Fragile

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo ***
Capitolo 2: *** Tra le braccia di un Sogno ***
Capitolo 3: *** Senza Fiato ***
Capitolo 4: *** Solo il tuo Respiro ***
Capitolo 5: *** Sogni che si infrangono al Mattino ***
Capitolo 6: *** Lento Cambiamento ***
Capitolo 7: *** Il mio Futuro ***
Capitolo 8: *** Attimi ***
Capitolo 9: *** Respira con Lei ***
Capitolo 10: *** Sarà Così ***
Capitolo 11: *** Io non ti Odio ***
Capitolo 12: *** Ridammi il mio Papà ***



Capitolo 1
*** Solo ***


Solo (Fragile)                                                                                                     Solo







Fragile come un respiro sussurrato a fior di labbra, fragile come un sogno di cristallo che rischia di crollare. Lei era così, bella, delicata, forte ma teneramente fragile, i suoi occhi di mare persi nel cielo e quell'ombra celata dal cuore che nascondeva la solitudine, fragile come quel maledetto profumo di sole che gli invadeva i sensi, perfido e violento, così forte da riuscire a stordirlo.
Quante volte l'aveva osservata, quante volte era rimasto in silenzio, nascosto da sguardi indiscreti per il semplice bisogno di spiarla, per riuscire a rubarle ogni stupida espressione del viso, ogni sorriso e ogni leggerissimo sguardo con il solo terrore che, senza preavviso, la sua fottuta memoria decidesse di cancellarla per sempre dalla sua vita.
Non aveva mai immaginato di provare qualcosa del genere, ma quegli anni passati a rincorrerla inconsciamente, nonostante i continui battibecchi, nonostante le paure e la rabbia nel vedere quell'angelo trasformato in qualcosa che non era, modificato e costretta a diventare uno spirito incorporeo custodito tra le braccia di un uomo sconosciuto, quegli anni dolorosi e vuoti tornavano violentemente ad affacciarsi, ripetendo continuamente le stesse quattro parole “Tu non la meriti”.
Ci aveva messo anni, troppi anni per capire quanto realmente amasse quella donna, il suo corpo, la sua voglia di vivere in netto contrasto con quel dannato carattere contorto e sconclusionato che lo costringevano ad essere sempre e solo uno stronzo.
Parlare, sorridere, perfino respirare diventava difficile quando quegli occhi profondi lo accoglievano nell'immensità del suo sguardo.
Parole sussurrate nel vento, un ricordo che tornava continuamente davanti ai suoi occhi ...  “Stai davvero bene?” ma lei non rispose, solo quel maledetto sorriso, così lieve da sembrare finto “Ti conosco bene Lisa” continuava a spiarla cercando di leggere nei suoi occhi ogni cosa ma lei evitava il suo sguardo, si concentrava sulla forma delle nuvole, sull'azzurro del cielo e sulle urla gioiose dei bambini. I capelli dolcemente scompigliati da un leggerissimo venticello e il viso arrossato e accuratamente nascosto al suo sguardo “Non puoi prendermi in giro ...” le strinse una mano tirandola leggermente verso di sé “Cosa mi nascondi” un altro sorriso e quel polso esile che dolcemente scivolò fuori dalla sua presa ... quanto aveva odiato quel silenzio crudele tra loro.
Niente parole, niente sospiri, solo un lungo e pesantissimo silenzio che aveva coperto le emozioni costringendo i loro occhi a fingere.
L'aveva lasciata andare via, era rimasto immobile in quel parco davanti all'immagine confusa di quella meravigliosa donna che lentamente se ne andava, lo lasciava solo con sé stesso, solo con i suoi pensieri.



Lasciava scorrere il tempo senza preoccuparsi minimamente dell'ora, di ogni stupido paziente presente in quel dannato posto.
Aveva trascorso le ultime ore cercando di dimenticare il dolore alla gamba, l'aveva fatto nel tentativo di riuscire a pensare ad altro che non fosse una lancinante fitta che percorreva il suo cervello.
“Sei qui?” non sollevò nemmeno gli occhi dal foglio, si limitò ad annuire distrattamente senza prestare la minima attenzione a Wilson o alle sue espressioni “Vuoi venire a cena da me?” nessuna risposta, solo semplice silenzio “House?” “Che c'è?” tolse gli occhiali sollevando finalmente lo sguardo “Hai sentito cosa ...” “Non ho molta voglia di parlare Jimmy” “Perché no?” si appoggiò allo schienale reclinando la testa indietro “Pensieri” ma lo sguardo curioso del medico non abbandonava il suo viso “Che tipo di pensieri?” “Solo pensieri” “Non esistono solo pensieri House! Ci sono pensieri tristi, pensieri felice e poi ci sono pensieri incomprensibili” “La smetti?” esclamò ironico “Non hai mai avuto pensieri?” ma l'altro sorrise “I miei non riguardavano il mio capo” il solito Jimmy, comprensivo, intuitivo e maledettamente bravo a leggergli dentro “Non è il mio capo” “Ah no?” “No, intendevo dire che non è il capo che ricordo io” la gamba continuava a fare male e nemmeno parlare con il suo migliore amico riusciva a distrarlo “È diversa” lo sguardo confuso di Wilson lo fece sorridere “È sempre la stessa” scosse la testa spegnendo il computer “È simile a sé stessa ma non lo è realmente, almeno non con me” “Credo sia soltanto stanca” sollevò un sopracciglio incuriosito “Sta lavorando da giorni senza concedersi una tregua, Rachel ha la febbre e in più, sua madre continua a chiamarla per sapere chi sarà presente domani” sorrise “Già, sua madre ha la capacità di far bestemmiare perfino un santo” “Tu ci sarai non è vero?” ci pensò qualche secondo “Gliel'ho promesso” prese il bastone “Vado  a casa Jimmy, ci vediamo”
Le aveva promesso che ci sarebbe stato, era solo una promessa strappata con la forza ma era pur sempre una promessa.
Non lo attirava l'idea di aspettare quello stupido bacio finale che la consacrava a quell'uomo strano e contorto, lasciò cadere la giacca sul letto, che diritto aveva lui di scegliere per lei? Avrebbe potuto averla, avrebbe potuto avere una vita assieme a lei ma si era tirato indietro, starle accanto voleva dire rovinarla, cambiarla costringendola a vivere a metà invece che volare lassù, dove l'aria era più pura e il suo sorriso poteva brillare.

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Capitolo 2
*** Tra le braccia di un Sogno ***


Tra le braccia di un sono 2                                                                             Tra Le Braccia di un Sogno






Odiava le cerimonie, odiava dover fingere un sorriso per far felice gli altri ma

più di tutto, odiava dover restare lì dentro ad osservare una scena patetica e dolorosa.
Wilson accanto a lui continuava a sbirciare la sala gremita di gente con quell'ansia da damigella che vuole a tutti i costi vedere la sposa “La smetti?” “Sono solo impaziente!” “Loro dovrebbero esserlo” esclamò indicando con il bastone quattro ragazze “Sei una damigella per caso?” l'altro alzò gli occhi al cielo ridendo “Sembra confuso” seguì lo sguardo dell'amico “Credo sia solo emozionato” rispose studiando il viso di quell'uomo “In fondo si sposa” Wilson annuì convinto da quella specie di spiegazione “Ti sposeresti al chiuso?” “Sei impazzito?” “Sto solo immaginando come potrebbe essere il tuo matrimonio” “Cosa ti fa pensare che io mi sposi?” alzò appena le spalle ridacchiando “Il dottor House che prende moglie, devo ammettere che è piuttosto spaventoso” le porte in fondo alla sala si aprirono dolcemente esigendo dal pubblico un rispettoso silenzio.
Il suo sguardo si perse su quel corpo fasciato da un abito color dell'avorio che lentamente li raggiungeva, i capelli dolcemente sollevati che abbandonavano delicate ciocche sulle spalle nude.
Quell'apparizione nata dal nulla l'aveva pietrificato ma non era lei, o l'immagine che aveva davanti agli occhi ma il suo sguardo, vuoto, perso in qualcosa di lontano, quegli occhi meravigliosi erano velati da qualcosa di più che semplice emozione.
Fu tutto eccessivamente veloce o almeno, era quello che percepiva lui visto che per tutta la durata della cerimonia era rimasto con lo sguardo incollato al suo viso, solo quel semplice sussurro era riuscito a riportarlo alla realtà “Si” i loro occhi si fusero assieme, qualche secondo e poi di nuovo il vuoto.

