Violet - Annabelle's diary

di Camelia Jay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** Cinque ***
Capitolo 7: *** Sei ***
Capitolo 8: *** Sette ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



 

Prologo

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Ashley Stark sedeva sul vano della finestra guardando verso l’esterno, con un album da disegno in mano, in cerca dell’ispirazione che non arrivava mai.

Era una bella giornata, tutto sommato, ma ciò non contribuiva a rendere il suo umore meno grigio. C’era un bel sole splendente, lo diceva anche la radio che stava ascoltando. Proprio quest’ultima, fece all’improvviso partire una canzone, che per un attimo, ma solo per un attimo, Ashley non riconobbe. Poi le parole del brano le assalirono la mente, parole con una voce troppo ipocrita, troppo infida. Strinse in pugno la matita mentre la canzone andava avanti, imperterrita, con le note che uscivano dalla piccola radio posta sulla scrivania.

Qualche giorno prima Ashley Stark si sarebbe semplicemente alzata, sarebbe andata verso la fonte di quella musica che le trapanava il cervello e avrebbe sbattuto con un gesto repentino la radio per terra, fregandosene se sarebbe rimasta intatta o meno. Ma ora, ora che le ferite sembravano rimarginarsi a poco a poco, pur lasciando un’evidente cicatrice nel suo cuore, si sentiva troppo matura per farlo. Lei era una mente razionale, doveva reagire come tale. Si limitò, anzi che a scaraventare l’oggetto sul pavimento, a spegnerla premendo forte il tasto di accensione. Quando la melodia cessò, ancora non si sentiva pienamente soddisfatta. Posò lo sguardo sull’immensa raccolta discografica che aveva nella propria stanza, interminabile, su quegli scaffali uno sopra l’altro, e si avvicinò, ancora con il materiale da disegno in mano.

Perché se ne stava ancora lì, chiusa e segregata in casa?

Accarezzò il grosso e massiccio mobile.

Sapeva che qualcuno, fuori, da qualche parte, stava gioendo della sua infelicità, e del fatto che si era rintanata a casa per non dover parlare con nessuno. A scuola evitava tutti. Era diventata, da un po’, estremamente irritabile.

Odio la sua voce, pensò, ricordando. Ricordi che dovevano essere cancellati, il prima possibile. E fine della questione.

Ignorando i cd più recenti che erano stati ascoltati fino quasi a consumarsi, Ashley si concentrò su qualcosa di un pochino più arretrato. Intravide un cd contenente della musica classica, una raccolta dei migliori brani degli artisti dei secoli precedenti. Lo sfilò dalla fila. Se lo girò tra le mani verificando che era coperto da uno strato sottile di polvere. Era chiaro da quanto non lo ascoltasse.

Il cellulare non le squillava da giorni. Era evidente che a nessuno importava di lei – era troppo anonima e le uniche persone di cui si era fidata non meritavano niente. E ora lo sapevano anche loro.

Aprì la custodia ed estrasse il cd. Dopo aver acceso lo stereo, lo infilò. Non fece in tempo a premere sul tasto play che il cellulare sul comodino squillò.

Ashley fu pervasa da un moto di panico. Se non era chi pensava lei a mandarle un messaggio, poteva essere solo qualcuno di ancora peggio. Infatti. Era lei.

Vengo da te, è okay?

Non aveva senso chiederle come mai volesse farle quella visita insolita o per quanto si volesse fermare. Sapeva solo che voleva girare il coltello nella piaga, mettendo se stessa in una posizione di vantaggio e facendo stare Ashley ancora peggio di quel momento. Se fosse stata completamente in sé, avrebbe reagito, facendogliela pagare a dovere. Ma si sentiva debole e spossata. Decise che per un po’ sarebbe stata al suo gioco.

Poi, solo poi, si sarebbe vendicata.

Una vendetta pianificata, inaspettata e spietata.

Okay

Questa fu la risposta. E fece partire la musica, stavolta melodia più gradevole al suo orecchio stanco di tutta quella musica più moderna che ultimamente la torturava.

E, mentre gli archi si facevano sentire, Ashley se ne tornò sul vano della finestra, ad osservare tutte le auto che sfrecciavano per la strada, con la matita in mano, improvvisamente più tranquilla e meno adirata.

Posò la mina sulla superficie liscia del foglio di carta. Finalmente tracciò la prima linea del suo disegno.

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Jade’s place:

Salve a tutti! Jade è tornata con una nuova storia! Ma questa non è una storia come tutte le altre: si tratta infatti del mio piccolo capolavoro, la storia che ha saputo tirar fuori il meglio di me, e questa storia è tutto il meglio che sono riuscita a scrivere. Non credo di passare per vanitosa se reputo che questa storia sia la cosa più bella che abbia mai scritto. E, dopo tanto tempo, la ripubblico su EFP, da cui l’avevo tolta per poter lavorare a una seconda stesura… Ora, che sia ben accetta o meno, ho intenzione di concluderla una volta per tutte, e capire quale sarà il suo destino =) mi sono innamorata di Ashley, di Annabelle, di Violet e di tutti gli altri, per cui è difficile che abbandonerò per sempre il mio lavoro ;D spero vi sia piaciuta… non so, questo prologo l’ho scritto più di sei mesi fa (tutto il resto ha più di un anno di vita invece). Datemi un parere! Alla prossima, se ci sarete ;) ah e ci terrei a dire che questo è il prologo, piuttosto corto come potrete constatare, ma gli altri capitoli sono mooooolto più lunghi ^^' alcuni sfiorano le 4000 parole. Detto ciò, vi saluto =)

Jade

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Capitolo 2
*** Uno ***



U
no
s
o

Giovedì 11 febbraio 2010

Jennifer Evergreen si stava dirigendo a passo spedito verso l’aula che l’attendeva, con la sua solita camminata decisa e disinvolta che la caratterizzava in qualsiasi contesto.

Era alta e snella, i capelli raccolti in una coda di cavallo e vivaci occhi castani, e indossava un top che mostrava più di quel che nascondeva e una minigonna. Il rumore dei suoi tacchi si poteva udire da lontano. Raggiunse in pochi istanti Violet Ross, che si era girata avendo avvertito la sua presenza dietro di sé. Violet si sentiva bassa a confronto di Jennifer, ma era quest’ultima che era più vicina di chiunque altra in quella scuola a una modella.

«Violet! Pronta per la lezione?» chiese lei, mostrando la dentatura bianca in un sorriso.

«Ciao Jen. Sì, abbastanza pronta.» Violet ricambiò il sorriso a sua volta. Jennifer Evergreen da un po’ di tempo l’aveva presa in simpatia, la invitava alle sue feste esclusive, rivolgeva la parola molto di più a lei rispetto alle altre ragazze, cominciava a confidarle alcuni piccoli segreti, ma lei era sempre stata titubante. Pur essendo socievole, sapeva che non bisognava fidarsi delle tipe come lei. Jennifer, infatti, era capace di mandarti sms affettuosi il giorno prima, e farti subire una terribile umiliazione pubblica il giorno dopo, senza un apparente motivo. Non sarebbe stata la prima volta che succedeva. Perciò si vedeva costretta a stare sempre all’erta.

«Che hai intenzione di fare questo weekend? Io vado alla festa di Vincent, sarà uno spasso. Io ci vado perché sono la sua ragazza.»

Sì Jennifer, lo sappiamo che sei la ragazza di Vincent.

«Oh.» Violet si grattò distrattamente la nuca. I suoi programmi non erano nemmeno paragonabili a quelli di Jen. «Credo che uscirò e andrò a mangiare una pizza con le altre.»

Jennifer arricciò il naso. «Chi sarebbero le altre

«Mah non so; le amiche con cui esco di solito, e poi vediamo.» Per un momento pensò se fosse il caso di invitare anche lei. Ma aveva paura che la sola proposta l’avrebbe disgustata.

Dalla sua faccia capì infatti che neanche per tutto l’oro del mondo si sarebbe voluta unire a loro. «Ah, quelle sfigate» commentò, facendo finta che le fosse scappato.

«Come scusa?» Violet fece finta a sua volta di non averla sentita.

«No, dico solo che non sarebbe meglio venire alla festa di Vincent, questo sabato? Posso dirgli che sei una mia cara amica così inviterà sicuramente anche te.»

Violet non si sentiva nella posizione di declinare la proposta. Non sapeva come l’altra avrebbe potuto prenderla. «Be’, potrebbe essere… carino. E che mi dici delle altre?»

Fortunatamente erano già davanti alla porta dell’aula. Jennifer assunse l’espressione di qualcuna che era a disagio, ma Violet sapeva che era pura finzione. «Mmm, non so se Vincent… ehm… senti, Violet, tu sei una tipa a posto. Credimi, ti porterei con me a tutte le feste del mondo ed è quello che sto cercando di fare, come puoi vedere. Sai cosa dire e come comportarti, in poche parole, sei okay. Perciò perché non cominci a frequentare le compagnie giuste? Così almeno tutti potranno vedere quello che vedo anch’io in te. Io intanto chiedo quella cosa a Vincent, poi ne riparliamo. D’accordo?»

Violet annuì, ammutolita. Ci mise qualche secondo, giusto il tempo che Jen aprisse la porta ed entrasse, per assimilare la risposta. Realizzò cosa le aveva detto, ma in poche parole. Si chiese se davvero desiderasse la sua amicizia.

Ma va’ al diavolo, Jennifer Evergreen. Nessuno mi viene a dire quali sono le compagnie giuste e quali le compagnie sbagliate. Chi saresti tu, se non stessi da più di tre mesi con quel Vincent Carter dei miei stivali? Nessuno!

Riformulò quel pensiero svariate volte nella stessa giornata, ma ancora non riusciva a placarsi. Dopo una lunga riflessione, decise che avrebbe rifiutato l’offerta con gentilezza. Jennifer non se la sarebbe presa.

