unica persona che ha sempre visto il suo cuore aperto come un libro.
 Poso un dito sulle sue labbra prima che continui
. Non ho bisogno di spiegazioni, non ho bisogno di nulla se non di Wyatt.
«Resta con me, Wyatt  non scappare questa volta...»

Lo abbraccio quasi a soffocare nell'incavo del suo collo. Lo voglio sentire vicino, ancora più di quanto lo sento a livello mentale, voglio che ritorniamo ad essere una cosa sola, insieme. Voglio che la nostra vita riprenda come quella di un tempo superando anche questo scoglio, le sue paure, il bambino tormentato che ha perso la fiducia nel prossimo.
«Sempre, piccola... sempre...» Accarezza la mia testa e mi sento avvinghiare dalle sue braccia forti, ascolto il ritmo regolare del suo cuore uniformarsi al mio, il suo dolce respiro riempire la cassa toracica in sincronia con me e scopro che non c'è melodia più bella se non quella racchiusa in quell'abbraccio
.
Qualcosa sta cambiando.
Non parlo di Wyatt. Il mondo che ci circonda sembra meno translucido, qualcosa sta prendendo un posto che non dovrebbe. Un impulso esterno.

Mi scosto, quasi scacciandolo.

Non ora, è troppo presto.
- Oh, no! -
«Dobbiamo cercare di uscire Wyatt ... prima che sia tardi ...» 
Mi guarda interrogativo, sa che io non scherzo quando si tratta di camminare nei sogni. Tiene la mia mano nonostante io non pensi a lui, sono solo concentrata nel capire cosa sta accadendo fuori dalle nostre menti.

«Cosa vuoi dire?Lee cosa sta accadendo?»

Ma non posso più rispondergli.

Sono nella realtà ed è una realtà che non promette nulla di buono.

 

 1Cit. Streghe 23x06 “Per il bene o per il male? (2aparte)”

 

Note dell'autrice: Vi state sicuramente chiedendo: già qui? E sì, sono già qui!

Allora andiamo con ordine: Lee è entrata nel sogno di Wyatt e ha scoperto cosa l'ha cambiato ovvero il tentativo di Gideon di ucciderlo e il suo fuggire attraverso gli inferi (proprio come dice Leo nel finale della sesta stagione). Ho praticamente ripreso le ultime due puntate della sesta stagione con la differenza che in questo non ci sarà Leo che lo salva, nè Chris che sta per tornare a casa dal passato pensando di aver risolto con i tizi del reality demoniaco.

Bene spero che la sorpresa di avermi già qui vi sia gradita e che vi sia piaciuto.

Ringrazio sempre chi mi segue.

Besitos stregati.

Mally ^^

 

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Capitolo 9
*** Part 1x8 ***


Golden Gate Bridge Ruins, November 2026

 

«Buongiorno bastardella! Ti stavamo aspettando …»

Fa freddo, ho le braccia scoperte dalla canottiera che uso per dormire e le gambe sono avvolte dal sottile strato di stoffa della tuta. Sono stata prelevata dal mio letto, dalla mia bolla. Sento ancora il suo calore impresso come fuoco sul mio corpo improvvisamente colto dal clima umido e freddo dell’esterno.

Sono stata strappata mentre ancora ero abbracciata a Wyatt.

Sono in questo luogo ancora confusa dal sogno, con la mia testa completamente offuscata, coperta da una coltre grigia, impenetrabile. Ho solo un punto certo: lei, la cara miss Duck, chinata su di me.

L’aria impregna la mia pelle di salsedine, sotto i  miei palmi la superficie si sgretola in  piccole scaglie rosse. L’odore di ruggine si mescola ai residui di vecchia vernice mangiata dal tempo.

Vernice rossa, il ferro sotto le mie mani, il sale che umetta le mie labbra.

No, non è possibile.

Non ho terra su cui appoggiarmi. Ho solo la malaugurata idea di guardare quanto spazio intercorre tra me e il suolo.

Quando capisco dove mi trovo, sento la testa vorticare pericolosamente, non per il troppo ossigeno ma per il panico dovuto all’altezza.

Le rovine del Golden Gate Bridge.

Dio Santissimo! Sono a metri e metri da terra, sospesa nell’aria quando mi basta salire su di una sedia per farmi cogliere dalla nausea. Sono infinitamente vulnerabile, debole, spaventata.

In balia di questa demone che ora è in una posizione di netto vantaggio.

Sento la lama del coltello invisibile che tiene dalle mani lambirmi la giugulare.

«Co-come avete fatto a farmi uscire dalla stanza?» riesco solo ad emettere una sottospecie di sibilo mentre nella mia testa continuo a ripetermi:

-Non guardare giù … non guardare giù … -

«Lo scudo si è indebolito così come il suo padrone.»

Cosa? Il suo scudo?

Quindi la barriera inespugnabile non era altro che il suo scudo attivo nella stanza adattato affinché io non potessi uscirne? Ecco perché la mia magia non poteva funzionare: non era un incantesimo a governarlo ma Wyatt, e di certo la sua magia non è alla mia portata.

«Mi sembri sorpresa. Pensavo che sapessi fin dove i suoi poteri possano spingersi …» 

Ogni mio tentativo di distogliere l’attenzione dall’asfalto divelto sotto di noi, sembra tutto vano.

Stringo le palpebre, forzando i miei occhi a chiudersi fino a farmi male.

Devo resistere.

Fatico a parlare mentre il mondo pare non fermarsi.

Ruota, gira si schianta al suolo come una bomba.

Ed io provo solo a pensare ai miei piedi ben piantati in terra.

Ridotta così, il mio potere diventa praticamente inutile. Non posso fare molto, di sicuro non riesco attraverso la telepatia ad attingere ai poteri dei demoni che ho intravisto per quel breve attimo in cui sono stata lucida e cosciente. Posso solo limitarmi a carpire i loro pensieri che purtroppo assumono l’aspetto di una indecifrabile poltiglia nella mia mente sempre più atterrita.

Sono in tre. Questo lo sento nitidamente.

Uno l’ho riconosciuto come la guardia del pollaio che seguiva sempre la mia sorvegliante.

Non ha pensieri precisi.

È come un cavallo con i paraocchi, pensa solo a cosa deve fare e come farlo al meglio.

Un’ape operaia che si limita a compiere il suo dovere al soldo di questa stupida mentecatta.

L’altro invece ha un pensiero fisso, qualcosa che gli avrebbe sconquassato l’animo ed il cuore se ne avesse avuti. Ho visto appena la sua immagine sfuggevole; è particolarmente magro, il volto oscurato dalla posizione in cui si trova, ricurvo su sé stesso, preoccupato.

Ripete, ripete fino allo sfinimento la stessa frase.

-Ci ucciderà, ci ucciderà tutti … -

Vorrebbe parlare, ribellarsi.

È davvero nervoso, la situazione non gli piace.

Cerco i suoi occhi aprendo a stento i miei.

È veramente preoccupato.

Passo a quelli di lei.

Strafottente e sicura.

Devo solo puntare a perdere tempo e il demone contrario a tutto questo fa proprio al caso mio. Per un attimo dimentico dove mi trovo lasciando che sia il mio istinto di sopravvivenza a vincere sulla fobia.

Farli litigare fra di loro mi darà modo di concentrarmi e magari riuscire a rivoltare i loro poteri.

Devo concentrarmi.

Devo essere concentrata! Devo farlo!

Una distesa verde, un prato fiorito, i mie piedi saldi tra gli steli d’erba morbida e soffice. Sono in quel prato e guardo le mie dita giocare. Mi siedo e sento la rugiada bagnare gli abiti sottili. Niente inanimato ferro, niente odore di ruggine. Solo terra e il fresco profumo della primavera.

La mia bocca si muove appena, in un sussurro, nella mia fantasia.

-Cosa stai rischiando ? Per chi soprattutto? –

Alza la testa, cerca la provenienza della voce che sente solo lui.

La mia voce. Mi sorprendo anch’io dell’illusione che ho costruito.

Mugugna qualcosa, ingurgita aria come se gli fosse proprio necessaria, mentre io cerco di intrecciare alcune piccole margherite dagli steli corti. Gesti calmi e ripetitivi. Un motivetto che ne determina il ritmo.

-Pensi che vorrà dividere con te qualsiasi cosa otterrà da questa storia? Sempre che ottenga qualcosa … -

È in difficoltà, porta le mani alla tempia, massaggia i suoi occhi.

Dondola in un moto perpetuo.

Non sarà così facile cacciare il suo grillo parlante.

-Stai zitta!-

Urla nella sua testa, un pensiero detto con tutta la forza di cui è capace.

Interrompe la leggera melodia nella mia testa, il prato sta per svanire e con lui tutta la calma che ho raggiunto.

No, devo resistere. Non posso cedere, non ora che l’ho in pugno.

Non ora che l’ho spiazzato.

Il mio sogno pacifico sta per svanire. Il mio corpo si alza prima che tutto scompaia in un ultimo estenuante sforzo, con due passi pesanti e urgenti che io vedo in me ma che ora so si riflettono nella mente del demone.

Vede me, vede il tappeto verde che sfuma dal brillante al pallido pastello di cui si sta macchiando mentre la realtà diventa sempre più visibile.

Vede i miei pugni lungo i fianchi, le mie labbra che si muovono troppo lentamente per la voce che invece è rapida rubando secondi preziosi prima che la mia concentrazione svanisca con la presa di coscienza.

-Sai che ho ragione … è una follia non è vero? È stupido mettersi contro uno dei suoi ordini … guarda cosa ha fatto a … me … ricorda quello che ero, guarda quello che sono … -

Sono di nuovo ad un’altezza spropositata. Nessuno sembra essersi accorto di quello che ho appena fatto.

Magari il tempo trascorso è stato meno di quel che penso.

E lui, il demone, sta per esplodere, lo sento, lo vedo dal colorito paonazzo che sta invadendo il suo incarnato.

Smette di toccarsi il viso, di spremerselo come se potesse farmi uscire.

Non può.

Saetta con il suo sguardo slavato da me all’Oca.

Penso al vuoto sotto di me e il mio volto spaventato si consuma nel terrore.

Non sono mai stata una grande attrice, ma ora credo che le mie doti drammatiche siano esponenzialmente cresciute.

Ne va della mia vita.

«È una follia Kyla …» La voce stridula del demone finalmente irrompe nella conversazione; ogni pausa la sua mascella si  serra nervosa quasi a slogare la mandibola, gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite. Sono riuscita a convincerlo. «… ho sbagliato a darti retta! Ci ucciderà tutti ...»

L’oca trattiene un ringhio, vedo le sue labbra tremare e la sua mano sollevarsi verso il povero demone invitandolo a tacere, a cui non rimane altro che mordersi rabbiosamente l’ossuto pugno.

«Non lo farà finché avremo lei … »

Prova a carezzarmi la guancia, non voglio che mi tocchi con le sue viscide mani.

Cerco di strapparmi dalle grinfie, ma lei mi preme con forza ai lati obbligandomi  a resistere.

«… questi begl’occhioni da cerbiatta e le quattro moine da sgualdrina di bassa lega sono la sua debolezza ... »

Crede davvero di poterlo avere in pugno minacciando me? È solo una sciocca stupida oca.

«Pensi davvero che io gli interessi tanto da farsi ricattare da una come te? Si vede che non lo conosci affatto ...»

Forse l’ho detto con un po’ troppa rabbia, talmente di getto da divenire un’unica parola.

I due demoni alle sue spalle si guardano, sembra che anche la guardia del corpo è stata contagiata, o semplicemente ha capito che stanno rischiando molto più di quello che miss Duck ha provato a fargli credere.

Lei invece è così padrona di sé stessa. Mi ammira proprio come si farebbe con un trofeo, soddisfatta e gongolante di avermi con sé. Apre la sua bocca tinta di rosso ed io non so cosa mi trattenga dal chiudergliela con un bel pugno.

Sospira, scuote la testa come se fosse l’unica a comprendere la pura essenza delle cose.

«Non hai ancora capito, mia cara, che tu sei la chiave della sua umanità …» 

Enfatizza allargando le braccia in un gesto plateale, mentre con aria saccente sconvolge interamente ogni mia convinzione. Per la prima volta sono davvero in difficoltà. Nelle ultime ore sono cambiate tante cose.

Il bacio, la passione, il sogno che abbiamo condiviso.

Ogni gesto avvenuto durante la nostra ritrovata intimità avvalora la teoria di Kyla. Eppure ormai sono così disillusa che nonostante tutto, so che non rinuncerà al suo potere e non cederà alle ritorsioni di una stupida oca solo per me.

A questo punto non sono più cosciente di quale delle due sta realmente sottovalutando Wyatt.

Ma non ho tempo di riflettere troppo a lungo su questo, né di come sia pericolosamente in bilico su l’orlo di un baratro.

Il vento cambia la sua direzione, si sposta verso nord innaturalmente.

Troppo repentino e con una dirompenza non indifferente.

Vacillo, una mia mano cerca altra superficie dove poggiare dietro di me e trova ad accoglierla solo il nulla. Scivolo e mi ritrovo bocconi, con il volto rivolto a questa lingua di asfalto che si srotola invertebrata sopra il mare,  la testa mi trascina nei metri su metri che mi separano dalla superficie solida, moltiplicati ulteriormente dal suono delle prepotenti vertigini che mi provocano nausea ed un attacco di panico.

L’Oca ride. Si permette anche di sfottere sulla mia fobia.

Non ce la faccio, è impossibile non pensare a dove sono ora con lei che me lo ricorda con quel suo ghigno mefistofelico.

L’odore di bruciato si aggiunge alla foschia, intenso e soffocante come una camera iperbarica in cui vi è una bombola di metano.

Vengo presa dalla collottola come un gattino, le unghie feriscono la cute e poco dopo i miei piedi camminano nel vuoto, sorretta da un esile braccio teso. La sua pelle liscia e fredda come il marmo sfugge alle mie mani che cercano disperatamente un  punto di appoggio, le sue unghie mi graffiano fino bruciando sulla mia carne troppo tenera per la loro terribile forza demoniaca.

Sono agitata, spaventata, mi muovo come un’anguilla tra il desiderio di respirare bene e il terrore del nulla sotto di me.

La vista si appanna, il mio collo emette uno strano scricchiolio mentre davanti ai miei occhi offuscati si sta consumando tra le fiamme il corpo della guardia.  

Il cielo s’appesantisce, la tinta perlacea stratificata lascia il posto ad un tetro scenario che fa da sfondo ad una oscura ombra che sta prendendo forma.

Il vento si alza soffia sopra le mie gambe che oppongono ancora resistenza alla forza di gravità.

«Wyatt … »

Lo invoco, chiedo aiuto proprio a lui che fino a poche ore prima mi minacciava al pari di chi si è presa la libertà di farlo.

Conosco quella strana calma che possiede e quello sguardo iniettato di sangue. Lo rivolgeva a me, una traditrice.

Il suo piede si sposta in avanti.

Vuole venire da me.

«Eravate solo voi due Kyla … mi offendi … »

Ha detto solo voi due?

No, no sono in tre, non in due.

Dov’è il demone magro?

Devo dirglielo devo fare qualcosa! Maledetto potere inaffidabile che funziona ad intermittenza!

«Wyatt, ce n’era …»

La stretta attorno al mio collo si accentua, non permette all’aria di giungere correttamente nei miei polmoni.

Grugnisco, annaspo come se stessi annegando nel mio stesso respiro.

Non mi permette di dirgli cosa sta accadendo.

Gli occhi si appannano, la vita sta sfuggendo lentamente verso il basso, una goccia di sudore scivola lungo il profilo del mio viso. Gelata percorre le curve di un sentiero che si distacca dal mio corpo. Mi pare di sentire il suo sibilo mentre si libra nel vuoto prima di toccare terra.

Lui non si farà distrarre dalla mia morte imminente, lui non si farà prendere di sorpresa per cercare di salvarmi.

Sono sacrificabile.

Devo esserlo.

«Non ti consiglio di muovere un altro passo, non credo che la tua streghetta voglia conoscere l’asfalto dei resti del Golden Gate Bridge …»

La ignora.

Prosegue con il suo passo calmo, certo, tranquillo. Una passeggiata che compie tutti i giorni.

Non ha nemmeno alzato il suo scudo.

-No, Wyatt no, è una trappola!-

È troppo tardi, ogni cosa appare rallentata, ma la velocità con cui si compie il destino sembra accelerare di minuto in minuto.

L’onda di un miraggio compare davanti a lui, piccole spalle spigolose che affondano un pugnale nel suo ventre.

Lo estrae.

Quei ricami sull’elsa li riconosco.

Sono gli stesi del pugnale che ho visto nel sogno di Wyatt.

«NOOO!»

Si piega in avanti, le palpebre spalancate, tiene la ferita macchiando le dita del suo stesso sangue.

Sangue rosso come il mio. Sangue umano.

L’hanno colpito.

Non ragiono più, nelle mie vene inizia a scorrere benzina e fuoco, l’ira di una donna che vuole proteggere ciò che ama.

Non m’importa dell’ustione che sento lambire il mio collo, non importa che farò un volo infinito fino a fracassarmi ogni piccolo osso. Non importa nulla. Attraverso i suoi poteri riesco a scagliare il pugnale contro l’oca, al centro del suo cuore di pietra, mentre l’altro demone è già divenuto cenere.

È la terza volta che sono sicura di morire.

È la terza volta che non ho paura a compiere il passo.

Cado.

Non urlo, non mi agito inutilmente.

Le forze le uso solo per chiudere gli occhi immaginando di essere ancora bambina, a soli tre metri da terra, sopra il ramo più spesso di un melograno e non ci sarà l’asfalto ma un prato di morbida erbetta ad accogliermi, quello che prima mi aveva accolto per ridurre la mia pauro, lo stesso in cui la mia mamma curava le sue piantine di lavanda appena fiorite.

Lei sarà lì, ad aspettarmi anche se non riuscirà a prendermi.

Il vento si placa, il grigio letargo della giornata si attenua.

Non sento più freddo. Solo un mite tepore.

Apro gli occhi stupita.

Sono fra le braccia di Wyatt nella soffitta di casa Halliwell. Mi tiene per la vita ho le mani sul suo petto ansimante.

Sembra affaticato, il suo cuore batte lentamente.

Molto lentamente.

Troppo lentamente.

Ha usato le sue ultime forze per orbitarmi al salvo.

Non ho nemmeno il tempo di capire cosa accade che le sue gambe cedono, si accascia su se stesso ed io riesco a malapena a sorreggerlo per non farlo crollare come un frutto troppo maturo. Lo faccio sdraiare in terra e vedo la grande macchia sulla sua maglietta allargarsi a vista d’occhio.

Sollevo la sua t-shirt.

Il sangue è scuro e esce di continuo dalla sua ferita poco sotto il costato.

Devo tamponarla, ma non basterà. È profonda, molto più della lunghezza della lama.

Strappo la mia canotta e premo contro di essa nel migliore dei modi.

Non so cosa altro fare, io non sono preparata a questo e non voglio perderlo proprio ora.

Devo farlo rimanere sveglio.

«Wyatt … mi senti? Ascoltami devo tamponare la ferita, ma tu devi  rimanere sveglio … »

Appoggia il suo palmo sulla mia guancia, passa il pollice come a cancellare qualcosa. Non è caldo, rovente ma freddo, pallido come tutta la sua pelle. Sto piangendo, non me ne sono neanche accorta finché non è stato lui a dirmelo. «Sono l’unica persona … in … grado di farti piangere … » Annuisco, non avrebbe dovuto dirmelo, non così. Non ora che sta andando via da me.

Per sempre.

La sua mano cerca qualcosa nella tasca dei sui jeans.

Non ha senso.

«No, non fare movimenti non necessari …»

Ma lui non mi ascolta, continua rantolando a cercare.

E quando la estrae tremo come una foglia.

Il destino è così ingiusto, ha deciso di accanirsi contro di noi quando non lo meritiamo nella maniera più assoluta.

Il mio anello.

Il triscele intrecciato nel metallo che lui stesso mi diede affinché mi proteggesse sempre, anche quando lui non c’era. L’avevo lasciato su quel tavolino prima di andarmene. Dio mio, perché proprio ora!

Afferra le mie mani debolmente che cercano ancora di fermare il fiume riversato su entrambi, sul pavimento, impregna persino il tappeto che ricopre il pavimento.

Non è naturale.

Dio mio, fa che non fosse maledetto …

«Fermati … ti prego … non lo merito …»

Il suo torace si percuote sotto tremendi colpi di tosse del sangue scivola dall’angolo della sua bocca con una scia nera.

«Non dire sciocchezze, non ti perdo di nuovo …»

La mia forza scivola attraverso le sue dita che provano a infilare l’anello all’anulare.

Al suo posto ora che è tornato ad essere Wyatt.

Il mio Wyatt.

«Non mi hai … mai perso … non ho … mai smesso … di amarti …»

Sul suo viso spicca un incerto sorriso sofferente.

Mi trascina accanto alla sua bocca, vicino al suo respiro affannato, alla sua difficoltà di parola.

«Ti starò accanto sempre mia piccola Lee …»

Il suo sussurro è flebile, appena percepibile ma nel mio cuore sembra scoppiare come delle urla in una caverna, le sue labbra sfiorano le mie in un bacio d’addio.

«No, Wyatt, non mi lasciare … ti prego parlami … dimmi qualcosa …» Adesso le sento le lacrime, le trattengo a stento, rassegnate si mescolano al sangue sul mio viso, sulla sua mano che scivola dal mio viso cadendo mollemente, sul suo petto mentre chiudo la sua maglia sotto le mie dita. «No, Wyatt, no … non mi lasciare anche tu …»

È troppo tardi.

Vedo il braccio cadere mollemente sul tappeto con un tonfo sordo, appena udibile, attutito dalla lana ormai divenuta una poltiglia con il suo sangue.

Non c’è più nulla da fare se non piangere sul suo petto esanime.

No, il suo cuore forte non batte più.

Il mio Wyatt mi ha lasciata.

È morto.

Ed io sono morta con lui.

 

Note dell'autrice: Buonaseeera!!!Non disperate per la fine di Wyatt: qui siamo nel futuro che non è ancora cambiato. Esattamente mentre Wyatt muore nel futuro, Chris muore nel passato. Non so trovo la cosa poetica perchè ci sarà poi la loro seconda possibilità, quanti di noi la vorrebbero.

Ed ora al prossimo capitolo si passa dall'altra parte dello specchio ovvero il futuro come è cambiato.

La vita di Eileen sarà completamente diversa e così anche il suo carattere. Ma non vi rovino la sorpresa...

Fatemi sapere cosa ne pensate, in positivo, in negativo, in neutro vedete voi...io sono qui a vostra disposizione^^!

Vi augoro una notte serena ed un buon week end!

Besitos

Mally^^

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Capitolo 10
*** Introduction 2 ***


Era stata una bambina un tempo.

Un tempo lontano che sembrava non finire.

Il nonno le raccontava le favole della loro famiglia, di una piccola città costruita sull’estuario di un fiume, di un popolo di folletti e di un mondo magico popolato da folletti porta fortuna. Non le dimenticò mai nemmeno dopo che se ne fu andato.

Ogni sera, prima che si addormentasse le parlava di un viaggio fatato, di cui solo lei poteva avere coscienza dove avrebbe incontrato persone, guardato alle loro paure, ai loro desideri, ai loro sogni.

Lei aveva un dono, un dono diverso, molto potente, che nelle mani sbagliate poteva rivelarsi disastroso.

Era speciale rispetto persino alla sua famiglia.

Lee era una rarità.

Suo padre era così diverso invece.

Un uomo serio il più delle volte, che indossava sempre severe giacche grigie o dai colori scuri e lavorava in un grande ufficio in uno di quei grattacieli smisurati, nella torre più alta del castello. In realtà era solo la sede di una società informatica per le nuove tecnologie all’avanguardia e lui un distinto amministratore delegato.

Un affabile amministratore.

Con sua figlia però il suo ruolo cambiava in uno più alto.

Era un insegnante intransigente, molto intransigente e pretendeva che lei mettesse tutte le sue forze per imparare a difendersi, a gestirsi, a governare le sue intense capacità. Quando era una bambina lui le ripeteva di continuo mille raccomandazioni, sprecava il fiato nel cercare d’imporle regole ferree sul come dovesse comportarsi, regole dettate come ordini imprescindibili a cui la piccola diventava sempre più insofferente.

Pretendeva tanta concentrazione, con lui tutto era un dovere.

Spesso doveva sacrificare la sua vita normale per la magia, questo proprio non lo sopportava.

Ogni cosa veniva surclassata dalla magia: la scuola, le amicizie, l’amore, i suoi desideri.

Sua madre non era d’accordo su questa rigida educazione non voleva che alla loro figlia tarpasse le ali.

Con il suo placido temperamento Alice era una donna particolare, mai con i piedi per terra piuttosto sempre ancorata alla sua idea di libertà. Preferiva che sua figlia decidesse per sé, sbagliasse di suo pugno per poi rendersene conto da sola.

L’uno troppo rigido, l’altra troppo liberale.

Una coppia sfaldata dall’incomprensione e dal divario di vedute che dalla figlia si allargava alla quotidianità.

Il rapporto della piccola Lee divenne ancor più pungente con il padre dopo la separazione dei genitori. Trovare il giusto equilibrio, senza la mediazione della madre e la saltuaria intercessione del nonno, non era per nulla facile. Si amavano, tantissimo, sarebbero stati pronti a morire l’una per l’altro, eppure più la piccola Lee cresceva, più le loro discussioni diventavano sanguinarie.

Lei pensava di non aver bisogno di così tante regole da seguire, conosceva bene il divario fra cosa fosse giusto e cosa sbagliato, eppure cercava sempre la sua approvazione persino quando sapeva di remargli contro. La piccola Lee crebbe con la consapevolezza che  non sarebbe mai stata abbastanza, cercando in ogni modo di compiacerlo senza risultato ottenuto. Studiava continuamente: di giorno come una normale ragazza, il pomeriggio, lontana dall’inquisitorio sguardo indiscreto della gente, come una strega.