“Dove andrai?” gli sorrise dolcemente continuando a compilare i documenti “Ancora non ci abbiamo pensato ma questo non è un grande periodo per organizzare viaggi” Wilson sorrise mestamente “Stai bene?” la biro cadde sui fogli “Forse dovremo cambiare ..” “Sto bene” mormorò portandosi una mano alla testa ma l'altro si chinò leggermente verso di lei “Non stai bene e non dovresti essere qui” ma gli occhi della ragazza si piegarono in un sorriso “Devi dirglielo” una lacrima cadde veloce “Lo farai soffrire Lisa” “Mi dispiace” una leggera carezza a sfiorarle la spalla“L'ha capito da solo. Mi ha detto che non sei te stessa, che continui a nascondere la verità ... lo scoprirà comunque e sarà tardi” “Perché? Spiegarli cosa succede lo farà ... non voglio che si senta male James e non voglio che la conseguenza sia il vicodin” l'oncologo si allontanò da lei “Lo sarà comunque” afferrò la giacca “Tornerà al vicodin per convincersi che tutti gli sforzi fatti fino ad ora, tutti i sacrifici e tutte quelle fottutissime decisioni prese non siano state inutili” sospirò passandosi una mano in viso “Senti” gli occhi socchiusi e il respiro accelerato “Se non vuoi dirgli la verità d'accordo ma torna a parlare con lui, comportati come tutte le altre volte” “Credi che non mi faccia stare male?” esclamò sfinita “Credi che sposare un mio vecchio amico solo per evitare che lui prenda decisioni avventate sia da me?” Wilson allargò le braccia “D'accordo ... inizio il giro delle visite” si chiuse la porta alle spalle lasciandola sola, di nuovo “Non stai affatto bene Lisa” mormorò passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri, le girava la testa e faticava a respirare.
Dopotutto era normale no? Chiuse gli occhi ma perfino così, sentiva il terreno mancarle sotto i piedi, tremava e pregava il Signore che nessuno aprisse quella porta.
Solo lei e il silenzio, il suo silenzio, unico compagno di quella maledetta vita ingiusta e senza senso.

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Capitolo 3
*** Senza Fiato ***


Senza Fiato (Fragile 3)                                                                                                                                 Senza Fiato




Non riusciva a ragionare, non riusciva a riordinare i pensieri perché quei maledetti occhi chiari gli tornavano in mente. Era scappato dall'ufficio per avere un attimo di tranquillità, cinque minuti solo per lui dove poter ritrovare sé stesso, pessima idea, davvero una pessima idea perché in quel parco c'era di tutto tranne che la solitudine.

Sdraiato su di un grande tavolo di legno, si perdeva nelle forme delle nuvole lasciando la sua fantasia libera di correre qua e là. Voci di bambini e il trillo allegro dei campanelli delle biciclette a rompere di tanto in tanto la sua tranquillità “Perché non sei in clinica?” chiuse gli occhi sorridendo “Da quando parli con me?” “Non scherzare” voltò appena la testa incontrando i suoi occhi “Tu smettila di prendermi in giro” Lisa abbassò lo sguardo sedendosi accanto a lui “Devi tornare in ospedale” “Non hai delle stupide carte da firmare invece che rompermi le scatole?” sbottò ironico mettendosi a sedere “House non ...” ma la voce le rimase bloccata in gola, ancora un lievissimo giramento di testa, strinse più forte le mani sul bordo del tavolo “È passato?” le sorrise avvicinandosi leggermente “Stai meglio ora?” sorrise cercando di mascherare quel dolore ma fingere davanti a lui era terribilmente difficile “È solo un leggerissimo capogiro, non ho mangiato molto” ma lo sguardo dell'uomo non la lasciava un secondo “Stai mentendo” mormorò “Stai provando a sviare il discorso ma non ci casco” si alzò passeggiando avanti e indietro, la gamba si era addormentata “Ti fa male?” annuì distratto “House non ...” “Basta” la interruppe secco “Quando hai intenzione di raccontarmi la verità potrai parlare con me, prima di allora sparisci perché non sono in vena di scherzare” “Ero solo preoccupata per te tutto qui” “Sto bene mammina. Vattene via, perderai l'aereo e non voglio che la tua prima settimana di nozze sia un totale disastro” la vide tremare violentemente nascondendo il viso, piangeva, ne era sicuro perché quel leggerissimo movimento delle labbra poteva significare solo quello ma cosa gli importava? L'avrebbe presa a schiaffi, continuava a mentirgli tenendolo lontano dai suoi pensieri, quel fottutissimo silenzio che si ostinava a convivere con loro lo stava massacrando “Scusa” un sussurro, una parola semplice e quasi senza senso, si sedette di fronte a lei costringendola ad alzare lo sguardo “Parla” gli occhi fusi in quello specchio d'acqua invaso dalle lacrime “Cosa ...” “Dimmi cosa c'è che non va altrimenti giuro che ti do uno schiaffo” sospirò giocherellando con una margherita “Pensi che stia scherzando?” continuò allibito “Guarda che non ci metto niente Lisa!” il cuore mancò un colpo, non la chiamava mai per nome e quando lo faceva, la distanza tra loro si annullava immediatamente.
Sentire il suo nome pronunciato dalle labbra di quell'uomo la faceva rabbrividire, non era terrore e nemmeno fastidio ma solo un piacevole e tenero brivido che raggiungeva il cuore. Sapeva di avere quel potere su di lei, lo sapeva bene e chiamarla così la costringeva per forza ad aprire il suo cuore “Io sono ...” era difficile troppo difficile da raccontare a altrettanto difficile da custodire “Ho fatto ...” il diagnosta sbuffò ridacchiando “Hai rapinato una gioielleria?” riuscì a strapparle un sorriso allentando la tensione “Spero che tuo marito riesca a sopportare questi balbettii” “Ho un tumore” l'aria mancò di colpo, non riusciva a parlare né a respirare, vedeva il suo viso ma era sfocato, lontano quasi un fantasma “Stai scherzando vero?” ma il suo silenzio lo paralizzò.
Improvvisamente il dolore alla gamba divenne un ricordo perché qualcosa di più grande ne stava prendendo il posto “Sei sicura che ..” “Glioblastoma” mormorò “Mi dispiace ... volevo correre da te, volevo farlo davvero ma ero terrorizzata dalla tua reazione” “Hai voglia di scherzare Lisa? Come diavolo dovrei reagire me lo spieghi?” “Appunto” una lacrima scivolò silenziosa dalle sue guance “Dirmelo come poteva disturbarti? Perché cazzo non sei corsa da me” “Volevo solo ...” “Credevo fosse colpa mia” lasciò cadere il bastone, urlava, era incazzato ma terrorizzato da quella stupida rivelazione “Credevo di aver fatto qualcosa di sbagliato! Sono stato giorni interi chiuso nel mio ufficio cercando di trovare un motivo, uno stupida spiegazione che potesse far sembrare ragionevole il tuo comportamento!” la mano della ragazza si chiuse attorno alla sua “Mi dispiace” non poteva dire sul serio “Io volevo solo ..” ma i singhiozzi le ruppero il respiro costringendolo a tremare “Scusa” la strinse a sé così forte da farle quasi male, sentiva il suo respiro caldo sul collo e la scia umida delle lacrime a bagnargli la pelle,  rafforzò la presa passandole una mano tra i capelli “Scusami, non volevo urlare sono solo ... non puoi annientarmi così” tremò sotto il suo tocco lasciando che quelle parole entrassero come un uragano dentro di lei “Ce la farai” sussurrò cercando di trattenere le lacrime “Ce la farai perché sei forte e non puoi andartene chiaro?” le mani della ragazza si posarono sul suo petto allontanandolo dolcemente da lei “Ora sei tu a raccontare bugie” un leggerissimo sorriso tra le lacrime “Mi hai lasciato per questo?” “Cosa?” “Mi hai lasciato e dopo due mesi ti sei sposata, questo è un comportamento che si addice bene a me ma tu, non centra proprio niente con te. Devo dedurne che il motivo sia questo” abbassò lo sguardo trattenendo un sospiro “Che c'è?” domandò preoccupato “Devo dirti una cosa ma non so come ...” sorrise allibito “Come puoi distruggermi più di così?” le lacrime continuavano a percorrere quel viso d'angelo senza tregua, chiuse gli occhi inspirando “Sono incinta” “Ecco come” si lasciò cadere sulla panca abbandonando ogni barlume di ragione “Tu sei ... è così ...” non ci capiva niente o forse nemmeno voleva “Ecco perché non ti ho detto niente” sentiva la sua mano posata dolcemente sulle sue labbra seguendone i contorni “Sono già spaventata per questo e non volevo che tu ...” “È ...” sorrise appena annuendo “È tuo” un lievissimo calore saliva leggermente dentro di lui, qualcosa di diverso dal gelo totale che nel giro di pochi minuti l'aveva annientato “Wilson cosa dice?” Lisa sospirò sedendosi di nuovo accanto a lui “Farai la chemio?” “No” la fissò confuso “Stai scherzando vero?” “Se inizio a fare terapie e radiazioni farò del male al bambino” ma quelle ultime parole lo fecero esplodere “Non mi importa! Non voglio perdere te lo capisci? Puoi avere un altro bambino ma se muori la vedo parecchio difficile” “È mio figlio!” “E questo come dovrebbe incidere?” “Lo ucciderei!” “Non puoi morire tu Lisa!” scosse appena la testa allontanandosi leggermente da lui “Tu non capisci” la afferrò per le spalle costringendola ad alzare lo sguardo “Spiegamelo tu! Cosa dovrei capire? Stai morendo per colpa di uno stupido legame! Puoi avere altri figli ma non puoi farlo se finisci a suonare l'arpa su di una nuvola” era diretto, forse anche perfido ma non sapeva che altro fare “Questo è il nostro bambino” un sussurro, un pensiero semplice che fino ad ora non aveva nemmeno ascoltato “Ucciderei il nostro bambino”  ... nostro ... “Non ti lascio morire per lui” “Non ti lascio decidere per me” ribatté mestamente “Quando dovrai scegliere e non ci riuscirai ... Lisa non ...” “Non sei mio marito. Sono sposata, in caso di bisogno ci sarà Michael a decidere per me” un ultimo sospiro e poi di nuovo il  vuoto davanti a sé.     

