Everything change

di camy robsten HP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come un giorno ti cambia la vita ***
Capitolo 2: *** The truth ***
Capitolo 3: *** Never say Never ***
Capitolo 4: *** Ricordi (parte 2) ***
Capitolo 5: *** Ricordi (Parte 1) ***
Capitolo 6: *** La doppia faccia del barbone ***
Capitolo 7: *** Casa Stewart ***
Capitolo 8: *** Cameron ***
Capitolo 9: *** I’d rather be a comma than a full stop ***
Capitolo 10: *** Hey, why don’t you try to sleep?[The end] ***



Capitolo 1
*** Come un giorno ti cambia la vita ***


Ormai era lei a reggermi in piedi.

Non l'universo o la forza gravitazionale.

Era lei.

Che, pur inconsapevolmente mi aveva rapito,

imprigionato nel suo cuore.

Esattamente come è accaduto a me.

Eppure, è successo qualcosa.

Lo sento.

Il suo volto, mentre mi parla disperata è triste.

Esprime troppe emozioni.

“Kristen, cosa è successo? Ti prego, parlamene”- le sussurrai, ma mi respinse.

Era una situazione strana: eravamo chiusi nel bagno dell'hotel e l'aria mi mancava.

Solitamente era un libro aperto.

Bastava uno sguardo per capirci. Ma questa volta NO.

Era diverso.

Vidi i suoi grandi occhi verdi riempirsi di lacrime, mentre mi fissavano.

La abbracciai, sfiorando i suoi capelli castani, morbidi e setosi.

La mia ragazza. Così dolce, tenera e timida.

Mi sentivo male vedendola in quello stato.

“Cavolo, Kristen, mi vuoi dire cosa è successo?”- ansimai.

Ero preoccupato. Accadde tutto all'improvviso.

“Rob...”- sussurrò, e mi strinse ancora di più.

“Io,io... davvero, non so come dirtelo. Robert, ti amo!”

“Non mi sembra molto difficile da dirlo. Me lo dici sempre, continuamente. Dimmi la verità!”

Presi la sua faccia fra le mie mani e la guardai intensamente negli occhi.

“Kristen, per favore, dimmelo. Ti amo come non ho mai amato nessuna, ma dimmelo. Devo saperlo”

“Robert, sono incinta”

E il mondo crollò.

 

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Capitolo 2
*** The truth ***


Robert's POV

 

Da qualche tempo Kristen non mi parlava più. Sul set faceva finta che non esistessi. A casa mi ignorava e non aveva mai tempo per me. Da quando mi aveva detto che era incinta la mia vita era cambiata. Senza lei niente mi importava. Non capivo quale fosse il problema. Insieme avevamo superato moltissimi problemi, uniti avremmo superato anche quello. L'intero mondo non sapeva ancora della nostra relazione (ma sospettava); sarebbe stato strano, ma si sarebbero abituati a vederci insieme dopo qualche tempo. Era l'ultimo giorno di riprese. Dopo quella calda giornata primaverile cosa ci sarebbe stato? Avrebbe continuato ad evitarmi? Mentre i pensieri mi tormentavano la vidi passare: oggi era ancora più bella. Nonostante fossero passati due mesi la sua pancia era ancora piatta. Mi oltrepassò senza degnarmi di uno sguardo. I suoi capelli castani le coprivano un po' il volto. L'ultima scena del film. L'ultimo giorno insieme. Cosa sarebbe accaduto a Ash, Nikky, Jackson, Kellan, Peter? Ma sopratutto cosa sarebbe accaduto a noi due? “Ho bisogno di tempo” mi disse quando avevo provato a parlarle. Ma oggi no. Non mi avrebbe contraddetto. “Kris, senza te non posso vivere” le avrei detto. Troppo sdolcinato? “KRISTEN TORNA CON ME, TI PREGO!” Troppo da cretino? “Kris torna con me o mi ammazzo!”. Troppo drammatico? Forse le avrei dovuto dire semplicemente la verità. Parlarle chiaramente, cercando di fare per una volta un discorso serio. Inutili erano stati i miei tentativi di farla sorridere. Sul set ci divertivamo da matti, e lei rideva. L'ultima volta, per una mia barzelletta cadde e si ruppe il polso e un dito. Forse è arrabbiata per quello? No, non è da lei. Cosa ci potrebbe essere di tanto complicato da farci dividere? Eravamo indivisibili. La mia ombra eri tu. “ROBERT, cos'hai oggi? E' da mezz'ora che ti chiamo!”- Bill mi chiamò, ricordandomi che ero ancora sul set, e la fissavo. “E' l'ultimo giorno di riprese, svegliati! Questa sera tutto il cast va a cena, per festeggiare. Tu ci sei?” - “Si, si certo. Verrò. Kristen verrà?” - “Si, certo. Ci sarà tutto il cast. Al completo.” - “Sarò uno dei vostri.” Poi se ne andò. La giornata passò velocemente, tra rimproveri e castighi. Tutti ce l'avevano con me. Prima di andare a casa di Kellan per il “party”, Jackson venne a casa mia a farmi un discorso; forse non era un discorso. L'ha chiamata “chiacchierata amichevole”... si, insomma, una rottura di palle. Mi seguì in ogni stanza, parlando per mezz'ora senza prendere fiato e senza notare che io non lo ascoltavo minimamente. “Il fatto è che tu non sei più lo stesso senza di lei. L'ho notato anche io. Tutti l'hanno notato. Sei strano, ma questo periodo passerà. Ne sono certo. Devi cercare di non pensarla. Dov'è finito il vecchio Robert? Dov'è andato quel ragazzo solare che ogni due secondi raccontava qualche cazzata? Il ragazzo che fumava per sfogarsi? Dov'è finito il mio amico?” - “Jackson, non è successo niente. Quel ragazzo è cambiato. Tutto qui. Ha capito finalmente chi è.” - “E chi saresti? Robert, senza di lei non sei niente. La ami. Oggi va da lei e parlale. Hai bisogno di chiarimenti.” - “Io non ho bisogno di nessuno. So chi sono. E riesco a vivere anche senza di lei.” - “No, non è vero.” - “SI, LO E'!” - sbottai. Ero furioso. Chi era costui che veniva a darmi ordini su come affrontare la mia vita? Era solo Jackson. Riacquistai calma qualche secondo dopo. “Ok. La amo. Non immagini nemmeno quanto. Senza lei non sono niente. Sono uno straccio. La mia vita si è fermata, e ormai gira dal verso sbagliato.” - “Si, ma devi reagire amico! Non puoi vivere così. Ora indossa quel cazzo di smoking e sbrigati. Siamo in ritardo!” - sorrisi e mi recai verso il bagno per obbedire agli ordini del mio saggio amico. Scesi lentamente le scale, con Jackson alle calcagna. La limousine ci aspettava. “Mi raccomando. Sii forte. Oggi dille tutto. Dille cosa provi per lei. Falla sentire unica.” - mi limitai ad annuire ed entrai nella limousine con i vetri oscurati. Non notai che dietro quella ce n'era un altra. Una per me e una per Jack. Perché due? Non potevamo stare assieme? Mi accomodai. La limousine era tutta buia. Non vedevo niente. “PUOI ACCENDERE QUELLA LUCE?!?” - gridai all'autista, che obbedii. Di fronte a me c'era qualcuno. Una persona con dei lunghi capelli e dei tacchi vertiginosi ai piedi. Era di spalle. Improvvisamente si girò verso di me. “Ciao, Robert” - Kristen mi guardò per la prima volta, dopo tre mesi, dritta negli occhi. “Oddio, che stronzo che è Jackson!”- sbottai. “Già...”- disse Kris. “Io non volevo parlarti, davvero. Non so cosa dirti. Non so cosa sono. Abbiamo superato tanti ostacoli insieme. Un bambino non è una cosa terribile. Kristen, ti prego. Lo so che mi ami. Lo sento. Quando sono con te si crea un'atmosfera diversa. Tutto è migliore.” - un momento di pausa. Dovevo pensare cosa dire. Kristen cominciò a piangere. “Uno ha detto che nell'antichità l'uomo era un essere mostruoso con due facce , quattro braccia e gambe, due cuori e due corpi. Un giorno Zeus si arrabbiò e li divise. Decise che l'uomo avrebbe trascorso il resto della vita a cercare l'altra metà. Bè... io l'ho già trovata. E non voglio perderla per nessun motivo al mondo.” Cominciò a fissarmi in uno strano modo. “Io non posso sopportarlo.” - “Certo, lo so. E' dura. Ma io so che ci riuscirai. Mi fido di te.” - “Robert, non è per quello.” - “E per cosa allora?” Silenzio. Non rispose. “Io voglio esserci quando metterai al mondo quella creatura. Voglio esserci quando dirà la prima parola. Il suo primo passo. Il suo primo amore. Voglio esserci in ogni momento della sua vita. Kristen, non ti deluderò. Saprò essere un padre cosciente.” Ancora silenzio. Tentai di toccarla, ma mi schivò. Mi sedetti accanto a lei. Le strinsi la mano, e lei si mise a piangere sulla mia spalla. Le accarezzai i capelli, ma ancora non capii. Dopo qualche minuto parlò. “Robert, credimi, vorrei dirti cosa succede, ma ho paura. Te lo dirò ma vorrei solo che tu sapessi una cosa: ti amo. Ti ho sempre amato e non smetterò mai di amarti.” - “Certo, lo so. Sono impaziente. Voglio stare di nuovo con te. Accompagnarti durante questo percorso e vivere per sempre con te e col piccolo. So che non ti fidi molto di me. Pensi che io sia irresponsabile, ma mi impegnerò per riuscirci. Sarò un papà modello. Non lo lascerò mai solo e diventeremo inseparabili. Era ciò che volevo: diventerò papà.” - “No, Rob, non lo diventerai.” - “In che senso?” - “Robert, tu non sarai suo p..p..p..p..a...d..d..re!” - “Cioè, tu stai cercando di dirmi che non sono io suo padre? E allora chi è? Chi cazzo è questo? Kristen, cazzo, DIMMELO! AUTISTA, SI FERMI.” - continuava a guidare. “CAZZO, FERMATI O TI AMMAZZO!”- estrapolai dalla tasca un coltello. Ora finalmente obbedii. Scesi dall'auto. “Kristen, basta. Con te ho chiuso. Credevo di aver trovato la mia anima gemella. Credevo che mi amassi. Qualsiasi cosa io faccia ricorda che tu sei la responsabile. Se non vuoi dirmi chi è questo bastardo lo scoprirò io. Volevo diventare papà. Ti amavo tantissimo. Ma ora non più. Hai portato via tutta la mia vita. Grazie. Così mentre io ti pensavo costantemente tu stavi a letto con uno. Fantastico. Sai, forse sono felice che il figlio non sia mio. Tuo figlio non ti ringrazierà mai. Almeno dì scusa. Sua madre è una stronza.” e me ne andai. Non sapevo quale fosse la mia meta. Sapevo solo che avevo bisogno di stare solo. Camminare come un drogato per le strade campagnole di non so dove. Bere e cercare di dimenticarla. Erano quelli i miei obbiettivi. Tanto lei si sarebbe divertita tantissimo a quella festa senza di me.

