Imperator

di Colonnello
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1 Dunque, l'idea di questa storia è semplice (insomma, mica tanto poi a svilupparla): l'Impero Romano non si è mai estinto e ha anzi continuato la propria espansione nel corso dei secoli, fino a ricomprendere quasi tutto il Nuovo Continente (dov'è ambientata in effetti la storia) e una grossa fetta dell'Asia fino al confine con l'Impero Cinese. Di conseguenza, il mondo che ho immaginato e che cercherò di sviluppare da qui ai prossimi capitoli è molto diverso da quello che oggi conosciamo, per due importanti ordini di ragioni. Innanzitutto è un mondo dominato da una cultura e da una mentalità diverse dalla nostra: i romani avevano una mentalità estremamente concreta, dove tutto ciò che non aveva un impiego pratico non valeva la pena di essere preso in considerazione; inoltre, nel mio mondo (Ecco, la mia prima storia e già mi atteggio a Dio!) esiste ancora la schiavitù, la guerra è una realtà pienamente accettata e, come scoprirete nei prossimi capitoli, anche la posizione della donna è notevolmente ridimensionata rispetto alla nostra. In secondo luogo, dal momento che la mia storia è ambientata in un mondo dove la lingua madre è il latino e non l'inglese, ho dovuto fare i salti mortali per cambiare alcuni termini che proprio non potevano adattarsi al contesto, quindi scordatevi parole come computer, beh... quello è facile, basta sostituirlo con "computatore", bunker, shock (che orrore! trovato scritto in una traduzione di un romanzo storico di Simon Scarrow!), ecc. Inoltre, per le medesime esigenze di credibilità storica ho dovuto cambiare anche i nomi di alcuni luoghi, cercando al contempo di renderli riconoscibili. Insomma, ho proprio avuto una bella idea complicata per la mia prima storia, quindi vi prego, siate clementi. Ma al tempo stesso fatemi sapere che ne pensate, se c'è qualcosa che non va o che andrebbe corretto, per farmi domande... sono aperta alle critiche, belle e brutte! Buona Lettura!

***********
PROLOGO

Il vento soffiava gelido sull’altopiano innevato. Nonostante fosse una giornata serena e il sole splendesse alto nel cielo, faceva molto freddo. Sdraiati sulla neve in formazione serrata, con le armi imbracciate, gli otto legionari facevano del loro meglio per stringersi l’un l’altro e scaldarsi a vicenda, e per impedire alle nuvolette di condensa di uscire dalle loro bocche ad ogni respiro. Il nemico era tanto vicino che sarebbe bastato che qualcuno notasse il loro respiro per farli scoprire. Cinque di loro stavano distesi a pancia in giù con gli sclopetum rivolti verso la valle, mentre gli altri tre stavano distesi sulla schiena o semiseduti con le armi rivolte verso la cima della parete rocciosa alle loro spalle, per assicurarsi che nessuno li attaccasse alle spalle.
-Saranno almeno una decina in tutto, non di più- disse Scipione.
Accanto a lui, Publio Ottavio Aureliano, abbassò il binoculo con il quale aveva fino a quel momento scrutato il piccolo accampamento nemico in fondo alla valle, nei pressi di un laghetto gelato.
-C’è anche un nionico, lo vedi?- chiese porgendolo a Scipione.
Lucio Giulio Scipione diede un’occhiata e annuì, restituendoglielo. C’era ben poco da tenere d’occhio, per la verità. L’accampamento nemico era assai concentrato. Un paio di tende e qualche mezzo di trasporto. Se quella era davvero l’ultima roccaforte nemica, allora quella guerra preannunciava di concludersi bene per i romani. Non una delle nostre più gloriose vittorie, pensò Scipione mentre la sua mente si allontanava dalla guerra ancora in corso per concentrarsi sull’immagine della moglie che lo aspettava a casa, incinta di già otto mesi e mezzo. Si chiedeva se sarebbe riuscito a tornare a casa in tempo per il parto. Pregò gli dei che Ksun Ja, il comandante degli ausiliari egizi, fosse riuscito ad arrivare a Roma sano e salvo e a consegnarle la lettera che le aveva scritto frettolosamente per informarla che era vivo e che stava bene. L’ultima cosa di cui Ottavia aveva bisogno nelle sue condizioni era di preoccuparsi per lui.
Scosse la testa, scacciando dalla sua mente quei pensieri e tornando a concentrarsi sul presente.
-Riesci a sentire quello che dicono?- gli stava chiedendo Publio Ottavio.
Una buona metà dei nemici che avevano localizzato nell’accampamento stava tutta davanti ad una delle tende. Stavano discutendo animatamente, indicando qua e là.
Scipione tirò fuori un captatore di suoni e, dopo averlo acceso, puntò il microfono verso l’accampamento e si premette contro le orecchie i due ricettori. Riuscì a sentirli parlare, ma le parole gli giungevano confuse e incomprensibili.
-Non parlano latino- disse- E sono troppo distanti.
Publio Ottavio si guardò intorno con circospezione, scrutando le cime delle alture una per una.
-C’è qualcosa che non mi convince- mormorò.
-Che vuoi dire?- chiese Scipione.
-Arrivare qui è stato fin troppo facile. E quell’accampamento è completamente allo scoperto.
Sollevò di nuovo il binoculo e scrutò i confini dell’accampamento.
-Solo sei uomini di guardia… non mi convince… devono essercene degli altri.
Scipione spense il captatore di suoni e si tolse i ricettori.
-Vuoi tornare indietro?- chiese con una nota di dubbio nella voce.
Publio Ottavio scosse la testa e posò il binoculo, tornando ad imbracciare l’arma.
-È troppo tardi- rispose deciso- Non avremo un’altra occasione come questa. Dobbiamo attaccarli adesso!
In quell’istante, come se avesse appena dato l’ordine di attaccare a qualcun'altro, dalla cima della parete rocciosa alle loro spalle sbucarono degli uomini armati che iniziarono a sparare contro di loro. I tre legionari addetti alla copertura furono colti completamente di sorpresa e ci misero qualche attimo di troppo a reagire. Publio Ottavio, Scipione e gli altri che erano distesi accanto a loro si voltarono e scattarono in piedi il più velocemente possibile per rispondere all’attacco. Nell’accampamento alle loro spalle giunsero gli echi del combattimento e gli occupanti corsero anch’essi alle armi. Pochi attimi dopo, su di loro piovvero delle pirobule. Publio Ottavio vide che i cannoni portatili erano posizionati in cima all’altura, da dove erano stati attaccati, e ci mise un attimo a capire che erano stati attirati in una trappola e circondati. Ordinò ai suoi di concentrare il fuoco dei loro sclopetum contro i nemici più vicini, ma già ne vide cadere tre, colpiti ripetutamente senza che avessero la possibilità di reagire. Si voltò alla sua destra, in tempo per vedere Scipione correre lateralmente nel tentativo di defilarsi. Un proiettile lo colpì al petto e Publio Ottavio vide lo schizzo di sangue, l’amico cadere pesantemente sulla neve e questa tingersi di rosso.
-Scipione!- gridò, correndogli incontro per aiutarlo.
Scipione si voltò verso di lui e sollevò una mano come per dirgli di non muoversi. Ma lui non gli diede retta. Sua sorella non glielo avrebbe mai perdonato se avesse lasciato che accadesse qualcosa a suo marito. L’aveva quasi raggiunto, quando sentì distintamente il fischio del proiettile che trapassava la sua corazza e si piantava nella carne, vicino al collo. Stramazzò a terra e si accorse con stupore di non sentire dolore. In effetti, non sentiva assolutamente nulla… a parte il sangue che cominciava ad invadergli la gola e la bocca. Maledetta la Parca!, pensò agonizzante, mentre il suo corpo perdeva rapidamente sensibilità.
Qualcosa si mosse accanto a lui, e un attimo dopo il volto contratto di Scipione comparve sopra il suo. Sentì la mano del cognato premere contro la sua gola, cercare freneticamente di arrestare l’emorragia. Si accorse solo in quel momento che la tunica di Scipione era macchiata di sangue in corrispondenza della spalla. Una ferita superficiale. Non si era fatto nulla. Buffo…, fu tutto quello che riuscì a pesare. Pensare che ero corso in suo aiuto.
-Va tutto bene, Aureliano- gli disse Scipione respirando affannosamente- Tieni duro! Un nostro mezzo aerio ci ha visti e ha respinto il nemico. Adesso scendono a portarci via.
Publio Ottavio tossì e il sangue gli uscì a fiotti dalla bocca. Non riusciva quasi a respirare. Aveva la vista annebbiata e sentiva che le forze gli stavano venendo meno. Scosse lentamente la testa.
-Quanti… sopravvissuti…?- riuscì a chiedere, con la voce gorgogliante sangue.
Il volto di Scipione si contrasse in una smorfia e la sua bocca non proferì risposta. Publio Ottavio non ebbe bisogno di altre spiegazioni e capì che non gli restava molto tempo.
-Pre… nditi cura… di mio figlio- balbettò a fatica- Ha… ha solo quattordici anni… è solo…
Scipione distolse lo sguardo e l’espressione sul suo volto s’incrinò, la vista gli si annebbiò per le lacrime. Lottò per ricacciarle indietro, poi si voltò di nuovo verso l’amico morente.
-Lo farò, te lo giuro- rispose.
Publio Ottavio sollevò una mano tremante e la infilò nella tunica. Intorno al suo collo, insieme al titulus, era appeso un sottile cilindro di metallo della grandezza del suo dito mignolo. Lo  infilò nella mano di Scipione.
-È il mio tabulario personale- disse- Occupatene tu… finché Publio… non sarà… in grado…
Scipione annuì, stringendosi al petto l’oggetto che gli era stato consegnato.
-Farò anche questo- rispose- Tu, però, cerca di resistere più che puoi, Aureliano! Puoi ancora salvarti!
Publio Ottavio sorrise e scosse la testa.
-Non… non sento più… nulla…
Si guardò intorno per quel che poté e sul suo volto si dipinse un’espressione piena di rammarico. Proprio qui dovevo venire a morire!, pensò. Freddo, ostile e lontano miglia e miglia dalla mia casa…
Inspirò profondamente. L’odore della neve gli giunse appena, così come la sua consistenza fra le dita della sua mano. La fine si stava avvicinando. Si voltò di nuovo verso Scipione. Lo vide a stento, le sue labbra si muovevano, si rivolgevano a lui, ma la sua voce non arrivò alle sue orecchie. Sollevò una mano verso di lui, sforzandosi di tenerla sollevata e aperta. Scipione capì e gliela strinse, mentre una singola lacrima scivolava sulla sua guancia sporca. Publio Ottavio sorrise e lasciò andare ogni resistenza al torpore che man mano s’impadroniva del suo corpo. Le immagini davanti ai suoi occhi sfocarono rapidamente, finché non fu tutto buio, e allora non sentì più nulla.

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Capitolo 2
*** I ***


2 Piccola premessa. Non sono molto soddisfatta di questo capitolo, in particolare del modo in cui viene spiegata la situazione politica e sociale nella provincia romana. Ho la sensazione che qualcosa non fili liscio nella narrazione... ma avevo la stessa sensazione anche per il prologo (era pronto da quasi due anni ormai!). Siccome, però, non posso concentrarmi solo su un capitolo e scriverlo e riscriverlo all'infinito, con il rischio di rovinarlo definitivamente, l'ho pubblicato e buonanotte! Buonanotte sul serio perchè l'orologio segna le due del mattino!

***********

A svegliarlo fu l’aroma del kave caldo che stava riempiendo lentamente il piccolo dormitorio riservato ai tribuni. Avvolto dalla testa ai piedi nelle pesanti coperte riscaldate elettricamente, ci mise un po’ a ricordare dov’era e cosa ci faceva lì. Era facile dimenticarlo dentro quel bozzolo di calore. A svegliarlo definitivamente e bruscamente fu la voce di uno dei commilitoni.
-Forza, Scipione, sveglia!- al richiamo seguì un calcio da sotto la branda- Il nostro turno inizia fra meno di un’ora!
Scostò le coperte quanto bastava a tirare fuori la testa e si guardò intorno. Gli altri erano già svegli e nella stanzetta poco illuminata fervevano i preparativi per un’altra faticosa giornata. Giunio Attico e Furio Olennio si stavano vestendo dopo una veloce e approssimativa sciacquata di acqua fredda sul viso, mentre Sesto Licinio Balbo teneva d’occhio il bollitore dove lentamente filtrava il kave, nero e forte, carburante ideale per una giornata che per loro iniziava in piena notte. Non che lì fosse possibile distinguere fra giorno e notte; come in tutti i locali scavati nel cemento, il dormitorio non aveva finestre e l’aria passava solo attraverso il bocchettone posto sul tetto; le uniche aperture verso l’esterno, e per di più rivolte verso il territorio nemico, erano le feritoie delle casematte, degli osservatori e delle torrette dell’artiglieria poste in cima al vallo; per il resto, era come vivere in una tomba e i veterani, a causa della prolungata assenza di esposizione al sole, avevano tutti assunto un colorito cadaverico che bastava da solo a rendere l’idea di quanto quel servizio fosse faticoso e opprimente.
Dopo aver lottato contro gli ultimi residui di sonno, Publio Giulio Scipione gettò indietro le coperte e saltò giù dalla branda. Nella latrina adiacente alla camerata, si sciacquò anche lui il viso con l’acqua fredda e lanciò una fugace occhiata al suo riflesso nello specchietto appeso alla parete con un chiodo. Lui non aveva ancora assunto il colorito pallido dei veterani, ma la barba trasandata e gli occhi leggermente infossati per le lunghe ore di veglia nell’osservatorio denunciavano la sua stanchezza. Si trovava lì da meno di un mese e doveva ancora abituarsi alla vita di guarnigione di confine. Se non altro, però, l’aspetto trasandato gli conferiva un aspetto maturo e mascherava i suoi diciannove anni da poco compiuti. A parte Giunio Attico, che aveva già ventiquattro anni, gli altri tribuni del dormitorio avevano tutti più o meno la stessa età; li mandavano lì dopo un paio d’anni di addestramento, per fare esperienza al comando del legato di una legione o di un presidio di confine; il servizio di sorveglianza dei confini dell’Impero di Roma era considerato tranquillo e allo stesso tempo sufficientemente impegnativo da far apprendere ai giovani rampolli di nobile o ricca famiglia romana i rudimenti dell’arte militare; pochi erano i giovani che proseguivano la carriera militare per più di cinque anni; la maggior parte vedevano il servizio nelle legioni come una pratica fastidiosa, ma sfortunatamente necessaria per lanciare la loro carriera politica. Era così per Sesto, figlio di un famoso retore e avvocato romano, del quale attendeva di seguire le orme; e anche per Giunio Attico, erede di uno dei più grossi cantieri aerionavali dell’Impero. Lui, Publio, invece, trovava assai soddisfacente la vita militare e non aveva fatto fatica ad abituarsi ai rigori e alle fatiche che questa comportava. Non avrebbe potuto essere altrimenti; lui, come suo padre, le legioni le aveva nel sangue.
Tornò nel dormitorio. Attico e Furio erano già usciti per prendere servizio, e Sesto gli porse una tazza di kave che lui sorseggiò mentre si affrettava a vestirsi. La tunica bianca da tribuno stonava un po’ sulle brache e il corsetto di cuoio rosso sangue, ma non importava, perché sopra l’uniforme era obbligatorio indossare l’armatura integrale, rossa pure lei, anche se si era di servizio all’interno delle fortificazioni.
-Dove sei di servizio oggi?- chiese Sesto quando uscirono anche loro dal dormitorio.
-Alla pesante- rispose Publio sbuffando- Proprio sotto i piedi di Rufo… speriamo bene!
Sesto era invece di servizio per tutto il giorno al deposito munizioni e non ne era affatto entusiasta. Laggiù, sotto le fondamenta del vallo fortificato, avrebbe trascorso un’ora dopo l’altra senz’altro stimolo che quello di contare e ricontare i contenitori delle munizioni e osservare gli ausiliari metterli in ordine secondo il capriccio del centurione. In realtà, però, qualunque servizio lì al confine era noioso.
Sesto s’infilò nel primo elevatore libero per scendere di sotto, mentre Publio proseguì lungo i camminamenti scavati nel cemento, verso il caposaldo dov’era stato assegnato per quel giorno. “La pensante”, come la chiamavano i legionari, era un caposaldo la cui postazione principale era costituita da una grossa mitragliatrice che sporgeva dalla feritoia e puntava verso la terra di nessuno, oltre il confine; l’osservatorio si trovava nello stesso locale dei serventi il pezzo, ma gestiva anche le operazioni delle postazioni minori poste ai lati della pesante. Sopra, sotto e ai lati, gli altri presidi della XXVIII Legione “Puviana”.
La legione era stata assegnata già quattro anni prima nella provincia di Alasia, nell’estremo settentrionale della Nova Terra. Da sei mesi era in servizio presso il confine alasiano, in particolare nella piana di Nuvuco, a sua volta la regione più settentrionale della provincia. I legionari della XXVIII Legione si sarebbero ben volentieri vantati di trovarsi in cima al mondo, se non fosse stato che la piana di Nuvuco non era che una distesa desolata e inospitale di neve e gelo e che più della metà della legione era letteralmente seppellita viva all’interno della maestosa opera di fortificazione nota come Vallo di Alasia. Il Vallo era stato costruito circa sedici anni prima, poco dopo che i romani erano riusciti a respingere l’ultima orda di mercenari e banditi nionici provenienti dall’Asia e intenzionati a sconfinare e saccheggiare la provincia romana. Nonostante l’esistenza di un trattato di non belligeranza fra Roma e Impero di Nion, il Tenno e i suoi samurai non erano troppo interessati a mantenere un forte controllo sui loro possedimenti nell’Asia settentrionale; privi di un vero e proprio governo, i ronin erano liberi di spadroneggiare come volevano e, quando l’inverno gelava lo stretto che separava l’Asia dalla Nova Terra, ne approfittavano per attraversarlo e assalire gli insediamenti indigeni e romani in Alasia. Per questo motivo, oltre alla costruzione del Vallo, i romani avevano lasciato libere poche miglia di territorio fra lo stretto e il Vallo e che da allora costituivano terra di nessuno, pressoché disabitata con l’eccezione di pochi indigeni ostinati a non voler abbandonare i loro vecchi insediamenti.
Nonostante i turni di guardia lunghi e spossanti, Publio si era impegnato fin dal suo arrivo per svolgere al meglio i compiti che gli erano stati assegnati. Aveva accolto con insolito entusiasmo il trasferimento dalla Mauretania, dove aveva fatto l’addestramento, all’Alasia. La remota provincia romana, in effetti, aveva un significato importante per lui e per la sua famiglia. Lì oltre il Vallo, nell’attuale terra di nessuno, diciannove anni prima suo padre aveva combattuto contro i ronin ed era rimasto ferito, e il fratello di sua madre, del quale aveva avuto il praenomen, vi aveva trovato la morte. Da giovane romano di nobile e antica famiglia, Publio considerava quindi un dovere portare avanti l’onorevole tradizione che legava la sua famiglia a quella terra lontana e dai più considerata ostile e inospitale. E, come sempre, anche quel giorno si sforzò di reprimere la stanchezza e la noia incombenti, ripromettendosi di svolgere il proprio dovere con diligenza e disciplina.

Il centurione Nasica tirò un silenzioso sospiro di sollievo quando il tribuno del turno di notte ricevette finalmente il cambio. Il tribuno Tiburtino aveva appena vent’anni, ma si atteggiava ad uomo adulto e, cosa ben peggiore, a soldato esperto e maturo. Come la maggior parte dei nobili era pieno di boria e di superbia, trattava i legionari con disprezzo, alla stregua dei suoi schiavi, e non mostrava alcun rispetto per l’anzianità e l’esperienza del centurione, che pure passava giorno e notte al caposaldo, mangiando e dormendo, quando poteva ovviamente, davanti alla feritoia che dava al di là dei confini di Roma.
Il tribuno del turno di giorno, invece, era tutta un’altra cosa, anche se aveva anche lui diciotto anni e non aveva alcuna esperienza di combattimento; non si dava arie e trattava con rispetto sia lui che i legionari, mostrando di tenere in considerazione l’esperienza dei veterani. Inoltre, era sveglio e intelligente, svolgeva i propri doveri diligentemente, senza risparmiarsi. Una volta acquisita maggiore esperienza, sarebbe potuto diventare un buon comandante… e se la situazione in Alasia avesse continuato come negli ultimi mesi, Nasica temeva che tutti i giovani della legione sarebbero presto diventati dei veterani.
Sbuffò mentre distoglieva lo sguardo dalla feritoia per salutare il tribuno che entrava. Che servizio inutile!, pensò. Intere legioni stanziate lungo un confine morto come questo e sottoposte a turni di sorveglianza massacranti, quando alle nostre spalle rischiamo la guerra civile!
-Ave, tribuno Scipione!- salutò, battendosi il pugno destro sul petto.
Publio lo raggiunse con un sorriso e gli batté una mano sulla spalla.
-Nasica…- lo salutò a sua volta, prima di dare un’occhiata fuori- Passata una notte tranquilla?
-Come sempre, tribuno.
Publio si limitò ad annuire, anche se sapeva che quel borioso pallone gonfiato di Tiburtino l’aveva probabilmente tenuto in piedi tutta la notte e aveva seguitato ad accusare lui e i legionari di turno di non essere abbastanza solerti e disciplinati nel loro lavoro. Ed era anche sicuro che mentre quei poveracci si spaccavano la schiena, chi alla manutenzione della mitragliatrice, chi alle feritoie, chi ai computatori di sorveglianza, lui aveva dormito della grossa dopo essersi impossessato della cuccetta riservata al centurione in un angolo della stanza.
-Va pure, Nasica- disse al centurione- Fatti una dormita.
Il centurione annuì, non osando comunque mostrare troppo apertamente la sua gratitudine. Salutò militarmente, poi raggiunse la branda e tirò la tenda, scomparendo dietro di essa.
Rimasto solo al comando dell’avamposto, Publio cominciò innanzitutto con il controllo delle varie postazioni che componevano l’osservatorio; le tre feritoie da osservazione, quella centrale adibita al controllo di tiro della mitragliatrice, erano tutte occupate dalle sentinelle; osservavano il paesaggio piatto e monotono con allacciati sugli occhi i binoculi elettronici, capaci di estendere il loro campo visivo fino a venti miglia dalla loro posizione. Ma la sorveglianza riguardava anche e soprattutto le immediate vicinanze del Vallo, e visto che dalle feritoie non ci si poteva sporgere per guardare ai piedi della muraglia corazzata, tutti gli osservatori erano muniti di computatori collegati ad una fitta rete di videocamere poste alla base delle fortificazioni; qualora le sentinelle addette avessero individuato qualcosa, avrebbero dato l’allarme e una centuria sarebbe stata fatta uscire nei pressi del settore minacciato; oppure, all’occorrenza, avrebbero fatto saltare le pirobule terrestri accuratamente nascoste sotto il terreno lungo tutto il confine. Le ultime due postazioni dell’osservatorio erano quella del legionario addetto alle trasmissioni e quella del comandante dell’osservatorio e di tutte le postazioni da questo dipendente; di giorno, salvo nuovi ordini da parte del praefectus castrensis, il comandante era lui, Publio.
Dopo essersi assicurato che tutto fosse in ordine, andò a sedersi al centro della stanza, da dove poteva comodamente controllare tutto. Come prima cosa controllò i rapporti arrivati durante la notte sul computatore. Man mano che leggeva aggrottava la fronte. Lungo il confine, tutto taceva, ma la situazione interna in Alasia stava cominciando a farsi sempre più preoccupante. Era già da qualche mese, da prima che Publio arrivasse lì dall’Africa, che si sentiva parlare di un certo malcontento in Alasia. I coloni chiedevano la cittadinanza romana persa dai loro antenati o da loro stessi al momento dell’emigrazione nella provincia relativamente nuova, o almeno il riconoscimento di alcuni dei diritti di cui godevano i cittadini romani e persino i funzionari governativi residenti in Alasia. Publio non sapeva bene cosa pensare di quella situazione. Era sì sostenitore del conferimento della cittadinanza romana agli abitanti delle città coloniali nelle province d’oltreoceano, dopotutto li si poteva considerare cittadini romani di fatto, ma i crescenti disordini e le accese manifestazioni di dissenso contro il Senato romano e il governatore della provincia non poteva in alcun modo giustificarli. Da cittadino romano qual’era, non poteva in coscienza mettere in discussione la legittimità del potere di Roma, né poteva schierarsi dalla parte di chi lo faceva. Esser cittadino romano, d’altro canto, era cosa seria e non si poteva pretendere la cittadinanza senza dare nulla in cambio a Roma, alla Repubblica. Lui stesso, pur avendo diritto alla cittadinanza per nascita, stava servendo la Patria nelle legioni e in cuor suo sentiva che solo quando avrebbe avuto sufficienti anni di servizio alle spalle si sarebbe sentito degno di definirsi cittadino romano.
-Tribuno! Vieni a guardare, presto!
Le sue riflessioni erano state interrotte dalla voce di uno dei legionari, seduto di fronte ad un computatore di sorveglianza. Publio lo raggiunse alla postazione e sul monitor dell’apparecchio vide un frammento di immagine fissa della base del Vallo, proprio sotto di loro; l’immagine mostrava una serie di buche scavate nella neve e nel terreno sottostante, proprio nei punti dove avrebbero dovuto esservi le mine. Publio sentì un tuffo al cuore, mentre le implicazioni di quella scoperta si facevano largo nella sua mente; qualcuno aveva rimosso le mine per aprire un varco! Un tentativo di violazione dei confini!
Allo sgomento, però, subentrò immediatamente una fredda lucidità.
-Chiama immediatamente il legato!- ordinò all’addetto alle trasmissioni.
Il legionario obbedì e poco dopo il legato della XXVIII Legione raggiungeva l’osservatorio. Tiberio Plauto Corinno era un uomo imponente, famoso per i modi spicci e rudi e per una certa aggressività nel carattere. Gestiva il comando di quel presidio con estrema fermezza e severità; nessuna mancanza veniva tollerata. Neanche lui, bisognava dirlo, si risparmiava, tanto che un paio d’anni prima, durante un attacco dei ronin, c’era chi giurava di averlo visto insieme agli ausiliari a caricare munizioni sui montacarichi per mandarle ai vari avamposti mentre questi sparavano all’impazzata. Doveva continuamente dare prova di essere un valido ufficiale e di non godere di favori da nessuno. Corinno aveva infatti sposato, qualche anno prima, Lavinia, la figlia più grande dell’attuale governatore dell’Alasia. Da allora erano cominciate a circolare voci circa il fatto che questo matrimonio gli avesse consentito di ottenere un comando stanziale e di tutto riposo, quale molti credevano fosse quello di comandante di presidio presso il Vallo di Alasia. In realtà, Corinno aveva gli occhi perennemente cerchiati a causa della prolungata mancanza di sonno e l’aspetto sempre trasandato. Anche quel giorno, non fece eccezione, presentandosi all’osservatorio dov’era stato chiamato d’urgenza con la barba di almeno tre giorni, i capelli arruffati e l’uniforme in disordine, con alcuni pezzi dell’armatura che pendevano. Quando Publio gli mostrò l’immagine che il legionario aveva fissato sul computatore, il suo aspetto e il suo umore si fecero visibilmente più cupi.
-Questa è proprio una brutta faccenda, Scipione!- mormorò- Quei mercenari stanno di nuovo tentando di sfondare il confine!
-Forse è solo un atto di sabotaggio isolato, legato- azzardò Publio- Devono aver rimosso le mine durante la notte, ma adesso non c’è nessuno nelle vicinanze.
-Probabilmente perché per il momento si limitano a saggiare il terreno- intervenne il centurione Nasica, che Publio aveva buttato giù dal letto non appena resosi conto dell’accaduto- Chissà, magari dopo aver tolto le mine, hanno effettuato dei rilevamenti lungo la barriera per tentare di aprire un varco.
-Sarebbe possibile?- chiese Publio dubbioso.
-È altamente improbabile, ma dai ronin puoi aspettarti di tutto- rispose Corinno- Sapevi che lo scorso anno hanno tentato la scalata al Vallo?
Sorrise dell’espressione esterrefatta del giovane tribuno, quindi raggiunse di corsa il telefono posto in un angolo e compose il codex del praetorium. Mentre attendeva risposta, si rivolse all’addetto alle trasmissioni.
-Trasmetti un messaggio alla coorte zappatori- ordinò- Che mi raggiungano qui sotto con mine e cercamine.
Il legionario annuì e si mise subito al lavoro. Corinno, invece, parlò con un tribuno anziano in servizio al praetorium, gli spiegò dettagliatamente la situazione e gli ordinò di trasmettere immediatamente la notizia di quanto accaduto ad Aleupoli, città formalmente riconosciuta come capitale della provincia e sede del governatorato. Riagganciò quindi il ricevitore e abbandonò l’osservatorio per andare incontro agli zappatori.
Riassunto nuovamente il comando, Publio ordinò ai legionari di riprendere il loro compito. Dopo quanto era successo, non era proprio il caso di abbassare la guardia; inoltre toccava a loro fornire copertura agli zappatori quando questi si fossero messi al lavoro là fuori.
Mentre girava fra le postazioni, Publio ripensò alla reazione del legato quando gli aveva riferito e mostrato la scomparsa delle mine; era sbiancato di colpo, neanche si fosse ritrovato di fronte a Cerbero alle porte del Tartaro. Gli sembrava strano che un soldato esperto come Corinno avesse una simile reazione di fronte ad un accadimento ormai consolidato; i ronin tentavano di varcare il confine praticamente ogni anno, e ogni anno, da quando c’era il Vallo, tornavano indietro come cani bastonati. Corinno aveva invece reagito come se il pericolo fosse reale, come se davvero ci fosse la possibilità di un’invasione. E aveva addirittura ordinato di allertare il governatore!
-Il legato avrebbe bisogno di riposare di più- commentò, non sapendo cos’altro pensare.
Nasica, che in quel momento stava appoggiato al muro vicino una delle feritoie, si voltò e scosse la testa. Il ragazzo era promettente, ma aveva ancora molto da imparare e c’erano molte cose che non sapeva del posto in cui era andato a capitare.
-Non è per la stanchezza che ha reagito in quel modo, tribuno- rispose- Quest’anno l’Alasia sta affrontando più di un problema oltre quello dei ronin.
-Per via della situazione interna?- chiese Publio- Sì, suppongo che se scoppiassero dei tumulti, il governatore sarebbe costretto a spostare parte delle legioni che sono qui nell’interno- concesse- Ma non credo sarebbe difficile per poche legioni mantenere un’adeguata sorveglianza del confine.
-È proprio qui il problema- Valerio Massimo, il comandante militare della provincia, è convinto che i più facinorosi fra gli esponenti del malcontento locale stiano formando una specie di alleanza con i ronin, per aiutarli a passare il confine.
Publio rimase a guardarlo stupito per un momento, mentre il centurione riempiva con calma la propria pipa e l’accendeva, tornando poi a guardare dalla feritoia, mentre piccole volute di fumo uscivano dalla stessa.
-Ma… che vantaggio ne potrebbe trarre la popolazione locale da un’invasione da parte di mercenari nionici?- chiese Publio finalmente.
-Nessuno, a parte quello di gettare l’Alasia nella totale anarchia- rispose Nasica- Ma quando si è disperati, ci si aggrappa a qualsiasi speranza. E i nostri coloni, qui, sono più disperati di quanto tu possa credere, giovane tribuno.
-Com’è possibile, centurione?- fece Publio ridendo- L’Alasia non è che un grosso giacimento di petrolio! Come può la gente che vive qui essere disperata con quanta ricchezza.
Il centurione fece una smorfia, ma non rispose. Non sapeva se gli conveniva rispondere, né cosa rispondere. Una volta aveva cercato di esporre ad un tribuno i disagi cui erano sottoposti i legionari di stanza al confine, e in cambio aveva ricevuto da questi parole sprezzanti e derisorie, oltre che l’accusa di non essere altro che un lavativo. Scipione, però, non sembrava quel genere di ufficiale, così, di fronte ad una richiesta di spiegazioni da parte del tribuno, decise di abbozzare una risposta quanto più possibile pacata.
-Tutti gli impianti di estrazione del petrolio appartengono a facoltosi cavalieri romani che non risiedono qui. Il petrolio viene imbarcato quasi tutto sull’Oceano e portato via. La popolazione locale vede ben poco della ricchezza che produce con tanto lavoro.
Publio non rispose. Anzi, si sentì avvampare di vergogna per la propria presunzione. Dell’Alasia, lui non aveva visto che il confine e da che era lì non aveva avuto la possibilità di entrare in contatto con le popolazioni locali. Il centurione Nasica era lì da quasi vent’anni, stava per ricevere il congedo, e non avrebbe avuto alcun motivo per raccontargli menzogne. Se gli abitanti dell’Alasia venivano derubati del prodotto del loro lavoro e delle loro fatiche, nessuna meraviglia che protestassero a gran voce e c’era piuttosto da stupirsi che si fossero limitati alle parole, almeno fino a quel momento. Ecco perché chiedono la cittadinanza, realizzò improvvisamente. Cercavano di ottenere uno status equiparabile a quello dei loro sfruttatori, per far sì che la loro parola e le loro proteste avessero un peso in Senato, dove di fatto il loro rappresentante non era che un soprammobile.
Improvvisamente, provò anche lui la sensazione di trovarsi di fronte alla porte del Tartaro.    

********

Uff! Finalmente ho finito!

Beh... non credevo che avrei dovuto farlo così presto, ma ecco i dovuti ringraziamenti!
Innanzitutto a Edge of Darkness, alias Eleonora, la quale mi ha dato un po' di consigli (sempre graditissimi) e il cui parere è assai significativo, visto che lei scrive da più tempo di me. E inoltre è stata la mia prima lettrice, quindi... a Cesare quel ch'è di Cesare, giusto che siamo in argomento...
Un sentito grazie anche ad Alice, con la quale ho avuto un'interessante conversazione in merito all'argomento non certo semplice della mia storia, che mi ha fatto posare gli occhi su alcune potenziali lacune di natura storico-sociale che cercherò di evitare, o almeno di colmare man mano che scrivo.
Insomma, due belle critiche prudentemente positive!
E poi un sentito grazie a mio fratello Alessandro, la mia collega di università Maria e chiunque abbia letto l'inizio della mia storia e magari pensa di continuare afarlo.
Grazie!

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Capitolo 3
*** II ***


3 A costo di apparire come una persona che se la tira, dirò che sono fiera di questo capitolo. Non mi capita spesso di essere soddisfatta di ciò che scrivo, ma questa è una di quelle volte. Scrivere questo frammento della storia mi è talmente piaciuto che nel farlo ho persino trascurato qualche ora di studio (che dovrò ahimè recuperare!). Quando le idee ti saltano in testa, d'altro canto, bisogna al più presto metterle le iscritto, prima di perdere l'input. Se poi il professore che spiega parla talmente veloce che è impossibile carpire una parola, la mente è più invogliata alle distrazioni e a flussi di pensieri che esulano dal diritto, dalle leggi e dal Codice Napoleonico.
Insomma, questa settimana ero proprio in vena di scrivere e spero che il risultato finale sia equivalente al mio entusiasmo!

**********

Gli zappatori avevano scoperto che lungo una fascia di circa mezzo miglio sulla parte esterna del confine erano state rimosse le mine poste a protezione delle fondamenta del Vallo di Alasia. Ma non fu questa la notizia più allarmante che Corinno ricevette quel giorno. Il centurione degli zappatori, infatti, lo informò che quella non era la prima chiamata che ricevevano e che anche le altre corti di zappatori erano state chiamate giorni prima a verificare la presenza delle mine e, in più di un'occasione, a riposizionarle per tappare le falle. Inoltre, al praetorium del generale Valerio Massimo correva voce che i ronin stavano pianificando un nuovo assalto, qualcosa di grosso simile a quello dell'anno prima, ma che stavolta non avrebbero tentato la scalata. Di cosa si trattasse nello specifico, però, nessuno era ancora riuscito a chiarirlo.

-Forse tenteranno di far saltare il muro- diceva quella sera Sesto nel dormitorio, mentre consumavano il rancio- Di creare delle brecce per passarci attraverso in massa, magari in più punti.

-Spiegherebbe l'apertura di corridoi fra le mine nel bel mezzo della notte- concordò Giunio Attico, il più anziano dei tribuni che occupavano quel dormitorio- Sicuramente hanno voluto effettuare dei rilevamenti sulla struttura del Vallo, altrimenti avrebbero coperto le buche. Invece le hanno lasciate scoperte, sapendo che le avremmo riempite di nuovo. Cos'ha fatto il legato dopo che gli zappatori se ne sono andati?- chiese, rivolgendosi a Publio.

Questi ingoiò il boccone che aveva in bocca e bevve un sorso prima di rispondere.

-Ha voluto sapere chi era il tribuno di turno la notte scorsa per punirlo. Ma è inutile se la stessa cosa è accaduta ovunque- rispose- Quando però gli ho riferito della falla nel campo minato, è sbiancato di colpo... e ancora di più quando ha sentito le notizie dagli zappatori. È molto preoccupato, questo è certo, e se le voci che girano corrispondono a verità, ha tutte le ragioni per esserlo.

Attico annuì gravemente. L'anno prima era stato lì e aveva visto la fanatica determinazione, e anche il coraggio doveva ammetterlo, che i ronin avevano dimostrato nell'assaltare un'opera di fortificazione ritenuta inespugnabile. Le armi e le artiglierie del Vallo avevano dovuto consumare buona parte della riserva di munizioni e lasciare a terra diverse dozzine di cadaveri prima che i supersiti decidessero di mollare. E conoscendo la loro assurda mentalità, doveva essergli costato molto ammettere che la loro strategia era fallita, e c'era da scommettere che più di uno dei supersiti si fosse suicidato subito dopo per la vergogna.

-Che vengano pure avanti i musi gialli!- affermò Furio in tono sprezzante- Li stermineremo esattamente come l'anno scorso. Non sono che barbari incivilizzati, che non hanno rispetto di nulla... neanche della loro stessa vita!

-Io trovo la loro cultura assai affascinante- rispose distrattamente Publio- Hai mai provato a leggere i trattati sul Bushido? O qualcuno dei versi che scrivono prima di togliersi la vita? La loro accettazione della morte è ammirevole tanto quanto si dice del loro valore in battaglia!

-Stronzate, Scipione! Non sono altro che vaneggiamenti da filosofi che si atteggiano a guerrieri! È risaputo che oltre i confini romani non c'è altro che inciviltà!- ribatté Furio, prima di rivolgergli una smorfia carica di disprezzo e di consiscendenza- Mi sorprende che un nobile di antica schiatta come te parteggi per il nemico!

Publio si sentì ribollire di rabbia. Con Furio non era riuscito ad andare d'accordo fin dal giorno in cui l'aveva conosciuto, durante l'addestramento. Gaio Furio Olennio era uno di quei nobili arroganti e superbi, convinti che l'essere romani li equiparasse a divinità e che tutto ciò che non era romano andasse disprezzato eannientato, senza rendersi conto che parte della grandezza di Roma era dovuta alla capacità che avevano avuto i loro antenati di trarre il meglio da tutte le diverse culture con cui erano venuti a contatto. Ma a far infuriare Publio non era stato tanto il disprezzo di Furio verso una cultura che a suo parere aveva molto da insegnare ai romani, quanto l'accusa neanche troppo velata di essere un traditore. Suo padre aveva versato il suo sangue su quella terra, il fratello di sua madre era sepolto da qualche parte dietro il Vallo, e i suoi antenati avevano combattuto contro i nionici durante le guerre di conquista della Nova Terra. Se Roma era padrona di un nuovo intero continente, lo doveva anche al sacrificio e al sangue dei Giulii.

L'offesa era troppo grave per tollerarla e Publio scattò in piedi, stringendo i pugni. Anche Furio si alzò lentamente, sogghignando; non perdeva occasione per provocare Scipione, ma quello aveva una pazienza fuori dal comune e non era facile farlo cedere alla rabbia. Stavolta, però, sembrava esserci riuscito e nulla gli avrebbe dato maggior soddisfazione che riempire di pugni quello smidollato.

Insieme a loro due, però, si alzò anche Sesto.

-State buoni tutti e due!- disse, frapponendosi ad entrambi- Potremmo essere attaccati da un momento all'altro e vi volete scannare fra di voi?!- li rimproverò.

Sesto non era più anziano o più maturo di loro, ma da futuro retore aveva una notevole inclinazione diplomatica. Sia Publio che Furio si resero subito conto della stupidità del loro comportamento, soprattutto se della loro rissa ne fosse venuto a conoscenza il legato.

-Sono un nobile, sì! E fiero delle mie radici, anche!- affermò Publio con veemenza- Ma al contrario di te, manco dell'arroganza di ritenermi al di sopra di chi non è come che, siano i legionari sotto il mio comando, siano i nostri stessi nemici!

Così dicendo, si sedette e riprese a mangiare in silenzio, dando ad intendere che per lui l'argomento era chiuso. Furio non tentò di provocarlo ancora e non rispose. Si rivolse invece a Sesto, colpevole secondo lui di avergli portato via la soddisfazione di pestare a sangue il rivale.

-Sempre pronto a sputare sentenze e ad intrometterti negli affari altrui, eh, Cicerone da due assi!

Sesto non rispose e tornò a sedersi anche lui. La magra cena dei quattro ufficiali andò avanti in un'atmosfera carica di tensione.

Altrove, nel frattempo, non era più rilassato il legato della XXVIII Legione. Plauto Corinno sedeva in quel momento nel suo tablinum, al praetorium, e guardava fisso davanti a se, assorto nei propri cupi pensieri. Non aveva ancora mangiato e aveva anche saltato il rancio di mezzogiorno, ma le preoccupazioni da cui era afflitto in quel momento gli impedivano di percepire la fame, e anche la stanchezza.

Nel corso della giornata, dopo le rivelazioni che gli avevano fatto gli zappatori, aveva fatto molte telefonate e aveva ricevuto altre notizie preoccupanti dagli altri presidi sparsi lungo il confine e dai vari comandi di regione. Oltre alle falle nei campi minati, in più di un settore le sentinelle avevano notato movimenti sospetti nei territori al di là del confine. Si trattava indubbiamente di ronin, ma la cosa più preoccupante era che essi non manifestavano intenzioni ostili e sembravano piuttosto limitarsi ad osservare l'ostacolo ai loro desideri di guerra e di saccheggio, come se attendessero qualcosa. Gli unici attacchi erano stati solo quelli contro un paio di aerei da ricognizione che avevano solcato il cielo oltre il confine. Ma anche in quel caso, erano state sparate poche e sporadiche raffiche di armi da fuoco, volte più a infastidire gli avieri e a spingerli a tornare indietro, piuttosto che ad abbatterli.

Era  improbabile che attendessero le condizioni adatte ad un nuovo assalto. Negli ultimi giorni non vi erano state tormente di neve, il cielo era stato limpido e la visibilità ottima; il giorno durava poco in quel periodo dell'anno, ma questo non aveva mai costituito un problema per loro, nè per i romani oltretutto. Non erano stati individuati assembramenti di truppe, ma solo qualche piccola pattuglia. Se i ronin stavano pianificando un nuovo attacco in massa, evidentemente non avevano fretta, il che dava adito alla convinzione di Valerio Massimo secondo cui i ronin stavano attendendo che qualcosa si muovesse all'interno, che scoppiasse una rivolta che dirottasse altrove l'attenzione dei romani e lasciasse parzialmente sguarnito il confine. E da lì all'ipotizzare un'alleanza fra ronin e rivoltosi il passo era breve.

Ciò che però rendeva Corinno più teso e preoccupato era la mancanza di ordini, se non quello ricorrente di mantenere alta la sorveglianza e non lasciare alcuna falla scoperta lungo il confine. D'altro canto, che altro avrebbero potuto fare? Il loro compito era di sorvegliare il confine e impedire a chiunque avesse intenzioni ostili di entrare nel dominio di Roma. E i suoi uomini lavoravano già ai limiti della paranoia. Già da mesi regnava una certa tensione, e dopo quel giorno questa sarebbe certamente aumentata e la forzata immobilità l'avrebbe ulteriormente esasperata. Ma cosa poteva farci? Come avrebbe mai potuto rimediarvi?

Corinno si pose quelle domande mentre si alzava dal tavolo e prendeva a girare distrattamente nella stanza. Nonostante fosse il comandante della legione assegnata a quel presidio, non godeva di condizioni di vita diverse da quelle degli altri legionari. Certo, aveva una stanza tutta per se, ma questa era piccola e scarsamente arredata. Il letto, piccolo, stretto e duro, si trovava accanto alla scrivania; nell'angolo opposto l'arca personale, sulla cui superficie lui aveva fatto sistemare un piccolo fornello a vapore per il bollitore del kave; una piccola nicchia sopra il letto gli serviva per appoggiarci pochi oggetti personali, fra cui la pistola. Il suo mondo era ridotto a quei ristretti confini; per lavarsi doveva fare la fila ai bagni comuni, insieme agli altri legionari, e mangiava il loro stesso rancio, che un servo personale provvedeva a portargli dalle cucine. In pratica, usciva solo quando veniva chiamato espressamente da qualche parte, com'era successo quel giorno.

Si avvicinò alla mappa olografica proiettata su una delle pareti. Riproduceva nei dettagli l'organizzazione del presidio di sua competenza, con la disposizione delle varie coorti e degli osservatori e delle postazioni difensive. Tornato lì dopo aver salutato gli zappatori, aveva preso il lapis elettronico e aveva evidenziato la fascia di mezzo miglio dove le mine erano state rimosse. Osservandola attentamente, si era reso subito conto che si trattava di un settore cruciale del settore di confine sotto la sua competenza. In quella zona, infatti, la linea fortificata interrompeva parte della sua continuità a causa della presenza di una falla nel terreno, una breccia naturale sulla quale gli inegneri romani, capaci di costruire intere città a più piani sopraelevati o sottoterra, non erano stati in grado di porre le necessarie fondamenta. La breccia era quindi attraversata da un ponte coperto che collegava i due tronconi del muro, ed era presidiata da postazioni meno fortificate e più esposte rispetto alle altre.

Aveva senso che i ronin pianificassero un attacco contro il presidio immediatamente adiacente a quella spaccatura. Se fossero riusciti a prenderne il controllo, sarebbero stati in grado di allargare la breccia e di infiltrare le loro truppe attraverso di essa praticamente indisturbate. Dall'altra parte dell'insenatura iniziava il presidio di competenza di Appio Sempronio, e Corinno lo aveva già chiamato per mettersi d'accordo con lui per un'ulteriore rafforzamento delle posizioni in mezzo a loro.

Forse però, pensò Corinno mentre osservava assorto la sua mappa, c'era qualcos'altro che poteva fare. Mentre l'idea prendeva forma nella sua testa, parte della tensione che lo aveva tormentato durante il giorno cominciò a scemare. Non sarebbe servita a sviare il pericolo, ma di sicuro gli avrebbe consentito di affrontarlo con maggiore consapevolezza nel momento in cui fosse divenuto reale. Presa la decisione si sentì improvvisamente più tranquillo, e fu allora che percepì distintamente il buco che gli tormentava lo stomaco.

