Il labirinto visto dal castello

di darkronin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** Il re e la sfera ***
Capitolo 3: *** Il labirinto ***
Capitolo 4: *** Il vicolo cieco della doppia porta ***
Capitolo 5: *** Il dimenticatoio ***
Capitolo 6: *** Trappola nel tunnel ***
Capitolo 7: *** Presa di coscienza ***
Capitolo 8: *** Anelli, circolarità e deja-vu ***
Capitolo 9: *** Un dono subdolo ***
Capitolo 10: *** Sir Didymus e la fogna ***
Capitolo 11: *** L'invito ***
Capitolo 12: *** Il ballo ***
Capitolo 13: *** Gli ultimi ostacoli ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il risveglio ***


'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H. Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.

Specifico che i dialoghi usati sono un adattamento tra la versione originale inglese e la traduzione italiana (non del tutto corretta) in quanto volevo mostrare le vicende narrate nel film dal punto di vista di un altro dei protagonisti.

Aggiungo, inoltre, che mi sono basata solo su quello che viene mostrato nel film: ho ottenuto solo adesso (e siamo al capitolo 8-9) una copia della versione anniversario che contiene alcune spiegazioni, da parte dello staff, sulle vicende. Ciò non cambia, comunque, lo sviluppo della vicenda, quindi ho ritenuto di non dover modificare questi primi due capitoli (anche perché, in ogni caso, la spiegazione che viene data a posteriori dagli autori non mi convince a pieno).

Buona lettura a tutti.




1. Il risveglio


L'ora tanto attesa era quasi giunta. Si sistemò meglio sulla scomoda cuspide per non scivolare a terra.

Era un caldo pomeriggio autunnale ma per lui era ancora troppo presto.

Si domandò, per la milionesima volta, chi glielo facesse fare di presentarsi, puntuale, a ogni appuntamento in quel piccolo parco in stile vittoriano. Per cosa, poi? Lei non lo considerava minimamente.

Anzi, reputava addirittura inquietante la sua presenza.

Certo, il suo aspetto non era dei migliori, doveva dargliene atto. Ma essere ignorato così sfacciatamente lo irritava non poco.

Ancora una volta, la domanda si affacciò alla sua mente.

Perché?

La cacciò come un insetto fastidioso.

Motivazioni ne aveva a bizzeffe. Nessuna pienamente credibile.

Era ancora assorto nei suoi pensieri quando un grosso cane grigio dal pelo lungo andò a sistemarsi su una panchina di pietra vicino a lui, quasi a volersi godere lo spettacolo. E se c'era il cane, non doveva mancare poi molto...

E, infatti, eccola arrivare correndo a perdifiato e superare velocemente il piccolo ponticello sul rigagnolo d'acqua che i locali avevano il coraggio di chiamare fiume.

Si bloccò di colpo, notando i suoi occhi penetranti fissarla. Deglutì vistosamente, quindi continuò con ciò per cui era arrivata fin lì.

"Dammi il bambino!" sentenziò seria e fiera avvolta nel suo abito panna di foggia rinascimentale. Gli piaceva tremendamente quel suo modo di fare, la sicurezza che le leggeva negli occhi smeraldini, calata com'era nella parte. Se avesse fatto sul serio, se mai si fossero incontrati davvero...beh, forse allora avrebbe provato anche un filo di terrore. Perché se fosse arrivata a dirgli quello...

"Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin..." continuò, agitando le braccia quasi identificasse nel parco il regno citato "...per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande" Un tuono riempì il silenzio che seguì. Lei alzò gli occhi al cielo, quasi a cercare aiuto. Quindi, chinò la testa, sovrappensiero, ripetendo le ultime parole.

Lui conosceva bene tutta la storia, ma grazie a lei l'aveva addirittura imparata a memoria.

"Accidenti, non mi ricordo mai quella frase." Sbuffò estraendo dall'ampia manica a campana un libretto rosso sgualcito dalle molte consultazioni. "Non hai alcun potere su di me" si arrese a dover leggere quanto le sfuggiva. Una serie di tuoni sottolineò come fosse giunta alla fine. Sembravano invitarla a tornare un'altra volta, con la parte completa.

Lei guardò il cane che le stava abbaiando qualcosa circa la necessità di rincasare urgentemente.

"Merlino!" sbuffò, quasi l'avesse interrotta sul più bello.

Furono quindi le campane a interromperla fredde.

"Oh no! Ma è incredibile...sono già le sette! Vieni! Corri!" urlò allontanandosi alla svelta, le gonne sollevate all'altezza dei fianchi a lasciare liberi da intralci le gambe fasciate in aderenti jeans.

L'osservò fino all'ultimo, ancorato alla cima del piccolo obelisco da cui aveva osservato tutta la scena. Quando fu sparita dalla sua visuale decise di allontanarsi anch'egli.

Un frullo d'ali e si levò in cielo, il petto bianco rivolto alla cittadina indaffarata, il dorso dorato alle nuvole che cominciavano a gettare acqua a secchiate.

Il barbagianni vide cane e ragazza correre per le strade a spron battuto, zuppi come pulcini; sorrise dentro di sé e proseguì, anticipandoli.

Si accoccolò sul ramo di un grande acero, davanti a una casetta in stile neocoloniale, più vicino all'abitazione. Da quella posizione aveva una buona visuale dell'ingresso e della camera da letto della ragazza. Si artigliò sicuro e si scrollò di dosso l'acqua depositata sul dorso.

Dall'interno provenivano i suoni di una conversazione sostenuta con toni vivaci tra due adulti. Sorrise mesto tra sé. Ogni volta la stessa storia. Gli dispiaceva per quella ragazza che tanto amava le storie fantastiche. Erano in poche le persone che, in quest'epoca, apprezzavano le storie antiche. Ancora meno erano quelli che le ritenevano vere. Per non parlare dei giovani: quelli erano gli ultimi che si sarebbero mai avvicinati a un mondo simile. Certo, da bambini quasi tutti credevano nell'esistenza di fate e folletti ma venivano subito indotti a pensare in modo diverso. Era un tale peccato. Era sicuramente per quello che compativa quella ragazza. Era giovane, amava le cose antiche con passione ingenua, non quella dei docenti universitari che vi vedevano comunque un mondo arido e sterile, lo specchio meno evoluto del mondo in cui vivevano. Tutte le testimonianze della loro esistenza venivano interpretate come voli di fantasia, metafore. Mai nessuno che si prendesse la briga di pensare lateralmente.

Oh, certo, un sacco di persone cercavano Atlantide, le strade i mondi sotterranei delle teorie della terra cava o credevano all'esistenza di entità extra terrestri. Ma la magia, quella no, non era contemplata. A meno che non si parlasse di religione o superstizione da quattro soldi. Allora ogni miracolo, pur dovuto al caso o al naturale corso degli eventi, era considerato sacrosanto.

Ma la magia vera, no. Non ci credevano sul serio nemmeno gli adepti delle sette più esoteriche: era puro e semplice rituale. Nulla di più.

Si domandava sempre cosa sarebbe successo se quella ragazza, Sarah, avesse deciso, un giorno, di pronunciarne una, di formula magica.

Ma ecco che anche la ragazza rincasava, bagnata fino al midollo sotto quella pioggia torrenziale. Ed ecco che cominciavano gli screzi con la matrigna. La povera donna non aveva nemmeno tutti i torti, ma Sarah era giovane e non capiva bene i meccanismi che regolano la vita degli adulti. Ciò non la giustificava, ovviamente, a dimenticare impegni presi o a essere maleducata. Ma tant'è, lui si sentiva più vicino a lei che non ai due adulti che, seppur con tutte le premure possibili, non erano in grado di capire il suo malessere. Ecco perché gli adulti avevano dimenticato la magia: crescendo l'essere umano perdeva quell'empatia che aveva appena nato. A quell'età, scimmia cavallo o uomo non fa alcuna differenza, sono tutti altrettanto importanti e ugualmente inutili. Sono giochi e proiezioni dell'Io infantile. Ma proprio quella proiezione permette loro di avere un livello empatico molto forte, capire i diversi linguaggi animali senza sforzo. Cosa simile avviene ancora, molto più debolmente, nel rapporto madre"neonato, dove la donna riesce a distinguere i diversi mugolii e quindi le diverse richieste.

Vide le urla isteriche della ragazza, il seguente sbattere di porte e l'irritazione che fulminava dai suoi occhi. I due adulti se ne stavano andando, lasciando a lei il compito di badare al fratellastro.

A lei non piaceva nulla di quella situazione. Voleva una famiglia normale, come tutte le sue amiche. Invece, sua madre era scappata di casa con un collega di teatro, lasciandola sola col padre, che non aveva perso tempo e si era trovato una nuova compagna che gli aveva dato subito un figlio.

Era comprensibile che la ragazza desiderasse avere un po' d'attenzioni dopo un simile tradimento. Ma l'uomo aveva egli stesso le sue ferite da curare e nel farlo era stato cieco ai bisogni della figlia che si era, quindi, chiusa a riccio contro il mondo esterno, rifiutandolo con violenza.

E più del tradimento degli adulti, forse bruciava lo scherno dei suoi coetanei per una famiglia tanto bislacca.

Poco dopo l'ingresso in camera, mentre Sarah cercava di calmarsi, immaginando un mondo alternativo in cui fosse ben voluta, il padre andò a parlarle dalla porta, senza fare lo sforzo di affrontarla realmente. Era un uomo vile: non aveva battuto ciglio quando la moglie era scappata, si faceva comandare a bacchetta dalla nuova compagna a cui lasciava l'onere genitoriale ed evitava in tutti i modi di riprendere la figlia e non perché temesse di ferirla ma perché non voleva scocciature. Sarah avrebbe desiderato che il padre si prendesse tale disturbo. Infondo, anche ricevere una sgridata era segno di attenzione. Che anche in quell'occasione le fu negata.

La vide lanciarsi nel letto alla ricerca della quiete. Ma qualcosa la turbò. Un'ennesima mancanza di tatto. Avevano dato uno dei suoi pupazzi, che lei non usava ma teneva in bella mostra in bacheca, al fratellastro. Il barbagianni sospirò. Effettivamente potevano chiederglielo. Forse avrebbe acconsentito, forse no. Ma prenderglielo dando per scontato che "ormai è una donna e non le servono più cose come questa" era stata una mossa davvero offensiva. Quello era il suo piccolo regno, la sua zona franca. La vide correre fuori e la sentì spalancare le porte.

"E tu sta zitto!" le sentì dire con tono aspro.

L'uccello si alzò in volo, sotto la pioggia battente, e decise di andare sull'altro lato della casa per osservare i suoi movimenti.

Si appollaiò sul corrimano del piccolo balconcino in marmo giusto quando lei entrò nella camera dei genitori marciando verso la culla dove il bambino urlava con tutto il fiato che aveva in gola. Era stato il temporale o erano stati gli occhi inquietanti del barbagianni, una creatura che sembrava venire da un altro mondo?

"Ti odio!" la sentì urlare. Che brutta parola. Se l'avesse rivolta a lui forse ne sarebbe morto.

La ragazza si chinò a raccogliere il pupazzo che giaceva a terra accanto alla culla.

"Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da questa casa orrenda!" pregò guardando il pupazzo.

Il barbagianni inclinò la testa di lato. Se glielo avesse chiesto, l'avrebbe fatto volentieri lui. Ma non poteva intervenire a proprio piacimento. Non che ci fosse un qualche regolamento da rispettare. Semplicemente, la controparte doveva desiderare realmente il suo intervento (suo e non di qualcun altro) e sbilanciarsi nel richiamarlo. Quindi si trattava solo di meccanismi da sbloccare e lui sarebbe piombato lì all'istante, spinto da una forza invisibile che l'avrebbe condotto a lei.

"Che cosa vuoi, una favola,eh?" chiese con rabbia sarcastica. "Ok" disse andandosi a sedere sul letto matrimoniale. "Allora, c'era una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava sempre a casa col bambino. E il bambino era tanto viziato e la ragazza era praticamente una schiava. Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri. Così, una notte, quando il bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin. "Di le tue parole magiche" le dissero i Goblin"

A quelle parole il barbagianni sgranò gli occhioni neri. Aveva sentito bene?

Di certo, comunque, i suoi sudditi si erano risvegliati a quelle parole. Secoli di inattività avevano confinato tutto il regno in uno stato di letargia. In pochi si svegliavano. L'esercito poteva riposare fino al momento della chiamata ma figure come il re, il giardiniere e il guardiano dovevano essere sempre vigili per adempiere ai loro doveri. E di certo erano già nelle vicinanze, pronti a eseguire gli ordini della ragazza. Secoli di inattività li avevano resi, con ogni probabilità, euforici.

Già...secoli. Nel medioevo era pratica comune invocare i Goblin per far sparire i bambini, specie i bastardini aristocratici che avrebbero compromesso la facciata scintillante. Ma anche allora, nessuno credeva realmente nei Goblin. Li invocavano perché facessero per loro il lavoro sporco, cosa che quegli esseri erano ben felici di fare. Ma nessuno, nemmeno a quei tempi superstiziosi, coi gargoille sulle facciate delle cattedrali a cacciare il maligno, credeva davvero a queste cose. Gli stregoni, certo. Ma quelli erano morti, per lo più, bruciati nei roghi dell'Inquisizione insieme a innumerevoli innocenti privi della ben che minima capacità magica o la minima intenzione di invocare chicchessia. E con l'andare del tempo, sempre più ci si rifiutava anche solo di pronunciare certi nomi sciocchi dettati dalla fantasia dei bambini. C'era chi magari credeva nell'esistenza di un mondo incredibile. Ma mai nessuno, nemmeno da solo nell'oscurità con se stesso, aveva avuto il coraggio, o l'avventatezza, di quella giovane donna.

"E porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera" continuò imperterrita. "Però lei sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli trasformandolo in un Goblin. E così lei soffriva in silenzio. Finché una notte che era stanca da una giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più...." minacciò accucciandosi accanto alla culla per arrivare all'altezza degli occhi del bambino. Il nervosismo tra le fila dei Goblin gli arrivava netto e violento. Erano più che pronti all'intervento.

E un po', doveva ammetterlo, lo era anche lui. Un bambino nel castello. L'idea lo solleticava parecchio.

"Va bene...piantala...andiamo smettila" sbuffò la ragazza con un velo di senso di colpa nella voce. Prese Toby tra le braccia cercando di calmarlo, senza riuscirci. Si vergognava di aver cercato di spaventare quel bambino di uno-due anni a quel modo ed era più che conscia di star giocando col fuoco. O no?

"O dico le parole." minacciò, infatti, forse più per se stessa, per darsi un tono, per cercare di vedere una via d'uscita da una quotidianità grigia e monotona "Ah, non sia mai...non devo dirle!" si rimproverò. Si era sentito rompere qualcosa all'interno del petto. Delusione cocente, tristezza, amarezza e un senso di profonda stupidità per se stesso, per aver sperato invano, lo travolsero mescolandosi tra loro.

Ma poco dopo, in quel breve tempo in cui lei aveva cercato ancora di calmare il bambino che piangeva isterico, la tentazione, dettata da un forte desiderio inconscio prevalse sulla razionalità " Io desidero....Non ne posso più!" Urlò mentre il bambino continuava imperterrito a strillare nonostante tutto, squassando coi tuoni l'animo della giovane e del barbagianni "Re dei Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via questo bambino lontanissimo da me!" gridò sollevando il marmocchio sopra la sua testa

Il barbagianni, pronto a prendere il volo e lanciare l'ordine ai suoi, si bloccò di colpo, deluso e frastornato "Ma dove l'ha imparata sta porcheria? Nemmeno comincia con re dei Goblin!" protestò indispettito tra sé, sicuro che i suoi pensassero lo stesso.

"No Toby, no..." Sarah cullò ancora un attimo il bambino, nuovamente divorata dai sensi di colpa "Smettila!" lo supplicò. "Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché i Goblin ti portino via..." gli confessò esasperata.

"Non è mica tanto difficile..." si accigliò il barbagianni "Desidero che i Goblin ti portino via all'istante"

Come colpita da un'illuminazione o come se avesse sentito il suggerimento, si irrigidì e spalancò gli occhi. "Comando...e voglio..."

Dall'altra parte della finestra, lui fremeva d'impazienza. Troppo tempo era passato dall'ultima volta. Un pensiero assurdo gli attraversò la mente. In men che non si dica aveva un piano pronto elaborato nei minimi dettagli. Si sentiva brillare gli occhi e tremare tutto per l'emozione.

Doveva solo aspettare.

E sperare

Perché, ne era certo, lei era al limite e avrebbe espresso il desiderio sopito nel suo cuore, censurato dalla razionalità dei rapporti sociali.

Doveva essere così. Ormai non poteva più permettersi il lusso di sperarci e accontentarsi di quel languore. Tutto era stato troppo violento e repentino. Doveva andare così. Non aveva avuto il tempo, l'occasione per prepararsi a un evento del genere. Non gli era mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello una simile opportunità.

Eppure c'erano quasi.

Ma quando la vide sospirare e riporre il bambino a letto, coprirlo con cura e allontanarsi, si sentì sprofondare. Che stupido era stato a illudersi. Chi mai avrebbe avuto il coraggio o almeno non avrebbe provato imbarazzo a dire una cosa simile. Chinò la testa come sconfitto, pronto a spiccare il volo per tornare al riparo della chioma dell'albero davanti alla stanza della camera della ragazza. Guardò oltre il vetro con amarezza e si involò.

Fu allora che gli arrivarono chiare e forti, nonostante il temporale che infuriava tutt'intorno, le parole del legame.

Desidero proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”


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Salve a tutti, Volevo spendere due parole per presentarmi. Sono nuova su EFP ma non sono nuova alle fanfic: le seguo da anni e -circa 10 anni fa- le scrivevo anche (sul vecchio Manga.it). Per diversi motivi ho smesso e ora sono un pò arrugginita... Quindi perdonate se commetto errori nella pubblicazione o mi mancano avatar e presentazione (!)



Ci tengo a precisare che, diversamente dalla tradizione delle fic (le nostrane prendono pari pari da quelle d'oltreoceano che di queste cose sanno meno di zero), mi sono attenuta a un'analisi quanto più fedele a quanto vedevo. Inoltre mi sono avvalsa delle conoscenze folkloristiche primarie e non a quelle mediate da Shakespeare, Tolkien o (peggio) la maestra Rowling: tutti loro hanno attinto dall'archetipo originale e così il film. Rifarsi solo al loro universo sarebbe, per me, un grave impoverimento. Ciò ha portato due ovvie conseguenze che non mi disturbano (anzi, non ci faccio nemmeno caso e apprezzo l'insieme dell'opera) se leggo fic altrui ma che ritengo bestemmie se scrivo io (da filologa non posso proprio tollerare di fare una cosa così troppo libera e pretenziosa di essere simile al vero).


1- L'ambientazione e il retaggio culturale medievale: i costumi aderenti e variopinti, spesso rigati-le porte, Didymus, i goblin a cavallo-, le scenografie -il villaggio arroccato ai piedi di un castello-, i riti -la giostra finale tra Didymus e i Goblin-, le fiabe a cui si fa riferimento -di origine medievale ma trascritte dai Grimm e da Perault solo nel XVIII secolo-.

Medievale, non celtico: per quanto sia folkloristico pensarlo, i celti hanno nulla o poco a che vedere con l'universo a cui fa riferimento il film (In soldoni, i celti vissero al tempo dei romani e vivevano in capanne...Asterix e Obelix per intendersi)

2- Jareth è un mago. Non un elfo o un più generico Fae. Lui fa le magie e può avverare i desideri (trasformare un rospo/Hoggle in principe), si serve della sfera di cristallo (entrata però nell'immaginario delle chiromanti...ma l'origine è sempre la stessa), cambia aspetto o fa accadere cose senza il minimo sforzo (se non il minimo per rendere la vicenda meno piatta dal punto di vista visivo, come lanciare le sfere in giro). Ma soprattutto è dotato di sembiante o familiare (sono due cose diverse, pur mantenendo la medesima forma animale: il primo è l'aspetto che il mago può assumere, il secondo è l'aiutante). Tale sembiante o familiare appartiene alla famiglia dei rapaci notturni (barbagianni, civette, gufi, etc) che identificano, da sempre, i maghi e gli stregoni.

Infine, il mago può essere interpretato come un uomo a cui è stata dato il potere magico (tramite rito o per concessione da parte di qualche animale) oppure come una creatura magica, intermediaria tra l'uomo e il Piccolo Popolo (un po' come sono gli angeli con Dio). Ed è quello che lui è per Sarah: è la sua guida nel mondo dell'Underground.

Vi chiedo quindi scusa in anticipo per la pedanteria con cui mi soffermerò sulle diverse occorrenze.

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Capitolo 2
*** Il re e la sfera ***


2. Il re e la sfera


Desidero proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”

Erano le parole giuste. L'ordine era stato emesso.

Goblin, non gnomi come spesso veniva detto e che venivano, quindi, accusati ingiustamente. Erano i Goblin a rapire i bambini. Ma questo lei lo sapeva, non era mica così ignorante.

Confuso, lasciò che una folata di vento lo stordisse. Si trovò in seria difficoltà nel mantenere l'assetto. Aveva la testa leggera, i suoi occhi improvvisamente sembravano non vedere più nulla. Non fece in tempo a rendersene conto che già stava tornando al terrazzino che aveva appena lasciato.

I suoi avevano già agito, lo sentiva. Erano stati dei fulmini: Sarah aveva appena finito di parlare, aveva spento la luce e si era allontanata di pochi passi. Il bambino non c'era già più. Lei era entrata nuovamente in camera, aveva cercato di accendere la luce (ma un fulmine aveva fatto saltare il contatore) e si era appropinquata al lettino. Tramite i pensieri dei suoi Goblin la vedeva tendere il braccio, esitante, scostare le coperte e restare impietrita davanti al nulla. Il terrore l'aveva attanagliata. E la cosa divertiva non poco i piccoli mostriciattoli al suo servizio che giocavano a nascondino con le sue paure, deridendola.

Fu in quella circostanza che si ritrovò a sbattere contro il vetro delle finestre chiuse, cercando di stabilizzarsi. Ma il vento infuriava violento e non gli concedeva un attimo di tregua. Una, due, tre volte si ritrovò a picchiare contro la portafinestra, le ali che sbattevano in preda a una sorta di panico istintivo, scivolando sul vetro bagnato nel tentativo di far presa come fossero state dita umane.

Finalmente, all'ennesima ondata, il fermo cedette e lui ruzzolò dentro con poca grazia. Riuscì a effettuare una virata improvvisa e a planare a terra.

L'intera sequenza aveva allarmato ancora di più la ragazza che già si domandava se stesse vivendo un incubo o le sue preghiere fossero state esaudite. Al suo ingresso precipitoso, si era protetta istintivamente il volto con le braccia, i lunghi capelli che frustavano alle sue spalle come lunghi stendardi neri.

Passato il momento di depressurizzazione, il vento, all'interno della stanza ordinata e composta, si attenuò visivamente, lasciando solo uno strascico di bava leggera. E lui ne approfittò per mettersi in piedi e assumere le sue sembianze umane: ormai era notte e nel bene come nel male era vincolato alle caratteristiche del suo alter ego animale. Il buio favoriva le creature notturne come i barbagianni, gufi e civette, i sembianti dei maghi, che non tollerano la luce diretta del sole, a differenza dell'aquila che lo fissa senza abbassare lo sguardo.

La ragazza riuscì finalmente ad alzare gli occhi sulla finestra, pronta ad andarla a chiudere, quando si accorse della sagoma che svettava sul balconcino e che avanzava a passi misurati.

Terrore, sorpresa, sospetto, ammirazione le si alternarono, confondendosi, negli occhi.

Sei tu, vero? Tu sei il Re dei Goblin.” disse senza esitazioni, riconoscendolo.

Il suo aspetto forse le appariva bizzarro, con un taglio di capelli improbabile di un colore così chiaro da sembrare platino, abiti neri come la notte, apparentemente assurdi che ricordavano un'armatura in cuoio. Alle sue spalle un lungo mantello leggero dal bavero rigido e aguzzo, si lasciava gonfiare dall'aria fredda che entrava dall'esterno e giocava tra le lunghe gambe affusolate di quell'uomo dall'età indefinibile.

Ma chi altri poteva presentarlesi in casa, a quelle ore, in quel modo e con quella spavalderia?

Sorrise compiaciuto dell'acutezza di lei e del fatto che credesse realmente. E credendo, si guardava bene dal pronunciarne il nome.

Piantò le braccia guantate sui fianchi, in posa altera, degna del suo status di re: non voleva certo deludere le aspettative. Gli stava quasi scappando da ridere: riuscivano a interagire. Era tutto tremendamente senza senso e lui ne era così felice...

Rivoglio mio fratello, ti prego, se fa lo stesso...” cominciò lei piagnucolante. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto sentirle dire. Si accigliò a quella richiesta che mandava all'aria tutti i suoi piani “Ciò che è detto è detto” la interruppe con profonda voce secca e flautata, incrociando le braccia al petto ma era divertito dalla situazione in cui si trovavano. Il patto era stipulato.

A ben pensarci, perché mai si trovava lì, in quel momento? Lui era il re. Perché diamine doveva scomodarsi lui? E poi i bambini si rapivano e basta, scomparendo nel nulla, lasciando gli umani alle conseguenze delle loro azioni. Non si dovevano offrire spiegazioni. Eppure lui lo stava facendo. Forse, il fatto che lei avesse invocato direttamente lui, prima di completare la formula magica, l'aveva attirato lì. Forse, stava semplicemente dando ascolto al proprio desiderio, a quel piano folle che solo cinque minuti prima gli era passato attraverso gli occhi in tutta la sua completezza.

Non credevo...non intendevo...”

No? Davvero?” chiese sarcasticamente, canzonandola perplesso. Eppure era determinatissima e credeva in loro. Sapeva che l'incoscienza della giovane età non la scusava. Ma qual era il problema? Forse, messa davanti alla realtà, aveva capito quanto fosse stato grave il suo desiderio? Lo stava deludendo e una smorfia di disapprovazione gli balenò sul bel viso

Ti prego...dov'è ora?”

Lo sai molto bene” scandì impietoso. Ma troppo vile per guardarla in quegli occhi verdi lucidi e pronti al pianto. Così rispose fingendo di doversi sistemare i guanti, in un gesto di noncuranza per l'interlocutrice.

Ti prego...ridammelo” Lo supplicò. Non era paura, la sua. O meglio. Non paura di lui: era seriamente spaventata solo per le sorti del bambino.

Lui le si avvicinò con passo felpato, piano, quasi danzando, come un felino che si avvicina cauto alla preda ancora fin troppo vigile “Sarah...” la chiamò dimostrando di conoscerla bene quanto lei conosceva lui. Non si era stupita, infatti, nel guardarlo dritto negli occhi. La prima cosa che facevano tutti gli umani con cui avesse avuto a che fare, fosse domandargli la natura di quella stranezza. I più intelligenti pensavano, comunque erroneamente, che si trattasse di volgare eterocromia. Sarah aveva fatto sfoggio inconsapevole della sua conoscenza. Sapeva che gli occhi spaiati del mago erano occhi magici. Oh, certo. Lo aveva anche identificato subito con il barbagianni che si trovava spesso attorno a osservarla con attenzione. E questa consapevolezza la inquietava.

Torna in camera tua” la sfidò. Voleva metterla alla prova, vedere quanto fosse forte la sua determinazione. Se avesse ceduto subito alle lusinghe, le avrebbe cancellato la memoria all'istante. E tenuto il bambino per sé. Doveva sapere, quando ella fosse degna di lui e della sua ammirazione. “Torna a giocare coi tuoi pupazzi e con i tuoi costumi...Dimentica il bambino” Metti a tacere la tua coscienza.

Era un modo contorto di avvicinarla a sé. Ma il Re dei Goblin non conosceva altro modo di interagire con gli umani, se non terrorizzandoli o tentandoli in modo subdolo. Quella era la loro natura e per quanto si sforzasse di capire il pensiero umano, questo rimaneva un mistero.

Lei sembrò pensarci su. La proposta era allettante. Aveva realmente eliminato una delle minacce alla sua serenità. Ma il senso del dovere, quel dovere di cui rimproverava l'assenza negli adulti, la spingeva a percorrere la strada più difficile.

Io ti ho portato un regalo...” la incoraggiò lui, facendo comparire dal nulla, tra le sue dita, una piccola sfera trasparente. Voleva proprio vedere se si beveva la storia dell'omaggio portato per il disturbo, per far pace o, addirittura, per omaggiarla.

Cos'è?” chiese lei affascinata e diffidente.

E' un cristallo...” rispose lui, mettendo in evidenza ciò che era scontato per chiunque. Ma eluse la domanda. Cos'era realmente quella piccola sfera di cristallo? Lei lo sapeva e per questo era indecisa. La sfera di per sé rappresentava la perfezione, il suo mondo, tutto ciò che lei potesse desiderare. Ma lo era in modo chiuso, circolare, un movimento eterno di inizio e fine. Sarebbe stata al sicuro, protetta da tutto ciò che desiderava. Quanto al cristallo, esso era la rivelazione. Il cristallo non mentiva. Era uno specchio puro che rimandava solo ciò che si nascondesse nell'animo del possessore. Se Sarah avesse voluto un mondo senza fratellastro e senza matrigna, lo avrebbe avuto. Se, invece, ne avesse voluto uno fantastico come quello evocato, avrebbe avuto anch'esso. Tutto dipendeva da lei.

Niente di più...” concluse omettendo tutti i dettagli che lei, sicuramente conosceva, in modo da confonderla e da enfatizzare solo gli aspetti positivi di quell'oggetto. E per confonderla, pur rivelandole ovvietà, lo agitò tra le mani con movimenti rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere. Ma se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà i tuoi sogni” Aveva scelto con cura le parole. Non intrappolare ma mostrare, rivelare, rendere palese quasi lei non ne fosse cosciente. Così non appariva come qualcosa di pericoloso. Se mai restare imprigionato nei propri sogni potesse esserlo. E dentro i suoi sogni, poteva infilarsi anche lui.

Ma questo non è un dono per una ragazza comune che si preoccupa per un bambino frignante”. No davvero. E' il dono che normalmente si fa alle regine e alle promesse spose. Un dono che conferisce loro tutto quel potere. E lui, in quel momento, realizzò cosa voleva davvero da tutta quella conversazione. Trascinarla a Goblin City e costringerla a regnare con lui. Il regno ne aveva bisogno. Lui ne aveva bisogno. E l'avrebbe avuta, in un modo o nell'altro. Quindi, che accettasse o meno il cristallo, l'importante era che non si chiudesse a riccio e scacciasse via tutto dalla sua mente come un'allucinazione. Ma l'assenza del fratello era una prova tangibile e reale a cui non poteva voltare le spalle. In ogni caso. Lo vuoi?” tornò a offrirglielo in modo seducente e impositivo, sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata una pessima scelta. La fissò serio, dritto negli occhi con i suoi spaiati: uno dalla pupilla perennemente contratta e l'altro dalla pupilla perennemente dilatata.

Gli occhi erano il più grande strumento di potere per un mago che con essi confondeva o donava la facoltà di comprendere a chi gli stava di fronte. Con quegli occhi lui aveva potere su tutto; vedeva l'invisibile e ciò che l'altro nascondeva anche a se stesso. Chiaroveggenza, conoscenza, rivelazione e falsificazione. Tutto questo era il suo potere. Un potere più grande di quanto si possa pensare.

Quindi dimentica il bambino!” La incalzò. Era un buon baratto: i suoi sogni per suo fratello. Se non l'avesse assecondato, avrebbe dovuto prepararsi a perderli del tutto. Ma sarebbe riuscito, lui, a toglierle quell'unica fonte di gioia? Oh sì” si rispose sadico. “E non perché non mi importi di lei. Ma perché sarò io a prenderne il posto”

Lei esitò ancora, indecisa sul da farsi. Ma, ancora una volta, alla fine, rifiutò “Non posso” rispose senza mai abbassare lo sguardo. Aveva davvero coraggio a non tremare dinnanzi a lui e a sfidarlo a quel modo anche solo per incoscienza. E questo gli piaceva. Era una bella sfida. Ma l'avrebbe piegata a sé “Apprezzo davvero quello che vuoi fare per me...” E così l'aveva smascherato, aveva capito il suo inganno. Era più furba di quello che pensasse. Certo che “apprezzare”... Era forse convinta che lui lo facesse per il suo bene? Era un commento, comunque, troppo blando. Non gli bastava. Apprezzare. Sembrava che le stesse facendo una scortesia dopo che le offriva quanto aveva desiderato disperatamente e lei cercava di declinare l'offerta restando sul vago e sul formale.

La cosa lo irritava.

O gli si gettava ai piedi o lo sfidava apertamente. Cosa voleva dire quell'atteggiamento superiore e compassionevole per la serie “ti faccio un favore a non mandarti a quel paese, sono magnanima”?

Ma io voglio indietro mio fratello...sarà così spaventato...” continuò a giustificarsi. Era il tipico modo di rispondere di chi non vuole essere troppo brusco e dire le cose come stanno. Forse era stata la convivenza forzata con adulti che tanto disprezzava ad averla resa così ossequiosa nei confronti degli altri. Anche se a casa si permetteva il lusso di alzare la voce e sbattere le porte, fondamentalmente non voleva arrecare disturbo agli altri, né essere disturbata lei stessa. Voleva la quiete. E tutto, in quella vicenda, la stava destabilizzando.

Giustificazioni inutili e fasulle.

Sarah!” disse lui profondamente seccato di essere preso per il naso e trattato come un idiota. Lui sapeva TUTTO quello che le passava per la testa. Ed essere gentile nei suoi confronti non era quello che lei voleva davvero.

Levò il braccio con la sfera e questa si tramutò in un serpente.

Lei spostò lo sguardo sui due esseri, uno nel pugno dell'altro, non capendo perché avesse deciso di materializzare proprio quel rettile.

L'incompiuto e il compimento, la rigenerazione e la perversione, il maschile e il femminile, il giorno e la notte, la pioggia e l'aridità, il desiderio e la fecondità, il medico e l'indovino, la conoscenza e la tentazione

Lui se l'avvicinò al viso e se lo srotolò tra le mani, con gesti sicuri e decisi ma delicati.

Non sfidarmi...” l'avvertì tagliente.

Quindi glielo lanciò addosso, in un moto di rabbia per il rifiuto che continuava a opporgli. Ormai lei doveva essere sua. Non poteva fingere che nulla fosse successo, che nessun desiderio si fosse risvegliato, prepotente e animalesco. Anche se si controllava, non poteva tornare indietro.

Precisamente le lanciò il serpente al collo, in modo da recidere il legame tra la razionalità e l'impulsività della ragazza, per far esplodere, finalmente, il conflitto che si dibatteva in lei. Il collo, luogo di tentazioni.

Effettivamente danneggiarlo sarebbe stato un grave errore.

Oppure avrebbe potuto curarla lui, infiorettando la procedura e trasformando un semplice battito di ciglia, l'espressione di un desiderio, quello della sua integrità, in qualcosa di perverso e lascivo. Si immaginò chino su di lei come il vampiro più assetato. Quindi, riscuotendosi all'istante, corresse subito il tiro trasformando l'essere strisciante in un delicato foulard che la ragazza si affrettò a gettare a terra e che fu subito raccolto da uno dei piccoli Goblin che fino a quel momento si erano nascosti al suo sguardo. Che pensasse pure che avesse solo voluto spaventarla. Lui la voleva integra in tutte le sue convinzioni, con tutte le sue contraddizioni. E sapeva, conoscendola, che piuttosto che piegarsi a lui sarebbe morta. Quindi, avrebbe cambiato strategia. Se terrorizzarla non funzionava, assecondarla nemmeno, allora l'avrebbe plagiata. Lentamente, a fuoco basso, avrebbe lavorato sui fianchi fino a farla cedere.

Tu non puoi tenermi testa!” disse sprezzante, sicuro di sé. Aveva già la vittoria in pugno. Già la vedeva al suo fianco. Le sbatté in faccia quell'ovvia constatazione della realtà. Lui aveva poteri magici che lei nemmeno immaginava. Era un topolino braccato, chiuso nell'angolo di una stanza senza uscite con un gatto a digiuno da troppo tempo. Qualunque sua mossa, sarebbe stata possibile solo grazie alla sua magnanimità, al suo desiderio di gioco e al suo volerla felice.

Ma io devo avere in dietro il mio fratellino” protestò lei, scossa da tremori appena percettibili. Eh sì, la sua forza di volontà era davvero grande.

Teatralmente, il Re dei Goblin finse di cedere alle sue insistenti richieste. Le si fece accanto e indicò oltre la finestra. “E' là, nel mio castello”

Lei avanzò veloce nella pioggia. I confini di ciò che credeva di conoscere si erano lentamente trasformati in qualcos'altro. Un battito di ciglia. Poi un altro. E ciò che conosceva aveva definitivamente cambiato aspetto.





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Rieccomi qui col nuovo capitolo.

Volevo ringraziare pubblicamente x-LucyLilSlytherin, Jessica80 e Daydreamer per i commenti positivi che mi hanno letteralmente elettrizzata e dato la spinta a non fermarmi subito (come mia tentazione). Ringrazio inoltre i miei compagni di corso che hanno letto. E saluto Axia. Sempre e comunque.


Vi chiedo scusa in anticipo: posto ora perché il fine settimana sarò -forse- troppo impegnata per farlo (feste a parte, sono sommersa da consegne all'università ed è probabile che mi metta sotto già domani).

Spero che questo secondo capitolo sia all'altezza delle aspettative. Ho cercato di dare un senso a tutte le piccole smorfie di Jareth e al suo essere così altalenante tra una parola e l'altra. Con calma vedrò di arrivarci.

Infine una nota, per me fondamentale e forse un po' polemica, che avrei voluto mettere in cima al racconto.

Goblin e Gnomi. Sono due cose diverse. Il doppiaggio italiano ha fatto un po' di confusione. Ci tenevo a specificarlo. Gli gnomi son quegli esserini con il cappello rosso che stanno sotto i funghi, tanto per intendersi. Poi sono stati stravolti e rivisti in mille versioni diverse come tutte le altre creature magiche. C'era un folletto per ogni cosa: quello che intrecciava le criniere ai cavalli, quelli che rapivano le donne etc... Ma il folklore vuole che siano i Goblin a rapire i bambini. Loro e nessun altro.

Quando si tratta di queste cose divento un po' pesante, quindi ditemelo se le varie descrizioni magico-simboliche risultano eccessive. Io non me ne rendo sempre conto e tendo a esagerare per essere sicura che arrivi il messaggio.

Questo è quanto. Alla prossima! E grazie a tutti per avermi dato di nuovo questo piacere!

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Capitolo 3
*** Il labirinto ***







3. Il labirinto


Nell'Underground non pioveva. Il paesaggio era brullo e desolato, costellato, qua e là, di piccoli obelischi bianchi infossati in mezzo a cespugli secchi e spinosi. La luce calda e aranciata dell'alba strisciava tra i rami secchi disegnando sul terreno sabbioso rigagnoli neri.

In lontananza si estendeva un borgo medievale di cui si intravedevano gli edifici affastellati tra loro a ridosso del castello.

Vuoi ancora cercarlo, Sarah?” Chiese il bel re dei Goblin osservando la sua dimora: com'era bello, maestoso e inquietante, visto da lontano. Però appariva un po' troppo ordinato per i suoi gusti. Era meno tetro di come lo ricordava. Forse, pensò, era la presenza della ragazza a dare al posto un aspetto meno lugubre. O forse era il suo umore. Sempre, comunque, mediato dalla presenza di quella creatura incantevole. Lì, su quella piccola altura, il vento gli sferzava ciocche platino in faccia.

E' quello il castello oltre Goblin City?” chiese lei incantata, quasi dimentica del perché si trovasse lì, concentrata sul fatto che aveva la possibilità di vedere ciò che aveva sempre sognato. Non la sfiorò minimamente l'idea che fosse la prigione del fratello e, anche, la dimora dell'uomo che le stava accanto in quel momento. Un uomo che amava atteggiarsi da perfido malvagio ma che in realtà, serpente a parte, non le aveva torto un capello (e non aveva la minima intenzione di farlo in seguito, si appuntò mentalmente). Né a lei né al bambino. Se si fosse fatta male affrontando il percorso..beh...era la vita: non poteva proteggerla sempre. E se non fosse sopravvissuta al viaggio sarebbe stata la conferma che non era quella giusta per lui. Fece mentalmente spallucce, conscio del proprio cinismo ma, d'altronde, era un Mago. E il re dei Goblin. A frequentarli era diventato cinico e dispotico. Con punte di crudeltà gratuita.