Lei continuava, continuava e continuava.

Le mani tagliuzzate, la gola secca, i libri consunti dai ripetuti passaggi delle sue dita.

La cucina stracolma di antichi testi, formule, pentole e ingredienti e quando riusciva a raggiungere un obbiettivo, Liam la spingeva all’indietro perché non era mai abbastanza.

Mai una volta che le avesse detto “Brava, sono fiero di te”.

Mai.

C’era sempre da migliorarsi.

Le pozioni dovevano essere più potenti, gli incantesimi più efficaci e lei più precisa.

Certo, ne valeva per la sua vita.

Visse nella sua casa, sotto il suo tetto.

Conviveva con lui e con le sue rigide imposizioni talvolta in silenzio, talvolta combattendo contro la sua estenuante ricerca della perfezione che peggiorò dopo che il nonno li lasciò.

Lee non pianse quel giorno - lei non piangeva mai come suo padre - divenne però più aspra e più consapevole delle sue capacità. Suo padre invece la vedeva ancora troppo inesperta per camminare da sola, troppo giovane, troppo sicura di sé stessa.

- Liam, Lee è una ragazza in gamba … -

Un giorno arrivò una lettera importante. Molto importante. Proveniva da una città lontana.

Era il sogno di una vita che si realizzava, ciò che lei voleva.

Suo padre non glielo avrebbe permesso mai.

-Devi lasciarla più libera di fare le proprie esperienze...-

La sua paura più grande non erano i demoni che l’avrebbero attaccata. Sapeva difendersi bene. Liam era un potente stregone, temuto nel mondo magico come tutti i suoi avi prima di lui, la sua bambina non sarebbe stata da meno.

Era perderla come figlia, quella la paura che attanagliava il suo cuore.

Lontana da lui, dalla sua sorveglianza, dalla sua ala protettiva.

Lontana dagli occhi, lontana dal cuore.

Ma il cuore può restare distante da un figlio?

-La perderai se non le lascerai vivere la sua vita …-

Ci vollero giorni per convincerlo. Sua madre l’avrebbe seguita, d'altronde era quello il luogo dove era nata.

E poi non avrebbe mai lasciato la figlia da sola.

All’aeroporto s’abbracciarono stretti. Era arrivato quel giorno, il giorno che ogni genitore teme dalla nascita del proprio figlio quando il piccolo passerotto lascia il nido per volare con le sue ali e gli occhi splendenti come non le aveva mai visto, ricolmi di una speranza di una vita indipendente.

Ricordò il primo giorno quando incontrò il suo sguardo cieco, in ospedale, dolci come quelli di un cucciolo smarrito ed in cerca di un punto fermo. Si giurò che niente le avrebbe fatto del male. Lui era il suo eroe quando scacciava via i mostri, il suo principe delle favole.

Ora era lei a staccarsi, a non volerlo più, forse per sempre, almeno avrebbe avuto una guida da seguire nel momento del bisogno. Magari avrebbe trovato un altro principe, un altro eroe che non l’avrebbe mai amata abbastanza, mai quanto lui.

Quel giorno per Liam era ancora lontano.

Doveva essere lontano.

Nessuno gli avrebbe tolto il cuore di suo figlia, giusto?

Lee era una ragazza splendida, quasi una donna ormai, con un carattere, tenace e testardo almeno quanto lo era lui, non avrebbe mai potuta trattenerla oltre.

Lui non avrebbe voluto lasciarla andare.

Le regalò la chiave del loro mondo, della loro famiglia, un libro in cui le pagine scritte si alternavano ad altre bianche con disegni, testi, macchie d’inchiostro e tracce di biro.

Pozioni, incantesimi, descrizioni.

Tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno.

Un quaderno con la copertina in pelle conciata tenuto chiuso da uno spago in cuoio logorato e spellato, impresso a fuoco sul davanti un simbolo di protezione, sostegno equilibrio.

Una linea continua in bassorilievo in armonia con l’esterno.

-Che sia un diario del viaggio intrapreso,

Che sia un consiglio stimato,

Che scacci la paura dell’ignoto,

Che possa indicare la via, essere una guida a voi che leggete,

Questo è il dono per i miei figli a venire.

Shaun Conroy-

Era stata una bambina un tempo. Un tempo che sembrava non finire mai, ma che invece giungeva al termine.

Era diventata una giovane donna.



Note dell'autrice: Eccoci qui alla seconda parte! Il futuro è cambiato così come è cambiata anche Lee. Sua madre non è scappata ma questo verrà spiegato nella scheda che ho preparato per la fine della FF dove ho scritto i legami della famiglia e le varie vicessitudine dei Conroy.

Comunque vi rimando al prossimo capitolo per altre spiegazioni sulla vita della nostra Lee.

Per ogni chiarimento sono qui.

Besitos


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Capitolo 11
*** Part 2x1 ***


Golden Gate Park, April 2026


Mi piace San Francisco, nonostante tutto.

Questa è la città dove è nata mia madre. Sono contenta per lei, sembra molto più serena da quando ci siamo trasferite. Rimaneva nella Grande Mela solo per me, io e il mio futuro – vorrei tanto diventare un’insegnante d’arte- le abbiamo solo fornito un pretesto per tornare. Ammetto che anch’io sono felice di stare con lei, non che avessi bisogno di mia madre - tanto è come essere con una compagna di stanza nel dormitorio di un campus -, ma è bello tornare a casa da una persona che sa a cosa vado incontro ogni giorno e potermi confidare liberamente, medicarmi senza domande indiscrete da parte sua. È molto comprensiva, anche se so che non mi vorrebbe vedere sempre con i vestiti ridotti a brandelli o insanguinati. 

Mi aveva raccontato così spesso della sua vita qui, piena di piccole avventure fra binari e musei ed io ne ero rimasta affascinata. Speravo in qualche modo di poter vivere anch'io qualcosa di simile.
Una volta le chiesi di portarmi a vedere il Museum of Modern Art.

Avevo solo dieci anni.

La mamma mi disse che non era possibile partire, che lei avrebbe voluto, ma il mio caro papà non sarebbe stato d'accordo; infatti quando lo pregai di portarmi a San Francisco lui disse semplicemente Non se ne parla.

Quelli erano i tempi in cui gli ubbidivo, poi diciamo che le cose sono un tantino cambiate.

Alice è una donna tutta pace e amore, sempre con la testa fra le nuvole.

Mio padre invece è un tipo che non esce se non ha i polsini inamidati correttamente, tiene i calzini impilati per colore dalla sfumatura più chiara a quella più scura e ha gli ingredienti delle pozioni in ordine alfabetico. Se ripenso a quella volta che la mamma ha scambiato di posto il pepe nero con il papavero nero, per poco non succedeva un disastro.

Liam ha un carattere impossibile. Se non ha tutto sotto controllo rischia l’autocombustione.

Con tutto, intendo principalmente me.

La sua battaglia più grande è cercare in ogni modo di proteggermi, idea che decisamente va a cozzare con il mio desiderio di autorealizzazione. Quando vivevo a New York mi concedeva al massimo di eliminare qualche demone minore, partecipavo alle pozioni, elaboravo gli incantesimi, ma sul campo facevo ben poco. Come se non ci fosse già abbastanza teoria nella mia testa grazie alle sue lezioni che impartiva per le restanti otto ore del giorno successivamente a quelle scolastiche

Lo capisco in fondo.

Gli ultimi due anni sono stati difficili da gestire in effetti: l'attività demoniaca sembra concentrata quasi esclusivamente in questa città, se non fosse stato per l’estenuante addestramento avuto, molto probabilmente, non sarei sopravvissuta così a lungo lontana dall’opprimente, protettiva e possessiva ala di mio padre. I poteri dei Conroy sono ambiti dai demoni, soprattutto quelli che puntano a capovolgere le personalità come il mio. Veniamo braccati da intere generazioni. Non è il massimo per un genitore sapere che la tua unica figlia, la piccola pargoletta che tieni sulle ginocchia, la voglia rapire metà del mondo demoniaco mentre l’altra metà la vuole morta. Credo sia il minimo essere leggermente apprensivi.

Il problema nasce quando la tenera pargoletta raggiunge i vent’anni e tu non le permetti di vivere una vita sua a causa delle tue manie di totale controllo. Tutt’ora riesce a tenermi sotto osservazione con le sue telefonate a cadenze regolari e gli interrogatori a cui sottopone mia madre.

Vuole sapere ogni evento rilevante o non.

Sono persino costretta a mentirgli, minimizzando gli attacchi che subisco il più delle volte, come quando ho avuto una costola incrinata per un scontro corpo a corpo, oppure quando ho rischiato di essere posseduta da un fantasma e tante altre che ora, sinceramente, fatico a ricordare. Non gli ho nemmeno confessato di frequentare dei corsi di difesa personale, altrimenti temo che mi impacchetterebbe magicamente spedendomi in un pianeta lontano.

Di sicuro non sarebbe una soluzione, come non lo è stata rinchiudermi in una campana di vetro infrangibile con falle grandi almeno quanto la testardaggine ereditata di pari passo con i poteri della mia famiglia. Non so nemmeno quanto tempo abbia perso nel tentativo di dissuadermi a trasferirmi, provando persino a minacciarmi, eppure ora mi ritrovo qui a studiare felice e contenta a San Francisco.

È la prima vera occasione di conoscermi e sto imparando molto di me stessa come persona e come strega.

Soprattutto come strega.

Ho una vita mia, completamente mia, con le lezioni, i corsi, anche le scazzottate. Non credo di volermi allontanare da ciò che ho raggiunto e ciò che sto conquistando pian pianino, ormai ad un passo dalla mia completa indipendenza, non ora che sento quanto molto di me sia cambiato, maturato. Ho persino degli amici all’Istituto, cosa che al liceo sembrava un miraggio se escludo i quattro cinque secchioni con cui studiavo ogni tanto.

Già, io ero quella “strana”. 

In effetti in una scuola d’Arte non potrei essere considerata “una strana”, anzi. Sono piuttosto normale, per quanto possa essere normale avere una seconda identità e dover sfuggire alla morte continuamente. Le mie diserzioni improvvise, i miei estemporanei comportamenti da pazza, il mio essere eremita spesso e volentieri vengono visti un modo di isolarmi al mondo e far crescere la mia sensibilità artistica.

Io, invece, li vivo come una bella scusa per spegnere il cervello una volta tanto.

Oggi è veramente una mattinata splendida. Non ho lezione, le vacanze di primavera sono iniziate ormai da un paio di giorni e, per me, non c’è posto migliore che il Golden Gate Park per impiegare il mio tempo. Credo che mia madre sia rimasta molto delusa dalla mia decisione di rimanere a casa con lei piuttosto che partire con i miei compagni per una meta, ma preferisco mille volte camminare qui, nel polmone verde della città, piuttosto che stordirmi con sesso droga e rock’n roll. La mia festa della primavera è questa: una coperta su cui sedermi, il mio blocco da disegno, i carboncini, il calore di un tiepido e timido sole del primo aprile.

È l’unica occasione per ammirare un verde così intenso, quasi ferisce gli occhi per come risplende nel riflesso nell’acqua.

C’è una tale pace che mi sembra assurdo non approfittarne: in questo angolo di parco non vi è quasi nessuno, se escludiamo di tanto in tanto qualche coppia che attraversa il ponticello adombrato dalle fronde di un piccolo albero aghifoglie ed appena estratto da un contesto fiabesco. Chissà, magari a sorvegliarlo vi è un troll spaventoso, mi aspetto che da un momento all’altro spunti fuori ed inizi a sottoporre indovinelli agli sfortunati passanti.

Questi sono gli istanti che io considero perfetti, quelli che mi fanno amare la vita e mi fanno lottare per essa.

Sento ancora la voce del nonno su come dovessi sempre ritagliare dei momenti solo per ascoltare la mia testa, l’unico modo per non essere contagiati dalla follia altrui come mi ripeteva. Credo di non aver mai ricevuto un consiglio più saggio, mi manca moltissimo.

Il nonno sapeva leggermi dentro, non solo nel senso meramente letterale del termine, ci capivamo al volo.  Non aveva mai paura per me, né tantomeno di me. Sapeva sempre quando avevo bisogno di una mano anche se lo negavo strenuamente, o quando doveva lasciarmi agire da sola, camminare sulle mie gambe.

Uno si aspetta che un telepatico sia capace di percepire gli stati d’animo di una persona proprio come nonno Aidan, di comprenderla con un solo colpo d’occhio.

Non è sempre così, basti guardare mio padre.

Si chiede ancora perché non esiste un manuale d’istruzione per comprendere me e la mia inconsueta voglia di cacciarmi nei guai. Tutta colpa del suo bagaglio genetico e dei suoi gameti magici.

In realtà vorrei solo che si fidasse un po’ di più di me e di ciò che mi ha insegnato.

Bene, ora ho solo voglia catturare ogni piccolo scorcio del mio Paradiso, la mia insulsa idea di pace che di certo di originale ha ben poco. Ho un’esistenza troppo complicata per non essere una persona semplice.

Stacco gli occhi dal blocco e nella mia visuale vi è una persona che poco prima non c’era.

È un uomo vestito di nero, immobile, in piedi, di spalle, rivolto al fiume dove piccole onde s’increspano al soffio del vento che si sta alzando.

Strano, il tempo si è improvvisamente ingrigito. Probabilmente ero troppo concentrata per accorgermene.

«Scusa?» Non alzo la voce, anche se sono piuttosto seccata. È pur sempre un parco pubblico, non ho alcun diritto di rivendicare la proprietà esclusiva di questo posto. Mi alzo, avvicinandomi silenziosamente. «Scusa?» Sembra che non mi abbia sentita, spero almeno che sia così perché se mi sta liberamente ignorando gli faccio fare un bel bagno nell’acqua gelata del fiume.

Gli afferro una spalla delicatamente e finalmente ottengo la sua attenzione.

Sembra un ragazzo forse più grande di me di qualche anno, occhi e capelli scuri, carnagione chiara, viso armonico e pizzetto curato. Insomma piuttosto carino. Come ogni ragazza con una vita sociale quasi relegata alla clausura per molti anni, sorrido di rimando cercando di mitigare l’acidità con cui mi verrebbe voglia di cacciarlo.

«Perdonami, mi stai proprio davanti non è che potresti spostarti … te ne sarei grata …» Lui mi guarda, guarda il piccolo accampamento alle mie spalle, coperta a quadri scozzesi con frange e carboncini sparsi compresi, dalla sua espressione capisco che non devo aver fatto proprio la figura di quella sana mentalmente.

Perfetto ed io che credevo di essere almeno stata civile!

«Certo … mi dispiace averti disturbata …»

Il tono di accondiscendenza, decisamente è troppo per il mio precario equilibrio e credo di aver raggiunto una colorazione molto simile a tutto il sangue affluito sul mio volto. Annuisco sperando che riesca ad interpretare il mio gesto come uno - Scuse accettate, non è colpa tua se io sono una pazza asociale … -  

Ci voltiamo in simultanea come duellanti in uno scontro a fuoco, io per l’imbarazzo con cui sto combattendo, lui probabilmente per assecondare una squilibrata prima che possa fargli del male, quando un ronzio si estende nella mia mente.

No, non un ronzio.

Il bisbiglio ovattato di un pensiero sottovoce.

Qualcosa di incontrollato che sfugge.

Qualcosa che voleva tenere per se e che a fatica trattiene.

-… ci vediamo presto viaggiatrice … -

Ascolto il mio cuore iniziare a correre assieme alla adrenalina che s’impossessa delle mie membra paralizzandole.

L’equazione veloce che si svolge nel mio cervello passa rapidamente come un lampo.

Il suo responso uno soltanto.

Sa chi sono. Sa cosa sono.

Dovevo capirlo che non era umano.

Sento che il calpestio delle sue scarpe sulle rare foglie secche che si stendono sul tappeto d’erba si arresta, avverto il suo sguardo posarsi come una mano gelida che mi fa tremare sulla mia schiena.

Sta studiando le mie mosse. Sa che l’ho sentito.

Siamo fermi l’uno parallelo all’altra.

Sollevo anch’io lo sguardo girando soltanto il viso.

Dio mio! Ho la borsa troppo lontana insieme alle pozioni che ho sempre con me.

Non posso correre, se ne accorgerebbe e verrei presa prima ancora di intraprendere un passo.

Non posso invocare la fiala tra le mie mani, non ho il tempo di pensare ad una rima e mi fermerebbe sicuramente forse anche con una sfera d’energia.

Dovrò solo appoggiarmi alla mia telepatia per ora.

«Come mi hai chiamata?»

«In nessun modo, io non ho aperto bocca …» sfacciato con la sua aria da finto innocente. Maledettissimo demone, come ho fatto a farmi prendere così in contropiede? « … ma questo lo sai già, vero viaggiatrice?»

Vuole mettermi in soggezione.

Mi guarda con una imbarazzante complicità maliziosa, a cui non so replicare tentando malamente di essere neutrale e calma. Questi sono esattamente i momenti in cui si vede che mi manca l’esperienza sul campo.

«Cosa vuoi da me?»

Indurisco la voce, trovando il mio corpo a rispondere prima che possa farlo con la testa troppo impegnata a vagare nel suo pensiero, ma non in quello più esterno. Sviscero fra le sottili membrane della sua testa qualcosa di più utile.

Qualcosa di più tangibile.

Di suo che può diventare mio con una mente in comune.

«Sai anche questo …»

Assottiglia lo sguardo, solleva il mento alzando gli angoli della bocca con fare provocatorio.

Gli piace giocare a quanto pare. Bene, avrà pane per i suoi denti.

«Pensi che non combatterò?»

Schiocca la lingua sul palato più volte, emettendo un versetto di dissenso mentre scuote i suoi capelli scuri ondeggiando ad ogni movimento.

Ecco, il centro nevralgico delle sue emozioni.

Rabbia, odio.

Tutto quello di cui ho bisogno.

Devo stare attenta, non mi sembra uno che si lasci ingannare.

Le palpebre si chiudono, la mia mente anche. Scompare la città, il parco il demone.

Le fibre dei  miei muscoli vibrano.

Lo sento. È una scarica strana, potente, corre lungo ogni particella di me, sale dalle mie estremità fino a confluire con un calore smisurato nel palmo della mia mano. La sollevo davanti al mio viso, la palla incandescente si muove sopra di essa danzando con le sue luci ardenti nei miei occhi.

Sto toccando il fuoco, scotta ma non brucia, non può farlo, sono io il legno che lo fa ardere.

Il braccio si tende all’indietro, i muscoli si contraggono mentre descrivono un mezzo cerchio in avanti.

La sfera si schianta su di una roccia riducendola in polvere. Il demone è scomparso, sembra essere svanito nel nulla, ma ho ancora il suo sguardo addosso come della resina sulla corteccia che non si toglie facilmente.

Devo raggiungere la borsa prima che compaia nuovamente.

Corro anche se mi separano pochi metri.

Corro.

Scivolo in terra per la fretta e ho già le mani immerse tra le mille cianfrusaglie che mi porto dappresso.

Foglietti, sacchetti, involucri di caramelle, il lettore.

«Giuro che questa è la volta buona che ripulisco la mia borsa!»

Qualcosa di liscio e freddo sfiora la mia mano.

Bingo.

È una delle mie pozioni.

Sono in piedi quando scopro che non è abbastanza stringendola tra le mie dita.

Ci sono almeno sei demoni che mi circondano assieme al primo che ho incontrato. Non importa.

Ho ormai la possibilità di usare il suo potere e la sua forza che defluisce più rapidamente di un pensiero nella mente. Basta semplicemente distendere le mie dita per formare la sfera di energia, non ho più nemmeno bisogno di concentrarmi troppo su di lui.

Ha qualcosa fra le mani.

Due canne forate congiunte all’estremità, una sorta di strano flauto forcuto.

Solo quando lo porta alle labbra capisco cosa intenda fare.

La fiamma si spegne, la pozione cade dalle mie mani, nella testa rimbomba un fischio assordante.

Da un fischio muta in un roboante e crudo suono continuo, metallico, come un gigantesco pistone che batte prepotentemente su di una lamiera. Perdo l’equilibrio al tremore della terra, mi contorco in posizione fetale cercando di riparare le mie sensibili orecchie.

«FATELO SMETTERE!»

La sofferenza che il suono di quell’infernale strumento provoca è più sottile, una lama calda che fende il burro.

Lancinante, non posso muovermi, non riesco a pensare.

Nulla.

«BASTA TI PREGO!»

La vista si appanna per il dolore, solo una fitta coltre di lacrime a dividermi dalla schiera scura che si protrae attraverso le vene dell’ombra di  una condanna già scritta.

Non possono prendermi.

Non devono prendermi.

Questa volta ho davvero bisogno di aiuto.

C’è qualcosa di luminoso che si muove davanti alla nebbia di cui sono velati i miei occhi. È strano, come se un corpo si formasse dalla luce del giorno, un qualcosa di solido che prende la sua forma dal nulla.

No, non dal nulla.

Dal cielo.

Mille rasserenanti lucine che vorticano come impazzite ed un lieve scampanellio che sovrasta il suono maledetto del flauto.

Il flauto smette di suonare e a me sembra di poter respirare nuovamente.

Sembra un Angelo …

In realtà non so se è un Angelo, so solo che ora, appena sollevata riesco a distinguere la sagoma di un ragazzo, almeno credo.

Sì, l’apparizione mistica è un ragazzo in carne ed ossa e sta lottando contro i demoni.

Uno stregone per la precisione.

In piedi davanti al mio corpo frastornato si fa scudo, mi difende, credo.

Sono ancora troppo stordita per capire cosa stia accadendo.

Provo a scuotere la testa per scacciare la confusione dalla mia mente, sotto di me la pozione è ancora intatta. Di sicuro non ho alcuna intenzione di vegetare come una donzella in difficoltà incapace di reggersi sulle proprie gambe. Alzandomi però ho la sensazione che la terra riprenda a tremare sotto i miei piedi e quasi perdo nuovamente l’equilibrio.

Riesco a sorreggermi quando vedo uno dei demoni raggirare il ragazzo per prenderlo alle spalle, dopo che è stato scaraventato a terra dal calcio di un altro.

«ATTENTO!»

Non finisco nemmeno di gridarlo che il mio braccio si è già mosso per lanciare la pozione. Appena il vetro s’infrange sulla schiena del demone il suo corpo esplode in una vampata infiammandosi con la stessa rapidità di un cerino contro una superficie grezza.

Dei sei che mi avevano circondata ora ne sono rimasti solo tre che fuggono prima che possiamo eliminarli.

Codardi!

«Dannazione, sono scappati!» Sento lo stregone esclamare alle mie spalle. Chissà per quale intercessione divina è giunto in mio soccorso. Sicuramente non è un mio problema, anzi. Ho altro a cui pensare. Quel flauto, quel maledettissimo flauto.

Mi ha lasciato non solo il senso di nausea e la testa completamente andata, ma ha persino oscurato i miei poteri con una frequenza che copre la mia capacità di leggere nella mente. Che razza di diavoleria si sono inventati questa volta?

La mia cera non deve essere delle migliori da come mi scruta il ragazzo … lo stregone … l’angelo … o qualunque essere sia.

Probabilmente lo sguardo fisso nel vuoto dove il demone con il flauto è scomparso e il grande punto interrogativo che ho disegnato sul viso non aiutano. «Ehy! Stai bene? Ti hanno ferita?»

Deve aver fatto un bel volo vista la quantità di sterpaglia che ha incastrata sui vestiti e tra i capelli. È buffo, tanto buffo da provocarmi un risolino per un attimo dimenticandomi ciò che è appena accaduto. Cerco di coprirmi la bocca ed abbassare lo sguardo per mascherarmi, inutilmente visto come inclina la testa con cipiglio severo e sguardo sufficiente.

«Scusa è che sembri un fauno dei boschi così conciato!»

«Ah, ah, ah! Bella gratitudine!» arriccia il naso come disgustato, dondolando la testa. Il nonno mi diceva sempre di non dare spago a chi mi prendeva in giro irritandomi. Solo che questa volta sono io a prendere in giro e tasto la soddisfazione che mi dà vederlo così contrariato mentre cerca di scrollarsi di dosso il più. Come al solito aveva pienamente ragione e non riesco a trattenermi. Ridacchio ancor più apertamente, praticamente con il mento appoggiato sullo sterno per provare a nascondermi.  «Deduco dalla tua voglia di scherzare che non ti sia fatta niente!» Sono tutta intera questo è vero, però sull’essermi fatta niente non sono pienamente sicura. È la prima volta che qualcuno riesce a neutralizzare il mio potere.

Se c’è una cosa di me è la mia totale incapacità di mentire, non contando la trasparenza con cui mi pongo nei confronti di chiunque mi parli. «Sai cosa volessero da te quei demoni?»

«I miei poteri, come sempre …» Generalmente sono piuttosto restia a svelarmi così apertamente, anche se ho buone probabilità di scoprire quando qualcuno mente. Poi non credo di avere molto tempo per le spiegazioni. Secondo la mia esperienza ho al massimo una manciata di ore prima che tornino all’attacco,  qualcosa in più se sono abbastanza intelligenti da organizzarsi al meglio.

Ho distrutto la maggior parte delle mie cose quando sono caduta, questo significa un doppio turno nel weekend per ricomprare un nuovo set di colori. Il mio stato di nervosismo penso stia raggiungendo il più alto picco storico mai avuto in vita mia.

Tanto non ho nulla da fare! E come ogni volta che qualcosa mi fa innervosire sbuffo come una vaporiera e borbotto da sola, mentre cerco di buttare i resti della mia roba nella borsa. Correggo il tiro del mio buon  proposito precedente: non la pulirò, la butterò direttamente nella pattumiera.

Maledettissimi demoni!

«Aspetta un attimo!»