Sarà meglio che mangi qualcosa, pensò, Prima di mettermi al lavoro.

Mandò il servo, che alloggiava nel cubicolo accanto, a prendergli il rancio e attese il suo ritorno scaldando una tazza di kave nel bollitore e sorseggiando la bevanda scura e calda mentre rifletteva sui dettagli, sempre davanti alla mappa olografica. Quando il servo tornò con il rancio, lo divorò nel giro di pochi minuti, dopodiché, finalmente rifocillato, si sedette alla scrivania e tramite l'interfono chiamò gli addetti alle trasmissioni interne.

-Parla il comandante! Convocate immediatamente nel mio alloggio i tribuni Balbo e Scipione!- ordinò.

Un attimo dopo, gli altoparlanti sparsi in tutti gli avamposti, i dormitori, i locali e i corridoi del presidio mandarono l'annuncio affinché i destinatari potessero sentirlo ovunque si trovassero. Era già abbastanza tardi e nei dormitori chi non era di turno stava già andando a dormire. Publio e Sesto furono così costretti a rivestirsi e ad abbandonare in tutta fretta la stanza per raggiungere l'alloggio/tablinum del legato.

-Perdonatemi per avervi tirati giù dal letto- si scusò Corinno- Prendete pure una tazza di kave e sedetevi.

I due giovani tribuni accettarono l'invito e si sedettero di fronte al loro comandante.

-Per donami siete dispensati dal servizio normale- annunciò questi- Ma ho bisogno che portiate a termine una missione di una certa importanza... fuori dai confini. Ve la sentite?

Publio e Sesto si scambiarono un'occhiata mista di stupore e preoccupazione. L'idea di avventurarsi fuori dai confini dell'Impero sarebbe sembrata ardita e pericolosa anche in assenza del rischio assai alto di imbattersi in una banda di ronin. Ma se le voci che giravano erano vere, là fuori rischiavano di incontrare un intero esercito di mercenari nionici che non si sarebbero lasciati certo sfuggire l'occasione di aggiungere le teste di due incauti romani alla loro collezione di trofei. Eppure, nè Publio nè Sesto pensarono per un solo istante di rifiutare la richiesta di Corinno. L'orgoglio e la disciplina militare ormai inculcata dentro di loro glielo impedivano. Inoltre, erano entrambi curiosi di conoscere il motivo per cui il legato intendeva mandarli là fuori.

Annuirono entrambi. Corinno ne parve soddisfatto.

-Benissimo!- disse- In circostanze normali vi avrei concesso la scorta di un manipolo, ma data la situazione attuale è più sicuro che vadano solo due uomini. Darete meno nell'occhio e, nel malaugurato caso in cui doveste essere scoperti, vi sarebbe più facile defilarvi.

Era un'affermazione discutibile, ma sarebbe stato inutile farlo.

-Cosa dobbiamo fare?- chiese Sesto.

Corinno si alzò e usò la penna elettronica per indicare un punto sulla mappa olografica, diverse miglia oltre il confine romano.

-Da queste parti dovrebbe trovarsi un insediamento invernale degli aleutini- spiegò- Una piccola tribù pacifica, dedita a pratiche primitive come la caccia e la pesca, che non ha mai dato problemi a noi romani. Nessuno meglio di loro conosce la regione, per cui se qualcosa si sta realmente muovendo là fuori, loro saranno stati i primi a saperlo.

-Volete che prendiamo informazioni?- chiese intuitivamente Publio.

-Proprio così, Scipione. Voglio sapere cosa ci attende per il futuro e voglio saperlo al più presto! Partirete domani dopo il sorgere del sole. Inutile che vi dica che in questa stagione avrete solo poche ore di luce a disposizione. Cercate di tornare prima che faccia buio.

-Ad ogni buon conto, ci porteremo comunque dietro la tenda e l'occorrente per un bivacco- disse Publio, rivolgendosi a Sesto, che annuì.

-C'è la possibilità di incontrare difficoltà nel trattare con questi indigeni?- chiese Sesto- Se i ronin sono là fuori, potrebbero averli minacciati o aver occupato il villaggio.

-È improbabile- rispose Corinno- I ronin non amano mischiarsi a gente che considerano barbari o inferiori. Inoltre, gli aleutini sono un popolo pacifico e poco incline a schierarsi in una guerra che non li riguarda. Non dovrebbero avere problemi a darvi delle informazioni, proprio come non ne avrebbero a darne ai ronin... per questo è essenziale che torniate qui il prima possibile non appena portata a termine la missione.

Publio e Sesto annuirono. Detta così, sembrava una missione semplice, niente di più che una scarpinata nella steppa innevata. Nessuno però poteva prevedere che cosa avrebbero trovato una volta là fuori.

Publio lanciò una breve occhiata a Sesto e riconobbe la decisione nei suoi occhi. Tornò a rivolgersi al legato e rispose per entrambi.

-Accettiamo la missione!

***********

Evvai! Finalmente si comincia ad entrare nel vivo della storia! Purtroppo, però, trascorrerà un po' di tempo prima che inizi a scrivere il prossimo capitolo. Questo finesettimana ho uno stage di karatefuori Palermo, e inoltre sto preparando un esame per fine Novembre, quindi dovrete (e dovrò) avere pazienza. Nel frattempo, chiunque voglia lasciarmi un commento, una critica o farmi qualche domanda è il benvenuto. Io controllo facebook, l'e-mail e l'account qui su EFP regolarmente e più di una volta al giorno, quindi tranne che per questo week-end non tarderei più di tanto a rispondere!
Un paio di precisazioni. Nel capitolo ci sono un paio di commenti denigratori nei confronti della civiltà giapponese. Non corrispondono alle mie idee. Come il protagonista, Publio, trovo la civiltà e la cultura giapponesi estremamente affascinanti e penso che i romani meno intransigenti e meno "nazionalisti" avrebbero saputo apprezzarla se avessero avuto l'occasione di entrarvi a contatto.
Secondo chiarimento. Da qualche parte ho citato un
fornello a vapore. Con questo non è da intendersi un fornello realmente a vapore, ma a gas, che in latino si diceva vapor. La parola gas è di origine belga e può essere ricollegata al greco, ma in maniera troppo tortuosa.

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Capitolo 4
*** III ***


4 Et voilà! Eccomi di nuovo qui! Credevate che mi fosse passata la voglia? Ebbene no! Gli esami di Novembre si stanno rivelando particolarmente impegnativi, ma siccome la materia che devo dare è praticamente pronta, ho deciso di prendermi una piccola pausa... il tempo di scrivere e pubblicare questo piccolo pezzo prima che mi sfuggisse di mente!
Ma... lungi da me l'intenzione di annoiarvi con le mie faccende personali, quindi... godetevi questo nuovo capitolo di Imperator!

*************

Publio e Sesto partirono il giorno seguente, sul far del giorno, quando la temperatura esterna cominciò ad umentare verso un livello accettabile. La giornata si prannunciava favorevole alla loro missione. Il cielo era sgombro di nubi, non nevicava e il vento era calmo, quasi fermo. La luce del sole appena sorto illuminava l'immensa pianura di neve che si estendeva apparentemente infinita davanti agli occhi dei due giovani romani.

Si misero immediatamente in marcia, camminando a passo sostenuto, il rumore degli scarponi chiodati che affondavano nella neve l'unico rumore nella pianura altrimenti silenziosa e immobile. Nonostante l'inverno inoltrato, nessuno dei due percepiva minimamente il freddo. L'armatura integrale era provvista di un dispositivo che regolava la temperatura interna, rendendola costantemente stabile. Finché la temperatura esterna non si fosse abbassata al punto da mandare il panne il dispositivo, potevano dirsi al sicuro dal pericolo di congelamento. Si erano addirittura tolti gli elmi, appendendoli alla sarcina che portavano in spalla, per lasciare che il sole, al quale non erano più abituati, accarezzasse e riscaldasse i loro volti.

-Sono felice di aver accettato la missione del legato- commentò Sesto dopo un po'- Avevo quasi cominciato a dimenticarmi com'era il mondo fuori dal Vallo!

Publio ridacchiò e girò su se stesso per guardarsi intorno; alle loro spalle la linea del confine fortificato era già scomparsa dietro l'orizzonte e adesso erano completamente soli in mezzo a quell'immenso mare bianco. Nonostante la forzata immobilità determinata dal servizio di confine, riuscivano ancora a sostenere una lunga marcia a passo sostenuto e, complice il terreno completamente pianeggiante, avevano percorso una notevole distanza quasi senza accorgersene.

-Non che ci sia molto da ammirare qui intorno- disse a sua volta Publio, riprendendo a camminare.

Anche lui era di buon umore, per quanto non lo manifestasse troppo apertamente. Il legato gli aveva affidato personalmente la bussola e la mappa elettronica che adesso teneva in una mano, ed era quindi sua responsabilità orientarsi in quel deserto bianco; la scelta era caduta su di lui, perchè aveva fatto l'addestramento da recluta in Africa, nel deserto della Cirenaica, e sapeva quindi come muoversi in assenza di punti di riferimento precisi. In quelle condizioni orientarsi era un compito difficile e lui non voleva perdere la concentrazione.

Ma condivideva in pieno l'entusiasmo di Sesto. Oltre ad aver scansato un'altra monotona giornata chiusi all'interno di quel gigantesco blocco di cemento, entrambi provavano finalmente l'esaltante sensazione di stare svolgendo un incarico importante e significativo, di gran lunga più utile che stare tutto il giorno a fissare l'orizzonte alla ricerca di una minaccia invisibile e ancora solo potenziale. Quando si era sparsa la voce che il legato Corinno aveva deciso di inviare due uomini in ricognizione all'esterno, tutti al presidio li avevano guardati con invidia, alcuni anche con malcelato astio per non essere stati scelti. Mentre guardava ora la mappa, ora la bussola, ora davanti a se, la bocca di Publio si inarcò lievemente in un sorriso al ricordo della faccia che aveva fatto Furio quando aveva saputo di non essere stato preso in considerazione per una missione così importante; un ulteriore schiaffo in faccia alla sua convinzione di essere un soldato e un romano assai migliore di lui.

Alleggeriti dall'entusiasmo e con la mente non più oppressa dall'atmosfera tesa e soffocante che si erano lasciati alle spalle, percorsero quasi senza accorgersene oltre dodici miglia. Si resero conto di aver camminato tanto e di essere stanchi solo quando si imbatterono in un lieve rilievo che inaspettatamente spezzava la monotonia del paesaggio. Al di là del piccolo cuneo, non più lungo di mezzo miglio, s'intravedeva il villaggio, composto di case di ghiaccio seminterrate. Publio consultò la carta e le coordinate che gli aveva dato Corinno e si accorse che corrispondevano. Erano arrivati.

Fecero per oltrepassare il pendio per raggiungere il villaggio, quando si resero improvvisamente conto che qualcosa non andava e si fermarono di colpo, per poi gettarsi nella neve dietro la collinetta.

-Te ne sei accorto anche tu?- fece Publio.

Sesto annuì, la spensieratezza di prima improvvisamente scomparsa per lasciar posto a prudenza e preoccupazione.

Nonostante fosse pieno giorno, infatti, il villaggio era immobile come la steppa che lo circondava. Non si vedeva anima viva intorno alle casupole di ghiaccio e non si sentivano voci. Anche nei dintorni, fuori dai confini del villaggio, non vi era anima viva, com'ebbero modo di constatare guardandosi intorno con il binoculo.

Qualcosa non va, pensò Publio abbassando lentamente il binoculo e tornando a scrutare il villaggio ad occhio nudo.

-Forse sono arrivati i ronin- disse Sesto, dando voce ad una possibilità tutt'altro che remota e che entrambi paventavano. 

-Forse- rispose Publio annuendo- Ma dobbiamo comunque esserne certi, prima di dare l'allarme.

S'infilò l'elmo e con un gesto secco abbassò la visiera, subito imitato da Sesto. Si alzarono imbracciando gli sclopetum e, dopo averli puntati davanti a loro, iniziarono ad avanzare lentamente verso il villaggio, muovendosi con circospezione e coprendosi a vicenda.

La preoccupazione e il timore che nel villaggio non ci fosse nulla di buono ad attenderli aumentò quando a pochi passi dalle prime case continuò a non accadere assolutamente nulla. A quel punto, qualcosa avrebbe dovuto muoversi. Le armature rendevano i due romani apparentemente più grossi e decisamente più minacciosi, quindi come minimo gli abitanti meno informati avrebbero dovuto scappare via spaventati. Invece, non accadde nulla. A parte loro due, nulla si muoveva in mezzo a quelle case di ghiaccio e sull'intero villaggio aleggiava un silenzio inquietante; sembrava quasi che tutto fosse stato congelato, pietrificato dalla mano di chissà qualche divinità locale.

Si addentrarono in mezzo alle casupole bianche con estrema circospezione, le armi puntate davanti a loro e pronte a sparare al minimo segnale di pericolo. Publio procedeva davanti, gurdandosi intorno e muovendosi lentamente, mentre alle sue spalle Sesto provvedeva a coprirgli le spalle, girandosi di tanto in tanto per assicurarsi di non essere aggredito alle spalle.

Giunti al centro del villaggio, in un ampio spazio circolare, ebbero un'ulteriore conferma dell'anormalità della situazione. I resti di un fuoco e ceste e attrezzi da pesca abbandonati in giro sembravano indicare una fuga precipitosa. Publio si sfilò un guanto dalla mano e si chinò per poggiarla sul braciere, trovandolo gelido. Si guardò intorno ancora una volta, poi abbassò lentamente lo sclopetum.

-Qui non c'è rimasto nessuno- disse- Se se ne sono andati, lo hanno fatto minimo stanotte.

Sesto annuì, mentre sollevava da terra una fiocina da pesca. Il ghiaccio formatosi intorno ad essa, insieme alla totale mancanza di impronte fresce a parte le loro, sembrava confermare quell'ipotesi.

-Dove potrebbero essersene andati?- chiese- Pensavo che d'inverno evitassero gli spostamenti non necessari.

-Chissà, forse con l'aria di guerra che tira da queste parti, avranno deciso che era meglio spostarsi verso occidente- rispose Publio.

Decisero di dare un'occhiata nelle case. Publio scese la piccola scaletta scavata nella neve e si chinò per passare attraverso la bassa e stretta apertura e il termometro della sua armatura segnò un leggero alzarsi della temperatura esterna. All'interno dell'abitazione c'era più caldo, ma non troppo, segnò ulteriore del fatto che doveva essere stata abbandonata da un pò, visto che quelle case si riscaldavano grazie all'azione combinata di un braciere e dei corpi dei suoi occupanti.

La presenza di Sesto sulla soglia impediva alla luce sole di filtrare attraverso la piccola apertura, così Publio frugò nel comparto pettorale dell'armatura in cerca della torcia. Non appena il sottile fasciò di luce ebbe illuminato il minuscolo anfratto che costituiva l'abitazione aleutina, Publio fece un balzò indietro.

-Oh, Santi Numi!- esclamò inorridito.

Sorpreso, Sesto si fece avanti per vedere, anche lui accendendo una torcia. Quello che vide gli fece gelare il sangue nelle vene.

-Chi può aver fatto una cosa simile?

Publio scosse lentamente la testa e non disse una parola, continuando invece a fissare sconvolto il gruppo di aleutini, un uomo, una donna e due ragazzi, che giacevano morti nella neve, i corpi dilaniati da centinaia di proiettili.

**************

Capitolo piuttosto corto, temo, ma non avevo molto tempo a disposizione. Originariamente, questo capitolo e il successivo avrebbero dovuto formarne uno solo, ma ho deciso di dividerlo in due parti per tre principali motivi. Innanzitutto, perchè riguardo al prossimo capitolo devo rivedere meglio la mia scaletta, forse aggiungerò qualcosa che inizialmente non avevo previsto, e in tal caso un unico capitolo sarebbe stato troppo lungo.
Secondo, ho passato quasi tre settimane a studiare giorno e notte (staccavo in media alle tre di notte, non scherzo!), ed è da giovedì che muoio dalla voglia di rimettermi in carreggiata e di riprendere i contatti con il mondo esterno... e anche con quello delle fanfiction e dei racconti amatoriali! Questo pezzo era già quasi pronto, e così...
Terzo motivo, l'idea di interrompere la narrazione sul più bello si è rivelata irresistibile. Non so se sono riuscita a infondere almeno un po' di curiosità e mi farebbe piacere se foste voi lettori a dirmelo, cosicché possa migliorare. È la prima volta che mi cimento nell'arte del finale in sospeso, ma se ben congegnato fa grande effetto e genera parecchia aspettativa... lo so per esperienza personale, visto che sto leggendo la fanfiction di una certa autrice che del finale in sospeso ha fatto il suo marchio di fabbrica (Scellerata!)
A presto!

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Capitolo 5
*** IV ***


5 Sesto uscì dall'ennesima casa di ghiaccio trasformata in sepoltura, tenendosi una mano contro la bocca nello sforzo di impedirsi di dare di stomaco. Avevano perquisito tutte le abitazioni del villaggio, e in tutte avevano trovato la medesima situazione. Gli abitanti erano stati tutti uccisi e, a giudicare dallo stato di congelamento dei corpi, doveva essere accaduto da almeno un giorno, perchè anche senza calore umano e coi bracieri spenti le case di ghiaccio ci mettevano un po' a raffreddarsi all'interno.

Publio si trovava nello spiazzo principale del villaggio e quando Sesto lo raggiunse, si accorse che aveva trascinato fuori sulla neve un cadavere e lo osservava in silenzio, come assorto nei propri pensieri. In mano teneva il proprio palmare e lo stilo elettronico, dal quale sembrava non separarsi mai, neppure per prendere parte ad una spedizione militare.

-Sono stati i ronin, senza ombra di dubbio- disse Sesto- Ho trovato questi nella casa laggiù.

Così dicendo, mostrò al compagno dei bossoli da proiettile di sclopetum a raffica che portavano chiaramente impresso il sigillo del Tenno; proiettili fabbricati nel Nion, utilizzati unicamente dai samurai o dai ronin. A Roma era possibile trovarne di contrabbando, ma era molto difficile e molto costoso, anche perchè i romani non avrebbero mai ammesso che i nionici sapevano fabbricare armi migliori delle loro. Nè sarebbe mai avvenuto il contrario, del resto.

-Devono averli dimenticati- aggiunse Sesto- Gli altri li hanno fatti sparire, probabilmente per coprire le loro tracce.

Finalmente Publio si decise ad alzare lo sguardo dal cadavere e a guardare Sesto negli occhi. Fu allora che Sesto si rese conto di un particolare nell'aspetto dell'amico che, al chiuso e nella luce artificiale e relativamente fioca della fortezza di confine, non aveva mai notato. Publio era eterocromo, aveva cioè gli occhi di due colori diversi, uno azzurro, l'altro scuro, quasi nero. Il fatto che entrambi i colori fossero molto accentuati, rendeva il suo sguardo particolarmente intenso, e Sesto si sentì come passato da parte a parte.

-Guarda un po' questo tizio- disse con un cenno del capo- L'ho scovato in quella che credo fosse l'abitazione del capovillaggio.

Sesto si decise a dare un'occhiata al cadavere. La prima cosa che gli saltò agli occhi furono i suoi abiti: non erano quelli tradizionali delle popolazioni locali. Quell'uomo indossava inequivocabilmente abiti tipicamente utilizzati dai coloni romani delle province settentrionali dell'Impero, ossia un'abbondante serie di strati di tuniche e casacche di lana, brache robuste e altrettanto imbottite e stivali di gran lunga più larghi della misura del piede, fatti apposta per essere riempiti all'occorrenza di imbottiture supplementari. Ma la seconda e più importante cosa che notò Sesto fu che oltre agli abiti, quell'uomo aveva anche dei lineamenti sul volto che non potevano appartenere ad un indigeno.

-Ma... è un colono?!- chiese.

Publio annuì gravemente.

-Così pare- rispose.

Dopo la scoperta dei primi cadaveri, sembrava aver recuperato il pieno controllo di se stesso. La sua voce e le sue azioni non tradivano alcuna emozione e, nonostante fosse ancora un soldato alle prime armi, sembrava sapere come comportarsi in quella situazione.

-Allora il comandante Valerio Massimo aveva ragione!- esclamò Sesto sconvolto- I coloni si sono messi d'accordo con i ronin per farli entrare nell'Impero!

-Forse, ma non credo affatto che questo sia un colono alasiano!- rispose Sesto- In una delle tasche aveva questo. Anche lui si è dimenticato di coprire a dovere le sue tracce.

Sesto esaminò ciò che l'amico teneva in mano senza raccoglierlo a sua volta. Sembrava un frammento di plastica spezzata, sottile, di colore rossiccio; su di esso s'intravedeva parte di una lettera, ma il frammento era talmente piccolo che era impossibile anche solo stabilire quale.

-Che cos'è?

Publio fece un sorriso tirato. Quanto aveva scoperto non gli piaceva affatto.

-Un frammento di tessera annonaria... di cui titolari possono essere solo i cittadini romani residenti nell'Urbe- rispose- Quest'uomo, Balbo, veniva da Roma!

E questo può significare solamente una cosa, si disse, tenendo per se quella riflessione. Che se i ronin stanno veramente ricevendo aiuto da qualcuno all'interno dell'Impero, allora lo stanno ricevendo proprio da Roma! La sola idea era raggelante. Significava che qualcuno che deteneva già un certo grado di potere, stava tramando contro Roma e contro il popolo romano, perché senza dubbio il cadavere che lui aveva trovato nel villaggio apparteneva ad un semplice informatore, ad un esecutore materiale delle trame di qualcun'altro. Un esecutore che non aveva svuotato con attenzione le sue tasche e che i ronin avevano ucciso, probabilmente per eliminare lo scomodo testimone di un complotto. Per qualche motivo, però, non avevano provveduto a farlo sparire completamente o, com'era loro costume, non gli avevano tagliato la testa. Probabilmente non si aspettavano che dal confine partisse una spedizione di ricognizione diretta al villaggio.

Tornò a guardare il cadavere, stavolta inginocchiandosi per guardarlo meglio. Lo avevano ucciso con una raffica di colpi alle gambe... era morto lentamente, per dissanguamento e congelamento simultanei. Una morte orrenda. Quell'uomo li stava aiutando, anche se era difficile capire con precisione come, eppure persino i ronin, mercenari, forse a loro volta accusati di tradimento in patria, avevano di lui la più bassa considerazione possibile. Roma non premia i traditori... e neanche Nion, pensò Publio facendo una piccola smorfia.

-Su questo almeno siamo d'accordo- borbottò mentre si rialzava.

Tutto quello che aveva scoperto o che pensava di aver scoperto, lo aveva annotato nel suo palmare. Aveva anche preso una fotografia del volto dell'uomo in vista di una eventuale identificazione. Probabilmente era l'unico soldato della sua legione a portarsi costantemente dietro materiale per scrivere, ma quanto era appena accaduto dimostrava che la penna aveva lo stesso grado di utilità della spada anche in quelle circostanze.

-Che facciamo adesso?- chiese Sesto.

-Torniamo indietro alla svelta- rispose Publio- Bisogna al più presto avvertire il comandante Valerio Massimo di quanto accaduto in questo villaggio.

Più che la scoperta di una probabile congiura, a preoccupare di più Publio era al momento ciò che i ronin si preparavano indubbiamente a fare, ossia sferrare una nuova offensiva, stavolta con un appoggio interno. Difficile a quel punto dire in cosa era consistito il tradimento di quell'uomo, che cosa aveva fatto o detto, ma non aveva più molta importanza ormai. I ronin si preparavano ad attaccare, forse in altre regioni del confine era già avvenuto, e questo al momento era il pericolo più grave e imminente. Alla scoperta della congiura e al perseguimento dei congiurati si sarebbe potuto pensare dopo. E di certo, pensò ancora Publio, non se ne sarebbe potuto occupare Valerio Massimo, che a quanto si diceva evitava quanto più possibile di recarsi a Roma e, pur essendo un senatore, si teneva alla larga dalla Curia come se fosse la peste.

-Accendi il trasmettitore- disse a Sesto- Avvertiamo subito Corinno, la situazione è troppo grave per rimandare tutto al nostro rientro.

-Devo dirgli del cadavere del romano?- chiese Sesto.

-No, a quello ci penseremo dopo. Per il momento è essenziale che sappiano che i ronin stanno per attaccare!

Sesto accese l'apparecchio e tentò di mettersi in contatto con il praetorium della XXVIII Legione. Erano ancora abbastanza vicini da rientrare nel campo di trasmissione romano, ma nonostante ciò ebbe difficoltà a stabilire un contatto. Dal ricetrasmettitore arrivarono una serie di rumori gracchianti, inframmenzati qua e là da voci confuse e parole incomprensibili. Sesto riferì più volte di quanto lui e Publio avevano scoperto e chiese che le informazioni venissero trasmesse al legato della legione, ma dopo diversi tentativi il contatto s'interruppe definitivamente, senza che i due potessero sapere con certezza se il loro messaggio era arrivato a destinazione.

Sesto gettò nella neve il ricevitore con un gesto rabbioso e tirò un profondo sospiro, prima di chinarsi a raccoglierlo. Rimise a posto l'apparecchio e se lo caricò in spalla. Publio, dal canto suo, abbassò il binoculo con il quale aveva scrutato intorno a se.

-Nessun ronin in vista, ma in compenso si sta avvicinando una bella bufera- annunciò- È per questo che le trasmissioni sono disturbate.

-Faremo meglio a muoverci, allora! Non voglio rimanere bloccato qui fuori nella tormenta!

Invece, fu proprio quello che accadde. Si erano ormai lasciati alle spalle il villaggio, quando si levò il vento. Poi cominciò a nevicare, dapprima piano, quasi impercettibilmente, poi sempre più forte, fino a diventare tormenta. In breve tempo, i due romani si ritrovarono a non vedere più nulla che non si trovasse ad un palmo dal loro naso e dovettero fare attenzione a camminare vicini per non perdersi di vista. Publio teneva la carta e la bussola praticamente attaccati alla faccia e doveva di continuo pulire la visiera dell'elmo dalla nave che vi si accumulava sopra. Non percepiva il freddo, ma guardava con crescente preoccupazione il termostato che portava al polso. La temperatura esterna scendeva vertiginosamente e lo stabilizzatore della temperatura dell'armatura era quasi al limite della sopportazione.

-Quanta strada abbiamo fatto?- chiese Sesto, ansante.

Publio si fermò per controllare meglio la mappa. Anche camminare stava diventando sempre più faticoso in quelle condizioni. Non avevano percorso che poche miglia e il sole si avviava ormai inesorabilmente al tramonto. Durante la notte avrebbe fatto sicuramente più freddo e a quel punto gli stabilizzatori non sarebbero riusciti a reggere e li avrebbero lasciati lì fuori a congelare.

-Di questo passo, non riusciremo a rientrare prima che faccia notte!- disse Publio, gridando per farsi sentire dall'amico in mezzo al fischiare e al turbinare della bufera- Montiamo la tenda e mettiamoci al riparo. È l'unica!

Non c'era bisogno di cercare un posto adatto. In quella pianura innevata e in mezzo alla tormenta, un posto valeva l'altro, sarebbero stati comunque al sicuro. Gettarono a terra le sarcine e tirarono fuori i pali e i teli per montare la tenda. Fortunatamente il telaio era abbastanza robusto da reggere al forte vento e i diversi strati di telo isolante li avrebbero riparati dalle intemperie. Una volta pronto il riparo di fortuna, tutti e due vi si infilarono dentro e Sesto chiuse ermeticamente la stretta apertura. L'ambiente era piccolo e stretto e, una volta accesa una piccola stufa a batteria, non tardò a riempirsi di calore. I termostati delle armature si sbilanciarono di colpo e il ghiaccio formatosi sulle corazze iniziò a sciogliersi.

-Ora quello che ci vuole è qualcosa di caldo da mettere sotto i denti- fece Publio, ritrovando un pizzico di allegria.

Dal loro arrivo al villaggio, fra la scoperta dello sterminio, quella del traditore e la tormenta che li aveva bloccati nella terra di nessuno, c'era stato davvero ben poco da ridere. Ma nonostante fossero allo scoperto, nella pianura battuta dalla neve e dal vento e probabilmente brulicante di ronin, lì nel loro piccolo riparo potevano dirsi relativamente al sicuro e il loro umore ne giovò sensibilmente. Al calore che inondava la tenda si unì ben presto l'odore non troppo gradevole del rancio preocotto che Sesto provvedeva a cuocere sulla stufa dopo avergli aggiunto dell'acqua.

-Cibo disidratato cotto a base di elettricità!- commentò sardonico- Scommetto che neanche agli Inferi la vorrebbero questa roba!

-Di sicuro io non gli cedo la mia parte- rispose Publio, porgendogli la propria gavetta perchè la riempisse.

Mangiarono in silenzio, ciascuno perso nei propri pensieri. Publio non riusciva a smettere di pensare a quello che era accaduto al villaggio. Se i ronin avevano sterminato tutti gli abitanti, lo avevano fatto per essere sicuri di non incontrare ostacoli lungo la loro avanzata. Probabilmente avevano ragione di temere la presenza di simpatizzanti dei romani fra gli indigeni, di qualcuno che alla prima occasione si sarebbe precipitato al confine per dare l'allarme. Questo poteva voler dire soltanto che stavolta non si sarebbero fermati davanti a nulla pur di sconfinare in Alasia... soprattutto se stavano ricevendo aiuto dall'interno dell'Impero.

-Mancano quattro giorni alle Calende di Novembre- commentò in quel momento Sesto, strappando l'amico ai suoi pensieri- Fra sei giorni è il compleanno di mia moglie.

Publio rimase a bocca aperta o lo guardò stupito. Non aveva idea che Sesto fosse sposato, anche se non era affatto strano. A Roma non era insolito che un rampollo di buona famiglia prendesse moglie prima ancora di aver compiuto vent'anni. A stupire Publio era il fatto che Sesto non ne avesse mai parlato, nonostante le occasioni non fossero mancate; Giunio Attico non faceva che vantarsi delle grazie di sua moglie e uno degli argomenti più chiacchierati in guarnigione era il matrimonio fra il legato Corinno e la figlia del governatore dell'Alasia.

-Non sapevo che fossi sposato- disse- Come si chiama tua moglie?

-Cornelia... è la figlia di Cornelio Sinoico.

Publio annuì. Aveva sentito parlare di questo ramo della gens Cornelia, ovviamente. Per molti anni, i loro antenati avevano vissuto in Sera Minor, un piccolo regno alleato di Roma distaccatosi da Sera Maior, il Paese della Seta, come un tempo veniva chiamato il terzo impero più grande della Terra, dopo Roma e il Nion. Di recente, Cornelio Sinoico aveva deciso di ritrasferirsi a Roma e probabilmente aveva deciso di accasare la figlia con l'esponente di una illustre famiglia romana allo scopo di garantirsi agganci sicuri per una futura ascesa della sua famiglia nell'Urbe.

-Non l'avrei mai pensato. E com'è?

Sesto gli lanciò un'occhiata di traverso, credendo che Publio si riferisse a sua moglie.

-Essere sposati, intendo- si affrettò ad aggiungere quest'ultimo, intuendo l'equivoco.

-Oh...- Sesto scrollò le spalle e scosse la testa- Francamente non lo so. Sono partito appena un paio di mesi dopo averla sposata. Non ho avuto molto tempo per farmi un'idea.

Publio annuì. Personalmente non aveva una cattva visione del matrimonio, nonostante tutti i pregiudizi che i romani si tramandavano fin dalla Fondazione e che dipingevano il fatto di prender moglie come un male necessario. Era cresciuto in un ambiente familiare molto sereno. I suoi genitori ovviamente si erano sposati anche loro giovanissimi e, anche nel loro caso, si era trattato di un matrimonio combinato. Nonostante ciò, tuttavia, andavano abbastanza d'accordo e negli anni avevano finito per volersi bene.

Finito di mangiare, tentarono ancora una volta di mettersi in contatto con il comando della legione. Se la tormenta fosse durata tutta la notte e anche il giorno dopo, avrebbero avuto bisogno di aiuto, anche se c'era ben poco che il legato potesse fare per loro in quelle condizioni. In ogni caso, qualunque tentativo di contattare il Vallo di Alasia risultò del tutto vano. Stavolta le interferenze create dalla tormenta erano tali che l'unica cosa che uscì dal microfono del ricetrasmettitore fu un lungo e assordante rumore di scariche statiche.

Nonostante il pericolo di essere attaccati in una notte come quella fosse quasi nullo, decisero di dormire comunque a turno, e Publio si accollò il primo turno. Mentre Sesto si coricava vicino alla stufa elettrica, con l'armatura e tutto, lui rimase seduto a gambe incrociate nel suo angolo di tenda, lo sclopetum posato accanto a se a portata di mano e il palmare in grembo. Per passare il tempo, pensò di iniziare a scrivere una lettera da inviare a casa. Era molto tempo che non scriveva a suo cugino. Erano cresciuti insieme, anche se Gaio aveva diversi anni in più di lui. Suo padre era morto quasi vent'anni prima proprio lì in Alasia e il padre di Publio gli aveva fatto da tutore fino a quando non aveva compiuto venticinque anni. A trent'anni suonati, Gaio non sembrava ancora essersi deciso a mettere ordine nella sua vita e a seguire le illustri orme di suo padre. Aveva fatto il suo servizio militare, ma poi si era dedicato a scialaquare buona parte dell'eredità di suo padre in viaggi e sollazzi di vario genere. Conduceva una vita molto disordinata, con gran disappunto da parte della madre di Publio, sua zia. Suo padre, invece, non sembrava preoccuparsi più di tanto e si limitava unicamente a diassuaderlo dal compiere spese spropositate, affermando che prima o poi anche lui sarebbe andato a sbattere la testa contro un muro e allora si sarebbe deciso a crescere. Publio, dal suo canto, gli voleva un gran bene e lo considerava alla stregua di un fratello maggiore. Adesso, però, non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. L'ultima volta che aveva ricevuto sue notizie, queste erano arrivate tramite un breve biglietto proveniente dalla Sarmazia Superiore, ma era improbabile che fosse ancora lì. Sarebbe stato difficile dare un indirizzo alla lettera, pensò Publio, mentre scriveva una breve intestazione.

Impiegò buona parte del proprio turno di guardia a scrivere quella lettera, anche se più volte fu costretto a fermarsi e a bere lunghe sorsate di kave condensato di pessima qualità per impedirsi di chiudere gli occhi e di cadere in avanti con la faccia sulla stufa. La stanchezza accumulata durante quell'intensa giornata, unita al piacevole calore che aleggiava nella tenda, lo intorpidivano e minacciavano di farlo addormentare. Riuscì comunque a scrivere una prima bozza della lettera che avesse un senso compiuto e, quando infine guardò l'orologio, si accorse che era finalmente giunto il momento di svegliare Sesto e di mettersi a dormire. Mise da parte il palmare e si stiracchiò, ma propio mentre stava per sporgersi verso l'amico e scuoterlo si rese conto dell'improvviso silenzio che regnava dentro e fuori dalla tenda. Fino a prima di iniziare a scrivere, fuori infuriava la tormenta e si sentiva distintamente il vento battere contro la tenda.

S'infilò l'elmo e, raccolto lo scopletum, aprì la tenda e uscì fuori. Si ritrovò nel bel mezzo della pianura innevata, buia e fredda, ma nuovamente aperta e infinita. La tormenta era finita senza che lui se ne fosse reso conto e il vento si era calmato. Solo la neve che gli arrivava poco sotto le ginocchia testimoniava che quella notte vi era stata una forte nevicata. Publio guardò nuovamente l'orologio. La mezzanotte era passata da poco e, se si fossero messi immediatamente in marcia, sarebbero riusciti a rientrare in meno di due ore. Si affrettò a svegliare Sesto, il cui turno di riposo era comunque finito, e lo trascinò fuori.

-Roba da non credere!- esclamò questi, guardandosi intorno- Avremmo potuto continuare la marcia!

-Dubito che saremmo durati a lungo nella bufera- rispose Publio- Ma se te la senti, possiamo ripartire immediatamente.

-Tu non sei stanco?

-Da morire, ma potrò riposare di più e meglio una volta raggiunto il Vallo.

Sesto stava per rispondere, quando improvvisamente l'orizzonte fu illuminato da un improvviso bagliore, come una serie di lampi, ai quali si unì ben presto un rombo cupo e attutito dalla distanza.

-Che altro sta succedendo?!

-Sparano!- esclamò Publio- Queste sono artiglierie!

La spiegazione non poteva che essere una. I ronin avevano dato inizio alla loro offensiva contro il confine.

-Tirano sui nostri?- chiese Sesto.

-No, a occhio e croce stanno attaccando più a meridione- rispose Publio- Ma sono comunque vicini alla nostra legione. Sarà meglio che ci affrettiamo a rientrare, prima che l'attacco si diffonda!

Smontarono in fretta la tenda e si rimisero in marcia nella notte. Dopo la tormenta, la temperatura si era sensibilmente rialzata, ma faceva ancora molto freddo. Gli stabilizzatori soffrivano ancora dello sforzo che era stato loro imposto durante le prime fasi della bufera e così un po' di freddo filtrava all'interno delle armature. La marcia a passo sostenuto, tuttavia, contribuiva a riscaldare i due romani.

Percorsero diverse miglia e si aspettavano da un momento all'altro di veder profilarsi di fronte a loro i contorni sempre più alti del Vallo di Alasia, quando improvvisamente, il relativo silenzio della notte fu squarciato da raffiche di scopletum a ripetizione e loro due si ritrovarono praticamente circondati da una fitta rete di traccianti luminose. Si gettarono a terra nella neve, ma le raffiche di colpi si abbassarono con loro, sfiorando le loro teste, ma senza colpirli.

-Cercano di inchiodarci qui a terra!- gridò Publio, imbracciando il proprio scopletum.

Sparò una raffica nella direzione da cui provenivano la maggior parte delle traccianti, giusto per far capire al nemico che non intendeva lasciarsi sopraffare senza combattere. Le traccianti diminuirono sensibilmente; i loro aggressori dovevano aver capito che i due romani non avevano perso la voglia di combattere solo perché erano caduti in un'imboscata, e si erano a loro volta gettati a terra per essere meno visibili.

Sesto aveva a sua volta imbracciato la propria arma, e adesso i due romani sparavano con calma nelle direzioni da cui si sentivano attaccati, cercando di risparmiare le munizioni e allo stesso tempo tenendo gli occhi ben aperti in attesa che si creasse un varco attraverso il quale defilarsi e spiccare una corsa verso il confine. La superiorità numerica del nemico era evidente e se i ronin avessero deciso di assaltare la loro posizione, Publio e Sesto sarebbero stati certamente sopraffatti.

Publio strinse i denti mentre un proiettile gli passava rasente alla spalla, scalfendo la cromatura della corazza. Man mano che passava il tempo, la situazione diventava sempre più preoccupante. La sparatoria non accennava a smettere; i ronin non intendevano mollare la presa, nè d'altro canto lui e Sesto ci tenevano a finire nelle loro mani; sarebbe andata avanti finché una delle due parti non avesse esaurito le munizioni e non c'erano dubbi che sarebbero stati i due romani. Non possiamo restare qui, pensò Publio. Erano troppo lontani dal Vallo perché qualcuna delle vedette potesse accorgersi della loro presenza lì e mandare i soccorsi, ma non erano troppo lontani per raggiungerlo se si fossero messi a correre a perdifiato.

Era una follia, soprattutto considerando che i ronin li avrebbero certamente inseguiti e che probabilmente sarebbero caduti con una palla della schiena appena percorsi pochi metri, ma a quel punto non avevano molta scelta. Potevano morire lì nella neve opponendosi futilmente ad un nemico più forte di loro, oppure potevano rischiare il tutto per tutto e morire tentando di defilarsi dal nemico. E magari, se Marte era con loro, avrebbero invce salvato la pelle. Prima, però, dovevano aprirsi un varco in mezzo al nemico che sbarrava loro la strada.

-Balbo, lancio una pirobula contro quei bastardi!- disse, sporgendosi di poco verso l'amico- Appena scoppia, balziamo in piedi e corriamo dritto di fronte a noi senza fermarci!

-Quante possibilità abbiamo?- chiese Sesto.

-Più di quante ne abbiamo di sopravvivere se rimaniamo qui!

Sesto annuì e Publio si slacciò dalla cintura una pirobula a mano. Tirò via la spoletta e contò fino a tre prima di lanciarla in direzione dello sbarramento nemico. Si sentirono grida confuse e nell'oscurità s'intravide del movimento intorno al punto in cui la pirobula era caduta, prima che l'esplosione lacerasse l'aria e illuminasse la notte.

-Adesso!- gridò Publio scattando in piedi.

Si lanciarono di corsa contro il bagliore dell'esplosione che non si era ancora spento e lo superarono. I ronin erano rimasti storditi dall'esplosione, ma non tardarono a reagire e con violenza. Raffiche di colpi sempre più fitte inseguirono i due romani nella piana buia e innevata. Publio si voltò brevemente e scorse con la coda dell'occhio un gruppetto di figure che li inseguivano. Senza pensarci due volte, gettò via la sarcina contenente per lo più l'equipaggiamento per la notte e accelerò, cercando di raggiungere Sesto che lo aveva distanziato di un buon metro.

Ma prima che potesse raggiungerlo, sentì un corpo pesante arrivargli addosso e farlo cadere pesantemente nella neve. Si voltò e, con un tuffo al cuore, vide il ronin incombere su di lui. Sollevò appena lo scopletum per sparargli, ma quello glielo strappò di mano con un calcio. Afferrò qualcosa che gli pendeva dal fianco e Publio vide con terrore il bagliore della lama di un lungo pugnale. Il nionico lo impugnò con entrambe le mani e lo sollevò, la punta rivolta verso la gola del romano. Lanciò un urlo lacerante e si preparò a colpirlo, quando fu investito da un violento fascio di luce. Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo stupito e Publio fece appena in tempo a scorgerne i lineamenti, la bocca sporgente, gli zigomi pronunciati e i famosi occhi obliqui. Poi quel volto strano ed esotico scomparve in un fiotto di sangue, mentre dalla stessa direzione da cui era arrivato il fascio di luce echeggiava uno sparo.

Altri spari lacerarono l'aria. Publio si scrollò di dosso il corpo del ronin che gli era caduto addosso e si voltò. Vide due autocinetum romani fermi a poca distanza, sopra e davanti ad essi erano schierati dei legionari intenti a sparare con calma in direzione dei ronin che, vistisi al mal partito, si stavano ritirando nella notte. Cessarono il fuoco solo dopo che questi furono completamente spariti. Publio si alzò lentamente, frastornato, e vide Sesto e un altro legionario andargli incontro.

-Tutto bene, Scipione?- chiese Sesto- C'è mancato poco!

Publio annuì, ma non disse nulla. Sentiva ancora il cuore battergli a mille, per lo spavento che si era preso nell'essersi trovato ad un passo dalla barca di Caronte, ma anche per la velocità con cui si erano svolti gli eventi dopo che lui aveva lanciato la pirobula. Si sfilò l'elmo dalla testa e respirò a pieni polmoni l'aria fredda della notte. Anche il legionario si tolse l'elmo e Publio lo riconobbe subito.

-Centurione Nasica!

-Sta bene, tribuno? Se l'è vista davvero brutta- disse il centurione, accennando con il capo al cadavero del ronin e al pugnale che giaceva poco lontano.

-Voi cosa ci fate qui fuori?

Nasica sorrise.

-Siamo usciti a cercare voi!- rispose- Saremmo venuti prima se non fosse stato per la bufera. Il legato era molto preoccupato dopo quella trasmissione confusa che gli avete inviato!

-Eravamo ancora al villaggio, abbiamo tentato di metterci in contatto con voi, ma la bufera in arrivo faceva interferenza- spiegò Publio- Così ci siamo messi in cammino, ma siamo stati costretti a fermarci in mezzo alla tormenta. Abbiamo ripreso il cammino non appena è cessata. Poi siamo stati attaccati.

Il centurione annuì comprensivamente, poi ordinò ai legionari di risalire sui mezzi e di prepararsi a ripartire.

-Sarà meglio rientrare- disse dando a entrambi una pacca sulla spalla- Voi due sarete stanchi e ansiosi di mettervi al caldo. E credo che per stanotte abbiate avuto abbastanza emozioni!

Publio e Sesto non poterono essere più d'accordo.

************

Okay, chiudiamola qui per il momento, altrimenti diventa davvero lungo!
Che dire... mi sembra di essermela cavata meglio che col precedente capitolo, ma d'altro canto stavolta non ero sotto pressione per l'esame. Inoltre, causa momentaneo guasto del modem, sono stata impossibilitata a cazzeggiare assiduamente su Internet e a pubblicare cavolate su facebook, come mio solito, quindi ho avuto meno distrazioni dalla scrittura. La prima parte, quella ambientata ancora nel villaggio fantasma è quella che mi sono divertita di più a scrivere, mentre non sono troppo sicura della fine. Mi sembra quasi di aver lasciato un discorso in tredici, ma penso comunque di proseguire nel prossimo che sarà un capitolo di collegamento.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** V ***


6 Per il giorno seguente, Plauto Corinno aveva concesso ai due tribuni che aveva inviato in ricognizione un'insolita mattinata di riposo. In questo modo, Publio e Sesto ebbero anche la possibilità di defilarsi dagli assalti dei loro commilitoni, curiosi di sapere da loro quanto era successo oltre il confine e quello che i due tribuni avevano scoperto. Quella mattina, infatti, non si parlava d'altro presso l'avamposto della XXVIII Legione. Quando Publio e Sesto uscirono finalmente dal dormitorio per andare a fare rapporto al legato della legione, nei corridoi che percorrevano il Vallo i legionari li osservavano e se li additavano a vicenda, parlottando sottovoce fra loro e facendo una miriade di improbabili congetture su quello che i due tribuni stavano andando a raccontare a Plauto Corinno. Qualcuno dei centurioni più anziani li salutava adesso con più rispetto di prima; qualunque cosa fosse successa là fuori, Publio Scipione e Sesto Balbo si erano comunque trovati di fronte al nemico e lo avevano affrontato in maniera onorevole, riuscendo a riportare a casa la pelle, e tanto bastava perché si meritassero il rispetto dei veterani. Gli altri tribuni, invece, non si trattenevano e, prima di riuscire ad arrivare all'alloggio di Corinno, Publio e Sesto vennero fermati da almeno una decina di loro per essere tempestati di domande di ogni tipo. Troppo compresi nell'importanza del ruolo che avevano ricoperto e soprattutto consapevoli della gravità della situazione, i due si limitarono a congedarsi garbatamente da ciascuno di loro con frasi del tipo "Non possiamo dire nulla ancora" o, questo il massimo delle informazioni che divulgarono, "Prima dobbiamo parlarne con il legato. Vi farà sapere lui".

-Ci scusi il ritardo, comandante- disse Publio, quando finalmente furono arrivati nel suo ufficio- Siamo stati più volte trattenuti.

Plauto Corinno si concesse un sorriso tirato. Quella mattina sembrava più stanco e più preoccupato del solito.

-Purtroppo le voci si sono diffuse rapidamente- disse- Tra la vostra avventura e l'attacco dei ronin alla legione di Appio Sempronio, quella di ieri è stata una giornata assai intensa.