Quello era un fatto che non poteva essere cambiato.

Torna indietro, Sarah. Torna indietro prima che sia troppo tardi” L'avvertì lui. Una verità e una menzogna assieme. Si compiaceva di quanto fosse abile nel confondere le acque. Troppo tardi per cosa, in fondo? Per essere costretta a sfidarlo seriamente? Per perdere i suoi sogni e crescere? Per dimenticare la vita umana? Perché tutto quello che le stava innanzi diventasse una presenza fondamentale nella sua vita? Lui, in realtà, non aspettava altro.

Non posso. Ma non lo capisci che non posso?” Sbottò l'altra esasperata. La sentì domandarsi perché gli fosse così difficile capire che aveva delle responsabilità prima di tutto e che nemmeno il più idiota tra i bambini si sarebbe comportato nel modo che lui suggeriva.

Che peccato” soffiò lui addolorato e falso.

Non sembra tanto lontano” Sarah soppesava la strada che la separava dalla meta. Un chilometro. Due al massimo. Anche sbagliando tutti gli incroci non ci avrebbe messo poi molto.

Lui le arrivò alle spalle, senza darle alcun preavviso, e sibilò in modo intrigante poche parole, troppo vicino al suo collo. E' più lontano di quanto credi.” Lei sobbalzò per la sorpresa, improvvisamente in preda a un inspiegato imbarazzo. Lui sorrise sornione. Sapeva bene l'effetto che scatenava in lei la sua presenza. Era ancora così ingenua. Le si leggeva tutto in faccia. E lei ne era più che consapevole ma cercava di far finta di nulla. Coraggioso da parte sua. E sempre più affascinante. “E hai poco tempo...” Aggiunse allontanandosi da lei a malincuore.

Voleva il marmocchio? C'erano delle procedure da rispettare, come in ogni cosa. E lui non aveva alcun potere al riguardo. Non poteva concederle più tempo. Ma, eventualmente, pensò elaborando un nuovo piano, poteva sottrargliene. Levò il braccio e indicò un punto nel vuoto in cui comparve un orologio. Il quadrante segnava una suddivisione in tredici settori. Tredici. Il numero della rottura dell'armonia. Qualunque cosa fosse avvenuta allo scadere del tempo stabilito le cose sarebbero cambiate. L'armonia, se quella che lei viveva nella sua misera vita umana poteva essere considerata tale, sarebbe arrivata al capolinea. Se le fosse andata bene, sarebbe tornata a casa in ottimi rapporti con la palla al piede e la strega che le girava per casa. Se le fosse andata male, e sicuramente le sarebbe andata male, avrebbe passato il resto dell'eternità al suo fianco. Già pregustava quell'ora. Cos'erano poi 13 misere ore di gioco contro la vita assieme? “Hai solo 13 ore per superare il labirinto prima che il frignante marmocchio diventi uno di noi.” Le disse esponendo le semplici regole. Arrivare a destinazione entro quel tempo. Entro, non oltre, ghignò tra sé. “Per sempre.” Aggiunse svanendo alla sua vista. Era una promessa che avrebbe mantenuto. Ma, stranamente, si rese conto che la brillante mente della ragazza aveva sottovalutato un dettaglio. E ciò rendeva ancora più divertente il tutto. Stanziare tanto a lungo nel loro territorio avrebbe impedito a Toby di tornare nel mondo umano. Tutto lì. Stranamente, quei pochi che, in passato, si erano pentiti della scelta fatta al punto da giungere al gioco e che avevano poi tentato davvero il labirinto, avevano sempre pensato che il marmocchio rapito si sarebbe mutato in Goblin. Erano altresì convinti che lui stesso fosse un Goblin. Cosa che lo mandava su tutte le furie: non era abbastanza evidente la sua avvenenza magica contro la repellente mostruosità dei Goblin? La sua astuzia e la sua intelligenza contro la loro grossolanità - stupidità - caoticità - obbrobriosità? E perché mai? Perché non veniva detto a chiare lettere! Gli esseri umani, a volte, gli risultavano più stupidi anche degli stessi Goblin.

Semplicemente, scaduto il tempo si sarebbero chiusi...i portali. Detta così forse avrebbero capito.

Ad ogni modo, quel discorso non valeva solo per il bambino. La condizione riguardava ogni umano varcasse le soglie di quel mondo. Sarah compresa. “E' un tale peccato...” gli scappò ridendo entusiasta. Bastava intrattenere i due fratelli per 13 ore. Cosa poteva mai esserci di così difficile? E poi avrebbe avuto una regina e un figlio adottivo. Due piccioni con una fava. Perché, onestamente, dove potevano mai trovare ricovero due profughi come loro?

Valeva davvero la pena essersi risvegliati. Fosse stato anche solo per il richiamo di Sarah, l'averle potuto parlare e il gioco. Ora era appagato da tutto questo e pensava gli sarebbe potuto bastare anche in caso di sconfitta. Ma solo perché era più che certo di vincere.

Stravaccato nel suo trono, a palazzo, tra orridi Goblin urlanti, sfilò una nuova sfera e si mise a osservare, tramite essa, la sua amata preda.

Al bel re sfuggì un mugugno soddisfatto nel constatare come il buon nano, nella sua incoscienza, gli stesse facendo un favore: urinare nella fontana. Non poteva fare di meglio che contaminare con la sua stoltezza le acque della conoscenza e del risveglio. Anche se, a ben guardarla, poteva ispirare qualunque cosa, tranne che il desiderio di avvicinarsi ad essa: era in uno stato di totale abbandono. Nell'acqua ormai torbida galleggiava una qualche strana specie vegetale all'apparenza tanto oleosa da confondersi con essa. Le pietre, che la contenevano, erano macchiate e scheggiate, bordate di alte piante secche infestanti. La fontana sembrava comparire dal nulla e le sue pietre sembravano scivolare piano nel terreno circostante, coperte com'erano di sabbia che ne copriva i limiti.

Le cose cominciavano con il piede giusto: se anche Sarah, in tutto il suo sapere, vinta la repulsione per il luogo, avesse mai deciso di abbeverarvisi... O forse doveva proprio sperare che lo facesse? Così avrebbe assunto in sé la stupidità del nano al posto di acquisire il potere di svelare gli inganni.

Sbuffò. Se lo avesse desiderato non sarebbe stato in quel momento, giusto all'inizio della sfida. Poteva aver sete prima di uno sforzo fisico e mentale? In ogni caso, la ragazza avrebbe continuato nel suo percorso. Era quello ciò che contava.

Ed eccola: Sarah era già alle porte del Labirinto. Aveva notato, schifata, ciò che faceva il nano e la cosa le portò un moto di repulsione per lui e per la fontana. Forse era più furba di quanto il re sospettasse.

Eppure, ingenuamente, stava chiedendo aiuto al nano giardiniere. Forse lo spostamento nell'Underground l'aveva rintronata. Chiedere aiuto a un nano, che assurdità. Un nano preciso e puntiglioso che, per altro, sapeva esattamente chi lei fosse e a cui venivano poste le domande sbagliate. Quindi poco incline a collaborare.

L'arrivo del bambino era stato bandito per ogni vicolo del regno e la presenza di una nuova partecipante al gioco aveva reso tutti ancora più entusiasti: erano così rari i valorosi che si offrissero incautamente di percorrere le tortuosità del regno incantato... più dei bambini ceduti ai Goblin. Nessuno poteva ignorare che un'umana di nome Sarah era in arrivo.

Osservò quasi annoiato il dialogo tra i due, all'ingresso, finché la sciocca non andò a soccorrere le fate che il nano andava ammazzando, giustamente: non solo quegli esseri fastidiosi erano liberi di creare castelli immaginari per sgretolarli dopo poco ma erano anche i nemici giurati dei nani. Quindi, il nano univa due utilità: la salvaguardia delle mura e il soddisfacimento della propria ossessione molesta nei confronti di quelle cose alate e polverose.

Si accigliò. Sarah pensava che le fate fossero esseri benigni. Rimase deluso per qualche istante, sovrappensiero.

Questo già dice quanto ne capisci” commentò il giardiniere, all'interno della piccola sfera. La cosa irritò parecchio il bel mago che, all'istante, cambiò idea: quella di Sarah non era una colpa poi tanto grande e, vista la sua vasta conoscenza del mondo magico, qualche errore le sarebbe stato concesso.

In effetti, si trovavano, stranamente, poche informazioni riguardo alla natura sciagurata delle stesse. Oltre che della loro parentela con le parche. E, specialmente a causa di quell'inglese, Scuotilancia, si era cancellata la storia e la natura millenaria di metà dei popoli fatati, stravolgendola.

Aiuto dal nano. Il mago proruppe in una fragorosa risata. Era la cosa più comica che gli fosse mai capitata.

Sembra tutto uguale” stava dicendo Sarah, appena varcata la soglia del labirinto, volgendosi intorno cercando di orizzontarsi.

Beh, mi sa che non andai molto lontano” disse Hoggle, il nano, rubando le parole al re.

Ormai era entrata e, presto, Sarah sarebbe rimasta sola, nel labirinto. Quella a cui assisteva sarebbe stata, forse, l'ultima occasione per carpire definitivamente il suo modo di ragionare, nel caso, la lunga osservazione al di fuori dell'Underground non fosse bastato.

Frustando l'aria intorno a sé, zittì i Goblin che giravano, schiamazzando, nella vasca posta al di sotto del trono e si preparò a un attenta osservazione.

Tu da che parte andresti?” chiese la giovane in cerca di suggerimento. Anche ammesso che pensasse che il nano non avesse mai percorso il labirinto, gli sembrò una domanda stupida. Se sembrava tutto uguale, tanto valeva tirare a sorte. Perché chiedere pareri? Poi capì che stava solo cercando di accorciare le distanze con quell'essere. Ancora una volta, provò un moto di rabbia verso di lui.

Io? Io non andrei da nessuna parte!” sbottò quello. Eh già. Codardo com'era, figurarsi se avrebbe mai osato sfidare la sua maestà. Affrontando il labirinto, poi: quello non era luogo per un nano e l'interessato ne era ben consapevole.

Se è tutto l'aiuto che mi darai, vattene pure!” ribatté la ragazza, invitandolo ad abbandonarla.

Sai qual è il tuo problema?” sbottò Hoggle “Tu dai una marea di cose per scontate. Prendi questo labirinto, ad esempio. Anche se arrivassi al centro, non ne verrai più fuori” Ed aveva ragione, convenne il re. C'era però qualcosa che non quadrava in tutto il discorso. Certo, 13 ore sarebbero servite solo per uscire dal labirinto. E poi il nano sapeva bene come poteva essere cinico e spietato il re. Assorto, immerso nello strano silenzio del suo palazzo, piegò il capo di lato. Ancora una volta, si sorprese di un mancato ragionamento della ragazza. Nessuno aveva mai detto che per arrivare al castello dovesse percorrere il labirinto. Nessuno lo faceva mai. Nessuno tranne gli umani che vi si avventuravano sistematicamente. Era da folli. O forse le sue parole erano state, ancora una volta, ambigue? Cosa le aveva detto? Ci ripensò a fondo ed era sicuro di averle detto un non fraintendibile “Superare il labirinto” e non un esplicito “Risolvere” o “Affrontare”*. Ma anche si fosse sbagliato, beninteso, non stava scritto da nessuna parte che non ci fosse un metodo diverso dall'entrarvi e percorrerlo tutto. Lo si poteva sempre aggirare! Umani. Avevano davvero poca elasticità mentale. Ma ormai lei era dentro e doveva continuare. Meglio così. 13 ore sarebbero passate in un baleno. E senza alcun pericolo.

Era riuscita a indispettire il giardiniere, che se n'era andato chiudendole le porte in faccia. E ora si metteva alla prova. Notò che proseguiva, stupidamente e ostinatamente, sempre dritta.

Che fosse una nuova tattica?

Ma cosa intendono loro con labirinto? Non ci sono curve né angoli. Va sempre avanti così!” Sarah, dentro la sfera, sbottò esausta, buttandosi contro un muro, a riposare dopo una lunga camminata, sorprendendo il suo ascoltatore.

Tut tut, mi deludi Sarah” alitò il re contro la superficie curva, divertito e intenerito dal vederla in difficoltà.

O forse no” la udì domandarsi, illuminandosi di un'improvvisa intuizione. “Forse sono io che do per scontato che sia così”

Riprese ad avanzare correndo.

Anche qui, come all'esterno, i segni di abbandono erano evidenti. Certo, la sabbia era tenuta lontana dalle alte pareti di pietra, sormontate a intervalli regolari da figure che sembravano essere, da quella posizione così in basso, una via di mezzo tra gli obelischi scheggiati, presenti all'esterno, e piramidi dalla base strettissima rispetto a un vertice altissimo, aguzzo. Ma le stesse pareti sembravano come sul punto di crollare: non erano file dritte e squadrate, ma monticciole sconnesse di sassi rettangolari che sembravano pronte a esplodere per le infiltrazioni d'acqua, che le rigavano verticalmente, o per l'intrusione di piante rampicanti che avevano affondato le radici all'interno, dando una spinta all'esterno ai legittimi elementi costitutivi, spodestandoli. Muschi e licheni, che si voltavano, perplessi e curiosi, a studiare l'umana al suo passaggio, con i loro piccoli mille occhi, colonizzavano gli anfratti più protetti. A terra giacevano ramaglie secche e cristallizzate, veri e propri tronchi dalla dubbia provenienza, divorati dalle ragnatele, foglie marcescenti accumulatesi in covoni ordinati ai piedi delle pareti e al centro della via, nel canale di scolo e anche carcasse di oggetti voluminosi, abbandonati e sventrati.
Corse. Corse a lungo.

Finché non si accasciò esausta al muro, vinta dalla fatica, dallo sconforto e dalla rabbia contro se stessa.

Devi cambiare il tuo modo di ragionare. Hai intuito che il regno è tutta un'illusione. Ma ancora non vedi le cose dalla giusta prospettiva. Non riesci ad andare oltre il valore letterale delle parole, figurarsi risolvere il labirinto. E figurarsi vincere me.” la bella bocca si piegò in una risata fragorosa che contagiò tutti gli astanti, i quali trattenevano il fiato per compiacere il sovrano. “Sarà più facile del previsto...” pensò “Ma anche meno divertente”

E mentre lui se la rideva, lei aveva incontrato uno dei vermi che popolavano il percorso. Un minuscolo affarino blu, con strani ciuffi che ricordavano alcune bizzarre acconciature umane che aveva la propria dimora all'interno di una delle tante crepe del muro, sorvegliata da onnipresenti licheni occhiuti e silenziosi. Ancora una volta, stava ponendo la domanda nel modo sbagliato, così come aveva fatto con il nano, all'ingresso.

Lei per caso non sa la strada per uscire dal labirinto? ” le sentì chiedere gentile

Uscire! Ancora il termine sbagliato.

Chi io? No, sono solo un verme...” rispose quello, ovviamente, in tono educato. La delusione sul volto della giovane era palese. Ma l'esserino, imperterrito, provava a convincerla a entrare nel suo pertugio per presentarle la moglie e per offrirle una tazza di tè: Sarah neanche se ne rendeva conto, ma all'interno dell'Underground, e in particolar modo del labirinto, lei era una celebrità.

Devo superare questo labirinto” declinò scusandosi. “Ma non c'è nessuna curva, nessuna apertura, niente di niente, va sempre avanti dritto.” Ecco la conferma della sua poca apertura mentale, pensò il mago scuotendo la testa

Non guardi bene!” le rispose il verme, cortese “E' pieno di aperture, ce n'è una giusto qua davanti. Provi a passarci attraverso...capirà cosa intendo!”

Ma la ragazza non vedeva. Si ostinava a non vedere. Replicava seccata come se ne sapesse più lei di un abitante del labirinto. Che presunzione.

Nulla è come sembra, qui” sbottò ormai seccato il verme.

E mica solo qui” concordò il mago e ripensò alle discussioni tra Sarah e i suoi genitori, a come poco si capissero solo perché nessuno riusciva a mettersi nei panni dell'altro. Eppure, guardando le cose da un'altra prospettiva ci si poteva accorgere di come quella che veniva interpretata per cattiveria, fosse in realtà paura; ciò che era dolce, falsità.

Non dare nulla per scontato!” la rimbrottò il piccolo facendola vergognare. Lentamente, Sarah si girò verso il muro, decisa a fidarsi pur nello scetticismo.

Una volta capita l'illusione ottica a cui era stata soggetta fino a quel momento, si voltò sorridente e ringraziò il verme. Quindi si incamminò per la strada di sinistra. Il mago sudò freddo. Stupida ma fortunata!

No no no!” urlò il verme “Non in quella direzione!”

Sarah tornò sui suoi passi e il mago tirò un sospirò di sollievo. “Mai in quella direzione.” ordinò perentorio lo strisciante esserino blu.

Sarah ringraziò nuovamente, profondamente sollevata, e, senza porre ulteriori domande, si incamminò verso destra.

Se avesse continuato in quella direzione sarebbe arrivata dritta dritta al castello” sospirarono verme e re in contemporanea.

Per sua fortuna, “uscire dal labirinto” non coincideva con “arrivare al castello”, soprattutto se lo si chiedeva a un verme privo del benché minimo senso dell'orientamento. Quello che aveva fatto per lei era il massimo che si potesse pretendere, spiegarle come guardare quel regno con occhi diversi.

Meno male, pensò tirando un sospiro di sollievo, che certe sottigliezze nell'Underground facevano la differenza.




*Nella versione originale Jareth usa il verbo “Solve”: trovare una soluzione o risolvere. Da qui ho fatto nascere il dubbio su quello che ha detto effettivamente: in italiano “Superare” vuol dire sia “passare oltre”, “rimanere al di sopra”, “avanzare” e, in modo figurato, “vincere”. Quindi, nella traduzione italiana, non è del tutto corretto dare per scontato si parli di affrontare e vincere il gioco. Lo stesso dicasi per risolvere: non solo “trovare la soluzione” ma anche “stabilire”, “concludere”, “sciogliere”, “decidere” e “trasformare”. Anche dando per buona la versione originale, la cosa, se analizzata attentamente, può risultare “ambigua”: cosa vuol dire “Solve”? Ha altre sfumature che noi non capiamo (come le molte che non prendiamo in considerazione nello stesso italiano in base al contesto)? Così è nato il discorso dell'aggirare l'ostacolo: è comunque un modo per “passare oltre” e “trovare una soluzione” al problema.

D'altronde, andando avanti nel film, si capisce che il labirinto è solo una parte di tutta Goblin City (anche se le porte diranno che il castello sorge al centro dello stesso...ma forse l'ha detto la porta bugiarda...), quasi un semplice giardino all'italiana un po' incasinato per divertimento: può condurre direttamente al castello ed è collegato a segrete e stagni maleodoranti. Ma il castello, a sua volta, è inserito in un contesto urbano (quindi non raggiungibile ESCLUSIVAMENTE dal labirinto), protetto da mura (che nulla hanno a che fare col labirinto) a loro volta confinanti (in un punto solo?) con la discarica che confina con la foresta che a sua volta, ancora, è collegata allo stagno. Insomma... tutto sto discorso per ribadire il concetto (espresso da Monsieur le Ver) che anche noi, come spettatori, immedesimati in Sarah, abbiamo sempre pensato che -affrontare il labirinto- fosse l'unica alternativa.





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Eccoci finalmente arrivati alla fine del 3° capitolo. I due si separano e diventa un problema descrivere il punto di Jareth e, contemporaneamente, quello di Sarah. Spero di non essermi incasinata troppo con i verbi e i soggetti.

Ringrazio ancora tutti quelli che mi seguono e commentano, mi danno spunti e mettono in evidenza falle nel discorso, in particolare Freddiefreddie che si è sparata tutti e due i capitoli in un sol colpo.

Per il resto, spero vi piaccia come sto procedendo....in realtà io salterei volentieri tutto per arrivare a due o tre momenti TOP ...ma poi la storia non starebbe in piedi...quindi, d'ora in poi, è possibile che decida di descrivere sommariamente alcune parti. Abbiate pietà, io voglio parlare di Jareth: di Sarah mi frega fino a un certo punto XD

Alla prossima settimana. Un abbraccio forte a tutti.


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Capitolo 4
*** Il vicolo cieco della doppia porta ***


4.Il vicolo cieco della doppia porta





Il labirinto era ora una fila ordinata di muri puliti e ben tenuti. Si capiva che ci si stava avvicinando al castello: ora, le erbacce che sbucavano dalla pavimentazione o dai mattoni erano quasi scomparse.

Sarah si aggirava circospetta tra quei meandri silenziosi, illuminati dal tenue sole della prima mattina. Non le era più capitato di imbattersi in strani trucchetti ottici della prima parte del percorso: ora, tutto appariva come un labirinto di stampo classico. Qua e là, protuberanze simili a braccia sembravano dei cartelli stradali che indicavano le diverse direzioni; delle sfere spiccavano sul crinale delle alte mura.

Quando si fermò all'ennesimo bivio per riflettere sulla decisione da prendere, si accorse del vagito di un bambino in lontananza. Che fosse un'allucinazione? Tese l'orecchio. No, quello era proprio Toby. Istintivamente si mosse in direzione del pianto.

Arrivo Toby” disse ad alta voce, conscia che lui non potesse sentirla. Ebbe un fremito di eccitazione: se ne sentiva la voce, allora doveva essere sulla strada giusta. O almeno abbastanza vicina. Realizzò solo in quel momento che, se Toby fosse scomparso e lei no, si sarebbe cacciata in una situazione impossibile da gestire a casa. O tornavano entrambi o non tornava nessuno. Sbuffò di sollievo: allora non odiava il fratellastro come credeva, se il suo primo pensiero era stata l'incolumità del bambino, piuttosto che la sua. Doveva fare attenzione a come parlava con le creature di quel regno, ormai l'aveva capito. Maledisse la sua stupida impulsività e il suo aver ceduto a un momento di rabbia e stanchezza. Già non ricordava più perché si trovasse lì, per quale stupido motivo avesse desiderato che il fratello sparisse. Si diede della stupida e voltò l'ennesimo angolo.



Gli strilli arrivavano direttamente dalla sala del trono. Un piccolo, inerme, biondo bambino urlante, vestito di un pigiamino a righe orizzontali bianche e rosse, sedeva a terra circondato da creature nere e arcigne che, a loro volta, schiamazzavano e urlavano talmente forte da coprirne quasi le grida disperate, si contendevano il cibo, litigavano per quisquilie o semplicemente chiacchieravano con tono di voce troppo alto. Sostanzialmente, lo ignoravano.

In mezzo a quella baraonda, il re, sbracato sul trono, teneva i begli occhi glaciali protetti dalla luce con la mano guantata nel tentativo di alleviare il mal di testa lancinante che l'aveva colpito e picchiettava con impazienza il bastone sul gambale dello stivale. Si trovò a domandarsi con rabbia cosa diavolo avesse da piangere quell'affare: non gli stavano facendo nulla! Scoprì un attimo il volto per lanciare un'occhiata al pupetto, nel caso, davvero, qualcuno gli stesse facendo del male. Accertatosi che era tutto come prima, tornò a rimuginare: aveva fame? No, i genitori di Sarah avevano detto di averci pensato loro a sfamarlo. Che diamine! Erano passate solo un paio d'ore, non poteva avere di nuovo fame. E comunque gli avevano dato in mano un pezzo di pane che lui si rifiutava anche solo di prendere in considerazione. O era troppo piccolo per il pane? Che seccatura avere a che fare coi neonati....Che dovesse essere cambiato? Aveva già incaricano uno dei Goblin di controllare regolarmente. Aveva sonno? In effetti, quando lui era rientrato al castello e aveva cominciato a seguire i movimenti della ragazza, il bambino non era ancora arrivato: i Goblin erano lenti, non potevano teleportarsi dove volevano come i maghi. Ma, in ogni caso, era sveglio prima di partire e una mezzora di sonno in meno, per via del viaggio, non avrebbe dovuto dargli tutti quei problemi. Forse aveva paura. Ma se fosse stato così, doveva abituarsi: da quel momento in poi il castello sarebbe stata casa sua. Erano passate solo tre ore e mezza e lui aveva già un'emicrania tale da fargli pensare di essere finito all'inferno. “Cosa vuoi che sia aspettare 13 ore?!” ripeté mentalmente facendosi il verso da solo: era stato un incosciente a sottovalutare quella creatura che Sarah definiva tirannica. Cominciava a capire perché ne fosse esasperata. Era anormale il bambino o era il re che si era dimenticato come andavano i rapimenti? “No” si disse, scuotendo leggermente la testa “Non ho dimenticato...non ho mai saputo...questa è la prima volta che vengo coinvolto di persona, dannazione!” rimuginò sbuffando “E che cavolo ne so io di come si gestisce sta situazione! Perché questi idioti ai miei piedi non fanno nulla, razza di buoni a nulla!” Più ci pensava, più gli andava il sangue alla testa. “Forse loro sono abituati...hanno sempre fatto così...o si adatta o muore... ma che nervi hanno, dannatissime creature?”

Toby, in tutto questa sua dissertazione con se stesso, continuava a piangere disperato.

Uno dei Goblin, in uno dei loro tanti giochi, rigorosamente all'insegna della violenza e della crudeltà gratuite, centrò, con una cerbottana improvvisata, una gallina appollaiata pacifica sulla finestra. Lo sprimacciamento della stessa per rimettersi in ordine provocò l'ilarità generale.

A lui non faceva alcun effetto ma ebbe un'idea. Si alzò guardingo, meditando se fosse una mossa intelligente.

Andò da uno dei Goblin, uno di quelli che non facevano assolutamente nulla, nel bene e nel male: rideva solo a crepapelle. Lo afferrò per il collo e gli disse “Tu mi ricordi il bambino”. In realtà era così che lo voleva: voleva vederlo ridere.

Quale bambino?” chiese quello perplesso e preoccupato.

Il bambino che ci è stato donato” rispose il mago

E da chi?” chiese un altro alle sue spalle. I Goblin erano, fondamentalmente, creature stupide. Ecco perché avevano bisogno di un re che li coordinasse. Senza, il regno sarebbe andato allo sfascio, divorato dai rovi o sommerso nel marciume: si erano già dimenticati di aver catturato un cucciolo umano. Catturando la loro attenzione avrebbe catturato anche quella del bambino.

Dal fato!” disse

Fatto?” chiese un altro ancora, confuso. Stupidi e ignoranti.

Tu l'hai fatto!” rispose seccato

Fatto cosa?” chiese un quarto

Ricordarmi il bambino!”* rispose con rabbia lanciando in aria il primo Goblin. Razza di creature indistruttibili. Una volta a terra si sarebbe rialzato come niente fosse. Erano ottimi per scaricare il nervosismo

Ed ecco che tutti esplodevano in un coro di risate: bastava far del male a qualcuno, fargli fare una figuraccia, semplicemente fargli capitare qualcosa di diverso dal solito che quelli si gasavano.

Li zittì tutti, alzando un poco la voce “Buoni!”. Puntò l'indice verso il marmocchio che lo guardava rapito, anche lui colpito dal volo che si era fatto il primo Goblin. Proprio quello che voleva: calamitare la sua attenzione. “Quello è un baby Goblin!”** disse ridendo. I Goblin, lo sapevano tutti, come i nani, avevano un'età mentale pari a quella di un bambino umano di sei anni, erano asessuati e si riproducevano per magia: non esisteva l'accoppiamento in quelle razze; solo, un giorno, dal nulla spuntavano nuovi esemplari. Notando che nella sala era calato il silenzio, si voltò attorno perplesso. “Beh?” chiese. Non era difficile da capire, come battuta: un cucciolo che presto sarebbe appartenuto al regno di Goblin, un vero cucciolo. Loro cuccioli non ne avevano.

Tanto per compiacerlo, tutti si misero a ridere in modo isterico e subito il mago stirò un sorriso di ringraziamento ai suoi stupidi sudditi. L'unico che aveva mostrato di apprezzare la battuta era stato il bambino.

In una specie di danza, ninna nanna, spettacolo circense, favola della buona notte, formula magica, tutto insieme, il mago attirò ancor più l'attenzione del bambino su di sé, coinvolgendolo, cantando per lui parole che, forse, voleva sentirsi dire.

Ho visto il mio bambino piangere così forte come solo un bambino può piangere. E io cosa potevo fare? L'amore del mio bambino se n'era andato, l'aveva lasciato triste e nessuno lo sapeva. Quale tipo di formula magica usare? Bava e lumaca o coda di cagnetto, tuono o fulmine e il bambino disse -danza magica-. Lancia anche a me quella baby-maledizione! Salto magico. Fammi fare quel salto magico. Dagli una pacca e lascialo libero.

Ho visto il mio bambino, provare duramente come solo un bambino può provare. Cosa potevo fare? Il divertimento del mio bambino se n'era andato, l'aveva reso triste e nessuno lo sapeva. Quale tipo di formula magica usare? Bava e lumaca o coda di cagnetto, tuono o fulmine e il bambino disse -danza magica-. Lancia anche a me quella baby-maledizione! Salto magico. Fammi fare quel salto magico. Dagli una pacca e lascialo libero.”***

Un poco alla volta il marmocchio, non solo aveva smesso di piangere, ma si era fatto conquistare da quella specie di gioco dove il sovrano sgambettava in giro e lanciava in aria i suoi sudditi. Si divertiva e, divertendosi, non era più impaurito da quelle strane creature. Era arrivato al punto da farsi prendere docilmente in braccio dal mago. Sembrava contento solo in braccio a lui. E il mago, a sua volta, stava scoprendo un lato di sé che non sapeva esistere: gli piaceva prendersi cura di quell'affarino e cullarlo tra le braccia. Quando non strillava. Quindi era suo compito non farlo piangere. Più facile a dirsi che a farsi.

Ma aveva anche capito che l'unico modo per farlo davvero felice sarebbe stato liberarlo, farlo tornare al più presto da sua sorella.

Farlo tornare dalla sorella.... riunirli. Perché non riunirli lì? Sarebbe stata quella la loro nuova casa. Alzò lo sguardo sulla sala e strinse gli occhi, meditando un nuovo piano. Quella era la meta finale di Sarah: che giungesse o meno in tempo lui l'avrebbe comunque guidata lì. Come in una partita di scacchi tra un consumato professionista e un principiante, lui avrebbe anticipato le mosse di lei, portandola a fare il suo gioco. Avrebbe fatto sì che mettesse in fallo tutte le pedine, permettendogli di divorarle con una mossa unica. Si accigliò dandosi dello sciocco. “Così è una partita di Dama...bah, fa lo stesso...” Pensò alle pedine, i dischi tutti uguali, lasciati alla rinfusa sul piano quadrettato. Sogni, progetti, abilità, motivazioni. Le avrebbe tolto tutto, un pezzo alla volta, e la scacchiera si sarebbe tinta del suo solo colore. Bofonchiò una risata. La quadratura del cerchio: lui il quadro, spigoloso, pericoloso, contenitivo; lei il disco dolce e fragile, da proteggere e ingabbiare; il nero e il bianco, il male e il bene, maschile e femminile, carceriere e prigioniera, malizia e ingenuità. Erano tremendamente antitetici l'uno all'altra e forse proprio per quello lo intrigava tanto. Ma la loro naturale predisposizione determinava già chi avrebbe vinto tra i due. Sorrise tra sé, un po' deluso. Sapendo di vincere, per quanto Sarah potesse dargli filo da torcere, nella sua umanità, dov'era il divertimento?

Tra nove ore e 23 minuti, tu sarai mio” disse, infine, con un ghigno al bambino che teneva in braccio. Notò la strana combinazione di numeri e si accigliò. Anche le lancette indicavano la sua vittoria, in qualunque modo le guardasse: dopo la grande sfida, la rinascita come uno nella moltitudine. Sì...Toby era destinato.





Nel frattempo Sarah procedeva spedita tra i meandri del labirinto. Di quando in quando si chinava sul pavimento e, col rossetto che le era rimasto in tasca, segnava le mattonelle col verso del percorso: la versione improvvisata e casereccia del filo di Arianna, non altrettanto affidabile poiché poteva cancellarsi in caso di temporale, ma nemmeno etereo come le briciole di Pollicino. A ogni segno, si rialzava soddisfatta: fino ad allora non era ancora tornata sui suoi passi.

Eppure, senza che se ne accorgesse, i segni da lei tracciati cambiavano direzione: piccoli esserini, inviati appositamente dal re o abitanti sotterranei che si indispettivano dell'operato dell'umana, sbucavano da sotto terra, sollevando il pezzo di pavimentazione come un tombino, e lo ricollocavano dopo averlo ruotato.

Dopo l'ennesimo segno Sarah era ora avanzata in un vicolo cieco. Sbuffò e si voltò, pronta a tornare sui suoi passi, quando notò che l'indicazione da lei appena disegnata, era cambiata. Si guardò intorno, incerta. Pensò di essere affaticata e che la vista le giocasse brutti scherzi: era passata di là solo pochi istanti prima ed era certa di quello che aveva tracciato. Guardò nuovamente la mattonella, scettica. Capì che quel posto le stava riservando nuove sorprese e tranelli: cambiava al suo passaggio. “Qualcuno ha cambiato i miei segnali...” Imprecò mentalmente, maledicendo l'astuzia del re dei Goblin. “Ma che orribile posto è questo?” gridò esasperata scagliando per terra il rossetto, ormai esaurito che stringeva ancora in mano,“Non è giusto!” si lamentò. Il mondo era ingiusto e le sembrava quasi che tutti ce l'avessero con lei e le facessero continuamente dispetti di proposito: non solo lì, in quello strano regno magico, ma anche e soprattutto nella vita reale: la matrigna impositiva che non la lasciava in pace, il fratellastro asfissiante che accentrava tutte le attenzioni su di sé togliendole a lei, il padre inetto incapace di fare qualunque cosa da solo. A scuola era lo stesso: se qualcosa andava storto la colpa era sempre e solo degli altri. Non riusciva a vedere in sé nessuna colpa, cercava di fare l'impossibile e di essere irreprensibile ma le cose non andavano mai come voleva. Se non era colpa sua, di qualcuno doveva pur essere, no?

Alle sue spalle una voce concordò con lei “Giusto! Non è giusto!” quindi scoppiò in una fragorosa risata, accompagnata da altre tre.

Sarah si voltò perplessa. Ancora una volta era cambiato tutto. Alle sue spalle c'era il vicolo cieco, ne era certa, così come era certa che la freccia indicasse un'altra direzione. Avanzò nel nuovo spazio che si era venuto a creare. “Ed è solo la metà!” disse ancora la voce. Proveniva da una strana installazione dai colori caldi posizionata davanti a una porta chiusa. Accanto, una porta gemella con uguale installazione dai colori freddi. Entrambe erano costituite da un paio di esili gambe (o zampe?) sormontate da scudi arricciati verso l'esterno, che recavano incisi segni araldici in cui gli elementi erano contrapposti: il colore e il non colore, il cerchio e il quadrato. Due fascette, con scritte runiche, che Sarah non sapeva decifrare, correvano trasversali sulla superficie.

Due paia di mani, dotate di quattro lunghi artigli, sembravano trattenerlo in posizione. Ma sembravano anche aggrapparsi ad esso. E poi, due teste facevano capolino, una sopra, una sotto. Erano tutte cinte da un copricapo tricornuto e i corpi scheletrici, o almeno, quello che se ne intuiva, fasciati in aderenti calzamaglie rinascimentali dai colori alterni.

Poco fa era un vicolo cieco” protestò la ragazza avanzando verso di loro, incuriosita

No, il vicolo cieco sta dietro di te” Le risposero quelli ridendo. Ancora una volta, i muri si erano spostati. E l'avevano bloccata in quella porzione di labirinto. “Continua a cambiare!” Spalancò gli occhi, in preda all'angoscia “Ma come devo fare?” chiese volgendosi nuovamente alle installazioni.

Il solo modo per uscire è provare a una di queste porte” disse la testa rossa posizionata in basso, al rovescio.

Una porta al castello al centro del labirinto” si intromise la testa bassa della porta azzurra “L'altra...a morte certa!”

E qual è quella buona?”# chiese Sarah, che non aveva ancora capito come si formulavano le domande all'interno del regno. Buona...per cosa?

Noi non te lo possiamo dire” risposero in coro i due.

Perché?” chiese perplessa lei. Quelli si guardarono, più dubbiosi della ragazza.

Non lo sappiamo nemmeno noi...quelli di sopra, lo sanno” dissero, sporgendosi dallo scudo, guardando verso l'alto.

Bene...” concesse Sarah, con pazienza infinita “Allora chiederò a loro”

Le teste superiori uscirono allo scoperto e fissandola, la contraddissero, dispiaciuti “Eh no, non ce lo puoi mica chiedere. Lo puoi chiedere solo a uno di noi!” disse la parte rossa. Sarah notò che alle sue spalle, sulla porta, era incisa l'effige di un mostro a doppia faccia, quasi fossero due interlocutori riassunti in un'unica immagine, metà mostro famelico metà volto divertito e pasciuto che sembrava fare la linguaccia all'altro.

Questa è la regola. Ma uno di noi dice sempre la verità e uno mente sempre. Tienilo a mente. Questo mente sempre” la informò quello blu a indirizzo del corrispettivo rosso

No, non è vero” replicò quello “Io dico la verità!” strepitò nascondendosi dietro lo scudo

Uuu che bugia!” rispose l'altro con sufficienza. Le due installazioni, tali erano perché, separate da una cuspide, non si muovevano dalla loro posizione nemmeno in preda alle risate più scomposte, cominciarono a litigare accusandosi reciprocamente.

Va bene, va bene...” li interruppe la ragazza “Rispondi solo sì o no”. Disse rivolta all'installazione rossa. “Lui” disse indicando la controparte blu “Mi direbbe che questa è la porta che conduce al castello?” Blu e rosso si fissarono, perplessi. Quindi, la testa interpellata si nascose dietro lo scudo e interpellò la testa inferiore. Dopo una rapida discussione, riemerse e rispose un convinto “Sì”

Sarah ci pensò su. Quindi espose a voce alta i suoi ragionamenti “Allora quella è la porta per il castello e questa quella che conduce a morte certa”

E come lo sai?” chiese interessato il rosso “Lui potrebbe dire la verità” la rimbeccò

Allora non la diresti tu. Se tu dici che lui direbbe sì, so che la risposta dev'essere no” spiegò convinta

Ma io potrei dire la verità” replicò ancora quello, poco convinto

Allora sarebbe lui a mentire. La risposta sarebbe comunque no”

Aspetta un attimo...” disse quello e si volse verso il compare “E' giusto?”

Ma non lo so...” rispose l'altro scettico “Non l'ho mai capito” quindi tutti e quattro proruppero in una fragorosa risata

No, è vero, ci sono arrivata!” Disse avanzando verso destra, alla porta presieduta dal guardiano blu. Sul dorso della porta l'effige era diversa, ancora una volta, da quella di sinistra: qui, i volti erano un leone vinto e sofferente e una sorta di bue triste e depresso. Spinse la porta prescelta e si incamminò, orgogliosa del suo ragionamento “Non ci sarei arrivata prima. Mi sto facendo più furba. E' come bere un bicchier d'acqua!##”

Non aveva finito la frase che il terreno sotto i suoi piedi cedette e la inghiottì, facendola scomparire alla vista delle due installazioni.





*Il gioco di parole è irriproducibile. L'unico che mi è venuto in mente è questo.

-You remind me of the babe (tu mi ricordi il bambino).

-What babe? (che bambino?)

-The babe with the power (il bambino col potere)

-What power? (che potere?)

-Power of voodoo (il potere voodoo....che non c'entra proprio nulla con la storia...a meno che non la si voglia leggere come l'essere vincolati alla magia ma mi sembra tirata!)

-Who do? (chi l'ha fatto?)

-You do. (tu l'hai fatto)

-Do what? (fatto cosa?)