Sono preoccupata, non ho mai letto di uno strumento in grado di inibire i sensi a tal punto da non riuscire  a percepire nulla di quello che avevo intorno a me, ancor di più se gli altri non sembravano accorgersene.

«Quali tuoi poteri?»

Devo tornare a casa immediatamente per controllare l’Eochair, anche se lo conosco così bene da sapere che nemmeno tra le sue pagine ve ne è traccia. Strano, molto strano.

«Ragazzina dico a te! Quali poteri?»

Possibile che nessun Conroy nei secoli si sia imbattuto in una cosa simile? Ho bisogno di un  minuto per ragionare sul da farsi, ma sembra impossibile ricavarlo.

Vengo bloccata dal ragazzo, le sue mani stringono i miei polsi tenendoli bassi. Probabilmente è da un po’ che mi parla ed io, persa nei miei pensieri, l’ho deliberatamente ignorato. Gran bella telepatica che sono.

«Cosa stai facendo?» il suo tono è alquanto innervosito. Bene, mi mancava solo il custode isterico.

«Vado via da qui, è evidente! Ho decisamente da fare se non te ne sei accorto …» Sono un tantino indispettita più del dovuto e di certo non è un buon modo quello di placcarmi così e permettersi anche di pretendere da me completa soggezione.

«No, non andrai da nessuna parte da sola con quei demoni che ti danno la caccia!» questa è buona. «Devi venire con me!»

«Sai che novità che un paio di demoni mi danno la caccia! E comunque paladino della giustizia sei in ritardo di almeno vent’anni! Non ho nessuna intenzione di seguirti! »

«Non ti sei chiesta perché io sia piombato proprio al momento giusto per aiutarti?»  Se c’è una cosa che mi dà più sui nervi di qualcuno che vuole costringermi a fare qualcosa che non voglio, è proprio quando mi guardano stile “io so qualcosa che tu non sai!”.

Ho un leggero sospetto su chi possa aver messo qualcuno a sorvegliarmi.  

Mio padre potrebbe essere arrivato ad ingaggiare uno stregone per farmi da balia in attesa che io ritorni strisciando alla sua dimora? Oh, no. Non può essere. Sarebbe assurdo, persino per uno come lui. O forse non sarebbe così tanto assurdo? 

«Non dirmi che ti manda Liam, altrimenti …»

Se mi ha messo alle calcagna una guardia del corpo, giuro che torno a New York per dirgliene quattro.

«Non so nemmeno chi sia Liam …» Nessuno che abbia solo incrociato di striscio il nostro rapporto assumerebbe quest’atteggiamento di diffidenza e scetticismo. Già, lui non è un tipo che lascia intendere, siamo persone estremamente chiare quando vogliamo farci capire, soprattutto se riguarda chi noi amiamo. No, non lo conosce o avrebbe già smesso di tenermi i polsi neanche avessi bisogno delle manette.

Rimane da chiedersi solo perché io non mi liberi il prima possibile. «Ti ho salvata perché tu me lo hai chiesto!»

«Cosa?» Io sarò anche particolarmente strana, ma non sono del tutto svampita. «È ridicolo, io non ho chiesto l’aiuto di nessuno! Per quello che so potresti essere al pari di quei demoni che mi hanno attaccata oggi!» una cosa è certa però, se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto.

«Non sono qui per questo, ma per aiutarti ...»                                                          

«Io mi aiuto da sola!» Sembrerò un’ingrata, ma ora ho dei demoni da sconfiggere, pianificare il mio stipendio futuro e ultimare alcune tesine. È decisamente giunto il momento di congedarci. «Me la saprò cavare …»

«Ho visto come te la sai cavare!»  C’è solo un’altra persona capace di vanificare gli sforzi di due anni per tenere alla larga i demoni da sola, per un solo misero essere che c’è quasi riuscito. Bene! Ci mancava solo la versione di mio padre più giovane che mi sfotte sulla mia incapacità! Dal mio petto sento gorgogliare un ringhio bestiale. Strattono le mani, ma non riesco a liberarmi.

«Lasciami immediatamente!» Alza le mani, mi ha stretta così tanto che i polsi sono lievemente indolenziti. Li massaggio prima di riprendere a imbottire la mia borsa alla rinfusa piegandomi meccanicamente sempre più arrabbiata, confusa e nervosa.

«Ascolta ... chiunque ti sta dando la caccia è organizzato, anche molto bene, conosce i tuoi punti deboli a tal punto che ti ha messa fuori gioco in pochissimo tempo. Eri sorpresa anche tu di questo e non provare a negarlo. Hai bisogno di qualcuno che ti sia accanto quando attaccheranno di nuovo e, fidati, lo faranno molto presto! » Così con le braccia conserte, il sopracciglio destro sollevato e quest’aria da sufficienza che ha assunto smuove persino il mio lato violento. « L’unico modo per lottare è capire con chi hai a che fare, prima lo farai prima ti libererai di loro.» Però ha spirito d’osservazione su questo non c’è dubbio e, devo dirlo, sa essere convincente in un certo qual modo.

Vorrei sostenere il suo sguardo, ma non posso perché so benissimo che ha ragione da vendere questo ragazzo che appare da una nuvola di luci celesti e bianche dal cielo, all’improvviso neanche fosse un supereroe dei fumetti. È limpido, trasparente, sincero - almeno sembra tale -, di una lucidità che io fatico spesso ad avere, ma non può essere una semplice sensazione a non farmi rivoltare come una biscia a cui hanno legato la coda ad un palo, perché è così che mi sento dopo le sue parole.

Vorrei solo capire cosa lo lega tanto a me da preoccuparsi a tal punto.

Lui attende la mia mossa. Riesco a sistemare la mia borsa sulla spalla e a piegare la coperta nel migliore dei modi sotto il mio braccio e mi concedo ancora qualche secondo di riflessione.

Bene, è ora di capire cosa mi sta dando la caccia e forse per una volta non sarà così difficile accettare un aiuto.

«Non ti ho nemmeno ringraziato … e a pensarci non so neppure come ti chiami …» Gli angoli della sua bocca si piegano in un sorriso sghembo, ora sa di aver vinto la battaglia dal modo in cui mi sono arresa. Sorrido anch’io scuotendo la testa alla situazione surreale che si è venuta creare.

Non è da tutti prendere a calci un cospicuo gruppo di demoni, litigare come una vecchia coppia sposata e poi presentarsi.

«Io sono Eileen, ma gli amici mi chiamano Lee …»

Allungo la mano attendendo che lui l'afferri. Sto deponendo le armi nonostante mi sia dimostrata un avversario reticente e tenace.

« Chris … »

 

Note dell'autrice: Ebbene sì gente!!! Chris nel futuro positivo sarà proprio il suo Angelo Bianco. Come vedete l'Eileen dei due futuri è un Eileen diversa. Qui è più forte, il suo carattere è più formato, non si sente una bambina sperduta. Comunque molto verrà spiegato nel capitolo extra con tutte le spiegazioni sui due futuri.

E il demone? qualcuno l'ha riconosciuto? Non temete nel prossimo si saprà chi è perchè non è nuovo... ihihih...

Con questo vi auguro buona giornata gente!!!

Besitos!

Mally

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Capitolo 12
*** Part 2x2 ***


?, April 2026

 

Vorrei tanto sapere chi gli ha dato il permesso di fare una cosa del genere senza preavviso!

So che è stato lui, l’ho visto arrivare esattamente così. Trovo che sia quantomeno scorretto. Ho la nausea che mi arriva al cervello e le gambe molli. Credo di avere un colorito molto vicino al verde marcio, lo stomaco ormai divenuto una poltiglia indefinita con collocazione non rinvenuta e la voglia matta di strangolare la causa del mio malessere.

Sembra però che sia tutto al suo posto: naso, orecchie, cervello, ho persino ancora la borsa a tracolla e la coperta sotto il braccio. L’ultima cosa che ricordo è di avergli stretto la mano di essere stata attaccata dalle lucine celesti.

«Non preoccuparti! Ti abituerai ad orbitare …»  

Oh no! Nessuna abitudine malsana come questa! E poi, dico, dove diavolo ha deciso di portarmi?

Ad una prima occhiata critica deduco che siamo in una casa. Il parapetto della scala alla mia sinistra ha grosse porzioni di legno intagliato con motivi floreali e una pesante balaustra con decorazioni liberty dei primi del novecento, così come i vetri colorati  delle finestre che conferiscono una sorta di fresca familiarità con l’ambiente. Vedo il disimpegno, la scala, il salotto che abbiamo di fronte. Intuisco che deve essere una costruzione molto antica, con effetti particolari fra antiquato e moderno provocato dall’arredamento contrastante.  

Il novello Giuda intanto si guarda solo attorno, non curante che io mi sia materializzata intera o che qualcosa di me sia andato a finire dall’altra parte del pianeta.

Sono sempre più vicina allo svenimento e lui è distratto, insofferente, magari gli sto provocando un leggero fastidio con la mia presenza molesta ovunque noi ci troviamo.

«Melinda …» invoca ad un tratto sbuffando, sollevando e sbattendo le mani lungo i fianchi esasperato, dirigendosi poi a grandi passi verso quella che sembra una sala da pranzo dove intravedo troneggiare un grande volume adagiato su di un imponente tavolo di legno massello molto scuro.  

Si muove agilmente nella casa, come se la conoscesse alla perfezione.

«Chi è Melinda adesso?» chiedo mentre, con non poca difficoltà, io stessa ricordo di chiamarmi in un altro modo. Non vorrei che ci fosse un secondo Angelo Bianco a fare il bello e il cattivo tempo con me.

«… quante volte le ho detto di mettere a posto il Libro delle Ombre!»

«Libro delle Ombre? » Bene, sembro inesistente visto come Chris, il traditore, m’ignora. Lo seguo, improvvisamente ripresa dallo stordimento del piccolo viaggio, lasciando cadere la coperta e sfilando la borsa. Sono talmente scoordinata da rischiare di strozzarmi con la tracolla.

Intanto il caro Angioletto ha raggiunto il libro iniziando a sfogliarlo avidamente e, soprattutto, continuando ad ignorarmi. « Ehy, Mr. Sottutto! Mi vuoi spiegare qual è il tuo piano, perché siamo qui e soprattutto dov’è qui?» Mi avvicino rumorosa come un elefante zoppo in una cristalleria, inveendo con tutta la grinta che possiedo mentre lui mantiene solo sollevato un dito davanti alla mia faccia sibilando come una serpe per intimarmi il silenzio.

Perfetto!

Non mi prende nemmeno in considerazione, questo mi fa letteralmente saltare i nervi.

Sono la sua protetta giusto, non una mosca.

Tra le reminiscenze offuscate della breve battaglia, ricordo di averlo visto scacciare i demoni con un gesto della mano. È giunto il momento di farmi sentire e quale miglior modo che sfruttare lui stesso così preso dal risolvere il problema che non si degna nemmeno di vedere quali sono stati gli effetti della sua bravata.

Sarà ancora più semplice che con il demone, la sua distrazione aiuta il mio potere ora che trovo nella mente la fonte primaria del suo. Fra le mie dita sento scorrere la mia stessa volontà di chiudere le pagine del libro pesantemente, una piccola onda trasparente supera la barriera del mio corpo e risponde ai miei ordini.

A lui non resta che sollevarsi dalla propria posizione stupito, le mani in aria come se si fosse arreso all’evidenza.

Per un attimo i nostri sguardi s’incrociano pieni delle nostre ragioni, come se avessi appena lanciato un guanto di sfida.

Forse dovremo fermarci un secondo e respirare, intuisco dai suoi pensieri che è così, dalla sua agitazione, dal suo continuo ripetersi di ragionare a mente lucida.

Contemporaneamente abbassiamo entrambi le braccia lungo i fianchi. Probabilmente siamo innervositi dalla morte imminente appena scampata e da tutta la tensione accumulata dalla battaglia, che finiamo per scaricarci l’uno sull’altra.

«Ok! Tutto questo non ci porterà a niente …» Respira profondamente tra una pausa e l'altra, abbiamo raggiunto un limite.

«Concordo …» Siamo stanchi. Lui arriva persino a premersi esasperatamente l’indice ed il pollice alla base del naso invitando il suo corpo alla calma. So che è un comportamento assolutamente infantile, ma odio avere la stessa sensazione di quando mio padre mi metteva da parte. Non ho alcuna voglia di sentirmi inutilmente sottovalutata per chissà quale motivo che riguarda la mia sicurezza.

«Dobbiamo cercare qualche indizio su quello strano strumento che hanno usato e capire perché ha messo fuori gioco soltanto te.»

In silenzio entrambi saettiamo con lo sguardo in direzione del libro, ma sento che nell’aria c’è una domanda inespressa, qualcosa che vorrebbe chiedermi. Si china verso il tomo sfogliandolo di nuovo, stavolta delicatamente con attenzione, quasi carezzando le pagine, come se la calma raggiunta si sia impossessata pure dei suoi modi di fare.

«Pensi che qui troveremo le risposte che cerchiamo?»

«Spero di trovare magari il demone o proprio quel flauto, ma sarebbe una fortuna sfacciata …» Siamo entrambi molto seri, forse la gravità della situazione è piombata su di noi con la conclusione delle nostre diatribe. Ci siamo resi conto che ci è sfuggito l’obbiettivo primario quello che ci eravamo posti poco prima, ovvero la collaborazione.

Mi avvicino per aiutarlo nella ricerca in cui si è tuffato tra le pagine del libro, quattro occhi sono sempre meglio di due. Involontariamente con i polpastrelli mi ritrovo a sfiorare la sua copertina greve ricoperta da uno strato di passato alquanto consistente, le piccole lingue dei segni che escono forcute dal suo profilo ingiallito dal tempo e dall’usura.

«Qui dentro c’è un gran bel materiale da sfruttare in caso di necessità … » sposto lo sguardo su di lui, in fondo ha un aria rassicurante anche se prima l’avrei decisamente picchiato.

Sì, abbiamo cominciato con il piede sbagliato.

«Appartiene alla mia famiglia da generazioni …» a quanto pare ha una famiglia, curioso. «Cosa c’è?» la sua domanda mi riporta al mondo, ormai ero praticamente partita in un favoloso quadretto di gente piumata che canta le lodi del Signore.

«Devo dire che mi sorprende sapere che gli Angeli abbiano famiglia: pensavo che se ne stessero in Paradiso immersi nella beatitudine, a suonare arpe o cose simili, di certo non a dare la caccia ai demoni ...»

«Ti sorprenderebbe molto sapere quello che gli Angeli fanno realmente, te lo garantisco … » sorrido spontaneamente tornando ad osservare le pagine inspessite, i grandi capoversi ricamati che decorano con cornici sempre più elaborate disegni e scritte vergate in nero e dal caratteristico motivo gotico che ne conferisce un aria vissuta nei secoli. Ho uno strano senso di deja-vu.

Per lui è il Libro delle Ombre credo, per me il tomo eredità dei miei avi è La Chiave.

Eochair.

Avrà anche un formato più piccolo e scritto più fitto senza illustrazioni, ma resta pur sempre la guida che la nostra famiglia lascia alle generazioni successive. Dopo questa avventura sono sicura che avrò anch’io qualcosa da raccontare, a partire da un custode giovane ed indisponente che mi ha salvato la vita. Il mio sguardo torna al libro nel momento esatto che la mano tocca un ritratto conosciuto.

Un giovane di bell'aspetto, occhi scuri ed infidi, capelli ribelli.

«Eccolo!» esclamiamo in coro. Mi siedo portando dietro di me il libro, è molto più leggero di quel che sembra, la mia attenzione completamente immersa in quel paragrafo. «Nomed ... »

«Ha aiutato le sorelle durante la battaglia contro la Triade per cui lavorava, ha i classici poteri da demone di basso livello c’è una pozione per eliminarlo …»

« Va rafforzata, i suoi poteri si sono evoluti da quelli descritti qui.»

«Come fai a dirlo?» Il suo indice si sposta, sfiora la pagina seguendo le righe da sopra la mia testa, sento il suo respiro da sopra la mia spalla e le sue braccia circondarmi. Mi sta praticamente addosso eppure non m’infastidisce e non mi sento imbarazzata, nemmeno quando i suoi affilati occhi verdi si puntano nei miei. È tutto così strano, naturale, come se lo conoscessi da sempre. Forse è per questa sensazione di appartenenza che riesco così facilmente a fidarmi di lui. Mio padre direbbe che sono la solita ingenua, io sinceramente non so cosa pensare.

«L’ho sentito …»

Socchiude le labbra, vuole chiedermi qualcosa, la domanda che da prima gli brucia sulla punta della lingua e che ancora non ha avuto modo di pormi.

I miei poteri.

Quali effetti potranno avere nelle loro mani?

Ma proprio mentre stiamo affrontando la faccenda più spinosa, soprattutto per il mio lato così restio nel rivelarsi, una nuvola di luci celesti accompagnata da un leggero scampanellio compare dall’altra parte del tavolo costringendo entrambi a rimandare ulteriormente la complicata spiegazione di ciò che sono.

«Chris, papà si stava preoccupando visto che non rispondi alle sue chiamate! Si può sapere stavolta in che … guaio … ti sei cacciato … ?»  Era iniziato come un rimprovero piuttosto aspro ed era terminato con un flebile rantolo interrotto da strane pause quando i miei occhi s’incontrarono con quelli di uno strano ragazzo apparso, o meglio, orbitato all’improvviso qui.

Che poi il qui ancora non mi è chiaro, cosa a cui lavorerò in seguito.

È alto – molto alto – magro, spalle larghe, i tratti spinosi ma dolci, viso sbarbato e capelli corti biondini.

Il tipico ragazzo che potresti incontrare in frutteria. Forse anche un po’ troppo insipido per i miei gusti. Da sempre sono stata attratta da quei tipi belli e tenebrosi.

Però in fondo non è male, probabilmente se io fossi una donna normale mi sarebbe piaciuto tanto.

Tantissimo.

In effetti è proprio un bel ragazzo e ha un non so cosa di familiare. L’ho già conosciuto forse?

«Mi serve un favore!» L’angioletto di certo non fa tanti giri di parole quando vuole arrivare al punto. Io mi sono persa, di nuovo, cercando un punto indefinito della mia maglietta dal momento che mi sono accorta di fissarlo in maniera un po’ troppo insistente. Insomma da psicopatica. Per fortuna che esiste Chris e i suoi commenti.

Non so per quale motivo, ma il mio sesto senso delle seccature si sta manifestando con un fastidioso prurito sotto il collo. 

«Quale favore?» chiedo io, alzando il viso in sua direzione con fare inquisitorio neanche lo avesse chiesto a me.

«Devi badare a lei mentre vado da papà alla scuola di magia!» m’ignora, di nuovo. Ma stavolta non lo lascerò fare ed io non mi lascerò abbindolare dalle sue belle parole per poi farmi scaricare senza che la mia opinione conti. «Insomma, controllare che non si cacci nei guai …»

« Non voglio un baby sitter!» !»  Sono realmente ed inevitabilmente infuriata da questa diatriba a tre che si è appena creata.

«Portala con te! Non ho il tempo di fare da balia alle tue ragazze!» non sono la sola a non essere d’accordo a quanto pare.

«Già, portami con te!» Aspetta cosa ha detto il biondino? «Fermo un secondo! Io non sono la sua ragazza!» scosto la sedia di malo modo, in piedi dall’altra parte del tavolo, una mano al fianco ed il tono da vecchia inacidita che papà trova tanto irritante. Sapevo che non c’era nulla di buono in tutta questa strana sinergia che ero riuscita a creare. «Non lo voglio nemmeno come Angelo Custode, figuriamoci come fidanzato!»

«Sono il tuo Angelo Bianco non il tuo Angelo Custode … » precisa Chris con un tono saccente che vorrei tanto fare sparire da quel visetto angelico. Ora mi sto decisamente stancando. «Ho bisogno di un paio d’ore alla scuola di magia senza ostacoli …» da come inclina la testa percepisco di essere io “l’ostacolo”. Vorrei tanto spiegargli che non è cortese, ma prima che possa rispondergli per le rime mi dedica uno sguardo fiammeggiante invitandomi a tacere. Non sa quello che potrei fargli se solo mi concentrassi con un minimo sforzo e senza aprire bocca.

«Un’ora!» replica il biondino, neanche fossi un pacco postale scomodo da inviare. «E accompagnerai tu Melinda e papà alla scuola di magia per due settimane!»

«Come per due settimane, io adesso ho anche una nuova protetta! Non ho molto tempo di fare il taxista di famiglia!» Stanno contrattato la mia sorveglianza, additandomi come un peso. Dire che sono indignata credo sia riduttivo, mi sembra di essere tornata a praticamente due anni prima quando era mio padre a cercare in ogni modo di sorvegliarmi. Ed inoltre nessuno dei due si degna di ascoltarmi. Il prurito al collo si è trasferito esattamente alle mani.

Vorrei tanto tirare qualche oggetto contundente sulle loro aureole dorate.

«Anche io ho dei protetti da seguire, i demoni da cacciare, l'università ed una vita mia. Più o meno ...» elenca il biondino snocciolando con le dita della mano ogni suo singolo compito. Si stanno rinfacciando persino i loro doveri, sembra quasi una gara testosteronica a chi è il più virile essere magico ed i miei poveri instabili nervi hanno sopportato a sufficienza. «Prendere o lasciare Chris!»

«Sei solo uno sporco ricattatore!»

«Sei viziato e capriccioso, ma non mi lamento!»

«Ok, visto che ho poco tempo meglio che mi sbrighi. E tu …» sta per caso indicando me quest’Angelo traditore? «… aspettami qui!» di nuovo quella nuvola di luci celesti ad avvolgerlo salendo verso l’alto facendolo scomparire, prima che il prurito riesca a raggiungere il mio piede e, di conseguenza, il suo luccicante e divino posteriore. 

Mossa sbagliata, sbagliatissima. Se ne è andato e si aspetta davvero che io me ne stia buona e cara  con un ragazzo sconosciuto con cui ha appena negoziato su quanti giorni, mesi o anni dovranno fare le cose l’uno per l’altro per scontarmi come una pena?

Sì, come no!

Può essere un Angelo o Dio in persona, non do retta al primo venuto su come affrontare situazioni di pericolo. Non è di certo la prima volta che mi scontro con un demone ed ho sempre lavorato da sola. Chi fa da sé fa per tre!

L’unica cosa che sono riuscita a seppellire sono i miei buoni propositi di pace e collaborazione, mentre l’ascia è ancora bella e lucente fra le mie mani. Raggiungo la mia borsa abbandonata e la coperta aggrovigliata a terra come una rosa dai petali a scacchi. Le sollevo incastrando il plaid nella tracolla, infischiandomene largamente del mio carceriere.

Sarà meglio tornare a casa ad elaborare un piano prima che i demoni si rimettano sulle mie tracce. Appena poso delicatamente la mano sulla maniglia per girarla riesco solo aprire uno spiraglio, la porta si richiude immediatamente con uno scatto sotto una forza invisibile.

Il colpevole è proprio il biondino, il quale ha rischiato persino di schiacciarmi le dita mentre le sue sono ancora evidentemente in posizione d’attacco. Vorrei oppormi, dirgli a brutto muso di farsi gli affari suoi, ma ogni mia protesta si blocca quando vedo il suo sguardo perso nello studiare i tratti del mio viso. Non so nemmeno quanti secondi siano passati da quando ha preso ad avanzare lentamente scrutandomi. Si ferma accanto ad un tavolino dove vi è posato un grande vaso con dei fiori freschi, proprio davanti alla rampa di scale rimanendo ancora in silenzio.

Poi si riscuote, come ripresosi da un sogno ed allunga una mano come se nulla fosse. Non sono l’unica ad avere una strana sensazione di fronte ai suoi occhi magnetici, di uno strano colore che non riesco a definire, agli zigomi definiti, alle labbra serrate in una linea precisa. Dio mio, ma a cosa sto pensando!

«Comunque sia io sono Wyatt il fratello di Chris …» Avevo intuito che c’era qualche correlazione di parentela molto stretta dai loro discorsi, anche se la mia inesperienza in problematiche relative a fratelli non mi ha permesso di ragionare lucidamente su quale grado fosse il loro rapporto. «Tu hai un nome o devo chiamarti la nuova protetta di Chris

«No … ecco io sono Lee … cioè Eileen, ma tutti mi chiamano Lee … quindi va bene solo Lee …» Ho lasciato trascorrere talmente tanto tempo da quando ha preso parola che è stato costretto a tirarmi fuori di bocca una sorta di presentazione. Bene, con l’abbandono delle buone maniere l’unica soluzione è una vita da eremita. E poi da quand’è che io sono così preoccupata di quello che qualcuno pensa di me? Se fosse così sarei finita sicuramente come una suicida visto che ho la capacità di leggere nel pensiero e di certo non suscito voglia di stringere amicizia. Dove è finito il mio spigoloso carattere pungente? Fino a qualche istante prima ero pronta a saltargli al collo come una belva ed ora che non c’è Chris ad irritarmi sembra che sia incapace di articolare frasi di senso compiuto, iniziando persino a gesticolare agitando le mani nervosa in maniera piuttosto scoordinata, nel vano tentativo di distogliermi dai suoi occhi puntati come due fanali nella notte su di un gattino sfortunato che attraversa la strada.

«Hai un bel nome …» Le mie labbra invece sono diventate piene di solchi per quante volte i denti vi affondano. Inclina il capo in avanti, sorridendo al mio strano comportamento da schizofrenica paranoica, la cosa non fa che aumentare l’afflusso di sangue alle mie guance, dove un insolito senso di calore ha preso a divampare come un incendio. Credo almeno di doverlo ringraziare per il complimento.

«Abbiamo una ricerca da fare giusto, stavate consultando il Libro delle Ombre …»

«Oh, sì, sì, certo!» Il flauto è vero, avevo completamente dimenticato il problema principale.

Una cosa alla volta.

Prima i demoni che vogliono i miei poteri, poi la mia vita privata e la mia assoluta incapacità ad infiltrarmi nella rete sociale.

Già.