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Capitolo 4
*** Solo il tuo Respiro ***


Solo il tuo respiro (Fragile 4)                                                                                             Solo il tuo Respiro







Aveva passato tutta la notte in ospedale solo per avere la certezza che lei ne uscisse sulle proprie gambe. Era terrorizzato dalla sola idea di poterla perdere ma non poteva costringerla a scegliere seguendo le sue decisioni.
Era sposata, aveva legalmente un marito e se qualcosa fosse andato storto lui avrebbe avuto la procura sanitaria, questo lo faceva incazzare da morire.
Si era sposata per potergli impedire gesti folli, lo conosceva bene, forse troppo bene ed era sconcertato dalla freddezza di quella decisione.
“La smetti di seguirmi?” sorrise scendendo dal bancone delle infermiere “Sono tre settimane che continui a corrermi dietro, non hai dei pazienti da curare?” “E tu? Decisioni da prendere?” ribatté ironico passandole la biro per permetterle di firmare una cartella ma la mano della ragazza passò a pochi centimetri dalla sua “Scusa” si affrettò ad aggiungere arrossendo “Ero sovrappensiero” afferrò la biro concentrandosi sui fogli.
Quella era una bugia bella e buona, sapeva che le faceva male la testa e il non essere riuscita a prendere quella dannata biro era semplicemente un aggravarsi delle sue condizioni “Hai mangiato?” domandò all'improvviso giocherellando con il bastone “Cibo vero non roba da alieni” continuò bloccando sul nascere le sue proteste “Lo prendo per un no d'accordo?” le strappò di mano la cartella trascinandola verso l'uscita.
Aveva sopportato la sua ramanzina per tutta la durata del viaggio, si malediceva per non essere venuto in moto quella mattina, con un casco in testa di certo le sue parole sarebbero state soffocate ma lì, in macchina non poteva evitarlo.
Non era riuscito a convincerla a mangiare niente di più dell'insalata e ora restava attonito davanti a quel corpo fragile e sinuoso sdraiato in mezzo all'erba. Lo sguardo perso sul cielo e le mani che sfioravano ritmicamente i fiori, si era soffermato sul suo ventre solo pochi secondi, quasi come se lì dentro vi fosse custodito un pericoloso virus “Non ti mangia sai?” “Cosa?” buttò lì confuso “Hai paura di guardarmi” “Davvero?” ribatté ironico “Precisiamo vuoi? Hai paura di guardare mio figlio” ecco, ora si che aveva centrato il punto “Ti svelo un segreto: lui se ne frega di quello che pensi” posò una mano sul ventre ridendo divertita “Mi fa piacere che tu prenda la sua vita così sul serio considerando che, per nascere, ti ucciderà” si paralizzò, la mano bloccata sulla pancia e il respiro leggermente accelerato “Scusa” “Si è mosso” “Cosa?” si voltò appena verso di lui ridendo “Si è mosso” “Wilson che dice?” “Riguardo a cosa?” era troppo contenta per dare retta ad una sola delle sue domande “Riguardo a te e a quel coso” ma lei scosse la testa sedendosi “Non è una cosa” esclamò tagliente “Uao, basta solo chiamarlo così per avere la tua attenzione?” “Proprio non ci riesci vero?” “A fare che?” ribatté sarcastico “A giustificare la sua nascita? No!” sbottò secco “Non ci riesco e non voglio” “Perché?” “Perché per avere lui perderei te” “Ma saresti padre” i suoi occhi erano piantati sul suo viso, le mani strette al ventre come a proteggere quel dono prezioso dal loro litigio “Ho fatto una scelta, come mai non riesci ad accettarlo?” “Hai passato anni interi a darmi del bambino, mi ripetevi continuamente che mi comportavo in modo infantile, che non prendevo scelte sensate per il semplice motivo che ritenevo la mia vita una cosa futile e senza valore e ora, tu fai esattamente la stessa cosa” “C'è questa piccola vita che cresce velocemente dentro di me. È mio figlio, respira solo se io continuo a farlo. Non posso fargli del male e non voglio” “E ti diverti a far soffrire me?” sussurrò malinconico sfiorando l'erba “Non voglio farti del male” la mano della ragazza gli sollevò leggermente il viso, sorrideva o almeno ci provava “Voglio solo che mio figlio nasca, voglio che abbia la possibilità di vivere” distolse lo sguardo, quegli occhi chiari e profondi facevano male e sentiva le lacrime iniziare a pulsare violente contro le palpebre “Come ti senti?” la sentì ridere allegra “Ho ancora qualche nausea e Rachel continua a chiedermi come mai mangio tanto”rimase sbalordito da quel nuovo cambio di umore, sapeva che quel tipo di tumori poteva portare sintomi del genere ma vederla ridere, sentire di nuovo il tocco delicato delle sue mani e il profumo del sole lo stordiva lasciandolo in sospeso, immobile come un cretino ad osservare un raggio di sole.
Passarono cinque minuti in silenzio, gli occhi che tacitamente si rincorrevano vergognandosi di quel bisogno costante uno dell'altra “Il ginecologo cosa dice?” “Procede bene, sta diventando una piccola personcina forte e decisa” la guardò qualche secondo “Sarà sempre peggio lo sai vero?” gli occhi della ragazza tornarono a velarsi “Ho parlato con James ... il tumore è ancora al primo stadio, senza chemio e radio posso resistere diciotto mesi ...” si fermò qualche secondo sorridendogli “Me ne bastano solo nove per donare la vita” le sfiorò il viso percorrendone i lineamenti “Sei davvero convinta di quello che fai?” “E tu?” “Non è il mio corpo ad essere vittima del caso” “Non è la mia paura a costringermi a smettere di vivere” ecco la ragazza che ricordava “Starai male, se non ti curi immediatamente peggiorerai sempre di più” “La smetti di agitarmi? Lo sono già abbastanza da sola non credo che mi serva il tuo aiuto” “Cosa farai quando avrai bisogno di aiuto? Quando sarai talmente stanca da non riuscire nemmeno a sorridere al tuo bambino” “Ho un marito” quelle parole lo ferirono più di quanto immaginasse, la mano scivolò dolcemente via dal suo viso “Sei fortunata raggio di sole” “Tu credi?” la guardò qualche secondo provando a mascherare i suoi veri sentimenti ma Lisa lo capiva meglio di quanto non avesse mai fatto lui stesso “Ho un tumore, tra circa cinque mesi farò nascere questo bambino e non lo vedrò mai compiere il suo primo anno di vita. Davvero credi sia fortunata?” “Mi riferivo al non essere sola” “Ho te” un sussurro delicato e due diamanti a scrutargli il viso “Sono sposata è vero ma tu sei il padre di mio figlio e per quanto continui a negarlo, sarà sempre parte di te e della tua vita” “E tu? Non sei parte della mia vita?” scosse dolcemente la testa sorridendo “Sono parte della tua vita da quasi vent'anni. Siamo stati insieme solo pochi mesi e già mi manchi da morire ma non possiamo stare assieme altrimenti finirò col distruggerti e tu farai lo stesso con me” “Ma abbiamo un figlio in comune” mormorò mesto “Abbiamo un figlio in comune”

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Capitolo 5
*** Sogni che si infrangono al Mattino ***


Sogni che si infrangono al mattino (Fragile 5)
Sogni che si infrangono al Mattino




C'è chi, appena ricevuto una bella notizia corre a  festeggiare, chi cerca di vivere la vita spingendola al limite senza paura, chi crede in Dio e grazie a lui continua a sperare e poi lui ... lui così diverso dal resto degli idioti.