-Remind me of the babe (ricordarmi il bambino)



** Nella versione originale, la frase di Jareth è “A Goblin Babe”. In quella italiana “E' da gnomare” nel senso che Toby è un essere umano che va trasformato in gnomo (ricordo che gnomo, nella versione italiana, sta per Goblin) quindi un bambino che, crescendo (13 ore), diventerà Goblin.



*** Traduzione fatta coi piedi ma mi sembra abbastanza fedele. Ad ogni modo è trattata solo come se fosse una ninnananna, quindi sorvolate pure



# In realtà chiede “Quale è cosa?” Se avessi seguito la versione originale sarebbe venuto fuori un gioco di parole diverso e mi sono attenuta alla versione italiana...



## Altra annotazione di carattere linguistico: l'originale è “It's a piece of cake” che può anche essere tradotto con “E' un gioco da ragazzi” ma ne cambia un po' il senso. In italiano (siamo pieni di sfumature, grazie al cielo) esiste il paragone alimentare del “bicchier d'acqua” che indica la stessa cosa. Ho scelto di usare questo per tenermi più fedele all'originale, mantenendo invariato il significato anche più avanti -cap. 6- (“è un pezzo di torta” per noi non vuol dir nulla...c'è “è un pezzo di pane” ma si riferisce alle persone particolarmente buone e generose)







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Ciao a tutti e ben ritrovati.

Volevo cominciare questo angolino scusandomi con chi mi segue. =_= sono totalmente rincretinita, abbiate pazienza. Ho scoperto, che in realtà mi ero già letta praticamente tutte le vostre fic (è che ho la memoria che è un colabrodo e faccio casino coi nomi) e aspettavo i nuovi capitoli per commentare. Inoltre, mi sento un'imbecille a mandare messaggi per una fic già finita....paranoie, lo so...cmq attendete fiduciosi una mail :D prima o poi vincerò l'imbarazzo e arriverà.

Altra informazione di servizio, di carattere completamente diverso, riguarda la storia: tralasciando sto capitolo -di cui non sono molto soddisfatta, più che altro necessario per far parlare Jareth il prossimo (e fargli spiegare un paio di cosine)- e dicendo che sarei tentata di caricare subito anche il 5°, il vero problema è proprio Jareth. Vi avviso sin da ora che ne sto perdendo il controllo: è diventato uno psicopatico nevrotico che cambia idea ogni 2 minuti. Ringrazio di avere la trama sotto a cui non posso sfuggire. Ma è una fatica stargli dietro e farlo tornar nei ranghi...ed è sempre più presuntuoso. Quindi, abbiate pietà, d'ora innanzi, se sarà troppo diverso da come ce lo siamo (mi metto nel mucchio) immaginato: giuro che non lo faccio apposta. Vedrò di dargli una raddrizzata ma più lo ritocco più questo prende strane devianze sadiche e/o infantili. ç_ç

Grazie ancora a tutti! Che vi prendete la briga di leggere e -pure- commentare.

Alla prossima settimana!

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Capitolo 5
*** Il dimenticatoio ***


5. Il dimenticatoio



Uff...” Appollaiato alla finestra della stanza, abbigliato nella sua veste da camera composta di una morbida casacca nera su un paio di pantaloni leggeri e aderenti, il mago sbuffò per la risposta idiota che aveva dato la ragazza. Ruotò la sfera sul dorso della mano con indolenza, quasi pensasse a come sbarazzarsi del cristallo, essendo finito il suo divertimento. “Che gran delusione!”

Ma sa molto...” Obiettò un piccolo Goblin grinzoso ai suoi piedi.

Cosa parli a fare tu, insulsa e immonda creatura?” Il bel biondo folgorò con lo sguardo quella bestiola, arricciando il labbro superiore in un'espressione di disgusto: tanto piccoli e tanto violenti. Sicuramente gli esseri umani avevano dimenticato quanto potessero essere pericolosi. Il divertimento maggiore di quei piccoli diavoli marroni e misantropi era torturare a morte le loro vittime e berne il sangue finché queste erano ancora vive, in spregio alla vita che andavano stroncando. Erano fortunati che si limitassero a rapire i bambini, quando gli veniva ordinato.

Mi scusi, sire!” si affrettò quello, prostrandosi. “Però devo insistere. E' dotata...” osservò

Abbiamo anche un cervello, adesso? Il mondo si sta rovesciando?” chiese sarcastico l'altro senza degnarlo di ulteriori occhiate.

Dopo una lunga pausa domandò, vinto dalla curiosità “E sentiamo...cosa dovrei fare, secondo te? Bada a come rispondi!” minacciò

No no, niente, mio signore...” piagnucolò quello temendo una qualche punizione corporale “Volevo solo dire che non la deve disprezzare solo per questo...”

Solo per questo?” ripeté sibilando, gli occhi che dardeggiavano per la rabbia

Era impossibile da risolvere! Era un vero vicolo cieco!” si giustificò ancora quello

Ovvio che era un vicolo cieco, idiota!” Il mago scattò in piedi saltando nella sala, facendo schioccare violentemente anche il mantello per la foga che vi aveva impresso “Cosa vuoi che sia, un paradosso? Non c'era alcuna risposta giusta, né alcuna sbagliata. Doveva fermarsi lì. Passare le ore rimaste ad abbrustolirsi al sole. Non dovrei essere deluso? Non ha capito un'accidenti! Non è che il labirinto deve per forza essere risolvibile. Può pure non esserci un'uscita, per quel che ne sa lei.” Era fuori controllo: il bel re aveva il volto deformato in una maschera di rabbia. Urlava a pieni polmoni, pronto a massacrare chiunque avesse trovato sul suo cammino. “Buona parte dei labirinti sono fatti per soddisfare i desideri viscerali dei sovrani: vedere correre fino allo stremo le prede, convinte di trovarla, prima o poi, un'uscita. Invece ci muoiono dentro!” disse ridendo sguaiatamente “Sono fatti per....” di colpo si bloccò. I Goblin restarono impietriti, congelati nelle loro posizioni, temendo che, al minimo movimento, il sovrano potesse prendersela con chiunque di loro. Si voltò, tornò alla finestra, calciando in malo modo il Goblin che aveva dato origine a tutto. Si poggiò pesantemente con le mani sul balcone della finestra. I Goblin si guardarono a vicenda, incerti se tagliare la corda o soccorrere il sovrano, fattosi improvvisamente pallido e tirato.

Dannazione!” urlò esasperato, picchiando il pugno sul marmo dello stipite. Le creature decisero che era il caso di allontanarsi quel tanto da essere al sicuro ma anche prontamente disponibili in caso di richiamo.

Rimasto solo, osservava il labirinto che si estendeva ai piedi del palazzo. Solo una parte di esso lo raggiungeva. Tutto attorno sorgeva poi il villaggio e in lontananza si intravedeva l'Isola dei sogni*.

Si passò una mano sugli occhi, cercando di cacciare l'immagine che aveva appena avuto di sé. Era disgustato del pensiero che aveva avuto. Il labirinto era anche un gioco: un gioco tra una dama e un cavaliere. Un gioco dove la dama si poneva al centro del labirinto, sulla torre, nascondendosi. E il cavaliere, il povero imbecille, aveva il compito e il desiderio di raggiungerla, basandosi solo sulle indicazioni che lei gli dava. Lei, detentrice della vita di lui, che poteva decidere se farlo avvicinare a sé o respingerlo, protrarne l'agonia, soddisfarlo o cacciarlo da quel luogo. Era un gioco escogitato per gli amanti. Era la metafora della ricerca del proprio compagno.

Successivamente gli umani l'avevano involgarito, contaminandolo con la lussuria e l'omicidio. Ma originariamente...era quello il suo scopo, non il massacro dei sudditi a favore dei sovrani.

No!” sibilò a se stesso. Si allontanò dalla finestra e cominciò a muoversi su e giù per la stanza, meditabondo.

No. Il suo interesse era certamente solo per il nuovo gioco che aveva finalmente tra le mani. Certo, ne era affascinato. Ne era affascinato prima! Finché pensava che lei fosse speciale, che lei sapesse tutto di loro. Lei credeva in loro e sapeva tutto di loro. O almeno così sembrava. Ma il modo goffo in cui si era mossa fino a quel momento gli aveva fatto capire che il nano, Hoggle, aveva ragione: non sapeva proprio nulla, quella stupida umana. Quindi, era inutile. Cosa se ne faceva lui, il magnifico Jareth, di un'insipida e insulsa ragazzetta umana? Non sapeva nulla, dava tutto per scontato, non riusciva a usare la logica**. Doveva eliminarla. E tenere per sé il bambino, l'erede che lui aveva designato. Nessuno avrebbe fatto domande sui due scomparsi. E anche se qualche umano fosse riuscito a infrangere la barriera che lui avrebbe posto nelle loro memorie, nessuno avrebbe mai pensato seriamente a cercare il colpevole e i dispersi nel mondo magico, un mondo che loro ritenevano “inesistente”.

E allora perché esitava? Perché le aveva permesso di infilarsi in quel mondo? Le regole, certo... Ma le regole non dicevano nulla sulla necessità di parlare con la controparte umana, informarla del rapimento portato a termine con successo e convincerla a lasciar perdere.

Ma soprattutto, perché tra i primi pensieri che gli erano venuti in mente c'era quel gioco mentecatto e zuccheroso di amanti che si inseguono nel labirinto per far crescere l'attesa del ritrovo? Si accigliò: loro due sembravano quasi giocare a ruoli invertiti...

Arrossì improvvisamente e, immediatamente, un'ondata di rabbia tornò a travolgerlo. Perché non poteva pensare, come tutti i Goblin, essendone lui il re, solo a cose truculente? Perché si faceva tanti scrupoli verso di lei?

Era un ottimo passatempo, si disse. Ignorante ma interessante. Doveva attendere ancora qualche ora. Un gioco così non sarebbe ricapitato presto: doveva goderne ora, finché aveva tempo. Una manciata di ore e poi sarebbe tornato tutto alla consueta monotonia. Alla consueta solitudine.

Era stanco di essere Re di Goblin. Non succedeva mai niente. A parte le galline che facevano il nido sulla corona posta sopra il trono. Ma ora avrebbe avuto anche lui un bambino da crescere, si disse sorridendo addolcito.

Già...Toby...si era appena calmato e lui, in tutta la sua regale maturità, si era messo a sbraitare come un indemoniato.

Sbuffò e cercò di ricomporsi. Cacciò l'immagine di Sarah dalla sua mente e si risistemò la camicia. Tornò quindi al trono e vi ci si buttò con poca grazia. Solo allora si accorse di essere stato lasciato solo. “Ehi!” disse seccato. All'istante la sala tornò a popolarsi di schiamazzi e urla. Lui sorrise compiaciuto nascondendo il nervosismo.

Contemplò il caos attorno a sé per qualche istante. Quindi decise di tornare alla sua preda.

Preda. Ecco cos'era Sarah. Solo una preda. Una pedina nel suo gioco, nulla di più. “E chi se ne frega delle tempistiche!” sbottò tra sé

Con un movimento fluido della mano fece comparire una sfera e la tenne a distanza per osservarne il contenuto.

Ma il cristallo sembrava un pugno di onice nera. La scosse violentemente, con un gesto di impazienza, perché comparisse qualunque immagine. Cosa aveva scelto quella scriteriata? L'aveva lasciata che stava scivolando nel tunnel delle Mani Amiche, dopo le Porte Paradosso del Vicolo Cieco. Sbuffò impaziente. Dopo circa un minuto la scena cominciò a rischiararsi. Allora capì: aveva scelto di scendere. Stupida! Sentenziò, ancora una volta, mentalmente.

E' finita nel dimenticatoio...” constatò indispettito, le labbra tese. A occhio esterno sarebbe potuto sembrare preoccupato. I Goblin tutt'attorno scoppiarono in sguaiate risa isteriche. “State zitti!” sbottò, innervosito da quella loro stupida crudeltà gratuita: non capivano mai il suo umore. “Non avrebbe neanche dovuto arrivare al dimenticatoio.” Spiegò loro acido ma insolitamente prodigo di spiegazioni. I suoi tirapiedi non avevano seguito tutta la vicenda, quindi non sapevano che lui era infastidito da altri pensieri. “A quest'ora doveva essersi già arresa.” In realtà era molto deluso. Perché aveva scelto di andare giù se la strada che percorreva era in alto? Per assecondare la naturale caduta? Ragionamento illogico. Non l'avrebbe mai capito

Lei non si arrenderà mai.” Il Goblin fin troppo perspicace, che qualche minuto prima l'aveva mandato su tutte le furie, tornò a sparare le sue sentenze velenose. Era una minaccia, quella di Sarah?

No?” domandò sarcastico e stanco, più rivolto a se stesso, quasi consumato dai propri pensieri. “Il nano la riporterà al punto di partenza” decretò. Voleva vedere se quel piccolo rospo aveva ragione, come temeva. Cercò di convincersi fosse la scelta giusta “Si arrenderà quando si renderà conto di dover ricominciare tutto da capo!” una timida risata, poco convinta, cercò di affacciarsi alle sue labbra. I Goblin tutt'intorno cominciarono a borbottare tra di loro, quasi criticando la scelta del sovrano. “Beh?” Domandò lui spaesato. Non si divertivano più nel vedere qualcuno in difficoltà? Cosa aveva la sua decisione di tanto errato? Non è che provavano già dell'affetto per lei, quasi l'avessero riconosciuta come legittima sovrana? “Ridete!” li incoraggiò. Se non ridevano loro, come faceva lui a non pensare alle cattiverie a cui la stava sottoponendo? Come faceva a distrarsi? Come faceva a pensare che fosse la cosa giusta da fare? Quelli, più per compiacerlo che per reale ilarità, si esibirono in risate sperticate e forzate.

Aspettò qualche istante, sperando che quelle risate lo contagiassero. Alla fine rise. Di disperazione. Non era affatto contento di quello che aveva deciso di fare. Era un comportamento totalmente masochistico e meschino, per niente adatto a un re. Perché non la lasciava nei sotterranei bui a scontare le ore che rimanevano? La vittoria era assicurata: lei non aveva poteri né la forza per uscire da lì. Allora perché la stava liberando? Certo, come palliativo. Per pulirsi la coscienza si raccontava che la stava rimandando all'inizio e che lei avrebbe desistito. Ma sapeva bene che non si sarebbe arresa. Né lo voleva. Poteva raccontarsi che, se fosse dovuta diventare la sua sposa non la voleva puzzante di muffa.

Accidenti...” Pensò convocando il nano tramite la sfera “Cosa diavolo è che voglio?”



Sarah se ne stava rannicchiata sotto la botola da cui era caduta dentro il dimenticatoio e da cui filtrava una timida luce che le dava un minimo di calore all'interno di quell'antro buio e freddo. Un tintinnio, accompagnato ad un fruscio di passi e stoffe strofinate, la fece sobbalzare. “Chi è là?” chiese guardinga. Se fosse stata una minaccia seria, lo sapeva, non avrebbe perso tempo a risponderle.

Sono io...” disse una voce che aveva già sentito altrove, seguita da una bassa risata sadica. Il silenzio della segreta fu spezzato dal rumore di un fiammifero sfregato contro una superficie ruvida. Pochi istanti e un caldo chiarore si diffuse nel corto raggio della candela che arrivava a lambirle la punta delle scarpe. “Oh, sei tu!” disse sollevata riconoscendo lo scorbutico nano giardiniere ammazza-fate.

Eh sì...sapevo che ti saresti cacciata nei guai da quando ti incontrai, così sono venuto a darti una mano” mentì in modo convincente, quasi arrogante. Adesso che riusciva a vedere qualcosa, la ragazza osservò ciò che la circondava, notando le catene che pendevano qua e là, le molte ragnatele, i resti di scheletri di prigionieri a lei molto precedenti. “Oh, ti guardi in giro, ora, vero?” chiese con fare supponente e presuntuoso “Immagino che avrai notato che non ci sono porte...solo il buco.” Precisò indicando il luogo da cui filtrava la fioca luce che l'aveva illuminata fino a quel momento. “Questo è un dimenticatoio...il labirinto ne è pieno..” spiegò mentre lei continuava a guardarsi intorno.

Davvero?” domandò lei. Sembrava affascinata, più che terrorizzata, da quel luogo angusto e chiuso. “Come lo sai?”*** Se era un giardiniere e stava all'esterno, cosa ne sapeva del labirinto? E perché si era rifiutato di aiutarla al loro primo incontro?

Non far tanto la gradassa. Tu non sai nemmeno cos'è il dimenticatoio!” replicò lui, punto sul vivo. Aveva stuzzicato il suo senso di colpa e lui reagì in modo aggressivo per difendersi da quell'improvvisa sensazione di disagio.

Tu sì?” chiese lei sarcastica, rispondendo a tono al mostriciattolo impertinente che era andato a darle una mano, facendo pesare il suo favore.

Sì!” rispose piccato “E' un posto dove ci butti la gente per dimenticartene. Ora...” proseguì impettito “Quello di cui hai bisogno è un modo per uscire di qui. E si da il caso che io conosca una scorciatoia per uscire dal labirinto”

A Sarah non sfuggì il verbo che aveva usato: uscire. Voleva portarla fuori dal gioco No!” protestò “A questo punto io non mi arrendo! Sono arrivata troppo avanti...” E poi, pensò, arrivata avanti o meno, devo provare lo stesso. “No, ce la sto facendo!”

Oh, certamente!” disse Hoggle avvicinandosi a lei e stabilendo un contatto fisico per trasmetterle fiducia “Però diventerà sempre peggio, da qui in avanti...” le diede delle pacchette affettuose alle mani incrociate in grembo. La codardia, la vigliaccheria...erano il suo unico modo di ragionare. E voleva convincere lei, che già aveva combinato un pasticcio colossale, a tralasciare i suoi doveri, a fuggire. In quel posto erano tutti vigliacchi.

Perché ti preoccupi tanto per me?” chiese allora, sospettosa e irritata. La cosa le puzzava di imbroglio. Perché presentarsi lì se voleva farla desistere? Bastava aspettare lo scadere del tempo a disposizione.

Beh, sono fatto così...Una giovane e bella ragazza, un terribile e nero dimenticatoio...”

Ti piacciono i gioielli, è vero?” chiese lei, cambiando argomento. Aveva notato la sfilza di amuleti e di pendenti di vario tipo che il nano portava appesi alla tracolla della bisaccia. E aveva anche notato che aveva ancora tempo a disposizione. Non importava dove sarebbe uscita: poteva farcela. E rimanendo chiusa là sotto di certo non avrebbe concluso nulla.

Perché?” chiese subito sospettoso, portando una mano a toccarli per assicurarsi che non fossero spariti o che non scomparissero al più presto.

Se mi aiuti a superare il labirinto, io ti darò questo...” disse lei, con fare compiacente, puntando sull'unico punto debole del nano che aveva afferrato, facendo oscillare davanti ai suoi occhi il suo braccialetto, le cui perline rilucevano alla luce della candela. Hoggle si avvicinò esitante, fortemente tentato, ma circospetto, trattenuto da un vincolo potente “Ti piace, vero?” insistette puntando tutta la sua forza espressiva di giovane attrice dilettante sugli occhioni verdi che tutti le lodavano.

Così così...” riuscì a rispondere, negando, solo voltandole le spalle e togliendosi il monile dal campo visivo

Ah, ok...” disse la ragazza, sicura di averlo ormai in pugno, giocando bene la sua parte e alzandosi sicura per andare chissà dove in quella piccola grotta.

Sai cosa ti dico? Tu mi dai quel braccialetto...” Hoggle corse subito ai ripari, cercando un buon compromesso, vendendo sfumare l'affare “E io ti indico l'uscita”

L'uscita...” Disse, rimuginando sul termine: indicava i cancelli, il punto di partenza o la soluzione, il punto di arrivo? Meglio andarci coi piedi di piombo, in quel regno, con le parole dal significato ambiguo! “...me l'avresti indicata comunque” puntualizzò lei, cogliendolo in errore

Ma il nano fu abile a rimediare “Proprio per questo sarebbe un gesto particolarmente magnanimo da parte tua.”

No” sbottò lei. Ma la prendevano tutti per cretina? Adesso avrebbe dovuto regalare a uno sconosciuto un suo bracciale tanto per essere magnanimi? L'odore d'imbroglio era pesante. Ma non capiva se fosse la natura del nano o se fosse pilotato. All'ingresso le era parso che fosse un tipo che preferisse evitare gli scontri diretti, le beghe, che prediligesse la tranquilla monotonia delle cose sicure e immutabili. “Ascolta...se non puoi portarmi al centro, dov'è il castello, portami fin dove puoi. Da lì me la caverò da sola.” contrattò

Fingendo disinvoltura, cercando di concludere l'immaginario baratto in atto, Hoggle domandò “Beh ma comunque...di cos'è che è?” chiese indicando il monile.

Lei lo fissò, incerta se dirgli la verità: l'avrebbe scoperta comunque, no? “Plastica” disse con un tono che esprimeva ovvietà e rassegnazione.

Eppure Hoggle ne era affascinato. Forse nell'Underground era una materia rara. “Ohh” gli si illuminarono gli occhi intanto che si accingeva a prenderglielo dalle mani. “Bada, però...” disse ritornando in sé e ricomponendosi. Non voleva ammettere con se stesso di essere così veniale e mascherava tutto come finta accondiscendenza “Non ti prometto nulla...ti porterò fin dove posso e poi vai da sola.” Eppure a Sarah quel tono arrogante era familiare. Perché Hoggle cercava di fare tanto il gradasso se in realtà era tanto gentile e cordiale? “D'accordo?”

D'accordo!” decise di accettare il patto per quello che era. Senza aspettarsi realmente nulla.

D'accordo...” confermò lui, prendendo il cerchietto e rigirandoselo tra le grosse mani, immerso nella contemplazione “Wow...plastica...Che affare!”

La ragazza ebbe improvvisamente l'illuminazione, mentre il nano si avviava a mostrarle il trucco magico per uscire da quel posto: il Re. Ecco chi gli ricordava. Il re era la figura più potente laggiù. Ed era, forse, naturale cercare di imitare colui che governava. Se non per arrivare al suo livello, almeno per darsi un tono, per convincersi di essere migliori di quello che si era. Solo che il bel mago era perfido: le aveva rubato il fratello nonostante le suppliche di sciogliere il patto. Hoggle, pur tra mille contraddizioni, era andato ad aiutarla. Ecco cosa le suonava strano in tutto il loro dialogo. Non c'era alcun imbroglio. Era lei che vedeva quell'uomo attraverso le parole del nano. E dato che le parole che aveva in mente e l'immagine che i suoi occhi le rimandava erano in contraddizione tra loro, aveva risolto tutto come se si trattasse di un tranello.

Finalmente, dopo un primo errore, Hoggle riuscì ad aprire il varco giusto. Sarah ridacchiò tra sé, per il nervoso, dandosi della stupida per aver dubitato del nano che seguì fiduciosa attraverso la piccola porticina ricavata da un asse nascosta nel pavimento e addossata poi al muro.







*E' chiamata “Isola dei sogni” la discarica pubblica di Tokyo, costituita solo di rifiuti.

**Il gioco delle due porte è in realtà un paradosso logico: le soluzioni possibili sono 4: due sono quelle che cita Sarah. Ma due sono risposte esattamente contrarie, perché tutto dipende da cosa c'è effettivamente dietro le porte: i guardiani non lo sanno ;)

Per approfondimenti:

http://www.finanzainchiaro.it/dblog/storico.asp?s=Logica+e+Giochi

http://www.nemesi.net/mentitore.htm

*** nella versione italiana lei dice “Non lo sapevo”



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Ciao a tutti,

rieccomi qui...non ce l'ho fatta ad aspettare domani o dopo: se non posto non riesco ad andare avanti..e ne ho bisogno...oddio..sono malata -come ha constatato anche Jessica80 dal mio commento- XD

Allora, capito il gioco delle 2 porte? :D Sì, in sostanza, anche Sarah si era sbagliata.

Ditemi cosa ve ne pare di Jareth: da qui in poi, come vi avevo preannunciato, mi è sfuggito un po' di mano e sembra delirante e contraddittorio. Ho paura di finire OOC...mi vorrete bene lo stesso? E, sempre da ora in avanti, infilerò, velatamente in modo da non cambiare la trama originale, accenni a cose/eventi/situazioni etc che saranno alla base dello sviluppo successivo del continuo (Si, sono drogata, ci sto già lavorando...ma solo facendo così riesco a giustificare alcune cose ora, nella storia originale.)

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Capitolo 6
*** Trappola nel tunnel ***


6. Trappola nel tunnel



Jareth fissò la sfera, allibito. Sul bel volto un misto di disgusto e delusione. Uno dei Goblin che lo circondavano espresse i pensieri del Re ad alta voce, quasi leggendogli nella mente, e imprecando in modo colorito. “Traditore!” ringhiò

Già. Il sovrano si era distratto un attimo, convito che il nano avrebbe eseguito le sue indicazioni alla lettera, troppo spaventato dalla furia regale. Invece, in qualche modo, Troggle si era fatto convincere da quella ragazzetta. Che gli avesse fatto gli occhi dolci? Improbabile: per quel che ne sapeva lui non era il tipo da fare la civetta, anche se davanti allo specchio, da sola in camera sua, si atteggiava a donna vissuta. Il nano, poi, non avrebbe dovuto essere minimamente interessato a cose del genere.

L'aveva minacciato! Era l'unica soluzione, anche se ancor più improbabile, visto il suo carattere sanguigno. No, non era possibile. Più osservava il volto fiducioso di Sarah, che trotterellava sicura alle spalle di quella creatura, più si arrovellava su come avesse fatto a convincerlo a non portarla al punto di partenza. Il nano conosceva bene i percorsi del regno, essendo il giardiniere reale: non poteva essersi perso.

Il bel re strizzò gli occhi concentrato: stavano oltrepassando tutti i dissuasori senza badarli della benché minima attenzione. Se l'avesse condotta troppo vicina al castello, in troppo poco tempo, lei avrebbe rischiato di riuscire a trovare il fratello e a scappare. Doveva fare qualcosa!

In un gesto rabbioso, si buttò il mantello sulle spalle con movimento circolare. Confuso in quel vorticare di drappi, scomparve dalla sala del trono per riapparire in uno dei corridoi sotterranei, scanalati nel mezzo da una rotaia per permettere il deflusso delle acque nere, in sostituzione a fogne vere e proprie, che collegavano tra loro le segrete, i dimenticatoi, il labirinto e anche il castello.

Si guardò attorno: non li avrebbe attaccati direttamente, dando loro l'impressione di essere il centro del suo mondo (anche se la cosa che era effettivamente vera, al momento). Avrebbe, invece, teso loro una sorta di imboscata, come se li aspettasse al varco, quasi sapesse e si aspettasse un comportamento simile. Voleva proprio vedere come si sarebbero comportati, se l'avrebbero riconosciuto, se il senso di colpa li avrebbe sfiorati minimamente. Entrambi, ovviamente: una per l'imbroglio che cercava di rifilargli, uno per il tradimento. Il nano. Oh, il nano l'avrebbe pagata davvero cara. Già aveva nel fianco la spina della vicinanza che Sarah aveva cercato di stabilire con lui. Lui, uno stupido nano ripugnante! Cosa mai poteva avere di interessante?

Ma soprattutto...dove si erano cacciati? Avrebbero già dovuto essergli passati davanti da un pezzo! Constatò la loro assenza con uno schiocco di lingua e la punta dello stivale cominciò a battere impaziente per terra, sollevando piccole nuvolette di polvere. Sbuffò seccato e si decise a mandare una sfera in perlustrazione. Il piccolo cristallo scivolò a terra e cominciò a rotolare per tutti i cunicoli. Infine, intercettò i due fuggiaschi in una galleria lì vicino, intenti a dar corda e soddisfazione a uno dei falsi allarmi.

Oh-o...” mugugnò Hoggle vedendo il cristallo scivolare silenzioso sulla terra polverosa alle loro spalle. La presenza di quella sfera non lasciava presupporre nulla di buono: se era lì, il re non doveva essere molto lontano. Dal punto in cui si trovavano, erano obbligati a seguire un certo tratto di condotti e Hoggle ne avrebbe fatto volentieri a meno. La paura di incontrarlo gli stava annebbiando il cervello.

Sarah, invece, dimentica di aver già visto prima quell'oggetto, lo seguì ipnotizzata. Camminarono per qualche metro finché il corridoio non sfociò in un altro che lo tagliava perpendicolarmente. Seguirono il percorso della sfera con gli occhi e la videro scivolare ai piedi di un mendicante per poi saltargli nel bicchiere.

Che succede qui?” domandò la figura ammantata, il becco da rapace nascosto dall'ombra di un largo cappello, le ginocchia ossute piegate contro il petto.

Il nano sobbalzò, terrorizzato. Quello non poteva essere Blind Pierre*: doveva trovarsi da tutt'altra parte, sull'isola, ed era impossibile che finisse a vagabondare per i sotterranei. Era assurdo che si trovasse lì. E quindi, non poteva essere altri che il re che, presone le sembianze, giovava al gatto col topo. Trovarselo davanti così, piuttosto che troneggiante furioso, era forse più inquietante, segno di una rabbia meditata e quindi più grande e pericolosa di una sfuriata improvvisa quanto momentanea.

Niente!” deglutì il nano arretrando e andando a sbattere contro la parete.

Niente?” domandò la voce. Sarah era perplessa: non capiva l'improvviso panico del compagno e spostava lo sguardo tra lui e il nuovo personaggio davanti a loro. “Niente?” tuonò la voce che le suonava, ora, stranamente familiare. La figura trasmutò, ingigantendosi. Il mantello, insieme a cappello, maschera carnevalesca e corpicino in tromp-d'oeil, sferzò l'aria. Gli occhi azzurri spaiati del mago guizzarono sui due intrusi con ferocia ma si soffermarono glaciali sul nano “Niente...” ripeté gettando a terra, con rabbia, il proprio travestimento “...Trallalà?”

Quello che voleva essere uno scimmiottamento di scherno, l'immagine quasi stereotipata del nano ingenuo che si aggira spensierato per i meandri del sottosuolo dell'Underground per mano con la sua bella, suonò come una maledizione balbettata a fatica e di cui sembrava non ricordare le parole.

Oh, maestà!” sibilò il nano, accennando un inchino “Che maestosa sorpresa!”

A Jareth non sfuggì il leggero sarcasmo che trapelava dalla sua voce “Salve, Gorgoglio” Rispose educato il sovrano, canzonandolo. Lo stava avvisando di misurare le parole: qualunque cosa avesse detto per discolparsi, per lui sarebbe stato un cicaleccio indistinto. E la sua fine sarebbe stata a gorgogliare sul fondo di qualche stagno o affogato nel suo stesso sangue.

Hogwarts” lo corresse prontamente Sarah. Da dove lo tirava fuori il coraggio di sfidarlo così apertamente? Il suo modo irriverente di parlargli, fin dal primo scambio di battute, rasentava la maleducazione. Ma arrivare a correggerlo come un bimbetto, sbagliando, per altro, anche lei? Soprattutto, dopo essersi appiattita anch'ella al muro per lo spavento, quando si era tolto il travestimento... Jareth strizzò gli occhi, colpito da un altro pensiero: era già la seconda volta che la sentiva nominare Hogwarts**: se era tanto stupida da non saper risolvere il labirinto, come faceva a sapere di quel posto? Erano pochi gli umani che lo conoscevano. E le loro conversazioni con altri umani erano ben controllate, per evitare che trapelassero informazioni.

Hoggle!” Ribatté il nano indispettito. Non era poi così difficile, come nome, perché tutti glielo storpiavano? Poteva capire il re...ma Sarah?

Hoggle...” balbettò il bel biondo, guardando la ragazza di sfuggita. Le sarebbe sembrato che fosse caduto in fallo ma era solo tremendamente seccato per la libertà con cui si era permessa di riprenderlo “Non sarà che stai aiutando questa ragazza?”

Io? Ma in che senso?” era così smaccatamente falso che anche un Goblin avrebbe capito che era stato colto in flagrante.

Nel senso che la stai portando verso il castello!” precisò il re piantando le mani guantate sui fianchi, mostrando tutta la sua autorità in atteggiamento di sfida.

No no...” disse come sollevato “Io la stavo conducendo al punto di partenza, maestà” rispose indicando il corridoio che si snodava ora alle loro spalle. Da lì, effettivamente, si poteva anche tornare al cancello.

Cosa?” sbottò Sarah inviperita. Jareth osservò attentamente la sua reazione. Era più arrabbiata che ferita dal tradimento. Forse era così abituata che quasi se l'aspettava ma non voleva vederlo? D'altronde, la sentì rimproverarsi per non essersi assicurata una risposta inequivocabile dal nano. Oppure malediceva la propria bontà e la propria propensione a fidarsi di chiunque? D'altra parte, anche se non allo stesso modo, si fidava anche di lui, del re di Goblin: credeva che rispettasse i patti, quando, invece, come tutti i Goblin, giocava sporco. Infondo, non avevano mai concordato sull'uso di imbrogli e sotterfugi.

Le avevo detto...” proseguì tranquillo il nano bugiardo, facendo finta che la ragazza non fosse neanche lì con loro “...che l'avrei aiutata a superare il labirinto: un macchiavelletto di mio conio, Sire...” Jareth si era chinato alla sua altezza per sentire bene la confessione del suddito e fissarlo dritto negli occhi, in modo tale che non potesse distogliere lo sguardo nel caso gli stesse mentendo. La sua attenzione, però, fu catturata dal polso della creatura che continuava a gesticolare le sue scuse. “Ma in realtà...”

Sì, certo...” lo interruppe il re, seccato “E dimmi...cos'è quella roba di plastica che hai attorno al polso?” il tono e l'espressione si erano fatti volutamente schifati. Il re sapeva benissimo cosa fosse e da dove saltasse fuori: Hoggle si era venduto per un braccialetto. Aveva venduto il suo re per un miserrimo braccialetto. Di comunissima plastica, per giunta. Era l'affronto peggiore che gli potesse essere mosso.

Il nano nascose automaticamente le mani dietro la schiena, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. Era la conferma di quanto aveva pensato. Lo vide riportare le mani in avanti, come se avesse capito l'errore fatto e cercasse di rimediare, fingendo di cercare l'oggetto incriminato con curioso interesse “Oh, questo! Oh Mamma mia...” bofonchiò in preda al panico “Da dove salta fuori?” Più del tradimento, fu un altro il pensiero che irritò Jareth: Sarah, quella scriteriata, aveva ceduto il suo bracciale - parte del suo potere, della sua essenza - a un essere vile come un nano. Jareth si domandava fino a che punto fosse consapevole di quello che avesse fatto: ogni gesto, nell'Underground molto più che nel mondo umano, aveva un suo specifico significato e valore. Da quel momento in avanti avrebbe dovuto tenere Hoggle ancora più sotto osservazione: non c'era da dubitare che venisse influenzato dalla fanciulla e il nano, che collezionava monili, conosceva bene il valore di quegli ammenniccoli, più potenti e significativi di un trofeo. Ma Sarah... Ora era anche più debole, senza la protezione di quel talismano. Strizzò gli occhi, accigliato, cercando di prevedere gli sviluppi futuri della vicenda ma per il momento doveva dedicarsi al traditore. Si rimise in piedi, svettando in tutta la sua altezza, imprimendo al suo corpo tutta l'autorità di cui disponeva ed enfatizzando la differenza di rango. Il nano era colpevole e cercava di fregarlo, di raggirarlo. Lui, il re! Aveva segnato la sua condanna a morte. Se non fosse stato per Sarah, presente alla scena e a cui non voleva dare un'immagine troppo truculenta di sé “perché non si sa mai!”, gli avrebbe spezzato il collo in un sol colpo, lì, su due piedi. “Fregol..” sibilò minaccioso. La giacca asimmetrica, che richiamava parti di armatura vinte a qualche nemico (come i pantaloni che sembravano fatti con la pelle di qualche trofeo) e che aveva le fibbie della stessa foggia del suo medaglione, lo rendeva ancora più terrificante.

Hoggle...” lo corresse educatamente e timidamente l'altro

Sì...” accennò il biondo sovrano, seccato dall'ennesima puntualizzazione: non si ricordava i nomi di tutti i suoi sudditi. E cosa doveva mai importagliene, a lui, di quelle schifose creature? Era già tanto se ricordava, vagamente, come suonavano “Se pensassi per un istante che tu mi stavi tradendo...” scandì avanzando lentamente e schiacciando con la sua presenza il colpevole che lo guardava terrorizzato da sotto in su “...Sarei costretto...”

Non per mio divertimento...” pensò sadico “E' il mio ruolo che lo impone!

...ad appenderti a testa in giù nella Palude*** dell'Eterno Fetore” concluse secco: doveva decidersi, scriteriato di un nano, da quale parte stare.

A quella minaccia, il nano impallidì e si buttò ai suoi piedi supplichevole, pregando di venire risparmiato. Ma il re era irremovibile. Aveva la certezza che quel viscido doppiogiochista l'avesse tradito. Lui poteva pure capire il tradimento e il dubbio. Ma non il tradimento del tradimento. Né il dubbio fine a se stesso che non fosse supportato dall'esigenza di capire. A testa in giù, liberato dagli impicci del piccolo e tozzo corpo, avrebbe usato un po' quel cervello da gallina e si sarebbe schiarito le idee. Ma era anche vero che era un bravo giardiniere. Forse l'unico nel regno. Inoltre, era un esule, come lui. Era l'unico nano che si fosse dato disponibile a lavorare per creature abominevoli, violente, sporche e caotiche come i Goblin. Quindi, concedergli una possibilità di redenzione era d'obbligo. Se non voleva che il regno sprofondasse divorato dai rovi. Lo cacciò con una pedata, costringendolo in tutta la sua piccola nullità a comprendere quale fossero il suo posto e il suo compito. Sistemato il più facile dei due, si voltò per dedicarsi alla ragazza che, impietrita, aveva seguito silenziosa tutta la scena senza intervenire. A parte per rimbeccarlo e correggerlo. Ma l'occhiataccia che lui le aveva lanciato, invitandola a non intromettersi, doveva essere stata sufficientemente eloquente. Aveva taciuto. Non aveva cercato di difendere la sua guida, forse vinta dalla rabbia e dalla delusione, forse perché, vigliaccamente, come il nano, non voleva sporcarsi le mani con qualcosa che aveva perso, ai suoi occhi, ogni valore in pochi istanti. Il tradimento la divorava. Era una stilettata che si andava a sommare a tante altre e lei era sull'orlo del precipizio. Una spinta ancora e si sarebbe chiusa per sempre a riccio, cacciando chiunque dalla sua esistenza.

E tu, Sarah...” l'apostrofò con arroganza, le mani incrociate con cura dietro la schiena, andandole vicino “Che te ne pare del mio labirinto?”**** domandò, con l'accenno di un sorriso complice sulle labbra, una volta che le fu così vicino da poter quasi udirne il battito delle ciglia. La fissò dritto e senza esitazioni nei chiari occhi verdi, sgranati per la sorpresa di quell'inaspettata vicinanza, che a loro volta lo osservavano con attenzione. Stranamente sperava che capisse il suo divertimento, che lo approvasse. Sperava che avessero qualcosa da condividere. E lì, a un soffio dalle sue labbra, naturalmente rosate e turgide in tutta la loro invitante giovinezza, gli sembrava quasi possibile.

Per un attimo si vide colmare quei pochi centimetri che li separavano e farla sua. Immaginò che lei ricambiasse, si abbandonasse a lui, senza opporre, ancora, resistenza.

Spostava lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, tentato e indeciso. Ma sapeva anche che non avrebbe mai soddisfatto in modo tanto diretto e semplice i propri desideri. Era lui, in realtà, a non voler cedere. Voleva che la prima mossa toccasse a lei: sarebbe stata lei a tirarlo a sé, dimostrandosi debole e smaniosa. Solo allora avrebbe lasciato che quello che teneva incatenato dentro di sé, qualunque cosa fosse, si manifestasse.

Interruppe i suoi vaneggiamenti quando Sarah dischiuse le bocca per rispondergli. E la risposta ne calmò i bollenti spiriti come una doccia gelida.