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Capitolo 3
*** Never say Never ***


Robert's POV

 

Non sapevo quale fosse la mia meta, ma avevo solo bisogno di restare solo. Sapevo anche che senza di lei non avrei resistito a lungo. Cazzo, come è possibile? Eravamo stati a letto insieme qualche giorno prima. Non l'avevo lasciata un solo giorno da sola... Forse è accaduto quando è andata a promuovere OTR in Giappone... ma con chi? E se fosse ritornata con il babbuino? Sono incazzato, la sua è stata una condanna. Conosco troppo bene Kristen: non abortirà. Sembra una persona forte e ribelle, ma alla vista del sangue sviene. Potrei scrivere la sua biografia su Wikipedia, qualche giorno. Aggiungerei alla sessione “curiosità” che mentre il suo fidanzato Robert Pattinson la pensava lei era chissà dove a scoparsi uno sconosciuto, rimanendo perfino incinta e dopo due mesi non ha ancora le palle per dire a Rob chi è il padre di quel bambino. In questo modo i suoi fan la conosceranno realmente per quello che. Camminavo in queste campagne, senza far caso agli sguardi “assassini” delle volpi o di altri animali selvatici. Avrei voluto una birra, peccato che oltre al mio cuore, in quella limousine lasciai anche i portafogli. Avrei dormito sotto qualche ponte, come un barbone, cercando di dimenticarla. Chissà chi è stato il bastardo che ha deciso che la vita fosse così complicata. Non ho visto mai così tanti intrecci amorosi nemmeno a Beautiful! “Vorrei solo che tu sapessi una cosa: ti amo. Ti ho sempre amato e non smetterò mai di amarti”- erano state queste le sue parole, prima di ammettere che quel bambino non è di mia proprietà. Kristen è ribelle, Kristen “be healthy and fuck everyone”, Kristen è bella, Kristen ha degli occhi da favola, Rob se la porta a letto, Rob se la deve sposare una donna del genere... Questi sono alcuni dei pochi annunci letti velocemente sul web. Cazzo, perché la gente non capisce? Non capisce niente. Chi cazzo mi può dire che fare o con chi andare? Sono io il guidatore della mia vita. Quando le ho parlato delle anime gemelle, io credevo realmente di possederne una, e di averla finalmente trovata. Sono un illuso, e tutti, fin da bambino hanno sempre sfruttato la mia innocenza. Io non l'ho mai tradita. Prima che ci conoscessimo ho avuto un flirt con Anna e Nikki, ma è durato una settimana al massimo, e non sono stato io a cullarmi fra le loro braccia. “Il vampiro sexy” - Sì. E' quello che sono? Kristen mi ha utilizzato solo per pubblicizzare quella cagata di film. Ora le riprese sono finite, massì, andiamo al letto con il primo sconosciuto! Magari ora era anche andata a quella fottuta festa da Kellan, e alla sua lista aveva aggiunto anche lui. E' una persona fatta di pietra. Non ha sentimenti, e tutto ciò che lei provava per me era semplicemente una nuova pennellata su quella pietra già scolorita. Dietro a me campi di grano, davanti il buio. Avrei camminato per sempre su quella strada, fregandomene del resto. Il mio futuro sarebbe giunto presto, seguendo la giusta via. Non vedevo niente, ma il mio cuore era stato accecato, colpito dall'abbondante luce. Nessuna emozione. Buio, in tutti i sensi. Sarebbe stato più facile dimenticare e prendere una torcia. Il mio cellulare vibrò: una chiamata. Lo presi e lessi sullo schermo: Kris. Ma vaffanculo! Non solo mi disprezza, ora qualcuno le ha finalmente prestato due palle per riuscirmi a chiamare. Rifiutai la chiamata, e continuando a camminare, gettai il cellulare nel campo di grano, all'indietro. Sarà sfigato chi lo troverà. Era da tanto che cercavo quella tranquillità e quella quiete: nessuna ragazzina quattordicenne che mi pedinava, nessun paparazzo fra i cespugli, solo io e la mia cazzo di vita, con addosso uno smoking e importanti decisioni da valutare. Basta, avevo sopportato abbastanza, il mio cuore era stanco, così come la mia mente. Avevo paura, non sapevo quale fosse il mio obiettivo, volevo solo cambiare strada, cercare di andare per la prima volta per il verso giusto. Mi diressi verso una gravina disabitata e mi accomodai tra i cespugli: ecco la mia nuova vita, tutta da scoprire, vivendo ogni singolo giorno come se fosse l'ultimo, felice e spensierato, senza lei per la testa.

 

Il giorno seguente mi alzai tardi e mi diressi verso il fiume, situato all'opposto. Bevvi un po' d'acqua, parlai con qualche lumaca e con un koala affamato e con un bastone di legno in mano aprii il libro e lessi la prefazione della mia nuova vita. Il passato era da buttare, inutile pensarci. Avrei letto ogni pagina con molta attenzione, gustandone ogni particolare. Al primo posto ciò che ho sempre desiderato, ma mai ottenuto: la felicità. Kristen? Appartiene al passato. Si, la amo. La amo da morire. Ma ha tradito la mia fiducia e perdonarla non è scritto nel mio nuovo libro. Vivrà felice con il suo maritino del cazzo e con il figlio in una casa di Los Angeles, lo pettinerà e lo curerà, la domenica mattina andrà in chiesa e trascorrerà la sua vita in modo tranquillo e allegro, senza di me tra le palle. Ovviamente non mi penserà, e se sarò fortunato mi menzionerà in un racconto sdolcinato che farà ai suoi nipoti quando avrà ottant'anni. “Robert, non ho sue notizie da sessant'anni. Oh, certo che lo amavo. Lo amo ancora. Quando lo vidi per l'ultima volta lo dissi, ma non mi ascoltò.” - e si vanterà , pensando che un libro può essere letto anche dal contrario. Cara Kristen, ti sbagli. Un libro va letto dall'inizio alla fine, senza voltarsi indietro e senza fare riferimenti che potrebbero ricordare il passato. Tu l'hai letto nel modo sbagliato: hai prima visto l'indice. Tutti i capitoli erano segnati lì, e in alcuni c'ero anche io. Si, mi dispiace, ho fatto parte del tuo libro. Spero di averlo migliorato. Non puoi tornare indietro nei tuoi errori, e devi sempre cambiare strada. Andai verso il centro di New York: con il mio aspetto da barbone nessuno mi avrebbe riconosciuto. Mi fermai in un edicola. “Pattinson è scomparso: fan deliranti” - “Caso Pattz: parla la Stewart “io non ne so niente” - è anche astuta la stronza. E trascorsi quelle giornate così, seguendo la mia ombra e rimanendo all'oscuro, come un cane abbandonato, in cerca del suo branco. Ma io il mio branco non lo volevo. Non so cosa volevo, sospettavo però che non sarei riuscito MAI a dimenticarla. Sarebbe rimasta impressa, in prima pagina sul mio libro. Tutte le pagine, con gli agenti atmosferici, sarebbero volate via, come farfalle, ma quella pagina sarebbe rimasta intatta, senza macchie nè graffi. Avrei voluto provare a strapparla, scriverla, ammazzarla senza scrupoli, ma il mio desiderio di ricordarla era superiore a quello di ucciderla. Sarei vissuto in conflitto fra due opposti, facendo rimanere quella pagina immobile, ma tentando in tutti i modi di nasconderla dal passato e non mischiarla con il futuro.

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Capitolo 4
*** Ricordi (parte 2) ***


Agosto 2009, Concerto Kings of Leon
"Ammettilo. Sei geloso di Taylor" - "Io? Di Taylor? Mi stai prendendo in giro? E poi perché dovrei essere geloso di Taylor?" - "Perché nel film ho più scene con lui che con te" - "Non è una motivazione e comunque non lo sono"-  Eravamo nella nostra camera d'albergo e ci stavamo preparando per andare a Vancouver al concerto dei Kings Of Leon. Adoravo quel gruppo! Tutto il cast ci sarebbe andato. Sarebbe stato molto palloso, ma almeno potevo stare un pò con Kris! "Cavolo, Kristen non sono geloso di quel ragazzino!" - "Non è un ragazzino. Fra poco compirà 18 anni" - "Si, vabbè. Non ho ancora capito lo scopo di questa tua insistenza" - "Secondo me sei geloso perché ho più scene con lui che con te" -"Quindi stai ammettendo che ti piace Taylor?" - "Assolutamente NO. Sto solo dicendo che in quest'ultimo periodo mi stai letteralmente ignorando" - "Ma non sono geloso di Taylor" - "Si che lo sei" - "No che non lo sono" - "Si, lo sei" - "NO, NON LO SONO!" - "Ok, quindi hai un'altra?" - "Ma che cazz..." - non feci in tempo a terminare la frase, mi piegai istintivamente verso il basso, con la mano sullo stomaco. Mi aveva tirato un calcio nel mio "apparato riproduttore". "Ma perché l'hai fatto?"- dissi, parlando a stento. "Perché hai un'altra. Robert, sei proprio uno stronzo!" - e mi mollò un ceffone in faccia. "Si, bel modo di amarmi te. Mi hai sfondato la faccia!" - una pausa riflessiva. "BASTA KRISTEN, CAZZO! CON TE HO CHIUSO! QUALSIASI COSA FACCIA MI ACCUSI SEMPRE. NON C'E' UN MOMENTO IN CUI RIUSCIAMO A PARLARE SENZA INCAZZARCI. DIAMINE, NON CE LA FACCIO PIU'! E ORA PIANGI PURE, SONO STANCO DEL TUO ATTEGGIAMENTO" - "Rob..." - ma avevo già sbattuto la porta. Di fronte a me c'era Kellan che ostacolava il passaggio. "Kell, fammi passare" - "Non devi venire al concerto?" - "Si, forse. Ora fammi passare." - "Qualcosa non va?"- "CAZZO, fammi passare!" - lo strattonai e mi diressi verso la mia camera d'albergo. Due ore dopo c'era Peter nella mia camera che cercava di consolarmi. Lo spinsi fuori. "Si, ok. Verrò al concerto, ma ora và. Ho bisogno di stare solo." Peter lasciò silenziosamente la camera. Chiamai immediatamente a Lizzie, mia sorella. Chiedere consigli a lei era sempre stato utile. "Ciao, Lizzie. Sono Rob. Ho bisogno di parlarti." - "Che ti è preso? Qualcosa non va con Kristen?"- "Esatto"- "Cosa c'è?"- "Ehm, puoi parlare ora?Dove sei?" - "A casa di papà, in bagno. Posso parlare." -"Non riesco a parlare con lei senza arrabbiarci ogni volta. E' una situazione che non sopporto. Ormai è quasi un'abitudine"- "Aspetta. Ti posso passare Victoria?"- "No, quella che ne capisce di più sei tu"- "Ok, Claudia. Dimmi pure"- "Non scherzare. E' una questione seria." - "Non riuscite a parlare tranquillamente… questo sarebbe un problema?"- "Certo! Ed è anche irrisolvibile. Mi accusa dicendomi che sono geloso di Taylor. Come potrei essere geloso di un ragazzino?"- "Non è un ragazzino. Tra poco compirà 18 anni" - "Voi femmine siete tutte uguali..." - "No, per esempio io e Victoria siamo diversissime"" - "Anche Kristen mi ha dato la stessa risposta." - "E' vero. Dovresti ammettere che sei geloso di Taylor. In fondo è solo una dimostrazione d'affetto!"- "Ma se non lo sono!" - "Rob?!?!" - "Eh?" - "Si, ok. Sono geloso di Taylor"- "Perfetto, ora diglielo." - "Sicura?"- "Ascoltami: diglielo e basta!"- "Si, lo farò"- nel frattempo bevevo una birra e mangiavo hamburger." - "Rob, hai ancora questo vizio tremendo?" -"Quale?" - "Lo sai." - "Si, ma che c'entra"- "C'entra! A Kristen piace quando bevi?" - "Che ne so!" - "Cazzo Rob, sei il suo fidanzato!"- "Bè, questa non la so."- "Ok... quando hai intenzione di dirglielo?" - "Non ne ho idea” – “Rob, sei insopportabile. A volte ti comporti come un bambino di cinque anni!” – “Va bene, questa sera tutto il cast andrà a vedere un concerto, potrei parlarle lì!” – “Non potrei … tu DEVI parlarle!” – “E che le dovrei dire? Hey faccino d’angelo tuo padre ha pestato tutte le mie libertà civili vieni a letto con me?” – “Cosa?” – “Nulla, lascia perdere. Ma davvero, cosa dovrei dirle?” – “Non lo so Rob, vedi tu!” –“Cazzo, mi sto comportando come una donna in stato pre mestruale!” – “Non fare lo sciocco! E comunque credo che lei ti chiederà scusa.” – “Ne dubito. Kristen non cambia mai idea.” – “Non se in ballo ci sei tu …”- “Ok, quindi… vado?” –“Vai!” – “Grazie Lizzie” – “Potrai sempre contare su di me”.
Cercai in tutti i modi di deviare i miei pensieri su di lei, ma fu inutile. Ogni singolo luogo, ogni singola maglietta mi ricordava lei. E così, con più di un’ora di ritardo, arrivai a teatro. C’era tutto il cast, riunito come un gregge. Kristen era seduta tra Anna e Ashley, la quale mi indicò il posto affianco a lei sul quale sedermi. Fico! Ci mancava pure il terzo incomodo. Mi avvicinai, salutando tutti e mi sedetti. “Vuoi una birra?” – mi sussurrò Ash. “Oh, no. Sto cercando di smettere di bere e di fumare. “ – “Rob, sto scherzando. Ti ho chiamato solo per dirti che Kristen sta malissimo. Non l’ho mai vista come oggi. E’ arrivata qui trasportando un fiume di lacrime e mi ha raccontato cos’è accaduto.” – mi ammutolì e cercai di vederla. I suoi occhi erano fissi nel vuoto. Non avevo neanche fatto caso ai Kings of Leon che cantavano su quel palco ben allestito. Gli occhi gonfissimi e un fazzoletto bagnato nella mano destra. “Ti prego, facciamo a cambio di posto?” – sussurrai ad Ashley – “Con piacere, ma cerca di risolvere la situazione.” – contemporaneamente ci alzammo e ci sedemmo al posto assegnato. Kristen continuava a fissare il vuoto. Cercava di evitarmi. “C … cciao” – nessuna risposta. E poi mi venne in mente quell’idea folle. Romantica, ma folle. Mi alzai con rabbia e mi diressi verso il back-stage. Parlai con un uomo robusto, evidentemente della sicurezza. Mi bloccava il passaggio. “Amico, tu qui non puoi entrare.” – mi disse con voce arrogante. “Ti pago, ma ho bisogno di entrare.” –“Perché dovrei farti entrare?”- “Perché sono Robert Pattinson e ti pagherò per entrare.” – la sua faccia si accese. Lo so, non è da me fare certe cavolate.. però … cosa si fa per amore! Comunque alla fine li regalai tutto il portafoglio e mi fece entrare. I Kings of Leon cantavano “Use somebody”. Presi un microfono e irruppi sul palco. Micheal, il bassista, mi vide con un’aria strana, mentre gli altri tre chiamarono le autorità. Presi una chitarra acustica presente sul palcoscenico e, sedendomi su uno sgabello, cominciai a cantare “Falling in love for the last time”, dedicata a Kristen.L’avevo scritta qualche tempo fa, ma non avevo mai avuto il coraggio di mostrargliela. Migliaia di persone mi fissavano con la bocca aperta e io fissavo solo lei. Lei, che aveva alzato lo sguardo verso di me, lei che aveva smesso di piangere. Finì la canzone e aggiunsi: “Small girl with big green eyes, i love you.” E ritornai al mio posto. “Mi hai perdonato?” –“Ti avevo già perdonata, lo sai” e ci baciammo. Oh, com’è bello il primo bacio dopo il litigio. Ha un sapore diverso, il sapore della vittoria. I paparazzi ci stavano fotografando, ma non me ne importava assolutamente nien.. .
 
