Il labirinto visto dal castello di darkronin (/viewuser.php?uid=122525)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** Il re e la sfera ***
Capitolo 3: *** Il labirinto ***
Capitolo 4: *** Il vicolo cieco della doppia porta ***
Capitolo 5: *** Il dimenticatoio ***
Capitolo 6: *** Trappola nel tunnel ***
Capitolo 7: *** Presa di coscienza ***
Capitolo 8: *** Anelli, circolarità e deja-vu ***
Capitolo 9: *** Un dono subdolo ***
Capitolo 10: *** Sir Didymus e la fogna ***
Capitolo 11: *** L'invito ***
Capitolo 12: *** Il ballo ***
Capitolo 13: *** Gli ultimi ostacoli ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Il risveglio ***
'Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H.
Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Specifico
che i dialoghi usati sono un adattamento tra la versione originale
inglese e la traduzione italiana (non del tutto corretta) in quanto
volevo mostrare le vicende narrate nel film dal punto di vista di un
altro dei protagonisti.
Aggiungo,
inoltre, che mi sono basata solo su quello che viene mostrato nel
film: ho ottenuto solo adesso (e siamo al capitolo 8-9) una copia
della versione anniversario che contiene alcune spiegazioni, da parte
dello staff, sulle vicende. Ciò non cambia, comunque, lo
sviluppo della vicenda, quindi ho ritenuto di non dover modificare
questi primi due capitoli (anche perché, in ogni caso, la
spiegazione che viene data a posteriori dagli autori non mi convince
a pieno).
Buona
lettura a tutti.
1.
Il risveglio
L'ora
tanto attesa era quasi giunta. Si sistemò meglio sulla scomoda
cuspide per non scivolare a terra.
Era
un caldo pomeriggio autunnale ma per lui era ancora troppo presto.
Si
domandò, per la milionesima volta, chi glielo facesse fare di
presentarsi, puntuale, a ogni appuntamento in quel piccolo parco in
stile vittoriano. Per cosa, poi? Lei non lo considerava minimamente.
Anzi,
reputava addirittura inquietante la sua presenza.
Certo,
il suo aspetto non era dei migliori, doveva dargliene atto. Ma essere
ignorato così sfacciatamente lo irritava non poco.
Ancora
una volta, la domanda si affacciò alla sua mente.
Perché?
La
cacciò come un insetto fastidioso.
Motivazioni
ne aveva a bizzeffe. Nessuna pienamente credibile.
Era
ancora assorto nei suoi pensieri quando un grosso cane grigio dal
pelo lungo andò a sistemarsi su una panchina di pietra vicino
a lui, quasi a volersi godere lo spettacolo. E se c'era il cane, non
doveva mancare poi molto...
E,
infatti, eccola arrivare correndo a perdifiato e superare velocemente
il piccolo ponticello sul rigagnolo d'acqua che i locali avevano il
coraggio di chiamare fiume.
Si
bloccò di colpo, notando i suoi occhi penetranti fissarla.
Deglutì vistosamente, quindi continuò con ciò
per cui era arrivata fin lì.
"Dammi
il bambino!" sentenziò seria e fiera avvolta nel suo
abito panna di foggia rinascimentale. Gli piaceva tremendamente quel
suo modo di fare, la sicurezza che le leggeva negli occhi smeraldini,
calata com'era nella parte. Se avesse fatto sul serio, se mai si
fossero incontrati davvero...beh, forse allora avrebbe provato anche
un filo di terrore. Perché se fosse arrivata a dirgli
quello...
"Con
rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per
questo castello oltre la città di Goblin..." continuò,
agitando le braccia quasi identificasse nel parco il regno citato
"...per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà
è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande" Un
tuono riempì il silenzio che seguì. Lei alzò gli
occhi al cielo, quasi a cercare aiuto. Quindi, chinò la testa,
sovrappensiero, ripetendo le ultime parole.
Lui
conosceva bene tutta la storia, ma grazie a lei l'aveva addirittura
imparata a memoria.
"Accidenti,
non mi ricordo mai quella frase." Sbuffò estraendo
dall'ampia manica a campana un libretto rosso sgualcito dalle molte
consultazioni. "Non hai alcun potere su di me" si arrese a
dover leggere quanto le sfuggiva. Una serie di tuoni sottolineò
come fosse giunta alla fine. Sembravano invitarla a tornare un'altra
volta, con la parte completa.
Lei
guardò il cane che le stava abbaiando qualcosa circa la
necessità di rincasare urgentemente.
"Merlino!"
sbuffò, quasi l'avesse interrotta sul più bello.
Furono
quindi le campane a interromperla fredde.
"Oh
no! Ma è incredibile...sono già le sette! Vieni!
Corri!" urlò allontanandosi alla svelta, le gonne
sollevate all'altezza dei fianchi a lasciare liberi da intralci le
gambe fasciate in aderenti jeans.
L'osservò
fino all'ultimo, ancorato alla cima del piccolo obelisco da cui aveva
osservato tutta la scena. Quando fu sparita dalla sua visuale decise
di allontanarsi anch'egli.
Un
frullo d'ali e si levò in cielo, il petto bianco rivolto alla
cittadina indaffarata, il dorso dorato alle nuvole che cominciavano a
gettare acqua a secchiate.
Il
barbagianni vide cane e ragazza correre per le strade a spron
battuto, zuppi come pulcini; sorrise dentro di sé e proseguì,
anticipandoli.
Si
accoccolò sul ramo di un grande acero, davanti a una casetta
in stile neocoloniale, più vicino all'abitazione. Da quella
posizione aveva una buona visuale dell'ingresso e della camera da
letto della ragazza. Si artigliò sicuro e si scrollò di
dosso l'acqua depositata sul dorso.
Dall'interno
provenivano i suoni di una conversazione sostenuta con toni vivaci
tra due adulti. Sorrise mesto tra sé. Ogni volta la stessa
storia. Gli dispiaceva per quella ragazza che tanto amava le storie
fantastiche. Erano in poche le persone che, in quest'epoca,
apprezzavano le storie antiche. Ancora meno erano quelli che le
ritenevano vere. Per non parlare dei giovani: quelli erano gli ultimi
che si sarebbero mai avvicinati a un mondo simile. Certo, da bambini
quasi tutti credevano nell'esistenza di fate e folletti ma venivano
subito indotti a pensare in modo diverso. Era un tale peccato. Era
sicuramente per quello che compativa quella ragazza. Era giovane,
amava le cose antiche con passione ingenua, non quella dei docenti
universitari che vi vedevano comunque un mondo arido e sterile, lo
specchio meno evoluto del mondo in cui vivevano. Tutte le
testimonianze della loro esistenza venivano interpretate come voli di
fantasia, metafore. Mai nessuno che si prendesse la briga di pensare
lateralmente.
Oh,
certo, un sacco di persone cercavano Atlantide, le strade i mondi
sotterranei delle teorie della terra cava o credevano all'esistenza
di entità extra terrestri. Ma la magia, quella no, non era
contemplata. A meno che non si parlasse di religione o superstizione
da quattro soldi. Allora ogni miracolo, pur dovuto al caso o al
naturale corso degli eventi, era considerato sacrosanto.
Ma
la magia vera, no. Non ci credevano sul serio nemmeno gli adepti
delle sette più esoteriche: era puro e semplice rituale. Nulla
di più.
Si
domandava sempre cosa sarebbe successo se quella ragazza, Sarah,
avesse deciso, un giorno, di pronunciarne una, di formula magica.
Ma
ecco che anche la ragazza rincasava, bagnata fino al midollo sotto
quella pioggia torrenziale. Ed ecco che cominciavano gli screzi con
la matrigna. La povera donna non aveva nemmeno tutti i torti, ma
Sarah era giovane e non capiva bene i meccanismi che regolano la vita
degli adulti. Ciò non la giustificava, ovviamente, a
dimenticare impegni presi o a essere maleducata. Ma tant'è,
lui si sentiva più vicino a lei che non ai due adulti che,
seppur con tutte le premure possibili, non erano in grado di capire
il suo malessere. Ecco perché gli adulti avevano dimenticato
la magia: crescendo l'essere umano perdeva quell'empatia che aveva
appena nato. A quell'età, scimmia cavallo o uomo non fa alcuna
differenza, sono tutti altrettanto importanti e ugualmente inutili.
Sono giochi e proiezioni dell'Io infantile. Ma proprio quella
proiezione permette loro di avere un livello empatico molto forte,
capire i diversi linguaggi animali senza sforzo. Cosa simile avviene
ancora, molto più debolmente, nel rapporto madre"neonato,
dove la donna riesce a distinguere i diversi mugolii e quindi le
diverse richieste.
Vide
le urla isteriche della ragazza, il seguente sbattere di porte e
l'irritazione che fulminava dai suoi occhi. I due adulti se ne
stavano andando, lasciando a lei il compito di badare al
fratellastro.
A
lei non piaceva nulla di quella situazione. Voleva una famiglia
normale, come tutte le sue amiche. Invece, sua madre era scappata di
casa con un collega di teatro, lasciandola sola col padre, che non
aveva perso tempo e si era trovato una nuova compagna che gli aveva
dato subito un figlio.
Era
comprensibile che la ragazza desiderasse avere un po' d'attenzioni
dopo un simile tradimento. Ma l'uomo aveva egli stesso le sue ferite
da curare e nel farlo era stato cieco ai bisogni della figlia che si
era, quindi, chiusa a riccio contro il mondo esterno, rifiutandolo
con violenza.
E
più del tradimento degli adulti, forse bruciava lo scherno dei
suoi coetanei per una famiglia tanto bislacca.
Poco
dopo l'ingresso in camera, mentre Sarah cercava di calmarsi,
immaginando un mondo alternativo in cui fosse ben voluta, il padre
andò a parlarle dalla porta, senza fare lo sforzo di
affrontarla realmente. Era un uomo vile: non aveva battuto ciglio
quando la moglie era scappata, si faceva comandare a bacchetta dalla
nuova compagna a cui lasciava l'onere genitoriale ed evitava in tutti
i modi di riprendere la figlia e non perché temesse di ferirla
ma perché non voleva scocciature. Sarah avrebbe desiderato che
il padre si prendesse tale disturbo. Infondo, anche ricevere una
sgridata era segno di attenzione. Che anche in quell'occasione le fu
negata.
La
vide lanciarsi nel letto alla ricerca della quiete. Ma qualcosa la
turbò. Un'ennesima mancanza di tatto. Avevano dato uno dei
suoi pupazzi, che lei non usava ma teneva in bella mostra in bacheca,
al fratellastro. Il barbagianni sospirò. Effettivamente
potevano chiederglielo. Forse avrebbe acconsentito, forse no. Ma
prenderglielo dando per scontato che "ormai è una donna e
non le servono più cose come questa" era stata una mossa
davvero offensiva. Quello era il suo piccolo regno, la sua zona
franca. La vide correre fuori e la sentì spalancare le porte.
"E
tu sta zitto!" le sentì dire con tono aspro.
L'uccello
si alzò in volo, sotto la pioggia battente, e decise di andare
sull'altro lato della casa per osservare i suoi movimenti.
Si
appollaiò sul corrimano del piccolo balconcino in marmo giusto
quando lei entrò nella camera dei genitori marciando verso la
culla dove il bambino urlava con tutto il fiato che aveva in gola.
Era stato il temporale o erano stati gli occhi inquietanti del
barbagianni, una creatura che sembrava venire da un altro mondo?
"Ti
odio!" la sentì urlare. Che brutta parola. Se l'avesse
rivolta a lui forse ne sarebbe morto.
La
ragazza si chinò a raccogliere il pupazzo che giaceva a terra
accanto alla culla.
"Qualcuno
mi salvi, qualcuno mi porti via da questa casa orrenda!" pregò
guardando il pupazzo.
Il
barbagianni inclinò la testa di lato. Se glielo avesse
chiesto, l'avrebbe fatto volentieri lui. Ma non poteva intervenire a
proprio piacimento. Non che ci fosse un qualche regolamento da
rispettare. Semplicemente, la controparte doveva desiderare realmente
il suo intervento (suo e non di qualcun altro) e sbilanciarsi nel
richiamarlo. Quindi si trattava solo di meccanismi da sbloccare e lui
sarebbe piombato lì all'istante, spinto da una forza
invisibile che l'avrebbe condotto a lei.
"Che
cosa vuoi, una favola,eh?" chiese con rabbia sarcastica. "Ok"
disse andandosi a sedere sul letto matrimoniale. "Allora, c'era
una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava
sempre a casa col bambino. E il bambino era tanto viziato e la
ragazza era praticamente una schiava. Ma quello che nessuno sapeva
era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva
dato certi poteri. Così, una notte, quando il bambino fu
oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin.
"Di le tue parole magiche" le dissero i Goblin"
A
quelle parole il barbagianni sgranò gli occhioni neri. Aveva
sentito bene?
Di
certo, comunque, i suoi sudditi si erano risvegliati a quelle parole.
Secoli di inattività avevano confinato tutto il regno in uno
stato di letargia. In pochi si svegliavano. L'esercito poteva
riposare fino al momento della chiamata ma figure come il re, il
giardiniere e il guardiano dovevano essere sempre vigili per
adempiere ai loro doveri. E di certo erano già nelle
vicinanze, pronti a eseguire gli ordini della ragazza. Secoli di
inattività li avevano resi, con ogni probabilità,
euforici.
Già...secoli.
Nel medioevo era pratica comune invocare i Goblin per far sparire i
bambini, specie i bastardini aristocratici che avrebbero compromesso
la facciata scintillante. Ma anche allora, nessuno credeva realmente
nei Goblin. Li invocavano perché facessero per loro il lavoro
sporco, cosa che quegli esseri erano ben felici di fare. Ma nessuno,
nemmeno a quei tempi superstiziosi, coi gargoille sulle facciate
delle cattedrali a cacciare il maligno, credeva davvero a queste
cose. Gli stregoni, certo. Ma quelli erano morti, per lo più,
bruciati nei roghi dell'Inquisizione insieme a innumerevoli innocenti
privi della ben che minima capacità magica o la minima
intenzione di invocare chicchessia. E con l'andare del tempo, sempre
più ci si rifiutava anche solo di pronunciare certi nomi
sciocchi dettati dalla fantasia dei bambini. C'era chi magari credeva
nell'esistenza di un mondo incredibile. Ma mai nessuno, nemmeno da
solo nell'oscurità con se stesso, aveva avuto il coraggio, o
l'avventatezza, di quella giovane donna.
"E
porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera" continuò
imperterrita. "Però lei sapeva che il re dei Goblin
avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli
trasformandolo in un Goblin. E così lei soffriva in silenzio.
Finché una notte che era stanca da una giornata di faccende,
che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non
ne poteva più...." minacciò accucciandosi accanto
alla culla per arrivare all'altezza degli occhi del bambino. Il
nervosismo tra le fila dei Goblin gli arrivava netto e violento.
Erano più che pronti all'intervento.
E
un po', doveva ammetterlo, lo era anche lui. Un bambino nel castello.
L'idea lo solleticava parecchio.
"Va
bene...piantala...andiamo smettila" sbuffò la ragazza con
un velo di senso di colpa nella voce. Prese Toby tra le braccia
cercando di calmarlo, senza riuscirci. Si vergognava di aver cercato
di spaventare quel bambino di uno-due anni a quel modo ed era più
che conscia di star giocando col fuoco. O no?
"O
dico le parole." minacciò, infatti, forse più per
se stessa, per darsi un tono, per cercare di vedere una via d'uscita
da una quotidianità grigia e monotona "Ah, non sia
mai...non devo dirle!" si rimproverò. Si era sentito
rompere qualcosa all'interno del petto. Delusione cocente, tristezza,
amarezza e un senso di profonda stupidità per se stesso, per
aver sperato invano, lo travolsero mescolandosi tra loro.
Ma
poco dopo, in quel breve tempo in cui lei aveva cercato ancora di
calmare il bambino che piangeva isterico, la tentazione, dettata da
un forte desiderio inconscio prevalse sulla razionalità "
Io desidero....Non ne posso più!" Urlò mentre il
bambino continuava imperterrito a strillare nonostante tutto,
squassando coi tuoni l'animo della giovane e del barbagianni "Re
dei Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via
questo bambino lontanissimo da me!" gridò sollevando il
marmocchio sopra la sua testa
Il
barbagianni, pronto a prendere il volo e lanciare l'ordine ai suoi,
si bloccò di colpo, deluso e frastornato "Ma dove l'ha
imparata sta porcheria? Nemmeno comincia con re dei Goblin!"
protestò indispettito tra sé, sicuro che i suoi
pensassero lo stesso.
"No
Toby, no..." Sarah cullò ancora un attimo il bambino,
nuovamente divorata dai sensi di colpa "Smettila!" lo
supplicò. "Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché
i Goblin ti portino via..." gli confessò esasperata.
"Non
è mica tanto difficile..." si accigliò il
barbagianni "Desidero che i Goblin ti portino via all'istante"
Come
colpita da un'illuminazione o come se avesse sentito il suggerimento,
si irrigidì e spalancò gli occhi. "Comando...e
voglio..."
Dall'altra
parte della finestra, lui fremeva d'impazienza. Troppo tempo era
passato dall'ultima volta. Un pensiero assurdo gli attraversò
la mente. In men che non si dica aveva un piano pronto elaborato nei
minimi dettagli. Si sentiva brillare gli occhi e tremare tutto per
l'emozione.
Doveva
solo aspettare.
E
sperare
Perché,
ne era certo, lei era al limite e avrebbe espresso il desiderio
sopito nel suo cuore, censurato dalla razionalità dei rapporti
sociali.
Doveva
essere così. Ormai non poteva più permettersi il lusso
di sperarci e accontentarsi di quel languore. Tutto era stato troppo
violento e repentino. Doveva andare così. Non aveva avuto il
tempo, l'occasione per prepararsi a un evento del genere. Non gli era
mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello una simile
opportunità.
Eppure
c'erano quasi.
Ma
quando la vide sospirare e riporre il bambino a letto, coprirlo con
cura e allontanarsi, si sentì sprofondare. Che stupido era
stato a illudersi. Chi mai avrebbe avuto il coraggio o almeno non
avrebbe provato imbarazzo a dire una cosa simile. Chinò la
testa come sconfitto, pronto a spiccare il volo per tornare al riparo
della chioma dell'albero davanti alla stanza della camera della
ragazza. Guardò oltre il vetro con amarezza e si involò.
Fu
allora che gli arrivarono chiare e forti, nonostante il temporale che
infuriava tutt'intorno, le parole del legame.
“Desidero
proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Salve
a tutti, Volevo spendere due parole per presentarmi. Sono nuova su
EFP ma non sono nuova alle fanfic: le seguo da anni e -circa 10 anni
fa- le scrivevo anche (sul vecchio Manga.it). Per diversi motivi ho
smesso e ora sono un pò arrugginita... Quindi perdonate se
commetto errori nella pubblicazione o mi mancano avatar e
presentazione (!)
Ci
tengo a precisare che, diversamente dalla tradizione delle fic (le
nostrane prendono pari pari da quelle d'oltreoceano che di queste
cose sanno meno di zero), mi sono attenuta a un'analisi quanto più
fedele a quanto vedevo. Inoltre mi sono avvalsa delle conoscenze
folkloristiche primarie e non a quelle mediate da Shakespeare,
Tolkien o (peggio) la maestra Rowling: tutti loro hanno attinto
dall'archetipo originale e così il film. Rifarsi solo al loro
universo sarebbe, per me, un grave impoverimento. Ciò ha
portato due ovvie conseguenze che non mi disturbano (anzi, non ci
faccio nemmeno caso e apprezzo l'insieme dell'opera) se leggo fic
altrui ma che ritengo bestemmie se scrivo io (da filologa non posso
proprio tollerare di fare una cosa così troppo libera e
pretenziosa di essere simile al vero).
1-
L'ambientazione e il retaggio culturale medievale: i costumi aderenti
e variopinti, spesso rigati-le porte, Didymus, i goblin a cavallo-,
le scenografie -il villaggio arroccato ai piedi di un castello-, i
riti -la giostra finale tra Didymus e i Goblin-, le fiabe a cui si fa
riferimento -di origine medievale ma trascritte dai Grimm e da
Perault solo nel XVIII secolo-.
Medievale,
non celtico: per quanto sia folkloristico pensarlo, i celti hanno
nulla o poco a che vedere con l'universo a cui fa riferimento il film
(In soldoni, i celti vissero al tempo dei romani e vivevano in
capanne...Asterix e Obelix per intendersi)
2-
Jareth è un mago. Non un elfo o un più generico Fae.
Lui fa le magie e può avverare i desideri (trasformare un
rospo/Hoggle in principe), si serve della sfera di cristallo (entrata
però nell'immaginario delle chiromanti...ma l'origine è
sempre la stessa), cambia aspetto o fa accadere cose senza il minimo
sforzo (se non il minimo per rendere la vicenda meno piatta dal punto
di vista visivo, come lanciare le sfere in giro). Ma soprattutto è
dotato di sembiante o familiare (sono due cose diverse, pur
mantenendo la medesima forma animale: il primo è l'aspetto che
il mago può assumere, il secondo è l'aiutante). Tale
sembiante o familiare appartiene alla famiglia dei rapaci notturni
(barbagianni, civette, gufi, etc) che identificano, da sempre, i
maghi e gli stregoni.
Infine,
il mago può essere interpretato come un uomo a cui è
stata dato il potere magico (tramite rito o per concessione da parte
di qualche animale) oppure come una creatura magica, intermediaria
tra l'uomo e il Piccolo Popolo (un po' come sono gli angeli con Dio).
Ed è quello che lui è per Sarah: è la sua guida
nel mondo dell'Underground.
Vi
chiedo quindi scusa in anticipo per la pedanteria con cui mi
soffermerò sulle diverse occorrenze.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Il re e la sfera ***
2.
Il re e la sfera
“Desidero
proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”
Erano
le parole giuste. L'ordine era stato emesso.
Goblin,
non gnomi come spesso veniva detto e che venivano, quindi, accusati
ingiustamente. Erano i Goblin a rapire i bambini. Ma questo lei lo
sapeva, non era mica così ignorante.
Confuso,
lasciò che una folata di vento lo stordisse. Si trovò
in seria difficoltà nel mantenere l'assetto. Aveva la testa
leggera, i suoi occhi improvvisamente sembravano non vedere più
nulla. Non fece in tempo a rendersene conto che già stava
tornando al terrazzino che aveva appena lasciato.
I
suoi avevano già agito, lo sentiva. Erano stati dei fulmini:
Sarah aveva appena finito di parlare, aveva spento la luce e si era
allontanata di pochi passi. Il bambino non c'era già più.
Lei era entrata nuovamente in camera, aveva cercato di accendere la
luce (ma un fulmine aveva fatto saltare il contatore) e si era
appropinquata al lettino. Tramite i pensieri dei suoi Goblin la
vedeva tendere il braccio, esitante, scostare le coperte e restare
impietrita davanti al nulla. Il terrore l'aveva attanagliata. E la
cosa divertiva non poco i piccoli mostriciattoli al suo servizio che
giocavano a nascondino con le sue paure, deridendola.
Fu
in quella circostanza che si ritrovò a sbattere contro il
vetro delle finestre chiuse, cercando di stabilizzarsi. Ma il vento
infuriava violento e non gli concedeva un attimo di tregua. Una, due,
tre volte si ritrovò a picchiare contro la portafinestra, le
ali che sbattevano in preda a una sorta di panico istintivo,
scivolando sul vetro bagnato nel tentativo di far presa come fossero
state dita umane.
Finalmente,
all'ennesima ondata, il fermo cedette e lui ruzzolò dentro con
poca grazia. Riuscì a effettuare una virata improvvisa e a
planare a terra.
L'intera
sequenza aveva allarmato ancora di più la ragazza che già
si domandava se stesse vivendo un incubo o le sue preghiere fossero
state esaudite. Al suo ingresso precipitoso, si era protetta
istintivamente il volto con le braccia, i lunghi capelli che
frustavano alle sue spalle come lunghi stendardi neri.
Passato
il momento di depressurizzazione, il vento, all'interno della stanza
ordinata e composta, si attenuò visivamente, lasciando solo
uno strascico di bava leggera. E lui ne approfittò per
mettersi in piedi e assumere le sue sembianze umane: ormai era notte
e nel bene come nel male era vincolato alle caratteristiche del suo
alter ego animale. Il buio favoriva le creature notturne come i
barbagianni, gufi e civette, i sembianti dei maghi, che non tollerano
la luce diretta del sole, a differenza dell'aquila che lo fissa senza
abbassare lo sguardo.
La
ragazza riuscì finalmente ad alzare gli occhi sulla finestra,
pronta ad andarla a chiudere, quando si accorse della sagoma che
svettava sul balconcino e che avanzava a passi misurati.
Terrore,
sorpresa, sospetto, ammirazione le si alternarono, confondendosi,
negli occhi.
“Sei
tu, vero? Tu sei il Re dei Goblin.” disse senza esitazioni,
riconoscendolo.
Il
suo aspetto forse le appariva bizzarro, con un taglio di capelli
improbabile di un colore così chiaro da sembrare platino,
abiti neri come la notte, apparentemente assurdi che ricordavano
un'armatura in cuoio. Alle sue spalle un lungo mantello leggero dal
bavero rigido e aguzzo, si lasciava gonfiare dall'aria fredda che
entrava dall'esterno e giocava tra le lunghe gambe affusolate di
quell'uomo dall'età indefinibile.
Ma
chi altri poteva presentarlesi in casa, a quelle ore, in quel modo e
con quella spavalderia?
Sorrise
compiaciuto dell'acutezza di lei e del fatto che credesse realmente.
E credendo, si guardava bene dal pronunciarne il nome.
Piantò
le braccia guantate sui fianchi, in posa altera, degna del suo status
di re: non voleva certo deludere le aspettative. Gli stava quasi
scappando da ridere: riuscivano a interagire. Era tutto tremendamente
senza senso e lui ne era così felice...
“Rivoglio
mio fratello, ti prego, se fa lo stesso...” cominciò lei
piagnucolante. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto sentirle dire. Si
accigliò a quella richiesta che mandava all'aria tutti i suoi
piani “Ciò che è detto è detto” la
interruppe con profonda voce secca e flautata, incrociando le braccia
al petto ma era divertito dalla situazione in cui si trovavano. Il
patto era stipulato.
A
ben pensarci, perché mai si trovava lì, in quel
momento? Lui era il re. Perché diamine doveva scomodarsi lui?
E poi i bambini si rapivano e basta, scomparendo nel nulla, lasciando
gli umani alle conseguenze delle loro azioni. Non si dovevano offrire
spiegazioni. Eppure lui lo stava facendo. Forse, il fatto che lei
avesse invocato direttamente lui, prima di completare la formula
magica, l'aveva attirato lì. Forse, stava semplicemente dando
ascolto al proprio desiderio, a quel piano folle che solo cinque
minuti prima gli era passato attraverso gli occhi in tutta la sua
completezza.
“Non
credevo...non intendevo...”
“No?
Davvero?” chiese sarcasticamente, canzonandola perplesso.
Eppure era determinatissima e credeva in loro. Sapeva che
l'incoscienza della giovane età non la scusava. Ma qual era il
problema? Forse, messa davanti alla realtà, aveva capito
quanto fosse stato grave il suo desiderio? Lo stava deludendo e una
smorfia di disapprovazione gli balenò sul bel viso
“Ti
prego...dov'è ora?”
“Lo
sai molto bene” scandì impietoso. Ma troppo vile per
guardarla in quegli occhi verdi lucidi e pronti al pianto. Così
rispose fingendo di doversi sistemare i guanti, in un gesto di
noncuranza per l'interlocutrice.
“Ti
prego...ridammelo” Lo supplicò. Non era paura, la sua. O
meglio. Non paura di lui: era seriamente spaventata solo per le sorti
del bambino.
Lui
le si avvicinò con passo felpato, piano, quasi danzando, come
un felino che si avvicina cauto alla preda ancora fin troppo vigile
“Sarah...” la chiamò dimostrando di conoscerla
bene quanto lei conosceva lui. Non si era stupita, infatti, nel
guardarlo dritto negli occhi. La prima cosa che facevano tutti gli
umani con cui avesse avuto a che fare, fosse domandargli la natura di
quella stranezza. I più intelligenti pensavano, comunque
erroneamente, che si trattasse di volgare eterocromia. Sarah aveva
fatto sfoggio inconsapevole della sua conoscenza. Sapeva che gli
occhi spaiati del mago erano occhi magici. Oh, certo. Lo aveva anche
identificato subito con il barbagianni che si trovava spesso attorno
a osservarla con attenzione. E questa consapevolezza la inquietava.
“Torna
in camera tua” la sfidò. Voleva metterla alla prova,
vedere quanto fosse forte la sua determinazione. Se avesse ceduto
subito alle lusinghe, le avrebbe cancellato la memoria all'istante. E
tenuto il bambino per sé. Doveva sapere, quando ella fosse
degna di lui e della sua ammirazione. “Torna a giocare coi tuoi
pupazzi e con i tuoi costumi...Dimentica il bambino” Metti a
tacere la tua coscienza.
Era
un modo contorto di avvicinarla a sé. Ma il Re dei Goblin non
conosceva altro modo di interagire con gli umani, se non
terrorizzandoli o tentandoli in modo subdolo. Quella era la loro
natura e per quanto si sforzasse di capire il pensiero umano, questo
rimaneva un mistero.
Lei
sembrò pensarci su. La proposta era allettante. Aveva
realmente eliminato una delle minacce alla sua serenità. Ma il
senso del dovere, quel dovere di cui rimproverava l'assenza negli
adulti, la spingeva a percorrere la strada più difficile.
“Io
ti ho portato un regalo...” la incoraggiò lui, facendo
comparire dal nulla, tra le sue dita, una piccola sfera trasparente.
Voleva proprio vedere se si beveva la storia dell'omaggio portato per
il disturbo, per far pace o, addirittura, per omaggiarla.
“Cos'è?”
chiese lei affascinata e diffidente.
“E'
un cristallo...” rispose lui, mettendo in evidenza ciò
che era scontato per chiunque. Ma eluse la domanda. Cos'era realmente
quella piccola sfera di cristallo? Lei lo sapeva e per questo era
indecisa. La sfera di per sé rappresentava la perfezione, il
suo mondo, tutto ciò che lei potesse desiderare. Ma lo era in
modo chiuso, circolare, un movimento eterno di inizio e fine. Sarebbe
stata al sicuro, protetta da tutto ciò che desiderava. Quanto
al cristallo, esso era la rivelazione. Il cristallo non mentiva. Era
uno specchio puro che rimandava solo ciò che si nascondesse
nell'animo del possessore. Se Sarah avesse voluto un mondo senza
fratellastro e senza matrigna, lo avrebbe avuto. Se, invece, ne
avesse voluto uno fantastico come quello evocato, avrebbe avuto
anch'esso. Tutto dipendeva da lei.
“Niente
di più...” concluse omettendo tutti i dettagli che lei,
sicuramente conosceva, in modo da confonderla e da enfatizzare solo
gli aspetti positivi di quell'oggetto. E per confonderla, pur
rivelandole ovvietà, lo agitò tra le mani con movimenti
rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere. “Ma
se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà
i tuoi sogni” Aveva scelto con cura le parole. Non intrappolare
ma mostrare, rivelare, rendere palese quasi lei non ne fosse
cosciente. Così non appariva come qualcosa di pericoloso. Se
mai restare imprigionato nei propri sogni potesse esserlo. E dentro i
suoi sogni, poteva infilarsi anche lui.
“Ma
questo non è un dono per una ragazza comune che si preoccupa
per un bambino frignante”. No davvero. E' il dono che
normalmente si fa alle regine e alle promesse spose. Un dono che
conferisce loro tutto quel potere. E lui, in quel momento, realizzò
cosa voleva davvero da tutta quella conversazione. Trascinarla a
Goblin City e costringerla a regnare con lui. Il regno ne aveva
bisogno. Lui ne aveva bisogno. E l'avrebbe avuta, in un modo o
nell'altro. Quindi, che accettasse o meno il cristallo, l'importante
era che non si chiudesse a riccio e scacciasse via tutto dalla sua
mente come un'allucinazione. Ma l'assenza del fratello era una prova
tangibile e reale a cui non poteva voltare le spalle. In ogni caso.
“Lo
vuoi?” tornò a offrirglielo in modo seducente e
impositivo, sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata
una pessima scelta. La fissò serio, dritto negli occhi con i
suoi spaiati: uno dalla pupilla perennemente contratta e l'altro
dalla pupilla perennemente dilatata.
Gli
occhi erano il più grande strumento di potere per un mago che
con essi confondeva o donava la facoltà di comprendere a chi
gli stava di fronte. Con quegli occhi lui aveva potere su tutto;
vedeva l'invisibile e ciò che l'altro nascondeva anche a se
stesso. Chiaroveggenza, conoscenza, rivelazione e falsificazione.
Tutto questo era il suo potere. Un potere più grande di quanto
si possa pensare.
“Quindi
dimentica il bambino!” La incalzò. Era un buon baratto:
i suoi sogni per suo fratello. Se non l'avesse assecondato, avrebbe
dovuto prepararsi a perderli del tutto. Ma sarebbe riuscito, lui, a
toglierle quell'unica fonte di gioia? “Oh
sì” si rispose sadico. “E non perché non mi
importi di lei. Ma perché sarò io a prenderne il posto”
Lei
esitò ancora, indecisa sul da farsi. Ma, ancora una volta,
alla fine, rifiutò “Non posso” rispose senza mai
abbassare lo sguardo. Aveva davvero coraggio a non tremare dinnanzi a
lui e a sfidarlo a quel modo anche solo per incoscienza. E questo gli
piaceva. Era una bella sfida. Ma l'avrebbe piegata a sé
“Apprezzo davvero quello che vuoi fare per me...” E così
l'aveva smascherato, aveva capito il suo inganno. Era più
furba di quello che pensasse. Certo che “apprezzare”...
Era forse convinta che lui lo facesse per il suo bene? Era un
commento, comunque, troppo blando. Non gli bastava. Apprezzare.
Sembrava che le stesse facendo una scortesia dopo che le offriva
quanto aveva desiderato disperatamente e lei cercava di declinare
l'offerta restando sul vago e sul formale.
La
cosa lo irritava.
O
gli si gettava ai piedi o lo sfidava apertamente. Cosa voleva dire
quell'atteggiamento superiore e compassionevole per la serie “ti
faccio un favore a non mandarti a quel paese, sono magnanima”?
“Ma
io voglio indietro mio fratello...sarà così
spaventato...” continuò a giustificarsi. Era il tipico
modo di rispondere di chi non vuole essere troppo brusco e dire le
cose come stanno. Forse era stata la convivenza forzata con adulti
che tanto disprezzava ad averla resa così ossequiosa nei
confronti degli altri. Anche se a casa si permetteva il lusso di
alzare la voce e sbattere le porte, fondamentalmente non voleva
arrecare disturbo agli altri, né essere disturbata lei stessa.
Voleva la quiete. E tutto, in quella vicenda, la stava
destabilizzando.
Giustificazioni
inutili e fasulle.
“Sarah!”
disse lui profondamente seccato di essere preso per il naso e
trattato come un idiota. Lui sapeva TUTTO quello che le passava per
la testa. Ed essere gentile nei suoi confronti non era quello che lei
voleva davvero.
Levò
il braccio con la sfera e questa si tramutò in un serpente.
Lei
spostò lo sguardo sui due esseri, uno nel pugno dell'altro,
non capendo perché avesse deciso di materializzare proprio
quel rettile.
L'incompiuto
e il compimento, la rigenerazione e la perversione, il maschile e il
femminile, il giorno e la notte, la pioggia e l'aridità, il
desiderio e la fecondità, il medico e l'indovino, la
conoscenza e la tentazione
Lui
se l'avvicinò al viso e se lo srotolò tra le mani, con
gesti sicuri e decisi ma delicati.
“Non
sfidarmi...” l'avvertì tagliente.
Quindi
glielo lanciò addosso, in un moto di rabbia per il rifiuto che
continuava a opporgli. Ormai lei doveva essere sua. Non poteva
fingere che nulla fosse successo, che nessun desiderio si fosse
risvegliato, prepotente e animalesco. Anche se si controllava, non
poteva tornare indietro.
Precisamente
le lanciò il serpente al collo, in modo da recidere il legame
tra la razionalità e l'impulsività della ragazza, per
far esplodere, finalmente, il conflitto che si dibatteva in lei. Il
collo, luogo di tentazioni.
Effettivamente
danneggiarlo sarebbe stato un grave errore.
Oppure
avrebbe potuto curarla lui, infiorettando la procedura e trasformando
un semplice battito di ciglia, l'espressione di un desiderio, quello
della sua integrità, in qualcosa di perverso e lascivo. Si
immaginò chino su di lei come il vampiro più assetato.
Quindi, riscuotendosi all'istante, corresse subito il tiro
trasformando l'essere strisciante in un delicato foulard che la
ragazza si affrettò a gettare a terra e che fu subito raccolto
da uno dei piccoli Goblin che fino a quel momento si erano nascosti
al suo sguardo. Che pensasse pure che avesse solo voluto spaventarla.
Lui la voleva integra in tutte le sue convinzioni, con tutte le sue
contraddizioni. E sapeva, conoscendola, che piuttosto che piegarsi a
lui sarebbe morta. Quindi, avrebbe cambiato strategia. Se
terrorizzarla non funzionava, assecondarla nemmeno, allora l'avrebbe
plagiata. Lentamente, a fuoco basso, avrebbe lavorato sui fianchi
fino a farla cedere.
“Tu
non puoi tenermi testa!” disse sprezzante, sicuro di sé.
Aveva già la vittoria in pugno. Già la vedeva al suo
fianco. Le sbatté in faccia quell'ovvia constatazione della
realtà. Lui aveva poteri magici che lei nemmeno immaginava.
Era un topolino braccato, chiuso nell'angolo di una stanza senza
uscite con un gatto a digiuno da troppo tempo. Qualunque sua mossa,
sarebbe stata possibile solo grazie alla sua magnanimità, al
suo desiderio di gioco e al suo volerla felice.
“Ma
io devo avere in dietro il mio fratellino” protestò lei,
scossa da tremori appena percettibili. Eh sì, la sua forza di
volontà era davvero grande.
Teatralmente,
il Re dei Goblin finse di cedere alle sue insistenti richieste. Le si
fece accanto e indicò oltre la finestra. “E' là,
nel mio castello”
Lei
avanzò veloce nella pioggia. I confini di ciò che
credeva di conoscere si erano lentamente trasformati in
qualcos'altro. Un battito di ciglia. Poi un altro. E ciò che
conosceva aveva definitivamente cambiato aspetto.
-
- - - - - - - - - - -
Rieccomi
qui col nuovo capitolo.
Volevo
ringraziare pubblicamente x-LucyLilSlytherin, Jessica80 e Daydreamer
per i commenti positivi che mi hanno letteralmente elettrizzata e
dato la spinta a non fermarmi subito (come mia tentazione). Ringrazio
inoltre i miei compagni di corso che hanno letto. E saluto Axia.
Sempre e comunque.
Vi
chiedo scusa in anticipo: posto ora perché il fine settimana
sarò -forse- troppo impegnata per farlo (feste a parte, sono
sommersa da consegne all'università ed è probabile che
mi metta sotto già domani).
Spero
che questo secondo capitolo sia all'altezza delle aspettative. Ho
cercato di dare un senso a tutte le piccole smorfie di Jareth e al
suo essere così altalenante tra una parola e l'altra. Con
calma vedrò di arrivarci.
Infine
una nota, per me fondamentale e forse un po' polemica, che avrei
voluto mettere in cima al racconto.
Goblin
e Gnomi. Sono due cose diverse. Il doppiaggio italiano ha fatto un
po' di confusione. Ci tenevo a specificarlo. Gli gnomi son quegli
esserini con il cappello rosso che stanno sotto i funghi, tanto per
intendersi. Poi sono stati stravolti e rivisti in mille versioni
diverse come tutte le altre creature magiche. C'era un folletto per
ogni cosa: quello che intrecciava le criniere ai cavalli, quelli che
rapivano le donne etc... Ma il folklore vuole che siano i Goblin a
rapire i bambini. Loro e nessun altro.
Quando
si tratta di queste cose divento un po' pesante, quindi ditemelo se
le varie descrizioni magico-simboliche risultano eccessive. Io non me
ne rendo sempre conto e tendo a esagerare per essere sicura che
arrivi il messaggio.
Questo
è quanto. Alla prossima! E grazie a tutti per avermi dato di
nuovo questo piacere!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Il labirinto ***
3.
Il labirinto
Nell'Underground
non pioveva. Il paesaggio era brullo e desolato, costellato, qua e
là, di piccoli obelischi bianchi infossati in mezzo a cespugli
secchi e spinosi. La luce calda e aranciata dell'alba strisciava tra
i rami secchi disegnando sul terreno sabbioso rigagnoli neri.
In
lontananza si estendeva un borgo medievale di cui si intravedevano
gli edifici affastellati tra loro a ridosso del castello.
“Vuoi
ancora cercarlo, Sarah?” Chiese il bel re dei Goblin osservando
la sua dimora: com'era bello, maestoso e inquietante, visto da
lontano. Però appariva un po' troppo ordinato per i suoi
gusti. Era meno tetro di come lo ricordava. Forse, pensò, era
la presenza della ragazza a dare al posto un aspetto meno lugubre. O
forse era il suo umore. Sempre, comunque, mediato dalla presenza di
quella creatura incantevole. Lì, su quella piccola altura, il
vento gli sferzava ciocche platino in faccia.
“E'
quello il castello oltre Goblin City?” chiese lei incantata,
quasi dimentica del perché si trovasse lì, concentrata
sul fatto che aveva la possibilità di vedere ciò che
aveva sempre sognato. Non la sfiorò minimamente l'idea che
fosse la prigione del fratello e, anche, la dimora dell'uomo che le
stava accanto in quel momento. Un uomo che amava atteggiarsi da
perfido malvagio ma che in realtà, serpente a parte, non le
aveva torto un capello (e non aveva la minima intenzione di farlo in
seguito, si appuntò mentalmente). Né a lei né al
bambino. Se si fosse fatta male affrontando il percorso..beh...era la
vita: non poteva proteggerla sempre. E se non fosse sopravvissuta al
viaggio sarebbe stata la conferma che non era quella giusta per lui.