Aveva soppesato la domanda, cercando di fare attenzione alla risposta che avrebbe dato. “Come bere un bicchier d'acqua” disse, infine, mordicchiandosi le labbra. Stranamente, quel perfido essere allucinante la intrigava. E in un modo così particolare che non sapeva dire se avesse mai provato nulla di simile prima. Voleva sfidarlo, essere all'altezza delle aspettative che lui nutriva su di lei. Se si fosse mostrata arrendevole e scoraggiata, lui non le avrebbe certo rivolto quello sguardo carico di interesse, ne era certa. Si sorprese nel constatare che tutto ciò che voleva, realmente, era un briciolo d'attenzione. Cercò di ricomporsi: era l'uomo che teneva in ostaggio suo fratello e, decise, gli avrebbe dato filo da torcere. In ogni caso.

Eppure, trovarsi intrappolata tra le braccia di quell'uomo, con le spalle letteralmente al muro, non le sembrava una cosa tanto pericolosa, a cui avesse dovuto prestare particolare attenzione. Avvertiva distintamente il lieve profumo speziato che si spandeva da quei capelli biondi mescolato a quello del cuoio della giacca bordeaux asimmetrica e ne era quasi drogata, tanto era invitante.

Hoggle, dall'altra parte del canaletto di scolo del tunnel composto da una singola rotaia, era sull'orlo della disperazione: il re era già abbastanza alterato per il suo comportamento e Sarah continuava a sfidarlo. Non accennava a retrocedere di un passo. Non era neanche malleabile, possibilista. Era a dir poco granitica. Stupida umana cocciuta e ignorante.

Ma Jareth era rimasto affascinato da tanta audacia. Nonostante la spavalderia dimostrata, però, non l'aveva guardato in faccia ma aveva abbassato lo sguardo per poi, solo dopo, tornare a guardarlo, spiando la sua reazione. La sua vicinanza la intimoriva? Inibiva? ...Imbarazzava? Ne era a dir poco lusingato. Come qualche ora prima, sulla collina, gli venne voglia di stuzzicarla. Era, effettivamente, un bel passatempo. Provava una strana attrazione per lei. E al contempo non desiderava altro che farle i dispetti. Ma questi, di quando in quando, lo facevano stare in pena per lei. Come un bambino capriccioso. Forse, si ripeté, a stare coi Goblin aveva assunto qualche loro tratto peculiare. “In realtà la vuoi davvero come regina” gli disse una vocina dai recessi più profondi della sua mente “Per quello desideri che sia migliore di quello che ti appare e ti preoccupi per lei quando sei tu stesso a cacciarla nei guai. Ma ogni suo fallimento ti riporta alla realtà: è una bambina, ancora. E allora la punisci. Ma non fai altro che insegnarle la strada e temprarne la fibra. Sta imparando, vedrai che sorprese ti riserverà...Sa molto!

Davvero?” chiese in un sussurro, divertito. I lunghi capelli biondi scompigliati erano illuminati dalla luce che arrivava alle sue spalle, tenendo il volto in ombra, il che gli conferiva un aspetto ancora più minaccioso. E conferiva a quella constatazione incuriosita una nota di scherno che lui non intendeva imprimergli. La ragazza era davvero caparbia e se la intendevano alla grande, più di quanto non osasse immaginare: anche a lui, quel labirinto, era sempre sembrato troppo semplice. “E che ne diresti se complicassimo un po' le cose?#” Propose, sicuro che lei avrebbe apprezzato. D'altronde era quasi arrivata a destinazione, poteva concedergli qualche brivido. Sì, la sua futura regina non poteva non apprezzare tutto quello che lui stava faceva per lei, tutto ciò che le proponeva: non solo aveva architettato tutto il labirinto appositamente per lei, ma l'aveva anche liberata dal dimenticatoio, assecondava i suoi capricci e non le aveva mai torto un capello.

Si staccò baldanzoso da lei e fece comparire l'orologio: segnava le 5 e venticinque. Ora Sarah sapeva quanto aveva vagabondato per il labirinto ma ancora non la posizione in cui si trovava. Puntò le dita verso il quadrante e cominciò a ruotare il polso in senso orario. Le lancette presero a girare vorticosamente in avanti, mangiandole minuti e ore preziose.

No!” protestò lei, allibita “Non è giusto!” Come aveva potuto credere per un solo istante che quell'uomo potesse essere diverso da quello che aveva pensato fino a quel momento?

Lui si fermò serrando il pugno, seccato. “Lo dici così spesso...” mormorò deluso e frustrato, tornando a guardarla. Rimuginò sui suoi precedenti ragionamenti: aveva forse preso un abbaglio? Ora, l'orologio segnava le otto e quaranta: le aveva rubato solo tre ore e mezza. Tre ore e mezza che, seguendo il nano, si era risparmiata: aveva barato. Tre ore e mezza sottratte con l'imbroglio. E veniva a lamentarsi da lui su questioni di equità? Lui aveva solo pareggiato i conti, niente di più. E dire che voleva movimentare le cose “Mi domando quale sia il tuo metro di paragone...” sibilò allontanandosi e dandole le spalle. Giunto all'imboccatura del tunnel che si inseriva in quello dove stavano loro, si voltò nuovamente verso di lei, scuro in volto. Odiava quel suo carattere altalenante: prima il labirinto era troppo facile, poi troppo difficile. Le avrebbe dato volentieri due schiaffoni per rimetterle la testa a posto e farle capire quanto fossero assurde e contraddittorie le cose che blaterava. Ma si era ripromesso di non prendersela più direttamente con lei. L'episodio del loro primo incontro era stato un tremendo passo falso, aveva perso le staffe per un nonnulla e reagito in modo esagerato.

Non doveva nemmeno sfiorarla. Per nessun motivo.

Così come non doveva toccare le sfere. Esattamente per lo stesso motivo.

Doveva cercare di darsi una calmata e doveva chiarirsi: cosa voleva da se stesso? E da lei? Voleva una donnetta che morisse ai suoi piedi o una che gli tenesse testa, che lo affrontasse alla pari e che non si lasciasse strattonare come un pupazzo? Certo era che era ancora troppo immatura per i suoi gusti. Aguzzò la vista e rise tra sé: le avrebbe complicato l'esistenza fino a fiaccarla definitivamente. Si morse la lingua pensando che era stato proprio lui a liberarla: poteva tenerla a marcire nelle segrete per qualche ora! Che cosa gli era passato per la testa quando le aveva mandato il nano? Poteva lasciarla al buio, in preda alla solitudine, all'autocommiserazione e all'umiliazione! Ma a lui piacevano le sfide e gli piaceva ancora di più vincerle. Specie se la controparte non si fletteva davanti a lui. L'avrebbe spezzata, voleva una vittoria totale. “E così il labirinto è come un bicchier d'acqua, eh? Vediamo come affronti questo piccolo sorso...” disse mimando la pochezza della novità. Quindi, con un movimento fluido, si fece comparire tra le mani una sfera di cristallo. La fissò tra l'annoiato e l'irritato. Quindi la lanciò, con tutta la rabbia che aveva in corpo, nel buio del cunicolo alle loro spalle.

Nel punto in cui la sfera toccò il pavimento sabbioso, si materializzò all'istante la punta di una turbina che avanzava ruotando le punte e le propaggini in ogni verso, quasi le improbabili schegge di vetro, schizzate per il cunicolo al momento dell'impatto, fossero tornate a ricomporsi su una struttura di volume decuplicato.

Oh, no!” mormorò il nano, alzatosi in piedi e avvicinatosi alla ragazza. Erano rimasti soli. Il mago era sparito. Troppo concentrati su quello che avveniva nel tunnel, non l'avevano badato eccessivamente e non avrebbero saputo dire se si fosse smaterializzato o se si fosse solo messo in salvo da qualche parte. “Gli spazzini!” gemette voltandosi e cominciando a correre.

Cosa?” chiese Sarah, perplessa. Quello che andava loro incontro non aveva un aspetto amichevole ma era il caso di preoccuparsi?

Corri!” Urlò Hoggle già lontano. Sarah non protestò, girò su se stessa e cominciò a correre, raggiungendo il nano con poche falcate.



*Blind Pierre è il cammeo di uno dei Muppets Treasure Island

** Nella versione originale pronuncia davvero Hogwarts (l'altra occorrenza è all'ingresso del labirinto, quando lui si rifiuta di darle una mano), tanto da far pensare a molti che la Rowling, per al sua notissima scuola di stregoneria, oltre a che a una specie di giglio sfigatino, si sia “agganciata”, citandolo quasi come un cammeo, proprio a Labyrinth.): quindi una velatura di Crossing ci sta ;) Al di là dei prestiti, potrebbe voler dire effettivamente “Verruche di Cinghiale” e ciò spiegherebbe l'irritazione del nano: Jareth, più avanti (nella scena con la pesca) nella versione italiana, definisce Hoggle “Verruca repellente” (Scab: piaga o scabbia/rogna, sempre un'escoriazione/epiteto poco piacevole). E, ai lati del cancello di HP, ci sono, in effetti, due cinghiali alati. Ancora, il fatto che lui non distingua la plastica da gioielli veri la dice lunga e potrebbe richiamare il “dare le perle ai porci” (to cast pearls before swine). Altra teoria, legata però alla fissazione della Rowling per gli anagrammi, sarebbe ghost war. Comunque nulla di carino.

Su nome e nomignoli vari che gli vengono affibbiati dai due, comunque, si potrebbe scrivere una tesi: Hedgewart (Spiepe+verruca: è un giardiniere e Jareth, come scrivo io, dubito possa ricordarsi il nome di tutti quindi va per associazioni tra il lavoro e l'aspetto “foruncoloso”): io ho mantenuto la versione di “Gorgolio” per gestire l'irritazione di Jareth...con l'altra versione sarebbe stata più difficile fare un gioco di parole simile; Higgle (voce arcaica di Haggle, contrattare/spacciare, tradotto con Fregol quando cerca di depistare Jareth nelle fogne: chi contratta, tira al ribasso cercando di FREgare la controparte. Ma ancora Hug+Giggle: abbraccio+risata nervosa...e Hoggle è nervoso); Hoghead (Testa di cinghiale. Nella scena della pesca avvelenata, quando vuole andare a salvare Sarah e Jareth imita, mano alla gola, quello che a me è sempre sembrato il verso di un impiccato e quindi, presumibilmente, una minaccia di finire come trofeo, con solo la testa, sopra un caminetto come un cervo), Hogbrain (Cervello di maiale, credo inteso come il nostro 'cervello di gallina'. La scena è la stessa di prima, quando si preoccupa che la pesca non le nuoccia, tradotto con Goglodita, molto simile a Troglodita).

*** Bog è Palude, che è quello che effettivamente si scoprirà essere. Gora vuol dire strapiombo, precipizio.

****E' la traduzione più fedele di “How you enjoying my labyrinth?” (Enjoy=apprezzare). Le sta chiedendo un parere e sottintende altre domande: “è abbastanza complicato?” “Soddisfa le tue aspettative?” (visto che la presuntuosetta pensava di impiegarci poco, lui vuole rimarcare il concetto). La traduzione data, “ti diverte il mio labirinto?” da una punta più sarcastica di quanto non sia in realtà: “ti ho chiusa qui dentro, è una tortura, lo trovi -ancora- divertente?”

# Allora, qui non sono proprio sicura al 100% ma ho considerato il conteso in cui compare “Upping the stakes”. Intanto, alzare “la posta in palio” vuol dire caricare il piatto della vincita, indipendentemente da chi vinca. In questo caso, la vincita resta invariata (il bambino), cambiano i parametri. Visto che “Stake” (in originale usato al plurale!) vuol dire sia “posta in palio” che “rischio”, “paletto” e considerando che per dire “alzare la posta in palio” normalmente si usa “raise” e non “up”, credo che il vero significato fosse proprio quello di “Ti complico la vita”



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Scusate la corposità delle note: sono sottigliezze ma, anche se di poco, secondo me fanno la differenza. E poi a me sembra tanto una caccia al tesoro :)

Per quel che riguarda questo capitolo, per quanto sia una scena importante nel film per lo sviluppo del rapporto tra Jareth e Sarah, non sono affatto soddisfatta di come l'ho resa: in quei pochi momenti di vicinanza avrei voluto far passare nel loro cervelli pensieri un po' più consistenti, ma niente. Alla fine metto più esche in punti più neutrali che non in quelli nevralgici... Mi deludo da sola. Infierite pure! XD

Infine, volevo avvisarvi che -forse- riesco a far star tutto in 13 capitoli giusti giusti :) così, un numero a caso :D

Ci sentiamo la prossima settimana.

Un abbraccio a tutti quelli che mi seguono!

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Capitolo 7
*** Presa di coscienza ***


7. Presa di coscienza

Ma... Sire...” protestò debolmente un Goblin.

Jareth era ritornato al suo palazzo. Buttando il mantello in un angolo della stanza era andato a prendere Toby che era, ormai, nuovamente sveglio. Lo cullava teneramente, quasi quel continuo ondeggiare, insieme alle carezze di cui lo riempiva, potesse lenire il suo malessere. Sì, lui stava male. Aveva lo stomaco e la gola chiusi. Era la prima volta che la rabbia gli faceva quell'effetto. La prima volta che lo faceva sentire così triste. Si sentiva solo. Era come se fosse stato abbandonato. Aveva agito, ancora una volta, sull'onda delle emozioni e aveva firmato la propria condanna. Aveva deciso di cacciare quella ragazza, che tanto lo confondeva, e così facendo aveva anche cacciato...cosa? Si era immaginato il castello improvvisamente ordinato e pulito, ricoperto di fiori e invaso da una tenera luce dorata. Ora, più che la solitudine temeva il persistere dello squallore a cui era ormai abituato. Affetto. Ecco a cosa aveva appena voltato le spalle: alla possibilità di provare e ricevere affetto.

Strinse a sé il bambino, perché gli passasse un po' del suo calore e della sua serenità. Era tornato al trono e vi si era rannicchiato: lo sentiva come una tana, un nido; si sentiva protetto in quella forma circolare e ovattata dal grande schienale. Sempre tenendo stretto il bambino, aveva fatto comparire una sfera da cui, immediatamente si era levato un feroce clangore metallico e le urla dei due fuggiaschi erano riecheggiate in tutta la sala, ammutolendo gli astanti. Osservava la scena immerso in uno stato catatonico senza realmente vedere la realtà. Quella che correva, rossa in volto per lo sforzo e col fiatone non era che un'umana, una concorrente qualunque. Non la sua Sarah. Sì, ormai, per quanto fosse passato poco tempo, la sentiva come sua. E se lei lo rifiutava, allora non sarebbe stata di nessun altro!

Al loro passaggio le luci si accendevano automaticamente. Le gambe lunghe della ragazza le consentivano una velocità che nani e Goblin potevano solo sognarsi. Aveva afferrato la sua guida per mano, cercando di tirarselo dietro, di passargli un po' di quel vantaggio. Ma il nano, con le sue gambette corte, spinto a una velocità non sua, incespicava frequentemente e cadde più d'una volta. Gli spazzini avanzavano inesorabili con le turbine a pieno regime.

Sire! La ragazza...” stava protestando il Goblin allarmato.

Gli spazzini...rischiano di stritolarla..” disse un altro

E allora?” il suo sguardo, come la sua voce, era gelido e piatto, privo di vitalità: non si stava divertendo né era eccitato dall'imminente massacro. Ma non era nemmeno dispiaciuto. E la sua corte con lui.

Ma...” cercarono di protestare quelli, non sapendo bene cosa dire.

Se muore è meglio per noi, no? Perché vi preoccupate tanto? Non siete contenti?” domandò indispettito

Ma...Sire... noi pensavamo che lei...che Voi...”

Cosa stai insinuando, immonda creatura? A me basta che questo bambino sopravviva e diventi mio erede. Nient'altro. Lei è solo un passatempo. Di cui mi sono già stancato, tra l'altro. E' terribilmente ripetitiva...” Ma cosa cercava di spiegare a uno stupido Goblin? Era impazzito per abbassarsi al loro livello e a litigarci? A lui, di Sarah, non importava nulla. Proprio così. Lei non si piegava a lui ma lo affrontava. Osava, addirittura, sfidarlo e umiliarlo correggendolo. Per non parlare di come lo avesse rifiutato più volte. Lui!

Per scherzo, lo ammetteva, aveva provato a sedurla, in modo molto blando. Non si era certo impegnato, si giustificò. Ma lei nicchiava comunque, faceva finta di nulla, lo trattava come se ogni suo comportamento non avesse altri scopi se non tentare di intimidirla. Tentare, perché sembravano sforzi vani.

Cominciava a dubitare del proprio fascino. Che fosse invecchiato? Che avesse perso ogni attrattiva? Trecento anni mortali erano forse così evidenti agli occhi degli umani?

Di sfuggita, vide Sarah notare la porta murata che nascondeva l'uscita di sicurezza secondaria e buttarsi a forzarla in un tentativo disperato di salvarsi.

Stava per schioccare le dita, per convocare una cortigiana per verificare se su altre donne, che non fossero Sarah, esercitava ancora un qualche ascendente. Si fermò, con le dita della mano libera sospese a mezz'aria, già unite tra loro, pronte allo schiocco, quando sentì le imprecazioni del nano.

Gli Spazzini e la Palude dell'Eterno Fetore...di certo hai destato il suo interesse”* Fu il tono nella voce del nano e il messaggio implicito che recava con sé a riportarlo coi piedi per terra. Sì, certo: quella ragazzetta aveva calamitato il suo interesse. Ma oltre a essere un'osservazione idiota e ovvia, si aggiungeva il fatto che quella scriteriata faceva di tutto per innervosirlo. Riempiva quella ragazzetta di “attenzioni” e allora? Cosa c'era di male? Era la prima preda dopo secoli: aveva pur il diritto di divertirsi un po' anche lui, no? Nella voce, però, gli aveva percepito una nota di gelosia, oltre al pesante sarcasmo. Il nano era geloso? Questa sì che era bella. Non solo era geloso, ma lo era di lui! Lui, il sommo, il bellissimo e potentissimo Jareth. Sperava forse di poter competere? Si riscosse in un attimo e un ghigno di sfida affiorò sulle sue labbra. Se era un'altra sfida, stavolta, era più che certo di vincere: non c'era partita.

Eppure la freddezza della ragazza lo inquietava e gli faceva temere un rivale tanto miserabile. Strizzò gli occhi. Era forse gelosia, la sua, nei confronti di Hoggle? Ghignò amaro “Non scherzare, Jareth” si disse. In un batter d'occhio era tornato di buon umore. La reticenza della ragazza non lo angosciava più: le donne erano strane creature, spesso negavano l'evidenza e in questo, talvolta, non erano diverse da certi uomini, si rimproverò. Se lei provava anche in minima parte attrazione per lui, per un qualunque aspetto di lui, egli l'avrebbe trasformata in un sentimento più forte. Doveva essere sua. E lei non poteva non essere attratta dalla sua bellezza, dalla sua forza, dal suo potere, paradossalmente dalla sua arroganza, dalla sua doppiezza o dal suo lato oscuro. Lui l'avrebbe incarcerata in quel regno, in un modo o nell'altro. L'aveva già deciso tempo prima, si ricordò. E lei si sarebbe innamorata. C'era riuscito quel principe imbecille, qualche secolo prima, non poteva riuscirci lui?

Jareth si rabbuiò. Certo...quel mentecatto peloso aveva avuto un sacco di tempo a sua disposizione, non tredici misere ore. Si accigliò. Sapeva di non poter prorogare il tempo del gioco. Ed era altrettanto consapevole che tredici ore, da lui stesso ridotte a meno di dieci, all'interno di un'esistenza ordinaria, non erano che un battito di ciglia. Doveva trovare un modo per rimanerle impresso più di qualunque altro avvenimento. Dieci ore...mezza giornata. A volte gli umani si dimenticavano vicende di mesi o addirittura anni, dimenticavano persone conosciute un'ora prima e fatti strazianti. Ma lui? Quanti secoli erano che vedeva gli umani affaccendarsi sulla Terra? Cosa sarebbero state per lui quelle dieci ore? Dieci ore né umane né magiche.

Stava già ragionando da perdente, si disse. Buttò la testa indietro, alzando gli occhi al soffitto. Indugiò ancora qualche minuto su quella prospettiva “Se dovesse finire così, anch'io me la dimenticherei in breve tempo. O no?” Non era più sicuro di nulla. Una manciata di misere ore l'avevano destabilizzato. Era solo un'umana, che diamine. Si sarebbero dimenticati a vicenda? La risposta era la più ovvia e banale: a meno che uno dei due, sempre in quella prospettiva assurda, non avesse mantenuto vivo il ricordo di quelle ore, nel giro di poco tempo, sarebbe stato come se nulla fosse successo. E altri secoli sarebbero trascorsi uguali ad altri già passati. No, si disse. Lui avrebbe ricordato. Nella sua noiosa vita, per quanto breve, sarebbe stato comunque un evento più che significativo. Magari lo avrebbe rivissuto mille volte, cambiandone ogni volta il finale, le sfumature: avrebbe finito per infiorettare il tutto, per meglio accettare il successivo distacco.

Rimuginò ancora sul concetto. In realtà gli erano bastati pochi istanti per decretare che quella ragazza dovesse diventare la sua regina, quando qualche anno prima, ancora più acerba, l'aveva sentita. Aveva sentito la sua fede nel mondo magico. Rapito, era salito a controllare di chi si trattasse. E, per quanto giovane, l'aveva subito immaginata come una donna adulta. Pochi mesi per lui, un paio d'anni per lei ed ecco che si era presentata l'occasione per incontrarla, finalmente.

Pochi istanti, quella volta. E perché mai? Era un comportamento del tutto irrazionale e privo di futuro. Ma lui, come giustificazione, ora aveva il fatto di averla osservata a lungo, prima del richiamo. Quindi lui la conosceva. E sapeva che poteva essere quella giusta. Anche se, conoscerla e averci a che fare, non erano proprio la stessa cosa: aveva scoperto che era più snervante di quello che aveva pensato. Sbuffò offeso dalla propria inaudita leggerezza.

Tornò a guardare la sfera: Sarah e Hoggle stavano ormai uscendo dalle fogne dopo essere riusciti a schivare il massacro. Se non era certo lui, che la osservava e conosceva da tempo, dei propri sentimenti (se tali potevano definirsi), come poteva pretendere di farla innamorare, lei che l'aveva visto per la prima volta solo una manciata di ore prima? Doveva sperare in un colpo di fulmine? No, si disse. Quella era mera fascinazione, non sufficiente ai suoi scopi. E anche quello, in ogni caso, oltre a essere illusorio, non sarebbe durato. Doveva mirare a un sentimento saldo e duraturo se sperava di ottenere qualcosa di concreto. Le emozioni improvvise non portavano mai a nulla di buono. Ma questo si poteva ottenere solo lavorando sulle lunghe distanze.

Problemi, sempre problemi. Il ruolo di re era davvero stancante. Era un continuo elaborare strategie. Anche per cose come quella. Ma, si disse, la colpa era solo sua che era troppo esigente. O no? D'altronde lui era Jareth, il designato alla discendenza. Era Sarah quella che aspettava? Tutto sembrava dargli ragione: la tempistica come anche il nome della malcapitata**. Tutto sembrava rientrare nei piani anche se, a modo suo, aveva già trovato in Toby un modo per perpetrare il suo titolo. “Non si sa mai” borbottò tra sé. “Che sia o meno lei, meglio prevenire che curare” Ora aveva Toby e non intendeva perderlo. Sarah...l'avrebbe mai avuta?



Sarah e Hoggle erano sbucati da un anfora che non sembrava potesse affatto contenerli né essere collegata al sottosuolo. Si trovavano, ora, in una parte del labirinto molto ben curata: al di là delle siepi si scorgeva, distintamente il castello del re dei Goblin. In particolare, si ritrovavano in una specie di piazza in cui convergevano diverse strade siepate e al cui centro sembrava scaturire dal terreno quella che a Sarah sembrava essere una meridiana. Sotto di essa, una scalinata tortuosa scendeva in un altro giardinetto. Come a guardia di ogni apertura, si stagliavano gigantesche statue che a Sarah ricordavano ora un soldato, una contadinella, un fattore, un giullare: che fossero i lavori più importanti in quel regno? E allora perché non c'era alcun richiamo a quel dannatissimo re? Lui non contava nulla?

La sua attenzione fu deviata dalle parole del nano: da quel momento, ciascuno sarebbe andato per conto proprio. Si risentì per l'ennesimo tradimento. Ma il nano, tutto sommato, non era in torto. Avevano battibeccato come marito e moglie sulla possibilità di uscire dal labirinto e sulla generosità di lei nel donargli quella stupida cianfrusaglia. “Se non puoi portarmi al centro, dov'è il castello, portami fin dove puoi. Da lì me la caverò da sola.” aveva contrattato. E aveva dato per valida la non-risposta che le aveva dato quel furbetto, domandandole informazioni sul materiale. Prendendolo, non aveva mai confermato che l'avrebbe aiutata.

Il re annuì compiaciuto al di là della sfera: appena scampati agli spazzini Hoggle aveva solo confermato di aver cercato di mettere lui, il sommo Jareth, fuori strada. Piccolo infingardo: come se non li avesse seguiti e spiati per tutto il tempo successivo. Li aveva visti mentre per poco non sfracellavano al suolo per via di un piolo marcio della scala di servizio***. Ora, per dispetto, Sarah aveva rubato il sacchetto dei gioielli del nano, non potendo sottrargli anche i talismani legati a una cintura che era imbrigliata alla casacca, tenendolo in ostaggio e costringendo, così, la creatura ad accompagnarla. La scenetta idilliaca gli dava quasi il voltastomaco. Tubavano e si punzecchiavano felici... La cosa non gli andava per niente a genio! Inoltre, con quello stupido gioco, Sarah aveva anche capito che lamentarsi continuamente davanti alle avversità della vita era una scorciatoia per non affrontare il problema. O la propria incapacità davanti allo stesso. “No, non è giusto...però è così che va..” Quel dannato nano era riuscito, in modo involontario, a farle capire quello che lui non era stato in grado. Si sentiva tremendamente frustrato.

Mentre lui rimuginava, la ragazza si era accorta che, accanto all'urna da cui erano usciti, dal nulla era comparsa una sedia gigante composta di libri di enormi dimensioni che, data la quantità di foglie morte ai piedi della gradinata, sembrava essere lì, invece, da secoli. Studiò rapidamente le scritte sulla costina di quei tomi, senza capire a cosa si riferissero: “Ogni cosa”, un libro sulle domande più curiose? “Tutto...è” era consumato nella parte centrale, forse perché fungeva da sedile, o almeno così sembrava ma era comunque impossibile capirne il contenuto; “Vol. IX”, un volume di enciclopedia?

Ed ecco il buon caro vecchio Saggio. Jareth sorrise nel vederlo avanzare lento e sbadato come sempre, curvo sotto il peso di chissà quale pensiero. Così distratto da dimenticare di essersi appuntato gli occhialetti tondi sulla fronte e da non accorgersi che rametti di qualche albero in fiore e piume bianche di chissà quale uccello gli si erano conficcati tra gli strati dell'abito consunto. Andò a sedersi con fatica e si avvide solo in seguito della presenza di quella strana coppia, quando lei andò a chiedergli aiuto. Quella ragazza aveva la curiosa abitudine di appoggiarsi a chiunque ma almeno, adesso, aveva imparato a chiedere e a non esigere suggerimenti.

Oh! Una fanciulla!” borbottò sorpreso. Di certo era stato troppo assorto per accorgersi dell'editto bandito in tutto il paese, in cui si informava la popolazione della presenza umana. Ma in un lampo, passata la sorpresa, aveva subito capito chi lei fosse e cosa ci facesse lì. Quindi aveva chiesto, sospettoso, rivolgendo la sua attenzione al suo accompagnatore “E quello chi è?”

Jareth sbuffò come se il vecchio saggio avesse appena fatto un'osservazione caustica su di lui, anziché sul nano. Sicuramente, pensò, si stava domandando come mai la ragazza non fosse sola, quando tutti i concorrenti a lei precedenti avevano schivato le creature dell'Underground con ribrezzo. E lo vedeva fremere per il desiderio di sapere se lui non fosse seccato da quell'intimità. Alzò lo sguardo dalla scena, infastidito. Tutti a farsi i fatti suoi, che diamine. “E poi...” si giustificò, quasi avesse realmente davanti il vecchio “...si tratta solo di una che è poco più di una bambina!” Cosa poteva interessargli se stringeva amicizie in quella manciata di ore? Non aveva mica l'esclusiva, né voleva averla, pensò mentendo anche a sé stesso. “Se solo avesse qualche anno in più...” borbottò tra sé passandosi una mano tra i capelli, nervoso. Quella scriteriata non poteva aspettare un paio di mesi, mesi dell'Underground, ovviamente, anni nel mondo umano, per invocarlo?

Un mio amico” rispose tutta sorridente lei, andando a poggiargli una mano sulla spalla a dimostrazione della loro intimità.

Mmm” aveva rimuginato il vecchio immerso in chissà quali pensieri “E dimmi...” continuò sorvolando su quella affermazione “...cosa posso fare per te?” Ancora una volta, Sarah aveva posto la domanda nel modo meno chiaro possibile. Era fortunata che il Saggio, in quanto tale, fosse abbastanza elastico da capire i suoi processi mentali e le sue necessità “Diciamo che tu vuoi arrivare al castello..” la corresse quello. Sarah non sembrava notare la differenza tra quello che diceva lei e la modalità in cui veniva costantemente corretta. In compenso, ci pensava il cappello parlante a dar voce alle perplessità della ragazza in un misto tra ammirazione e presa in giro. “Dunque, fanciulla...” continuò imperterrito il vecchio chinandosi all'altezza della ragazza per poterne osservare gli occhi smeraldini da dietro le sopracciglia bianche cespugliose. “La strada in cui avanzi, a volte, è quella per cui torni indietro.” **** Sarah accoglieva grata qualunque informazione, rimuginando su di esse con dovizia. Hoggle, al contrario, sembrava esasperato e, come, il cappello stesso, pensava che quel vecchio fosse mezzo matto. Il Saggio continuò senza badare minimamente nessuno dei due, concedendo tutta la sua attenzione solo alla viaggiatrice “Molto spesso, infatti, signorina, ci sembra di non approdare a niente. Ed è così, infatti.”

Dopo quella breve spiegazione, il Saggio crollò addormentato. Il suo cappello pregò i viandanti di offrire un piccolo obolo per il servizio reso. Dopo un primo momento di esitazione, in cui la ragazza si sarebbe sbarazzata volentieri degli averi del nano, decise che non era corretto: l'informazione serviva a lei ed era giusto che fosse lei a pagare, sacrificando l'anellino d'oro giallo con topazio rossastro lasciatole in eredità da sua madre. Esitò un attimo e alla fine lo lasciò scivolare nella cassettina. Si portò subito le mani dietro la schiena, quasi avesse fatto una marachella di cui non si pentiva. Da un lato era uno dei pochi oggetti lasciatole da sua madre; ma era, appunto, un oggetto: i ricordi li custodiva dentro di sé. Dall'altro canto, pensò che tutto sommato, se la madre l'aveva abbandonata, anche lei poteva fare lo stesso, almeno fisicamente e materialmente: era certa di essere comunque una parte importante della sua vita. E se non lo fosse stato avrebbe imparato a farsene una ragione. Come aveva detto poco prima a Hoggle “E' così che va”. E per quanto un legame possa essere saldo, col tempo finisce per sbiadire lasciando dietro di sé, nel migliore dei casi, nostalgia e perfezione. Forse addirittura una madre può dimenticare la propria figlia e una figlia la madre. Sospirò tra sé, udendo a mala pena le recriminazioni del suo accompagnatore, il quale avrebbe voluto per sé quel ninnolo. L'avrebbe scoperto solo crescendo. E chi poteva sapere se, col tempo, avrebbe dimenticato anche quell'esperienza. Quello strano mondo cominciava a piacerle.

Si riscosse per immergersi in nuovi pensieri. Cosa le aveva detto il saggio, prima che i suoi piedi prendessero una direzione per conto loro? “La strada in cui avanzi, a volte, è quella per cui torni indietro.” Cosa stava facendo lei in quel momento? Stava avanzando per strappare suo fratello dalle grinfie del mago e tornare alla situazione di partenza, prima della sua invocazione. Che avvertimento poteva mai essere? Era la constatazione di quello che stava facendo? O la stava avvisando che, più si avvicinava, più l'avrebbe perso? O ancora, più cercava di cacciare il mago, più finiva nella sua rete? Scosse la testa, confusa. Perché mai avrebbe dovuto pensare a lui in quei termini? L'unico uomo che, fino a quel momento, avesse destato il suo interesse, si era rivelato essere il peggior farabutto sulla faccia della terra e le aveva strappato sua madre.

Si accigliò a quel pensiero. Non è che trovava, nella figura del farabutto, un fascino perverso?

No, forse il saggio le aveva detto semplicemente che, più si affronta un problema, anche se a un certo punto sembra di essersi impantanati e lontani, in realtà si sta arrivando alla soluzione dello stesso: i momenti di pausa servono per riflettere, per riposarsi e per trovare una nuova prospettiva da cui osservare il problema.

Ed era quello che stava facendo: stava imparando a capire quel mondo assurdo.







* La versione italiana è velata da una certa gelosia e da una punta di sarcasmo “Certo che ti sta riempiendo di attenzioni”. In inglese è una constatazione anche un po' seccata: “You sure got his attention”: di certo hai la sua attenzione: attenzione e interesse non sono necessariamente qualcosa di romantico ma spesso identificano proprio una curiosità malevola. Lei è semplicemente emersa dalla folla grigia (di concorrenti, di donne, scegliete voi) con le conseguenze del caso. Il libro strizza più l'occhio alla nostra traduzione: “Deve avere un'alta opinione di te” “Dev'essersi fatto delle idee ben strane”

**Da notare che nei film, in particolar modo questo film, per tutti i rimandi espliciti sull'importanza della parola e sul -nulla è come appare-, i nomi dei protagonisti, solitamente sono esplicativi della loro funzione. Quindi abbiamo: Jareth, la discendenza (nome di origine ebraica: uno dei discendenti di Adamo. Ricordo brevemente la genealogia in questione: dopo Caino e Abele, nacque un terzo figlio, Set. [“Dopo la nascita di Set, Adamo visse altri ottocento anni ed ebbe ancora figli e figlie”] In ordine, quindi: Adamo-Set-Enos-Kenan-Maalaleel-Iared-Enoc-Matusalemme-Lamech-Noé. Ecco, si dovrebbe intendere Iared come si usa “Matusalemme” per dire Vecchio. E, in pratica, chissene frega di Caino e Abele: tutti discenderebbero da Set essendo che, oltre Noè e figli, il resto dell'umanità, secondo il mito biblico, fu spazzato via. E' una variante di Iered, insieme a Jarod, Jarred, Jarrod, Jerrod, Jerred, Yered, Yared, Iered. Volendo c'è la somiglianza con Sir Gareth, della tavola rotonda, nipote di Artù e che verrà ucciso da Lancillotto, altro nome che ricorre nel film. Era canzonato per le sue belle mani (!), in quanto nobile sotto copertura che serviva in cucina senza voler rivelare la propria identità. Ancora l'antico Garrett, sostituito nel tempo da Gerald, sovrano/dominio della lancia, o Gerard, lancia coraggiosa/la forza della lancia. Ancora, può essere una citazione di Benedetto Gareth, 1450-1514, noto per le sue doti di oratore, di letterato colto e di musicista,. Scrisse in questi anni un canzoniere in volgare catalano sul modello petrarchesco dedicato ad una donna di nome Luna, intitolato l'Endymione che venne pubblicato a Napoli da Caneto nel 1506. Ho segnalato questa possibile corrispondenza perché, sebbene sia trattato da molti, anche qui torna il tema lunare, che a me sembra strisciare qua e là. Luna e Sole: vedrete cosa vi riservo per la fine.); Sarah, la principessa (nome ebraico che deriva dall'egiziano figlia del dio Sole/Ra. Ecco di nuovo il dettaglio) e, infine, Tobia, il gradito al Signore (chi sarà mai il Signore, in questo caso?). Inoltre, sul tema “biblico”, che ai registi piace tanto infilare qua e là un po' ovunque, torneremo sulla famosa scena finale (amarmi, temermi e fare ciò che io ti dico).

*** Osservate bene: è uno dei tanti cammei: il volto di David Bowie compare sulla destra nel momento in cui viene inquadrato il piolo che precipita a terra. E' la stessa immagine che troveremo anche più avanti.

**** “The way foward is sometimes the way back.” o “La strada che è a monte è talvolta la strada che è a valle”. Nel libro, Sarah trova la soluzione di questa rivelazione nel camminare come un gambero. Non ho capito da dove sia saltata fuori.





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Bene, eccoci qua con quest'ennesimo capitolo. Su, non temete..la parte con la pesca (che il pc mi ha appena gentilmente cancellato) arriverà presto!

Sono stata un po' -tanto- vaga nella parte del saggio ma mi sembrava di diventare pedante nel descrivere la scena passo passo. Spero vi sia piaciuto lo stesso.

Volevo solo avvisarvi che dalla prossima volta, anziché aggiornare il sabato, lo farò il lunedì: per motivi pratici preferisco dedicarmi alla correzione del capitolo la domenica/lunedì sera, così da non rischiare di passare tutto il tempo, che invece dovrei dedicare a lavorare, sul pc... abbiate pazienza per un paio di settimane!

Dunque, a presto!

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Capitolo 8
*** Anelli, circolarità e deja-vu ***


8. Anelli, circolarità e deja-vù



Allibito, Jareth la vide gettare via il prezioso anellino.

Era una sconsiderata! L'anello che ne designava l'identità e appartenenza, doppiamente importante perché donatole dalla madre;l'anello della saggezza, l'anello che conciliava gli opposti, come il nastro di Moebius spiraliforme che lui portava al collo. Era il più potente tra i talismani. E lei l'aveva gettato al vento, come pagamento a quel vecchio scemo! Schioccò le dita e comparve nella piazzetta in cui, fino a poco prima, era stata la ragazza, insieme al nano.

Tu...” sibilò al copricapo “Dammi quell'anello!”

Ma...ma...” balbettò quello terrorizzato cercando di scuotere il saggio “Vecchio citrullo, svegliati!”

Lascialo dormire..ti propongo solo uno scambio... lo sai che del tuo re ti puoi fidare!” gli disse sorridente “Io ti do una gemma di pari valore ma in cambio mi permetterai di riavere quell'anello d'oro con un topazio ocra incastonato*.”

Ehh.....” Il cappello esitò, incerto sul da farsi “Tanto il vecchio, qui, dormiva, non sa nemmeno se l'han pagato. Ma mi assicuri che vale come l'altro?” domandò scettico “Sai, sono io che mando avanti la baracca qui...se non fosse per me questo vecchio pazzo sarebbe già morto di fame”

Jareth materializzò dal nulla una perla grigia “E' molto rara...viene direttamente dall'Isola...” Il cappello spalancò gli occhi estasiato ma subito tornò a ricomporsi “E perché mai Sua Maestà dovrebbe pagare un prezzo doppio per un anellino? Cos'ha di tanto particolare,eh?” domandò insolente e curioso

Senti piumino...” ringhiò a quel punto il mago “Ti ho proposto un affare e ancora avanzi pretese?”

No no no, certo che no, Vostra Maestà...”disse accennando un inchino “Prego, si serva pure...” disse allungando la cassetta

L'anello incriminato saltò subito sul palmo del Re che, al suo posto, versò la perla.

Ti ringrazio...” disse Jareth scomparendo

Qui sono tutti, uno dopo l'altro, più idioti di quello che sembra...e già...” commentò sarcastico il cappello, lieto dell'affare.