Ma chi voglio prendere in giro, questa è la mia vita privata!

 

 

Note dell'autrice: Buonaseraaaaa!!!Allora il demone è esattamente il tizio che aiuta le streghe nella battaglia contro Billy e Christie. Si chiama Nomed (sarebbe Demon al contrario, bella fantasia che hanno gli autori di Charmed XD) ed è pronto ad attaccare. Ovviamente è più forte e tremendo ma per questo vi rimando ai prossimi capitoli.

Wyatt e Lee si sono conosciuti ora in quest'epoca radiosa e vedremo come il loro rapporto crescerà e sarà diverso da quello malsano del futuro negativo.

Spero che il caratterino tutto pepe di Lee vi piaccia.

Con questo vi auguro buona notte Chicas!

Besitos

Mally

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Capitolo 13
*** Part 2x3 ***


Halliwell Manor, April 2026


Abbiamo sfogliato il Libro delle Ombre in lungo ed in largo, analizzato e spiluccato in ogni sua frase, pozione o incantesimo.

Abbiamo trovato i più disparati oggetti incantati e maledetti dai più comuni, come armi e pugnali, a quelli più originali come un orsetto di pezza1.  Come se non bastasse abbiamo scovato formule assurde, alcune che non ho mai visto in vita mia e altre invece che ho letto anche sul mio Eochair, ognuna di esse capace di neutralizzare ogni forma d’incantesimo escluso un flauto maledetto, incantato o qualsiasi cosa sia.

Praticamente nulla che ci possa essere realmente d’aiuto.

Comincio seriamente a pensare che sia una diavoleria nuova in grado di annullare tutti quelli che riescono ad attingere alla mente altrui, un qualcosa preparato per chi ha le mie stesse doti.

Non mi era mai successo.

Una bel maleficio fatto su misura per me.

Dovrei sentirmi lusingata a questo punto.

Almeno non tutto è stato così spiacevole come pensassi. So che non dovrei pensare al contorno, che la mia concentrazione dovrebbe essere tutta e assolutamente incentrata sull’obbiettivo primario, ovvero evitare di essere catturata, torturata e uccisa – non necessariamente in questo ordine – però ammetto che poter parlare di certe cose con qualcuno che mi capisce perché come me le vive, è davvero un’esperienza tutta da vivere.

Oh, mio padre ne avrebbe da dire! Eccome!

Me lo immagino nella sua camicia candida mentre con voce greve dice: “Lee, devi stare concentrata!”

Ma lui non c’è e quindi mi concedo ogni minima distrazione. E poi Wyatt si è rivelato una compagnia migliore di quella di suo fratello ed ha una profonda conoscenza del mondo magico, forse anche più di mio padre. È stato molto cortese, mi piacciono i suoi modi, mi mettono a mio agio ed ora mi sto concedendo anche più confidenza di quel che sperassi dopo la figuraccia iniziale. Mi ha offerto una tazza di caffè, mi ha fatta accomodare nel salotto e si è seduto nella poltrona di fronte armato di un blocco ed una penna. È già da un po’ che si è immerso nell'ennesimo oggetto in cui ci siamo imbattuti per cercare almeno delle analogie. Trovo che sia piacevole guardarlo così concentrato, la fronte aggrottata, le dita che tamburellano distrattamente sulla pagina del libro.

«Se sapessi cosa vogliono di preciso, potremmo restringere il campo della ricerca ...» parla distrattamente, ragionando sovrappensiero. Mi limito a guardare le sue labbra muoversi, non ascoltando quello che dice perché trovo molto più interessante studiare il cappuccio della penna appena appoggiato sulla sua bocca carnosa e così stramaledettamente …

«Lee?» Cosa? Oh mio Dio! Ha chiamato il mio nome! Avrà capito che lo stavo fissando come un diabetico guarda una torta alla panna. E se mi fosse sfuggito qualche pensiero? Oh, merda!

Credo di aver spalancato gli occhi oltre misura. Sì, mi ha proprio sorpresa mentre la mia mentre viaggiava sul suo viso, sui suoi occhi, sulle sue labbra … Oh, basta ti prego! Provo a coprire la mia visuale con la mano, ultima spiaggia per una completa fuori di testa.

«Tutto bene Lee? C’è qualche altro problema?»

Sono una pazza maniaca affetta da solitudine, ecco qual è il problema.

«N- no, è che … scusa, la tensione, tutta questa faccenda del flauto che annienta le mie capacità … insomma è così strano … sono preoccupata, ecco tutto. Non ho mai affrontato un demone capace di mettermi fuori gioco ... mi hai chiesto qualcosa?»

Mio padre potrà anche strapparsi tutti i suoi folti capelli, ma devo trovarmi un ragazzo urgentemente prima di morire distrutta dalla tremenda tempesta ormonale di cui sono vittima e soprattutto onde evitare la figura da maniaca che sto già facendo.

«Devi stare tranquilla, c’è sempre una via d’uscita da qualunque demone, malvagio o cattivo intenzionato di turno.» Dio mio! Mi ha solo preso la mano che mi copriva gli occhi sporgendosi sul tavolino ed io mi sono irrigidita neanche avesse cercato di strapparmi i vestiti di dosso! Solo questo ed ora lo sto guardando, tremendamente carino e rassicurante con quel suo galante modo di fare. Non poteva essere scorbutico e antipatico come suo fratello? «Hai anche un Angelo Bianco mezzo Stregone che ti aiuta. Per quanto Chris non sembri affidabile sa il fatto suo ed ora anch’io sono invischiato, quindi non devi temere nulla, assolutamente …»

«Certo lo so, me l’hai ripetuto anche prima …» Abbasso gli occhi alle nostre mani ancora intrecciate e mi piace, tanto. Credo di aver preso da mia madre questa malsana voglia del contatto fisico, come la mia sindrome da disordine cronico e la voglia di vivere liberamente la mia vita: lei è una donna capace di conoscerti ed abbracciarti nel medesimo istante se ha la percezione che sei una persona positiva. Lei è fatta così, si affida ciecamente al suo sesto senso.

Invece mio padre. Lui è lui, diffidente e guardingo pure con chi conosce. Se fosse qui mi redarguirebbe per tutto quello che sto pensando, in questo caso a ragion veduta. Mi sto comportando come una tredicenne bisognosa d’affetto e questo porta via tempo utile e prezioso. Tempo che è trascorso senza che me ne accorgessi, scandito le piccole lancette che scorrono da sotto il polsino della sua maglia che sollevo per controllare meglio che non mi sia sbagliata.

«Dimmi che in questa casa avete il canale dello Sport!»

 Lo guardo atterrita, speranzosa e soprattutto con una certa urgenza. Che lui mi prenda per pazza, non m’interessa stavolta.

Tanto, io normale non sono che si abitui.

«Sì, certo … ma non cap …»

«Non c’è nulla da capire! Fra sette minuti e …» controllo di nuovo, non voglio che si perdano altri preziosi istanti. « … ventotto secondi c’è l’amichevole precampionato fra Giants e Mets!»

«Stai parlando di baseball?»

Perché quando un ragazzo sa che mi piace il baseball fa questa faccia? È così insolito che una ragazza s’interessi di sport?

«No dell’Arte Concettuale …» mi alzo con le mani ai fianchi, picchiettando impazientemente la punta del piede in terra. Devo assolutamente raggiungere il televisore il prima possibile. « … certo che parlo di baseball. Avanti non ho tempo da perdere dimmi dov’è la TV!»

Forse ho fatto un pochino troppo la spavalda, magari sono stata anche sgarbata oltre il giusto limite visto da come si è alzato guardandomi dall’alto verso il basso facendo pesare tutta la ventina di centimetri di differenza che ci separa.

È serio, terribilmente serio sotto le sue ciglia fulve ed io sono piccola, infinitamente piccola.

«Vieni, c’è una televisione nella veranda …»

Tutto svanisce nell’istante in afferra nuovamente la mia mano, il solito brivido caldo lungo la schiena ed una nuova sensazione di secchezza delle fauci che rende il mio palato troppo arido. Deglutisco a fatica, la testa per un attimo perde ogni cognizione di causa e mi trovo ad annaspare invece che respirare, quasi soffocandomi con la stessa aria che ingurgito.

A questo ragazzo dovrebbero dare un premio pazienza di sicuro.


«È ricominciata?»

«No, c’è ancora l’intervallo del primo inning. Grazie!»  Dopo la tazza di caffè è andato a prendermi dell’acqua e senza che glielo chiedessi. Forse lo ha immaginato dopo che ho inveito aspramente contro l’arbitro un paio di volte. Più di un paio di volte, ma diciamocelo ha dato dei save che veramente non stavano né in cielo né in terra.

Comunque è un sollievo notare come la galanteria non sia più un optional che conferiscono solo ai protagonisti delle favole.

Sul televisore scorrono le immagini di uno strano animale di pezza formato uomo con cappellino e tutina da giocatore che gira per il campo salutando il pubblico in ovazione. Non ho mai capito la mascotte dei Giants, in realtà io non sopporto proprio le mascotte, m’inquietavano da bambina e lo fanno tutt’ora. Lui sta guardando dritto davanti a sé fingendosi interessato, ma ho come la sensazione che appena io mi volti torni a studiarmi come aveva fatto appena incontrati.

«Sei proprio sicura che noi due non ci siamo mai visti prima d’ora? Hai un volto familiare …»

 «No, non credo, mi ricorderei di un ragazzo così … alto!» Adesso sì che sono in imbarazzo. Di tutte le cose intelligenti che potessi dire per sostituire la parola carino - come ad esempio gentile, simpatico, affabile  se avessi voluto essere forbita - ho scelto la cosa più stupida dal mio cervello. Oltre a cercarmi un ragazzo devo anche dare una rispolverata al buon  vecchio vocabolario dei sinonimi. Quanto vorrei un badile per sotterrarmi da qualche parte!

«D’accordo … »  lo dice con la stessa inclinazione di voce con cui si dà ragione ad un bambino che ha appena raccontato una bugia. «Sta ricominciando la partita …»  a me non rimane che annuire come una stupida e evitare in ogni modo di sapere la natura del suo ridacchiare sommesso. Se vincessi un premio in denaro per ogni figuraccia che faccio, altro che Bill Gates! Ho decisamente passato troppi anni senza una vita sociale degna di questo nome, è ufficiale.

«Sei un osso duro, vero Lee?» chiede a bruciapelo così, senza io comprenda realmente la sua domanda. Di sicuro ha di nuovo tutta la mia attenzione, tanto che, nonostante sia ricominciata la partita non la sto guardando. E ce ne vuole che io mi disinteressi dei Mets. «Appena si sfiora un argomento che ti riguarda, ti chiudi a riccio e diventi evasiva … Come prima quando t’ho chiesto quali siano i tuoi poteri … comunque non devi aver paura qui sei fra amici, nessuno ti giudicherà.»

«Pensi che io abbia paura del giudizio altrui?»

«No, tu conosci il giudizio altrui è diverso … a tuo riguardo ho una teoria ma è troppo presto per confutarla …»

Ha una teoria? Su di me? Allora non sono l’unica che si deve trovare un ragazzo e una vita privata! È bello sapere di non essere sola a questo mondo. Poi, come se non conoscessi l’effetto che faccio e quali teorie s’illuminano sul mio conto nella testa di chi conosco.

Probabilmente pensa che io sia pazza, potrei quasi scommetterci su. Ammetto di essere molto tentata anche solo di dare una piccola sbirciatina.

No, sarebbe scorretto ed io odio le persone scorrette.

Userò i metodi tradizionali, domanda e risposta diretta, tanto sono talmente incapace di essere una bugiarda che, anche solo provandoci a mascherare una curiosità, finirei per divenire un libro aperto.

«Insomma, ci sono dei demoni che vogliono molto probabilmente uccidermi per prendere i miei poteri, che hanno un arma contro di me e stavo dando di matto per un amichevole di baseball … posso solo immaginare ciò che pensi, anche senza l’uso della telepatia …» non riesco a guardare il suo viso, ma so che ora si è voltato verso di me che invece rigiro il bicchiere d’acqua tra le mani, facendo ondeggiare il liquido trasparente al suo interno come se fosse uno specchio increspato. «Pensi che io sia pazza, vero?»

Il vimini del piccolo divanetto che condividiamo scricchiola leggermente. Due esili dita afferrano il mio mento invitandomi a sollevare lo sguardo dal mio bicchiere. Ma perché tende sempre a sorridermi? Se ne sta così, con il gomito poggiato sullo schienale, la testa sorretta dal braccio le gambe piegate in maniera innaturale e mi sorride fissando i suoi occhi cristallini nei miei.

Io ho un debole per i ragazzi che hanno un bel sorriso e sembra che lo sappia. È una mossa sleale che relega la parte più acuminata di me nell’anfratto più oscuro del mio cuore. Probabilmente perché il nonno aveva un sorriso solare, coinvolgente ed una risata che sapeva scaldarti.

«Sono sorpreso, ma non penso che tu sia pazza!» sussurra rassicurante. «Sai, ognuno di noi difende come può la sua vita normale da quella magica. Se per te una partita alla TV è un modo per estraniarti quelle due ore da tutto questo, non è pazzia. Io e la mia famiglia non siamo tanto diversi …» Magari, i suoi modi garbati, sono solo per non farmi pesare il fatto di essere braccata come un coniglio. Non saprei, mi dà l’idea di essere di quei ragazzi discreti, imperscrutabili forse anche un po’ timido, del tipo di quelli che prima di riuscire a capire se gli piaci o meno devi uscirci per un mese e poi ti riduci a baciarlo tu per esasperazione.

Chissà come sarebbe baciarlo, dolce e premuroso o ardente e passionale …

Sto davvero pensando come sarebbe baciare un ragazzo che conosco da pochi minuti? E perché non riesco a staccare i miei occhi dai suoi? E lui perché non smette di fissarmi? Cos’è questa strana sensazione di vuoto che sento allo stomaco? Non penso sia il pranzo saltato a piè pari, la fame non c’entra nulla: ho dei crampi che in confronto il muscolo di un corridore in attività è rilassato.

Prima il bacio, ora questo. Non posso permettermi una cotta, tantomeno ora.

Chi mi dice poi che io possa anche solo piacergli? Sono un’insignificante, piccola ed insulsa strega e lui il fratello gentile del mio Angelo Bianco, non sono di certo il suo tipo.

Comunque ho il leggero sospetto di avere dalla mia la Divina Provvidenza visto come  lo sciabordio luminoso che scende dal soffitto ci fa improvvisamente rendere conto di essere rimasti incantati a fissarci per non si sa quanto tempo.

«Non dovevate cercare qualche notizia sul Libro delle Ombre?» Sapevo che sarebbe stata questioni di pochi istanti, l’ora era passata velocemente.

 «Ciao anche a te!» Una cosa è certa: la Divina Provvidenza ha sicuramente un gran senso dell’umorismo data la faccia buia con cui Chris si è piazzato di fronte al televisore con un libro tra le mani ed una delle sue dita tra le pagine come a tenere il segno. «Scusa potresti spostarti Chris? Stavamo guardando la partita!»

«Sono il tuo Angelo Bianco, dovevi dirmi del tuo potere!» questo ragazzo deve imparare a rilassarsi, davvero. Trovo inutile che mi inveisca contro agitando il libro come un arma.

«Tu non me lo hai chiesto!» rispondo alzando le spalle, con una naturalezza che fa sinceramente scattare anche i miei nervi. Quando voglio so essere molto più che irritante.

«Di cosa state parlando?» interviene Wyatt alzandosi dal divanetto per affiancare i fratello. Così schierati sembrano che vogliano farmi entrambi il terzo grado tornando indietro di moltissimi passi. Non sono mai stata una persona che con le spalle al muro inizia ad aprirsi, come invece avevo iniziato a fare con Wyatt. Esattamente non so da dove nasca la complicità instaurata in questo lasso tempo così esiguo, eppure con lui sembra sia nato una sorta di comprensione profonda. Con questo me stessa ha appena decretato la fine della mia parte razionale, sono troppo emotiva in questo momento.

«A quanto pare una certa strega ha il dono di cambiare la personalità altrui!» l’opportunità di aggiungere un nome alla mia esigua lista di amici è finita automaticamente nel water. Ho anche tirato lo sciacquone. «È per questo che attira i demoni come mosche sul miele!»

«Sì, ma solo perché posso plasmare i sogni e con essi influire sul subconscio!» preciso, ci tengo che non si fraintenda cosa sono in grado di fare, ma non riesco ad ottenere il tono fiero e combattivo con cui mi sono presentata, piuttosto sembra una pallida giustificazione. I miei occhi scattano sul viso stupefatto di Wyatt. L’ha colpito come se gli avessi dato una schiaffo in piena faccia, posso solo immaginare come possa sentirsi ora. So che sembra assurdo ma qualsiasi persona viene a contatto con la conoscenza di questo mio spaventoso potere, alla fine, si rivela incapace di sorreggere una tale verità. Anche se io non farei male ad una mosca il sapere che possa penetrare nei desideri più reconditi, plasmarli e influire sulle proprie decisioni e sulla propria vita ha lo stesso effetto di un sfolla gente. Nessuno riesce ad accettarlo.

«Quindi è questo che vogliono da te Lee?»

«Sfuggo dai demoni che vogliono impossessarsi dei miei poteri da quando sono nata … » restiamo in silenzio qualche istante, quasi potessi sentire entrambi ragionare sul da farsi. Tecnicamente potrei sentirli sul serio.

«Non dobbiamo permettere che arrivino a lei, hai qualche altra informazione utile?»

«Sì! Alla scuola di magia avevano questo!» per la prima volta noto che tra le mani Chris ha un libro. Mi avvicino, in fondo sono curiosa di sapere cosa ha portato il suo lavoro di ricerca quando io me ne sono praticamente infischiata.

Ero troppo occupata a fare la gatta morta con un ragazzo e a continuare una stupida tradizione.

Chris tiene il tomo aperto ad una pagina che ritrae esattamente lo strumento che hanno usato, Osservo le lettere in  stile gotico più grandi e mi viene spontaneo leggerle a voce alta.

«Il flauto di Marsia …»

Proprio in quel momento il libro passa alle mani di Wyatt senza che Chris s’opponga. Sono entrambi concentrati sul salvarmi, hanno capito la gravità della situazione quando io invece iniziavo a sottovalutarla dando così ragione a tutti i rimproveri di mio padre.

« Marsia era un satiro abile suonatore. Sfidò il dio Apollo in una gara di musica che perse con l’inganno e per la sua superbia venne punito legato ad un albero e spellato vivo dallo stesso dio …»

«Papà ha detto che il sangue del satiro maledisse il flauto, divenuto capace con il suo suono di penetrare la mente. Questo spiegherebbe perché su di me non abbia avuto un effetto così stordente: in un telepatico l’effetto viene amplificato visto che può sentire anche quelle degl’altri.» conclude Chris con ovvietà.

Di mio canto non so cosa pensare a questo punto.

«Quale potrebbe essere la prossima mossa di Nomed?»

Raramente un demone è riuscito a sfuggirmi e quando è successo l’ho rintracciato prima io, prevedendo le sue mosse, ma con questo mi risulta impossibile. È come se avesse un coltello invisibile puntato sulla mia gola ed è una sensazione che preferirei evitare. 

«Sanno che ormai ti aspetti un loro attacco, a questo punto credo che faranno in modo di attirarti in una trappola …»

Una trappola equivale ad un ricatto.

Un ricatto equivale a prendere qualcosa che per me è tanto prezioso da rinunciare ai miei poteri per riaverlo e metterlo al sicuro.

Io ho solo un oggetto con un valore magico inestimabile; per quanto protetto è vulnerabile e se hanno trovato il modo di irretirmi, sicuramente hanno anche trovato il modo di prenderlo.

«Il mio Eochair!»

«Cosa?» chiedono in coro non comprendendo l’urgenza e l’agitazione che ha iniziato a cogliermi.

«È il libro dove ci sono tutti i segreti della mia famiglia, come il vostro Libro delle Ombre, l’unica cosa che potrebbero usare contro di me. È protetto ma se mi conoscono abbastanza per raggirare i miei poteri, potrebbero eludere anche il suo scudo! »

«D’accordo! Chris accompagna Lee a prendere il libro, intanto io studio una pozione abbastanza potente per poter eliminare il demone …» continuano a parlare, a elaborare un piano, invece, su di me, cala il silenzio come una cappa, di sottofondo lo stadio e la telecronaca che hanno perso d’importanza.

Non mi resta che andare a prendere il libro, per i piagnistei ci sarà tempo dopo aver distrutto il demone che mi da la caccia.

 

1 Streghe 07x20 “L’amico immaginario”

 

Note dell'autrice: Buonaseraaaa! Lee è decisamente un po' pazzerella. Il fatto che lei soffra un po' la solitudine viene da un mio ragionamento: secondo me un telepate si ritrova un po' solo. Conoscere i pensieri altrui può essere un dono come una condanna, per questo nel futuro negativo in cui non ha una guida ferma Lee si ritrova in una specie di baratro. Invece ora l'accetta ma allo stesso tempo tende ad isolarsi. Non so se si capiscono le mie elucubrazioni, comunque per qualsiasi domanda sono qui pronta a rispondere.

Bhè vi auguro buonanottina e sogni incantati!

Sempre vostra!

Mally

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Capitolo 14
*** Part 2x4 ***


Foster & Conroy’s Appartament, April 2026

 

Se escludiamo solo un lieve senso di labirintite e un leggero capogiro sto benone.

Comincio a vedere il lato positivo di orbitare: l’azzeramento dei tempi, la prevenzione all’inquinamento, l’apparizione celestiale e  mistica che può dare di te un’ottima impressione ...

Appena si riesce ad evitare le nausee risulta essere un gran bel mezzo di trasporto.

«Tutto ok questa volta?» al secondo viaggio anche Chris ha acquisito punti. A differenza della prima volta in cui era totalmente assente, ora si preoccupa persino se sto bene.

«Mi piace quando sei così gentile, da bravo angioletto!» devo averlo colto di sorpresa quando gli ho pizzicato giocosamente la guancia. Storce la bocca, strizza gli occhi, come ad un bambino a cui dai un bacio sullo zigomo e continua a pulirsi per ore.

«Entriamo, invece di perdere tempo!» Indica la porta ed incrocia le braccia. Lo so, non è il momento di fare la sarcastica, però è così buffo quando alza gli occhi al cielo e si spazientisce, che riesce a strapparmi il surrogato efficace di una risata.

«Dovresti imparare a rilassarti, sai! Fai una risata ogni tanto!»

«Tu invece dovresti prendere tutto più sul serio … se venissero in possesso dei tuoi poteri non ci sarebbe niente per cui ridere!»

Non mi muovo, la chiave infilata nella toppa, le dita che l’afferrano pronte a far scattare la serratura. Non credo che non esista persona al mondo che non smetta di ricordarmi quanto sia importante che io sopravviva. Conoscevo la morte ancor prima che potessi accettarla. Da quando sono nata il pericolo che il mondo potesse finire a causa mia, per colpa dei miei poteri, pende sulla mia testa come una spada di Damocle.

Abbasso lo sguardo. Non ho voglia di sentirmi un mostro perché è così che mi sono sempre vista quando ero una bambina per quanto mio padre, mia madre ed i nonni ripetessero che io sono buona, che non avrei mai fatto del male a nessuno. Sono diversa, questo è quanto persino fra esseri speciali.  Mi fingo una persona sicura, capace, in grado di affrontare ogni peripezia, ma sono incapace di guardare a me stessa. Ho paura di guardare a me stessa.

Preferisco decisamente non prendermi sul serio ed è per questo che ho bisogno di non pensarci.

Soprattutto non ho bisogno di compassione la stessa con cui mi sento osservata da quei fitti occhi verdi, così intensi da emanare un’aura di comprensione a distanza. Non ho parlato, non ho detto quello che mi sta tormentando in questo momento in cui sto vacillando.

Ho solo sospirato.

Adesso sì, che sono a disagio!

Con questa sensazione che qualcuno possa capire davvero quello che sto provando, quel dolce peso che sento poggiarsi attraverso il suo sguardo su di me, sul mio viso ancora impegnato a rivolgersi con interessa ad un punto imprecisato della porta. Non ho bisogno di girarmi per vedere qual è la sua espressione: è disegnata indelebile nella mia mente.

Noi tutti abbiamo un nugolo di responsabilità che sono oggettivamente più grandi di noi. Questi sono esattamente i momenti in cui vorrei essere una persona normale, quando il mondo regge inconsciamente le sue inferme gambe sulle spalle di una manciata di streghe.

Chris, Wyatt, io siamo tutti costretti nostro malgrado a vivere questa condizione di eroi moderni solo perché il fato ha scelto di donarci qualche capacità in più che tutti anelano come se fosse la loro stessa aria.

Non sono così sola come pensassi.

«Ah! Volevo avvertirti che mia madre è un po’ strana … insomma non t’impressionare ….» Prendo coraggio, alzo gli occhi e sorrido. Le mie labbra intraprendono una curva che potrebbe risultare non sincera, ma che invece è soltanto stanca.

Voglio cambiare argomento, proprio mentre sono sull’orlo di dirgli come io sia turbata da tutto questo.

Lui sa, ma non voglio che sappia oltre. Sono gelosa dei miei sentimenti, gelosa come una bambina che ama i suoi giochi e non voglio che gli altri si approprino di qualcosa di mio.

«Non potrà essere peggio di te!» Chris accoglie la mia muta richiesta di non indagare oltre. Non mi chiede scusa, so che ha captato il mio stato d’animo e di come lo stia abilmente ignorando, anche se lo vedo trattenersi dal dirmi qualcosa in più.

«Tu cerca solo di non assecondarla e ne uscirai indenne!» incalzo con più fervore.

«Così mi spaventi!» giocherello un po’ con la chiave, l’unico modo per far funzionare questo pezzo di metallo leggermente storto è trovare il giusto punto da dove scatta con il tipico rumore di quando qualcuno cerca di scassinare una serratura.