-Cos'è accaduto?

-Un gruppo di almeno un centinaio di ronin è riuscito ad avvicinarsi al Vallo mentre era in corso la bufera. Quando questa è finite, le sentinelle di Sempronio si sono accorte che erano arrivati quasi ai piedi della fortificazione e hanno dato l'allarme. Pare che questa volta si siano procurati delle artiglierie leggere, perchè hanno lanciato delle pirobule prima di essere respinti.

Publio e Sesto si scambiarono un'occhiata allarmata. Ronin armati pesantemente e appoggiati dai romani stessi! C'era ben poco da stare allegri con quelle due novità! Il loro rapporto avrebbe definitivamente devastato l'umore del legato.
-Ma veniamo a voi- disse Corinno- Che cosa avete scoperto al villaggio?

I due tribuni procedettero a rifergli con ordine quanto era loro successo dal momento in cui erano usciti dalle fortificazioni, fino a quando erano arrivati al villaggio. Della marcia di ritorno non c'era molto da dire e il più il legato lo aveva saputo la sera prima stessa, al loro rientro.

Corinno non sembrò troppo sorpreso quando seppe che i ronin avevano sterminato l'intero villaggio, affermò anzi che se lo aspettava. Quell'anno i mercenari nionici avevano dimostrato di essere molto più determinati del solito ed era evidente che questa volta avevano deciso di non lasciare in vita eventuali informatori che potessero tradire le loro mosse.

Quando però Publio gli riferì del rinvenimento del cadavere del romano, con addosso il frammento della tessera annonaria, il legato sbiancò di colpo e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia dietro la scrivania, come se gli si fosse di colpo fermato il cuore. Con gli occhi sbarrati dallo sgomento e dall'orrore, lesse più volte il rapporto che Publio aveva scritto al villaggio, ed esaminò meticolosamente le fotografie del cadavere, sperando inizialmente di trovare qualche falla che gli consentisse di smentire con certezza le deduzioni del giovane tribuno. Fatica sprecata! Le fotografie parlavano chiaro e il rapporto del giovane Scipione non faceva una piega.

-Per la Triade Capitolina!- mormorò decidendosi finalmente a restituire il palmare a Publio- Che ne avete fatto del cadavere?

-Lo abbiamo nascosto sotto la neve, non c'era modo di seppellirlo più in profondità- rispose Sesto- Speriamo di poterlo recuperare prima della fine dell'inverno e che nel frattempo non lo trovi nessuno.

Corinno si passò una mano sul volto e si grattò la barba, osservando poi corrucciato il nero che si era accumulato sotto le unghie. Devo proprio darmi una sistemata, pensò costernato.

-Quello che avete scoperto è molto grave- disse poi, rivolgendosi ai due tribuni- E io vi pregherei di non farne parola con nessuno, almeno finché non ne avremo saputo di più. Mi raccomando... non scrivetene nemmeno ai vostri padri!

Publio e Sesto gli assicurarono che avrebbero mantenuto il segreto, ma Publio voleva essere sicuro che la sua scoperta non cadesse nelle mani sbagliate. Di Corinno si fidava abbastanza da sapere che non avrebbe lasciato correre, ma sapeva che non sarebbe stato lui ad occuparsene direttame e che avrebbe affidato quel rapporto a qualcun'altro più competente di lui.

-Che cosa farà adesso?- chiese.

Corinno sospirò.

-Normalmente partirei immediatamente per Aleupoli e andrei a consegnare personalmente questo rapporto al governatore- rispose- Solo che nelle attuali condizioni non posso permettermi di allontanarmi dalla sede della mia legione. Coi ronin che minacciano di attaccare da un momento all'altro, non posso assolutamente allontarmi da qui.

Publio annuì, non potendo che essere d'accordo. Anche lui, del resto, aveva seguito lo stesso ragionamento solo il giorno precedente. Prima il pericolo più immediato. Del resto, i congiurati sarebbero rimasti tali anche dopo che loro avessero ricacciato indietro il nemico.

-Quindi, se per te non è un problema, conserverò il tuo palmare al sicuro- disse Corinno tendendo la mano- Te ne farò avere un altro, nel frattempo.

Publio consegnò il palmare con una certa riluttanza. Lì dentro c'erano anche degli appunti un po' personali, seppur innocui, ma si rendeva conto che la salvaguardia dell'unica prova di una congiura in corso nell'Impero doveva essere custodita e preservata a qualunque costo. Così si rassegnò a vedere il suo palmare chiuso nell'arca del legato, cui aveva accesso solo lui.

-Molto bene- disse Corinno chiudendo la cassaforte- Adesso dobbiamo per prima cosa preoccuparci di fare in modo che i ronin non passino di qua. Metterò al corrente tutti, legionari, centurioni e ufficiali, della gravità della situazione, e vi esorto fin da adesso a tenere gli occhi aperti e a fare massima attenzione quando riprenderete servizio stasera. Sono stato chiaro?

Publio e Sesto scattarono sull'attenti.

-Potete andare- li congedò il legato.

Si avviarono entrambi verso la porta, ma Corinno richiamò indietro Publio, dicendo di dovergli comunicare qualcosa in privato. Incuriosito, Publio salutò l'amico e si richiuse la porta alle spalle, tornando poi verso la scrivania del legato.

-Di che si tratta?- chiese.

Il legato tirò fuori da un cassetto un pacchetto di sikari, se ne infilò uno in bocca e lo accese. Tirò una boccata di fumo, quindi si rivolse a Publio.

-Volevo chiederti come se l'è cavata là fuori Licinio Balbo- disse offrendogli il pacchetto- Lui non proviene da una famiglia di militari come noi due e, per quanto si dia da fare qui in guarnigione, avevo ancora qualche dubbio sulle sue capacità come soldato. Tu che ne pensi?

Publio rifiutò il sikar e pensò a come rispondere a quella domanda. Era tipicamente romana la convinzione che le doti e i difetti avessero natura ereditaria. Sesto era figlio di un retore e apparteneva ad una famiglia dell'aristocrazia togata, quindi era difficile che potesse diventare un buon soldato. Anche suo padre la pensava allo stesso modo, e infatti Publio era stato destinato fin dalla nascita ad intraprendere la carriera militare. Publio, però, aveva ricevuto anche l'educazione più aperta e meno rigida di sua madre, e questo lo rendeva meno tradizionalista e meno schematico.

E inoltre, solo la sera prima aveva avuto la prova che i natali di Sesto non gli avrebbero certo impedito di diventare un buon soldato.

-Indubbiamente si troverebbe meglio nell'arena politica- rispose- Con le parole ci sa fare ed ha una notevole capacità di ragionamento. Ma se costretto dalle necessità sono sicuro che saprebbe tirar fuori gli artigli!

Corinno inarcò le sopracciglia.

-Spiegati- disse.

-Ieri, quando quel ronin mi ha quasi ucciso, lui era giù avanti e correva verso gli autocinetum. Quando il centurione Nasica ha fatto accendere i fari, si è voltato per chiamarmi e mi ha visto a terra. Il centurione mi ha raccontato che senza pensarci due volte, si è voltato, ha preso la mira e ha sparato un singolo colpo, centrando in pieno quel ronin.

-Quindi se non fosse stato per lui, a quest'ora non saresti qui a parlare con me- concluse Corinno- Beh... buono a sapersi, perchè in vista di un possibile attacco, sto spostando gli elementi più deboli ai servizi infrastrutturali. Ma se dici che Balbo ha solo bisogno di esperienza e di essere incoraggiato, allora gli affiderò un caposaldo.

Publio sorrise.

-Sono certo che lo apprezzerà- rispose.

*******************

Poco dopo, Publio stava tornando verso il suo dormitorio. Mentre si trovava ancora presso l'ufficio del legato, Corinno aveva comunicato lo stato di massima allerta, riferendo della macabra scoperta fatta dai tribuni Scipione e Balbo al villaggio. Mentre tornava al suo alloggio, quindi, Publio aveva fatto di tutto per evitare di incrociare qualcuno nei corridoi, sapendo che se lo avessero fermato non avrebbe avuto un attimo di pace.

Stava quasi per infilarsi nella porta del dormitorio, quando sentì dei passi affrettati alle sue spalle e subito capì che il suo intendo di passare inosservato era miseramente fallito.

-Giulio Scipione!

Publio si rassegnò a richiudere la porta del dormitorio e si voltò, trovandosi davanti Gaio Adriano Rufo. Rufo era il più giovane dei tribuni della legione, aveva da poco compiuto diciassette anni, e sembrava essere stato arruolato per errore. Spesso distratto o disattento, se ne stava sempre per i fatti suoi a leggere, leggeva di tutto!, e quando cercava di impegnarsi per eseguire i suoi doveri diventava così nervoso da peggiorava solo la situazione. Due mesi prima, quando si era ritrovato di turno presso un osservatorio, aveva fatto scattare per due volte l'allarme, credendo di aver intravisto del movimento sospetto oltre il confine. La cosa peggiore era che nella seconda occasione aveva anche fatto sparare le artiglierie dell'osservatorio senza aver prima ricevuto l'ordine dal legato. Insomma, era proprio negato per la vita militare ed era sicuramente uno degli elementi che Corinno voleva togliere dai posti di responsabilità in vista di un imminente attacco.

Publio lo salutò cordialmente. Al contrario degli altri tribuni, cercava di non isolarlo. Rufo poteva non essere tagliato per fare il soldato, ma aveva certamente altri pregi. Nonostante la tendenza ad agitarsi facilmente, era un ragazzo sveglio e di spiccata intelligenza, con un notevole talento nell'uso dei computatori. Il legato Corinno, per quanto non lo ritenesse all'altezza di ricoprire il grado di tribuno, non aveva potuto fare a meno di lodarlo quando aveva potenziato i computatori degli osservatori munendoli di microfoni vettoriali, cosicché le sentinelle potessero sentire oltre che guardare lontano. A Publio, da parte sua, non dispiaceva discutere con lui. Condividevano entrambi l'interesse per le culture d'oltreconfine, anche se ovviamente Publio trovava più confacente alla sua persona e al suo carattere quella nionica, mentre Rufo prediligeva la sinoica, più portata verso la filosofia e le scienze. In ogni caso, sedere per un'ora a parlare con lui era una piacevole distrazione, specie in un posto come quello, dove di distrazioni ce n'erano poche e vi abbondava invece la tensione.

-Scusa se ti ho fermato, probabilmente vorrai andare a riposare- disse Rufo con aria di scusa e sempre educato e discreto.

-Ho già dormito abbastanza- rispose Publio- Dimmi pure, Rufo.

-Beh... in realtà, volevo chiederti di quello che è successo ieri sera... ma immagino che sarai stufo di sentirti fare sempre le stesse domande.

Publio sorrise e decise che per Rufo avrebbe fatto volentieri un'eccezione. Inadeguato com'era in quell'ambiente, sapeva di essere nettamente inferiore ai suoi commilitoni e di essere condannato a vivere alla loro ombra finché avesse indossato il paludamentum. Insomma, l'unico modo che aveva per conoscere le glorie militari era di viverle ascoltando le esperienze altrui, perchè difficilmente ne avrebbe ottenute di personali.

-Vieni a sederti in dormitorio- lo invitò Publio riaprendo la porta- Preferisco starmene comodo mentre racconto.

*******************

Okay, non èun granchè e l'ultimo pezzo non mi piace proprio per niente. Solo che mi serviva un capitolo di collegamento fra il precedente e quanto spero di riuscire a pubblicare la sera/notte del 24 Dicembre... esatto, proprio la Vigilia di Natale!!! L'idea me l'ha data una "collega scrittrice" che l'anno scorso ha fatto esattamente la stessa cosa. E devo dire che è stata una piacevole sorpresa arrivare a casa alle cinque del mattino e trovare l'aggiornamento (anche se in quel caso l'aspettativa aveva raggiunto un livello notevole).
Quanto all'ultimo pezzo del capitolo, ripeto, non mi piace per niente, ma Adriano Rufo è un personaggio che intendo sviluppare per benino in seguito (anzi, nel seguito!) e per esigenze narrative dovevo farlo prima che... okay, basta o vi rovino la sorpresa!
Insomma, spero di riuscire a fare meglio con il prossimo capitolo e che lo spirito dei Saturnali (la festa romana in seguito sostituita col Natale) mi ispiri! A presto!

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Capitolo 7
*** VI ***


7 Salve a tutti e Buon Natale! Alla fine non sono riuscita a farcela per la notte di Natale, ma grazie al fatto che quest'anno non sono uscita dopo la mezzanotte, ho potuto scrivere fino alle tre di notte dopo che il resto della famiglia si era abbandonato tra le braccia di Morfeo! Insomma, stanotte il più del capitolo era pronto e occorrevano solo gli ultimi rintocchi e l'ultima parte, di cui però mi sono potuta occupare solo stasera, quindi... eccolo qua!
Vorrei premettere che questo è il primo capitolo d'azione (o di semi-azione, direi io, e presto capirete perchè!) che scrivo e che nella prima parte ho avuto qualche difficoltà di assestamento (credo che nella seconda si noti almeno un minimo di miglioramento), quindi tenetene conto e fatemi sapere. Io stessa sono certa di poter fare di meglio con un po' di pratica.

**************

Giunse finalmente il giorno in cui i ronin, prima dell'alba, diedero inizio alla loro preannunciata offensiva, scatenando un assalto in grande stile lungo tutto il Vallo di Alasia. Nel settore della XXVIII Legione di Plauto Corinno si iniziò in piena notte con lanci di bombe, dapprima diretti solo verso l'estremità del settore di Appio Sempronio. Negli osservatori e nelle postazioni, i legionari si guardavano in silenzio, tenendosi lontani dalle feritoie, completamente coperti dall'armatura, lo sclopetum in spalla e i comparti della corazza pieni di munizioni.

Publio, che dopo la tanto chiacchierata ricognizione nella terra di nessuno insieme a Sesto aveva iniziato a coprire i turni di notte, si trovava all'interno di uno degli osservatorii all'estremità del loro settore di competenza quando aveva avuto inizio l'attacco. Corinno gli aveva assegnato quella postazione in modo permanente, ritenendola di grande responsabilità e adatta ad un giovane ufficiale competente come lui. Per ravvivare un po' l'atmosfera, aveva inizialmente cercato di scherzare coi legionari facendo qualche battuta, ma i sorrisi si spegnevano facilmente sui loro volti. Quegli uomini erano dei veterani e si erano trovati lì presso il confine negli anni passati. Sapevano che li attendeva una giornata dura e che avrebbero dovuto lottare duramente per respingere l'attacco del nemico.

Improvvisamente il bombardamento sembrò aumentare di intensità, ma stavolta parte delle pirobule passava sopra le loro teste e siandava a schiantare fuori dalle feritoie.

-Devono essere le nostre artiglierie pesanti, dietro il Vallo!- disse Publio.

Fu solo verso l'alba che le artiglierie di entrambe le parti tacquero. I romani, rintanati nelle loro postazioni fortificate, ebbero appena il tempo di tirare un sospiro di sollievo e di lasciar passare il rimbombo delle esplosioni dalle loro orecchie, che i nionici diedero inizio all'assalto vero e proprio e si lanciarono contro il confine fortificato. Publio e i suoi osservatori si erano posizionati alle feritoie e ai computatori subito dopo la fine del bombardamento e li individuarono immediatamente. Publio ordinò al centurione di mettersi in contatto con tutte le postazioni difensive dipendenti dal suo osservatorio e di dare l'allarme, che si tenessero pronti a respingere l'attacco. Il centurione stette con il ricevitore in mano, in attesa di ricevere dal giovane tribuno l'ordine di aprire il fuoco per tutte le postazioni. Ma l'ordine non venne.

-Tribuno, non spariamo?- chiese allora il centurione.

-Non tocca a noi- rispose Publio- Guarda là fuori.

Il centurione corse a guardare fuori dalla feritoria. I ronin venivano avanti in silenzio, correndo curvi, senza gridare, ma solo sparando brevi raffiche verso le feritoie. Inizialmente Publio si era aspettato un assalto frontale, ma adesso il nemico stava deviando decisamente a sinistra, verso i capisaldi laterali di Appio Sempronio.

-Vogliono infilarsi nella valletta- affermò il centurione.

I due ufficiali e i legionari che erano con loro li osservarono trepidanti, in attesa di vedere che cosa sarebbe successo. I ronin vennero avanti decisi, poi le mitragliatrici dei commilitoni oltre la valletta aprirono il fuoco e li investirono. Alcuni ronin caddero nella neve, altri per un momento si dispersero, poi, incitati dai più decisi e temerari, ripresero l'avanzata e riuscirono ad arrivare ai piedi del Vallo, defilandosi. Publio decise di prendere l'iniziativa.

-Centurione, ordina alla postazione IV di aprire il fuoco a sinistra della sua posizione... livello terra... tre quarti di miglio circa!- ordinò.

Il centurione corse nuovamente al dictor e trasmise l'ordine. La mitragliatrice di una delle postazioni sottostanti iniziò poco dopo a crepitare in direzione dei ronin che si erano defilati. Ma il tiro non era molto efficace, come poté constatare Publio con una certa delusione. I ronin se ne stavano appiattiti contro il muro di cemento e i proiettili vi rimbalzavano contro. Qualche pallottola, però, dovette arrivare a destinazione, perchè attraverso il binoculo vide un paio di ronin cadere nella neve e gli altri cercare di nascondersi.

-Dovrebbero far saltare le mine- disse un legionario.

Publio scosse la testa. Appena un paio di giorni prima, i legati delle legioni avevano dato ordine, dietro sollecitazione del comandante Valerio Massimo, di rimuovere le spolette alle mine poste vicino alla base del Vallo e di sostituirne con inneschi a distanza. L'idea era di lasciar credere ai ronin che i varchi da loro aperti giorni prima non erano stati scoperti e di far esplodere le cariche solo qualora ai piedi del Vallo il nemico fosse riuscito ad ammassarsi.

-Sono ancora in pochi e intrappolati- disse Publio- Non vale la pena sprecare l'effetto sorpresa per un nemico ormai inoffensivo.

Passarono le ore, e i ronin non sembravano intenzionati a riprendere l'attacco. Quelli inchiodati sotto al Vallo tentavano di tanto in tanto di muoversi, probabilmente per scappare, ma raffiche di mitragliatrice provenienti ora da entrambi i lati, li costringevano a rimettersi al riparo. Nello schieramento delle artiglierie nioniche, da dove era partito quel primo assalto, nessuno accennava a muoversi. Le sentinelle romane potevano vedere i ronin muoversi intorno alle loro artiglierie leggere, correre avanti e indietro e parlare concitatamente fra loro, ma non erano in grado di intuirne gli intenti.

Poi, improvvisamente, dalla cima del Vallo cominciarono a piovere sui ronin altre pirobule. Le artiglierie romane poste sulla sommità della grande opera di fortificazione caddero sul nemico con una precisione tale da costringere il nemico a ripiegare ad una distanza di sicurezza, trascinando indietro anche le artiglierie leggere.

Publio sospirò pesantemente.

-È andata... almeno per il momento- disse- Centurione, comunica al pretorio che lo schieramento nemico di fronte al nostro osservatorio sta ripiegando e che l'assalto è stato respinto... seppur dalla legione di Appio Sempronio.

Il centurione annuì con un gesto secco del capo e si affrettò ad eseguire l'ordine.

Il resto della giornata passò tranquillamente, senza attacchi da parte dei ronin. Nonostante ciò i romani rimasero in stato di massima allerta e non si mossero dalle loro postazioni. Il rancio serale venne consumato lì e non venne dato il cambio, perchè tutti gli uomini di riserva erano distaccati ai servizi di vettovagliamento e alle comunicazioni; i dictor e le ricetrasmittenti della legione, infatti, avevano subito un uso intensivo nel corso della giornata. L'intera legione, insomma, era mobilitata e tutti sapevano che quella notte nessuno di loro, a cominciare dallo stesso Corinno, avrebbero avuto riposo. I ronin, d'altronde, non si erano spostati dalla posizione di ripiegamento, e questo poteva solamente significare che il piccolo attacco di prima non era che una prova, atta a saggiare il terreno e le capacità combattive dei romani.

Publio stava finendo di mangiare la sua cena che, nella concitazione della giornata, era arrivata all'osservatorio completamente gelata, quando venne Giunio Attico a dargli inaspettatamente il cambio, dicendo che veniva dal pretorio e che il legato Corinno voleva vederlo.

Quando arrivò al pretorio, c'erano già anche altri tre tribuni e nei loro volti stanchi e tirati dalla preoccupazione Publio riconobbe facilmente se stesso. Strinse la mano a Sesto, che si trovava anche lui lì, e scambiò qualche cenno di saluto con gli altri, prima che Corinno li richiamasse all'ordine e prendesse la parola.

-Vi ho convocati qui per consegnarvi gli ordini di smobilitazione- annunciò, catturando immediatamente la loro attenzione- Meno di un'ora fa ho ricevuto un dispaccio firmato da Decimo Valerio Massimo in persona, che comunica lo scoppio di una rivolta nei principali centri abitati dell'Alasia, Aleupoli compresa. Quello che da tempo si temeva è accaduto, temo. Una guerra civile è scoppiata nella provincia, e non è un caso che i ronin abbiano dato inizio all'attacco proprio oggi.

I tribuni si scambiarono occhiate sconvolte e preoccupate. Adesso il nemico era dunque anche alle loro spalle? E perchè adesso venivano smobilitati?

-Il motivo per cui vi mando via da qui è perchè proprio oggi Valerio Massimo ha preso sotto il suo comando la XIV Legione Britannica, appena giunta da Magna Castra. La legione manca di ufficiali che conoscano il territorio, mentre voi avete già acquisito almeno un minimo di esperienza con il territorio alasiano- Corinno pronunciò quelle ultime parole rivolgendosi in particolare a Publio e a Sesto- Ad ogni modo, non dovrete partire subito, la legione non è ancora arrivata, anche se Valerio Massimo ne ha formalmente preso il comando. Tenetevi pronti, quindi, e nel frattempo tornate ai vostri posti. Potete andare.

**************

-In che brutta storia siamo venuti a trovarci, Scipione!- commentò Sesto mentre tornavano verso le loro postazioni- Finché si trattava di combattere contro i ronin, non avevo alcuna remora morale, ma adesso? La XIV Legione verrà schierata contro i rivoltosi, contro la nostra stessa gente, capisci?

Publio sospirò. Era pienamente d'accordo con l'amico, ma temeva che loro due fossero fra i pochi a pensarla in quel modo. Per molti di quelli che a Roma sedevano in Senato e decidevano delle sorti di quell'immenso impero che Roma si era costruita attorno nel corso di millenni, cittadini romani erano solo quelli che vivevano nell'Urbe, o al massimo in Italia e nelle province limitrofe. In tutto il resto del territorio imperiale vi erano solo altre due categorie di individui: i latini coloniari e gli indigeni, e neanche i primi potevano osare paragonarsi ai cittadini romani, anche se pagavano le tasse e contribuivano attivamente alla prospeità dell'Impero. E se gli uni o gli altri osavano sfidare il potere dei romani, allora andavano dichiarati nemici di Roma e annientati.

-Preferirei di gran lunga rimanere rinchiuso qui- borbottò Sesto.

-Cerchiamo di non vederla così male, Balbo- rispose Publio- L'idea di sparare contro della gente che in fondo è romana quanto noi mi disgusta, ma sono certo che si arriverà ben presto ad una soluzione. So che Livio Druso, il governatore, è un uomo giusto e ragionevole, e di mentalità affatto stretta per quanto riguarda l'argomento della cittadinanza.

Publio non aveva mai incontrato di persona il governatore dell'Alasia, ma suo padre e Livio Druso si erano frequentati un tempo e suo padre gliene aveva parlato bene.

Poco dopo, i ronin ripresero a sparare con le artiglierie. Ormai era buio e dalle feritoie filtrava solamente la luce pallida della luna. Nelle postazioni i romani stavano al buio; niente luci, per non dar modo al nemico di avere un obbiettivo chiaro da prendere di mira. Anche i monitor dei computatori erano illuminati il minimo indispensabile per renderli utilizzabili, ma per il resto i legionari si muovevano nelle casematte per istinto, perché avevavo vissuto lì abbastanza tempo che non avevano bisogno degli occhi per interagire con il piccolo ambiente.

Publio ebbe una nottata impegnativa. Le artiglierie e le postazioni difensive poste sotto la sua gestione avevano l'ordine di non rispondere al fuoco per il momento, ma nell'osservatorio l'attività ferveva inarrestabile. Le sentinelle scrutavano la pianura innevata dalle feritoie e attraverso i computatori di sorveglianza. Gli addetti alle comunicazioni diramavano rapporti sulla sorveglianza e ricevevano rapporti dalle varie postazioni. Publio si divideva fra tutti questi compiti e addirittura contattava le postazioni per assicurarsi che avessero il pieno di munizioni. Non sarebbe rimasto lì a lungo, ma finché era lì era intenzionato a darsi da fare, perché non si dicesse che aveva lasciato la sua legione con un buco nella formazione!

Il centurione gli portò da bere una tazza di kave, che lui accettò con gratitudine, e gli offrì un sikar, che rifiutò con garbo. Stettero insieme davanti alla feritoia principale, parlando a bassa voce, poi d'un tratto entrambi sentirono qualcosa di fronte a loro, fuori. Prima che potessero mettere mano ai binoculi, intravidero anche dei movimenti nel buio. Il cielo totalmente sgombro e la luce chiara e intensa della luna rendevano particolarmene facile, quella notte, il compito degli osservatori. Publio guardò a lungo davanti a se, a occhio nudo e poicon il binoculo, e quello che vide non gli piacque per niente. C'era molto movimento nello schieramento nionico e questo non prometteva nulla di buono. Stavolta attaccano proprio noi!, pensò. Senza pensarci due volte, ordinò di allertare tutte le postazioni.

Per un attimo calò il silenzio. Ma non il silenzio tipico della notte, il silenzio dell'ambiente addormentato e tranquillo, ma un silenzio carico di tensione... un silenzio che preannunciava l'arrivo di qualcosa di grave.

E infatti, poco dopo si sentì la voce di qualcuno che sembrava volesse incitare un gruppo di persone e subito dopo i ronin uscirono di nuovo all'assalto. Le armi romane aprirono prontamente il fuoco e Publio tirò un sospiro di sollievo. Efficaci come sempre. Le artiglierie leggere in cima al Vallo sparavano a distanza ravvicinata rispetto al confine per creare uno sbarramento. Quando poi entrarono in azione anche quelle pesanti della retroguardia, Publio sorrise di cuore, profondamente sollevato. Se quelli di Appio Sempronio erano riusciti a fermarli, allora ci sarebbero riusciti anche loro.

I nionici avanzavano di corsa, sparando, si gettavano a terra, poi si rialzavano e riprendevano a correre verso di loro. Era chiaro che il loro obbiettivo era ammassarsi ai piedi del Vallo per poterlo poi superare in qualche modo. Lo scorso anno erano quasi riusciti a scalarlo. Chissà che cosa avevano escogitato stavolta. Improvvisamente, a Publio tornò in mente l'informatore romano al villaggio aleutino. Che cosa poteva aver svelato quel traditore ai ronin? Forse quell'uomo era a conoscenza dei piani strutturali dell'immensa opera di fortificazione e li aveva passati al nemico? O, chissà, forse era lui che aveva lavorato troppo di fantasia. Magari quel tizio non era neanche romano e fungeva solo da collegamento tra i rivoltosi alasiani e i ronin. In ogni caso, si ammonì, non era il momento per pensarci. Adesso il suo compito era solo quello di respingere i ronin e fino a quel momento i legionari sotto il suo comando stavano facendo un buon lavoro, perchè il nemico non era nemmeno riuscito ad arrivare in prossimità del campo minato. Alla luce della luna che filtrava dalle feritoie, vide i volti dei legionari osservatori all'opera; lavoravano di buona lena, ma erano più rilassati di prima ora che la situazione sembrava volgere a loro favore.

Anche i ronin si resero conto che da lì non sarebbero passati e, ancora una volta, deviarono a sinistra verso l'insenatura che interrompeva la continutà della fortificazione. Lì era difficile scorgerli e colpirli; avrebbe dovuto esserci un campo minato, ma l'ordine di far saltare le cariche esplosive non venne. Publio fece spostare lateralmente il tiro delle postazioni, poi si attaccò al dictor per far accelerare il carico delle munizioni sui montacarichi diretti alle sue postazioni. Quando tornò alla feritoia principale, era calato nuovamente il silenzio; solo poche e sporadiche raffiche si udivano fra la sua posizione e il settore di Appio Sempronio. Nello schieramento nionico tutto taceva e la piana fra questo e il Vallo era sparsa di cadaveri e di feriti degli aggressori. Qualcuno di loro si lamentava, altri cercavano di trascinarsi indietro, verso i loro compagni. 

Anche questa volta è finita, pensò Publio, stupendosi come una situazione come quella che aveva appena vissuto avesse potuto sfiancarlo peggio di un combattimento vero e proprio. Tutto quello che aveva fatto nel corso della giornata, del resto, era stato di starsene lì a osservare il movimento del nemico, a riferire cifre di posizioni e distanze alle postazioni e assicurarsi che sparassero dritte al bersaglio. La tensione, lo sforzo mentale necessario a mantenere la concentrazione e anche una notevole dose di paura, paura di vedere i ronin riuscire nel loro intento, lo avevano stancato quasi avesse combattuto in campo aperto, correndo qua e là.

Ma non era finita. Publio stava per allontanarsi dalla feritoia per sedersi un momento, quando la porta dell'osservatorio si aprì ed entrò lo schiavo personale di Plauto Corinno.

-Tribuno Scipione?- chiese, intimidito dai legionari.

-Sono qui- rispose Publio ragiungendolo.

-Il mio padrone vuole vederti.

-Di nuovo?

Lo schiavo scrollò le spalle e scosse la testa. Non sapeva perchè il padrone chiedeva di Giulio Scipione, era stato solo mandato ad avvertirlo. Publio si rassegnò a seguirlo, dopo aver affidato il comando al centurione.

Nel pretorio, Corinno sedeva alla scrivania, pallido e con gli occhi infossati. Nella sua persona si accumulava e si rifletteva la stanchezza di tutta la legione. Sembrava sul punto di crollare per la fatica.

-Ah, Scipione, sei qui! Bene!- disse vedendolo- Ascoltami bene, da questo momento in poi Attico prende il tuo posto all'osservatorio.

-Devo già partire?- chiese Publio stupito.

-No, non ancora. Ho solo bisogno che tu prenda degli uomini dalla riserva e vada ad appostarti nelle postazioni scoperte nella valletta, accanto agli uomini di Sempronio- disse- Qualcuno di quei bastardi è riuscito a infiltrarsi e bisogna stanarlo e ricacciarlo indietro o toglierlo di mezzo prima che provochi una bella breccia.

-Va bene- rispose Publio annuendo- Mi hai fatto chiamare solo per questo?

Corinno fece un sorriso che somigliava più a una smorfia. Poi gli porse il palmare che teneva sulla scrivania. Publio lo riconobbe immediatamente.

-Volevo riconsegnarti questo. È possibile che ti capiti di passare da Aleupoli nei prossimi giorni- disse- Se ne hai la possibilità, sai a chi consegnarlo. Preferivo dartelo in privato, visto che quando partirete verrò a salutarvi tutti insieme.

Publio annuì e infilò il palmare sotto la corazza.

-Bene, legato- rispose- Ora vado... spero non faccia troppo freddo là fuori!

Corinno si alzò e, inaspettatamente, tese la mano al giovane tribuno che, dopo qualche esitazione gliela strinse.

**************

Le postazioni romane nella valletta fra i capisaldi di Plauto Corinno e Appio Sempronio erano costruite su un terrapieno più basso rispetto al Vallo e, salvo le casematte per le mitragliatrici, erano allo scoperto e pericolosamente esposte agli attacchi nemici. I ronin lo sapevano e non a caso avevano concentrato lì i loro sforzi nei due attacchi lanciati in una sola giornata. Solo la perizia dei romani che occupavano le postazioni fortificate ai due lati dell'insenatura aveva impedito che quella breccia naturale venisse forzata. Pochi ronin, tuttavia, erano riusciti ad infiltrarsi, ma avevano incontrato la resistenza dei legionari appostati in fondo alla valletta che, proprio perchè più esposti, avevano combattuto con maggiore accanimento. L'arrivo del tribuno Publio Giulio Scipione e dei suoi legionari di rinforzo venne accolto con favore dagli altri legionari presenti e dal centurione che li comandava. Più uomini significava più volume di fuoco, e quindi meno possibilità per i ronin di forzare il blocco.

-Lieto di cederti il comando, tribuno- disse il centurione- Come vanno le cose in prima linea? Qui dietro siamo più isolati.

-Fin'ora abbiamo respinto due attacchi- rispose Publio- Non avete neanche un dictor, centurione?

-Ce lo avevamo, ma l'ultimo bombardamento ha dannegiato i cavi che lo collegavano alla centralina all'interno del Vallo. E i caricatori della ricetrasmittente si sono esauriti e non ce ne sono altri disponibili. Adesso uno dei miei legionari più giovani fa da staffetta.

Così dicendo, il centurione additò un giovanissimo legionario che gli stava praticamente attaccato alle spalle, come in attesa di suoi ordini. Doveva avere appena sedici anni, solo un paio d'anni meno di Publio. Una differenza pressoché nulla in quelle circostanze. Ma tu sei nato nobile, Scipione, si ricordò mentalmente Publio. E hai quindi diritto ai gradi e a rivestire un ruolo di comando. Quel ragazzo, invece, si era probabilmente arruolato per non morire di fame. Adesso era lì e aveva certamente la pancia piena... ma rischiava di morire ucciso da quei ronin di cui tutti parlavano lì, ma che quasi nessuno aveva mai visto realmente in faccia, tanto che Publio, essendosi trovato corpo a corpo con uno di essi, che lo stava per infilzare con una spada corta, era diventato una specie di leggenda. Era uno dei pochi legionari romani in forza al Vallo di Terranova che avesse guardato il nemico negli occhi mentre lo affrontava.

-Attenzione, pirobula!

L'urlo di uno dei legionari riscosse immediatamente Publio dalla momentanea distrazione. I ronin avevano ripreso ad attaccare, fermamente intenzionati a varcare i confini dell'Impero di Roma. Avevano anche allungato il tiro delle loro artiglierie e Publio se ne rese conto quando sentì l'urlo del centurione e un'assordante esplosione sopra la propria testa. Qualcosa colpì con violenza il suo elmo, sabbia e neve gli rimbalzarono addosso. Rimase per un momento stordito, senza capire che cosa era accaduto di preciso, poi sentì qualcuno gridare vicino a lui. L'optio, l'attendente del centurione e suo sostituto in caso di sua morte, giaceva a terra, urlando di dolore, con un braccio squarciato e quasi pendente dal gomito. Venne subito soccorso da due dei legionari appena arrivati. Quando era andato a scegliere fra i riservisti gli uomini da portare con se, Publio aveva ritenuto opportuno prendere anche due barellieri che potessero all'occorrenza prestare soccorso ai feriti, prima di mandarli all'ospedale da campo dietro il Vallo. Mentre il ferito veniva medicato alla meglio, quel tanto da consentirgli di sopravvivere fino all'arrivo in ospedale, Publio si guardò intorno e capì cos'era successo. Una pirobula nionica era esplosa proprio sopra le loro teste, ma solo l'optio era rimasto ferito.

Il bombardamento, d'altro canto, cessò in fretta e la notte tornò ad essere silenziosa. Ma Publio non era affatto tranquillo. La presenza di qui ronin infiltrati lo metteva in apprensione. Quegli uomini erano estremamente pericolosi, proprio perchè erano in pochi. Col favore delle tenebre, avrebbero potuto superare le loro postazioni e penetrare il Vallo, andando a svegliare gli imboscati delle retrovie che in quel momento, sicuramente, dormivano della grossa. Ma nulla di tutto questo accadde, perché venuto a conoscenza dell'infiltrazione, Appio Sempronio decise di mandare fuori nella valletta una centuria di esploratori. Ben presto, si sentirono spari isolati e raffiche di sclopetum a poche miglia di distanza, verso il ponte coperto. Gli esploratori non avevano tardato a trovare i ronin e adesso stavano dando battaglia.

D'un tratto, Publio si accorse che stava incominciando l'alba. Il sole cominciava a rischiarare lentamente la valletta, riflettendosi sempre più intensamente nel bianco della neve. Publio aveva assistito più volte all'alba sul confine, ma era sempre avvenuto al chiuso delle postazioni fortificate. Lì all'aperto era tutta un'altra cosa, pensò! Deltro al Vallo, giorno e notte non avevano alcun significato. Lì fuori, invece, Publio si stava rendendo pienamente conto dell'inizio del nuovo giorno, e questo gli fece ricordare l'estrema stanchezza che l'aveva preso dopo la fine del secondo attacco. Adesso sentiva le palpebre farsi pesanti e gli occhi bruciare e lacrimare per il sonno. Da due notti e due giorni non dormiva, aveva anche molta fame, ma non poteva soddisfare nessuno di quei due bisogni. C'erano ancora tante cose da fare, e il pericolo rappresentato dai ronin non era certo finito.

Per tenersi occupato, controllò la riserva delle munizioni e mandò il giovane legionario sedicenne a chiederne delle altre. Mandò anche a chiedere il cambio per i legionari del centurione, che erano lì da due giorni ininterrotti. Le munizioni arrivarono e il cambio anche, ma il centurione volle restare lì per aiutarlo e Publio non fece obiezioni. Rimase con lui in una delle casematte, ad osservare la valletta che si stendeva di fronte a loro, fiancheggiata dalle mura del Vallo, e ad ascoltare il rumore del combattimento degli esploratori contro i ronin infiltrati. Con il sorgere del sole, la visibilità era notevolmente aumentata, e fu così che guardando più attentamente davanti a se Publio si accorse di due ronin che stavano nascosti poco lontano dalla casamatta, praticamente sepolti nella neve. Dovevano essersi sganciati dagli esploratori durante la notte e aver tentato di superare il confine, poi l'inizio del nuovo giorno li aveva costretti a trovare un riparo e, dal momento che l'unico era la neve, vi si erano infilati.  Dopo un po' che li osservava, i due si resero forse conto di essere stati scoperti e si mossero; uno scattò in piedi e si mise a correre verso l'uscita della valletta. Publio imbracciò lo sclopetum, prese la mira e sparò. Lo vide cadere di schianto nella neve. L'altro ronin, che si era alzato per seguirlo, tornò a gettarsi nella neve e, poiché il suo kimono era completamente bianco, Publio lo perse di vista.

-Si muove! È ancora vivo!- gridò improvvisamente il centurione.

Publio guardò esterrefatto l'uomo a cui poco prima aveva sparato scattare di nuovo in piedi e rimettersi a correre. Il centurione imbracciò a sua volta la sua arma e sparò. Publio vide il nionico cadere di nuovo nella neve, ma stavolta non rimase immobile; prese a contorcersi e a cercare di trascinarsi, macchiando di rosso la neve sotto di se, poi si fermò definitivamente. Il suo compagno tentò una seconda volta di scappare, ma una raffica di colpi lo costrinse a rimettersi nuovamente al riparo. Publio mandò la staffetta al settore di Appio Sempronio, per avvertire gli esploratori. Ci avrebbero pensato loro a stanarlo e a catturarlo.

Trascorse altro tempo e il sole era ormai alto, quando improvvisamente l'ira di Giove parve abbattersi su tutto il Vallo di Alasia. Publio sentì un gran boato e la terra sotto i suoi piedi tremare. Alzò lo sguardo e vide grosse scie di fuoco solcare il cielo e andare ad abbattersi contro i due lati del Vallo di Alasia e su di loro. I legionari si gettarono tutti a terra o si accalcarono nelle casematte, mentre intorno a loro si susseguivano le esplosioni. Accucciato a terra, in poco spazio, Publio sollevò lo sguardo verso il centurione; la visiera del suo elmo era alzata e nei suoi occhi Publio vide il suo stesso terrore. Questi, riuscì solo a pensare, Sono missili! Come fanno i ronin ad avere un armamento simile?!

Alla prima raffica ne seguì un'altra, poi un'altra ancora, e ogni volta i legionari furono costretti a gettarsi nelle trincee in preda al terrore, ogni volta Publio trattenne il fiato di fronte a quella assurda potenza di fuoco. Quella era la prima volta che assisteva all'azione di un lanciamissili. Era spaventoso e loro che si trovavano lì allo scoperto dovevano ringraziare gli dei se nessuno di quegli ordigni li aveva centrati in pieno.

Finalmente l'artiglieria romana rispose al fuoco. Poi tornò in silenzio, ma durò poco. Lì, nella profondità della valletta, Publio era relativamente isolato dal resto del fronte, per cui venne a sapere solo più tardi i dettagli di quel che accadde dopo quella spaventosa e del tutto imprevista salva di artiglieria lanciamissili. Sperando di aver abbastanza stordito i romani, i ronin lanciarono un nuovo assalto, stavolta con tutta la fanteria a loro disposizione. Inevitabilmente, stavolta furono molti di più quelli che riuscirono a superare lo sbarramento di fuoco del Vallo e ad imboccare l'accesso all'insenatura, superando anche il ponte coperto, che aveva subito danni dai missili. Publio, però, aveva sentito l'inizio dell'attacco in anticipo e aveva avuto tutto il tempo di disporre e di preparare i suoi uomini, dandolo loro l'ordine di non sparare fino al suo segnale. Voleva contrattaccare il nemico ad una distanza ravvicinata, dove il volume di fuoco delle sue armi avrebbe avuto un effetto micidiale.

I ronin attraversarono l'insenatura e rimasero stupiti dalla mancanza di reazione da parte dei romani, fra l'altro ben mimetizzati nelle loro postazioni. Dopo qualche esitazione, si deciso ad avanzare, seppur mantenendo una certa cautela. Ma nello spazio stretto fra i due lati del Vallo, i legionari di Publio erano in netto vantaggio. Publio attese che si avvicinassero abbastanza, poi:

-Fuoco!- gridò.

La prima a sparare fu una mitragliatrice. Una breve raffica, poi improvvisamente spararono tutte le armi romane presenti nella valletta, comprese le piccole artiglirie portatili. I ronin non ebbero neanche il tempo di stupirsi per quell'improvvisa reazione che furono investiti da un'impressionante pioggia di fuoco. La loro avanguardia venne rapidamente sterminata, mentre quelli che si trovavano più indietro al momento del contrattacco per un attimo si fermarono, indecisi sul da farsi, poi, contro ogni regola d'onore alle quali in genere si attenevano fanaticamente, batterono in ritirata, anche se sapevano che difficilmente sarebbero riusciti a mettersi al riparo e a tornare al loro schieramento.

-Cessate il fuoco! Basta così!- ordinò Publio.

Le armi tacquero e lui tirò un sospiro di sollievo. C'era mancato davvero poco, stavolta! I ronin erano così tanti che, se non fosse stato per i commilitoni su al Vallo che li avevano rallentati, consentendogli di preparare l'imboscata, avrebbero ben potuto sfondare il confine. Rimase a guardare attonito i cadaveri che si erano ammucchiati di fronte alle loro postazioni, e pensò a quanti altri ne dovevano essere rimasti più avanti, davanti e ai piedi del Vallo. Se qualcuno era riuscito a sopravvivere, ci avrebbero pensato gli esploratori alla prossima spedizione.

Doveva essere a dir poco terrificante avanzare correndo e sparando in quel modo, alla luce del sole, in una pianura, senza alcun tipo di riparo, con proiettili e pirobule che volavano in ogni direzione e colpivano pressoché a caso. Nessun comandante romano, non uno che avesse un minimo di buon senso avrebbe mai ordinato un'azione simile. Solo i nionici potevano osare tanto e, per quanto lo considerasse stupido e privo di senso, Publio non riuscì a fare a meno di ammirare il coraggio di quegli uomini che ora giacevano morti nella neve, davanti a lui che in fondo, fino a quel momento, aveva combattuto da fermo e relativamente al sicuro delle postazioni.

-Scipione?

Publio si riscosse e distolse lo sguardo dai nemici morti per ritrovarsi davanti Giunio Attico, che sorrise con un misto di pietà e di comprensione nel vederlo ridotto ad uno straccio, sporco e stravolto dalla fatica. Gli batté una mano sulla spalla e gli fece cenno di togliersi l'elmo.

-Sono venuto a darti il cambio- disse- Tu e gli altri partirete fra poco e Corinno vi vuole riposati per allora. Vai, su! E che la Fortuna ti assista se non dovessimo rivederci!

Publio annuì in silenzio, troppo stanco per parlare, e si avviò verso il camminamento che conduceva su alle fortificazioni del Vallo. Prima che lo imboccasse, il centurione gli andò incontro per stringergli la mano e qualcuno dei legionari si batté il pugno destro sul petto.

***************

Ufff... finito! Accidenti non avrei mai creduto che fosse così difficile scrivere un pezzo improntato alla descrizione di una battaglia, soprattutto se si è abituati ai dialoghi o alla narrazione di eventi più tranquilli. A un certo punto, fra l'altro, ho dovuto inserire una parte narrativa, non solo per esigenze di trama, ma perchè io stessa sentivo il bisogno di fare una pausa e riordinare le idee. Tutto questo alle tre della notte di Natale! Insomma, mi sono stancata come il povero Publio (beh... forse un po' meno, visto che sono reduce di un ricco pranzo natalizio), ma spero che il risultato non sia malaccio! Ancora una volta... fatemi sapere!
Detto questo, vi riauguro Buon Natale, buone feste e anche Buon Anno, visto che non credo che riuscirò a scrivere qualcosa prima di Capodanno, quindi... arrivederci al 2012!

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Capitolo 8
*** VII ***


8 E rieccomi! Devo ammetterlo. Il rientro nella vita normale dopo le festività natalizie è stato alquanto traumatico. Tanto per cominciare,  meno di una settimana dopo il 6 Gennaio, mi ritrovo con un esame del quale non conosco ancora il risultato. Subito dopo mi ritrovo a dover riprendere a studiare a spron battutto un gran mattone di materia da portare possibilmente a Febbraio, e contemporaneamente devo preparare gli esami di karate per fine Gennaio. Insomma, fra la stanchezza fisica e quella mentale, mi c'è voluto un po' per rimettermi in carreggiata e ricominciare a scrivere; non che avessi completamente interrotto, ma posso fare decisamente di meglio che due righe al giorno!

*************

Quando Publio rimise piede nel dormitorio, vi trovò Sesto e Furio Olennio seduti sulle rispettive cuccette. La piccola cucina era in funzione con il bollitore del kave sopra e l'odore della bevanda calda che filtrava penetrò le sue narici, alleviando un po' la sensazione di spossatezza che aveva minacciato di farlo crollare a terra nel momento stesso in cui Attico era andato a dargli il cambio.

Senza dire niente ai due commilitoni, si sfilò l'elmo dalla testa, ma lasciò stare il resto dell'armatura. Si passò una mano sulla barba lunga di diversi giorni e sui capelli sporchi e ormai impastati sul capo. Sempre in silenzio, levò uno degli sgabelli da sotto il tavolino dove consumavano il rancio. Si sedette con lo sclopetum fra le gambe e chinò il capo, facendo un profondo sospiro. Era sfinito. Provò a chiudere gli occhi, ma si rivide davanti l'orda di ronin nionici che assaliva con fanatica determinazione le postazioni della valletta che lui aveva appena lasciato. 