Nuovamente nelle sue stanze, Jareth ripose con molta cura l'anello all'interno di una sfera ovattata che nascose all'interno di uno scrigno: un giorno avrebbe trovato il modo di renderglielo. Campionessa o perdente era suo di diritto. Non c'entrava nulla con quello strano languore che aveva preso ad attanagliargli la bocca dello stomaco. Sospirò. Quella cretina! Sì, certo, si era liberata del giogo e del vincolo che pesavano su quell'anello. Ma quante altre cose aveva ceduto? La sua essenza ora era totalmente libera. Non aveva più amuleti che la trattenessero o che la difendessero. Prima il bracciale, ora l'anello: sarebbe stata al sicuro finché fosse stata all'interno delle mura ma, appena le avesse oltrepassate, sarebbe stata preda di tutte le creature selvagge che popolavano l'Underground. Lo fissò. Era un bell'anello. E lei lo indossava correttamente, una delle poche cose che faceva giuste: al dito medio della mano destra, la mano del sole, come si confaceva alle persone prudenti, intelligenti, affidabili e pazienti, più portate all'istinto che alla logica. Sorrise: quella, la logica, non sapeva nemmeno dove stesse di casa. Per quanto fosse un semplice ricordo, a lei piaceva indossarlo: probabilmente l'avrebbe scelto uguale se avesse dovuto scegliersi un anello. In oro, da persona altruista e solare. Con una pietra rossastra, tipico delle persone dal temperamento grintoso ma volitivo, pronte a combattere per il gusto della sfida ma mai pronte ad affrontare di petto le situazioni spinose per risolverle, che tendono a non lasciarsi sopraffare dai sentimenti e che temono di perdere il controllo. Si, Sarah era tutto questo. Ed era un bel problema.


Sarah si era ricordata di una teoria, un procedimento logico, per risolvere il labirinto. Si stava sforzando di ricordare quale fosse ma la sua capacità mnemonica era sempre stata tutta dedicata solo alle storie e alle fantasie: lei e la logica non andavano molto d'accordo. E, a quanto pareva, nemmeno la propria lingua madre era un terreno sicuro. Si ricordava, solo vagamente, che doveva riguardare l'uso della mano. Forse era la destra** ma non ne era sicura. In ogni caso, giunti al punto in cui erano, saltando un pezzo, anche se sene fosse ricordata, avrebbe rischiato di tornare al punto di partenza senza l'aiuto di nessun nano imbroglione. E forse, rimuginò ancora, una regola valida nel mondo umano, lì poteva non trovare alcuna applicazione. Si accigliò, accantonando il pensiero.

E un altro, quello di star camminando ormai da almeno una mezza dozzina di ore, tornò prepotente a farsi sentire tramite i crampi alle gambe e il brontolio allo stomaco. Non aveva nemmeno cenato prima di desiderare che il fratello fosse rapito. Si diede della stupida: ormai il danno era fatto! Aveva all'incirca altre cinque ore a disposizione. Si disse che non importava: quando leggeva, recitava o era semplicemente immersa in qualcosa di coinvolgente il tempo passava senza che sentisse l'esigenza di andare in bagno o di mangiare. Le succedeva anche quando andava a scuola, spesso arrivava al pomeriggio senza mangiare e fitte improvvise la avvertivano che non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Ma le gambe: non era abituata a camminare così tante ore continuativamente. Anche se doveva certamente essere meglio quello rispetto allo stare in piedi tutto il giorno come le commesse o i soldati. Non poteva certo lamentarsi: lei aveva anche avuto modo di riposare, nella cella buia e umida. Prima di doversi mettere a correre per salvarsi la pelle.

Maledisse mentalmente il dannato mago.

Perché hai detto che eravamo amici?” Hoggle, che trottava dietro di lei per tenerne il passo, interruppe i suoi pensieri

Perché lo sei...” rispose cordiale, puntellando lo sguardo su un'increspatura nel terreno: aveva qualcosa di strano e non capiva cosa “...Non sarai il migliore, ma sei il solo che ho qui...”

Quella risposta, che non era un complimento, gonfiò il nano di orgoglio e le concesse tempo prezioso per capire cosa non andava nell'acciottolato, senza fermarsi a osservarlo e perdendo tempo.

Poi ebbe un'illuminazione. Si voltò e osservò il pavimento ormai alle sue spalle. E sì: lì c'era lui, la sua effige. Si era domandata come mai non ci fossero statue del re ed eccole servita la risposta: la sua immagine era impressa ovunque nel labirinto. Per terra, sui muri, tra le piante: bisognava saper guardare bene, come il passaggio da un livello all'altro che le aveva mostrato Monsieur le Ver. Nascosto in un un gioco di luci ed ombre ecco che quel volto arrogante e sprezzante faceva capolino quando meno se lo aspettava. Sembrava quasi seguirla, spiarla. Da lui e da quel regno ci si poteva, decisamente, aspettare di tutto.

D'un tratto un ruggito lamentoso li fece sobbalzare e la distolse da quei pensieri.

Addio!” disse Hoggle battendo immediatamente in ritirata

Aspetta!” gridò Sarah mentre il nano già tagliava la corda. D'accordo aver paura, ma sarebbe arrivato ad abbandonarla? “Sei mio amico o no?” disse aggrappandosi al suo braccio, trattenendolo.

No, Hoggle non è amico di nessuno!” rispose lui divincolandosi dalla sua stretta “Pensa solo a se stesso, come tutti!” in un rantolo esasperato riuscì a liberarsi, quindi concluse “Hoggle è amico solo di Hoggle!” Detto ciò, girò sui tacchi e scomparve alla vista della ragazza, svoltando al primo angolo.

Vigliacco!” gli gridò dietro Sarah, sperando di farlo sentire in colpa.

Una volta sola, si guardò attorno, sconsolata. Era rimasta profondamente ferita da quel comportamento e, anche se non c'era nessuno a cui dovesse mostrarsi forte, mantenne il sangue freddo, cacciando le lacrime. L'ennesimo tradimento del nano le aveva forzato il ricordo di altri abbandoni già vissuti: le sembrava che la sua vita fosse un circolo infinito che, a intervalli regolari, le riproponeva moduli di esperienze dolorose che non riusciva a risolvere positivamente. Tutto ciò si andava ad ammonticchiare creando un'armatura di diffidenza e disillusione che, al contempo, la rendeva più fragile e insicura. Si odiava quando si lasciava prendere così dallo sconforto, addossando la colpa agli altri. Le sembrava di affogare in un mare nero di cattiveria pura.

D'altronde...” si disse ricordando quello di cui aveva appena preso consapevolezza. E' così che va. “Sono stata davvero stupida...Sono io che avevo decretato la mia disponibilità all'amicizia nei suoi confronti...solo io mi fidavo di lui, in qualche modo. Lui non ha mai detto il contrario, anzi...Ha ammesso di non essere mai stato amico di nessuno, prima. Vuol dire che nessuno si era mai fidato di lui e viceversa?” Quel pensiero la depresse più del tradimento appena subito e, per evitare di abbattersi del tutto, lo cacciò dalla mente. Il ruggito riecheggiò ancora nei giardini e lei si decise a scoprire cosa -o chi- fosse a procurarlo

Io non ho paura!” disse, cercando di darsi coraggio “Le cose non sono come sembrano, qui!” ricordò a voce alta, ancora una volta, le parole di Monsieur le Ver. Se mai avesse avuto l'occasione di incontrarlo di nuovo, doveva pensare a un modo per sdebitarsi e mostrargli tutta la sua gratitudine: i suoi erano stati i consigli più preziosi. Anzi. Erano stati gli unici consigli che aveva ricevuto.

Girò l'angolo di una siepe e si trovò in uno spazio vuoto a ridosso di una cinta muraria. Dalla costruzione si diramava l'estrusione di un albero simile a un melo. Appeso ai suoi rami a testa in giù, penzolava un bestione peloso e cornuto che ruggiva disperato. Se non fosse stato per la colorazione fulva del mantello e per le corna rivolte verso il ventre, Sarah l'avrebbe identificato immediatamente con un Night-Troll. Persa nella sua identificazione non si era domandata come fosse finito in quella strana posizione: forse era incappato in una trappola destinata a lei?

Rabbrividì al pensiero vedendo un drappello di Goblin corazzati scagliarsi contro la creatura, armati di strani bastoni. Si domandò come mai, ammesso che fosse una creatura del regno e non un altro intruso, i Goblin lo attaccassero. Forse, pensò, effettivamente non era come poteva sembrare. Accantonò la curiosità quando la sua attenzione si fu focalizzata sui bastoni: sulla cima di ciascuno stava appollaiato, tenendosi saldamente ancorato con lunghi artigli ricurvi, una specie di camaleonte rosa gigante, privo di coda ma dotato, in compenso, di denti degni dei più famelici dei piranha. Tenevano gli occhi serrati, quasi fossero accecati dalla luce del sole. I Goblin li usavano per torturare la creatura, facendo in modo che quei cosi disgustosi andassero a mordere, seguendo un istinto atavico, e parti più sensibili e morbide della creatura: collo, ventre, inguine, occhi...

Se trovassi qualcosa da lanciare...” borbottò Sarah in pena, distogliendo lo sguardo per l'angoscia e per la necessità di trovare una soluzione.

Si avvide di una pietra ai suoi piedi. La prese senza pensarci e senza esitazione la lanciò verso il Goblin più vicino colpendolo sull'elmo, che prese a girare su se stesso, oscurando la visuale al malcapitato.

Esaltata da una prima vittoria, si chinò in cerca di qualcos'altro e vide che la stessa pietra di prima era tornata a posizionarsi ai suoi piedi ed ebbe come un deja-vù***. La lanciò nuovamente e, ancora una volta, il tiro andò a segno. I Goblin, confusi, cominciarono ad andare a sbattere tra di loro, abbassando le armi nel tentativo di liberarsi degli impedimenti. Ma le estremità dentate continuarono, secondo la loro natura, a mordicchiare tutto quello che capitava a tiro, ferendo altri Goblin che ripetevano lo stesso errore in una reazione a catena infinita. Mordendosi accidentalmente a vicenda e temendo di essere finiti sotto l'attacco di chissà quale esercito nemico, finirono per allontanarsi tra loro e dal luogo della tortura.

Sarah approfittò del momento di tregua e corse dalla creatura che sbraitava a pieni polmoni nel disperato tentativo di liberarsi.

Ora smettila!” intimò la ragazza, catturandone l'attenzione “E' questo il modo di trattare chi cerca di aiutarti? Non vuoi che ti tiri giù?” chiese mettendosi sottosopra per riuscire a guardarlo bene.

Ludo Giù!” piagnucolò allora quello.

Sembri tanto un caro bestione...”Aveva tutta l'aria di essere un cucciolo un po' troppo cresciuto e molto affabile. Forse troppo se, come sospettava, non aveva nemmeno cercato di difendersi dall'agguato dei Goblin. Forse, creature gentili come quella erano i bersagli prediletti di quelle schifose creature. “Spero proprio che tu sia come sembri...” mugugnò tra sé: se aveva l'impressione che fosse buono, forse non lo era, anche se inizialmente aveva anche pensato che fosse aggressivo... tutto quel pensare al complicato gioco cosa potesse essere realmente ciascuna cosa cominciava a confonderla. Le sembrava quasi di dover guardare il riflesso di uno specchio che si riproduceva all'infinito su due superfici contrapposte.

Lo liberò rapidamente dal cordame ma si rese conto, troppo tardi, presa com'era dalla foga, di non poter far nulla per attutirgli l'atterraggio. “Mi dispiace!” si scusò prontamente. Ora avrebbe saputo se quella creatura era così magnanima da perdonarla o così terribile da mangiarsela in un boccone. In ogni caso, farla cadere così malamente al suolo non sarebbe mai stata vista come prova di buona volontà.

Si chinò per aiutare quella cosa, Ludo, alta più di tre metri, a rimettersi almeno seduto. Era spaventata e preoccupata, per sé e per lui. Ma non le aveva fatto ancora nulla, forse ancora stordito.

Amico?” chiese, invece, il Troll, spiazzandola. Sarah sorrise, passando rapidamente alle presentazioni. Infine, provò a chiedere anche a Ludo se, per caso, sapesse come raggiungere il castello al centro del labirinto. Quello ci pensò un po' e sembrava quasi avere la soluzione. Ma alla fine la risposta fu un “No” sconsolato.

Neanche tu lo sai, eh? C'è qualcuno che sa come attraversarlo?” sbottò esasperata e arrabbiata, più con se stessa e con quel re infingardo, il quale aveva la colpa di averla cacciata in quella situazione senza darle un minimo di vantaggio, che con il povero Troll bonaccione.


Poco lontano da lì, Hoggle, si aggirava ancora tra le siepi dei dintorni nel tentativo di ritornare alle sue mansioni. Era a dir poco furibondo. “Superare il labirinto...” continuava a ripetere infastidito, facendo il verso alla povera ragazza. “Una cosa è sicura!” sentenziò “Lei non supererà mai il labirinto. Testa Dura!”

Jareth, dall'altra parte della sfera, si accigliò: aveva rischiato davvero grosso a mandare quello stupido nano in aiuto di Sarah. Aveva dimenticato un particolare fondamentale: quello non era solo la prima creatura incontrata dalla ragazza. Era anche il giardiniere reale e, quindi, conosceva ogni strada, ogni pertugio di quel posto. E sapeva, anche, che il labirinto non era pienamente risolvibile. Certo, si poteva arrivare al castello ma...di per sé aveva una sola apertura: nessuna uscita, come i dimenticatoi. Se Sarah fosse riuscita, inavvertitamente, da sola, a trovare l'unico accesso per il castello o a scappare dal labirinto, in modo da aggirare il dedalo e raggiungere la fortezza dall'esterno, esso non rappresentava comunque la soluzione, ma solo un altro meccanismo contorto dal quale era impossibile uscire. La sconfitta per i visitatori era scontata. Questo avrebbe dovuto tranquillizzarlo. Ma quel labirinto era stato creato apposta per Sarah, quindi, forse, poteva avere delle falle che solo lei poteva individuare. Il mago valutò perplesso quella possibilità: era stato sciocco a non prendere in considerazione prima un'eventualità del genere. Ma poco importava. Avrebbe escogitato qualcos'altro per tenerla lontana dal suo traguardo fino all'ora stabilita. A quel punto non ci sarebbe stato più nulla da fare. Ghignò soddisfatto e tornò a valutare il nano. Si rincuorò pensando che aveva fatto bene a non buttarlo nella palude. O che non fosse disgraziatamente perito nella fuga dagli spazzini. “Sì...” borbottò compiaciuto “...si è rivelato un servo fedele...” nonostante il bracciale. “E' ora che il bambino mangi!” Disse schioccando le dita a indirizzo dei Goblin perché si spicciassero nelle loro mansioni.

In realtà aveva diversi dubbi sul giardiniere: se non fosse stato per la sua codardia davanti a quel benedetto Night-Troll forse, a quell'ora, poteva averle già rivelato l'inutilità di tanto accanimento e forse anche la soluzione? “Poi vedrò il da farsi”

Una volta che il marmocchio ebbe mangiato a sazietà si prese del tempo per osservarlo. Ormai mancavano solo poco più di quattro ore e lui doveva cominciare a pensare a un nome da dargli “E' un tipetto vivace... Lo chiamerò Jareth” decise. Sì. Il suo nome, il nome di colui che sarebbe stato il suo erede “Ha anche i miei occhi” osservò. Biondo e con gli occhi azzurri. Poteva davvero spacciarlo per figlio suo.


Sarah, nel frattempo, aveva notato come, all'improvviso, sotto l'albero dove era stato appeso Ludo, fossero comparse due porte, ciascuna con l'effige di un orchetto cornuto: uno paffuto e barbuto, con un anello che collegava tra loro le due orecchie; l'altro, apparentemente più magro, con folti capelli ricciuti e grosso naso adunco recava un anello in bocca. Sarah scoprì presto che i due anelli, che fungevano da battacchi, impedivano al primo di sentire correttamente e al secondo di parlare. La ragazza scelse di liberare quello che le pareva potesse essere il più facile e, per lui, meno dannoso. Capito come passare oltre, riuscì a riposizionare il ferro con l'astuzia, bussò e passò oltre.

Al di qua non sembrava che, oltre quelle porte, potesse nascondersi un giardino tanto meraviglioso e selvaggio allo stesso tempo. Sarah si incamminò incantata e Ludo, recalcitrante, la seguì con circospezione. Come entrambi ebbero varcato la soglia, la porta si chiuse plumbea alle loro spalle.

Ludo, paura!” protestò il bestione mentre la ragazza si addentrava sempre più in profondità nella folta vegetazione

Su, dammi la mano...” disse nel tentativo di calmarlo e infondergli coraggio. Era proprio paradossale che un Troll grande e grosso come lui avesse paura. Ma visti i precedenti, non se ne stupiva nemmeno più di tanto. “Vedi, Ludo?” disse dopo un po' lasciando la presa e allargando le braccia come a voler accogliere a sé tutto il paesaggio “Non c'è nulla di cui aver paura...” Non ricevendo risposta, si voltò. Ludo era sparito nel nulla. Eppure era lì, fino a un istante prima. In un attimo, anche Sarah cadde in preda al panico.





* Questa è tutta una mia interpretazione, perché non si vede mai bene il colore della pietra (anche quello del metallo è dubbio, ma negli anni '80 l'oro era di moda e l'argento era out. Dunque, ho scelto il topazio per vari motivi, non avendo trovato indicazioni in Sir Shakespeare. Giusto: perché Shakespeare? Perché nel libro si dice che è il regalo della madre che a sua volta aveva recitato in Racconto d'Inverno, la parte di Ermione. Ermione: regina (!) che il marito crede fedifraga e fa condannare. Dopo una serie di vicende, in cui viene anche tramutata in statua, tutto finisce bene coi due che si rappacificano.

Ma torniamo al mio Topazio: si trovano topazi incolori, giallo oro, rosa, rosso mattone, azzurro e blu. In particolare il Topazio imperiale, veniva considerata una gemma capace di vincere la follia e gli incubi notturni e nel medioevo si usava per scacciare malocchio e allontanare i fantasmi della notte. Si diceva, inoltre, che avvisasse il suo possessori di pericoli incombenti diventando torbida. (Nelle inquadrature che si hanno della mano inanellata di Sarah -al parco, quando tira fuori il libro; in camera, quando cerca di accendere la luce- sembra quasi un occhio di pernice tanto è scuro). E' sempre stato considerato la pietra legata a Giove, simbolo dell’abbondanza, della prosperità, dell’autorealizzazione e della saggezza. È la pietra dei sovrani (!). Da sempre è considerato la pietra del sole (!), portatore di luce, energia e prosperità (e, in indù, vuole dire fuoco). La leggenda dice che il topazio ha il potere di sciogliere gli incantesimi e di potenziare la vista. Gli antichi Greci pensavano che aveva il potere di aumentare la forza e rendere invisibile chi lo portava in caso di pericolo.


**Il procedimento consiste nell'appoggiare la mano destra (o la sinistra) alla parete destra del labirinto (o rispettivamente alla parete sinistra) all'entrata del labirinto, e scegliere l'unico percorso che permetta di non staccare mai la mano dalla parete scelta, fino a raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza. Nel caso particolare di una sola uscita, l'algoritmo conduce a un vicolo cieco, dal quale si ritorna al punto di partenza semplicemente continuando a seguire la parete prescelta.

*** A nessuno, vedendolo anni dopo, ha notato un collegamento con la “pietra torna indietro” di Fantaghirò? :D





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Eccomi qua, inaspettatamente il sabato anziché il lunedì come minaccito. -.- non ce la facevo davvero più a resistere un paio di giorni e a lavorare e basta. Però, penso che la qualità del capitolo, scritto di getto e rivisto ben poco, non sia delle migliori. Soprattutto, non so nemmeno io se avrei dovuto dilungarmi di più nella scena dei batacchi... ma va beh.

La cosa di cui volevo parlarvi è la natura del labirinto. Come avrete notato, Jareth sostiene che non dovrebbero esserci vie d'uscita. L'idea mi è venuta un po' da un saggio sul film (che ritiene che il labirinto sia stato creato appositamente per Sarah) e dal fatto che in quel mondo nulla è come ci si aspetta che sia. Se, come accade, il concorrente raggiunge la meta, non è detto che questo sia il passo decisivo per tornare a casa. Nei labirinti, l'arrivo al centro è solo una delle tappe. Per vincere davvero, bisogna riuscire ad uscirne...e non dall'entrata.

Quindi ho ipotizzato che Jareth avesse modificato (non creato) appositamente il labirinto per Sarah, cercando di colpirla nei suoi punti deboli. Un qualunque altro abitante dell'Underground non si sarebbe fatto fregare dai passaggi mimetizzati nel muro, dalle mani amiche etc. In secondo luogo, lei raggiunge comunque il castello, ma uscendo dal labirinto, che costituisce, quindi, solo parte della sua avventura. Obiettivo è il castello, come detto nei primi capitoli. Ma una volta arrivata? Come sarebbe tornata a casa? Dalla strada dell'andata? E una volta giunta sulla collina? Non c'è alcun passaggio, in realtà. E' come se si trattasse di una porta che si può aprire solo dall'esterno. O dall'interno a patto di conoscerne la combinazione.
Ritengo quindi che per vincere, arrivare al centro fosse solo una delle condizioni. Rimaneva poi, ancora, da infrangere le comuni barriere mentali (e lei riesce lanciandosi da un piano all'altro) e da convincersi -realmente- del proprio potere all'interno di quel mondo. Fino alla scena finale, Sarah è andata a tentoni: si lancia in un tentativo disperato, ha capito la lezione ma ancora non la padroneggia consapevolmente. Solo alla fine “non hai alcun potere su di me” si rende conto che, forse, avrebbe potuto concludere l'avventura molto tempo prima e con molti meno sforzi e che una semplice battuta in un racconto contiene molte più verità di quello che aveva immaginato.

Non so se sono riuscita a farmi comprendere. In ogni caso, portate pazienza per la mia vena di follia e demenza.



Infine un ringraziamento a Giovanna e alle infinite chiacchierate notturne che mi portano un sacco di spunti e soluzioni.

Ciao!!

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Capitolo 9
*** Un dono subdolo ***


9. Un dono subdolo



La foresta proibita era una landa verde, lussureggiante e primitiva sita in un angolo remoto del labirinto. La vegetazione era così fitta che, nonostante fosse solo il primo pomeriggio e la luce fosse ancora chiara, nel sottobosco sembrava essere in piena tarda serata. La nebbia strisciava ai piedi degli alberi, che sembravano essere cosparsi di polvere magica, contribuendo a enfatizzare la sensazione di trovarsi in un luogo arcano e primordiale.

Le creature che abitavano quella porzione di labirinto non potevano certo essere più civilizzate del luogo stesso e Sarah non poteva sapere in quali guai si fosse ficcata: c'erano creature che sarebbero state attratte dalla sua testa, in cui si raccoglieva tutto il suo potere, inconsapevolmente affamate di ciò, più che da qualunque altra cosa al mondo.

Jareth schioccò la lingua, indispettito e ansioso. Nemmeno mezzora prima aveva recuperato il suo anello, sperando che non trovasse il modo di uscire dal labirinto, più per la sua incolumità che per il pericolo che ne trovasse la soluzione. Ed ora eccola ciondolare in tondo, nuovamente sola, in un luogo che le risultava ostile a pelle. Strizzò gli occhi. Si vedeva costretto a intervenire. E subito.

In una sola mossa l'avrebbe messa in salvo e avrebbe vinto la sfida, sottraendole il tempo che le rimaneva a disposizione per vincere la sfida: quale posto poteva essere più sicuro del castello stesso, sotto la sua ala protettrice? Avrebbe dimenticato tutto, si sarebbe innamorata di lui, sarebbe rimasta imprigionata nell'Underground e l'avrebbe riverito come un dio. Era un piano perfetto che non poteva fallire.

Si smaterializzò all'esterno del labirinto, su uno dei portali recanti la sua effige. Il nano doveva essere quasi tornato al punto di partenza e alle sue mansioni.

Ed eccolo che arrivava trascinando i piedi sul terreno rosso e sabbioso e borbottando imprecazioni a indirizzo della ragazza. Quando, per un attimo, smise di lamentarsi e di farle il verso, si accorse delle grida di aiuto che provenivano dalla foresta confinante con quella zona esterna: Sarah si era abbassata a chiedere aiuto anche a lui, che l'aveva appena tradita. In un attimo, cancellò le proprie recriminazioni, pronto a correre in suo soccorso “Vengo subito, Sarah” gridò, forse sperando di farsi sentire e girando su se stesso. Ma dinnanzi a lui ora svettava l'algida figura del sovrano che, dopo esser elegantemente saltato giù dalla sua postazione, si era appoggiato mollemente all'ingresso e lo fissava accusatore. Un ghigno sarcastico arrivava a incresparne gli angoli degli occhi ferini.

Bene...sempre il solito!” Lo apostrofò sferzante “E...dov'è che stai andando?” domandò, centellinando le parole

Hoggle sgranò gli occhi, in preda a un panico improvviso “Beh, la signorina mi ha seminato* ma io adesso la sento e stavo giusto andando a riportarla al punto di partenza, come tu mi avevi detto.”

Jareth sembrò compiaciuto della risposta: il nano sembrava avere ancora abbastanza soggezione di lui. Poteva fidarsi nell'affidargli il nuovo incarico “Vedo. Per un momento ho pensato che corressi ad aiutarla. Ma no, non dopo i miei avvertimenti**, sarebbe stupido.” disse girandogli intorno come un avvoltoio.

Puoi dirlo! Io che aiuto lei? Dopo i tuoi avvertimenti?” domandò scoppiando in una risata sguaiata e isterica che cercava di nascondere la paura che provava al momento. Non si avvide che il sovrano era andato a posizionarsi alle sue spalle, sedendosi sulla pietra ferrosa per essere all'altezza del suo interlocutore. Hoggle sobbalzò per la paura, trovandoselo così spaventosamente vicino

Oh, povero il mio Col-gle***” disse il biondo compatendolo e portandosi una mano al collo, indicando quale sarebbe stata la sua fine se continuava a mentirgli: la sua testa appesa in bella mostra nella sala del trono come trofeo di caccia dopo una violenta impiccagione.

L'istinto polemico fu più forte di lui e il nano si trovò a balbettare un “Hoggle” timoroso.

Mi accorgo...” disse il mago avvicinandolo a sé, ignorando la puntualizzazione, in un gesto ancora più terrificante, che denotava tutto il suo potere: lui era onnipotente e poteva raggiungerlo ovunque “...Che i tuoi adorabili gioielli sono spariti”

Eh già, spariti... i miei bei gioielli...” disse portandosi automaticamente le mani alla cinta dove non pendeva più il suo bottino e fingendo di cercare per terra, quasi si fosse appena accorto di averli persi “Dovrò cercarli. Ma prima porterò la signorina all'ingresso del labirinto, come avevamo concordato” Così dicendo, si voltò, pronto a tagliare la corda il più velocemente possibile per non essere costretto a restare un minuto di più al cospetto del mago. Ma quello lo richiamò, costringendolo a fermarsi e a prestargli, ancora, la propria attenzione.

Jareth si era rimesso in piedi e lo osservava divertito. Si stava dimenticando il motivo per cui si era allontanto, ancora una volta, dal castello “Aspetta, ho un programma molto migliore...” disse facendosi comparire una sfera tra le dita guantate. “Dalle questa...” suggerì orgoglioso di sé lanciandogliela. Così dicendo aveva anche annullato, implicitamente, l'ordine precedente di riportarla all'inizio. Anzi, era meglio se il nano non avesse capito quel tacito ordine e fosse stato tentato di tradirlo, aiutandola ad arrivare alla fine: in questo modo non faceva che agevolare lui e il suo nuovo piano.

Il nano afferrò al volo la sfera, che nella parabola discendente si era tramutata in una piccola pesca matura “Cos'è?” domandò Hoggle, perplesso subodorando il pericolo nascosto dietro quel frutto.

Un regalo.” puntualizzò Jareth come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Un dono. Ma in perfetto stile Goblin, aggiunse tra sé, che usavano i frutti proibiti del regno delle fate per attirare in trappola le loro prede. Si domandò se il nano capisse la reale portata di tutto ciò.

Non farà del male alla signorina?” domandò l'altro dubbioso e in ansia

E perché ti preoccupi?” domandò il re di rimando, canzonandolo. Forse il suo controllo sul nano non era così forte come aveva sperato. Perché non si limitava a eseguire il suo ordine come aveva sempre fatto?

Non farò nulla che possa nuocerle (4*)”. Quel dannato bracciale stava avendo più effetto di quello che avrebbe creduto possibile. Non poteva nemmeno strapparglielo di dosso con la forza. Doveva incutere al suddito abbastanza terrore per essere sicuro che portasse a termine la missione. Se avesse potuto, si sarebbe arrangiato, ma non poteva: lei non si sarebbe fidata se non di un suo “amico”. E poi il ruolo che rivestiva glielo impediva: lo sfidato che aiuta lo sfidante? Lui era il cattivo, ai suoi occhi, e, anche per questo, doveva adoperarsi di sotterfugi: il male non era mai diretto, non si imponeva. Seduceva e così lui. Ma il nano, che cominciava a ragionare indipendentemente e contro la sua maestà, lo irritava.

Era preoccupato per Sarah, poverino, pensò sarcastico.

Come se lui non lo fosse, forse anche di più.

Via via groglodita.” lo canzonò stizzito “Mi stupisce che tu stia perdendo la testa per una ragazza” sottolineò l'ultima parola con un tono profondamente schifato e deluso. Nano e amore non erano parole che potevano stare pacificamente e armoniosamente assieme in una qualunque frase. Era pressoché impossibile: i nani non si riproducevano come le altre creature e non si era mai sentito parlare di elementi femminili nella loro razza. Solo il loro aspetto, così grottesco, al contempo bambini e vecchi, poteva far pensare a una possibile eccezione. Jareth arricciò il naso, più a quel pensiero che all'idea della concorrenza che lui poteva rappresentare. Anche dal punto di vista caratteriale un misero nano poteva rappresentarle solo la spensieratezza, il bisogno di essere guidati e la cattiveria infantile e la tranquillità monotona esente da rivoluzioni della vecchiaia. Non le avrebbe mai dato il brivido della novità, dell'avventura, della sorpresa. Si irritò ulteriormente constatando come lo stesse seriamente valutando come rivale.

Io non ho perso la testa” aveva replicato l'altro, nel frattempo, punto nel vivo. Era evidente: il nano sapeva anche del potere che quel particolare frutto portava in sé. Si accigliò. Mica gli aveva consegnato un'arancia, l'amore! Quello sì, l'avrebbe compromesso definitivamente. Aveva scelto, invece, la tenera pesca: l'immortalità (5*). Era vero che conteneva, in minima parte, anche la spinta alla famiglia e al matrimonio. Ma il nano non poteva, non doveva, aver pensato subito a quello. O sì? Che avesse sbagliato completamente nella sua scelta? Forse così aveva reso ancora più palese il suo desiderio?

Assottigliò lo sguardo. Non era di se stesso che doveva preoccuparsi, al momento.

Si focalizzò sul suo interlocutore. Il nano era davvero innamorato? Addirittura geloso? Questa era davvero bella, ma quando mai si era sentita una sciocchezza simile? Quella ragazzina gli stava riservando un divertimento inaspettato dietro l'altro. Riusciva a rivoluzionare le leggi e le verità granitiche del suo mondo. E la cosa non gli andava per niente a genio. Così, sviò il discorso e l'attenzione da sé.

Non penserai..” disse svettando davanti a lui, evidenziando ancora una volta la differenza di rango, di potere e di bellezza. Doveva annientarne l'animo, farlo sentire la nullità che era: un servo e il suo padrone. Come osava farsi venire certe idee? “...Che a una ragazza potrebbe piacere una repellente piccola piaga come te, vero?” Dalla sua posizione sopraelevata calò il bastone da passeggio sul petto del nano come una mannaia, piantandoglielo addosso a ogni parola che scandiva con irritazione mal celata. Doveva fargli passare assolutamente certe idee dalla testa. Le davi un dito e si prendeva non solo il braccio, tutto il corpo: Sarah aveva davvero in sé il potenziale per distruggerlo e per governare autonomamente. Partita da un nano, aveva conquistato anche un Troll....e non si sarebbe più fermata.

Beh..” si giustificò Hoggle, massaggiandosi il torace offeso. Era perfettamente conscio di non essere un Adone, né un esempio virtuoso di lealtà e coraggio “Lei ha detto che siamo....” cominciò speranzoso che il biondo lo interruppe, gli occhi ridotti a due fessure: stava prendendo anche il brutto vizio di contraddirlo

Compagni del cuore?” lo canzonò ancora Jareth “Amici?” sputò la parola quasi fosse veleno. Lei e il nano amici, mentre lui era il nemico. Proprio una bella situazione in cui cacciarsi. La rabbia e la frustrazione montavano dentro di lui, quasi accecandolo.

Non ha importanza...” mormorò Hoggle abbattuto, stroncato dall'acidità del sovrano che gli sbatteva in faccia la più ovvia e palese delle realtà: era già fortunato che lei gli rivolgesse la parola.

Dagliela, Hoggle” ringhiò Jareth, infastidito da tutta quella melensaggine di cui si era riempito il loro discorso. Lo prese e lo strattonò per un orecchio, sperando di spaventarlo a sufficienza “O ti affogherò (6*) nella Palude dell'Eterno Fetore prima che tu possa fiatare (7*)”

Bene...” mormorò la creatura col morale a terra, avviandosi, con la pesca in mano, verso il suo triste compito

E Hoggle...” Disse Jareth richiamandolo “Se mai lei ti baciasse io ti trasformerò in un principe” lo informò serio. Doveva dimostrarsi la più terribile delle persone da farsi nemica per essere certo che ubbidisse: illudere, tradire, ferire...

Lo faresti davvero?” In un istante il morale di Hoggle era tornato alle stelle. Jareth era un mago, certo che poteva, se voleva, fare queste e altre magie. Si vedeva già in un castello scintillante, bello e aitante su un cavallo bianco, tanto da far invidia al sovrano, con Sarah affianco che lo guardava ammirato....ma il ghigno del mago lo riportò alla realtà e gli fece venire i brividi lungo la schiena

Principe di Fetorlandia” precisò, infatti, l'altro allargando le braccia a indicare il titolo nobiliare esposto in un immaginario ingresso e ridendo sguaiatamente dell'illusione che aveva regalato al poveretto.

Hoggle chinò la testa, affranto, e si avviò per l'ultima volta a compiere il proprio dovere.

Jareth rimase nella radura a sbellicarsi per qualche minuto. Quando i singulti furono passati decise di rientrare al castello. Il suo piano era solo a metà.

In un turbinare di polvere rossa scintillante e foglie marce scomparve per riapparire nella sala del trono. I suoi piccoli Goblin dovevano essere frastornati da tutto quel continuo andirivieni. Li vide seguirlo con sguardi curiosi, domandandosi quale sarebbe stata la prossima mossa del loro sovrano.

Convocate Sir Didimus” ordinò andando a sbracarsi sul trono “E fate in fretta, voi e lui!” intimò

Il suo piano era un capolavoro di strategia. Se Hoggle doveva diventare re, e lo sarebbe certamente diventato, se conosceva Sarah abbastanza bene, doveva anche fare in modo che ci rimanesse abbastanza da acquisirne il titolo. E chi meglio del suo più fidato e coraggioso cavaliere dal complesso di Napoleone poteva riuscire nell'impresa? Lui che abitava nell'unico albero superstite del suo luogo d'origine, fedele ad esso nonostante la palude l'avesse cancellato secoli addietro.

Ma, d'altronde, era forse anche l'unico che potesse abitare quel luogo così inospitale. In un caso più unico che raro, la perdita in battaglia dell'occhio, sede della conoscenza e della preveggenza, e l'orecchio sinistro, sede della comprensione, ne avevano compromesso irrimediabilmente il fiuto, ad essi legato a doppio filo, e, quindi, l'intuizione. Privo della preveggenza e dell'intuizione, innocente e senza macchia come il migliore degli ermellini (8*), non avrebbe mai messo in discussione gli ordini del suo re, né avrebbe mai subodorato puzza di imbroglio.

Sì, Sir Didimus era quello giusto.


Nella foresta, intanto, Sarah aveva fatto lo spiacevole incontro coi Firey. Se in un primo momento, quando si era trovata circondata da quelle strane creature, le erano sembrati divertenti ed eccentrici, successivamente ne aveva capito la pericolosità. Quegli esseri sembravano essere un guazzabuglio di specie animali, dal muso felino ma beccuto come i rapaci e dal corpo glabro sugli arti ma dalla pelliccia fulva, i peli simili a piume, nelle giunture. Dall'animo scanzonato e rilassato, amavano passare il loro tempo a trovare nuovi modi di abbinare le loro membra smontabili, a giocare d'azzardo (9*), a inventare nuovi giochi di parola, che nella maggior parte dei casi risultavano patetici, e cantando, ballando e ancora giocando. Sarah era rimasta a osservarli rapita fino a quando quelle creature, nel loro continuo ricombinarsi gli arti in modi assurdi, non avevano cercato di rimuovere la testa anche a lei.

Erano così incivili da non sapere che potevano esistere altre specie viventi che non si disassemblavano? O era cattiveria, la loro? Non lo credeva possibile ma, come aveva ormai imparato a proprie spese, in quel posto, nulla era come sembrava. Quindi ritenne opportuno cercare di mettersi in salvo, appena ne fu in grado.

Arrabbiata e terrorizzata, lanciò le teste di ciascun Firey più lontano che poté nel tentativo di guadagnare tempo e corse alla cieca, allontanandosi quanto poté dalla combriccola. Il terreno era dissestato, grosse radici e massi ingombranti la costrinsero a cambiare traiettoria all'ultimo momento più d'una volta finché non arrivò terrorizzata al muro di cinta. Non avrebbe saputo dire se era quello oltre il quale aveva trovato Ludo o se si trattasse di un'altra zona del labirinto. Sapeva solo che si trovava in trappola con un parete liscia a strapiombo davanti e i Firey indispettiti per il lancio di teste dietro di sé che in breve la raggiunsero. Ancora una volta, non riusciva a capire se fossero lì con intenzioni bellicose, come credeva possibile, dopo che aveva scombinato loro le teste, o se, semplicemente, non volessero perdersi il nuovo compagno di giochi. A lei la risposta non interessava minimamente. A un tratto, una grossa fune le piovve davanti agli occhi: alzando lo sguardo sulle merlature scorse il faccione di Hoggle. Sorrise grata e si affrettò a issarsi lungo la sua unica via di fuga. Si rese conto che, dopo il primo scivolone nella buca costellata di mani, era la seconda volta che saliva di livello. Avrebbe potuto osservare il labirinto dall'alto e, forse, trovare la soluzione. Il pensiero le diede forza alle braccia e alle gambe durante l'arrampicata che fu tutt'altro che agevole, tra teste di Firey volanti, i palmi che cominciavano a bruciare per l'attrito a cui non erano abituati e i muscoli delle braccia che si erano subito indolenziti per lo sforzo colossale a cui erano stati richiamati all'improvviso, per quanto il nano, dall'alto tirasse a sé la corda, accorciandole il tratto di corda da percorrere. Una volta che riuscì ad arrivare in cima e a reggersi con le sue sole forze, vide il giardiniere mollare la presa dalla corda e andare sul ciglio nel tentativo di cacciare quegli esseri. Il pensiero che il nano non avrebbe dovuto avere tutta quell'autorità per spaventarli (e che, quindi, fosse un gesto teoricamente inutile), non sfiorò minimamente la mente della ragazza che fu semplicemente contenta del fatto che quei cosi rossi non la perseguitassero più.

Hoggle si allontanò da lei, dalla corda e dai Firey. In quel momento non voleva aver nulla a che fare con nessuno: quelle creature selvagge lo indispettivano, si sentiva in colpa nei confronti di Sarah, che avrebbe presto tradito ed era, comunque, arrabbiato col sovrano che l'aveva costretto a ficcarsi in quella situazione spiacevole. Non voleva guidarla da nessuna parte, voleva solo restare solo, come era sempre stato, anche se sapeva che ciò non era possibile.

Hoggle!” gracidò Sarah rimettendosi in piedi alle sue spalle “Sei venuto ad aiutarmi!” La sorpresa e la gioia della ragazza erano evidenti: era felice di essersi fidata di lui in un primo momento E, si disse, di non aver mai dubitato. L'entusiasmo per quella constatazione la portò ad abbracciarlo.

Ma Hoggle, forse perché nano, forse perché imbarazzato o forse perché temeva le conseguenze di quel gesto più dell'imbarazzo che avrebbe dovuto provare in quel momento, cercò di divincolarsi, dimenandosi furiosamente.

Sarah prese il suo comportamento come puro imbarazzo. Sorridendo compiaciuta della sua bontà riottosa gli stampò un bacio sulla guancia grinzosa, ignorando le proteste della creatura che strepitava “No no no...Non baciarmi!”. Quando lo baciò una seconda volta, una voragine si aprì ai loro piedi, facendoli precipitare nel vuoto.