 “HEY, TU! SVEGLIATI!!! E’ DA MEZZ’ORA CHE TI CHIAMO!” –avvertì una grossa fitta sulla guancia destra e dischiusi lentamente le palpebre. “Chi sei?” – “Piacere, sono John. Passavo per di qui e credevo fossi morto.” – “Ah, no. Sono vivo.” –“Posso restare qui con te?” –“Se vuoi, però fammi dormire!”
 
E poi sognai quella serata. La serata più triste della mia vita…
 
“Sono Lee, mi senti? Mi senti? Mi senti? Mi senti? Mi senti? Mi senti……?” – lo sentivo, ma la mia bocca era bloccata. Non riuscivo più a muoverla. Era pietrificata. Avrei voluto rispondergli, ma non ci riuscivo. “Amico, devo dirti una cosa importante” – lo sentivo, ma non lo vedevo. Intorno a me regnava il buio. “Kristen! Kristen ti ama. Robert… Robert, non lasciar sfuggire la tua anima gemella! Robert! Robert! Rob…” – la sua voce era come succhiata da un uragano. “Ti amaaaaaa” – e poi quel risveglio. Quell’amaro risveglio, mentre nella mia testa circolava ancora quella frase illusoria, ma enormemente vera: “Kristen ti ama”.

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Capitolo 5
*** Ricordi (Parte 1) ***


ROBERT'S POV

Qualcuno entra a far parte della tua vita; una parte di te dice:"Attento!Resta nella tua tana, non sei neanche lontanamente pronto!", ma l'altra parte dice:"Fa che sia tua per sempre" Questa è una frase del mio film, Remember me. Io sono rimasto nella mia tana per molto tempo. Ho sofferto in silenzio, ammirandola da lontano e cercando di non vomitare quando al suo fianco c'era il suo ex ragazzo. Dopo di che ho cercato in tutti i modi di far parte del suo presente, immaginandola, a novant'anni, piena di nipotini, e io ancora lì, accanto a lei. Poi, in un solo giorno tutte le mie aspettative si sono fottute. Mi trovavo in una grotta, con la barba lunghissima, senza sigarette e con una voglia irresistibile di vederla. Era da un po' che avevo abbandonato l'idea di dimenticarla. Sarebbe stato inutile. Il passato, in qualche modo, ritorna sempre da noi. Da quando la mia vita era cambiata avevo cominciato a segnare i giorni trascorsi sul terreno, allegando ad ogni giorno una frase. Si, come nel film “Into the wild”, dove per la prima volta notai la bellezza e la professionalità di Kris.

9 Maggio 2011 = “E' un sentimento strano che provo. Tra odio e rancore, tra amore e ricordi. Basterebbe solo un misero, umile sguardo per farmi ritornare vivo. Nel frattempo avrei aspettato, con le lacrime sul viso,quell'abbraccio mai ricevuto.

Quella frase rappresentava il mio esatto stato d'animo. Erano appena le cinque del pomeriggio e le mie palpebre cominciarono lentamente a chiudersi. Ero impotente: lottavo in tutti i modi per restare sveglio, ma era ormai troppo tardi...

Dicembre 2008, l'inizio del sogno

Kristen era in piedi, di fronte a me. Stringeva la mano ad un tipo strambo e sorrideva, con la sigaretta tra quelle labbra che adoravo. Io la guardavo entusiasta, ma dentro tremavo. All'epoca aveva diciassette anni e ancora lo sguardo giovanile. Mi fissava. Io cercavo di guardare altrove, ma era come una calamita: mi attirava. Presi una sigaretta e fumai anch'io. Presto si avvicinò a me. “Io sono Kristen Stewart”- e mi porse la sua mano destra. “Ehm... si, lo so. Io sono Ro...” - e, senza darmi tempo per terminare la frase,mi baciò. Lì, di fronte a migliaia di persone. Era ovvio: il suo macaco era uscito a cercare una banana. Io restai a bocca aperta e sospirai. Poi ritornò al suo posto. Continuava a sorridermi. Poi... nient'altro: tutto appariva così vago e lontano...

Novembre 2008, la mia camera d'albergo

Erano state molte le sue provocazioni, mentre io restavo impassibile. Non che non mi piacesse, ma Catherine era stata chiara :“Niente relazioni fra i membri del cast”, ed io, da professionista, avevo rispettato il patto. Eravamo nella mia camera d'albergo di Pechino, stanchi dopo un'intera giornata trascorsa a promuovere Twilight. Stavamo leggendo una rivista, tra una risata e l'altra. Kristen indossava una maglietta bianca e dei jeans larghi. Si sedette sul divano e io decisi di offrirle una lattina di Coca Cola. Restammo un'ora in silenzio, sorseggiando la bevanda. “Ragazzi, venite, c'è la cena!” - Jackson ci chiamò. Entrambi ci alzammo e ci dirigemmo verso il piano terra. La cena? Birra e pizza. Io insistetti moltissimo per mangiarne un po' della sua, perciò alla fine decise di fare a metà. Eravamo seduti accanto e le nostre mani, sotto il tavolo, erano dolcemente unite. A volte scoppiavamo a ridere, e tutti si voltavano verso di noi, con sguardo sospettoso. Noi ci osservavamo, ridendo sotto i baffi. Tornati in camera io le chiesi qualche chiarimento. “Non riesco più ad andare d'accordo con Micheal. La mia vita sta iniziando a fare schifo. Sono già stufa.” - “Hai intenzione di lasciarlo?” - “Sai, è difficile. Il nostro rapporto va avanti da quattro anni e non abbiamo mai rinnegato il nostro amore.” - “Bhè... io sono single” - “Lo so... e non ci provare.” - “Hey hey hey.... aspetta... sei tu che ci provi con me!” - e la rincorsi per tutto l'edificio, minacciandola di farle il solletico. Ridemmo fino a notte fonda e Taylor, che risiedeva nella stanza accanto venne a reclamare per il baccano per ben due volte. Sentimmo per circa un'ora la tua canzone preferita: Vicar in a tutu, degli Smiths. Alla fine spensi la radio, esausto. Cominciò a piagnucolare. “Non so cosa fare. Io... credo che... Robert, tu mi piaci. Ma Micheal è … cioè... siamo fidanzati da quattro anni! Non potrei mollarlo così. Lo sai, l'hai notato anche tu. Non riesco a non nominarti nelle interviste. In ogni istante ti guardo e mi sciolgo, perdendomi in quegli occhi color cielo. Adoro il tuo fottuto accento inglese, la tua chioma dorata, il tuo sguardo assassino. Ma non so cosa fare.” - “Fa ciò che senti” - le misi una mano sul suo cuore. I suoi battiti erano velocissimi. Lei divenne tutta rossa e mi sorrise. “Se è questo l'effetto che ti faccio.. dovresti scegliere me” - lei preferì tacere e appoggiò la sua testa sul mio petto. Io le accarezzai i capelli. “Pattinson, neanche tu scherzi!” - i miei battiti erano molto più veloci dei suoi, la mia ansia molto più devastante. Alzò lo sguardo e le sue labbra incontrarono, per la seconda volta, le mie. Fu un bacio lungo, intenso, come nei film. La mia mano era ancora sul suo petto, l'altra sul collo. “Ora hai cambiato idea?” - “Credo di si” - e continuò a baciarmi. Ci addormentammo così. Il suo braccio sul mio fianco, la sua testa sul mio petto, la mia mano sui suoi capelli.

Marzo 2009, finalmente mia

Kristen un giorno venne sul set in lacrime: Micheal l'aveva lasciata. Ne parlammo subito dopo e io cercai in tutti i modi di rassicurarla. Ero amareggiato, perché due persone che si amavano in quel modo non potevano fingere di essere solo amici. Mi chiamò dicendomi che ero l'unico che riusciva a capirla. Quando ero con lei era come se tutto il resto non esistesse. Vivevamo in una bolla tutta nostra, e il resto importava ben poco. Mi sentivo una persona diversa, migliore. Una sua parola mi rendeva felice, un suo sguardo poteva uccidermi, una sua carezza mi eccitava. I nostri sguardi non passavano inosservati. Quel giorno, il 15 Marzo 2009, cominciò ufficialmente la nostra relazione. Ed ero contentissimo, anche se non lo mostravo. Avevo voglia di dirlo a chiunque, ma avevamo deciso di non parlarne fino alla fine delle riprese della saga. Trascorrevamo tutta la giornata insieme, andando al bowling, al cinema, a sciare. Avrei fatto di tutto pur di stare con lei. Non avevamo bisogno di parlare, ci capivamo con un solo sguardo e non mi era mai capitato con nessuno niente di simile. Era una persona unica ed ero sicurissimo che la nostra favola avrebbe trovato, prima o poi, un lieto fine.