Fece mentalmente spallucce, conscio del proprio cinismo ma,
d'altronde, era un Mago. E il re dei Goblin. A frequentarli era
diventato cinico e dispotico. Con punte di crudeltà gratuita.
Quello
era un fatto che non poteva essere cambiato.
“Torna
indietro, Sarah. Torna indietro prima che sia troppo tardi”
L'avvertì lui. Una verità e una menzogna assieme. Si
compiaceva di quanto fosse abile nel confondere le acque. Troppo
tardi per cosa, in fondo? Per essere costretta a sfidarlo seriamente?
Per perdere i suoi sogni e crescere? Per dimenticare la vita umana?
Perché tutto quello che le stava innanzi diventasse una
presenza fondamentale nella sua vita? Lui, in realtà, non
aspettava altro.
“Non
posso. Ma non lo capisci che non posso?” Sbottò l'altra
esasperata. La sentì domandarsi perché gli fosse così
difficile capire che aveva delle responsabilità prima di tutto
e che nemmeno il più idiota tra i bambini si sarebbe
comportato nel modo che lui suggeriva.
“Che
peccato” soffiò lui addolorato e falso.
“Non
sembra tanto lontano” Sarah soppesava la strada che la separava
dalla meta. Un chilometro. Due al massimo. Anche sbagliando tutti gli
incroci non ci avrebbe messo poi molto.
Lui
le arrivò alle spalle, senza darle alcun preavviso, e sibilò
in modo intrigante poche parole, troppo vicino al suo collo. “E'
più lontano di quanto credi.” Lei sobbalzò per la
sorpresa, improvvisamente in preda a un inspiegato imbarazzo. Lui
sorrise sornione. Sapeva bene l'effetto che scatenava in lei la sua
presenza. Era ancora così ingenua. Le si leggeva tutto in
faccia. E lei ne era più che consapevole ma cercava di far
finta di nulla. Coraggioso da parte sua. E sempre più
affascinante. “E hai poco tempo...” Aggiunse
allontanandosi da lei a malincuore.
Voleva
il marmocchio? C'erano delle procedure da rispettare, come in ogni
cosa. E lui non aveva alcun potere al riguardo. Non poteva concederle
più tempo. Ma, eventualmente, pensò elaborando un nuovo
piano, poteva sottrargliene. Levò il braccio e indicò
un punto nel vuoto in cui comparve un orologio. Il quadrante segnava
una suddivisione in tredici settori. Tredici. Il numero della rottura
dell'armonia. Qualunque cosa fosse avvenuta allo scadere del tempo
stabilito le cose sarebbero cambiate. L'armonia, se quella che lei
viveva nella sua misera vita umana poteva essere considerata tale,
sarebbe arrivata al capolinea. Se le fosse andata bene, sarebbe
tornata a casa in ottimi rapporti con la palla al piede e la strega
che le girava per casa. Se le fosse andata male, e sicuramente le
sarebbe andata male, avrebbe passato il resto dell'eternità al
suo fianco. Già pregustava quell'ora. Cos'erano poi 13 misere
ore di gioco contro la vita assieme? “Hai solo 13 ore per
superare il labirinto prima che il frignante marmocchio diventi uno
di noi.” Le disse esponendo le semplici regole. Arrivare a
destinazione entro quel tempo. Entro, non oltre, ghignò tra
sé. “Per sempre.” Aggiunse svanendo alla sua
vista. Era una promessa che avrebbe mantenuto. Ma, stranamente, si
rese conto che la brillante mente della ragazza aveva sottovalutato
un dettaglio. E ciò rendeva ancora più divertente il
tutto. Stanziare tanto a lungo nel loro territorio avrebbe impedito a
Toby di tornare nel mondo umano. Tutto lì. Stranamente, quei
pochi che, in passato, si erano pentiti della scelta fatta al punto
da giungere al gioco e che avevano poi tentato davvero il labirinto,
avevano sempre pensato che il marmocchio rapito si sarebbe mutato in
Goblin. Erano altresì convinti che lui stesso fosse un Goblin.
Cosa che lo mandava su tutte le furie: non era abbastanza evidente la
sua avvenenza magica contro la repellente mostruosità dei
Goblin? La sua astuzia e la sua intelligenza contro la loro
grossolanità - stupidità - caoticità -
obbrobriosità? E perché mai? Perché non veniva
detto a chiare lettere! Gli esseri umani, a volte, gli risultavano
più stupidi anche degli stessi Goblin.
Semplicemente,
scaduto il tempo si sarebbero chiusi...i portali. Detta così
forse avrebbero capito.
Ad
ogni modo, quel discorso non valeva solo per il bambino. La
condizione riguardava ogni umano varcasse le soglie di quel mondo.
Sarah compresa. “E' un tale peccato...” gli scappò
ridendo entusiasta. Bastava intrattenere i due fratelli per 13 ore.
Cosa poteva mai esserci di così difficile? E poi avrebbe avuto
una regina e un figlio adottivo. Due piccioni con una fava. Perché,
onestamente, dove potevano mai trovare ricovero due profughi come
loro?
Valeva
davvero la pena essersi risvegliati. Fosse stato anche solo per il
richiamo di Sarah, l'averle potuto parlare e il gioco. Ora era
appagato da tutto questo e pensava gli sarebbe potuto bastare anche
in caso di sconfitta. Ma solo perché era più che certo
di vincere.
Stravaccato
nel suo trono, a palazzo, tra orridi Goblin urlanti, sfilò una
nuova sfera e si mise a osservare, tramite essa, la sua amata preda.
Al
bel re sfuggì un mugugno soddisfatto nel constatare come il
buon nano, nella sua incoscienza, gli stesse facendo un favore:
urinare nella fontana. Non poteva fare di meglio che contaminare con
la sua stoltezza le acque della conoscenza e del risveglio. Anche se,
a ben guardarla, poteva ispirare qualunque cosa, tranne che il
desiderio di avvicinarsi ad essa: era in uno stato di totale
abbandono. Nell'acqua ormai torbida galleggiava una qualche strana
specie vegetale all'apparenza tanto oleosa da confondersi con essa.
Le pietre, che la contenevano, erano macchiate e scheggiate, bordate
di alte piante secche infestanti. La fontana sembrava comparire dal
nulla e le sue pietre sembravano scivolare piano nel terreno
circostante, coperte com'erano di sabbia che ne copriva i limiti.
Le
cose cominciavano con il piede giusto: se anche Sarah, in tutto il
suo sapere, vinta la repulsione per il luogo, avesse mai deciso di
abbeverarvisi... O forse doveva proprio sperare che lo facesse? Così
avrebbe assunto in sé la stupidità del nano al posto di
acquisire il potere di svelare gli inganni.
Sbuffò.
Se lo avesse desiderato non sarebbe stato in quel momento, giusto
all'inizio della sfida. Poteva aver sete prima di uno sforzo fisico e
mentale? In ogni caso, la ragazza avrebbe continuato nel suo
percorso. Era quello ciò che contava.
Ed
eccola: Sarah era già alle porte del Labirinto. Aveva notato,
schifata, ciò che faceva il nano e la cosa le portò un
moto di repulsione per lui e per la fontana. Forse era più
furba di quanto il re sospettasse.
Eppure,
ingenuamente, stava chiedendo aiuto al nano giardiniere. Forse lo
spostamento nell'Underground l'aveva rintronata. Chiedere aiuto a un
nano, che assurdità. Un nano preciso e puntiglioso che, per
altro, sapeva esattamente chi lei fosse e a cui venivano poste le
domande sbagliate. Quindi poco incline a collaborare.
L'arrivo
del bambino era stato bandito per ogni vicolo del regno e la presenza
di una nuova partecipante al gioco aveva reso tutti ancora più
entusiasti: erano così rari i valorosi che si offrissero
incautamente di percorrere le tortuosità del regno
incantato... più dei bambini ceduti ai Goblin. Nessuno poteva
ignorare che un'umana di nome Sarah era in arrivo.
Osservò
quasi annoiato il dialogo tra i due, all'ingresso, finché la
sciocca non andò a soccorrere le fate che il nano andava
ammazzando, giustamente: non solo quegli esseri fastidiosi erano
liberi di creare castelli immaginari per sgretolarli dopo poco ma
erano anche i nemici giurati dei nani. Quindi, il nano univa due
utilità: la salvaguardia delle mura e il soddisfacimento della
propria ossessione molesta nei confronti di quelle cose alate e
polverose.
Si
accigliò. Sarah pensava che le fate fossero esseri benigni.
Rimase deluso per qualche istante, sovrappensiero.
“Questo
già dice quanto ne capisci” commentò il
giardiniere, all'interno della piccola sfera. La cosa irritò
parecchio il bel mago che, all'istante, cambiò idea: quella di
Sarah non era una colpa poi tanto grande e, vista la sua vasta
conoscenza del mondo magico, qualche errore le sarebbe stato
concesso.
In
effetti, si trovavano, stranamente, poche informazioni riguardo alla
natura sciagurata delle stesse. Oltre che della loro parentela con le
parche. E, specialmente a causa di quell'inglese, Scuotilancia, si
era cancellata la storia e la natura millenaria di metà dei
popoli fatati, stravolgendola.
Aiuto
dal nano. Il mago proruppe in una fragorosa risata. Era la cosa più
comica che gli fosse mai capitata.
“Sembra
tutto uguale” stava dicendo Sarah, appena varcata la soglia del
labirinto, volgendosi intorno cercando di orizzontarsi.
“Beh,
mi sa che non andai molto lontano” disse Hoggle, il nano,
rubando le parole al re.
Ormai
era entrata e, presto, Sarah sarebbe rimasta sola, nel labirinto.
Quella a cui assisteva sarebbe stata, forse, l'ultima occasione per
carpire definitivamente il suo modo di ragionare, nel caso, la lunga
osservazione al di fuori dell'Underground non fosse bastato.
Frustando
l'aria intorno a sé, zittì i Goblin che giravano,
schiamazzando, nella vasca posta al di sotto del trono e si preparò
a un attenta osservazione.
“Tu
da che parte andresti?” chiese la giovane in cerca di
suggerimento. Anche ammesso che pensasse che il nano non avesse mai
percorso il labirinto, gli sembrò una domanda stupida. Se
sembrava tutto uguale, tanto valeva tirare a sorte. Perché
chiedere pareri? Poi capì che stava solo cercando di
accorciare le distanze con quell'essere. Ancora una volta, provò
un moto di rabbia verso di lui.
“Io?
Io non andrei da nessuna parte!” sbottò quello. Eh già.
Codardo com'era, figurarsi se avrebbe mai osato sfidare la sua
maestà. Affrontando il labirinto, poi: quello non era luogo
per un nano e l'interessato ne era ben consapevole.
“Se
è tutto l'aiuto che mi darai, vattene pure!” ribatté
la ragazza, invitandolo ad abbandonarla.
“Sai
qual è il tuo problema?” sbottò Hoggle “Tu
dai una marea di cose per scontate. Prendi questo labirinto, ad
esempio. Anche se arrivassi al centro, non ne verrai più
fuori” Ed aveva ragione, convenne il re. C'era però
qualcosa che non quadrava in tutto il discorso. Certo, 13 ore
sarebbero servite solo per uscire dal labirinto. E poi il nano sapeva
bene come poteva essere cinico e spietato il re. Assorto, immerso
nello strano silenzio del suo palazzo, piegò il capo di lato.
Ancora una volta, si sorprese di un mancato ragionamento della
ragazza. Nessuno aveva mai detto che per arrivare al castello dovesse
percorrere il labirinto. Nessuno lo faceva mai. Nessuno tranne gli
umani che vi si avventuravano sistematicamente. Era da folli. O forse
le sue parole erano state, ancora una volta, ambigue? Cosa le aveva
detto? Ci ripensò a fondo ed era sicuro di averle detto un non
fraintendibile “Superare il labirinto” e non un esplicito
“Risolvere” o “Affrontare”*. Ma anche si
fosse sbagliato, beninteso, non stava scritto da nessuna parte che
non ci fosse un metodo diverso dall'entrarvi e percorrerlo tutto. Lo
si poteva sempre aggirare! Umani. Avevano davvero poca elasticità
mentale. Ma ormai lei era dentro e doveva continuare. Meglio così.
13 ore sarebbero passate in un baleno. E senza alcun pericolo.
Era
riuscita a indispettire il giardiniere, che se n'era andato
chiudendole le porte in faccia. E ora si metteva alla prova. Notò
che proseguiva, stupidamente e ostinatamente, sempre dritta.
Che
fosse una nuova tattica?
“Ma
cosa intendono loro con labirinto? Non ci sono curve né
angoli. Va sempre avanti così!” Sarah, dentro la sfera,
sbottò esausta, buttandosi contro un muro, a riposare dopo una
lunga camminata, sorprendendo il suo ascoltatore.
“Tut
tut, mi deludi Sarah” alitò il re contro la superficie
curva, divertito e intenerito dal vederla in difficoltà.
“O
forse no” la udì domandarsi, illuminandosi di
un'improvvisa intuizione. “Forse sono io che do per scontato
che sia così”
Riprese
ad avanzare correndo.
Anche
qui, come all'esterno, i segni di abbandono erano evidenti. Certo, la
sabbia era tenuta lontana dalle alte pareti di pietra, sormontate a
intervalli regolari da figure che sembravano essere, da quella
posizione così in basso, una via di mezzo tra gli obelischi
scheggiati, presenti all'esterno, e piramidi dalla base strettissima
rispetto a un vertice altissimo, aguzzo. Ma le stesse pareti
sembravano come sul punto di crollare: non erano file dritte e
squadrate, ma monticciole sconnesse di sassi rettangolari che
sembravano pronte a esplodere per le infiltrazioni d'acqua, che le
rigavano verticalmente, o per l'intrusione di piante rampicanti che
avevano affondato le radici all'interno, dando una spinta all'esterno
ai legittimi elementi costitutivi, spodestandoli. Muschi e licheni,
che si voltavano, perplessi e curiosi, a studiare l'umana al suo
passaggio, con i loro piccoli mille occhi, colonizzavano gli anfratti
più protetti. A terra giacevano ramaglie secche e
cristallizzate, veri e propri tronchi dalla dubbia provenienza,
divorati dalle ragnatele, foglie marcescenti accumulatesi in covoni
ordinati ai piedi delle pareti e al centro della via, nel canale di
scolo e anche carcasse di oggetti voluminosi, abbandonati e
sventrati. Corse. Corse a lungo.
Finché
non si accasciò esausta al muro, vinta dalla fatica, dallo
sconforto e dalla rabbia contro se stessa.
“Devi
cambiare il tuo modo di ragionare. Hai intuito che il regno è
tutta un'illusione. Ma ancora non vedi le cose dalla giusta
prospettiva. Non riesci ad andare oltre il valore letterale delle
parole, figurarsi risolvere il labirinto. E figurarsi vincere me.”
la bella bocca si piegò in una risata fragorosa che contagiò
tutti gli astanti, i quali trattenevano il fiato per compiacere il
sovrano. “Sarà più facile del previsto...”
pensò “Ma anche meno divertente”
E
mentre lui se la rideva, lei aveva incontrato uno dei vermi che
popolavano il percorso. Un minuscolo affarino blu, con strani ciuffi
che ricordavano alcune bizzarre acconciature umane che aveva la
propria dimora all'interno di una delle tante crepe del muro,
sorvegliata da onnipresenti licheni occhiuti e silenziosi. Ancora
una volta, stava ponendo la domanda nel modo sbagliato, così
come aveva fatto con il nano, all'ingresso.
“Lei
per caso non sa la strada per uscire dal labirinto? ” le sentì
chiedere gentile
Uscire!
Ancora il termine sbagliato.
“Chi
io? No, sono solo un verme...” rispose quello, ovviamente, in
tono educato. La delusione sul volto della giovane era palese. Ma
l'esserino, imperterrito, provava a convincerla a entrare nel suo
pertugio per presentarle la moglie e per offrirle una tazza di tè:
Sarah neanche se ne rendeva conto, ma all'interno dell'Underground, e
in particolar modo del labirinto, lei era una celebrità.
“Devo
superare questo labirinto” declinò scusandosi. “Ma
non c'è nessuna curva, nessuna apertura, niente di niente, va
sempre avanti dritto.” Ecco la conferma della sua poca apertura
mentale, pensò il mago scuotendo la testa
“Non
guardi bene!” le rispose il verme, cortese “E' pieno di
aperture, ce n'è una giusto qua davanti. Provi a passarci
attraverso...capirà cosa intendo!”
Ma
la ragazza non vedeva. Si ostinava a non vedere. Replicava seccata
come se ne sapesse più lei di un abitante del labirinto. Che
presunzione.
“Nulla
è come sembra, qui” sbottò ormai seccato il
verme.
“E
mica solo qui” concordò il mago e ripensò alle
discussioni tra Sarah e i suoi genitori, a come poco si capissero
solo perché nessuno riusciva a mettersi nei panni dell'altro.
Eppure, guardando le cose da un'altra prospettiva ci si poteva
accorgere di come quella che veniva interpretata per cattiveria,
fosse in realtà paura; ciò che era dolce, falsità.
“Non
dare nulla per scontato!” la rimbrottò il piccolo
facendola vergognare. Lentamente, Sarah si girò verso il muro,
decisa a fidarsi pur nello scetticismo.
Una
volta capita l'illusione ottica a cui era stata soggetta fino a quel
momento, si voltò sorridente e ringraziò il verme.
Quindi si incamminò per la strada di sinistra. Il mago sudò
freddo. Stupida ma fortunata!
“No
no no!” urlò il verme “Non in quella direzione!”
Sarah
tornò sui suoi passi e il mago tirò un sospirò
di sollievo. “Mai in quella direzione.” ordinò
perentorio lo strisciante esserino blu.
Sarah
ringraziò nuovamente, profondamente sollevata, e, senza porre
ulteriori domande, si incamminò verso destra.
“Se
avesse continuato in quella direzione sarebbe arrivata dritta dritta
al castello” sospirarono verme e re in contemporanea.
Per
sua fortuna, “uscire dal labirinto” non coincideva con
“arrivare al castello”, soprattutto se lo si chiedeva a
un verme privo del benché minimo senso dell'orientamento.
Quello che aveva fatto per lei era il massimo che si potesse
pretendere, spiegarle come guardare quel regno con occhi diversi.
Meno
male, pensò tirando un sospiro di sollievo, che certe
sottigliezze nell'Underground facevano la differenza.
*Nella
versione originale Jareth usa il verbo “Solve”: trovare
una soluzione o risolvere. Da qui ho fatto nascere il dubbio su
quello che ha detto effettivamente: in italiano “Superare”
vuol dire sia “passare oltre”, “rimanere al di
sopra”, “avanzare” e, in modo figurato, “vincere”.
Quindi, nella traduzione italiana, non è del tutto corretto
dare per scontato si parli di affrontare e vincere il gioco. Lo
stesso dicasi per risolvere: non solo “trovare la soluzione”
ma anche “stabilire”, “concludere”,
“sciogliere”, “decidere” e “trasformare”.
Anche dando per buona la versione originale, la cosa, se analizzata
attentamente, può risultare “ambigua”: cosa vuol
dire “Solve”? Ha altre sfumature che noi non capiamo
(come le molte che non prendiamo in considerazione nello stesso
italiano in base al contesto)? Così è nato il discorso
dell'aggirare l'ostacolo: è comunque un modo per “passare
oltre” e “trovare una soluzione” al problema.
D'altronde,
andando avanti nel film, si capisce che il labirinto è solo
una parte di tutta Goblin City (anche se le porte diranno che il
castello sorge al centro dello stesso...ma forse l'ha detto la porta
bugiarda...), quasi un semplice giardino all'italiana un po'
incasinato per divertimento: può condurre direttamente al
castello ed è collegato a segrete e stagni maleodoranti. Ma il
castello, a sua volta, è inserito in un contesto urbano
(quindi non raggiungibile ESCLUSIVAMENTE dal labirinto), protetto da
mura (che nulla hanno a che fare col labirinto) a loro volta
confinanti (in un punto solo?) con la discarica che confina con la
foresta che a sua volta, ancora, è collegata allo stagno.
Insomma... tutto sto discorso per ribadire il concetto (espresso da
Monsieur le Ver) che anche noi, come spettatori, immedesimati in
Sarah, abbiamo sempre pensato che -affrontare il labirinto- fosse
l'unica alternativa.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccoci
finalmente arrivati alla fine del 3° capitolo. I due si separano
e diventa un problema descrivere il punto di Jareth e,
contemporaneamente, quello di Sarah. Spero di non essermi incasinata
troppo con i verbi e i soggetti.
Ringrazio
ancora tutti quelli che mi seguono e commentano, mi danno spunti e
mettono in evidenza falle nel discorso, in particolare Freddiefreddie
che si è sparata tutti e due i capitoli in un sol colpo.
Per
il resto, spero vi piaccia come sto procedendo....in realtà io
salterei volentieri tutto per arrivare a due o tre momenti TOP ...ma
poi la storia non starebbe in piedi...quindi, d'ora in poi, è
possibile che decida di descrivere sommariamente alcune parti.
Abbiate pietà, io voglio parlare di Jareth: di Sarah mi frega
fino a un certo punto XD
Alla
prossima settimana. Un abbraccio forte a tutti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il vicolo cieco della doppia porta ***
4.Il
vicolo cieco della doppia porta
Il
labirinto era ora una fila ordinata di muri puliti e ben tenuti. Si
capiva che ci si stava avvicinando al castello: ora, le erbacce che
sbucavano dalla pavimentazione o dai mattoni erano quasi scomparse.
Sarah
si aggirava circospetta tra quei meandri silenziosi, illuminati dal
tenue sole della prima mattina. Non le era più capitato di
imbattersi in strani trucchetti ottici della prima parte del
percorso: ora, tutto appariva come un labirinto di stampo classico.
Qua e là, protuberanze simili a braccia sembravano dei
cartelli stradali che indicavano le diverse direzioni; delle sfere
spiccavano sul crinale delle alte mura.
Quando
si fermò all'ennesimo bivio per riflettere sulla decisione da
prendere, si accorse del vagito di un bambino in lontananza. Che
fosse un'allucinazione? Tese l'orecchio. No, quello era proprio Toby.
Istintivamente si mosse in direzione del pianto.
“Arrivo
Toby” disse ad alta voce, conscia che lui non potesse sentirla.
Ebbe un fremito di eccitazione: se ne sentiva la voce, allora doveva
essere sulla strada giusta. O almeno abbastanza vicina. Realizzò
solo in quel momento che, se Toby fosse scomparso e lei no, si
sarebbe cacciata in una situazione impossibile da gestire a casa. O
tornavano entrambi o non tornava nessuno. Sbuffò di sollievo:
allora non odiava il fratellastro come credeva, se il suo primo
pensiero era stata l'incolumità del bambino, piuttosto che la
sua. Doveva fare attenzione a come parlava con le creature di quel
regno, ormai l'aveva capito. Maledisse la sua stupida impulsività
e il suo aver ceduto a un momento di rabbia e stanchezza. Già
non ricordava più perché si trovasse lì, per
quale stupido motivo avesse desiderato che il fratello sparisse. Si
diede della stupida e voltò l'ennesimo angolo.
Gli
strilli arrivavano direttamente dalla sala del trono. Un piccolo,
inerme, biondo bambino urlante, vestito di un pigiamino a righe
orizzontali bianche e rosse, sedeva a terra circondato da creature
nere e arcigne che, a loro volta, schiamazzavano e urlavano talmente
forte da coprirne quasi le grida disperate, si contendevano il cibo,
litigavano per quisquilie o semplicemente chiacchieravano con tono di
voce troppo alto. Sostanzialmente, lo ignoravano.
In
mezzo a quella baraonda, il re, sbracato sul trono, teneva i begli
occhi glaciali protetti dalla luce con la mano guantata nel tentativo
di alleviare il mal di testa lancinante che l'aveva colpito e
picchiettava con impazienza il bastone sul gambale dello stivale. Si
trovò a domandarsi con rabbia cosa diavolo avesse da piangere
quell'affare: non gli stavano facendo nulla! Scoprì un attimo
il volto per lanciare un'occhiata al pupetto, nel caso, davvero,
qualcuno gli stesse facendo del male. Accertatosi che era tutto come
prima, tornò a rimuginare: aveva fame? No, i genitori di Sarah
avevano detto di averci pensato loro a sfamarlo. Che diamine! Erano
passate solo un paio d'ore, non poteva avere di nuovo fame. E
comunque gli avevano dato in mano un pezzo di pane che lui si
rifiutava anche solo di prendere in considerazione. O era troppo
piccolo per il pane? Che seccatura avere a che fare coi
neonati....Che dovesse essere cambiato? Aveva già incaricano
uno dei Goblin di controllare regolarmente. Aveva sonno? In effetti,
quando lui era rientrato al castello e aveva cominciato a seguire i
movimenti della ragazza, il bambino non era ancora arrivato: i Goblin
erano lenti, non potevano teleportarsi dove volevano come i maghi.
Ma, in ogni caso, era sveglio prima di partire e una mezzora di sonno
in meno, per via del viaggio, non avrebbe dovuto dargli tutti quei
problemi. Forse aveva paura. Ma se fosse stato così, doveva
abituarsi: da quel momento in poi il castello sarebbe stata casa sua.
Erano passate solo tre ore e mezza e lui aveva già
un'emicrania tale da fargli pensare di essere finito all'inferno.
“Cosa vuoi che sia aspettare 13 ore?!” ripeté
mentalmente facendosi il verso da solo: era stato un incosciente a
sottovalutare quella creatura che Sarah definiva tirannica.
Cominciava a capire perché ne fosse esasperata. Era anormale
il bambino o era il re che si era dimenticato come andavano i
rapimenti? “No” si disse, scuotendo leggermente la testa
“Non ho dimenticato...non ho mai saputo...questa è la
prima volta che vengo coinvolto di persona, dannazione!”
rimuginò sbuffando “E che cavolo ne so io di come si
gestisce sta situazione! Perché questi idioti ai miei piedi
non fanno nulla, razza di buoni a nulla!” Più ci
pensava, più gli andava il sangue alla testa. “Forse
loro sono abituati...hanno sempre fatto così...o si adatta o
muore... ma che nervi hanno, dannatissime creature?”
Toby,
in tutto questa sua dissertazione con se stesso, continuava a
piangere disperato.
Uno
dei Goblin, in uno dei loro tanti giochi, rigorosamente all'insegna
della violenza e della crudeltà gratuite, centrò, con
una cerbottana improvvisata, una gallina appollaiata pacifica sulla
finestra. Lo sprimacciamento della stessa per rimettersi in ordine
provocò l'ilarità generale.
A
lui non faceva alcun effetto ma ebbe un'idea. Si alzò
guardingo, meditando se fosse una mossa intelligente.
Andò
da uno dei Goblin, uno di quelli che non facevano assolutamente
nulla, nel bene e nel male: rideva solo a crepapelle. Lo afferrò
per il collo e gli disse “Tu mi ricordi il bambino”. In
realtà era così che lo voleva: voleva vederlo ridere.
“Quale
bambino?” chiese quello perplesso e preoccupato.
“Il
bambino che ci è stato donato” rispose il mago
“E
da chi?” chiese un altro alle sue spalle. I Goblin erano,
fondamentalmente, creature stupide. Ecco perché avevano
bisogno di un re che li coordinasse. Senza, il regno sarebbe andato
allo sfascio, divorato dai rovi o sommerso nel marciume: si erano già
dimenticati di aver catturato un cucciolo umano. Catturando la loro
attenzione avrebbe catturato anche quella del bambino.
“Dal
fato!” disse
“Fatto?”
chiese un altro ancora, confuso. Stupidi e ignoranti.
“Tu
l'hai fatto!” rispose seccato
“Fatto
cosa?” chiese un quarto
“Ricordarmi
il bambino!”* rispose con rabbia lanciando in aria il primo
Goblin. Razza di creature indistruttibili. Una volta a terra si
sarebbe rialzato come niente fosse. Erano ottimi per scaricare il
nervosismo
Ed
ecco che tutti esplodevano in un coro di risate: bastava far del male
a qualcuno, fargli fare una figuraccia, semplicemente fargli capitare
qualcosa di diverso dal solito che quelli si gasavano.
Li
zittì tutti, alzando un poco la voce “Buoni!”.
Puntò l'indice verso il marmocchio che lo guardava rapito,
anche lui colpito dal volo che si era fatto il primo Goblin. Proprio
quello che voleva: calamitare la sua attenzione. “Quello è
un baby Goblin!”** disse ridendo. I Goblin, lo sapevano tutti,
come i nani, avevano un'età mentale pari a quella di un
bambino umano di sei anni, erano asessuati e si riproducevano per
magia: non esisteva l'accoppiamento in quelle razze; solo, un giorno,
dal nulla spuntavano nuovi esemplari. Notando che nella sala era
calato il silenzio, si voltò attorno perplesso. “Beh?”
chiese. Non era difficile da capire, come battuta: un cucciolo che
presto sarebbe appartenuto al regno di Goblin, un vero cucciolo. Loro
cuccioli non ne avevano.
Tanto
per compiacerlo, tutti si misero a ridere in modo isterico e subito
il mago stirò un sorriso di ringraziamento ai suoi stupidi
sudditi. L'unico che aveva mostrato di apprezzare la battuta era
stato il bambino.
In
una specie di danza, ninna nanna, spettacolo circense, favola della
buona notte, formula magica, tutto insieme, il mago attirò
ancor più l'attenzione del bambino su di sé,
coinvolgendolo, cantando per lui parole che, forse, voleva sentirsi
dire.
“Ho
visto il mio bambino piangere così forte come solo un bambino
può piangere. E io cosa potevo fare? L'amore del mio bambino
se n'era andato, l'aveva lasciato triste e nessuno lo sapeva. Quale
tipo di formula magica usare? Bava e lumaca o coda di cagnetto, tuono
o fulmine e il bambino disse -danza magica-. Lancia anche a me quella
baby-maledizione! Salto magico. Fammi fare quel salto magico. Dagli
una pacca e lascialo libero.
Ho
visto il mio bambino, provare duramente come solo un bambino può
provare. Cosa potevo fare? Il divertimento del mio bambino se n'era
andato, l'aveva reso triste e nessuno lo sapeva. Quale tipo di
formula magica usare? Bava e lumaca o coda di cagnetto, tuono o
fulmine e il bambino disse -danza magica-. Lancia anche a me quella
baby-maledizione! Salto magico. Fammi fare quel salto magico. Dagli
una pacca e lascialo libero.”***
Un
poco alla volta il marmocchio, non solo aveva smesso di piangere, ma
si era fatto conquistare da quella specie di gioco dove il sovrano
sgambettava in giro e lanciava in aria i suoi sudditi. Si divertiva
e, divertendosi, non era più impaurito da quelle strane
creature. Era arrivato al punto da farsi prendere docilmente in
braccio dal mago. Sembrava contento solo in braccio a lui. E il mago,
a sua volta, stava scoprendo un lato di sé che non sapeva
esistere: gli piaceva prendersi cura di quell'affarino e cullarlo tra
le braccia. Quando non strillava. Quindi era suo compito non farlo
piangere. Più facile a dirsi che a farsi.
Ma
aveva anche capito che l'unico modo per farlo davvero felice sarebbe
stato liberarlo, farlo tornare al più presto da sua sorella.
Farlo
tornare dalla sorella.... riunirli. Perché non riunirli lì?
Sarebbe stata quella la loro nuova casa. Alzò lo sguardo sulla
sala e strinse gli occhi, meditando un nuovo piano. Quella era la
meta finale di Sarah: che giungesse o meno in tempo lui l'avrebbe
comunque guidata lì. Come in una partita di scacchi tra un
consumato professionista e un principiante, lui avrebbe anticipato le
mosse di lei, portandola a fare il suo gioco. Avrebbe fatto sì
che mettesse in fallo tutte le pedine, permettendogli di divorarle
con una mossa unica. Si accigliò dandosi dello sciocco. “Così
è una partita di Dama...bah, fa lo stesso...” Pensò
alle pedine, i dischi tutti uguali, lasciati alla rinfusa sul piano
quadrettato. Sogni, progetti, abilità, motivazioni. Le avrebbe
tolto tutto, un pezzo alla volta, e la scacchiera si sarebbe tinta
del suo solo colore. Bofonchiò una risata. La quadratura del
cerchio: lui il quadro, spigoloso, pericoloso, contenitivo; lei il
disco dolce e fragile, da proteggere e ingabbiare; il nero e il
bianco, il male e il bene, maschile e femminile, carceriere e
prigioniera, malizia e ingenuità. Erano tremendamente
antitetici l'uno all'altra e forse proprio per quello lo intrigava
tanto. Ma la loro naturale predisposizione determinava già chi
avrebbe vinto tra i due. Sorrise tra sé, un po' deluso.
Sapendo di vincere, per quanto Sarah potesse dargli filo da torcere,
nella sua umanità, dov'era il divertimento?
“Tra
nove ore e 23 minuti, tu sarai mio” disse, infine, con un
ghigno al bambino che teneva in braccio. Notò la strana
combinazione di numeri e si accigliò. Anche le lancette
indicavano la sua vittoria, in qualunque modo le guardasse: dopo la
grande sfida, la rinascita come uno nella moltitudine. Sì...Toby
era destinato.
Nel
frattempo Sarah procedeva spedita tra i meandri del labirinto. Di
quando in quando si chinava sul pavimento e, col rossetto che le era
rimasto in tasca, segnava le mattonelle col verso del percorso: la
versione improvvisata e casereccia del filo di Arianna, non
altrettanto affidabile poiché poteva cancellarsi in caso di
temporale, ma nemmeno etereo come le briciole di Pollicino. A ogni
segno, si rialzava soddisfatta: fino ad allora non era ancora tornata
sui suoi passi.
Eppure,
senza che se ne accorgesse, i segni da lei tracciati cambiavano
direzione: piccoli esserini, inviati appositamente dal re o abitanti
sotterranei che si indispettivano dell'operato dell'umana, sbucavano
da sotto terra, sollevando il pezzo di pavimentazione come un
tombino, e lo ricollocavano dopo averlo ruotato.
Dopo
l'ennesimo segno Sarah era ora avanzata in un vicolo cieco. Sbuffò
e si voltò, pronta a tornare sui suoi passi, quando notò
che l'indicazione da lei appena disegnata, era cambiata. Si guardò
intorno, incerta. Pensò di essere affaticata e che la vista le
giocasse brutti scherzi: era passata di là solo pochi istanti
prima ed era certa di quello che aveva tracciato. Guardò
nuovamente la mattonella, scettica. Capì che quel posto le
stava riservando nuove sorprese e tranelli: cambiava al suo
passaggio. “Qualcuno ha cambiato i miei segnali...”
Imprecò mentalmente, maledicendo l'astuzia del re dei Goblin.
“Ma che orribile posto è questo?” gridò
esasperata scagliando per terra il rossetto, ormai esaurito che
stringeva ancora in mano,“Non è giusto!” si
lamentò. Il mondo era ingiusto e le sembrava quasi che tutti
ce l'avessero con lei e le facessero continuamente dispetti di
proposito: non solo lì, in quello strano regno magico, ma
anche e soprattutto nella vita reale: la matrigna impositiva che non
la lasciava in pace, il fratellastro asfissiante che accentrava tutte
le attenzioni su di sé togliendole a lei, il padre inetto
incapace di fare qualunque cosa da solo. A scuola era lo stesso: se
qualcosa andava storto la colpa era sempre e solo degli altri. Non
riusciva a vedere in sé nessuna colpa, cercava di fare
l'impossibile e di essere irreprensibile ma le cose non andavano mai
come voleva. Se non era colpa sua, di qualcuno doveva pur essere, no?
Alle
sue spalle una voce concordò con lei “Giusto! Non è
giusto!” quindi scoppiò in una fragorosa risata,
accompagnata da altre tre.
Sarah
si voltò perplessa. Ancora una volta era cambiato tutto. Alle
sue spalle c'era il vicolo cieco, ne era certa, così come era
certa che la freccia indicasse un'altra direzione. Avanzò nel
nuovo spazio che si era venuto a creare. “Ed è solo la
metà!” disse ancora la voce. Proveniva da una strana
installazione dai colori caldi posizionata davanti a una porta
chiusa. Accanto, una porta gemella con uguale installazione dai
colori freddi. Entrambe erano costituite da un paio di esili gambe (o
zampe?) sormontate da scudi arricciati verso l'esterno, che recavano
incisi segni araldici in cui gli elementi erano contrapposti: il
colore e il non colore, il cerchio e il quadrato. Due fascette, con
scritte runiche, che Sarah non sapeva decifrare, correvano
trasversali sulla superficie.
Due
paia di mani, dotate di quattro lunghi artigli, sembravano
trattenerlo in posizione. Ma sembravano anche aggrapparsi ad esso. E
poi, due teste facevano capolino, una sopra, una sotto. Erano tutte
cinte da un copricapo tricornuto e i corpi scheletrici, o almeno,
quello che se ne intuiva, fasciati in aderenti calzamaglie
rinascimentali dai colori alterni.
“Poco
fa era un vicolo cieco” protestò la ragazza avanzando
verso di loro, incuriosita
“No,
il vicolo cieco sta dietro di te” Le risposero quelli ridendo.
Ancora una volta, i muri si erano spostati. E l'avevano bloccata in
quella porzione di labirinto. “Continua a cambiare!”
Spalancò gli occhi, in preda all'angoscia “Ma come devo
fare?” chiese volgendosi nuovamente alle installazioni.
“Il
solo modo per uscire è provare a una di queste porte”
disse la testa rossa posizionata in basso, al rovescio.
“Una
porta al castello al centro del labirinto” si intromise la
testa bassa della porta azzurra “L'altra...a morte certa!”
“E
qual è quella buona?”# chiese Sarah, che non aveva
ancora capito come si formulavano le domande all'interno del regno.
Buona...per cosa?
“Noi
non te lo possiamo dire” risposero in coro i due.
“Perché?”
chiese perplessa lei. Quelli si guardarono, più dubbiosi della
ragazza.
“Non
lo sappiamo nemmeno noi...quelli di sopra, lo sanno” dissero,
sporgendosi dallo scudo, guardando verso l'alto.
“Bene...”
concesse Sarah, con pazienza infinita “Allora chiederò a
loro”
Le
teste superiori uscirono allo scoperto e fissandola, la
contraddissero, dispiaciuti “Eh no, non ce lo puoi mica
chiedere. Lo puoi chiedere solo a uno di noi!” disse la parte
rossa. Sarah notò che alle sue spalle, sulla porta, era incisa
l'effige di un mostro a doppia faccia, quasi fossero due
interlocutori riassunti in un'unica immagine, metà mostro
famelico metà volto divertito e pasciuto che sembrava fare la
linguaccia all'altro.
“Questa
è la regola. Ma uno di noi dice sempre la verità e uno
mente sempre. Tienilo a mente. Questo mente sempre” la informò
quello blu a indirizzo del corrispettivo rosso
“No,
non è vero” replicò quello “Io dico la
verità!” strepitò nascondendosi dietro lo scudo
“Uuu
che bugia!” rispose l'altro con sufficienza. Le due
installazioni, tali erano perché, separate da una cuspide, non
si muovevano dalla loro posizione nemmeno in preda alle risate più
scomposte, cominciarono a litigare accusandosi reciprocamente.
“Va
bene, va bene...” li interruppe la ragazza “Rispondi solo
sì o no”. Disse rivolta all'installazione rossa. “Lui”
disse indicando la controparte blu “Mi direbbe che questa è
la porta che conduce al castello?” Blu e rosso si fissarono,
perplessi. Quindi, la testa interpellata si nascose dietro lo scudo e
interpellò la testa inferiore. Dopo una rapida discussione,
riemerse e rispose un convinto “Sì”
Sarah
ci pensò su. Quindi espose a voce alta i suoi ragionamenti
“Allora quella è la porta per il castello e questa
quella che conduce a morte certa”
“E
come lo sai?” chiese interessato il rosso “Lui potrebbe
dire la verità” la rimbeccò
“Allora
non la diresti tu. Se tu dici che lui direbbe sì, so che la
risposta dev'essere no” spiegò convinta
“Ma
io potrei dire la verità” replicò ancora quello,
poco convinto
“Allora
sarebbe lui a mentire. La risposta sarebbe comunque no”
“Aspetta
un attimo...” disse quello e si volse verso il compare “E'
giusto?”
“Ma
non lo so...” rispose l'altro scettico “Non l'ho mai
capito” quindi tutti e quattro proruppero in una fragorosa
risata
“No,
è vero, ci sono arrivata!” Disse avanzando verso destra,
alla porta presieduta dal guardiano blu. Sul dorso della porta
l'effige era diversa, ancora una volta, da quella di sinistra: qui, i
volti erano un leone vinto e sofferente e una sorta di bue triste e
depresso. Spinse la porta prescelta e si incamminò, orgogliosa
del suo ragionamento “Non ci sarei arrivata prima. Mi sto
facendo più furba. E' come bere un bicchier d'acqua!##”
Non
aveva finito la frase che il terreno sotto i suoi piedi cedette e la
inghiottì, facendola scomparire alla vista delle due
installazioni.
*Il
gioco di parole è irriproducibile. L'unico che mi è
venuto in mente è questo.
-You
remind me of the babe (tu mi ricordi il bambino).
-What
babe? (che bambino?)
-The
babe with the power (il bambino col potere)
-What
power? (che potere?)
-Power
of voodoo (il potere voodoo....che non c'entra proprio nulla con la
storia...a meno che non la si voglia leggere come l'essere vincolati
alla magia ma mi sembra tirata!)
-Who
do? (chi l'ha fatto?)
-You
do. (tu l'hai fatto)
-Do
what? (fatto cosa?)