* “Give the slip” indica un allontanamento volontario e intenzionale da qualcuno che insegue. L'italiano “Prendere il volo” ha più una sfumatura di allontanamento accidentale, essersela fatta sfuggire, rimanendo indietro, senza che lei cercasse realmente di scappare. In questo caso Hoggle voleva, forse, scaricare la colpa su Sarah che avrebbe mangiato la foglia e l'aveva lasciato indietro mentre lui cercava di fare il suo lavoro. Nella nostra versione sembra essere più un'ammissione di incompetenza. Ad ogni modo, noi (Jareth compreso) sappiamo che è stato lui a piantarla in asso e non viceversa.


** Warning è avvertimento, non ordine. Usato al plurale. Jareth, infatti, ha dato l'ordine una volta sola, quando l'ha spedito nel dimenticatoio, probabilmente ammonendolo sul rischio che correva nel disubbidirlo. Altro avvertimento è stato dato quando erano nei corridoi sotterranei. Sappiamo che ora gli darà un altro ordine.


*** Jareth, come già detto in precedenza dice “Hoghead” testa di porco. Volendo richiamare il fatto che lo sta minacciando di morte, “Cruccol” non mi sembrava il termine più adatto. Non che quello inventato lì per lì sia meglio...


4* Hoggle, nell'originale usa un futuro mentre in italiano è reso con un condizionale. Seppur timidamente, Hoggle non sta esprimendo le sue intenzioni ma sta disubbidendo a Jareth e lo informa che, nel caso fosse qualcosa che possa danneggiarla, lui si rifiuta di obbedire.


5*Oh, finalmente parliamo di sta benedetta pesca. Scusate fin da ora lo sfogo ma.... T_T chicazzè che ha scritto i mille “saggi” sul film? Un cofano di ignoranti che non si son manco presi la briga di aprire un libro di simbologia o di mitologia??? Molto professional! Tutti a puntare il dito sulla “polpa morbida come la pelle nuda”...ma la gente è malata per vedere ovunque simboli sessuali? Sarò ingenua io ma ne avevo intuiti la metà. Il fatto è che mi cascano sulla pesca proprio come pere cotte. Anche perché...ci avrei messo un'albicocca, se proprio dovevo identificare la pelle nuda.

Ok...mi do una calmata e mi spiego.

Si dice “pelle di pesca” ma questa è comunemente riferito al rossore sfumato delle guance di una fanciulla e solo a quello. L'albicocca, proveniente dalla stessa zona della pesca, ha gli stessi colori e la stessa setosità (sia del frutto sia della pelle) con simile leggenda d'amore alle spalle. Però il significato del messaggio veicolato sarebbe stato un catastrofico “il mio amore non è ricambiato”.

Ma torniamo al pesco e alla pesca. Tanto per cominciare è un frutto originario “delle montagne a sudovest della Cina, ai confini col Tonchino e la Birmania. Il nome dell'albero deriva a sua volta dal latino pomum persicum perché si pensava che Alessandro l'avesse portato in Grecia dalla Persia. Già nel I secolo d.C. Era coltivato in Italia […] In Cina è considerato l'albero dell'immortalità, tra i cui rami si apre la porta degli spiriti: solo quelli degni dell'immortalità possono varcarla mentre quelli indegni vengono dati in pasto alle tigri. In Giappone, dove è migrato subito anche il significato originario, simboleggia rinnovamento, rinascita, bellezza, gioventù, purezza verginale e fedeltà. In Egitto la sua foglia, per la forma aguzza e affusolata, simile a una lingua, ha ispirato il simbolo del Silenzio.” Se pensiamo a come vengano messi a tacere i ricordi di Sarah, direi che ci sta pienamente! “In Europa ne è mancata, fino ad ora, un'elaborazione simbolica.” Ma di solito, aggiungo io, con l'oggetto migra anche la superstizione ad esso legata, infatti “Tuttavia è sempre stato considerato benefico.” Quindi si narra del suo potere curativo e di come scacciasse il male in generale. In generale si ritiene che elimini tutto ciò che è negativo e che, condivisa con la persona amata, fortifichi l'intensità del sentimento. E “secondo il linguaggio ottocentesco dei sentimenti” (nota mia: Jareth veste in stile '800 mentre la corte è ferma al'700, ma ci ritornerò nel capitolo del ballo.) “Se si dona un ramo di fiore di pesco si dichiara la propria ammirazione” e direi che Sarah ha tutta l'ammirazione di Jareth “e nello stesso tempo ci si assicura una totale dedizione”. Toh! Stranamente, infatti, dopo che lei l'ha morsa si lascia condurre bella bella dal mago in un giro di danza e sembra quasi ipnotizzata. Solo dopo si riscuote e non se lo fila proprio più, la cretina.

Fonte: Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, Milano, 1996, pp.. 674-676

La mela, che ha più il significato della conoscenza (per tradizione si pensa sia una mela, quella data dal serpente ad Eva, quando in realtà si parla solo di “frutto”), può essere una valida alternativa (per amore e immortalità) data dalla ricorrenza delle mele dorate dei miti scandinavi e in quelli greco-romani.


6* “To tip” vuol dire, più o meno, affossare qualcosa fin sulla punta/orlo, mandare a fondo. Nel caso della palude non indica solo “ti ci mando” ma “ti ci ficco fino alla punta dei capelli”: ricordiamo che chi cade nella palude puzza per sempre...affogarci dev'essere la peggiore delle punizioni. Non a caso, tra l'altro, Jareth ce lo fa arrivare tramite scivolo: è solo un caso che riesca a salvarsi, aggrappandosi, e che non ci finisca dentro.


7* “Before you can blink” è letteralmente “Prima che tu possa batter ciglio”. Noi abbiamo sia la locuzione “in un batter d'occhio” come anche “prima che tu possa dire A”. Volevo sottolineare non tanto la rapidità dell'azione, quanto la percezione che ne avrebbe avuto il malcapitato.


8*Nel prossimo capitolo capirete chi – e perché – sia realmente Sir Didimus. L'allusione all'ermellino è indicativa della sua purezza: si diceva che l'ermellino, se colpevole o se macchiato, preferisse uccidersi che sopravvivere con la minima onta sul suo manto. Sir Didimus è in realtà un animale puro quanto l'ermellino ma in modo diverso.


9*Quando il Firey si toglie gli occhi e li lancia a terra (e tutti capiamo che li tratta come dadi) esclama “Malocchi”, il che ha oggettivamente poco senso. Soprattutto visto che poco prima hanno detto “Roll 'em” senza nemmeno tradurre, come la precedente “Walk Tall”. Avessero detto “ambo” sarebbe stato meglio. Cmq, la versione originale dice “Snake Eye” che è un'espressione usata nel gioco dei dadi per denominare la coppia di 1 (e il punteggio, quindi, di 2). Non sono molte le combinazioni ad avere un nome (esiste, ad esempio, la Five Fever, dove il risultato deve essere 5; cross eyes 3 e box cars 12 o 6+6 ) ma quelle con le facce uguali sono -ovviamente- le più rare: 2 è il tiro peggiore che si possa fare.

Altro gioco di parole mal tradotto è la sequenza del “bad luck” cioè “sfortuna”, che appare dopo una serie di “so when things get too rough/ your chin is dragging on the ground / and even down looks up / down look up” ovvero “quando le cose si fanno troppo ardue/il tuo mento è trascinato a terra [ovvero sei giù di corda: “chin up” vuol dire “tirarsi su”]/ e anche ciò che è giù [inteso anche come sfortuna] guarda in alto”, resa con un “sono cartacce” -_- tanto valeva non doppiarla proprio...come la “listen at this” tradotta con “butta un occhio”



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Ciao a tutti,

chiedo scusa per il ritardo con cui posto questo capitolo ma non ero riuscita a portarmi avanti a sufficienza per colmare le settimane da panico che son state queste ultime....avete presente “The Day Before”? Ecco...peggio...a finire le cose non solo la sera prima, la notte...ma anche la mattina stessa.

Vabbeh...vi risparmio i dettagli dell'angoscia XD è andato tutto bene e ora sono di nuovo qui a rompervi le scatole <3

Ho chiarito un po' di dubbi sulla pesca? Nel prossimo capitolo tocca a Sir Didimus: anche lì ce ne sono delle belle ;)

Che dirvi? A presto!

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Capitolo 10
*** Sir Didymus e la fogna ***


10. Sir Didymus e la fogna




Ecco appunto...lo sapevo” pensò indispettito il mago. Era allibito dal comportamento della ragazza ma non sorpreso. No...se l'aspettava, ma sperava si comportasse diversamente. Così aveva esitato, incerto se punire il nano, che in fondo aveva cercato di allontanarsi e di divincolarsi dalla sua stretta. Inoltre, finché lei continuava a stargli vicino, aveva le mani legate: aveva promesso di spedire nella fogna a cielo aperto lui, non lei. Quando la vide baciarlo la seconda volta, la rabbia lo accecò. Non se ne rese nemmeno conto: la magia, incontrollata a causa della sua irritazione, aveva creato uno squarcio nel terreno. Da lì ad assecondare la volontà di spedirli nella Palude e creare, quindi, un condotto che li facesse precipitare dentro quello schifo, fu questione di piccole e immediate connessioni inconsce. Quando vide il nano riuscire a salvarsi dal bagno fetido grazie a uno spunzone di radice sul limitare della parete contenitiva, imprecò sommessamente, il bel volto dai lineamenti contratti. Fortunatamente anche Sarah riuscì ad aggrapparsi a qualcosa. Ma lei era più grossa del nanerottolo ed era scivolata con più difficoltà nel lungo tubo tortuoso. Quando si fu ripresa dallo shock, la ragazza si allungò cautamente per aiutare il suo salvatore a tornare al sicuro, puntellandosi bene e assicurandosi di essere stabile.

Che bisogno avevi di fare una cosa del genere?” la rimproverò il nano non appena non fu più sospeso sugli effluvi maleodoranti della Palude.

Fatto cosa?” chiese perplessa lei, cominciando a cercare di uscire da quella situazione, mentre il nano, che si accorgeva solo allora del reale pericolo che aveva corso, si appiattiva alla parete solida alle sue spalle, terrorizzato “Intendi salvarti?” Le si leggeva in faccia la confusione che le si agitava dentro: si domandava se il nano avrebbe gradito davvero finire dentro quella robaccia putrescente

Ma no!” replicò lui di rimando ancora troppo stordito da quella situazione per essere caustico e tagliente come suo solito. “Mi hai baciato!”

Era vero. L'aveva baciato*, quella... Jareth assottigliò lo sguardo: aveva esaurito i complimenti per quella ragazza e non sapeva più come definirla. Il suo malumore era così incontrollato che, ancora una volta, era scappato al suo volere cosciente e aveva eroso il terreno da sotto i piedi dei due fuggiaschi. Aspettandosi qualche altro scherzo simile, però, i due si erano tenuti ben attaccati alla parete rocciosa e al franare del terreno avevano spinto i piedi il più indietro possibile, rimanendo aggrappati alla sottile striscia di terra che scorreva sul dirupo. Sarah e Hoggle si spicciarono a procedere oltre, prima di perdere l'equilibrio.

Non fare tanto il duro...” continuò la ragazza per squarciare la cappa di terrore che era calata su di loro “So che sei tornato per aiutarmi e che sei mio amico” sottolineò lei con un tono vittorioso nella voce.

Non è vero!” replicò l'altro stizzito, distratto dalla sua fobia da quei discorsi “Ma quale amico!” continuò mentre Sarah oltrepassava un piccolo buco in quello che, al momento, le sembrava il cornicione di un grattacielo. “Sono solo venuto per prendermi i miei beni e...” esitò pensando al fardello che portava legato alla cintola che gli correva attorno al torace. “Anche per darti...” Il suo peso sembrava quasi soffocarlo.

Darmi cosa?” Chiese Sarah ormai al sicuro.

Quel piccolo frutto era così pesante che gli sembrava che lo stesse trascinando a terra. Quando Sarah si voltò a osservarlo e si mise a urlare, si accorse che il terreno sotto i suoi piedi stava cedendo realmente. E tutto ciò non poteva che essere opera di Jareth. Voleva punirlo davvero per quello che era successo pur contro la sua volontà. Aveva cercato di evitare il contatto ma non ci era riuscito: lui era piccolo e lei un gigante. La ragazza artigliò la sua casacca nel tentativo di trattenerlo una seconda volta ma non fu abbastanza svelta e franarono al suolo entrambi.

Fortunatamente erano atterrati sul morbido, a pochi centimetri dalla pozza nauseabonda.

Jareth tornò a sbuffare come una pentola in ebollizione. Si buttò di peso sullo schienale dello scranno: quel nano aveva una fortuna sfacciata. E quella ragazzina gli dava sempre più sui nervi. Fortunatamente aveva istruito bene Sir Didymus e questo, se non fosse riuscito a trattenerli a sufficienza, avrebbe comunque ritardato la loro marcia abbastanza a lungo da impedire loro di raggiungere il castello. Notò, divertito, che non era l'unico a essere infastidito dalle discutibili amicizie che quella scriteriata andava stringendo in giro per il labirinto: Hoggle sembrava offeso del fatto che lei non lo considerasse come suo unico amico e mal sopportava di esser messo sullo stesso piano di quell'altro scherzo della natura che era il Night-Troll pacifico.

Eccoti servito, stupido presuntuoso!” bofonchiò il sovrano divertito.

Il gruppetto individuò la via di fuga da quel postaccio e si affrettò a guadagnare la riva opposta. Jareth sorrise vedendo come Sir Didymus si fosse mosso istantaneamente, adempiendo perfettamente al proprio dovere. Quello scoiattolo** troppo cresciuto era davvero un'ottima guardia e non l'avrebbe deluso.

Senza il mio permesso, niuno attraverserà!” aveva gridato tagliando la strada ai tre e rispondendo a tono alla ragazza che pretendeva di superare il ponte, l'unico passaggio dal posto in cui si trovavano.

Ti prego” lo scongiurò “Mi è rimasto poco tempo!”

Dobbiamo uscire da questo fetore!” strepitò Hoggle. Jareth si accigliò. Come si permetteva di essere così assertivo quando lui doveva rimanerci per esserne il re? Sperò che il suo cavaliere lo buttasse nella Palude con una stoccata nervosa. D'altronde, aveva appena offeso la sua confortevole dimora. Gli dispiaceva solo che Sarah fosse rimasta intrappolata in quel postaccio...ma un paio d'ore non erano poi molto tempo e sarebbe bastato un bel bagno a rimetterla in sesto. Ammesso che non vi scivolasse dentro. Ma confidava in lei e nel suo equilibrio.

Fetore?” domandò il guardiano stizzito “Di che mai si favella?”

Del puzzo!” replicò Sarah esasperata, la manica sul volto nel tentativo di filtrare l'aria malsana con il cotone profumato.

Lo scoiattolo sembrò perplesso. Annusò l'aria, tanto per controllare che le cose non fossero cambiate tra un respiro e l'altro “Non ne ho sentore...”

Stai scherzando?” Hoggle era visibilmente scettico e si sentiva preso in giro come mai in vita sua.

Ma se io vivo in forza del mio fiuto...” fu la risposta piccata del cavaliere. A quelle parole Ludo parve sorprendersi, anch'egli incredulo.

Didymus controllò ancora l'odore dell'aria quindi si profuse nella più commovente descrizione della sua terra “Qui l'aere è dolce et fragrante...Et niuno passa senza il mio permesso!” puntualizzò feroce, puntando l'arma contro gli sconosciuti, risvegliandosi dalla propria evocazione e ricordando cosa voleva davvero quel gruppo così eterogeneo.

Fatti da parte!” Ringhiò Hoggle improvvisamente coraggioso e andando a scansarlo di peso dal passaggio. Con quelli più piccoli e più innocenti di lui faceva davvero lo spaccone prepotente. Anche Sarah, che era tremendamente ingenua, veniva trattata con la stessa superiorità genitoriale.

Ma l'altro gli bloccò la strada con altrettanta convinzione “Giammai! 'Che io son votato al mio dovere. Là!” disse puntandogli la lancia al petto, più o meno come aveva fatto lui stesso poco prima col bastone da passeggio.

Andiamo! Facci attraversare!” ordinò anche la ragazza al limite della pazienza. Ma lui si frappose ancora una volta tra loro e la libertà.

Touche!” rise, colpendo il Night-Troll che si era fatto avanti più per far scudo alla sua amica che per guadagnare terreno. Ma il bestione, indispettito dal gesto afferrò la lancia e sollevò di peso lo scoiattolo, che non mollava la presa. “Ehi, io non vo' trovami costretto a ferirti...Molla!” strepitò il piccoletto sospeso in aria. “Molla il mio bastone!”

Hoggle approfittò della confusione che si era venuta a creare per tagliare la corda e allontanarsi il più possibile da quel luogo spaventoso.

Dove vai?” gli gridò dietro Sarah, leggendo il gesto come l'ennesimo tradimento. Si sentiva quasi abituata, ormai, a quel comportamento, anche se, certo, non era semplice non sentirsi feriti ogni volta.

Ludo e Didymus, intanto, continuavano nel loro rincorrersi e beccarsi. Dopo che il Troll l'aveva fatto precipitare a terra con poca grazia, il piccoletto aveva accettato la sfida al grido di “Allora sia!”, gambizzando il suo avversario e, dopo averne scalato la schiena, sbattendo l'arma sulla sua testa. Quando Ludo, disperato, l'aveva fatto cadere in avanti con un movimento del capo, quello si era attaccato tenacemente alle sue orecchie e gli aveva morso una delle ditona che aveva avvicinato nel tentativo di staccarselo di dosso. A quel punto, il gigante l'aveva lanciato lontano, istintivamente. Ma il piccoletto era tornato alla carica, indefesso e instancabile. Il buon Troll, esasperato, per quanto fuggisse la violenza, fu costretto a reagire: prese la prima cosa che trovò sotto mano, un grosso ramo secco, e cominciò a cercare di colpire l'altro. Ogni colpo, però, andava a vuoto, vista la rapidità dei movimenti del cavaliere che continuava a ridere della propria abilità e a provocarlo verbalmente.

Tutto si calmò quando Ludo mollò un colpo alla base dell'albero, in cui si era rintanato lo scoiattolo, sbriciolandolo. Ludo e Sarah non fecero a tempo a capire la gravità del gesto e a domandarsi se avessero fatto qualcosa di irreparabile che Didymus sbucò da un foro ad un metro da terra, spaventando a morte Ludo che già si vedeva come assassino.

Poffare...mai prima d'ora trovai chi mi fosse pari nel duello. Or questo nobile cavaliere si è battuto con me fino allo stremo”

Tutto bene, Ludo?” domandò Sarah preoccupata. Ma tutto quello che lo preoccupava, in realtà, era il puzzo tremendo.

Sir Ludo, così sei tu nomato? Or io, Sir Didymus mi inchino a te. Noi saremo fratelli nunc et semper e per lo bene lotteremo insieme.” Detto ciò, si lasciò tirar fuori dal suo pertugio e posare a terra.

Bene, andiamo ora!” disse Sarah avviandosi al ponte. Ma lo scoiattolo la bloccò ancora una volta “Un momento, altolà! Dimentichi il sacro voto, milady! Non posso farti passare.” Disse, ora più gentile

Ma hai detto a Ludo che siete fratelli!” protestò ancora lei. Le sembrava così scontata come cosa, invece, ancora una volta, doveva cercare di capire il modo di ragionare illogico, per lei (e quindi forse molto più logico e semplice di quanto non sospettasse), di quel mondo.

Sì, ma ho fatto un giuro! E onorarlo m'è d'uopo finché io viva.” si giustificò. Non era per cattiveria che non voleva farli passare: aveva solo un alto senso del dovere e dell'onore.

D'accordo, vediamo che ci suggerisce la logica...” disse Sarah cercando di guadagnare calma e freddezza mentre Ludo riprendeva a lamentarsi “Cos'hai giurato, esattamente?” Chiese, sperando di aver finalmente capito in che modo muoversi all'interno di quel mondo in cui la parola aveva più potere di ogni altra cosa.

Feci giuro che, a costo del mio sangue, niuno al mondo passerà di qua...” e nel dirlo si volse verso il punto in cui Hoggle era scomparso alla vista, quasi cercasse di comunicargli la propria intenzione di andarlo a ripescare ovunque si fosse nascosto “...senza la mia...permissione!” disse, fiero di essersi ricordato tutte le parole precise che aveva pronunciato. Ludo sembrò spaventato dall'apparente impossibilità di infrangere quella barriera e si volse speranzoso verso la sua protetta.

Sarah soppesò attentamente le parole. Di certo non voleva chiedergli il sangue, né letteralmente né metaforicamente, come tributo al loro passaggio. L'unico modo per passare di là, senza infrangere il voto e senza chiedere sacrifici di alcun genere, era solo uno. “Beh...possiamo avere La permissione?” Era così ovvio!

Anche Didymus sembrò sbalordito dalla semplicità con cui si poteva aggirare il vincolo. “Beh io...” balbettò incerto “...non credo proprio che...ecco...dovrei...” si volse ancora. Lo sguardo, stavolta, era perso in lontananza, la voce flebile, quasi temesse un tremendo castigo. E Sarah seppe con certezza che dietro tutto quello c'era lo zampino del bel re mago. Lo scoiattolo rimuginò a lungo e alla fine concesse con un semplice “sì” il permesso al passaggio: d'altronde non erano stati posti vincoli per i quali avrebbe dovuto operare una scelta in merito all'offerta o meno del permesso. Era stato lasciato al suo giudizio? I sottintesi non chiarivano il dilemma quindi, che bastasse chiedere o che dovesse scegliere lui a chi concedere tale privilegio, la ragazza gli stava comunque simpatica, il troll pure...e a quel punto, tanto valeva perdonare anche il nano: che passassero.

Grazie, nobile signore...” rispose Sarah calandosi nella parte della dama. Trovava che adeguarsi al pensiero dell'altro fosse una forma di rispetto, cortesia e gentilezza verso chi si era dimostrato generoso. Quasi a schernirsi per la pochezza del proprio gesto, Didymus si inchinò a lei, scoprendo il capo.




* Anche sul bacio c'è qualcosa da dire. Al di là di tutti i significati che si porta dietro (comunicazione/scambio se reciproco o reverenza, rispetto, obbedienza, etc se solo uno dei due soggetti è attivo. Sempre in quest'ottica attivo/passivo, chi bacia immetterebbe nell'altro la propria forza o sottrarrebbe il male: insomma, sarebbe un modo per parificare le forze e rendere il soggetto passivo più simile a quello attivo che nel nostro caso, ma guarda un po', sono Hoggle e Sarah e ciò rimarca il concetto già visto per i gioielli. Ovviamente se l'agente è malevolo, sottrarrà quanto di positivo c'è nell'altro) c'è da notare una “curiosità”. Dunque, dando per scontato (come già detto altre volte...forse nei commenti, ora non ricordo precisamente) che l'Underground affondi le sue radici nel medioevo (dalle favole citate, alla disposizione ammassata della cittadella, la presenza del castello, i colori e le fogge dei vestiti dei personaggi -anche se poi si fa un po' un guazzabuglio e si mescolano diversi elementi-) direi che è interessante sapere che “Nella società feudale il bacio sollevava parecchie difficoltà quando una dama riceveva od offriva l'omaggio”


** Oh...lo scoiattolo. Questo è un altro dettaglio che mi ha impensierito a lungo. Sinceramente avevo sempre visto Didymus come una volpe o un volpino (il cane) anche se poi non tornavano i conti con le caratteristiche simboliche ma a imbrogliarmi erano, sostanzialmente, la coda e il colore. Ho trovato scritto che poteva essere un incrocio tra uno scoiattolo e un fox-terrier. Ora...il fox-terrier è un cane che con le volpi non ha nulla a che spartire, nome a parte. Ho indagato quindi sullo scoiattolo e...ta-dah! Ho scoperto che proprio di scoiattolo si tratta. O meglio: ci sono arrivata collegando un paio di cosette che ora vi espongo.

Cominciamo col peluche che si trova in camera di Sarah (compare già all'inizio): è inequivocabilmente uno scoiattolo vestito. Mentre Ambrosius è effettivamente un cane e tale rimane, se Didymus fosse stato una volpe avrebbero dovuto modificarne la morfologia per far sì che restasse in piedi, mentre lo scoiattolo sta in posizione eretta in modo autonomo. Inoltre...vive e si rintana nell'albero (e né il cane né la volpe lo fanno) ed è molto abile...sul fatto che cerchi di ringhiare e abbaiare beh...credo che farlo squittire sarebbe stato poco marziale. Ma al di là di tutto questo due cose mi sono venute in aiuto in modo inequivocabile. Il nome, innanzi tutto: deriva dal nome greco Didymos, letteralmente "fratello gemello", attraverso la forma latina Dydimus e nel martirologio cristiano è associato al culto di Teodora. Leggete attentamente perché la cosa torna tra poco “Teodora e Didimo (morti nel 304) sono due santi cristiani la cui leggenda si basa su un racconto del IV secolo attribuito a sant'Ambrogio. Santa Teodora è festeggiata il 28 aprile. Furono martirizzati sotto il regno dei co-imperatori romani Diocleziano e Massimiano. A causa di un calo della popolazione, fu emesso un editto che imponeva alle donne romane di aver figli e fu criminalizzata la verginità. Il prefetto di Alessandria d'Egitto, Proculus, venne a conoscenza del voto di nubilato di Teodora, che nel racconto è descritta come una bella ragazza, di nobile famiglia romana, che non avrebbe avuto nessuna difficoltà a scegliere tra molti pretendenti. La scoperta del suo voto di castità (giurò che se avesse perso la verginità non sarebbe stato per sua scelta) la fece condannare ad essere rinchiusa in un lupanare.

Il suo primo cliente fu Didimo, un soldato cristiano che era venuto in realtà a salvarla. La storia narra che scambiò i vestiti con lei, permettendole di fuggire. Quando giunse un altro cliente, Didimo si rivelò, dicendo di considerarsi un uomo benedetto perché gli era stata data la possibilità di salvare una donna innocente e di morire per la sua fede. Didimo fu preso prigioniero e portato al cospetto del prefetto Proculus, che lo condannò a morte. Sant'Ambrogio dice che Teodora non poteva consentire al suo salvatore di morire da solo, e si presentò al cospetto di Proculus prima della esecuzione. Didimo e Teodora furono decapitati. Il corpo di Didimo venne bruciato. La storia di Teodora e Didimo è quasi identica a quella dei santi Antonia e Alessandro.” fonte: Wikipedia

A questo aggiungiamo il fatto che “Poco sfruttato dal punto di vista simbolico, lo scoiattolo non entra a far parte dei miti e dei testi sacri. Tuttavia è interessante ricordare una leggenda popolare. Testimone involontario dell'accoppiamento colpevole di Adamo ed Eva, lo scoiattolo ne fu così inorridito che, avendo cura di allargarla bene, si parò gli occhi con la coda, un tempo stretta e sottile. Dio, per premiarlo del suo atteggiamento reverenziale, gli avrebbe allora fatto dono di una coda larga e a pennacchio affinché d'ora in poi avesse modo di proteggersi efficacemente da qualunque spettacolo potesse insudiciarne l'anima candida.” A tutto ciò si aggiunge poi l'immagine del risparmiatore che accumula ghiande nell'albero. (Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Corinne Morel, Giunti, pag.748)

Insomma...tra nome e simbologia tutto condurrebbe al protettore delle virtù (nell'altro capitolo citavo l'ermellino che è abusato come figura virtuosa ma ha una sfumatura diversa. L'ermellino, infatti, è a mio parere, un po' più vigliacco: se il suo manto candido viene macchiato anche minimamente si uccide perché non riesce a tollerare l'onta mentre lo scoiattolo vuole proteggere se stesso dal male...sono sfumature significative. Non a caso, in quanto protettore, è messo a guardia della fogna). Se vogliamo può essere vista come un tentativo di preservare l'innocenza di Sarah e di tenerla al sicuro dalla sua crescita metaforica (se vogliamo leggere il film secondo l'interpretazione comune del viaggio di formazione).



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Eccoci al decimo capitolo, finalmente.

Come dicevo ad alcuni di voi, il capitolo del ballo, per motivi di lunghezza dei capitoli è stato spostato in blocco al capitolo 12 -monotematico- :)

Quindi, abbiate ancora un po' di pazienza.

Spero che la dose di irritazione di Jareth vi soddisfi così come la mia giustificazione della natura di Sir Didymus.

E ormai siamo anche agli sgoccioli del 2011, quindi credo che ci risentiremo con l'anno nuovo :)

In ritardo vi faccio gli auguri di Buon Natale e vi auguro di passare un buon capodanno scoppiettante!

Carlotta


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Capitolo 11
*** L'invito ***


11. L'invito



Alla fine, quindi, Sarah ce l'aveva fatta: aveva capito come si ragionava nell'Underground ed era riuscita a bypassare il giuramento di Sir Didymus con relativa facilità. Certo, sperava di guadagnare più tempo con quello stratagemma ma fece spallucce con noncuranza. Anzi, per certi versi era quasi contento: non vedeva l'ora che uscisse da quel posto nauseabondo.

Andate via tutti!” ordinò alle piccole creature che affollavano la sala del trono “Galline e maiali compresi!” specificò prima di doverlo urlare per mezzo castello o farli allo spiedo seduta stante.

Quando la sala si fu svuotata del tutto, porte e le finestre si serrarono in sincrono oscurando la stanza.

Lentamente, una pallida luce cominciò a brillare in mezzo a tutta quell'oscurità

Io Jareth...” disse la voce flautata del sovrano da un punto imprecisato. Il suo volto apparve, opalescente, al limitare di quell'imprecisata fonte luminosa che andava espandendosi man mano che lui parlava . “Sovrano di Goblin City...vi invoco!” disse e la sala fu improvvisamente invasa da una luce accecante che subito si attenuò. Jareth era in piedi davanti a centinaia di copie di se stesso: una decina vicini, a un paio di metri di distanza, gli altri sparpagliati ordinatamente in circolo, sempre più fitti, fin dove l'occhio poteva arrivare. Erano tutti vestiti della sobria veste nera che Jareth teneva solo nei suoi appartamenti. Il lungo mantello blu scivolava ai suoi piedi, cingendone la figura con volute simili alle corna del suo scranno. Al centro di quella folla, però, lui fu l'unico ad alzare il braccio guantato sopra la testa, tra le dita una piccola sfera brillante. Quando essa scomparve, gli uomini attorno a sé alzarono il braccio in sincrono, nella più perfetta e inquietante delle coreografie. Sul palmo di ciascuno, con movimento fluido del polso, comparve una sfera simile.

Egli parlò, poi, con voce così bassa da non essere umanamente percepibile. Il suo discorso durò pochi secondi, lasciando, probabilmente, che il resto del discorso venisse elaborato dai suoi doppioni una volta giunti a destinazione. Le figure attorno a lui scomparvero un po' per volta, rivelando la struttura di un labirinto di specchi che rifletteva all'infinito l'immagine del sovrano.

Quando anche l'ultimo, più lontano, riflesso scomparve, la stanza ripiombò immediatamente nell'ordinario squallore. Solo, nella grande stanza, si domandò per un attimo se avesse fatto la cosa giusta. Certo, si incoraggiò, lei sognava i balli come nelle fiabe, aveva anche un carillon che le ricordava costantemente il desiderio di vivere in un sogno. Eppure aveva rifiutato la sua prima offerta in tal senso. Si vergognò di se stesso per essere costretto ad agire in modo così subdolo e prepotente, forzarla e ingannarla ad accettare i suoi stessi desideri. Ma non stava facendo nulla di male, per ora. Era generoso a offrirle un tale intrattenimento. Intrattenimento che, al contempo, l'avrebbe tenuta al riparo dalle creature abbiette che popolavano quella porzione di Underground e condotta al castello, fluttuando all'interno di una sfera che non poteva essere rotta se non dall'interno, dove sarebbe stato anch'egli. Che poi tale offerta gli consentisse di incantarla più facilmente, era tutto un altro paio di maniche...O almeno così sperava. Si sentiva sconfitto in partenza. Forse lei non avrebbe mai addentato la pesca o la sua volontà l'avrebbe salvata. Si appoggiò alla finestra mentre i piccoli Goblin tornavano a riempire la sala. Troppe cose stavano andando nel verso sbagliato. Nulla di quello che lui desiderava si stava concretizzando: dove diavolo era finita la legge universale dell'Underground secondo cui la forza di volontà esaudiva ogni desiderio? Non stava desiderando abbastanza intensamente? Che fosse così masochista da desiderare, seguendo un ragionamento contorto e perverso, di correre sul filo di lana per non avere una vittoria troppo schiacciante e noiosa? O forse la volontà di Sarah era così superiore alla sua? Sarah, sempre e solo lei; tutto ruotava attorno a lei! Sarah non desisteva, Sarah non si piegava a lui...e quel dannatissimo nano non affogava nella Palude per quante volte lui ci avesse provato. Doveva prenderlo come un presagio? No, si rispose. Quella volta sarebbe andato tutto bene. Lui l'aveva voluta e dopo anni lei era arrivata. Sennò che ci stava a fare lì se non per diventare la sua regina?

Forse era come una partita a scacchi. Per vincere doveva lasciarsi mangiare qualche pedina. Doveva guardare a lungo termine, si ripropose ancora. Doveva riuscire a sconvolgerla ora, finché era in tempo. Non gli importava più di vincere. Non così tanto. Non così in fretta. Ci sperava ma allo stesso tempo sentiva che le cose non sarebbero andate come voleva lui. Ancora non riusciva a capire cosa gli fosse preso nelle ultime ore, da che aveva incontrato quella ragazza. Si rendeva conto di poter passare per schizofrenico. Nonostante ciò, non riusciva a tenere a bada i molti pensieri e sensazioni, tra loro contraddittori, che lo stavano squassando. Certo, si stava rivelando sempre più un'avversaria temibile, caparbia e tenace. Qualcos'altro, oltre l'ammirazione, gli si rigirava nello stomaco ma non riusciva a identificare cosa fosse quel qualcosa di nuovo in sé. L'unica cosa certa era che non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare. Lei doveva diventare la sua regina e Toby il suo discendente. Doveva convincersi che non poteva, non doveva provare pietà. Come non doveva lasciare che la stima per lei lo accecasse al punto da lasciarla tornare indietro.

Decise di accantonare quel pensiero e ritornare a seguire le peripezie della ragazza. Sfilò una sfera e si accoccolò sulla finestra.

Vide Sarah mettersi in salvo saltellando su una fila di massi galleggianti posti esattamente sulla traiettoria del ponte, che però non esisteva più, e afferrare la mano di Hoggle che era emerso dalle felci in cui era scappato poco prima. Quel rudere doveva essere franato e il Night Troll doveva aver evocato i suoi amici rocciosi, di cui la palude era ricca, per creare una nuova passerella. Jareth si accigliò al pensiero che quel dannato ponte traballante poteva pure rovinare nella palude prima o durante il passaggio di Hoggle. Quel nanerottolo era stato fin troppo lesto a battere in ritirata. E ora, sorpassato anche da Ambrosius, la vigliacca cavalcatura di Sir Didymus che riusciva a tenere il suo cavaliere lontano dai guai controbilanciandone la sconsideratezza, lo vedeva avvicinarsi al ciglio della palude con la pesca in mano. Jareth inclinò la testa di lato. Voleva buttarla? E perché mai? Un moto di stizza gli fece buttare indietro i lunghi capelli biondi: doveva calmarsi. Mostrarsi adirato non avrebbe fatto altro che mostrarlo vulnerabile. Come nei sotterranei aveva teso loro quell'imboscata meditata, così ora doveva mostrarsi sereno: doveva sembrare che fosse indifferente se la pesca veniva consegnata o meno. Ciò su cui doveva calcare la mano era il tradimento e sul fatto che non si potesse svicolare da un ordine del re con quella facilità. Non doveva sembrare arrabbiato: doveva sembrare solo un avvertimento.

Non lo farei se fossi in te!” Soffiò alla sfera in modo che la voce echeggiasse nella testa di Hoggle come se un'immaginifica coscienza inesistente del nano provenisse da tutt'attorno alla palude, ricordandogli le sue parole.

Oh, ti prego! Non me la sento di dargliela...” replicò il nano a se stesso posandosi la mano libera sul cuore, quasi potesse, così, calmarne i battiti accelerati dalla paura. Ma era un ordine e aveva già rischiato molto: doveva obbedire. Così riprese il cammino al seguito di Didymus che, libero dal giuramento, faceva loro da guida. Gliel'avrebbe data, decise a malincuore: presto avrebbe dovuto avere fame..





La notte era calata improvvisamente e i dintorni della Palude ricordavano la foresta all'interno del labirinto, ma, al contrario di quella, qui non si trovavano tracce di alcun tipo di essere senziente. Lo scoiattolo aveva fatto rapidamente due calcoli e marciava svelto, spronando i compagni, in quanto, con quel ritmo avrebbero raggiunto il castello solo all'alba. Troppo tempo: era ora il crepuscolo. Sarah non ce l'avrebbe mai fatta. Ma ciò che impensieriva Jareth erano i rischi che correva nel tratto che la separava dal castello. Per il resto era sicurissimo di vincere e di intrappolarla nel suo regno.

Guarda, Sarah...” disse mostrando a Toby il contenuto della sfera “E' questo che cerchi tanto?” Al punto da correre i rischi più folli? O era stupida e non sapeva cosa rischiava, ma Jareth si rifiutava di credere che fosse così ignorante, oppure era semplicemente determinata e avventata. “Tanta pena per una cosa così piccola...” disse guardando il fagottino che teneva in braccio. Ora Toby gli sorrideva anche, battendo contento le manine, e sembrava quasi cercare di parlargli, emettendo gorgoglii inarticolati. Così piccola e così fragile cosa. Ma anche lei era fragile e andava protetta: non poteva ostinarsi nel ruolo del principe azzurro che va a liberare la fanciulla imprigionata nella torre dal drago. Era lei la fanciulla. E lei andava messa sotto protezione nella torre “Ma non per molto...” riprese, pensando al suo piano perfetto. In un paio d'ore avrebbe sicuramente addentato quella pesca “Lei presto si dimenticherà di te, mio caro fanciullo”

E penserà solo a me, dannazione!

Ecco, pensò subito dopo, ora era geloso anche del suo pupillo. Era geloso di tutti. Perché lei riservava a tutti delle attenzioni...a tutti ma non a lui. Eppure lui la stimava così tanto, pensava a lei ogni secondo e non c'era gesto che facesse che non fosse indirizzato a lei. Anche gli spazzini nel tunnel: se lei gli fosse stata del tutto indifferente di certo non avrebbe perso le staffe in quel modo. L'avrebbe lasciata vagare. Invece aveva voluto darle un assaggio del proprio potere e della propria irritazione. Voleva essere considerato, ammirato e venerato da lei che, invece, lo trattava come una pezza da piedi. Quell'atteggiamento proprio non gli andava già: lui era un dio e lei una misera mortale e si permetteva di fare tanto la superiore. Sbuffò. Certo che anche lui...abbassarsi a perdere tempo con lei e farsi guidare nei suoi giochetti quando avrebbe dovuto prenderla con la forza, in virtù del suo ruolo. Eppure gli piaceva vederla affrontare le difficoltà e crescere nell'affrontarle. Distolse lo sguardo dal marmocchio, forse temendo che quegli occhioni innocenti leggessero il suo inganno e la sua rabbia “Non appena Hoggle le avrà consegnato il mio dono dimenticherà ogni cosa.”

E potrò, finalmente, decidere io cosa debba essere importante per lei, cosa debba sapere e cosa no. E il suo unico pensiero sarò io.

In quel momento, una leggera folata di vento attirò la sua attenzione. Non si volse nemmeno a guardare chi fosse appena arrivato. “Che diavolo ci fate qui?” sibilò astioso. Quando due donne dai capelli rossi gli si avvicinarono, incuriosite dal bambino che teneva in braccio, le scansò senza prestar loro attenzione e consegnò Toby a uno dei suoi Goblin “Tienilo per un po'...”

Quando si voltò non fu sorpreso di trovarsi davanti a quella piccola folla: li aveva percepiti uno ad uno. Ma le due donne lo guardavano con aria maliziosa e con un velo di cattiveria “E' per questo che ci hai convocati?” chiese quella vestita di verde senza staccare gli occhi dal bambino.