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Pochi giorni dopo, una Jennifer Evergreen furiosa percorreva il corridoio con i tacchi che producevano sul pavimento un rumore ancora più forte e sordo del solito. Violet non l’aveva mai vista così incollerita. Per un momento si domandò se non fosse colpa sua. Decise che si sarebbe avvicinata a lei all’armadietto, controvoglia.

«Ciao Jen. Che cos’hai?» fece con voce tremante.

Lei si posò un indice sulle labbra, facendole segno di stare in silenzio. Ma ormai mezza scuola sapeva, e l’argomento era sulla bocca di tutti. Si avvicinò al suo orecchio con circospezione. «Vincent mi ha lasciata» mormorò, in modo che a Violet arrivasse poco più di un sussurro.

Violet finse la sorpresa. Non era strano che Vincent Carter si prendesse una bella ragazza e poi la lasciasse. Anzi, era la norma. «Oh, mi dispiace…»

«Grazie Violet, tu sei così comprensiva!» esclamò con un entusiasmo quasi teatrale.

Vincent Carter era senza ombra di dubbio lo studente più fastidioso della scuola. Fastidioso perché Violet non sopportava il suo modo di comportarsi. Eppure tutte le ragazze gli correvano dietro sbavando, in preda agli ormoni. Non le biasimava, in fondo: sembrava un angelo scolpito nella pietra, aveva il viso perfetto di una di quelle bellissime statue greche dell’era classica, e i capelli color platino accompagnati da due brillanti occhi castani. Ed era anche un gran narcisista, forse il peggiore di quella categoria. A volte Violet si chiedeva quanto tempo passasse davanti allo specchio.

«Be’, non è questo il momento di rimpiangere il mio ex. Dimmi un po’, Violet, invece tu quando hai intenzione di andarti a cercare seriamente un ragazzo, anziché fantasticare su quel cantante, come si chiama… David Kincy?»

Violet arrossì. «Non è vero! Io non fantastico su di lui!»

«Però hai tutte le sue foto appiccicate nell’armadietto, ammettilo.»

Non aveva tutti i torti… «Ma questo non c’entra proprio niente!» Insomma, non si poteva nemmeno essere fan di qualche persona famosa al giorno d’oggi?

Jen ridacchiò. «Va be’, comunque il prossimo sabato ci imbuchiamo a una festa e conosciamo qualcuno. Non è grandioso?»

Violet riuscì a stento a trattenere una risata di scherno. Ora che Jennifer Evergreen si era lasciata con Vincent Carter, lei non era più nessuno. Per andare alle feste adesso aveva bisogno di imbucarsi. La notorietà le aveva dato alla testa, e non aveva ancora accettato il crollo definitivo della sua breve carriera da reginetta scolastica. «Suppongo di sì…» ma sapeva che a quella festa sarebbe stato presente anche Vincent. Tutte quelle che si mettevano con lui rimanevano scottate a tempo indeterminato, e Jen ancora non poteva fare a meno di vederlo.

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Quella stessa sera, a distanza di miglia e miglia da lì, Annabelle Jenner entrò nel parco distante pochi isolati da casa sua, che godeva di alti alberi e del canto delle cicale. Cercava di non fare troppo rumore, con i suoi tacchi sul terreno, e sperava di riuscire a mantenere un’aria il meno ansiosa possibile. Il suo piano stava procedendo alla perfezione. Le scappò un ghigno.

Era tanto bella quanto sicura di se stessa, si truccava sempre in maniera precisa, e i suoi capelli erano stati appena piastrati. Faceva invidia anche alle stelle del cielo. Ad Annabelle piaceva pensare che fosse per quello che ve ne erano poche, quella sera, a punteggiare il manto nero sopra la sua testa.

Si sedette su una panchina di legno e aspettò. Intanto si guardò intorno. Sulla panchina dei ragazzi avevano scritto dei nomi o delle frasi con dei pennarelli colorati indelebili, dalle espressioni come ti amo alle parolacce di ogni genere. L’unica cosa che la illuminava era la luce fioca della luna e un lampione un po’ distante. Si stava pentendo di aver indossato una minigonna invece dei comodi jeans: faceva un freddo cane e le stava venendo la pelle d’oca.

Tirò fuori il cellulare: una chiamata persa e un sms. La chiamata era di un certo John, un “amichetto” che si era fatta l’estate prima in vacanza e con cui aveva passato solo un paio di notti. Non si era ancora perso d’animo. L’sms era di Martin.

Ma chi diavolo è questo Martin? Boh, e chi si ricorda.

Eliminò la chiamata e poi l’sms senza nemmeno leggerlo, e cancellò il numero del misterioso Martin dalla rubrica. Non le andava di sforzarsi per ricordare chi fosse e dove l’avesse conosciuto.

Quando sentì la voce limpida di David Kincy chiamarla dietro di sé, si girò spazzando via il sorriso di compiacimento. Sì, procedeva tutto liscio come l’acqua.

Lei si alzò, raggiungendolo. Era a pochi metri di distanza da lei. «Ciao» disse fingendo la sorpresa. Rimase un istante in silenzio, capendo che doveva cominciare lei il discorso, e arrivare dritta al punto. «Volevi parlarmi?» Cerca di sembrare un po’ più timida, si disse.

Lui annuì, poi rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa dire in quel momento.

«Tutto bene?» chiese Annabelle, abbassando un po’ il capo e giocherellando con una ciocca di capelli. «Hai un’espressione così cupa…»

«In effetti.»

«Su» lo esortò lei «raccontami cos’è successo.»

A David sembrò che Annabelle fosse quasi consapevole di quello che voleva dirle. Ciò era sospetto. Tuttavia lasciò perdere, e pronunciò finalmente più frasi messe insieme per la prima volta da quand’era arrivato. «Sono preoccupato. È da ieri che non vuole più parlarmi. Per caso sai cosa potrebbe essere successo? Cosa potrei averle fatto?»

Annabelle si morse un labbro, alzando lo sguardo. La sua recita era molto credibile. «Ah… quindi avevo ragione… da un po’ di giorni mi sembrava un po’ strana, ma non credevo che fosse il caso di preoccuparsi, invece…»

«Sul serio?»

«Sì. E, conoscendola, so perfettamente che quando fa così significa che vuole interrompere tutti i contatti.»

«Quindi… secondo te è davvero finita.»

Annabelle simulò il dispiacere. «Non vorrei essere pessimista. Ma lei con tutti i suoi altri ragazzi ha fatto così.»

«Aveva altri ragazzi? Lei mi aveva sempre affermato il contrario!»

Certo che non aveva altri ragazzi, ma a volte inventarsi una piccola bugia non fa male. «Ops, forse non dovevo dirlo! Io credevo che te l’avesse detto!» esclamò posandosi una mano sulla fronte. «Sapendo quanto poco tempo è stata con ognuno loro, forse capisco perché non voleva dirtelo.»

Funzionava. David pendeva dalle sue labbra. Si stava guardando nervosamente intorno. Non poteva pensare che la sua ragazza l’avesse mollato così, rifiutando ogni chiamata e senza rispondere agli sms e alle mail. «Ma perché

«Forse è colpa mia.» Fare l’innocente funzionava sempre.

«Ma no! Perché dovrebbe essere colpa tua? Lei non sa di… noi.» Assalito da un improvviso senso di colpa, preferì guardare altrove. «Sono sicuro che non l’ha scoperto.»

Come volevasi dimostrare. «No ma è che… tu mi piaci, David. Io non gliel’avevo mai detto, ma lei lo sapeva, l’aveva capito.»

Fu a quel punto che David Kincy cadde in pieno nella ragnatela di Annabelle Jenner, senza possibilità di fuga.

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5 mesi più tardi.

Giovedì 15 luglio 2010

Per Violet fu come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno, un sonno con tanto di un lunghissimo sogno interessante. Chiuse il prosperoso libro di quattrocento pagine, e si sentì come se avesse fatto una bella dormita. Ma non era così. Era seduta sul divano, immersa nella lettura, e metteva a fuoco solo le parole, tanto che dopo un po’ aveva perso la cognizione del tempo e sembrava che fosse letteralmente entrata nel libro.

Era riposata, e pensò seriamente di essersi addormentata durante la lettura e di aver solo sognato la trama, poi vide che aveva letto oltre cinquanta pagine e si ricredette. Guardò in maniera fugace l’orologio appeso al muro che i suoi avevano acquistato un paio di anni prima. Segnava le sei del pomeriggio e Violet sgranò gli occhi facendo uno sbadiglio. Aveva letto per un’ora e mezza e non se ne era neanche accorta. Purtroppo aveva perso più tempo nella lettura del romanzo del previsto, tempo che avrebbe dovuto dedicare allo studio. Cominciava sempre così, solo cinque minuti, poi altri cinque e altri cinque ancora, finché non si rendeva conto che aveva già perso un’intera giornata. Sorrise di questa sua sgradevole abitudine. Si stiracchiò le braccia e le gambe intorpidite sorprendendosi nel vedere quanto la luce, fuori, fosse cambiata, perché il tempo era volato per lei, che non aveva alzato lo sguardo dal libro per così tanto tempo.

Andò a mettere via il libro, le cui pagine profumavano ancora di stampa fresca, in camera sua, domandandosi come facesse qualcuno a scrivere così tanto senza perdere la pazienza. Appoggiò il volume su uno scaffale, mettendolo in mezzo tra una commedia di Shakespeare e un romanzo giallo che aveva già letto due mesi prima. Sentendo il tipico rumore di una serratura quando vi si gira dentro la chiave in lontananza, capì che suo padre era tornato a casa, alla solita ora con puntualità.

Violet scese le scale e si diresse a salutarlo. Vide subito che aveva qualcosa di strano: cercava di contenere un sorrisetto, ma non sapeva come interpretarlo.

«Ho due notizie, una buona e una cattiva» esordì.