In un momento in cui tacciamo noto come dal nostro appartamento non proviene alcun rumore, o suono.

Forse la mamma doveva lavorare, ma che io ricordi oggi non ha il turno all’Erboristeria. Anzi, no mi ha detto espressamente che sarebbe restata a casa perché il suo Ben è depresso e non lo avrebbe mai lasciato solo in uno stato del genere.

Ovviamente parlo del Ficus del nostro salotto.

Solitamente tiene il cd con tutti i rumori della natura ad altissimo volume per le sue piante, soprattutto se lei le ritiene depresse o nostalgiche, secondo lei così ricordano il ventre da cui provengono dimenticando di trovarsi costrette in un piccolo vaso.

Strano.

Il silenzio in casa mia è come una bomba ad orologeria.

«Lee? C’è qualche pro …»

«Shh … aspetta!»

Accosto l’orecchio alla porta anche se non mi serve.

C’è ancora troppo silenzio.

Le mie gambe tremano. Le mie mani fremono. Il mio corpo vibra, spaventato, inerte.

Distinguo la sagoma del Ficus, il nostro piccolo e scomodo divano a due posti, la libreria, la tv, l’angolo cottura.

Tutto sempre più nitido, ma buio, oscuro e ricoperto da una patina grigio bluastra della penombra.

Sento un cuore battere.

Non è il mio.

È un cuore agitato, una mente che l’ascolta e conta i battiti.

Uno.

Due.

Tre.

Serro le palpebre a causa di una fitta che mi prende dritta allo sterno.

Conosco anche troppo bene questa sensazione.

Pensavo che avrebbero preso il mio libro, pensavo ad un oggetto, non a lei.

«Cosa sta accadendo?»

La voce di Chris mi arriva da lontano, lontano, eppure è così vicino.

Riesco solo a sentire il mio respiro amplificarsi nella cassa toracica, il martellare furioso che si espande all’accorato appello.

È paura, la più grande.

È apprensione quella che può provare solo una persona.

È il suo messaggio quello che si ripete nella sua testa sempre troppo svampita.

Lee, ti prego … bambina non entrare!

Mi accorgo di agire con un momento di ritardo, quel tanto che basta a rendermi conto di fare una cosa stupida ma senza potermi fermare. Con tutta la mia forza giro la chiave già inserita, spezzandola nella serratura.

Due mani forti prendono le mie spalle e delicatamente mi spingono indietro.

Incontro gli occhi verdi, bellissimi e consapevoli di Chris. Ha ragione Wyatt: anche se sembra un po’ nevrotico sa il fatto suo ed ho già imparato a fidarmi di entrambi.

Muove con violenza le mani in avanti e la porta si strappa dai sui cardini quasi fosse esplosa.

Precedo Chris precipitandomi all’interno, so dove sono.

Le tende sono tirate ingrigendo ogni colore all’interno della stanza.

Mia madre è seduta al nostro tavolo. I suoi occhi sono spenti, preoccupati, privi della vitalità a cui sono abituata.

Quante volte le ho risposto male chiedendole dove tenesse le pile per farla stare ferma? Quante?

Ed ora qui con lei e le sue sensazioni così forti che si riflettono nella mia mente di preoccupazione, paura, rabbia nei confronti di chi sta minacciando il nostro equilibrio, vorrei che fosse sempre la stessa.

«Mamma …»

Accanto a lei quello che sembra un uomo la blocca dall’alzarsi, un altro la minaccia con una sfera di fuoco .

«Bentornata a casa, viaggiatrice … »

Una voce che ho registrato nella mia testa proviene da un angolo della stanza. È lui, il maledetto che mi ha attaccata al parco stravaccato spavaldo sul nostro divano, gira trionfante fra le mani il flauto di Marsia. Giuro che la pagherà cara!

«Fai come se fossi a casa tua Nomed!» l’ho pronunciato fra i denti, quasi in un sibilo adirato e se non fossi frenata da Chris probabilmente gli sarei anche saltata al collo. Me lo scrollo di dosso, non perché lo voglia scacciare realmente, piuttosto per scaricare un minimo di quella tensione accumulata in poco tempo.

«Hai portato con te anche il tuo Angelo Bianco, nel mondo sotterraneo si vociferava che presto lo avresti avuto! Non potevamo aspettarci altro che uno dei figli delle prescelte, senza dubbio … quale onore …»

Allarga teatralmente le braccia.

«Cosa stai …? Uno dei … le prescelte? Quelle prescelte? Chris?»

Per lasciarmi senza parole, quasi affetta da improvvise balbuzie mi ha colto veramente di sorpresa; non pensavo che fosse uno di loro. Non che abbia mai saputo chi realmente siano.

La famiglia Halliwell.

C’era solo un appunto scritto da mio padre sull’Eochair sulle tre mitiche streghe, non molto altro se non che vivevano a San Francisco e che il loro primogenito è la potenza magica più forte che sia mai esistita. Per il resto mi rifaccio a qualche racconto dei leprecauni, racconti da prendere con le molle dato il loro carattere piuttosto permaloso ed orgoglioso.

Questo vuol dire che anche Wyatt è il figlio delle prescelte.

Se il suo tentativo era di confondermi, è riuscito nell’intento.

Interrompo i miei ragionamenti quando Nomed si solleva passeggiando fino a mia madre, un sogghigno sulle sue labbra incurvate asimmetricamente soddisfatte e vittoriose come se avesse il mondo in pugno già conquistato.

Posa una sua viscida mano sulla mascella della mamma, scivolando fino alla sua spalla, al suo braccio.

Lei ha il mio stesso sguardo di sfida.

Non le importa che lui sia più forte.

Mi sta minacciando e la sua natura materna supera persino il suo animo gentile e svanito.

«Cosa sei disposta a darmi in cambio della sua vita?»

Alice strabuzza gli occhi , apre quei suoi canali azzurri verso di me, mi parla attraverso di essi, attraverso la sua mente.

No! Lee, non cedere ai suoi ricatt … AH!  

Sento distintamente un sonoro crack, un rumore come di un ramo spezzato sotto il movimento dinoccolato che il demone ha impresso alle ossa di mia madre slogandole la giuntura del gomito.

Le ha rotto qualcosa ed io mi sento annegare nel suo dolore e nella mia rabbia.

Chris è rigido accanto a me, ad ogni mio minimo spostamento stringe le sue dita attorno alle mie braccia per tenermi ferma.

«Lasciala immediatamente!» ringhio stanca e arrabbiata, fissando i suoi occhi compiaciuti delle mie reazioni spavalde.

Ride sommessamente. Si permette anche questo, il bastardo. Lui trova questa situazione dilettevole al suo palato, le emozioni umane sono divertenti, giusto, ma la mia idea di divertimento prevede la combustione del suo corpo.

Ho una sola freccia al mio arco e non posso sprecarla.

La sfera che si trova nella mano del demone continua a ballare, non la spegne lo stupido mentre l'altro tiene ferma la mamma.

Devi orbitare mia madre a casa tua!

Nessuno ci può sentire, nessuno saprà cosa ho in mente.

Non fare stupidaggini!

I suoi occhi si abbassano sul mio viso.

Li sento addosso, non capisce, non comprende. Nutre delle perplessità, ma non m'interessa. Voglio solo che mia madre sia in salvo.

Ora Chris!

Controllare il suo potere è così semplice che faccio scivolare la sfera da un demone al petto dell'altro con un breve gesto della mano poco prima di avventarmi su Nomed per cercare di colpirlo in viso con un calcio.

Lo schiva abilmente, ma per difendersi il flauto gli cade dalle mani finendo sotto un mobile.

Provo di nuovo a colpirlo con un pugno, una gomitata, qualsiasi parte del mio corpo sia abbastanza contundente dal distrarlo abbastanza per non prendere il flauto con cui rischierei di farmi davvero del male.

Nella concitazione della lotta, non avevo fatto caso agl'altri demoni che sono apparsi mentre Chris tenta di difendere sé stesso e la mamma.

Una distrazione, una piccola distrazione che mi è fatale.

Il fischio, il dolore tutto quello che penetra nella mia testa mi priva di ogni forza.

Cado sulle ginocchia distinguendo a malapena le labbra di Chris muoversi.

Ho i brividi.

Spero solo che mia madre si sia messa in salvo, per me la salvezza è lontana, lontanissima.

Evanescente.

Il demone continua a suonare.

S'avvicina.

Il suono s'intensifica e fa male.

Mi schiaccia a terra, come una forza invisibile che non riesco a combattere.

Vedo il soffitto della mia casa, una lama sollevarsi all'altezza del mio stomaco.

Il suono del flauto si è fatto un ronzio incessante, un sibilo come la lama che taglia l'aria fino a penetrare la carne del mio ventre, agendo rallentata mentre la mia preoccupazione è solo che Chris protegga la mia mamma e che la fermi dal venire qui.

Tutto è più appannato, sento del liquido riversarsi lungo il fianco della mia maglia inumidita dal bagno di sangue che sta colando sul tappeto. Il ronzio ha smesso di suonare, qualcosa si strappa da me ma non sento altro che una breve fitta.

Botti, esplosioni, sta ancora combattendo.

Ne sono contenta.

Il sapore del sangue è salito lungo la mia gola, è arrivato alle mie fauci, bagna le mie labbra in rigoli pulsanti scivolando dall'angolo fino al lobo del mio orecchio.

Presto finirà tutto, non sentirò altro che la leggera sensazione di benessere che vivo in questo momento.

Vedrò la luce sempre più nitida.

Ci sarà l'angelo che ora mi accarezza la fronte pronto ad accogliermi.

Presto molto presto, sentirò la sua voce calda guidarmi ed il fiotto di vita scorrere fino ai miei polmoni.

Il respiro torna come un onda d'urto che mi costringe a sollevarmi seduta.

Sono ancora a casa mia nel bigio pomeriggio che si sta stagliando oltre le tende, appiattito dalla strana foschia che aleggia nell'aria.

C'è di nuovo silenzio, pochi ricordi ed un ferita sparita.

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Capitolo 15
*** Part 2x5 ***


San Francisco, May 2026 

 

Sono passate quasi tre settimane da quando mia madre ha conosciuto davvero il pericolo che corro ogni giorno, eppure con la sua solita flemma zen, mi ha detto che sapeva a cosa andava incontro quando ha accettato di restarmi accanto.

Di solito vederla discutere su come una pianta da interno va trattata con le sue astruse teorie di animismo mi avrebbe messo in imbarazzo, ma ero così contenta che l’espressione logorata dal terrore le si fosse cancellata che per una volta la lasciai fare.

Sono rimasta ad osservarla un paio d’ore buone durante quella ignara notte splendida, immersa fra il profumo delle gardenie in fiore e delle rose prematuramente sbocciate del curato giardino della signora Halliwell. Lei e la sua continua fissa sulla psicologia della flora! Per un certo periodo ero molto tentata di bruciarle quei libri in finta carta riciclata a basso costo che solo una ristretta cerchia di pazzi avevano in casa, sono stata dissuasa incredibilmente da mio padre. Lui l’aveva fatto realmente e la mamma ne aveva comprati il doppio.

Fine della discussione.

Così, a cadenze regolari imposte dalla mia forte volontà di sopravvivere, sono costretta a presenziare alle sedute yoga con il cactus che “condivide” la mia camera. Da quando si trova sulla mia scrivania fiorisce di continuo.

Secondo mia madre perché gli piace la mia compagnia. A suo dire ha il mio stesso carattere spinoso.

Secondo il mio parere perché è il suo modo di festeggiare di non averla più addosso.

Nelle ore successive all’attacco, Alice, non ha fatto altro che tentare di insegnare a Piper una sorta di ninna nanna da cantare quando vede le foglie abbattute e tristi. Che spettacolo! Melinda è rimasta a farmi compagnia, più che altro perché si divertiva a vedere sua madre fingersi realmente interessate alle idee stramboidi di Alice.

Già, la famosa Melinda che non rimette mai a posto il Libro delle Ombre, sorella del mio Angelo Bianco.

È una ragazza molto carina e affabile, con i suoi lunghissimi capelli scuri e gli occhi grandi e vivaci. Appena sono entrata mi ha subito accolto come se fossi parte della famiglia, probabilmente già preparata ed avvezza ad avere altre streghe dentro casa. Non sono abituata a ricevere tanta confidenza. Per questo sono stata inizialmente anche un po’ troppo fredda con lei, però ho come l’impressione che andremo d’accordo, soprattutto nel prendere in giro Chris.

Ora comunque, io e la mamma, stiamo meglio dopo la nostra disavventura – entrambe - anche se sono convinta che lei non sappia davvero di aver rischiato molto più della sua semplice vita. È tornata troppo rapidamente ad essere sé stessa, uguale alla mamma dolce e svampita che adoro.

Forse è meglio così.

Io non riesco mai a indietreggiare, la mia educazione da soldatino me lo impone. Non sono mai uguale dopo un simile attacco e questa volta a ragion veduta. Nessuno era mai riuscito ad arrivare tanto vicino a prendermi i poteri, portandomi sull’orlo del baratro fra la vita e la morte per sette minuti e quaranta secondi.

Posso dirmi una miracolata a quanto pare.

No, non esistono miracoli con la magia. Solo fortuna e stregoni arrivati al momento giusto.

Wyatt mi ha salvato.

Pochi secondi ancora e quel pugnale mi avrebbe strappato tutto, compresa la mia stessa energia. Nomed è scappato, ovvio, come tutti i demoni con un po’ di cervello. Ma abbiamo preso il flauto che ora è al sicuro alla Scuola di Magia dove verrà studiato più approfonditamente.

La Scuola di Magia.

Stento ancora a credere che esista un posto simile. Ho così tante domande ancora da fare e mi sembra praticamente impossibile di essere così libera di porle. Leo si è dimostrato molto disponibile e mi anche assicurato un posto sempre libero. Mi ha detto persino di sentirsi onorato di fare la mia conoscenza e che è bello vedere che un Conroy accetti un Angelo Bianco.

Un Angelo Bianco appunto con cui ho appena appianato ogni ostilità, cercando di costruire un rapporto di collaborazione, con cui finisco per scontrarmi inevitabilmente contro ogni proposito di non belligeranza.

Se non ci fosse Wyatt a fare da paciere, sono sicura che avremmo finito a lanciarci pozioni esplosive.

Se escludiamo i miei piccoli litigi con Chris, sono molto contenta di essermi unita alla loro lotta. Da quando frequento casa Halliwell sento la mia magia rinvigorita, i miei sensi sembrano essersi sviluppati e, per di più, ho come l’impressione di aver acquisito anche un po’ di forza fisica La mamma mi ha confessato che questo cambiamento si nota a vista d’occhio. Sono molto meno cupa, più solare e anche più disponibile.

E questo mi preoccupa per il prossimo mese quando tornerò a New York da mio padre per qualche giorno.

Sto andando praticamente contro anni di anonimato e secoli di segregazione.

Mi sembra quasi di sentire la sua voce che mi ripete quanto sia pericoloso rimanere accanto ad essere magici così potenti, quanto io rischi di attirare ancor di più l’attenzione su di me come se non avessi già puntati tutti i fari demoniaci sulla mia piccola figura.

Il modo migliore per proteggere il mondo è evitare che s’impossessino delle nostre capacità.

Così recita la prima  pagina del Eochair.

Io, mio padre, tutta la mia famiglia, persino i miei avi possiamo plasmare in forme diverse le persone è per questo che ci siamo isolati dal resto della comunità magica e non. Per salvaguardarla da chi ci dà costantemente la caccia: noi non salviamo innocenti, non cerchiamo demoni da eliminare, sono loro a trovarci.

O almeno non li cercavamo, perché io, ora, aiuto la famiglia Halliwell a tempo pieno, almeno fino a che Mel e i loro cugini non acquistino la giusta padronanza dei propri poteri. Sono così fiera di farlo, mi sento finalmente utile e parte di un disegno più grande. Io sono una strega, sono felice di esserlo, orgogliosa di quel che faccio, non voglio nascondermi anche con chi sa che esistiamo o chi ne fa parte. Che i miei avi si rivoltino nella tomba, mio padre si disperi e si lasci corrodere dalla preoccupazione io voglio vivere la mia vita magica a pieno.

Fino ad ora ho sempre creduto che fosse tutto fine a sé stesso. Invece no, c’è un mondo da scoprire e così tanto da imparare che sono emozionata, protesa verso un futuro che sembra contare anche sulle mie forze.

Voglio essere utile.

Voglio combattere il male, come sono stata destinata a fare.

Ogni giorno, ogni ora, ogni volta che un innocente richieda il mio aiuto.

Come oggi, quando abbiamo salvato la vita ad una giovane strega prima che un demone di livello superiore le rubasse i poteri. Un’altra stancante e soddisfacente giornata.

Seguo con lo sguardo i miei passi, una piccola mania che ho da quando sono una bambina che mi aiuta a pensare.  

Mi piace sempre di più San Francisco: non importa in che punto della città tu sia, basta un po’ di vento favorevole e puoi respirare l’oceano, i suoi profumi, le mille culture che accarezza la costa. Camminiamo affiancati io e Wyatt, fra di noi solo una leggera brezza salata che pizzica nell’aria. Anche lui è taciturno, ma solo di riflesso a me. Comunque ho un motivo particolare per non sembrare in vena di parlare, o perlomeno non ho voglia di spendere energie per affrontare discorsi puerili, non che non siano di mio gradimento. Generalmente liquido le persone dicendo che sono fatta così, nessuno fatica a credere che alterno momenti in cui dovresti spararmi per farmi tacere anche sulla più piccola cosa, a conflittuali silenzi carichi dei miei pensieri che spesso sono invasi dalla miriade di voci di una città brulicante.

Adoro stare in sua compagnia, per questo accetto di buon grado che mi accompagni a casa il più delle volte. Sa rispettarmi, ha capito di dover lasciare liberi i miei spazi, senza forzare la conversazione alla quale preferisco di gran lunga il silenzio.

Tutta colpa della visita della cugina mezzo Cupido ficcanaso ed inopportuna.

Siamo entrambi scossi dalle sue frecciatine, per non parlare dei suoi pensieri mentre eravamo concentrati su di una pozione esplosiva che stavamo precariamente preparando. Se non fosse stato per Chris che l'ha invitata cordialmente a lasciarci in pace a fare il nostro dovere, probabilmente avremmo fatto esplodere l'intero quartiere.

So che ha notato il mio comportamento anche se cerca di non darlo a vedere, scorgo i suoi occhi guardarmi di sottecchi. Quando poi prima non ho colto una presa in giro su Chris e le sue capacità di Angelo Bianco, gli ho fornito una prova inconfutabile di come sia più stranita del solito. Non so nemmeno perché sento l’impulso di giustificare la mia insolita freddezza, in fondo siamo amici da pochissimo.

Ecco appunto. Amici.

Prima di uscire, Prue – questo il nome della petulante cugina di Chris e Wyatt -  mi ha anche chiesto se mi servisse una mano a sbloccare la situazione.  Quale situazione poi? Insomma non si può essere amici e basta, senza implicazioni di alcun genere.

Non che non ci abbia pensato, tutt'altro. Sarei una stupida a non averlo fatto.

Wyatt è  un ragazzo così affascinante, sicuro, dolce, premuroso tanto da accompagnarmi tutte le sere a casa nonostante abiti dall'altra parte della città e che, come se non bastasse, mi sa ascoltare.

Perché rovinare tutto questo, facendo un passo falso? Insomma lui non mi ha chiesto mai di uscire.

Mai un vero appuntamento. Purtroppo.

Forse hanno ragione tutte le allusive teorie di quella che è diventata la mia seconda famiglia. Fra di noi c’è qualcosa, qualcosa di irrisolto e assoluto. Qualcosa che non riusciamo a dirci nemmeno a noi stessi e che mi tormenta di continuo ogni volta che mi fisso sul suo viso, sul suo sorriso.

È quella sua domanda ,tornata alla mia mente stamattina quando ho notato lo stupido numero cerchiato di rosso sul calendario.

Nessuno mi ha mai chiesto perché io sia così ossessionata al baseball, nessuno si è mai azzardato a sbirciare un piccolo scorcio di me, tranne Wyatt.

Wyatt merita la mia fiducia, merita una risposta visto come prova a conoscermi a dispetto degl’altri.

«Oggi è l’anniversario della mia prima partita dei Mets. Mio nonno ne era un gran tifoso, è lui che mi ha trasmessi l’amore per il baseball. Avevo sette anni, sono persino riuscita ad afferrare una palla. Alla fine attendemmo i giocatori per farla firmare ad uno di loro. Josh Thole, ho avuto una gran cotta per lui che mi aveva scompigliato i capelli dopo aver autografato la mia palla.» È una cosa intima, estremamente intima, una ricorrenza di cui conservo gelosamente la nostalgia e la dolce tristezza che provo durante tutta la giornata. Ed è così che ho deciso d’interrompere il nostro silenzio.

«Ti manca molto?»

«Chi Josh Thole?» sorride scuotendo la testa. La delicatezza con cui si è pronunciato, la sensibilità con cui si approccia in punta di piedi al mio stato d’animo mi avverte di quanto io questa volta non mi sia caduta in errore.

Per una volta il mio giudizio è stato corretto.

«In alcuni momenti di più, in altri avverto la sua presenza. Amo ricordarlo in situazioni piacevoli, nei momenti in cui sorrideva. Oh, avresti dovuto vedere il suo sorriso …» Sarò una folle pazza e sconsiderata, ma per una volta in vita mia, voglio togliere gli stivali di piombo che non mi permettono di avere un vero contatto umano con nessuno. «… sai il tuo sorriso me lo ricorda molto …» E forse trasportata dall’euforia, azzardo una frase di troppo ma che, una volta salita dallo stomaco e passata per il cuore, è impossibile frenare.

Per un secondo boccheggia, evitando i miei occhi che ora cercano i suoi. Ma lui non mi rivolge lo sguardo, sceglie di dirigere la sua attenzione alla strada che percorriamo. Mi evita.

Temo di essere stata troppo precipitosa nell’espormi.

Io non riesco a scegliere le mezze misure, troppo strette per la mia personalità così eccessiva.

Sono una stupida! Anzi una pazza, ecco cosa sono!

Una pazza che si sta invaghendo della persona sbagliata e che ha gettato tutto alle ortiche facendo un passo falso.

« Siamo arrivati …»  dice distrattamente all’improvviso, guardando dritto davanti a sé.

Distinguo nettamente i profili disegnati della bassa facciata verde muschio, bianca e rosa, dipinta nella memoria mentre i colori si mischiano nell’oscurità della sera, divenendo un ammasso informe modellato solo attraverso le ombre create dalla luce ballerina proveniente dall’insegna verde del pub irlandese al piano terra, mentre, più in basso, una leggera illuminazione  soffusa fugge sul marciapiede antistante carica dell’ambiente familiare che vi è all’interno.

«Hai ragione siamo arrivati» - e questa sera mi sono già resa ridicola abbastanza … - aggiungo nella mia testa. Rovisto fra i mille gingilli contenuti nella borsa, che alla fine non ho né buttato, né tantomeno pulito da questa vecchia sacca. Guardo le chiavi che ho in mano, l'entrata del pub, per un attimo osservo di sfuggita Wyatt.

Mani nelle tasche posteriori dei jeans, aria assente, tremendamente a disagio.

La mia gola inizia a bruciare, lo stomaco in subbuglio.

Gli ho solo detto che mi piace il suo sorriso, neanche gli avessi chiesto di sposarmi. Gli uomini sono tutti uguali!

«Allora buonanotte!» forse sono anche un po’ troppo aspra nel pronunciarlo, ma lui non  sembra accorgersene. Nemmeno mi saluta mentre mi allontano, affondando con rabbia la mano al cancello per aprirlo voltandogli le spalle.

«Sai giocare a biliardo?» Mi giro lentamente, incredula almeno quanto lui. Sul suo viso noto l'espressione sorpresa e compiaciuta che io adoro letteralmente, con quel suo sorriso torcibudella che gli si stampa involontariamente sulle labbra contornate da una lievissima ombra di barba che domani sarà già sparita.

Ripeto: è sbagliato, oh sì tremendamente sbagliato. Prendiamo a calci i demoni insieme, suo fratello è il mio angelo bianco. Oh, al diavolo! Da quanto non sto così bene in compagnia di qualcuno?

Carpe Diem!

«Non molto ...» rispondo titubante.

«Ti piacerebbe imparare? Ho saputo che qui hanno un tavolo fantastico e …» con pochi passi sono di nuovo accanto a lui.  

«Certo ...» Prendo la sua mano e mi sembra che non aspettasse altro da come si modella esattamente alla mia intrecciando le dita.

Perché per la prima volta abbiamo superato le barriere imposte dalla nostra timidezza e forse non sarà nemmeno l'unica.

Come adoro sbagliare!

 

Note dell'autrice: Buonaseraaaa! Ci avviamo verso la fine, dove capiremo cosa il futuro positivo  ad Eileen e gli Halliwell ha riservato. Spero che vi piaccia e che continuiate a seguirmi. Per qualsiasi domanda, perplessità, critica o apprezzamento sono qui pronta a d ascoltarvi (o a leggervi).

Besitos

Mally

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Capitolo 16
*** Part 2x7 ***


Halliwell Manor, December 2028 – 7:00 pm

 

È preoccupante. Molto preoccupante.

Dalla cucina sembra che non escano altro che portate, tovaglioli e altri mille oggetti che io non saprei definire. Possibile che tre persone in più significhi preparare la cena per un piccolo stato? Sono cosciente che Piper sia vogliosa di mostrare il meglio del meglio di questa famiglia, però credo che sia finita un tantino fuori controllo.

E Leo è d’accordo con me, visto lo sguardo da cucciolo smarrito che mi ha lanciato.

Bene. Non è niente di grave.

Ho solo bisogno di un respiro profondo nulla di più.

Un po’ di sana aria pulita tra me e i miei polmoni, una faccenda a tre.