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Capitolo 6
*** La doppia faccia del barbone ***


Lo sooo... non pubblico da mesi D: Ho avuto un casino di impegni, e, per di più... gli esami! Quest'estate, però, sarò molto più presente e pubblicherò un capitolo ogni due giorni. Scusate se ci sono errori... e buona lettura.

La doppia faccia del barbone
(Rob POV)

Era giunto il momento di pianificare la mia vita; scegliere la giusta strada e percorrerla senza interruzioni. Io sono sempre stato lo stupido, il cretino, quello innamorato. Diamine, io avrei potuto uccidere per lei. Ma lei no… non posso lasciarla sola un attimo e scopa con il primo che capita. Mentre mi ponevo questi problemi esistenziali il tizio che precedentemente mi aveva svegliato beveva un po’ di rhum. Era un barbone, mai visto prima. Avevo pietà di quella gente, e se avessi avuto dei soldi, avrei sicuramente dato un po’ della mia parte a lui. Quanto tempo era passato? Il mio calendario “automatico” non l’avevo più aggiornato e i giorni passavano così, come ore, come minuti, senza niente di importante che mi ricordasse chi sono. Karl era il nome del barbone. Indossava stracci per abiti, la faccia era nera e sporca, il viso consumato dall’angoscia. Prima non attribuivo molta importanza a chi era meno fortunato di me. Odiavo la mia vita “da star”… e continuo tuttora ad odiarla. Se c’è una cosa che non capirò mai della vita è la fama. Insomma, a cosa serve? Ci sono moltissimi altri valori fondamentali per me: l’amore, l’amicizia, la salute, la famiglia. Al momento non potevo contare su nessuno di questi. Karl aveva con sé una borsa, colma di cose che non mi mostrava mai. Era taciturno, sempre con il viso sul suo alcool. Essendo povero, non riuscivo a pensare come facesse a procurarselo. Forse a me non farebbe male. L’ultima volta che mi ero ubriacato di brutto ero con Tom, Kristen e Nettie. Eravamo a casa sua, mentre Lee ci scattava le foto. Dio! Ero pietoso! Un sorriso si stampò sulle mie labbra, ripensando a quei allegri ricordi che forse non avrei più vissuto. La capanna che avevo costruito era abbastanza confortevole, ma l’inverno si avvicinava. La mia barba aveva raggiunto quasi la terra, così come le mie unghie.
“Se n’è andato. Sono rimasto solo. La mia famiglia, la tartaruga, la gallina del vicino.” – effetti dell’alcool, pensai.
“Vuoi sapere come sono giunto a ciò?” – annui, ridendo pensando a quanto avesse bevuto per arrivare ad un simile traguardo.
“Mia madre è un’alcolizzata. Mio padre un ladro. Si, il solito figlio deficiente americano, penserai. Mio fratello ha preso la via di mio padre. A 10 anni mi mostravano cose assurde. A nove avevo già preso in mano un fucile, a undici avevo rubato in una banca, a dodici avevo già provato tutti i tipi di droghe. E’ stata una vita tormentata, ma io non ho mai desiderato ciò che facevo. Al liceo c’era una ragazza, Clare. Ero pazza di lei. Viveva nella casa accanto alla mia e ogni giorno la vedevo: anche lei era figlia di un delinquente, e le nostre vite si potevano tranquillamente paragonare. Era una tipa tosta, una di quelle che te ne innamori la prima volta che le vedi. Ogni giorno mi sedevo sul muretto, e, con il fucile in mano, sparavo a chiunque passasse, per fare il figo. Lei mi guardava, accigliata, da lontano, con lo sguardo allibito. Poi prendeva anche lei il fucile, e diventava una gara a chi sparasse più animali. Il nostro quartiere era il più povero della città. La polizia aveva paura ad entrarci, e vivevamo nella povertà più assoluta. Rubando, ho imparato a guadagnare qualcosa e ciò mi è servito molto. Pagavo i vestiti a Clare, la portavo al cinema, ma a casa la situazione peggiorava sempre di più. Gli sbirri presero mio fratello, e ben presto anche mio padre. Mia madre, in preda alla disperazione, si ubriacò. Accade la prima, la seconda, la terza volta… finché non divenne quotidiano. Non cucinava più, e io ero rimasto solo. Clare era più ottimista, disse che, un giorno, saremmo fuggiti da questa vita noiosa e avremmo viaggiato per tutto il mondo. Quella promessa non fu mai portata a termine. La stessa estate dello stesso anno Clare morì. Aveva una semplice febbre, che si trasformò in un grave tumore. I genitori non avevano soldi abbastanza per curarla, e nonostante avessi dato tutti i miei risparmi al suo medico, le cure non furono efficaci. Da allora vivo così, senza una meta, in giro per il mondo. Per completare quel viaggio che non avrei mai fatto con Clare. Posso comprendere la mia, di storia. Ma tu, il beniamino di Hollywood, il vampiretto più figo del mondo… cosa ci fai qui?” -
“E’ stato terribile. Non mi va di parlarne” –
“Non ti preoccupare, presto capirai che non esistono molte vicende tristi come la mia. Racconta, confidati con me.” – e fece per estrarre dalla borsa un’altra bottiglia di rhum. A lui, Jack Sparrow, gli fa un baffo! -
“La mia ragazza, Kristen, mi ha detto di essere incinta. Mi è parso strano, inizialmente, ma presto capii che ero pronto per affrontare una nuova vita, per diventare padre.” –
“Chi è quest’ultima? La Stewart?” –
 “Si, vedo che lei è ben informato.” –
“Sa com’è… qualche rivista la rubo ancora!” –
“Ovviamente, come potresti non farlo. Il mondo è crollato, però, quando mi ha detto che non ero io suo padre. Sa, noi eravamo insieme da più di tre anni, e i nostri rapporti erano ottimi. Non so come, ma … è accaduto con qualcuno, in mia assenza. Non so come, questo non me lo spiego. Kristen mi amava, tutte le volte che me l’ha ripetuto, non ho mai pensato una sola volta che mi stesse prendendo in giro. E… ed è tutto. Ora sono qui, come un babbeo, che soffro per lei.” –
“Si vede che è davvero innamorato. I suoi occhi… sono come un pozzo. Riesco a vedere lei nei suoi occhi. Avevate un buon rapporto, non è così?” –
“Si, cioè… noi... eravamo più amici che fidanzati. Ci comportavamo da normali fidanzati, ma il successo, la fama… ci hanno sempre allontanati e spaventati. E poi, quei diavolo di paparazzi, hanno sempre impedito la nostra relazione. Lei, inoltre, è sempre stata timida e impacciata, e la nostra storia non usciva al di fuori delle mura famigliari.” –
“Deve andare da lei, mi creda” –
“Anche io vorrei che fosse tutto così semplice. Ma non riuscirei MAI a stare con la persona che amo pensando che l’ha fatto con un altro. Non ho idee. Non riesco a immaginare un altro con lei.” –
“La stampa ha riservato anche un nome per voi, eh? Siete i Robstin, giusto?” –
“No, noi eravamo i Robsten. Migliaia di ragazzine esaurite ci perseguitavano, in cerca di una prova della nostra relazione mai confessata. Nell’ultimo periodo eravamo diventati più aperti, però.” –
“In che senso?” – Karl assunse una strana faccia, quasi sorpresa, mentre usciva dall’altra tasca dell’altro rhum.
“Lei mi baciava anche in pubblico, a volte. Mi sussurrava parole dolci e durante i programmi televisivi era molto più aperta. All’inizio della nostra storia era molto più riservata.” –
“Pattinson, non mi dica che… dai, insomma… quante volte lo facevate alla settimana?” –
“Tre, quattro, dipende dagli… ohi, scusa.. MA CHE CAZZ?!?” – Il mio viso fu ricoperto da flash nel giro di due secondi. Il tizio si alzò e mi fotografò con la sua macchina fotografica da paparazzo professionale.
“MA VAFFANCULO!” – mi alzai e me ne andai indignato, dopo la corsa fugace del paparazzo. Chissà quanto cazzo l’avevano pagato per fare una cosa simile e chissà come cazzo ha fatto a trovarmi! Ora era giunto il momento. Avrei dovuto capire assolutamente chi era il padre del figlio di Kristen. Non avrei potuto vivere con un simile peso sulle spalle. Entrato in città, tutto mi apparve diverso: il colore delle case, i negozi, la gente perfino. Senza di lei era tutto così diverso, mi sentivo vuoto. Entro domani la stampa riporterà le notizie del paparazzo, che, ovviamente, aveva registrato tutta la mia storia. Che cretino! Ora la gente saprà anche quante volte alla settimana lo facevamo! Yuppy! Kristen morirà, quando leggerà quell’articolo. La mia prima meta fu la banca, mentre ripensavo a tutte le cazzate che aveva sparato Karl, se quello era il suo vero nome. Appena mi videro, mi diedero i soldi anche senza mostrare la carta d’identità (che, in effetti, non possedevo). Già, i soldi non fanno la felicità, ma, devo ammettere, che non posso vivere a lungo senza. La seconda meta fu l’aeroporto: primo volo, solo andata. Destinazione? Kristen Jaymes Stewart. 

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Capitolo 7
*** Casa Stewart ***