Violet suppose che fosse per la buona notizia che aveva quel leggero sorriso, per quella cattiva che cercava di non farlo trasparire.

«Prima quella buona» disse sua madre, ansiosa, che si era appena seduta su una sedia.

«Okay. La buona notizia è che oggi mi hanno dato una promozione.» Prima che le altre due potessero esultare, continuò il suo discorso. «Mi hanno quasi raddoppiato lo stipendio, il che è una cosa molto buona, immaginate i vantaggi.»

Eh già, qui gatta ci cova pensò Violet. «E la brutta notizia?» domandò, passandosi le mani tra i capelli, e sperando che non fosse una notizia così brutta. Come se la sua vita non fosse già fatta di continue brutte notizie. Erano trascorsi cinque mesi da quando…

«Che ci dovremmo trasferire, se accettassi questa promozione. Lì dove ho frequentato io il liceo, distante circa tre ore da qui, verso sud, altrimenti mi sarebbe abbastanza difficoltoso andare a lavorare.»

La città in questione era una zona che suo padre conosceva molto bene, avendovi passato la maggior parte della sua vita. Violet non sapeva nemmeno dove si trovasse di preciso. Ma le non importava. Nello stesso momento in cui lui aveva pronunciato quelle parole, il suo cuore era balzato talmente forte che era sembrato uscirle dal petto.

Gli occhi le traboccarono di lacrime, mentre i suoi pensieri diventavano sempre più irrazionali, e rimase in silenzio.

«Però c’è Violet che ha tutte le amicizie qui, quindi non credo che lei sarebbe d’accordo» disse poi il padre.

Violet cominciò a borbottare. «Ma stai scherzando? Io, le amicizie?» poi perse totalmente il controllo e strinse forte i pugni. «Che vadano al diavolo, le amicizie! Papà, andiamocene! Ti prego!» e quasi gi saltò addosso per convincerlo. «E la chiami cattiva notizia questa?»

Effettivamente era un bel po’ che Violet non aveva motivo di essere così gioiosa. Era tutto cominciato molto tempo prima, poco dopo che Vincent Carter aveva lasciato Jennifer Evergreen. A scuola Violet non aveva più amici, solo bullette che non perdevano occasione per punzecchiarla. Le capitavano cose di ogni tipo. Faceva sempre finta di niente perché si sentiva come se nessuno potesse aiutarla. Forse avrebbe anche potuto far fronte a tutti quei piccoli atti di bullismo psicologico che le venivano inferti, ma non avrebbe mai potuto cambiare le opinioni della gente su di lei. Non avrebbe mai potuto controllare i pensieri degli altri facendo in modo che tutti le dimostrassero affetto. Era per questo che si era decisa a scappare.

Violet era, caratterialmente, una ragazza che tendeva spesso a fuggire dai suoi problemi. E, quando questi erano grossi, lo faceva il più in fretta possibile e in maniera ostinata. Quello era uno di quei casi. Il coraggio non era mai stato il suo punto di forza.

Nel giro di poche settimane tutta la famiglia si trasferì, lontano dai guai, lontano da quella scuola, lontano da Jen e da Vincent, lontano dai suoi compagni e dai suoi ex amici, lontano da tutti quelli che conosceva e che voleva dimenticare.

Violet aveva adesso una seconda possibilità.

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Jade’s place:

Eccomi con un nuovo capitolo… ecco, ora conoscete sia Violet che Annabelle!

Ecco una domanda che ora potreste porvi...

"Cosa ti ha ispirato per scrivere questa storia"? Be', la risposta è semplicissima: un sogno! Sì, in stile Stephanie Meyer. Una notte ho sognato una circostanza simile ai capitoli che vedrete tra poco... e mi sono chiesta, una volta sveglia "Cosa sarebbe successo se...?" e allora, prendendo libera ispirazione da questo sogno, ecco che è partita la storia!

Qui viene omesso il perché Violet ha così voglia di andarsene dalla sua vecchia città… e l’ho fatto apposta, chiaro ;) dal prossimo capitolo niente più sbalzi temporali, promesso! Ci trasferiremo anche noi nella nuova città di Violet e incominceremo a seguire le sue avventure! Se ci sarete ;D ciao!

Jade

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Capitolo 3
*** Due ***



 

Due_

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Circa nove mesi dopo

Giovedì 7 aprile 2011

Scribacchiando l’ennesimo autografo a una ragazzina sedicenne dai capelli corti che fremeva dalla gioia, David Kincy si lasciò sfuggire uno sbadiglio. Quella mattina si era alzato alle sei, e adesso erano quasi le undici. Da qualche giorno dormiva solo poche ore, un po’ per tutti gli impegni in attesa di lanciare il nuovo album, un po’ per la recente svolta che aveva avuto la sua vita sentimentale.

La sessione di autografi aveva l’aria di durare ancora molto, vista la fila di persone – soprattutto ragazzine liceali in fibrillazione – che attendevano solo di stare davanti a lui e agli altri membri della band.

Con un sorriso un po’ forzato a causa della stanchezza, David salutò la sua fan che fece subito posto a un’altra. Di fretta, lui cominciò a farle l’autografo, e sussurrò qualcosa ad Arthur Backman, secondo chitarrista, di fianco a lui, anche questo impegnato nelle firme. «Chi ha avuto la bella idea di farci tenere una sessione di autografi proprio oggi? Io sono stremato!»

«Non chiederlo a me» rispose il chitarrista, allo stesso modo assonnato «io ho solo accettato senza discutere, come sempre. È il prezzo del successo, Dave.»

«Non pensavo di non essermi ancora abituato al prezzo del successo.»

Restituì anche quest’autografo. La sua mano doleva ormai, e sempre negli stessi punti. Si sentiva come se avesse appena finito di scrivere un romanzo di un migliaio di pagine a mano. Sfortunatamente, era ancora ben lungi dal termine di quella sevizia. Fu lì che desiderò per un momento essere ambidestro, per poter alternare le due mani. Poi però avrebbe avuto ben due mani dolenti, e non solo una. «Chissà come faccio domani a suonare la chitarra, con la mano in queste condizioni» continuò, facendo attenzione che nessuno all’infuori di Arthur udisse la conversazione.

«Tanto domani non siamo in studio di registrazione, non ricordi?»

David s’illuminò di una gioia improvvisa. «Già, per fortuna, perché non ce la faccio davvero più.»

Arthur, continuando a firmare autografi uno dietro l’altro, fissò per qualche secondo il suo compagno. Tra tutti era sicuramente il più sfinito. Non ci voleva, non poteva succedergli tutto così, in un colpo solo. Si chiese se fosse il caso di fargli quella domanda che lui e gli altri avrebbero voluto rivolgergli ormai da giorni, ma erano stati zitti per timore di peggiorare la situazione. Tuttavia, sebbene non fosse quello il momento più adatto, la fece lo stesso: «Io e i ragazzi ci chiedevamo…» abbassò ulteriormente il tono – non era di certo quello il momento per una fuga di notizie. Rimase un’altra frazione di secondo in silenzio. «Be’… sai, con il fatto di Annabelle…»

«Sto benissimo, grazie» rispose David, senza guardarlo negli occhi, fingendosi impegnato con gli autografi.

Mentiva. Si vedeva. Non stava affatto bene. La sua morale gli diceva di non cercare più in alcun modo e per nessuna ragione di ricontattare Annabelle, e a sua volta di non rispondere ai suoi tentativi di comunicare con lui, eppure era solo questo a frenarlo. Se avesse dovuto ascoltare i propri sentimenti, si sarebbe già rimesso insieme a lei.

La loro storia era durata parecchi mesi, cominciata subito dopo che lui si era lasciato con la sua ex. Lei era una persona stupenda. O almeno così gli sembrava. Avrebbe voluto stare con Annabelle fino alla fine dei suoi giorni, se non fosse stato per quel fatto, che pensò sarebbe stato meglio non aver scoperto. Pochi giorni prima l’aveva vista casualmente in giro a sbaciucchiarsi con un altro, convinta che lui fosse ancora in studio. Ma quella sera era uscito prima.

Quando le aveva parlato, lei aveva cercato in tutti i modi di giustificarsi. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata quando lui le aveva chiesto chi fosse questo tizio. Lei aveva risposto che lo conosceva da un paio di giorni.

David non riusciva a credere che lei avesse potuto tradire la sua fiducia con così tanta facilità. Non poteva sopportarlo. Chissà quante altre volte lo aveva fatto, e lei, da astutissima attrice, gli aveva fatto credere tutto ciò che voleva. L’aveva manovrato come una marionetta. Non poteva perdonarla. Però una parte di lui voleva.

Pensandoci, non si rese nemmeno conto che erano già passati dieci minuti. Fortunatamente la fila di gente cominciava a diminuire. Scosse violentemente la testa in modo da non rimuginare più su Annabelle Jenner.

«Dai, su col morale» sentì la voce di Arthur provenire dalla sua destra «domani sera facciamo baldoria, stiamo fuori fino alle cinque del mattino e poi dormiamo fino a pomeriggio inoltrato.»

David sorrise a quella proposta, poi però ricordò. «Fino alle cinque del mattino mi sembra un po’ esagerato. Sabato non posso permettermi di alzarmi tardi.»

«Come mai? Hai qualcosa in programma per sabato mattina?»

«Esatto.»

«Qualcosa che dovremmo sapere?»

Si stava riferendo ad Annabelle, ne era sicuro. «No, nulla in particolare.»

«Magari cerca di dimenticarla, che ne dici?»

«Dico che io l’ho già dimenticata.»

«Non mi sembra…» Arthur fece una pausa per firmare l’autografo a una ragazza particolarmente carina, rivolgendole un sorriso aperto. Arthur, il solito. «O almeno, non in modo definitivo. Ti do un consiglio, molto banale ma efficace: cerca di conoscere altre ragazze.»