Lui che aveva quella strana avversione per l'umanità, un medico geniale dall'intelligenza nettamente superiore che scompariva terrorizzata davanti alla grandezza della natura.
Per sei lunghissimi mesi si era ritrovato incatenato in un lentissimo conto alla rovescia, spiava Lisa, il suo sorriso e quel ventre delicato che diventava ogni giorno qualcosa di diverso.
Era terrorizzato da quella piccola vita che la stava annientando, immobile ad osservare quell'angelo di cristallo diventare giorno dopo giorno più debole.
Odiava Lisa e quella sua stupida forza di volontà, la odiava per averlo costretto ad amarla, per essere così maledettamente speciale, per tornare continuamente ad affacciarsi nei suoi pensieri, lei, il suo sorriso, i suoi occhi di mare  che gli leggevano l'anima ogni dannata volta.
Non era pronto a diventare padre, era tutto sbagliato, lui era sbagliato, il momento era sbagliato ... come avrebbe fatto a crescere un bambino quando nemmeno lui era in grado di badare a sé stesso? E se l'avesse odiato una volta cresciuto? E Rachel? Troppe domande, troppe incertezze e nessuna risposta.
Come aveva fatto ad arrivare a questo punto? Come diavolo era riuscito a farsi infettare da un amore tagliente e sbagliato?
Sarebbe diventato padre e avrebbe perso Lisa, cosa c'era di giusto in questa scelta? L'aveva immaginato segretamente milioni di volte, una casa, una specie di famiglia e il suo sorriso a cacciare ogni malumore.
Era un bel sogno, diverso dalla solita vita, un sogno che profumava di novità ma nonostante tutto, mentire era l'unico modo per sembrare di nuovo sé stesso eppure, era bastata Lisa, una sua stupida scelta ad infrangere quei maledetti sogni.
Aveva deciso da sola, come quella maledetta notte, l'aveva rifatto infischiandosene di lui, dei suoi sentimenti e di quell'amore confuso, aveva scelto quel bambino lasciando al cancro il compito di demolirla.
Non lo comprendeva, l'avrebbe volentieri presa a schiaffi per quel dolore che lentamente prendeva il sopravvento sulla sua ragione.
Era stato un sogno, un bel sogno ma i raggi delicati del mattino l'avevano distrutto sparpagliandone i pezzi sulle lacrime del suo cuore.

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Capitolo 6
*** Lento Cambiamento ***


Lento cambiamento                                                                                                                             Lento Cambiamento






La vedeva svanire davanti ai suoi occhi senza poter far niente per aiutarla. A volte sembrava così lontana da apparire quasi incorporea.

La spiava di nascosto studiandone ogni gesto, ogni espressione ogni dannato movimento che si discostava dalla realtà, da lei e dal suo modo di essere. Perso nei pensieri seguiva il tocco ritmico della biro che picchiettava allegramente sul bancone delle infermiere, la mano che giocava con i capelli e quel suo modo di camminare tremendamente sexy reso forse ancora più dolce da quel ventre arrotondato “Non puoi seguirla per sempre” “No, ma posso evitare che si affatichi” Wilson sbirciò oltre la balaustra “E se la costringessi con la forza ad iniziare la terapia?” “Non servirebbe a niente, è una sua scelta” “È sbagliata” “Sta per regalarti un bambino” si voltò verso l'amico giusto quel tanto che bastava per riuscire a vederlo “Non gli ho chiesto niente” “Non puoi evitarlo” scosse appena la testa ridendo “Sto impazzendo Jimmy. Ogni maledetto giorno che passa ho l'impressione che si allontani da me. La vedo scomparire e non posso fare niente per lei perché rifiuta ogni mio aiuto” “Coraggio” mormorò Wilson dandogli una pacca sulla spalla “Non sono pronto per diventare padre. Sono a malapena in grado di pensare a me stesso ... forse dovrei lasciare che ... in fondo è sposata” “Cosa?” ribatté l'oncologo “Ha un marito è vero ma solo per evitare che tu prenda decisioni insensate e stupide” tornò a concentrarsi su di lei, sul suo tenero sorriso “Non importa che tu sia pronto o meno House ... quel bambino vive dentro di lei da sei mesi e quando Lisa ... quando lei .. insomma, quel bambino avrà bisogno di te” “Già” Wilson aveva ragione lo sapeva bene ma accettarlo voleva dire rinunciare all'unica persona di cui gli fosse mai realmente importato “Come la chiamerai?” lo sguardo allegro dell'amico lo confuse a tal punto da dimenticare ogni altro pensiero “Chi?” “Tua figlia” “Mia cosa?” Wilson sbuffò alzando gli occhi al cielo “È una bella bambina” “Credevo fosse un maschio” l'altro sorrise “Non voleva dirti niente, non credo lo sappia nemmeno lei il sesso del bambino” “E tu come fai a saperlo?” “Devo controllare tutti i suoi esami” la mano stretta sul corrimano allentò la presa e un leggerissimo sorriso gli colorò il viso “Così è una bambina” “Già ... allora? Come la chiamerai?” ci pensò qualche secondo “Zaira” “Zaira? Che razza di nome è?” domandò allibito Wilson “Quando stavamo ancora assieme mi divertivo a farla arrabbiare inventando strani nomi. Zaira è il primo nome che le ho detto” “Sai” continuò l'oncologo ridacchiando “In fondo non è male. Ha un suono davvero bello” sorrise afferrando il bastone “Dove vai?” “A bloccarla prima che decida di correre dietro ai finanziatori”
Lisa aveva abbandonato l'ufficio, avvolta da un leggerissimo vestitino estivo si stava allegramente incamminando verso l'uscita, nella mano sinistra stringeva il cellulare che non smetteva di suonare mentre nella destra, un sacchettino color lavanda “Dove vai?” si voltò di colpo spaventata da quell'improvvisa domanda “E tu? Dove vai?” ci pensò qualche secondo “Dipende dalla tua risposta” “Vado a fare la ceretta” “Ottimo, ho sempre sognato di avere un inguine liscio come la seta” sorrise prendendole di mano il sacchettino “Scordati il lavoro per oggi. Andiamo a casa, hai bisogno di riposare” lo fissò confusa lasciandosi guidare verso l'auto “Cosa c'è sotto?” “Ti fa male la testa, hai la nausea e per quanto tu ti sforzi di continuare a nasconderlo mi dispiace, non funziona” chiuse la portiera della macchina lasciando che quegli occhi vagassero divertiti oltre il vetro.



Ascoltava i suoi respiri incantato dalla dolcezza di quella serenità in netto contrasto con il suo io interiore. Quanti cambiamenti aveva fatto in tre mesi,  continuava a sorridere, sempre, in ogni luogo quel sorriso era pronto ad illuminare il mondo ma sapeva bene quanto dolore vi era nascosto dietro.
Ricordava le lunghissime ore passate a cercare di estrapolare la verità dalle sue parole, l'aveva vista piangere in silenzio, quando credeva di essere sola, quando la tristezza prendeva il sopravvento su tutto il resto.
Soffriva, soffriva terribilmente ma continuava a lottare contro una vita ingiusta, proteggeva quel dono prezioso quasi come fosse aria pura, l'ossigeno indispensabile alla sua vita.
Non si era accorto dell'alba, di Lisa, dolcemente girata verso di lui, le mani strette al cuscino e gli occhi fissi su di lui, sul suo viso pensieroso e lontano.
Era rimasto sveglio tutta la notte ad osservarla, immobile su quella poltrona aveva seguito il lento canto del suo respiro “Non sei stanco di controllarmi?” “E tu di prendere decisioni idiote?” sorrise stringendo più forte il cuscino “Mio figlio non è una decisione idiota” “Restare svegli la notte non è controllarti” ribatté stiracchiandosi “Ti prenderai cura di lui?” “Ma che domande sono?” “Greg” si mise seduta avvolgendosi nelle coperte, le mani posate sul collo e gli occhi persi su qualcosa di incorporeo “ Promettimi che ne avrai cura, promettimi che lo amerai e che non lo lascerai solo” “Devo proprio?” buttò lì secco ma gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime “Ho scelto mio figlio, l'ho fatto perché la sua vita, il suo essere reale renderà il mondo un posto migliore” si fermò qualche secondo asciugando quelle perle gelide che velocemente scendevano dai suoi occhi “È il nostro bambino” che diavolo doveva risponderle? Si alzò dalla poltrona raggiungendola “Mi stai chiedendo di amare la persona che ti uccide, credi davvero che ne sia capace?” “Sei capace di amare” un semplice sorriso a colorarle il viso “Sarò un padre terribile” “Non puoi saperlo, non conosci il futuro” “No ma conosco il passato, andrà a finire esattamente come tutte le altre volte. Rovinerò la vita di questo bambino perché non sono capace di amare” Lisa abbassò lo sguardo “Avevo paura anche io con Rachel ... imparerai ad essere un bravo padre ... ne sei capace” le sollevò il viso studiandone l'espressione “Hai paura?” “Non ho paura di morire ma sono terrorizzata dal dover correre giù dalla nuvola per prenderti a calci in culo” “Guarda che non scherzo” “Nemmeno io” gli occhi piantati gli uni negli altri “Se lo lascerai solo giuro che scenderò da quella fottuta nuvola per spaccarti la faccia” era seria, maledettamente seria e quegli occhi lo dimostravano “Sei pazza” le posò un dito sulle labbra sorridendo ma la mano di Lisa si chiuse dolcemente attorno alla sua trascinandola lungo il collo, sul seno fino a raggiungere il ventre, tremò violentemente ma lei sorrise rafforzando la presa, pochi secondi e poi quel movimento delicato e forte che lo paralizzò “È vivo” sussurrò Lisa sfiorandogli il viso “Devi solo trovare il coraggio di andare avanti” non rispose, le strinse più forte la mano sedendosi  accanto a lei, il respiro perso in quel profumo nuovo e le mani dolcemente intrecciate su quel lento cambiamento che diventava parte della sua vita.