Sesto e Furio lo guardarono in silenzio, poi si scambiarono un'occhiata, un po' preoccupati. Avevano saputo che Corinno lo aveva spedito a rinforzare la valletta, naturalmente. Anche loro avevano avuto dei giorni difficili, ma perlomeno erano rimasti al sicuro delle postazioni del Vallo, circondati dal cemento che i missili erano appena riusciti a scalfire. Il modo in cui i ronin si erano scagliati in massa contro le fortificazioni romane aveva fatto loro impressione, ma vi avevano assistito da lontano, con freddo distacco. Nessuno dei due poteva immaginare cosa doveva aver passato Publio ad affrontare quel nemico così spietato e così determinato allo scoperto. Persino Sesto ignorava in buona sostanza cosa volesse dire trovarsi faccia a faccia con uno di quei mercenari. Quando aveva ucciso il suo primo ronin, quella notte dopo la bufera, quest'ultimo si trovava ad una certa distanza, e Sesto aveva potuto prendere la mira solo grazie alla luce dei fari degli autocinetum; Publio, invece, se lo era ritrovato addosso e lo aveva potuto vedere in faccia, prima mentre si preparava ad ucciderlo, poi un attimo prima che lui lo uccidesse.

Insomma, fra loro tre, Publio era l'unico che avesse affrontato il nemico a viso aperto e, fra l'esperienza della ricognizione e la cruenta battaglia che si era consumata nella valletta, non c'era da stupirsi che fosse scosso.

-Ehi, Scipione? Tutto bene?- chiese Furio, tentando di riscuoterlo da quella specie di stato catatonico nel quale sembrava caduto.

-Ma come vuoi che stia?!- lo rimproverò Sesto- Gli sono appena piovuti sulla testa non meno di una ventina di missili e ha appena arrestato una carica di quei demoni gialli!

Le parole di Sesto ebbero l'effetto di rievocare nella mente di Publio le immagini terrificanti della battaglia cui aveva preso parte. Un fremito violento gli percorse tutto il corpo e nelle orecchie gli parve di sentire il fragore delle esplosioni a raffica dei missili. L'immagine dei cadaveri dei ronin di fronte alle trincee e alle casematte erano il minimo, considerando che simboleggiavano il fallimento dell'assalto nemico e la seppur solo momentanea vittoria romana. Scosse violentemente la testa e batté le palpebre più volte, cercando di scacciare via dalla sua mente quelle immagini e il turbamento che gli causavano. Chissà se anche mio padre si è sentito così la prima volta che ha affrontato i nionici in battaglia, si chiese. Una parte di lui, infatti, si vergognava ad ammettere, anche solo a se stesso, di aver avuto paura quel giorno. Era stato educato fin dalla nascita come un soldato e il suo orgoglio di romano gli diceva che la paura doveva reprimerla e che non doveva esitare a sacrificare la propria vita nel nome di Roma. Suo padre, però, gli aveva anche insegnato che a Roma non servivano eroi morti, ma soldati e cittadini vivi e capaci. Lui aveva avuto paura, è vero, ma non si era tirato indietro di fronte al nemico e lo aveva vinto. Ma soprattutto era ancora vivo!, pensò, il solo pensiero sufficiente a rassicurarlo e a farlo smettere di tremare. Non era un eroe, ma poteva ancora essere un buon soldato per Roma.

-Sto bene- disse, sia a se stesso che agli altri- Ma... starò meglio quando saremo finalmente usciti di qui!- aggiunse sospirando.

Sesto e Furio annuirono. Anche loro erano ansiosi di essere trasferiti, non aveva importanza dove, purché fossero usciti da quel posto. Coi ronin là fuori a fare pressione continua per sfondare il confine, le spesse mura di cemento del Vallo di Alasia erano ancora più opprimenti. Ciascuno di loro pensava a cosa sarebbe potuto succedere se fossero riusciti a penetrare all'interno delle fortificazioni. Ciascuno di loro poteva facilmente immaginarlo e cercava di scacciare dalla mente quel pensiero.

Il fischio del bollitore segnalò che il kave era pronto. Furio si alzò e andò a spegnere il fuoco e a versare il kave nelle tazze. Porse la prima a Publio, che ne bevve subito un lungo sorso, senza curarsi di scottarsi le labbra e la lingua.

Furio lo osservò un momento in silenzio, poi qualcosa di incredibile attirò la sua attenzione.

-Che hai lì, Scipione?- chiese, indicandogli la canna dello sclopetum, alla cui estremità si trovava la tacca di mira.

Publio osservò l'arma e spalancò la bocca quando vi vide incastrato un proiettile. Gli tornò subito alla mente di aver sentito come un colpo secco, mentre sparava insieme agli altri legionari nel tentativo di arrestare l'assalto dei ronin. In quel momento stava inginocchiato dietro il parapetto di una casamatta e teneva lo sclopetum davanti alla fronte.

-L'hai proprio scampata bella!- esclamò Furio scoppiando a ridere- Quando torni a Roma farai meglio ad offrire un grosso sacrificio a Marte e Mercurio!

Publio fece un sorriso tirato, mentre anche Sesto commentava con una battuta la sua fortuna. Dopo quella giornata incredibile, nulla avrebbe potuto scuoterlo... neanche la prova tangibile di essere scampato per un pelo alla morte. Staccò la pallottola dal mirino, mettendosela in tasca. L'avrebbe messa sull'altare dei Lari quando fosse tornato a casa. Prese nuovamente la tazza del kave e bevve lentamente, assaporandola ad occhi chiusi e lasciando che il calore della bevanda desse un po' di conforto anche al suo corpo sfinito.

Poco dopo la porta del dormitorio si aprì ed entrò Plauto Corinno. Si guardò intorno brevemente, osservando uno alla volta i tre tribuni con attenzione, come a volerli esaminare. Si soffermò su Sesto, la cui armatura era macchiata di rosso.

-Sei ferito, Balbo?- chiese.

-No, legato- rispose Sesto- Non è sangue mio.

E raccontò che durante la salva dei missili uno di questi era scoppiato proprio contro la feritoia aperta, uccidendo una vedetta e ferendo gravemente l'altra. Il sangue era di quest'ultima, Sesto si era macchiato quando aveva tentato di soccorrerla.

-Così il numero dei morti nella legione sale a dieci- disse Corinno- Il tuo uomo è il primo ad essere stato ucciso nel Vallo... gli altri sono caduti tutti nella valletta.

-Quanti sono i feriti?- chiese Furio.

Corinno scosse la testa e scrollò le spalle. Prima di passare in rassegna i dormitori per andare a trovare chi aveva ricevuto il cambio, era sceso nell'infermeria, che si trovava sottoterra, nelle fondamenta del Vallo, ma non aveva potuto accedervi, tanto era ingombra. I ronin avevano un'ottima mira e, a parte gli osservatori che si trovavano troppo in alto, le feritorie delle altre postazioni non costituivano un bersaglio poi tanto inaccessibile per loro. La salva dei missili, poi, aveva ferito parecchi uomini che si trovavano sulle postazioni di artiglieria scoperte in cima alla fortificazione. Ora Corinno aveva bisogno di stabilire qual'era l'organico attivo della sua legione e poi regolarsi di conseguenza per mantenere intatte le difese di sua competenza. Quattro dei suoi tribuni erano in partenza, e questo lo avrebbe costretto a sostituirli con altri meno capaci che aveva originariamente destinato ai servizi di vettovagliamento. Ma tutto sommato, non poteva lamentarsi. La sua legione aveva retto all'urto della prima offensiva e aveva inflitto pesanti perdite al nemico. I prossimi attacchi sarebbero stati via via meno violenti. Anche quell'anno, Roma avrebbe preservato i suoi confini.

-Te la sei cavata bene laggiù nella valletta, Scipione- disse, rivolgendosi a Publio- Dopo che hai respinto il loro ultimo assalto, gli esploratori di Appio Sempronio hanno effettuato una nuova sortita e hanno eliminati gli ultimi infiltrati. La valletta adesso è completamente sgombra.

-Niente prigionieri?- chiese Balbo.

Corinno sorrise come si sorride all'ingenuità di un bambino.

-Per i nionici la prigionia non è neanche lontanamente concepibile, ragazzo- rispose- Per loro in battaglia si vince o si muore, non ci sono altre possibilità. I nostri hanno provato a catturarne qualcuno, ma piuttosto che farsi prendere due di loro hanno sguainato le spade corte e si sono trafitti il ventre.

I tre giovani tribuni storsero la bocca, disgustati e allo stesso tempo increduli. Anche i romani contemplavano il suicidio come mezzo per preservare l'onore, ma avevano smesso da tempo di farlo pugnalandosi o tagliandosi le vene. Meglio piuttosto un buon colpo di sclopetum alla testa.

-Per loro è una sorta di rituale- commentò Publio.

-Un rituale barbaro- insistette Furio, senza tuttavia insistere oltre.

Normalmente Furio avrebbe usato quell'argomento di discussione per provocare Publio ad un'altro diverbio, ma anche un attaccabrighe come lui non si sarebbe messo a litigare con un commilitone che aveva appena affrontato a viso aperto il nemico... specie dopo che solo pochi giorni prima lo aveva ingiustamente accusato di nutrire simpatie verso il nemico. Quanto avvenuto quel giorno, se non altro, dimostrava l'esatto contrario, anche se Furio, orgoglioso com'era, non l'avrebbe mai ammesso.

-Cercate di riposare adesso- disse Corinno prima di andarsene- Ne avete bisogno.

Tutti e tre i tribuni seguirono il consiglio e s'infilarono nelle loro cuccette. Publio faticò a prendere sonno. Nel timore di un nuovo allarme, si erano coricati senza togliersi l'armatura e l'equipaggiamento, che adesso gli pesavano addosso. Ma nemmeno nel morbido letto di casa sua, a Roma, sarebbe riuscito a stare più comodo. La battaglia era finita, ma la tensione che gli aveva lasciato dentro rimaneva e gli impediva di rilassarsi abbastanza da prendere sonno, nonostante la stanchezza. Se non fosse stato per tutta quella roba che aveva addosso e che lo appesantiva, avrebbe passato le poche ore di riposo concessegli a girarsi e rigirarsi nella cuccetta. Invece dovette starsene fermo, disteso sulla schiena, a fissare il soffitto grigiastro del dormitorio e ad ascoltare il lieve russare di Sesto e Furio che, non soffrendo delle sue stesse pressioni, si erano addormentati quasi subito.

Alla fine, tuttavia, la spossatezza dovette pure avere la meglio, perchè Publio percepì nella propria mente come un vuoto di memoria, dal quale si riscosse quando Sesto lo scosse delicatamente ma con decisione per le spalle. Ebbe un sussulto e aprì gli occhi di scatto, fissando il commilitone che appariva ben riposato.

-È arrivato il rancio, Scipione!- disse allegro- Su, scendi a mangiare!

Publio annuì e si passò una mano sulla faccia, prima di levarsi a sedere. Non si sentiva molto riposato, doveva aver dormito non più di un'ora dopotutto, ma il rancio caldo che lo aspettava al tavolo del dormitorio era più allettante dell'idea di rimettersi a dormire. Saltò giù dalla cuccetta e raggiunse i due commilitoni al tavolo. 

Dopo aver consumato il rancio, Publio si sentì molto meglio e accettò di seguire Sesto e Furio in un altro dormitorio dove si erano radunati gli altri ufficiali che avevano ricevuto il cambio. Qui regnava una confusione incredibile e inusuale in quegli ambienti solitamente sobri e ovattati. Sembrava quasi che, rientrando dai combattimenti, i tribuni si fossero portati dietro il clamore dei combattimenti cui avevano preso parte. Tutti parlavano ad alta voce, e tutti erano straordinariamente euforici. Publio notò che non c'era nessuno dei tribuni veterani; probabilmente Corinno li stava tenendo alle postazioni il più a lungo possibile; e questo spiegava il motivo di quell'atmosfera esaltata. Finalmente, dopo tanta attesa e tanta tensione, quei giovani tribuni avevano avuto la loro giornata di gloria e stavano festeggiando. Chissà se avrebbero ancora tanta voglia di festeggiare se ciascuno di loro si fosse trovato steso a terra con un nionico inferocito pronto ad infilzarlo, pensò Publio laconicamente. D'altro canto, poteva anche comprendere che quell'euforia, per quanto fuori luogo in un momento in cui l'emergenza non era ancora cessata, era anche un mezzo per scacciare via la tensione e la paura inconscia accumulatesi nel corso della battaglia. Chi avrebbe potuto biasimare la loro felicità per l'essere ancora vivi e tutti interi, del resto?

I nuovi arrivati vennero immediatamente presi d'assalto e bersagliati di domande su come si erano svolti i loro combattimenti, quanti nemici avevano ucciso, se avevano subito perdite e altre domande simili. L'armatura di Sesto, ancora sporca di sangue, suscitò sgomento e ulteriori interrogativi su come il tribuno e i suoi avevano reagito quando il missile aveva centrato la feritoria della loro fortificazione. Publio, naturalmente, fu quello su cui si concentrò maggiormente quell'interrogatorio serrato, ma lui non aveva troppa voglia di ricordare le ore appena passate. Sì, aveva difeso un settore particolarmente cruciale e vulnerabile del confine e una parte di lui era consapevole di aver evitato la catastrofe che si sarebbe certamente verificata se i nionici avessero forzato la valletta, ma in quel momento la consapevolezza di esserne uscito vivo era di gran lunga più tonificante dell'orgoglio per il valore dimostrato. Per quello, pensò mentre si congedava dagli ultimi interlocutori, ci sarà tempo dopo.

Stava per decidere di andarsene, accampando la scusa di dover ancora preparare la propria roba per la partenza, quando vide che nel dormitorio c'era qualcun'altro che, al pari di lui, si sentiva fuori posto. Adriano Rufo era là anche lui, ma se ne stava in disparte, seduto sulla sua cuccetta a leggere un libro senza troppa convinzione. Sembrava più depresso del solito. Publio gli si avvicinò e si sedette accanto a lui.

-Ave, Rufo!- lo salutò sforzandosi di suonare allegro- Giornate faticose queste, eh?

-Suppongo- rispose Rufo scrollando le spalle- Stavi già andando via?

-Sì, volevo fare alcune cose, prima di partire.

-Pensavo di andare via anch'io, almeno per un po'. Non credo di essere il benvenuto qui.

Publio lo guardò stupito.

-Ma come, questo è il tuo dormitorio, no?- fece.

-Sì, ma...

E senza aggiungere altro, Rufo indicò con un cenno del capo gli altri che continuavano a far confusione e a parlare della battaglia, vantandosi delle rispettive prodezze, più o meno realmente compiute. Publio capì immediatamente il motivo per cui Rufo si sentiva a disagio. Lui non aveva nemmeno uno straccio di merito da vantare, visto che il legato lo aveva assegnato al deposito munizioni. Della battaglia, lui, aveva visto solo il sali e scendi del montacarichi.

-Bah... non badarci più di tanto, Rufo!- tentò di risollevarlo- Sono solo chiacchiere e vanterie! Se vuoi la verità, mi danno anche un po' fastidio.

-Tu non capisci, Scipione!- ribatté Rufo con veemenza.

Publio si voltò a guardarlo e vide che i suoi occhi erano lucidi, i lineamenti del viso tesi e induriti dall'amarezza e dal rancore. Quando riaprì bocca, la sua voce sembrò sul punto di incrinarsi.

-Tu potrai anche trovare sciocco tutto questo, ma hai pur sempre un motivo per sentirti fiero e soddisfatto di te, anche privatamente. Io non ho neanche questo, invece! Non sono riuscito a combinare nulla... come al solito!

-Rufo, ma che vai dicendo?- rispose Publio con forza- Nè tu, nè quegli sciocchi vi rendete conto che se non fosse stato per te che gli mandavi su le munizioni, non sarebbero riusciti a combinare nulla!

-È qui che ti sbagli!- disse Rufo, ora piangendo per la rabbia e la vergogna- Ha fatto tutto un centurione! Arrivavano così tante richieste di rifornimento, mi sono confuso... ho anche mandato in panne il montacarichi caricandolo troppo!

Publio rimase in silenzio, incerto su cosa rispondere di fronte alla disperazione di Rufo. Era totalmente inadeguato per la vita militare, persino per i servizi ausiliari. Messo sotto pressione, perdeva totalmente il controllo di se stesso e riusciva solo a peggiorare la situazione. Ma la cosa più grave, e probabilmente era quello che faceva tanta rabbia a Rufo in quel momento, era che fallire come ufficiale della legione significava tagliarsi ogni possibilità di intrapresa della carriera politica, che per un giovane appartenente all'aristocrazia romana era il massimo cui si potesse aspirare. Un vero peccato, perché Rufo rimediava egregiamente alla sua inadeguatezza militare con un ingegno e una capacità di ragionamento fuori dal comune, cosa che non si poteva dire di alcuni dei giovani tribuni presenti nel dormitorio.

-Hai solo bisogno di fare più esperienza- disse Publio, cercando di tirarlo su- Vedrai che con un po' di tempo...

-Sono un pessimo soldato, Scipione! Pessimo e senza speranza!- lo interruppe Rufo- Che bella carriera, poi, che ci farei! Tribuno addetto ai vettovagliamenti! A questo mi è servito studiare tanto?!- esclamò sventolando davanti alla faccia dell'amico il libro che aveva in mano- Lascia perdere!

Così dicendo, si alzò di scatto e uscì dal dormitorio, sbattendosi dietro la porta. Publio cercò di andargli dietro, ma si sentì afferrare per una spalla.

-Lascialo perdere, quella donnetta buona a nulla!- disse una voce in tono di scherno- Piuttosto, dicci come è fatto uno di quei barbari da vicino, tu che ne hai visti tanti in un giorno solo!

-Dicono che fra quelli che si sono sventrati per non farsi prendere vivi, ce n'era uno con i denti colorati di nero! Tu lo hai visto?- chiese un'altro, ridendo divertito.

Publio si voltò e si scrollò di dosso con violenza la mano di Flavio Tiburtino, fissando poi con rabbia lui e gli altri. I loro sorrisi beffardi e arroganti si spensero in un attimo di fronte a quell'espressione tetra e adirata, a quegli occhi che sembravano volerli fulminare tutti. Per un attimo, un silenzio carico di tensione regnò nel dormitorio fino a quel momento rumoroso. Poi, Publio si decise a rispondere.

-Ci sono venuti addosso in massa, sparando all'impazzata e decisi a farci a pezzi. La prima cosa che ho pensato quando me li sono visti venire contro è stata che volevo girarmi e scappare da lì. Non l'ho fatto, certo... ho resistito, certo... ma ero confuso e terrorizzato, non meno di quanto lo fosse Rufo laggiù nel deposito senza sapere che cosa stava succedendo.

Nessuno osò rispondere. Qualcuno distolse lo sguardo, qualche altro chinò il capo. Tutti erano rimasti profondamente imbarazzati e sgomenti da quell'ammissione. Si erano riuniti lì per vantarsi di fatti e gesta eroiche gonfiate oltremisura o addirittura inventate. Invece Publio Giulio Scipione aveva detto esattamente loro cosa aveva fatto e cosa aveva visto... e aveva addirittura ammesso di aver avuto paura!

-Se non ci sono altre domande del cazzo, avrei altro da fare!

Così dicendo, Publio si voltò e uscì a sua volta da dormitorio, sbattendosi anche lui la porta alle spalle.

****************

Ecco qua! Dopo l'estenuante capitolo d'azione precedente, mi ci voleva un attimo di riflessione. Prima di rimettermi a scrivere, ho riletto i capitoli precedenti e ho notato qua e là alcune lacune che spero di colmare. Una di queste è la descrizione fisica di Publio, per la quale ho escogitato un espediente a mio parere interessante, ma che richiederà un notevole avanzamento della trama; strano, ma a tempo debito capirete il perchè.
L'altra lacuna spero di essere riuscita a colmarla con questo capitolo. Volevo dare l'idea dello stato d'animo e delle reazioni dei personaggi, e soprattutto del protagonista, dopo aver visto la guerra per la prima volta. I romani erano un popolo bellicoso, ma erano pur sempre esseri umani che cavolo! Mi riesce molto difficile immaginare i legionari (soprattutto reclute e giovani ufficiali) rimanere indifferenti di fronte al massacro di Teutoburgo o a quello di Canne. Grazie a Edge of Darkness per avermi fatto notare il gap, quindi.
In ultimo, avverto chi ha letto il capitolo che all'interno è presente un riferimento apparentemente insignificante, ma che in realtà è estremamente importante ai fini della trama. In genere non faccio spoiler, tanto meno sulle mie creazioni, ma questo è veramente importante e allo stesso tempo passa inosservato (No, non vi dirò io qual'è!), quindi... leggetevi bene il capitolo, così quando arriverà il momento ve ne ricorderete! Sappiate solo che io non aggiungo dettagli a caso! 

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Capitolo 9
*** VIII ***


9 Capitolo VIII

    Publius Iulius Scipio ad patrem suum salutem dicit
Mi dispiace di non aver più scritto regolarmente, ma dal giorno del trasferimento non ho avuto praticamente un solo momento per me stesso. Di a mia madre che sto bene e che sono al sicuro nelle retrovie. Per il momento non sembra che vogliano rimandarmi al confine. Sono stato assegnato alla II Coorte della XIV Legione Britannica, che è stata stanziata nell'Alasia Superior, poche miglia dietro il confine, in retroguardia. Non è il massimo, ma gli ordini sono questi e venivano da Valerio Massimo in persona. Quando riceverai questa lettera, probabilmente sarò già arrivato a destinazione. Forse avrò più tempo per scrivere una volta sistematomi.
Porta i miei saluti ad Aureliano e agli altri miei amici lì a Roma.
Tuo figlio,
Publio.
Post Scriptum, mentre ero a Castra Regellis ho potuto incontrare Decimo Valerio Massimo, che ti manda i suoi saluti.
Vale.

Publio sospirò mentre rileggeva la copia della lettera che aveva inviato a Roma qualche giorno prima. Come aveva scritto a suo padre, non era troppo soddisfatto dell'assegnazione che gli avevano dato dopo la breve permanenza a Castra Regellis. Non che gli dispiacesse di essere stato dislocato dietro il Vallo di Alasia, anzi; se non avesse più dovuto vivere all'interno di quella muraglia soffocante, sarebbe stato l'uomo più felice del mondo. Lui, Sesto, Furio Olennio e gli altri tribuni che Plauto Corinno aveva fatto trasferire avevano tutti tirato un sospiro di sollievo quando si erano lasciati alle spalle le fortificazioni di confine entro le quali avevano vissuto rinchiusi per più di un anno. Era stato così strano ritrovarsi improvvisamente all'aperto e Castra Regellis poteva anche essere un accampamento militare privo di ogni comodità, ma in confronto agli alloggi della guarnigione di confine era come una villa sull'Esquilino. Vi si respirava, inoltre, un'atmosfera meno opprimente e di gran lunga più rilassata. Il confine era abbastanza lontano da non destare preoccupazioni e anche la rivolta dei coloni e degli indigeni era guardata con aria di sufficienza, come un evento destinato ad estinguersi al più presto senza lasciare traccia. Pochi giorni lì erano bastati a far dimenticare a tutti loro le tensioni della vita di guarnigione e la violenza della battaglia contro i ronin.

Naturalmente, però, non poteva durare in eterno e infatti dopo pochi giorni ciascuno di loro aveva ricevuto un ordine di trasferimento per l'Alasia Superior, dove Decimo Valerio Massimo aveva mandato la XIV Legione Britannica. Ciascuno di loro aveva ricevuto una destinazione diversa, e così adesso erano tutti sparpagliati. Qualcuno aveva anche avuto l'amara sorpresa di essere stato riassegnato al confine. Da questo punto di vista, Publio si sentiva fortunato. Peccato che l'Alasia Superior fosse inospitale e ostile, soprattutto in quel periodo dell'anno. Era la regione più selvaggia e isolata di tutta la provincia, e anche la meno popolata. L'accampamento della II Coorte si trovava lontano dai pochi e minuscili centri abitati e i legionari, arrivati lì da meno di un mese, stavano già maledicendo il Senato di Roma in tutte le maniere conosciute nel variegato e multiculturale organismo militare romano. E Publio non poteva dare loro torto, visto che anche lui si trovava nella medesima situazione. In teoria, avrebbero dovuto prevenire atti di rivolta da parte di coloni e indigeni, ma di fatto non facevano assolutamente nulla dalla mattina alla sera. La noia e la paranoia erano dilaganti.

Come se non bastasse, Publio aveva ancora con se il palmare con il rapporto che lui stesso aveva scritto sul ritrovamento della spia romana uccisa dai ronin e che Plauto Corinno gli aveva ordinato di far avere al governatore dell'Alasia alla prima occasione. Purtroppo l'occasione non si era presentata, perchè Livio Druso si trovava ad Aleupoli e Publio non aveva avuto la possibilità di andarci. In teoria, avrebbe dovuto consegnare il palmare a Valerio Massimo; in fondo, era lui il comandante delle legioni romane in Alasia e quelle erano informazioni che avrebbero dovuto interessarlo, almeno per quanto riguardava il suo campo di competenza. Corinno, però, gli aveva ordinato specificamente di scavalcare l'autorità di Valerio Massimo e di consegnare il palmare personalmente e direttamente al governatore. Publio aveva la sensazione che Corinno non si fidasse molto di Valerio Massimo e, stando all'unica volta che aveva avuto occasione di incontrarlo e di parlarci, Publio non poteva biasimarlo.

Decimo Valerio Massimo non gli aveva fatto un'impressione troppo positiva. Era un uomo dai modi eleganti e dal tono di voce distinto e sofisticato, e proprio per questo a Publio aveva dato l'idea di un uomo incline al raggiro e alla manipolazione. Inoltre, dai suoi discorsi Publio aveva potuto dedurre che condivideva in buona parte gli ideali e le pretese dei coloni ribelli. Furio Olennio era immediatamente saltato alla conclusione che fosse uno smidollato pronto a vendersi ai ronin alla prima occasione, ma era del tutto improbabile che fosse stato lui a pagare quella spia per aiutare i ronin ad attaccare il Vallo di Alasia. L'uomo che lui e Sesto avevano trovato morto al villaggio arrivava da Roma, e Valerio Massimo non metteva piede a Roma da anni. Molto più semplicemente, Valerio Massimo si sentiva vicino alla gente vicino alla quale viveva da ormai molti anni, ne condivideva le aspirazioni e le rivendicazioni. Era inoltre in forte contrasto con la politica portata avanti dal Senato a Roma e, per questo motivo, se ne teneva lontano. E proprio per questo motivo, quindi, era la persona meno indicata per occuparsi del perseguimento di una probabile congiura che aveva radici che affondavano ben più in profondità che nella remota Alasia.

Sì, meglio esporre prima il problema al governatore della provincia, che con le autorità dell'Urbe aveva legami più saldi e sicuri. Purtroppo, però, Publio non aveva potuto allontanarsi più di tanto da Castra Regellis, e adesso era lì, all'estremità settentrionale dell'Alasia, lontanissimo da Aleupoli e con il palmare che giaceva inutilmente sul fondo della sarcina. Era una situazione a dir poco frustrante. Più tempo passa senza che queste informazioni vengano divulgate alle persone giuste, più il pericolo di questa possibile congiura aumenta, pensò mentre rileggeva per l'ennesima volta quel rapporto. A preoccuparlo di più era l'idea, tutt'altro che risibile, che potessero esservi altre spie, fra i ronin e anche fra i romani, oltre a quella morta nel villaggio.

-Tribuno, Marco Urbicio chiede di te- la voce di un legionario che si affacciava nella sua tenda lo distolse dalle sue preoccupazioni.

-Digli che arrivo fra un momento- rispose.

Il legionario sparì. Publio spese il palmare, assicurandosi di aver prima reinserito la chiave di cifratura che consentiva solo a lui l'accesso alle informazioni ivi contenute, poi lo rimise nella sarcina, nascondendolo sotto tutta l'altra roba.

Al contrario di quanto avveniva al Vallo, lì all'accampamento della II Coorte non era obbligatorio indossare l'armatura per tutto il giorno. Questo era un vantaggio, perchè l'armatura integrale in dotazione ai legionari aveva comunque il suo bel peso, ma era anche un grosso problema con il gelo che regnava in quella regione, perchè senza l'armaura si era costretti a rinunciare anche al comodo sistema di riscaldamento interno di cui questa era munita.  Pazienza, pensò Publio infilandosi  la pesante paenula impermeabile e tirandosi su il cappuccio.

Uscì dalla tenda e subito lo investì un veno gelido che spirava dalle montagne. Se non altro, si poteva dire che l'Alasia Superior godesse di un paesaggio assai meno monotono del resto della provincia. Lì, quanto meno, c'erano montagne, boschi, corsi d'acqua. E pochi giacimenti di petrolio, giacché l'estrazione era più difficile in montagna, quindi era anche un paesaggio non inquinato. Vivere lì, alla fine, era come tornare ai primordi della civiltà, con tutti i pregi e i difetti.

Alzatosi il bavero della paenula per coprirsi il volto, Publio attraversò a passo svelto le stradine dell'accampamento, ai margini delle quali era stata ammucchiata la neve caduta durante la notte, e raggiunse la tenda di Marco Umbricio, il comandante della II Coorte. Umbricio era un tribuno anziano, uno dei pochi ufficiali veterani la cui carriera non era andata avanti. Naturalmente Publio aveva accuratamente evitato di chiedergliene il motivo. Urbicio aveva circa quarantatre anni e una lunga esperienza nelle legioni, ma non era mai stato in Alasia. I due fattori combinati facevano sì che il tribuno fosse abbastanza maturo e accorto da mettere da parte un po' del suo orgoglio per affidarsi all'esperienza che Publio, pur giovane com'era, aveva della provincia. Da quando Publio era arrivato lì, andavano abbastanza d'accordo.

Nella tenda, con il tribuno, era presente anche un giovane centurione degli esploratori. Stava in piedi a fianco del tavolino pieghevole che Umbricio usava come scrivania e appena Publio entrò si batté il pugno destro sul petto in segno di saluto. Urbicio, invece, si alzò e strinse la mano al parigrado.

-Sei qui, Scipione, bene- disse- Siediti. Ci sono delle novità.

Publio e Urbicio si sedettero l'uno di fronte all'altro, mentre il centurione - Servio Curzio, sbirciò Publio sul titulus - rimase in piedi. Urbicio si schiarì la voce prima di parlare. Sembrava preoccupato.

-La scorsa notte abbiamo perso i contatti con il villaggio di Visernia- annunciò serio- Le trasmissioni sono cessate più o meno alla seconda veglia.

Publio e il centurione Curzio si scambiarono un'occhiata. Visernia era un piccolo centro abitato sperduto sulle montagne, a poche miglia dal confine, popolato da appena un pugno di indigeni dediti esclusivamente ad attività di sussistenza. Era l'ultimo posto dove aspettarsi che succedesse qualcosa del genere, si dubitava anzi che i locali fossero perfino a conoscenza della rivolta in corso nel resto della provincia.

-Forse la tormenta di stanotte ha danneggiato le apparecchiature della stazione di trasmissione- ipotizzò Publio, non volendo saltare immediatamente a conclusioni più serie e preoccupanti.

-È quello che ho pensato anch'io all'inizio- rispose Urbicio- Infatti stamattina ho inviato delle truppe per andare a dare un'occhiata... ma adesso risultano disperse anche loro.

Merda!, imprecò mentalmente Publio. Questo poteva escludere un semplice guasto. Forse, contro ogni aspettativa, i venti della rivolta erano arrivati anche a Visernia.

-E adesso intende mandare noi?- chiese il centurione Curzio, intuendo immediatamente il motivo della sua convocazione.

Urbicio annuì, quindi si rivolse a Publio.

-Vorrei che andassi anche tu, se te la senti- disse- So che parli la lingua dei locali, e un interprete potrebbe essere utile.

Publio scambiò un cenno affermativo con il centurione Curzio, che non era particolarmente ansioso di imbarcarsi in una ricognizione in un territorio a lui completamente sconosciuto senza almeno un elemento che sapesse comunicare e rapportarsi con gli indigeni. Sperando che questi fossero disposti a comunicare, ovviamente. Prima di partire, però, Publio voleva saperne di più su quello strano avvenimento.

-Ci sono state delle rivendicazioni circa questa interruzione?- chiese.

-Il legato della legione ritiene che si tratti di un'insurrezione locale- rispose Urbicio- Se non sbaglio è successo anche cinque mesi fa ad Aleupoli.

Publio fece una smorfia. Cinque mesi prima la rivolta non era ancora iniziata, ma nella capitale dell'Alasia se ne respirava già l'odore. Lui si trovava schierato al Vallo di Alasia quando si era verificato uno degli eventi premonitori dell'insurrezione, ma la notizia era arrivata al confine con tutti i dettagli. Un gruppo di ignoti criminali aveva fatto saltare in aria una centralina di trasmissione alla periferia di Aleupoli; lo scopo era stato quello di acceccare le autorità locali il tempo necessaio per permettere ai ribelli di contrabbandare armi in città; e il tentativo era riuscito. Che i ribelli stessero ora tentando di ripetere il colpo a Visernia? Certamente sembrava un buon modo per diffondere la rivolta anche lì. Bisognava impedirglielo a tutti i costi. Quanto più quella rivolta veniva contenuta, tanto più in fretta sarebbe stata sedata.

-La cosa non deve ripetersi- disse risolutamente, mentre si alzava- Centurione, prepara i tuoi uomini, partiamo immediatamente! Il trasmettitore di Visernia deve essere rimesso in funzione al più presto, o questo posto smetterà di essere così noioso come lo conosciamo!

Il centurione si voltò verso Urbicio, che assentì con un cenno del capo. Salutò militarmente e uscì per andare a preparare i suoi esploratori.

-Sarà meglio che vada ad equipaggiarmi anch'io- disse Publio.

Urbicio annuì e si alzò, tendendo di nuovo la mano.

-Che Marte ti accompagni, Giulio Scipione- disse- Spero di avere presto tue notizie.

-Considera pure il trasmettitore già funzionante a pieno regime- rispose Publio concedendosi un po' di boria- Spero invece di ritrovare vivi gli altri tuoi legionari. Stamattina nevicava ancora piuttosto forte lassù... è sempre possibile che il loro elicottero sia precipitato sulle montagne.

Tutto era possibile, ovviamente. E mentre tornava nella sua tenda per prepararsi, Publio si augurò che fra tutte le possibili alternative si fosse verificata la meno grave. Che il trasmettitore si fosse gustato a causa della tormenta. E che sempre a causa della tormenta i legionari che lo avevano preceduto fossero andati dispersi. Lui e gli altri della II Coorte non avevano fatto altro, negli ultimi giorni, che lamentarsi di come da quelle parti non succedesse assolutamente nulla, e adesso lui si ritrovava a desiderare che la situazione non cambiasse. E pensare che quando aveva messo piede in Alasia, fresco di addestramento, si era aspettato di vivere chissà quali straordinarie avventure e compiere chissà quali eroiche imprese. Ma quando era stato?

-Una vita fa- borbottò fra se e se.

**************

Poco dopo, di nuovo rinchiuso nell'armatura integrale e armato di tutto punto, Publio si presentava alla tenda della centuria di Servio Curzio. In realtà, chiamarla centuria era improprio, visto che era composta da solo cinque legionari scelti compreso il comandante, ma dal momento che i comandanti dei gruppi di esploratori all'interno delle legioni avevano il grado di centurione, per tradizione continuavano a chiamarli centurie.

Quando arrivò, i cinque legionari erano tutti equipaggiati come lui e pronti a partire. Il centurione Curzio si prese la briga di presentarglieli uno per uno. L'optio, il suo attendente, si chiamava Catulo ed era un vero e proprio residuato di guerra. Il suo volto, che in condizioni sarebbe stato bello a vedersi, femmineo addirittura, era deturpato da diverse cicatrici. Curzio glielo presentò mentre questi si apprestava ad infilarsi gli ultimi componenti dell'armatura e Publio fece appena intempo a vedere che una delle mani che l'optio stava per coprire con i guanti corazzati era a sua volta fatta di metallo: una mano artificiale. O forse tutto il braccio, pensò Publio.

Gli altri legionari erano Gario, una specie di gigante proveniente dalla Pannonia, il più anziano della centuria avendo la bellezza di cinquant'anni, trenta dei quali trascorsi sotto le armi; Gundahar, legionario di origine servile, dall'aria allegra e per nulla aggressiva come ci si sarebbe invece aspettati da un germano; infine, Spurio Emilio, un legionario cupo e dall'aria minacciosa che, quando Publio era entrato nella tenda, se ne stava seduto da solo in un angolo ad affilare un gigantesco khopesh, una spada corta egizia, che poi infilò nel fodero che teneva dietro la schiena. Complessivamente, comunque, Publio ebbe un'ottima impressione di quegli uomini. Erano tutti veterani, l'unica cosa che gli mancava era la conoscenza del territorio alasiano, e quella l'avrebbe fornita lui.

-Due elicotteri ci stanno già aspettando per portarci a destinazione- annunciò Catulo- Attendiamo i tuoi ordini.

-Andiamo- rispose semplicemente Publio.

Uscirono dall'accampamento. Nello spiazzo antistante, ancora all'interno del perimetro difensivo, due grossi elicotteri da trasporto e da combattimento stavano scaldando i motori e le pale in attesa di partire.

-Sarò sincero, tribuno- disse il centurione Curzio mentre s'incamminavano verso i velivoli- Non sono troppo felice di questa nuova assegnazione.

-Non è la stagione migliore per godersi l'Alasia questa, centurione- scherzò Publio.

-Non è questo. È... questa rivolta. Lei non ha la sgradevole sensazione di stare combattendo contro altri romani?

Publio sospirò e non rispose subito. Sì, anche lui si era posto più volte lo stesso dilemma negli ultimi tempi. I coloni alasiani e gli indigeni aleutini non godevano della cittadinanza romana, ma facevano parte dell'Impero di Roma e contribuivano alla sua vita e alla sua prosperità quanto e più dei cittadini romani stessi. E questo non li rendeva forse cittadini romani di fatto? Per certi versi, Valerio Massimo aveva ragione a disprezzare le politiche del Senato nelle province più remote dell'Impero. In fondo, i ribelli non avanzavano pretese irragionevoli, ma solo quella di vedersi riconosciuti i diritti corrispondenti agli oneri di cui erano già gravati. Ma tutto questo giustificava una rivolta in armi contro le amministrazioni e i funzionari di Roma? Di sicuro non giustificava l'aver appoggiato l'ennesimo attacco dei ronin al confine, cosa di cui ormai anche Publio era sempre più convinto.

-È una situazione molto complicata quella che si è venuta a creare qui- disse finalmente- I ribelli hanno le loro ragioni, ma il modo di perseguirle è certamente sbagliato.

Curzio sbuffò mentre salivano su uno dei due elicotteri.

-Avrei preferito di gran lunga essere mandato al confine a combattere contro i ronin- disse- Non avrei avuto alcuna remora a combattere contro di loro.

La spinosa discussione ebbe termine lì. Qualunque fossero le loro opinioni sulla guerra che si trovavano a combattere, adesso erano comunque dei legionari con degli ordini da eseguire.

Sull'elicottero, insieme al centurione e a Publio, salì anche Gundahar, mentre Catulo, Gario ed Emilio presero posto sull'altro. Publio fece cenno all'aviere di partire e i due velivoli si staccarono da terra, sollevandosi in volo.

*************

Ed ecco qui l'inizio della seconda parte della storia! Come se non bastasse un tentativo di invasione al confine, ci si mettono anche i disordini interni a complicare la vita dei legionari romani. Oh, quanto mi piace complicare le vite altrui! Muhahahahah! Sono una gran bastarda, lo so...
I capitoli più avanti, o forse già direttamente il prossimo, hanno in serbo una piccola sorpresina e tanta azione. Spero di cavarmela meglio che con il capitolo di Natale. Era il primo in cui provavo a raccontare una battaglia e ho incontrato non poche difficoltà.
Purtroppo sto anche andando un po' a rilento con gli aggiornamenti, ma questo semestre mi è capitata una materia bella tosta, sono in ritardo con gli appelli d'esame e di conseguenza ho qualche difficoltà a trovare il tempo per scrivere. Abbiate pazienza, quindi. Intanto, per rimettermi in carreggiata ho scritto questo capitolo di introduzione alla seconda parte. Non è molto lungo, ma mi lascia abbastanza soddisfatta, tranne forse per la lettera all'inizio... volevo cimentarmi nella scrittura epistolare romana che è leggermente più formale della nostra (non ce lo vedo proprio Publio a inserire emocotion in una lettera!).

Paenula: pesante mantello utilizzato per protteggersi dalle intemperie, equivalente romano del poncho.
Non ho latinizzato la parola elicottero, invece. Non ce n'era bisogno, visto che è una parola greca xD

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Capitolo 10
*** IX ***


10
Ed eccomi di nuovo qui! Magari dopo più di un mese di silenzio, pensavate che mi fossi dimenticata di scrivere o che avessi perso l'ispirazione. E in effetti, riguardo alla seconda ipotesi, per un po' c'ho creduto anch'io. Invece, da qualche giorno, complici anche delle letture adatte allo scopo, le proverbiali lampadine del mio cervello si sono riaccese! Quindi, eccomi pronta per proseguire Imperator, spero con maggiore continuità, anche se, ahimè, il carico di impegni universitari per questo semestre si sta rivelando alquanto gravoso.
Vedo comunque che, nonostante la momentanea interruzione degli aggiornamenti, il contatore delle visite ha continuato ad aumentare progressivamente, e non solo per il primo capitolo. Questo mi fa piacere, anche se su EFP continuo ad avere un solo recensore ufficiale.
Quanto al capitolo postato qui sotto... francamente non so cosa pensarne. È un misto di diverse situazioni, forse un po' confusionario, perchè la prima parte ho cominciato a scriverla un mese fa, prima di perdere l'ispirazione. Inoltre, circa a metà c'è quello che sembra il manuale di descrizione di un Transistor... no, scherzo, in realtà è un pezzo piuttosto tecnico, della serie "Io capisco ciò che intendo dire, ma i lettori riusciranno a capirlo a loro volta?". Spero di sì, perchè attualmente mi sono stancata di leggerlo e rileggerlo per apportare correzioni. Ma se qualcosa non va, sarò ben felice di rimetterci mano in futuro... anche perchè intendo rimettere mano a tuttala storia. Niente modifiche sostanziali, beninteso: solo eliminare alcune latinizzazioni inutili e inserire il numero del capitolo ad ogni inizio pagina.
Intanto, però, beccatevi questo!  


*****************

IX

Il viaggio in elicottero verso Visernia non fu troppo lungo, ma abbastanza da permettere ai legionari di mettersi comodi sui loro sedili. Publio osservava in silenzio e segretamente divertito i suoi due compagni di viaggio mentre si sporgevano a guardare con curiosità il panorama alasiano. In Britannia la neve in inverno non doveva certo mancare, ma lì in Alasia, soprattutto sulle montagne, abbondava particolarmente e da quell'altezza sembrava quasi di sorvolare un mondo fatto solo ed esclusivamente di neve.

Lo sguardo di Publio si soffermò su Gundahar, il germanico. Degli uomini della centuria esploratori era sicuramente il più giovane. Probabilmente doveva esservi stato assegnato da poco e non doveva aver fatto ancora molta esperienza sul campo. Publio lo aveva capito subito, perché la sua espressione distesa e il suo carattere allegro contrastavano fortemente con i volti duri e segnati e con la serietà dei suoi commilitoni. All'accampamento, prima di partire, aveva più volte sentito l'optio Catulo richiamarlo all'ordine e smorzare il suo entusiasmo.

Inoltre, di tanto in tanto, durante il viaggio, gli era parso di rivedersi in quel soldatino fresco del campo di addestramento e ancora privo di esperienza. Meno di un mese prima, anche lui si era trovato nella medesima condizione. E forse, tra non molto, anche Gundahar avrebbe subito la medesima trasformazione.

Publio l'aveva trovato strano all'inizio, ma la metamorfosi che la guerra poteva imprimere in un uomo non riguardava solamente il carattere di questi, ma si rifletteva in maniera persino più vistosa anche nel suo aspetto esteriore. Se ne stava rendendo pienamente conto proprio in quel momento, osservando quel giovane legionario alla sua prima missione.

Gundahar aveva proprio l'aria della tipica recluta alla sua prima uscita in armi fuori dai confini dell'accampamento. La barba, comunque non ancora tanto folta, era rasata di fresco, così come anche la testa, sulla cui sommità le radici dei capelli biondi e chiarissimi si confondevano con la pelle del cranio. Non aveva ancora i tratti duri e marcati tipici degli individui appartenenti alle popolazioni nordiche quando diventano adulti, e la carnagione chiara e gli occhi azzurri, uniti all'espressione meravigliata e ingenua con la quale guardava fuori dall'elicottero, lo facevano somigliare molto ad un bambino che viene condotto fuori di casa dai genitori per la prima volta.

Publio, invece, sapeva di non avere più quell'aspetto. Lui stesso si sentiva fisicamente cambiato, e se da un lato ciò gli provocava un po' di rimpianto per l'adolescenza che si era lasciato così bruscamente alle spalle, dall'altro lato, sempre più spesso si accendeva in lui l'orgoglio, tipicamente romano, di essere finalmente diventano un uomo.

A Castra Regellis aveva avuto dopo molto tempo la possibilità di guardarsi ad uno specchio e per un lungo momento aveva stentato a riconoscersi. Aveva avuto la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un'altra persona. Un uomo alto, robusto, dall'aria un po' vissuta e un po' provata dalle dure esperienze passate, solo un po' pallido per il lungo periodo trascorso nel mondo sigillato e isolato del Vallo di Alasia. I capelli biondo grano necessitavano decisamente di una spuntata, così come la barba. La barba! Non era più quella rada e morbida peluria che solo un anno e mezzo prima lui aveva consacrato a Giove Capitolino a Roma, appena pochi giorni prima di partire per arruolarsi. Era una barba dura, ispida... e prudeva! Gli occhi... no. Gli occhi erano ancora gli stessi, aveva constatato con lieve sollievo, sottili e penetranti, di due colori diversi e lievemente strabici. I lineamenti del volto, invece, era cambiati nettamente. Si erano fatti più marcati e più squadrati, e adesso gli conferivano un aspetto virile ma non privo di fascino.

Dopo il primo iniziale momento di smarrimento di fronte all'apparizione di quell'estraneo, la bocca di Publio si era arcuata in un piccolo sorriso. Anche quello non era più lo stesso di prima; non era più la risata allegra e spensierata di un ragazzino, ma il sorriso serio e posato di un uomo adulto, che sa di avere delle responsabilità e di dover misurare i propri gesti.