Ci sono troppi odori speziati, profumi non indifferenti per una persona che non ha una morsa nello stomaco decisa a contorcerlo in un groviglio indefinito. Completamente chiuso, anzi ho anche un lieve accenno di nausea.

Piper mi ha praticamente travolta con una sorta di elenco di piatti e pietanze che ha preparato, cercando forse la mia approvazione. Io ho solo sentito una serie di “bla, bla, bla” visto lo stordimento puro e semplice che tutta questa situazione sta creando.

Leo mi osserva intimorito, forse vede che sto per scoppiare o teme che invece possa esplodere la casa. Si è persino azzardato a dirle che magari tutto questo è un tantino esagerato,  guadagnandosi di diritto uno sguardo fulminante da parte della moglie che maniacalmente posiziona posate e bicchieri.

Devo calmarmi, sono già troppo agitata di mio per farmi contagiare dall’euforia di questa pazza e bellissima donna che si aggira come un direttore di sala fra i suoi camerieri cercando la collaborazione di chiunque le passi a tiro.

Ci tiene tantissimo, sa che per noi è importante questa serata.

Potrei sedermi per cinque minuti sul divano e ripetermi di restare calma, tranquilla e piacevolmente rilassata.

Inutile.

Non è tanto la presenza di Chris a impietrirmi,  né tantomeno quella di Melinda che sgranocchia una mela distrattamente stravaccata sorniona su di una poltrona vicina. È quello che sta facendo il mio adorato e nevrotico angioletto che mi distrugge nello spirito.

«No, non il Libro delle Ombre!» Non voglio vedere, non voglio sentire, non voglio nemmeno sapere. Credo di non avere abbastanza mani per poter occludere ogni mio senso. Io giuro, croce sul cuore, di non aver invitato nessun demone alla serata, quindi chiunque si presenti sarà un ospite indesiderato.

Insomma è troppo per i miei fragili nervi sull’orlo del collasso.

Negli ultimi giorni sono passata da un “non sarà facile, ma posso farcela”, al più recente apocalittico “sarà un disastro”.  Chris non riesce assolutamente a rendersi conto che la mia salute può risentirne di questi sbalzi. Poi sarà lui a dover spiegare agli anziani il perché del mio esaurimento nervoso.

Non mi degna neanche di uno sguardo, continuando a sfogliare tranquillamente il gigantesco tomo e a mordicchiare il cappuccio della biro.

«Non sei la mia unica protetta …»

Glissata così, con una semplice frase fra un appunto e l’altro. Non mi resta altro che osservare quanto sia meraviglioso il pavimento di casa Halliwell.

Bene, è già iniziato l’influsso malefico di mio padre. Questa è esattamente la sua tattica quando non ha intenzione di mollare gli ormeggi. Io parlo, lui mi ascolta di striscio, butta una frasetta cercando di farmi tacere ed io mi ritrovo a discutere da sola come una pazza. Almeno alla fine di questa tragica cena lo sarò definitivamente.

«No, mamma aspetta!»

«Ehy la mia mela!»

Alzo lo sguardo.

Piper. Ha tra le mani il Libro delle Ombre e la mela che porta i segni indelebili dei morsi di Mel, bottino appena ottenuto strappandolo ai proprietari. I suoi caldi occhi scorrono velocemente tra i figli, a mio avviso sarebbe bastato questo, ma lei invece, tanto per rimarcare il concetto, con cipiglio severo alza l’indice ed lo punta inquisitoria ai diretti interessati.

«Tu, ho detto mille volte di non mangiare prima di cena! E tu, per strasera niente demoni, protetti, anziani e stregoneria! Per una volta cerchiamo di sembrare una famiglia normale!»

Adoro questa donna, anche se ora ha assunto l’aria da sergente istruttore. Certo un sergente istruttore molto raffinato nel suo vestito porpora e i lunghi capelli raccolti, ma pur sempre uno spietato militare pronto a dare ordini, quasi mi aspettavo che dai miei futuri cognati rispondessero “Signorsì, signore!”.

«Cosa sta succedendo qui?»

Con Wyatt la formazione di Halliwell è completa. Sono contenta che sia, qui accanto a me,  carezzandomi le spalle forse un po’ troppo tese dalla spalliera del divano. Ho tanto, tantissimo bisogno di lui. Però, ho come la sensazione che ci sarà qualche altro piccolo intoppo forse perché sento dalla poltrona provenire una sorta di risata strozzata.

Mel.

«Ti … sei … messo … la cravatta!» Ha seguito con lo sguardo stralunato Wyatt ed ora sta per scoppiare a ridere cercando malamente di coprirsi con la mano. Chris invece sta con il mento talmente infossato che rischia di slogarsi qualche vertebra pur di nascondere il viso.

No, anche Piper no!

Ormai la risata ha contagiato tutti e ridono spudoratamente della sua cravatta.

«Ah, ah spiritosi!» Il viso di Wyatt è tutto un programma. Si sta spazientendo e non è una cosa positiva né per lui, né per soprattutto me e il mio precario equilibrio che si sta lentamente sgretolando. Come se non bastasse anche suo padre arriva con un vassoio d’argento – deduco che sia l’aperitivo – scrutandolo con un sorriso bonario stampato sulla faccia. Così, come se fosse caduto da una nuvola.

«Bella cravatta figliolo!»

Era serio, forse anche troppo. Leo probabilmente non si aspettava di generare ulteriore caos con un semplice complimento, però sarebbe stato meglio che si limitasse a portare i flute di prosecco nel salotto, in un bel e religioso silenzio. Per quanto sia un uomo dolce, premuroso, accomodante ha lo stesso gusto di un ragazzo del dopoguerra.

Mel non si trattiene più e spudoratamente ride a crepapelle. Chris, iena come è, ovviamente la segue.

Il mio povero Wyatt non fa altro che alzare gli occhi al cielo, sbuffare e togliersi l’oggetto di tanto scalpore.

«No, tesoro stai benissimo non dargli ascolto …»

«Lascia perdere …» Ha solo cercato di essere elegante per mio padre, non è poi così assurdo! Anche se anch’io in principio avevo storto un po’ la bocca, ma solo perché mi piace di più casual, senza tanti fronzoli e non sono abituata a vederlo troppo preciso. Io detesto i precisi, sono un’artista e ho un padre ossessivo compulsivo. Sono di parte quindi il mio giudizio non conta. Ragionando poi sul fatto che se il mio calmante naturale non è tranquillo io divento nevrotica, se io divento nevrotica litigo irrimediabilmente con mio padre questo non fa che amplificare l’equazione.

Un gran bel circolo vizioso.

Non riesco posso fermarlo dall’andare in camera sua, bloccata dal divano che arriva invece un nefando intervento divino.

Wyatt non riesce nemmeno a salire il primo gradino della scala quando il campanello suona con il melodico trillo di sempre, che io assorbo come le urla di terrore che provengono dai miei nervi. Mio padre – stregone telepatico - è arrivato.

Devo cercare di non svelargli sei, o sette cose senza un’intera nazione a dividerci e sono sicuramente troppo sciatta per i suoi gusti.

Come mi è venuto in mente di mettermi un semplice jeans e una camicetta?

È come se mi fossi teletrasportata di fronte alla porta di casa, non ricordo di essere giunta qui con le mie gambe.

Fisso costantemente i disegni di vetro e trova che le due sagome nere da cui sono separata siano alquanto minacciose.

Qualcuno mi prende la mano.

Non ho bisogno di voltarmi per sapere che è lui, la cravatta probabilmente l’avrà buttata nel guardaroba senza nemmeno pensarci. Io vengo prima da qualsiasi cosa e stasera per me non sarà facile. Sono purtroppo in balia degli eventi e non riesco in alcun modo a pensare come mio padre possa realmente prendere le mie scelte di vita.

Lo combatto, lo sfido ma solo perché è da quando sono nata che non faccio altro che cercare la sua approvazione non riuscendoci mai. Ho paura, sono stanca ancor prima di cominciare.

Vorrei che non ci fosse questo giorno, che sia solo una mia fantasia, un incubo. Anche sé, tra le mille emozioni che provo in questo preciso istante, nutro una singolare impazienza.

Quando Piper apre la porta investendolo con il suo solare sorriso, mi trovo di fronte il suo aspetto austero, i suoi tratti marcati e capelli ingrigiti dall’età anch’io non riesco a far altro che sorridere. Sono una sciocca, strana e lunatica persona.

Ma dopo quasi un mese e mezzo che non lo vedo, trovo che sia splendido poterlo riabbracciare senza nemmeno permettergli di fare le presentazioni, gettandomi sul suo collo come quando tornava dal lavoro e mi teneva stretta a sé per molti minuti. 

In fondo è sempre mio padre.

«Ben arrivato, Liam!»

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Capitolo 17
*** Part 2x6 ***


Foster & Conroy’s Appartament, December 2028

 

Il clima fuori è rigido, l’inverno ormai ha preso pieno possesso delle temperature, ma qui nella mia camera non c’è posto per lui.

I vetri sono appannati.

L’esotico odore dell’incenso si espande in piccole e deboli volute di fumo, avvolgendo il mio corpo coperto dal sottile strato di lycra dei fuseaux e del top. La fiamma di alcune candele assieme all’abatjour, resa soffusa da un foulard  damascato che pende sulle perline colorate di cui è adorna, sono le uniche fonti di luce che ho voluto e una leggera musica indiana vibra fra le pareti.

Su di me sento il caldo sole riempire le mie membra, mentre l’aria si fa sempre più facile da digerire.

Sono distesa sul pavimento, la schiena sul lettino di gommapiuma i palmi posati all’altezza dei fianchi.

Fletto le ginocchia ed espiro poco prima di sollevarle verso il viso.

Rimango ferma qualche secondo.

Poi sollevo le gambe perpendicolari al soffitto, le mani a sorreggere la schiena ed i fianchi.

L’ossigeno entra.

L’ossigeno esce.

Ho uno spettatore silenzioso.

La fulva coda del mio gatto dondola ritmicamente da un lato della scrivania da dove mi osserva mezzo assonnato. Da lui, ogni tanto, sento provenire piccoli gorgoglii, delicate fusa di puro relax, gli occhi abbassati racchiudendo due topazi splendenti attraverso le trasparenti ciglia.

Ci sarà una cena speciale. Ma non di quel speciale che dici: Finalmente.

Questa sera servirà una calma cosmica, la pace dei sensi e tanta, tanta fortuna. Potrei invocare un leprecauno? Lo stress sarà in ogni angolo pronto ad agguantarmi con un fidanzato agitato – anche se lo nega -, la sua mamma su di giri, la sorella inopportuna,  un fratello Angelo Bianco nevrotico che proprio in questo momento appare in un turbinio di luci celesti. Povero Leo …

Però è proprio buffo visto da questa prospettiva, con la testa reclinata da un lato cercando di capire in che verso sono posta.

«Non dovresti orbitare nella mia camera senza bussare …» Mi dispiace ma ho giurato ai miei chakra che avranno a disposizione tutto il prana possibile e Dio solo sa di quanto ne avrò bisogno, quindi Chris dovrà attendere.

«Cosa stai facendo?» chiudo gli occhi e torno a concentrarmi sul mio respiro.

«La posizione della candela con supporti come puoi vedere …»

Solo puro rilassamento.

L’ossigeno entra. L’ossigeno esce.

«Ovviamente non sai che ore siano …»

No, e non lo voglio sapere caro il mio angioletto.

L’ossigeno entra. L’ossigeno esce. L’ossigeno entra.

«Il tempo è un concetto relativo …»

«Sai che fra meno di una relativa mezz’ora tuo padre atterrerà?»

L’ossigeno entra. L’ossigeno non esce più, le gambe cascano all’indietro in una scoordinata capriola, tossisco cercando di arrancare per sorreggermi in piedi e guardarlo per qualche istante imbambolata.

Mio padre e mezz’ora sono due espressioni che in una frase hanno lo stesso effetto di una bomba atomica: i miei neuroni cominciano a vorticare impazziti fino a scontrarsi e poi …

Kabum!

«Chi … come … dove …» realizzo. Chris mi avrebbe orbitata a casa Halliwell, dove avrei atteso il taxi con la mamma e il pacchetto targato Conroy prelevato all’aeroporto.

-Oh, mio Dio! La mamma si sarà ricordata di uscire?-

«Tua madre è già partita, vatti a preparare! Wyatt non è dell’umore adatto ad essere paziente ed io voglio restare intero!»

Wyatt è sempre stato quello che ho desiderato, il principe azzurro che tutte le bambine sognano.

Solo che in tre mesi l’unica cosa certa sul nostro matrimonio è che avverrà , per il resto tutto è un quid che forse verrà deciso dopo stasera sempre che la sposa ne esca viva o che trovi il coraggio di parlare. L’ora della verità.

Tutto dipenderà dalla reazione del mio geloso ed iperprotettivo padre.

Bell’affare.

 

Halliwell Manor, December 2028 – 6:30 pm

 

So che avrei dovuto bussare. Premetto di non essere mai stata uno di quei tipi che piombano in una camera senza chiedere il permesso, né tanto meno una che ama origliare.

Però che se si potesse ammirare il terrore della personificazione del potere magico sulla terra, sfido chiunque a non sbirciare almeno un pochino.

Wyatt che tenta di annodare una cravatta impostando il tono di voce di fronte ad uno specchio come se stesse per affrontare un plotone di esecuzione è uno spettacolo a cui non avrei potuto rinunciare. Dovevo vederlo.

E ho resistito, per qualche minuto almeno.

Almeno finché la mia risata non mi ha spudoratamente tradito attirando la sua imbarazzata attenzione.

«Sei lì da molto?» mi chiede con un timbro stizzito nella voce e questo non fa altro che alimentare l’ilarità del momento.

«Da troppo poco …» è vero, avrei voluto godermi la scene anche per le ore precedenti. A saperlo meglio di qualsiasi seduta yoga.

Mi sembra solo ieri che io e Wyatt ce ne stavamo nel pub irlandese sotto casa mia a scoprire che io ed il biliardo non siamo fatti della stessa pasta. Solo ieri che per la prima volta e senza preavviso abbiamo affrontato una sottospecie di appuntamento.

Solo ieri che dopo un mese di titubanza, domande inespresse, passeggiate e comportamenti adolescenziali contradditori ci siamo baciati. O meglio io l’ho baciato, scoprendo di averci preso su tutta la linea con lui.

Da allora le cose hanno subito un’accelerata notevole. Forse anche un po’ troppo ed è questo che mi spaventa della serata che stiamo per affrontare.

Mio padre ha saputo che mi stavo frequentando con un ragazzo circa una settimana fa, perché sapevo quale reazione avrebbe avuto ovvero quella che poi ha effettivamente avuto: prendo il primo aereo e vengo a conoscerlo, o a marcare il territorio  qual dir si voglia.

Lui tra l’altro non sa il vero perché di tutto questo.

Ancora gli è sconosciuta la notizia più scottante, la reale ragione per cui Piper ha insistito nel conoscere almeno il mio caro paparino. Di certo non era una cosa che al telefono avrei potuto affrontare a cuor leggero, meglio di persona così nel caso voglia uccidermi può tranquillamente farlo.

Wyatt mi ha chiesto di sposarlo tre mesi orsono.

Incredibile.

La mamma se ci ripensa comincia a piangere commossa come una fontana.

Liam invece mi ucciderà, ma questo è solo un dettaglio.

Tutta colpa di una di quelle battaglie ormai noiose e già affrontate. Una sottospecie di esercito di demoni inferiori, comandati da demoni superiori che volevano conquistare il mondo rubando l’anima degli innocenti.

Insomma, semplice routine quotidiana.

Wyatt era impegnato in un esame importante, Chris era oberato dal suo ruolo di Angelo Bianco quindi ho ben pensato di aiutare la mia innocente di turno da sola. Sono riusciti a salvarmi per un soffio, con conseguente paternale dal mio angioletto mentre Leo mi medicava le ustioni nella veranda di casa Halliwell.

Alla fine l’essere magico più potente dell’ultimo secolo, è venuto a conoscenza del mio pasticcio e così, come se non bastasse, ha aggiunto il suo carico da dieci. Giuro, ho provato a scusarmi ma all’ennesimo rimprovero su come io fossi stata una pazza sconsiderata, la mia vista si è appannata. Sono iniziate a volare un po’ di parole grosse, più grosse di quelle che avrebbero dovuto essere, colpa del piccolo déjà vu di quando al posto suo c’è un distinto signore bruno con gli occhi scuri.

Insomma dopo almeno un paio d’ore che lui mi diceva quello che dovevo fare e come, non ho saputo trattenermi dal dirgli “Ho già un Angelo Bianco e non sei tu.”

Credo che mi abbia tenuto il muso per tre giorni e dopo non che fosse più tranquillo.

Alla fine i demoni erano stati sconfitti, l’innocente continuava la sua vita tranquilla, io ero sana e salva, pensavo che non l’avrebbe fatta tanto lunga. Invece questa piccola disavventura aveva attivato un meccanismo di cui io ero rimasta all’oscuro per tutto il tempo delle mia muta punizione.

Iniziai sinceramente a preoccuparmi.

Era freddo, scostante, mi rivolgeva la parola semplicemente se necessario e al telefono sembravo una pazza che parlava da sola o con una persona capace solo di articolare monosillabi incomprensibili.

In quel periodo potevo contare sulla mia unica valvola di sfogo, l’unico amico con cui potevo affrontare una conversazione semi normale e parzialmente seria: Chris. Il mio personale grillo parlante, il mio guru dai piedi per terra, la mia salvezza. Da allora ci siamo avvicinati ancora di più, come doppio effetto Wyatt si mangiava le mani per quanto era infastidito di tutto il tempo passato con suo fratello. Ben gli stava visto che stava facendo il bambino capriccioso. Anche se non lo ammetterà mai è geloso marcio di suo fratello, stupidamente geloso aggiungerei. Chris è un ragazzo bellissimo, quasi da far male, su questo non ci piove, ma tra l’attrazione fisica e l’armonia tra due persone, c’è uno scoglio chiamato carattere . Potremmo essere amici, grandi amici, ma una coppia proprio no. Inoltre ormai lo considero come un fratello al pari di Mel – ho sempre desiderato una famiglia numerosa -  mi disgusta il solo pensiero.

È cambiato molto il nostro rapporto da quando ci siamo conosciuti, noi siamo cambiati.

Siamo diventati una squadra e non solo per quanto riguarda i nostri doveri magici.

Chris è diventato il mio migliore amico.

Alla fine dopo il mio iniziale ammorbidimento con Wyatt e le mie scuse volate al vento, la mia proverbiale testardaggine si è fatta sentire, finendo per staccare da lui per qualche giorno. Il mio Angioletto era rimasta la mia unica finestra sul mondo del mio fidanzato, mentre io mi rodevo ancora il fegato per quanto la stesse facendo lunga.

Credo che tutti si stupirono del punto a cui eravamo arrivati: da teneri pappagallini inseparabili a galli combattenti.

Una situazione davvero assurda, entrambi aspettavamo che l’altro cedesse e, per quanto Wyatt sia molto più docile di me, quando vuole, sa essere veramente un mulo.

Era una sera umida di una giornata bigia, come da qualche tempo con il pieno autunno. La mamma era fuori ed io l’aspettavo appoggiata sul davanzale sporgente della mia finestra, giocando con gli adesivi psichedelici  applicati sugli infissi tinti di un bianco leggermente scrostato. Il mio respiro si condensava per il freddo che trasudava l’esterno, appannando la finestra dalla quale osservavo il piccolo microcosmo sottostante.

Pioveva. Le gocce s’infrangevano sul vetro rumorosamente ed io ero persa a guardare i disegni astratti che creavano sul piano trasparente. Tutti alla fine attendevano con ansia la nostra riappacificazione, primo perché nessuno ci sopportava più – nessuno dei due era in grado di parlare come una persona civile, credo che ci sia stato il picco di calo demografico agl’inferi - e secondo perché si vedeva come entrambi ne stavamo soffrendo.

La situazione si era così ingigantita che nemmeno noi alla fine sapevamo più per cosa combattevamo ed io mi sentivo davvero stanca. Dopo essere scappata da mio padre proprio per questo, mi ritrovavo esattamente al punto di partenza. Forse la causa di tutto ero proprio io.

Cominciai a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato in me, nel mio carattere.

Mio nonno mi diceva sempre che quando si desidera qualcosa, basta volerla intensamente e allora si troverà la forza per realizzarla. Non ho mai creduto che fosse vero.

Conosco i pensieri delle persone e con essi ogni loro desiderio e paura. Conosco i loro sogni.

In molti vogliono qualcosa più della loro vita, ma non tutti riescono a trovare la forza per realizzarsi.

Eppure quella sera, in cui ero più malinconica, iniziai a pensare intensamente a quello che mi mancava troppo.

Il suo sorriso.

Ed avevo già preso le chiavi della macchina quando aprii la porta.

Lo trovai lì, sul pianerottolo della mia casa che cercava il coraggio di bussare, bagnato fradicio dalla pioggia che incessante continuava il suo concerto. Istintivamente mi aggrappai al suo collo, quasi a strangolarlo tanto che mi accorsi di quanto calore sapesse infondermi il suo abbraccio.

Non so quanto sarebbe durato, se non fosse stato per il debole miagolio che arrivò dalla sua giacca.

Il mio piccolo e dolce Simba.

Una pace avvenuta dopo una generale asciugata e conclusa fra le coperte del mio letto – se letto si può definire un materasso a terra ricoperto da una ventina di morbidi cuscini colorati-, io a pancia sotto a carezzare il lungo pelo di Simba che fusava su uno dei cuscini già divenuto di suo gradimento, ci sentivamo in armonia dopo aver penato tanto.

Sposami …

È arrivata così, inaspettata e bellissima come un fulmine a ciel sereno, improvvisa come un temporale estivo nella campagna toscana, incredibile come la magia. Una sola semplice parola sussurrata vicino al mio viso, tra le labbra increspate nel suo tanto amato sorriso. Mi sconvolse, mi rese felice ed euforica, una sola parola che bastò per zittirmi e far colare una delle tante rare lacrime che io non verso mai.

Come si può rifiutare una proposta di matrimonio con un gatto a farne da anello di fidanzamento? Io non sono di certo il tipo da declinare la felicità quando viene servita su di un piatto d’argento.

Non dico subito, fra un paio d’anni magari, ma sposami …

Ora siamo qui, con la completa serenità ad un palmo dal naso e tra le sue mani ancora il nodo sfatto della cravatta la quale, se io non porrò presto rimedio, finirà stropicciata in fondo ad un cassonetto.

 «Vuoi una mano?»

«Te ne sarei grato …»

Ho una certa abilità con le cravatte, forse dovuto al fatto che ogni mattina ero io a dover compiere questo gesto sul collo di quel burbero meraviglioso uomo che presto sarebbe ritornato a tormentare la mia esistenza. Già, inutile ignorare il fatto che a breve l’avrei rivisto e sarei stata giudicata imparzialmente dalla sua rigida convinzione che sono incapace di intendere e volere come una persona normale.

Un gran bell’ostacolo.

«Non dovresti essere così agitato, Liam, in fondo, non è così terribile … molto in fondo …»So di aver detto una bugia enorme, che tra l’altro va a cozzare senza pietà con tutte le descrizioni fatte fino ad ora del mio precisissimo ed alquanto protettivo genitore. Però, dovevo almeno provarci. Un modo come un altro per calmare i miei presagi di catastrofi.

È naturale che lui mi osservi con quell’aria perplessa ed incredula, il delicato sopracciglio a disegnare un bell’arco rimarcato sul suo occhio destro con uno scetticismo che si legge in ogni ruga d’espressione. Normalissimo.

Non mi posso stupire che non mi creda. Non mi credo nemmeno io. Figurarsi lui che sarà sotto esame più di me.

Penso che le mie insicurezze più le sue sono un cocktail irrefrenabile di sostanze chimiche in grado di esplodere. Sarà meglio evitare un confronto visivo concentrandomi sul nodo della cravatta e quanto, esso, sia perfettamente sistemato.

«Fatto!»

Se provo ancora a sminuire non produrrei altro che l’effetto contrario aumentando il livello di nervosismo che avverto, come quando il cane del vicino abbaia prima di un acquazzone. Devo solo fare un respiro profondo e pensare che è mio padre, mi vuole bene, anche se mi ucciderà per tutto quello che combino.

Perché ritorno sempre a questo punto?

«Ehy …» le sue mani sfiorano le mie spalle per infondermi il coraggio che mi manca. Devo avere proprio una faccia da condannata a morte senza nemmeno ultimo desiderio. È che mi sento molto fuori allenamento, dopotutto sono due anni che sorbisco in piccole dosi i litigi e le discussioni che nascono sempre ed inevitabilmente con lui.

Non è vero, non andrà tutto bene.

Lo so, lo sento dentro attraverso le contrazioni che avverto all’altezza dello stomaco. Ora mi è passata persino la fame.

«Vorrei fuggire!» Tanto perché mi ero ripromessa di non essere melodrammatica, ma davvero sono preoccupata per come mio padre vedrà tutto questo. Per ora la reazione più plausibile è un rapimento con monastero di clausura. Sarà quindi meglio dire addio subito al mio fantastico ragazzo abbandonandomi sul suo petto con un lamentoso canto del cigno.

«Mia madre ti ammazzerebbe …»

In effetti non credo che Piper sarebbe incline al perdono se io le facessi saltare la cena dopo che per un’intera giornata non ha fatto altro che sgobbare ai fornelli. Quindi si tratta semplicemente di scegliere fra una morte agonizzante nelle mani di mio padre, o una più rapida tramite esplosione grazie alla mia dolcissima futura suocera.

Meglio la seconda.

«Vada per Piper!» Ride sommessamente con la sua bocca nascosta fra i miei capelli, la sua piccola rivincita per il siparietto che mi sono goduta poco prima. Almeno qui, completamente inebriata dal profumo del suo dopobarba, mi sento al sicuro. Resterei così anche per tutta la vita, rilassata e cullata da lui che accarezza delicatamente la mia schiena cercando di incoraggiarmi con la sua positività.