-Remind
me of the babe (ricordarmi il bambino)
**
Nella versione originale, la frase di Jareth è “A Goblin
Babe”. In quella italiana “E' da gnomare” nel senso
che Toby è un essere umano che va trasformato in gnomo
(ricordo che gnomo, nella versione italiana, sta per Goblin) quindi
un bambino che, crescendo (13 ore), diventerà Goblin.
***
Traduzione fatta coi piedi ma mi sembra abbastanza fedele. Ad ogni
modo è trattata solo come se fosse una ninnananna, quindi
sorvolate pure
#
In realtà chiede “Quale è cosa?” Se avessi
seguito la versione originale sarebbe venuto fuori un gioco di parole
diverso e mi sono attenuta alla versione italiana...
##
Altra annotazione di carattere linguistico: l'originale è
“It's a piece of cake” che può anche essere
tradotto con “E' un gioco da ragazzi” ma ne cambia un po'
il senso. In italiano (siamo pieni di sfumature, grazie al cielo)
esiste il paragone alimentare del “bicchier d'acqua” che
indica la stessa cosa. Ho scelto di usare questo per tenermi più
fedele all'originale, mantenendo invariato il significato anche più
avanti -cap. 6- (“è un pezzo di torta” per noi non
vuol dir nulla...c'è “è un pezzo di pane”
ma si riferisce alle persone particolarmente buone e generose)
- -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ciao
a tutti e ben ritrovati.
Volevo
cominciare questo angolino scusandomi con chi mi segue. =_= sono
totalmente rincretinita, abbiate pazienza. Ho scoperto, che in realtà
mi ero già letta praticamente tutte le vostre fic (è
che ho la memoria che è un colabrodo e faccio casino coi nomi)
e aspettavo i nuovi capitoli per commentare. Inoltre, mi sento
un'imbecille a mandare messaggi per una fic già
finita....paranoie, lo so...cmq attendete fiduciosi una mail :D prima
o poi vincerò l'imbarazzo e arriverà.
Altra
informazione di servizio, di carattere completamente diverso,
riguarda la storia: tralasciando sto capitolo -di cui non sono molto
soddisfatta, più che altro necessario per far parlare Jareth
il prossimo (e fargli spiegare un paio di cosine)- e dicendo che
sarei tentata di caricare subito anche il 5°, il vero problema è
proprio Jareth. Vi avviso sin da ora che ne sto perdendo il
controllo: è diventato uno psicopatico nevrotico che cambia
idea ogni 2 minuti. Ringrazio di avere la trama sotto a cui non posso
sfuggire. Ma è una fatica stargli dietro e farlo tornar nei
ranghi...ed è sempre più presuntuoso. Quindi, abbiate
pietà, d'ora innanzi, se sarà troppo diverso da come ce
lo siamo (mi metto nel mucchio) immaginato: giuro che non lo faccio
apposta. Vedrò di dargli una raddrizzata ma più lo
ritocco più questo prende strane devianze sadiche e/o
infantili. ç_ç
Grazie
ancora a tutti! Che vi prendete la briga di leggere e -pure-
commentare.
Alla
prossima settimana!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Il dimenticatoio ***
5.
Il dimenticatoio
“Uff...”
Appollaiato alla finestra della stanza, abbigliato nella sua veste da
camera composta di una morbida casacca nera su un paio di pantaloni
leggeri e aderenti, il mago sbuffò per la risposta idiota che
aveva dato la ragazza. Ruotò la sfera sul dorso della mano con
indolenza, quasi pensasse a come sbarazzarsi del cristallo, essendo
finito il suo divertimento. “Che gran delusione!”
“Ma
sa molto...” Obiettò un piccolo Goblin grinzoso ai suoi
piedi.
“Cosa
parli a fare tu, insulsa e immonda creatura?” Il bel biondo
folgorò con lo sguardo quella bestiola, arricciando il labbro
superiore in un'espressione di disgusto: tanto piccoli e tanto
violenti. Sicuramente gli esseri umani avevano dimenticato quanto
potessero essere pericolosi. Il divertimento maggiore di quei piccoli
diavoli marroni e misantropi era torturare a morte le loro vittime e
berne il sangue finché queste erano ancora vive, in spregio
alla vita che andavano stroncando. Erano fortunati che si limitassero
a rapire i bambini, quando gli veniva ordinato.
“Mi
scusi, sire!” si affrettò quello, prostrandosi. “Però
devo insistere. E' dotata...” osservò
“Abbiamo
anche un cervello, adesso? Il mondo si sta rovesciando?” chiese
sarcastico l'altro senza degnarlo di ulteriori occhiate.
Dopo
una lunga pausa domandò, vinto dalla curiosità “E
sentiamo...cosa dovrei fare, secondo te? Bada a come rispondi!”
minacciò
“No
no, niente, mio signore...” piagnucolò quello temendo
una qualche punizione corporale “Volevo solo dire che non la
deve disprezzare solo per questo...”
“Solo
per questo?” ripeté sibilando, gli occhi che
dardeggiavano per la rabbia
“Era
impossibile da risolvere! Era un vero vicolo cieco!” si
giustificò ancora quello
“Ovvio
che era un vicolo cieco, idiota!” Il mago scattò in
piedi saltando nella sala, facendo schioccare violentemente anche il
mantello per la foga che vi aveva impresso “Cosa vuoi che sia,
un paradosso? Non c'era alcuna risposta giusta, né alcuna
sbagliata. Doveva fermarsi lì. Passare le ore rimaste ad
abbrustolirsi al sole. Non dovrei essere deluso? Non ha capito
un'accidenti! Non è che il labirinto deve per forza essere
risolvibile. Può pure non esserci un'uscita, per quel che ne
sa lei.” Era fuori controllo: il bel re aveva il volto
deformato in una maschera di rabbia. Urlava a pieni polmoni, pronto a
massacrare chiunque avesse trovato sul suo cammino. “Buona
parte dei labirinti sono fatti per soddisfare i desideri viscerali
dei sovrani: vedere correre fino allo stremo le prede, convinte di
trovarla, prima o poi, un'uscita. Invece ci muoiono dentro!”
disse ridendo sguaiatamente “Sono fatti per....” di colpo
si bloccò. I Goblin restarono impietriti, congelati nelle loro
posizioni, temendo che, al minimo movimento, il sovrano potesse
prendersela con chiunque di loro. Si voltò, tornò alla
finestra, calciando in malo modo il Goblin che aveva dato origine a
tutto. Si poggiò pesantemente con le mani sul balcone della
finestra. I Goblin si guardarono a vicenda, incerti se tagliare la
corda o soccorrere il sovrano, fattosi improvvisamente pallido e
tirato.
“Dannazione!”
urlò esasperato, picchiando il pugno sul marmo dello stipite.
Le creature decisero che era il caso di allontanarsi quel tanto da
essere al sicuro ma anche prontamente disponibili in caso di
richiamo.
Rimasto
solo, osservava il labirinto che si estendeva ai piedi del palazzo.
Solo una parte di esso lo raggiungeva. Tutto attorno sorgeva poi il
villaggio e in lontananza si intravedeva l'Isola dei sogni*.
Si
passò una mano sugli occhi, cercando di cacciare l'immagine
che aveva appena avuto di sé. Era disgustato del pensiero che
aveva avuto. Il labirinto era anche un gioco: un gioco tra una dama e
un cavaliere. Un gioco dove la dama si poneva al centro del
labirinto, sulla torre, nascondendosi. E il cavaliere, il povero
imbecille, aveva il compito e il desiderio di raggiungerla, basandosi
solo sulle indicazioni che lei gli dava. Lei, detentrice della vita
di lui, che poteva decidere se farlo avvicinare a sé o
respingerlo, protrarne l'agonia, soddisfarlo o cacciarlo da quel
luogo. Era un gioco escogitato per gli amanti. Era la metafora della
ricerca del proprio compagno.
Successivamente
gli umani l'avevano involgarito, contaminandolo con la lussuria e
l'omicidio. Ma originariamente...era quello il suo scopo, non il
massacro dei sudditi a favore dei sovrani.
“No!”
sibilò a se stesso. Si allontanò dalla finestra e
cominciò a muoversi su e giù per la stanza,
meditabondo.
No.
Il suo interesse era certamente solo per il nuovo gioco che aveva
finalmente tra le mani. Certo, ne era affascinato. Ne era affascinato
prima! Finché pensava che lei fosse speciale, che lei sapesse
tutto di loro. Lei credeva in loro e sapeva tutto di loro. O almeno
così sembrava. Ma il modo goffo in cui si era mossa fino a
quel momento gli aveva fatto capire che il nano, Hoggle, aveva
ragione: non sapeva proprio nulla, quella stupida umana. Quindi, era
inutile. Cosa se ne faceva lui, il magnifico Jareth, di un'insipida e
insulsa ragazzetta umana? Non sapeva nulla, dava tutto per scontato,
non riusciva a usare la logica**. Doveva eliminarla. E tenere per sé
il bambino, l'erede che lui aveva designato. Nessuno avrebbe fatto
domande sui due scomparsi. E anche se qualche umano fosse riuscito a
infrangere la barriera che lui avrebbe posto nelle loro memorie,
nessuno avrebbe mai pensato seriamente a cercare il colpevole e i
dispersi nel mondo magico, un mondo che loro ritenevano
“inesistente”.
E
allora perché esitava? Perché le aveva permesso di
infilarsi in quel mondo? Le regole, certo... Ma le regole non
dicevano nulla sulla necessità di parlare con la controparte
umana, informarla del rapimento portato a termine con successo e
convincerla a lasciar perdere.
Ma
soprattutto, perché tra i primi pensieri che gli erano venuti
in mente c'era quel gioco mentecatto e zuccheroso di amanti che si
inseguono nel labirinto per far crescere l'attesa del ritrovo? Si
accigliò: loro due sembravano quasi giocare a ruoli
invertiti...
Arrossì
improvvisamente e, immediatamente, un'ondata di rabbia tornò a
travolgerlo. Perché non poteva pensare, come tutti i Goblin,
essendone lui il re, solo a cose truculente? Perché si faceva
tanti scrupoli verso di lei?
Era
un ottimo passatempo, si disse. Ignorante ma interessante. Doveva
attendere ancora qualche ora. Un gioco così non sarebbe
ricapitato presto: doveva goderne ora, finché aveva tempo. Una
manciata di ore e poi sarebbe tornato tutto alla consueta monotonia.
Alla consueta solitudine.
Era
stanco di essere Re di Goblin. Non succedeva mai niente. A parte le
galline che facevano il nido sulla corona posta sopra il trono. Ma
ora avrebbe avuto anche lui un bambino da crescere, si disse
sorridendo addolcito.
Già...Toby...si
era appena calmato e lui, in tutta la sua regale maturità, si
era messo a sbraitare come un indemoniato.
Sbuffò
e cercò di ricomporsi. Cacciò l'immagine di Sarah dalla
sua mente e si risistemò la camicia. Tornò quindi al
trono e vi ci si buttò con poca grazia. Solo allora si accorse
di essere stato lasciato solo. “Ehi!” disse seccato.
All'istante la sala tornò a popolarsi di schiamazzi e urla.
Lui sorrise compiaciuto nascondendo il nervosismo.
Contemplò
il caos attorno a sé per qualche istante. Quindi decise di
tornare alla sua preda.
Preda.
Ecco cos'era Sarah. Solo una preda. Una pedina nel suo gioco, nulla
di più. “E chi se ne frega delle tempistiche!”
sbottò tra sé
Con
un movimento fluido della mano fece comparire una sfera e la tenne a
distanza per osservarne il contenuto.
Ma
il cristallo sembrava un pugno di onice nera. La scosse
violentemente, con un gesto di impazienza, perché comparisse
qualunque immagine. Cosa aveva scelto quella scriteriata? L'aveva
lasciata che stava scivolando nel tunnel delle Mani Amiche, dopo le
Porte Paradosso del Vicolo Cieco. Sbuffò impaziente. Dopo
circa un minuto la scena cominciò a rischiararsi. Allora capì:
aveva scelto di scendere. Stupida! Sentenziò, ancora una
volta, mentalmente.
“E'
finita nel dimenticatoio...” constatò indispettito, le
labbra tese. A occhio esterno sarebbe potuto sembrare preoccupato. I
Goblin tutt'attorno scoppiarono in sguaiate risa isteriche. “State
zitti!” sbottò, innervosito da quella loro stupida
crudeltà gratuita: non capivano mai il suo umore. “Non
avrebbe neanche dovuto arrivare al dimenticatoio.” Spiegò
loro acido ma insolitamente prodigo di spiegazioni. I suoi tirapiedi
non avevano seguito tutta la vicenda, quindi non sapevano che lui era
infastidito da altri pensieri. “A quest'ora doveva essersi già
arresa.” In realtà era molto deluso. Perché aveva
scelto di andare giù se la strada che percorreva era in alto?
Per assecondare la naturale caduta? Ragionamento illogico. Non
l'avrebbe mai capito
“Lei
non si arrenderà mai.” Il Goblin fin troppo perspicace,
che qualche minuto prima l'aveva mandato su tutte le furie, tornò
a sparare le sue sentenze velenose. Era una minaccia, quella di
Sarah?
“No?”
domandò sarcastico e stanco, più rivolto a se stesso,
quasi consumato dai propri pensieri. “Il nano la riporterà
al punto di partenza” decretò. Voleva vedere se quel
piccolo rospo aveva ragione, come temeva. Cercò di convincersi
fosse la scelta giusta “Si arrenderà quando si renderà
conto di dover ricominciare tutto da capo!” una timida risata,
poco convinta, cercò di affacciarsi alle sue labbra. I Goblin
tutt'intorno cominciarono a borbottare tra di loro, quasi criticando
la scelta del sovrano. “Beh?” Domandò lui
spaesato. Non si divertivano più nel vedere qualcuno in
difficoltà? Cosa aveva la sua decisione di tanto errato? Non è
che provavano già dell'affetto per lei, quasi l'avessero
riconosciuta come legittima sovrana? “Ridete!” li
incoraggiò. Se non ridevano loro, come faceva lui a non
pensare alle cattiverie a cui la stava sottoponendo? Come faceva a
distrarsi? Come faceva a pensare che fosse la cosa giusta da fare?
Quelli, più per compiacerlo che per reale ilarità, si
esibirono in risate sperticate e forzate.
Aspettò
qualche istante, sperando che quelle risate lo contagiassero. Alla
fine rise. Di disperazione. Non era affatto contento di quello che
aveva deciso di fare. Era un comportamento totalmente masochistico e
meschino, per niente adatto a un re. Perché non la lasciava
nei sotterranei bui a scontare le ore che rimanevano? La vittoria era
assicurata: lei non aveva poteri né la forza per uscire da lì.
Allora perché la stava liberando? Certo, come palliativo. Per
pulirsi la coscienza si raccontava che la stava rimandando all'inizio
e che lei avrebbe desistito. Ma sapeva bene che non si sarebbe
arresa. Né lo voleva. Poteva raccontarsi che, se fosse dovuta
diventare la sua sposa non la voleva puzzante di muffa.
“Accidenti...”
Pensò convocando il nano tramite la sfera “Cosa diavolo
è che voglio?”
Sarah
se ne stava rannicchiata sotto la botola da cui era caduta dentro il
dimenticatoio e da cui filtrava una timida luce che le dava un minimo
di calore all'interno di quell'antro buio e freddo. Un tintinnio,
accompagnato ad un fruscio di passi e stoffe strofinate, la fece
sobbalzare. “Chi è là?” chiese guardinga.
Se fosse stata una minaccia seria, lo sapeva, non avrebbe perso tempo
a risponderle.
“Sono
io...” disse una voce che aveva già sentito altrove,
seguita da una bassa risata sadica. Il silenzio della segreta fu
spezzato dal rumore di un fiammifero sfregato contro una superficie
ruvida. Pochi istanti e un caldo chiarore si diffuse nel corto raggio
della candela che arrivava a lambirle la punta delle scarpe. “Oh,
sei tu!” disse sollevata riconoscendo lo scorbutico nano
giardiniere ammazza-fate.
“Eh
sì...sapevo che ti saresti cacciata nei guai da quando ti
incontrai, così sono venuto a darti una mano” mentì
in modo convincente, quasi arrogante. Adesso che riusciva a vedere
qualcosa, la ragazza osservò ciò che la circondava,
notando le catene che pendevano qua e là, le molte ragnatele,
i resti di scheletri di prigionieri a lei molto precedenti. “Oh,
ti guardi in giro, ora, vero?” chiese con fare supponente e
presuntuoso “Immagino che avrai notato che non ci sono
porte...solo il buco.” Precisò indicando il luogo da cui
filtrava la fioca luce che l'aveva illuminata fino a quel momento.
“Questo è un dimenticatoio...il labirinto ne è
pieno..” spiegò mentre lei continuava a guardarsi
intorno.
“Davvero?”
domandò lei. Sembrava affascinata, più che
terrorizzata, da quel luogo angusto e chiuso. “Come lo sai?”***
Se era un giardiniere e stava all'esterno, cosa ne sapeva del
labirinto? E perché si era rifiutato di aiutarla al loro primo
incontro?
“Non
far tanto la gradassa. Tu non sai nemmeno cos'è il
dimenticatoio!” replicò lui, punto sul vivo. Aveva
stuzzicato il suo senso di colpa e lui reagì in modo
aggressivo per difendersi da quell'improvvisa sensazione di disagio.
“Tu
sì?” chiese lei sarcastica, rispondendo a tono al
mostriciattolo impertinente che era andato a darle una mano, facendo
pesare il suo favore.
“Sì!”
rispose piccato “E' un posto dove ci butti la gente per
dimenticartene. Ora...” proseguì impettito “Quello
di cui hai bisogno è un modo per uscire di qui. E si da il
caso che io conosca una scorciatoia per uscire dal labirinto”
A
Sarah non sfuggì il verbo che aveva usato: uscire. Voleva
portarla fuori dal gioco “No!”
protestò “A questo punto io non mi arrendo! Sono
arrivata troppo avanti...” E poi, pensò, arrivata avanti
o meno, devo provare lo stesso. “No, ce la sto facendo!”
“Oh,
certamente!” disse Hoggle avvicinandosi a lei e stabilendo un
contatto fisico per trasmetterle fiducia “Però diventerà
sempre peggio, da qui in avanti...” le diede delle pacchette
affettuose alle mani incrociate in grembo. La codardia, la
vigliaccheria...erano il suo unico modo di ragionare. E voleva
convincere lei, che già aveva combinato un pasticcio
colossale, a tralasciare i suoi doveri, a fuggire. In quel posto
erano tutti vigliacchi.
“Perché
ti preoccupi tanto per me?” chiese allora, sospettosa e
irritata. La cosa le puzzava di imbroglio. Perché presentarsi
lì se voleva farla desistere? Bastava aspettare lo scadere del
tempo a disposizione.
“Beh,
sono fatto così...Una giovane e bella ragazza, un terribile e
nero dimenticatoio...”
“Ti
piacciono i gioielli, è vero?” chiese lei, cambiando
argomento. Aveva notato la sfilza di amuleti e di pendenti di vario
tipo che il nano portava appesi alla tracolla della bisaccia. E aveva
anche notato che aveva ancora tempo a disposizione. Non importava
dove sarebbe uscita: poteva farcela. E rimanendo chiusa là
sotto di certo non avrebbe concluso nulla.
“Perché?”
chiese subito sospettoso, portando una mano a toccarli per
assicurarsi che non fossero spariti o che non scomparissero al più
presto.
“Se
mi aiuti a superare il labirinto, io ti darò questo...”
disse lei, con fare compiacente, puntando sull'unico punto debole del
nano che aveva afferrato, facendo oscillare davanti ai suoi occhi il
suo braccialetto, le cui perline rilucevano alla luce della candela.
Hoggle si avvicinò esitante, fortemente tentato, ma
circospetto, trattenuto da un vincolo potente “Ti piace, vero?”
insistette puntando tutta la sua forza espressiva di giovane attrice
dilettante sugli occhioni verdi che tutti le lodavano.
“Così
così...” riuscì a rispondere, negando, solo
voltandole le spalle e togliendosi il monile dal campo visivo
“Ah,
ok...” disse la ragazza, sicura di averlo ormai in pugno,
giocando bene la sua parte e alzandosi sicura per andare chissà
dove in quella piccola grotta.
“Sai
cosa ti dico? Tu mi dai quel braccialetto...” Hoggle corse
subito ai ripari, cercando un buon compromesso, vendendo sfumare
l'affare “E io ti indico l'uscita”
“L'uscita...”
Disse, rimuginando sul termine: indicava i cancelli, il punto di
partenza o la soluzione, il punto di arrivo? Meglio andarci coi piedi
di piombo, in quel regno, con le parole dal significato ambiguo!
“...me l'avresti indicata comunque” puntualizzò
lei, cogliendolo in errore
Ma
il nano fu abile a rimediare “Proprio per questo sarebbe un
gesto particolarmente magnanimo da parte tua.”
“No”
sbottò lei. Ma la prendevano tutti per cretina? Adesso avrebbe
dovuto regalare a uno sconosciuto un suo bracciale tanto per essere
magnanimi? L'odore d'imbroglio era pesante. Ma non capiva se fosse la
natura del nano o se fosse pilotato. All'ingresso le era parso che
fosse un tipo che preferisse evitare gli scontri diretti, le beghe,
che prediligesse la tranquilla monotonia delle cose sicure e
immutabili. “Ascolta...se non puoi portarmi al centro, dov'è
il castello, portami fin dove puoi. Da lì me la caverò
da sola.” contrattò
Fingendo
disinvoltura, cercando di concludere l'immaginario baratto in atto,
Hoggle domandò “Beh ma comunque...di cos'è che
è?” chiese indicando il monile.
Lei
lo fissò, incerta se dirgli la verità: l'avrebbe
scoperta comunque, no? “Plastica” disse con un tono che
esprimeva ovvietà e rassegnazione.
Eppure
Hoggle ne era affascinato. Forse nell'Underground era una materia
rara. “Ohh” gli si illuminarono gli occhi intanto che si
accingeva a prenderglielo dalle mani. “Bada, però...”
disse ritornando in sé e ricomponendosi. Non voleva ammettere
con se stesso di essere così veniale e mascherava tutto come
finta accondiscendenza “Non ti prometto nulla...ti porterò
fin dove posso e poi vai da sola.” Eppure a Sarah quel tono
arrogante era familiare. Perché Hoggle cercava di fare tanto
il gradasso se in realtà era tanto gentile e cordiale?
“D'accordo?”
“D'accordo!”
decise di accettare il patto per quello che era. Senza aspettarsi
realmente nulla.
“D'accordo...”
confermò lui, prendendo il cerchietto e rigirandoselo tra le
grosse mani, immerso nella contemplazione “Wow...plastica...Che
affare!”
La
ragazza ebbe improvvisamente l'illuminazione, mentre il nano si
avviava a mostrarle il trucco magico per uscire da quel posto: il Re.
Ecco chi gli ricordava. Il re era la figura più potente
laggiù. Ed era, forse, naturale cercare di imitare colui che
governava. Se non per arrivare al suo livello, almeno per darsi un
tono, per convincersi di essere migliori di quello che si era. Solo
che il bel mago era perfido: le aveva rubato il fratello nonostante
le suppliche di sciogliere il patto. Hoggle, pur tra mille
contraddizioni, era andato ad aiutarla. Ecco cosa le suonava strano
in tutto il loro dialogo. Non c'era alcun imbroglio. Era lei che
vedeva quell'uomo attraverso le parole del nano. E dato che le parole
che aveva in mente e l'immagine che i suoi occhi le rimandava erano
in contraddizione tra loro, aveva risolto tutto come se si trattasse
di un tranello.
Finalmente,
dopo un primo errore, Hoggle riuscì ad aprire il varco giusto.
Sarah ridacchiò tra sé, per il nervoso, dandosi della
stupida per aver dubitato del nano che seguì fiduciosa
attraverso la piccola porticina ricavata da un asse nascosta nel
pavimento e addossata poi al muro.
*E'
chiamata “Isola dei sogni” la discarica pubblica di
Tokyo, costituita solo di rifiuti.
**Il
gioco delle due porte è in realtà un paradosso logico:
le soluzioni possibili sono 4: due sono quelle che cita Sarah. Ma due
sono risposte esattamente contrarie, perché tutto dipende da
cosa c'è effettivamente dietro le porte: i guardiani non lo
sanno ;)
Per
approfondimenti:
http://www.finanzainchiaro.it/dblog/storico.asp?s=Logica+e+Giochi
http://www.nemesi.net/mentitore.htm
***
nella versione italiana lei dice “Non lo sapevo”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ciao
a tutti,
rieccomi
qui...non ce l'ho fatta ad aspettare domani o dopo: se non posto non
riesco ad andare avanti..e ne ho bisogno...oddio..sono malata -come
ha constatato anche Jessica80 dal mio commento- XD
Allora,
capito il gioco delle 2 porte? :D Sì, in sostanza, anche
Sarah si era sbagliata.
Ditemi
cosa ve ne pare di Jareth: da qui in poi, come vi avevo
preannunciato, mi è sfuggito un po' di mano e sembra delirante
e contraddittorio. Ho paura di finire OOC...mi vorrete bene lo
stesso? E, sempre da ora in avanti, infilerò, velatamente in
modo da non cambiare la trama originale, accenni a
cose/eventi/situazioni etc che saranno alla base dello sviluppo
successivo del continuo (Si, sono drogata, ci sto già
lavorando...ma solo facendo così riesco a giustificare alcune
cose ora, nella storia originale.)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Trappola nel tunnel ***
6.
Trappola nel tunnel
Jareth
fissò la sfera, allibito. Sul bel volto un misto di disgusto e
delusione. Uno dei Goblin che lo circondavano espresse i pensieri del
Re ad alta voce, quasi leggendogli nella mente, e imprecando in modo
colorito. “Traditore!” ringhiò
Già.
Il sovrano si era distratto un attimo, convito che il nano avrebbe
eseguito le sue indicazioni alla lettera, troppo spaventato dalla
furia regale. Invece, in qualche modo, Troggle si era fatto
convincere da quella ragazzetta. Che gli avesse fatto gli occhi
dolci? Improbabile: per quel che ne sapeva lui non era il tipo da
fare la civetta, anche se davanti allo specchio, da sola in camera
sua, si atteggiava a donna vissuta. Il nano, poi, non avrebbe dovuto
essere minimamente interessato a cose del genere.
L'aveva
minacciato! Era l'unica soluzione, anche se ancor più
improbabile, visto il suo carattere sanguigno. No, non era possibile.
Più osservava il volto fiducioso di Sarah, che trotterellava
sicura alle spalle di quella creatura, più si arrovellava su
come avesse fatto a convincerlo a non portarla al punto di partenza.
Il nano conosceva bene i percorsi del regno, essendo il giardiniere
reale: non poteva essersi perso.
Il
bel re strizzò gli occhi concentrato: stavano oltrepassando
tutti i dissuasori senza badarli della benché minima
attenzione. Se l'avesse condotta troppo vicina al castello, in troppo
poco tempo, lei avrebbe rischiato di riuscire a trovare il fratello e
a scappare. Doveva fare qualcosa!
In
un gesto rabbioso, si buttò il mantello sulle spalle con
movimento circolare. Confuso in quel vorticare di drappi, scomparve
dalla sala del trono per riapparire in uno dei corridoi sotterranei,
scanalati nel mezzo da una rotaia per permettere il deflusso delle
acque nere, in sostituzione a fogne vere e proprie, che collegavano
tra loro le segrete, i dimenticatoi, il labirinto e anche il
castello.
Si
guardò attorno: non li avrebbe attaccati direttamente, dando
loro l'impressione di essere il centro del suo mondo (anche se la
cosa che era effettivamente vera, al momento). Avrebbe, invece, teso
loro una sorta di imboscata, come se li aspettasse al varco, quasi
sapesse e si aspettasse un comportamento simile. Voleva proprio
vedere come si sarebbero comportati, se l'avrebbero riconosciuto, se
il senso di colpa li avrebbe sfiorati minimamente. Entrambi,
ovviamente: una per l'imbroglio che cercava di rifilargli, uno per il
tradimento. Il nano. Oh, il nano l'avrebbe pagata davvero cara. Già
aveva nel fianco la spina della vicinanza che Sarah aveva cercato di
stabilire con lui. Lui, uno stupido nano ripugnante! Cosa mai poteva
avere di interessante?
Ma
soprattutto...dove si erano cacciati? Avrebbero già dovuto
essergli passati davanti da un pezzo! Constatò la loro assenza
con uno schiocco di lingua e la punta dello stivale cominciò a
battere impaziente per terra, sollevando piccole nuvolette di
polvere. Sbuffò seccato e si decise a mandare una sfera in
perlustrazione. Il piccolo cristallo scivolò a terra e
cominciò a rotolare per tutti i cunicoli. Infine, intercettò
i due fuggiaschi in una galleria lì vicino, intenti a dar
corda e soddisfazione a uno dei falsi allarmi.
“Oh-o...”
mugugnò Hoggle vedendo il cristallo scivolare silenzioso sulla
terra polverosa alle loro spalle. La presenza di quella sfera non
lasciava presupporre nulla di buono: se era lì, il re non
doveva essere molto lontano. Dal punto in cui si trovavano, erano
obbligati a seguire un certo tratto di condotti e Hoggle ne avrebbe
fatto volentieri a meno. La paura di incontrarlo gli stava
annebbiando il cervello.
Sarah,
invece, dimentica di aver già visto prima quell'oggetto, lo
seguì ipnotizzata. Camminarono per qualche metro finché
il corridoio non sfociò in un altro che lo tagliava
perpendicolarmente. Seguirono il percorso della sfera con gli occhi e
la videro scivolare ai piedi di un mendicante per poi saltargli nel
bicchiere.
“Che
succede qui?” domandò la figura ammantata, il becco da
rapace nascosto dall'ombra di un largo cappello, le ginocchia ossute
piegate contro il petto.
Il
nano sobbalzò, terrorizzato. Quello non poteva essere Blind
Pierre*: doveva trovarsi da tutt'altra parte, sull'isola, ed era
impossibile che finisse a vagabondare per i sotterranei. Era assurdo
che si trovasse lì. E quindi, non poteva essere altri che il
re che, presone le sembianze, giovava al gatto col topo. Trovarselo
davanti così, piuttosto che troneggiante furioso, era forse
più inquietante, segno di una rabbia meditata e quindi più
grande e pericolosa di una sfuriata improvvisa quanto momentanea.
“Niente!”
deglutì il nano arretrando e andando a sbattere contro la
parete.
“Niente?”
domandò la voce. Sarah era perplessa: non capiva l'improvviso
panico del compagno e spostava lo sguardo tra lui e il nuovo
personaggio davanti a loro. “Niente?” tuonò la
voce che le suonava, ora, stranamente familiare. La figura trasmutò,
ingigantendosi. Il mantello, insieme a cappello, maschera
carnevalesca e corpicino in tromp-d'oeil, sferzò l'aria. Gli
occhi azzurri spaiati del mago guizzarono sui due intrusi con ferocia
ma si soffermarono glaciali sul nano “Niente...” ripeté
gettando a terra, con rabbia, il proprio travestimento “...Trallalà?”
Quello
che voleva essere uno scimmiottamento di scherno, l'immagine quasi
stereotipata del nano ingenuo che si aggira spensierato per i meandri
del sottosuolo dell'Underground per mano con la sua bella, suonò
come una maledizione balbettata a fatica e di cui sembrava non
ricordare le parole.
“Oh,
maestà!” sibilò il nano, accennando un inchino
“Che maestosa sorpresa!”
A
Jareth non sfuggì il leggero sarcasmo che trapelava dalla sua
voce “Salve, Gorgoglio” Rispose educato il sovrano,
canzonandolo. Lo stava avvisando di misurare le parole: qualunque
cosa avesse detto per discolparsi, per lui sarebbe stato un
cicaleccio indistinto. E la sua fine sarebbe stata a gorgogliare sul
fondo di qualche stagno o affogato nel suo stesso sangue.
“Hogwarts”
lo corresse prontamente Sarah. Da dove lo tirava fuori il coraggio di
sfidarlo così apertamente? Il suo modo irriverente di
parlargli, fin dal primo scambio di battute, rasentava la
maleducazione. Ma arrivare a correggerlo come un bimbetto,
sbagliando, per altro, anche lei? Soprattutto, dopo essersi
appiattita anch'ella al muro per lo spavento, quando si era tolto il
travestimento... Jareth strizzò gli occhi, colpito da un altro
pensiero: era già la seconda volta che la sentiva nominare
Hogwarts**: se era tanto stupida da non saper risolvere il labirinto,
come faceva a sapere di quel posto? Erano pochi gli umani che lo
conoscevano. E le loro conversazioni con altri umani erano ben
controllate, per evitare che trapelassero informazioni.
“Hoggle!”
Ribatté il nano indispettito. Non era poi così
difficile, come nome, perché tutti glielo storpiavano? Poteva
capire il re...ma Sarah?
“Hoggle...”
balbettò il bel biondo, guardando la ragazza di sfuggita. Le
sarebbe sembrato che fosse caduto in fallo ma era solo tremendamente
seccato per la libertà con cui si era permessa di riprenderlo
“Non sarà che stai aiutando questa ragazza?”
“Io?
Ma in che senso?” era così smaccatamente falso che anche
un Goblin avrebbe capito che era stato colto in flagrante.
“Nel
senso che la stai portando verso il castello!” precisò
il re piantando le mani guantate sui fianchi, mostrando tutta la sua
autorità in atteggiamento di sfida.
“No
no...” disse come sollevato “Io la stavo conducendo al
punto di partenza, maestà” rispose indicando il
corridoio che si snodava ora alle loro spalle. Da lì,
effettivamente, si poteva anche tornare al cancello.
“Cosa?”
sbottò Sarah inviperita. Jareth osservò attentamente la
sua reazione. Era più arrabbiata che ferita dal tradimento.
Forse era così abituata che quasi se l'aspettava ma non voleva
vederlo? D'altronde, la sentì rimproverarsi per non essersi
assicurata una risposta inequivocabile dal nano. Oppure malediceva la
propria bontà e la propria propensione a fidarsi di chiunque?
D'altra parte, anche se non allo stesso modo, si fidava anche di lui,
del re di Goblin: credeva che rispettasse i patti, quando, invece,
come tutti i Goblin, giocava sporco. Infondo, non avevano mai
concordato sull'uso di imbrogli e sotterfugi.
“Le
avevo detto...” proseguì tranquillo il nano bugiardo,
facendo finta che la ragazza non fosse neanche lì con loro
“...che l'avrei aiutata a superare il labirinto: un
macchiavelletto di mio conio, Sire...” Jareth si era chinato
alla sua altezza per sentire bene la confessione del suddito e
fissarlo dritto negli occhi, in modo tale che non potesse distogliere
lo sguardo nel caso gli stesse mentendo. La sua attenzione, però,
fu catturata dal polso della creatura che continuava a gesticolare le
sue scuse. “Ma in realtà...”
“Sì,
certo...” lo interruppe il re, seccato “E dimmi...cos'è
quella roba di plastica che hai attorno al polso?” il tono e
l'espressione si erano fatti volutamente schifati. Il re sapeva
benissimo cosa fosse e da dove saltasse fuori: Hoggle si era venduto
per un braccialetto. Aveva venduto il suo re per un miserrimo
braccialetto. Di comunissima plastica, per giunta. Era l'affronto
peggiore che gli potesse essere mosso.
Il
nano nascose automaticamente le mani dietro la schiena, strabuzzando
gli occhi per la sorpresa. Era la conferma di quanto aveva pensato.
Lo vide riportare le mani in avanti, come se avesse capito l'errore
fatto e cercasse di rimediare, fingendo di cercare l'oggetto
incriminato con curioso interesse “Oh, questo! Oh Mamma mia...”
bofonchiò in preda al panico “Da dove salta fuori?”
Più del tradimento, fu un altro il pensiero che irritò
Jareth: Sarah, quella scriteriata, aveva ceduto il suo bracciale -
parte del suo potere, della sua essenza - a un essere vile come un
nano. Jareth si domandava fino a che punto fosse consapevole di
quello che avesse fatto: ogni gesto, nell'Underground molto più
che nel mondo umano, aveva un suo specifico significato e valore. Da
quel momento in avanti avrebbe dovuto tenere Hoggle ancora più
sotto osservazione: non c'era da dubitare che venisse influenzato
dalla fanciulla e il nano, che collezionava monili, conosceva bene il
valore di quegli ammenniccoli, più potenti e significativi di
un trofeo. Ma Sarah... Ora era anche più debole, senza la
protezione di quel talismano. Strizzò gli occhi, accigliato,
cercando di prevedere gli sviluppi futuri della vicenda ma per il
momento doveva dedicarsi al traditore. Si rimise in piedi, svettando
in tutta la sua altezza, imprimendo al suo corpo tutta l'autorità
di cui disponeva ed enfatizzando la differenza di rango. Il nano era
colpevole e cercava di fregarlo, di raggirarlo. Lui, il re! Aveva
segnato la sua condanna a morte. Se non fosse stato per Sarah,
presente alla scena e a cui non voleva dare un'immagine troppo
truculenta di sé “perché non si sa mai!”,
gli avrebbe spezzato il collo in un sol colpo, lì, su due
piedi. “Fregol..” sibilò minaccioso. La giacca
asimmetrica, che richiamava parti di armatura vinte a qualche nemico
(come i pantaloni che sembravano fatti con la pelle di qualche
trofeo) e che aveva le fibbie della stessa foggia del suo medaglione,
lo rendeva ancora più terrificante.
“Hoggle...”
lo corresse educatamente e timidamente l'altro
“Sì...”
accennò il biondo sovrano, seccato dall'ennesima
puntualizzazione: non si ricordava i nomi di tutti i suoi sudditi. E
cosa doveva mai importagliene, a lui, di quelle schifose creature?
Era già tanto se ricordava, vagamente, come suonavano “Se
pensassi per un istante che tu mi stavi tradendo...” scandì
avanzando lentamente e schiacciando con la sua presenza il colpevole
che lo guardava terrorizzato da sotto in su “...Sarei
costretto...”
“Non
per mio divertimento...” pensò sadico
“E' il mio ruolo che lo impone!”
“...ad
appenderti a testa in giù nella Palude*** dell'Eterno Fetore”
concluse secco: doveva decidersi, scriteriato di un nano, da quale
parte stare.
A
quella minaccia, il nano impallidì e si buttò ai suoi
piedi supplichevole, pregando di venire risparmiato. Ma il re era
irremovibile. Aveva la certezza che quel viscido doppiogiochista
l'avesse tradito. Lui poteva pure capire il tradimento e il dubbio.
Ma non il tradimento del tradimento. Né il dubbio fine a se
stesso che non fosse supportato dall'esigenza di capire. A testa in
giù, liberato dagli impicci del piccolo e tozzo corpo, avrebbe
usato un po' quel cervello da gallina e si sarebbe schiarito le idee.
Ma era anche vero che era un bravo giardiniere. Forse l'unico nel
regno. Inoltre, era un esule, come lui. Era l'unico nano che si fosse
dato disponibile a lavorare per creature abominevoli, violente,
sporche e caotiche come i Goblin. Quindi, concedergli una possibilità
di redenzione era d'obbligo. Se non voleva che il regno sprofondasse
divorato dai rovi. Lo cacciò con una pedata, costringendolo in
tutta la sua piccola nullità a comprendere quale fossero il
suo posto e il suo compito. Sistemato il più facile dei due,
si voltò per dedicarsi alla ragazza che, impietrita, aveva
seguito silenziosa tutta la scena senza intervenire. A parte per
rimbeccarlo e correggerlo. Ma l'occhiataccia che lui le aveva
lanciato, invitandola a non intromettersi, doveva essere stata
sufficientemente eloquente. Aveva taciuto. Non aveva cercato di
difendere la sua guida, forse vinta dalla rabbia e dalla delusione,
forse perché, vigliaccamente, come il nano, non voleva
sporcarsi le mani con qualcosa che aveva perso, ai suoi occhi, ogni
valore in pochi istanti. Il tradimento la divorava. Era una
stilettata che si andava a sommare a tante altre e lei era sull'orlo
del precipizio. Una spinta ancora e si sarebbe chiusa per sempre a
riccio, cacciando chiunque dalla sua esistenza.
“E
tu, Sarah...” l'apostrofò con arroganza, le mani
incrociate con cura dietro la schiena, andandole vicino “Che te
ne pare del mio labirinto?”**** domandò, con l'accenno
di un sorriso complice sulle labbra, una volta che le fu così
vicino da poter quasi udirne il battito delle ciglia. La fissò
dritto e senza esitazioni nei chiari occhi verdi, sgranati per la
sorpresa di quell'inaspettata vicinanza, che a loro volta lo
osservavano con attenzione. Stranamente sperava che capisse il suo
divertimento, che lo approvasse. Sperava che avessero qualcosa da
condividere. E lì, a un soffio dalle sue labbra, naturalmente
rosate e turgide in tutta la loro invitante giovinezza, gli sembrava
quasi possibile.
Per
un attimo si vide colmare quei pochi centimetri che li separavano e
farla sua. Immaginò che lei ricambiasse, si abbandonasse a
lui, senza opporre, ancora, resistenza.
Spostava
lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, tentato e indeciso. Ma
sapeva anche che non avrebbe mai soddisfatto in modo tanto diretto e
semplice i propri desideri. Era lui, in realtà, a non voler
cedere. Voleva che la prima mossa toccasse a lei: sarebbe stata lei a
tirarlo a sé, dimostrandosi debole e smaniosa. Solo allora
avrebbe lasciato che quello che teneva incatenato dentro di sé,
qualunque cosa fosse, si manifestasse.
Interruppe
i suoi vaneggiamenti quando Sarah dischiuse le bocca per
rispondergli. E la risposta ne calmò i bollenti spiriti come
una doccia gelida.