Non è per lui...” sibilò una voce alle sue spalle. Una figura, dai tratti somatici così ambigui da poter essere benissimo un fanciullo come una maschiaccia, stava in coda al gruppo, le mani puntellate sui fianchi.

Non è qui che dovevate venire!” replicò il re, ignorando tutti

Ma Jareth caro...” replicò un'altra, i capelli mogano raccolti in una crocchia elaborata da cui scappavano mille riccioli “Volevamo solo presentarci tutti assieme, come ai vecchi tempi”

Anche se abbiamo tutti più di trecento anni, nulla ci vieta di comportarci come ne avessimo la metà, no?” disse un'altra, bionda, in un abito verde cangiante

Eh sia...” concesse il biondo “Ma a una condizione!” Precisò sfilando una sfera dalla manica e facendola ruotare sull'indice. La fece fermare di colpo “Oltre le maschere dovrete portarvi questo...” così dicendo, sforbiciò le dita e la sfera si moltiplicò nella sua mano come se fosse stato un mazzo di carte aperto a ventaglio. Quindi incrociò le dita tra loro e su ogni mano sfilarono quattro dischi, incastrati tra un dito e l'altro come altrettante monete che lanciò ai suoi ospiti come i guerrieri lanciano i dardi. Gli astanti afferrarono al volo l'oggetto luminoso che, una volta nelle loro mani, si era trasformato in uno specchietto. “Dovrete offrirmi una via di fuga, quando lo riterrò opportuno...” disse spiegandosi. Due specchi tra loro contrapposti davano vita al riflesso che si veniva a incastrare tra loro e allo stesso modo, ciò che si trovava frapposto tra due, poteva diventare un mero riflesso, scivolare su altre superfici riflettenti e comparire a proprio piacimento, istantaneamente, dove avesse voluto.

Vuoi che ti facciamo da guardie del corpo? Vuoi anche che la studiamo, vero?” proruppe ridendo l'unico che poteva essere sicuramente un uomo. Indossava un tricorno di cuoio con teschio e tibie incrociate appuntate sul un lato della tesa. Jareth agitò la mano alzando gli occhi come se non volesse rispondere verbalmente con un compromettente “Diciamo di sì”

D'accordo...” acconsentì la bionda incrociando le braccia al petto “Ma anche noi ti poniamo una condizione...”

Concedimi il primo ballo!” proruppe la donna dai capelli color mogano, anticipandola

Ehi!! Non vale!” pretestò infatti l'altra

Ballerò con entrambe!” rispose il re, già stanco prima ancora di cominciare, alzando gli occhi al cielo e portandosi una mano al volto

A me concedi il secondo?” chiese la rossa vestita di verde

Io poi voglio farmi un giro senza di lei!” replicò ancora la donna in viola

Ma non eravate amiche del cuore?” sputò velenoso il maschiaccio seduto nella vasca ai piedi del trono, i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle, mentre il suo compare si svaccava sul trono al posto del biondo. Le due interpellate gli risposero con smorfie infantili.

Giù i piedi!” sibilò Jareth marciando verso l'uomo che si era seduto al suo posto.

Si fermò di colpo “Silenzio!” ordinò perentorio. Tornò a osservare la sfera. “E' tempo...” disse andando alla finestra e arrampicandosi sul suo balcone. Mentre nella sala i suoi invitati continuavano a battibeccare fraternamente, lui si concentrò per scegliere i sogni giusti e le cose migliori da far comparire nel suo tranello. Preparò diversi piccoli universi armoniosi, tra loro coerenti, facendoli roteare tra le mani, soppesandoli. Soffiò i prescelti come bolle di sapone nella notte perché raggiungessero in volo Sarah e la inglobassero al loro interno.

Alla fine Hoggle aveva obbedito, era riuscito a trovare il modo di darle quella pesca. E Jareth ne fu soddisfatto.

Andiamo...” disse tornando dai suoi ospiti togliendosi il mantello nero-blu dalle spalle e, con esso, la veste da camera che rivelò un elegantissimo abito sfavillante.

Accidenti!” protestarono le donne “Non vale, sei troppo bello, così...noi scompariamo...”

Jareth sorrise andando in contro al gruppo e prendendo sottobraccio, orgoglioso, due delle presenti “E' proprio questo lo scopo...” pensò tra sé, sghignazzando



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Questo è l'ultimo capitolo di questo 2011. E postando in tempi così ravvicinati tra loro sono riuscita a recuperare il ritardo accumulato la settimana scorsa e tornare a seguire la tabella di marcia originaria. Come avete visto ho inserito una scena inesistente nel film, ma che mi serviva a giustificare la presenza e il comportamento di alcune figure durante il ballo. Finalmente ci siamo!

PS: sulla natura degli specchi: non mi sono inventata nulla. La tradizione e la superstizione vogliono che non si debbano mai opporre due superfici riflettenti proprio per evitare che uno spirito che si venga a frapporre tra loro acquisti concretezza. E Jareth, d'altronde, sembra usarli proprio in quel modo, quasi fossero dei portali, un po' come fa Belldandy in “Oh, mia dea!”: in ogni caso, nessuno si è comunque inventato nulla.

Aggiungo, inoltre, che ho modificato il primo capitolo: ho messo una postilla in cui spiego una volta per tutte le scelte operate per scrivere la fic. :D

Ci risentiamo nell'anno nuovo. Buoni festeggiamenti a tutti!

Un bacione!

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Capitolo 12
*** Il ballo ***


12-Il ballo





Sarah avanzò, esitante, nella grande sala bianca gremita di gente. Le sembrava di aver dormito fino a pochi istanti prima. Non ricordava cosa avesse sognato, né riusciva a ricordare perché si trovasse in quel posto. Però le sembrava tutto così naturale. L'abito con le crinoline non la impicciava e il busto non la soffocava. Non si sentiva nemmeno eccessivamente a disagio in mezzo a quella confusione: il suo smarrimento era dovuto unicamente al fatto che non sapesse il motivo per cui si trovava in quel posto. Tuttavia, la sala le risultava strana: a tratti opalescente, a tratti grigia e consunta, di quel bianco non più nuovo; capitelli finemente scolpiti galleggiavano dal soffitto senza essere appoggiati a nessuna colonna, cosa che dava grande ariosità alla sala ma contribuiva ad accentuare la fastidiosa sensazione di precarietà; le perle e i pendenti cristallini dei sontuosi lampadari erano offuscati, nel loro splendore, dalla cera colata da troppe candele che aveva creato punte simili alle stalattiti e che sembravano quasi gli strascichi rimasti impigliati di qualche fantasma, che nessuno si era preso la briga di rimuovere.

All'ingresso, celato allo sguardo, un ricco orologio dorato a parete indicava che era da poco passata l'undicesima ora. Una doppia scalinata avvolgeva la sala e si congiungeva, in alto, in una specie di palco rialzato, sotto il quale erano ammassati una miriade di cuscini dai colori caldi e autunnali, sui quali gli invitati si stendevano per spiluccare qualcosa dai tavolini bassi disseminati qua e là.

Intorno a lei, la gente era libera di esprimersi come voleva: danzava, si rincorreva, talvolta litigava anche, contrariamente a quello che si aspettava da un evento mondano, in cui riteneva opportuno tenere a bada le emozioni per non dare scandalo. Tutti gli invitati portavano maschere grottesche sul volto, chi quella dalle fattezze stilizzate di un unicorno, chi quella di ali di farfalla. I loro abiti avevano, prevalentemente, tinte scure dei colori della terra, come fossero vecchi e usati a lungo, e di foggia più antica, quasi settecentesca, rispetto al suo abito. Passava accanto a donne che indossavano ora in una robe-à-la-française, ora uno à-la-polonaise o uno à-la-anglaise. I cavalieri vestivano abit-à-la-française completi, in cui la sottomarsina era, talvolta, composta da qualcosa che ricordava, macabra, la gabbia toracica e portavano larghi cappelli o parrucche bianche. Sarah si sentiva a disagio: più della sensazione di essere arrivata in ritardo (dato che molti si erano già spogliati della marsina, per il gran caldo provocato dalle danze) ciò che la metteva in imbarazzo era il proprio aspetto tanto differente dagli altri invitati: lei era l'unica priva di maschera ed era l'unica con un vestito chiaro, quasi opalescente, e di foggia ottocentesca. E tutti, infatti, la osservavano, curiosi, invidiosi, maliziosi e con commenti maligni sui sorrisi affettati: era sicuramente al centro dell'attenzione.

Ma ecco, semi nascosto dalla folla, un uomo, biondo, fasciato in un meraviglioso completo di uno sfavillante blu regale* che sembrava essere lì per lei: l'unico che sembrava potersi abbinare a lei, portava una maschera** a mano sul volto che poteva rimuoverla spostando semplicemente il braccio. Sarah ne fu attratta. Era bello ed era l'unico a fissarla dritto negli occhi, serio. Non la studiava, sembrava conoscerla e forse attenderla. Ma all'improvviso, egli scomparve alla sua vista, lasciando al suo posto due donne che chiacchieravano amabilmente e a cui una coppiera dalla pelle dorata (anch'essa a volto scoperto, unica altra eccezione) stava servendo da bere.



Sarah era in assoluto la dama più affascinante di tutta la sala...che avesse mai visto. Vederla in quegli abiti, che lui aveva scelto appositamente per lei, assecondando i dettami dell'ultimissima moda e non accontentandosi di quanto era già datato, come si confaceva ai sovrani, l'aveva così colpito che non era riuscito a sorriderle né a fare qualunque cosa che non fosse osservarla con la mascella contratta. Si era comportato come un pivellino alla sua prima cotta e tutto quello che aveva saputo fare era stato scappare lasciando le sue accompagnatrici a rigirarsi gli specchi tra le mani mentre la Tuatha De Danann le raggiungeva con le bevande.

Aveva visto come lei l'aveva guardato, ammirata, ammaliata... non sembrava nemmeno lei con quel velo di desiderio negli occhi. E lui non aveva più saputo come comportarsi fuori dal suo ruolo di cattivo. Lì, in quel posto, non erano un concorrente e il suo arbitro...erano due estranei che si conoscevano di vista. Non poteva aggredirla con i soliti giochetti di parole arroganti, sfidarla e farsi sfidare. Si consolò pensando che quella fuga, tipica delle donne, funzionasse anche al contrario e a come lei, ora, affascinata, lo stesse cercando.

Le sue amiche lo ritrovarono e riuscirono a trascinarlo nelle danze come promesso. Ma si resero conto ben presto che lui aveva la testa altrove. Continuava a spiarla di continuo senza mai perderla di vista, sfruttando anche le grandi pareti vetrate della sala: la vide farsi prendere in giro da alcubi nobili che cercavano di spaventarla o di deriderla. Ma non sapevano con chi avevano a che fare. Aveva promesso loro un divertimento ed eccolo: lei non dava loro poi molta soddisfazione e presto si stancarono di importunarla. Gli scocciava solo che Sarah fosse presa così d'assedio e studiata come una bestia rara.

Non dire che non ci avevi pensato, Jareth?” chiese comprensiva la sua accompagnatrice, i capelli mogano e l'abito lilla. Lui non rispose e incassò in silenzio. Si era giustificato troppo spesso dietro quella scusa.



Sarah continuò a cercare a lungo quell'uomo in marsina blu, dai capelli biondi spruzzati di ciocche dello stesso colore dell'abito e del bistro degli occhi. Era l'unico che non aveva riso vedendola. Lui e la sua cricca, gli unici in cui non suscitava ilarità ma dai quali proveniva quasi un senso di rifiuto. Tutto ciò la incuriosiva e voleva tentare di avvicinarglisi. Possibile che fosse stata tutta un'allucinazione, una propria illusione, una storia che si era raccontata per non sentirsi sola? Nemmeno si accorse di essergli passata davanti, nascosto com'era da un vaporoso ventaglio di piume di struzzo.



Jareth, sorridendo del desiderio che lei mostrava di trovarlo, si voltò in direzione diametralmente opposta. Girava per la sala come un predatore inquieto, tenendola sempre a portata di sguardo, senza farsi mai vedere. Godeva della sua vista ma non sapeva come comportarsi. Si ripeteva che l'attesa era essa stessa un piacere, logorante, nostalgico e languido. I suoi amici erano sempre nei dintorni, pronti a intervenire in caso lui l'avesse richiesto. Al suo passaggio la gente si inchinava in segno di omaggio ma lui neanche li degnava di un cenno del capo. Un'altra delle sue amiche, la mora in abito viola e bordeaux gli si aggrappò alla spalla, quando gli passò vicino, commentando positivamente la ragazza e la sua scelta. Jareth l'ascoltò e sorrise compiaciuto, senza però fermarsi. Poco dopo incrociò il ragazzino che, invece, gli rivolse parole di fuoco. “Sei un cretino!” sibilò velenoso aspettando di calamitare la sua attenzione. Jareth, infatti, perse la baldanza che aveva fino a un attimo prima e ripiombò nei meandri dei suoi pensieri più lugubri. L'altro fece per allontanarsi che Jareth, con poche falcate, lo raggiunse e gli sbarrò la strada.

Che vuoi dire?” ringhiò minaccioso

Quello che ho detto. Se ti piace tanto perché lasci che sia lo zimbello di tutti? O forse ti vergogni a far sapere al popolo magico che ti sei innamorato di un'umana e in così breve tempo?”

Non sono innamorato” tagliò corto lui, infastidito “In così poco tempo non ci si innamora...”

Certo certo...Allora sei solo infatuato. Non cambia niente!” borbottò l'altro seccato “La tua è magnanimità, vero Jay? Vuoi mostrarci la perla rara, pavoneggiarti. Ma non è merito tuo se lei è qui. E la scusa di volerla incantare nei suoi sogni per essere sicuro di vincere è patetica. Per non parlare del tuo volerla proteggere.” Jareth incassò, ancora una volta in orgoglioso silenzio, senza ammorbidire lo sguardo tagliente “E comunque lei non ti merita. E' in gamba, molto più di te che non hai nemmeno il coraggio di avvicinarti ora che ha dimenticato tutto. Non fai che giocare al gatto col topo. Anche adesso ti prendi gioco di lei. Guardati: come sorridi beato nel sapere quanto lei ti desidera! Ti stai comportando come un bambino viziato. Se dovessi scommettere su chi, tra voi due, vincerà questa partita, non esiterei un attimo a puntare su di lei!” Così dicendo piantò lì il sovrano dei Goblin e si allontanò. Jareth non si volse, puntò lo sguardo in lontananza, dall'altra parte della sala.

Il suo compagno aveva ragione da vendere. Lui stava solo scappando. Si fermò, in mezzo al vorticare di danzatori, e guardò verso Sarah: come lo cercava disperatamente, senza nascondere i suoi desideri. Una musica giunse a carezzarlo, infondendogli coraggio. Era una melodia che conosceva bene. Parole d'amore che a sua volta erano state rivolte anche a lui.***

C'è un amore così triste
Nel profondo dei tuoi occhi,
una sorta di pallido gioiello
Mostrato e nascosto nei tuoi occhi
Metterò il cielo nei tuoi occhi

So cosa ho lasciato per trovarmi confinato a Goblin City ma so anche cosa nasconde lei. I suoi occhi parlano del suo amore per me e di quello per suo fratello, due forze diametralmente opposte: una inconfessabile l'altra prepotentemente esposta. Le darò la libertà più grande, quando sarà mia, le darò tutto l'amore di cui ha bisogno e l'addolcirò, in modo che non possa più odiarmi

C'è un cuore così stupido
Che batte così forte in cerca di nuovi sogni
Un amore che durerà nel tuo cuore
Metterò la luna nel tuo cuore

Inspirò a fondo e prese la sua decisione. Affilò lo sguardo e individuò i suoi accompagnatori che si volsero, all'unisono, a guardarlo. Con gli occhi indicò la ragazza e con un cenno del capo confermò il suo piano. Immediatamente due dame, una delle sorelle dai capelli ramati e la bionda, gli furono accanto con gli specchietti stretti in mano mentre, in sala, l'altra rossa e la donna in viola e bordeaux, che aveva commentato la sua scelta, sgusciarono tra i danzatori, strette attorno all'altro uomo della compagnia, in modo da comparire davanti a Sarah. Nascosti dai ventagli e grazie anche alla distrazione della ragazza, che si era appena girata a cercare altrove con lo sguardo, Jareth e il suo amico effettuarono lo scambio. Gli comparve davanti fissandola senza esitare. Lei era evidentemente sbalordita di trovarselo davanti così improvvisamente. Ma ora, Jareth aveva preso una decisione, non sarebbe più fuggito, l'avrebbe affrontata. Era stanco delle troppe frecciatine che si lanciavano. Voleva chiarire le cose con lei, con se stesso, con gli astanti.

Quando il dolore si insinua
Non significa niente per te
Ogni fremito è passato
Non era poi così divertente
Ma ci sarò per te
Quando il mondo cadrà

Per entrambi il dolore ora non significa più nulla. Siamo più simili di quanto entrambi vorremmo ammettere. Lei è pronta a essere tradita in ogni istante. Ciò ha appiattito la gamma dei suoi sentimenti: niente più slanci, niente più follie. La ragione è l'unica cosa che tiene al sicuro entrambi. Quanto a me...ormai vivo nella noia più totale come punizione, in esilio. Cosa può ferirmi di più?

Dipingerò di oro le tue mattine
Prolungherò (4*) le tue serate romantiche
Sebbene ora siamo estranei
Abbiamo scelto il sentiero tra le stelle
Lascerò il mio amore tra le stelle

Abbiamo scelto? Non noi, ci siamo trovati costretti. Ma per lei sarei pronto a rinunciare anche al mio amore, quello che non mi ha mai tradito, la magia. Potrei quasi farmi mortale, per lei. Ma le cose devono andare diversamente e sarà lei a farsi immortale per me. Io l'ho scelta. Lei farà altrettanto? Se doveva giudicare dal suo comportamento e dal languore che l'animava a quel ballo, poteva davvero mettersi l'animo in pace.

Avanzò sicuro, la prese tra le braccia e lei lo lasciò fare, facendosi guidare nella danza. Alle sue spalle avvertì lo sguardo perplesso e stupito del ragazzino che gli aveva dato quella bella strigliata. Stranamente, nessuno li badava: erano una coppia come gli altri. Che lei fosse una giovane umana e lui il Re di Goblin che era stato sfidato non interessava a nessuno.

Quando il dolore si insinua
Non significa niente per te
Ogni fremito è passato
Non era poi così divertente
Ma ci sarò per te
Quando il mondo cadrà

Lo sguardo scivolò veloce sulla sua scollatura, guidato dalla preziosa collana che le illuminava la pelle. Lei se ne sarebbe accorta senz'altro, visto che non staccava gli occhi dai suoi. Eppure non disse nulla: non si offese né lo respinse. Forse era addirittura lusingata. Volteggiavano nella sala, mescolandosi alle altre coppie danzanti come se nella loro vita non avessero mai fatto altro.

Tutt'attorno, gli invitati cominciarono, però, ben presto, a vociferare. Ma non di riprovazione, come aveva temuto il re. Erano tutti incuriositi, quasi morbosamente, dall'identità di quella che ora era, palesemente, la preferita del sovrano. L'avevano osservata, studiata, derisa, in quanto creatura esotica . Ora volevano indagare ancora più a fondo per capire cosa vi fosse di così speciale in lei da catturare l'attenzione di un partito così ambito. Danzando con lei a quel modo, Jareth aveva comunicato a tutti la sua scelta e tutti, allora, volevano vedere meglio, con occhi nuovi, la sua fantastica regina.

Sarah si accorse subito di quegli sguardi indesiderati e cominciò a innervosirsi, sovrapponendo ad essi gli sguardi cattivi che aveva ricevuto a inizio serata. Jareth, però, non la mollava e, anzi, la strinse ancora di più a sé cercando di calmarla. Eppure ora leggeva in lei solo confusione, si era resa conto che doveva esserci qualcosa di sbagliato in tutto quello. Ormai, come nelle migliori delle fiabe, erano all'apice della tensione che sarebbe culminata col bacio di rito. Ma anziché sfociare in un “vissero felici e contenti”, la situazione stava degenerando in paura.

L'orologio a parete, che lui aveva inserito nella scenografia per sapere sempre a che punto del gioco fossero, cominciò a battere la dodicesima ora. Fu la molla che fece scattare la ragazza. Che fosse perché si fosse ricordata della sua missione, cosa assai improbabile, che fosse perché a mezzanotte qualunque Cenerentola doveva fuggire, che fosse perché si sentiva troppo a disagio in mezzo a quell'orgia di gente sconosciuta in maschera o per chissà quale altra ragione, Sarah lo guardò prima allarmata quindi terrorizzata.

Gli diede uno strattone e si liberò dal suo abbraccio. Si trovò assediata dagli altri invitati che erano rimasti interdetti dal suo gesto così poco grazioso. Si fece rapidamente strada, fendendo, non senza difficoltà, quel mare umano infagottato in ingombranti crinoline. La sorpresa era evidente sul volto di tutti i presenti che, rimasti sconcertati da quanto stava accadendo, impiegarono qualche secondo a reagire alla sua fuga. Le urlarono di tornare indietro, che non avevano cattive intenzioni, che non poteva andarsene così, lei che era l'anima della festa attorno a cui ruotava tutto. Tesero le mani spasmodicamente per cercare di afferrarle anche solo un lembo del vestito e, assiepati com'erano, si intralciarono a vicenda nel tentativo di raggiungerla. Ma lei era già lontana e, forte della sua giovinezza e del suo essere una ragazza di carattere, se n'era fregata del bel vestito e si era messa a correre per la sala come se fosse stata in jeans e scarpe da ginnastica.

Jareth era rimasto imbambolato per tutto il tempo. Si era sottratta a lui e l'aveva respinto. Perché si era comportata così? Come doveva comportarsi ora? Il suo rifiuto bruciava come nulla era stato capace fino a quel momento. Lui si era esposto, per lei, si era fatto vedere da tutta l'alta corte, aveva gettato la maschera, le aveva praticamente dichiarato un intento d'amore e lei...lei non solo si era allontanata ma aveva letteralmente calpestato tutto quello. Si sentiva girare la stanza attorno, prossimo a un calo di pressione, una sensazione come quella che doveva aver provato Sarah prima di venir intrappolata nel ballo. La vista si appannò e decise che era il caso di scomparire e tornare al castello: le intenzioni di Sarah erano chiare.

Cercando la via di fuga, scostò la tenda, da cui era certa di essere entrata e andò a sbattere contro una superficie opalescente e a specchio. Alle sue spalle, intanto, la folla era riuscita a districarsi e la stava raggiungendo. Per un qualche inspiegato motivo, sentiva di dover fuggire da lì. Vide una sedia, lì vicino, e decise che se quella, un vetro, era la sua via di fuga, l'avrebbe infranto e sarebbe stata libera.



*Il mondo classico greco e romano era indifferente al colore blu di cui non avevano una precisa traduzione per il termine al punto da far credere che gli antichi non ne avessero percezione fisica. Non veniva considerato un colore a sé stante, ma variazioni ora di bianco, ora di verde, ora di nero: il termine Glaukos comprendeva una vasta gamma di sfumature, che andavano dal blu, al verde, al miele, al grigio; Cyanos, il blu greco, è il colore della sofferenza: "cianotico" è una persona pallida, sofferente; Coeruleus, il latino azzurro, è un'altra parola per dire bianco; il vocabolo serve infatti a descrivere il colore della cera; in sanscrito la parola Nila significa sia nero che blu.

La regalità era rappresentata dalla porpora e l'oro, mentre il blu era il colore barbaro dei Celti e dei Germani e largamente usato nella cultura orientale (si pensi al blu dei mosaici bizantini, al blu della porcellana cinese, al “blu egizio” conservato nei musei, etc. Inoltre, in Oriente era considerato positivo e protettore contro il malocchio; gli occhi blu, inoltre, si ritenevano segno di poteri magici non sempre positivi). Per tale ragione le parole che indicano questo colore, blu e azzurro, sono di origine germanica la prima (blavus da blau), di origine araba la seconda (azureus da lazaward).

Il Medioevo rivalutò il blu a partire dal XII secolo associando al colore le proprietà divine di bellezza e ricchezza adatte a venerare Dio. Contemporaneamente il colore viene sempre di più assimilato alla Vergine e a Cristo. Inoltre, il blu era diventato anche il simbolo del re di Francia, oltre che del leggendario re Artù: ancora una volta, comunque, c'è l'assimilazione del concetto blu-divino-regale



**Visto che farlo spiegare a Jareth sarebbe stato un po' complicato e pesante, vi scrivo il simbolismo da cui ho tratto le mie conclusioni, discutibili e del tutto arbitrarie.

La maschera, ornamento simbolico delle divinità, degli officianti, degli stregoni e degli attori, è caratterizzata da un simbolismo ambivalente. In assoluto, essa ha la funzione di proteggere la persona per permetterle di agire impunemente, di conservare l'anonimato, la sua identità, o la sua neutralità. In questo senso, la maschera ha lo stesso significato del guanto, in quanto impedisce di appropriarsi della conoscenza, della verità, del mistero. […] Come vale anche per le maschere di carnevale, la persona, dissimulata sotto la maschera, ritrova una libertà assoluta. […] Di conseguenza se da un lato dissimula, dall'altro può paradossalmente avere una funzione rivelatrice. […] Essa evoca di conseguenza l'atteggiamento difensivo e ingannevole e solo quando cade la persona appare in tutta la sua verità. […] Ha la funzione di bloccare le emozioni in modo permanente, di mettere l'attore nel suo ruolo isolandolo dalla sua identità personale.” fonte già citata.

Ovvero: Jareth non recita più la parte del malvagio (la sua maschera è quella del demonio) ma si mostra per quello che è.



*** Qua ho forzato la cosa, ma il soggetto della lirica non è proprio chiarissimo, quindi ho fatto in modo che potesse sembrare ambivalente, sia adatto a Sarah come a Jareth

4*to spin: ruotare , agitare ma anche -soprattutto- PROLUNGARE. E se prendiamo lo spin fisico si tratta, più che di rotazione, di rivoluzione....



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Ok, scusate l'ennesima anticipazione ma ero sotto ricatto XD (se non postavo, Jess non mi spoilerava, quindi... ç_ç abbiate pietà di me e della mia curiosità)

Nota...ho detto che i partecipanti vestono abiti particolari. In realtà ciò che mi ha fatto pensare ad abiti settecenteschi sono gli uomini: Jareth veste la classica tenuta completa di pantaloni e redingotte dell'ottocento, frutto della rivoluzione francese e della moda inglese, più pratica e sobria. Ad occhio esperto risulta evidente che le dame non vestono proprio quello che ho scritto (i costumi sono un po' un mix com'era uso negli anni '80) ma se gli uomini vestivano in un modo le donne dovevano per forza adeguarsi ;) e poi Sarah veste effettivamente un abito ottocentesco...quindi una minima libertà interpretativa ci sta tutta.

E niente bacio! Mi dispiace..non ce l'ho proprio fatta a inserire anche solo il tentativo, come viene scritto nel libro. ç_ç

Tutto sommato ero contenta di questo capitolo...rileggendolo per l'ultima correzione, invece, mi sembra sciapo, privo di tensione...

Spero vi sia piaciuto lo stesso. Eventualmente, più avanti, lo rivedrò e capirò dove correggerlo...

Per il resto..ragazzi..mancano 2 capitoli e poi l'avventura si conclude. :( comincio già a provare nostalgia...

A presto!

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Capitolo 13
*** Gli ultimi ostacoli ***


  1. Gli ultimi ostacoli







Sarah sognò di precipitare a lungo in un vorticare di drappi, piume e perle. Quando si risvegliò giaceva tra cumuli di rifiuti. Nella mano stringeva ancora la pesca che le aveva dato Hoggle. Aveva creduto fosse il gesto di un amico che cerca di alleviare la sofferenza di un'affamata. Ma lei, di tutto quello che era successo prima del ballo, non ricordava nulla. Fissò la pesca, domandandosi come mai la stringesse in mano mentre dormiva. Un vermetto ne strisciò fuori e, disgustata, la lanciò lontano.

Si alzò pesantemente, appoggiandosi a qualcosa, o qualcuno, che protestò violentemente per quel gesto poco accorto. Una montagna di vecchi oggetti anneriti dal tempo e amalgamati assieme si volse ad affrontarla. Sotto quel peso, una vecchia grinzosa la rimbrottò “Perché non guardi dove vai, ragazzina?”

Stavo guardando...” rispose Sarah confusa: non era una persona approssimativa.

E dove stai andando?” chiese ancora la vecchia, insistente. Attorno a loro, altre creature simili vagavano in quella landa desolata in cerca di oggetti perduti.

Non me lo ricordo...” ammise la ragazza dopo un attimo.

La donna coperta di rifiuti parve allarmarsi, ma Sarah non sembrò notarlo “Non puoi guardare cosa fai se non sai dove andare” borbottò la vecchia. Sapeva chi era Sarah e sentiva il suo potere, libero e più incontrollato di prima.

Stavo cercando qualcosa...” disse Sarah: era la sua unica certezza. L'altra allora le mostrò il suo peluche preferito, Lancillotto. Sarah era sempre più confusa. Sì, aveva dimenticato il suo amico, ma era certa di averlo fatto solo momentaneamente e di averlo accantonato per qualcosa di più importante. Ringraziò comunque e la donna, allora, la invitò a cercare l'oggetto del suo errare dentro una tana tra i rifiuti dove lei stessa aveva, a suo tempo, trovato tutto ciò che cercava.



Hoggle, dopo aver consegnato a Sarah la pesca ed aver maledetto se stesso e il suo re, si era rifugiato proprio in quel posto squallido e desolato. Si era auto-inflitto il castigo: venir dimenticato, abbandonato tra le cose inutili. Sarah non l'avrebbe mai più voluto come amico. Aveva tradito la sua fiducia più volte...ma consegnarla nelle mani del proprio nemico era stata la cosa peggiore che potesse fare. Era stato costretto, si giustificò. Ora era libero di agire. Ma per far cosa? Lei era ormai prigioniera e Jareth avrebbe vinto la sua sfida: l'avrebbe avuta come regina anche contro la sua volontà. Non poteva perdonarsi lui, figurarsi se poteva farlo Sarah.

Poi la vide*. E capì al volo cosa potesse essere successo e capì anche che era in pericoli ancora più grandi di quanto non fosse stata fino a quel momento. Doveva aiutarla. Lei forse non avrebbe voluto ma lui ne sentiva la necessità. Non tanto per pareggiare i conti ma perché le voleva bene. Quindi scattò ad anticiparla, percorrendo strade che solo lui, in quanto giardiniere reale, poteva conoscere.



Nel frattempo Sarah si era trovata sbalzata direttamente in camera sua. Si era buttata pesantemente nel letto, esausta. Si era domandata se non fosse stato tutto un sogno. Era stato tutto così reale. Che si fosse immaginata la vecchia che la invitava a entrare in camera sua? E il ballo? Quell'evento inebriante, gli abiti sontuosi e quell'uomo così affascinante?

L'occhio le era scivolato sulla sveglia sul comodino. Segnava le 23.35. Il padre avrebbe dovuto rincasare a momenti. Aveva deciso di scendere al piano terra ad aspettarlo. Ma una volta aperta la porta, la donna, che credeva appartenere alla sfera onirica, l'aveva spinta nuovamente all'interno. Nonostante la paura, o forse proprio mossa da questa, aveva preso dalle sue mani i giochi che lei le passava, alla ricerca di quel qualcosa perduto dalla ragazza. Sarah l'aveva lasciata vagare per la stanza mentre lei tornava alla sua amata toeletta, il luogo in cui riusciva a ragionare meglio, guardando la propria immagine riflessa. La donna aveva continuato a passarle oggetti e ad ammonticchiarglieli sulle spalle, ritenendo che fossero tutti ricordi da conservare gelosamente e da portare sempre con sé.

Qui c'è tutto ciò di cui hai bisogno” aveva gracchiato felice quell'essere grottesco.

Più ci pensava, più non le tornavano i conti, finché lo sguardo non le era caduto sul libretto rosso che tanto amava. Aveva aperto alla pagina segnata, la parte che aveva sempre avuto difficoltà a memorizzare. Che la risposta potesse trovarsi lì? Se ciò che aveva detto la donna era vero, allora la risposta alla sua domanda “Cosa sto cercando?” doveva trovarsi in quella stanza. “Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin per riprendere il bambino che tu hai rapito.” Qualcosa le diceva che era sulla strada giusta. Lentamente le tessere del Puzzle stavano andando al loro posto.

Questa è tutta spazzatura!” aveva borbottato, illuminandosi. La vecchia la stava trasformando in un essere mostruoso come lei, caricandola di ricordi che sarebbero andati naturalmente dimenticati. Non tutti i ricordi erano utili, si era detta Sarah. Era umanamente impossibile ricordare tutto e si conservava solo ciò che serviva davvero. Tenere tutto a mente avrebbe rischiato di farla soffocare e di non farla crescere. Sarebbe rimasta intrappolata lì per sempre. Al momento lei non voleva tutto quello. Erano una parte importante della sua vita, ma non così importante. Non importante come...come cosa? Chi?

In un gesto, che le era sembrato disperato, la vecchia le aveva porto il carillon con la ballerina. Quando l'aveva avuto tra le mani, il ricordo dell'esperienza appena vissuta le si era ripresentata prepotentemente. L'uomo tanto affascinante che aveva incontrato, che le aveva giurato il suo amore, altri non era che quel subdolo imbroglione di Jareth. Aveva giocato coi suoi sentimenti, pescato a piene mai dal suo bagaglio onirico: aveva fatto di tutto per ingannarla e ostacolarla. Non l'avrebbe mai perdonato. Quel dannato mago malefico si era concentrato sul suo punto debole: sul suo bisogno di protezione, amore ed esclusività. Doveva ringraziare il suo sesto senso e i troppi tradimenti subiti che l'avevano resa istintivamente allergica a certi giuramenti: da che la madre se n'era andata aveva giurato a se stessa che mai si sarebbe innamorata, né si sarebbe lasciata influenzare dalle parole di un uomo. I sentimenti ingannavano, rendevano ciechi davanti alla realtà e non portavano altro che dolore.

Mi piacerebbe se avessi un appuntamento...Dovresti averne alla tua età...” Le aveva detto la matrigna la sera stessa che era iniziata quell'avventura. Ricordava con precisione come si era sentita quando proprio quella donna le aveva rivolto quelle parole. “Ma che ne sai di quello che provano i figli, in tutta questa situazione? Voi adulti pensate solo a voi stessi, che sia un vostro diritto sacrosanto innamorarvi e intromettervi nelle vite altrui come adolescenti guidati dagli ormoni. Quello posso pure tollerarlo...ma non accetto che tu ficchi il naso in faccende che sono solo mie e di mio padre. Tu sei un'estranea e lo sarai sempre.” Quella squinternata egoista avrebbe voluto che Sarah fosse un'irresponsabile? Che diventasse una stupida oca come lei, che se ne fregava dei sentimenti altrui? No. Lei non avrebbe mai fatto quell'errore.

Per quanto lusingata e affascinata potesse essere da un uomo, si disse, probabilmente sarebbe sempre scappata in quel modo, avrebbe sempre fuggito una felicità illusoria, destinata a non durare nel tempo per i più svariati motivi. Illusoria quanto quel ballo, che era stato tutta una farsa.

La rabbia l'aveva travolta, facendole scagliare lontano quell'inutile oggetto. Tutto era destinato a finire, prima o poi. Ma le cose importanti avevano la precedenza su quelle effimere: i sogni erano passeggeri, gli amori e le amicizie lo erano altrettanto. La vita stessa non era eterna. Ma la famiglia...quella per lei era sacra. E già non gliene rimaneva che un pezzo solo. “Devo salvare Toby!” aveva urlato mentre le pareti di quella specie di bunker crollavano, quasi sotto la spinta del proprio volere distruttivo.

Si era aperto un varco tra quei cumuli di immondizia e dall'esterno aveva sentito le voci di Didymus e Ludo che, presto, l'avevano aiutata a uscire.

Dove siamo?” aveva chiesto, allarmata dal nuovo chiarore del cielo. Doveva essere l'alba di un nuovo giorno, a Goblin City.

Siam quasi giunti, milady...” l'aveva informata il cavaliere “Quelli sono i cancelli della Città di Goblin” Dovevano affrettarsi: non doveva mancare molto tempo.



Se in un primo momento si era limitato a guidarli verso il castello, ora Didymus, che aveva capito di essere stato in qualche modo giocato da Jareth, si era improvvisamente trasformato in un valoroso guerriero: voleva a tutti i costi aiutare la gentile fanciulla che aveva affrontato tanti pericoli per riprendersi il fratellino. Anche il fatto che si fosse pentita delle parole dette e avesse riconosciuto il proprio errore, la rendeva ancora più degna, ai suoi occhi, in quanto l'accettazione delle proprie debolezze era la cosa più difficile. Era quindi inferocito e voleva essere riammesso seduta stante nella città, mentre la guardia che doveva vigilare sull'ingresso dormiva fragorosamente.

Sarah lo obbligò al silenzio e ad allontanarsi dalla porta. L'unica preoccupazione che, al momento, affollava la testa dello scoiattolo era il proprio onore: temeva che il silenzio, rispetto all'agguerrito baccano, fosse segno di viltà. Ma se era lei a chiederglielo, lui avrebbe ubbidito. Anche Didymus, infondo, non desiderava altro che venissero riconosciute le proprie qualità, il suo valore, il suo coraggio e il suo fiuto acuto, come lei desiderava venissero riconosciuti gli sforzi per accettare una situazione familiare disastrosa. Mentre Sarah calmava il piccolo cavaliere, Ludo, grazie alla sua mole, riusciva ad aprire il passaggio senza sforzo.

Non capisco perché dobbiamo fare tanto silenzio...è solo la città di Goblin” protestò quello, dopo aver docilmente obbedito alla richiesta della sua dama che, intanto, aveva preso il Troll gentile per mano per infondergli coraggio. Il suo cervellino ragionava in modo consequenziale: i Goblin erano stupidi e il baccano non li allarmava né li disturbava.

Stavano avanzando piano e silenziosi quando il cancello alle loro spalle si chiuse e un secondo, davanti a loro, si serrò, rigurgitando la figura di un minaccioso golem meccanico. Non solo, alle loro spalle erano spuntate fitte palizzate piantate trasversalmente sul terreno per infilzare chiunque fosse arretrato nel tentativo di scappare dal bestione. Erano mura difensive nel senso letterale del termine: ecco perché la guardia poteva permettersi il lusso di dormire. A parte Sarah, che doveva esser stata data per spacciata, chi mai avrebbe potuto desiderare invadere la città?

Mentre il Golem si armava di un'immensa ascia bipenne, cominciando a fendere l'aria davanti a sé, Didymus venne disarcionato da Ambrosius con il quale cominciò una fitta discussione, fatta di rimproveri, minacce e trattative. Sembrò non far quasi caso a quello che avveniva alle sue spalle.

Fu in quel momento che Hoggle comparve sulla merlatura del muro di cinta e saltò sulla testa del Golem, scoperchiandola. Il pilota dello stesso sembrò infastidito, più che sorpreso, di trovarselo di fronte. Quando il nano lo sollevò di peso dal posto di comando per buttarlo fuori dalla cabina di pilotaggio, lo smarrimento e il terrore invasero il piccolo Goblin. Dopo non pochi tentativi, Hoggle, più che fermare la macchina, l'aveva mandata in corto, facendola esplodere. Prima che saltasse in aria, si era buttato dalla macchina infernale ed era atterrato in malo modo al suolo.

Sarah gli corse subito incontro, preoccupata.

Hoggle, stai bene? Sei ferito?” Chiese allarmata.

Lui la scansò bruscamente “Non chiedo di essere perdonato. Non mi vergogno di quello che ho fatto. Jareth mi ha ordinato di darti quella pesca. Pensa quello che vuoi. Te lo dissi che ero un codardo e non avevo il minimo interesse per le amicizie.” Fu onesto a informarli così apertamente, pur non guardando nessuno negli occhi. Sarah capì che in realtà Hoggle provava tutto il contrario di quello che stava dicendo: si vergognava, il suo giudizio gli importava eccome e voleva avere degli amici. Nessuno dei tre compari, alla fine, ce l'aveva con lui: Sarah gli perdonò il tradimento e gli rese anche i suoi preziosi gioielli, che con lei non erano stati poi molto al sicuro, Didymus ne elogiò il coraggio e Ludo... Beh, Ludo era amico di tutti. Incredulo e sollevato, il nano si rimise in piedi pronto a dare battaglia a quello che ora era diventato un ratto incoronato re.