Ora che dopo tanto tempo era di nuovo single, l’idea di approfondire la conoscenza con altre ragazze a Dave sembrava strana. Aveva perso l’abitudine dopo Annabelle e la ragazza che era venuta prima di lei – quella che subito prima di mettersi con Belle l’aveva mollato senza alcun preavviso. «Dovrei?»

«Altroché! Quand’è la prima occasione?»

David si fermò. Chiacchierando, non si era accorto che il dolore alla mano destra si era intensificato. Osservò la fila di persone per ricontrollarne la lunghezza. Storse le labbra. Non è che ne abbia molta voglia, pensò. «E che ne so, io» concluse.

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Venerdì 8 aprile 2011

Violet Ross era appena entrata nel parcheggio della scuola quando avvertì la presenza di qualcuno dietro di sé. Fece appena in tempo a provare un brivido che si girò vedendo una ragazza minuta, dall’aria indifesa, capelli ricci color nocciola proprio come gli occhi, un sorriso splendido e largo, con la dentatura bianca e perfetta. Giocherellava nervosamente con le mani davanti al petto, impaziente di poter parlare.

Violet non fece in tempo a farle cenno di chiederle cosa volesse dirle, che lei partì liberamente con la sua tipica vocina acuta ed entusiasta: «Li ho trovati!» disse in tono allegro e cantilenante.

L’altra aggrottò un sopracciglio, seguendo con lo sguardo la sua mano che s’intrufolava nella tasca dei jeans estraendo due foglietti di carta. La riccia glieli sventolò davanti, e Violet provò una sensazione simile a un’esplosione di emozioni dentro di lei. Sbarrò gli occhi in maniera del tutto spontanea. «Come hai fatto?»

«In poche parole, è stato quasi impossibile. Ho dovuto contrattare con un tizio su Internet trovato per caso che alla fine me li ha ceduti a metà prezzo. Non sono in prima fila ma è già tanto che li abbiamo trovati. E poi si dovrebbe vedere bene comunque. Quel tizio voleva portarci la sua ragazza ma lei lo ha lasciato prima che potesse dirglielo.»

A Violet sembrava troppo bello per essere vero. Allungò la mano destra per toccarli, come se non fosse del tutto sicura che questi fossero veramente davanti a lei. Ne prese uno, sfilandolo dalle sottili dita della ragazza e contemplandolo, girandolo dai diversi lati.

Un biglietto per il concerto dei Bright04, proprio lì in piena città. Programmato per un mese e mezzo più tardi.

Assunse un sorriso di soddisfazione, alzò ancora lo sguardo verso la sua interlocutrice e le diede il cinque. Poi entrambe misero a posto il proprio biglietto. «Più tardi ti do i soldi.»

Un cellulare squillò. Violet si rese conto che era il proprio, perché ancora non aveva disattivato la suoneria. Era un sms.

«Ancora lui?» le chiese la riccia con aria di rassegnazione.

«Christina, io non posso farci niente, è lui che è deficiente.»

«Non puoi solamente ignorarlo?»

Violet rimise a posto il telefonino, attivando l’opzione silenzioso, dopo aver letto con noncuranza il messaggio. «Cosa credi che stia facendo, ormai da… mesi? E mesi. È sempre stato una testa calda.»

«E cambiare numero di telefono no?»

Guardò Christina quasi divertita. «Ma lo sai che certe volte mi sembri proprio un fidanzato geloso? Sì, ecco che cosa sei, un fidanzato geloso.»

Detto questo, le due entrarono affiancate nell’edificio scolastico.

Proprio qualche mese prima, era Violet la nuova arrivata in quella scuola, e tutte le volte che camminava lì dentro con sicurezza, si ricordava di quando era goffa e ingenua i primi giorni all’interno di quelle mura.

Non si era sentita per nulla a suo agio a camminare per la prima volta in quei corridoi. Una parte di lei era convinta che da un momento all’altro sarebbe potuto spuntare il suo ex da dietro l’angolo a peggiorare la situazione ulteriormente. Poi aveva deciso che era assurdo, e si era rammentata il motivo per cui se n’era andata da quel posto che oramai non avrebbe mai più chiamato casa e dalla sua vecchia scuola. Il momento in cui aveva varcato la soglia dell’aula della sua prima lezione era stato di certo uno dei più lunghi della sua vita, e anche uno dei più drammatici; si sentiva ansiosa e impaurita. Cos’avrebbe trovato, in quella stanza dove tutti quegli studenti mai visti prima adesso la stavano guardando con diffidenza? Si sentivano come se il loro equilibrio fosse stato spezzato, come se qualcuno avesse invaso il loro territorio.

Poi ricordava il momento in cui una ragazza dai capelli lisci come la seta di uno splendente colore biondiccio le aveva fatto lo sgambetto mentre stava andando a sedersi in un banco vuoto che era stato messo a disposizione per lei. Aveva fatto un tonfo per terra che non si sarebbe mai più dimenticata – c’era mancato poco che si spaccasse il naso, ma forse era proprio quello che la ragazza desiderava. Dopo i primi venti secondi aveva trovato un nuovo nome da annotare sulla sua lista nera: Ashley Stark. Fisico perfetto, stile alla moda, e non esagerava neanche con il trucco.

La ragazza stava sghignazzando tra sé e sé, appena udibile in mezzo alle fragorose risate degli altri compagni, quando un’altra figura aveva aiutato Violet ad alzarsi: è così che aveva conosciuto Christina Bulter. Aveva un perenne sorriso stampato in faccia e i capelli ricci che le danzavano sulle spalle mentre camminava. Era l’allegria fatta persona. Da quel giorno non se ne era più staccata, un po’ perché era la prima persona che le aveva dimostrato solidarietà lì dentro, un po’ perché anche lei a sua volta ci teneva alla sua compagnia. Da lì pian piano era cominciata la sua vita scolastica che era destinata a divenire sempre più normale, e dopo poco instaurò una routine. Si stava ricostruendo, mattone per mattone, una vita sociale, dopo tanto tempo. Tutto era di nuovo normale, e sembrava destinato a rimanere così.

Un giorno Christina le aveva detto: «Allora ti trovi davvero bene qui. Sei brava a socializzare, invece a me dicono sempre che sono troppo chiacchierona. Pensi che sia davvero così logorroica?»

Forse solo un pochino aveva pensato Violet con un sorriso, e poi aveva scosso la testa, e Christina aveva fatto un sospiro di sollievo.

«Come mai ti sei dovuta trasferire?»

Violet aveva esitato a quel punto. Poi però non era riuscita a trovare niente di meglio da dire se non la pura verità: «Più che altro è stata una mia scelta. Mio padre aveva una cospicua offerta di lavoro qui ma era incerto se accettarla. Alla fine l’ho convinto.»

«Una tua scelta?»

«Non… andavo d’amore e d’accordo con gli altri, ultimamente. Ed era un periodo abbastanza stressante.» Aveva evitato di proposito di raccontare di quel miserabile sgorbio che si era intromesso nella sua vita, e ancora non sapeva di preciso quando l’avrebbe fatto. Era sua amica, un giorno avrebbe dovuto raccontarglielo. Fortunatamente Christina non aveva mai insistito perché lo facesse.

«Be’, c’è un lato molto positivo in tutto questo.»

«E cioè?»

«Ho sentito che David Kincy dei Bright04 avrebbe una casa da queste parti. Non sarebbe meraviglioso scoprire dov’è situata?»

«Sempre che ci sia davvero e non sia solo una voce inventata. Non mi sorprenderebbe.»

«Uffa, permettiti anche tu di fantasticare, una volta ogni tanto. Male non fa.»

Violet sorrise e si convinse che i tempi erano cambiati, e poteva anche concedersi di stare tranquilla e fantasticare qualche volta in più. «E allora sentiamo, cosa faresti se lo scoprissi?»

«Mmm» rispose poco convinta «non so se però avrei il coraggio di andare a suonargli il campanello!»

«Ma allora spiegami che senso ha!» le due cominciarono a ridere. A Violet sarebbe piaciuto in contrare David, il membro più giovane dei Bright04 – diciannove anni compiuti da poco – ma al momento aveva altri pensieri per la testa. Il primo di tutti era che doveva scordare fino al più piccolo particolare la sua vita passata, perché ora era tutto cambiato.

Da un po’ di tempo la fortuna aveva cominciato a bussare alla sua porta.

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Violet stava riponendo un libro pesante nell’armadietto, sbuffando. Non vedeva l’ora di tornare a casa e starsene in panciolle tutto il giorno, tanto era arrivato il fine settimana. Però le mancava ancora una lezione di matematica, e la cosa la infastidiva non poco. Christina le arrivò alle spalle come suo solito, con una rivista di gossip aperta tra le mani e chiedendole se aveva messo il biglietto in un posto più sicuro della sua tasca dei jeans.

«Ma smettila» le rispose Violet «credi che non sappia tenere al sicuro un biglietto?»

Stava per richiudere l’armadietto quando diede ancora un’occhiata all’interno, soffermandosi. Lo analizzò come se fosse la prima volta che lo vedeva: era tutto tempestato di foto, esclusivamente di persone famose, e la maggior parte di queste immagini raffigurava i Bright04 al completo, o il cantante per conto suo, in un primo piano o in posa. Qualunque foto del ragazzo guardasse, Violet non riusciva a non rimanerne affascinata. David Kincy era semplicemente stupendo, anche se né lei né nessuna delle sue fan sarebbe mai potuta arrivare a lui. Era il prototipo del ragazzo perfetto: lineamenti dolci, quasi infantili, occhi celesti e limpidi come il mare all’alba, folti capelli corvini, fisico da modello, sorriso smagliante; insomma, in poche parole la descrizione che qualsiasi ragazza farebbe a proposito di come vorrebbe che fosse “quello giusto” esteticamente. Ridacchiò immaginandosi all’altare insieme a lui, vestita di bianco e con uno strascico lungo dei metri, poi scacciò il pensiero e tornò al mondo reale.