Aveva
soppesato la domanda, cercando di fare attenzione alla risposta che
avrebbe dato. “Come bere un bicchier d'acqua” disse,
infine, mordicchiandosi le labbra. Stranamente, quel perfido essere
allucinante la intrigava. E in un modo così particolare che
non sapeva dire se avesse mai provato nulla di simile prima. Voleva
sfidarlo, essere all'altezza delle aspettative che lui nutriva su di
lei. Se si fosse mostrata arrendevole e scoraggiata, lui non le
avrebbe certo rivolto quello sguardo carico di interesse, ne era
certa. Si sorprese nel constatare che tutto ciò che voleva,
realmente, era un briciolo d'attenzione. Cercò di ricomporsi:
era l'uomo che teneva in ostaggio suo fratello e, decise, gli avrebbe
dato filo da torcere. In ogni caso.
Eppure,
trovarsi intrappolata tra le braccia di quell'uomo, con le spalle
letteralmente al muro, non le sembrava una cosa tanto pericolosa, a
cui avesse dovuto prestare particolare attenzione. Avvertiva
distintamente il lieve profumo speziato che si spandeva da quei
capelli biondi mescolato a quello del cuoio della giacca bordeaux
asimmetrica e ne era quasi drogata, tanto era invitante.
Hoggle,
dall'altra parte del canaletto di scolo del tunnel composto da una
singola rotaia, era sull'orlo della disperazione: il re era già
abbastanza alterato per il suo comportamento e Sarah continuava a
sfidarlo. Non accennava a retrocedere di un passo. Non era neanche
malleabile, possibilista. Era a dir poco granitica. Stupida umana
cocciuta e ignorante.
Ma
Jareth era rimasto affascinato da tanta audacia. Nonostante la
spavalderia dimostrata, però, non l'aveva guardato in faccia
ma aveva abbassato lo sguardo per poi, solo dopo, tornare a
guardarlo, spiando la sua reazione. La sua vicinanza la intimoriva?
Inibiva? ...Imbarazzava? Ne era a dir poco lusingato. Come qualche
ora prima, sulla collina, gli venne voglia di stuzzicarla. Era,
effettivamente, un bel passatempo. Provava una strana attrazione per
lei. E al contempo non desiderava altro che farle i dispetti. Ma
questi, di quando in quando, lo facevano stare in pena per lei. Come
un bambino capriccioso. Forse, si ripeté, a stare coi Goblin
aveva assunto qualche loro tratto peculiare. “In realtà
la vuoi davvero come regina” gli disse una vocina dai
recessi più profondi della sua mente “Per quello
desideri che sia migliore di quello che ti appare e ti preoccupi per
lei quando sei tu stesso a cacciarla nei guai. Ma ogni suo fallimento
ti riporta alla realtà: è una bambina, ancora. E allora
la punisci. Ma non fai altro che insegnarle la strada e temprarne la
fibra. Sta imparando, vedrai che sorprese ti riserverà...Sa
molto!”
“Davvero?”
chiese in un sussurro, divertito. I lunghi capelli biondi
scompigliati erano illuminati dalla luce che arrivava alle sue
spalle, tenendo il volto in ombra, il che gli conferiva un aspetto
ancora più minaccioso. E conferiva a quella constatazione
incuriosita una nota di scherno che lui non intendeva imprimergli. La
ragazza era davvero caparbia e se la intendevano alla grande, più
di quanto non osasse immaginare: anche a lui, quel labirinto, era
sempre sembrato troppo semplice. “E che ne diresti se
complicassimo un po' le cose?#” Propose, sicuro che lei avrebbe
apprezzato. D'altronde era quasi arrivata a destinazione, poteva
concedergli qualche brivido. Sì, la sua futura regina non
poteva non apprezzare tutto quello che lui stava faceva per lei,
tutto ciò che le proponeva: non solo aveva architettato tutto
il labirinto appositamente per lei, ma l'aveva anche liberata dal
dimenticatoio, assecondava i suoi capricci e non le aveva mai torto
un capello.
Si
staccò baldanzoso da lei e fece comparire l'orologio: segnava
le 5 e venticinque. Ora Sarah sapeva quanto aveva vagabondato per il
labirinto ma ancora non la posizione in cui si trovava. Puntò
le dita verso il quadrante e cominciò a ruotare il polso in
senso orario. Le lancette presero a girare vorticosamente in avanti,
mangiandole minuti e ore preziose.
“No!”
protestò lei, allibita “Non è giusto!” Come
aveva potuto credere per un solo istante che quell'uomo potesse
essere diverso da quello che aveva pensato fino a quel momento?
Lui
si fermò serrando il pugno, seccato. “Lo dici così
spesso...” mormorò deluso e frustrato, tornando a
guardarla. Rimuginò sui suoi precedenti ragionamenti: aveva
forse preso un abbaglio? Ora, l'orologio segnava le otto e quaranta:
le aveva rubato solo tre ore e mezza. Tre ore e mezza che, seguendo
il nano, si era risparmiata: aveva barato. Tre ore e mezza sottratte
con l'imbroglio. E veniva a lamentarsi da lui su questioni di equità?
Lui aveva solo pareggiato i conti, niente di più. E dire che
voleva movimentare le cose “Mi domando quale sia il tuo metro
di paragone...” sibilò allontanandosi e dandole le
spalle. Giunto all'imboccatura del tunnel che si inseriva in quello
dove stavano loro, si voltò nuovamente verso di lei, scuro in
volto. Odiava quel suo carattere altalenante: prima il labirinto era
troppo facile, poi troppo difficile. Le avrebbe dato volentieri due
schiaffoni per rimetterle la testa a posto e farle capire quanto
fossero assurde e contraddittorie le cose che blaterava. Ma si era
ripromesso di non prendersela più direttamente con lei.
L'episodio del loro primo incontro era stato un tremendo passo falso,
aveva perso le staffe per un nonnulla e reagito in modo esagerato.
Non
doveva nemmeno sfiorarla. Per nessun motivo.
Così
come non doveva toccare le sfere. Esattamente per lo stesso motivo.
Doveva
cercare di darsi una calmata e doveva chiarirsi: cosa voleva da se
stesso? E da lei? Voleva una donnetta che morisse ai suoi piedi o una
che gli tenesse testa, che lo affrontasse alla pari e che non si
lasciasse strattonare come un pupazzo? Certo era che era ancora
troppo immatura per i suoi gusti. Aguzzò la vista e rise tra
sé: le avrebbe complicato l'esistenza fino a fiaccarla
definitivamente. Si morse la lingua pensando che era stato proprio
lui a liberarla: poteva tenerla a marcire nelle segrete per qualche
ora! Che cosa gli era passato per la testa quando le aveva mandato il
nano? Poteva lasciarla al buio, in preda alla solitudine,
all'autocommiserazione e all'umiliazione! Ma a lui piacevano le sfide
e gli piaceva ancora di più vincerle. Specie se la controparte
non si fletteva davanti a lui. L'avrebbe spezzata, voleva una
vittoria totale. “E così il labirinto è come un
bicchier d'acqua, eh? Vediamo come affronti questo piccolo sorso...”
disse mimando la pochezza della novità. Quindi, con un
movimento fluido, si fece comparire tra le mani una sfera di
cristallo. La fissò tra l'annoiato e l'irritato. Quindi la
lanciò, con tutta la rabbia che aveva in corpo, nel buio del
cunicolo alle loro spalle.
Nel
punto in cui la sfera toccò il pavimento sabbioso, si
materializzò all'istante la punta di una turbina che avanzava
ruotando le punte e le propaggini in ogni verso, quasi le improbabili
schegge di vetro, schizzate per il cunicolo al momento dell'impatto,
fossero tornate a ricomporsi su una struttura di volume decuplicato.
“Oh,
no!” mormorò il nano, alzatosi in piedi e avvicinatosi
alla ragazza. Erano rimasti soli. Il mago era sparito. Troppo
concentrati su quello che avveniva nel tunnel, non l'avevano badato
eccessivamente e non avrebbero saputo dire se si fosse
smaterializzato o se si fosse solo messo in salvo da qualche parte.
“Gli spazzini!” gemette voltandosi e cominciando a
correre.
“Cosa?”
chiese Sarah, perplessa. Quello che andava loro incontro non aveva un
aspetto amichevole ma era il caso di preoccuparsi?
“Corri!”
Urlò Hoggle già lontano. Sarah non protestò,
girò su se stessa e cominciò a correre, raggiungendo il
nano con poche falcate.
*Blind
Pierre è il cammeo di uno dei Muppets Treasure Island
**
Nella versione originale pronuncia davvero Hogwarts (l'altra
occorrenza è all'ingresso del labirinto, quando lui si rifiuta
di darle una mano), tanto da far pensare a molti che la Rowling, per
al sua notissima scuola di stregoneria, oltre a che a una specie di
giglio sfigatino, si sia “agganciata”, citandolo quasi
come un cammeo, proprio a Labyrinth.): quindi una velatura di
Crossing ci sta ;) Al di là dei prestiti, potrebbe voler dire
effettivamente “Verruche di Cinghiale” e ciò
spiegherebbe l'irritazione del nano: Jareth, più avanti (nella
scena con la pesca) nella versione italiana, definisce Hoggle
“Verruca repellente” (Scab:
piaga o scabbia/rogna, sempre un'escoriazione/epiteto poco
piacevole). E, ai lati del cancello di HP, ci sono, in
effetti, due cinghiali alati. Ancora, il fatto che lui non distingua
la plastica da gioielli veri la dice lunga e potrebbe richiamare il
“dare le perle ai porci” (to cast pearls before swine).
Altra teoria, legata però alla fissazione della Rowling per
gli anagrammi, sarebbe ghost war. Comunque nulla di carino.
Su
nome e nomignoli vari che gli vengono affibbiati dai due, comunque,
si potrebbe scrivere una tesi: Hedgewart (Spiepe+verruca: è un
giardiniere e Jareth, come scrivo io, dubito possa ricordarsi il nome
di tutti quindi va per associazioni tra il lavoro e l'aspetto
“foruncoloso”): io ho mantenuto la versione di “Gorgolio”
per gestire l'irritazione di Jareth...con l'altra versione sarebbe
stata più difficile fare un gioco di parole simile; Higgle
(voce arcaica di Haggle, contrattare/spacciare, tradotto con Fregol
quando cerca di depistare Jareth nelle fogne: chi contratta, tira al
ribasso cercando di FREgare la controparte. Ma ancora Hug+Giggle:
abbraccio+risata nervosa...e Hoggle è nervoso); Hoghead (Testa
di cinghiale. Nella scena della pesca avvelenata, quando vuole andare
a salvare Sarah e Jareth imita, mano alla gola, quello che a me è
sempre sembrato il verso di un impiccato e quindi, presumibilmente,
una minaccia di finire come trofeo, con solo la testa, sopra un
caminetto come un cervo), Hogbrain (Cervello di maiale, credo inteso
come il nostro 'cervello di gallina'. La scena è la stessa di
prima, quando si preoccupa che la pesca non le nuoccia, tradotto con
Goglodita, molto simile a Troglodita).
***
Bog è Palude, che è quello che effettivamente si
scoprirà essere. Gora vuol dire strapiombo,
precipizio.
****E' la traduzione più fedele di “How
you enjoying my labyrinth?” (Enjoy=apprezzare). Le sta
chiedendo un parere e sottintende altre domande: “è
abbastanza complicato?” “Soddisfa le tue aspettative?”
(visto che la presuntuosetta pensava di impiegarci poco, lui vuole
rimarcare il concetto). La traduzione data, “ti diverte il mio
labirinto?” da una punta più sarcastica di quanto non
sia in realtà: “ti ho chiusa qui dentro, è una
tortura, lo trovi -ancora- divertente?”
#
Allora, qui non sono proprio sicura al 100% ma ho considerato il
conteso in cui compare “Upping the stakes”. Intanto,
alzare “la posta in palio” vuol dire caricare il piatto
della vincita, indipendentemente da chi vinca. In questo caso, la
vincita resta invariata (il bambino), cambiano i parametri. Visto che
“Stake” (in originale usato al plurale!) vuol dire sia
“posta in palio” che “rischio”, “paletto”
e considerando che per dire “alzare la posta in palio”
normalmente si usa “raise” e non “up”, credo
che il vero significato fosse proprio quello di “Ti complico la
vita”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - - -
Scusate
la corposità delle note: sono sottigliezze ma, anche se di
poco, secondo me fanno la differenza. E poi a me sembra tanto una
caccia al tesoro :)
Per
quel che riguarda questo capitolo, per quanto sia una scena
importante nel film per lo sviluppo del rapporto tra Jareth e Sarah,
non sono affatto soddisfatta di come l'ho resa: in quei pochi momenti
di vicinanza avrei voluto far passare nel loro cervelli pensieri un
po' più consistenti, ma niente. Alla fine metto più
esche in punti più neutrali che non in quelli nevralgici... Mi
deludo da sola. Infierite pure! XD
Infine,
volevo avvisarvi che -forse- riesco a far star tutto in 13 capitoli
giusti giusti :) così, un numero a caso :D
Ci
sentiamo la prossima settimana.
Un
abbraccio a tutti quelli che mi seguono!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Presa di coscienza ***
7.
Presa di coscienza
“Ma...
Sire...” protestò debolmente un Goblin.
Jareth
era ritornato al suo palazzo. Buttando il mantello in un angolo della
stanza era andato a prendere Toby che era, ormai, nuovamente sveglio.
Lo cullava teneramente, quasi quel continuo ondeggiare, insieme alle
carezze di cui lo riempiva, potesse lenire il suo malessere. Sì,
lui stava male. Aveva lo stomaco e la gola chiusi. Era la prima volta
che la rabbia gli faceva quell'effetto. La prima volta che lo faceva
sentire così triste. Si sentiva solo. Era come se fosse stato
abbandonato. Aveva agito, ancora una volta, sull'onda delle emozioni
e aveva firmato la propria condanna. Aveva deciso di cacciare quella
ragazza, che tanto lo confondeva, e così facendo aveva anche
cacciato...cosa? Si era immaginato il castello improvvisamente
ordinato e pulito, ricoperto di fiori e invaso da una tenera luce
dorata. Ora, più che la solitudine temeva il persistere dello
squallore a cui era ormai abituato. Affetto. Ecco a cosa aveva appena
voltato le spalle: alla possibilità di provare e ricevere
affetto.
Strinse
a sé il bambino, perché gli passasse un po' del suo
calore e della sua serenità. Era tornato al trono e vi si era
rannicchiato: lo sentiva come una tana, un nido; si sentiva protetto
in quella forma circolare e ovattata dal grande schienale. Sempre
tenendo stretto il bambino, aveva fatto comparire una sfera da cui,
immediatamente si era levato un feroce clangore metallico e le urla
dei due fuggiaschi erano riecheggiate in tutta la sala, ammutolendo
gli astanti. Osservava la scena immerso in uno stato catatonico senza
realmente vedere la realtà. Quella che correva, rossa in volto
per lo sforzo e col fiatone non era che un'umana, una concorrente
qualunque. Non la sua Sarah. Sì, ormai, per quanto fosse
passato poco tempo, la sentiva come sua. E se lei lo rifiutava,
allora non sarebbe stata di nessun altro!
Al
loro passaggio le luci si accendevano automaticamente. Le gambe
lunghe della ragazza le consentivano una velocità che nani e
Goblin potevano solo sognarsi. Aveva afferrato la sua guida per mano,
cercando di tirarselo dietro, di passargli un po' di quel vantaggio.
Ma il nano, con le sue gambette corte, spinto a una velocità
non sua, incespicava frequentemente e cadde più d'una volta.
Gli spazzini avanzavano inesorabili con le turbine a pieno regime.
“Sire!
La ragazza...” stava protestando il Goblin allarmato.
“Gli
spazzini...rischiano di stritolarla..” disse un altro
“E
allora?” il suo sguardo, come la sua voce, era gelido e piatto,
privo di vitalità: non si stava divertendo né era
eccitato dall'imminente massacro. Ma non era nemmeno dispiaciuto. E
la sua corte con lui.
“Ma...”
cercarono di protestare quelli, non sapendo bene cosa dire.
“Se
muore è meglio per noi, no? Perché vi preoccupate
tanto? Non siete contenti?” domandò indispettito
“Ma...Sire...
noi pensavamo che lei...che Voi...”
“Cosa
stai insinuando, immonda creatura? A me basta che questo bambino
sopravviva e diventi mio erede. Nient'altro. Lei è solo un
passatempo. Di cui mi sono già stancato, tra l'altro. E'
terribilmente ripetitiva...” Ma cosa cercava di spiegare a uno
stupido Goblin? Era impazzito per abbassarsi al loro livello e a
litigarci? A lui, di Sarah, non importava nulla. Proprio così.
Lei non si piegava a lui ma lo affrontava. Osava, addirittura,
sfidarlo e umiliarlo correggendolo. Per non parlare di come lo avesse
rifiutato più volte. Lui!
Per
scherzo, lo ammetteva, aveva provato a sedurla, in modo molto blando.
Non si era certo impegnato, si giustificò. Ma lei nicchiava
comunque, faceva finta di nulla, lo trattava come se ogni suo
comportamento non avesse altri scopi se non tentare di intimidirla.
Tentare, perché sembravano sforzi vani.
Cominciava
a dubitare del proprio fascino. Che fosse invecchiato? Che avesse
perso ogni attrattiva? Trecento anni mortali erano forse così
evidenti agli occhi degli umani?
Di
sfuggita, vide Sarah notare la porta murata che nascondeva l'uscita
di sicurezza secondaria e buttarsi a forzarla in un tentativo
disperato di salvarsi.
Stava
per schioccare le dita, per convocare una cortigiana per verificare
se su altre donne, che non fossero Sarah, esercitava ancora un
qualche ascendente. Si fermò, con le dita della mano libera
sospese a mezz'aria, già unite tra loro, pronte allo schiocco,
quando sentì le imprecazioni del nano.
“Gli
Spazzini e la Palude dell'Eterno Fetore...di certo hai destato il suo
interesse”* Fu il tono nella voce del nano e il messaggio
implicito che recava con sé a riportarlo coi piedi per terra.
Sì, certo: quella ragazzetta aveva calamitato il suo
interesse. Ma oltre a essere un'osservazione idiota e ovvia, si
aggiungeva il fatto che quella scriteriata faceva di tutto per
innervosirlo. Riempiva quella ragazzetta di “attenzioni”
e allora? Cosa c'era di male? Era la prima preda dopo secoli: aveva
pur il diritto di divertirsi un po' anche lui, no? Nella voce, però,
gli aveva percepito una nota di gelosia, oltre al pesante sarcasmo.
Il nano era geloso? Questa sì che era bella. Non solo era
geloso, ma lo era di lui! Lui, il sommo, il bellissimo e potentissimo
Jareth. Sperava forse di poter competere? Si riscosse in un attimo e
un ghigno di sfida affiorò sulle sue labbra. Se era un'altra
sfida, stavolta, era più che certo di vincere: non c'era
partita.
Eppure
la freddezza della ragazza lo inquietava e gli faceva temere un
rivale tanto miserabile. Strizzò gli occhi. Era forse gelosia,
la sua, nei confronti di Hoggle? Ghignò amaro “Non
scherzare, Jareth” si disse. In un batter d'occhio era tornato
di buon umore. La reticenza della ragazza non lo angosciava più:
le donne erano strane creature, spesso negavano l'evidenza e in
questo, talvolta, non erano diverse da certi uomini, si rimproverò.
Se lei provava anche in minima parte attrazione per lui, per un
qualunque aspetto di lui, egli l'avrebbe trasformata in un sentimento
più forte. Doveva essere sua. E lei non poteva non essere
attratta dalla sua bellezza, dalla sua forza, dal suo potere,
paradossalmente dalla sua arroganza, dalla sua doppiezza o dal suo
lato oscuro. Lui l'avrebbe incarcerata in quel regno, in un modo o
nell'altro. L'aveva già deciso tempo prima, si ricordò.
E lei si sarebbe innamorata. C'era riuscito quel principe imbecille,
qualche secolo prima, non poteva riuscirci lui?
Jareth
si rabbuiò. Certo...quel mentecatto peloso aveva avuto un
sacco di tempo a sua disposizione, non tredici misere ore. Si
accigliò. Sapeva di non poter prorogare il tempo del gioco. Ed
era altrettanto consapevole che tredici ore, da lui stesso ridotte a
meno di dieci, all'interno di un'esistenza ordinaria, non erano che
un battito di ciglia. Doveva trovare un modo per rimanerle impresso
più di qualunque altro avvenimento. Dieci ore...mezza
giornata. A volte gli umani si dimenticavano vicende di mesi o
addirittura anni, dimenticavano persone conosciute un'ora prima e
fatti strazianti. Ma lui? Quanti secoli erano che vedeva gli umani
affaccendarsi sulla Terra? Cosa sarebbero state per lui quelle dieci
ore? Dieci ore né umane né magiche.
Stava
già ragionando da perdente, si disse. Buttò la testa
indietro, alzando gli occhi al soffitto. Indugiò ancora
qualche minuto su quella prospettiva “Se dovesse finire così,
anch'io me la dimenticherei in breve tempo. O no?” Non era più
sicuro di nulla. Una manciata di misere ore l'avevano destabilizzato.
Era solo un'umana, che diamine. Si sarebbero dimenticati a vicenda?
La risposta era la più ovvia e banale: a meno che uno dei due,
sempre in quella prospettiva assurda, non avesse mantenuto vivo il
ricordo di quelle ore, nel giro di poco tempo, sarebbe stato come se
nulla fosse successo. E altri secoli sarebbero trascorsi uguali ad
altri già passati. No, si disse. Lui avrebbe ricordato. Nella
sua noiosa vita, per quanto breve, sarebbe stato comunque un evento
più che significativo. Magari lo avrebbe rivissuto mille
volte, cambiandone ogni volta il finale, le sfumature: avrebbe finito
per infiorettare il tutto, per meglio accettare il successivo
distacco.
Rimuginò
ancora sul concetto. In realtà gli erano bastati pochi istanti
per decretare che quella ragazza dovesse diventare la sua regina,
quando qualche anno prima, ancora più acerba, l'aveva sentita.
Aveva sentito la sua fede nel mondo magico. Rapito, era salito a
controllare di chi si trattasse. E, per quanto giovane, l'aveva
subito immaginata come una donna adulta. Pochi mesi per lui, un paio
d'anni per lei ed ecco che si era presentata l'occasione per
incontrarla, finalmente.
Pochi
istanti, quella volta. E perché mai? Era un comportamento del
tutto irrazionale e privo di futuro. Ma lui, come giustificazione,
ora aveva il fatto di averla osservata a lungo, prima del richiamo.
Quindi lui la conosceva. E sapeva che poteva essere quella giusta.
Anche se, conoscerla e averci a che fare, non erano proprio la stessa
cosa: aveva scoperto che era più snervante di quello che aveva
pensato. Sbuffò offeso dalla propria inaudita leggerezza.
Tornò
a guardare la sfera: Sarah e Hoggle stavano ormai uscendo dalle fogne
dopo essere riusciti a schivare il massacro. Se non era certo lui,
che la osservava e conosceva da tempo, dei propri sentimenti (se tali
potevano definirsi), come poteva pretendere di farla innamorare, lei
che l'aveva visto per la prima volta solo una manciata di ore prima?
Doveva sperare in un colpo di fulmine? No, si disse. Quella era mera
fascinazione, non sufficiente ai suoi scopi. E anche quello, in ogni
caso, oltre a essere illusorio, non sarebbe durato. Doveva mirare a
un sentimento saldo e duraturo se sperava di ottenere qualcosa di
concreto. Le emozioni improvvise non portavano mai a nulla di buono.
Ma questo si poteva ottenere solo lavorando sulle lunghe distanze.
Problemi,
sempre problemi. Il ruolo di re era davvero stancante. Era un
continuo elaborare strategie. Anche per cose come quella. Ma, si
disse, la colpa era solo sua che era troppo esigente. O no?
D'altronde lui era Jareth, il designato alla discendenza. Era Sarah
quella che aspettava? Tutto sembrava dargli ragione: la tempistica
come anche il nome della malcapitata**. Tutto sembrava rientrare nei
piani anche se, a modo suo, aveva già trovato in Toby un modo
per perpetrare il suo titolo. “Non si sa mai” borbottò
tra sé. “Che sia o meno lei, meglio prevenire che
curare” Ora aveva Toby e non intendeva perderlo.
Sarah...l'avrebbe mai avuta?
Sarah
e Hoggle erano sbucati da un anfora che non sembrava potesse affatto
contenerli né essere collegata al sottosuolo. Si trovavano,
ora, in una parte del labirinto molto ben curata: al di là
delle siepi si scorgeva, distintamente il castello del re dei Goblin.
In particolare, si ritrovavano in una specie di piazza in cui
convergevano diverse strade siepate e al cui centro sembrava
scaturire dal terreno quella che a Sarah sembrava essere una
meridiana. Sotto di essa, una scalinata tortuosa scendeva in un altro
giardinetto. Come a guardia di ogni apertura, si stagliavano
gigantesche statue che a Sarah ricordavano ora un soldato, una
contadinella, un fattore, un giullare: che fossero i lavori più
importanti in quel regno? E allora perché non c'era alcun
richiamo a quel dannatissimo re? Lui non contava nulla?
La
sua attenzione fu deviata dalle parole del nano: da quel momento,
ciascuno sarebbe andato per conto proprio. Si risentì per
l'ennesimo tradimento. Ma il nano, tutto sommato, non era in torto.
Avevano battibeccato come marito e moglie sulla possibilità di
uscire dal labirinto e sulla generosità di lei nel donargli
quella stupida cianfrusaglia. “Se non puoi portarmi al centro,
dov'è il castello, portami fin dove puoi. Da lì me la
caverò da sola.” aveva contrattato. E aveva dato per
valida la non-risposta che le aveva dato quel furbetto, domandandole
informazioni sul materiale. Prendendolo, non aveva mai confermato che
l'avrebbe aiutata.
Il
re annuì compiaciuto al di là della sfera: appena
scampati agli spazzini Hoggle aveva solo confermato di aver cercato
di mettere lui, il sommo Jareth, fuori strada. Piccolo infingardo:
come se non li avesse seguiti e spiati per tutto il tempo successivo.
Li aveva visti mentre per poco non sfracellavano al suolo per via di
un piolo marcio della scala di servizio***. Ora, per dispetto, Sarah
aveva rubato il sacchetto dei gioielli del nano, non potendo
sottrargli anche i talismani legati a una cintura che era imbrigliata
alla casacca, tenendolo in ostaggio e costringendo, così, la
creatura ad accompagnarla. La scenetta idilliaca gli dava quasi il
voltastomaco. Tubavano e si punzecchiavano felici... La cosa non gli
andava per niente a genio! Inoltre, con quello stupido gioco, Sarah
aveva anche capito che lamentarsi continuamente davanti alle
avversità della vita era una scorciatoia per non affrontare il
problema. O la propria incapacità davanti allo stesso. “No,
non è giusto...però è così che va..”
Quel dannato nano era riuscito, in modo involontario, a farle capire
quello che lui non era stato in grado. Si sentiva tremendamente
frustrato.
Mentre
lui rimuginava, la ragazza si era accorta che, accanto all'urna da
cui erano usciti, dal nulla era comparsa una sedia gigante composta
di libri di enormi dimensioni che, data la quantità di foglie
morte ai piedi della gradinata, sembrava essere lì, invece, da
secoli. Studiò rapidamente le scritte sulla costina di quei
tomi, senza capire a cosa si riferissero: “Ogni cosa”, un
libro sulle domande più curiose? “Tutto...è”
era consumato nella parte centrale, forse perché fungeva da
sedile, o almeno così sembrava ma era comunque impossibile
capirne il contenuto; “Vol. IX”, un volume di
enciclopedia?
Ed
ecco il buon caro vecchio Saggio. Jareth sorrise nel vederlo avanzare
lento e sbadato come sempre, curvo sotto il peso di chissà
quale pensiero. Così distratto da dimenticare di essersi
appuntato gli occhialetti tondi sulla fronte e da non accorgersi che
rametti di qualche albero in fiore e piume bianche di chissà
quale uccello gli si erano conficcati tra gli strati dell'abito
consunto. Andò a sedersi con fatica e si avvide solo in
seguito della presenza di quella strana coppia, quando lei andò
a chiedergli aiuto. Quella ragazza aveva la curiosa abitudine di
appoggiarsi a chiunque ma almeno, adesso, aveva imparato a chiedere e
a non esigere suggerimenti.
“Oh!
Una fanciulla!” borbottò sorpreso. Di certo era stato
troppo assorto per accorgersi dell'editto bandito in tutto il paese,
in cui si informava la popolazione della presenza umana. Ma in un
lampo, passata la sorpresa, aveva subito capito chi lei fosse e cosa
ci facesse lì. Quindi aveva chiesto, sospettoso, rivolgendo la
sua attenzione al suo accompagnatore “E quello chi è?”
Jareth
sbuffò come se il vecchio saggio avesse appena fatto
un'osservazione caustica su di lui, anziché sul nano.
Sicuramente, pensò, si stava domandando come mai la ragazza
non fosse sola, quando tutti i concorrenti a lei precedenti avevano
schivato le creature dell'Underground con ribrezzo. E lo vedeva
fremere per il desiderio di sapere se lui non fosse seccato da
quell'intimità. Alzò lo sguardo dalla scena,
infastidito. Tutti a farsi i fatti suoi, che diamine. “E
poi...” si giustificò, quasi avesse realmente davanti il
vecchio “...si tratta solo di una che è poco più
di una bambina!” Cosa poteva interessargli se stringeva
amicizie in quella manciata di ore? Non aveva mica l'esclusiva, né
voleva averla, pensò mentendo anche a sé stesso. “Se
solo avesse qualche anno in più...” borbottò tra
sé passandosi una mano tra i capelli, nervoso. Quella
scriteriata non poteva aspettare un paio di mesi, mesi
dell'Underground, ovviamente, anni nel mondo umano, per invocarlo?
“Un
mio amico” rispose tutta sorridente lei, andando a poggiargli
una mano sulla spalla a dimostrazione della loro intimità.
“Mmm”
aveva rimuginato il vecchio immerso in chissà quali pensieri
“E dimmi...” continuò sorvolando su quella
affermazione “...cosa posso fare per te?” Ancora una
volta, Sarah aveva posto la domanda nel modo meno chiaro possibile.
Era fortunata che il Saggio, in quanto tale, fosse abbastanza
elastico da capire i suoi processi mentali e le sue necessità
“Diciamo che tu vuoi arrivare al castello..” la corresse
quello. Sarah non sembrava notare la differenza tra quello che diceva
lei e la modalità in cui veniva costantemente corretta. In
compenso, ci pensava il cappello parlante a dar voce alle perplessità
della ragazza in un misto tra ammirazione e presa in giro. “Dunque,
fanciulla...” continuò imperterrito il vecchio
chinandosi all'altezza della ragazza per poterne osservare gli occhi
smeraldini da dietro le sopracciglia bianche cespugliose. “La
strada in cui avanzi, a volte, è quella per cui torni
indietro.” **** Sarah accoglieva grata qualunque informazione,
rimuginando su di esse con dovizia. Hoggle, al contrario, sembrava
esasperato e, come, il cappello stesso, pensava che quel vecchio
fosse mezzo matto. Il Saggio continuò senza badare minimamente
nessuno dei due, concedendo tutta la sua attenzione solo alla
viaggiatrice “Molto spesso, infatti, signorina, ci sembra di
non approdare a niente. Ed è così, infatti.”
Dopo
quella breve spiegazione, il Saggio crollò addormentato. Il
suo cappello pregò i viandanti di offrire un piccolo obolo per
il servizio reso. Dopo un primo momento di esitazione, in cui la
ragazza si sarebbe sbarazzata volentieri degli averi del nano, decise
che non era corretto: l'informazione serviva a lei ed era giusto che
fosse lei a pagare, sacrificando l'anellino d'oro giallo con topazio
rossastro lasciatole in eredità da sua madre. Esitò un
attimo e alla fine lo lasciò scivolare nella cassettina. Si
portò subito le mani dietro la schiena, quasi avesse fatto una
marachella di cui non si pentiva. Da un lato era uno dei pochi
oggetti lasciatole da sua madre; ma era, appunto, un oggetto: i
ricordi li custodiva dentro di sé. Dall'altro canto, pensò
che tutto sommato, se la madre l'aveva abbandonata, anche lei poteva
fare lo stesso, almeno fisicamente e materialmente: era certa di
essere comunque una parte importante della sua vita. E se non lo
fosse stato avrebbe imparato a farsene una ragione. Come aveva detto
poco prima a Hoggle “E' così che va”. E per quanto
un legame possa essere saldo, col tempo finisce per sbiadire
lasciando dietro di sé, nel migliore dei casi, nostalgia e
perfezione. Forse addirittura una madre può dimenticare la
propria figlia e una figlia la madre. Sospirò tra sé,
udendo a mala pena le recriminazioni del suo accompagnatore, il quale
avrebbe voluto per sé quel ninnolo. L'avrebbe scoperto solo
crescendo. E chi poteva sapere se, col tempo, avrebbe dimenticato
anche quell'esperienza. Quello strano mondo cominciava a piacerle.
Si
riscosse per immergersi in nuovi pensieri. Cosa le aveva detto il
saggio, prima che i suoi piedi prendessero una direzione per conto
loro? “La strada in cui avanzi, a volte, è quella per
cui torni indietro.” Cosa stava facendo lei in quel momento?
Stava avanzando per strappare suo fratello dalle grinfie del mago e
tornare alla situazione di partenza, prima della sua invocazione. Che
avvertimento poteva mai essere? Era la constatazione di quello che
stava facendo? O la stava avvisando che, più si avvicinava,
più l'avrebbe perso? O ancora, più cercava di cacciare
il mago, più finiva nella sua rete? Scosse la testa, confusa.
Perché mai avrebbe dovuto pensare a lui in quei termini?
L'unico uomo che, fino a quel momento, avesse destato il suo
interesse, si era rivelato essere il peggior farabutto sulla faccia
della terra e le aveva strappato sua madre.
Si
accigliò a quel pensiero. Non è che trovava, nella
figura del farabutto, un fascino perverso?
No,
forse il saggio le aveva detto semplicemente che, più si
affronta un problema, anche se a un certo punto sembra di essersi
impantanati e lontani, in realtà si sta arrivando alla
soluzione dello stesso: i momenti di pausa servono per riflettere,
per riposarsi e per trovare una nuova prospettiva da cui osservare il
problema.
Ed
era quello che stava facendo: stava imparando a capire quel mondo
assurdo.
*
La versione italiana è velata da una certa gelosia e da una
punta di sarcasmo “Certo che ti sta riempiendo di attenzioni”.
In inglese è una constatazione anche un po' seccata: “You
sure got his attention”: di certo hai la sua attenzione:
attenzione e interesse non sono necessariamente qualcosa di romantico
ma spesso identificano proprio una curiosità malevola. Lei è
semplicemente emersa dalla folla grigia (di concorrenti, di donne,
scegliete voi) con le conseguenze del caso. Il libro strizza più
l'occhio alla nostra traduzione: “Deve avere un'alta opinione
di te” “Dev'essersi fatto delle idee ben strane”
**Da
notare che nei film, in particolar modo questo film, per tutti i
rimandi espliciti sull'importanza della parola e sul -nulla è
come appare-, i nomi dei protagonisti, solitamente sono esplicativi
della loro funzione. Quindi abbiamo: Jareth, la discendenza (nome di
origine ebraica: uno dei discendenti di Adamo. Ricordo brevemente la
genealogia in questione: dopo Caino e Abele, nacque un terzo figlio,
Set. [“Dopo la nascita di Set, Adamo visse altri ottocento anni
ed ebbe ancora figli e figlie”] In ordine, quindi:
Adamo-Set-Enos-Kenan-Maalaleel-Iared-Enoc-Matusalemme-Lamech-Noé.
Ecco, si dovrebbe intendere Iared come si usa “Matusalemme”
per dire Vecchio. E, in pratica, chissene frega di Caino e Abele:
tutti discenderebbero da Set essendo che, oltre Noè e figli,
il resto dell'umanità, secondo il mito biblico, fu spazzato
via. E' una variante di Iered, insieme a Jarod, Jarred, Jarrod,
Jerrod, Jerred, Yered, Yared, Iered. Volendo c'è la
somiglianza con Sir Gareth, della tavola rotonda, nipote di Artù
e che verrà ucciso da Lancillotto, altro nome che ricorre nel
film. Era canzonato per le sue belle mani (!), in quanto nobile sotto
copertura che serviva in cucina senza voler rivelare la propria
identità. Ancora l'antico Garrett, sostituito nel tempo da
Gerald, sovrano/dominio della lancia, o Gerard, lancia coraggiosa/la
forza della lancia. Ancora, può essere una citazione di
Benedetto Gareth, 1450-1514, noto per le sue doti di oratore, di
letterato colto e di musicista,. Scrisse in questi anni un canzoniere
in volgare catalano sul modello petrarchesco dedicato ad una donna di
nome Luna, intitolato l'Endymione che venne pubblicato a Napoli da
Caneto nel 1506. Ho segnalato questa possibile corrispondenza perché,
sebbene sia trattato da molti, anche qui torna il tema lunare, che a
me sembra strisciare qua e là. Luna e Sole: vedrete cosa vi
riservo per la fine.); Sarah, la principessa (nome ebraico che deriva
dall'egiziano figlia del dio Sole/Ra. Ecco di nuovo il dettaglio) e,
infine, Tobia, il gradito al Signore (chi sarà mai il Signore,
in questo caso?). Inoltre, sul tema “biblico”, che ai
registi piace tanto infilare qua e là un po' ovunque,
torneremo sulla famosa scena finale (amarmi, temermi e fare ciò
che io ti dico).
***
Osservate bene: è uno dei tanti cammei: il volto di David
Bowie compare sulla destra nel momento in cui viene inquadrato il
piolo che precipita a terra. E' la stessa immagine che troveremo
anche più avanti.
****
“The way foward is sometimes the way back.” o “La
strada che è a monte è talvolta la strada che è
a valle”. Nel libro, Sarah trova la soluzione di questa
rivelazione nel camminare come un gambero. Non ho capito da dove sia
saltata fuori.
- -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene,
eccoci qua con quest'ennesimo capitolo. Su, non temete..la parte con
la pesca (che il pc mi ha appena gentilmente cancellato) arriverà
presto!
Sono
stata un po' -tanto- vaga nella parte del saggio ma mi sembrava di
diventare pedante nel descrivere la scena passo passo. Spero vi sia
piaciuto lo stesso.
Volevo
solo avvisarvi che dalla prossima volta, anziché aggiornare il
sabato, lo farò il lunedì: per motivi pratici
preferisco dedicarmi alla correzione del capitolo la domenica/lunedì
sera, così da non rischiare di passare tutto il tempo, che
invece dovrei dedicare a lavorare, sul pc... abbiate pazienza per un
paio di settimane!
Dunque,
a presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Anelli, circolarità e deja-vu ***
8.
Anelli, circolarità e deja-vù
Allibito,
Jareth la vide gettare via il prezioso anellino.
Era
una sconsiderata! L'anello che ne designava l'identità e
appartenenza, doppiamente importante perché donatole dalla
madre;l'anello della saggezza, l'anello che conciliava gli opposti,
come il nastro di Moebius spiraliforme che lui portava al collo. Era
il più potente tra i talismani. E lei l'aveva gettato al
vento, come pagamento a quel vecchio scemo! Schioccò le dita e
comparve nella piazzetta in cui, fino a poco prima, era stata la
ragazza, insieme al nano.
“Tu...”
sibilò al copricapo “Dammi quell'anello!”
“Ma...ma...”
balbettò quello terrorizzato cercando di scuotere il saggio
“Vecchio citrullo, svegliati!”
“Lascialo
dormire..ti propongo solo uno scambio... lo sai che del tuo re ti
puoi fidare!” gli disse sorridente “Io ti do una gemma di
pari valore ma in cambio mi permetterai di riavere quell'anello d'oro
con un topazio ocra incastonato*.”
“Ehh.....”
Il cappello esitò, incerto sul da farsi “Tanto il
vecchio, qui, dormiva, non sa nemmeno se l'han pagato. Ma mi assicuri
che vale come l'altro?” domandò scettico “Sai,
sono io che mando avanti la baracca qui...se non fosse per me questo
vecchio pazzo sarebbe già morto di fame”
Jareth
materializzò dal nulla una perla grigia “E' molto
rara...viene direttamente dall'Isola...” Il cappello spalancò
gli occhi estasiato ma subito tornò a ricomporsi “E
perché mai Sua Maestà dovrebbe pagare un prezzo doppio
per un anellino? Cos'ha di tanto particolare,eh?” domandò
insolente e curioso
“Senti
piumino...” ringhiò a quel punto il mago “Ti ho
proposto un affare e ancora avanzi pretese?”
“No
no no, certo che no, Vostra Maestà...”disse accennando
un inchino “Prego, si serva pure...” disse allungando la
cassetta
L'anello
incriminato saltò subito sul palmo del Re che, al suo posto,
versò la perla.
“Ti
ringrazio...” disse Jareth scomparendo
“Qui
sono tutti, uno dopo l'altro, più idioti di quello che
sembra...e già...” commentò sarcastico il
cappello, lieto dell'affare.
Nuovamente
nelle sue stanze, Jareth ripose con molta cura l'anello all'interno
di una sfera ovattata che nascose all'interno di uno scrigno: un
giorno avrebbe trovato il modo di renderglielo. Campionessa o
perdente era suo di diritto. Non c'entrava nulla con quello strano
languore che aveva preso ad attanagliargli la bocca dello stomaco.
Sospirò. Quella cretina! Sì, certo, si era liberata del
giogo e del vincolo che pesavano su quell'anello. Ma quante altre
cose aveva ceduto? La sua essenza ora era totalmente libera. Non
aveva più amuleti che la trattenessero o che la difendessero.