Nel complesso, doveva ammettere, quel suo nuovo io gli piaceva, lo inorgogliva. Già pregustava le reazioni dei suoi genitori e degli amici rimasti a Roma quando sarebbe tornato a casa e loro lo avrebbero visto così cambiato e cresciuto. Suo cugino Aureliano, con tutta probabilità, non avrebbe perso tempo ad insegnargli a sfruttare al meglio la sua immagine. Già quando era partito da Roma, per tirarlo su di morale, lui che allora si sentiva smarrito e impaurito all'idea di lasciare la sua casa e la sua famiglia, Aureliano gli aveva detto che si sarebbe trovato benissimo sotto le armi, che per un uomo quella del soldato era una gran bella vita... e soprattutto che le donne erano sempre pronte a cedere al fascino di una ruvida e robusta corazza!

Aureliano..., pensò Publio sorridendo fra se e se. Figuriamoci se non perde occasione di tirare in ballo le donne!

-Sembra che siamo arrivati!

Publio si riscosse dai suoi pensieri e vide che il centurione Curzio si era sporto a guardare fuori dall'elicottero. Guardò fuori anche lui e vide che il velivolo si era abbassato di quota. Adesso volava rasente alle cime delle montagne e si dirigeva verso un piccolo gruppo di costruzioni e di pale eoliche arroccato sul fianco di una montagna. Mentre vi si avvicinavano, Publio non poté fare a meno di chiedersi come accidenti aveva fatto la rivolta a diffondersi in un posto simile. Era anzi pronto a scommettere che gli abitanti di Visernia non pagassero nemmeno le tasse all'erario, ma non perché non volevano pagarle, quanto piuttosto perchè i funzionari non si prendevano più la briga di recarsi al villaggio una volta al mese per riscuotere. D'altro canto, l'unico modo per arrivare lì da Aleupoli era solo uno, un lungo e scomodissimo viaggio in elicottero.

Che motivo avrebbero i ribelli per stabilire una roccaforte proprio qui?, si domandò mentre tirava fuori il binocolo e si sporgeva dall'elicottero in avvicinamento. Si portò il binocolo agli occhi e scrutò il villaggio e i dintorni. Apparentemente, sembrava tutto normale. Non c'era niente che lasciasse intendere che si fossero verificati disordini o scontri.

-Davvero strano...- mormorò fra se e se.

Qualcosa non andava. Qualcosa decisamente non andava, e stavolta Publio sapeva che non poteva trattarsi della paura e dell'inesperienza del novellino. Quella fase l'aveva superata da un pezzo ormai. No, stavolta era il suo istinto di soldato affinato dall'esperienza. E non si sbagliava. Se solo quello quello stesso istinto avesse saputo dirgli di più!

-Si direbbe un villaggio tranquillo, tribuno- commentò Curzio.

-Già, anche troppo- rispose Publio, rendendosi in quel momento conto che era proprio lì che qualcosa non andava.

Il villaggio era insolitamente immobile. Sembrava quasi il villaggio fantasma dove lui e Sesto erano stati quando erano usciti dal Vallo, oltre il confine. A quell'ora, gli abitanti avrebbero dovuto trovarsi tutti fuori, impegnati nelle loro attività, e l'arrivo di due elicotteri militari avrebbe dovuto quanto meno metterli in agitazione. Invece niente. Nessuno si aggirava in mezzo alle capanne, le cui porte e finestre erano oltretutto sbarrate, come se la gente non si fosse nemmeno alzata dal letto quella mattina.

Mentre constatava con apprensione questi fatti, Publio si accorse che il pilota dell'elicottero si apprestava a tirare dritto oltre il villaggio dopo esserci passato sopra. La stazione di trasmissione, infatti, si trovava più avanti, dietro la cima adiacente, e distava dal villaggio circa cinquanta miglia.

Si voltò di scatto verso la cabina e batté un pugno sulla parete divisoria.

-Fermo! Portaci lassù... su quel prmontorio!- ordinò- Scenderemo a piedi nel villaggio.

-Va bene, tribuno- rispose il pilota.

I due elicotteri virarono bruscamente e salirono di quota per raggiungere il punto indicato da Publio.

Questi tornò a voltarsi verso i suoi compagni di viaggio e vide le loro espressioni sorprese. Lui, ad ogni modo, non diede spiegazioni per il momento. Preferiva aspettare che fossero tutti a terra.

Non dovettero aspettare molto. Il promontorio non era molto lontano e gli elicotteri non tardarono a raggiungerlo. Senza aspettare che questi si posassero a terra, i legionari saltarono tutti giù e si radunarono, schierandosi in cerchio per proteggersi da eventuali attacchi. Solo quando i due elicotteri si furono sollevati di nuovo e si furono allontanati, si voltarono tutti verso Publio.

-Che succede, tribuno?- chiese Curzio- Perchè ci ha fatti portare qui?

-Già! Credevo che avessimo l'ordine di recarci ad una stazione di trasmissione, non di pattugliare un villaggio di pidocchiosi!- aggiunse Emilio, con tono infastidito.

Era chiaro che non gradiva molto la presenza di un estraneo nella centuria. Specialmente, non gradiva che il comando della spedizione fosse preso da un giovane tribuno di nobile famiglia, inesperto e secondo lui interessato solo a conquistarsi un po' di gloria facile da portare a casa per mettersi in mostra nel Foro.

Publio, dal canto suo, lo ignorò e si rivolse invece a Curzio, l'unico al quale si sentisse in dovere di dare delle spiegazioni.

-Qualcosa non va nel villaggio, centurione- spiegò- Non c'è nessuno, sembra quasi deserto. Quanto meno gli uomini avrebbero dovuto trovarsi fuori a lavorare, non credi?

-Forse si sono rintanati nelle loro case- ipotizzò Gario, il bestione veterano- Magari dopo l'arrivo dei commilitoni stanotte, si sono spaventati e sono scappati.

-Con una bufera di neve?- fece Publio scettico- E in ogni caso, non avrebbero avuto alcun motivo di temere l'arrivo di un convoglio militare. Non con una guarnigione a poca distanza dal villaggio. A meno che... a meno che non sia davvero successo qualcosa.

Sul promontorio calò per un attimo il silenzio. Soffiava solo il vento, gelido e tagliente. Le espressioni di tutti si erano fatte serie. Curzio aveva corrugato la fronte e sembrava molto preoccupato. Il ragionamento del giovane tribuno non faceva una piega.

-Ha ragione il tribuno- disse poi imrovvisamente Catulo, fino a quel momento rimasto in silenzio- Qualcosa non va proprio. Non so se ve ne siete accorti, ma durante il viaggio abbiamo perso il contatto con il tribuno Umbricio e con tutti gli altri centri di comando.

-Sai che perdita...!

-Sta zitto, Emilio!- sbottò Curzio- Questo potrebbe essere successo per via del guasto alla stazione di trasmissione.

-Se di guasto si tratta- precisò Gario.

-Sentite!- disse Publio, ad alta voce per farsi ascoltare- Può darsi pure che io mi sia completamente sbagliato e che vi stia costringendo ad effettuare una marcia non necessaria. Ma per come la vedo io, meglio non dare nulla per scontato e andare a dare un'occhiata al villaggio.

Ad un rapido esame della situazione, gli altri legionari si dichiararono d'accordo e così s'incamminarono lungo la ripida discesa che conduceva al villaggio. Uno spesso strato di neve ricopriva tutto, ma il terreno sotto di essa era solido e i loro scarponi chiodati vi aderivano saldamente. Ciononostante si procedeva con cautela, non solo per non rischiare di ruzzolare giù dalla scarpata, ma anche per il timore di attacchi.

-Perché mai i ribelli dovrebbero avere in interesse ad isolare Visernia?- chiedeva Gario mentre avanzavano circospetti.

-Magari potrai chiederglielo tu stesso molto presto- rispose il centurione Curzio.

Gli uomini sembravano nonostante tutto di buon umore, ma Publio non riusciva a condividere il loro stato d’animo. L’istinto gli diceva che doveva essere successo qualcosa quella notte a Visernia, a parte la bufera, e che quel qualcosa non era nulla di buono. Dal villaggio, intanto, nessun segno di vita. Eppure, ormai, avrebbero dovuto vederli mentre si avvicinavano.

Il terreno si fece via via più pianeggiante e regolare. Publio ne approfittò per fermarsi e scrutare nuovamente il villaggio. Stavolta erano così vicini che il binocolo non serviva, ma anche stavolta non c’era niente da vedere. Tutto era piatto e immobile come pochi minuti prima, quando erano arrivati.
 
Improvvisamente, Catulo, che era addetto alle trasmissioni, lo raggiunse.

-Tribuno, ricevo un segnale di soccorso- disse.

-Proveniente da dove?- chiese Publio.

-Da qualche parte laggiù, circa duecento metri dal villaggio.

Così dicendo, Catulo indicò un punto poco lontano della distesa che li separava dal villaggio. Non c’era niente lì, a parte rocce e vegetazione coperte di neve. Se il segnale proveniva da lì, tuttavia, era bene andare a controllare. Publio fece cenno agli altri di procedere sparpagliati e di tenere gli occhi aperti, quindi s’incamminò per primo, subito seguito dal centurione e dall’optio.

Non appena giunti nel punto indicato da Catulo, ebbero la conferma che qualcosa di grave era accaduto da quelle parti durante la notte. La carcassa di un’autocinetum semibruciato era abbandonata lì in mezzo alle rocce e la neve non era riuscita a coprirla tutta. Inoltre, qualunque cosa fosse accaduta da quelle parti, era successa dopo la fine della bufera, perché la neve era smossa in più punti, segno che qualcuno aveva camminato lì da poco. E soprattutto, la neve era macchiata di sangue in più punti. Di contro, non vi erano cadaveri, nè a terra nè a bordo dell'autocinetum. Chiunque li aveva fatti sparire probabilmente contava sul fatto che la tormenta avrebbe coperto anche tutte le altre tracce.

-Merda!- commentò semplicemente Curzio mentre si guardava intorno- Temo che avessi ragione tu, tribuno.

Non sai quanto avrei voluto invece sbagliarmi, pensò Publio. Si avvicinò alla carcassa dell’autocinetum, che Gundahar e Gario stavano già esaminando. Sembrava che il veicolo si fosse andato a schiantare contro una delle rocce, perché vi era completamente addossato. Doveva andare a grande velocità, constatò Publio, per aver subito un impatto simile; per di più doveva essere arrivato dal villaggio, quindi andava anche in salita. L'autista doveva aver perso il controllo del mezzo quando gli avevano sparato addosso; il telaio dell'autocinetum era pieno di buchi e di proiettili, ma l'incendio aveva deformato la carcassa e reso tutto irriconoscibile. Era sopravvissuta solo una parte della placca identificativa sul fianco dei veicolo, sulla quale si poteva ancora leggere il reparto militare di provenienza del veicolo: Cohors Auxilia Transmissionibus.

-Cosa credi che sia accaduto qui, tribuno?- chiese Gario.

Publio sollevò la visiera protettiva dell’elmo per passarsi una mano sul volto e sospirò preoccupato.

-Non lo so- ammise- L'autocinetum appartiene agli ausiliari in servizio alla stazione di trasmissione. Devono averli attirati qui dopo che sono giunti al villaggio. 

Per il resto, Publio non sapeva che risposte dare allo scenario che gli si parava davanti. La stazione di trasmissione distava dal villaggio circa cinquanta miglia e i collegamenti erano costituiti da sentieri e valichi estremamente disagevoli, che la notte e la tormenta dovevano aver reso più pericolosi. Inoltre, con il trasmettitore in avaria, gli ausiliari non avrebbero avuto alcun motivo di raggiungere il villaggio; dovevano invece trovarsi tutti all'avamposto a cercare di rimetterlo in funzione. E poi c'erano i legionari che Urbicio aveva inviato quella mattina il perlustrazione. Anche loro avevano perso contatto con i centri di comando poco dopo essere arrivati da quelle parti. In effetti, Publio ignorava se si fossero diretti direttamente alla stazione di trasmissione o se, come lui, avessero deciso di deviare prima per il villaggio. In ogni caso, si poteva decisamente escludere l'ipotesi di un incidente a catena causato dal maltempo.

Mentre rifletteva sul da farsi, Publio si ricordò del motivo che li aveva attirati nel luogo dell'imboscata. Aprì con un gesto secco lo sportello anteriore dell'autocinetum e guardò all'interno dell'abitacolo; l'apparecchio di trasmissione di bordo era bruciato insieme a tutto il resto, quindi ovviamente non funzionava. Il segnale di soccorso rilevato da Catulo proveniva da un altro apparecchio ancora funzionante. Una ricetrasmittende individuale! Sepolta nella neve!

-Ehi!- gridò, rivolto ai legionari che si aggiravano ancora nei dintorni- Optio, riaccendi il tuo trasmettitore e rintraccia quel segnale! Non proviene dall'autocinetum!

Catulo obbedì e nel giro di pochi minuti riuscì a rintracciare la fonte del segnale di soccorso che li aveva attirati nel luogo dell'imboscata. Affondò una mano nella neve e la ritirò stringendo fra le dita una ricetrasmittente individuale ancora funzionante.

-Eccola qui, tribuno!

-È possibile rintracciare il reparto di provenienza?- chiese Publio.

L'optio s'inginocchiò a terra per poter esaminare attentamente l'apparecchio. Le ricetrasmittenti militari per uso individuale disponevano infatti di un collegamento fisso con il centro di trasmissione principale del reparto cui l'utente apparteneva. In pratica, potevano all'occorrenza funzionare alla stregua delle piastrine identificative che ciascun legionario romano portava intorno al collo, anche perchè la frequenza del collegamento rimaneva impressa nel circuito di memoria dell'apparecchio anche quando questa non era raggiungibile e vi si ricollegava automaticamente non appena nuovamente possibile. Era un modo comodo e sicuro di garantire alle truppe sul campo un collegamento rapido e automatico con il proprio centro di comando, e Publio contava proprio sulla possibilità di riuscire a stabilire un contatto con il luogo, qualunque esso fosse, da cui quella ricetrasmittente proveniva. Se apparteneva agli ausiliari, allora sarebbe stato inutile cercare di stabilire un contatto, visto che il trasmettitore non era in funzione. Ma se la ricetrasmittente apparteneva ai legionari di Urbicio e questi non erano tutti morti, allora forse c'era ancora la speranza di capire che cosa era accaduto.

Dopo diversi tentativi di identificare il collegamento fisso e di attivarlo, però, Urbicio scosse la testa desolato e tornò a guardare Publio, che nel frattempo lo aveva raggiunto insieme a tutti gli altri.

-Niente da fare, tribuno- disse- Sembra che il collegamento principale sia stato cancellato da questa ricetrasmittente.

-Cosa?!- esclamò Curzio- Com'è possibile?! Credevo fosse impossibile manomettere il circuito di memoria di una trasmittente!

-Non per chi traffica abitualmente con questa roba! Non mi stupirebbe se tra i ribelli ci fosse qualcuno in grado di farlo... magari è a sua volta un ex ausiliario addetto alle trasmissioni.

-Però il segnale di soccorso continua a funzionare- disse Gundahar.

-È solo un segnale a bassissima frequenza. L'ho rilevato solo perchè eravamo molto vicini. Appena una decina di passi e l'avrei perso di nuovo- spiegò Catulo- E comunque non ci aiuterà a rintracciare la provenienza di questo apparecchio. Serve solo per le emergenze, quando nelle immediate vicinanze c'è qualcuno che possa prestare soccorso.

-Potremmo provare a cercare altre ricetrasmittenti- propose Gario- Forse ne è rimasta una con il circuito di memoria intatto.

-Ne dubito- rispose Publio- Si sono presi la briga di far sparire i cadaveri e con essi si sono portati via anche le ricetrasmittenti... è solo un caso se una di queste è scivolata via ed è rimasta nella neve.

Sospirò esasperato. Quella situazione gli piaceva sempre meno. Erano isolati da tutto e da tutti, e stavano praticamente procedendo alla cieca, con il rischio di fare la stessa fine dei commilitoni che li avevano preceduti e sparire nel nulla. Solo... cos'altro possiamo fare?, si chiese, evitando accuratamente di esprimere ad alta voce il dubbio e il timore che lo attanagliavano. In ogni caso, lì non potevano rimanere; le effimere tracce dell'imboscata non conducevano ad alcuna risposta soddisfacente; inoltre, avevano perso già abbastanza tempo e avevano una lunga strada da percorrere prima di arrivare a destinazione. Per intanto, la tappa più sicura e più promettente per la ricerca di risposte sembrava il villaggio.

Publio abbassò nuovamente la visiera dell'elmo e imbracciò lo sclopetum.

-Rimettiamoci in formazione!- ordinò- Proseguiamo verso Visernia... e tenete gli occhi ben aperti!

****************

Uff! Finito! È stato difficile, ma finalmente ce l'ho fatta! Speriamo che non sia venuto tanto male!
Inizialmente, a dire il vero, avevo pensato ad un capitolo più lungo. Però ho deciso di spezzarlo, per due fondamentali motivi. Uno: questo capitolo è già abbastanza lungo e complesso così com'è; non c'era bisogno di renderlo ulteriormente impegnativo. Due: per l'ultima parte del capitolo prevedevo un po' di azione e non volevo buttarmi nella narrazione di uno scontro armato così a freddo, dopo un mese di inattività; magari mi faccio una partita a Quake, giusto per immergermi nell'atmosfera adatta (fuoco, pallottole, esplosioni e quant'altro), poi mi ci metto su.
In realtà, ci sarebbe anche un terzo motivo, che consiste sostanzialmente nel gusto che sto cominciando a provare nell'interrompere la narrazione proprio sul più bello, quindi... Terzo motivo: sono una gran bastarda!
XD

P.S. Mi interesserebbe sapere cosa ne pensate della descrizione fisica che ho fatto di Publio. È solo una curiosità, perchè non intendo cambiarla; ho sempre immaginato Publio così come l'ho descritto fin da quando l'ho creato, ma mi domando se qualcuno l'ha immaginato diversamente leggendo i capitoli precedenti.

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Capitolo 11
*** X ***


11 Bene, in un moto di totale e vergognoso autocompiacimento, dirò che sono fiera di questo capitolo e che è valsa la pena saltare un’oretta di studio per comporlo, perché è venuto meglio di quanto avessi anticipato. Arrivate alla fine e capirete perché, ma non saltate il resto.
L’unica cosa che mi lascia forse un po’ insoddisfatta è la brevità. Probabilmente non avrei dovuto dividere il capitolo precedente e avrei dovuto farne un tutt’uno. Pazienza. Il giorno in cui avrò il tempo e la voglia di effettuare il riordino dell’impostazione dell’intera storia, forse ricucirò i pezzi. Per il momento, resta così e in fondo mi sta anche bene.

*************

X

L'arrivo a Visernia non fece molto per migliorare l'umore dei legionari, già notevolmente cupo dopo le inquietanti scoperte fatte poco prima. Il villaggio sembrava deserto e abbandonato. Le porte delle abitazioni erano spalancate e a terra davanti ad esse vi erano sparsi vari oggetti, per lo più abiti e suppellettili varie. Tutto lasciava intendere che gli abitanti fossero andati via frettolosamente, o meglio erano scappati. Publio si chiedeva dove, e soprattutto perchè?

In giro non c'erano segni di combattimenti recenti, ma i legionari prestarono comunque molta attenzione mentre si muovevano nel villaggio. Avanzavano lentamente, armi in pugno puntate davanti a loro e coprendosi a vicenda. Nel perquisire le abitazioni, non entravano mai da soli e cercavano di mantenere unito il gruppo. Fortunatamente, quei legionari erano ben addestrati a muoversi in territorio potenzialmente ostile, e questo consentiva a Publio di tralasciare di dare loro indicazioni circa la perlustrazione, per concentrarsi sull'esame dell'ambiente circostante, alla ricerca di indizi che potessero dare una risposta ai numerosi interrogativi che gli affollavano la mente.

Ma nelle case vuote e abbandonate non c'era nulla che potesse dargli qualche informazione su quanto era accaduto quella notte.

-Catulo sta ancora provando a mettersi in contatto con qualcuno, ma invano- lo informò il centurione Curzio, raggiungendolo all'interno di una casa- Anche con gli elicotteri che ci hanno portati qui abbiamo perso il contatto.

Publio annuì lentamente, intuendo parzialmente i pensieri del centurione. Effettuando quella deviazione dalla destinazione principale, probabilmente li aveva messi tutti in pericolo. Sul momento, però, sembrava la decisione più giusta e Publio non ne era pentito. Per quel che ne sapeva, lassù all'avamposto c'era un secondo agguato, stavolta destinato a loro. Se i ribelli avevano preso il controllo della stazione, isolandola, allora si aspettavano certamente che altri legionari venissero mandati lassù e non a Visernia che non manteneva alcun contatto con gli avamposti militari. Se si aspettavano l'arrivo di altri legionari, quasi certamente non si aspettavano che questi arrivassero dal villaggio, il che dava loro un minimo vantaggio. Forse non era stata propriamente una buona idea portare lì la ricognizione, pensò Publio, ma per il momento, decise, non avrebbe biasimato la propria decisione.

-L'unica via d'uscita è arrivare al più presto all'avamposto- disse- Se abbiamo terminato la perquisizione del villaggio, ci mettiamo subito in marcia.

Il centurione annuì, ma prima che potesse dire qualcos'altro, da fuori arrivarono le voci concitate dei legionari.

-Cazzo, Emilio! Datti una calmata! Così peggiori solo le cose!

-Fottiti, optio! Ci scommetto che sono stati questi bastardi a far fuori i nostri!

Publio e il centurione si scambiarono una rapida occhiata, quindi si precipitarono fuori. Gli altri si trovavano tutti di fronte ad una delle abitazioni centrali. Al contrario delle altre, porta e finestra di queste erano sbarrate e dall'interno provenivano voci terrorizzate. A quanto sembrava, non tutti avevano abbandonato il villaggio.

Non ci volle molto per capire da cosa derivava tutto quel trambusto. Accortisi della presenza di civili, i legionari avevano circondato l'abitazione e Catulo aveva tentato di convincere gli abitanti ad uscire per far loro delle domande. Emilio, tuttavia, era di tutt'altro parere e sembrava seriamente intenzionato a procedere ad una rappresaglia indiscriminata. Gridava minacciosamente all'indirizzo dell'abitazione, puntando lo sclopetum contro di essa, e a nulla erano valsi i tentativi dei compagni di calmarlo.

Publio scosse la testa esasperato. Quell'invasto di un legionario era proprio quello di cui non avevano bisogno in una situazione come quella. Ignorando totalmente il fatto che quell'uomo fosse almeno il doppio di lui, lo raggiunse, lo afferrò per una spalla e lo tirò indietro. Colto di sorpresa, Emilio indietreggiò senza opporre resistenza e, perso l'equlibrio cadde a terra. Gario ne approfittò immediatamente per immobilizzarlo.

-Falla finita, Scauro!- gridò Publio adirato- Ma che accidenti di prende?! Sei impazzito? Stati terrorizzando questa povera gente!

-Maledizione, tribuno! Questi bastardi attaccano i nostri compagni e tu stai dalla loro parte?!- esclamò Emilio, mentre si rimetteva in piedi.

-Non hai alcuna prova che siano stati loro a tendere quell'agguato! Credi che starebbero ancora qui, se fossero stati loro?!- rispose Publio- In ogni caso, fino a quando non avremo identificato i colpevoli con certezza, ti comporterai in maniera civile con ogni civile con il quale entrerai in contato, sono stato chiaro?

Publio tirò un profondo sospiro per calmarsi e si voltò verso la casa. Emilio, nel frattempo, sputò a terra.

-Roba da non credere!- sbottò- Da quando noi legionari dobbiamo prenderci il disturbo di trattare bene gli indigeni?

Publio, che stava apprestandosi a tentare di calmare le persone all'interno della casa, si voltò di nuovo, lanciando al legionario uno sguardo di fuoco. Avanzò verso di lui e gli si parò davanti, petto contro petto, per nulla intimidito dalla sua altezza e dal suo aspetto minaccioso.

-Non ci saranno nè saccheggi nè violenze indiscriminate sotto il mio comando, sono stato chiaro?- sibilò- Sappi che è colpa anche di quelli che la pensano come te se questa gente è arrivata al punto da rivoltarsi, anche dopo tanti anni di romanizzazione.

Il suo sguardo si posò sugli altri legionari, che lo fissavano allibiti. Emilio Scauro era certamente una testa calda e meritava una lezione. Ma nessuno di loro si sarebbe mai immaginato che a metterlo in riga sarebbe stato un tribuno di diciannove anni, la cui testa gli arrivava appena al petto.

-La stessa cosa, vale per tutti voi!- disse Publio- E tu, centurione, vedi di tenere sotto controllo i tuoi uomini o ti riterrò personalmente responsabile.

Non aveva nulla contro il centurione Curzio, gli sembrava anzi un uomo in gamba e capace. Ma c'era fin troppa tensione nel gruppo e lui doveva fare in modo che la situazione non degenerasse. I legionari sembravano rispettare molto il loro comandante e, sapendo che su di lui sarebbe ricaduta la responsabilità delle loro azioni, Publio era sicuro che si sarebbero regolati e limitati a vicenda.

Risolta la questione, tornò a voltarsi verso la casa. Non conosceva bene la lingua degli aleutini, ma era in grado di sostenere una conversazione elementare. Sicuramente fra gli abitanti doveva esserci qualcuno che parlava latino, ma pensò che se avesse fatto lo sforzo di esprimersi nella loro lingua, essi si sarebbero fidati di più. Con molta difficoltà, iniziò a parlare, scusandosi per l'accaduto e assicurando che non avevano nulla da temere da loro.

Dopo diversi tentativi, finalmente, la porta si aprì lentamente e un uomo di mezza età uscì lentamente, tremando come una foglia e tenendo le mani davanti a se come per proteggersi. Alle sue spalle, una donna, più terrorizzata di lui, cercava di trattenerlo.

Publio fece cenno ai legionari di tenersi indietro, quindi posò a terra lo sclopetum e si avvicinò all'uomo, mostrando le mani per far capire che era disarmato e indifeso. Beh... non proprio indifeso, visto che cinque legionari gli coprivano le spalle con le armi in pugno.

-Parli latino?- chiese Publio, che aveva ormai esaurito il suo campionario di frasi.

-S... solo un po'- balbettò l'uomo- Vi prego... non abbiamo fatto niente!

-Sì, certo. Che cosa è successo qui? Dove sono gli altri?

-Non lo so, signore, ve lo giuro! Stanotte sono scesi i soldati dalla stazione di trasmissione. Hanno attraversato il villaggio e sono usciti dall'altra parte. Poi si sono messi a sparare... c'è stata anche un'esplosione!

-Contro chi hanno sparato? Contro i ribelli?

-Non lo so. Credo di sì. Mi sono chiuso in casa con la mia famiglia e alcuni vicini. Gli altri sono scappati quando è iniziato il combattimento. Hanno preso il sentiero che scende dalla montagna.

-Cos'è successo dopo?

-Qualcuno è venuto nel villaggio. Non sono uscito a vedere, avevo troppa paura. Si sono messi a frugare nelle case e hanno messo tutto a soqquadro... gridavano, ma non capivo cosa dicevano...

Publio valutò il comportamento dell'uomo. Sembrava sincero, ma era confuso e terrorizzato, quindi non sapeva quanto poteva realmente fidarsi delle sue parole. In ogni caso, adesso avevano conferma che poco fuori da Visernia si era verificato uno scontro che aveva coinvolto gli ausiliari della stazione di trasmissione, sicuramente contro i ribelli.

A questo punto, si disse, era facile immaginare che cosa poteva essere successo. I ribelli dovevano aver attaccato la stazione di trasmissione, strappandola agli ausiliari e disattivandola, isolando così l'intera regione. Un gruppo di essi doveva aver tentato di sganciarsi e di fuggire passando per il villaggio, probabilmente per dare l'allarme. Ma i ribelli dovevano essere arrivati anche al villaggio e gli avevano teso un'imboscata. Poi avevano tentato di coprire le tracce, prevedendo l'arrivo di altri legionari inviati per indagare. Quanto alla pattuglia che Urbicio aveva inviato prima di loro, se erano andati direttamente alla stazione di trasmissione, sicuramente erano caduti a loro volta in un'imboscata.

Decisamente non una bella situazione quella in cui si erano venuti a trovare, ma per lo meno adesso potevano intuire com'erano andate le cose e avrebbero potuto comportarsi di conseguenza.

Publio ordinò all'uomo di tornare dentro e chiudersi, di non uscire per nessuna ragione, tranne che non fosse stato lui o un altro legionario romano ad ordinarglielo. Poi spiegò al centurione Curzio quanto appreso e quanto aveva potuto dedurre dalle parole dell'uomo.

-A questo punto, dobbiamo raggiungere in fretta la stazione di trasmissione e riattivarla- disse- Se agiamo con prudenza e riusciamo nell'intento, forse siamo ancora in tempo per chiedere a Urbicio di inviare altri rinforzi prima che i ribelli abbiano il tempo di consolidare la loro presenza da queste parti.

Il centurione non ebbe nulla da obiettare. Stava per ordinare ai suoi di mettersi in marcia, quando uno sparo isolato echeggiò nell'aria, proveniente da una delle case abbandonate. Subito dopo, Gundahar cadde a terra, portandosi una mano dietro l'orecchio destro e urlando di dolore. Un'altra salva di spari investì i legionari, sfiorandoli appena.

-Merda!- esclamò il centurione- Mettetevi al riparo!

I legionari si precipitarono nelle stradine laterali fra una casa e l'altra e si prepararono a reagire all'attacco. Gario afferrò Gundahar e se lo mise in spalla, prima di correre al riparo. Dalla casa di fronte, continuarono a sparare in tutte le direzioni in cui i legionari erano scappati. Dal volume di fuoco, dovevano essere almeno due uomini. Forse una retroguardia rimasta nel villaggio, forse due esploratori ribelli tornati lì dopo aver visto gli elicotteri avvicinarsi a Visernia.

Colti inizialmente di sorpresa, i legionari si ripresero rapidamente e cominciarono a sparare a loro volta in direzione del nascondiglio dei loro aggressori. La casa era fatta interamente di legno e sembrò quasi sul punto di cedere sotto quella pioggia di piombo, ma in realtà le pareti erano assai più spesse e resistenti di quanto sembrava. Non c'era alcuna possibilità che i proiettili romani riuscissero a trapassarle, e all'interno quei due potevano dirsi sufficientemente al sicuro, al contrario dei legionari che erano praticamente all'aperto. Dovevano sbarazzarsene al più presto, prima che ne arrivassero altri.

Valutate rapidamente tutte le varie possibilità, Publio sganciò dalla propria cintura una pirobula a mano e si preparò a tirarne l'innesco.

-Centurione, copritemi le spalle!- ordinò.

il centurione lo guardò e capì immediatamente il suo intento.

-Pronti a coprire il tribuno!- ordinò- Adesso!

Tutti i legionari si sporsero dai loro precari ripari e riversarono una tempesta di piombo sulla casa, costringendo i loro assalitori a mettersi al riparo e a smettere di sparare. Publio ne approfittò per uscire e correre verso di essa. Si fermò a pochi metri e tirò l'innesco; mentre si apprestava a lanciare la pirobula, vide una figura armata sporgersi dalla finestra della casa nel tentativo di reagire. Publio riuscì a vederlo bene e quello che vide gli provocò un tuffo al cuore, ma nel frattempo la pirobula era volata e aveva centrato la finestra, entrando.

Publio si buttò a terra un attimo prima che una violenta esplosione squarciasse l'aria e sconquassasse la casa. Percepì il calore dell'esplosione e una pioggia di detriti e di polvere gli cadde sulla schiena. Poi tornò il silenzio, interrotto solo dai passi dei legionari che corsero verso di lui.

Il primo a raggiungerlo fu Emilio Scauro. il legionario non riusciva a crederci. Quel giovane tribuno che solo un attimo prima lo aveva umiliato e che lui riteneva inesperto e buono solo a parlare bene, si era scagliato contro il nemico senza pensarci due volte e lo aveva annientato.

-Tribuno, stai bene?- chiese aiutandolo a tirarsi su- Sei ferito?

-No, sto bene- rispose Publio respirando affannosamente e tossendo.

Catulo era passato avanti e scrutava la casa ormai parzialmente demolita da una distanza di sicurezza, lo sclopetum ancora in pugno.

-Gran bel lancio!- commentò eccitato- Li hai sicuramente fatti fuori, tribuno!

Publio si voltò a guardare la distruzione che aveva provocato. Il boato dell'esplosione, investendolo, lo aveva stordito, ma si era ripreso in fretta. E improvvisamente ricordò ciò che aveva visto affacciarsi alla finestra e che per un attimo lo aveva lasciato interdetto.

Sotto lo sguardo stupito dei legionari, corse in direzione della casa e si fece largo in mezzo alle macerie, pregando silenziosamente gli dei di essersi sbagliato. Prima ancora di riuscire ad entrare, tuttavia, si fermò di colpo sulla soglia e prese a tremare con violenza.  

-Per Giove Ottimo Massimo!- esclamò sgomento.

I due uomini che li avevano attaccati giacevano entrambi in mezzo alle macerie. Morti.

Entrambi indossavano il kimono militare. I loro volti erano rimasti sfigurati dall'esplosione, ma entrambi avevano inequivocabilmente gli occhi obliqui e i tratti asiatici.

Due ronin.

**************

Siate sinceri. Ve lo aspettavate che finisse così? xD
Eh sì… la situazione si fa, se possibile, ulteriormente più complicata e per i romani si mette davvero male, ma proprio male!
Adesso, però, dovrete aspettare un po’. Giorni fa sono uscite le date degli esami ed è di conseguenza iniziata la drammatica e rituale corsa contro il tempo, che attualmente mi preoccupa assai più di quanto mi preoccuperebbe trovarmi un ronin in casa!

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Capitolo 12
*** XI ***


12 Eee... finalmente ce l'ho fatta! Credo che fin'ora questo sia stato l'intervallo più lungo di tempo fra la pubblicazione di un capitolo e quella successiva. Purtroppo l'ultima sessione d'esami è stata particolarmente impegnativa, benché sia alla fine andata bene... almeno per me. Aggiungeteci poi il successivo e necessario periodo in cui l'unica cosa che si desidera è spegnere il cervello e mandarlo a riposo a tempo indeterminato e, beh... questo è in sintesi il motivo del ritardo.
In ogni caso, ecco qui per voi un bel capitolone!

***********

XI

Publio sentiva il cuore scoppiargli nel petto e capiva che ciò non era dovuto alla marcia a ritmo sostenuto che lui e gli altri legionari stavano sostenendo lungo il sentiero che si inerpicava sulle montagne. No, a farlo fremere erano rabbia, sgomento e, sì, non temeva di ammetterlo, paura.

I ronin! I ronin erano giunti a Visernia! Non riusciva ancora a crederci.

Certo, al villaggio loro ne avevano incontrati solo due e non avevano avuto difficoltà ad ucciderli, ma non occorreva fare un grosso sforzo mentale per rendersi conto di cosa significava la presenza di due mercenari nionici in un villaggio coloniale romano... a poche miglia dal confine.

L'Alasia stava subendo l'invasione tanto temuta da anni, di quersto Publio era più che mai sicuro. Inizialmente, subito dopo l'uccisione dei due ronin, Publio si era come bloccato e aveva provato dentro di se uno sgomento e uno smarrimento tali da impedirgli di pensare chiaramente. Poi, però, la sua mente era ripartita di slancio e improvvisamente aveva avuto ben chiaro ciò che bisognava assolutamente fare. Soprattutto, aveva capito, bisognava agire in fretta.

Aveva così ordinato ai legionari, stupiti quanto lui da quella scoperta inaspettata, di mettersi in cammino verso la stazione di trasmissione che costituiva il loro obbiettivo originario. Lui stesso si era messo alla testa del gruppo e aveva imposto alla marcia un ritmo assai sostenuto, quasi di corsa, e in cuor suo aveva pregato Mercurio di farlo arrivare in tempo per impedire che accadesse il peggio.

Nel corso della marcia, la sua mente aveva lavorato alacremente per rielaborare quanto accaduto a partire da quella notte fino al loro arrivo a Visernia. Publio si era così fatto un quadro fin troppo verosimile della situazione e adesso continuava a ripeterselo mentalmente, nella speranza che ciò contribuisse a renderlo più consapevole di ciò che si apprestava ad affrontare. O forse nella speranza di trovare una qualche falla nel suo ragionamento che gli consentisse di dare una risposta diversa a tutto quanto... una risposta meno inquietante.

Ma in quel momento, sembrava che il suo ragionamento non facesse una piega.

I ronin dovevano essere riusciti in qualche modo a superare il Vallo di Alasia. Probabilmente doveva trattarsi di una piccola avanguardia di esploratori, pochi uomini in grado di muoversi in territorio nemico senza dare nell'occhio; e all'occorrenza in grado di compiere colpi di mano mirati ed efficaci. Forse anche troppo. I nionici dovevano aver ricevuto aiuto dall'interno, sia per attraversare il confine che per localizzare con tanta facilità un avamposto così importante come Visernia. Mentre ripensava a quell'eventualità, Publio non poté fare a meno di ripensare al romano trovato morto insieme agli indigeni del villaggio aleutino. Che ce ne fossero altri? E al servizio di chi?

Forse un'altra spia li aveva guidati fino a Visernia. Se solo fossero riusciti a catturarla viva, avrebbero potuto porre fine a quel raggelante mistero... e all'incombente invasione. Un motivo in più per affrettarsi verso la stazione di trasmissione. I ronin dovevano averla occupata durante la notte e dovevano averla sabotata per isolare la regione e facilitare un nuovo assalto. Con una parte del Vallo di Alasia isolata dal resto della rete difensiva e dalle retrovie, il grosso dei mercenari nionici, che sembravano strordinariamente e insolitamente ben equipaggiati, non avrebbero avuto difficoltà ad aprire una breccia di proporzioni enormi. Ma Publio era ben deciso ad impedirglielo, e soprattutto a non fare la stessa fine della guarnigione della stazione di trasmissione e degli altri legionari di Umbricio.

Durante l'occupazione dell'avamposto, alcuni degli ausiliari dovevano essere riusciti a defilarsi e con un veicolo avevano tentato di raggiungere Visernia per dare l'allarme. Invece erano finiti in um'imboscata, tesagli probabilmente da un secondo gruppo di ronin che si era diretto al villaggio per tenerlo sotto controllo. Poi, quanto la stazione aveva smesso di trasmettere, Umbricio aveva inviato un gruppo di suoi legionari ad indagare, e anch'essi dovevano essere caduti in una trappola.

Prima di partire di gran fretta da Visernia, Publio e i suoi avevano effettuato un'ulteriore ricognizione nei dintorni. Alla fine, avevano trovato gli ausiliari cui apparteneva l'autocinetum abbandonato poco fuori dal villaggio. Erano tutti morti, ovviamente. I ronin li avevano trascinati all'interno dello stesso edificio che Publio aveva demolito durante il breve attacco subito a Visernia. Una breve ispezione delle macerie era bastata per rinvenire quattro corpi.

Stavolta, però, i ronin avrebbero trovato pane per i loro denti. Publio e i suoi non stavano certo arrivando all'avamposto impreparati, ed erano anzi ben decisi a vendicare i loro commilitoni e a sventare quell'audace tentativo di invasione prima che fosse troppo tardi.

-Tribuno, ci siamo!

La voce di Catulo lo riscosse da quelle concitate riflessioni. Si fermò di colpo e si voltò a guardarlo. Catulo, il fiato corto per la lunga marcia sostenuta, teneva in mano il palmare con la bussola e la mappa, che durante il cammino aveva consultato di tanto in tanto per orientarli in quella regione impervia, per evitare che finissero fuori strada o giù da uno strapiombo.

-L'avamposto è dietro quel crinale- disse, porgendo il palmare a Publio, mentre con l'altra mano indicava l'altura che si ergeva a mezzo miglio di distanza sulla destra del sentiero.

Publio consultò rapidamente la mappa, si guardò intorno e annuì. Erano quasi arrivati, ma adesso dovevano stabilire come procedere per avvicinarsi all'avamposto.

Mentre Gario, Gundahar ed Emilio si disponevano in maniera tale da difendere la loro posizione da eventuali attacchi, Publio, Curzio e Catulo si ripararono al margine del sentiero, contro la parete rocciosa della montagna, per consultarsi.

Fu immediatamente chiaro a tutti che arrivare alla stazione di trasmissione attraverso il sentiero sarebbe stata una follia. Il sentiero si inoltrava nel crinale, stretto fra le pareti di un valico, dove probabilmente durante la notte doveva essersi depositata parecchia neve. Troppi rischi: di finire in un'imboscata e di rimanere vittime di una valanga accidentale. Come se non bastasse, il sentiero sbucava proprio di fronte all'entrata frontale dell'avamposto; se anche fossero riusciti a passare indenni il valico, sarebbero finiti dritti contro le armi spianate del nemico.

Non restava che dare la scalata al crinale, che non era troppo alto ed era invece sufficientemente ripido perché la neve non vi si depositasse in quantità. Una volta in cima, inoltre, avrebbero avuto una chiara visuale sull'avamposto e sui suoi dintorni, senza pericolo di essere a loro volta visti, data l'abbondanza di anfratti in cui nascondersi.

Naturalmente fu più facile a dirsi che a farsi. Sia Publio che i legionari erano forti, ben allenati e sufficientemente audaci da mettere a rischio la propria vita arrampicandosi su una montagna a mani nude, ma oltre ad essere privi dell'attrezzatura adatta, erano anche appesantiti dalle armature e dall'equipaggiamento. Ci misero più del previsto e più di una volta ciascuno di loro rischiò di mettere in fallo un piede e di andare a sfracellarsi sul sentiero sottostante, o di mandare tutto a monte per l'impulso di urlare di fronte al pericolo di cadere giù.
 
Quando arrivarono in cima, erano ancora più sudati e ansimanti di prima. Ma i loro sensi erano comunque in allerta e la fatica non fece loro abbassare la guardia. Muovendosi con cautela e circospezione, si appostarono sull'altro versante dell'altura, nascosti in mezzo alle rocce.

Davanti a loro, della piccola conca sottostante, si ergeva la stazione di trasmissione di Visernia. In realtà, l'avamposto vero e proprio si trovava scavato a costruito all'interno della montagna alla loro destra, dalla cui cima emergevano solo le antenne e i ricevitori. Fuori, nella piccola conca circondata dalle montagne e raggiungibile solo attraverso il sentiero che i legionari avevano abbandonato, vi era solo lo spiazzo adibito all'atterraggio e al decollo degli elicotteri e piccoli edifici di lamiera che venivano utilizzati come ripostigli per equipaggiamento di poco conto.

Sulla pista di atterraggio si scorgeva chiaramente del movimento, ma prima di usare il binocolo per scrutare il loro obbiettivo, Publio si guardò alle spalle, poi scrutò le alture circostanti. In quel momento, infatti, gli era tornato in mente il racconto che suo padre gli aveva ricordato tante volte, di come tanti anni prima, proprio in quei luoghi, il fratello di sua madre aveva perso la vita in un'imboscata che i ronin avevano teso ai romani in mezzo a quelle montagne capaci di offrire riparo non solo a uomini, ma anche di celare veri e propri accampamenti militari al loro interno.

Non c'era modo di stabilire se sulle alture vi fossero dei ronin in ricognizione e loro non avevano tempo per effettuare una ricognizione perimetrale intorno all'avamposto, così, dopo aver scrutato sommariamente i dintorni, Publio puntò il binocolo in basso ed esaminò accuratamente la pista di atterraggio. Gli altri, stretti intorno a lui, guardavano ora la conca, ora lui, in attesa di un responso.

-Allora?- chiese infine Curzio, interpretando la curiosità di tutti.

Publio scosse la testa e fece una smorfia.

-Qualunque cosa stiano facendo sono in tanti- disse- Stanno fortificando la parte esterna dell'entrata dell'avamposto, probabilmente in vista di un ulteriore attacco... e hanno indossato i mantelli bianchi dei nostri, per non farsi riconoscere da lontano.

-Ovviamente non sanno che sappiamo già chi sono!- commentò Emilio in tono compiaciuto.

-Sì, ma se non riprendiamo possesso della stazione e non la rimettiamo in funzione, nessun'altro a parte noi verrà a conoscenza della nostra scoperta. Dobbiamo entrare lì dentro!

Publio tornò a guardare nel binocolo e concentrò tutta la sua attenzione sull'ingresso dall'avamposto. La porta blindata era sbarrata. Forse dentro c'erano altri ronin. Se anche avessero avuto la meglio su quelli rimasti fuori, chi era dentro avrebbe potuto barricarsi all'interno e rendere vani i loro sforzi. L'ideale, pensò Publio, sarebbe stato agire senza mettere in allarme il nemico, tanto all'interno dell'avamposto quanto fuori.

Guardò l'orologio, poi il cielo. C'erano ancora quattro ore di luce. Troppe, considerando che più passava il tempo, più i confini dell'Alasia erano minacciati dall'invasione. Ma agire subito avrebbe potuto significare lasciare la stazione di trasmissione in mano al nemico per molto più tempo, magari condannare definitivamente l'Alasia. Quattro ore di attesa erano un rischio ben più ragionevole.

-Se riusciamo ad occupare la pista di atterraggio- disse, rivolgendosi all'optio Catulo- Saresti in grado di forzare l'ingresso della stazione?

Catulo esaminò il proprio palmare, sul quale si trovavano anche le infornazioni sulla stazione di trasmissione.

-Sì, purché non attivino i dispositivi di sicurezza dall'interno- rispose- Se si accorgono della nostra presenza, possono sigillarsi all'interno e rimanerci anche per mesi... sempre che abbiano abbastanza rifornimenti, ovviamente.

Publio annuì. Stando così le cose, non restava che attendere la notte e nel frattempo elaborare un piano per impadronirsi della parte esterna dell'avamposto senza dare l'allarme.

Publio decise di mandare Emilio e Gundahar in perlustrazione sulle alture vicine, girando intorno alla stazione di trasmissione. Dividere il gruppo in quelle circostanze, con le trasmissioni disturbate e quindi impossibilitati a comunicare a distanza anche fra di loro, era rischioso, ma prima di portarli laggiù e dare l'assalto all'avamposto, Publio voleva essere sicuro che nessuno li tenesse sotto tiro da una posizione coperta e sopraelevata.

I due legionari tornarono solo tre ore dopo. Avevano dovuto muoversi con molta cautela, per evitare di rivelare la loro posizione e questo aveva fatto perdere loro parecchio tempo. In compenso, portarono buone notizie. Sulle alture circostanti non vi era traccia del nemico; probabilmente pensavano che se mai si fossero presentati alla stazione di trasmissione, i romani sarebbero arrivati dalla strada principale. Le stesse fortificazioni che i ronin stavano mettendo su sulla pista di atterraggio erano rivolte verso il valico di accesso alla conca.

Se tutto rimane così com'è, abbiamo buone probabilità di riuscita, pensò Publio. Se solo il tempo non scorresse così lentamente! Rivolse una breve preghiera a Marte, affinché li favorisse, quindi tornò a concentrarsi sulla pista di atterraggio, per decidere come arrivarvi e come colpire il nemico.

Quando finalmente il sole tramontò dietro le cime a occidente e la conca sprofondò lentamente nell'oscurità, i ronin decisero di aver lavorato abbastanza a lungo e di potersi ritenere soddisfatti. Con grande soddisfazione di Publio, alcuni di essi tornarono dentro la stazione, mentre all'esterno rimasero poche sentinelle. Publio imbracciò la propria arma e si rivolse ai compagni.