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Capitolo 7
*** Il mio Futuro ***


Il mio futuro                                                                                             Il Mio Futuro







Nessuno avrebbe mai pensato che quella ragazza fosse incinta di otto mesi, il suo fisico, il suo sorriso, niente di lei rivelava questa cosa, al massimo poteva sembrare una ragazza giovane e solare incinta di cinque mesi e mezzo ma infondo, Lisa era sempre la stessa, un corpo da urlo e due labbra sensuali e invitanti.
Le ultime ecografie erano andate bene, continuava a mentirgli, gli nascondeva il sesso del bambino ma era già preparato ad una cosa del genere.
Avevano passato una notte intera ad ascoltare il silenzio, seduta tra le sue gambe, la testa posata sul petto e le sue braccia ad avvolgerla trattenendola per qualche minuto nel mondo reale, al sicuro dai brutti pensieri e dalle paure.
Era agitato, confuso e spaventato, Wilson l'aveva chiamato nel mezzo del pomeriggio costringendolo a piantare a metà il suo pranzo “Entra la dentro e tranquillizzala” “Sei impazzito?” sbottò allibito lasciando cadere la giacca “House è terrorizzata, le si sono rotte le acque cinque minuti fa” “Cosa?” “Già” Wilson continuava a guardarsi attorno confuso “Ha iniziato il travaglio e ci sono mille cose che la tormentano quindi ha bisogno che tu sia là dentro con lei” “Jimmy credi davvero che io ..” “Avanti” esclamò secco spingendolo verso la porta, chiuse gli occhi qualche secondo facendo un bel respiro e senza più pensare a niente aprì la porta.
Wilson aveva ragione, era davvero terrorizzata ma continuava a mascherarlo cercando di sorridere alle infermiere “Allora raggio di sole” esclamò posandole un bacio sulla fronte “Hai aspettato l'ora di pranzo? Lo sai che c'erano le patatine fritte vero?” riuscì a strapparle un sorriso ma un'altra contrazione le bloccò il respiro “Coraggio bambola” “Fa male” “Lo so” “Davvero? Quand'è l'ultima volta che hai partorito?” “D'accordo, un punto per te” esclamò alzando le mani al cielo “Come stiamo andando?” domandò allegro Wilson facendo capolino “Tu cosa credi?” “Durerà poco Lisa, devi solo avere la forza di resistere” ma il diagnosta si passò le mani in viso chiudendo gli occhi, la reazione della ragazza arrivò subito “Quando avrai una vagina e ci sarà un bambino di tre chili e mezzo pronto ad attraversarla verrò da te a ripeterti le stesse cose” “Ma cosa ..” “Sparisci Jimmy prima che il capo ti mangi” pochi secondi e poi di nuovo loro due da soli “L' hai terrorizzato piccola” ma Lisa non rispose, concentrata sulle contrazioni stringeva con forza il lenzuolo ma stava piangendo e tutto quel casino non l'avrebbe mai calmata “Lisa” strinse la sua mano interrompendo quel fiume di pensieri “Guardami”  “L'ospedale deve affrontare i tagli dello stato, le riunioni del consiglio sono sempre di più, non abbiamo sufficienti donazioni e mia madre continua a giocare con i miei sensi di colpa” le sorrise sfiorandole la fronte con le labbra “L'ospedale se la caverà anche questa volta, credo che il consiglio comprenderà il motivo della tua assenza, Jimmy incontrerà due nuovi ricconi verso sera e la vecchia, beh, credo proprio che la prenderò a calci in culo se continua ad assillarti” seguì  il contorno del suo viso fino alla bocca “Ora devi solo respirare, continuare a contare fino a dieci e far nascere questo bambino chiaro?” un dolcissimo sorriso ma di nuovo una contrazione a lacerarle il ventre, strinse più forte la sua mano trattenendo il respiro “No bambola, credo che tu debba continuare a respirare per sentire meno dolore” “Davvero?” “Ma non ti hanno insegnato niente a quel corso?” “Vuoi provare tu?” tagliente e ironica “D'accordo, hai vinto tu”

Cinque ore di travaglio e quel bambino non sembrava minimamente interessato a tutto il male che stava facendo alla sua mamma.
Le era rimasta accanto tutto il tempo, l'aveva fatta ridere cercando di portare via quei minuti di violento silenzio che, con cattiveria, si insinuava tra di loro.
Non sapeva niente di nascite e parti, si era sempre tenuto lontano da questa branca della medicina, almeno a livello personale, perché nella sua vita non c'era spazio per bambini e amore sdolcinato eppure, ora era lì, accanto ad una donna che era parte di sé stesso e del suo futuro.
Si era ritrovato inconsapevolmente a misurare la durata delle contrazioni, beveva caffè ad una velocità impressionante e non faceva più nemmeno caso ai minuti che passavano “Perché non la fate partorire?” domandò pensieroso mentre l'infermiera controllava il battito fetale “Il sacco amniotico si è rotto ma la dilatazione è insufficiente” “Cosa?” “Dottoressa Cuddy, il dottore sarà da lei il prima possibile” “No” esclamò afferrando l'infermiera per un braccio “Il dottore viene subito” “Greg” lasciò andare la presa“Puoi lasciarci Brenda” la ragazza si allontanò in fretta da loro “Sei impazzito?” le sorrise appena allontanandosi dal letto di qualche passo “Non puoi restare qua dentro ancora Lisa. Stiamo aspettando da quasi sei ore” “Non è un incontro di lavoro, è un bambino e non puoi decidere tu quando farlo nascere” si soffermò qualche secondo sul suo viso, su quella pelle pallida imperlata di sudore e i suoi occhi di mare sfiniti e spenti “Vai a fare due passi” “Tu devi essere impazzita” “E tu no?” la porta si aprì di nuovo ma questa volta, ad accogliere il suo sguardo non fu Brenda ma un uomo alto, dallo sguardo profondo e una lunga barba bianca “Lei dev'essere il paparino ansioso” “E lei? Il babbo natale dei poveri?” “La smettete?” sbottò Lisa interrompendo quella discussione “La portiamo in sala il prima possibile. Indurremo il parto e potrà abbracciare il suo bambino” “Perché dovrete indurre il parto?” il medico sorrise tranquillizzante “Semplicemente per prevenire la sofferenza fetale e per evitare a lei lunghe ore di dolore” l'infermiera attaccò la flebo controllando le pulsazioni “Molto bene ... è pronta?” si voltò titubante verso Greg “Vieni con me?” non ci aveva mai nemmeno pensato anzi, a dir la verità, entrare in una sala parto era l'ultimo dei suoi problemi.
Troppe emozioni tutte in una volta, troppa confusione eppure, si era ritrovato là dentro, accanto a lei con il terrore che qualcosa andasse storto.
Non sapeva cosa fare, cosa dirle per tranquillizzarla o cosa fare per tranquillizzare sé stesso. Non era nemmeno tra i suoi incubi più terrificanti diventare padre, tanto meno lo era vederla soffrire così.
Era sfinita, spaventata e piena di mille pensieri che vorticavano senza darle tregua, la mano stretta così forte alla sua da fargli male, il petto scosso da sospiri e tremiti e quell'ansia crescente a colorare il tutto “Va bene dottoressa, la testa è passata, ancora qualche minuto e potrà stringere il suo bambino” stava piangendo, quelle contrazioni dolorose non le davano tregua ma non urlava, non emetteva un suono perché la donna forte e decisa dentro di sé continuava a ripetere “Ce la fai Lisa, continua a respirare”.
Solo pochi minuti e quel pianto liberatore a riempire l'aria, un dolcissimo sorriso le colorò il volto mentre ricadeva con leggerezza sul cuscino, pietrificato accanto a lei continuava a spiare quel neonato avvolto in un lenzuolino “Complimenti dottoressa, è una bella bambina” il sorriso del medico lasciò spazio e quel visino indispettito e arrossato dal pianto “Ehi tesoro” sussurrò baciandola dolcemente sul viso, pochi secondi e poi quegli occhi di mare fusi nei suoi “Sei papà” annuì leggermente contemplando quel piccolo miracolo “Sono papà”

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Capitolo 8
*** Attimi ***


Attimi                                                                                                                Attimi




Bell'ora per nascere, non aveva nemmeno pranzato e di certo si sarebbe potuto scordare anche la cena, almeno non avrebbe lavorato e infondo non era del tutto negativo.
Pigiò il tasto con il bastone ma Wilson fu più veloce di lui “Allora paparino? Com'è stato?” lo fissò tagliente stringendo più forte la borsa nella mano sinistra “Un vero inferno” l'amico sorrise seguendolo all'interno dell'ascensore “Ora hai una famiglia” “Ne ho metà visto che per avere una figlia perderò la mamma” “È stata una sua scelta” “Già” lasciò cadere la borsa appoggiandosi alle pareti “Che stai ...” “Sto portando a casa la bambina” Wilson sbiancò di colpo e una strana espressione gli si dipinse sul viso “Andiamo Jimmy mi credi davvero così stronzo?” ma quell'espressione continuava a restare inchiodata al suo viso “Sono stato a prendere i vestiti di Lisa e quelli della bambina” “Grazie a Dio” mormorò sollevato passandosi una mano in viso “Davvero mi credi così bastardo?” “Devo rispondere?” le porte si aprirono interrompendo quell'allegro discorso.