Prima il bracciale, ora l'anello: sarebbe stata al sicuro finché
fosse stata all'interno delle mura ma, appena le avesse oltrepassate,
sarebbe stata preda di tutte le creature selvagge che popolavano
l'Underground. Lo fissò. Era un bell'anello. E lei lo
indossava correttamente, una delle poche cose che faceva giuste: al
dito medio della mano destra, la mano del sole, come si confaceva
alle persone prudenti, intelligenti, affidabili e pazienti, più
portate all'istinto che alla logica. Sorrise: quella, la logica, non
sapeva nemmeno dove stesse di casa. Per quanto fosse un semplice
ricordo, a lei piaceva indossarlo: probabilmente l'avrebbe scelto
uguale se avesse dovuto scegliersi un anello. In oro, da persona
altruista e solare. Con una pietra rossastra, tipico delle persone
dal temperamento grintoso ma volitivo, pronte a combattere per il
gusto della sfida ma mai pronte ad affrontare di petto le situazioni
spinose per risolverle, che tendono a non lasciarsi sopraffare dai
sentimenti e che temono di perdere il controllo. Si, Sarah era tutto
questo. Ed era un bel problema.
Sarah
si era ricordata di una teoria, un procedimento logico, per risolvere
il labirinto. Si stava sforzando di ricordare quale fosse ma la sua
capacità mnemonica era sempre stata tutta dedicata solo alle
storie e alle fantasie: lei e la logica non andavano molto d'accordo.
E, a quanto pareva, nemmeno la propria lingua madre era un terreno
sicuro. Si ricordava, solo vagamente, che doveva riguardare l'uso
della mano. Forse era la destra** ma non ne era sicura. In ogni caso,
giunti al punto in cui erano, saltando un pezzo, anche se sene fosse
ricordata, avrebbe rischiato di tornare al punto di partenza senza
l'aiuto di nessun nano imbroglione. E forse, rimuginò ancora,
una regola valida nel mondo umano, lì poteva non trovare
alcuna applicazione. Si accigliò, accantonando il pensiero.
E
un altro, quello di star camminando ormai da almeno una mezza dozzina
di ore, tornò prepotente a farsi sentire tramite i crampi alle
gambe e il brontolio allo stomaco. Non aveva nemmeno cenato prima di
desiderare che il fratello fosse rapito. Si diede della stupida:
ormai il danno era fatto! Aveva all'incirca altre cinque ore a
disposizione. Si disse che non importava: quando leggeva, recitava o
era semplicemente immersa in qualcosa di coinvolgente il tempo
passava senza che sentisse l'esigenza di andare in bagno o di
mangiare. Le succedeva anche quando andava a scuola, spesso arrivava
al pomeriggio senza mangiare e fitte improvvise la avvertivano che
non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Ma le gambe: non era
abituata a camminare così tante ore continuativamente. Anche
se doveva certamente essere meglio quello rispetto allo stare in
piedi tutto il giorno come le commesse o i soldati. Non poteva certo
lamentarsi: lei aveva anche avuto modo di riposare, nella cella buia
e umida. Prima di doversi mettere a correre per salvarsi la pelle.
Maledisse
mentalmente il dannato mago.
“Perché
hai detto che eravamo amici?” Hoggle, che trottava dietro di
lei per tenerne il passo, interruppe i suoi pensieri
“Perché
lo sei...” rispose cordiale, puntellando lo sguardo su
un'increspatura nel terreno: aveva qualcosa di strano e non capiva
cosa “...Non sarai il migliore, ma sei il solo che ho qui...”
Quella
risposta, che non era un complimento, gonfiò il nano di
orgoglio e le concesse tempo prezioso per capire cosa non andava
nell'acciottolato, senza fermarsi a osservarlo e perdendo tempo.
Poi
ebbe un'illuminazione. Si voltò e osservò il pavimento
ormai alle sue spalle. E sì: lì c'era lui, la
sua effige. Si era domandata come mai non ci fossero statue del re ed
eccole servita la risposta: la sua immagine era impressa ovunque nel
labirinto. Per terra, sui muri, tra le piante: bisognava saper
guardare bene, come il passaggio da un livello all'altro che le aveva
mostrato Monsieur le Ver. Nascosto in un un gioco di luci ed ombre
ecco che quel volto arrogante e sprezzante faceva capolino quando
meno se lo aspettava. Sembrava quasi seguirla, spiarla. Da lui e da
quel regno ci si poteva, decisamente, aspettare di tutto.
D'un
tratto un ruggito lamentoso li fece sobbalzare e la distolse da quei
pensieri.
“Addio!”
disse Hoggle battendo immediatamente in ritirata
“Aspetta!”
gridò Sarah mentre il nano già tagliava la corda.
D'accordo aver paura, ma sarebbe arrivato ad abbandonarla? “Sei
mio amico o no?” disse aggrappandosi al suo braccio,
trattenendolo.
“No,
Hoggle non è amico di nessuno!” rispose lui
divincolandosi dalla sua stretta “Pensa solo a se stesso, come
tutti!” in un rantolo esasperato riuscì a liberarsi,
quindi concluse “Hoggle è amico solo di Hoggle!”
Detto ciò, girò sui tacchi e scomparve alla vista della
ragazza, svoltando al primo angolo.
“Vigliacco!”
gli gridò dietro Sarah, sperando di farlo sentire in colpa.
Una
volta sola, si guardò attorno, sconsolata. Era rimasta
profondamente ferita da quel comportamento e, anche se non c'era
nessuno a cui dovesse mostrarsi forte, mantenne il sangue freddo,
cacciando le lacrime. L'ennesimo tradimento del nano le aveva forzato
il ricordo di altri abbandoni già vissuti: le sembrava che la
sua vita fosse un circolo infinito che, a intervalli regolari, le
riproponeva moduli di esperienze dolorose che non riusciva a
risolvere positivamente. Tutto ciò si andava ad ammonticchiare
creando un'armatura di diffidenza e disillusione che, al contempo, la
rendeva più fragile e insicura. Si odiava quando si lasciava
prendere così dallo sconforto, addossando la colpa agli altri.
Le sembrava di affogare in un mare nero di cattiveria pura.
“D'altronde...”
si disse ricordando quello di cui aveva appena preso consapevolezza.
E' così che va. “Sono stata davvero stupida...Sono io
che avevo decretato la mia disponibilità all'amicizia nei suoi
confronti...solo io mi fidavo di lui, in qualche modo. Lui non ha mai
detto il contrario, anzi...Ha ammesso di non essere mai stato amico
di nessuno, prima. Vuol dire che nessuno si era mai fidato di lui e
viceversa?” Quel pensiero la depresse più del tradimento
appena subito e, per evitare di abbattersi del tutto, lo cacciò
dalla mente. Il ruggito riecheggiò ancora nei giardini e lei
si decise a scoprire cosa -o chi- fosse a procurarlo
“Io
non ho paura!” disse, cercando di darsi coraggio “Le cose
non sono come sembrano, qui!” ricordò a voce alta,
ancora una volta, le parole di Monsieur le Ver. Se mai avesse avuto
l'occasione di incontrarlo di nuovo, doveva pensare a un modo per
sdebitarsi e mostrargli tutta la sua gratitudine: i suoi erano stati
i consigli più preziosi. Anzi. Erano stati gli unici consigli
che aveva ricevuto.
Girò
l'angolo di una siepe e si trovò in uno spazio vuoto a ridosso
di una cinta muraria. Dalla costruzione si diramava l'estrusione di
un albero simile a un melo. Appeso ai suoi rami a testa in giù,
penzolava un bestione peloso e cornuto che ruggiva disperato. Se non
fosse stato per la colorazione fulva del mantello e per le corna
rivolte verso il ventre, Sarah l'avrebbe identificato immediatamente
con un Night-Troll. Persa nella sua identificazione non si era
domandata come fosse finito in quella strana posizione: forse era
incappato in una trappola destinata a lei?
Rabbrividì
al pensiero vedendo un drappello di Goblin corazzati scagliarsi
contro la creatura, armati di strani bastoni. Si domandò come
mai, ammesso che fosse una creatura del regno e non un altro intruso,
i Goblin lo attaccassero. Forse, pensò, effettivamente non era
come poteva sembrare. Accantonò la curiosità quando la
sua attenzione si fu focalizzata sui bastoni: sulla cima di ciascuno
stava appollaiato, tenendosi saldamente ancorato con lunghi artigli
ricurvi, una specie di camaleonte rosa gigante, privo di coda ma
dotato, in compenso, di denti degni dei più famelici dei
piranha. Tenevano gli occhi serrati, quasi fossero accecati dalla
luce del sole. I Goblin li usavano per torturare la creatura, facendo
in modo che quei cosi disgustosi andassero a mordere, seguendo un
istinto atavico, e parti più sensibili e morbide della
creatura: collo, ventre, inguine, occhi...
“Se
trovassi qualcosa da lanciare...” borbottò Sarah in
pena, distogliendo lo sguardo per l'angoscia e per la necessità
di trovare una soluzione.
Si
avvide di una pietra ai suoi piedi. La prese senza pensarci e senza
esitazione la lanciò verso il Goblin più vicino
colpendolo sull'elmo, che prese a girare su se stesso, oscurando la
visuale al malcapitato.
Esaltata
da una prima vittoria, si chinò in cerca di qualcos'altro e
vide che la stessa pietra di prima era tornata a posizionarsi ai suoi
piedi ed ebbe come un deja-vù***. La lanciò nuovamente
e, ancora una volta, il tiro andò a segno. I Goblin, confusi,
cominciarono ad andare a sbattere tra di loro, abbassando le armi nel
tentativo di liberarsi degli impedimenti. Ma le estremità
dentate continuarono, secondo la loro natura, a mordicchiare tutto
quello che capitava a tiro, ferendo altri Goblin che ripetevano lo
stesso errore in una reazione a catena infinita. Mordendosi
accidentalmente a vicenda e temendo di essere finiti sotto l'attacco
di chissà quale esercito nemico, finirono per allontanarsi tra
loro e dal luogo della tortura.
Sarah
approfittò del momento di tregua e corse dalla creatura che
sbraitava a pieni polmoni nel disperato tentativo di liberarsi.
“Ora
smettila!” intimò la ragazza, catturandone l'attenzione
“E' questo il modo di trattare chi cerca di aiutarti? Non vuoi
che ti tiri giù?” chiese mettendosi sottosopra per
riuscire a guardarlo bene.
“Ludo
Giù!” piagnucolò allora quello.
“Sembri
tanto un caro bestione...”Aveva tutta l'aria di essere un
cucciolo un po' troppo cresciuto e molto affabile. Forse troppo se,
come sospettava, non aveva nemmeno cercato di difendersi dall'agguato
dei Goblin. Forse, creature gentili come quella erano i bersagli
prediletti di quelle schifose creature. “Spero proprio che tu
sia come sembri...” mugugnò tra sé: se aveva
l'impressione che fosse buono, forse non lo era, anche se
inizialmente aveva anche pensato che fosse aggressivo... tutto quel
pensare al complicato gioco cosa potesse essere realmente ciascuna
cosa cominciava a confonderla. Le sembrava quasi di dover guardare il
riflesso di uno specchio che si riproduceva all'infinito su due
superfici contrapposte.
Lo
liberò rapidamente dal cordame ma si rese conto, troppo tardi,
presa com'era dalla foga, di non poter far nulla per attutirgli
l'atterraggio. “Mi dispiace!” si scusò
prontamente. Ora avrebbe saputo se quella creatura era così
magnanima da perdonarla o così terribile da mangiarsela in un
boccone. In ogni caso, farla cadere così malamente al suolo
non sarebbe mai stata vista come prova di buona volontà.
Si
chinò per aiutare quella cosa, Ludo, alta più di tre
metri, a rimettersi almeno seduto. Era spaventata e preoccupata, per
sé e per lui. Ma non le aveva fatto ancora nulla, forse ancora
stordito.
“Amico?”
chiese, invece, il Troll, spiazzandola. Sarah sorrise, passando
rapidamente alle presentazioni. Infine, provò a chiedere anche
a Ludo se, per caso, sapesse come raggiungere il castello al centro
del labirinto. Quello ci pensò un po' e sembrava quasi avere
la soluzione. Ma alla fine la risposta fu un “No”
sconsolato.
“Neanche
tu lo sai, eh? C'è qualcuno che sa come attraversarlo?”
sbottò esasperata e arrabbiata, più con se stessa e con
quel re infingardo, il quale aveva la colpa di averla cacciata in
quella situazione senza darle un minimo di vantaggio, che con il
povero Troll bonaccione.
Poco
lontano da lì, Hoggle, si aggirava ancora tra le siepi dei
dintorni nel tentativo di ritornare alle sue mansioni. Era a dir poco
furibondo. “Superare il labirinto...” continuava a
ripetere infastidito, facendo il verso alla povera ragazza. “Una
cosa è sicura!” sentenziò “Lei non supererà
mai il labirinto. Testa Dura!”
Jareth,
dall'altra parte della sfera, si accigliò: aveva rischiato
davvero grosso a mandare quello stupido nano in aiuto di Sarah. Aveva
dimenticato un particolare fondamentale: quello non era solo la prima
creatura incontrata dalla ragazza. Era anche il giardiniere reale e,
quindi, conosceva ogni strada, ogni pertugio di quel posto. E sapeva,
anche, che il labirinto non era pienamente risolvibile. Certo, si
poteva arrivare al castello ma...di per sé aveva una sola
apertura: nessuna uscita, come i dimenticatoi. Se Sarah fosse
riuscita, inavvertitamente, da sola, a trovare l'unico accesso per il
castello o a scappare dal labirinto, in modo da aggirare il dedalo e
raggiungere la fortezza dall'esterno, esso non rappresentava comunque
la soluzione, ma solo un altro meccanismo contorto dal quale era
impossibile uscire. La sconfitta per i visitatori era scontata.
Questo avrebbe dovuto tranquillizzarlo. Ma quel labirinto era stato
creato apposta per Sarah, quindi, forse, poteva avere delle falle che
solo lei poteva individuare. Il mago valutò perplesso quella
possibilità: era stato sciocco a non prendere in
considerazione prima un'eventualità del genere. Ma poco
importava. Avrebbe escogitato qualcos'altro per tenerla lontana dal
suo traguardo fino all'ora stabilita. A quel punto non ci sarebbe
stato più nulla da fare. Ghignò soddisfatto e tornò
a valutare il nano. Si rincuorò pensando che aveva fatto bene
a non buttarlo nella palude. O che non fosse disgraziatamente perito
nella fuga dagli spazzini. “Sì...” borbottò
compiaciuto “...si è rivelato un servo fedele...”
nonostante il bracciale. “E' ora che il bambino mangi!”
Disse schioccando le dita a indirizzo dei Goblin perché si
spicciassero nelle loro mansioni.
In
realtà aveva diversi dubbi sul giardiniere: se non fosse stato
per la sua codardia davanti a quel benedetto Night-Troll forse, a
quell'ora, poteva averle già rivelato l'inutilità di
tanto accanimento e forse anche la soluzione? “Poi vedrò
il da farsi”
Una
volta che il marmocchio ebbe mangiato a sazietà si prese del
tempo per osservarlo. Ormai mancavano solo poco più di quattro
ore e lui doveva cominciare a pensare a un nome da dargli “E'
un tipetto vivace... Lo chiamerò Jareth” decise. Sì.
Il suo nome, il nome di colui che sarebbe stato il suo erede “Ha
anche i miei occhi” osservò. Biondo e con gli occhi
azzurri. Poteva davvero spacciarlo per figlio suo.
Sarah,
nel frattempo, aveva notato come, all'improvviso, sotto l'albero dove
era stato appeso Ludo, fossero comparse due porte, ciascuna con
l'effige di un orchetto cornuto: uno paffuto e barbuto, con un anello
che collegava tra loro le due orecchie; l'altro, apparentemente più
magro, con folti capelli ricciuti e grosso naso adunco recava un
anello in bocca. Sarah scoprì presto che i due anelli, che
fungevano da battacchi, impedivano al primo di sentire correttamente
e al secondo di parlare. La ragazza scelse di liberare quello che le
pareva potesse essere il più facile e, per lui, meno dannoso.
Capito come passare oltre, riuscì a riposizionare il ferro con
l'astuzia, bussò e passò oltre.
Al
di qua non sembrava che, oltre quelle porte, potesse nascondersi un
giardino tanto meraviglioso e selvaggio allo stesso tempo. Sarah si
incamminò incantata e Ludo, recalcitrante, la seguì con
circospezione. Come entrambi ebbero varcato la soglia, la porta si
chiuse plumbea alle loro spalle.
“Ludo,
paura!” protestò il bestione mentre la ragazza si
addentrava sempre più in profondità nella folta
vegetazione
“Su,
dammi la mano...” disse nel tentativo di calmarlo e infondergli
coraggio. Era proprio paradossale che un Troll grande e grosso come
lui avesse paura. Ma visti i precedenti, non se ne stupiva nemmeno
più di tanto. “Vedi, Ludo?” disse dopo un po'
lasciando la presa e allargando le braccia come a voler accogliere a
sé tutto il paesaggio “Non c'è nulla di cui aver
paura...” Non ricevendo risposta, si voltò. Ludo era
sparito nel nulla. Eppure era lì, fino a un istante prima. In
un attimo, anche Sarah cadde in preda al panico.
*
Questa è tutta una mia interpretazione, perché non si
vede mai bene il colore della pietra (anche quello del metallo è
dubbio, ma negli anni '80 l'oro era di moda e l'argento era out.
Dunque, ho scelto il topazio per vari motivi, non avendo trovato
indicazioni in Sir Shakespeare. Giusto: perché Shakespeare?
Perché nel libro si dice che è il regalo della madre
che a sua volta aveva recitato in Racconto d'Inverno, la parte di
Ermione. Ermione: regina (!) che il marito crede fedifraga e fa
condannare. Dopo una serie di vicende, in cui viene anche tramutata
in statua, tutto finisce bene coi due che si rappacificano.
Ma
torniamo al mio Topazio: si trovano topazi incolori, giallo oro,
rosa, rosso mattone, azzurro e blu. In particolare il Topazio
imperiale, veniva considerata una gemma capace di vincere la follia e
gli incubi notturni e nel medioevo si usava per scacciare malocchio e
allontanare i fantasmi della notte. Si diceva, inoltre, che avvisasse
il suo possessori di pericoli incombenti diventando torbida. (Nelle
inquadrature che si hanno della mano inanellata di Sarah -al parco,
quando tira fuori il libro; in camera, quando cerca di accendere la
luce- sembra quasi un occhio di pernice tanto è scuro). E'
sempre stato considerato la pietra legata a Giove, simbolo
dell’abbondanza, della prosperità,
dell’autorealizzazione e della saggezza. È la pietra dei
sovrani (!). Da sempre è considerato la pietra del sole (!),
portatore di luce, energia e prosperità (e, in indù,
vuole dire fuoco). La leggenda dice che il topazio ha il potere di
sciogliere gli incantesimi e di potenziare la vista. Gli antichi
Greci pensavano che aveva il potere di aumentare la forza e rendere
invisibile chi lo portava in caso di pericolo.
**Il
procedimento consiste nell'appoggiare la mano destra (o la sinistra)
alla parete destra del labirinto (o rispettivamente alla parete
sinistra) all'entrata del labirinto, e scegliere l'unico percorso che
permetta di non staccare mai la mano dalla parete scelta, fino a
raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza.
Nel caso particolare di una sola uscita, l'algoritmo conduce a un
vicolo cieco, dal quale si ritorna al punto di partenza semplicemente
continuando a seguire la parete prescelta.
***
A nessuno, vedendolo anni dopo, ha notato un collegamento con la
“pietra torna indietro” di Fantaghirò? :D
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - -
Eccomi
qua, inaspettatamente il sabato anziché il lunedì come
minaccito. -.- non ce la facevo davvero più a resistere un
paio di giorni e a lavorare e basta. Però, penso che la
qualità del capitolo, scritto di getto e rivisto ben poco, non
sia delle migliori. Soprattutto, non so nemmeno io se avrei dovuto
dilungarmi di più nella scena dei batacchi... ma va beh.
La
cosa di cui volevo parlarvi è la natura del labirinto. Come
avrete notato, Jareth sostiene che non dovrebbero esserci vie
d'uscita. L'idea mi è venuta un po' da un saggio sul film (che
ritiene che il labirinto sia stato creato appositamente per Sarah) e
dal fatto che in quel mondo nulla è come ci si aspetta che
sia. Se, come accade, il concorrente raggiunge la meta, non è
detto che questo sia il passo decisivo per tornare a casa. Nei
labirinti, l'arrivo al centro è solo una delle tappe. Per
vincere davvero, bisogna riuscire ad uscirne...e non dall'entrata.
Quindi
ho ipotizzato che Jareth avesse modificato (non creato) appositamente
il labirinto per Sarah, cercando di colpirla nei suoi punti deboli.
Un qualunque altro abitante dell'Underground non si sarebbe fatto
fregare dai passaggi mimetizzati nel muro, dalle mani amiche etc. In
secondo luogo, lei raggiunge comunque il castello, ma uscendo dal
labirinto, che costituisce, quindi, solo parte della sua avventura.
Obiettivo è il castello, come detto nei primi capitoli. Ma una
volta arrivata? Come sarebbe tornata a casa? Dalla strada
dell'andata? E una volta giunta sulla collina? Non c'è alcun
passaggio, in realtà. E' come se si trattasse di una porta che
si può aprire solo dall'esterno. O dall'interno a patto di
conoscerne la combinazione. Ritengo quindi che per vincere,
arrivare al centro fosse solo una delle condizioni. Rimaneva poi,
ancora, da infrangere le comuni barriere mentali (e lei riesce
lanciandosi da un piano all'altro) e da convincersi -realmente- del
proprio potere all'interno di quel mondo. Fino alla scena finale,
Sarah è andata a tentoni: si lancia in un tentativo disperato,
ha capito la lezione ma ancora non la padroneggia consapevolmente.
Solo alla fine “non hai alcun potere su di me” si rende
conto che, forse, avrebbe potuto concludere l'avventura molto tempo
prima e con molti meno sforzi e che una semplice battuta in un
racconto contiene molte più verità di quello che aveva
immaginato.
Non
so se sono riuscita a farmi comprendere. In ogni caso, portate
pazienza per la mia vena di follia e demenza.
Infine
un ringraziamento a Giovanna e alle infinite chiacchierate notturne
che mi portano un sacco di spunti e soluzioni.
Ciao!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Un dono subdolo ***
9.
Un dono subdolo
La
foresta proibita era una landa verde, lussureggiante e primitiva sita
in un angolo remoto del labirinto. La vegetazione era così
fitta che, nonostante fosse solo il primo pomeriggio e la luce fosse
ancora chiara, nel sottobosco sembrava essere in piena tarda serata.
La nebbia strisciava ai piedi degli alberi, che sembravano essere
cosparsi di polvere magica, contribuendo a enfatizzare la sensazione
di trovarsi in un luogo arcano e primordiale.
Le
creature che abitavano quella porzione di labirinto non potevano
certo essere più civilizzate del luogo stesso e Sarah non
poteva sapere in quali guai si fosse ficcata: c'erano creature che
sarebbero state attratte dalla sua testa, in cui si raccoglieva tutto
il suo potere, inconsapevolmente affamate di ciò, più
che da qualunque altra cosa al mondo.
Jareth
schioccò la lingua, indispettito e ansioso. Nemmeno mezzora
prima aveva recuperato il suo anello, sperando che non trovasse il
modo di uscire dal labirinto, più per la sua incolumità
che per il pericolo che ne trovasse la soluzione. Ed ora eccola
ciondolare in tondo, nuovamente sola, in un luogo che le risultava
ostile a pelle. Strizzò gli occhi. Si vedeva costretto a
intervenire. E subito.
In
una sola mossa l'avrebbe messa in salvo e avrebbe vinto la sfida,
sottraendole il tempo che le rimaneva a disposizione per vincere la
sfida: quale posto poteva essere più sicuro del castello
stesso, sotto la sua ala protettrice? Avrebbe dimenticato tutto, si
sarebbe innamorata di lui, sarebbe rimasta imprigionata
nell'Underground e l'avrebbe riverito come un dio. Era un piano
perfetto che non poteva fallire.
Si
smaterializzò all'esterno del labirinto, su uno dei portali
recanti la sua effige. Il nano doveva essere quasi tornato al punto
di partenza e alle sue mansioni.
Ed
eccolo che arrivava trascinando i piedi sul terreno rosso e sabbioso
e borbottando imprecazioni a indirizzo della ragazza. Quando, per un
attimo, smise di lamentarsi e di farle il verso, si accorse delle
grida di aiuto che provenivano dalla foresta confinante con quella
zona esterna: Sarah si era abbassata a chiedere aiuto anche a lui,
che l'aveva appena tradita. In un attimo, cancellò le proprie
recriminazioni, pronto a correre in suo soccorso “Vengo subito,
Sarah” gridò, forse sperando di farsi sentire e girando
su se stesso. Ma dinnanzi a lui ora svettava l'algida figura del
sovrano che, dopo esser elegantemente saltato giù dalla sua
postazione, si era appoggiato mollemente all'ingresso e lo fissava
accusatore. Un ghigno sarcastico arrivava a incresparne gli angoli
degli occhi ferini.
“Bene...sempre
il solito!” Lo apostrofò sferzante “E...dov'è
che stai andando?” domandò, centellinando le parole
Hoggle
sgranò gli occhi, in preda a un panico improvviso “Beh,
la signorina mi ha seminato* ma io adesso la sento e stavo giusto
andando a riportarla al punto di partenza, come tu mi avevi detto.”
Jareth
sembrò compiaciuto della risposta: il nano sembrava avere
ancora abbastanza soggezione di lui. Poteva fidarsi nell'affidargli
il nuovo incarico “Vedo. Per un momento ho pensato che corressi
ad aiutarla. Ma no, non dopo i miei avvertimenti**, sarebbe stupido.”
disse girandogli intorno come un avvoltoio.
“Puoi
dirlo! Io che aiuto lei? Dopo i tuoi avvertimenti?” domandò
scoppiando in una risata sguaiata e isterica che cercava di
nascondere la paura che provava al momento. Non si avvide che il
sovrano era andato a posizionarsi alle sue spalle, sedendosi sulla
pietra ferrosa per essere all'altezza del suo interlocutore. Hoggle
sobbalzò per la paura, trovandoselo così
spaventosamente vicino
“Oh,
povero il mio Col-gle***” disse il biondo compatendolo e
portandosi una mano al collo, indicando quale sarebbe stata la sua
fine se continuava a mentirgli: la sua testa appesa in bella mostra
nella sala del trono come trofeo di caccia dopo una violenta
impiccagione.
L'istinto
polemico fu più forte di lui e il nano si trovò a
balbettare un “Hoggle” timoroso.
“Mi
accorgo...” disse il mago avvicinandolo a sé, ignorando
la puntualizzazione, in un gesto ancora più terrificante, che
denotava tutto il suo potere: lui era onnipotente e poteva
raggiungerlo ovunque “...Che i tuoi adorabili gioielli sono
spariti”
“Eh
già, spariti... i miei bei gioielli...” disse portandosi
automaticamente le mani alla cinta dove non pendeva più il suo
bottino e fingendo di cercare per terra, quasi si fosse appena
accorto di averli persi “Dovrò cercarli. Ma prima
porterò la signorina all'ingresso del labirinto, come avevamo
concordato” Così dicendo, si voltò, pronto a
tagliare la corda il più velocemente possibile per non essere
costretto a restare un minuto di più al cospetto del mago. Ma
quello lo richiamò, costringendolo a fermarsi e a prestargli,
ancora, la propria attenzione.
Jareth
si era rimesso in piedi e lo osservava divertito. Si stava
dimenticando il motivo per cui si era allontanto, ancora una volta,
dal castello “Aspetta, ho un programma molto migliore...”
disse facendosi comparire una sfera tra le dita guantate. “Dalle
questa...” suggerì orgoglioso di sé
lanciandogliela. Così dicendo aveva anche annullato,
implicitamente, l'ordine precedente di riportarla all'inizio. Anzi,
era meglio se il nano non avesse capito quel tacito ordine e fosse
stato tentato di tradirlo, aiutandola ad arrivare alla fine: in
questo modo non faceva che agevolare lui e il suo nuovo piano.
Il
nano afferrò al volo la sfera, che nella parabola discendente
si era tramutata in una piccola pesca matura “Cos'è?”
domandò Hoggle, perplesso subodorando il pericolo nascosto
dietro quel frutto.
“Un
regalo.” puntualizzò Jareth come se fosse la cosa più
ovvia del mondo. Un dono. Ma in perfetto stile Goblin, aggiunse tra
sé, che usavano i frutti
proibiti del regno delle fate per attirare in trappola le loro prede.
Si domandò se il nano capisse la reale portata
di tutto ciò.
“Non
farà del male alla signorina?” domandò l'altro
dubbioso e in ansia
“E
perché ti preoccupi?” domandò il re di rimando,
canzonandolo. Forse il suo controllo sul nano non era così
forte come aveva sperato. Perché non si limitava a eseguire il
suo ordine come aveva sempre fatto?
“Non
farò nulla che possa nuocerle (4*)”. Quel dannato
bracciale stava avendo più effetto di quello che avrebbe
creduto possibile. Non poteva nemmeno strapparglielo di dosso con la
forza. Doveva incutere al suddito abbastanza terrore per essere
sicuro che portasse a termine la missione. Se avesse potuto, si
sarebbe arrangiato, ma non poteva: lei non si sarebbe fidata se non
di un suo “amico”. E poi il ruolo che rivestiva glielo
impediva: lo sfidato che aiuta lo sfidante? Lui era il cattivo, ai
suoi occhi, e, anche per questo, doveva adoperarsi di sotterfugi: il
male non era mai diretto, non si imponeva. Seduceva e così
lui. Ma il nano, che cominciava a ragionare indipendentemente e
contro la sua maestà, lo irritava.
Era
preoccupato per Sarah, poverino, pensò sarcastico.
Come
se lui non lo fosse, forse anche di più.
“Via
via groglodita.” lo canzonò stizzito “Mi stupisce
che tu stia perdendo la testa per una ragazza” sottolineò
l'ultima parola con un tono profondamente schifato e deluso. Nano e
amore non erano parole che potevano stare pacificamente e
armoniosamente assieme in una qualunque frase. Era pressoché
impossibile: i nani non si riproducevano come le altre creature e non
si era mai sentito parlare di elementi femminili nella loro razza.
Solo il loro aspetto, così grottesco, al contempo bambini e
vecchi, poteva far pensare a una possibile eccezione. Jareth arricciò
il naso, più a quel pensiero che all'idea della concorrenza
che lui poteva rappresentare. Anche dal punto di vista caratteriale
un misero nano poteva rappresentarle solo la spensieratezza, il
bisogno di essere guidati e la cattiveria infantile e la tranquillità
monotona esente da rivoluzioni della vecchiaia. Non le avrebbe mai
dato il brivido della novità, dell'avventura, della sorpresa.
Si irritò ulteriormente constatando come lo stesse seriamente
valutando come rivale.
“Io
non ho perso la testa” aveva replicato l'altro, nel frattempo,
punto nel vivo. Era evidente: il nano sapeva anche del potere che
quel particolare frutto portava in sé. Si accigliò.
Mica gli aveva consegnato un'arancia, l'amore! Quello sì,
l'avrebbe compromesso definitivamente. Aveva scelto, invece, la
tenera pesca: l'immortalità (5*). Era vero che conteneva, in
minima parte, anche la spinta alla famiglia e al matrimonio. Ma il
nano non poteva, non doveva, aver pensato subito a quello. O sì?
Che avesse sbagliato completamente nella sua scelta? Forse così
aveva reso ancora più palese il suo desiderio?
Assottigliò
lo sguardo. Non era di se stesso che doveva preoccuparsi, al momento.
Si
focalizzò sul suo interlocutore. Il nano era davvero
innamorato? Addirittura geloso? Questa era davvero bella, ma quando
mai si era sentita una sciocchezza simile? Quella ragazzina gli stava
riservando un divertimento inaspettato dietro l'altro. Riusciva a
rivoluzionare le leggi e le verità granitiche del suo mondo. E
la cosa non gli andava per niente a genio. Così, sviò
il discorso e l'attenzione da sé.
“Non
penserai..” disse svettando davanti a lui, evidenziando ancora
una volta la differenza di rango, di potere e di bellezza. Doveva
annientarne l'animo, farlo sentire la nullità che era: un
servo e il suo padrone. Come osava farsi venire certe idee? “...Che
a una ragazza potrebbe piacere una repellente piccola piaga come te,
vero?” Dalla sua posizione sopraelevata calò il bastone
da passeggio sul petto del nano come una mannaia, piantandoglielo
addosso a ogni parola che scandiva con irritazione mal celata. Doveva
fargli passare assolutamente certe idee dalla testa. Le davi un dito
e si prendeva non solo il braccio, tutto il corpo: Sarah aveva
davvero in sé il potenziale per distruggerlo e per governare
autonomamente. Partita da un nano, aveva conquistato anche un
Troll....e non si sarebbe più fermata.
“Beh..”
si giustificò Hoggle, massaggiandosi il torace offeso. Era
perfettamente conscio di non essere un Adone, né un esempio
virtuoso di lealtà e coraggio “Lei ha detto che
siamo....” cominciò speranzoso che il biondo lo
interruppe, gli occhi ridotti a due fessure: stava prendendo anche il
brutto vizio di contraddirlo
“Compagni
del cuore?” lo canzonò ancora Jareth “Amici?”
sputò la parola quasi fosse veleno. Lei e il nano amici,
mentre lui era il nemico. Proprio una bella situazione in cui
cacciarsi. La rabbia e la frustrazione montavano dentro di lui, quasi
accecandolo.
“Non
ha importanza...” mormorò Hoggle abbattuto, stroncato
dall'acidità del sovrano che gli sbatteva in faccia la più
ovvia e palese delle realtà: era già fortunato che lei
gli rivolgesse la parola.
“Dagliela,
Hoggle” ringhiò Jareth, infastidito da tutta quella
melensaggine di cui si era riempito il loro discorso. Lo prese e lo
strattonò per un orecchio, sperando di spaventarlo a
sufficienza “O ti affogherò (6*) nella Palude
dell'Eterno Fetore prima che tu possa fiatare (7*)”
“Bene...”
mormorò la creatura col morale a terra, avviandosi, con la
pesca in mano, verso il suo triste compito
“E
Hoggle...” Disse Jareth richiamandolo “Se mai lei ti
baciasse io ti trasformerò in un principe” lo informò
serio. Doveva dimostrarsi la più terribile delle persone da
farsi nemica per essere certo che ubbidisse: illudere, tradire,
ferire...
“Lo
faresti davvero?” In un istante il morale di Hoggle era tornato
alle stelle. Jareth era un mago, certo che poteva, se voleva, fare
queste e altre magie. Si vedeva già in un castello
scintillante, bello e aitante su un cavallo bianco, tanto da far
invidia al sovrano, con Sarah affianco che lo guardava ammirato....ma
il ghigno del mago lo riportò alla realtà e gli fece
venire i brividi lungo la schiena
“Principe
di Fetorlandia” precisò, infatti, l'altro allargando le
braccia a indicare il titolo nobiliare esposto in un immaginario
ingresso e ridendo sguaiatamente dell'illusione che aveva regalato al
poveretto.
Hoggle
chinò la testa, affranto, e si avviò per l'ultima volta
a compiere il proprio dovere.
Jareth
rimase nella radura a sbellicarsi per qualche minuto. Quando i
singulti furono passati decise di rientrare al castello. Il suo piano
era solo a metà.
In
un turbinare di polvere rossa scintillante e foglie marce scomparve
per riapparire nella sala del trono. I suoi piccoli Goblin dovevano
essere frastornati da tutto quel continuo andirivieni. Li vide
seguirlo con sguardi curiosi, domandandosi quale sarebbe stata la
prossima mossa del loro sovrano.
“Convocate
Sir Didimus” ordinò andando a sbracarsi sul trono “E
fate in fretta, voi e lui!” intimò
Il
suo piano era un capolavoro di strategia. Se Hoggle doveva diventare
re, e lo sarebbe certamente diventato, se conosceva Sarah abbastanza
bene, doveva anche fare in modo che ci rimanesse abbastanza da
acquisirne il titolo. E chi meglio del suo più fidato e
coraggioso cavaliere dal complesso di Napoleone poteva riuscire
nell'impresa? Lui che abitava nell'unico albero superstite del suo
luogo d'origine, fedele ad esso nonostante la palude l'avesse
cancellato secoli addietro.
Ma,
d'altronde, era forse anche l'unico che potesse abitare quel luogo
così inospitale. In un caso più unico che raro, la
perdita in battaglia dell'occhio, sede della conoscenza e della
preveggenza, e l'orecchio sinistro, sede della comprensione, ne
avevano compromesso irrimediabilmente il fiuto, ad essi legato a
doppio filo, e, quindi, l'intuizione. Privo della preveggenza e
dell'intuizione, innocente e senza macchia come il migliore degli
ermellini (8*), non avrebbe mai messo in discussione gli ordini del
suo re, né avrebbe mai subodorato puzza di imbroglio.
Sì,
Sir Didimus era quello giusto.
Nella
foresta, intanto, Sarah aveva fatto lo spiacevole incontro coi Firey.
Se in un primo momento, quando si era trovata circondata da quelle
strane creature, le erano sembrati divertenti ed eccentrici,
successivamente ne aveva capito la pericolosità. Quegli esseri
sembravano essere un guazzabuglio di specie animali, dal muso felino
ma beccuto come i rapaci e dal corpo glabro sugli arti ma dalla
pelliccia fulva, i peli simili a piume, nelle giunture. Dall'animo
scanzonato e rilassato, amavano passare il loro tempo a trovare nuovi
modi di abbinare le loro membra smontabili, a giocare d'azzardo (9*),
a inventare nuovi giochi di parola, che nella maggior parte dei casi
risultavano patetici, e cantando, ballando e ancora giocando. Sarah
era rimasta a osservarli rapita fino a quando quelle creature, nel
loro continuo ricombinarsi gli arti in modi assurdi, non avevano
cercato di rimuovere la testa anche a lei.
Erano
così incivili da non sapere che potevano esistere altre specie
viventi che non si disassemblavano? O era cattiveria, la loro? Non lo
credeva possibile ma, come aveva ormai imparato a proprie spese, in
quel posto, nulla era come sembrava. Quindi ritenne opportuno cercare
di mettersi in salvo, appena ne fu in grado.
Arrabbiata
e terrorizzata, lanciò le teste di ciascun Firey più
lontano che poté nel tentativo di guadagnare tempo e corse
alla cieca, allontanandosi quanto poté dalla combriccola. Il
terreno era dissestato, grosse radici e massi ingombranti la
costrinsero a cambiare traiettoria all'ultimo momento più
d'una volta finché non arrivò terrorizzata al muro di
cinta. Non avrebbe saputo dire se era quello oltre il quale aveva
trovato Ludo o se si trattasse di un'altra zona del labirinto. Sapeva
solo che si trovava in trappola con un parete liscia a strapiombo
davanti e i Firey indispettiti per il lancio di teste dietro di sé
che in breve la raggiunsero. Ancora una volta, non riusciva a capire
se fossero lì con intenzioni bellicose, come credeva
possibile, dopo che aveva scombinato loro le teste, o se,
semplicemente, non volessero perdersi il nuovo compagno di giochi. A
lei la risposta non interessava minimamente. A un tratto, una grossa
fune le piovve davanti agli occhi: alzando lo sguardo sulle merlature
scorse il faccione di Hoggle. Sorrise grata e si affrettò a
issarsi lungo la sua unica via di fuga. Si rese conto che, dopo il
primo scivolone nella buca costellata di mani, era la seconda volta
che saliva di livello. Avrebbe potuto osservare il labirinto
dall'alto e, forse, trovare la soluzione. Il pensiero le diede forza
alle braccia e alle gambe durante l'arrampicata che fu tutt'altro che
agevole, tra teste di Firey volanti, i palmi che cominciavano a
bruciare per l'attrito a cui non erano abituati e i muscoli delle
braccia che si erano subito indolenziti per lo sforzo colossale a cui
erano stati richiamati all'improvviso, per quanto il nano, dall'alto
tirasse a sé la corda, accorciandole il tratto di corda da
percorrere. Una volta che riuscì ad arrivare in cima e a
reggersi con le sue sole forze, vide il giardiniere mollare la presa
dalla corda e andare sul ciglio nel tentativo di cacciare quegli
esseri. Il pensiero che il nano non avrebbe dovuto avere tutta
quell'autorità per spaventarli (e che, quindi, fosse un gesto
teoricamente inutile), non sfiorò minimamente la mente della
ragazza che fu semplicemente contenta del fatto che quei cosi rossi
non la perseguitassero più.
Hoggle
si allontanò da lei, dalla corda e dai Firey. In quel momento
non voleva aver nulla a che fare con nessuno: quelle creature
selvagge lo indispettivano, si sentiva in colpa nei confronti di
Sarah, che avrebbe presto tradito ed era, comunque, arrabbiato col
sovrano che l'aveva costretto a ficcarsi in quella situazione
spiacevole. Non voleva guidarla da nessuna parte, voleva solo restare
solo, come era sempre stato, anche se sapeva che ciò non era
possibile.
“Hoggle!”
gracidò Sarah rimettendosi in piedi alle sue spalle “Sei
venuto ad aiutarmi!” La sorpresa e la gioia della ragazza
erano evidenti: era felice di essersi fidata di lui in un primo
momento E, si disse, di non aver mai dubitato. L'entusiasmo per
quella constatazione la portò ad abbracciarlo.
Ma
Hoggle, forse perché nano, forse perché imbarazzato o
forse perché temeva le conseguenze di quel gesto più
dell'imbarazzo che avrebbe dovuto provare in quel momento, cercò
di divincolarsi, dimenandosi furiosamente.
Sarah
prese il suo comportamento come puro imbarazzo. Sorridendo
compiaciuta della sua bontà riottosa gli stampò un
bacio sulla guancia grinzosa, ignorando le proteste della creatura
che strepitava “No no no...Non baciarmi!”. Quando lo
baciò una seconda volta, una voragine si aprì ai loro
piedi, facendoli precipitare nel vuoto.