-È il momento adatto! Andiamo!

Iniziarono la discesa sull'altro versante della montagna, avvicinandosi alla pista di atterraggio dell'avamposto. Fu ancora più difficile dell'arrampicata di prima, perché oltre al terreno ripido e accidentato, stavolta dovevano anche muoversi lentamente e senza far alcun rumore che potesse attirare l'attenzione delle sentinelle. Publio condusse i suoi in maniera tale da aggirare la pista di atterraggio e scendere alle spalle dell'avamposto. Quando arrivarono giù, erano tutti nuovamente sudati e col fiato corto, come quando erano saliti.

Dietro consiglio di Emilio, si liberarono di una parte dell'equipaggiamento per alleggerirsi e lo nascosero in un anfratto. Misero poi in spalla gli sclopetum e misero mano ai pugnali.

Al buio, i ronin avrebbero potuto essere facilmente scambiati per romani. I mantelli bianchi che indossavano, per contro, li rendevano facilmente visibili. Sotto di essi non indossavano armature a temperatura regolabile come quelle dei romani, così per resistere al freddo si muovevano lentamente nei pressi delle postazioni loro assegnate.

Nella conca che ospitava l'avamposto regnava un silenzio assoluto e quasi irreale. Non soffiava il vento, il cielo era coperto e aveva cominciato a nevicare. Altra neve si andava accumulando sul terreno, sulle montagne e sulla pista di atterraggio. Sarebbe stato difficile avanzare su di essa senza far rumore. La neve produce un rumore caratteristico quando viene calpestata, e nel silenzio che regnava nella conca Publio temeva che lui e i suoi compagni sarebbero stati facilmente sentiti nel momento stesso in cui avessero osato avvicinarsi alle sentinelle. Non c'erano, tuttavia, altre possibilità; la riconquista della stazione di trasmissione era troppo importante e quello era l'unico modo per ottenerla.

Contò per l'ennesima volta le sentinelle di guardia, poi, secondo il piano prestabilito prima insieme al centurione Curzio, a ciascuno dei legionari assegnò uno o più nemici da uccidee. Avrebbero colpito simultaneamente, attaccandoli alle spalle, in maniera tale da ridurre il rischio di essere scoperti prematuramente.

Benché ormai si considerasse un soldato con una certa esperienza, Publio non aveva mai ucciso un nemico a distanza ravvicinata. Al contrario, tempo prima si era ritrovato faccia a faccia con un ronin che aveva cercato di ucciderlo con un colpo di spada. Mentre stringeva nella mano l'impugnatura del suo pugnale, Publio ripensò all'espressione feroce del ronin che lo aveva quasi ucciso e al quale era sfuggito per un pelo. Si chiedeva che cosa avrebbe provato affondando la lama nella schiena del ronin che si era autoassegnato, così, come se fosse un fantoccio da addestramento. Una cosa era combattere il nemico a distanza, sparando spesso senza neanche vederlo. Ben altra cosa, ne era certo, era arrivare alle spalle di un uomo e pugnalarlo alla schiena. Eppure, quegli stessi ronin che loro stavano per cogliere di sorpresa non dovevano essersi comportati diversamente quando avevano attraversato il confine e occupato l'avamposto; avevano colto gli ausiliari alla sprovvista e li avevano sopraffatti; poi si erano camuffati da soldati romani e avevano ulteriormente attirato in trappola e ucciso i legionari di Umbricio.

Publio abbassò lo sguardo sulla lama del pugnale, che era stata resa opaca con della vernice scura, in maniera tale da non scintillare al buio. Per la prima volta dopo il suo primo combattimento, si ritrovava ad esitare di fronte all'idea di colpire il nemico per primo e senza preavviso. Non poteva certo dire che l'idea di uccidere un uomo a sangue freddo lo entusiasmasse. Ma in fondo, chi mai avrebbe potuto essere entusiasta di una cosa simile? Forse nemmeno Emilio, che fra i componenti del suo corredo militare sfoggiava quell'enorme coltellaccio egizio con il quale adesso si accingeva a mietere vittime.

Trasse un profondo sospiro. Va fatto, si disse. Andava fatto. Non per l'onore, non poteva esserci onore nel colpire un nemico alle spalle, ma per il bene di Roma e la sicurezza dei romani che vivevano in Alasia e nelle immediate vicinanze del confine. Per i compagni caduti, si disse Publio, e subito si sentì più sicuro e motivato. Sì, per loro poteva farlo. Si rivolse agli altri e diede il segnale di entrare in azione.

I legionari si mossero rapidi e silenziosi verso la pista di atterraggio e vi salirono. Muovendosi da un riparo all'altro, arrivarono alle spalle delle sentinelle nioniche e, una dopo l'altra, le uccisero prima ancora che potessero rendersi conto di quanto accadeva intorno a loro. Publio scoprì, sgradevolmente sorpreso, che una semplice pugnalata, seppur fatale, non conduceva ad una morte immediata, neanche se inflitta alla gola. Dovette tappare la bocca al ronin che aveva aggredito, mentre questi si accasciava a terra, e tenergliela serrata ancora per qualche interminabile secondo, prima di ritirarla macchiata di sangue. Era certo che prima o poi quella notte sarebbe tornata a perseguitarlo, ma per il momento aveva altro a cui pensare; evitò accuratamente di guardare in volto il nionico e afferrò una manciata di neve per pulirsi alla meglio la mano.

I suoi compagni avevano portato anch'essi a termine il compito. Si radunarono tutti al centro della piattaforma di atterraggio e si guardarono intorno, increduli ed eccitati. La prima parte dell'impresa aveva avuto successo. Ora, si trattava di entrare dentro la stazione di trasmissione e riprenderne il controllo.

Dopo aver recuperato l'equipaggiamento, Publio li condusse all'ingresso principale e fece cenno a Catulo di mettersi al lavoro. L'optio collegò il proprio computatore tattico al pannello elettronico della porta blindata.

-Non sono stati attivati i dispositivi di sicurezza!- annunciò euforico- Qualche attimo di pazienza e vi faccio entrare, tribuno!

Catulo si dimostrò all'altezza dei talenti tanto decantati dal centurione Curzio. In meno di dieci minuti, più che sufficienti ai compagni per prepararsi all'irruzione, riuscì a forzare la serratura elettronica della porta blindata e l'aprì.  

Publio e il centurione Curzio furono i primi ad entrare, seguiti da tutti gli altri. Il corridoio era buio e deserto, segno che il loro arrivo non doveva essere stato notato, almeno per il momento. I legionari attivarono i visori notturni incorporati agli elmi e procedettero circospetti, le armi puntate davanti a loro. Come prima cosa, pensò Publio, mentre avanzava col fiato sospeso, dovevano raggiungere la sala controllo e toglierla ai ronin. La cosa più importante era ripristinare le trasmissioni nella regione. Poi avrebbero provveduto a ripulire l'avamposto.

Arrivarono alla porta della sala controllo senza imbattersi in nessuno. Si prepararono all'irruzione, posizionandosi ai lati, poi Publio schiacciò con un pugno il pulsante di apertura e, quasi contemporaneamente, Emilio e Gario lanciarono all'interno delle pirobule fumogene. Dall'interno della stanza arrivarono delle voci straniere, dal tono allarmato, poi agguerrito. Quando il fumo fu abbastanza denso, Publio diede l'ordine e i legionari si riversarono all'interno e spararono una lunga e fitta raffica davanti a loro. Superata la cortina di fumo, si ripararono dietro i macchinari per fronteggiare il nemico ormai in allerta.

Nella stanza, a terra, giacevano giacevano già quattro ronin. Ma altri otto avevano fatto in tempo a mettersi al riparto e, ripresisi dalla sorpresa, avevano imbracciato le armi. Ora, al riparo anche loro dei computatori e dei macchinari di trasmissione, davano battaglia, decisi a vender cara la pelle. I romani erano in inferiorità numerica rispetto a loro, ma erano muniti di armature più robuste e, forti della loro sete di vendetta nei confronti dei commilitoni uccisi, riuscirono in breve tempo a circondare i ronin e a sopraffarli.

-Chiudete tutte le porte!- gridò Publio, mentre si dirigeva al computatore principale- Sigillate la stanza!

Mentre iu legionari eseguivano l'ordine, lui e Catulo esaminarono il computatore, per capire come avevano fatto i ronin a disattivare le trasmissioni.

-Hanno usato un Cavallo di Troia- disse Catulo dopo un breve esame.

-Un cosa?!

-Un dispositivo elettronico che ha violato le barriere della rete di trasmissione locale. Una volta avuto accesso alle frequenze locali, hanno inviato a tutte un segnale di disturbo, usando questo- spiegò  Catulo, staccando un piccolo aggeggio portatile da una delle porte di accesso del computatore principale.

-E ora funziona tutto come prima?- chiese Publio.

-No, è necessario far ripartire il  servus. Le frequenze non sono più disturbate, ma tutti i dispositivi di ricetrasmissione presenti nella regione vi si collegano passando da qui- rispose Catulo- Niente sistema di trasmissione a ragnatela per questa regione così remota!- aggiunse sarcastico.

-Puoi farlo ripartire?- chiese Publio, spazientito.

-Certo, tribuno! Una volta che avrai inserito qui il suo nome e la sua matricola. Solo un ufficiale romano può accedere a questo computatore.

Publio annuì e si chinò sulla tastiera per digitare i suoi dati di riconoscimento, il proprio nome e una breve sequenza di numeri segreta: Publius Iulius Scipio - Ω-V-II-X-LXXX. Aveva appena dato a Catulo l'accesso al computatore, però, che all'improvviso un interrogativo gli provocò un brivido freddo lungo la schiena.

-Se è così... come hanno fatto i ronin a usare questo computatore?

Catulo aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò, rendendosi conto anche lui che qualcosa non quadrava. Si voltò a guardare Publio con espressione sgomenta e scosse la testa.

-Non lo so, tribuno- disse piano.

Publio sospirò esasperato. Quella faccenda gli piaceva sempre meno. Spie romane uccise dai ronin, ronin che attraversano il confine apparentemente indisturbati e che riescono a violare le loro reti di trasmissione. Qualcosa decisamente non andava.

Ad ogni modo, adesso l'avamposto era di nuovo in mano loro. Quanto ai misteri che circondavano quell'invasione, avrebbe aspettato di parlare con qualcuno di cui poteva fidarsi e che avesse i mezzi e l'autorità per fronteggiare adeguatamente il problema. In ogni caso, una volta ripristinate le trasmissioni e dato l'allarme, al Vallo non avrebbero tardato a scoprire la falla e a tamponarla. Con un po' di fortuna, forse erano riusciti ad arginare un'invasione su più vasta scala.

Mentre l'optio si rimetteva al lavoro per ripristinare le trasmissioni, Publio si tolse l'elmo, si asciugò il sudore dalla fronte e si lasciò cadere sul sedile vicino, esausto.

**********

Ordunque, il capitolo, in realtà, avrebbe dovuto continuare ancora un po', ma ho deciso di spezzarlo ancora una volta, perchè altrimenti sarebbe stato davvero troppo lungo (e di contro quello successivo sarebbe stato eccessivamente corto).
Mi duole dire di essere stata costretta ad operare dei tagli alla trama. Niente di serio, beninteso. In realtà, ho tagliato un po' di combattimenti e altri ancora li ho "trasformati" in narrazione e sezioni di avanzamento della trama. Se non l'avessi fatto, la storia si sarebbe rivelata eccessivamente lunga, e magari avrebbe finito con l'annoiare. Così, invece, spero di mantenere un certo livello di interesse.
Ah... circa la parte in cui Catulo spiega a Publio il funzionamento della rete di trasmissione, va da se che sto parlando di una specie di rete Internet (per la quale cercherò di inventarmi un nome), però vorrei sapere se la spiegazione è abbastanza chiara, visto che con le descrizioni tecniche non mi trovo molto a mio agio.
Buona lettura!

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Capitolo 13
*** XII ***


XIII
Beh... sicuramente la settimana a mare, nell'unico angolo di Sicilia in cui la wireless è pressoché sconosciuta e i cellulari prendono poco e male, mi ha fatto bene e si è rivelata anche proficua. Non solo sono riuscita a svuotare completamente il cervello dopo l'ultima lunghissima sessione d'esami, ma quando finalmente ho deciso di accendere brevemente il netbook, il seguente capitolo è saltato fuori nel giro di pochi minuti, liscio come l'olio. Era davvero tanto tempo che non mi capitava di scrivere così di gusto e devo dire che la cosa mi piace assai.
E, francamente, mi piace anche quello che ho scritto.

*************

XII

Ho scoperto che la Via del samurai è la morte.
Quando sopraggiunge una crisi, davanti al dilemma
fra vita e morte, è necessario scegliere subito la seconda.
Non è difficile: basta semplicemente armarsi di coraggio e agire.

(Yamamoto Tsunetomo, Hagakure)

Mentre Catulo provvedeva a ripristinare le trasmissioni dal computatore principale, gli altri legionari, comandati dal centurione Curzio, provvidero a perlustrare e ripulire il resto dell'avamposto dai ronin. Alcuni di essi si erano barricati negli alloggi degli ausiliari e ne nacque un altro breve scontro a fuoco, al termine del quale, tuttavia, i romani ebbero ancora una volta la meglio; naturalmente nessuno dei ronin si lasciò prendere vivo; ciascuno di loro combatté accanitamente fino alla morte.

Publio aveva deciso di non pensare più alle stranezze e ai misteri che fin dall'inizio avevano caratterizzato l'arrivo dei ronin, prima al Vallo di Alasia, ora addirittura in territorio romano. Non aveva a sua disposizione abbastanza informazioni per spingersi tanto avanti con le congetture. Inoltre, la riconquista dell'avamposto doveva aver quanto meno rallentato, se non arrestato definitivamente, l'invasione nionica, che sembrava ormai inarrestabile. Se altri ronin in quel momento scorazzavano nella regione, non ponevano più un problema e sarebbe stato facile stanarli ed eliminarli, insieme agli eventuali ribelli locali ai quali si fossero uniti. La cosa importante, adesso, era localizzare la falla attraverso cui il nemico aveva violato il confine e chiuderla.

Insomma, se anche da Roma era stata ordita una congiura per favorire un'invasione da parte dei mercenari nionici, questa era stata ormai stroncata. Ci pensassero il governatore dell'Alasia e gli altri politici a smascherare e punire i responsabili occulti. Lui, al momento, non era che un semplice soldato e, ora che l'emergenza che era stato chiamato a risolvere era cessata, non vedeva l'ora di sbarazzarsi di quel maledetto palmare che aveva dietro. Non appena Catulo avesse ripristinato le trasmissioni e contattato Umbricio per informarlo, avrebbe cercato di parlare con Valerio Massimo e di farsi mandare ad Aleupoli.

-Tribuno! Tribuno!

Gundahar era corso nuovamente nel pretorio, dopo aver perquisito l'avamposto insieme agli altri.

-Che cosa succede?- chiese Publio.

-Abbiamo trovato due sopravvissuti nella mensa, tribuno- rispose il germano- Un ausiliario e... un ragazzo.

-Un ragazzo?!- fece Publio stupito.

Gundahar annuì, poi lo accompagnò nella piccola mensa dell'avamposto, dove si erano radunati gli altri legionari al termine della perquisizione dell'avamposto. Emilio stava praticando una medicazione sommaria all'asuliario; questi era rimasto ferito ad un braccio la notte prima, quando i ronin erano entrati dentro la stazione di trasmissione; la ferita non era grave, ma i nionici non si erano curati di prestargli soccorso, e così quel poveraccio aveva perso molto sangue e adesso rischiava anche l'amputazione dell'arto.

Publio si avvicinò al tavolo e decise che avrebbe parlato più tardi con lo sfortunato reduce. Il centurione Curzio gli consegnò il titulus dell'ausiliario, sul quale erano incisi i suoi dati personali. Lusio Iavicio - Cohors Auxilia Transmissionibus.

In un angolo della mensa, invece, Gario sedeva vicino ad un ragazzo che non doveva avere più di quindici anni, che se ne stava accovacciato su una delle panche e guardava dritto davanti a se con espressione torva, senza dire una parola, nonostante i goffi tentativi di quel grosso legionario di rassicurarlo e spingerlo a parlare.

-Siete riusciti a capire chi è?- chiese Publio.

-No, tribuno- rispose Curzio- All'inizio ho pensato ad una giovane recluta, ma... ha visto i suoi abiti? Non sono quelli delle coorti ausiliarie, e mi sembrano anzi piuttosto costosi. Un fringuellino come quello al massimo lo arruolano per un annetto come tribuno di legione e... chiedo scusa, tribuno!- esclamò il centurione, arrossendo vistosamente.

Ma Publio sorrise, nonostante anche lui fosse stato solo poco tempo prima più simile a quel ragazzino, che non ai rudi legionari con i quali ormai si trovava a suo agio.

-Sarebbe comunque strano inviare un tribuno così giovane in un avamposto sperduto come questo- commentò- Ha detto nulla?

-Non una parola, e non sappiamo neanche il suo nome. Se ne stava rintanato qui insieme all'ausiliario e, quando siamo entrati, ha anche aggredito Emilio e ha cercato di strappargli lo sclopetum. Per fortuna Gario è intervenuto. Emilio stava per... -il centurione esitò.

-Ho capito- tagliò corto Publio- E questo Lusio Iavicio? Ha detto qualcosa?

-Solo un ringraziamento alle sue divinità, prima di svenire. Credo si sia assunto il compito di protegere il ragazzo.

-Altri sopravvissuti? Magari in grado di parlare?

-No, tribuno. Tutti morti. Li abbiamo trovati ammassati in una delle camerate. Una quindicina di cadaveri in tutto... insieme agli ausiliari che abbiamo trovato a Visernia sono venti.

Gario cessò i suoi tentativi di convincere il ragazzo a parlare e li raggiunse.

-È chiaramente sconvolto- riferì- Se solo riuscissimo a sapere chi è e come mai si trova qui... ma non so cos'altro fare per convincerlo a dire una sola parola.

-Non fare nulla- rispose Publio- Non appena Catulo sarà riuscito a ripristinare le trasmissioni, faremo rapporto a Umbricio e poi contatteremo Valerio Massimo. Chiederò che mandi un mezzo di trasporto per portare il ragazzo e l'ausiliario ad Aleupoli, dove...

Proprio in quel momento, il ragazzo si mise ad urlare. Publio e i legionari, compreso Emilio che non aveva ancora finito di medicare l'ausiliario, si voltarono di scatto e, con orrore videro che il giovane era stato agguantato da un ronin saltato fuori dal nulla e armato di spada corta. I romani fecero per alzare le armi, ma il ronin appoggiò la lama alla gola del ragazzo e fece loro capire di essere pronto a ucciderlo se solo si fossero mossi.

-Non fare sciocchezze! Sei in trappola!- disse Publio, senza sapere se il nionico fosse in grado di comprenderlo- L'avamposto è di nuovo nostro... arrenditi!

Il ronin disse qualcosa che Publio non comprese, poi, senza mollare il ragazzo, iniziò ad indietreggiare verso una piccola porta, dalla quale probabilmente era arrivato.

-Che c'è di là?- chiese Publio, mentre lui, Gario e Curzio lo seguivano, tenendolo sotto tiro.

-Non ne ho idea- ammise Curzio, imbarazzato- Non avevo visto la porta...

-Che cosa?! Centurione, potrebbe essere pieno di ronin, per quel che ne sappiamo!

La porta condusse il ronin e il suo ostaggio, seguito dai tre legionari romani, in un magazzino dove, fortunatamente, non si nascondevano altri nemici. Il ronin sperava forse di riuscire a barricarsi da qualche parte in mezzo alle vettovaglie ivi ammassate, ma Publio e i legionari riuscirono abilmente a metterlo con le spalle al muro.

Il nionico si rese subito conto di essere in trappola e di non avere via di scampo. Quei romani non lo avrebbero certo lasciato andare, neanche se ne andava della vita del ragazzo. I suoi occhi, attenti e solo apparentemente imperturbabili, si posarono su ciascuno dei tre a turno. Due di essi lo fissavano con odio e sembravano pronti a scaricargli addosso le armi, anche a costo di uccidere il suo ostaggio. L'altro, però, il comandante, lo osservava con espressione seria e indecifrabile. Forse pensava di poterlo convincere ad arrendersi, o sembrava comunque maggiormente interessato alla vita del giovane ostaggio.

Publio, dal canto suo, aveva capito che il ronin di fronte a lui si era reso perfettamente conto di trovarsi in una situazione senza via d'uscita. La vita del ragazzo gli interessava solo relativamente; aveva cercato di usarlo come scudo per aprirsi una via di fuga - Sopravvivere per continuare a combattere - ma ora che aveva fallito, che il ragazzo morisse o vivesse non aveva per lui alcuna importanza. Forse, pensò Publio, forse poteva convincerlo almeno a lasciar andare il ragazzo. Prima, però, doveva tenere a bada Gario e Curzio, che sembravano seriamente intenzionati a fare a pezzi quell'ultimo ronin solo per riscattarsi dalla loro precedente disattenzione.

-Non sparate!- sibilò- Abbassate le armi!

-Tribuno...!- fece per obbiettare Curzio.

-Fate come vi dico!

I due si guardarono perplessi per un momento, e guardarono il loro comandante come se fosse impazzito. Trattare con il nemico? Con uno dei barbari che aveva sterminato a tradimento i loro commilitoni? Quando, però, Publio ripeté loro lo stesso ordine, si decisero infine ad obbedire.

Publio tornò a voltarsi verso il ronin, che adesso guardava solo lui, guardingo e imperturbabile.

-Lascia andare il ragazzo- disse Publio- Lui non ti serve più.

Il ronin non parlava il latino, ma capì al volo la richiesta del romano. Voleva il ragazzo. E dopo? Avrebbe ordinato ai suoi sottoposti di ucciderlo, probabilmente. Per un momento la sua espressione vitrea si incrinò in una smorfia di rabbia e odio. Poi, però, il suo volto tornò a distendersi nella stessa espressione indecifrabile di prima. Il romano sembrava un uomo d'onore, per quanto giovane. Se fosse stato un barbaro incivile come i suoi seguaci, avrebbe sparato per primo, anche a costo di uccidere il ragazzo. Voleva risolvere la faccenda in maniera pulita; forse pensava che per quel giorno avessero versato abbastanza sangue, e in fondo ormai erano pari; lui e i suoi compagni avevano ucciso i romani, ed essi si erano giustamente vendicati. Era prevedibile che finisse così. Non aveva più senso opporsi all'andare delle cose. E il romano di fronte a lui gli stava offrendo l'occasione di uscire da quella situazione in modo onorevole.

Fece un breve cenno col capo, come a dire di accettare la richiesta, e spinse bruscamente in avanti il ragazzo, che cadde a terra.

Gario lo afferrò e lo tirò dietro di se, poi lui e Curzio tornarono a puntare le armi contro il ronin.

-Fermi!- esclamò Publio- Non sparate!- tornò a rivolgersi al ronin- Metti giù la spada.

Lo disse in un tono secco e autoritario, ma nel profondo di se sapeva che stavolta non sarebbe stato ascoltato. Il ronin non disse nulla. Rimase immobile e li scrutò nuovamente tutti e tre, i due legionari che lo tenevano sotto tiro e sudavano, il giovane tribuno che lo fissava a sua volta con espressione seria.

-Metti giù la spada- ripeté Publio, con più enfasi, ma dentro di se ancor meno convinto di prima.

Non lo farà, pensò rassegnato. Lentamente, abbassò lo sclopetum e, dopo un attimo di sconcerto, anche gli altri due legionari fecero la stessa cosa. Publio tornò a guardare il ronin e gli rivolse un cenno di assenso. Poi, si batté il pugno destro sul petto. Il ronin riconobbe il gesto, il saluto dei guerrieri romani, e rispose con un leggero inchino.

Poi, senza alcuna esitazione, impugnò la spada al contrario, rivolgendola contro di se e, sotto gli occhi attoniti dei tre romani, si trafisse il ventre. Crollò a terra, dapprima in ginocchio, mentre il sangue gli usciva dalla profonda ferita e dalla bocca; poi, con le ultime energie che gli restavano, allargò ulteriormente lo squarcio che aveva nel ventre, muovendo la spada verso sinistra. Cadde ancora di lato e il sangue uscì ancor più copiosamente, inondando il pavimento.

Publio impugnò la pistola e si avvicinò per sparargli il colpo di grazia, ma quando gli fu accanto, si accorse che era già morto, gli occhi spalancati, ma sul volto la stessa espressione indecifrabile di prima, che era riuscito incredibilmente a mantenere nonostante lo strazio che si era inflitto.

-Per Marte e Plutone!- esclamò Curzio mentre lui e Gario si avvicinavano a loro volta- Ma avete visto che cos'ha appena fatto?!

-Tu lo sapevi, tribuno?-chiese Gario- Che avrebbe fatto questo?

Publio annuì.

-O questo, oppure si sarebbe scagliato contro di me e voi gli avreste sparato- rispose- Per lui non faceva molta differenza. In entrambi i casi, sarebbe stata una morte onorevole.

Si chinò sul cadavere e gli sfilò la spada dalla mano per esaminarla. Era corta, un wakizashi. Ripulì la lama sul kimono del ronin, poi gliela rimise nel fodero.

-Non te la prendi, tribuno?- chiese Curzio- Sarebbe un bel bottino!- aggiunse con un ghigno.

Publio lo guardò severamente.

-Perché? Non lo abbiamo sconfitto.

Mentre chiudeva gli occhi del morto, un curioso particolare attirò la sua attenzione. Il ronin era morto con la bocca spalancata e Publio poté chiaramente vedere che aveva i denti colorati di nero. Che razza di modo di agghindarsi!, pensò, leggermente disgustato. Non ricordava di aver visto una cosa del genere nei cadaveri degli altri ronin uccisi, eppure aveva la sensazione di aver già sentito parlare di un'usanza simile diffusa tra i nionici. Devo averlo letto da qualche parte, pensò, mettendo da parte definitivamente da parte la faccenda e alzandosi.

In quel momento, Catulo irruppe nella stanza, armi in pugno.

-State tutti bene?- chiese- Emilio ha detto che...- s'interruppe di colpo quando vide il cadavere del ronin a terra, il sangue e i tre compagni radunati intorno a lui in rispettosa contemplazione- Che accidenti è successo qui?!

-L'ultimo dei nostri nemici si è appena tolto la vita!- rispose seccamente Curzio, dopo un momento di silenzio- Tu perché sei qui?

-Ho ripristinato le trasmissioni. Funziona tutto come prima- rispose Catulo, ricordandosi del motivo che lo aveva portato lì- Tribuno, con chi devo mettermi in contatto?

Publio distolse lo sguardo dal cadavere ai suoi piedi e improvvisamente si riscosse dal torpore e dal turbamento che il suicidio del ronin gli aveva provocato.

-Con Umbricio!- rispose- Su, muoviamoci.

Benché previsto, il suicidio di quel ronin lo aveva profondamente scosso. Aveva letto molto sull'argomento e aveva sinceramente ammirato quella straordinaria capacità di accettare l'inevitabile senza rimpianti, di guardare alla morte non come ad una sconfitta, ma come ad un semplice passaggio. Fin'ora, però, tutto questo aveva potuto solo leggerlo negli scritti, quasi sempre di parte, di altri romani. Stavolta, invece, aveva visto con i suoi occhi e a distanza ravvicinata. Uno spettacolo cruento, certamente, ma non privo di un certo fascino. Come tutto quello che riguarda la morte, specie se violenta, rifletté.

************

Un altra cosa di cui mi sto rendendo conto mentre scrivo questa postfazione, a mezzanotte ormai inoltrata: il totale rilassamento deve aver decisamente risvegliato anche la mia capacità di improvvisazione. Eh già, perchè quanto scritto sopra non era programmato nella scaletta che mi sono fissata mesi fa e quando ho iniziato a scrivere oggi pomeriggio ero partita con l'idea di scrivere ciò che invece troverete nel prossimo capitolo! 
Questo capitolo, seppur improvvisato, comunque, mi è servito per mettere nuovamente a confronto il protagonista con il suo avversario e con una cultura profondamente diversa dalla sua. Ho anche tentato di immedesimarmi alternativamente nei pensieri dell'uno e dell'altro. Ma c'è dell'altro...
Vi ricordare l'"indizio nascosto" che ho inserito nel capitolo 9, l'ultimo ambientato nel Vallo di Alasia? Ebbene, ho reinserito il medesimo indizio in questo stesso capitolo. Presto, infatti, assumerà la sua importanza!
Per concludere, in questo capitolo ho sperimentato un po' di cose nuove, quindi non sono del tutto certa del risultato. A questo punto, quindi, sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate! XD

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Capitolo 14
*** XIV ***


14
XIII

Dopo aver parlato con Umbricio, Publio si sentì sollevato e più ottimista. Lo aveva contattato in via riservata dall'alloggio del comandante dell'avamposto e gli aveva fatto un rapporto dettagliato su tutto quello che era successo dal momento in cui lui e i legionari esploratori avevano lasciato l'accampamento il mattino prima.

Svegliato nel cuore della notte, il tribuno della II Coorte era rimasto profondamente scosso quando Publio gli aveva riferito che a Visernia non avevano trovato nessun ribelle, ma addirittura i ronin nionici. Ad ogni modo, superato un primo momento di sgomento e di confusione, avevano concordato un piano d'azione che, confidava Publio, avrebbe risolto quella situazione una volta per tutte e prima che potesse portare a conseguenze ben più nefaste della momentanea interruzione delle trasmissioni locali.

Dal momento che non tutte le apparecchiature della stazione di trasmissione avevano ripreso a funzionare a dovere, Umbricio avrebbe provveduto a trasmettere l'allarme al Comando delle Guarnigioni del Vallo di Alasia, affinché lungo tutta la linea di confine si rafforzasse la sorveglianza e, nella regione di Visernia, si provvedesse a chiudere la breccia attraverso cui i ronin erano riusciti a penetrare in territorio romano. Contemporaneamente, Umbricio avrebbe contattato anche Valerio Massimo e lo avrebbe avvertito di quanto stava accadendo. Da Castra Regellis, il comandante delle legioni alasiane aveva sicuramente una visione d'insieme più ampia e più completa di quella di Publio e di Umbricio, e sicuramente avrebbe voluto prendere le sue precauzioni per fronteggiare al meglio la situazione.

Nel frattempo, Publio e i suoi sarebbero rimasti alla stazione di trasmissione per tentare di rimetterla almeno parzialmente in funzione e soprattutto per mantenervi una presenza in attesa che arrivassero i rinforzi. La II Coorte, come tutto il resto della XIV Legione, infatti, si stava rapidamente mettendo in movimento. Un paio di centurie sarebbero andate a Visernia per presidiare il villaggio e assistere gli abitanti. Altri uomini sarebbero stati mandati a stanare eventuali ronin presenti ancora nel territorio e a cercare i loro compagni dati per dispersi la notte precedente, o almeno a recuperare quel che ne rimaneva; da come si erano svolti gli eventi, infatti, Publio dubitava seriamente che potessero essere ancora vivi. Ad ogni modo, bisognava cercarli e trovarli.

Mentre usciva dall'alloggio del comandante, Publio tirò un sospiro di sollievo. Ben presto l'intera e micidiale macchina militare romana presente in Alasia sarebbe entrata in azione e i ronin sarebbero stati spazzati fuori dal confine prima ancora che si potesse cominciare a parlare di una vera e propria invasione. Se avessero avuto un minimo di buon senso, non avrebbero fatto altri tentativi, almeno per quell'anno, e si sarebbero ritirati. A quel punto, forse avrebbe potuto chiedere e ottenere una breve licenza per andare ad Aleupoli e consegnare il palmare al governatore Livio Druso. Se non altro, si disse, La congiura è stata sventata. Adesso non resta che acciuffare i congiurati.

Ora, però, aveva altre cose a cui pensare. Messi da parte i propositi per il futuro, Publio si impose di concentrarsi sul presente e su quanto andava fatto in attesa che arrivassero nuovi ordini per lui e gli uomini sotto il suo comando.

I legionari si erano tutti riuniti nel pretorio della stazione di trasmissione. Emilio e Gundahar erano intenti alla penosa e macabra necessità di identificare i cadaveri che avevano trovato nella sala. In un angolo, a pochi metri di distanza, l'ausiliario ferito aveva ripreso conoscenza e li fissava con espressione vuota; doveva essere ancora mezzo stordito dall'attacco e Publio si rese conto che da lui non avrebbe avuto molte informazioni. L'unico altro supersite dell'avamposto, il ragazzino in abiti civili, era assai più lucido, ma non sembrava incline a parlare. In quel momento se stava seduto a terra in un angolo, con le ginocchia al petto, e fissava il pavimento con espressione torva e chiusa. Chino su di lui, Gario cercava  di ammorbidirlo, parlandogli gentilmente, ma fino a quel momento non aveva avuto molto successo. Sicuramente la sua considerevole stazza e l'aspetto rude e burbero non dovevano ispirare molta fiducia in quel bambino terrorizzato.

Passandogli accanto, Publio gli diede una pacca sulla spalla, ma non gli ordinò di desistere. Il ragazzo era la loro unica fonte di informazioni disponibile e qualunque tentativo di tranquillizarlo e spingerlo a parlare sarebbe stato ben accetto.

Si avvicinò invece a Catulo, che in quel momento stava esaminando alcune delle apparecchiature della stazione di trasmissione. L'optio aveva le mani affondate in mezzo a un groviglio di cavi recisi e circuiti bruciati, sibilava imprecazioni con un temperino multiuso stretto in mezzo ai denti. Dopo aver occupato l'avamposto, i ronin avevano ritenuto opportuno sabotare gran parte delle apparecchiature elettroniche del pretorio. Mentre osservava il legionario al lavoro, Publio non poté fare a meno di rivolgere un silenzioso ringraziamento a Giove Ottimo Massimo per aver loro consentito di riprendere possesso dell'avamposto. I ronin avevano sferrato un attacco davvero ben mirato e, se fossero riusciti a mantenere il possesso della stazione più a lungo, chissà quali altri e più gravi danni avrebbero potuto causare, e non solo alla stazione. È assolutamente importante rimettere in funzione questo posto il prima possibile!, si rese conto. Deve essere la nostra priorità!

-Quanto tempo ci vorrà?- chiese.

Catulo sputò il temperino e fece una risatina.

-Bella domanda, tribuno!- rispose, trafficando ancora con i cavi e i circuiti- Se ti riferisci quanto tempo ci vorrà prima che la stazione ritorni pienamente operativa... non meno di un mese! Quei bastardi hanno fuso tutto con la fiamma a ossigeno!  È tutto distrutto!

-Anche pochi giorni sono troppi- rispose Publio sospirando.

-Ecco perchè per metterti in contatto con il tribuno Umbricio ho dovuto armeggiare con i collegamenti- spiegò Catulo- Ho ottenuto una linea diretta. Il segnale era alquanto instabile, certo...

-Era abbastanza forte per i nostri scopi- tagliò corto Publio- Dunque, nessuna speranza di accedere agli archivi elettronici della stazione entro le prossime ore?

-Temo di no- rispose Catulo- Ti dispiace spostarti, tribuno? Mi fai ombra e non vedo un accidenti in mezzo a questa merda elettrica!

Publio si spostò, ma continuò ad osservare l'optio al lavoro, sinceramente affascinato. Per lui, tutta quella massa di fili e di circuiti avrebbe potuto anche essere collegata a caso; non aveva la più pallida idea di quali fossero le funzioni dei singoli componenti e non avrebbe saputo dove mettere le mani se fosse stato al suo posto. Le mani di Catulo, invece, si muovevano rapide e sicure in mezzo a quel groviglio.

Una delle porte della sala si aprì e il centurione Curzio fece il suo ingresso con due palmari sotto braccio. Publio gli fece un cenno con la mano e il centurione lo raggiunse.

-Ho identificato i corpi nelle altre stanze- riferì, porgendogli uno dei palmari- Sotto il cadavere del civile, ho trovato questo. È cifrato, non sono riuscito a leggere nulla.

Publio esaminò il secondo palmare, ma neanche lui riuscì ad accedervi per esaminarne i contenuti. Il sistema di cifratura era molto complesso e avrebbe messo in difficoltà persino i migliori decriptatori dei Collegia Frumentarii della Pretura di Roma, il più grosso organo di spionaggio al servizio della magistratura giudiziaria romana.

-Appena hai tempo, vedi se puoi occuparti anche di questo- disse Publio, posando il palmare su un tavolo vicino al macchinario che Catulo stava tentando di riparare.

-Certo è ben strano, tribuno- disse Curzio- La presenza di quel civile morto e di questo ragazzo in questo avamposto. Insomma, il ragazzo non ha certamente l'età di leva. Quanto all'uomo in abiti civili... credevo che per accedere alle strutture militari occorresse quanto meno un documento di autorizzazione. Addosso al cadavere non ho trovato nulla.

-Forse si trova all'interno del palmare- rispose Publio.

Si voltò verso Gario, che aveva momentaneamente cessato i suoi tentativi di stabilire un dialogo con il ragazzo e adesso se ne stava in piedi vicino a lui, appoggiato ad una parete.

-Cerca di scoprire quello che sa, per favore!- ordinò- Ci serve ogni informazione possibile.

Gario annuì e, seppur riluttante, tornò ad inginocchiarsi di fronte al ragazzo. Gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla, ma quello se la scrollò di dosso con un gesto brusco. Emilio, che si era soffermato ad osservarlo, ridacchiò.

-Come ti chiami?- chiese Gario- Sei di queste parti?

Il ragazzo non rispose e continuò a fissare per terra davanti a se. Gario stette a pensare in silenzio per un momento, poi decise di togliersi l'elmo dalla testa. Prima, per apparire meno spaventoso, si era limitato a sollevare solo la visiera, ma nella luce soffusa del pretorio probabilmente il suo volto doveva apparire confuso e minaccioso.

-Io sono Gario- si presentò.

Il ragazzo sollevò appena lo sguardo, lanciandogli un'occhiata di sbieco.

-Seferio- borbottò con un un forte accento nordico.

-Severo!- esclamò Gario, felice di aver ottenuto quel pur effimero risultato- Hai un accento familiare. Dacia?

-Pannonia- rispose Severo, sempre imbronciato.

Gario annuì.

-Ascolta...- disse, il più dolcemente possibile- Per noi è molto importante sapere alcune cose da te. L'uomo in abiti civili nell'altra stanza... era con te? Era un tuo amico?

-Padre...

-Mi dispiace.

Emilio ridacchiò di nuovo e si voltò verso Publio, che aveva osservato anche lui lo scambio da una certa distanza.

-Grosso e agguerrito quanto un coccodrillo del Nilo, ma con il cuore di una donna innamorata!- commentò divertito.

Gario, che si era momentaneamente allontanato dal ragazzo per riferire a Publio, lo sentì e gli diede una spinta.

-Ha appena perso suo padre! Abbi un po' di riguardo!- lo rimproverò- Dubito che sapremo altro da lui, tribuno. È sconvolto, ha bisogno di aiuto.

-E non è il solo!- rispose Emilio.

-Fatela finita tutti e due!- esclamò Publio- Fallo alzare e portalo fuori a prendere un po' d'aria appena fa giorno. Appena arriveranno i rinforzi, lo faremo portare via.

Gario annuì e, lanciata un'ultima occhiata in tralice ad Emilio, che sogghignava divertito, tornò dal suo protetto.

Publio si portò una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio. Si sentiva enormemente stanco dopo quell'intensa giornata. Certo, non eausto e prostrato come dopo la battaglia contro i ronin al Vallo di Alasia, ma quella per lui era stata decisamente una giornata intensa e assai faticosa, soprattutto considerando che avevano impiegato tutta la notte per attaccare e sgomberare l'avamposto dalla presenza nemica. Osservando uno ad uno i suoi uomini, si accorse che anche loro cominciavano a risentire della fatica, anche se ovviamente non si lamentavano. Decise che, in attesa dell'arrivo dei rinforzi, non sarebbe stato un male se si fossero presi qualche ora di meritato riposo.

-Curzio, Emilio e Gundahar- chiamò- Prendetevi un paio d'ore di riposo. Ve le siete meritate.

I tre, che avevano avuto lo spiacevole compito di identificare i cadaveri degli ausiliari uccisi, accolsero di buon grado l'offerta e decisero di andarsi a sistemare nell'alloggio del comandante, uno dei pochi locali dell'avamposto nel quale i ronin non avevano fatto strage e che quindi non era sporco di sangue.

Mentre Catulo continuava ad armeggiare con i macchinari elettronici ai quali sembrava tanto interessato, Publio accompagnò Gario e Severo fuori. I due legionari montarono la guardia, osservando il cielo diventare sempre più chiaro e le stelle scomparire poco per volta. Publio si voltò a guardare Severo. Il ragazzo si era seduto su una delle casse di rifornimenti abbandonate fuori ed era di nuovo nella stessa posizione, con le gambe contro il petto e le braccia intorno ad esse. Guardandolo meglio, però, a Publio parve di vederlo meno torvo in viso, anche perchè non teneva più lo sguardo fisso a terra.

Si sentì toccare una spalla e, voltatosi, vide Gario che gli porgeva i suoi sicares. Era ovviamente tobacco per legionari semplici, di effimera qualità e arrotolato in sottili strisce di carta, anziché nelle foglie del tobacco stesso, ma Publio si accorse che vivere sotto le armi gli aveva impedito di diventare un aristocratico viziato e schizzinoso con la puzza sotto il naso. Accettò il sicar e se lo fece accendere dal legionario.

-Grazie!- disse dopo aver fatto il primo tiro- Beh, Gario... benvenuto in Alasia!- commentò scherzoso- Avete avuto la vostra prova del fuoco in questa terra. E non ve la siete cavata troppo male!

Gario ridacchiò.

-Davvero? Anche tu, tribuno, non sei un pessimo comandante per essere...

Qui il legionario s'interruppe, ricordandosi di colpo che stava parlando non solo con un suo superiore di grado, ma anche con un giovane esponente dell'aristocrazia romana, che si trovava almeno una decina di gradini più in alto nella scala sociale e che se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente rovinarlo fino alla schiavitù. Ma Publio si voltò semplicemente a guardarlo, sorridendo divertito.

-Per essere il figlio di un senatore di Roma, residente nell'Urbe, appartenente ad una famiglia ricca e illustre, discendente di una delle gens più nobili e antiche e che affonda le proprie origini negli albori di Roma stessa?- recitò- Beh... diciamo che mio padre ha sempre avuto un concetto alquanto anacronistico dell'essere un patrizio.

Mio padre..., pensò Publio, chiedendosi se sarebbe mai stato in grado di trovare le parole adatte a scrivergli una lettera di scuse. Non che avessero litigato prima della sua partenza, ma per tanti anni, da quando aveva compiuto tredici anni, fino a quando aveva indossato la toga virile, Publio aveva silenziosamente malsopportato il suo carattere severo e apparentemente autoritario.

Lucio Giulio Scipione era sempre stato, effettivamente, un uomo singolare. Rigida educazione militare, una vita interamente dedicata al servizio di Roma e della Repubblica, con pochissime concessioni agli svaghi e agli interessi personali. Marziale nella vita civile, come nella vita militare, aveva la tendenza a imporre, spesso incosciamente, il suo stile di vita a chi gli stava accanto. Da quando aveva compiuto tredici anni, ossia da quando suo padre aveva ritenuto di iniziare ad educarlo per fare di lui un "degno cittadino romano", Publio era stato sottoposto ad un percorso di istruzione che, persino nelle materie che comunemente esulavano dall'ambito militare, aveva una connotazione marcatamente marziale. Suo padre lo aveva messo nelle mani di insegnanti severi e austeri quanto lui e ne aveva affidato la prima formazione militare ai suoi ex commilitoni, rudi e freddi soldati come lui. Non che avesse mai subito maltrattamenti; Lucio Scipione, anzi, nonostante il suo atteggiamento distaccato, non aveva mai fatto nulla per nascondere l'affetto che provava per l'unico figlio che, ahimè!, Giunone aveva voluto concedere a lui e a sua moglie. Al contempo, però, si era sempre dimostrato intransigente per quel che riguardava l'istruzione e il comportamento, in pubblico e in privato; da Publio aveva sempre preteso una condotta impeccabile e il massimo impegno in quelli che lui riteneva essere i doveri di un giovane romano.

L'adolescenza di Publio, insomma, era stata impegnativa e piena di pressioni, mitigate in parte dall'influenza di sua madre, che era l'unica persona in grado di limare i numerosi spigoli del carattere di Lucio Giulio Scipione. Ora, però, Publio cominciava lentamente a intuire quali erano le motivazioni che si celavano dietro le continue pressioni di suo padre. Uno studio continuo e pressante e un'educazione militare precoce lo avevano alla fine reso rapido di mente e capace di adeguarsi immediatamente a qualsiasi situazione avversa e di affrontarla di conseguenza. Senza nemmeno rendersene conto, era arrivato in Alasia che aveva già in se i mezzi e le qualità per essere un soldato capace e un comandante affidabile; mancava solamente l'imput adatto a risvegliarle, e questo si era verificato con l'arrivo dei ronin.

***********

Publio riuscì a dormire sono una delle due ore che avrebbe voluto concedersi al pari dei suoi compagni. A svegliarlo, però, furono buone notizie. Il centurione Curzio, infatti, lo aveva chiamato per avvertirlo dell'arrivo dei rinforzi. Urbicio aveva mandato alla stazione di trasmissione un'intera centuria, con il preciso ordine di mettersi a disposizione del tribuno che con un pugno di uomini aveva riconquistato l'avamposto e scoperto il tentativo di invasione messo in atto dai ronin.

Publio passò così l'ora successiva ad organizzare la nuova forza sotto il suo comando; adibì una parte della centuria alla fortificazione della stazione e alla sorveglianza esterna, inviando delle pattuglie anche sulle alture circostanti per evitare eventuali attacchi come quello che lui e i suoi avevano sferrato la notte prima per riprendere l'avamposto. Il resto della centuria lo impiegò all'interno per rimettere ordine nei locali, evacuare i caduti ed effettuare le riparazioni essenziali.

Prima di mandarlo via con l'ultimo elicottero, trovò anche il tempo di parlare con il giovane Severo, ma non riuscì a ricavarne molte informazioni utili. Oltre al fatto che il ragazzo era rimasto sconvolto da quanto era accaduto, era chiaro a Publio che non sapesse fondamentalmente nulla del motivo per cui il padre si trovava lì, il che era abbastanza strano, visto che da che mondo è mondo i padri si facevano accompagnare dai figli allo scopo di tramandare loro le proprie conoscenze e il proprio mestiere. Fu comunque felice di sbarazzarsi di Severo. Il tono con cui si era rivolto a Gario, quando questi aveva cercato di parlargli, gli aveva lasciato intendere che fosse un tipico rampollo di buona famiglia abituato a trattare dall'alto in basso tutti quelli che considerava a lui socialmente inferiori.

A metà di quella nuova giornata, iniziata decisamente sotto auspici migliori di quella precedente, Publio trovò finalmente il tempo di parlare con Curzio e con il centurione Olbiano, il comandante dei rinforzi mandati da Umbricio.