«E quindi facciamo domani pomeriggio, d’accordo?»

Christina aveva appena finito uno dei suoi interminabili discorsi che Violet non aveva minimamente ascoltato, quindi quest’ultima la guardò piuttosto spaesata. «Che hai detto, scusa?»

«Non dirmi che devo ripeterti tutto.» Christina sbuffò, poi fu come se avesse rimesso indietro il nastro e l’avesse fatto ripartire. «Dicevo, per la ricerca che abbiamo da fare per la prossima settimana, non è che mi potresti dare una mano? In cambio prometto di aiutarti in matematica! Oggi sono impegnata, devo studiare storia… però domani pomeriggio sono in casa tutto il giorno! Per favooore!»

Violet stava per dare la sua conferma, ma si frenò a un certo punto ricordandosi di una cosa importante che doveva fare lei l’indomani. «Oh, mi dispiace, però domani abbiamo ospiti a pranzo e i miei vogliono che io rimanga a casa. Però posso sempre venire più tardi.»

«Ah d’accordo. Di chi si tratta se posso chiedertelo?»

«Mah» disse lei con un’alzata di spalle, «mio padre ha scoperto che un suo vecchio amico del liceo abita ancora qui e l’ha invitato insieme a tutta la sua famiglia. So solo che hanno un figlio grande, niente di più.»

Christina assunse un’espressione di maliziosa complicità, e le scoccò un’occhiata che non lasciava spazio a dubbi. «Aaah hanno un figlio grande.»

«Sì, Christina, hanno un figlio grande» cercò di smorzare il suo futile entusiasmo. Non sapeva se Christina era il tipo da correre dietro a ogni ragazzo carino che passa, ma lei non lo era. Almeno, non più.

Christina Bulter abbassò gli occhi sulla rivista che stava leggendo, con le pagine decorate da tante foto di personaggi famosi. Gli articoli erano scritti con un carattere piccolo e colorato. «Comunque, per cambiare discorso, pare che David Kincy si sia lasciato con la sua ragazza con cui stava da parecchi mesi, ma pare anche che la notizia sia arrivata un paio di settimane in ritardo. Significa che David ha potuto rimanere in pace per due settimane senza che nessuna ragazza gli rompesse le scatole. Sembra anche che la sua ex, una certa Annabelle Jenner, stia facendo l’impossibile pur di tornare con lui.»

Violet fece un’alzata di spalle. «Quindi?»

«Ma come, pensavo che t’interessasse.»

«Dovrebbe importarmi se sta o non sta con qualcuna? Tanto quante speranze ho di vederlo o conoscerlo, nella mia vita? I suoi affari privati m’interessano il giusto.»

«Va be’… però è stato lui a lasciarla. Che sia un segno di qualcosa? C’è scritto anche che il motivo era che erano incompatibili, che si era reso conto che entrambi erano in cerca di qualcosa di diverso.»

«Balle.»

«Perché balle?»

«Perché è quello che dicono tutti. Non può essere sempre la medesima storia, Christina. Prima o poi i lettori finiranno per annoiarsi di tutte queste storielle sentite e risentite da bocche diverse.»

«Quindi cosa pensi che sia successo, in realtà?»

Violet parve rifletterci un attimo, poi però sospirò. «Lo ignoro.»

Christina si rassegnò, vedendo la sua argomentazione andare in fumo. «Era una semplice curiosità, però ora che ci penso, le probabilità che tu veda David Kincy ci sono, e sono molto alte.»

«Ah sì?»

Christina indicò la tasca dove aveva messo il biglietto, e a quel punto riuscì a strappare all’amica un sorriso di entusiasmo, che le invadeva la testa a spruzzi, come quando si salta sopra una pozzanghera, tutte le volte che ci pensava.

Violet vide una massa di studenti dirigersi in direzioni diverse, tra cui anche la faccia molto familiare di Ashley Stark e di altri conoscenti, rendendosi conto che non mancava molto all’inizio della lezione. Poi guardò l’orologio sul muro, con la lancetta rossa dei secondi che si spostava incessantemente. «Credo sia ora ormai.»

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Sabato 9 aprile 2011

Il mattino dopo le prime parole che Violet udì furono: «Insomma, Violet, ti vuoi alzare sì o no? Gli ospiti arriveranno a momenti, devo tirarti giù dal letto?»

La ragazza aprì gli occhi di scatto, capendo che aveva dormito troppo. Guardò la sveglia e sussultò. Sua madre l’aveva chiamata infinite volte ma lei non aveva sentito, e gli ospiti sarebbero arrivati tra poco, mentre lei era ancora infilata sotto le coperte.

Accidenti!

Si buttò giù dal letto, inciampando nel lenzuolo e imprecando, successivamente corse in bagno facendo una doccia veloce. Non aveva il tempo di rilassarsi sotto l’acqua calda come faceva di solito.

Perché proprio oggi? Non è mai successo che non riuscissi ad alzarmi. Mamma sarà furiosa.

Violet uscì dalla doccia asciugandosi velocemente i capelli con il fon, e intanto cercò di ricordare cos’avesse sognato quella notte, ma senza successo. Si fermò solo per vestirsi in fretta, ma i capelli erano ancora mezzi bagnati, e sentiva ancora qualche goccia che sgorgava dalle punte per poi scorrerle giù per la schiena.

Il campanello suonò dal piano di sotto.

Violet ringhiò tra sé e sé.

Ok, ok, ci sono.

Terminò di asciugarsi velocemente mentre sua madre la chiamava insistentemente, e fece appena in tempo per scrutare la confezione del suo profumo preferito su una mensola: la boccetta era di vetro rosa e a forma sferica, avvolta da un fiocchetto bianco di raso che le conferiva un’aria più graziosa. La fragranza era ai fiori, ma Violet era riuscita a individuarvi sicuramente anche una punta di limone, grazie al suo olfatto fino. Si spruzzò con rapidità un goccio di quel profumo, rimise la boccetta nella stessa posizione dove l’aveva trovata e corse giù dalle scale facendo due gradini per volta, cominciando a sentire il gradevole odore sul proprio corpo. Poi rallentò, e cominciò a udire alcune voci non familiari. Rimase lì con le orecchie tese per qualche secondo, prima di svoltare l’angolo e farsi vedere. Sua madre si era appena voltata e la stava guardando con aria di rimprovero. «Alla buon’ora» disse, tramutando poi il broncio in un sorriso quando si girò di nuovo.

Violet si trattenne dal fare una smorfia, e squadrò le tre persone dalle quali provenivano le voci sconosciute. Un uomo e una donna di mezza età, entrambi con i capelli scuri, i visi che ricordavano a Violet qualcosa, anzi qualcuno. Sollevò un sopracciglio, vedendo una terza figura girata di spalle. Per una frazione di secondo che a lei sembrò un’eternità, studiò la persona che le dava di schiena come se in quel momento non dovesse essere lì, come se… nemmeno lei riusciva a spiegarselo. Non appena salutò, anche questa terza persona si girò, puntando gli occhi dritti nei suoi, penetrandoli.

Per un momento, Violet pensò di avere un’allucinazione. Poi rimase immobile come una statua e sentì le gambe cederle, e sarebbe caduta se non si fosse retta alla parete, ma cercò di non farlo notare. Rimase a occhi sbarrati, non avrebbe saputo dire per quanto.

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Jade's place:

Mi raccomando, leggetele le note in alto a destra a inizio paragrafo, quelle che indicano la data, altrimenti c'è caso che ci si possa confondere. Non farò molti altri sbalzi di tempo... però è sempre meglio leggerle =)

Non ho molti commenti da fare... tutto è già nel testo, a mio parere. Chi ha appena visto Violet? E cosa le succederà?

Abbiamo visto nello scorso capitolo Annabelle che confessava i suoi "sentimenti" per David... mentre adesso, a distanza di mesi, si sono lasciati. Che cos'è successo in tutto questo lasso di tempo? Uno dei fini della storia è scoprirlo, oltre allo scopo principale che capirete prossimamente :P

Jade vi raccomanda di andare anche a leggere l'altra sua fanfiction, Superbia e Presunzione, che parla di Nicole Hicks, una ragazza cattiva cattiva e mooooolto buffa :P

Altre fic che vi consiglio caldamente sono quelle di mistress_chocolate, che è agli esordi con The Edge Of Love, che racconta di due ragazzi... be'... dal carattere un po' "difficile" che si scopriranno a vicenda...

In più, ultima ma non ultima, The Goldenfish's Destiny di ThePoisonofPrimula, dove verrete deliziati da un'otaku dai capelli azzurri scaraventata in un collegio piuttosto bizzarro! E, sempre sua, anche True Love Is Like A Ghost, sempre tratta dalla prima.

Vi saluto, il prossimo capitolo mi ha coinvolta molto... nel senso che quando l'ho scritto mi emozionavo parecchio xD (okay... o___o be' non pregiudicatemi perché vengo coinvolta in quello che scrivo xD)

Jade

PS: qualunque riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale (lo dico perché potrebbero esistere decine di Violet Ross o David Kincy a questo mondo...)
PPS: ogni tanto cambierò banner a inizio capitolo, mettendo un personaggio diverso a seconda della voglia che ho o a seconda dell'importanza dello stesso :P

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Capitolo 4
*** Tre ***


 

 


T
re

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No, no pensò. Non può essere! Si stropicciò gli occhi non appena sentì che riusciva di nuovo a reggersi in piedi da sola. No, non era vero. Doveva essere per forza una visione. Che altra spiegazione poteva esserci?

Sua madre di perse in una risatina imbarazzata. «Eheheh, Violet è un po’ timida, stamattina.» Cercò di tirarla a sé per un braccio ma lei si ritrasse come una lumaca quando ritira i piccoli tentacoli oculari in situazione di pericolo. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal ragazzo che le stava di fronte. Quando lui incurvò le labbra in un mezzo sorriso non riuscì a sentire più la terra sotto i piedi, il sangue le pulsava nelle tempie e sentiva come un tappo che le bloccava la gola e di conseguenza il respiro. I suoi intestini si stavano come annodando tra di loro.