*
“Give the slip” indica un allontanamento volontario e
intenzionale da qualcuno che insegue. L'italiano “Prendere il
volo” ha più una sfumatura di allontanamento
accidentale, essersela fatta sfuggire, rimanendo indietro, senza che
lei cercasse realmente di scappare. In questo caso Hoggle voleva,
forse, scaricare la colpa su Sarah che avrebbe mangiato la foglia e
l'aveva lasciato indietro mentre lui cercava di fare il suo lavoro.
Nella nostra versione sembra essere più un'ammissione di
incompetenza. Ad ogni modo, noi (Jareth compreso) sappiamo che è
stato lui a piantarla in asso e non viceversa.
**
Warning è avvertimento, non ordine. Usato al plurale. Jareth,
infatti, ha dato l'ordine una volta sola, quando l'ha spedito nel
dimenticatoio, probabilmente ammonendolo sul rischio che correva nel
disubbidirlo. Altro avvertimento è stato dato quando erano nei
corridoi sotterranei. Sappiamo che ora gli darà un altro
ordine.
***
Jareth, come già detto in precedenza dice “Hoghead”
testa di porco. Volendo richiamare il fatto che lo sta minacciando di
morte, “Cruccol” non mi sembrava il termine più
adatto. Non che quello inventato lì per lì sia
meglio...
4*
Hoggle, nell'originale usa un futuro mentre in italiano è reso
con un condizionale. Seppur timidamente, Hoggle non sta esprimendo le
sue intenzioni ma sta disubbidendo a Jareth e lo informa che, nel
caso fosse qualcosa che possa danneggiarla, lui si rifiuta di
obbedire.
5*Oh,
finalmente parliamo di sta benedetta pesca. Scusate fin da ora lo
sfogo ma.... T_T chicazzè che ha scritto i mille “saggi”
sul film? Un cofano di ignoranti che non si son manco presi la briga
di aprire un libro di simbologia o di mitologia??? Molto
professional! Tutti a puntare il dito sulla “polpa morbida come
la pelle nuda”...ma la gente è malata per vedere ovunque
simboli sessuali? Sarò ingenua io ma ne avevo intuiti la metà.
Il fatto è che mi cascano sulla pesca proprio come pere cotte.
Anche perché...ci avrei messo un'albicocca, se proprio dovevo
identificare la pelle nuda.
Ok...mi
do una calmata e mi spiego.
Si
dice “pelle di pesca” ma questa è comunemente
riferito al rossore sfumato delle guance di una fanciulla e solo a
quello. L'albicocca, proveniente dalla stessa zona della pesca, ha
gli stessi colori e la stessa setosità (sia del frutto sia
della pelle) con simile leggenda d'amore alle spalle. Però il
significato del messaggio veicolato sarebbe stato un catastrofico “il
mio amore non è ricambiato”.
Ma
torniamo al pesco e alla pesca. Tanto per cominciare è un
frutto originario “delle montagne a sudovest della Cina, ai
confini col Tonchino e la Birmania. Il nome dell'albero deriva a sua
volta dal latino pomum persicum perché
si pensava che Alessandro l'avesse portato in Grecia dalla Persia.
Già nel I secolo d.C. Era coltivato in Italia […] In
Cina è considerato l'albero dell'immortalità, tra i cui
rami si apre la porta degli spiriti: solo quelli degni
dell'immortalità possono varcarla mentre quelli indegni
vengono dati in pasto alle tigri. In Giappone,
dove è migrato subito anche il significato originario,
simboleggia rinnovamento, rinascita, bellezza, gioventù,
purezza verginale e fedeltà. In Egitto la sua foglia, per la
forma aguzza e affusolata, simile a una lingua, ha ispirato il
simbolo del Silenzio.” Se pensiamo a come vengano messi a
tacere i ricordi di Sarah, direi che ci sta pienamente! “In
Europa ne è mancata, fino ad ora, un'elaborazione simbolica.”
Ma di solito, aggiungo io, con l'oggetto migra anche la superstizione
ad esso legata, infatti “Tuttavia è sempre stato
considerato benefico.” Quindi si narra del suo potere curativo
e di come scacciasse il male in generale. In generale si ritiene che
elimini tutto ciò che è negativo e che,
condivisa
con la persona amata, fortifichi l'intensità del sentimento.
E “secondo il linguaggio
ottocentesco dei sentimenti” (nota mia: Jareth veste in stile
'800 mentre la corte è ferma al'700, ma ci ritornerò
nel capitolo del ballo.) “Se si dona un ramo di fiore di pesco
si dichiara la propria ammirazione” e direi che Sarah ha tutta
l'ammirazione di Jareth “e nello stesso tempo ci si assicura
una totale dedizione”. Toh! Stranamente, infatti, dopo che lei
l'ha morsa si lascia condurre bella bella dal mago in un giro di
danza e sembra quasi ipnotizzata. Solo dopo si riscuote e non se lo
fila proprio più, la cretina.
Fonte:
Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di
fiori e piante, Mondadori,
Milano, 1996, pp.. 674-676
La
mela, che ha più il significato della conoscenza (per
tradizione si pensa sia una mela, quella data dal serpente ad Eva,
quando in realtà si parla solo di “frutto”), può
essere una valida alternativa (per amore e immortalità) data
dalla ricorrenza delle mele dorate dei miti scandinavi e in quelli
greco-romani.
6*
“To tip” vuol dire, più o meno, affossare qualcosa
fin sulla punta/orlo, mandare a fondo. Nel caso della palude non
indica solo “ti ci mando” ma “ti ci ficco fino alla
punta dei capelli”: ricordiamo che chi cade nella palude puzza
per sempre...affogarci dev'essere la peggiore delle punizioni. Non a
caso, tra l'altro, Jareth ce lo fa arrivare tramite scivolo: è
solo un caso che riesca a salvarsi, aggrappandosi, e che non ci
finisca dentro.
7*
“Before you can blink” è letteralmente “Prima
che tu possa batter ciglio”. Noi abbiamo sia la locuzione “in
un batter d'occhio” come anche “prima che tu possa dire
A”. Volevo sottolineare non tanto la rapidità
dell'azione, quanto la percezione che ne avrebbe avuto il
malcapitato.
8*Nel
prossimo capitolo capirete chi – e perché – sia
realmente Sir Didimus. L'allusione all'ermellino è indicativa
della sua purezza: si diceva che l'ermellino, se colpevole o se
macchiato, preferisse uccidersi che sopravvivere con la minima onta
sul suo manto. Sir Didimus è in realtà un animale puro
quanto l'ermellino ma in modo diverso.
9*Quando
il Firey si toglie gli occhi e li lancia a terra (e tutti capiamo che
li tratta come dadi) esclama “Malocchi”, il che ha
oggettivamente poco senso. Soprattutto visto che poco prima hanno
detto “Roll 'em” senza nemmeno tradurre, come la
precedente “Walk Tall”. Avessero detto “ambo”
sarebbe stato meglio. Cmq, la versione originale dice “Snake
Eye” che è un'espressione usata nel gioco dei dadi per
denominare la coppia di 1 (e il punteggio, quindi, di 2). Non sono
molte le combinazioni ad avere un nome (esiste, ad esempio, la Five
Fever, dove il risultato deve essere 5; cross eyes 3 e box cars 12 o
6+6 ) ma quelle con le facce uguali sono -ovviamente- le più
rare: 2 è il tiro peggiore che si possa fare.
Altro
gioco di parole mal tradotto è
la sequenza del “bad luck” cioè “sfortuna”,
che appare dopo una serie di “so when things get too rough/
your chin is dragging on the ground / and even down looks up / down
look up” ovvero “quando le cose si fanno troppo ardue/il
tuo mento è trascinato a terra [ovvero sei giù di
corda: “chin up” vuol dire “tirarsi su”]/ e
anche ciò che è giù [inteso anche come sfortuna]
guarda in alto”, resa con un “sono cartacce” -_-
tanto valeva non doppiarla proprio...come la “listen at this”
tradotta con “butta un occhio”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - -
Ciao
a tutti,
chiedo
scusa per il ritardo con cui posto questo capitolo ma non ero
riuscita a portarmi avanti a sufficienza per colmare le settimane da
panico che son state queste ultime....avete presente “The Day
Before”? Ecco...peggio...a finire le cose non solo la sera
prima, la notte...ma anche la mattina stessa.
Vabbeh...vi
risparmio i dettagli dell'angoscia XD è andato tutto bene e
ora sono di nuovo qui a rompervi le scatole <3
Ho
chiarito un po' di dubbi sulla pesca? Nel prossimo capitolo tocca a
Sir Didimus: anche lì ce ne sono delle belle ;)
Che
dirvi? A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Sir Didymus e la fogna ***
10.
Sir Didymus e la fogna
“Ecco
appunto...lo sapevo” pensò indispettito il mago. Era
allibito dal comportamento della ragazza ma non sorpreso. No...se
l'aspettava, ma sperava si comportasse diversamente. Così
aveva esitato, incerto se punire il nano, che in fondo aveva cercato
di allontanarsi e di divincolarsi dalla sua stretta. Inoltre, finché
lei continuava a stargli vicino, aveva le mani legate: aveva promesso
di spedire nella fogna a cielo aperto lui, non lei. Quando la vide
baciarlo la seconda volta, la rabbia lo accecò. Non se ne rese
nemmeno conto: la magia, incontrollata a causa della sua irritazione,
aveva creato uno squarcio nel terreno. Da lì ad assecondare la
volontà di spedirli nella Palude e creare, quindi, un condotto
che li facesse precipitare dentro quello schifo, fu questione di
piccole e immediate connessioni inconsce. Quando vide il nano
riuscire a salvarsi dal bagno fetido grazie a uno spunzone di radice
sul limitare della parete contenitiva, imprecò sommessamente,
il bel volto dai lineamenti contratti. Fortunatamente anche Sarah
riuscì ad aggrapparsi a qualcosa. Ma lei era più grossa
del nanerottolo ed era scivolata con più difficoltà nel
lungo tubo tortuoso. Quando si fu ripresa dallo shock, la ragazza si
allungò cautamente per aiutare il suo salvatore a tornare al
sicuro, puntellandosi bene e assicurandosi di essere stabile.
“Che
bisogno avevi di fare una cosa del genere?” la rimproverò
il nano non appena non fu più sospeso sugli effluvi
maleodoranti della Palude.
“Fatto
cosa?” chiese perplessa lei, cominciando a cercare di uscire da
quella situazione, mentre il nano, che si accorgeva solo allora del
reale pericolo che aveva corso, si appiattiva alla parete solida alle
sue spalle, terrorizzato “Intendi salvarti?” Le si
leggeva in faccia la confusione che le si agitava dentro: si
domandava se il nano avrebbe gradito davvero finire dentro quella
robaccia putrescente
“Ma
no!” replicò lui di rimando ancora troppo stordito da
quella situazione per essere caustico e tagliente come suo solito.
“Mi hai baciato!”
Era
vero. L'aveva baciato*, quella... Jareth assottigliò lo
sguardo: aveva esaurito i complimenti per quella ragazza e non sapeva
più come definirla. Il suo malumore era così
incontrollato che, ancora una volta, era scappato al suo volere
cosciente e aveva eroso il terreno da sotto i piedi dei due
fuggiaschi. Aspettandosi qualche altro scherzo simile, però, i
due si erano tenuti ben attaccati alla parete rocciosa e al franare
del terreno avevano spinto i piedi il più indietro possibile,
rimanendo aggrappati alla sottile striscia di terra che scorreva sul
dirupo. Sarah e Hoggle si spicciarono a procedere oltre, prima di
perdere l'equilibrio.
“Non
fare tanto il duro...” continuò la ragazza per
squarciare la cappa di terrore che era calata su di loro “So
che sei tornato per aiutarmi e che sei mio amico” sottolineò
lei con un tono vittorioso nella voce.
“Non
è vero!” replicò l'altro stizzito, distratto
dalla sua fobia da quei discorsi “Ma quale amico!”
continuò mentre Sarah oltrepassava un piccolo buco in quello
che, al momento, le sembrava il cornicione di un grattacielo. “Sono
solo venuto per prendermi i miei beni e...” esitò
pensando al fardello che portava legato alla cintola che gli correva
attorno al torace. “Anche per darti...” Il suo peso
sembrava quasi soffocarlo.
“Darmi
cosa?” Chiese Sarah ormai al sicuro.
Quel
piccolo frutto era così pesante che gli sembrava che lo stesse
trascinando a terra. Quando Sarah si voltò a osservarlo e si
mise a urlare, si accorse che il terreno sotto i suoi piedi stava
cedendo realmente. E tutto ciò non poteva che essere opera di
Jareth. Voleva punirlo davvero per quello che era successo pur contro
la sua volontà. Aveva cercato di evitare il contatto ma non ci
era riuscito: lui era piccolo e lei un gigante. La ragazza artigliò
la sua casacca nel tentativo di trattenerlo una seconda volta ma non
fu abbastanza svelta e franarono al suolo entrambi.
Fortunatamente
erano atterrati sul morbido, a pochi centimetri dalla pozza
nauseabonda.
Jareth
tornò a sbuffare come una pentola in ebollizione. Si buttò
di peso sullo schienale dello scranno: quel nano aveva una fortuna
sfacciata. E quella ragazzina gli dava sempre più sui nervi.
Fortunatamente aveva istruito bene Sir Didymus e questo, se non fosse
riuscito a trattenerli a sufficienza, avrebbe comunque ritardato la
loro marcia abbastanza a lungo da impedire loro di raggiungere il
castello. Notò, divertito, che non era l'unico a essere
infastidito dalle discutibili amicizie che quella scriteriata andava
stringendo in giro per il labirinto: Hoggle sembrava offeso del fatto
che lei non lo considerasse come suo unico amico e mal sopportava di
esser messo sullo stesso piano di quell'altro scherzo della natura
che era il Night-Troll pacifico.
“Eccoti
servito, stupido presuntuoso!” bofonchiò il sovrano
divertito.
Il
gruppetto individuò la via di fuga da quel postaccio e si
affrettò a guadagnare la riva opposta. Jareth sorrise vedendo
come Sir Didymus si fosse mosso istantaneamente, adempiendo
perfettamente al proprio dovere. Quello scoiattolo** troppo cresciuto
era davvero un'ottima guardia e non l'avrebbe deluso.
“Senza
il mio permesso, niuno attraverserà!” aveva gridato
tagliando la strada ai tre e rispondendo a tono alla ragazza che
pretendeva di superare il ponte, l'unico passaggio dal posto in cui
si trovavano.
“Ti
prego” lo scongiurò “Mi è rimasto poco
tempo!”
“Dobbiamo
uscire da questo fetore!” strepitò Hoggle. Jareth si
accigliò. Come si permetteva di essere così assertivo
quando lui doveva rimanerci per esserne il re? Sperò che il
suo cavaliere lo buttasse nella Palude con una stoccata nervosa.
D'altronde, aveva appena offeso la sua confortevole dimora. Gli
dispiaceva solo che Sarah fosse rimasta intrappolata in quel
postaccio...ma un paio d'ore non erano poi molto tempo e sarebbe
bastato un bel bagno a rimetterla in sesto. Ammesso che non vi
scivolasse dentro. Ma confidava in lei e nel suo equilibrio.
“Fetore?”
domandò il guardiano stizzito “Di che mai si favella?”
“Del
puzzo!” replicò Sarah esasperata, la manica sul volto
nel tentativo di filtrare l'aria malsana con il cotone profumato.
Lo
scoiattolo sembrò perplesso. Annusò l'aria, tanto per
controllare che le cose non fossero cambiate tra un respiro e l'altro
“Non ne ho sentore...”
“Stai
scherzando?” Hoggle era visibilmente scettico e si sentiva
preso in giro come mai in vita sua.
“Ma
se io vivo in forza del mio fiuto...” fu la risposta piccata
del cavaliere. A quelle parole Ludo parve sorprendersi, anch'egli
incredulo.
Didymus
controllò ancora l'odore dell'aria quindi si profuse nella più
commovente descrizione della sua terra “Qui l'aere è
dolce et fragrante...Et niuno passa senza il mio permesso!”
puntualizzò feroce, puntando l'arma contro gli sconosciuti,
risvegliandosi dalla propria evocazione e ricordando cosa voleva
davvero quel gruppo così eterogeneo.
“Fatti
da parte!” Ringhiò Hoggle improvvisamente coraggioso e
andando a scansarlo di peso dal passaggio. Con quelli più
piccoli e più innocenti di lui faceva davvero lo spaccone
prepotente. Anche Sarah, che era tremendamente ingenua, veniva
trattata con la stessa superiorità genitoriale.
Ma
l'altro gli bloccò la strada con altrettanta convinzione
“Giammai! 'Che io son votato al mio dovere. Là!”
disse puntandogli la lancia al petto, più o meno come aveva
fatto lui stesso poco prima col bastone da passeggio.
“Andiamo!
Facci attraversare!” ordinò anche la ragazza al limite
della pazienza. Ma lui si frappose ancora una volta tra loro e la
libertà.
“Touche!”
rise, colpendo il Night-Troll che si era fatto avanti più per
far scudo alla sua amica che per guadagnare terreno. Ma il bestione,
indispettito dal gesto afferrò la lancia e sollevò di
peso lo scoiattolo, che non mollava la presa. “Ehi, io non vo'
trovami costretto a ferirti...Molla!” strepitò il
piccoletto sospeso in aria. “Molla il mio bastone!”
Hoggle
approfittò della confusione che si era venuta a creare per
tagliare la corda e allontanarsi il più possibile da quel
luogo spaventoso.
“Dove
vai?” gli gridò dietro Sarah, leggendo il gesto come
l'ennesimo tradimento. Si sentiva quasi abituata, ormai, a quel
comportamento, anche se, certo, non era semplice non sentirsi feriti
ogni volta.
Ludo
e Didymus, intanto, continuavano nel loro rincorrersi e beccarsi.
Dopo che il Troll l'aveva fatto precipitare a terra con poca grazia,
il piccoletto aveva accettato la sfida al grido di “Allora
sia!”, gambizzando il suo avversario e, dopo averne scalato la
schiena, sbattendo l'arma sulla sua testa. Quando Ludo, disperato,
l'aveva fatto cadere in avanti con un movimento del capo, quello si
era attaccato tenacemente alle sue orecchie e gli aveva morso una
delle ditona che aveva avvicinato nel tentativo di staccarselo di
dosso. A quel punto, il gigante l'aveva lanciato lontano,
istintivamente. Ma il piccoletto era tornato alla carica, indefesso e
instancabile. Il buon Troll, esasperato, per quanto fuggisse la
violenza, fu costretto a reagire: prese la prima cosa che trovò
sotto mano, un grosso ramo secco, e cominciò a cercare di
colpire l'altro. Ogni colpo, però, andava a vuoto, vista la
rapidità dei movimenti del cavaliere che continuava a ridere
della propria abilità e a provocarlo verbalmente.
Tutto
si calmò quando Ludo mollò un colpo alla base
dell'albero, in cui si era rintanato lo scoiattolo, sbriciolandolo.
Ludo e Sarah non fecero a tempo a capire la gravità del gesto
e a domandarsi se avessero fatto qualcosa di irreparabile che Didymus
sbucò da un foro ad un metro da terra, spaventando a morte
Ludo che già si vedeva come assassino.
“Poffare...mai
prima d'ora trovai chi mi fosse pari nel duello. Or questo nobile
cavaliere si è battuto con me fino allo stremo”
“Tutto
bene, Ludo?” domandò Sarah preoccupata. Ma tutto quello
che lo preoccupava, in realtà, era il puzzo tremendo.
“Sir
Ludo, così sei tu nomato? Or io, Sir Didymus mi inchino a te.
Noi saremo fratelli nunc et semper e per lo bene lotteremo insieme.”
Detto ciò, si lasciò tirar fuori dal suo pertugio e
posare a terra.
“Bene,
andiamo ora!” disse Sarah avviandosi al ponte. Ma lo scoiattolo
la bloccò ancora una volta “Un momento, altolà!
Dimentichi il sacro voto, milady! Non posso farti passare.”
Disse, ora più gentile
“Ma
hai detto a Ludo che siete fratelli!” protestò ancora
lei. Le sembrava così scontata come cosa, invece, ancora una
volta, doveva cercare di capire il modo di ragionare illogico, per
lei (e quindi forse molto più logico e semplice di quanto non
sospettasse), di quel mondo.
“Sì,
ma ho fatto un giuro! E onorarlo m'è d'uopo finché io
viva.” si giustificò. Non era per cattiveria che non
voleva farli passare: aveva solo un alto senso del dovere e
dell'onore.
“D'accordo,
vediamo che ci suggerisce la logica...” disse Sarah cercando di
guadagnare calma e freddezza mentre Ludo riprendeva a lamentarsi
“Cos'hai giurato, esattamente?” Chiese, sperando di aver
finalmente capito in che modo muoversi all'interno di quel mondo in
cui la parola aveva più potere di ogni altra cosa.
“Feci
giuro che, a costo del mio sangue, niuno al mondo passerà di
qua...” e nel dirlo si volse verso il punto in cui Hoggle era
scomparso alla vista, quasi cercasse di comunicargli la propria
intenzione di andarlo a ripescare ovunque si fosse nascosto “...senza
la mia...permissione!” disse, fiero di essersi ricordato tutte
le parole precise che aveva pronunciato. Ludo sembrò
spaventato dall'apparente impossibilità di infrangere quella
barriera e si volse speranzoso verso la sua protetta.
Sarah
soppesò attentamente le parole. Di certo non voleva chiedergli
il sangue, né letteralmente né metaforicamente, come
tributo al loro passaggio. L'unico modo per passare di là,
senza infrangere il voto e senza chiedere sacrifici di alcun genere,
era solo uno. “Beh...possiamo avere La permissione?” Era
così ovvio!
Anche
Didymus sembrò sbalordito dalla semplicità con cui si
poteva aggirare il vincolo. “Beh io...” balbettò
incerto “...non credo proprio che...ecco...dovrei...” si
volse ancora. Lo sguardo, stavolta, era perso in lontananza, la voce
flebile, quasi temesse un tremendo castigo. E Sarah seppe con
certezza che dietro tutto quello c'era lo zampino del bel re mago. Lo
scoiattolo rimuginò a lungo e alla fine concesse con un
semplice “sì” il permesso al passaggio: d'altronde
non erano stati posti vincoli per i quali avrebbe dovuto operare una
scelta in merito all'offerta o meno del permesso. Era stato lasciato
al suo giudizio? I sottintesi non chiarivano il dilemma quindi, che
bastasse chiedere o che dovesse scegliere lui a chi concedere tale
privilegio, la ragazza gli stava comunque simpatica, il troll
pure...e a quel punto, tanto valeva perdonare anche il nano: che
passassero.
“Grazie,
nobile signore...” rispose Sarah calandosi nella parte della
dama. Trovava che adeguarsi al pensiero dell'altro fosse una forma di
rispetto, cortesia e gentilezza verso chi si era dimostrato generoso.
Quasi a schernirsi per la pochezza del proprio gesto, Didymus si
inchinò a lei, scoprendo il capo.
*
Anche sul bacio c'è qualcosa da dire. Al di là di tutti
i significati che si porta dietro (comunicazione/scambio se reciproco
o reverenza, rispetto, obbedienza, etc se solo uno dei due soggetti è
attivo. Sempre in quest'ottica attivo/passivo, chi bacia immetterebbe
nell'altro la propria forza o sottrarrebbe il male: insomma, sarebbe
un modo per parificare le forze e rendere il soggetto passivo più
simile a quello attivo che nel nostro caso, ma guarda un po', sono
Hoggle e Sarah e ciò rimarca il concetto già visto per
i gioielli. Ovviamente se l'agente è malevolo, sottrarrà
quanto di positivo c'è nell'altro) c'è da notare una
“curiosità”. Dunque, dando per scontato (come già
detto altre volte...forse nei commenti, ora non ricordo precisamente)
che l'Underground affondi le sue radici nel medioevo (dalle favole
citate, alla disposizione ammassata della cittadella, la presenza del
castello, i colori e le fogge dei vestiti dei personaggi -anche se
poi si fa un po' un guazzabuglio e si mescolano diversi elementi-)
direi che è interessante sapere che “Nella società
feudale il bacio sollevava parecchie difficoltà quando una
dama riceveva od offriva l'omaggio”
**
Oh...lo scoiattolo. Questo è un altro dettaglio che mi ha
impensierito a lungo. Sinceramente avevo sempre visto Didymus come
una volpe o un volpino (il cane) anche se poi non tornavano i conti
con le caratteristiche simboliche ma a imbrogliarmi erano,
sostanzialmente, la coda e il colore. Ho trovato scritto che poteva
essere un incrocio tra uno scoiattolo e un fox-terrier. Ora...il
fox-terrier è un cane che con le volpi non ha nulla a che
spartire, nome a parte. Ho indagato quindi sullo scoiattolo
e...ta-dah! Ho scoperto che proprio di scoiattolo si tratta. O
meglio: ci sono arrivata collegando un paio di cosette che ora vi
espongo.
Cominciamo
col peluche che si trova in camera di Sarah (compare già
all'inizio): è inequivocabilmente uno scoiattolo vestito.
Mentre Ambrosius è effettivamente un cane e tale rimane, se
Didymus fosse stato una volpe avrebbero dovuto modificarne la
morfologia per far sì che restasse in piedi, mentre lo
scoiattolo sta in posizione eretta in modo autonomo. Inoltre...vive e
si rintana nell'albero (e né il cane né la volpe lo
fanno) ed è molto abile...sul fatto che cerchi di ringhiare e
abbaiare beh...credo che farlo squittire sarebbe stato poco marziale.
Ma al di là di tutto questo due cose mi sono venute in aiuto
in modo inequivocabile. Il nome, innanzi tutto: deriva
dal nome greco Didymos,
letteralmente "fratello gemello", attraverso la forma
latina Dydimus e
nel martirologio cristiano è associato al culto di Teodora.
Leggete attentamente perché la cosa torna tra poco “Teodora
e Didimo (morti nel 304) sono due santi cristiani la cui leggenda si
basa su un racconto del IV secolo attribuito a sant'Ambrogio. Santa
Teodora è festeggiata il 28 aprile. Furono martirizzati sotto
il regno dei co-imperatori romani Diocleziano e Massimiano. A causa
di un calo della popolazione, fu emesso un editto che imponeva alle
donne romane di aver figli e fu criminalizzata la verginità.
Il prefetto di Alessandria d'Egitto, Proculus, venne a conoscenza del
voto di nubilato di Teodora, che nel racconto è descritta come
una bella ragazza, di nobile famiglia romana, che non avrebbe avuto
nessuna difficoltà a scegliere tra molti pretendenti. La
scoperta del suo voto di castità (giurò che se avesse
perso la verginità non sarebbe stato per sua scelta) la fece
condannare ad essere rinchiusa in un lupanare.
Il
suo primo cliente fu Didimo, un soldato cristiano che era venuto in
realtà a salvarla. La storia narra che scambiò i
vestiti con lei, permettendole di fuggire. Quando giunse un altro
cliente, Didimo si rivelò, dicendo di considerarsi un uomo
benedetto perché gli era stata data la possibilità di
salvare una donna innocente e di morire per la sua fede. Didimo fu
preso prigioniero e portato al cospetto del prefetto Proculus, che lo
condannò a morte. Sant'Ambrogio dice che Teodora non poteva
consentire al suo salvatore di morire da solo, e si presentò
al cospetto di Proculus prima della esecuzione. Didimo e Teodora
furono decapitati. Il corpo di Didimo venne bruciato. La storia di
Teodora e Didimo è quasi identica a quella dei santi Antonia e
Alessandro.” fonte: Wikipedia
A
questo aggiungiamo il fatto che “Poco sfruttato dal punto di
vista simbolico, lo scoiattolo non entra a far parte dei miti e dei
testi sacri. Tuttavia è interessante ricordare una leggenda
popolare. Testimone
involontario dell'accoppiamento colpevole di Adamo ed Eva, lo
scoiattolo ne fu così inorridito che, avendo cura di
allargarla bene, si parò gli occhi con la coda, un tempo
stretta e sottile. Dio, per premiarlo del suo atteggiamento
reverenziale, gli avrebbe allora fatto dono di una coda larga e a
pennacchio affinché d'ora in poi avesse modo di proteggersi
efficacemente da qualunque spettacolo potesse insudiciarne l'anima
candida.”
A tutto ciò si aggiunge poi l'immagine del risparmiatore che
accumula ghiande nell'albero. (Dizionario dei simboli, dei miti e
delle credenze, Corinne Morel, Giunti, pag.748)
Insomma...tra
nome e simbologia tutto condurrebbe al protettore delle virtù
(nell'altro capitolo citavo l'ermellino che è abusato come
figura virtuosa ma ha una sfumatura diversa. L'ermellino, infatti, è
a mio parere, un po' più vigliacco: se il suo manto candido
viene macchiato anche minimamente si uccide perché non riesce
a tollerare l'onta mentre lo scoiattolo vuole proteggere se stesso
dal male...sono sfumature significative. Non a caso, in quanto
protettore, è messo a guardia della fogna). Se vogliamo può
essere vista come un tentativo di preservare l'innocenza di Sarah e
di tenerla al sicuro dalla sua crescita metaforica (se vogliamo
leggere il film secondo l'interpretazione comune del viaggio di
formazione).
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - -
Eccoci
al decimo capitolo, finalmente.
Come
dicevo ad alcuni di voi, il capitolo del ballo, per motivi di
lunghezza dei capitoli è stato spostato in blocco al capitolo
12 -monotematico- :)
Quindi,
abbiate ancora un po' di pazienza.
Spero
che la dose di irritazione di Jareth vi soddisfi così come la
mia giustificazione della natura di Sir Didymus.
E
ormai siamo anche agli sgoccioli del 2011, quindi credo che ci
risentiremo con l'anno nuovo :)
In
ritardo vi faccio gli auguri di Buon Natale e vi auguro di passare un
buon capodanno scoppiettante!
Carlotta
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** L'invito ***
11.
L'invito
Alla
fine, quindi, Sarah ce l'aveva fatta: aveva capito come si ragionava
nell'Underground ed era riuscita a bypassare il giuramento di Sir
Didymus con relativa facilità. Certo, sperava di guadagnare
più tempo con quello stratagemma ma fece spallucce con
noncuranza. Anzi, per certi versi era quasi contento: non vedeva
l'ora che uscisse da quel posto nauseabondo.
“Andate
via tutti!” ordinò alle piccole creature che affollavano
la sala del trono “Galline e maiali compresi!” specificò
prima di doverlo urlare per mezzo castello o farli allo spiedo seduta
stante.
Quando
la sala si fu svuotata del tutto, porte e le finestre si serrarono in
sincrono oscurando la stanza.
Lentamente,
una pallida luce cominciò a brillare in mezzo a tutta
quell'oscurità
“Io
Jareth...” disse la voce flautata del sovrano da un punto
imprecisato. Il suo volto apparve, opalescente, al limitare di
quell'imprecisata fonte luminosa che andava espandendosi man mano che
lui parlava . “Sovrano di Goblin City...vi invoco!” disse
e la sala fu improvvisamente invasa da una luce accecante che subito
si attenuò. Jareth era in piedi davanti a centinaia di copie
di se stesso: una decina vicini, a un paio di metri di distanza, gli
altri sparpagliati ordinatamente in circolo, sempre più fitti,
fin dove l'occhio poteva arrivare. Erano tutti vestiti della sobria
veste nera che Jareth teneva solo nei suoi appartamenti. Il lungo
mantello blu scivolava ai suoi piedi, cingendone la figura con volute
simili alle corna del suo scranno. Al centro di quella folla, però,
lui fu l'unico ad alzare il braccio guantato sopra la testa, tra le
dita una piccola sfera brillante. Quando essa scomparve, gli uomini
attorno a sé alzarono il braccio in sincrono, nella più
perfetta e inquietante delle coreografie. Sul palmo di ciascuno, con
movimento fluido del polso, comparve una sfera simile.
Egli
parlò, poi, con voce così bassa da non essere
umanamente percepibile. Il suo discorso durò pochi secondi,
lasciando, probabilmente, che il resto del discorso venisse elaborato
dai suoi doppioni una volta giunti a destinazione. Le figure attorno
a lui scomparvero un po' per volta, rivelando la struttura di un
labirinto di specchi che rifletteva all'infinito l'immagine del
sovrano.
Quando
anche l'ultimo, più lontano, riflesso scomparve, la stanza
ripiombò immediatamente nell'ordinario squallore. Solo, nella
grande stanza, si domandò per un attimo se avesse fatto la
cosa giusta. Certo, si incoraggiò, lei sognava i balli come
nelle fiabe, aveva anche un carillon che le ricordava costantemente
il desiderio di vivere in un sogno. Eppure aveva rifiutato la sua
prima offerta in tal senso. Si vergognò di se stesso per
essere costretto ad agire in modo così subdolo e prepotente,
forzarla e ingannarla ad accettare i suoi stessi desideri. Ma non
stava facendo nulla di male, per ora. Era generoso a offrirle un tale
intrattenimento. Intrattenimento che, al contempo, l'avrebbe tenuta
al riparo dalle creature abbiette che popolavano quella porzione di
Underground e condotta al castello, fluttuando all'interno di una
sfera che non poteva essere rotta se non dall'interno, dove sarebbe
stato anch'egli. Che poi tale offerta gli consentisse di incantarla
più facilmente, era tutto un altro paio di maniche...O almeno
così sperava. Si sentiva sconfitto in partenza. Forse lei non
avrebbe mai addentato la pesca o la sua volontà l'avrebbe
salvata. Si appoggiò alla finestra mentre i piccoli Goblin
tornavano a riempire la sala. Troppe cose stavano andando nel verso
sbagliato. Nulla di quello che lui desiderava si stava
concretizzando: dove diavolo era finita la legge universale
dell'Underground secondo cui la forza di volontà esaudiva ogni
desiderio? Non stava desiderando abbastanza intensamente? Che fosse
così masochista da desiderare, seguendo un ragionamento
contorto e perverso, di correre sul filo di lana per non avere una
vittoria troppo schiacciante e noiosa? O forse la volontà di
Sarah era così superiore alla sua? Sarah, sempre e solo lei;
tutto ruotava attorno a lei! Sarah non desisteva, Sarah non si
piegava a lui...e quel dannatissimo nano non affogava nella Palude
per quante volte lui ci avesse provato. Doveva prenderlo come un
presagio? No, si rispose. Quella volta sarebbe andato tutto bene. Lui
l'aveva voluta e dopo anni lei era arrivata. Sennò che ci
stava a fare lì se non per diventare la sua regina?
Forse
era come una partita a scacchi. Per vincere doveva lasciarsi mangiare
qualche pedina. Doveva guardare a lungo termine, si ripropose ancora.
Doveva riuscire a sconvolgerla ora, finché era in tempo. Non
gli importava più di vincere. Non così tanto. Non così
in fretta. Ci sperava ma allo stesso tempo sentiva che le cose non
sarebbero andate come voleva lui. Ancora non riusciva a capire cosa
gli fosse preso nelle ultime ore, da che aveva incontrato quella
ragazza. Si rendeva conto di poter passare per schizofrenico.
Nonostante ciò, non riusciva a tenere a bada i molti pensieri
e sensazioni, tra loro contraddittori, che lo stavano squassando.
Certo, si stava rivelando sempre più un'avversaria temibile,
caparbia e tenace. Qualcos'altro, oltre l'ammirazione, gli si
rigirava nello stomaco ma non riusciva a identificare cosa fosse quel
qualcosa di nuovo in sé. L'unica cosa certa era che non aveva
alcuna intenzione di lasciarla andare. Lei doveva diventare la sua
regina e Toby il suo discendente. Doveva convincersi che non poteva,
non doveva provare pietà. Come non doveva lasciare che la
stima per lei lo accecasse al punto da lasciarla tornare indietro.
Decise
di accantonare quel pensiero e ritornare a seguire le peripezie della
ragazza. Sfilò una sfera e si accoccolò sulla finestra.
Vide
Sarah mettersi in salvo saltellando su una fila di massi galleggianti
posti esattamente sulla traiettoria del ponte, che però non
esisteva più, e afferrare la mano di Hoggle che era emerso
dalle felci in cui era scappato poco prima. Quel rudere doveva essere
franato e il Night Troll doveva aver evocato i suoi amici rocciosi,
di cui la palude era ricca, per creare una nuova passerella. Jareth
si accigliò al pensiero che quel dannato ponte traballante
poteva pure rovinare nella palude prima o durante il passaggio di
Hoggle. Quel nanerottolo era stato fin troppo lesto a battere in
ritirata. E ora, sorpassato anche da Ambrosius, la vigliacca
cavalcatura di Sir Didymus che riusciva a tenere il suo cavaliere
lontano dai guai controbilanciandone la sconsideratezza, lo vedeva
avvicinarsi al ciglio della palude con la pesca in mano. Jareth
inclinò la testa di lato. Voleva buttarla? E perché
mai? Un moto di stizza gli fece buttare indietro i lunghi capelli
biondi: doveva calmarsi. Mostrarsi adirato non avrebbe fatto altro
che mostrarlo vulnerabile. Come nei sotterranei aveva teso loro
quell'imboscata meditata, così ora doveva mostrarsi sereno:
doveva sembrare che fosse indifferente se la pesca veniva consegnata
o meno. Ciò su cui doveva calcare la mano era il tradimento e
sul fatto che non si potesse svicolare da un ordine del re con quella
facilità. Non doveva sembrare arrabbiato: doveva sembrare solo
un avvertimento.
“Non
lo farei se fossi in te!” Soffiò alla sfera in modo che
la voce echeggiasse nella testa di Hoggle come se un'immaginifica
coscienza inesistente del nano provenisse da tutt'attorno alla
palude, ricordandogli le sue parole.
“Oh,
ti prego! Non me la sento di dargliela...” replicò il
nano a se stesso posandosi la mano libera sul cuore, quasi potesse,
così, calmarne i battiti accelerati dalla paura. Ma era un
ordine e aveva già rischiato molto: doveva obbedire. Così
riprese il cammino al seguito di Didymus che, libero dal giuramento,
faceva loro da guida. Gliel'avrebbe data, decise a malincuore: presto
avrebbe dovuto avere fame..
La
notte era calata improvvisamente e i dintorni della Palude
ricordavano la foresta all'interno del labirinto, ma, al contrario di
quella, qui non si trovavano tracce di alcun tipo di essere
senziente. Lo scoiattolo aveva fatto rapidamente due calcoli e
marciava svelto, spronando i compagni, in quanto, con quel ritmo
avrebbero raggiunto il castello solo all'alba. Troppo tempo: era ora
il crepuscolo. Sarah non ce l'avrebbe mai fatta. Ma ciò che
impensieriva Jareth erano i rischi che correva nel tratto che la
separava dal castello. Per il resto era sicurissimo di vincere e di
intrappolarla nel suo regno.
“Guarda,
Sarah...” disse mostrando a Toby il contenuto della sfera “E'
questo che cerchi tanto?” Al punto da correre i rischi più
folli? O era stupida e non sapeva cosa rischiava, ma Jareth si
rifiutava di credere che fosse così ignorante, oppure era
semplicemente determinata e avventata. “Tanta pena per una cosa
così piccola...” disse guardando il fagottino che teneva
in braccio. Ora Toby gli sorrideva anche, battendo contento le
manine, e sembrava quasi cercare di parlargli, emettendo gorgoglii
inarticolati. Così piccola e così fragile cosa. Ma
anche lei era fragile e andava protetta: non poteva ostinarsi nel
ruolo del principe azzurro che va a liberare la fanciulla
imprigionata nella torre dal drago. Era lei la fanciulla. E lei
andava messa sotto protezione nella torre “Ma non per molto...”
riprese, pensando al suo piano perfetto. In un paio d'ore avrebbe
sicuramente addentato quella pesca “Lei presto si dimenticherà
di te, mio caro fanciullo”
E
penserà solo a me, dannazione!
Ecco,
pensò subito dopo, ora era geloso anche del suo pupillo. Era
geloso di tutti. Perché lei riservava a tutti delle
attenzioni...a tutti ma non a lui. Eppure lui la stimava così
tanto, pensava a lei ogni secondo e non c'era gesto che facesse che
non fosse indirizzato a lei. Anche gli spazzini nel tunnel: se lei
gli fosse stata del tutto indifferente di certo non avrebbe perso le
staffe in quel modo. L'avrebbe lasciata vagare. Invece aveva voluto
darle un assaggio del proprio potere e della propria irritazione.
Voleva essere considerato, ammirato e venerato da lei che, invece, lo
trattava come una pezza da piedi. Quell'atteggiamento proprio non gli
andava già: lui era un dio e lei una misera mortale e si
permetteva di fare tanto la superiore. Sbuffò. Certo che anche
lui...abbassarsi a perdere tempo con lei e farsi guidare nei suoi
giochetti quando avrebbe dovuto prenderla con la forza, in virtù
del suo ruolo. Eppure gli piaceva vederla affrontare le difficoltà
e crescere nell'affrontarle. Distolse lo sguardo dal marmocchio,
forse temendo che quegli occhioni innocenti leggessero il suo inganno
e la sua rabbia “Non appena Hoggle le avrà consegnato il
mio dono dimenticherà ogni cosa.”
E
potrò, finalmente, decidere io cosa debba essere importante
per lei, cosa debba sapere e cosa no. E il suo unico pensiero sarò
io.
In
quel momento, una leggera folata di vento attirò la sua
attenzione. Non si volse nemmeno a guardare chi fosse appena
arrivato. “Che diavolo ci fate qui?” sibilò
astioso. Quando due donne dai capelli rossi gli si avvicinarono,
incuriosite dal bambino che teneva in braccio, le scansò senza
prestar loro attenzione e consegnò Toby a uno dei suoi Goblin
“Tienilo per un po'...”
Quando
si voltò non fu sorpreso di trovarsi davanti a quella piccola
folla: li aveva percepiti uno ad uno. Ma le due donne lo guardavano
con aria maliziosa e con un velo di cattiveria “E' per questo
che ci hai convocati?” chiese quella vestita di verde senza
staccare gli occhi dal bambino.
“Non
è per lui...” sibilò una voce alle sue spalle.