-Fra un paio d'ore, con il tuo permesso, effettuerò il cambio delle pattuglie- stava dicendo Olbiano.

Publio annuì. Erano nell'alloggio del comandante della stazione, che adesso era stato assegnato a lui. Il centurione Olbiano era rimasto alquanto sorpreso quando Publio aveva invitato lui e Curzio a fargli compagnia e a scambiare quattro chiacchiere con lui, per discutere in maniera informale degli avvenimenti della giornata. Di solito gli ufficiali provenienti dal ceto equestre e dal patriziato si tenevano ben a distanza dai centurioni e dai soldati. Curzio era rimasto un po' meno sorpreso. Ormai conosceva abbastanza bene il tribuno Scipione, da sapere che con lui si poteva discutere da pari a pari. Col il dovuto rispetto dettato dalla differenza di grado, certo, ma per quel che lo riguardava Scipione si era ampiamente meritato la sua stima.

-Tutto tranquillo lì fuori, spero- disse Publio.

-Sì, i miei uomini non si sono imbattuti in nemici fin'ora. E anche da Visernia riferiscono che va tutto bene- riferì Olbiano- Ad ogni modo, teniamo alta la guardia. Speriamo di non dover dare manforte alla I Coorte.

-La I Coorte?- chiese Publio.

-Sì, il tribuno Umbricio non ti ha detto nulla?

-Non mi ha più contattato. Cos'è successo? Nulla di grave, spero.

-No, sta tranquillo, tribuno- si affrettò a rassicurarlo il centurione- Dopo che avete ripristinato le trasmissioni, il tempo di trasmettere l'allarme, Umbricio ha ricevuto notizia di altre infiltrazioni di ronin, localizzate nella regione di Castra Glaudilia, a settentrione di qui. La I Coorte della nostra legione è li di stanza e sta attualmente provvedendo a dar loro la caccia.

-Sono in molti?- chiese Publio, per nulla rassicurato.

-No, il comandante della coorte riferiva di piccoli gruppetti, rapidi e difficili da localizzare e intrappolare.

-Sì, quella zona è assai impervia e montuosa- convenne Publio.

-Probabilmente fanno parte del contingente che ha sconfinato nella nostra regione- disse Curzio- Si saranno diretti a settentrione per effettuare altri sabotaggi. Se ci fossero state altre infiltrazioni al confine, Umbricio ce lo avrebbe fatto sapere.

Publio annuì, ma invidiava Umbricio che poteva ricevere notizie e informazioni in tempo reale. Poche ore prima, Catulo era riuscito a riparare la macchina Tele-FacSimile, così adesso la stazione riceveva, seppur non tempestivamente come sarebbe stato preferibile, dispacci da tutta l'Alasia. Uno di questi, arrivato dopo sei ore dalla trasmissione, ma risalente a pochissimo tempo dopo che Publio aveva dato l'allarme, arrivava da una delle guarnigioni del Vallo di Alasia nella regione di Visernia e riferiva che i legionari di guardia avevano rinvenuto un condotto scavato sotto le fondamenta del Vallo, che era stato fatto prontamente saltare, peraltro uccidendo anche i due ronin che gli zappatori avevano sorpreso all'interno, probabilmente lasciati lì di guardia. Insomma, la falla nella sicurezza dei confini romani era stata chiusa, ma evidentemente alcuni ronin erano rimasti intrappolati all'interno.

Dopo averci pensato su un momento, Publio decise che non era il caso di preoccuparsene troppo. L'allarme che lui aveva lanciato era stato trasmesso tempestivamente da Umbricio, quindi tutte le altre guarnigioni del Vallo di Alasia erano state subito allertate. Se avessero trovato altri buchi, sicuramente sarebbero arrivati altri dispacci. D'altro, decise Publio, scavare più condotti sotterranei sotto il Vallo sarebbe stato troppo rischioso. Meglio usarne uno solo, per infiltrare un piccolo contingente con il compito di effettuare sabotaggi e provocare altre falle.

Non vi era ragione di preoccuparsi. Solo avrebbe preferito ricevere notizie con maggiore frequenza.

-Allegro, tribuno!- esclamò Olbiano- Il tuo optio ha fatto un ottimo lavoro ripristinando i collegamenti di base. In caso contrario, non avremmo mai saputo in tempo di questo tentativo di invasione. Non riesco proprio a immaginare come facessero i nostri antenati a mantenere sicuri i confini dell'Impero, quando ancora non esistevano nemmeno i telefoni!

Publio sorrise.

-Beh... già agli albori della sua storia, Roma possedeva un ottimo sistema stradale- rispose- Strade ben fatte, e soprattutto un efficientissimo sistema di staffette a cavallo e stazioni di cambio! Catastrofi ben peggiori di quella che abbiamo rischiato oggi sono state evitate grazie ad esse. Mai sentito parlare della Guerra di Varo?

I due centurioni si scambiarono un'occhiata interrogativa, poi tornarono a guardare il loro comandante.

-Dovremmo, tribuno?- chiese Curzio, vagamente imbarazzato.

-Non passerete certo per dei buzzurri ignoranti in caso contrario. Normalmente si ritiene importante che un buon cittadino romano conosca nei dettagli la storia di Roma degli ultimi mille anni, a partire dalla caduta dell'ultimo imperatore. Per quanto riguarda ciò che è accaduto prima, si ritengono sufficienti poche nozioni sugli avvenimenti decisivi.

-E la Guerra di Varo non è uno di questi?

-Non quanto quelli immediatamente successivi, ma a mio parere si tratta di un avvenimento che ha avuto effetti straordinari e decisivi sulla storia di Roma e della sua espansione- spiegò Publio- Insomma... se le cose fossero andate diversamente, forse oggi non ci sarebbe stata Roma!

Curzio e Olbiano trattennero il fiato e rimasero a fissare il giovane tribuno a bocca aperta. Un mondo senza Roma andava troppo al di là di quello che avrebbero mai potuto immaginare. Doveva essersi trattato di un avvenimento a dir poco epocale!

-Che cosa accadde?- chiese Olbiano incuriosito.

Publio fece rapidamente mente locale per ricordare a grandi linee ciò che aveva letto alcuni anni prima su uno dei tanti libri di storia militare che suo padre gli aveva consigliato, o piuttosto ordinato, di leggere.

-Nell'anno di Roma settecentosessantadue, durante il regno del primo imperatore, i confini europei dell'Impero si arrestavano sulle rive del Reno, in Germania- raccontò- Alcune tribù germaniche precedentemente alleate di Roma, tradirono il loro comandante romano, Publio Quintilio Varo, e, riunitisi in una grande coalizione, tesero una trappola alle sue legioni con l'intenzione di annientarle. Allora le legioni venivano spostate di continuo ad intervalli stagionali e, poiché si avvicinava l'inverno, Quintilio Varo si apprestava a trasferire le tre legioni al suo comando presso i quartieri invernali. Gli ausiliari germani avrebbero dovuto guidarli attraverso una fitta e impenetrabile foresta, ma invece progettavano di condurli in un'imboscata, una zona della foresta fitta e angusta, dove i germani si erano appostati in forze e dove le legioni sarebbe rimaste intrappolate, senza alcuna via d'uscita, e massacrate. Ma, all'ultimo momento, un capotribù fedele riuscì ad avvertire Varo, il quale, grazie agli uomini della veloce cavalleria di cui disponeva, riuscì a trasmettere l'allarme alle altre legioni stanziate nei centri abitati vicini. La coalizione dei germani ribelli venne letteralmente spazzata via e annientata, e la Germania messa rapidamente in ginocchio.

I due centurioni erano impressionati.

-È straordinario!- esclamò Olbiano entusiasta- Insomma, i nostri antenati avrebbero potuto essere facilmente sterminati se...

-Esatto. Fu una vittoria che ebbe il potere di entusiasmare il popolo romano. Per molti secoli a seguire, l'espansione di Roma in Europa e in Asia non conobbe ostacoli significativi- spiegò Publio- Ma provate un po' a immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se, per un qualsiasi motivo, Varo non avesse saputo del tradimento e dell'imboscata. Il massacro di ventimila legionari e ausiliari avrebbe come minimo avuto l'effetto contrario a quello della vittoria.

-Insomma, niente nuove conquiste?

Publio alzò le spalle.

-Sono solo supposizioni, ovviamente. Immaginare un diverso corso della storia non è facile, ci sono molti fattori di cui tenere conto e tante variabili possibili- rispose- Chissà, magari l'imperatore avrebbe deciso di lasciar perdere la Germania e dedicarsi al regno dei Parti, che allora erano una grossa spina nel fianco delle ambizioni espansionistiche dei nostri antenati. Chi può dirlo?

Olbiano annuì, senza far nulla per nascondere l'interesse e la curiosità che gli suscitava quella conversazione con il tribuno, più giovane, ma assai più istruito di lui, che aveva studiato solo da ragazzo e poco. Però so leggere!, pensò. Qualche libro di storia, non troppo grosso, potrei anche comprarlo anziché spendere tutta la paga in gozzoviglie...

-Incredibile!- esclamò Curzio, altrettanto ammirato- Una ribellione stroncata sul nascere per merito di qualche audace cavaliere!

-Ti suona familiare?- chiese Publio sorridendo- Ad ogni modo, questa storia dovrebbe insegnarci anche a non sottovalutare un nemico che sembra tranquillo e sprovveduto. Anche i ronin, come i germani, sono stati in grado di tenere fino all'ultimo nascosta una pugnalata alle nostre spalle.

-Con una differenza, però, tribuno. I nostri antenati da quella vittoria hanno tratto ulteriori conquiste e tanta gloria. Noi, al massimo, assisteremo alla fortificazione del Vallo di Alasia- commentò Curzio con una punta d'invidia- Ormai è finito il tempo delle grandi imprese.

Publio si limitò a sorridere. Avrebbe voluto dire che nella loro epoca una grande impresa, un'impresa veramente grande e gloriosa, sarebbe stata quella di realizzare un Impero Romano popolato da soli cittadini romani senza alcuna distinzione. Ma quello non era altro che l'ideale di suo padre e di pochi suoi amici e di fronte al quale molti ancora inorridivano.

*********

Okay, forse ho messo un po' troppa carne sul fuoco e forse per mano mia Publio ha fatto un po' di retorica. Ad una prima lettura, tuttavia, non mi sembra poi malaccio.
Ho voluto dare qualche informazioni in più sul protagonista, in particolare sulle sue origini e sulla sua formazione. Ma soprattutto, ho voluto mettere per così dire in bocca a Publio il primo e più importante dettaglio ucronico di questa storia. Per chi non lo sapesse, la Guerra di Varo, oggi più nota come Battaglia di Teutoburgo, si concluse in realtà con una catastrofica sconfitta da parte dei romani (parliamo di quasi ventimila morti!). Un evento tale da stroncare ogni velleità di espansione dei romani in Germania e verso l'Europa orientale. Insomma, mi sembrava, e autorevoli pareri storici incoraggiano le mie supposizioni, che si trattasse di un evento sufficientemente cruciale per l'evoluzione della Storia. La "riflessione ucronica" fatta da Publio mi è venuta fuori così, dal nulla, mentre scrivevo e siccome mentre scrivo sono già le due di notte e io ho avuto una lunga giornata all'università, è ben possibile che il mio cervello stia cominciando a dare i numeri (romani, quindi progressivamente più lunghi e complicati!).
L'altro dettaglio di natura storico-politica è il riferimento alla "caduta dell'ultimo Imperatore". Anche questo ha i suoi perché nell'evoluzione della trama e confido che mi permetterà di fare un po' di sana satira. Spiegherò in seguito i dettagli del sistema politico in vigore nella Roma alternativa.
Detto questo, sarà meglio che me ne vada a letto, prima che inizi a sproloquiare!
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** XIV ***


15
Un piccolo appunto sul capitolo XII, per intenderci il capitoletto estivo dove ho improvvisato il suicidio del ronin e che riporta una pertinente citazione come incipit.
Ebbene, un sentito grazie (e un Oss! XD
) a Manu e Dario che mi hanno regalato Hagakure, la cui lettura ha enormemente ispirato la stesura di quel capitolo, che forse non attiene molto alla trama generale, ma che sul momento non mi sentivo proprio di buttare via o mettere da parte. ^_^

XIV

A svegliarlo furono due mani che scossero poderosamente il suo corpo e una voce concitata.

-Tribuno! Tribuno, svegliati, presto!

Publio aprì gli occhi, ma non riuscì a mettere subito a fuoco il volto che lo sovrastava. Sbattè più volte le palpebre e si passò una mano sul viso nel tentativo di scacciare gli ultimi residui di sonno. Gli sembrava di aver dormito appena qualche minuto e l'istinto gli diceva di chiudere nuovamente gli occhi e di riaddormentarsi. L'uomo che lo aveva svegliato, però, era di tutt'altra opinione.

-Tribuno!- lo chiamò di nuovo, scuotendolo con forza.

Riscosso con violenza dal sonno, Publio si tirò faticosamente su. Mise a fuoco l'ambiente che lo circondava. La stanza era in penombra, illuminata solo dalla lampada posta accanto alla cuccetta, che qualcuno aveva acceso. A svegliarlo era stato un legionario che adesso lo guardava con espressione tesa e sembrava impaziente di dirgli qualcosa. Un altro legionario stava fermo sulla soglia della stanza, i lineamenti del suo volto tirati e un'espressione estremamente preoccupata.

Una voce nel cervello suggerì a Publio che qualcosa di serio doveva essere successo mentre lui dormiva e che avrebbe fatto meglio a svegliarsi del tutto. Compiendo un grosso sforzo, si alzò dal letto, oltrepassò il legionario che lo aveva svegliato e, barcollando leggermente, raggiunse il lavabo che si trovava in un angolo della stanza. Schiacciò un pulsante, un getto di acqua fredda uscì dal rubinetto e lui c'infilò sotto la testa. L'improvviso sbalzo di temperatura causato dall'acqua gelida sulla testa e sul volto spazzò via all'istante ogni residuo di sonno.

-Che cosa succede?- chiese, allungando una mano verso l'asciugamano appesa lì accanto.

I due legionari si scambiarono una breve occhiata, poi quello che lo aveva svegliato parlò.

-Abbiamo ricevuto rapporti da Castra Glaudilla... la guarnigione è sotto pesante attacco da parte dei ronin. La I Coorte rischia l'annientamento!

Gli occhi di Publio emersero da sotto l'asciugamano e si piantarono ora sull'uno ora sull'altro dei legionari presenti nella stanza, nella vana speranza di sentire una smentita da uno di loro. Ma il soldato che gli aveva fatto rapporto era serissimo, e il suo commilitone sulla soglia, sentendosi chiamato in causa, annuì e fece un passo all'interno della stanza.

-È meglio che vieni nel pretorio, tribuno- disse.

Publio si concesse un breve momento per metabolizzare quanto aveva appena sentito, quindi si preparò alla svelta e abbandonò l'alloggio del comandante dell'avamposto, mettendosi dietro ai due legionari.

I legionari esploratori e quasi tutti gli uomini del centurione Olbiano si trovavano nel pretorio e all'interno della sala regnava una grande confusione. I legionari discutevano fra di loro concitatamente, sembravano agitati e Curzio e Olbiano tentavano inutilmente di riportare la calma per consentire agli addetti alle trasmittenti di ascoltare le trasmissioni in arrivo, decodificare i messaggi e inoltrarli.

All'arrivo di Publio, un gruppo di legionari gli si fece attorno. I legionari si accalcarono e presero tutti a fargli domande e a chiedergli istruzioni e spiegazioni. Publio, che ancora non aveva ben chiaro che cosa fosse successo nel breve tempo durante il quale aveva dormito, non riuscì a capire una sola parola, perchè gli uomini parlavano l'uno sopra l'altro e gridavano, con il risultato che tutto quello che Publio riusciva a recepire era un confuso vociare che gli rimbombava in testa, infastidendolo.

-Silenzio!- tuonò infine spazientito- Fate silenzio, maledizione! Non voglio sentire parlare nessuno!

Di colpo il boato confuso di voci cessò e nel pretorio tornò a regnare il silenzio, interrotto solo dal rumore sommesso dei computatori e delle trasmittenti alle quali gli addetti continuavano diligentemente a lavorare.

Publio respirò a fondo un paio di volte, fissando i soldati, che a loro volta pendevano dalle sue labbra, sperando probabilmente in risposte e istruzioni che lui non era ancora in grado di dare loro.

-Si può sapere che cosa ci fate tutti qui?!- esclamò contrariato- Non avete niente di meglio da fare?!

-Volevamo chiederti cosa sta succedendo e se c'è qualcosa che dobbiamo...

Il tentativo di un optio di giustificare la presenza di quasi tutta la guarnigione nel pretorio e l'abbandono dei rispettivi posti di servizio fu troncato dallo stesso Publio all'istante.

-Io sono stato appena svegliato e non mi sono ancora fatto una vaga idea di quello che sta succedendo, e voi vi riunite qui e mi investite con le vostre domande senza nemmeno darmi delle spiegazioni?!- li rimproverò Publio- Spero che almeno là fuori sia rimasto qualcuno di guardia! O credete forse che, perchè l'attacco dei ronin si è concentrato altrove, la nostra posizione non è più in pericolo?!

I legionari non osarono rispondere. Alcuni di loro distolsero lo sguardo, profondamente imbarazzati. Si erano fatti prendere dall'agitazione per un attacco avvenuto a miglia di distanza da loro e si erano così dimenticati di essere assegnati al mantenimento di una postazione di vitale importanza. Il tribuno aveva tutte le ragioni per essere adirato con loro.

-Tornate ai vostri posti e comportatevi da romani, per Giove, Marte e Giunone!- fece Publio, prendendo fiato- E non vi azzardate a ripresentarvi qui senza un valido motivo! Andate!

I legionari abbandonarono uno dopo l'altro la sala. Publio scosse la testa e tirò un forte sospiro. Adesso poteva dedicarsi alle allarmanti notizie che a quanto sembrava avevano messo in subbuglio il suo avamposto. A poca distanza individuò il centurione Olbiano e lo raggiunse.

-Centurione, come ti è venuto in mente di farli entrare tutti qui dentro?!- lo rimproverò, rivolgendosi anche a Curzio- Abbiamo un'invasione ancora in atto e permettete ai vostri uomini di calpestare la vostra autorità con le loro urla?!

-Sono terribilmente spiacente, tribuno- rispose Olbiano, sinceramente imbarazzato- La notizia si è sparsa a macchia d'olio nello stesso istante in cui è arrivata la trasmissione. Io e Curzio eravamo fuori a ispezionare le sentinelle, così non ci siamo accorti subito della confusione che si è scatenata all'interno.

Publio assentì borbottando, e lasciò intendere l'internzione di lasciar cadere la faccenda per dedicarsi a questioni assai più urgenti.

-Va bene, spiegatemi cos'è successo con esattezza- disse.

-Abbiamo ricevuto una prima trasmissione da Castra Glaudilla mezz'ora fa- riferì Curzio- E continuiamo a riceverne a intervalli piuttosto irregolari. Attualmente Castra Glaudilla e le sue strutture periferiche stanno subendo pesantissimi attacchi da parte dei ronin nionici, che hanno inferto ai nostri delle perdite piuttosto ingenti.

-Il comandante della I Coorte ha inviato diverse richieste di aiuto, a noi e ad altre stazioni di trasmissione. Noi abbiamo inoltrato le nostre verso il comando della II Coorte, ma dubito che il tribuno Umbricio potrà mandare dei rinforzi- aggiunse Olbiano- E' per questo che si è scatenato il panico poco fa. Alcuni dei nostri ritengono di dover abbandonare la stazione per accorrere in auto dei commilitoni della I Coorte.

-Pessima idea! L'ultima cosa di cui l'Alasia ha bisogno è l'abbandono di una sua postazione militare- ribatté secco Publio- A quanto ammontano le forze nemiche?

-Attualmente sono sul posto truppe nemiche per una forza pari ad una coorte ausiliaria... in costante aumento- disse Olbiano, con un tono che tradì tutta la sua inquietudine.

Publio, dal canto suo, lo guardò allibito.

-Che cosa?! Stiamo parlando di quasi cinquecento uomini, centurione!- esclamò- Sta dicendo che a Castra Glaudilla ci sono cinquecento ronin e che continuano ad arrivarne altri! Com'è possibile?

-Nelle comunicazioni che ci sono pervenute, il comandante della I Coorte ha fatto riferimento ad aerii da trasporto truppe che hanno superato le difese antiaeree del Vallo di Alasia- rispose sommessamente il centurione- Sbarchi di truppe pesantemente armate, con mezzi da trasporto veloci e... artiglieria pesante mobile- aggiunse, la voce tremante.

Publio sbiancò e si sentì improvvisamente mancare. Indietreggiò lentamente e si lasciò cadere sulla sedia più vicina, portandosi le mani alla bocca.

-Non è possibile...!- mormorò sconcertato.

In quel momento, l'optio Catulo lo raggiunse con un fascio di fogli in mano. Erano le trascrizioni dettagliate delle trasmissioni che la stazione aveva ricevuto da Castra Glaudilla nelle ultime ore. Publio diede una rapida lettura agli ultimi rapporti ed ebbe l'amara conferma delle parole dei centurioni. In aggiunta, il testo delle trasmissioni diventava sempre più frammentario e confuso, a ulteriore conferma della gravità della situazione in cui si trovava la I Coorte in quel momento.

Nonostante ciò, Publio stentava ancora a crederci. Proprio quando tutta quella faccenda sembrava essersi risolta nel migliore dei modi, la situazione precipitava in un modo assolutamente imprevedibile e sconvolgente. I ronin stavano invadendo l'Impero di Roma... e lo stavano facendo con forze assai più numerose e organizzate di quanto i romani avrebbero mai potuto prevedere. Il condotto sotterraneo sotto il Vallo!, pensò con un'improvvisa intuizione. Era solo un'esca... una piccola testa di ponte, sacrificabile in vista di un'invasione più grande!

Adesso poteva ben comprendere, e quasi condividere, l'agitazione e lo sgomento che aveva spinto i legionari ad ammassarsi nel pretorio della stazione. Tuttavia, si rendeva conto di non poter dare mostra delle sue preoccupazioni e delle sue angosce. Doveva invece riordinare le idee e prendere in mano la situazione per quel che riguardava il suo settore di competenza, per contribuire a far sì che la situazione non precipitasse definitivamente, che i soldati non si facessero prendere dal panico e dall'agitazione mettendo in pericolo la sicurezza dell'avamposto. Era chiaro, infatti, che fino a quel momento l'invasione era circoscritta al solo settore di Castra Glaudilla. Forse non tutto era perduto.

-Tribuno?

Publio alzò lo sguardo. I centurioni Curzio e Olbiano lo osservavano preoccupati. La sua reazione era stata identica a quella dei legionari, ma nel suo caso destava maggiore preoccupazioni. Era lui in quel momento l'ufficiale di grado più alto e quello che avrebbe dovuto mantenere il controllo della situazione.

Publio respirò lentamente e si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte. Poi chiese una tazza di kave; aveva bisogno di concentrarsi e sentiva che quello lo avrebbe aiutato. Uno dei legionari in servizio nel pretorio gli portò una tazza fumante e lui la vuotò tutta d'un fiato, incurante della scottatura che si prese alle labbra e alla lingua.

-Molto bene, ragioniamo!- disse deciso, prendendo il palmare e lo stilo elettronico- Cerchiamo di capire bene cos'è accaduto dal momento in cui tutta questa storia ha avuto inizio.

Con l'aiuto dei due centurioni e dell'optio, iniziò a scribacchiare una rielaborazione degli eventi che gli desse un quadro d'insieme sintetico, ma chiaro della situazione. Qualcuno avrebbe potuto obbiettare che quel modo di agire non si addiceva ad un soldato e che non era altro che una perdita di tempo, ma Publio trovava che fosse un ottimo metodo per ridurre il rischio di azioni impetuose e poco ponderate. Inoltre, si adattava alla perfezione al suo carattere riflessivo e metodico. Nonostante l'età, Publio non era capace di agire senza aver prima valutato con attenzione ogni dettaglio della situazione che si trovava ad affrontare, e fino a quel momento quegli immani sforzi mentali gli avevano consentito di risparmiare assai più rischiosi e pesanti sforzi fisici e di risolvere situazioni che altrimenti avrebbero potuto peggiorare drasticamente. Sperava, adesso, di poter fare lo stesso con Castra Glaudilla, anche indirettamente.

-Dunque, i ronin attraversano il Vallo nelle regioni di Visernia e Castra Glaudilla- disse- Occupano questa stazione di trasmissione e in questo modo interrompono tutte le trasmissioni del settentrione dell'Alasia. Visernia, Castra Glaudilla, Biaco... fino a Castra Regellis, che è la sede del comando delle legioni alasiane. Insomma, l'intero settore settentrionale della provincia diventa una gigantesca e irragiungibile macchia nera sulla carta dell'Impero. Questo consente ai ronin di agire indisturbati per tutta la notte e per tutto il giorno successivo, fino al nostro arrivo qui.

-Un tempo più che sufficiente a provocare dei danni ingenti- constatò il centurione Curzio.

-Esatto. Quanto basta per infiltrare nella regione di Castra Glaudilla un contingente abbastanza numeroso per costituire una testa di ponte dalla quale iniziare l'invasione tante volte tentata- disse Publio- Castra Glaudilla... di che tipo di struttura militare si tratta?

Il centurione Olbiano raggiunse un computatore e attivò la mappa olografica di tutte le strutture militari presenti in Alasia, per poi selezionare la regione di Castra Glaudilla e il settore in quel momento sotto attacco.

-Ecco qui. È un grosso aereoporto militare- disse- Con annessa la guarnigione attualmente occupata dalla I Coorte. È il punto ideale da cui iniziare un'invasione, soprattutto in una regione montuosa e impervia come quella. Attualmente i loro aerei stanno sbarcando relativamente poche truppe, spargendole un pò ovunque e disordinatamente.

-Ma se riescono ad impadronirsi dell'aereoporto è la fine- concluse Publio- Gran brutta faccenda, che Cerbero se li prenda!

Publio sospirò esasperato e fece una pausa, durante la quale scarabocchiò distrattamente sul margine del foglio elettronico.

-Quello che non capisco, tribuno- intervenne quindi l'optio Catulo, approfittando del silenzio- È come hanno fatto i ronin a procurarsi i mezzi per dar luogo ad una simile battaglia. Da quel che so, negli anni passati sono sempre stati armati alla leggera e pressoché appiedati, tranne che per pochi mezzi di trasporto poco funzionali.

Publio alzò lo sguardo dal palmare e scosse la testa.

-Non lo so, Catulo- rispose.

Lo sapeva bene, invece! O meglio, poteva immaginarlo.

Poteva ben immaginare come avevano fatto i mercenari nionici a procurarsi i mezzi necessari a sferrare un attacco in piena regola e a dar luogo ad un'invasione in piena regola. Improvvisamente, gli era tornato alla mente, prepotente e inquietante, il ricordo della spia romana uccisa al villaggio degli aleutini e che lui e Sesto Licinio Balbo avevano trovato durante una ricognizione.

Sullo stesso palmare che teneva in mano in quel momento, Publio aveva un rapporto completo su quel preoccupante ritrovamento. Un rapporto che avrebbe dovuto consegnare al più presto al governatore dell'Alasia, senonché gli ordini perentori di Decimo Valerio Massimo gli avevano impedito di portare a termine quell'incarico segreto e, se ne rendeva conto adesso, di vitale importanza. Avrei dovuto insistere di più!, si rimproverò. Avrei dovuto insistere per essere mandato prima ad Aleupoli! Avrebbe destato maggiori sospetti nel comandante delle legioni alasiane, e probabilmente sarebbe stato costretto a spiegargli il motivo della sua insistente richiesta, contravvenendo agli ordini del legato Plauzio Corinno, ma per lo meno le autorità politiche e militari della provincia sarebbero state messe in allerta per tempo. Forse avrebbero preso i provvedimenti necessari ad evitare un'invasione favorita dall'interno. Forse...

Forse... l'arte militare è piena di forse al pari della filosofia
, constatò Publio esasperato.

Curzio e Olbiano si erano messi a parlare fra loro e si erano allontanati di qualche passo per non disturbare le sue riflessioni. Catulo era tornato al computatore principale e stava armeggiando con la tastiera.

Senza dire nulla, Publio si avvicinò alla mappa olografica e ingrandì il campo visivo per avere una visione completa di tutta la provincia, compreso il territorio oltre il Vallo di Alasia. Si chiedeva se una spia romana, con la dovuta organizzazione e i dovuti complici a disposizione, poteva essere in grado di fornire armamenti al nemico aggirando le fortificazioni del confine alasiano. Guardando la mappa, si rese conto che era più facile di quanto si potesse credere. Bastava stabilire un avamposto di spedizioni sulla costa occidentale della Viridinia, e da lì farli arrivare via mare direttamente nel territorio nionico, magari passando per il Polus Superior, i cui tratti marittimi erano poco frequentati a causa del clima proibitivo.

Naturalmente, tutto questo presupponeva un'organizzazione vasta, articolata ed efficiente. Possibile che una fetta così ampia dell'aparato militare e politico di Roma fosse passata al nemico? E perchè? Publio avrebbe preferito non pensare a quell'eventualità, ma doveva pur elaborare una teoria, per darsi delle spiegazioni e per esporla eventualmente al governatore dell'Alasia quando gli avrebbe finalmente consegnato il rapporto. Forse dovrei scrivere un secondo rapporto per fare presente tutto questo, pensò.

-Tutto bene, tribuno? Cosa stai facendo?

Publio si riscosse dalle sue cupe riflessioni e si voltò a guardare Catulo, che lo aveva nuovamente raggiunto.

-Sto bene, stavo solo pensando- rispose semplicemente- Mi chiedevo se Castra Glaudilla sia attualmente l'unica regione di confine sotto attacco. Non riceviamo trasmissioni da altre regioni.

L'optio scosse la testa e allargò le braccia, come rassegnato.

-Con i danni che abbiamo subito qui, è già tanto che abbiamo saputo di Castra Glaudilla- disse- Ad ogni modo, posso provare a fare qualcosa.

Publio annuì e gli diede una pacca sulla spalla.

-Vedi cosa puoi fare- disse- Prima, però, mettiti in contatto con Valerio Massimo tramite Umbricio. Digli che il tribuno Scipione chiede nuove istruzioni, alla luce di questa nuova situazione.

-Provvedo subito.

-E tienimi informato costantemente su Castra Glaudilla!

Mentre Catulo tornava al lavoro, Publio afferrò la tazza e andò a riempirla nuovamente di kave. Stavolta la sorseggiò lentamente mentre tornava a sedersi. Visto che di tornare a dormire in quelle condizioni non se ne parlava, avrebbe impiegato il tempo a scrivere quel secondo rapporto per il governatore dell'Alasia. Prima di mettersi a scrivere, rivolse un pensiero a Giove Ottimo Massimo, protettore di Roma e delle sue istituzioni, pregandolo affinché le sue parole non giungessero troppo tardi al governatore. E a Marte, perchè proteggesse e aiutasse gli uomini nella I Coorte.

-Tribuno!

Publio sospirò e alzò lentamente lo sguardo dal palmare, sperando vivamente che non ci fossero altre brutte notizie in arrivo.

-Sì?

-Il generale Decimo Valerio Massimo, tribuno!- annunciò Catulo.

-Sei riuscito a contattarlo in via diretta?!- chiese Publio sorpreso.

-Non proprio, tribuno. Si trova all'accampamento del tribuno Umbricio in questo momento.

Publio non ne fu troppo sorpreso. Il comandante delle legioni alasiane, probabilmente, stava facendo il giro dei reparti per rendersi personalmente conto della situazione. Chissà se avrà le palle per andare anche a Castra Glaudilla, pensò divertito.

-Che cosa dice?- chiese.

-Che sarà qui fra un'ora, tribuno!

Publio fissò per un momento l'optio, senza dire una sola parola. Quindi, tirò un profondo sospiro e, per tutta risposta, spense il palmare e se lo infilò nuovamente nella corazza.

No, al peggio non c'è mai fine
, pensò, mentre andava a cercare Curzio e Olbiano.

************

Nel caso ve lo stiate chiedendo....
Sì, nutro un gusto sadico e perverso nel peggiorare gradualmente e lentamente la situazione di quel poveraccio di Publio Giulio Scipione!  E... no, ancora non ho finito di tartassarlo!
Sì, mi piace anche interrompere i capitoli quando le cose si fanno interessanti! ;)

Ave atque vale!

P.S. Ultimamente sono stata piuttosto prolifica, nel senso che ho pubblicato con una certa frequenza. Di conseguenza, spero che il prossimo capitolo possa arrivare a breve. Sfortunatamente, la sessione di esami Novembre/Dicembre è alle porte! :(

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Capitolo 16
*** XV ***


16
Salve a tutti e Buon Natale!
Di recente mi è stato detto che sono piuttosto a brava a fare regali (mica vero, mi faccio sempre un sacco paranoie!), quindi per non deludere nessuno ecco a voi il Sacro Capitolo di Natale, a mio parere migliore di quello dello scorso anno.
Ad ogni modo, non sto qui a cianciare inutilmente.
Buona lettura e ancora Buon Natale!

XV

Decimo Valerio Massimo non gli piaceva proprio. Lo aveva incontrato di persona per la prima volta a Castra Regellis, poco prima di essere trasferito alla II Coorte, e già allora l'impressione che aveva avuto di lui non era stata positiva. C'era qualcosa in quell'uomo che gli suggeriva diffidenza.

Non aveva nulla a che fare con il suo aspetto fisico. Tutt'altro. Decimo Valerio Massimo era indubbiamente un uomo di bell'aspetto. Aveva fatto della vita militare la sua stessa esistenza, ma al contrario di molti militari di carriera non aveva un fisico possente e massiccio, nè l'espressione rude e dura tipica dei veterani rotti ormai a quel genere di vita. Era anzi alto e slanciato, i lineamenti del suo volto erano fini e delicati, benché segnati dall'avanzare dell'età. I capelli, castani e pettinati impeccabilmente, iniziavano qua e là ad ingrigire insieme alla barba, che portava lunga, ma ben curata.

Doveva essere un uomo che prestava molta attenzione al proprio aspetto, come testimoniava la cura a dir poco maniacale della sua uniforme, e anche della sua persona. Non c'era piega nella sua tunica bianca da generale che fosse fuori posto; il laticlavio sembrava invariabilmente cucito da poco su di essa, e persino le brache dell'uniforme apparivano come se fossero appena uscite da una stireria. La corazza era tirata a lucido fino al punto che ci si sarebbe potuti specchiare sopra. Sopra tutto questo, Valerio Massimo era solito indossare un mantello, nero, ma di ottima fattura, che gli conferiva un'aspetto austero e allo stesso tempo elegante. Si trattava indubbiamente di un'uniforme fuori ordinanza, commissionata privatamente e palesemente molto costosa, ma per Valerio Massimo non doveva essersi trattato di una grossa spesa.

Era risaputo, infatti, che il nobile patrizio figuarava anche fra i cittadini più ricchi dell'Impero, ricchezza derivatagli principalmente per via ereditaria, ma che lui aveva saputo proficuamente amministrare e incrementare grazie a oculati investimenti; naturalmente, circa le cause della sua ricchezza, circolavano anche voci meno benevole, ma fino a quel momento si era trattato sempre di calunnie, verso le quali Valerio Massimo aveva mantenuto un atteggiamento di assoluta indifferenza, come se la cosa non lo toccasse minimamente. Il risultato era stato quello di farle cadere nel dimenticatoio in pochissimo tempo.

Quelle sulla sua ricchezza, del resto, non erano le uniche voci che giravano sul suo conto. Un'aura di mistero aveva sempre circondato la figura di Decimo Valerio Massimo. Eccentrico quasi per impegno, era profondamente restio a vivere nell'Urbe e ad impegnarsi in politica, nonostante godesse, per diritto ereditario, di un seggio permamente in Senato. Le rare volte in cui si recava a Roma era poi costretto ad andarsene in tutta fretta dopo aver causato scandalo con le sue dichiarazioni pubbliche prive di qualsivoglia pudore. Difficile dire quale fosse il suo orientamento politico, perchè non esprimeva mai favore per l'una o l'altra fazione e, al contrario, aveva sempre da criticare su tutto e su tutti. Lucio Giulio Scipione, il padre di Publio, lo conosceva abbastanza bene e poteva quasi dirsi suo amico, eppure lui stesso aveva una volta affermato che Decimo Valerio Massimo perseguiva un solo ideale, ossia il suo interesse.

Forse era stata proprio questa ambiguità, evidente nel suo carattere e nel suo modo di fare, che aveva ispirato diffidenza in Publio. Valerio Massimo gli aveva dato l'impressione di essere un abile manipolatore, capace, con il suo sguardo magnetico e con i suoi modi sofisticati, di incantare le masse e manovrarle a suo favore. Era, d'altro canto, un ottimo oratore. Per certi versi, in verità, si trattava di un personaggio che poco si adattava al ruolo di comandante di eserciti, e questo aveva dato adito ad altre voci poco benevole suo suo conto. Si diceva, infatti, che il motivo per cui Valerio Massimo aveva accettato la nomina a comandante delle legioni d'Alasia era per garantirsi un corposo sostegno politico e militare presso le insoddisfatte popolazioni delle colonie romano d'oltreoceano, facilmente inclini a farsi trascinare da una voce forte e apparentemente solidale nei loro confronti.

Anche adesso, mentre lo accoglieva presso la piattaforma d'atterraggio della stazione di trasmissione di Visernia, Publio provò la medesima sensazione, quello strano campanello d'allarme che, nella sua testa, gli disse di rimanere a due passi di distanza dal comandante delle legioni alasiane.

Questa volta, tuttavia, il comandante delle legioni alasiane era molto meno incline ai convenevoli e alle chiacchiere di circostanza rispetto all'ultima volta che Publio lo aveva visto. Appena sceso dall'elicottero, rispose seccamente al saluto di Publio e dei due centurioni, prima di chiedere di parlare in privato con lui, possibilmente in un luogo meno freddo della piattaforma d'atterraggio.

Publio mise a disposizione l'alloggio del comandante dell'avamposto, di cui aveva preso possesso, ma che aveva in parte convertito a studio per le discussioni riservate fra lui e i centurioni Olbiano e Curzio. Non c'è più tempo per le adulazioni, eh, generale?, pensò mentre lo accompagnava dentro la stazione. Tanto meglio così. Discuteremo schiettamente e senza tanti giri di parole, come si conviene a due soldati.

Davanti alla porta dell'alloggio del comandante, Valerio Massimo congedò i due uomini di scorta ed entrò da solo, seguito da Publio, Curzio e Olbiano. Furono raggiunti quasi subito da Catulo e dall'optio del centurione Olbiano.

Valerio Massimo si sfilò il mantello e, dopo averlo ripiegato accuratamente, lo posò con delicatezza sulla branda, passandoci sopra una mano come per ripulirlo, anche se in realtà il nero della stoffa era talmente lucido da sembrare appena uscito dal negozio.

Si sedette sull'unica sedia lì presente. Gli altri ufficiali rimasero in piedi di fronte a lui; Curzio, Olbiano e i loro due attendenti se ne stavano rigidi e impettiti, come molle pronte a scattere alla prima sollecitazione. Publio, per quanto giovane e inferiore di grado, apparteneva alla stessa classe sociale del generale e mantenne una posa e un atteggiamento più rilassati, ma non meno rispettosi. 

Fu a lui che Valerio Massimo si rivolse per primo, dopo aver tirato fuori il proprio palmare personale.

-Vi farà piacere, innanzitutto, sapere che l'attacco a Castra Glaudilla è stato respinto e che l'aereoporto è di nuovo saldamente nelle nostre mani- disse.

Publio annuì, ma non manifestò troppo apertamente il proprio sollievo per quella notizia. Oltre al fatto che il generale non aveva parlato di annientamento totale del nemico, mostrare eccessivo entusiasmo per una piccola vittoria non si addiceva alla serietà e alla compostezza di un ufficiale e avrebbe potuto farlo passare per un immaturo. In ogni caso, sapere che la I Coorte aveva sventato il pericolo più grave era una notizia confortante.

-Le comunicazioni ci arrivano sporadicamente e non del tutto complete- riferì- L'avamposto ha subito parecchi danni. Ad ogni modo, ci siamo fatti una certa idea dell'accaduto, e...

Prima che potesse continuare, Valerio Massimo scosse seccamente la testa e sollevò una mano per metterlo a tacere.

-Ho richiesto la tua assistenza, tribuno, non un resoconto su fatti che sono avvenuti direttamente sotto il mio naso- disse con un tono pacato ed educato- Come hai tu stesso appena detto, le comunicazioni arrivano qui in maniera incompleta e irregolare. Mi sembra logico, quindi, ritenere di saperne più di voi in merito a quanto accaduto a Castra Glaudilla. Dico bene?

Publio lanciò un'occhiata ai due centurioni e vide che, come lui, non avevano apprezzato il velato disprezzo che il generale aveva appena manifestato con tanta eleganza nei loro confronti. Dopotutto, ci si aspettava che un comandante capace e accorto accettasse e prendesse in considerazione le informazioni e i pareri dei suoi subordinati sul campo. Ma evidentemente a Valerio Massimo bastava avere una visione globale della situazione.

Tornò a guardare l'uomo che aveva di fronte, verso il quale la sua opinione stava calando progressivamente, e si costrinse ad annuire e a non insistere sull'argomento. Del resto, il momento critico sembrava ormai passato.

-Quello di cui ho bisogno- riprese Valerio Massimo- È un rapporto completo e immediato sulla tua precedente spedizione qui alla stazione di Visernia, tribuno Scipione.

-Credevo che quello che avevo inviato a Umbricio fosse sufficientemente esauriente- rispose Publio, in parte infastidito, in parte perplesso.

Valerio Massimo fece un sorrisetto.

-Non del tutto- rispose - Questo avamposto... la banca dati interna si trovava sotto la supervisione di un mio stretto collaboratore, Marco Severo. Forse potresti illuminarmi sulla sua morte, tribuno.

Publio capì immediatamente a chi si stava riferendo il generale. L'uomo in abiti civili trovato morto insieme agli ausiliari, il padre del ragazzo che era sopravvissuto all'assalto e che lui si era affrettato a mandare via. Una spia di Valerio Massimo? Perchè? Perchè qui?

-Se ti riferisci ad un uomo sui sessant'anni, che aveva portato con se il figlio, allora non c'è molto da dire- rispose- Lo hanno ammazzato insieme al resto della guarnigione.

-I ronin, dunque.

Valerio Massimo ne parve sorpreso e al tempo stesso preoccupato. Perché mai?, si chiese Publio. Chi altri poteva essere stato?

-Gli stessi che hanno attaccato noi anche dopo l'occupazione dell'avamposto- specificò il centurione Curzio, intervenendo nella discussione- Subito dopo esserci imbattuti nel figlio del suo uomo. Uno di loro ci ha teso un'imboscata e...

-Questo non è rilevante, centurione!- lo interruppe bruscamente Valerio Massimo- Il ronin, ditemi di lui.

-Quello che stava per uccidere il ragazzo? Si è inizialmente nascosto e poi ha tentato di prendere in ostaggio il ragazzo per fuggire. Doveva essere il capo. Un samurai, senza alcun dubbio.

-Un samurai?!- esclamò Valerio Massimo, quasi allarmato- Ne sei certo, centurione?

-Il suo comportamento lo lascia supporre.

-E anche il seppuku che ha compiuto quando si è reso conto di non avere via di scampo- commentò distrattamente Publio. 

Intanto si chiedeva perché mai il comandante delle legioni alasiane fosse tanto interessato al nemico. Sembrava quasi che stesse cercando di farsi dire da loro l'identità personale di quell'uomo. Che fosse colluso? Che fosse in qualche modo in contatto con il nemico? Forse temeva che il ronin avesse parlato prima di morire. Poteva essere lui il traditore? Certo si trovava nella posizione più adatta per favorire il nemico. Forse era il caso di chiudere lì quel colloquio, prima che gli sfuggisse qualcosa riguardo al palmare che avrebbe dovuto consegnare al governatore dell'Alasia.

-Non abbiamo svolto ulteriori indagini sul conto del nemico- disse, effettivamente senza mentire- La nostra priorità era ripristinare le comunicazioni e rendere nuovamente funzionante la stazione.

-La vostra priorità?!- fece Valerio Massimo in tono deluso- Tribuno, come figlio di Lucio Giulio Scipione, mi sarei aspettato da te una maggiore perizia!

Publio s'irrigidì di colpo e dovette trattenersi dall'impulso di rispondere a tono a quella provocazione. Non aveva niente da rimproverarsi in merito alle decisioni che aveva preso fino a quel momento, e Valerio Massimo non aveva alcun diritto di mettere in discussione la sua competenza.

-Prego... in cosa avrei mancato?- chiese, sforzandosi di mantenere un contegno rispettoso.

-Alcune persone al Aleupoli, me compreso, ritengono che questa volta i ronin nionici stiano ricevendo appoggi esterni per i loro rinnovati tentativi di invasione. Le armi che hanno usato a Castra Glaudilla sembrano confermarlo. E chi li ha addestrati ad usarle con tanta maestria? Alcuni di loro sono stati un tempo dei samurai, è vero, ma per lo più si tratta di banditi, emarginati in cerca di fortuna, o magari avventurieri. Ad attaccare Castra Glaudilla, invece, è stato un vero e proprio reparto militare, ben equipaggiato e ben addestrato.

-Se avevate già i vostri sospetti, com'è che l'attacco vi ha colto di sorpresa?- chiese Publio, decidendo di prendersi una piccola rivincita alle insinuazioni sul proprio conto.

Valerio Massimo, tuttavia, non mostrò di sentirsi offeso, e anzi sorrise.

-Perchè, giovane Scipione, quando si paventa un complotto o un tradimento, si fa presto a dismetterne i possibili indizi con la scusa della loro inattendibilità, tacciando chi avanza dei dubbi di essere un paranoico- rispose- A nessuno piace l'idea di scoprire che in mezzo ai propri amici e alleati vi sia una talpa. In questo, lo ammetto, sono stato negligente anch'io.

Publio non fu affatto impressionato da quella elegante ammissione di colpevolezza. Sei stato negligente o accorto, Valerio Massimo?, si chiese. Quell'uomo gli piaceva sempre meno.

-Alla luce di quanto è accaduto qui a Visernia, ho ragione di credere che i ronin che hanno attaccato questa stazione non mirassero tanto al sabotaggio delle nostre comunicazioni- proseguì Valerio Massimo- O, almeno, non solo a quello.

-Che cosa potrebbero essere venuti a cercare qui?- chiese sospreso il centurione Curzio.

-Questo avamposto non si trova così vicino al confine solo per caso, centurione. Oltre ad essere un nodo importante per le comunicazioni da e per il Vallo di Alasia, è anche un avamposto di intercettazione.

-Per questo avevi messo un tuo uomo a supervisione la banca dati- ne dedusse Publio.

-Precisamente. E tu, tribuno, non hai indagato a fondo sulla faccenda!- rispose Valerio Massimo in tono accusatorio.