ROBERT POV

In tutto quel tempo non avevo mai fatto caso a ciò che ero diventato, a ciò che era diventata lei. Passarono, non so, circa quattro mesi. La gravidanza era a un buon punto. Nel giro di un mese le avrebbero sicuramente detto il sesso del feto. Il viaggio da New York a Los Angeles non mi era mai sembrato così faticoso e lontano. Con me solo una borsa comprata al mercato dell'usato. I pochi risparmi erano lì. L'aereo atterrò e tutto fu pacifico. Non avevo più nessuno che mi ronzava accanto. Niente fan, niente paparazzi... tutto il dolore era cessato. Quell'aeroporto. Quante ne combinammo in quell'aeroporto. La prima volta nel 2010. Si, lo ammetto, fummo stati pizzicati parecchie volte, ma all’epoca ci stavamo ancora abituando. In quel periodo dimenticai tutto. Non mi presentai neanche alla premiere di Breaking Dawn parte 2. Cercai di dimenticare tutto, ma ciò che non riuscivo ad isolare da me era proprio lei. Presi un taxi, facendomi portare a casa sua, a casa di Kristen. La villetta solitaria era situata quasi al centro della città. Il giardinetto non era mai stato curato e ogni volta che entravo il disordine mi inghiottiva. Era piccolina, ma molto confortevole. La cucina non era mai stata utilizzata, e proprio lì regnava la polvere. La camera da letto era decorata con poster di chitarristi o attori mai sentiti in vita mia. Il letto era al centro della camera; matrimoniale, ricco di cuscino. Ricordavo ogni particolare di quella casetta. La casetta dove, molto spesso, avevamo coronato il nostro sogno d'amore. L'autista si blocco a venti metri dall'abitazione. Lo salutai cordialmente e lo pagai. Il prurito della mia barba incolta mi costrinse a girarmi in prossimità del semaforo. Una foto era attaccata con dello scotch alla sua estremità. Spalancai la bocca e i miei occhi rotearono come quando si fa uso di droghe. Osservai meglio la foto e strizzai gli occhi non appena lessi il nome "Stewart". Al centro del foglio stropicciato la foto di una persona che conoscevo benissimo: Cameron. In alto la scritta "cercasi". Il mio battito cardiaco aumentò improvvisamente e mi ritrovai piantato nel giardino della casa di Kristen, con il foglio in mano.  Le finestre erano particolarmente sporche. Alzai la tendina verde per "spiare". Era vuota. La casa era vuota. L'indirizzo era quello e io ricordavo praticamente tutto: non era stato un mio errore. Armato di pazienza e tanto coraggio, mi diressi a West Hollywood, dove risiedeva la famiglia Stewart. Non era molto distante da lì. La casa era di tre piani, lussuosa, con molte camere per gli ospiti e bagni. Al terzo piano c'era anche una camera con il video proiettore per vedere film; accanto, il bowling. Il giardino non era per niente curato. La tavola di surf di Diana era per terra, ancora bagnata. Jella si avvicinò ai miei piedi e cominciò a fare le fusa. Mi abbassai per accarezzarla e trovai di fronte ai miei occhi lo sguardo vigile di Jules, la mamma di Kristen. Mi fissò per un po’, nel frattempo che mi alzai, poi mi sorrise compiaciuta. Mi abbracciò e mi stritolò per parecchio tempo.
"Che piacere averti qui, tesoro!" - io la guardai sbalordito. Mi prese per mano e mi condusse dentro. La televisione era accesa in salotto. In cucina c'erano Diana e Taylor. Diana giocava con il laccetto del costume bagnato, Taylor aveva le mani posate sugli occhi gonfi, con delle occhiaie chilometriche. Salutai con un cenno i ragazzi e mi voltai verso Jules. Lei capì immediatamente.
"John e Kristen sono usciti a comprare qualcosina per il pranzo" - rabbrividii all’ascolto di quel nome -
"Vuoi restare con noi, ragazzo caro? Ci farebbe davvero piacere" -
"C....certo, signora Stewart" - mi sedetti sul divano della cucina, al fianco di Taylor. L'imbarazzo si faceva sentire spesso in quelle situazioni.
"Come va? E' da tanto che non ci si vede, eh?"- fu Diana a parlare -
"Si, io e ....Kristen"- pronunciai quel nome a stento ."...abbiamo avuto dei... dei problemi" - Diana abbozzò un sorriso e tornò a fissare il vuoto.
Delle lacrime uscirono dal viso di Taylor, e mi inondarono il cuore. Capii che c'era qualcosa che non sapevo. Qualcosa di terribile che era accaduto a Cameron.
"Tay, ho...io, ho trovato questo, in giro" - gli porsi il foglio strappato e macchiato. Taylor lo prese e scoppiò a piangere.
"Avete trovato qualcosa? Taylor, dimmelo." - Taylor negò e tornò a posare sul suo viso le dita lunghe.
"E' scappato. Una sera, all'improvviso"- intervenne Diana -
"Sono passati giorni ormai" -
"La polizia ha trovato la sua maglietta, e tutti i nostri presentimenti si sono avverati" - la sua espressione era rammaricata, ma non piangeva.
"Posso fare qualcosa per aiutarvi?" -
"Niente, abbiamo fatto il possibile. Mamma sta impazzendo. Se è accaduto, rivuole solo il corpo" - un'altra voragine si aprì. Cameron, quel fratello che c'era sempre stato per lei, che l'aveva consigliata, rassicurata nei momenti più difficili, era sparito. Era stato d'aiuto anche per me, quando non sapevo cosa regalarle, o cosa dire nei momenti difficili. E' stato anche uno dei nostri compagni di sbronza, qualche volta. Una lacrima rigò il mio viso e non feci niente per fermarla o bloccarla: avrebbe dovuto seguire il suo percorso, consapevole che, prima o poi, tutto finisce. In cinque secondi la lacrima aveva già percorso tutto il viso ed era caduta sul jeans sporco.
"Vado in bagno" - è ciò che riuscì a dire.
Mi alzai goffamente e mi diressi verso le scale. Mi sciacquai la faccia e mi asciugai con un asciugamano che conoscevo benissimo. Verde, profumato. Il suo odore era inconfondibile. Uscii dal bagno chiudendo la porta e entrai nella camera di fronte: la camera di Kristen. Viveva in quella casa da bambina, e poche erano state le volte che c'ero entrato. La scrivania era piena di disegni e il muro era tappezzato da quadri. Erano tutti di lei da piccola, fino all'età di quattordici anni circa. Il letto era situato sulla destra. Presi alcuni dei tanti disegni sulla scrivania e li esaminai. Erano stati fatti quando lei era alle elementari. Un sole grande quasi quanto la metà del foglio occupava il primo piano, mentre sotto, con una matita colorata c’era disegnata la sua famiglia. La faccia un grande quadrato, il corpo un rettangolo. Sorrisi, pensando che lei aveva davvero disegnato quello qualche tempo fa. Nel cassetto, sotto la scrivania, c’erano delle foto. Alcune di noi due, insieme ai tempi di Twilight, altre di lei e Micheal. Ciò mi fece dubitare, nonostante sapevo perfettamente che ormai lei non provava più niente nei suoi confronti, ma anche nei miei. Aveva occupato un posto importante nella sua vita, non potevo non ammetterlo. Scesi giù. Jules stava preparando la cena. Appena ritornai in cucina mi diede un colpetto nervoso sulle spalle.
“Tutto bene con Kristen?” – la guadai stizzito. Kristen non le aveva detto niente. Annuii e guardai altrove, giocando il suo “gioco”. La porta si spalancò e una forte ondata di freddo invernale aleggiò in casa. John, più grasso di quanto ricordassi, aveva in mano delle buste, alle sue spalle Kristen faceva lo stesso.
“Che piacere rivederti, Rob” –
“Piacere mio” – sussurrai, con lo sguardo fisso su di lei. Kristen mi guardò alzando un sopracciglio. Di nuovo quei occhi mi avevano incantato.
“Posso… aiutarti?” – mi offrii. Lei si limitò ad annuire e mi diede una busta, quella più pesante. Indossava dei jeans larghi e le solite Vans, la maglietta era la mia, molto più stretta di quanto dovesse essere. Sorrisi debolmente e non feci a meno di notare le occhiaie che la incorniciavano. Non che lei non ne avesse di solito, ma quel giorno particolarmente. Gli occhi gonfi e il verde della pupilla era spento, debole. Forse stanco. Il pancione risaltava in un modo orribile. La sua faccia era un po’ più “piena”. Dentro di lei viveva una persona. Un bambino che non era mio. Avrei voluto che da un momento all’altro mi dicesse “Stavo scherzando, certo che è tuo!”, ma questo non è mai accaduto. Mangiammo in silenzio il delizioso polpettone di mamma Stew e salimmo entrambi di sopra.
“Ti devo parlare” – le sussurrai in un orecchio. Andammo in camera sua. Lei si sistemò su una sedia, io sul letto.
“PRETENDO di sapere di chi è il padre di quell’essere nel tuo grembo” –
“Rob, non incominciare” –
“NON INCOMINCIARE?” –
“Non incominciare. Ti prego, non oggi” – il suo viso era rammaricato e lo sguardo spento mi faceva capire che non mentiva.
“Mio fratello è sparito, i miei stanno impazzendo, Taylor è in lacrime da giorni, e così io, Diana non se ne sta fregando niente e… sono stanca. Credi che sia stato facile per me? Io. Sono. Stata. Male. Davvero. Male. Dopo la tua fuga, ma anche prima. Ricordare quei momenti mi fa star male…” – gesticolava in modo irregolare
“Credi che sia stato facile per me, eh? Mesi DA SOLO senza cibo, né amici, né casa. In cerca del nulla. A spasso senza sapere dove andare e cosa fare. Con te in testa. Solo te. La tua voce, quelle terribili parole, quel terribile senso di sconforto che ho provato” –
“So che non è stato facile per te, ma so che tu mi ami ancora. Ne sono certa. Questo discorso sarà rimandato a dopo, quando tutti staranno bene.” –
“Si, hai ragione. Ma non posso; pensare di stare ancora con te dopo…. Non posso farcela.” – sorrise debolmente e annuì.
“Ti capisco” –
“Ma dimmi solo chi è. Chi è questo tipo.” –
“Rob. Non posso.” – il viso pieno di lacrime. La sua mano sul mio viso, anch’esso illuminato da tanta tristezza.
“Hai ancora la mia maglietta” – la mano di Rob si posò su quel pancione così surreale da non apparire vero. Sentii qualcosa muoversi.
“E’ un maschio?” –
“Il mese prossimo lo scoprirò.” –
“Perché non hai detto niente ai tuoi, del nostro litigio?”-
“Avevo… paura di ferirli. Secondo loro, per me, sei tu il marito ideale.” Altre lacrime, nonostante le mani di lei che tentavano di nasconderle, passeggiarono sul viso.
“Perché piangi? Ti aiuterò a cercare Cameron. Starà bene; sappiamo com’è lui.” –
“Non è per Cameron, io so che se la sta cavando.” –
“E allora? Perché piangi?” – uscì dalla stanza con impeto, le lacrime esplose irrimediabilmente; quella non poteva esser altro che una delle tante conseguenze del segreto che non poteva svelare a nessuno
.
 
 