Una figura, dai tratti somatici così ambigui da poter essere
benissimo un fanciullo come una maschiaccia, stava in coda al gruppo,
le mani puntellate sui fianchi.
“Non
è qui che dovevate venire!” replicò il re,
ignorando tutti
“Ma
Jareth caro...” replicò un'altra, i capelli mogano
raccolti in una crocchia elaborata da cui scappavano mille riccioli
“Volevamo solo presentarci tutti assieme, come ai vecchi tempi”
“Anche
se abbiamo tutti più di trecento anni, nulla ci vieta di
comportarci come ne avessimo la metà, no?” disse
un'altra, bionda, in un abito verde cangiante
“Eh
sia...” concesse il biondo “Ma a una condizione!”
Precisò sfilando una sfera dalla manica e facendola ruotare
sull'indice. La fece fermare di colpo “Oltre le maschere
dovrete portarvi questo...” così dicendo, sforbiciò
le dita e la sfera si moltiplicò nella sua mano come se fosse
stato un mazzo di carte aperto a ventaglio. Quindi incrociò le
dita tra loro e su ogni mano sfilarono quattro dischi, incastrati tra
un dito e l'altro come altrettante monete che lanciò ai suoi
ospiti come i guerrieri lanciano i dardi. Gli astanti afferrarono al
volo l'oggetto luminoso che, una volta nelle loro mani, si era
trasformato in uno specchietto. “Dovrete offrirmi una via di
fuga, quando lo riterrò opportuno...” disse spiegandosi.
Due specchi tra loro contrapposti davano vita al riflesso che si
veniva a incastrare tra loro e allo stesso modo, ciò che si
trovava frapposto tra due, poteva diventare un mero riflesso,
scivolare su altre superfici riflettenti e comparire a proprio
piacimento, istantaneamente, dove avesse voluto.
“Vuoi
che ti facciamo da guardie del corpo? Vuoi anche che la studiamo,
vero?” proruppe ridendo l'unico che poteva essere sicuramente
un uomo. Indossava un tricorno di cuoio con teschio e tibie
incrociate appuntate sul un lato della tesa. Jareth agitò la
mano alzando gli occhi come se non volesse rispondere verbalmente con
un compromettente “Diciamo di sì”
“D'accordo...”
acconsentì la bionda incrociando le braccia al petto “Ma
anche noi ti poniamo una condizione...”
“Concedimi
il primo ballo!” proruppe la donna dai capelli color mogano,
anticipandola
“Ehi!!
Non vale!” pretestò infatti l'altra
“Ballerò
con entrambe!” rispose il re, già stanco prima ancora di
cominciare, alzando gli occhi al cielo e portandosi una mano al volto
“A
me concedi il secondo?” chiese la rossa vestita di verde
“Io
poi voglio farmi un giro senza di lei!” replicò ancora
la donna in viola
“Ma
non eravate amiche del cuore?” sputò velenoso il
maschiaccio seduto nella vasca ai piedi del trono, i lunghi capelli
castani sciolti sulle spalle, mentre il suo compare si svaccava sul
trono al posto del biondo. Le due interpellate gli risposero con
smorfie infantili.
“Giù
i piedi!” sibilò Jareth marciando verso l'uomo che si
era seduto al suo posto.
Si
fermò di colpo “Silenzio!” ordinò
perentorio. Tornò a osservare la sfera. “E' tempo...”
disse andando alla finestra e arrampicandosi sul suo balcone. Mentre
nella sala i suoi invitati continuavano a battibeccare fraternamente,
lui si concentrò per scegliere i sogni giusti e le cose
migliori da far comparire nel suo tranello. Preparò diversi
piccoli universi armoniosi, tra loro coerenti, facendoli roteare tra
le mani, soppesandoli. Soffiò i prescelti come bolle di sapone
nella notte perché raggiungessero in volo Sarah e la
inglobassero al loro interno.
Alla
fine Hoggle aveva obbedito, era riuscito a trovare il modo di darle
quella pesca. E Jareth ne fu soddisfatto.
“Andiamo...”
disse tornando dai suoi ospiti togliendosi il mantello nero-blu dalle
spalle e, con esso, la veste da camera che rivelò un
elegantissimo abito sfavillante.
“Accidenti!”
protestarono le donne “Non vale, sei troppo bello, così...noi
scompariamo...”
Jareth
sorrise andando in contro al gruppo e prendendo sottobraccio,
orgoglioso, due delle presenti “E' proprio questo lo scopo...”
pensò tra sé, sghignazzando
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Questo
è l'ultimo capitolo di questo 2011. E postando in tempi così
ravvicinati tra loro sono riuscita a recuperare il ritardo accumulato
la settimana scorsa e tornare a seguire la tabella di marcia
originaria. Come avete visto ho inserito una scena inesistente nel
film, ma che mi serviva a giustificare la presenza e il comportamento
di alcune figure durante il ballo. Finalmente ci siamo!
PS:
sulla natura degli specchi: non mi sono inventata nulla. La
tradizione e la superstizione vogliono che non si debbano mai opporre
due superfici riflettenti proprio per evitare che uno spirito che si
venga a frapporre tra loro acquisti concretezza. E Jareth,
d'altronde, sembra usarli proprio in quel modo, quasi fossero dei
portali, un po' come fa Belldandy in “Oh, mia dea!”: in
ogni caso, nessuno si è comunque inventato nulla.
Aggiungo,
inoltre, che ho modificato il primo capitolo: ho messo una postilla
in cui spiego una volta per tutte le scelte operate per scrivere la
fic. :D
Ci
risentiamo nell'anno nuovo. Buoni festeggiamenti a tutti!
Un
bacione!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Il ballo ***
12-Il
ballo
Sarah
avanzò, esitante, nella grande sala bianca gremita di gente.
Le sembrava di aver dormito fino a pochi istanti prima. Non ricordava
cosa avesse sognato, né riusciva a ricordare perché si
trovasse in quel posto. Però le sembrava tutto così
naturale. L'abito con le crinoline non la impicciava e il busto non
la soffocava. Non si sentiva nemmeno eccessivamente a disagio in
mezzo a quella confusione: il suo smarrimento era dovuto unicamente
al fatto che non sapesse il motivo per cui si trovava in quel posto.
Tuttavia, la sala le risultava strana: a tratti opalescente, a tratti
grigia e consunta, di quel bianco non più nuovo; capitelli
finemente scolpiti galleggiavano dal soffitto senza essere appoggiati
a nessuna colonna, cosa che dava grande ariosità alla sala ma
contribuiva ad accentuare la fastidiosa sensazione di precarietà;
le perle e i pendenti cristallini dei sontuosi lampadari erano
offuscati, nel loro splendore, dalla cera colata da troppe candele
che aveva creato punte simili alle stalattiti e che sembravano quasi
gli strascichi rimasti impigliati di qualche fantasma, che nessuno si
era preso la briga di rimuovere.
All'ingresso,
celato allo sguardo, un ricco orologio dorato a parete indicava che
era da poco passata l'undicesima ora. Una doppia scalinata avvolgeva
la sala e si congiungeva, in alto, in una specie di palco rialzato,
sotto il quale erano ammassati una miriade di cuscini dai colori
caldi e autunnali, sui quali gli invitati si stendevano per
spiluccare qualcosa dai tavolini bassi disseminati qua e là.
Intorno
a lei, la gente era libera di esprimersi come voleva: danzava, si
rincorreva, talvolta litigava anche, contrariamente a quello che si
aspettava da un evento mondano, in cui riteneva opportuno tenere a
bada le emozioni per non dare scandalo. Tutti gli invitati portavano
maschere grottesche sul volto, chi quella dalle fattezze stilizzate
di un unicorno, chi quella di ali di farfalla. I loro abiti avevano,
prevalentemente, tinte scure dei colori della terra, come fossero
vecchi e usati a lungo, e di foggia più antica, quasi
settecentesca, rispetto al suo abito. Passava accanto a donne che
indossavano ora in una robe-à-la-française, ora uno
à-la-polonaise o uno à-la-anglaise. I cavalieri
vestivano abit-à-la-française completi, in cui la
sottomarsina era, talvolta, composta da qualcosa che ricordava,
macabra, la gabbia toracica e portavano larghi cappelli o parrucche
bianche. Sarah si sentiva a disagio: più della sensazione di
essere arrivata in ritardo (dato che molti si erano già
spogliati della marsina, per il gran caldo provocato dalle danze) ciò
che la metteva in imbarazzo era il proprio aspetto tanto differente
dagli altri invitati: lei era l'unica priva di maschera ed era
l'unica con un vestito chiaro, quasi opalescente, e di foggia
ottocentesca. E tutti, infatti, la osservavano, curiosi, invidiosi,
maliziosi e con commenti maligni sui sorrisi affettati: era
sicuramente al centro dell'attenzione.
Ma
ecco, semi nascosto dalla folla, un uomo, biondo, fasciato in un
meraviglioso completo di uno sfavillante blu regale* che sembrava
essere lì per lei: l'unico che sembrava potersi abbinare a
lei, portava una maschera** a mano sul volto che poteva rimuoverla
spostando semplicemente il braccio. Sarah ne fu attratta. Era bello
ed era l'unico a fissarla dritto negli occhi, serio. Non la studiava,
sembrava conoscerla e forse attenderla. Ma all'improvviso, egli
scomparve alla sua vista, lasciando al suo posto due donne che
chiacchieravano amabilmente e a cui una coppiera dalla pelle dorata
(anch'essa a volto scoperto, unica altra eccezione) stava servendo da
bere.
Sarah
era in assoluto la dama più affascinante di tutta la
sala...che avesse mai visto. Vederla in quegli abiti, che lui aveva
scelto appositamente per lei, assecondando i dettami dell'ultimissima
moda e non accontentandosi di quanto era già datato, come si
confaceva ai sovrani, l'aveva così colpito che non era
riuscito a sorriderle né a fare qualunque cosa che non fosse
osservarla con la mascella contratta. Si era comportato come un
pivellino alla sua prima cotta e tutto quello che aveva saputo fare
era stato scappare lasciando le sue accompagnatrici a rigirarsi gli
specchi tra le mani mentre la Tuatha De Danann le raggiungeva con le
bevande.
Aveva
visto come lei l'aveva guardato, ammirata, ammaliata... non sembrava
nemmeno lei con quel velo di desiderio negli occhi. E lui non aveva
più saputo come comportarsi fuori dal suo ruolo di cattivo.
Lì, in quel posto, non erano un concorrente e il suo
arbitro...erano due estranei che si conoscevano di vista. Non poteva
aggredirla con i soliti giochetti di parole arroganti, sfidarla e
farsi sfidare. Si consolò pensando che quella fuga, tipica
delle donne, funzionasse anche al contrario e a come lei, ora,
affascinata, lo stesse cercando.
Le
sue amiche lo ritrovarono e riuscirono a trascinarlo nelle danze come
promesso. Ma si resero conto ben presto che lui aveva la testa
altrove. Continuava a spiarla di continuo senza mai perderla di
vista, sfruttando anche le grandi pareti vetrate della sala: la vide
farsi prendere in giro da alcubi nobili che cercavano di spaventarla
o di deriderla. Ma non sapevano con chi avevano a che fare. Aveva
promesso loro un divertimento ed eccolo: lei non dava loro poi molta
soddisfazione e presto si stancarono di importunarla. Gli scocciava
solo che Sarah fosse presa così d'assedio e studiata come una
bestia rara.
“Non
dire che non ci avevi pensato, Jareth?” chiese comprensiva la
sua accompagnatrice, i capelli mogano e l'abito lilla. Lui non
rispose e incassò in silenzio. Si era giustificato troppo
spesso dietro quella scusa.
Sarah
continuò a cercare a lungo quell'uomo in marsina blu, dai
capelli biondi spruzzati di ciocche dello stesso colore dell'abito e
del bistro degli occhi. Era l'unico che non aveva riso vedendola. Lui
e la sua cricca, gli unici in cui non suscitava ilarità ma dai
quali proveniva quasi un senso di rifiuto. Tutto ciò la
incuriosiva e voleva tentare di avvicinarglisi. Possibile che fosse
stata tutta un'allucinazione, una propria illusione, una storia che
si era raccontata per non sentirsi sola? Nemmeno si accorse di
essergli passata davanti, nascosto com'era da un vaporoso ventaglio
di piume di struzzo.
Jareth,
sorridendo del desiderio che lei mostrava di trovarlo, si voltò
in direzione diametralmente opposta. Girava per la sala come un
predatore inquieto, tenendola sempre a portata di sguardo, senza
farsi mai vedere. Godeva della sua vista ma non sapeva come
comportarsi. Si ripeteva che l'attesa era essa stessa un piacere,
logorante, nostalgico e languido. I suoi amici erano sempre nei
dintorni, pronti a intervenire in caso lui l'avesse richiesto. Al suo
passaggio la gente si inchinava in segno di omaggio ma lui neanche li
degnava di un cenno del capo. Un'altra delle sue amiche, la mora in
abito viola e bordeaux gli si aggrappò alla spalla, quando gli
passò vicino, commentando positivamente la ragazza e la sua
scelta. Jareth l'ascoltò e sorrise compiaciuto, senza però
fermarsi. Poco dopo incrociò il ragazzino che, invece, gli
rivolse parole di fuoco. “Sei un cretino!” sibilò
velenoso aspettando di calamitare la sua attenzione. Jareth, infatti,
perse la baldanza che aveva fino a un attimo prima e ripiombò
nei meandri dei suoi pensieri più lugubri. L'altro fece per
allontanarsi che Jareth, con poche falcate, lo raggiunse e gli sbarrò
la strada.
“Che
vuoi dire?” ringhiò minaccioso
“Quello
che ho detto. Se ti piace tanto perché lasci che sia lo
zimbello di tutti? O forse ti vergogni a far sapere al popolo magico
che ti sei innamorato di un'umana e in così breve tempo?”
“Non
sono innamorato” tagliò corto lui, infastidito “In
così poco tempo non ci si innamora...”
“Certo
certo...Allora sei solo infatuato. Non cambia niente!” borbottò
l'altro seccato “La tua è magnanimità, vero Jay?
Vuoi mostrarci la perla rara, pavoneggiarti. Ma non è merito
tuo se lei è qui. E la scusa di volerla incantare nei suoi
sogni per essere sicuro di vincere è patetica. Per non parlare
del tuo volerla proteggere.” Jareth incassò, ancora una
volta in orgoglioso silenzio, senza ammorbidire lo sguardo tagliente
“E comunque lei non ti merita. E' in gamba, molto più di
te che non hai nemmeno il coraggio di avvicinarti ora che ha
dimenticato tutto. Non fai che giocare al gatto col topo. Anche
adesso ti prendi gioco di lei. Guardati: come sorridi beato nel
sapere quanto lei ti desidera! Ti stai comportando come un bambino
viziato. Se dovessi scommettere su chi, tra voi due, vincerà
questa partita, non esiterei un attimo a puntare su di lei!”
Così dicendo piantò lì il sovrano dei Goblin e
si allontanò. Jareth non si volse, puntò lo sguardo in
lontananza, dall'altra parte della sala.
Il
suo compagno aveva ragione da vendere. Lui stava solo scappando. Si
fermò, in mezzo al vorticare di danzatori, e guardò
verso Sarah: come lo cercava disperatamente, senza nascondere i suoi
desideri. Una musica giunse a carezzarlo, infondendogli coraggio. Era
una melodia che conosceva bene. Parole d'amore che a sua volta erano
state rivolte anche a lui.***
C'è
un amore così triste Nel profondo dei tuoi occhi, una
sorta di pallido gioiello Mostrato e nascosto nei tuoi
occhi Metterò il cielo nei tuoi occhi
So
cosa ho lasciato per trovarmi confinato a Goblin City ma so anche
cosa nasconde lei. I suoi occhi parlano del suo amore per me e di
quello per suo fratello, due forze diametralmente opposte: una
inconfessabile l'altra prepotentemente esposta. Le darò la
libertà più grande, quando sarà mia, le darò
tutto l'amore di cui ha bisogno e l'addolcirò, in modo che non
possa più odiarmi
C'è
un cuore così stupido Che batte così forte in cerca
di nuovi sogni Un amore che durerà nel tuo cuore Metterò
la luna nel tuo cuore
Inspirò
a fondo e prese la sua decisione. Affilò lo sguardo e
individuò i suoi accompagnatori che si volsero, all'unisono, a
guardarlo. Con gli occhi indicò la ragazza e con un cenno del
capo confermò il suo piano. Immediatamente due dame, una delle
sorelle dai capelli ramati e la bionda, gli furono accanto con gli
specchietti stretti in mano mentre, in sala, l'altra rossa e la donna
in viola e bordeaux, che aveva commentato la sua scelta, sgusciarono
tra i danzatori, strette attorno all'altro uomo della compagnia, in
modo da comparire davanti a Sarah. Nascosti dai ventagli e grazie
anche alla distrazione della ragazza, che si era appena girata a
cercare altrove con lo sguardo, Jareth e il suo amico effettuarono lo
scambio. Gli comparve davanti fissandola senza esitare. Lei era
evidentemente sbalordita di trovarselo davanti così
improvvisamente. Ma ora, Jareth aveva preso una decisione, non
sarebbe più fuggito, l'avrebbe affrontata. Era stanco delle
troppe frecciatine che si lanciavano. Voleva chiarire le cose con
lei, con se stesso, con gli astanti.
Quando
il dolore si insinua Non significa niente per te Ogni fremito è
passato Non era poi così divertente Ma ci sarò
per te Quando il mondo cadrà
Per
entrambi il dolore ora non significa più nulla. Siamo più
simili di quanto entrambi vorremmo ammettere. Lei è pronta a
essere tradita in ogni istante. Ciò ha appiattito la gamma dei
suoi sentimenti: niente più slanci, niente più follie.
La ragione è l'unica cosa che tiene al sicuro entrambi. Quanto
a me...ormai vivo nella noia più totale come punizione, in
esilio. Cosa può ferirmi di più?
Dipingerò
di oro le tue mattine Prolungherò (4*) le tue serate
romantiche Sebbene ora siamo estranei Abbiamo scelto il
sentiero tra le stelle Lascerò il mio amore tra le stelle
Abbiamo
scelto? Non noi, ci siamo trovati costretti. Ma per lei sarei pronto
a rinunciare anche al mio amore, quello che non mi ha mai tradito, la
magia. Potrei quasi farmi mortale, per lei. Ma le cose devono andare
diversamente e sarà lei a farsi immortale per me. Io l'ho
scelta. Lei farà altrettanto? Se doveva giudicare dal suo
comportamento e dal languore che l'animava a quel ballo, poteva
davvero mettersi l'animo in pace.
Avanzò
sicuro, la prese tra le braccia e lei lo lasciò fare,
facendosi guidare nella danza. Alle sue spalle avvertì lo
sguardo perplesso e stupito del ragazzino che gli aveva dato quella
bella strigliata. Stranamente, nessuno li badava: erano una coppia
come gli altri. Che lei fosse una giovane umana e lui il Re di Goblin
che era stato sfidato non interessava a nessuno.
Quando
il dolore si insinua Non significa niente per te Ogni fremito è
passato Non era poi così divertente Ma ci sarò
per te Quando il mondo cadrà
Lo
sguardo scivolò veloce sulla sua scollatura, guidato dalla
preziosa collana che le illuminava la pelle. Lei se ne sarebbe
accorta senz'altro, visto che non staccava gli occhi dai suoi. Eppure
non disse nulla: non si offese né lo respinse. Forse era
addirittura lusingata. Volteggiavano nella sala, mescolandosi alle
altre coppie danzanti come se nella loro vita non avessero mai fatto
altro.
Tutt'attorno,
gli invitati cominciarono, però, ben presto, a vociferare. Ma
non di riprovazione, come aveva temuto il re. Erano tutti
incuriositi, quasi morbosamente, dall'identità di quella che
ora era, palesemente, la preferita del sovrano. L'avevano osservata,
studiata, derisa, in quanto creatura esotica . Ora volevano indagare
ancora più a fondo per capire cosa vi fosse di così
speciale in lei da catturare l'attenzione di un partito così
ambito. Danzando con lei a quel modo, Jareth aveva comunicato a tutti
la sua scelta e tutti, allora, volevano vedere meglio, con occhi
nuovi, la sua fantastica regina.
Sarah
si accorse subito di quegli sguardi indesiderati e cominciò a
innervosirsi, sovrapponendo ad essi gli sguardi cattivi che aveva
ricevuto a inizio serata. Jareth, però, non la mollava e,
anzi, la strinse ancora di più a sé cercando di
calmarla. Eppure ora leggeva in lei solo confusione, si era resa
conto che doveva esserci qualcosa di sbagliato in tutto quello.
Ormai, come nelle migliori delle fiabe, erano all'apice della
tensione che sarebbe culminata col bacio di rito. Ma anziché
sfociare in un “vissero felici e contenti”, la situazione
stava degenerando in paura.
L'orologio
a parete, che lui aveva inserito nella scenografia per sapere sempre
a che punto del gioco fossero, cominciò a battere la
dodicesima ora. Fu la molla che fece scattare la ragazza. Che fosse
perché si fosse ricordata della sua missione, cosa assai
improbabile, che fosse perché a mezzanotte qualunque
Cenerentola doveva fuggire, che fosse perché si sentiva troppo
a disagio in mezzo a quell'orgia di gente sconosciuta in maschera o
per chissà quale altra ragione, Sarah lo guardò prima
allarmata quindi terrorizzata.
Gli
diede uno strattone e si liberò dal suo abbraccio. Si trovò
assediata dagli altri invitati che erano rimasti interdetti dal suo
gesto così poco grazioso. Si fece rapidamente strada,
fendendo, non senza difficoltà, quel mare umano infagottato in
ingombranti crinoline. La sorpresa era evidente sul volto di tutti i
presenti che, rimasti sconcertati da quanto stava accadendo,
impiegarono qualche secondo a reagire alla sua fuga. Le urlarono di
tornare indietro, che non avevano cattive intenzioni, che non poteva
andarsene così, lei che era l'anima della festa attorno a cui
ruotava tutto. Tesero le mani spasmodicamente per cercare di
afferrarle anche solo un lembo del vestito e, assiepati com'erano, si
intralciarono a vicenda nel tentativo di raggiungerla. Ma lei era già
lontana e, forte della sua giovinezza e del suo essere una ragazza di
carattere, se n'era fregata del bel vestito e si era messa a correre
per la sala come se fosse stata in jeans e scarpe da ginnastica.
Jareth
era rimasto imbambolato per tutto il tempo. Si era sottratta a lui e
l'aveva respinto. Perché si era comportata così? Come
doveva comportarsi ora? Il suo rifiuto bruciava come nulla era stato
capace fino a quel momento. Lui si era esposto, per lei, si era fatto
vedere da tutta l'alta corte, aveva gettato la maschera, le aveva
praticamente dichiarato un intento d'amore e lei...lei non solo si
era allontanata ma aveva letteralmente calpestato tutto quello. Si
sentiva girare la stanza attorno, prossimo a un calo di pressione,
una sensazione come quella che doveva aver provato Sarah prima di
venir intrappolata nel ballo. La vista si appannò e decise che
era il caso di scomparire e tornare al castello: le intenzioni di
Sarah erano chiare.
Cercando
la via di fuga, scostò la tenda, da cui era certa di essere
entrata e andò a sbattere contro una superficie opalescente e
a specchio. Alle sue spalle, intanto, la folla era riuscita a
districarsi e la stava raggiungendo. Per un qualche inspiegato
motivo, sentiva di dover fuggire da lì. Vide una sedia, lì
vicino, e decise che se quella, un vetro, era la sua via di fuga,
l'avrebbe infranto e sarebbe stata libera.
*Il
mondo classico greco e romano era indifferente al colore blu di cui
non avevano una precisa traduzione per il termine al punto da far
credere che gli antichi non ne avessero percezione fisica. Non veniva
considerato un colore a sé stante, ma variazioni ora di
bianco, ora di verde, ora di nero: il termine Glaukos
comprendeva una vasta gamma di sfumature, che andavano dal blu, al
verde, al miele, al grigio; Cyanos, il blu greco, è il
colore della sofferenza: "cianotico" è una persona
pallida, sofferente; Coeruleus, il latino azzurro, è
un'altra parola per dire bianco; il vocabolo serve infatti a
descrivere il colore della cera; in sanscrito la parola Nila
significa sia nero che blu.
La
regalità era rappresentata dalla porpora e l'oro, mentre il
blu era il colore barbaro dei Celti e dei Germani e largamente usato
nella cultura orientale (si pensi al blu dei mosaici bizantini, al
blu della porcellana cinese, al “blu egizio” conservato
nei musei, etc. Inoltre, in Oriente era considerato positivo e
protettore contro il malocchio; gli occhi blu, inoltre, si ritenevano
segno di poteri magici non sempre positivi). Per tale ragione le
parole che indicano questo colore, blu e azzurro, sono di origine
germanica la prima (blavus da blau), di origine araba
la seconda (azureus da lazaward).
Il
Medioevo rivalutò il blu a partire dal XII secolo associando
al colore le proprietà divine di bellezza e ricchezza adatte a
venerare Dio. Contemporaneamente il colore viene sempre di più
assimilato alla Vergine e a Cristo. Inoltre, il blu era diventato
anche il simbolo del re di Francia, oltre che del leggendario re
Artù: ancora una volta, comunque, c'è l'assimilazione
del concetto blu-divino-regale
**Visto
che farlo spiegare a Jareth sarebbe stato un po' complicato e
pesante, vi scrivo il simbolismo da cui ho tratto le mie conclusioni,
discutibili e del tutto arbitrarie.
“La
maschera, ornamento simbolico delle divinità, degli
officianti, degli stregoni e degli attori, è caratterizzata da
un simbolismo ambivalente. In assoluto, essa ha la funzione di
proteggere la persona per permetterle di agire impunemente, di
conservare l'anonimato, la sua identità, o la sua neutralità.
In questo senso, la maschera ha lo stesso significato del guanto, in
quanto impedisce di appropriarsi della conoscenza, della verità,
del mistero. […] Come vale anche per le maschere di carnevale,
la persona, dissimulata sotto la maschera, ritrova una libertà
assoluta. […] Di conseguenza se da un lato dissimula,
dall'altro può paradossalmente avere una funzione rivelatrice.
[…] Essa evoca di conseguenza l'atteggiamento difensivo e
ingannevole e solo quando cade la persona appare in tutta la sua
verità. […] Ha la funzione di bloccare le emozioni in
modo permanente, di mettere l'attore nel suo ruolo isolandolo dalla
sua identità personale.” fonte già citata.
Ovvero:
Jareth non recita più la parte del malvagio (la sua maschera è
quella del demonio) ma si mostra per quello che è.
***
Qua ho forzato la cosa, ma il soggetto della lirica non è
proprio chiarissimo, quindi ho fatto in modo che potesse sembrare
ambivalente, sia adatto a Sarah come a Jareth
4*to
spin: ruotare , agitare ma anche -soprattutto- PROLUNGARE. E se
prendiamo lo spin fisico si tratta, più che di rotazione, di
rivoluzione....
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ok,
scusate l'ennesima anticipazione ma ero sotto ricatto XD (se non
postavo, Jess non mi spoilerava, quindi... ç_ç abbiate
pietà di me e della mia curiosità)
Nota...ho
detto che i partecipanti vestono abiti particolari. In realtà
ciò che mi ha fatto pensare ad abiti settecenteschi sono gli
uomini: Jareth veste la classica tenuta completa di pantaloni e
redingotte dell'ottocento, frutto della rivoluzione francese e della
moda inglese, più pratica e sobria. Ad occhio esperto risulta
evidente che le dame non vestono proprio quello che ho scritto (i
costumi sono un po' un mix com'era uso negli anni '80) ma se gli
uomini vestivano in un modo le donne dovevano per forza adeguarsi ;)
e poi Sarah veste effettivamente un abito ottocentesco...quindi una
minima libertà interpretativa ci sta tutta.
E
niente bacio! Mi dispiace..non ce l'ho proprio fatta a inserire anche
solo il tentativo, come viene scritto nel libro. ç_ç
Tutto
sommato ero contenta di questo capitolo...rileggendolo per l'ultima
correzione, invece, mi sembra sciapo, privo di tensione...
Spero
vi sia piaciuto lo stesso. Eventualmente, più avanti, lo
rivedrò e capirò dove correggerlo...
Per
il resto..ragazzi..mancano 2 capitoli e poi l'avventura si conclude.
:( comincio già a provare nostalgia...
A
presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Gli ultimi ostacoli ***
Gli
ultimi ostacoli
Sarah
sognò di precipitare a lungo in un vorticare di drappi, piume
e perle. Quando si risvegliò giaceva tra cumuli di rifiuti.
Nella mano stringeva ancora la pesca che le aveva dato Hoggle. Aveva
creduto fosse il gesto di un amico che cerca di alleviare la
sofferenza di un'affamata. Ma lei, di tutto quello che era successo
prima del ballo, non ricordava nulla. Fissò la pesca,
domandandosi come mai la stringesse in mano mentre dormiva. Un
vermetto ne strisciò fuori e, disgustata, la lanciò
lontano.
Si
alzò pesantemente, appoggiandosi a qualcosa, o qualcuno, che
protestò violentemente per quel gesto poco accorto. Una
montagna di vecchi oggetti anneriti dal tempo e amalgamati assieme si
volse ad affrontarla. Sotto quel peso, una vecchia grinzosa la
rimbrottò “Perché non guardi dove vai,
ragazzina?”
“Stavo
guardando...” rispose Sarah confusa: non era una persona
approssimativa.
“E
dove stai andando?” chiese ancora la vecchia, insistente.
Attorno a loro, altre creature simili vagavano in quella landa
desolata in cerca di oggetti perduti.
“Non
me lo ricordo...” ammise la ragazza dopo un attimo.
La
donna coperta di rifiuti parve allarmarsi, ma Sarah non sembrò
notarlo “Non puoi guardare cosa fai se non sai dove andare”
borbottò la vecchia. Sapeva chi era Sarah e sentiva il suo
potere, libero e più incontrollato di prima.
“Stavo
cercando qualcosa...” disse Sarah: era la sua unica certezza.
L'altra allora le mostrò il suo peluche preferito,
Lancillotto. Sarah era sempre più confusa. Sì, aveva
dimenticato il suo amico, ma era certa di averlo fatto solo
momentaneamente e di averlo accantonato per qualcosa di più
importante. Ringraziò comunque e la donna, allora, la invitò
a cercare l'oggetto del suo errare dentro una tana tra i rifiuti dove
lei stessa aveva, a suo tempo, trovato tutto ciò che cercava.
Hoggle,
dopo aver consegnato a Sarah la pesca ed aver maledetto se stesso e
il suo re, si era rifugiato proprio in quel posto squallido e
desolato. Si era auto-inflitto il castigo: venir dimenticato,
abbandonato tra le cose inutili. Sarah non l'avrebbe mai più
voluto come amico. Aveva tradito la sua fiducia più volte...ma
consegnarla nelle mani del proprio nemico era stata la cosa peggiore
che potesse fare. Era stato costretto, si giustificò. Ora era
libero di agire. Ma per far cosa? Lei era ormai prigioniera e Jareth
avrebbe vinto la sua sfida: l'avrebbe avuta come regina anche contro
la sua volontà. Non poteva perdonarsi lui, figurarsi se poteva
farlo Sarah.
Poi
la vide*. E capì al volo cosa potesse essere successo e capì
anche che era in pericoli ancora più grandi di quanto non
fosse stata fino a quel momento. Doveva aiutarla. Lei forse non
avrebbe voluto ma lui ne sentiva la necessità. Non tanto per
pareggiare i conti ma perché le voleva bene. Quindi scattò
ad anticiparla, percorrendo strade che solo lui, in quanto
giardiniere reale, poteva conoscere.
Nel
frattempo Sarah si era trovata sbalzata direttamente in camera sua.
Si era buttata pesantemente nel letto, esausta. Si era domandata se
non fosse stato tutto un sogno. Era stato tutto così reale.
Che si fosse immaginata la vecchia che la invitava a entrare in
camera sua? E il ballo? Quell'evento inebriante, gli abiti sontuosi e
quell'uomo così affascinante?
L'occhio
le era scivolato sulla sveglia sul comodino. Segnava le 23.35. Il
padre avrebbe dovuto rincasare a momenti. Aveva deciso di scendere al
piano terra ad aspettarlo. Ma una volta aperta la porta, la donna,
che credeva appartenere alla sfera onirica, l'aveva spinta nuovamente
all'interno. Nonostante la paura, o forse proprio mossa da questa,
aveva preso dalle sue mani i giochi che lei le passava, alla ricerca
di quel qualcosa perduto dalla ragazza. Sarah l'aveva lasciata vagare
per la stanza mentre lei tornava alla sua amata toeletta, il luogo in
cui riusciva a ragionare meglio, guardando la propria immagine
riflessa. La donna aveva continuato a passarle oggetti e ad
ammonticchiarglieli sulle spalle, ritenendo che fossero tutti ricordi
da conservare gelosamente e da portare sempre con sé.
“Qui
c'è tutto ciò di cui hai bisogno” aveva
gracchiato felice quell'essere grottesco.
Più
ci pensava, più non le tornavano i conti, finché lo
sguardo non le era caduto sul libretto rosso che tanto amava. Aveva
aperto alla pagina segnata, la parte che aveva sempre avuto
difficoltà a memorizzare. Che la risposta potesse trovarsi lì?
Se ciò che aveva detto la donna era vero, allora la risposta
alla sua domanda “Cosa sto cercando?” doveva trovarsi in
quella stanza. “Con rischi indicibili e traversie innumerevoli,
ho superato la strada per questo castello oltre la città di
Goblin per riprendere il bambino che tu hai rapito.” Qualcosa
le diceva che era sulla strada giusta. Lentamente le tessere del
Puzzle stavano andando al loro posto.
“Questa
è tutta spazzatura!” aveva borbottato, illuminandosi. La
vecchia la stava trasformando in un essere mostruoso come lei,
caricandola di ricordi che sarebbero andati naturalmente dimenticati.
Non tutti i ricordi erano utili, si era detta Sarah. Era umanamente
impossibile ricordare tutto e si conservava solo ciò che
serviva davvero. Tenere tutto a mente avrebbe rischiato di farla
soffocare e di non farla crescere. Sarebbe rimasta intrappolata lì
per sempre. Al momento lei non voleva tutto quello. Erano una parte
importante della sua vita, ma non così importante. Non
importante come...come cosa? Chi?
In
un gesto, che le era sembrato disperato, la vecchia le aveva porto il
carillon con la ballerina. Quando l'aveva avuto tra le mani, il
ricordo dell'esperienza appena vissuta le si era ripresentata
prepotentemente. L'uomo tanto affascinante che aveva incontrato, che
le aveva giurato il suo amore, altri non era che quel subdolo
imbroglione di Jareth. Aveva giocato coi suoi sentimenti, pescato a
piene mai dal suo bagaglio onirico: aveva fatto di tutto per
ingannarla e ostacolarla. Non l'avrebbe mai perdonato. Quel dannato
mago malefico si era concentrato sul suo punto debole: sul suo
bisogno di protezione, amore ed esclusività. Doveva
ringraziare il suo sesto senso e i troppi tradimenti subiti che
l'avevano resa istintivamente allergica a certi giuramenti: da che la
madre se n'era andata aveva giurato a se stessa che mai si sarebbe
innamorata, né si sarebbe lasciata influenzare dalle parole di
un uomo. I sentimenti ingannavano, rendevano ciechi davanti alla
realtà e non portavano altro che dolore.
“Mi
piacerebbe se avessi un appuntamento...Dovresti averne alla tua
età...” Le aveva detto la matrigna la sera stessa che
era iniziata quell'avventura. Ricordava con precisione come si era
sentita quando proprio quella donna le aveva rivolto quelle parole.
“Ma che ne sai di quello che provano i figli, in tutta questa
situazione? Voi adulti pensate solo a voi stessi, che sia un vostro
diritto sacrosanto innamorarvi e intromettervi nelle vite altrui come
adolescenti guidati dagli ormoni. Quello posso pure tollerarlo...ma
non accetto che tu ficchi il naso in faccende che sono solo mie e di
mio padre. Tu sei un'estranea e lo sarai sempre.” Quella
squinternata egoista avrebbe voluto che Sarah fosse
un'irresponsabile? Che diventasse una stupida oca come lei, che se ne
fregava dei sentimenti altrui? No. Lei non avrebbe mai fatto
quell'errore.
Per
quanto lusingata e affascinata potesse essere da un uomo, si disse,
probabilmente sarebbe sempre scappata in quel modo, avrebbe sempre
fuggito una felicità illusoria, destinata a non durare nel
tempo per i più svariati motivi. Illusoria quanto quel ballo,
che era stato tutta una farsa.
La
rabbia l'aveva travolta, facendole scagliare lontano quell'inutile
oggetto. Tutto era destinato a finire, prima o poi. Ma le cose
importanti avevano la precedenza su quelle effimere: i sogni erano
passeggeri, gli amori e le amicizie lo erano altrettanto. La vita
stessa non era eterna. Ma la famiglia...quella per lei era sacra. E
già non gliene rimaneva che un pezzo solo. “Devo salvare
Toby!” aveva urlato mentre le pareti di quella specie di bunker
crollavano, quasi sotto la spinta del proprio volere distruttivo.
Si
era aperto un varco tra quei cumuli di immondizia e dall'esterno
aveva sentito le voci di Didymus e Ludo che, presto, l'avevano
aiutata a uscire.
“Dove
siamo?” aveva chiesto, allarmata dal nuovo chiarore del cielo.
Doveva essere l'alba di un nuovo giorno, a Goblin City.
“Siam
quasi giunti, milady...” l'aveva informata il cavaliere “Quelli
sono i cancelli della Città di Goblin” Dovevano
affrettarsi: non doveva mancare molto tempo.
Se
in un primo momento si era limitato a guidarli verso il castello, ora
Didymus, che aveva capito di essere stato in qualche modo giocato da
Jareth, si era improvvisamente trasformato in un valoroso guerriero:
voleva a tutti i costi aiutare la gentile fanciulla che aveva
affrontato tanti pericoli per riprendersi il fratellino. Anche il
fatto che si fosse pentita delle parole dette e avesse riconosciuto
il proprio errore, la rendeva ancora più degna, ai suoi occhi,
in quanto l'accettazione delle proprie debolezze era la cosa più
difficile. Era quindi inferocito e voleva essere riammesso seduta
stante nella città, mentre la guardia che doveva vigilare
sull'ingresso dormiva fragorosamente.
Sarah
lo obbligò al silenzio e ad allontanarsi dalla porta. L'unica
preoccupazione che, al momento, affollava la testa dello scoiattolo
era il proprio onore: temeva che il silenzio, rispetto all'agguerrito
baccano, fosse segno di viltà. Ma se era lei a chiederglielo,
lui avrebbe ubbidito. Anche Didymus, infondo, non desiderava altro
che venissero riconosciute le proprie qualità, il suo valore,
il suo coraggio e il suo fiuto acuto, come lei desiderava venissero
riconosciuti gli sforzi per accettare una situazione familiare
disastrosa. Mentre Sarah calmava il piccolo cavaliere, Ludo, grazie
alla sua mole, riusciva ad aprire il passaggio senza sforzo.
“Non
capisco perché dobbiamo fare tanto silenzio...è solo la
città di Goblin” protestò quello, dopo aver
docilmente obbedito alla richiesta della sua dama che, intanto, aveva
preso il Troll gentile per mano per infondergli coraggio. Il suo
cervellino ragionava in modo consequenziale: i Goblin erano stupidi e
il baccano non li allarmava né li disturbava.
Stavano
avanzando piano e silenziosi quando il cancello alle loro spalle si
chiuse e un secondo, davanti a loro, si serrò, rigurgitando la
figura di un minaccioso golem meccanico. Non solo, alle loro spalle
erano spuntate fitte palizzate piantate trasversalmente sul terreno
per infilzare chiunque fosse arretrato nel tentativo di scappare dal
bestione. Erano mura difensive nel senso letterale del termine: ecco
perché la guardia poteva permettersi il lusso di dormire. A
parte Sarah, che doveva esser stata data per spacciata, chi mai
avrebbe potuto desiderare invadere la città?
Mentre
il Golem si armava di un'immensa ascia bipenne, cominciando a fendere
l'aria davanti a sé, Didymus venne disarcionato da Ambrosius
con il quale cominciò una fitta discussione, fatta di
rimproveri, minacce e trattative. Sembrò non far quasi caso a
quello che avveniva alle sue spalle.
Fu
in quel momento che Hoggle comparve sulla merlatura del muro di cinta
e saltò sulla testa del Golem, scoperchiandola. Il pilota
dello stesso sembrò infastidito, più che sorpreso, di
trovarselo di fronte. Quando il nano lo sollevò di peso dal
posto di comando per buttarlo fuori dalla cabina di pilotaggio, lo
smarrimento e il terrore invasero il piccolo Goblin. Dopo non pochi
tentativi, Hoggle, più che fermare la macchina, l'aveva
mandata in corto, facendola esplodere. Prima che saltasse in aria, si
era buttato dalla macchina infernale ed era atterrato in malo modo al
suolo.
Sarah
gli corse subito incontro, preoccupata.
“Hoggle,
stai bene? Sei ferito?” Chiese allarmata.
Lui
la scansò bruscamente “Non chiedo di essere perdonato.
Non mi vergogno di quello che ho fatto. Jareth mi ha ordinato di
darti quella pesca. Pensa quello che vuoi. Te lo dissi che ero un
codardo e non avevo il minimo interesse per le amicizie.” Fu
onesto a informarli così apertamente, pur non guardando
nessuno negli occhi. Sarah capì che in realtà Hoggle
provava tutto il contrario di quello che stava dicendo: si
vergognava, il suo giudizio gli importava eccome e voleva avere degli
amici. Nessuno dei tre compari, alla fine, ce l'aveva con lui: Sarah
gli perdonò il tradimento e gli rese anche i suoi preziosi
gioielli, che con lei non erano stati poi molto al sicuro, Didymus ne
elogiò il coraggio e Ludo... Beh, Ludo era amico di tutti.