Filtrava decisamente poca luce in quella stanza, forse era meglio così, Lisa aveva bisogno di riposo e la bambina anche.
Si chiuse la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile e lasciando la borsa sulla poltrona si avvicinò leggermente alla culla “Perché non dormi?” sussurrò allibito seguendo con lo sguardo il viso di sua figlia, le manine che strofinavano gli occhi e il respiro accelerato, poi le lacrime “No no no no” non sapeva come toccarla, la prese in braccio terrorizzato dal poterla rompere in qualche modo “Ehi, la mamma ha bisogno di riposo perché l'hai fatta davvero faticare sai?” si allontanò dal letto cercando di non svegliare Lisa “D'accordo piccola ascoltami, non so cosa fare perché non sono mai stato padre, non so cosa dirti o come toccarti quindi devi aiutarmi”  ma non aveva molto successo “Devi aiutarmi a capirti” le manine si rilassarono e gli occhioni arrossati si fissarono su di lui.
Attratta dalla voce del padre si era bloccata di colpo cercando nella penombra i suoi occhi ma era ancora troppo piccola per vedere quel sorriso leggero dipinto sulle sue labbra “Brava bambina mia” la strinse più forte sedendosi sulla poltrona “Sei brava lo sai? Non meriti un padre come me” rimase immobile ad osservare quel piccolo viso rilassarsi lentamente fino a ritrovare pace tra le braccia dei sogni.
Sorrise sfiorandole il viso con le labbra e cercando di non svegliarla la posò dolcemente nella culla, ancora un sorriso e poi quella strana sensazione, sollevò lo sguardo dalla figlia incontrando quell'azzurro intenso e profondo “Sarai un bravo papà” “Come stai?” mormorò sedendosi accanto a lei “Sto bene” “Sei anche brava a raccontare bugie” la mano posata sulla sua e le labbra a sfiorarsi pochi secondi “Non è bellissima?” “È una bambina” ma l'espressione ironica di Lisa era divertente “D'accordo, ammetto che è bella” “E?” “E che mi piace?” “Solo?” sbuffò alzando gli occhi al cielo “E va bene ... è mia figlia, è la bambina più bella della nursery e se ha preso da te credo che non uscirà di casa prima di vent'anni” quelle labbra d'angelo si aprirono in luce pura “Non puoi costringerla a vivere in una torre dottore” “Già, in fondo non sono nemmeno riuscito a convincere sua madre a vivere, perché con lei dovrebbe essere diverso?” “Ti conviene trattarla bene” si soffermò qualche secondo sul suo viso, su quegli occhi tristi e spaventati “Lisa non …” “Ti conviene prendertene cura dottore altrimenti scenderò da quella maledetta nuvola per prenderti a calci” la strinse tra le braccia cercando di soffocare quel pianto disperato ma più la stringeva e più si sentiva vuoto, l’avrebbe persa senza poter far niente per evitarlo e l’aveva scelto lei, quale altra punizione poteva essere più crudele? Come avrebbe fatto a prendersi cura di quella bambina? Come avrebbe potuto guardarla negli occhi senza odiarla per il resto della sua vita? Ancora un attimo, un respiro tenero e poi un sorriso a colorare quell’immenso baratro, una voglia matta di tenerla ancorata tra le sue braccia per sempre, di sentire il suo respiro sulla pelle e ricordare ogni giorno che la sua vita aveva qualcosa di bello, qualcosa di luminoso e prezioso che risplendeva ogni minuto in due occhi di mare.

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Capitolo 9
*** Respira con Lei ***


respira con lei
                                                                                                            Respira con Lei







Non l’aveva più toccata, da quando erano tornati a casa, quella bambina era territorio inesplorato, qualcosa oltre il quale si trovava la morte e non voleva avere niente a che fare con la morte, non ora che poteva tenersi stretto almeno un po’ quegli occhi chiari troppo deboli  per piangere.

Era incazzato da morire con la vita, arrabbiato e deluso, stanco di vedere quel sorriso diventare sempre più debole.
Lisa viveva a mille e non era la frenesia di quegli ultimi mesi, lei l’aveva sempre fatto ma vederla ora era ancora più devastante.
Essere madre voleva dire splendere più forte del sole, soffriva ogni volta che la vedeva giocare assieme a Rachel, ogni volta che Kate si aggrappava alle sue mani e poi il suo sorriso, le sue labbra che si posavano dolcemente su quelle della bambina, soffriva nel vederla tremare leggermente ogni volta che doveva scendere le scale o restare troppo tempo in piedi.
Non era questo il futuro che aveva immaginato, non era così che dovevano andare le cose, come avrebbe fatto ad andare avanti? Rachel avrebbe ricordato per sempre la sua mamma e Kate, a due mesi si è troppo piccoli per comprendere, forse questo era un bene, forse, non tutto poteva essere sbagliato e contorto, se Kate non si fosse ricordata niente della sua mamma allora non avrebbe fatto domande e non lo avrebbe costretto a mascherare la realtà.
Dio come avrebbe voluto essere al posto suo, come avrebbe desiderato sostituirsi a lei, evitarle  tutto quel dolore, in fondo, lui la sua vita l’aveva vissuta, non aveva mai rinunciato a niente, stronzo ed egoista aveva ferito persone, abbandonato rapporti e giocato con la vita dei pazienti ma lei, lei non meritava tutto questo, Lisa non meritava di morire.
Era quel Dio che lui rinnegava a divertirsi così? Era Lui a toglierle il fiato ogni volta che si alzava troppo velocemente? Era Lui a svegliarla nel cuore della notte costringendola a respirare? Dio si divertiva a strapparla dalle sue braccia? Era una punizione? Voleva punirlo? Lisa non c’entrava niente con tutto questo, lui avrebbe dovuto soffrire, lui si sarebbe dovuto addormentare la notte con la paura di non svegliarsi e lui, avrebbe dovuto guardare negli occhi le bambine e trattenere le lacrime, lui e non Lisa.
Perché strappare a lei quello che di più bello aveva al mondo? Per punire lui? Lo aspettava, se Dio l’avesse guarita era pronto a prendere su di sé tutta la Sua rabbia e a sopportarla fino a quando, stanco e distrutto, la morte non l’avesse raccolto e trascinato lontano, non aveva paura, ma quel Dio che lui odiava non lo ascoltava, rifiutava le sue suppliche torturandolo giorno dopo giorno con quel maledetto sorriso e quegli occhi troppo stanchi per trasmettere calore.
La osservava diventare sempre più fragile, nascosto dietro ad un sorriso la vedeva vacillare, stringere con forza la mano sul bordo del tavolo o chiudere gli occhi qualche secondo pregando che quel mal di testa la lasciasse in pace qualche secondo.
Continuava a ripetere che tutto sarebbe andato bene, che le cose si sarebbero sistemate e che la morte non era poi così brutta, che forse, se il suo Dio aveva scelto questo c’era una spiegazione, un motivo anche stupido che potesse giustificare tutto quel dolore.
Non pretendeva di comprenderlo, non ci provava nemmeno ma la notte, quando non riusciva a dormire la sentiva piangere, singhiozzi talmente leggeri da confondersi con il silenzio eppure, in quei sospiri di cristallo poteva leggere ogni cosa, ogni più stupido pensiero, Lisa era terrorizzata dal poter in qualche modo ferire le sue bambine, terrorizzata dal poter rimanere impressa troppo a lungo nelle loro memorie e chiedeva al cielo solo un altro po’ di tempo per poterle salutare, per poter dire loro quanto le amava.
Era questo a torturarla, un distacco improvviso, un distacco violento e crudele che non aveva scelto lei ma che non poteva controllare, Dio come la conosceva bene, dietro a quei finti sorrisi c’era un modno intero di perché e nessuna risposta.
Perché mi hai fatto conoscere Kate? Perché me l’hai lasciata stringere tra le braccia? Non sarebbe stato tutto più semplice lasciarla quando ancora non capiva? Perché devo vederla crescere? Ti prego non lasciare che mi vedano morire, non mi importa quando sarà e come, solo … lascia che le mie bambine abbiano la possibilità di immaginare, di creare un mondo allegro dove gli angeli sono fatti di cristallo e profumano di fragole … e così, ogni giorno che passava si aggiungevano domande a cui lui non poteva rispondere e questo lo massacrava nell’anima.
Per anni l’aveva inseguita, si era divertito a prenderla in giro a farle del male per il puro semplice piacere di vederla soffrire con l’inconscio desiderio di averla solo per sé, anni buttati all’aria e poi quell’ultimo sprazzo di sole, mesi stupendi passati insieme e che ora sembravano solo granelli di sabbia.