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Capitolo 8
*** Cameron ***


Forse fu quella la settimana più terribile di tutta la mia vita. E se io, nonostante fossi più forte, soffrivo molto, non potevo immaginare come si sentisse Kristen. Non l'avrei mai detto. Non avevo mai pianto a un funerale. Quando morì mia nonna non avevo prestato molta attenzione. 'E' morta. Tutti muoiono, prima o poi.' - pensai questo. Ma forse all'epoca non avevo mai perso una persona unica, responsabile dello stato d'animo della persona che amavo di più al mondo. Dal mio 'ritorno' trascorsi una settimana a casa dei genitori di Kristen. Io sul divano, lei nella sua cameretta. 'Buongiorno' al mattino e 'buonanotte' alla sera; niente più. I sorrisi falsi non sarebbero serviti a molto, e, conoscendoci, sapevamo entrambi che mentire non è nel nostro DNA. Soffrivamo in silenzio, con il volto coperto di lacrime, ma senza gemiti. Soffrivamo guardandoci negli occhi, rendendoci conto che il nostro amore non era mai finito, ma ormai era troppo tardi. Diana con il suo ego da supereroe voleva dimostrare che era un duro, ma anche lui aveva un cuore. Il giorno stesso della terribile scoperta migliaia di fan raggiunsero Kristen. La abbracciarono, le diedero raccomandazioni e consigli, mentre io, orgoglioso, restavo a fissarla. Impacciata, con le mani nei capelli. Disperata, con gli occhioni verdi dilatati. Io non mi sentivo di certo meglio. Cameron era stato il parente di Kristen che mi è stato più vicino di tutti. Ma soprattutto, vicino a lei. Come avrebbe fatto senza un fratello? Il fratellone maggiore che tutti avrebbero desiderato. Cameron non era come gli altri... non per questo era suo fratello. Era speciale come lei. Riusciva ad incanalare la sua energia in tutti, anche nei momenti peggiori. Se al suo stesso funerale fosse stato vivo, ci avrebbe rallegrato con le sue battute. Eravamo, ovviamente, tutti vestiti in nero. Aprivamo il corteo. Il tragitto dalla casa alla chiesa fu molto breve. Migliaia di amici, parenti, colleghi e fan riempivano le vie principali di Los Angeles. Io ero con le mani in tasca, lo sguardo basso. Il volto totalmente incurato. La barba era incolta, i capelli unti. La messa fu tranquilla. Qua e là si sentivano urla e pianti, ma era tutto normale.
Era accaduto troppo in fretta. Nessuno se lo sarebbe aspettato. Mi offrii volontario per portare la tomba al cimitero. Per una volta, da quel mese maledetto, Kristen era passata in secondo piano. Fu tutto estremamente veloce, forse perché ancora nessuno di noi capiva cos'era realmente accaduto. Tornammo a casa, ma ancora non ci rendevamo contro che lui non c'era più... e non ci sarebbe stato mai più.
"Come va?" - bussai alla sua porta. Era seduta e si mangiava le unghie. Alzò le spalle e espresse dissenso con il capo. Gli occhi le brillavano. I suoi, brillavano sempre in mia compagnia, ma questa volta non era per me. Chiusi la porta e mi sedetti accanto a lei. Il letto fece uno strano rumore, ma ci risi su. Non mangiava da tre giorni. Senza dir una parola, scesi giù in cucina e le preparai uno di quei piatti al quale non avrebbe mai detto di no: sushi. Risalii in camera e lei, per la prima volta, m'illuminò il viso con il suo sorriso. Rise, quasi pensasse 'No, non è reale. Tu stai scherzando', ma accettò volentieri il piatto. Sapeva che, se avesse rifiutato, io sarei stato male per lei. Si, perché il suo dolore era anche il mio. E non potrei mai considerare amore quello basato sul sesso o su un fottuto numero. L'amore reale è quello che si condivide, come la felicità. Se tu hai mangiato e sei felice, e come se anch'io fossi sazio e felice. E' una conseguenza logica. La sua mano fu sulla mia per tutto il tempo. Non fui io ad agire, ma lei, che d'un tratto posò la sua mano sulla mia, facendomi sussultare. Poi si girò verso di me, ancora con gli occhi lucidi, ma questa volta per un altro motivo. Mi avvicinai, solo per accarezzarla, ma lei ritirò subito la faccia. Ritornò a fissare il piatto vuoto.
"Solo che... io non capisco cosa l'abbia spinto a farlo." - Cameron si è suicidato. E' quello che hanno detto i poliziotti e i più bravi medici di Los Angeles. Non è ancora stato accertato, ma è sicuro.
"La ragazza, il lavoro, i problemi." -
"La vita" - concluse lei. Sorrise amaramente e proseguì.
"Non me ne farò mai una ragione" -
"Kristen... mi hai visto in questi giorni? Mi hai mai visto piangere? Cameron l'ha fatto per un valido motivo; ne sono certo.” – In effetti il motivo nessuno l’aveva ancora capito. Lei si limitò ad annuire.
“Anche io ne sono certa, era una persona forte e coraggiosa, non l’ha fatto senza motivo.” –
“Non piango in questo modo da quel giorno.” – Lei ricominciò a fare quello che le veniva meglio in questi giorni: piangere. Mi bloccò la bocca con un dito prima che potessi ribattere.
“Te lo dirò. Hai ragione, hai il diritto di saperlo.” – sorrisi felice e la guadai. Avevo una faccia da imbecille, ma sinceramente poco importava.
“Ho cercato di tenere i miei lontani dalla vita d’oggi. Non uscivano quasi mai e mi offrivo spesso volontaria io per delle compere. Non è stato facile neanche per loro. Ho detto che lavoravi.” – spostò la mano sulla mia gamba, e l’accarezzò piano.
“Non… non fa niente.” – riuscii a dire solo questo. Poi la mia mano fu trascinata da un enorme vortice gravitazionale e la ritrovai improvvisamente sulla sua guancia. Mi era mancato il profumo della sua pelle morbida e setosa, il tocco magico che faceva scoccare la scintilla, e le conseguenze paranormali che portava quel tocco. La radio trasmetteva la canzone perfetta: ‘Violet Hill’ dei Cold. Quello fu il momento in cui mi sentii, per la prima volta dopo tempo, rivivere. I suoi occhi tornarono a brillare d’amore, come una volta. Il mio riflesso era lì, e ci sarebbe stato per sempre, ne ero certo. Ci alzammo, in ginocchio, su quel letto che non mi era mai parso così ingombrante. I peluche sotto di noi, pezzi mancanti di puzzle e cumuli di sporcizia… niente era un ostacolo. C’eravamo solo noi. Io e lei. Poco importava che Diana, Taylor e i genitori di Kristen erano al piano di sotto, ormai eravamo di nuovo uniti, insieme e nessuno ci avrebbe fermato. Restammo a fissarci per qualche minuto, come se non ci fossimo mai visti in vita nostra. Tutto assumeva un diverso significato; tutto sembrava diverso visto da quest’aspetto che da un po’ non toccavo più. Ero tentato. “Non possiamo più stare insieme. Non ci riuscirei sapendo che tu sei stata con un altro.” – la sera prima le dissi questo, ma erano solo parole, inutili parole, che in quel momento non avevano più senso. La mia mano scese giù, fino ai fianchi. Il mio mento appoggiato sulle sue spalle, per odorarla, venerarla. Per riscoprire l’odore del mio piatto preferito, a volte nocivo. La sua non fu affatto un’espressione disgustata o di respingimento. Le sue braccia mi inondarono, e mi racchiusero. Anche il suo mento fu sulle mie spalle. E quello fu uno degli abbracci più calorosi che io abbia mai ricevuto, perché dentro, in quell’abbraccio, migliaia di sentimenti scaturivano e avevano voglia di uscire. Amore, odio, rabbia, tristezza, depressione, felicità, orgoglio… erano tutti lì, in quell’abbraccio. Ero arrivato al limite di sopportazione, il cuore sarebbe presto scoppiato se non avessi agito. Sollevai il viso e la guardai. Anche io piangevo. I miei occhi erano luminosi e brillanti come i suoi. Quell’istante sembrò durare un’eternità, era troppo perfetto per essere reale. Le mie mani furono subito sotto la sua maglietta, che presto finì a terra. La sua pancia brontolava, non per la fame. Ancora non capivo come potesse un bambino essere lì. Notai che anche lei mi desiderava come la desideravo io, e il gioco fu facile. Si aggrappò su di me, con la mano destra mi tirava i capelli, mentre la sua bocca giocava con la mia. Il bacio, all’aroma di lacrime, non l’avevo mai provato. Mi tolse via la camicia, nel mentre continuava a baciarmi. Le sue mani mi accarezzavano il petto, su e giù. Mi allontanai.
“Kristen, sanguini” – dalle sue labbra fuoriusciva del sangue -
“E’… la tua barba” –
“Vado a farmela.” – feci per andarmene, ma mi afferrò per il polso e mi trascinò di nuovo sul letto.
“Io ti voglio, non lo capisci? Ti amo, in tutti i modi. Ti amerei anche se tu non mi volessi.” –
“E se io non ti volessi?” –
“Continuerei a vivere, ad amarti in silenzio, ma non smetterei mai di amarti. E’ sovraumano pensare che non potrei amarti.” – piansi sul serio. Lacrime grosse quanto palle da baseball mi rigarono il volto. Lei sorrise, e piangeva anche lei. Le sue lacrime erano singhiozzi. Mi avvicinai e ripresi a baciarla, questa volta in un modo disperato, era una tragedia. Non fui più cosciente quando fece per slacciarmi i jeans. Perché avrei dovuto mentire a me stesso? Dire che non la volevo era un’enorme cazzata, una barzelletta… e anche lei lo sapeva.
“Robert” – distaccò un attimo la bocca dalla mia per sussurrare quel nome, che da tanto non sentivo pronunciare da quella voce. Le lacrime continuavano ad uscire ad entrambi.
“Piangi anche tu?” –
“E come non potrei?” – tornò a cingermi, il viso appoggiato sul petto.
“Hey” –
“Che c’è.” –
“E’… surreale. Tutto questo è surreale.” –
“Ti amo. Rob, cazzo. Io ti amo” – ritornai a fissarla in volto, mentre lei tentava invano di togliersi le converse. Sorrisi cretinamente, quasi orgoglioso. Non mie ero mai sentito così felice.
“Ci impieghi sempre così tanto tempo a toglierle?” – mi guardò stizzita, con la scarpa destra in mano.
“Dipende dal mio stato d’animo e da con chi sono. Se tu non mi provocassi strani effetti e non mi tremasse la mano le avrei già tolte.” –
“Ti aiuto.” – mi abbassai e le slacciai l’altra scarpa. Dopo qualche minuto fummo realmente noi stessi. Nudi, uno di fronte all’altra, con l’incapacità di agire, perché quell’amore era troppo. Troppo da consumarsi così velocemente in un atto importante come quello. Ridemmo all’unisono, mentre piangevamo ancora.
“Te l’ho mai detto che hai gli occhi più belli che io abbia mai visto?” – rise.
“Solo qualche volta” – e fece lei la prima mossa. Il viso attaccato al mio, le dita che mi tiravano i capelli per avvicinarlo ancora di più al suo.
“S..Stew, se continui così rimango calvo.” –
“Cercherò di controllarmi” – e mi distese sul letto, pronta a portare a termine quell’atto che entrambi desideravamo non terminasse mai. Avremmo dovuto ricordarci che un poliziotto sarebbe presto arrivato per un interrogatorio, ma ‘be healthy and fuck everyone’, giusto? Sorrisi mentre lo pensai. E nel mentre, alternando il ritmo dei battiti cardiaci alle volte in cui chiamavo il suo nome, mi accorsi di Cameron. Di ciò che aveva fatto, ma soprattutto perché. Cameron. E’ accaduto tutto grazie a Cameron, e all’amore per lei. L’amore che provava per lei, quasi come un papà. Eravamo lì, in quella stanza a coronare il nostro sogno d’amore, solo grazie a lui. Cameron, grazie.

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Capitolo 9
*** I’d rather be a comma than a full stop ***


Si, è passato un pò di tempo. Scusate...e scusatemi anche se ci sono degli errori..
...l'ho scritto abbastanza di fretta. Buona lettura u.u