Incredulo e sollevato, il nano si rimise in piedi pronto a dare
battaglia a quello che ora era diventato un ratto incoronato re.
Jareth
stava seduto, svaccato come sempre, sul suo trono, Toby in braccio,
cullato amorevolmente, quando le urla disperate dell'ufficiale di
picchetto lo costrinsero a distogliere lo sguardo dal suo frugoletto
“Vostra Altezza!! La ragazza...!”
“Quale?”
disse mostrandosi allegro: era questione di minuti perché Toby
diventasse ufficialmente uno di loro.
“E...”
cominciò l'altro non sapendo da che parte iniziare ma con la
premura nella voce di sbrigarsi a riferire il proprio messaggio “La
ragazza che aveva mangiato la pesca e dimenticato tutto...”
A
sentir nominare Sarah, Jareth si oscurò, depresso. Lo sapevano
tutti, non doveva far meraviglia. E sapevano anche come lei lo avesse
scaricato, piantato in asso davanti a tutta l'alta corte magica.
Lei
non lo voleva.
E
allora che affogasse dove le era capitato di cadere, che fosse la
Palude o l'Isola dei Sogni...a lui non importava più. O
avrebbe dovuto? Stava così male da non riuscire a pensare a
nient'altro che al suo dolore “Cosa c'è al riguardo?”
si informò cercando di tenere gli occhi fissi sul messaggero e
la voce salda anche se si rendeva conto che la propria bocca era
contratta in una smorfia di tristezza.
“E'
qui con un mostro e Sir Didymus e il nano che lavorava per te”
rantolò il Goblin affannato
“Cosa?”
Jareth scattò in piedi. Aveva capito bene? Ma... com'era
possibile?
“Hanno
oltrepassato i cancelli e sono sulla strada per il castello”
Spiegò l'altro il più sinteticamente possibile.
“Fermatela!
Chiamate le guardie!” Ordinò tagliente come se fossero
un branco di imbecilli che non afferravano quali fossero le priorità.
“Prendi il bambino e nascondilo” disse poi a un altro
luogotenente Goblin, passandogli Toby, mentre l'informatore
cominciava a urlare a tutti di correre fuori “Deve essere
fermata! Fate qualcosa!”
Corse
alla finestra per studiare la situazione.
Il
gruppetto, in effetti, avanzava guardingo tra i sentieri della città.
In breve tempo, li vide venir circondati e caricati da cavalleria e
fanteria. I quattro, però, riuscivano a evitare gli assalti,
sfuggendo ora in un vicolo, ora dentro una casa, nascondendosi dietro
un muretto o dietro una fontana, fino a quando il Troll non invocò
le sue dannatissime pietre e in un sol colpo ripulì la città
di tutte le creature armate e bellicose che li inseguivano**.
Quando
la strada fu sgombra, si affrettarono a guadagnare il portone del
castello che il Night-Troll spalancò con relativa facilità.
Fuori dall'ingresso erano ancora poggiate due bottiglie di latte
fresco per Toby che nessuno, nella confusione, si era ricordato di
ritirare.
Sarah
corse a perdifiato seguita dai suoi amici, scegliendo a istinto il
corridoio che, fortunosamente, l'avrebbe condotta dritta alla sala
del trono. Quando vi entrò, la studiò rapidamente,
trovandola spoglia, squallida e nel più totale disordine. La
identificò nel suo ruolo solo osservando attentamente lo
scranno circolare al di sopra del quale, avvolto nelle spire di
quattro stendardi a fiamma, stava la corona reale su cui avevano
nidificato le galline. Sulla parete accanto alla finestra, da cui si
poteva osservare la città, notò, con orrore, un
orologio meccanico che indicava che le erano rimasti pochi minuti.
Pensava di essere riuscita a evitare la battaglia nel cuore della
città in molto meno tempo: là, infatti, l'ultima volta
che aveva adocchiato l'orologio nella piazza principale, in cui era
tornata a più riprese nel tentativo di avanzare e venendo
sempre respinta, le rimaneva ancora un quarto d'ora abbondante.
Disperata, si guardò intorno finché scorse, alle
proprie spalle, la scala che si avvolgeva in un angolo isolato della
sala: se non l'avevano incontrato nel percorso d'avvicinamento, lui
non poteva che esser scappato di là.
I
suoi accompagnatori si precipitarono alle sue calcagna ma lei li
fermò: doveva andare da sola. “Perché così
va fatto!” disse senza ammettere repliche. Come aveva capito
che la vita poteva e doveva essere ingiusta, aveva finalmente capito,
anche, che in certe occasioni ci si può avvalere dell'aiuto
degli amici ma anche che per certe faccende, come quella che
riguardava solo lei, Jareth e suo fratello, bisogna avere il coraggio
e la capacità di affrontarle autonomamente.
“Se
dovessi aver bisogno di noi...” protestarono i tre.
“Chiamerò!”
promise lei afferrando il fatto che erano ormai giunti agli addii.
Mancava poco tempo e quella sarebbe stata l'ultima volta in cui li
avrebbe visti. Sperava, in cuor suo, che l'invito che le avevano
rivolto potesse essere valido anche per il futuro, una volta che lei
fosse tornata nel suo mondo e non solo, limitatamente, a quegli
ultimi minuti “Grazie, a tutti voi” disse voltandosi a
malincuore per riprendere la caccia.
Quand'ebbe
svoltato l'angolo in cima alla scalinata si ritrovò davanti
uno spettacolo sbalorditivo: si era affacciata in un punto
imprecisato di una versione reale, tridimensionale e praticamente
impossibile da risolvere, della Relatività di Escher,
di cui lei aveva una riproduzione appesa sopra il suo letto. Pareti,
soffitto, pavimento...non c'era un sotto e non c'era un sopra.
Alzando lo sguardo ci si trovava a guardare un altro pavimento, quasi
si stesse sbirciando da una fessura nella pavimentazione del piano
superiore. Si avviò, a caso, su e giù per quelle
scalinate.
Giunta
a una sorta di vicolo cieco si arrestò e cercò di
sbirciare al piano di sotto. Ma come se si stesse riflettendo in una
pozzanghera vide la figura di Jareth sbucare, rovesciata, ai suoi
piedi. Sobbalzò per lo spavento. La figura, in nero e rosso,
come il rancore, si muoveva con agilità tra un piano e l'altro
comparendo ora sulla parete davanti a lei, piantato parallelamente al
suolo, ora alle sue spalle, avanzando fino a trapassarla, quasi fosse
stato un fantasma. Anziché fuggirgli, però, lei cercava
di inseguirlo nei suoi spostamenti erratici.
Come
hai rivoltato il mio mondo, tu cosa preziosa
Mi
affami e quasi mi consumi
Tutto
quello che ho fatto, l'ho fatto per te
Non
muovo le stelle per nessuno
L'ho
fatto per averti e ancora non basta. E ora guardati...tu stessa hai
percorso questo mondo rivoltato per ritrovarlo. Eppure ora segui me
nonostante tu sia a un passo dalla vittoria. E non lo fai sperando
che ti conduca al tuo traguardo. E' chiaro come il sole che quello
che ho visto, lampante, nella sala da ballo non era un'allucinazione.
Ma allora perché...?
Hai
corso così tanto
Hai
corso così lontano
Hai
reso possibile l'impossibile, hai affrontato mille pericoli e tutto
per lui! Ora, però, potresti arrenderti, tanto, non ce
la farai mai...lasciati vincere. Ti sei già dimenticata
nuovamente di lui. Non c'è alcun divertimento nel farsi
inseguire in questo modo. Ne avrebbe solo se, posta davanti
all'alternativa, tra noi scegliessi me.
Jareth
estrasse una sfera dal nulla e la piazzò davanti a sé.
Quel piccolo globo luminoso ne enfatizzava gli occhi spaiati. Eppure
non sembrava la solita offerta: non le stava offrendo i suoi sogni. A
Sarah, incerta su come comportarsi, sembrò quasi arrabbiato:
le mostrò l'oggetto del suo cercare e poi, quasi per dispetto,
con un gesto carico di livore, lo scagliò lontano.
Rimbalzando, in uno scampanellio assordante, il piccolo cristallo
trotterellò fino a risalire nelle manine di Toby.
I
tuoi occhi possono essere così crudeli
Esattamente
come io posso essere così crudele
Nonostante
io creda in te
Sì,
davvero
“Come
hai rivisto Toby ti sei dimenticata nuovamente di me. Nella tua testa
c'è spazio solo per uno di noi. Se pensi a me, dimentichi lui
e viceversa. Va pure a prenderti il tuo caro fratellino, se ci
riesci. Prova a raggiungerlo! Eccoli. I tuoi sogni e tuo fratello:
tutto assieme. Quale vuoi dei due? Entrambi? Nessuno? Qualunque cosa
tu voglia, deciditi una buona volta e opera la sua scelta. E se
sceglierai i sogni, io ne farò parte. E' inevitabile, ormai.
Io li ho contaminati. Ma credo in te, mi fido di te: ho visto di cosa
sei capace e so che arriverai in tempo. Ma questa volta sarà
diverso: non ho mai promesso che sarebbe stato uno scontro leale. ”
Gettando lontano una delle sue sfere di cristallo, le aveva indicato
di proposito dove si trovasse il fratellino e le aveva ricordato
quale fosse il suo obiettivo, là dentro. Da quel momento la
sua corsa divenne quasi folle inseguendo il marmocchio ovunque si
spostasse. Ma non aveva le capacità del mago né
l'istinto e la duttilità mentale del neonato: continuava a
ragionare in termini di logica terrestre dove il sotto e il sopra
erano due cose separate. Appostato in disparte, Jareth osservava in
pena come la ragazza cercasse disperatamente di raggiungere il
bambino. Non cercava più lui, non era nemmeno minimamente
combattuta. Con la mano guantata sfiorò il proprio emblema,
posto giusto sulla bocca dello stomaco. Ora era dorato. Lo osservò
senza vederlo realmente, preso dai propri pensieri: in un primo
momento lei lo aveva seguito e se ne era compiaciuto. Ma nel
confronto diretto col fratello lui, il re, giaceva sconfitto al
secondo posto. Come si era ricordata di Toby, non più sviata
dai suoi occhi azzurri spaiati, l'aveva completamente accantonato.
“Dov'è che ho sbagliato? Perché, giunti a questo
punto, ancora mi ignori? So che non lo fai di proposito, come
d'altronde non lo faccio io ma... preferirei essere bersaglio del tuo
odio e del tuo disprezzo. Sono così anonimo ai tuoi occhi? Al
punto di non meritare un minimo di considerazione? Io so essere
crudele, dovresti averlo capito. Ma tu non sei certo da meno. Ancora
mi domando perché non riesco a ottenere la stessa ammirazione
da te? Perché non mi stimi almeno un po'? Eppure è
chiaro che in qualche modo ti attraggo ma...perché la cosa per
te non va oltre? Lasciati guidare dai tuoi sensi e scegli me.”
Non mancava poi molto tempo: forse sarebbe riuscito a vincere...
Vivere
senza la luce del sole
Amare
senza il tuo batticuore
Si,
si può fare.. ma sarebbe un'esistenza triste e squallida.
Perché non vuoi restare? Potrei rivoluzionare questo posto per
te e renderlo come tu vuoi, la più accogliente delle dimore.
Io
non posso vivere in te
Già.
Non posso. Non ancora, per lo meno. Io non sono nei tuoi pensieri.
Non se c'è lui....Sarah...
E
poi, la vide saltare, in un tentativo, per lei disperato, di
raggiungere il bambino. Al di là del ragionamento sbagliato,
ce l'avrebbe fatta a raggiungerlo e Jareth si vide costretto a
intervenire. Doveva distrarla per una manciata di minuti ancora e
condurla in un luogo senza uscita. Quello stesso luogo, dalle mille
uscite, sarebbe stato perfetto.
*
Si. È un intermezzo un po' a schifo..lui la vede ma non
entrare nel buco, bensì uscirne....
**Vorrei
far notare come (secondo me!) i Goblin sembrino essere
particolarmente interessati a Sir Didymus e ho la mia teoria: Didymus
era il campione indiscusso (viene nominato per nome dall'ufficiale di
picchetto quasi fosse uno di loro, a differenza del nano che
“lavorava”)e, finalmente dalla parte del nemico, i Goblin
possono sfidarlo a una giostra, o circondarlo tutti assieme. Prima se
la dovevano “mettere via” che fosse il migliore, ora
possono in qualche modo tentare di vendicarsi (tant'è che non
lo mollano dopo la sua prima vittoria e si fanno avanti in gruppo).
Inoltre, dopo essere andato a sbattere COL NASO contro la trave, se
lo sfrega e da una potente annusata/sniffata...che abbia recuperato
il proprio fiuto??
- -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ciao
a tutti,
Pubblico
adesso perché nel wend ho, in successione, un test e una prima
parte di trasloco...quindi.... :/
Che
dire? Siamo ai titoli di coda. Il prossimo sarà l'ultimo
capitolo. Spero vi sia piaciuto. Era un capitolo lungo e complesso
(ma non volevo descriverlo nei dettagli, così come ho fatto
per batacchi e Firey) e l'ho rivisto più volte. Ma non ne son
proprio soddisfatta..
Per
il sequel (sì, ci sarà un sequel, se vorrete)
aspetterò, però, i primi di febbraio, così avrò
buttato fuori tutti gli esami e sarò tranquilla.
A
presto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Epilogo ***
Ed
eccoci arrivati all'ultimissimo capitolo. In realtà volevo
fare in modo di stare nei 13 capitoli ma il primo introduttivo ha
sballato i conti...In ogni caso le ore non erano comunque 13 ma non
importa: mi piaceva l'idea.
Dunque,
prima di lasciarvi alla lettura vi dico solo una cosa. Noterete che
ho cambiato un po' le cose rispetto al film. Nulla di grave: avrei
voluto lasciare per ultima la scena incriminata (capirete) ma finiva
un po' a schifio...quindi ho preferito lasciare il finale originale e
rendere tutta la parte conclusiva un po' più verosimile, come
spiegherò più avanti. Perché tutta quella
nostalgia dopo solo 5 minuti dalla fine di tutto mi è sempre
sembrata un po' strana e forzata...ma si sa che per esigenze varie
nei film si condensano mille discorsi in una frasetta e anni in un
fotogramma. E io ci tenevo a mostrare la nuova Sarah e la sua
probabile reazione dopo tutta questa storia.
Spero
non vi disturbi troppo...sennò, saltate a piè pari :)
Buona
lettura.
DR
14.
Epilogo
Il
salto di Sarah sembrò durare molto più di pochi
istanti. Attorno a sé le pareti di quella sala erano in
frantumi e galleggiavano in un vuoto cosmico oscuro. Si rese conto di
non aveva alcuna via di fuga. Eppure, nonostante la situazione si
fosse fatta spiacevole proprio in quel momento, non era angosciata.
Per un attimo, la curiosità per il nuovo luogo ebbe la meglio
sulla sua urgenza e la spinse a studiare bene quel posto nel
tentativo disperato di imprimerselo nella memoria. Sotto un arco,
ancora miracolosamente in piedi, la figura di Jareth fece timidamente
capolino, illuminando le tenebre tutt'intorno. Era, stranamente,
vestito di bianco, con un mantello leggero e lanuginoso che ricordava
il manto di qualche animale. Qua e là qualche lunga penna
sbucava rigida dall'insieme. Guanti e stivali erano anch'essi chiari
e il medaglione che gli pendeva al collo sembrava aver cambiato la
propria composizione: era, ora, un falcetto dorato con incastonato un
disco argentato.
“Dammi
il bambino” disse lei non appena lui comparve sotto l'arcata.
Jareth
avanzò a passi misurati, sicuro, quasi annoiato da quella
richiesta, sempre la stessa. “Sarah bada a te, sono stato
generoso fino a questo momento. Ma so essere crudele.”
l'ammonì, per nulla sorpreso di quella distruzione, quasi
fosse stato lui a crearla per toglierle ogni via di fuga. Nonostante
tutto, il suo viso appariva tirato e stanco e Sarah ebbe
l'impressione che sotto i begli occhi si fossero disegnate delle
pesanti occhiaie.
“Generoso?
Cosa hai fatto di generoso?” chiese lei con tono di scherno
nella voce, interrompendo la sua recita: quell'uomo la esasperava. Le
sembrava di avere a che fare con un bambino troppo cresciuto.
“Tutto.
Tutto!” Replicò lui, furente, le labbra, ora dorate
anch'esse, piegate in una smorfia. Subito, però, si addolcì
“Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto che
il bambino fosse preso e io l'ho preso.” Spiegò
cominciando a girarle intorno come un rapace che attende la morte
della preda agonizzante “Tremavi davanti a me e io mi facevo
più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del tempo e ho messo
sottosopra il mondo intero e tutto questo io l'ho fatto per te. Sono
stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti. Questo non
è generoso?” Domandò alla fine, fermandosi nel
suo circolare erratico.
Sarah
lo guardò scettica. In realtà, pensò confermando
il suo scetticismo, non solo le sue richieste, come rendergli il
fratello, non l'avevano minimamente scalfito; non solo lei non
gli aveva chiesto nulla di tutto quello che lui aveva ritenuto
opportuno fare per compiacerla, ma stava cercando di imbrogliarla.
Ancora una volta. Al di là del fatto che lei non l'avesse mai
temuto eccessivamente - l'aveva odiato, quello sì, ma nemmeno
nei cunicoli delle segrete le era sembrato una minaccia
concreta...forse solo al loro primo incontro con quel serpente..-
prima si spaventa una persona e solo in seguito quella può
tremare di paura: operare al contrario avrebbe rivelato solo
meschinità e grettezza. Ma soprattutto, aveva fatto
inutilmente cose che non c'entravano nulla. Come sovvertire il tempo,
ad esempio: l'aveva fatto unicamente per gratificare il suo misero
ego messo alla prova da una ragazzina. Si era una ragazzina, lo
sapeva benissimo, e lui, dopo averla platealmente ignorata, si
abbassava a giocare con lei ma solo per complicarle la vita...un
bambino viziato e prepotente. Ecco cos'era quell'uomo incoronato Re.
Inoltre
nessuno gli aveva chiesto di soddisfare le proprie, impossibili,
aspettative sugli uomini. Un tentativo, a suo avviso, fallito
comunque clamorosamente.
Non
doveva lasciarsi distrarre da tutto quel candore: lui non era puro
come non era affatto sincero.
Come
se nemmeno l'avesse ascoltato, quindi, lei continuò con la sua
messinscena. Quel libretto era stata la chiave di tutto: aveva dato
il via alla vicenda e l'aveva aiutata nel momento di maggior bisogno.
Quindi, forse, poteva esserle utile per chiudere quella faccenda.
Forse non bastava aver trovato Toby, averlo raggiunto...c'era
qualcosa che le sfuggiva. E sembrava anche che lui lo temesse.
“Con
rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per
questo castello, oltre la città di Goblin, per riprendere il
bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come
la tua e il mio regno...”
“Aspetta...”
disse, infatti, lui, alzando una mano tra loro, interrompendola e
chiedendole ancora attenzione: sapeva dove sarebbe andata a parare.
Poteva concederle tutto. Tutto ma non quelle parole “Aspetta,
Sarah.” quasi la pregò “Guarda quello che ti sto
offrendo: i tuoi sogni...” nella voce un misto di tristezza per
un dono tanto prezioso gettato via, come se lei non ne capisse
l'importanza: l'aveva già rifiutato una volta e distrutto una
seconda.
“E
il mio regno altrettanto...” continuò lei imperterrita,
senza calcolarlo. Aveva deciso che lui mentiva, mentiva e basta,
quindi tutto quello che le avrebbe detto sarebbero stati tentativi
per sviarla dal suo proposito. E lei non poteva permetterselo.
Erano
molto simili, loro due. Forse altrettanto fragili. Anche le loro
volontà, quindi, non potevano non essere che egualmente
prevaricatrici. Ma, al momento, Jareth si sentiva morire dentro: il
comportamento glaciale di lei lo aveva demoralizzato al punto da
renderlo la larva di se stesso. Pur sapendo a cosa andava incontro,
il suo carattere determinato e la resa dei conti imminente che le
imponevano una scelta, non riusciva a farsi forza. “Ciò
che ti chiedo è così poco” L'interruppe ancora,
supplichevole, sperando che lei tornasse sui suoi passi “Lascia
solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri”
le propose ambiguo, soddisfatto della proposta a cui non avrebbe
potuto e dovuto rinunciare. “Non hai che da temermi, amarmi,
fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo.”
La sfera del patto e dei sogni era sospesa sulla punta delle sue
dita, in mezzo a loro. Dentro di sé, il Re pregava che lei
accettasse. Ormai non per vincere, e men che meno perché si
innamorasse di lui. La voleva. Come aveva sempre saputo, lei era la
persona adatta, dal temperamento determinato e aggressivo, colei che
aveva disperato di trovare e che era, invece, infine giunta. Lei, lei
e nessun'altra era degna di accompagnarlo. Se inizialmente l'aveva
desiderata solo perché forse era la persona che aveva
atteso e in un secondo momento lo aveva intrigato coi suoi continui
dinieghi e con la sua caparbietà, ora era cosciente che il
filo rosso del destino li legava. Forse avrebbero potuto anche amarsi
in condizioni meno particolari. Doveva convincerla a restare perché
non aveva mezzi per obbligarla.
Lei
lo guardò per un lungo istante. Poi si illuminò,
comprendendo ciò che fino a quel momento le era sfuggito e
ricordando, insieme, la parte di racconto che non riusciva a fissarsi
a mente Era così ovvio! Ma era riuscita a capire il senso
della frase, a contestualizzarlo, solo vivendo la vicenda in prima
persona. Lui non poteva o non voleva forzarla. “Tu non hai
nessun potere su di me!” *
Qualcosa
dentro Jareth andò in frantumi. La tristezza, la disperazione,
il senso di ineluttabilità avevano preso il posto del rancore
e lo avvilupparono come una tenaglia fredda.
Lei
aveva vinto la loro sfida. Aveva capito, pochi istanti prima dello
scoccare della tredicesima ora, come ragionare nell'Underground,
qual'era il suo punto debole e quanto contassero volontà e
parole. Se non aveva fatto nulla di tutto ciò, era stata
tremendamente fortunata. Però, al momento, parole e sentimenti
coincidevano. E aveva ragione. Lui non poteva nulla su di lei. Lei,
la sua piccola creatura che era cresciuta fino ad affrontarlo e
vincerlo, lei a cui lui aveva donato parte dei suoi poteri, lei, la
prescelta per accompagnarlo nel cammino eterno. Lei che ora l'aveva
rifiutato, ricacciandolo da sé, dalla sua mente, dal suo
cuore. Sapeva che, se lei gli avesse mai rivolto quelle parole,
avrebbe sofferto le pene dell'Inferno. Ma quello che aveva solo
provato a immaginare non era nulla paragonato a come si sentiva
lacerato: sogni, speranze, futuro. Tutto era svanito in pochi
istanti. Le lanciò la sfera in un gesto delicato, prima che
rovinasse a terra insieme a lui. Glielo doveva. A malincuore
l'avrebbe ricondotta a casa con le ultime forze che gli restavano,
lei e il fratello, che aveva coraggiosamente e onestamente
riconquistato: la sua volontà di vivere, la sua magia, la sua
potenza erano defluite da lui insieme a quelle parole.
Con
angoscia, si rese conto di chiamare il suo nome. Fortunatamente, lei
parve non sentirlo, confusa dal vorticare di drappi che lui si era
lasciato alle spalle nel suo disfacimento. La vide correre incontro
alla piccola sfera, fragilissima ormai, che scoppiò come una
bolla di sapone al contatto con la punta delle sue dita. Un sorriso
amaro gli increspò le labbra: aveva forse accettato il suo
dono e i suoi sentimenti? Peccato l'avesse fatto troppo tardi, come
sempre eccessivamente ligia al dovere per anteporre i propri bisogni.
Un
battito di ciglia. Poi un altro. E così come erano arrivati
nell'Underground ricomparvero nella villetta. Ma Jareth era spossato
da quell'esperienza, che aveva messo alla prova anche lui, la sua
volontà e i suoi sentimenti, e non riuscì a riportarla
esattamente nel punto di partenza. La lasciò, confusa e
incerta, nell'ingresso, ai piedi delle scale. Avrebbe dovuto faticare
solo un altro po' per raggiungere il fratello e accertarsi delle sue
condizioni mentre lui, esausto, volava fuori dalla finestra aperta,
nel cielo ancora coperto di nuvole temporalesche, troppo fiaccato per
mantenere la sua forma umana: aveva bisogno di qualcosa a cui
aggrapparsi per ricevere sostegno e per riposarsi. Per un istante
folle, pregò che la ragazza uscisse di casa, nella notte, a
cercare lui, sicura che il fratello fosse ormai al sicuro.
Ma,
com'era prevedibile, dopo un attimo di smarrimento lei corse al piano
di sopra, nella stanza dei genitori a controllare la culla dove, a
mezzanotte spaccata, avrebbe dovuto trovarsi il fratello se lei non
avesse ceduto a desideri egoistici o non avesse sognato tutto. Corse
a perdifiato, divorando i gradini due a due, quasi sfondò la
porta della grande camera da letto.
Toby
giaceva addormentato e sereno nella sua gabbietta di legno laccato.
Sarah tirò un sospiro di sollievo.
Amorevolmente
gli rimboccò le copertine e, infine, gli cedette il proprio
pupazzo, Lancillotto: ormai era grande, poteva separarsi da uno dei
suoi molti amici d'infanzia. Ciò non voleva dire che non le
importasse più nulla. Ma il viaggio, vero o presunto,
nell'Underground l'aveva resa più malleabile e possibilista.
Si
chiuse la porta alle spalle, avvertendo un suono ovattato nel
vialetto che portava a casa.
La
ragazza, esausta, andò a sedersi alla toletta. Osservò
le molte cose che affollavano il piano di lavoro. Quell'avventura le
aveva insegnato che era tempo di crescere: era il caso che mettesse
via i giochi d'infanzia a cui si aggrappava. Anche perché, si
disse sorridendo e riponendo il carillon con la ballerina nel
cassetto, il sogno che aveva appena vissuto era infinitamente più
avvincente ed entusiasmante di qualunque altra sua fantasia. Ripose
nel cassetto anche una foto di sua madre, un altro pezzo di passato
da cui, forse, era riuscita ad affrancarsi.
“Sarah?
Sei a casa?” domandò suo padre dal pianterreno.
Trattenne
a stento una delle sue solite rispostacce. “Dove vuoi che sia?”
avrebbe risposto fino al giorno prima, “Ad accudire il
marmocchio!”
Invece,
si sforzò di essere gentile “Sì, sono a casa...”
disse ad alta voce, per essere certa di farsi sentire, al di là
della porta. Aprirla e andare loro incontro era ancora prematuro:
cercare di essere più carini era un primo passo. E, ne era
certa, sarebbe stata la prima di una lunga fila di risposte simili.
La
mattina dopo, Sarah si svegliò di buonora. Scese lentamente le
scale che conducevano al pianterreno e, giunta in prossimità
della cucina, si prese il tempo necessario per calmarsi. Trasse un
paio di respiri profondi, quindi, bussò sullo stipite ed
entrò. Lì, attorno alla tavola imbandita, stavano il
padre, Karen e Toby. I volti dei due adulti non celarono la sorpresa
di vederla comparire a quell'ora tra loro: normalmente aspettava che
tutti avessero finito ed evitava quanto più possibile i
contatti con chiunque. L'imbarazzo era palpabile da ambo i fronti ma
Karen, colse quella mossa come un sotterramento dell'ascia di guerra
e ne approfittò. “Vieni cara, accomodati pure...”
disse spostando la sedia davanti a sé, tenendo con l'altra
mano il bricco del caffè. Ancora una volta, Sarah non rispose
al suo solito con un “Ci mancherebbe altro, questa è
casa mia”. Intrecciò le dita tra loro più volte
finché accettò l'invito docilmente, sorprendendoli.
Consumò una ricca colazione (aveva una fame quasi atavica,
quasi non avesse davvero mangiato nulla per una dozzina d'ore la sera
prima) in compagnia della sua nuova famiglia. Era una sensazione
strana. Un tiepido calore le scaldò il cuore. Le sembrava
quasi di essere in compagnia dei suoi nuovi, recenti e illusori amici
che un po' ne avevano le caratteristiche: Toby balbettava sillabe
inarticolate come Ludo, suo padre era un buono a nulla come Hoggle e
Karen...Karen cercava la perfezione, si faceva paladina di ogni
causa...un po' come Didymus. Sorrise a quel pensiero: se avesse
pensato alla sua famiglia come al gruppetto che l'aveva scortata fino
al castello, ciascuno con le sue pecche, forse avrebbe imparato a
essere più tollerante. Le sembrava quasi di esser stata la
protagonista del libro, così come Bastian lo era stato della
Storia Infinita. Però il suo era stato un vero viaggio: lei
era vera, era viva...la sua storia non era incisa in qualche pagina
bianca... Ripensò a dove avesse trovato Lancillotto quando era
entrata, la sera prima, dopo il presunto viaggio, nella stanza dei
genitori: era sul letto, dove lei l'aveva lasciato mentre raccontava
quella storia dell'orrore al fratellino, prima che si stancasse e
desiderasse la sua sparizione. E poi, ancora, le mancavano il suo
anello e il suo bracciale. Sì...era stato un viaggio vero. A
meno che non avesse davvero mai posseduto quegli oggetti e si fosse
immaginata il contrario. E anche l'abito medievale della recita del
pomeriggio, di quel colore così particolare, un verde tanto
chiaro da risultare quasi bianco, l'aveva ritrovato sul letto, dove
lei l'aveva buttato appena rientrata. Pensandoci, però, era in
quella stessa posizione anche nel sogno che le aveva fatto rivivere
la vecchia strega in quella specie di bunker sotto i rifiuti.
Quindi...non poteva avere la certezza... scrollò la testa. Lei
era una massa di muscoli in tensione, quindi non era la fantasia di
qualche lettore. Restava da chiarire se fosse ancora all'interno
dell'incubo. Forse, quando aveva fatto esplodere la bolla di sapone
aveva cambiato tutto. No...lei ora era lì con Toby. E lui
non si era più visto: figurarsi se, dopo quello che gli aveva
detto, se ne sarebbe stato buono buono. Sarebbe certamente tornato a
sfidarla. Se fosse stato vero. Ma era solo un suo sogno.
Sorrise
tranquilla e continuò, più leggera, la sua colazione.
Quand'ebbe
finito si prese tutto il tempo necessario per fare ordine nella
propria testa, d'altronde era domenica e nessuno aveva fretta.
Inspirò a fondo, quindi parlò.
“Posso
parlarvi un momento? E' una cosa veloce...nulla di impegnativo..”
si giustificò subito. Karen e Robert si guardarono perplessi,
ma annuirono seri, prestandole tutta l'attenzione che lei sembrava
richiedere.
“Bene”
si disse Sarah “Se Maometto non va alla montagna...allora sarà
la montagna ad andare da Maometto.” Incrociò le mani sul
tavolo, cercando la calma e le parole giuste. “Ecco...diciamo
che volevo chiedervi scusa...a tutti e tre...per il mio comportamento
di ieri sera...di...degli ultimi tempi, insomma.” disse
ingoiando il rospo. La colpa non era tutta sua, lo sapeva benissimo.
Ma se non faceva una prima mossa, non sarebbero mai usciti da
quell'impasse.
Dire
che gli adulti erano allibiti sarebbe stato un eufemismo: erano senza
parole. Tutto si aspettavano fuorché quel cambiamento di
atteggiamento così improvviso e integrale. “Ecco sì...e
volevo anche dirvi che...d'accordo, per me è difficile...molto
difficile accettare questa cosa...” disse, lasciando
libertà l'interpretazione. “Ma ho anche capito che la
vita va così e io non posso oppormi inutilmente a una
situazione che non mi piace e basta: devo imparare a conviverci e a
sfruttarla...Ma ho bisogno di tempo. Quindi...” aggiunse prima
che chiunque potesse interromperla “...vi chiedo di essere
pazienti con me... di lasciarmi i miei spazi, di non intromettervi in
questioni personali.” disse guardando la donna, invitandola a
star fuori dalle discussioni tra lei e suo padre “Se cercheremo
di venirci incontro a vicenda forse sarà possibile migliorare
la situazione...” Così dicendo si alzò in piedi e
ringraziò della colazione: aveva altri progetti per quella
giornata.
“Sarah...”
cominciò Karen. La ragazza sperò che non volesse
puntualizzare quanto lei fosse stata brava e non avesse fatto altro,
fino a quel momento, che non andarle incontro. Sperò che
capisse cosa le era costato quel gesto. E per impedirle di rovinare
tutto la anticipò “Scusami, Karen, ho un bel po' di
lavoro che mi aspetta in camera...ti va se ne parliamo più
tardi?” Disse indicando il piano superiore. Quella annuì
e lei sgattaiolò via veloce. Si era sentita tremendamente
falsa nell'essere così gentile con lei. Ma se quello era il
prezzo da pagare per un po' di serenità in casa, l'avrebbe
pagato volentieri, anche se sapeva che sarebbe stato difficilissimo
non perdere le staffe. Quella era una delle lezioni che l'Underground
le aveva dato: nulla è dovuto e tutto ha un prezzo.
A
una settimana di distanza da quell'avventura, la camera di Sarah,
come i suoi buoni propositi, erano ancora nella stessa situazione
della sera in cui tutto era finito. Karen e Robert erano usciti anche
quel fine settimana e Toby... Toby aveva fatto il diavolo a quattro
anche quella sera, ma Sarah aveva cercato di calmarlo amorevole,
ricordando l'angoscia con cui l'aveva inseguito su e giù per
le scale del labirinto finale. Si era calmato da poco e lei era
tornata in camera. Fissò la toletta con sguardo vuoto. A
differenza di una settimana prima, sistemare tutto ora non le
sembrava più una mossa così intelligente e aveva paura.
Si
fece coraggio e afferrò il librettino rosso che era stato
fondamentale in tutta quella vicenda e che non aveva più
toccato da quella sera. Lo studiò con reverenza, la copertina
sgualcita, i caratteri dorati impressi sul dorso...
Ripose
anche il libro nel cassetto, accantonando, con esso, il dilemma se
fosse stata un'esperienza reale o meno. Avrebbe rischiato di
diventare pazza se ci avesse pensato troppo.
Il
suo voler nascondere tutto, non voleva dire, però, che stesse
rinnegando i suoi sogni e la sua infanzia: li metteva da parte,
pronta a tirarli fuori all'occorrenza, per far spazio a una nuova
fase della sua vita. Era impossibile fare tutto in una sera o due:
doveva darsi il tempo di metabolizzare quanto stava facendo ed
elaborare anche il lutto della separazione.
“Addio
Sarah...” piagnucolò improvvisamente una voce alle sue
spalle. La ragazza alzò lo sguardo e, riflesso nello specchio,
vide Ludo. Si voltò di scatto ma la stanza era vuota. Tornò
a guardare lo specchio, perplessa: era la materializzazione dei suoi
sogni? Di quel libro? Chiudendolo nel cassetto il suo personaggio si
era sentito tradito?
“E
ricorda, giusta donzella, sempre al bisogno di noi....” disse
anche Didymus, seduto sul suo letto, scomparendo e cedendo la parola
a Hoggle “Già...se avessi bisogno di noi, per qualsiasi
motivo...”
“Ho
bisogno di voi!” lo interruppe la ragazza, gli occhi lucidi,
velati dalle lacrime. Non aveva il coraggio di lasciarsi alle spalle
tutto. Era spaventata al pensiero di perdere tutto quello che era
stata fino a quel momento. Aveva bisogno di qualcuno che
l'affiancasse in quel periodo di transizione, che non le facesse
perdere la strada, che la guidasse in quella fase di crescita e
cambiamento, aiutandola a rimanere sempre la stessa persona.
“Davvero?”
chiese stupito Hoggle
“Non
so perché ma di tanto in tanto nella mia vita, per nessuna
ragione apparente, io sento il bisogno di tutti voi.”
Affrontare i genitori quella domenica mattina le era sembrato un
gioco da ragazzi paragonato alla Palude del Fetore eppure ne era
stata molto più spaventata.
“Davvero?
Perché non l'hai detto prima?” sbottò Hoggle
indispettito. Sarah si voltò, sospettando un qualche
trucchetto dietro le parole del nano.
Lo
specchio non gliene aveva dato preavviso, ma in camera sua si erano
materializzati tutti gli esseri che aveva incrociato nel suo viaggio,
dalle porte del vicolo cieco al Vecchio Saggio e c'erano anche i più
pericolosi, dai Goblin ai Firey. Si lanciò con entusiasmo ad
abbracciare i suoi tre amici, fendendo quella folla di creaturine che
avevano allestito una festa improvvisata, tutta in stile umano con
tanto di stelle filanti, musica e cappellini.
“Niuno,
qui, vuol misurarsi con me a Scarabeo?” domandò Sir
Dydimus che fu snobbato da tutti. Hoggle spiegò subito a Sarah
che lo scoiattolo era il sette volte campione in carica e che, in una
popolazione come quella di Goblin City, dove il 90% della popolazione
era analfabeta, il piccolo cavaliere dal complesso di Napoleone aveva
gioco facile.
I
festeggiamenti proseguirono a lungo finché la ragazza non
crollò esausta e felice.
All'appello,
quella sera, mancava solo una persona dai glaciali occhi spaiati.
Una
persona di cui, a pensarci bene, non aveva trovato alcun riscontro in
famiglia... escludendo l'uomo che le aveva portato via la madre. E se
avesse solo azzardato, per un momento, a immaginarsi nei panni di
lei...sospirò e cacciò il pensiero.
Una
persona di cui le era sembrato di scorgere il sembiante fuori dalla
finestra ma che subito si era involato in un frullo d'ali.
Quell'unica
persona non aveva la forza per assumere le proprie fattezze umane e
non voleva presentarsi a lei se non sotto quella forma. Inoltre, gli
era sembrato di non esser stato invitato. La sua condizione di
sconfitto gli impediva di accedere liberamente alla sua campionessa,
specialmente se questa o qualcun altro tra i presenti, stava facendo
uso di magia**. Lui era dunque escluso dai festeggiamenti come dal
suo cuore. Ma non lo sarebbe stato per sempre. Quella speranza gli
diede la forza di spiccare il volo, per impedirsi di farsi del male
nel vederla così serena anche senza di lui mentre una canzone
cominciava a echeggiare dall'impianto stereo. “Underground”
del Duca Bianco David Bowie, la preferita di Sarah...una canzone che,
forse, aveva avuto un qualche ruolo nell'innescare tutta quella
vicenda.
E'
solo per sempre Non è poi tanto tempo Persa e
sola
Nessuno può biasimarti Per essere andata
via Troppi rifiuti Nessuna iniezione d'amore La vita può
essere facile Non va sempre alla grande Non dirmi che la
verità fa male, ragazzina Perché fa male da morire
Ma giù nel sottosuolo Troverai persone vere Giù
nel sottosuolo Una terra serena Una luna di cristallo.***
Tutto
stava andando nel migliore dei modi. Ma non sarebbe durato per
sempre.
E
allora lui sarebbe tornato.
Il
destino era già scritto tra le stelle.
Lei...
Lo avrebbe richiamato.
*No,
non vi sto dicendo nulla di nuovo ma...ai fini del sequel (e per
afferrare, forse, il perché delle azioni di Jareth in tutta
questa avventura) vi chiedo solo “Quand'è che lei gli
dice queste stesse parole la prima volta?”. Riuscite a vederlo,
ora, il collegamento con “Ma quello che nessuno sapeva era che
il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato
certi poteri”? No? Beh, allora ho una scusa per invitarvi a
leggere il mio continuo. :)
**
E qui faccio riferimento a Hoggle. Secondo me è l'unico altro
che ha poteri magici e mi spiego subito: nella scena iniziale,
quando, dopo aver fatto entrare Sarah nel labirinto, se ne va offeso,
sbatte i portoni dello stesso senza però toccarli; riconosce
subito quando c'è in atto una forza magica, da Jareth
mascherato nei cunicoli alla pesca stregata. E ancora, sembra quasi
che sia lui a dare il via libera alla popolazione dell'Underground,
di invadere la camera della ragazza.
***
in realtà, la narrazione si conclude il barbagianni che si
alza in volo e solo allora si sente Magic Dance riarrangiata: “You
remind me the baby-What Baby?-Baby with the power-What power?- Power
of Voodoo- Who do?- You do- Do What?-
Remind me the baby”. E' cantata in modo molto dolce e può
quasi sembrare il ricordo del dialogo tra il re e i Goblin come anche
un nuovo, identico dialogo in cui, però, baby è
riferito a Sarah e non più a Toby (d'altronde..lei ha un
potere...). Poi attacca con la versione Album di “Underground”
(il cui testo non è quello dell'inizio, bensì una
richiesta di venir, di nuovo, portati via “Daddy, daddy, get me
out of here-I, I'm underground-Heard about a place today-Where
nothing never hurts again-Daddy, daddy, get me out of here-I, I'm
underground-Sister, sister, please take me down-I, I'm
underground-Daddy, daddy, get me out of here ”). Dato che non
avevo -volutamente- inserito la canzone all'inizio, l'ho messa qui
con l'idea di richiamare una certa ciclicità... Spero
perdonerete anche questa libertà...
(cmq
giustificherò TUTTO nel sequel)
- -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ed
eccoci arrivati alla fine.
Spero
che il cambiamento apportato alla storia, come preannunciato, non vi
abbia infastidito troppo.
Ringrazio
tutti per avermi seguita fino a qui. Mi sono divertita molto e spero
che sia stato lo stesso anche per voi.
Spero
di ritrovarvi tutti anche nel sequel (che ormai ho già
cominciato ma) che comincerò a pubblicare solo tra qualche
settimana. Ora è tempo di esami...abbiate pazienza: ci hanno
aggiunto libri e consegne all'ultimo minuto -_-
Un
abbraccio grande a tutti.
A
presto
Dark-ronin
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=848065
|