Jareth stava seduto, svaccato come sempre, sul suo trono, Toby in braccio, cullato amorevolmente, quando le urla disperate dell'ufficiale di picchetto lo costrinsero a distogliere lo sguardo dal suo frugoletto “Vostra Altezza!! La ragazza...!”

Quale?” disse mostrandosi allegro: era questione di minuti perché Toby diventasse ufficialmente uno di loro.

E...” cominciò l'altro non sapendo da che parte iniziare ma con la premura nella voce di sbrigarsi a riferire il proprio messaggio “La ragazza che aveva mangiato la pesca e dimenticato tutto...”

A sentir nominare Sarah, Jareth si oscurò, depresso. Lo sapevano tutti, non doveva far meraviglia. E sapevano anche come lei lo avesse scaricato, piantato in asso davanti a tutta l'alta corte magica.

Lei non lo voleva.

E allora che affogasse dove le era capitato di cadere, che fosse la Palude o l'Isola dei Sogni...a lui non importava più. O avrebbe dovuto? Stava così male da non riuscire a pensare a nient'altro che al suo dolore “Cosa c'è al riguardo?” si informò cercando di tenere gli occhi fissi sul messaggero e la voce salda anche se si rendeva conto che la propria bocca era contratta in una smorfia di tristezza.

E' qui con un mostro e Sir Didymus e il nano che lavorava per te” rantolò il Goblin affannato

Cosa?” Jareth scattò in piedi. Aveva capito bene? Ma... com'era possibile?

Hanno oltrepassato i cancelli e sono sulla strada per il castello” Spiegò l'altro il più sinteticamente possibile.

Fermatela! Chiamate le guardie!” Ordinò tagliente come se fossero un branco di imbecilli che non afferravano quali fossero le priorità. “Prendi il bambino e nascondilo” disse poi a un altro luogotenente Goblin, passandogli Toby, mentre l'informatore cominciava a urlare a tutti di correre fuori “Deve essere fermata! Fate qualcosa!”

Corse alla finestra per studiare la situazione.

Il gruppetto, in effetti, avanzava guardingo tra i sentieri della città. In breve tempo, li vide venir circondati e caricati da cavalleria e fanteria. I quattro, però, riuscivano a evitare gli assalti, sfuggendo ora in un vicolo, ora dentro una casa, nascondendosi dietro un muretto o dietro una fontana, fino a quando il Troll non invocò le sue dannatissime pietre e in un sol colpo ripulì la città di tutte le creature armate e bellicose che li inseguivano**.



Quando la strada fu sgombra, si affrettarono a guadagnare il portone del castello che il Night-Troll spalancò con relativa facilità. Fuori dall'ingresso erano ancora poggiate due bottiglie di latte fresco per Toby che nessuno, nella confusione, si era ricordato di ritirare.

Sarah corse a perdifiato seguita dai suoi amici, scegliendo a istinto il corridoio che, fortunosamente, l'avrebbe condotta dritta alla sala del trono. Quando vi entrò, la studiò rapidamente, trovandola spoglia, squallida e nel più totale disordine. La identificò nel suo ruolo solo osservando attentamente lo scranno circolare al di sopra del quale, avvolto nelle spire di quattro stendardi a fiamma, stava la corona reale su cui avevano nidificato le galline. Sulla parete accanto alla finestra, da cui si poteva osservare la città, notò, con orrore, un orologio meccanico che indicava che le erano rimasti pochi minuti. Pensava di essere riuscita a evitare la battaglia nel cuore della città in molto meno tempo: là, infatti, l'ultima volta che aveva adocchiato l'orologio nella piazza principale, in cui era tornata a più riprese nel tentativo di avanzare e venendo sempre respinta, le rimaneva ancora un quarto d'ora abbondante. Disperata, si guardò intorno finché scorse, alle proprie spalle, la scala che si avvolgeva in un angolo isolato della sala: se non l'avevano incontrato nel percorso d'avvicinamento, lui non poteva che esser scappato di là.

I suoi accompagnatori si precipitarono alle sue calcagna ma lei li fermò: doveva andare da sola. “Perché così va fatto!” disse senza ammettere repliche. Come aveva capito che la vita poteva e doveva essere ingiusta, aveva finalmente capito, anche, che in certe occasioni ci si può avvalere dell'aiuto degli amici ma anche che per certe faccende, come quella che riguardava solo lei, Jareth e suo fratello, bisogna avere il coraggio e la capacità di affrontarle autonomamente.

Se dovessi aver bisogno di noi...” protestarono i tre.

Chiamerò!” promise lei afferrando il fatto che erano ormai giunti agli addii. Mancava poco tempo e quella sarebbe stata l'ultima volta in cui li avrebbe visti. Sperava, in cuor suo, che l'invito che le avevano rivolto potesse essere valido anche per il futuro, una volta che lei fosse tornata nel suo mondo e non solo, limitatamente, a quegli ultimi minuti “Grazie, a tutti voi” disse voltandosi a malincuore per riprendere la caccia.



Quand'ebbe svoltato l'angolo in cima alla scalinata si ritrovò davanti uno spettacolo sbalorditivo: si era affacciata in un punto imprecisato di una versione reale, tridimensionale e praticamente impossibile da risolvere, della Relatività di Escher, di cui lei aveva una riproduzione appesa sopra il suo letto. Pareti, soffitto, pavimento...non c'era un sotto e non c'era un sopra. Alzando lo sguardo ci si trovava a guardare un altro pavimento, quasi si stesse sbirciando da una fessura nella pavimentazione del piano superiore. Si avviò, a caso, su e giù per quelle scalinate.

Giunta a una sorta di vicolo cieco si arrestò e cercò di sbirciare al piano di sotto. Ma come se si stesse riflettendo in una pozzanghera vide la figura di Jareth sbucare, rovesciata, ai suoi piedi. Sobbalzò per lo spavento. La figura, in nero e rosso, come il rancore, si muoveva con agilità tra un piano e l'altro comparendo ora sulla parete davanti a lei, piantato parallelamente al suolo, ora alle sue spalle, avanzando fino a trapassarla, quasi fosse stato un fantasma. Anziché fuggirgli, però, lei cercava di inseguirlo nei suoi spostamenti erratici.

Come hai rivoltato il mio mondo, tu cosa preziosa

Mi affami e quasi mi consumi

Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per te

Non muovo le stelle per nessuno

L'ho fatto per averti e ancora non basta. E ora guardati...tu stessa hai percorso questo mondo rivoltato per ritrovarlo. Eppure ora segui me nonostante tu sia a un passo dalla vittoria. E non lo fai sperando che ti conduca al tuo traguardo. E' chiaro come il sole che quello che ho visto, lampante, nella sala da ballo non era un'allucinazione. Ma allora perché...?

Hai corso così tanto

Hai corso così lontano

Hai reso possibile l'impossibile, hai affrontato mille pericoli e tutto per lui! Ora, però, potresti arrenderti, tanto, non ce la farai mai...lasciati vincere. Ti sei già dimenticata nuovamente di lui. Non c'è alcun divertimento nel farsi inseguire in questo modo. Ne avrebbe solo se, posta davanti all'alternativa, tra noi scegliessi me.

Jareth estrasse una sfera dal nulla e la piazzò davanti a sé. Quel piccolo globo luminoso ne enfatizzava gli occhi spaiati. Eppure non sembrava la solita offerta: non le stava offrendo i suoi sogni. A Sarah, incerta su come comportarsi, sembrò quasi arrabbiato: le mostrò l'oggetto del suo cercare e poi, quasi per dispetto, con un gesto carico di livore, lo scagliò lontano. Rimbalzando, in uno scampanellio assordante, il piccolo cristallo trotterellò fino a risalire nelle manine di Toby.

I tuoi occhi possono essere così crudeli

Esattamente come io posso essere così crudele

Nonostante io creda in te

Sì, davvero

Come hai rivisto Toby ti sei dimenticata nuovamente di me. Nella tua testa c'è spazio solo per uno di noi. Se pensi a me, dimentichi lui e viceversa. Va pure a prenderti il tuo caro fratellino, se ci riesci. Prova a raggiungerlo! Eccoli. I tuoi sogni e tuo fratello: tutto assieme. Quale vuoi dei due? Entrambi? Nessuno? Qualunque cosa tu voglia, deciditi una buona volta e opera la sua scelta. E se sceglierai i sogni, io ne farò parte. E' inevitabile, ormai. Io li ho contaminati. Ma credo in te, mi fido di te: ho visto di cosa sei capace e so che arriverai in tempo. Ma questa volta sarà diverso: non ho mai promesso che sarebbe stato uno scontro leale. ” Gettando lontano una delle sue sfere di cristallo, le aveva indicato di proposito dove si trovasse il fratellino e le aveva ricordato quale fosse il suo obiettivo, là dentro. Da quel momento la sua corsa divenne quasi folle inseguendo il marmocchio ovunque si spostasse. Ma non aveva le capacità del mago né l'istinto e la duttilità mentale del neonato: continuava a ragionare in termini di logica terrestre dove il sotto e il sopra erano due cose separate. Appostato in disparte, Jareth osservava in pena come la ragazza cercasse disperatamente di raggiungere il bambino. Non cercava più lui, non era nemmeno minimamente combattuta. Con la mano guantata sfiorò il proprio emblema, posto giusto sulla bocca dello stomaco. Ora era dorato. Lo osservò senza vederlo realmente, preso dai propri pensieri: in un primo momento lei lo aveva seguito e se ne era compiaciuto. Ma nel confronto diretto col fratello lui, il re, giaceva sconfitto al secondo posto. Come si era ricordata di Toby, non più sviata dai suoi occhi azzurri spaiati, l'aveva completamente accantonato. “Dov'è che ho sbagliato? Perché, giunti a questo punto, ancora mi ignori? So che non lo fai di proposito, come d'altronde non lo faccio io ma... preferirei essere bersaglio del tuo odio e del tuo disprezzo. Sono così anonimo ai tuoi occhi? Al punto di non meritare un minimo di considerazione? Io so essere crudele, dovresti averlo capito. Ma tu non sei certo da meno. Ancora mi domando perché non riesco a ottenere la stessa ammirazione da te? Perché non mi stimi almeno un po'? Eppure è chiaro che in qualche modo ti attraggo ma...perché la cosa per te non va oltre? Lasciati guidare dai tuoi sensi e scegli me.” Non mancava poi molto tempo: forse sarebbe riuscito a vincere...

Vivere senza la luce del sole

Amare senza il tuo batticuore

Si, si può fare.. ma sarebbe un'esistenza triste e squallida. Perché non vuoi restare? Potrei rivoluzionare questo posto per te e renderlo come tu vuoi, la più accogliente delle dimore.

Io non posso vivere in te

Già. Non posso. Non ancora, per lo meno. Io non sono nei tuoi pensieri. Non se c'è lui....Sarah...



E poi, la vide saltare, in un tentativo, per lei disperato, di raggiungere il bambino. Al di là del ragionamento sbagliato, ce l'avrebbe fatta a raggiungerlo e Jareth si vide costretto a intervenire. Doveva distrarla per una manciata di minuti ancora e condurla in un luogo senza uscita. Quello stesso luogo, dalle mille uscite, sarebbe stato perfetto.











* Si. È un intermezzo un po' a schifo..lui la vede ma non entrare nel buco, bensì uscirne....

**Vorrei far notare come (secondo me!) i Goblin sembrino essere particolarmente interessati a Sir Didymus e ho la mia teoria: Didymus era il campione indiscusso (viene nominato per nome dall'ufficiale di picchetto quasi fosse uno di loro, a differenza del nano che “lavorava”)e, finalmente dalla parte del nemico, i Goblin possono sfidarlo a una giostra, o circondarlo tutti assieme. Prima se la dovevano “mettere via” che fosse il migliore, ora possono in qualche modo tentare di vendicarsi (tant'è che non lo mollano dopo la sua prima vittoria e si fanno avanti in gruppo). Inoltre, dopo essere andato a sbattere COL NASO contro la trave, se lo sfrega e da una potente annusata/sniffata...che abbia recuperato il proprio fiuto??





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Ciao a tutti,

Pubblico adesso perché nel wend ho, in successione, un test e una prima parte di trasloco...quindi.... :/

Che dire? Siamo ai titoli di coda. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Spero vi sia piaciuto. Era un capitolo lungo e complesso (ma non volevo descriverlo nei dettagli, così come ho fatto per batacchi e Firey) e l'ho rivisto più volte. Ma non ne son proprio soddisfatta..

Per il sequel (sì, ci sarà un sequel, se vorrete) aspetterò, però, i primi di febbraio, così avrò buttato fuori tutti gli esami e sarò tranquilla.

A presto.



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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Ed eccoci arrivati all'ultimissimo capitolo. In realtà volevo fare in modo di stare nei 13 capitoli ma il primo introduttivo ha sballato i conti...In ogni caso le ore non erano comunque 13 ma non importa: mi piaceva l'idea.

Dunque, prima di lasciarvi alla lettura vi dico solo una cosa. Noterete che ho cambiato un po' le cose rispetto al film. Nulla di grave: avrei voluto lasciare per ultima la scena incriminata (capirete) ma finiva un po' a schifio...quindi ho preferito lasciare il finale originale e rendere tutta la parte conclusiva un po' più verosimile, come spiegherò più avanti. Perché tutta quella nostalgia dopo solo 5 minuti dalla fine di tutto mi è sempre sembrata un po' strana e forzata...ma si sa che per esigenze varie nei film si condensano mille discorsi in una frasetta e anni in un fotogramma. E io ci tenevo a mostrare la nuova Sarah e la sua probabile reazione dopo tutta questa storia.

Spero non vi disturbi troppo...sennò, saltate a piè pari :)

Buona lettura.

DR







14. Epilogo











Il salto di Sarah sembrò durare molto più di pochi istanti. Attorno a sé le pareti di quella sala erano in frantumi e galleggiavano in un vuoto cosmico oscuro. Si rese conto di non aveva alcuna via di fuga. Eppure, nonostante la situazione si fosse fatta spiacevole proprio in quel momento, non era angosciata. Per un attimo, la curiosità per il nuovo luogo ebbe la meglio sulla sua urgenza e la spinse a studiare bene quel posto nel tentativo disperato di imprimerselo nella memoria. Sotto un arco, ancora miracolosamente in piedi, la figura di Jareth fece timidamente capolino, illuminando le tenebre tutt'intorno. Era, stranamente, vestito di bianco, con un mantello leggero e lanuginoso che ricordava il manto di qualche animale. Qua e là qualche lunga penna sbucava rigida dall'insieme. Guanti e stivali erano anch'essi chiari e il medaglione che gli pendeva al collo sembrava aver cambiato la propria composizione: era, ora, un falcetto dorato con incastonato un disco argentato.

Dammi il bambino” disse lei non appena lui comparve sotto l'arcata.

Jareth avanzò a passi misurati, sicuro, quasi annoiato da quella richiesta, sempre la stessa. “Sarah bada a te, sono stato generoso fino a questo momento. Ma so essere crudele.” l'ammonì, per nulla sorpreso di quella distruzione, quasi fosse stato lui a crearla per toglierle ogni via di fuga. Nonostante tutto, il suo viso appariva tirato e stanco e Sarah ebbe l'impressione che sotto i begli occhi si fossero disegnate delle pesanti occhiaie.

Generoso? Cosa hai fatto di generoso?” chiese lei con tono di scherno nella voce, interrompendo la sua recita: quell'uomo la esasperava. Le sembrava di avere a che fare con un bambino troppo cresciuto.

Tutto. Tutto!” Replicò lui, furente, le labbra, ora dorate anch'esse, piegate in una smorfia. Subito, però, si addolcì “Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto che il bambino fosse preso e io l'ho preso.” Spiegò cominciando a girarle intorno come un rapace che attende la morte della preda agonizzante “Tremavi davanti a me e io mi facevo più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del tempo e ho messo sottosopra il mondo intero e tutto questo io l'ho fatto per te. Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti. Questo non è generoso?” Domandò alla fine, fermandosi nel suo circolare erratico.

Sarah lo guardò scettica. In realtà, pensò confermando il suo scetticismo, non solo le sue richieste, come rendergli il fratello, non l'avevano minimamente scalfito; non solo lei non gli aveva chiesto nulla di tutto quello che lui aveva ritenuto opportuno fare per compiacerla, ma stava cercando di imbrogliarla. Ancora una volta. Al di là del fatto che lei non l'avesse mai temuto eccessivamente - l'aveva odiato, quello sì, ma nemmeno nei cunicoli delle segrete le era sembrato una minaccia concreta...forse solo al loro primo incontro con quel serpente..- prima si spaventa una persona e solo in seguito quella può tremare di paura: operare al contrario avrebbe rivelato solo meschinità e grettezza. Ma soprattutto, aveva fatto inutilmente cose che non c'entravano nulla. Come sovvertire il tempo, ad esempio: l'aveva fatto unicamente per gratificare il suo misero ego messo alla prova da una ragazzina. Si era una ragazzina, lo sapeva benissimo, e lui, dopo averla platealmente ignorata, si abbassava a giocare con lei ma solo per complicarle la vita...un bambino viziato e prepotente. Ecco cos'era quell'uomo incoronato Re.

Inoltre nessuno gli aveva chiesto di soddisfare le proprie, impossibili, aspettative sugli uomini. Un tentativo, a suo avviso, fallito comunque clamorosamente.

Non doveva lasciarsi distrarre da tutto quel candore: lui non era puro come non era affatto sincero.

Come se nemmeno l'avesse ascoltato, quindi, lei continuò con la sua messinscena. Quel libretto era stata la chiave di tutto: aveva dato il via alla vicenda e l'aveva aiutata nel momento di maggior bisogno. Quindi, forse, poteva esserle utile per chiudere quella faccenda. Forse non bastava aver trovato Toby, averlo raggiunto...c'era qualcosa che le sfuggiva. E sembrava anche che lui lo temesse.

Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello, oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno...”

Aspetta...” disse, infatti, lui, alzando una mano tra loro, interrompendola e chiedendole ancora attenzione: sapeva dove sarebbe andata a parare. Poteva concederle tutto. Tutto ma non quelle parole “Aspetta, Sarah.” quasi la pregò “Guarda quello che ti sto offrendo: i tuoi sogni...” nella voce un misto di tristezza per un dono tanto prezioso gettato via, come se lei non ne capisse l'importanza: l'aveva già rifiutato una volta e distrutto una seconda.

E il mio regno altrettanto...” continuò lei imperterrita, senza calcolarlo. Aveva deciso che lui mentiva, mentiva e basta, quindi tutto quello che le avrebbe detto sarebbero stati tentativi per sviarla dal suo proposito. E lei non poteva permetterselo.

Erano molto simili, loro due. Forse altrettanto fragili. Anche le loro volontà, quindi, non potevano non essere che egualmente prevaricatrici. Ma, al momento, Jareth si sentiva morire dentro: il comportamento glaciale di lei lo aveva demoralizzato al punto da renderlo la larva di se stesso. Pur sapendo a cosa andava incontro, il suo carattere determinato e la resa dei conti imminente che le imponevano una scelta, non riusciva a farsi forza. “Ciò che ti chiedo è così poco” L'interruppe ancora, supplichevole, sperando che lei tornasse sui suoi passi “Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri” le propose ambiguo, soddisfatto della proposta a cui non avrebbe potuto e dovuto rinunciare. “Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo.” La sfera del patto e dei sogni era sospesa sulla punta delle sue dita, in mezzo a loro. Dentro di sé, il Re pregava che lei accettasse. Ormai non per vincere, e men che meno perché si innamorasse di lui. La voleva. Come aveva sempre saputo, lei era la persona adatta, dal temperamento determinato e aggressivo, colei che aveva disperato di trovare e che era, invece, infine giunta. Lei, lei e nessun'altra era degna di accompagnarlo. Se inizialmente l'aveva desiderata solo perché forse era la persona che aveva atteso e in un secondo momento lo aveva intrigato coi suoi continui dinieghi e con la sua caparbietà, ora era cosciente che il filo rosso del destino li legava. Forse avrebbero potuto anche amarsi in condizioni meno particolari. Doveva convincerla a restare perché non aveva mezzi per obbligarla.

Lei lo guardò per un lungo istante. Poi si illuminò, comprendendo ciò che fino a quel momento le era sfuggito e ricordando, insieme, la parte di racconto che non riusciva a fissarsi a mente Era così ovvio! Ma era riuscita a capire il senso della frase, a contestualizzarlo, solo vivendo la vicenda in prima persona. Lui non poteva o non voleva forzarla. “Tu non hai nessun potere su di me!” *





Qualcosa dentro Jareth andò in frantumi. La tristezza, la disperazione, il senso di ineluttabilità avevano preso il posto del rancore e lo avvilupparono come una tenaglia fredda.

Lei aveva vinto la loro sfida. Aveva capito, pochi istanti prima dello scoccare della tredicesima ora, come ragionare nell'Underground, qual'era il suo punto debole e quanto contassero volontà e parole. Se non aveva fatto nulla di tutto ciò, era stata tremendamente fortunata. Però, al momento, parole e sentimenti coincidevano. E aveva ragione. Lui non poteva nulla su di lei. Lei, la sua piccola creatura che era cresciuta fino ad affrontarlo e vincerlo, lei a cui lui aveva donato parte dei suoi poteri, lei, la prescelta per accompagnarlo nel cammino eterno. Lei che ora l'aveva rifiutato, ricacciandolo da sé, dalla sua mente, dal suo cuore. Sapeva che, se lei gli avesse mai rivolto quelle parole, avrebbe sofferto le pene dell'Inferno. Ma quello che aveva solo provato a immaginare non era nulla paragonato a come si sentiva lacerato: sogni, speranze, futuro. Tutto era svanito in pochi istanti. Le lanciò la sfera in un gesto delicato, prima che rovinasse a terra insieme a lui. Glielo doveva. A malincuore l'avrebbe ricondotta a casa con le ultime forze che gli restavano, lei e il fratello, che aveva coraggiosamente e onestamente riconquistato: la sua volontà di vivere, la sua magia, la sua potenza erano defluite da lui insieme a quelle parole.

Con angoscia, si rese conto di chiamare il suo nome. Fortunatamente, lei parve non sentirlo, confusa dal vorticare di drappi che lui si era lasciato alle spalle nel suo disfacimento. La vide correre incontro alla piccola sfera, fragilissima ormai, che scoppiò come una bolla di sapone al contatto con la punta delle sue dita. Un sorriso amaro gli increspò le labbra: aveva forse accettato il suo dono e i suoi sentimenti? Peccato l'avesse fatto troppo tardi, come sempre eccessivamente ligia al dovere per anteporre i propri bisogni.

Un battito di ciglia. Poi un altro. E così come erano arrivati nell'Underground ricomparvero nella villetta. Ma Jareth era spossato da quell'esperienza, che aveva messo alla prova anche lui, la sua volontà e i suoi sentimenti, e non riuscì a riportarla esattamente nel punto di partenza. La lasciò, confusa e incerta, nell'ingresso, ai piedi delle scale. Avrebbe dovuto faticare solo un altro po' per raggiungere il fratello e accertarsi delle sue condizioni mentre lui, esausto, volava fuori dalla finestra aperta, nel cielo ancora coperto di nuvole temporalesche, troppo fiaccato per mantenere la sua forma umana: aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi per ricevere sostegno e per riposarsi. Per un istante folle, pregò che la ragazza uscisse di casa, nella notte, a cercare lui, sicura che il fratello fosse ormai al sicuro.

Ma, com'era prevedibile, dopo un attimo di smarrimento lei corse al piano di sopra, nella stanza dei genitori a controllare la culla dove, a mezzanotte spaccata, avrebbe dovuto trovarsi il fratello se lei non avesse ceduto a desideri egoistici o non avesse sognato tutto. Corse a perdifiato, divorando i gradini due a due, quasi sfondò la porta della grande camera da letto.

Toby giaceva addormentato e sereno nella sua gabbietta di legno laccato. Sarah tirò un sospiro di sollievo.

Amorevolmente gli rimboccò le copertine e, infine, gli cedette il proprio pupazzo, Lancillotto: ormai era grande, poteva separarsi da uno dei suoi molti amici d'infanzia. Ciò non voleva dire che non le importasse più nulla. Ma il viaggio, vero o presunto, nell'Underground l'aveva resa più malleabile e possibilista.

Si chiuse la porta alle spalle, avvertendo un suono ovattato nel vialetto che portava a casa.

La ragazza, esausta, andò a sedersi alla toletta. Osservò le molte cose che affollavano il piano di lavoro. Quell'avventura le aveva insegnato che era tempo di crescere: era il caso che mettesse via i giochi d'infanzia a cui si aggrappava. Anche perché, si disse sorridendo e riponendo il carillon con la ballerina nel cassetto, il sogno che aveva appena vissuto era infinitamente più avvincente ed entusiasmante di qualunque altra sua fantasia. Ripose nel cassetto anche una foto di sua madre, un altro pezzo di passato da cui, forse, era riuscita ad affrancarsi.

Sarah? Sei a casa?” domandò suo padre dal pianterreno.

Trattenne a stento una delle sue solite rispostacce. “Dove vuoi che sia?” avrebbe risposto fino al giorno prima, “Ad accudire il marmocchio!”

Invece, si sforzò di essere gentile “Sì, sono a casa...” disse ad alta voce, per essere certa di farsi sentire, al di là della porta. Aprirla e andare loro incontro era ancora prematuro: cercare di essere più carini era un primo passo. E, ne era certa, sarebbe stata la prima di una lunga fila di risposte simili.





La mattina dopo, Sarah si svegliò di buonora. Scese lentamente le scale che conducevano al pianterreno e, giunta in prossimità della cucina, si prese il tempo necessario per calmarsi. Trasse un paio di respiri profondi, quindi, bussò sullo stipite ed entrò. Lì, attorno alla tavola imbandita, stavano il padre, Karen e Toby. I volti dei due adulti non celarono la sorpresa di vederla comparire a quell'ora tra loro: normalmente aspettava che tutti avessero finito ed evitava quanto più possibile i contatti con chiunque. L'imbarazzo era palpabile da ambo i fronti ma Karen, colse quella mossa come un sotterramento dell'ascia di guerra e ne approfittò. “Vieni cara, accomodati pure...” disse spostando la sedia davanti a sé, tenendo con l'altra mano il bricco del caffè. Ancora una volta, Sarah non rispose al suo solito con un “Ci mancherebbe altro, questa è casa mia”. Intrecciò le dita tra loro più volte finché accettò l'invito docilmente, sorprendendoli. Consumò una ricca colazione (aveva una fame quasi atavica, quasi non avesse davvero mangiato nulla per una dozzina d'ore la sera prima) in compagnia della sua nuova famiglia. Era una sensazione strana. Un tiepido calore le scaldò il cuore. Le sembrava quasi di essere in compagnia dei suoi nuovi, recenti e illusori amici che un po' ne avevano le caratteristiche: Toby balbettava sillabe inarticolate come Ludo, suo padre era un buono a nulla come Hoggle e Karen...Karen cercava la perfezione, si faceva paladina di ogni causa...un po' come Didymus. Sorrise a quel pensiero: se avesse pensato alla sua famiglia come al gruppetto che l'aveva scortata fino al castello, ciascuno con le sue pecche, forse avrebbe imparato a essere più tollerante. Le sembrava quasi di esser stata la protagonista del libro, così come Bastian lo era stato della Storia Infinita. Però il suo era stato un vero viaggio: lei era vera, era viva...la sua storia non era incisa in qualche pagina bianca... Ripensò a dove avesse trovato Lancillotto quando era entrata, la sera prima, dopo il presunto viaggio, nella stanza dei genitori: era sul letto, dove lei l'aveva lasciato mentre raccontava quella storia dell'orrore al fratellino, prima che si stancasse e desiderasse la sua sparizione. E poi, ancora, le mancavano il suo anello e il suo bracciale. Sì...era stato un viaggio vero. A meno che non avesse davvero mai posseduto quegli oggetti e si fosse immaginata il contrario. E anche l'abito medievale della recita del pomeriggio, di quel colore così particolare, un verde tanto chiaro da risultare quasi bianco, l'aveva ritrovato sul letto, dove lei l'aveva buttato appena rientrata. Pensandoci, però, era in quella stessa posizione anche nel sogno che le aveva fatto rivivere la vecchia strega in quella specie di bunker sotto i rifiuti. Quindi...non poteva avere la certezza... scrollò la testa. Lei era una massa di muscoli in tensione, quindi non era la fantasia di qualche lettore. Restava da chiarire se fosse ancora all'interno dell'incubo. Forse, quando aveva fatto esplodere la bolla di sapone aveva cambiato tutto. No...lei ora era lì con Toby. E lui non si era più visto: figurarsi se, dopo quello che gli aveva detto, se ne sarebbe stato buono buono. Sarebbe certamente tornato a sfidarla. Se fosse stato vero. Ma era solo un suo sogno.

Sorrise tranquilla e continuò, più leggera, la sua colazione.





Quand'ebbe finito si prese tutto il tempo necessario per fare ordine nella propria testa, d'altronde era domenica e nessuno aveva fretta. Inspirò a fondo, quindi parlò.

Posso parlarvi un momento? E' una cosa veloce...nulla di impegnativo..” si giustificò subito. Karen e Robert si guardarono perplessi, ma annuirono seri, prestandole tutta l'attenzione che lei sembrava richiedere.

Bene” si disse Sarah “Se Maometto non va alla montagna...allora sarà la montagna ad andare da Maometto.” Incrociò le mani sul tavolo, cercando la calma e le parole giuste. “Ecco...diciamo che volevo chiedervi scusa...a tutti e tre...per il mio comportamento di ieri sera...di...degli ultimi tempi, insomma.” disse ingoiando il rospo. La colpa non era tutta sua, lo sapeva benissimo. Ma se non faceva una prima mossa, non sarebbero mai usciti da quell'impasse.

Dire che gli adulti erano allibiti sarebbe stato un eufemismo: erano senza parole. Tutto si aspettavano fuorché quel cambiamento di atteggiamento così improvviso e integrale. “Ecco sì...e volevo anche dirvi che...d'accordo, per me è difficile...molto difficile accettare questa cosa...” disse, lasciando libertà l'interpretazione. “Ma ho anche capito che la vita va così e io non posso oppormi inutilmente a una situazione che non mi piace e basta: devo imparare a conviverci e a sfruttarla...Ma ho bisogno di tempo. Quindi...” aggiunse prima che chiunque potesse interromperla “...vi chiedo di essere pazienti con me... di lasciarmi i miei spazi, di non intromettervi in questioni personali.” disse guardando la donna, invitandola a star fuori dalle discussioni tra lei e suo padre “Se cercheremo di venirci incontro a vicenda forse sarà possibile migliorare la situazione...” Così dicendo si alzò in piedi e ringraziò della colazione: aveva altri progetti per quella giornata.

Sarah...” cominciò Karen. La ragazza sperò che non volesse puntualizzare quanto lei fosse stata brava e non avesse fatto altro, fino a quel momento, che non andarle incontro. Sperò che capisse cosa le era costato quel gesto. E per impedirle di rovinare tutto la anticipò “Scusami, Karen, ho un bel po' di lavoro che mi aspetta in camera...ti va se ne parliamo più tardi?” Disse indicando il piano superiore. Quella annuì e lei sgattaiolò via veloce. Si era sentita tremendamente falsa nell'essere così gentile con lei. Ma se quello era il prezzo da pagare per un po' di serenità in casa, l'avrebbe pagato volentieri, anche se sapeva che sarebbe stato difficilissimo non perdere le staffe. Quella era una delle lezioni che l'Underground le aveva dato: nulla è dovuto e tutto ha un prezzo.





A una settimana di distanza da quell'avventura, la camera di Sarah, come i suoi buoni propositi, erano ancora nella stessa situazione della sera in cui tutto era finito. Karen e Robert erano usciti anche quel fine settimana e Toby... Toby aveva fatto il diavolo a quattro anche quella sera, ma Sarah aveva cercato di calmarlo amorevole, ricordando l'angoscia con cui l'aveva inseguito su e giù per le scale del labirinto finale. Si era calmato da poco e lei era tornata in camera. Fissò la toletta con sguardo vuoto. A differenza di una settimana prima, sistemare tutto ora non le sembrava più una mossa così intelligente e aveva paura.

Si fece coraggio e afferrò il librettino rosso che era stato fondamentale in tutta quella vicenda e che non aveva più toccato da quella sera. Lo studiò con reverenza, la copertina sgualcita, i caratteri dorati impressi sul dorso...

Ripose anche il libro nel cassetto, accantonando, con esso, il dilemma se fosse stata un'esperienza reale o meno. Avrebbe rischiato di diventare pazza se ci avesse pensato troppo.

Il suo voler nascondere tutto, non voleva dire, però, che stesse rinnegando i suoi sogni e la sua infanzia: li metteva da parte, pronta a tirarli fuori all'occorrenza, per far spazio a una nuova fase della sua vita. Era impossibile fare tutto in una sera o due: doveva darsi il tempo di metabolizzare quanto stava facendo ed elaborare anche il lutto della separazione.

Addio Sarah...” piagnucolò improvvisamente una voce alle sue spalle. La ragazza alzò lo sguardo e, riflesso nello specchio, vide Ludo. Si voltò di scatto ma la stanza era vuota. Tornò a guardare lo specchio, perplessa: era la materializzazione dei suoi sogni? Di quel libro? Chiudendolo nel cassetto il suo personaggio si era sentito tradito?

E ricorda, giusta donzella, sempre al bisogno di noi....” disse anche Didymus, seduto sul suo letto, scomparendo e cedendo la parola a Hoggle “Già...se avessi bisogno di noi, per qualsiasi motivo...”

Ho bisogno di voi!” lo interruppe la ragazza, gli occhi lucidi, velati dalle lacrime. Non aveva il coraggio di lasciarsi alle spalle tutto. Era spaventata al pensiero di perdere tutto quello che era stata fino a quel momento. Aveva bisogno di qualcuno che l'affiancasse in quel periodo di transizione, che non le facesse perdere la strada, che la guidasse in quella fase di crescita e cambiamento, aiutandola a rimanere sempre la stessa persona.

Davvero?” chiese stupito Hoggle

Non so perché ma di tanto in tanto nella mia vita, per nessuna ragione apparente, io sento il bisogno di tutti voi.” Affrontare i genitori quella domenica mattina le era sembrato un gioco da ragazzi paragonato alla Palude del Fetore eppure ne era stata molto più spaventata.

Davvero? Perché non l'hai detto prima?” sbottò Hoggle indispettito. Sarah si voltò, sospettando un qualche trucchetto dietro le parole del nano.

Lo specchio non gliene aveva dato preavviso, ma in camera sua si erano materializzati tutti gli esseri che aveva incrociato nel suo viaggio, dalle porte del vicolo cieco al Vecchio Saggio e c'erano anche i più pericolosi, dai Goblin ai Firey. Si lanciò con entusiasmo ad abbracciare i suoi tre amici, fendendo quella folla di creaturine che avevano allestito una festa improvvisata, tutta in stile umano con tanto di stelle filanti, musica e cappellini.

Niuno, qui, vuol misurarsi con me a Scarabeo?” domandò Sir Dydimus che fu snobbato da tutti. Hoggle spiegò subito a Sarah che lo scoiattolo era il sette volte campione in carica e che, in una popolazione come quella di Goblin City, dove il 90% della popolazione era analfabeta, il piccolo cavaliere dal complesso di Napoleone aveva gioco facile.

I festeggiamenti proseguirono a lungo finché la ragazza non crollò esausta e felice.

All'appello, quella sera, mancava solo una persona dai glaciali occhi spaiati.

Una persona di cui, a pensarci bene, non aveva trovato alcun riscontro in famiglia... escludendo l'uomo che le aveva portato via la madre. E se avesse solo azzardato, per un momento, a immaginarsi nei panni di lei...sospirò e cacciò il pensiero.

Una persona di cui le era sembrato di scorgere il sembiante fuori dalla finestra ma che subito si era involato in un frullo d'ali.





Quell'unica persona non aveva la forza per assumere le proprie fattezze umane e non voleva presentarsi a lei se non sotto quella forma. Inoltre, gli era sembrato di non esser stato invitato. La sua condizione di sconfitto gli impediva di accedere liberamente alla sua campionessa, specialmente se questa o qualcun altro tra i presenti, stava facendo uso di magia**. Lui era dunque escluso dai festeggiamenti come dal suo cuore. Ma non lo sarebbe stato per sempre. Quella speranza gli diede la forza di spiccare il volo, per impedirsi di farsi del male nel vederla così serena anche senza di lui mentre una canzone cominciava a echeggiare dall'impianto stereo. “Underground” del Duca Bianco David Bowie, la preferita di Sarah...una canzone che, forse, aveva avuto un qualche ruolo nell'innescare tutta quella vicenda.



E' solo per sempre
Non è poi tanto tempo
Persa e sola

Nessuno può biasimarti
Per essere andata via
Troppi rifiuti
Nessuna iniezione d'amore
La vita può essere facile
Non va sempre alla grande
Non dirmi che la verità fa male, ragazzina
Perché fa male da morire

Ma giù nel sottosuolo
Troverai persone vere
Giù nel sottosuolo
Una terra serena
Una luna di cristallo.***





Tutto stava andando nel migliore dei modi. Ma non sarebbe durato per sempre.



E allora lui sarebbe tornato.



Il destino era già scritto tra le stelle.



Lei... Lo avrebbe richiamato.













*No, non vi sto dicendo nulla di nuovo ma...ai fini del sequel (e per afferrare, forse, il perché delle azioni di Jareth in tutta questa avventura) vi chiedo solo “Quand'è che lei gli dice queste stesse parole la prima volta?”. Riuscite a vederlo, ora, il collegamento con “Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri”? No? Beh, allora ho una scusa per invitarvi a leggere il mio continuo. :)

** E qui faccio riferimento a Hoggle. Secondo me è l'unico altro che ha poteri magici e mi spiego subito: nella scena iniziale, quando, dopo aver fatto entrare Sarah nel labirinto, se ne va offeso, sbatte i portoni dello stesso senza però toccarli; riconosce subito quando c'è in atto una forza magica, da Jareth mascherato nei cunicoli alla pesca stregata. E ancora, sembra quasi che sia lui a dare il via libera alla popolazione dell'Underground, di invadere la camera della ragazza.



*** in realtà, la narrazione si conclude il barbagianni che si alza in volo e solo allora si sente Magic Dance riarrangiata: “You remind me the baby-What Baby?-Baby with the power-What power?- Power of Voodoo- Who do?- You do- Do What?- Remind me the baby”. E' cantata in modo molto dolce e può quasi sembrare il ricordo del dialogo tra il re e i Goblin come anche un nuovo, identico dialogo in cui, però, baby è riferito a Sarah e non più a Toby (d'altronde..lei ha un potere...). Poi attacca con la versione Album di “Underground” (il cui testo non è quello dell'inizio, bensì una richiesta di venir, di nuovo, portati via “Daddy, daddy, get me out of here-I, I'm underground-Heard about a place today-Where nothing never hurts again-Daddy, daddy, get me out of here-I, I'm underground-Sister, sister, please take me down-I, I'm underground-Daddy, daddy, get me out of here ”). Dato che non avevo -volutamente- inserito la canzone all'inizio, l'ho messa qui con l'idea di richiamare una certa ciclicità... Spero perdonerete anche questa libertà...

(cmq giustificherò TUTTO nel sequel)



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Ed eccoci arrivati alla fine.

Spero che il cambiamento apportato alla storia, come preannunciato, non vi abbia infastidito troppo.



Ringrazio tutti per avermi seguita fino a qui. Mi sono divertita molto e spero che sia stato lo stesso anche per voi.

Spero di ritrovarvi tutti anche nel sequel (che ormai ho già cominciato ma) che comincerò a pubblicare solo tra qualche settimana. Ora è tempo di esami...abbiate pazienza: ci hanno aggiunto libri e consegne all'ultimo minuto -_-

Un abbraccio grande a tutti.

A presto

Dark-ronin

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