«Lei è Violet» sua madre stavolta riuscì a tirarla a sé, afferrandole il braccio molle.

Lei inevitabilmente strinse le mani ai presenti, con le gambe che parevano fragili e tremolanti come bastoncini.

«Tu sei David Kincy?» chiese poi quando strinse la mano al ragazzo che l’aveva pietrificata con lo sguardo. La sua voce era ridotta a un bisbiglio.

Lui fece un sorrisetto spontaneo, annuendo. Per Violet fu un’ulteriore prova di ciò che per lei era già dimostrato. Oh mio Dio. Dopo una frazione di tempo che a Violet sembrò durare dei minuti, lui staccò la mano, addossandosi il sudore della mano di lei. «Ah, anche tu allora sei una mia fan?»

Be’… dire fan è quasi un diminutivo. «Già.» Si rese conto che forse un monosillabo non bastava. «Bella, la vostra musica» cercò di trattenersi dallo strillare e dal dire cose assurde. Doveva comportarsi come una persona razionale e intelligente.

«Grazie» il sorriso di lui si aprì ancora di più, il che faceva sentire Violet un po’ meno stupida in quel bizzarro contesto.

La madre di Violet trasalì, dopo averle passato una mano in mezzo alla chioma folta. «Violet, hai ancora i capelli mezzi bagnati!»

Lì per lì lei non la sentì, poi si rese conto che aveva interrotto il suo momento di folle gioia e confusione e le scoccò un’occhiata fulminea e rabbiosa. Però, sotto le sue insistenze, dovette rassegnarsi. Tornò dritta in bagno, ancora sotto shock.

Com’è possibile? Perché LUI è qui? Perché nessuno mi ha detto niente? Questa cosa è… è… Oddio, devo fare qualcosa, ma cosa?

Violet si stava ancora tormentando con i suoi quesiti senza risposta, quando un lampo di genio le attraversò la mente: lei non era in grado in quel momento di ragionare a mente fredda, e non poteva nemmeno andare da sua madre a spiegarle la situazione, non in quel momento. Doveva prendere il cellulare e fare una chiamata, una sola. Poi si sarebbe asciugata i capelli e avrebbe seguito alla lettera i consigli che Christina le avrebbe dato. Sì, avrebbe fatto così, sperando che almeno lei non si sarebbe fatta prendere dalla situazione.

Nella sua stanza, realizzando di avere le mani tremanti, digitò il numero a memoria facendo qualche errore di battitura per il nervosismo, il che la fece agitare ancora di più. Si premette il telefono all’orecchio in attesa, e dopo i primi due squilli cominciò a spazientirsi e a battere i piedi per terra, per poi buttarsi a sedere sul letto.

«Pronto?» la sua risposta la colse alla sprovvista, tanto che immediatamente scattò in piedi.

«Christina! Oh Dio, devi aiutarmi, è successa una cosa, sono arrivati…»

«Ehi, calma, tesoro, ma lo sai che è ora di pranzo? Mi sembri un po’… nervosetta, agitata. Che c’è, l’ospite a sorpresa è più carino del previsto?»

Fu in quell’istante che Violet capì che lei non le avrebbe mai creduto. Valeva la pena raccontarglielo, se poi magari non sarebbe servito a niente? Be’, ormai la conversazione era aperta. «C’è David Kincy a casa mia» disse con il tono più calmo che riuscì a buttare fuori, scandendo bene ogni parola.

Dall’altra parte silenzio. Poi, dopo un paio di secondi, la voce di Christina si fece risentire. «Ah-ah.»

Lo sapevo, lo sapevo che non mi avrebbe creduto! «Christina, ti giuro che è vero! Devi aiutarmi, che cosa faccio? Cosa devo fare?»

«Sai che a casa mia invece c’è Johnny Depp? Che coincidenza, magari ti porto l’autografo, o una foto insieme, più tardi, che ne dici?»

Ma certo! Una prova! «Sul serio non mi credi?»

«Non ti ho creduto nemmeno per un secondo. Però dai, eri abbastanza credibile.»

«Io ti porterò le prove» annunciò Violet.

«Come no! Ciao!» e riagganciò.

Violet fissò il cellulare finché non si sentì pronta ad affrontare la situazione. Okay, era il momento di fronteggiare la cosa come una persona adulta e preparare una strategia. Doveva portare le prove della presenza di David Kincy in casa sua a Christina, e poi… e poi glielo avrebbe rinfacciato a vita. Le avrebbe cantilenato “Io ho conosciuto David e tu no” fino alla nausea.

«Non sento il rumore del fon!» la voce ovattata della mamma le giunse fino alle orecchie.

«Sì mamma, sì!»

Si guardò intorno, e posò lo sguardo sulla sua videocamera appoggiata sulla scrivania. Andò a prenderla, sentendosi già più tranquilla. Era piccola e maneggevole, difficilmente notabile, e si sarebbe potuta confondere benissimo in mezzo alla massa di libri che aveva sugli scaffali. Fece una prova, incastrandola in mezzo a un grosso romanzo di fantascienza dalla copertina blu scuro e un piccolo libro che stava leggendo, cercando di lasciare scoperto solo l’obiettivo, e facendo in modo che puntasse dritto al centro della stanza.

Bene, adesso doveva solo trovare il modo di attirare la preda nella trappola. Avviò il video e si posizionò davanti all’obiettivo, cominciando a parlare all’oggetto metallico. «Ciao Christina, come puoi vedere sono qui, nella mia stanza.» Fece un giro su se stessa. «Come ti ho detto, ti porterò le prove che David Kincy è qui, in casa mia, e c’è forse una prova migliore di un filmato fatto da una videocamera di qualità? Okay, cominciamo con il togliere tutti questi poster di David Kincy dalle pareti…»

Mentre staccava tutti i disegnini e tutti i poster inerenti a David dai muri per evitare di fargli pensare che lei fosse una delle solite fan accanite, pensò a come proseguire il discorso.

«Violet Ross!» sua madre non le dava pace.

«Mamma, sto arrivando, cavolo!» poi tornò di nuovo davanti alla videocamera. «Allora io adesso vado, ma prometto che più tardi tornerò con il nostro Dave, eh?»

Violet uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé e lasciando la videocamera accesa, che intanto stava ancora registrando. Si appoggiò contro il legno chiaro dell’uscio, distendendo le braccia, e chiuse gli occhi. Prese fiato, facendo respiri molto lungi. Okay.

Le cose che era necessario fare erano principalmente quattro: la prima, non comportarsi come un’immatura e arrossire ogni volta che David Kincy – oh Dio, ma era veramente lì? – le rivolgeva la parola e soprattutto non strillare per nessuna ragione; la seconda, prepararsi un bel discorso mentale in anticipo, in modo da non pronunciare solo frasi monosillabi, in presenza di tutti gli altri; la terza, trovare un modo per condurre David Kincy in camera sua, non sapeva per cosa, ma non importava; la quarta, la più importante, fare in modo che David non scoprisse assolutamente la videocamera che lo avrebbe ripreso – che figuraccia ci avrebbe fatto?

Una cosa alla volta. Prima devo asciugarmi i capelli.

Corse in bagno e accese il fon, finendo di asciugarsi mentre si mangiava le unghie per il nervoso. Intanto cercò di formulare qualche frase, come se stesse per tenere un esame importante.

Allora, come va?

Oh, bene, grazie!

No, accidenti, due parole e un’interiezione non bastavano. Non aveva voglia di sembrargli una persona timida, non lo era! Magari poteva cominciare lei la conversazione, ma come?

Oh, e doveva anche scoprire perché David Kincy, lui, in persona, era lì senza che i suoi l’avessero avvertita in anticipo.

Si passò una mano tra i capelli neri e lunghi. Erano asciutti completamente.

Tempo scaduto, Violet.

Si pettinò i capelli e controllò di avere ancora addosso il profumo: sì, non andava via facilmente, quello. Poi posò la mano sulla maniglia ed esitò un momento prima di abbassarla.

Il suo errore fu quello di chiudere gli occhi e sospirare nel momento stesso in cui faceva un passo in avanti. Non aveva visto che c’era qualcuno davanti alla porta che stava proprio per bussare, e lei gli era finita addosso.

Per non cadere si aggrappò alla sua maglia. Sperò che fosse sua madre, ma dubitava. Lei indossava, quel giorno, un vestito rosa, mentre lei era aggrappata a una felpa nera. Deglutì. Lentamente alzò la testa, visualizzando e analizzando quello che si trovava davanti. Felpa, spalle, collo e…

Ecco. E ti pareva?

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Inaspettatamente, Violet gli era caduta addosso, non avendolo visto. Lei alzò lo sguardo e, quando vide che era lui, indietreggiò improvvisamente, imbarazzata. «Oddio, scusami, non ti avevo visto!»

Non capiva il motivo per la sua mortificazione, ma immaginò che fosse dovuto al fatto che la sua presenza l’aveva messa in agitazione. «Non fa niente» rispose con un sorriso. La ragazza emanava un dolce profumo che gli ricordava tanto le rose, e non appena lo sentì la prima volta, la sensazione gli sarebbe rimasta in testa per tutto il giorno. Poi cercò di spiegare il motivo per cui era venuto a bussare. «Ehm, tua madre mi ha detto di chiamarti. Ho disturbato in un momento poco opportuno?»

«Certo che no!» rispose lei, avvicinandosi di poco, come un animaletto selvatico che comincia a fidarsi poco a poco dell’uomo. David trovava quasi divertente cercare di attaccare conversazione con lei.

«Comunque, se vuoi dopo ti faccio un autografo» disse. Era l’unico modo per stroncare l’imbarazzo che si era venuto a creare.