KRISTEN POV

"Quindi hai deciso di dirglielo?" -
"Scouty... è passato troppo tempo" - ero al telefono con la mia migliore amica Taylor.
Il problema? Sempre lui: Robert Pattinson.
Questo mi faceva sembrare più una quindicenne innamorata che una neo mamma.
Sono passate solo due notti da quando... beh, ecco... l'abbiamo fatto. Io e Robert, intendo.
E non ho neanche capito perché, o come è accaduto. Ma è successo.
Scouty è l’unica che sa davvero cos’accadde quella notte, e nonostante i suoi ‘invitanti’ consigli, ho sempre rimandato.
“Te l’avevo detto! Avresti potuto dirglielo anche prima. Conosco Rob meglio di te, non se la prenderà.” –
“Si, come no. Ci son stata su sei mesi, tra poco esce il bimbo e non so che cazzo fare. Prima o poi devo dirglielo. So solo questo.” –
“Diglielo ora. Appena lo vedi!” – Scouty stava cominciando a darmi sui nervi, seriamente.
“Ora è uscito… è con mio padre in polizia, a cercare informazioni su Cam.” – non avevo ancora rimarginato la ferita. Sarebbe restata per sempre aperta, ne ero certa. Piuttosto, quello che mi faceva male e non sapere perché l’aveva fatto. Avrei dovuto pensare che milioni di persone muoiono ogni giorno, ma non ci riuscivo. Cameron era uno dei due pensieri che mi tormentava giorno e notte. Al funerale mi vennero in mente tutti i momenti insieme… momenti che non sarebbero più accaduti. Forse un giorno l’avrei rivisto, in paradiso, nonostante il nostro scarso credo religioso. Non credevo nella religione, ma credevo nel fato e nel destino. Tutto accade per una ragione. E lui era della stessa opinione. Mi mancava, come non mai. A lui avevo sempre chiesto consigli riguardo a tutto. Alla mia relazione con Rob, perfino. Mi conosceva come un genitore. Anzi, lui era un secondo papà, forse anche migliore di John. E proprio in quel momento, in cui avevo un fottuto bisogno di lui… non c’era. Forse era stato deciso tutto. L’aveva deciso il fato. Ero stata messa alla prova, per crescere e diventare finalmente una vera donna.
“Scouty, qualsiasi cosa t’avviso. Lo sai” – immaginai il suo sorriso sotto i baffi e la sua aria innocente.
“Bene. Buona fortuna allora.” –
“Grazie” – riattaccai e corsi da Jules, per aiutarla in cucina.
Dopo qualche minuto sentii un leggero rumore e mi voltai in direzione della porta principale. John, seguito da Rob entrarono bruscamente in casa, con un viso rammaricato. Sapevo che entrambi stavano trattenendo le lacrime. Così corsi da Robert e lo abbracciai. Lui mi fissò stupito, con gli occhi – come immaginavo – lucidi. Dopo aver fatto sesso non ci rivolgemmo più la parola. Io sapevo che quello era stato solo un momento di sconforto, in cui non sapevo che fare. Quella non ero io. In normali condizioni non l’avrei fatto. O almeno, non l’avrei fatto il giorno del funerale di mio fratello, mentre piangevo. In quei due giorni lui continuò sempre a fare quello che ha sempre fatto: fissarmi. Asciugarsi una lacrima ogni tanto, mentre con l’altro occhio continuava a guardarmi. Anche John si voltò con sguardo stupito. Era da tanto che non ci vedeva così… uniti. Nonostante avessi detto loro che con Rob andava tutto a gonfie vele, credo che qualche dubbio sia sorto. Le mie mani erano intorno al suo fianco e sentivo il contatto della mia pelle con la sua giacca fredda. Appoggiò il suo mento sulla mia spalla, e le sue lacrime si trasformarono in cascate. Io ero più fredda, distaccata. Non capivo cosa fosse accaduto, e forse non avrei neanche voluto saperlo. Non avevo mai visto Robert piangere in questo modo. L’avevo visto piangere al funerale, piangere di gioia tutte le volte che lo facevamo, ma mai piangere a dirotto in quel modo terribile. Pensandoci, io lo amavo ancora troppo. Cazzo se l’amavo! Ogni contesto, persona, o situazione era irrilevante quando eravamo insieme. Per lui c’ero solo io e per me c’era solo lui. Un’unica cosa. Mia madre e mio padre ci lasciarono da soli, mentre mio padre cominciava ad importunare. Non osavo immaginare cosa avrei scoperto di lì a poco. L’abbraccio man mano si slegò, e ognuno di noi riprese la propria ‘sembianza’. Rob fissava il mio abbigliamento.
“Scusa” –
“Per cosa?” –
“Per la tua camicia. Non volevo” – fissai in direzione della camicia e mi resi conto che era zuppa, completamente bagnata dalle sue lacrime. Bene, sarebbe stata utile nei momenti di pianto improvviso notturno. Da abbracciare, pensando a lui nel mio letto, come i vecchi tempi. Si sedette sul divano, ancora con gli occhi umidi.
“Han… hanno scoperto cos’era.” –
“Cos’era cosa?” – silenzio assoluto. “ROB. COS’ERA COSA?” –
Scoppiò a piangere, e proprio in quel momento intervenne John, mio padre. Si sedette al fianco di Rob e gli cinse la spalla con la mano destra.
“Kristen, tuo fratello è morto per te. Per salvarti.” – non capivo.
“E’ STATA TUTTA COLPA MIA” – Rob si alzò e corse su. Lo seguii, senza chiedere altre spiegazioni. Era di spalle. La mia mano provò a toccare la sua, ma lui si scansò.
“Evidentemente lui sapeva. Sapeva che non stavamo più insieme e credeva che suicidandoci ti avrebbe tolto un peso. Ci hanno detto che ha stuprato una persona. Qualche mese fa. Ci sono delle prove. Ma tutto è così vago, incasinato. Non ci capisco più niente.” – a quelle parole rabbrividii.
Quindi era morto per causa mia. Non spiaccicai parola e mi ritrovai seduta su Rob, con le mani nei capelli, la sua camicia piena di mie lacrime. Non mi sarei più ripresa, questo era certo. La mia pancia – come qualche settimana prima – riprese a farmi male. Il piccoletto scalciava parecchio. La mano di Rob si posò sulla mia pancia.
“E’ arzillo, eh?” – sorrisi, mentre anch’io creavo una cascata di lacrime.

Every teardrop is a waterfall. Ogni lacrima è una cascata.

Grazie a Cameron imparai ad amare ciò che avevo e a non preoccuparmi delle conseguenze. Fare una cosa e basta. Seguire semplicemente l’istinto. E così i miei occhi erano diversi. Il loro modo di guardare anche. La vita ruotava in modo diverso, e poi tutto fu chiaro. Non mi spiegavo quello stupro… non era da lui. Non avrebbe mai fatto una cosa simile.
Cameron è stato mio debitore… ma non totalmente. Ora, passati diversi anni, credo che lui sia stato una delle persone più schifose che io abbia mai conosciuto sulla faccia della terra. Ma non posso disconoscere i miei familiari.
 
Era bello così, facile. “Hai mai pensato agli oggetti inanimati come se fossero persone?” – “No Stew. Tu stai impazzendo” – sorrisi, fiera della mia pazzia.
“Ma perché non ci siamo più parlati?” –
“Rob, abbiamo parlato tantissimo in questi giorni” –
“Non è vero. Ognuno ha fatto finta di niente” –
“Perché? Cos’è successo?” –
“Niente” –
Attimi di pausa.
Io scoppiai in una fragorosa risata.
“Niente di ciò che non sarebbe dovuto accadere.” – e la sua mano mi afferrò il fianco, giorno e notte. Ora sarebbe stato per sempre. Era invitabile; non riusciva a non amarmi, anche quando non voleva farlo. La sua mano fu sotto la mia maglietta, mentre il mio cuore pulsava, sussurrando ‘ti prego, fammi uscire’. Volevo mandarlo da lui, ma era un’operazione abbastanza complicata.

Vai. Fallo uscire.

Dovevo seguire l’istinto, no? Niente di più complicato.
“Quindi mi ami?” –
“Non si nota?” –
“Si… ma vorresti amarmi?” –
“Forse no.” -
E il mio cuore, con un gemito, lo raggiunse.
…………………………………………..
“don’t want to see another generation drop
I’d rather be a comma than a full stop

maybe I’m in the black, maybe I’m on my knees
maybe I’m in the gap between the two trapezes
but my heart  is beating and my pulses start
cathedrals in my heart

and we saw oh this light i swear you, emerge blinking into
to tell me it’s alright
as we soar walls, every siren is a symphony
and every tear’s a waterfall
is a waterfall

…………………………………
“Non voglio vedere un altro vuoto generazionale
Preferisco essere una virgola che un punto

forse sono nel buio, forse sono in ginocchio
forse sono in equilibrio tra i due trapezi
ma il mio cuore batte ed iniziano le mie pulsazioni
cattedrali nel mio cuore

e noi vedemmo la luce oh questa luce ti giuro, appare brillante
per dirmi che va tutto bene
come scavalchiamo le pareti, ogni sirena è una sinfonia
e ogni lacrima è una cascata
è una cascata”

[Coldplay, Every teardrop is a waterfall]

…………………………………………
Ma sai cos’è? Ho visto quella luce. L’ho vista. E la vedrò sempre.
Appare brillante e mi dice che tutto va bene, anche quando non lo è.
Mente.
Ma forse – a volte - è meglio mentire che dire l’amare verità. Quella verità che mi delude sempre. Non so dove sono, so solo che quello sei tu. E che sei con me.
Le lacrime non mi sono mai apparse così amare, eppure è la tua essenza su di me che mi fa diventare un punto... anche quando preferirei essere una fottuta virgola.
 

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Capitolo 10
*** Hey, why don’t you try to sleep?[The end] ***


Beeeeene, siamo giunti al termine D:
Sinceramente, avevo intenzione di scrivere almeno 20 capitoli.. ma non ci riesco più. Non me la sono sentita di continuare, e quindi.. ecco qui l'ultimo, ultimissimo capitolo.
Non so cosa sia potuto venire fuori da un sabato notte intenta a scrivere..
E un grazie mille a coloro che hanno seguito la storia dall'inizio, hanno richiesto impazienti gli altri capitoli e hanno recensito. Graaaaaazie a tutti voi, siete stupendi.
Buona lettura,
Cami.





CAPITOLO  10.

‘Hey, why don’t you try to sleep?’

15 anni dopo.
 “Robert, chiudi gli occhi!” – le mie mani sono intorno al suo viso perfetto e liscio come la seta.

Mi sorride.  Il mio cuore pulsa mille. Solo una volta, in tutta la mia vita, mi è capitato di provare simili emozioni. E ora di nuovo. Per la seconda volta, ma non così forte come la prima. Non è più la stessa cosa. Non sarà mai più la stessa sensazione.

In salotto c’è un grande scatolo blu, avvolto con nastri colorati. Al suo fianco c’è un pacchetto  più piccolo, dalla forma rettangolare, tipica di un libro. Lo conduco fin lì.

Sento i battiti agitati di Robert. 
“Ora puoi aprirli” – ogni sua singola cellula esprime felicità. Lo si vede per fino sul volto. Quel volto, tanto simile al mio.

Robert ha 15 anni. Il naso adunco, i capelli castani, fisico snello, cocciuto, occhi marroni.  Oggi compie 15 anni. Non credo che esista un rapporto migliore del nostro, eppure lo sento.. vicino, e non solo perché è mio figlio. Mi racconta davvero tutto, e non è semplicemente come gli altri. Il fottuto problema è che non sa la verità. Il nostro rapporto è più simile ad un rapporto amichevole, e , se tra amici ci si dice tutto, io sono obbligata a dir tutto a lui.  Robert non è mai stato come gli altri. A scuola non studia, non esce con gli amici, non gioca ai video games. .. è davvero uno Stewart.
 
Il naso mi ricorda tanto lui:
Cameron.

La cosa che tutt’ora mi fa incazzare è che una serata di droga e alcool non giustifica un atto di stupro.  Niente giustifica una simile azione. Puoi giustificarti per aver mangiato un biscotto, per esser inciampato per strada, ma non puoi giustificarti per questo.

E io non l’ho riconosciuto. Non ho riconosciuto quelle mani che mi toccavano, mi palpavano dappertutto, mentre io gridavo terribilmente e gemevo come non mai.

Non l’ho riconosciuto neanche quando mi ha sussurrato ‘Ti prego, stà zitta. Non ti farò del male’. 

Non ho riconosciuto i suoi occhi verdi come i miei, alla luce del buio.

Non ho riconosciuto la sua voce, il suo modo rozzo di strapparmi i vestiti da addosso, e gettarli a terra con furore. ‘Ti prego, stà zitta. Non ti farò del male’.

Non l’ho riconosciuto neanche quando mi ha sfilato le mutande, mi ha tolto il reggiseno, mentre io urlavo. E nessuno mi sentiva. O meglio, nessuno era disposto ad ascoltarmi.

Non l’ho riconosciuto neanche quando, entrambi nudi, sul letto, placava le mie urla entrando dentro di me in un modo selvaggio.  E mi lacerava i pochi pezzi d’anima rimasti.

Non l’ho riconosciuto, soprattutto, quando mi ha mentito:  ‘Non ti farò del male’. Non sapeva  mentire.

E mi ha uccisa. Lacerata in tutti i modi possibili, mentre io non avevo la minima idea di chi fosse. Mi guardava, e sentivo il suo respiro. Urlavo, piangevo. Le sue mani erano dappertutto, e solo in quel momento capii cosa vuol dire essere puttana. Andare a letto con gente che non si conosce, mentre ci si sfoga in un modo terribile, è una delle conseguenze più terribili di una vita di merda.
La mia vita era una merda, ma non mi sono mai drogata, non sono mai stata alcolizzata e tantomeno , non sono mai andata a letto con un estraneo.