Proprio quello che ci voleva.

Starmene per qualche minuto con l’unica persona che conta davvero, il mio splendido e fantastico fidanzato. Fidanzato che stava per incontrare mio padre, insomma un naturale sviluppo di un rapporto sano. Wyatt poi è davvero un ragazzo adorabile quindi non vi è nessun motivo per cui non approvi la nostra relazione.

Ha la forza magica e non di proteggermi, conosce i miei segreti e, soprattutto, terrorizza i demoni, il che è positivo per una persona che viene braccata da sempre. È perfetto e non avrei potuto chiedere niente di meglio. Giusto?

Ecco, appunto, io non ho mai avuto un ragazzo da presentare a mio padre. Un bacetto qua e là, qualche storiella, mai nulla che valesse la pena rischiare. Quindi per lui è la prima, primissima volta che io ho una storia seria, o almeno seria a tal punto da rischiare l’osso del collo.

In tutti i sensi.

Per quanto ci siano milioni di ragioni per cui non potrebbe attaccarmi, purtroppo so che riuscirà a trovare qualcosa di sbagliato.

Questo solo in virtù che è stata una mia scelta e quindi ufficialmente sbagliata per principio.

Di certo è solo una cosa: questa sarà la serata più lunga di tutta la mia vita!

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Capitolo 18
*** Part 2x8 ***


Note dell'autrice: E' stato pubblicato ieri un capitolo, quindi prima leggere quello ^^. Enjoy!

 

Golden Gate Bridge, December 2028 – 11:46 pm

 

In questo momento sarei assolutamente incapace di affrontare una folla.

Le mie emozioni, legate a doppia mandata con i miei poteri, non lo permetterebbero. Probabilmente non sarei nemmeno in grado di stare vicino ad una singola persona e l’unica che desidero realmente sono io.

Ho bisogno di me.

Sì, ho proprio bisogno di sentire cosa ho da dire, perché davvero ora sono confusa.

La cena non ha tradito le aspettative: è stata un disastro.

Come se davvero fosse possibile avere me e Liam nella stessa stanza, incrociare le dita e sperare che niente potesse andare storto. Fra noi la fortuna non può esistere. Vorrei soltanto che non fosse accaduto a casa Halliwell.

Era andato tutto troppo bene, arrivati praticamente indenni al dolce - se escludiamo il terzo grado fatto a Wyatt su ogni aspetto della sua vita - , ma come ogni cosa quando è troppo perfetta è necessario aspettarsi il cambio di direzione improvviso, la sterzata che ti fa uscire di strada. Così tra una domanda e l’altra rivolta ai vari membri della famiglia, alla fine mio padre è riuscito a trovare il pretesto per tormentarmi.

“È strano che hai richiamato a te un Angelo Bianco, nessun Conroy ne ha mai avuto bisogno.”

Povera Melinda, ora si sentirà così in colpa. Involontariamente è stata lei a scatenare tutto con il suo elogiare il nostro operato, parlando dei mille rischi che corriamo ed esprimendo il suo impellente desiderio di unirsi alla lotta contro il male, ma d'altronde non poteva assolutamente sapere. Mio padre maschera bene i suoi difetti tanto da sembrare una persona aperta e comprensiva, piuttosto che intransigente e testardo. Un po’ come me, anche se io in confronto sono molto più malleabile.

Per lui il parere altrui è come pioggia su di uno specchio. Scivola via aspettando che arrivi il sole.

Un’ingenuità detta a raffica esprimendo tutto quello che aveva represso per un’ora.

Già, non poteva sapere che poi mio padre mi avrebbe portata fuori per redarguirmi su ogni punto da lei enunciato rovinando la serata a me e ai nostri ospiti. Mel era stata troppo silenziosa per tutta la sera, era praticamente matematico che esplodesse ad un tratto.

Lei è fatta così.

Una macchina in corsa che non si ferma mai, una sognatrice, una romantica. La copia di sua zia Phoebe quando era una ragazza, come ripete spesso Piper.

Non può sapere l’incastro del nostro rapporto complesso e spinoso. Forse i problemi sono iniziati quando ho imparato a parlare perché, che io ricordi, persino da bambina finivo per discutere su tutto. Almeno allora potevo godere delle sue attenzioni come padre visto che ogni tanto giocava con me e mi chiamava “la sua principessina”. Crescendo invece è come se fosse caduto un muro di ghiaccio fra di noi.

Per quanto mi sforzi e provi ad essere all’altezza delle sue aspettative, non sono mai “abbastanza”.

Eileen, non sei abbastanza concentrata. Non sei abbastanza preparata. Non sei abbastanza…

Alcune volte credo che io sia scappata esattamente da questo “abbastanza” che risuona fra le sue labbra continuamente quando si tratta di me, neanche fosse tarato sul mio nome. Invece pagherei oro pur di sentirlo per una volta soddisfatto di ciò che ho costruito. Quando lo vedo, il mio unico pensiero è il suo abbastanza ripetuto su ogni cosa che faccio.
"Non dovevo lasciarti venire a San Francisco, sapevo che era un errore ..."

Perché non riesce a capire? Sono convinta ancora che quello che sono, il mio essere una strega, non possa essere limitato alla difesa personale.
No, ci deve essere un motivo per cui io ho ricevuto un tale dono.
Sento ancora le sue parole su di me, così forti che sono costretta a chiudere gli occhi stringendo le palpebre fino a farmi male.

“Secoli di anonimato gettati al vento dalla tua caccia ai demoni. Cosa credi di fare? Non sei un super eroe, sei solo egoista e viziata. Tuo nonno si vergognerebbe di te!”

Avrei voluto sprofondare, inghiottita dal pavimento nell’esatto momento in cui aveva osato mettere in mezzo il nonno.

So che è stato solo un momento di rabbia, un modo per convincermi a rinunciare a quella che lui reputa una follia, eppure non mi sono mai sentita terribilmente ferita da un suo aspro rimprovero.

Il nonno. Mi ha colpita nel mio punto più debole tirandolo in ballo. Un pugno dato con tutta la potenza all’altezza dello stomaco, tanto da lasciarmi senza alcuna replica da poter proferire, senza fiato. Il solo pensare il viso di mio nonno amareggiato per il mio comportamento, mi uccide. No, in tutta la mia vita l’unica cosa che non mi sarei mai perdonata era quella di spegnere il suo meraviglioso sorriso.

Se ha usato questa carta devo averlo deluso tantissimo. Ho come l'impressione di essermi svuotata di tutte quelle complicate impalcature che ero riuscita a costruirmi lontano da lui. Volevo solo che fosse fiero, combatto per la mia libertà di vivere non dovrebbe essere così sbagliato. O forse sì?

Forse ha ragione. Non sono poi così matura come credo di essere. Ho sempre pensato di non essere semplicemente una custode, uno scrigno in grado di preservare un bene tanto pericoloso. Io volevo soltanto rendermi utile aiutando Wyatt e Chris.
Mi è difficile pensare che ho davvero messo in pericolo l'intero mondo venendo qui, inseguendo quelli che erano i miei sogni, ho praticamente messo da parte ciò ce mi era sempre stato insegnato.
Preservare me stessa per impedire che vengano in possesso dei miei poteri.

Quanto vorrei non essere così confusa, avere le idee chiare su tutto. Invece eccomi qui sospesa su di uno dei tralicci del Golden Gate Bridge a chiedermi qual è il meccanismo per cui non riesco mai a fare una cosa giusta.

È una notte fantastica. È quasi un peccato sprecarla con troppe elucubrazioni. Davanti ai miei occhi appaiono le luci frastagliate dei palazzi, mille riflessi che si specchiano tra le leggere onde increspate dall’umido vento che spira sui miei vestiti inadatti alla mia improvvisa decisione di scappare.

Avevo bisogno di farlo, respirare un po’ d’aria giusto per schiarirmi le idee.

Non c’è nessun posto migliore di questo per pensare.

Sono qui immersa nella più completa solitudine ed ascolto solo il brusio della macchine che passano inconsapevoli sotto i miei piedi, in compagnia del il mormorio dell’oceano che sembra suggerirmi quanto sollievo può esserci in questo momento in cui sono io e solo io, la mia testa da ascoltare.

In realtà non sarò sola ancora a lungo.

Il vento si alza passando le sue dita fredde fra i miei capelli.

Lo avverto come se fosse già qui. Mi ha trovata, ma sapevo che non avrebbe tardato a farlo.

Uno sciabordio leggero che si unisce al coro dell’oceano, un tintinnio come di campanelli suonati insieme, un etereo alone azzurro composto da luce appare alle mie spalle. Sono attimi, istanti, in cui mi volto e nei quali posso vedere la sua figura formarsi.

È venuto a prendermi, ma spero che mi lasci ancora qualche secondo per riordinare il caos che regna sovrano nella mia testa.

«Ciao Chris!»

Strano, non risponde.

È fermo con le braccia legate al petto, non pronunciando alcuna parola.

Mi scruta solo da sotto i suoi occhi che, con questa esigua luce, hanno assunto una tonalità simile al prato in cui mi ha salvata al nostro primo incontro. Un splendente verde accecante. È terribile quando mi guarda così, come se mi dicesse tutto rimanendo in silenzio.

Ed io non so come controbattere al silenzio.

«Mi avete trovata presto, allora è vero che i miei incantesimi sono piuttosto approssimativi!» provo a sdrammatizzare, magari ora risponderà alla mia provocazione. Niente.

Ha solo indurito il suo sguardo.

Dio, odio quando fa così!

«Avanti, su, dillo! Usare la magia in questo modo è profitto personale! Lo so, lo so! Ma per una volta me ne sono riccamente infischiata del profitto personale e ho preso la mia porzione di solitudine per far tacere la mia testa, che solitudine poi non è visto che per trovarmi ti ci è voluta, quanto? Mezz’ora?»

Mi spazientisce e al sospiro si sostituisce uno sbuffo.

Gesticolo, sbraito e cammino, tutto contemporaneamente, cercando di enfatizzare ogni mia singola parola.

«Due ore e mezza.»

La sua voce mi blocca.

Sono sorpresa. È passato tutto questo tempo ed io non me ne sono accorta? Per niente?

Forse avrò capito male.

«Due cosa?»

«Due ore e mezza che ti stiamo cercando … carino il trucchetto del cristallo impazzito. Ma ricordi? Io sono il tuo Angelo Bianco e il tuo “approssimativo incantesimo” … » sottolinea le mie parole rubate disegnando delle astratte virgolette in aria con le sue dita, credo di averlo fatto arrabbiare davvero « … funziona fino ad un certo punto! Lee, si può sapere cosa ti ha detto il cervello?»

«Avevo bisogno di allontanarmi …»

«Ti è per caso passato per la testa di avvisarci del tuo impellente bisogno di quiete? Oppure te ne sei altamente fregata?» Ok, forse ho esagerato. Correre oltre l’angolo della strada, sparendo e coprendo magicamente le mie tracce per non farmi trovare non deve essere stata proprio la mossa azzeccata.

Ma cosa ne può sapere lui in fondo?

La sua famiglia è meravigliosa, con un numero indefinito di parenti ed amici che si vogliono un bene dell’anima.

No. Chris non ha decisamente idea cosa vuol dire avere un padre come il mio.

Leo non fa altro che dispensare saggi consigli e insegnare ogni cosa che sa, aiutandoli nelle loro difficoltà. Liam si limita a sottolineare la mia inettitudine e a dirmi costantemente “te l’avevo detto”.

«È … che tu non hai idea cosa vuol dire  … mio padre è così …»

«Credi che sia facile essere il fratello di Wyatt?»

Le parole non hanno più la forza di uscire. Il concetto è chiaro.

Ha centrato il punto.

In effetti non avevo mai considerato il punto di vista di Chris, vedendo sempre Wyatt più come una sicurezza che per altro.

Lui è Wyatt, il primogenito delle mitiche streghe, l’erede di Excalibur.

Una leggenda.

Un ombra pesante sotto cui sostare, senza la possibilità di emergere, completamente relegato ad un ruolo marginale. Persino io, che adoro Chris come mio migliore amico, ho finito per innamorarmi di suo fratello ricacciandolo in un certo senso in secondo piano.

Ora capisco. 

«Posso essere un ottimo stregone, un buon Angelo Bianco, ma qualsiasi cosa io faccia sarò sempre il “fratellino di Wyatt”.  È frustrante, credimi! Come vedi tutti abbiamo i nostri problemi di famiglia, non per questo scappiamo come stai facendo tu …»

Sospiro. Abbasso gli occhi colpevole.

Ho sbagliato, notevolmente sbagliato.

Il mio errore più grave è proprio quello di non essere mai riuscita ad affrontare mio padre senza rinchiudermi nel silenzio, oppure scappando come una bestia impaurita. La realtà è che sono un’inguaribile vigliacca, non  ho mai trovato ragioni valide per controbattere e sono finita ad amplificare il concetto di nullità che per Liam, a quanto pare, indosso come un abito su misura.

Chris, ha ragione, tutti abbiamo i nostri problemi in famiglia che sia un padre eccessivamente apprensivo o il fantasma di un fratello troppo ingombrante.

«Lee …» i suoi toni si sono ammorbiditi, mi prende le spalle dolcemente come se avesse paura di avermi offesa con le sue parole. «Sai di essere all’altezza di tutto questo. Ne sei consapevole fin dalla nascita, altrimenti non saresti andata contro la tua famiglia pur di difendere delle vite innocenti. Credimi, anche se ti riprendo costantemente, sei brava in ciò che fai. Un po’ confusionaria e disorganizzata magari, ma non saresti tu altrimenti …»

«A mio padre non resta che accettare le mie decisioni, giusto? È difficile, ho paura che non capisca realmente cosa mi spinge a buttarmi nella mischia. Io gli voglio bene, non desidero ferirlo …» Sono rare le volte in cui Chris non è il solito Chris - ovvero agitato, sarcastico e teso -, ma sono questi i momenti in cui vedo in lui Leo con i suoi assennati consigli e le sue parole di conforto, quando sui suoi splendenti occhi verdi non c’è ombra di inquietudine e tutto sembra illuminato da una luce abbagliante. 

Persino i miei dubbi.

«Tuo padre ha solo paura per te. Probabilmente sì, lo ferirai, ma è giusto per entrambi che tu sia libera di scegliere quali errori compiere. Non può più decidere per te, sei adulta ormai ed è ora che ti lasci andare.»

Devo affrontarlo fine dei giochi, spiegargli il perché non voglia rimanere nell'ombra, non voglio nemmeno lasciare che la mia vita mi superi mentre io l'osservo passiva compiere i suoi passi senza poterla mai raggiungere.

Io sono questo ormai, non posso più cambiare. Devo fare del bene, esponendomi se necessario, che lui sia d’accordo oppure no.

Gli angoli della mia bocca si tirano in un sorriso involontario, leggermente amareggiato per la conclusione a cui sono giunta.

«Wow, allora non sei un completo disastro come Angelo Bianco!»

«Dovrei prenderlo come un complimento?»

«Ci devo pensare …»

Incrociamo gli sguardi in un istante di silenzio, quello che precede la nostra risata leggera come il vento che fa muovere i nostri capelli. Dal momento che ho raggiunto questo posto è la prima volta che mi sento realmente libera dai miei affanni, pronta magari per parlare con il mio burbero papà sicuramente infuriato oltre ogni modo. Una bella sferzata di energia. Ci voleva proprio una chiacchierata a tu per tu con il mio confidente di fiducia.

Abbiamo ancora il volto contratto dalle risate che scemano del brusio delle auto che passano sulla strada, quando Chris si allontana con un passo e mi porge la sua mano.

«Sei pronta?»

La guardo, l’osservo con la sensazione di aver vissuto mille vite in quel gesto. Come se tutto questo fosse la ripetizione di altro già stato, una sovrapposizione.

Un “Déjà vu”.

«Grazie, Chris!»

Alzo gli occhi sui suoi. Lui inclina la testa in avanti leggermente come se mi stesse domandando cosa mi blocca ancora, cosa mi stia fermando dal tornare a casa. Ma c’è qualcosa dentro di me, qualcosa che non so spiegare e che preme per uscire.

Poche semplici parole che non esprimono realmente quello che sto provando in questo momento.

«Non preoccuparti, è il mio lavoro.»

«No, non per questo. È per tutto il resto. Credo che se non fosse stato per te, probabilmente non ci sarebbe stato nulla.» 

Sorride sghembo.

Mi fissa come se fossi rinvenuta dopo aver ricevuto un colpo alla nuca. Per quanto ci sia un forte affetto che ci lega non siamo tipi da smancerie, nemmeno in questi momenti di confidenze. Penso che i nostri reciproci “grazie” si possano contare sulla punta delle dita.

Ma io questa volta non so davvero come interpretarmi, perché sento oltre ogni cosa di doverglielo dire.

Come se ora, qui, isolati dal mondo, avessi capito che tutto ciò che ho lo possiedo grazie a lui.

Mia madre, mio padre, Wyatt.

Tutto costruito mattone su mattone grazie al bell’Angelo Bianco che ho davanti.

Forse sono del tutto impazzita, lo comprendo dal suo sguardo dubbioso e smarrito, dal suo prendere la mia mano delicatamente come se la mia testa ormai fosse completamente fusa e lui mi dovesse accompagnare gentilmente alla mia stanza del manicomio. Magari è quello che mi serve.

«Dai, torniamo a casa …»

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Capitolo 19
*** Part 2x9 ***


Foster & Conroy’s Appartament, December 2028

 

Mia madre non è mai stata una persona che giudica, piuttosto tende sempre a dare una giustificazione al comportamento di una persona. Quando sono entrata in casa dove mi attendeva insieme a Liam mi ha soltanto abbracciato molto stretta, accarezzato la nuca e sussurrato “Ti vuole davvero bene …”. Nel bacio con cui mi ha sfiorato le tempie non c’era alcun rimprovero o rabbia.

Voleva solo farmi sentire compresa. Mi ha guardata e mi ha delicatamente indirizzata verso la porta finestra che dà sul giardino, dove una minacciosa sagoma mi aspettava da ore ormai.

Sono davvero diversi i miei genitori e, sinceramente, non capisco nemmeno per quale strana alchimia siano finiti insieme giusto il tempo di mettermi al mondo. Quando si dice gli opposti si attraggono.

Sì, ma loro non sono gli opposti bensì le antitesi.

Con lei non ho mai avuto angosce, nemmeno preoccupazione.

Se le volessi parlare non avrei alcun problema, anzi talvolta sono io a dovermi prendere degli spazi e a delineare limiti oltre i quali non dovremmo avventurarci. Alcune volte tende ad interpretare troppo il ruolo dell’amica piuttosto che quello di madre. Adoro questo suo spirito e la sua empatia.

Con lui invece ogni cosa è ribaltata.

È difficile aprirsi o anche semplicemente parlare.

C’è sempre qualcosa che non gli va a genio o che lo pone in un atteggiamento ostile, tanto che spesso ho finito per rinunciare prima ancora di riuscire ad espormi, oppure rimanevo in bilico in un limbo d’indecisione fra il provare o meno. Esattamente come sto facendo adesso.

È tutto più semplice nella teoria. Ti fai coraggio e prendi le tue decisioni. Poi però quando sei ad un passo dal compierle, uno strano moto di paura inizia a percorrere lentamente ogni parte di te, finendo per paralizzare anche il più piccolo muscolo.

Così mi sento ora, mentre lascio scorrere l’anta di vetro prima di richiuderla alle mie spalle.

Sospiro. Avverto l’aria sospendersi, così come la tensione che si sta tirando fra i nostri due corpi.

È come un schiaffo dato a piena mano, due estranei che non riescono a prendersi con la differenza che c’è un forte legame di sangue fra di noi. Devo provarci, almeno questa volta devo farlo.

Ma più cerco di infondermi la giusta forza con cui impormi, più il mio essere adulta scema nella sensazione che io non sia cresciuta perché qui, davanti a lui, che ancora non mi guarda con il suo cipiglio severo e i suoi occhi scuri riservandomi solo le spalle in un distanza virtuale fra di noi, mi sento una ragazzina ancora.

Sono adulta, giusto?

Sono diventata una giovane donna e ho bisogno che lui mi appoggi, che condivida con me il mio desiderio di affermazione, che non lo combatta strenuamente.

Che non mi combatta.

Coraggio …

«Liam?»

«Possiamo parlare ora, Eileen.» è strano, il suo tono non sembra arrabbiato o pronto per il secondo round. È più arrendevole in un certo senso, come se sulla lingua gli si stesse sciogliendo qualcosa di amaro. Giuro che non me l’aspettavo, questa volta aveva ragione da vendere se mi avesse fatto una lavato di capo che non finiva mai, ed invece niente. Sta solo riflettendo con me.

«Non ho mai voluto farti soffrire, Liam.»

«Lo so, Eileen …» Si volta e non solo né la giacca né la cravatta lo vestono distintamente come sempre, ma noto con stupore che i primi bottoni della camicia sono slacciati. Davvero questo è troppo. Che fine ha fatto il Liam ordinato e metodico? «Ho solo paura per te, la magia è un terreno accidentato, un rischio continuo. Chiede solo in cambio, senza mai donarti nulla e alla fine ci rimetti tutto, persino la famiglia …»

Vedo i suoi occhi protrarsi alle mie spalle, oltre la finestra, all’interno dell’appartamento.

Seguo il suo sguardo fin dove mia madre si è comodamente adagiata sul divano con, tra le mani, uno dei suoi amati libri. Lo sfoglia distrattamente, mentre io connetto il vero senso delle parole di mio padre. Questo suo modo iperprotettivo, il suo chiudere ogni cosa a riccio, era solo un modo asfissiante per proteggermi, ma non dai demoni, bensì dalle delusione che questa vita legata alla magia può dare.

«Devi credere in me.»

«Ho sempre creduto in te, Lee. Ma ho anche il terrore di perderti a causa di quello che siamo. A causa mia che ti ho costretta a crescere fra i demoni che ti braccavano, gnomi e fate. Questa non è vita …»

Lo blocco, prima che possa continuare. Spero solo che le parole non mi si arrestino a metà strada, che non risentano dell’emozione che si aggroviglia all’altezza della mia gola, occludendola quasi totalmente.

È la prima volta che mio padre mi sta ascoltando. È la prima volta che noi due riusciamo a parlare e, lo ammetto, vorrei che non finisse mai. Sapere che lui è disposto ad un dialogo, che io ho una voce, ebbene è un piacere infinito.

Vuol dire che non sono poi così sbagliata per lui.

«Però noi siamo questo, non possiamo scappare dalla nostra natura. Io preferisco affrontarli i demoni, non essere loro succube.»

Sbuffa, sorride sollevando gli occhi al cielo da cui piccoli bagliori si distinguono sotto una coltre di nubi. Ci sono poche stelle questa notte, pochissimi lampi di luce che disegnano il velo di velluto che si separa dall’orizzonte.

E la sua espressione è strana, come se stesse ricordando qualcosa.

Una parola, un gesto, qualcosa che apparentemente può sembrare insignificante, ma che comunque viene incamerato nella memoria per poi riaffiorare in un secondo momento.

Non ho resistito.

Mi sono fiondata nella sua testa senza nemmeno accorgemene e lui, pacatamente mi ha lasciato fare.

Sono dentro di lui e vedo una cosa che non mi aspettavo.

Il viso di mio nonno, tranquillo come il suo solito mentre mi raccontava le leggende della nostra famiglia, delle quali solo più tardi avrei scoperto quanto fossero reali e non semplici favole. L’Eochair l’unico libro da cui traeva l’ispirazione.

«Me lo ricordi tanto, tesoro …»

«Ti manca?»

Non risponde, annuisce solo con un cenno della testa come se gli pesasse far uscire dalle sue labbra quel sì che esita con aria tremante, mentre una lacrima inumidisce gli occhi senza cadere indiscretamente come specchio delle sue emozioni. Sinceramente, non riuscivo ad immaginare mio padre struggersi per la morte del nonno, forse perché fra di loro c’era un rapporto complesso.

Complesso, già.

Esattamente come il nostro. Che stupida che sono stata, pensare di essere l’unica a tenerci davvero. È sciocco, infantile credere di avere l’esclusiva su alcuni sentimenti. Il nonno era prima di tutto suo padre, come Liam è mio padre.

Ho sempre sbagliato con lui, pensando che il suo atteggiamento fosse il risultato di un carattere impossibile.

Mi accorgo solo ora di avere anch’io le mie colpe. Mio Dio, come ho fatto ad essere così cieca?

È una tremenda verità. Il nonno non voleva che lo chiamassi per nome ed era l’unica cosa su cui non transigeva. Quando mi scappava finiva sempre che chiedevo scusa al nonno, non posso nemmeno pensare a come si potesse sentire Liam in una situazione simile. Siamo sempre stati così freddi noi due che alla fine ci siamo allontanati del tutto, tanto dall’usare il suo nome piuttosto che chiamarlo papà.

«Oh, papà!»

Il mio corpo si muove indipendente, di slancio lega le braccia attorno al suo collo lasciandomi quasi appesa.

Come quando ero una bambina.

«Non mi chiamavi papà da quando tuo nonno ci ha lasciato … È bello sentirselo dire qualche volta …»

L’avevo completamente dimenticato. Avrò avuto forse sette anni, ricordo vagamente che doveva essere il periodo in cui nonno Aidan mi portò a vedere la mia prima partita di baseball. I demoni mi avevano rapita, ma io non avevo paura.

Sapevo che sarebbe arrivato.

Che mi avrebbe liberata.

Come sempre.

Ero così felice di vederlo che ho finito per buttarmi addosso a lui esattamente come ho fatto ora. E le sue braccia forti mi avevano stretta al suo petto, il suo respiro caldo era affondato nei capelli, le sue labbra avevano incontrato morbidamente la mia fronte.

Come ora.

Per quanto io mi professi adulta ed indipendente c’è una battaglia che non posso vincere.