A Violet non sembrava neanche vero. Dal suo viso David comprese che stava provando un insieme di emozioni gioiose e allegre, il che lo fece sorridere ulteriormente. «Grazie!» e, detto questo, lo condusse verso la sala da pranzo.

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Durante il pasto, Violet continuava a tormentarsi di pensieri.

Loro non sanno. Non possono sapere, altrimenti non sarebbero così indifferenti, pensava a proposito dei suoi genitori. Com’era possibile che non le avessero detto niente? Ma loro stessi, erano consapevoli del successo di David? Intanto quest’ultimo era seduto davanti a lei, e ogni tanto sollevava lo sguardo, sorprendendola a osservarlo. Ma non era invadenza, non voleva essere maleducata, solo che vedere David dal vivo e a distanza di un metro era… strano. Curioso. Lui aveva notato i suoi innocenti e furtivi sguardi, ma non gli davano fastidio – ci era abituato.

Violet era tesa come un bastone seduta sulla sua sedia e con la forchetta che stava torturando uno spaghetto da più di due minuti. Si stava chiedendo perché i suoi genitori non le avessero detto che sarebbe venuto David Kincy a pranzo, almeno si sarebbe risparmiata il quasi svenimento non appena lo aveva riconosciuto. Che davvero non lo sappiano? Potrebbe essere?

«Mangia, tesoro, o diventerà fredda!» Sua madre aveva appena interrotto il suo monologo interiore con la sua solita frase che pronunciava quando non riusciva a mangiare, essendo in totale riflessione. «Se non mangi poi non cresci» terminò la donna con una frase che fece talmente tanto effetto su Violet che quest’ultima rischiò momentaneamente il collasso.

«Mamma, ho diciassette anni, ormai ho finito di crescere, non ti pare?» le mormorò con rimprovero. Non poteva tirare fuori quelle frasi in momenti peggiori.

Pregò perché sua madre non ribattesse a quella frase, pregò tutti gli dei che conosceva, l’avrebbe fatto in tutte le lingue del mondo, se fosse servito a qualcosa.

«Intanto non hai ancora diciassette anni. Ne riparliamo poi il 22 di maggio.»

Solo in quel momento Violet fece un importante collegamento, ma non finì nemmeno di pensarlo che David aprì bocca per la prima volta da quando si era seduto: «Il 22 di maggio? Quel giorno abbiamo un concerto proprio qui.»

Il giorno del compleanno di Violet era lo stesso del concerto dei Bright04 in città. Se ne era resa conto solo in quel momento.

«Ah» intervenne suo padre «quindi è vero che sei in un complesso musicale.»

Ma dai? Pensò Violet.

David si limitò ad annuire.

«Perciò Violet viene a vedere voi? Non sapevo che aveste così successo!» Sua madre sembrava seriamente interessata.

Violet rimase a bocca aperta di fronte a quella rivelazione.

Ma allora è vero che non sanno nemmeno chi sono i Bright04!

Dunque le sue supposizioni erano vere, loro non sapevano niente di niente! Non avevano consapevolmente agito nell’anonimato, semplicemente non sapevano nemmeno che la loro figlia stravedeva per David Kincy, tutto qui.

«Già, in questo periodo il mio cucciolo è così pieno di concerti» disse Mrs Kincy, dando una piccola pacca sulla spalla al figlio, palesemente a disagio.

Violet tossicchiò e bevve mezzo bicchiere d’acqua in un sorso per trattenere la risata.

Cucciolo?

«Mamma, ti sarei grato se non mi chiamassi così» le rispose lui.

David guardò Violet, che fece finta di niente. Poi lei si accorse che non aveva senso stare lì senza far niente e alzò le spalle in segno di complicità. Per un istante le parve che si fossero capiti con il pensiero.

«David» ricominciò Mrs Ross, e questo per Violet non era un buon auspicio «che mi dici, tu ce l’hai una fidanzatina?»

Violet sbarrò gli occhi. Gli spaghetti le andarono di traverso e cominciò a tossire. Bevve ancora dell’acqua per smorzare la tosse, e intanto diede dei calci a sua madre da sotto il tavolo.

Smettila, smettila, smettila! Tappati quel forno che hai al posto della bocca!

«Mmm, non di recente» rispose lui.

Vero, si ricordò Violet, gliel’aveva detto Christina proprio il giorno prima, ma lei non le aveva dato peso. «Pare che David Kincy si sia lasciato con la sua ragazza con cui stava da parecchi mesi».

Ricordò anche il nome, Annabelle Jenner. Ma quello non aveva molta importanza.

«Eh David» intervenne Mrs Kincy con un sospiro «le delusioni d’amore prima o poi arrivano per tutti.»

Il viso di David s’incupì improvvisamente. Abbassò il capo. Il sorriso che aveva mostrato fino a quel momento si spense come una lampadina che si fulmina. Violet capì che in quell’argomento ci sarebbe stato da scavare un bel po’, se solo ne avesse avuto l’opportunità. Era passata da un totale disinteresse per la sua storia amorosa con Annabelle Jenner, a un’improvvisa e morbosa voglia di sapere ogni minimo particolare.

Violet rimase ad aspettare in silenzio che David rialzasse la testa e la guardasse di nuovo. Quando lo fece, rimase paralizzata; i loro occhi erano incatenati tra di loro. Quelli marroni dalle sfumature verdi di Violet e quelli azzurri come il mare di David.

Forse sto ancora sognando.

Quando gli sguardi si separarono, Violet capì sul serio che non era così.

Poi pensò che doveva ancora mettere in atto il suo piano. Decise che quello non era il momento di ficcare il naso sulla vecchia storia tra David e Annabelle. Ebbe l’impressione che una semplice frase avesse appena riaperto la ferita che lui era riuscito temporaneamente a chiudere.

Le ferite d’amore non sono facili da rimarginare. Violet lo sapeva benissimo.

Il cellulare di Violet vibrò nella tasca dei jeans ed emise un simpatico suono, annunciando l’arrivo di un messaggio.

Solita routine quotidiana per lei.

Accese il display: un nuovo sms. E di nuovo, Violet stava per premere il tasto cancella senza nemmeno leggere, ignorando che tutti ora la stavano guardando con curiosità, quando per sbaglio premette il tasto leggi.

Si aprì una schermata bianca con poche parole scritte all’interno.

Ho una sorpresa per te!

Violet fece una smorfia, e intanto guardò David con la coda dell’occhio, attraverso il cellulare. Vedendo la faccia che aveva fatto leggendo l’sms, lui aveva riassunto il suo sorriso disarmante. In parte lei ne era felice, ma dall’altra parte era spaventata e si chiedeva in che cosa consistesse questa sorpresa. Scosse la testa decidendo che era una stupidaggine ed eliminò finalmente il messaggio. Sperò di non doversi pentire di non aver dato ascolto a quella premonizione.

«A proposito di delusioni d’amore!» Mrs Ross aveva notato che la figlia era indaffarata con un sms, ma lei aveva sperato che non la notasse, o le avrebbe fatto fare un’altra delle sue figure. «Quel poco di buono ti scrive ancora?»

Violet si sbatté una mano sulla fronte. «Mamma» sussurrò «quel poco di buono ha un nome.»

Solo che nemmeno a me va di pronunciarlo.

Ma proprio lì e proprio adesso doveva tirare fuori quei discorsi?

«Comunque no» mentì poi, per sviare l’argomento «era un messaggio di Christina.»

Sua madre non ci cascò. Né lei né Violet si capacitavano di come un ragazzo potesse essere ossessionato da lei.

«Non preoccuparti, prima o poi smetterà» le disse improvvisamente David, apparentemente interessato all’argomento.

Violet arrossì, sollevando le sopracciglia. Cercò qualcosa nella sua testa per rispondere e mandare avanti la conversazione. «Non credo, ormai va avanti da mesi e non mi dà pace.»

Mentre parlavano, anche i loro genitori avviarono – finalmente – una conversazione appartata.

«Be’, è lui alla fine che spende soldi per mandarti sms. Se non gli rispondi si stancherà» le disse David.

«Mmm… non gli ho mai risposto, se non nei primi giorni, eppure sembra non stancarsi mai…»

Non le piaceva molto la piega che la conversazione stava prendendo, non le piaceva parlare di lei e del suo ex. Soprattutto del secondo. Tuttavia, non c’era altro modo per continuare a parlare con lui, a quanto sembrava.

«Potresti denunciarlo per stalking» propose, scherzando.

L’altra ridacchiò. «Non so se le continue frasi romantiche possono essere contate come stalking.»

«Continue frasi romantiche?»

«Sì.»

David fece una smorfia. Evidentemente il contesto delle frasi romantiche gli dava fastidio, almeno in quel momento o in quel periodo.

«Potresti cambiare numero telefonico.»

«Me l’hanno già proposto in tanti.» Involontariamente si ricordò di Christina, il giorno prima, che le aveva dato lo stesso suggerimento ma con maggior esortazione. «Però credo sia meglio di no. A meno che la situazione non diventi ingestibile.»

Tutti quelli che conosceva avevano il suo numero di cellulare, e cambiarlo avrebbe significato dover dare a tutti il suo nuovo numero. Tuttavia non poteva sopportare un altro sms di Vincent Carter. Non in quella vita.

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Jade’s place:

Salve a tutti! Mi rendo conto che questo capitolo è un po'... difficile. O almeno, per me lo è stato rileggerlo xD dunque dunque... riassumendo, Violet ha scoperto che il suo ospite a pranzo è David Kincy. L'amico di suo padre altri non era che il padre di David, e i suoi genitori non avevano idea che costui facesse parte di una delle band del momento. A Violet è arrivato, proprio a tavola, un sms del suo ex ragazzo... niente meno che Vincent Carter! Lo stesso Vincent che stava con Jennifer Evergreen nel capitolo 1!! E Christina non ha creduto a una sola parola del racconto di Violet :P

Voglio farvi qualche anticipazione! Nel prossimo capitolo...