-Non avevo ricevuto alcuna informazione a riguardo!- si difese Publio con veemenza- E in ogni caso, al nostro arrivo, gli archivi erano intatti! Se anche fossi stato al corrente di questa faccenda, comunque, avevo altre e più urgenti priorità.

-Come dare l'allarme invasione- intervenne l'optio Catulo, sentendosi altrettanto incolpato ingiustamente, visto che era stato lui l'incaricato di verificare le condizioni della stazione dopo la riconquista.

Valerio Massimo lo fulminò con lo sguardo, ingiungendogli di tacere e Publio si voltò brevemente a guardarlo e scosse leggermente la testa, facendogli capire di lasciar parlare solo lui.

Tornò a rivolgersi a Valerio Massimo, che sospirò e scosse la testa con fare esasperato.

-L'ultima comunicazione vocale che ho ricevuto da Marco Severo era incompleta e piuttosto confusa, ma parlava chiaramente di un "pericolo grave e imminente per la Repubblica". Pericolo... per la Repubblica, capite? Non per l'Alasia, o per l'Impero in generale, ma per le istituzioni pubbliche!- si passò una mano sulla fronte, scendendo poi sugli occhi, e sospirò con fare rassegnato- Posso solo augurarmi, a questo punto, che di qualunque cosa si trattasse, si trovi ancora sul palmare che avete rinvenuto qui.

Publio sospirò. Aveva quasi sperato che anche il palmare trovato dal centurione Curzio rimanesse in mano loro, insieme a quello che aveva lui con se e di cui nessuno sapeva nulla. Ma a quanto sembrava, Valerio Massimo doveva sapere che Marco Severo aveva un palmare e non gli si poteva certo dire che non lo avevano trovato. Si voltò brevemente verso Catulo.

-Optio?

Catulo tirò fuori il palmare che fino a quel momento aveva custodito personalmente e lo consegnò a Valerio Massimo, che lo esaminò brevemente, senza però accenderlo. Qualunque cosa ci fosse dentro, non l'avrebbe condivisa con loro.

-Tanto per essere chiari- disse il generale, sollevando nuovamente lo sguardo e guardando Publio e gli altri con espressione severa- Sono stato avvertito nel momento stesso in cui avete tentato di accedervi- rivelò, sollevando il palmare- È la procedura normale in caso di violazione di archivi militari riservati come questo. Solo per questo, tribuno, potrei farti mettere agli arresti.

-Data la situazione attuale, generale, non credo che sia conveniente- intervenne Curzio, prima ancora che Publio potesse difendersi personalmente- Non abbiamo una tale abbondanza di ufficiali... non competenti come il tribuno Scipione.

Valerio Massimo fissò il centurione in silenzio per un lungo momento, ma non disse nulla. Tornò a guardare il palmare e lo accese.

-Centurione Curzio, tu e i tuoi uomini potete prepararvi a partire entro domani mattina- disse- Tribuno Scipione, tu andrai con loro. Un ufficiale della tua... competenza non serve a molto in un avamposto ormai sicuro come questo. Il centurione Olbiano può mantenerne il controllo insieme alla sua centuria. Inoltre al più presto verranno i genieri per riparare e sostituire tutte le apparecchiature danneggiate.

-Posso sapere dove siamo diretti?- chiese Publio.

-Castra Glaudilla- rispose semplicemente Valerio Massimo, alzando appena lo sguardo verso di loro- È tutto. Potete andare.

Publio osservò il generale per un momento, senza muoversi, poi si rese conto che sarebbe stato inutile rimanere lì nella speranza di scoprire che cosa c'era sul palmare di Marco Severo. Valerio Massimo non avrebbe effettuato l'accesso alle informazioni ivi contenute se non quando fosse stato sicuro di essere completamente solo.

Rassegnato, si batté il pugno destro sul petto in segno di saluto e, senza attendere una risposta, marciò fuori dall'alloggio, subito seguito dai centurione e dai loro attendenti. A quel punto poteva solo sperare che i sospetti che si era fatto su Valerio Massimo fossero infondati, perchè se davvero il palmare di Marco Severo conteneva informazioni su un complotto, allora queste erano appena finite in mano al nemico.

**********

Beh... forse è un po' cortino, in realtà avrebbe dovuto esserci un altro pezzo più sotto, ma ho deciso in parte di tagliarlo, in parte di inserirlo nel prossimo capitolo. Il che mi da la possibilità di impegnarmi per pubblicarne un altro a Capodanno.
Non si tratta esattamente di un capitolo portante, ma è servito ad ingarbugliare ulteriormente la trama e aggiungere qualche dettaglio circa il complotto che minaccia l'Impero Romano... o la Repubblica, se vogliamo dar retta a quell'antipaticone di Valerio Massimo! Spero di averlo caratterizzato bene, perchè si tratta di uno dei personaggi di mia invenzione ai quali tengo di più.
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi auguro ancora Buon Natale e vi dico arrivederci al prossimo anno!!!
Ciao!

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Capitolo 17
*** XVI ***


17
E allora, guardiamo le cose in faccia. Non sono in grado di garantire regolarità e assiduità negli aggiornamenti. La mia mente passa con estrema frequenza da momenti di eccezzionale creatività e ispirazione ad altri di totale apatia. Motivo per cui, d'ora in poi eviterò di fare pronostici su quando prevedo di pubblicare il capitolo successivo. L'unica cosa che garantisco con assoluta sicurezza è che non ho alcuna intenzione di smettere di scrivere, e soprattutto non ho intenzione di abbandonare Imperator, quindi chi ha la pazienza di aspettare e assecondare i capricci del mio cervello può star comunque certo che la storia arriverà ad una sua conclusione. XD
Quanto al motivo di questo cronico e increscioso ritardo (avevo detto che avrei pubblicato un capitolo a Capodanno, la Pasqua è praticamente arrivata!) è molto semplice: la sessione d'esame è andata male. Ma male davvero! Mi sono sfinita di studio e non ho dato neanche una materia, quindi all'ovvia stanchezza che ne è derivata, si è accompagnato anche un breve e intenso periodo di sconforto. Ma pazienza... finita una sessione se ne prepara un'altra...
Detto questo, per scusarmi, ecco a voi un capitolo abbastanza corposo.

**************

XVI

Notte alasiana.

Il termometro esterno segnava i duecento punti della scala Corellianus. Era un buon quarto al di sotto della temperatura di congelamento dell'acqua, più che sufficiente a uccidere un uomo di ipotermia, ma il sistema di riscaldamento interno dell'armatura impediva a Publio di rendersene pienamente conto. Sigillato ermeticamente da capo a piedi, la corazza integrale lo proteggeva perfettamente da tutte le intemperie, oltre che da eventuali attacchi nemici. L'unica percezione che aveva del gelo che regnava a poca distanza dal suo corpo, del resto, era la neve e il ghiaccio che stringevano in una morsa micidiale le montagne circostanti.

Sembrava impossibile che in un territorio come quello potessero trovarsi insediamenti umani. Eppure anche quel frammento inospitale di Alasia aveva la sua parte di giacimenti di petrolio, e ovviamente i romani non avevano rinunciato alla possibilità di metterci le mani sopra. Stando alle mappe, si trovavano in quel momento ad appena due miglia di distanza da un modesto insediamento coloniale, costruito intorno al piccolo ma efficiente impianto di estrazione. La loro prossima meta.

Publio abbassò il binocolo con il quale aveva scrutato le cime e gli avvallamenti che lo circondavano. La visibilità, quella notte, era ottima. Il cielo era completamente sgombro di nubi e la luce della luna, riflettendosi sulla nave e sul ghiaccio, illuminava il paesaggio di una tenue luce azzurra. Non c'era quasi bisogno degli occhia da visione notturna e qualsiasi movimento, in mezzo al candore della neve, sarebbe stato facilmente individuabile.

-Parla Scipione- disse Publio, attivando la trasmittente incorporata all'elmo- Da quassù non rilevo nulla.

-Tutto tranquillo anche qui sotto. Silenzio totale- rispose una voce- Direi che possiamo proseguire sugli itinerari prestabiliti.

-Ricevuto. Prossima meta l'impianto di estrazione. Ci vediamo lì, Furio.

La comunicazione s'interruppe. Publio si rivolse a Gundahar e gli fece cenno di rimettersi in marcia lungo lo stretto e impervio sentiero naturale che s'inerpicava lungo i costoni rocciosi e innevati. Poco più sotto, lungo gli avvallamenti fra un'altura e l'altra, gli altri legionari del centurione Curzio, comandati dal tribuno Furio Olennio, fecero la stessa cosa. Il loro percorso, sprosfondando nelle insenature fra una montagna e l'altra, era meno esposto, ma allo stesso tempo impediva loro un campo visivo esteso. Il rischio era di imbattersi nel nemico a distanza eccessivamente ravvicinata. Per questo motivo, di comune accordo, Publio e Olennio avevano deciso di dividersi, e Publio era risalito insieme a Gundahar lungo la parete rocciosa verso una posizione più elevata, da cui fosse possibile intercettare eventuali minacce da una distanza di sicurezza. Olennio, invece, era rimasto di sotto con gli altri.

Publio aveva incontrato nuovamente Gaio Furio Olennio al suo arrivo a Castra Glaudilla. Era lì, infatti, che il suo ex compagno di camerata al Vallo di Alasia era finito dopo il trasferimento ordinato da Valerio Massimo. Publio l'aveva trovato esattamente come lo aveva lasciato: testardo, aggressivo e antipatico come lo era stato al Vallo di Alasia, seppur notevolmente provato e spossato dalla battaglia contro i ronin, alla quale aveva preso parte. Ovviamente, non aveva perso tempo a farsene un vanto, ben sapendo che all'epico scontro contro le orde mercenarie nioniche che avevano varcato il confine, Publio aveva da esibire appena qualche scaramuccia contro piccole e insignificanti avanguardie nemiche che tutto sommato non avevano costituito un grosso problema. Certo, erano stati Publio e i suoi a dare l'allarme in tempo, ma il merito di aver stroncato definitivamente l'invasione era stato di altri.

Per il resto, Olennio non era stato affatto felice di sapere che Publio era stato aggregato alla guarnigione di Castra Glaudilla. La considerava un'invasione di territorio altrui al pari dello sconfinamento dei ronin, un pericoloso rivale nella sua personale ricerca di gloria militare. Così, quando Publio e i suoi freschi legionari esploratori erano stati assegnati ad una ricognizione notturna sulle montagne adiacenti al confine, da dove si presumeva fosse partito l'attacco contro Castra Glaudilla, non aveva esitato ad offrirsi volontario, insieme ai suoi uomini, per accompagnarlo, adducendo la presunta acquisita esperienza dei territori e affermando, piuttosto arbitrariamente, che nè lui nè i suoi erano poi così provati dalla battaglia, e che una passeggiata notturna in montagna non poteva che far loro del bene.

Publio aveva accuratamente evitato di controbattere, ben sapendo che l'esito sarebbe stato solo quello di indispettire ulteriormente Olennio. Fortunatamente, il comandante della guarnigione la pensava diversamente. Non poteva impedire a Olennio di partire volontario per la ricognizione, se proprio ci teneva tanto, ma con la scusa di aver bisogno di quanti più uomini possibile per difendere Castra Glaudilla, era riuscito ad evitare che anche gli altri legionari fossero costretti a partire. Così, alla fine, Publio era stato costretto a dividere il comando della sua pattuglia con Olennio. Non ne era affatto felice, e Curzio e gli altri, che in quel momento erano con lui, ancora meno. Il tribuno Scipione, pensavano, aveva ampiamente dimostrato di essere un comandante abile, assennato e degno di fiducia. Ma quest'altro giovanotto, nervoso e attaccabrighe, non li convinceva.

Prima di separarsi da loro, portando con se solo Gundahar, Publio aveva cercato di rassicurarli, affermando, in parte contro la sua stessa opinione, che Olennio era anch'egli un buon comandante, ad onta delle apparenze. Non era certo di essere riuscito a convincerli, ma adesso era parecchio tempo che si erano separati e che erano in marcia, e fino a quel momento era andato tutto bene. Anche troppo, considerando che non si erano imbattuti neanche in una pattuglia nemica, a dispetto delle previsioni che volevano quelle montagne brulicanti di ronin sbandati e isolati.

Publio e Gundahar si misero in cammino. Non era facile muoversi lungo il sentiero. Era stretto e tortuoso, reso scivoloso dalla neve; bisognava fare attenzione ad ogni passo. Un piede in fallo e sarebbero precipitati a valle, finendo magari addosso ai commilitoni che, più in basso, per lo meno, non dovevano tenere un occhio sul terreno e uno davanti a loro. Procedettero lentamente, fermandosi di tanto in tanto per segnalare all'altro gruppo che la via era libera e che tutto era tranquillo.

Apparentemente tranquillo, si disse Publio, fermandosi un momento per guardarsi intorno con circospezione. I suoi occhi scrutarono tutto intorno, esaminando con estrema perizia ogni anfratto, ogni roccia, ogni macchia sulla neve che potesse a prima vista essere sospetta. Tese le orecchie, ma gli unici rumori che riuscì a percepire furono quelli tipici dell'ambiente circostante. Possibile che ci fossero solamente loro su quelle montagne? Publio stentava a crederlo. Le esperienze vissute di recente gli avevano insegnato a non dare mai nulla per scontato, anche a costo di apparire paranoico. Del resto, i ronin sopravvissuti alla battaglia di Castra Glaudilla si erano ritirati in quella regione, e da qualche parte dovevano pur trovarsi. Le difese del Vallo erano state rafforzate nel momento stesso in cui era partito l'allarme da Visernia, quindi era improbabile che fossero riusciti ad attraversare nuovamente il confine. Se non altro, le guarnigioni locali avrebbero dovuto quanto meno individuarli mentre si ritiravano.

Da diverse ore, invece, lungo tutto il confine la situazione sembrava essersi calmata. Dalle guarnigioni del Vallo di Alasia non erano più giunti allarmi o segnalazioni di infiltrazioni. Le falle precedentemente scoperte erano state tappate definitivamente. Poteva dirsi scongiurato qualsiasi tentativo di invasione, e i ronin eventualmente rimasti nel territorio romano erano adesso in trappola. Prima o poi, si disse Publio, li avrebbero stanati e annientati. Una parte di lui, doveva ammetterlo, era delusa. Come tutti i romani, era stato educato a rincorrere la gloria militare ad ogni occasione. Non poteva negare che gli dispiacesse di non aver partecipato alla battaglia di Castra Glaudilla, di cui aveva percepito solamente gli echi. Un'altra parte di lui, però, era felice del fatto che l'invasione fosse stata stroncata. E inoltre, era stato lui a dare l'allarme in tempo e a consetire alle legioni di reagire prontamente. Di questo poteva andare orgoglioso, alla faccia di quanto Valerio Massimo potesse sminuire il loro contributo.

Valerio Massimo... paradossalmente adesso era lui il problema che assillava maggiormente Publio. Dopo il loro ultimo incontro a Visernia, non riusciva a scacciare la sensazione che il comandante delle legioni alasiane stesse nascondendo qualcosa. A Visernia era sembrato preoccupato almeno quanto lo era lui delle stranezze che circondavano il tentativo di invasione da parte dei ronin. Anche lui sarebbe stato non troppo felice se avesse scoperto che il nemico aveva preso di mira un avamposto di intercettazione segreto con tutti i suoi archivi. Se a questo si accompagnava un assalto in grande stile contro un aeroporto situato appena oltre il confine... no, stando così le cose, non poteva certo biasimare Valerio Massimo, anche per la sua scortesia. Eppure, per tutta la durata del colloquio che aveva avuto con lui a Visernia, non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione che il generale stesse in realtà recitando una parte. Una parte di Publio non poteva fare a meno di sospettare che  il motivo di disappunto di Valerio Massimo fosse in realtà ben altro. La fretta con cui aveva preteso la restituzione del palmare di Marco Severo e  la preoccupazione mostrata quando aveva scoperto che ad attaccare l'avamposto erano stati dei ronin al comando di un samurai, i sospetti e le insinuazioni avanzate senza alcun apparente motivo nei loro confronti... potevano essere un tentativo di copertura?

Ad ogni modo, adesso erano in due a sapere dell'esistenza di un tradimento ai danni della Repubblica, ed entrambi ne avevano le prove documentate. Publio aveva tutta l'intenzione di consegnarle al governatore dell'Alasia, perchè fosse avviata un'inchiesta, ma sinceramente non se la sentiva di dare per scontato che Valerio Massimo avesse la stessa intenzione. E c'era la possibilità che il palmare di Marco Severo contenesse prove ben più importanti del rinvenimento di un anonimo cadavere. Del resto, Valerio Massimo si trovava nella posizione ideale per essere il principale sospettato di un tradimento. Era il comandante militare dell'intera provincia, aveva il controllo sui confini e sui sistemi di comunicazione militari e sembrava proprio che i ronin stessero agendo sulla base di precise informazioni di carattere militare.

Mentre con l'aiuto di Gundahar si apprestava a superare un tratto particolarmente difficoltoso del percorso, Publio si impose di non pensare più a quella faccenda. Aveva altre e più immediate preoccupazioni per le mani adesso, come scovare gli ultimi ronin e procedere al loro annientamento definitivo.

Improvvisamente, Gundahar lo afferrò e lo tirò giù.

-Tribuno, guarda!- esclamò in un soffio, indicandogli un punto in alto.

Publio alzò lo sguardo e vide volteggiare sopra di se, a poca distanza, un elicottero da combattimento che non apparteneva all'esercito romano. L'elicottero si muoveva lentamente e a bassa quota, con i fari inferiori accesi per scrutare il terreno; era in ricognizione.

-Numi!- mormorò Publio- Ne hanno ancora qualcuno!

A Castra Glaudilla aveva potuto rendersi pienamente conto del ricco e potente arsenale di cui i ronin avevano potuto disporre durante la battaglia. L'aeroporto, infatti, era disseminato di carcasse di veicoli da ricognizione e da assalto veloci, di pezzi di artiglieria mobile non più funzionanti e persino di alcuni velivoli che i ronin avevano utilizzato per il trasporto in massa di truppe sul campo di battaglia. Gli elicotteri erano stati per la maggior parte abbattuti e dati alle fiamme, ma da un'esame delle carcasse era risultato che si trattava di mezzi piuttosto avanzati, in grado all'occorrenza di volare in alto e sottrarsi alla vista e alle intercettazioni. Il che spiegava una volta di più come avevano fatto a sorvolare il Vallo di Alasia. Avevano sfruttato una serie di circostanze favorevoli: le pessime condizioni atmosferiche, il sabotaggio condotto contro la stazione di Visernia e, non ultimo ma ancora sconosciuto ai più, un appoggio dall'interno. Non era stato possibile, invece, risalire alla provenienza degli armamenti; i materiali utilizzati erano i più svariati e mancava qualsivoglia indicazione o indizio che consentisse di risalire all'industria di produzione. Era probabile che si trattasse di una produzione mista e clandestina.

-Pensi che quell'elicottero possa arrivare da oltre il confine, tribuno?- chiese Gundahar, mentre osservavano il velivolo, pregando perchè si allontanasse al più presto.

-Non credo- rispose Publio- Con le difese di confine in stato di massima allerta non gli sarebbe stato più così semplice oltrepassare il Vallo. Deve essere uno dei supersiti alla battaglia. Forse cercano altri sopravvissuti.

-Sarà pure dovuto atterrare da qualche parte, non credi?

-Indubbiamente. Il che mi da da pensare che il nemico non possa essersi stabilito tanto lontano.

L'elicottero aveva cominciato ad allontanarsi. Publio si rialzò e riattivò la trasmittente.

-Furio, lo avete visto?- chiese senza preamboli.

-Sì- rispose Furio Olennio con voce tesa- C'è anche mancato poco che ci vedesse anche lui! Brutta storia, scommetto che è partito dall'impianto di estrazione verso cui siamo diretti.

Anche Publio aveva avuto lo stesso presentimento. Avrebbero dovuto tenere gli occhi ben aperti.

-Se hanno occupato l'insediamento, devono avere ancora abbastanza forze a disposizione- disse- Probabilmente lo hanno usato per stabilirvi una retroguardia. Noi siamo troppo in pochi.

-Che cosa proponi?

-Di interrompere il silenzio con gli altri avamposti e di chiedere rinforzi dalle guarnigioni di confine. Possono mandarci una centuria in più della metà del tempo che impiegherebbe ad arrivare da Castra Glaudilla.

Olennio tacque per un momento, ponderando la proposta di Publio. Per una volta decise di ingoiare il suo orgoglio e dargli ragione.

-Va bene, provvedo immediatamente.

-Noi intanto proseguiamo e andiamo a dare un'occhiata- disse Publio- Onestamente spero di sbagliarmi.

-Anch'io spero che ti sbagli!- lo rimbeccò Olennio, tagliente.

Publio scosse la testa, quindi lui e Gundahar si rimisero in marcia. L'elicottero era scomparso completamente, ma dopo un po' i due cominciarono a sentire qualcos'altro di assai più preoccupante. In lontananza, in direzione dell'impianto di estrazione e dell'insediamento verso il quale si stavano dirigendo, si sentiva un rombo cupo e ovattato, ma continuo, che decisamente non poteva essere scambiato per una tempesta in arrivo. Da qualche parte si stava combattendo!

-Scipione, mi ricevi?- la voce di Olennio risuonò allarmata attraverso la ricetrasmittente- Fermatevi un momento, abbiamo un problema.

-Lo sentiamo anche noi- rispose Publio- Sembra ci siano combattimenti in corso.

-Non è solo questo!- lo interruppe Olennio in tono di crescente preoccupazione- Nessuna risposta dal Vallo di Alasia!

-Non ci mandano rinforzi?

-No, non hai capito! Nessuna risposta, non rispondono!

-Come sarebbe a dire?!

-Non so che dirti. Le trasmissioni funzionano regolarmente, solo che... nessuno risponde. È come se ci stessero ignorando.

Publio rimase in silenzio per un lungo e interminabile momento, cercando di reprimere quella inquietante e ormai ben nota sesazione che gli suggeriva che qualcosa non andava e che presto le cose si sarebbero messe molto male per tutti loro.

-Che cosa facciamo?- chiese Olennio, che doveva essere veramente preoccupato per abbassarsi a chiedere consiglio a qualcuno.

-Rimettetevi in marcia come avevamo stabilito- rispose Publio- Io e Gundahar siamo più avanti di voi, ma da quassù possiamo raggiungere una posizione che ci permetta di osservare il villaggio da una distanza di sicurezza. Andremo a dare un'occhiata.

-Ricevuto.

Publio e Gundahar si rimisero in marcia e affrettarono il passo, senza più curarsi di fare attenzione. Ormai avevano per la testa solo di raggiungere l'obbiettivo che si erano prefissati, presso il quale speravano di ottenere risposta agli inquietanti interrogativi che si stavano ponendo. Man manco che avanzavano, il rombo dei combattimenti in corso si andava facendo sempre più forte e più distinto, e ben presto i due furono in grado di distinguere alcune delle armi in uso sul luogo dello scontro. Armi romane!

-Ci sono dei nostri al villaggio!- esclamò Gundahar sollevato.

Publio annuì, ma evitò accuratamente di lasciarsi prendere dall'entusiasmo. Il fatto che ci fosse una battaglia in corso a poca distanza dal Vallo di Alasia non spiegava perchè dal confine nessuno rispondesse alle loro chiamate.

Finalmente giunsero in vista del villaggio, annesso ad un impianto di estrazione del petrolio. Distava appena un miglio, ma dal costone di roccia sul quale Publio e Gundahar si erano arrampicati, potevano vederlo con chiarezza anche ad occhio nudo e da una posizione sopraelevata. Il combattimento stava avendo luogo proprio lì, come dimostrava il groviglio di traccianti che s'intersecava fra gli edifici e i macchinari industriali. Il rumore, poi, era adesso assordante, si sentivano anche urla confuse.

Publio si stese sul bordo della sporgenza e tirò fuori il binocolo. Voleva rendersi conto con precisione di chi ci fosse laggiù, e quello che vide lo lasciò alquanto perplesso. Ovviamente, una delle due fazioni impegnate nel combattimento era costituita dai ronin; l'elicottero in cui si erano imbattuti poco prima li stava adesso appoggiando, illuminando il campo di battaglia a giorno con i suoi fari, e sparando con le armi di bordo. Quello che sorprese di più Publio, però, fu scoprire che ad opporsi ai ronin non erano legionari romani, ma coloni armati e agguerriti. Nulla di male di per se, non fosse stato per il fatto che ai civili in Alasia non era consentito tenere armi in casa. Quegli uomini facevano certamente parte delle frange ribelli che si erano in un primo momento ritenute responsabili di aver sostenuto l'invasione nemica. A quanto pareva, le cose stavano diversamente.

-Diamo loro una mano?- chiese Gundahar.

-Indubbiamente- rispose Publio- Cominciamo col togliere di mezzo quel maledetto elicottero!

Gundahar sorrise e imbracciò il grosso e ingombrante sclopetum di precisione che fino a quel momento aveva portato in spalla. Con enorme sorpresa da parte di Publio, prima di partire da Castra Glaudilla, il centurione Curzio gli aveva rivelato che Gundahar, pur essendo il più giovane della centuria e pur non avendo alcuna esperienza pregressa, era risultato all'addestramento un tiratore eccellente. L'unico problema era che gli unici bersagli contro i quali aveva potuto tirare erano le sagome di legno del campo di addestramento. Fino a quel momento...

Il giovane legionario preparò con cura la propria postazione di tiro, posizionando lo sclopetum sul cavalletto, in maniera tale da renderlo stabile. Poi tirò fuori delle munizioni speciali.

-Perforanti ad alta velocità- spiegò a Publio, che seguiva le sue mosse con attenzione- Con queste potrei accendere la canna da fumo di un ronin anche a dieci miglia di distanza!- aggiunse eccitato.

Con gesti sicuri, caricò l'arma, si posizionò carponi dietro di essa, avvicinò l'occhio al mirino e iniziò a cercare il bersaglio. Dopo qualche tentativo, reso difficile dal fatto che l'elicottero si muoveva continuamente sopra il villaggio, riuscì ad inquadrarlo. Il rumore dello sparo echeggiò sopra il frastuono della battaglia e Publio si sentì quasi scoppiare i timpani.

Il proiettile centrò il bersaglio dritto sul rotore dell'elica, staccandola quasi di netto. L'ecliottero smise di sparare e sbandò violentemente, mentre il pilota lottava per tenerlo stabile e abbandonava il combattimento. Deciso a non dargli tregua, Gundahar caricò un secondo colpo, inquadrò nuovamente il bersaglio e sparò una seconda volta, colpendo stavolta l'elicottero sulla carlinga. Un denso fumo nero cominciò ad uscire dal velivolo, che in una manciata di secondi prese fuoco e iniziò a perdere quota sempre più velocemente. In un attimo precipitò al suolo con un grande fragore.

Publio era rimasto senza fiato. I ronin altrettanto e, a dispetto della loro rinomata freddezza in battaglia, la perdita del loro sostegno dall'alto, li mandò per un momento nel panico. Anche i coloni ribelli per un momento erano rimasti sgomenti e stupiti, ma non avevano tardato a rendersi conto che chiunque avesse abbattuto l'elicottero era lì per aiutarli e subito passarono al contrattacco. Dalla loro posizione distante e coperta, Publio e Gundahar li aiutarono, sparando senza che i ronin potessero individuarli.

L'intensità del combattimento prese a scemare, finché, con l'eco degli ultimi spari, cessò del tutto. Dal villaggio si levarono grida di trionfo. I coloni si rallegravano per la vittoria. Publio si alzò da terra e tirò fuori la pistola di segnalazione, con la quale sparò un illuminante rosso, che convenzionalmente indicava la presenza di truppe amiche. Dall'insediamento arrivò in breve la risposta; la sirena di segnalazione dell'impianto di estrazione suonò un paio di volte.

-Direi che possiamo prenderlo come un segnale di amicizia- rispose Publio- In caso contrario ci avrebbero sparato addosso.

Prima di scendere, attivò la trasmittente.

-Furio, a che punto siete?- chiese.

-Stiamo per arrivare in vista del villaggio- rispose Olennio- Ma che succede? Non sentiamo più il combattimento.

-I ronin sono stati annientati. Ti spiego quando arriviamo. Sbrigatevi!

Olennio borbottò qualcosa, probabilmente lamentandosi per il fatto di essere tenuto all'oscuro di quanto stava accadendo, ma si rimise in movimento con i suoi.

Publio e Gundahar cercarono una via per scendere nuovamente a valle e, con molte difficoltà, riuscirono a discendere la parete rocciosa senza precipitare. Una volta giù, arrivare al villaggio fu questione di pochi minuti. I coloni stavano riprendendo possesso dell'abitato e delle stutture industriali. Alcuni di loro erano intenti a spostare morti e feriti; come c'era d'aspettarsi, nessun ronin si era lasciato prendere vivo; al suo arrivo, Publio notò un paio di spade corte insanguinate nelle mani dei coloni. L'altra cosa che notò, con disappunto e preoccupazione allo stesso tempo, fu che fra quella gente non c'era un solo soldato, ma tutti erano lo stesso armati fino ai denti; le armi erano tutte di fabbricazione romana, sicuramente di contrabbando. Era sempre meglio che acquistare armi dal nemico, ma la faccenda era comunque spinosa. In teoria, Publio avrebbe dovuto sequestrare tutte le armi e incriminare i coloni di possesso illegale di armi, contrabbando e persino di complotto contro la Repubblica. Ma come poteva accusare di tradimento e di ribellione degli uomini che stavano semplicemente difendendo le loro case?

-Grazie dell'aiuto, tribuno!- disse uno dei coloni, porgendogli il braccio- Quel maledetto elicottero ci stava creando un mucchio di problemi! Io sono Cotta.

Publio strinse distrattamente il braccio dell'uomo.

-Scipione- si presentò semplicemente- Quando vi hanno attaccati?

Cotta sorrise, grattandosi la testa.

-Beh... stanotte ci hanno attaccati meno di mezz'ora fa, ma sono alcuni giorni ormai che cercano di occupare il villaggio- spiegò- Hanno trovato pane per i loro denti, però!- aggiunse orgogliosamente.

-Direi- rispose Publio con un piccolo sorriso- Se anche durante gli altri attacchi hanno utilizzato elicotteri...

-Elicotteri no, ma mezzi da assalto veloci. In effetti la cosa mi ha sorpreso, tribuno. Negli anni passati si era sempre sentito di attacchi contro il Vallo di Alasia, ma di ronin da queste parti non se n'erano mai visti.

Publio fece un profondo sospiro e si sfilò l'elmo dalla testa. L'aria fredda della notte gli investì il viso; fu piacevole per un momento, ma subito dopo Publio dovette tirarsi su il bavero della tunica che sporgeva dalla corazza. Cotta rimase non poco stupito di vederlo in faccia; probabilmente si aspettava un uomo più anziano.

-Sono stati attacchi molto pesanti?- si informò Publio.

-I primi sì, ma poco a poco sono andati diminuendo di intensità- rispose Cotta- Quello di oggi è stato niente, a parte l'elicottero, che non ci aspettavamo. Credevo che il Vallo di Alasia fosse munito di artiglieria antiaerea.

Publio sgranò gli occhi.

-Voi non sapete niente!- esclamò, intuendolo immediatamente- Non avete ricevuto notizie negli ultimi giorni!

-Il primo attacco ci ha colti di sorpresa, i ronin sono riusciti a distruggere la nostra centralina telefonica e le apparecchiature radiofoniche- rispose Cotta- Perchè? Cosa avremmo dovuto sapere?

-I ronin sono riusciti a invadere l'Alasia in questa regione in forze e con un armamento di prim'ordine. Gli attacchi contro il vostro insediamento sono diminuiti perchè le loro forze si sono cocentrate in un attacco massiccio contro Castra Glaudilla.

Stavolta fu Cotta a rimanere paralizzato dallo sgomento, e così alcuni altri coloni che li avevano ascoltati a poca distanza.

-L'attacco è stato stroncato e anche la falla nelle difese di confine è stata riparata- si affrettò a rassicurarli Publio-Noi siamo stati mandati in ricognizione per scovare gli ultimi fuggiaschi, in vista di una successiva azione di rastrellamento.

-Noi possiamo esservi utili in qualche modo?

-Beh... ci saranno sicuramente altri ronin in giro, e...

Publio fu interrotto dall'allarme lanciato da uno dei coloni posti di sentinella ai limiti dell'insediamento. Qualcuno si stava avvicinando al villaggio.

-Lasciateli passare!- rispose Publio- Sono dei legionari esploratori con un mio parigrado.

Poco dopo, infatti, Curzio, Catulo, Emilio e Gario fecero il loro ingresso nel villaggio, insieme a Furio Olennio. Olennio sembrava di pessimo umore e avanzò dritto verso Publio con aria contrita e minacciosa.

-Bella idea quella di attaccare in due un elicottero senza sapere se c'erano altri nemici nelle vicinanze! Avreste dovuto aspettarci!

-Non c'era tempo- ribatté Publio a tono- L'elicottero stava attaccando il villagio. I coloni erano in pericolo.

Olennio lanciò un'occhiata sprezzante ai coloni.

-Mi sembra difficile da crederlo- disse- Anzi, considerando gli armamenti che portano, dubito anche che si possa considerarli coloni. È più probabile che si tratti di ribelli locali... magari alleati dei ronin!

-Come ti permetti, tribuno!- esclamò Cotta, livido di rabbia- Sono giorni che combattiamo contro di loro! Noi abbiamo difeso il territorio di Roma! Non siamo ribelli!

Fece per avventarsi contro Olennio, ma due suoi compagni lo afferrarono e lo trattennero in tempo. Publio si mise in mezzo.

-Basta così!- disse- Furio, le tue insinuazioni sono fuori luogo. Questa gente stava difendendo il villaggio e l'impianto di estrazione dall'invasione del nemico, proprio come tu e gli altri avete difeso Castra Glaudilla.

-Può darsi- concesse Olennio- Ma resta comunque il fatto che questa gente contrabbanda e detiene armi illegalmente.

-Siamo cittadini romani! Abbiamo diritto di difenderci personalmente quando non possono farlo le legioni!- protestò Cotta.

-Gli abitanti degli insediamenti coloniali in Nova Terra non possono possedere armi!

-Mentre gli indigeni locali che vivono a pochi passi dalle nostre case possono tenersi le loro e addirittura fabbricarsele!

-Archi e arpioni, che usano solamente per andare a caccia e a pesca e procurarsi di che vivere alla loro maniera. Non possono nemmeno considerarsi armi!

-Stronzate! Se volessero, potrebbero attaccarci e ucciderci tutti!

Olennio scrollò le spalle con aria strafottente.

-Può darsi. Mi dispiace, ma la legge di Roma parla chiaro!

-Possa annegare la legge di Roma!

A quella'ultima feroce affermazione di Cotta seguì un lungo e sgomento silenzio, durante il quale anche gli altri coloni fissarono Cotta come se fosse impazzito, se non altro perchè con simili affermazioni rischiava di passare grossi guai.

-Sta attento a come parli, Cotta- disse Publio con calma- Per questa volta faremo finta di non aver sentito.

-Tu non capisci, tribuno- rispose Cotta, scuotendo la testa- Sei giovane e sei romano di Roma, non puoi capire. Ma guarda il legionario che è venuto insieme a te. È un libero e un germano, di romano non ha neanche il nome. È l'anonimo figlio di uno schiavo.

Gundahar aprì la bocca per protestare, ma Cotta gli fece un cenno perché tacesse.

-Non voglio offenderti, soldato- si affrettò a dire- Sto solo dicendo, che quando tu finirai il tuo servizio nelle legioni, sarai un cittadino romano a tutti gli effetti. Avrai diritto alla tessera annonaria, potrai votare nei comizi, forse ti assegneranno persino un gentilizio! Sicuramente meriti tutto questo, ma non è giusto nei miei confronti! Io sono cittadino romano per nascita, mio padre era cittadino romano e lo era anche mio nonno. La mia unica colpa è quella di essere venuto qui a cercare un avvenire migliore per me, perché nel vecchio continente non avevo nulla di che vivere. Ti sembra giusto che solo per questo abbia dovuto rinunciare ai miei diritti di cittadino?! Per quale motivo il Senato ha deciso che chi emigra nelle colonie d'oltreoceano rinuncia ai diritti di cittadinanza?! Per consentire a gente come loro, senatori, equites, nobili, di impadronirsi dei venti litri di petrolio che ogni singolo colono estrae ogni giorni da questa terra?!

Cotta fece una pausa per riprendere fiato. Aveva parlato così in fretta e si era tanto infervorato che aveva cominciato a sudare, nonostante il freddo.

-Io sono un cittadino romano come te e e i tuoi legionari, tribuno- disse più a bassa voce, quasi come volesse giustificarsi- Svolgo un lavoro pesante e importante per Roma. Ho diritto a godere anch'io di una parte dei frutti di questo lavoro. E ho diritto di difendermi da solo se necessario.

Publio aveva ascoltato in silenzio il violento sfogo del colono, nel quale probabilmente anche gli altri si identificavano, e, non poté fare a meno di dargli ragione, anche se non poteva immedesimarsi nella sua situazione. Aveva avuto la fortuna, lui, di nascere in una famiglia nobile e incredibilmente facoltosa. L'unico motivo che avrebbe potuto spingere suo padre a trasferirsi in Nova Terra sarebbe stata l'accettazione di una carica pubblica, e questo ovviamente non gli avrebbe mai portato via la sua cittadinanza, nè il seggio senatoriale. Insomma, solo la commissione di un grave reato avrebbe potuto privare Publio o un suo parente della cittadinanza romana. Invece, per molti romani, la cui unica colpa era quella di essere meno abbienti, di non appartenere al ceto senatoriale o equestre, bastava cercare fortuna altrove nell'Impero per perdere la cittadinanza. Cittadinanza che per un romano si identificava praticamente nella propria anima. Perderla era come perdere la propria identità e la propria dignità. E in tutta onestà, a Publio Cotta e gli altri coloni nel villaggio non sembravano affatto persone che meritassero una simile punizione.

In quel momento, però, Publio era un tribuno delle legioni di Roma. Rappresentava la Repubblica e le sue leggi, giuste o sbagliate che fossero, e aveva il dovere di applicarle e di farle applicare, anche con la forza se necessario. La sua coscienza, tuttavia, si opponeva fermamente.

-Tutto questo dovresti dirlo al vostro rappresentante in Senato, Cotta- mormorò confuso- Io sono un tribuno, non posso fare granché.

Cotta sputò a terra.

-Il nostro rappresentante in Senato! Come se la sua parola contasse alcunché!- commentò disgustato- Ma hai ragione. Tu sei solo un tribuno e hai i tuoi doveri da rispettare. Ti consegneremo le nostre armi... se non altro dimostreremo che non siamo dei banditi venduti al nemico.

Così dicendo, Cotta gli porse il suo sclopetum. A Publio si strinse il cuore nel vederlo così avvilito, ma improvvisamente ebbe un'idea che avrebbe potuto consentirgli di salvare l'onore dei coloni, che di evitare a suo carico un'accusa di insubordinazione.

-Tieni la tua arma, Cotta- disse, rimettendogli lo sclopetum nelle mani- Tutti voi, tenete le vostre armi e state all'erta!

Sia i coloni che i legionari lo guardarono confusi.

-Non sequestriamo le loro armi, tribuno?- chiese Curzio, incredulo.

-No, centurione- rispose Publio- Altri ronin potrebbero trovarsi nelle vicinanze e decidere di attaccare. Se ciò dovesse accadere, dubito che saremmo in grado di difendere questo posto in così pochi. Quindi, a meno che non vogliate chiedere l'aiuto degli indigeni, questa gente ci darà una mano a difendere questo pezzetto di territorio romano, almeno finché da Castra Glaudilla o dal Vallo di Alasia non ci arriveranno rinforzi adeguati. Mi sembra una decisione più che adeguata, date le circostanze.

Il centurione Curzio inarcò le sopracciglia, quindi annuì, convinto.

-Mi sembra plausibile, tribuno- rispose.

-Stai dicendo, Scipione- intervenne Olennio, per nulla felice di quella presa di posizione- Che non intendi sequestrare le loro armi e neanche incriminarli?

-Proprio così- rispose Publio- Per come stanno le cose adesso, sarebbe una gran perdita di tempo. Inoltre, come sicuramente potrai renderti conto tu stesso, non ci sono prove del contrabbando di armi da parte dei coloni. Potrebbero benissimo aver preso le armi ai ronin con l'inganno e l'uso che ne hanno fatto era del tutto legittimo, visto che sono rimasti isolati per giorni, in balia del nemico. Sono certo che, passato il pericolo, non avranno problemi a consegnarle, dico bene?

Publio si voltò verso Cotta, guardandolo interrogativamente. Questi si sforzò di non lasciar trasparire la gratitudine che provava nei suoi confronti, non solo per non averlo incriminato, ma anche per avergli dimostrato a suo modo il proprio rispetto. Guardò i suoi compagni per assicurarsi che il sentimento fosse comune, quindi annuì deciso.

-Assolutamente, tribuno. Siamo trivellatori, noi, non soldati- rispose.

-Magnifico- disse Publio- Nessun problema, allora.

-Io non credo che...

-Furio, mi assumo io la piena responsabilità di questa decisione- Publio tagliò corto, spazientito- Passiamo a cose più importanti, piuttosto. Catulo, sei riuscito poi a metterti in contatto con il Vallo di Alasia?

-No, tribuno. Ancora nessuna risposta- rispose l'optio.

-Forse anche loro hanno subito danni alle apparecchiature di trasmissione- rispose Publio, non volendo saltare immediatamente a conclusioni affrettate.

-Non siamo molto lontani dal confine- disse Olennio- Visto che i coloni qui sono in grado di difendere le loro case, direi che la cosa migliore è andare a vedere di persona.

-Sono d'accordo, ma non possiamo andare tutti. C'è bisogno di un comandante militare che organizzi adeguatamente la difesa del villaggio. Ci penserà il centurione Curzio insieme ai suoi, mentre tu ed io, Furio, andremo al confine a renderci conto della situazione.

Olennio non ebbe nulla da obiettare. Lasciati i legionari esploratori a difesa del villaggio insieme ai coloni, i due tribuni recuperarono un autocinetum ancora funzionante, che i coloni erano riusciti a mettere al riparo, e partirono alla volta del confine.

La strada carrabile era più ampia dei sentieri di montagna, ma altrettanto tortuosa e accidentata, per di più priva di asfalto. Publio, al volante, non poteva andare molto veloce e doveva di continuo cambiare marcia e passare dal freno all'acceleratore e viceversa. Sia lui che Olennio stringevano i denti ogni volta che l'autocinetum sobbalzava con violenza, sballottandoli di qua e di là.

-Che sospensioni del cavolo!- commentò Olennio, massaggiandosi la testa dopo che l'aveva sbattuta contro il tettuccio del veicolo.

-Già, niente a che vedere con gli autocinetum delle legioni- rispose Publio, sudando per mantenere il controllo del mezzo- Del resto i coloni non si muovono molto dal villaggio, non avrebbe senso comprare un nuovo autocinetum.

Olennio emise un borbottio di assenso e per un momento rimase in silenzio, come cercando di pensare.

-Non è che io abbia qualcosa contro i coloni- disse poi- Sono d'accordo che anche loro debbano essere considerati cittadini romani a tutti gli effetti. Ma infrangere la legge non è una soluzione, anzi...! In questo modo rischiano solo di subire altre restrizioni. Il Senato potrebbe decidere di stabilire una guarnigione permanente nel villaggio, per tenerli sotto controllo.

-Sarebbe una pessima e controproducente decisione- rispose Publio senza esitazione- Capisco il tuo punto di vista. Prima o poi, però, qualcuno dovrà cedere, e dubito che i coloni siano disposti a farlo ancora una volta. Hanno già rinunciato a troppo.

Purtroppo, pensò Publio, era altrettanto difficile che a cedere fosse il Senato. Difficilmente Roma scendeva a patti con qualcuno che percepiva come un nemico o un traditore. A maggior ragione, non avrebbe mai fatto delle concessioni se queste venivano estorte tramite la minaccia di una rivolta. L'orgoglio avrebbe piuttosto spinto la classe dirigente romana a soffocare nel sangue ogni pretesa.

Ad ogni modo, adesso avevano altro di cui occuparsi. Publio fermò l'autocinetum dietro un'altura rocciosa, girando intorno alla quale avrebbero dovuto ritrovarsi in vista del Vallo di Alasia, a poca distanza. La prudenza, tuttavia, consigliava ad entrambi di procedere con cautela. Il fatto che dal confine non rispondesse nessuno alle loro chiamate era estremamente preoccupante. Prima di avvicinarsi troppo, sia Publio che Olennio volevano avere la certezza di andare incontro ad amici.

Si arrampicarono così sulla collina e arrivarono dall'altra parte, fermandosi solo quando ebbero raggiunto un pianoro dal quale poter osservare la zona circostante. Da lassù potevano godere di un'ottima vista, interrotta bruscamente solo dalle fortificazioni del Vallo di Alasia, che si ergeva imponente di fronte a loro. Dietro le fortificazioni c'erano numerose strutture militari e l'intera zona lì intorno era illuminata a giorno. Edifici militari, veicoli, postazioni di artiglieria con le quali era possibile sparare fin oltre il muro; anche quest'ultimo era ben illuminato, tanto che ad occhio nudo era possibile riconoscere le postazioni dell'artiglieria antiaerea sulla sommità.

-Beh, a guardare da qui sembra tutto in ordine- disse Olennio, mentre con il binocolo scrutava l'immenso accampamento- A giudicare dall'assembramento di forze che c'è dalla nostra parte, si direbbe che i nostri abbiano rispreso il controllo del confine. Hanno persino le testuggini, hai visto?

Profondamente risollevato, Olennio si voltò verso Publio, che aveva anch'egli sfoderato il suo binocolo. Publio, però, stava scrutando la parte alta del Vallo, e la sua espressione era tutt'altro che allegra.

-Qualcosa non va, invece- disse- Guarda in alto. Le postazioni antiaeree sono vuote. In alcune mancano i cannoni.

Olennio si portò di nuovo il binocolo agli occhi e lo puntò in alto. Publio aveva ragione, in cima alle fortificazioni non c'era nessuno, quando, date le circostanze, proprio le postazioni antiaeree avrebbero dovuto essere in piena attività e con i fari accesi.

-Accidenti alle Parche! Che cosa può significare?

Publio non rispose e, mentre abbassava nuovamente il binocolo, puntandolo verso l'accampamento dietro il Vallo, pregò gli dei di non dare ragione ai suoi timori. Quello che vide, invece, gli fece saltare il cuore in gola. Nell'accampamento, sotto le tettoie protettive, erano parcheggiati ordinatamente veicoli militari e testuggini corazzate dello stesso tipo in dotazione alle legioni romane. Gli uomini che vi si aggiravano, tuttavia, erano tutto fuorché romani.

Publio deglutì, mentre abbassava lentamente il binocolo. Non c'era altro da vedere. La situazione era drammaticamente chiara.

-Ho idea- mormorò con voce tremante- Che dell'invasione non abbiamo ancora visto nulla!

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Bene! Chiudiamola qui, altrimenti diventa esageratamente lungo.
Alla prossima!

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