 

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Capitolo 10
*** Sarà Così ***


Sarà così                                                                                                                         Sarà Così






“Greg puoi …” si passò una mano tra i capelli reggendo Kate, aveva la febbre, era nervosa e non aveva smesso di piangere un secondo da quando si era svegliata “ … puoi tenerla un minuto?” “Io non la tocco”  esclamò sarcastico giocherellando con il cucchiaino “Stai scherzando vero?” “Ho l’aria di uno che scherza?” “Ok” mormorò sfinita “Posso sapere quanto durerà ancora?” “Non sto facendo niente” “Appunto!” sorrise concentrandosi sul caffè davanti a sé “L’hai presa in braccio due volte nell’ultimo mese” “Mi sembra più che sufficiente non trovi?” ma Lisa scoppiò a ridere sollevando la bambina “Tenerla mentre prendo il pannolino non vuol dire creare un contatto” “A me pare di si” ironico, gelido, l’uomo che aveva avuto accanto tutto quel tempo sembrava sparito nel nulla , sostituito di colpo da un uomo meschino e stronzo che conosceva fin troppo bene  “È pronta Rachel? La porto a scuola mentre vado in ospedale” ma la bambina era apparsa tra loro ridendo “Sei pronta?” “Posso portare Dolly con me?” “Quella specie di ranocchia gialla e rosa?” Rachel socchiuse gli occhi studiando il suo viso “Perché sei arrabbiato?” “Ok” esclamò sbalordito spingendola velocemente verso la porta “Lo sai che inizi a spaventarmi?” ma per quanto provasse a seguire Rachel lungo il corridoio c’era qualcosa a bloccarlo, sospirò chiudendo gli occhi “Se non mi lasci andare arriveremo tardi e per una che ama la puntualità non so quanto possa essere bello” ma Lisa rafforzò la presa costringendolo a voltarsi “Mi hai promesso di prenderti cura di lei” rimase ad osservarla qualche secondo, stanca, pallida, stringeva con forza il corpicino ansimante di Kate come se lei fosse l’unica cosa a tenerla ancora inchiodata al suolo, i capelli sciolti sulle spalle e quell’azzurro intenso e pieno di calore velato da qualcosa di irriconoscibile “Mi hai promesso che quando io … che non sarebbe stata sola …” seguì il suo sguardo fino al viso di sua figlia, un viso così simile al suo da inorridirlo,  era una bella bambina, troppo bella per uscire da lui e immaginare un altro sé stesso di cinquant’anni più giovane era una cosa impensabile “Ti diverti a prendermi in giro?” “E tu? Ti diverti a punirmi?” “Ma cosa ..” “È vero, ti ho promesso che mi sarei preso cura di lei” sussurrò spingendola lentamente contro il muro “Ti ho promesso che le avrei dato un futuro ma è colpa sua se ora tu non hai un futuro quindi no, non ho finito di odiarla e non credo mi vada” “È tua figlia” “E tu eri l’unica ragione per cui valeva la pena vivere e mia figlia ti porta via da me”pochi centimetri dalle sue labbra, pochi stupidi centimetri e quel corpicino infastidito a trattenerlo dall’avvicinarsi di più “Dovrei prenderla in braccio e cantare? Far finta che tutto sia normale? Ti vedo scomparire giorno dopo giorno, ti spegni e smetti di lottare e la colpa di chi è?” “Mi sono sbagliata” una lacrima cristallina a scendere dal mare, un’unica lacrima ad accompagnare i sospiri “Credevo fossi davvero cambiato, credevo di aver fatto la scelta giusta … averti accanto, affidarti la vita di una bambina, la mia bambina e invece … sei solo egoista” ma quel sorriso ironico e cattivo non faceva altro che farle del male, lo sapeva, lo sapeva bene cosa riusciva a scatenare in lei e ora, provava uno strano piacere nel farlo “Ho trovato Dolly Greg!” distolse lo sguardo da lei ridacchiando quando le braccina di Rachel si chiusero attorno alle sue gambe “Possiamo andare sai?” “Oh meno male che ho un’assistente, sei perfino più brava di Foreman” la prese per mano e si chiuse violentemente la porta alle spalle senza voltarsi nemmeno un secondo.

In fondo, che altro poteva aspettarsi da quel genio infelice? Aveva scelto lei per tutti e due e ora non poteva costringerlo a comprendere e accettare le sue motivazioni.
La spiava ogni secondo della giornata, ogni volta che pensava dormisse, si alzava per controllare il suo respiro, per essere sicuro che Dio non la strappasse via dal mondo, aveva scelto lei, è vero era terrorizzata da morire, ma, ogni volta che guardava negli occhi Kate ogni dubbio, ogni incertezza scompariva, cancellato dalla consapevolezza di essere riuscita a dare la vita, a trasformare in carne e sangue un sogno fatto di dolcezza.
Ora lui doveva solo provare ad accettarlo, doveva farlo perché non aveva più molto tempo e Kate aveva bisogno del suo papà, aveva bisogno di qualcuno accanto che gli spiegasse come mai non aveva più la mamma, che la rassicurasse, con parole tenere e dolci cancellando il senso di colpa e la rabbia.
Ci sarebbe voluto del tempo per imparare a convivere con il dolore, tempo che Greg non voleva e di cui Kate aveva assoluto bisogno, lui era semplicemente arrabbiato con sé stesso, con la sua maledetta razionalità per non essere riuscito a salvarla, a convincerla a fare la cosa giusta e riversava tutto su Kate, sulla sua vita perché sfogarsi con lei voleva dire trovare una ragione ancora per odiare il mondo.
Chiuse gli occhi inspirando a fondo “Il tuo papà ti vuole bene tesoro” mormorò a pochi millimetri dalla piccola “Deve solo imparare a scoprirlo ma vedrai … sarà …” le lacrime iniziarono a solcarle il viso lasciando solo un umida scia a riempire il vuoto “ .. sarà un bravo papà”

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Capitolo 11
*** Io non ti Odio ***


Io non ti odio                                                                                                             Io non ti Odio






“Che diavolo ti salta in mente!” “Ehy Jimmy” esclamò sarcastico sollevando appena il bastone “Che ci fai qui? Vuoi aiutarmi a imbarcare di straforo il cavatappi?” lo sguardo del medico si spostò lentamente sulla valigia aperta sopra il letto “Cosa …” “A te cosa sembra?” ribatté gelido sbattendoci dentro una maglia “È una valigia” “Lo so cos’è!” “E allora cosa …” “È in ospedale!” un leggerissimo tremito percorse la mano raggiungendo il cervello, lasciò il bastone sul letto e nascondendo lo sguardo continuò a preparare la valigia “Dovresti essere con lei! Dovresti essere lì a sorriderle, a dirle che andrà tutto bene!” “Non posso curare una cosa incurabile, ancora non ci riesco Jimmy ma se aspetti dopo Natale forse …” “La smetti di comportarti da cretino? Ti sembra per caso che io stia scherzando? Sta male, è terrorizzata e l’unica cosa che chiede è averti vicino” “Per cosa? Per prenderla in giro con stupide idiozie? Morirà e io non posso …” si fermò qualche secondo inspirando “ … non posso farci niente quindi …” “Ti ha dato una figlia House! Sta morendo per quella figlia e tu non puoi andartene” “Non posso?” ribatté gelido inchiodando gli occhi ai suoi, il respiro si bloccò in gola, quello sguardo di ghiaccio era colorato dalle lacrime, lacrime bollenti che non gli davano tregua e che forse per la prima volta vedeva sul suo viso “È quella bambina a togliermi lei, credi davvero che io sarò un padre modello? Come pensi crescerà sapendo quanto il suo papà la odia?” “È tua figlia!” “Maledizione Jimmy lo so!” esclamò violento picchiando con forza il pugno contro l’anta dell’armadio, gocce limpide e scure scesero lentamente toccando il bianco candido della moquette “Lo so che è la mia bambina e non immagini nemmeno quanto desideri amarla ma non riesco a farlo Jimmy, non riesco a guardarla senza rivedere lei! Il suo sorriso, i suoi occhi! Come le risponderò quando mi chiederà com’è morta la sua mamma? Quando diventerà grande e così simile a lei da massacrarmi ogni santo giorno? Non riesco nemmeno a guardarla per più di cinque secondi come posso …” per un attimo, l’uomo rude era stato sostituito da qualcos’altro, forse da un uomo stanco e pieno di dolore “Le racconterai una bugia” mormorò Wilson avvicinandosi di un passo “Inventerai bugie per non farla soffrire e chiuderai gli occhi qualche secondo ringraziando Dio per averti dato la possibilità di vedere ogni giorno Lisa nei suoi occhi” ma Greg sorrise scuotendo leggermente la testa “Tu non capisci” “Aiutami a capire House! Aiutami a capire come mai ora sei qui e non accanto a lei, aiutami a capire come riesci a preparare una valigia sapendo che da un momento all’altro lei potrebbe … la ami, la ami e non puoi far finta di niente” sospirò chiudendo la borsa, incurante del sangue che continuava  a scendere lungo il polso prese il bastone “È proprio per questo che non voglio vederla” “Aspetta” lo afferrò per il braccio tirandolo leggermente indietro “House devi … lei è convinta che tu sarai lì … le ho promesso che …” “Non avresti dovuto promettere Jimmy” un leggerissimo sorriso “Se ora la vedo morire crollerò con lei, un pezzo dopo l’altro me ne andrò assieme a lei” “Non puoi lasciarle così”  la mano a posarsi sulla sua scivolando nel vuoto assieme, non una parola, non un sospiro, semplice  e puro dolore che lo accompagnava lontano.