Cameron, oltre a rovinare la tua vita, suicidandoti… hai rovinato anche la mia.

Sì, perché se prima avevo qualcosa per cui vivere, in quel periodo tutto si catapultò e quei fottuti allegri momenti erano solo ricordi destinati ad essere dimenticati.

Oggi Robert ha 15 anni. Sono passati 15 anni da quel momento in cui Taylor, l’unica vera persona rimasta accanto a me, mi accompagnava in ospedale, per mano. Era preoccupato, e non sapeva cosa fare. Tipico dei fratelli minori. Mi è stato accanto tutto il tempo, mentre i miei genitori erano tranquilli a casa a godersi la partita.
Non avevo neanche voglia di reagire, lottare per vedere mio figlio. Sapevo che dopo, nessuno mi avrebbe aspettata dall’altra sponda. ERO SOLA. Per la prima volta, completamente sola, e con un enorme buco al posto del petto. Perché Robert mi aveva lasciato definitivamente una settimana prima, e le lacrime, durante il parto, non erano di dolore. Erano lacrime di rabbia, angoscia, voglia di voler essere indifferente.  Volevo prenderlo a pugni nelle palle. E non c’era stato neanche durante il parto. Né dopo. Ero sola. Con un bambino tra le braccia. La testa non mi ha mai fatto così male. La sentivo uscire fuori, come faceva un tempo il mio cuore, impaziente di uscire dal petto e raggiungerlo. Ma, questa volta, non c’era nessuno da raggiungere. Chissà come si comportava la mia anima. A patto che ce l’avessi… mi avrebbe odiata.

E il risveglio.
Il risveglio fu traumatico. Il bambino tra le mie braccia, la testa pulsante, il corpo immobilizzato, lo sguardo fisso su quell’essere.  Lo guardai e abbassai il capo. Capelli scuri, manine rugose, occhi scuri. Quell’essere era mio figlio. ‘Scusa’ – gli sussurrai, baciandolo. ‘Scusami, non avrai un padre. Non avrai una madre affidabile. Non avrai una famiglia normale. Non saremo come gli altri. Scusami, ma non è stata colpa mia.’ – e lui tornò a fissarmi, con un sorriso stampato sulle labbra.
Non capivo neanche perché, dopo continue notti di passione, Robert mi mollò. Non lo fece per un motivo lecito, eppure c’era qualcosa sotto.

Robert prese il pacchetto e lo fissò.
“Cos’è?” –
“Aprilo!” –
“Mamma..” – adoro quando mi chiama così. Ancora, dopo 15 anni, non ci ho fatto l’abitudine.
“… devo dirti delle cose” – si sedette sul divano, le gambe incrociate. Vizio di famiglia.
Mi sedetti accanto a lui e gli misi una mano sulle spalle.
“Sai, c’è qualcosa che non sai. Riguardo me.”
“E Amanda.”  - suda.  La sua fronte è terribilmente perlata. Gli tocco i capelli e gli aggiusto, mentre cerca di trovare le parole giuste per dirmelo.
“Sai.. Amanda è una mia compagna di classe. L’altro giorno.. io ..beh, l’ho invitata al cinema. Le ho pagato i biglietti e l’ho fatta accomodare per prima. Siamo stati tutto il tempo appiccicati. E lei mi piace molto. Troppo. E  anche  a lei piaccio, lo so. Finito il film, l’ho accompagnata a casa. L’ho presa per mano, e le ho stampato un delicato bacio sulle labbra.” – il viso diventa paonazzo, rosso d’imbarazzo.
“Ehi, non devi vergognarti. Tesoro, amare è comune. Non immagini quanto. E ti rovinerà la vita. L’amore, ti rovinerà la vita. Comunque, continua se ti va.” –
“Mh, no.. niente. Solo che… lei si è incazzata e mi ha lasciato da solo, fuori, al freddo.. e non mi rivolge da più di due settimane la parola.” –
“Amore, ma questo è fantastico!” – “Cosa?” – “Il fatto che tu sia innamorato.” – allarga gli occhi fino a formare un grosso cerchio. “Non è bella.. questa sensazione? Il non avere più fame, il sentirsi stanco, teso.. le farfalle nello stomaco.” – “No, mamma.. è una pessima sensazione!” – “Ricorda.. amare è il fulcro della vita. Non bruciare le tappe.” – “…quando arriva papà?” – lo guardo con uno sguardo di rimprovero – “T’ho detto di non chiamarlo papà!” – “MA A LUI PIACE!” – “Sì, ok. Arriva sta sera. Ora apri, su!” –
Afferra il pacchetto e lo scarta velocemente. “ELETTRICA?” – annuisco.
“Oh MA QUESTO E’ FANTASTICO! Quanto avete speso?” – “N O N T’ I N T E R E S S A!” -  Robert ha sempre cercato di essere il genitore, anziché il figlio. Si preoccupa di tutto e tutti, e non pensa mai a come potrebbe essere migliore la sua vita, se solo pensasse meno.
“E questo?” – afferra il pacco più piccolo.
“E’ un libro? Ma mamma, lo sai che odio leggere.” –
“Non è un libro. Dai, scarta.” – sono più impaziente io di lui. Lo sguardo oscilla dal pacchetto al suo viso, per vedere la sua reazione.
“Ti ho nascosto troppe cose finora.” –
“ Ma cos’è?” – fissa il ‘semi-libro’ sbalordito.
“Lì.. beh, quello è un riassunto di tutte le cose che mi sono accadute negli ultimi 16 anni. E non sono cose piacevoli, credimi. Ogni giorno. Ogni giorno ho scritto un pensiero, una frase..  per aiutarmi a reagire, andare avanti. Ti ho mentito troppo, e ora hai bisogno di sapere la verità, Robert. Io non posso. Non riesco a dirtelo. Leggi quel diario, poi ne parliamo.” – il volto si riga di lacrime. Non riesco ancora a dimenticare. Robert si avvicina e mi cinge il braccio con la mano.
“Va tutto bene, mamma. Non ti preoccupare.”

La porta si apre di scatto. E’ ora di cena. Un uomo barbuto, con larghi jeans e felpa, varca la soglia di casa. “Auguri, giovanotto!  Quanti oggi?” – si avvicina a Robert e lo abbraccia. “15!” – “Bene.. devi sapere delle cose. Lo decidemmo con tua madre tempo fa.” – “So già tutto.” – “Dov’è la mamma?” – “E’ su, in camera.”

Sento la porta socchiudersi. Mi volto di scatto.
“Ehy..” – sussurro.
“Qualcosa che non va?” –
“No, niente. Tutto okay.”
Mi afferra per i fianchi. Sempre le solite mani. Quelle mani che conoscevo da anni, e che, dopo anni di distanza, erano ritornate ad appartenermi. 
“Stew, non sai mentire. Te l’ho sempre detto..” – mi morde un orecchio.
“A volte ti comporti ancora come se avessi vent’anni” –
“Mh… davvero non sono cresciuto?” –
“Forse solo fisicamente.” – mi giro verso di lui e lo bacio. E’ da tanto che non sento quel profumo. Quel profumo, che, ancora, dopo anni, mi fa venire sobbalzi al cuore. E salta. Lui salta. Il mio cuore, quando lo vede, salta. Fa salti mortali.
“Robert. Tu sei irreale” –
“Non hai speso abbastanza tempo della tua vita a lodarmi come se fossi un dio? Qui la vera dea sei tu.” –
“Pf…” –
“Stà zitta. Cos’è successo?” –
“Niente… solo che.. tutti i ricordi sono riemersi, e, a volte, è difficile tenerli a bada.” –
“Dimentica il passato, ti prego. Quello era solo frutto di due cretini adolescenti come noi. E la gente, a vent’anni… non sa mai come comportarsi. E’ normale fare errori. E’ normale” –
“Dipende dagli errori” –
“Sono solo errori. Stew, basta. Non eravamo noi. Non eravamo noi quelli che lo facevano tra una riprese e l’altra di Breaking Dawn, e non eravamo noi neanche quando litigavamo per ogni sciocchezza. Ora siamo noi. Siamo insieme. Di nuovo, e questa volta non ti mollo. Non dirò per sempre, non voglio illuderti. Ma ora è per  davvero. Vedi quell’anello al tuo dito? Questo è il presente. Il passato.. dimenticalo.”
– “Come posso dimenticare l’errore madornale della mia vita?” – e le lacrime mi rigano il volto, come i vecchi tempi.
“Stew, basta parlarne. Basta. Sono passati 15 anni. Prova a riposare un po’, ti passerà.” – mi distendo sul letto, in attesa della buonanotte.
“Cos’hai detto a Rob?” –
“La verità. Non avevo scelta. Non avrei potuto vivere a lungo nascondendogli la sua vera identità.” – mi bacia sulla fronte e scende giù.

Durante la notte, mi sveglio all’improvviso. Robert, accanto a me, russa. Guardo la sveglia: 4.30. Ho crampi allo stomaco. Sento il piccolo scalciare. Sempre più forte. Il dolore aumenta. Poso una mano sull’addome e lo sento. Sento quei piccoli piedi scalciare, come per rompere un muro invisibile. “ROB.” – lo smuovo, muovendolo con la mano. “ROB!” – la trapunta è ricoperta di un liquido strano.. “ROB! HO PERSO LE ACQUE”  - lui si gira, mi sorride… e si rivolta. “IMBECILLE! HO PERSO LE ACQUE. STA’ PER USCIRE!” – si rivolta. “COSA?” – si sveglia, indossa le pantofole e mi porta d’urgenza in ospedale. “Stew, manca poco. Sarò papà!” –  “AHIA!” – le contrazioni aumentano. Rob va a 200km\h..
Ho aspettato questo momento dall’età di 18 anni. Aspetto questo momento da quando ho incontrato i suoi occhi, quel giorno, per il provino di Twilight.
E appena lo vidi, quando i suoi occhi celesti ghiaccio incontrarono i miei, sapevo già quale sarebbe stato il mio futuro. O meglio, non lo sapevo.. ma ero certa che sarebbe stato con lui. In qualsiasi circostanza, ma con lui.
Non so a cosa vado incontro, ma la sua mano stringe la mia. Mi dà una strana sensazione di sicurezza.  La stringo anch’io. “Andrà tutto bene” –
“Lo so.” – e, sempre mano nella mano, mi accompagna verso il mio nuovo inizio.
Il risveglio è meglio di quanto mi aspettassi. La mia mano suda parecchio: è ancora lì, con lui, che dorme appoggiato alla sedia. Mio figlio dorme su di lui.
“Buongiorno” – entra l’infermiera – “Come si sente?”
“Tutto bene, grazie.” – “Qualche dolore?” – “No, signora. Quando si ama si è disposti a tutto. Posso… vederlo?” – “Certamente.” –
Il bebè è racchiuso in un fagotto blu... “Ecco a lei” – l’infermiera me lo porge.  Lo afferro, senza fissarlo.
Dopo qualche minuto, abbasso lo sguardo. Dorme.  Afferro le sue manine e ci gioco un po’. Piano, alza le palpebre. 
I suoi occhi.
Ha i suoi occhi.
Ha occhi piccoli, celesti, nei quali sono in grado di perdermi.
E mi fissa, proprio come faceva lui.
Mi fissano, i suoi occhi mi fissano.
E ora… ora, non sono in grado di chiedere più niente. Perché mi sono innamorata già di quegli occhi.
Quegli occhi, così simili a Rob. Quegli occhi, che mi fecero innamorare di lui.
“Hey, perché non provi a dormire un po’? Sei stanca..” – Rob si sveglia di scatto.
“Non ho bisogno di dormire. Ormai ho il mondo intero.”  - e fisso quel volto, sempre nuovo per me.
“Cosa?”
“Ha i tuoi occhi, Rob.” 
 

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