Sarò sempre la sua bambina.

«Dimenticavo di dirti che mi piace quel Wyatt ...»

Ecco, lo sapevo. Era troppo bello per essere vero!

Neanche il tempo di sotterrare l’ascia di guerra che subito arrivava l’inopportuna sua confessione di quanto gli piaccia il mio ragazzo. Lo sapevo io, ora non posso esimermi dal confessargli io qualcosa. Certo è che avrà tutto il tempo per metabolizzare la notizia, però vorrei sapere da dove ha ripreso questo tempismo fuori luogo.

Che io ricordi non è una caratteristica di famiglia.

«Cosa c’è Lee?»

I miei muscoli hanno subìto un arresto repentino. Si sono irrigiditi evidentemente ed anche lui se ne accorge, staccandomi con i suoi grandi occhi scuri pronti a studiarmi come una cavia in laboratorio.

Questa volta sono veramente morta.

«Ehm … papà, credo di doverti dire un paio di cose … però è meglio se ti siedi …»

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Capitolo 20
*** Part 2x10 ***


 Note dell'autrice: Salviiiino! Questo è l'ultimo capitolo, ultimo ultimo (ATTENZIONE: tra ieri e oggi ho pubblicato 4 capitoli Part 2x7 - 2x8 - 2x9 - 2x10 dovete leggerli tutti ^^). Due capitoli fa Lee si sente come in dovere di ringraziare Chris, non si sa per qual motivo. In realtà è come se sentisse che è stato lui a costruire quel mondo ed in effetti è così perchè il Chris del futuro malvagio di Wyatt è tornato indietro per salvare il futuro che stanno vivendo adesso. Un po' ingarbugliato ma è il mio tributo alla stagione che io ho preferito: sarà perchè amo scoprire cosa avviene dopo, sbirciare le conseguenze, sarà per l'avvenenza di Drew Fuller (che Dio l'abbia in Gloria!^^) , sarà per la tenerezza che mi infonde Chris e la paura che tutto possa diventare peggio di così ma a me la sesta è proprio piaciuta tanto. 

Spero che questo vi sia arrivato attraverso le mie parole.

Colgo l'opportunità per ringraziare Ary88 per le sue recensioni.

Con questo vi saluto, rinnovando la mia disponibilità per ogni domanda e augurandovi una buona lettura.

Bacioni stregati tuttio per voi lettori silenziosi, a quelli che seguono e a quelli che spero mi preferiranno o mi ricorderanno ...^^

Ancora un bacione ...

Mally

PS: Pubblico oggi stesso un piccolo schema esplicativo di tutti gli avvenimenti narrati e con su anche la storia dei Conroy, per rendere le idee ancor più chiare (una sorta di pg di Wikipedia).

 

Halliwell & Conroy House, March 2037

 

E così, anche ora, mi ritrovo circondata da ogni sorta di vernice, pennello, tavoletta per pittori.

Tutto è iniziato quando una notte rimasi intrappolata in un sogno strano.

No, ancora prima.

Quando io e Wyatt ci siamo sposati.

Una cerimonia molto intima, semplice come sono io. Amici e parenti tutti ospitati in casa Halliwell, come era stato per Piper e Leo ed Henry e Paige. Non volevo di più se non il mio migliore amico - rubandolo letteralmente a mio marito - come testimone e pochi invitati.

Anche se devo ammettere che solo i parenti di Wyatt riempivano abbastanza posti.

Sorrido al solo pensiero di quel giorno.

Ero così emozionata che ho rischiato di inciampare per le scale. Se non fosse stato per il saldo braccio di mio padre probabilmente sarei arrivata da Wyatt con il sedere a terra. Non proprio una sposa perfetta.

Povero papà. La sera che gli ho annunciato di avere in progetto di sposarmi penso che ha represso ogni sorta d’impulso omicida pur di assecondarmi. Certo non voleva rovinare il nostro rapporto appena riconciliato. Stranamente invece, parecchi respiri profondi dopo, mi ha detto che se lo aspettava, un po’ meno la decisione di rinunciare al mio cognome che ha decretato una nuova e sconvolgente litigata.

Poi io ho pianto, lui mi ha abbracciata e alla fine ha ingoiato uno degl’ultimi rospi da parte mia.

È sempre stato evidente che l’antica profezia, la quale prevedeva la fine dei Conroy con i figli del mio bisnonno, fosse riferita a me.

Comunque non tutta la mia eredità è andata perduta, cosa che ho scoperto a mie spese.

Non c’era in programma nulla di simile, nemmeno la minima parvenza di quello che poi ho scoperto finendo intrappolata nel sogno di un bambino.

Ma non un bambino comune.

Il mio bambino.

Il piccolo Aidan.

Se uscire da un sogno di un bambino è difficile, da quello di un feto è praticamente impossibile soprattutto se è speciale come me e Wyatt messi insieme. Ovviamente io della mia esperienza ho solo un ricordo confuso, la sensazione di essere chiusa in un bolla incredibilmente confortevole e calda. Wyatt invece conserva il ricordo di ogni singolo momento della mattina in cui non riuscivo a svegliarmi, impallidendo ancora oggi se il pensiero capita tra quelle ore cariche di tensione.

Io da un lato, invece, ho avuto l’occasione di rivedere mio nonno il che mi fa ancora nascere un sorriso.

Se non fosse stato per lui sarei rimasta ancora nel limbo in cui mio figlio aveva deciso di tenermi. È riuscito a guidare Wyatt nelle nostre menti, aiutandolo a proiettarsi in me e di riflesso nel piccolo. Quando mi sono alzata ero intorpidita, stanca nonostante avessi dormito per quasi ventiquattro ore di fila, ma assolutamente felice. In fondo è un bel modo per scoprire di essere incinta.

Con Pat invece è stato molto più facile e, soprattutto, normale.

Nausee mattutine, affaticamento, giramenti di testa, insomma il repertorio completo dei sintomi della gravidanza.

E se Aidan non era aspettato, Patience era praticamente l’ultimo mio pensiero a solo un anno dalla nascita del nostro primogenito. Alla fine ce la siamo cavata anche con lei, fra babysitter familiari e scuola di magia, ora è una splendida bambina di cinque anni dai capelli biondi e gli occhi scuri. Ha i poteri del padre e della nonna, rendendola la più coccolata e viziata streghetta di casa Halliwell.

Ma d'altronde il trio non era rievocato in questo modo, quindi ora, nonostante il grande pancione che limita i miei movimenti, sono nella futura cameretta del mio terzo figlio a dare i tocchi finali ad uno dei miei murales. È un ottimo modo per passare il tempo visto che oltre a non poter andare al lavoro – alla fine sono diventata un’insegnante d’arte del liceo proprio come mi auspicavo – non posso dare la caccia ai demoni, nemmeno uno piccolo, piccolo. Tanto, alla fine, sono loro che cercano me, quindi mi tengo sempre allenata comunque. Nessuno può capire realmente cosa significa avere una tempesta ormonale, l’umore su di giri e non poter far esplodere niente. Se non fosse per la mia creatività penso che impazzirei.

«Non dovresti stancarti tanto nelle tue condizioni …»

Sono talmente concentrata nel definire i dettagli del ramo in primo piano, che non mi sono assolutamente accorta della presenza di Wyatt sul limitare della porta.

Lo guardo confusa con ancora la tavoletta ed il pennello sospesi in aria. Lui sorride, abbassa gli occhi, appoggiato disinvolto sullo stipite, come se fra di noi le parole scorressero silenziosamente senza la reale necessità di dover esprimere foneticamente ciò che abbiamo da dire.

«Non eri alla scuola di magia?»

Si alza, avvicinandosi dolcemente.

Allunga le braccia da dietro la mia schiena, cingendo delicatamente me ed il nostro bambino. Io non posso fare a meno d’inclinare la testa contro il suo petto cercando il calore che mi provoca il suo contatto.

«Avevo un’ora di buco …»

Siamo qui, nel più completo silenzio con solo il debole rollio delle auto che passeggere scorrono sulla strada adiacente alla nostra casa ed osserviamo attentamente il mio operato.

Per ogni cameretta un murales.

Una piccola regola che mi sono imposta da ormai sette, meravigliosi, lunghissimi anni. Mi piace che ci sia qualcosa di fatato anche qui nel mondo reale, voglio che i miei figli guardino al mondo magico con il giusto rispetto, ma anche con la familiarità che evocano ogni qual volta rivolgono lo sguardo alle mura di casa.

Nonno Aidan raccontava le leggende della mia famiglia, io regalo loro questo.

Uno scorcio sempre diverso del bosco incantato.

Ad occhio umano potrebbe sembrare solo pura fantasia, ma per noi significa tutto.

È quello che siamo, quello che saremo sempre.

Noi siamo la magia.

«Ti piace?»

«Avevi dubbi?»

Mi volto per incontrare ancora il suo sguardo, di cui è impossibile stancarsi.

Sento le sue dita scivolare leggere lungo il braccio nudo come se non aspettasse altro. Vedo riflesso nei suoi occhi come nei miei quanto ci lega da tempo e tutto mi sembra così irreale, tanto da dover ringraziare ogni giorno qualsiasi forza del bene o del male che ha incrociato le mie strade con lui e con Chris.

Ho soltanto guadagnato in questo scambio, con una fortuna davvero sfacciata.

Adesso ho quello che ho sempre desiderato: una famiglia numerosa.

Rumorosa, chiassosa e che discute sempre, ma con una costante che accomuna ogni suo membro.

Una certezza che nonostante alti e bassi è la base di ogni rapporto.

L’amore.

Quello fra genitori che si amano.

Quello fra parenti e amici.

Quello fra fratelli e sorelle.

Questa la nostra forza, questa la nostra arma, questo il nostro Potere del Trio.

 

 

The End

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Capitolo 21
*** Explanations ***


Figli Halliwell e Conroy

 

HALLIWELL


PIPER Halliwell + LEONARDO "Leo" Wyatt
Wyatt Matthew 2003 - 23
Christopher/Chris Perry 22 2004 - 22
Prudence Melinda 2007 - 19


PHOEBE Halliwell + COOP "Cupid"
Prudence Johanna/PJ 2007-19
Patricia /Patty Josephine 2009 - 17
Penelope/Penny Janice 2013 - 13


PAIGE Matthews + HENRY Mitchell
Henry Jr/HJ 2009-17
Tamora e Kat 2007 - 19


(Per i figli di Paige, la terza figlia di Piper e la prima figlia di Phoebe i nomi sono ripresi dai fumetti, mentre le ultime due figlie di Phoebe i nomi li ho ricavati dall'albero genealogico delle Halliwell)




CONROY

SHAUN e NEAL Conroy (primi di cui si hanno notizie certe)

EVAN (figlio di Shaun) Conroy +MAEVE Brave
Nolan - 1927

NOLAN Conroy + WYNNE Marshall
Aidan - 1950

AIDAN Conroy + CHARLOTTE Ryan
Liam 1971 - 55 (età nel 2026)

LIAM Conroy +ALICE Foster
Eileen/Lee Wynne 2005 - 21 (età nel 2026)



2037

WYATT Halliwell (34) + EILEEN Conroy (32)
Aidan Victor 2030 - 7
Patience/Pat Leah 2032 - 5
Liam Christopher 2037 - 0

CHRIS Halliwell (33) + BIANCA ?
Prudence 2032 - 5
Matthew 2036 - 1

Avranno un terzo figlio di cui non abbiamo il nome.

 

 

 

 


STORIA DEI CONROY

I Conroy sono una famiglia di origine irlandese che si tramanda poteri magici da innumerevoli generazioni.
Molto devota alle proprie radici (i loro figli portano per lo più nomi irlandesi con un significato spesso poetico), rispettano in maniera ossessiva la propria morale per via dei poteri decisamente pericolosi che possiedono nel loro codice genetico. Inoltre spesso risultano una famiglia molto chiusa ed elitaria, anche nei confronti della comunità magica con cui hanno rari contatti.
Fino al 1920 i Conroy non si mossero dal loro paese d'origine (Arklow nella contea di Wicklow) in quanto protetto da sempre da forze benefiche magiche e dalla fortuna (guidata dai leprecauni  che in qualche modo sentono molto in contatto). A seguito di una faida fra i Conroy ed un'altra potente ricca famiglia irlandese (O'Briann che una volta scoperte le potenzialità del loro piccolo nucleo familiare li volevano al loro servizio), Nolan (BISNONNO) decise di espatriare in America sbarcando a New York assieme alla sua giovane moglie, Maeve da cui ebbe un figlio  più tardi.
Nolan non temeva per la sua vita quando si rifiutò di prestare servizio agl'O'Briann, ma temeva fortemente le ritorsioni che avevano il potere di creare prima che un suo futuro figlio potesse diventare un uomo. Infatti un'indovina a cui si era rivolto predisse di come il nome dei Conroy sarebbe morto con la prossima discendenza.
In realtà la profezia si avvererà comunque. Liam non ha avuto altri figli oltre Eileen che accetterà da sposata il cognome di suo marito. I suoi poteri non andranno dispersi, si uniranno a quelli del Trio attraverso il matrimonio con il primogenito di Piper Halliwell.

POTERI

Escludendo la TELEPATIA CLASSICA (lettura e comunicazione con il pensiero, simile a quella di Christy ma più forte e controllata. Alcuni Conroy - tra cui anche Eileen - è riuscito a sviluppare un tale livello di potere che in determinate condizioni possono applicare la repressione vitale attraverso la telepatia spegnendo una mente in maniera definitiva, obligando le persone ad uno stato catatonico) in dote a tutti i Conroy, con cui sono in grado di rigirare i poteri di un nemico, possiedono un potere supplementare più forte in grado di controllare la mente in modi differenti (molti dei quali si sviluppano con la personalità dello stregone che lo possiede).
Sono quasi dei custodi di tali poteri in quanto potendo modificare la natura di una persona, potrebbero rivelarsi pericolosi nelle mani sbagliate. Per questo pare che l'uso dei loro poteri si limita alla difesa.
Finora i poteri supplementari che conosciamo più da vicino dei Conroy sono l'ALTERAZIONE DELLA MEMORIA (Aidan) o la MANIPOLAZIONE DEL PENSIERO (Liam) (vi sono accenni sul linguaggio, l'astrazione, l'attenzione. I Conroy nel corso dei secoli sono arrivati a coprire ogni campo dello scibile umano).
Uno dei più forti è invece il CONTROLLO DEI SOGNI e DELLA PERSONALITA'.

CONTROLLO DEI SOGNI E DELLA PERSONALITA'

Il controllo dei sogni non è un potere vero e proprio, non può semplicemente essere considerata una proiezione astrale  nel piano onirico in quanto, chi possiede questo potere può cambiare ogni cosa del sogno in sé e quindi plasmarlo a suo piacimento concependo nel profondo la sua struttura fino a renderla particamente un mondo parallelo in  cui si perde completamente la coscenza di sè (come ad esempio gli Angeli Bianchi, il Mago dei Sogni o le Incarnazioni che riescono a controllare solo parzialmente un sogno chi in maniera più radicale chi meno).
Data la sua natura divina e quindi che può portare facilmente alla corruzione, i viaggiatori dei sogni sono infatti rarissime concessioni magiche che si hanno in famiglie dai poteri psichici sviluppati (come i Conroy), che possono sostenere il peso di un'eredità così importante senza avere gravi conseguenze. Oltre ad essere un buon modo di comunicare, il controllo dei sogni ha un aspetto complesso ed articolato che trae origine all'epoca delle divinità greche.
Gli Oneiroi erano le divinità che regolavano i sogni.Morfeo, Fobetore, Fantaso figli di Ipno, ovvero il dio del sonno, erano rispettivamente le tre impersonificazioni del sogno, dell'incubo e degl'oggetti rappresentati.Quando gli Anziani, dopo la corruzione degli uomini divenuti divinità, rinchiusero i loro poteri, lasciarono tracce di alcuni di questi in pochissimi esseri eletti e particolarmente predisposti nel corso dei secoli.
Un viaggiatore è sempre cosciente di sé e del suo corpo, può assistere un sogno oppure cambiarne la struttura: può decidere se essere presente palesandosi, oppure può rimanere in disparte semplicemente ad osservare. E' una forma molto più radicata di controllo della mente in quanto agisce nel subconscio, quindi se un viaggiatore senza scrupoli e con la giusta esperienza volesse far cambiare totalmente la persona potrebbe tranquillamente farlo (andando contro ogni principio etico della magia) e sarebbe difficile farla tornare indietro, se non impossibile.
Può diventare persino un arma o condurre all'autodistruzione riuvelandosi a doppio taglio, chiudendo la coscienza della persona in un limbo difficile da disincastrare.

Risulta essere un potere molto ambito tra le schiere demoniache. Oltre a navigare in un mondo totalmente privo d'inibizioni e quindi dalle schermature naturali che un essere umano s'impone in veglia, il Viaggiatore Onirico, come viene definito ne Na Eochair (La Chiave - il libro della famiglia Conroy dove sono racchiusi i segreti di ogni potere della famiglia ed i loro nemici)  può cambiare il decorso del sogno sin da tenera età.
Oltre ad Eileen nei Conroy ci sono stati solo altri due Viaggiatori Onirici: i due fratelli Neal e Shaun (Shaun padre di Nolan bisnonno di Eileen- Neal purtroppo rimase vittima del suo potere perso in un sogno prima che potesse garantire la discendenza). In effetti, i tre rappresentano delle eccezioni per la famiglia quasi esclusivamente composta da figli unici e di sesso maschile.


VITA DI EILEEN


FUTURO NEGATIVO.

 
Liam, il padre di Eileen, viene informato da un Leprecauno che il figlio delle prescelte è stato rapito proprio quando la sua compagna scopre di essere incinta. Con la paura che ciò potrebbe accadere anche alla sua progenie inizia a maturare un sano terrore nei confronti del futuro e medita un modo per non far diventare suo figlio preda dei demoni che vogliono da sempre i poteri dei Conroy. Nasce con gran sorpresa Eileen, femmina, la prima dopo secoli di discendenza maschile, che inizia a manifestare poteri già in tenerissima età. Quando poi a quattro anni entra nella mente della madre in sogno, Aidan capisce che è una Viaggiatrice Onirica accrescendo così le sue paure latenti (alimentate dalla profezia per cui il nome dei Conroy sarebbe morto con la discendenza diretta di Nolan).
Il padre di Eileen è intenzionato a bloccare i poteri di Eileen e soprattutto vuole tornare in Irlanda dove può contare sulla benedizione del posto, ma Alice, ferma credente della libera scelta, decide di nascondere sua figlia a San Francisco per impedire ad Aidan di fare qualsiasi cosa. Lui la lascia fare, probabilmente perché pensa che restando con una mortale la figlia possa avere una speranza di salvezza senza rinunciare alla sua edredità.
Eileen non conosce il padre e la madre non sa spiegarle le voci che sente e le sue capacità, tanto che crescendo crede di essere pazza rinchiudendosi in sé stessa. Ogni cosa che sa, la conosce imparandola da sola, fin quando non incontra fortuitamente Wyatt in sogno. Alla morte della madre di lei a causa di un demone inizieranno un'intensa e travagliata storia d'amore, che degenererà fino al punto da condurla a scappare dalla crudeltà del suo compagno aiutata da Chris ed una strega fenice, ovvero Bianca. Quando viene catturata, Wyatt però riscopre il suo lato positivo e quella piccola parte che è ancora capace di amare rendendosi conto che molto di quello che ha fatto è sbagliato. Proprio la notte che decide di redimersi grazie ad un sogno dove si spiega cosa lo ha trasformato nell'essere spietato che è ora, una demone Kyla, rapisce Eileen sperando di ottenere una fetta della torta più cospicua attraverso il suo ricatto. Nel tentativo di salvarla Wyatt rimane ferito a morte. Prima di chiudere gli occhi confessa ad Eileen di amarla ancora e si rammarica con lei per tutto quello che ha dovuto patire a causa sua (questo accade mentre nel passato muore Chris).

FUTURO POSITIVO.

In questo futuro suo padre non vuole riportarla in Irlanda. Rimangono a New York, dove conosce anche i suoi nonni, per cui nutrirà un grande affetto. Alla separazione dei genitori, avvenuta sia pure in modo consensuale, vive con il padre per imparare a gestire al meglio i suoi poteri fino ai propri 18 anni quando si diploma al Liceo. Infatti, dopo la morte del nonno, Eileen s'iscrive al San Francisco Art Institute, trasferendosi con sua madre, donna liberale e molto più giovane di suo padre, in città(Liam Conroy in effetti non è d'accordo che si trasferisca così lontano, ma viene convinto da Charlie la nonna di Eileen).
Riesce a scampare ad ogni attacco di demoni, grazie agl'insegnamenti del padre e alla sua capacità di gestione della Telepatia. Un giorno però rischia seriamente di non farcela ferendosi superficialmente e richiamando involontariamente a sé un Angelo Bianco (Chris, a cui da quel giorno viene assegnata come protetta) che mette in fuga i demoni.
Dopo che viene a conoscenza di come è stata neutralizzata con uno strano strumento, la porta in casa sua per identificarlo (si scoprirà che è il flauto di Marsia della mitologia greca). Prima che la ragazza possa fermarlo lui orbita lasciandola con Wyatt a sorvergliarla. Il ragazzo le chiede dove si siano già incontrati, visto che ha un volto familiare, ma lei non ricorda assolutamente di averlo conosciuto (in realtà Wyatt ha visto a due anni in un sogno l'Eileen del futuro alternativo).
I due prendono confidenza e dal loro primo incontro dopo tre anni di lotte contro demoni decidono di sposarsi.
All'inizio Liam (sia per gelosia paterna che per preoccupazione sul futuro della sua famiglia) non è d'accordo con il matrimonio, con il pretesto della rinuncia del cognome discuterà furiosamente con la figlia durante la cena organizzata da Piper per conoscerlo. Dopo il confronto Eileen decide di parlare a suo padre e lo convince a darle la sua benedizione.Il matrimonio fra i due si svolge in casa Halliwell e viene celebrato da nonna Penny - come Piper e Leo-, con tutta la famiglia riunita, compresa nonna Charlie, nonna materna di Eileen trasferita in Florida.  Dalla loro unione nasceranno tre figli, due maschietti ed una femminuccia: Aidan, Patience, e Liam.
A differenza del futuro in cui Wyatt è cattivo, in questo Eileen ha un carattere estroverso, dolce e molto più tenace, rimanendo fedele per lo più alla sua necessità di libertà. Sa governare molto meglio i suoi poteri, in quanto addestrata dal padre e ha ottimi rapporti con tutta la famiglia Halliwell molto differente dalla sua.
Wyatt è protettivo con lei ed anche molto possessivo, tanto che i primi tempi non accetta di buon grado il rapporto d'amicizia strettissimo che s'instaura fra lei e suo fratello, motivo per cui Melinda ed i suoi cugini lo prenderanno in giro più di una volta.

CURIOSITA' SUI NOMI

I figli di Wyatt e Lee hanno un doppio nome per rispettare le tradizioni delle rispettive famiglie (Patience per continuare la P, Liam e Aidan per i nomi irlandesi della famiglia Conroy.)

Il nome Conroy significa uomo saggio. In origine era preceduto dal suffisso Mac (probabilmente era il nome del primo antenato e con il suffisso s'indicava "figlio di"), ma con il tempo si è perso diventando semplicemente Conroy.

Il nome Eileen significa raggio di sole ed il suo secondo nome Wynne (nome della bisnonna) significa luce.

Il significato di Liam è guardiano, Aidan invece piccolo orgoglioso. La scelta di Patience per la primogenita è stata come un augurio per la piccola. Il suo secondo nome è Leah irlandese che significa raggio di sole esattamente come quello della madre.

I secondi nomi di Aidan e Liam appartengono alla famiglia di Wyatt (Victor in onore del nonno e Christoper per il fratello).

Il Libro delle Ombre dei Conroy viene chiamato "Eochair of McConroy" (La Chiave dei McConroy abbreviato in Eochair). Un tempo i Grimori delle streghe potevano anche essere chiamati Clavicula (dal latino chiave, il più famoso è La Clavicula Salomonis nda). Come termine era più adatto perchè più che racchiudere pozioni e incantesimi (sono presenti ma non come in un grimorio vero e proprio) sono una vera e propria chiave di lettura dei poteri della famiglia. Inoltre vi sono annotati tutti i demoni e i nemici che hanno affrontato .

CURIOSITA' GENERALI



RESTAN: è un simbolo protettivo e di sostegno. Le punte che indicano verso l'esterno rappresentano l'equilibrio che si sta creando con il mondo esterno. Solitamente la parte interna del simbolo era lasciata vuota per far si che ciascuno vi potesse inserire il proprio talismano personale. Protegge dalle negatività esterne.
Questo simbolo è inciso sul Libro delle Ombre di Eileen.

Aidan sarà l'unico a possedere i poteri dei Conroy ovvero la telepatia ed il controllo dei sogni. Manifesterà i suoi poteri già dalla gestazione, quando incastra la madre in un sogno.Non sapendo che il proprietario del sogno (il sogno di un feto è surreale, ininterrotto e impossibile da interpretare con rarissime porte che si aprono solo alla mente più vicina) Eileen trova difficoltà e rischia seriamente di non uscirne. Wyatt evoca così il nonno di Eileen che lo aiuta a penetrare nelle loro menti e a salvare entrambi, ed è così che Eileen scopre di aspettare il suo primo figlio.

Chris sarà testimone di nozze di Eileen mentre Henry Jr di Wyatt.

Chris in questo futuro incontrerà Bianca in un altro modo: lei non verrà per ucciderlo ma per aiutarlo durante l'attacco di una Fenice ingaggiata per rubare i poteri di Lee. Infatti dopo che Lynn, la madre di Bianca, incontra la figlia nel futuro decide di non crescerla come un assassina anche se la sua natura non potrà mai essere sopita. Anche per loro ci sarà un lieto fine. Da lei avrà tre figli tra cui Matthew e Prudence.

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