Respirava a fatica, provava a cacciare via il dolore lancinante alla testa ma il respiro continuava a mancarle ogni volta che arrivava una nuova fitta “D’accordo” mormorò Wilson scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “Abbiamo aumentato ancora la morfina, fai dei bei respiri profondi” le sorrise posando la mano sulla sua “Non provare nemmeno a togliere la mascherina chiaro? Lo so che è fastidiosa ma se è lì serve” un lieve cenno nient’altro, sospirò sedendosi sul bordo del letto “Lisa lui non … devi pensare alle tue figlie perché lui non lo farà di certo” “Non serve, ci ha già pensato lui” “Cosa?” annuì appena sfilando da sotto le coperte una busta piegata “Le ha affidate a Michael” Wilson sorrise appena passandosi una mano in viso “Ma che diavolo … non può, quell’uomo è un marito non marito!” “E che differenza fa?” la voce incrinata dalle lacrime “Ho un marito che a questo punto dovrà prendersi cura di due bambine che nemmeno conosce e io non …” “Ehi” mormorò il medico sfiorandole il viso “Ci penserò io ok? Mi prenderò cura di loro. Cresceranno bene te lo prometto” un leggerissimo sorriso prima dell’ennesima fitta alla testa “Fai un bel respiro Lisa, respira” fino ad ora non si era nemmeno resa conto di quanto un gesto così semplice e abituale potesse diventare difficile, doveva respirare, doveva farlo per permettere al cuore l’ennesimo battito ma era stanca, stanca di piangere, stanca di soffrire, stanca di convincersi che tutto sarebbe andato per il verso giusto perché l’unica persona che avrebbe voluto accanto in quel momento non c’era “Non sono arrabbiata con lui” Wilson sollevò lo sguardo dal monitor cercando i suoi occhi “Lo so che ha paura, ho paura anche io e non voglio vederlo piangere” “Ha paura? E questo lo giustifica?” ribatté secco stringendole con forza la mano “Non puoi prendertela con lui James, lui non avrebbe mai cercato una vita come questa, non avrebbe mai pensato ai figli o a passeggiare sulla spiaggia, lui è semplicemente sé stesso mentre io …” si fermò qualche secondo inspirando a fondo “ … io non avrei dovuto cercare di cambiarlo” “Cambiare è umano Lisa! Forse hai ragione, forse è davvero così ma scappare e lasciare tua figlia da sola questo no, non può essere la cosa giusta , non quando in gioco c’è il suo futuro!” sorrise appena voltandosi leggermente verso di lui “Non avrei mai chiesto a Michael di fingere di diventare mio marito, mi fido di lui, è un brav’uomo e se deciderà di tenere con sé le mie bambine allora, i miei tesori, avranno una bella vita ma se non sarà così, ci sarà mia sorella, ci sarai tu …” “Ma non ci sarà il loro papà” un’altra fitta, più forte, diversa dalle altre “L’ho amato tanto James e perfino ora che mi lascia da sola lo amo ma non posso pretendere che diventi qualcosa che non è” Wilson annuì mestamente asciugando con la mano una lacrima solitaria, l’ultima cosa che riuscì a vedere, una lacrima e niente di più.

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Capitolo 12
*** Ridammi il mio Papà ***


Ridammi il mio papà                                                                 Prologo:                     Ridammi il mio Papà










Papà?” si voltò di scatto spaventato da quella voce apparsa dal nulla “Ragazzina credo tu stia sbagliando …” ma come poteva continuare a mentire? Aveva davanti una ragazza dagli occhi azzurri come il cielo e quel modo strano di inclinare la testa di lato, il dubbio che si era insinuato in lui stava diventando velocemente triste realtà  “Chi sei?” mormorò confuso posando il casco della moto “Kateleen” “Mi dispiace ragazzina, non conosco nessuno con quel nome” ribatté ironico incamminandosi verso la porta di casa “Mia madre si chiamava Lisa …” una pugnalata in pieno petto a togliergli l’ossigeno “ … era un medico e mio padre …” la voce le tremò leggermente mentre lo sguardo si abbassava lentamente al suolo “ … mio padre si chiama Gregory House”  “Non ti conosco davvero ragazzina” mormorò voltandosi appena verso di lei “Lo so, non pretendo di conoscerti, voglio solo parlare con te” “E perché? Se non ti conosco non puoi nemmeno chiedermi di parlare” “Si ma se parli con me forse riesci a conoscermi” razionale, ironica, identica a lui nel modo di parlare, nei movimenti veloci degli occhi e quella profondità nello  sguardo “Non voglio conoscerti ragazzina” la vide tremare leggermente, indietreggiare di un passo senza abbassare lo sguardo “Rachel mi aveva detto che eri così” “E allora perché sei venuta a cercarmi?” buttò lì gelido tornando a concentrarsi sulle chiavi di casa “Il cielo si è preso la mia mamma lasciandomi solo stupide fotografie a raccontarmi quant’era bella e quanto le assomiglio, ho una sorella che vive lontano, studia e mi chiama otto volte al giorno solo per dirmi ti voglio bene” un leggerissimo sorriso a colorare quel volto d’avorio “Sono cresciuta con un padre che non mi ha mai fatto mancare niente anche se non ero sua, se ogni notte dormiva con una persona diversa e ho uno zio speciale, che non ha mai nemmeno saltato una recita scolastica” “Hai una bella vita” sbottò incurante lanciando in casa lo zaino “Perché devi complicartela con un uomo che non conosci?” ma lo sguardo della ragazzina divenne improvvisamente cupo, conosceva bene quell’espressione triste e sola perché era la stessa che per anni aveva albergato sul suo viso fino a che, un raggio di sole non l’aveva cacciata via “Ho avuto un padre ma mai un papà” si appoggiò allo stipite fissandola confuso “Ti ho odiato tanto, davvero tanto ma più lo facevo più mi rendevo conto di quanto mi mancassi, di quanto volessi accanto a me una persona con il mio stesso carattere, con i miei lineamenti e con quella dannata razionalità che non mi lascia dormire la notte” si avvicinò a lui di un passo scostandosi dal viso i capelli chiari “Perché non sei rimasto?” “Perché tiri fuori il passato?” “Perché io sono il passato e ogni maledetta volta che mi guardo allo specchio non faccio altro che chiedermi: com’è mio padre? Cosa sta facendo adesso? Perché non ha lottato per me?” “Tuo padre è morto quando tua madre ha chiuso gli occhi” mormorò triste abbozzando un leggerissimo sorriso “Se fosse stato qui probabilmente avrebbe una nuova famiglia, una moglie e un figlio che ama i monter truck e …” sospirò concentrandosi in quello sguardo puro come l’acqua “ … non ha lottato per te perché non aveva nemmeno la forza di lottare per sé stesso” “Non è una scusante” “Non voleva esserlo” un leggerissimo battito di ciglia ad interrompere il silenzio “Avrei avuto una vita diversa” “Anche io e a cosa sarebbe servito? Saresti cresciuta da sola, allevata dai lupi e senza il minimo rispetto per gli altri” eccola lì, quella somiglianza che per sedici anni aveva cercato ora splendeva più forte del sole, negli occhi di quell’uomo lo stesso riflesso, la stessa malinconia che erano parte di lei “Non sono arrabbiata con te” “Cosa?” mormorò confuso sollevando lo sguardo “Avevi paura, aver paura è umano e tu lo sei, per quanto il tuo comportamento provi a dimostrare il contrario so che lo sei” un gesto improvviso, la mano stretta attorno alla sua e un improvviso calore a riempire il cuore, pochi secondi per realizzare quanto quel tocco assomigliasse ad un ricordo, sfilò la mano dalla sua abbandonandola nel vuoto “Non posso darti niente Kate” “Puoi darmi il mio papà”  


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