"Lui si girò di scatto.

Guardò verso la videocamera.

Violet si paralizzò e rimase a occhi spalancati, rigida e incapace di qualsiasi movimento. Non osava dire nulla.

David si avvicinò all'obiettivo.

L'ha vista."

Uuuuh... spero di avervi incuriosito. Ci vediamo al prossimo capitolo, allora, se ci sarete! =) Un bacione dalla vostra

Jade

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Capitolo 5
*** Quattro ***


 



Q
uattro

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Immediatamente dopo il dessert – una torta al cioccolato che sua madre aveva dato per propria, ma che invece proveniva dritta dalla pasticceria del quartiere – Violet se ne tornò in camera sua, timorosa che la batteria della videocamera, che stava ancora riprendendo, non potesse reggere ancora per un’ora o forse più. Andò a controllare che fosse ancora accesa e, dopo aver constatato che la batteria era ancora quasi a metà, la spense ringraziandosi di averla caricata il giorno prima, così avrebbe risparmiato qualche minuto di filmato.

Stava per riporla quando udì la voce dei suoi genitori, che invitavano i Kincy a fare il giro della casa.

Come se casa nostra fosse un museo.

Si rese conto che quella era un’occasione imperdibile e riaccese la videocamera, nascondendone il corpo grigio tra i libri e lasciando di nuovo libero l’obiettivo.

«Sì, lo so» disse all’apparecchio, anche se il messaggio sarebbe stato destinato a Christina «non ti ho ancora portato David. Ma non preoccuparti, perché presto…»

Non terminò la frase che qualcuno bussò alla sua porta, con un tocco delicato tuttavia che la fece sobbalzare.

Forse è lui.

Andò ad aprire e se lo ritrovò dinanzi, con il suo sorriso smagliante.

Meno male che ho parlato a bassa voce.

«Ehi» le disse, non sapendo che altro inventarsi. Ma a Violet non andò molto meglio, perché non riuscì a spiccicare parola se non a ricambiare con la stessa interiezione. Sorrise, capendo che le parole non volevano proprio uscirle.

Poi qualcosa nella sua gola si sbloccò, e la voce uscì. «Ah, giusto, mi faresti un autografo?» chiese con tono deciso ma lo sguardo quasi supplichevole.

Lui annuì, mentre sembrava tenere gli occhi incatenati a quelli della ragazza, che non riuscivano a cambiare direzione.

Violet si allontanò per aprire un cassetto della sua scrivania di legno dipinta di bianco, dal quale prese un taccuino che era sepolto sotto alcuni fogliacci scarabocchiati e altro materiale da lavoro. Prese anche una stilo a inchiostro nero. Si assicurò che il quadernetto non fosse pieno di appunti, o peggio, di disegnini.

Puntò lo sguardo sulla videocamera senza però lasciarlo troppo a lungo, come per controllare se quella fosse ancora lì a fare il suo lavoro.

Tornò da David, che stava guardandosi intorno, e gli porse il block notes e la stilo.

«Ne faresti uno anche per una mia amica?» gli chiese, timorosa di un rifiuto.

Lui la guardò. Ogni volta che lo faceva Violet veniva assalita da un groppo in gola. «Certo» sorrise «come si chiama?»

«Christina.»

Il nome non le sembrava rilevante, nonostante ciò non fece alcuna domanda. Non rimase nemmeno a pensarci su.

Lei si fece un po’ da parte per permettere alla videocamera di filmare David per intero. Lo vedeva scrivere, e intanto non poteva fare a meno di perdersi in quel mare che i suoi occhi contenevano. Il tempo avrebbe anche potuto fermarsi così per sempre, se fosse stato per lei. Poi lui girò pagina per scrivere sul secondo foglio.

«Ecco.»

Violet riprese tutto in mano senza rimanere lì a controllare gli autografi, tornò a mettere via taccuino e penna nella scrivania, facendo però attenzione come se stesse maneggiando un reperto archeologico di massima importanza.

«E così sabato prossimo venite da noi» cominciò un nuovo discorso.

Violet parve disorientata. Che cosa ha detto?!

«Come?»

«Già, tu te ne eri già andata. Sabato prossimo credo che i nostri genitori abbiano deciso di organizzare una cena, a casa nostra.»

La mente di Violet rimase un attimo sconnessa. Ma solo un attimo. «Oh, davvero?»

«Già.»

Non credo di avere impegni, sabato. In ogni caso, anche se ne avessi, li disdirei subito.

Le sembrò che il suo stomaco si stesse contorcendo su se stesso in piena agonia. Cercò di non dare a vedere la propria espressione sorpresa. «Invece tu? Cioè… intendo… tu, sabato, la cena…» Dio, come poteva esprimere ciò che voleva dire senza lasciare intendere che desiderasse morbosamente la sua presenza?

«Oh no, in questo periodo non ho molto tempo per svagarmi. Siamo in studio, ultimamente. E molte delle nostre giornate volano via velocemente.»

Un allarme di accese nella mente di Violet. Studio di registrazione poteva significare solamente una cosa. «Nuovo album?»

Aveva colpito nel segno.

«Già, e siamo a buon punto» sorrise.

L’informazione era troppo criptica. Violet non sapeva se fare altre domande o annuire semplicemente. Alla fine però vinse la curiosità. «Davvero? E cos’è, un album a tema? Cosa c’è di nuovo, è più rock, più pop, o più alternativo?»

Okay, adesso le domande erano decisamente troppe.

David si perse in una risata. «Scusa, ma non posso dire niente in questo momento… però posso dirti che lo stile è sempre lo stesso, ci siamo solo migliorati, tutto qui.»

La voce suadente di David faceva rimanere Violet affascinata e intrappolata nel suo sguardo. Tutto di lui pareva farla sorridere. «Capisco, secondo me fate bene, a noi fan piace il vostro stile così com’è. E come pensi che andrà? L’ultimo album è andato molto bene, ha riscosso successo. Se ne parla ancora.»

«Oh, sono sicuro che questa volta stiamo dando il meglio di noi, è per questo che stiamo lavorando duro. Sarà il nostro prossimo singolo, in ogni caso, a decidere quale sarà la sorte dell’album.»

Lui girò la testa di scatto.

Guardò verso la videocamera.

Violet si paralizzò e rimase a occhi spalancati, rigida e incapace di qualsiasi movimento. Non osava dire nulla.

David si avvicinò all’obiettivo.

L’ha vista. Oh, mio Dio. L’ha vista.

«Ehi, carina questa chitarra.»

Violet catapultò lo sguardo verso il basso, dove lui stava guardando, e vide la sua vecchia chitarra classica impolverata. Aveva imparato un po’ a suonarla, ma erano anni che non la toccava. Se non fosse stato per sua madre che ogni tanto la puliva, ora sarebbe stata ricoperta da uno spessissimo strato di polvere. Fortunatamente di quella ce n’era poca, invece.

Trasse un sospiro di sollievo, un sollievo così grande che le parve quasi di svenire. La videocamera non c’entrava niente. Per adesso.

«Posso?» le chiese come un bambino che vuole toccare un giocattolo mai visto.

«C-certo!»

Lui la prese in mano, squadrandola. Violet si vergognava di chiederlo, ma sapeva che entro pochi secondi la voglia di sentirlo cantarle qualcosa avrebbe avuto la meglio su tutte le emozioni. L’entusiasmo le usciva da tutti i pori, e non poteva più trattenerlo.

Vediamo cosa succede a commettere un piccolo, innocente gesto di incontenibilità.

«Mi canti qualcosa?» gettò le parole tutte d’un fiato per evitare di arrestarsi a metà della frase dopo essersene pentita.

Lui assentì in silenzio. Si sedette e cominciò con una serie di accordi che Violet conosceva bene. Poi in seguito gli accordi vennero accompagnati dalla sua voce angelica.

Violet sentiva l’emozione stessa scorrerle nelle vene. Si dimenticò della piccola videocamera e guardò David tutto il tempo, in piedi e rigida come un bastone, senza credere a quello che stava succedendo.

Accidenti, un live esclusivo per me, la mia stanza e basta!

David terminò, stroncando una parte dell’entusiasmo di Violet. La guardò per avere una conferma dalla sua espressione che le fosse piaciuto. Ma non c’era bisogno di esprimersi.

«Wow» sillabò Violet. «Bravo, davvero!»

«Grazie.» Andò per riporre la chitarra al suo posto, quando posò lo sguardo sullo scaffale dei libri. Di nuovo l’altra fu pervasa da un senso di agitazione e spavento, rammentando cos’avesse nascosto proprio lì. «Leggi molto, a quanto pare.»

Il temporaneo sollievo di Violet perché non si era accorto dell’obiettivo puntato su di lui le permise di rispondere. «Prima di trasferirmi sì, ma ora lo faccio di rado.»

Non sapeva il motivo, ma da quando era arrivata nella nuova casa non aveva più avuto molta voglia di cibarsi di letture come una volta. Sarà stata l’esaltazione di una nuova vita, e le giornate sempre piene di impegni.

David cominciò a scorrere con lo sguardo sui dorsi dei libri per distinguerne il titolo. Violet capì che se non avesse fatto presto qualcosa, avrebbe visto anche ciò che non doveva vedere. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non le venne in mente nulla.

«David!» sentirono entrambi delle voci che chiamavano dal piano inferiore, il suono ovattato dalla porta di legno.

«Credo che sia ora di andare» si girò lui, alzando le spalle.

E io credo che dopo questa ringrazierò il cielo all’infinito.

Lei aprì la porta e insieme cominciarono ad andare al piano di sotto.

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Dieci minuti dopo, Violet varcò di nuovo quella soglia, ma senza David, e con uno strano senso di soddisfazione che le scorreva inesorabile in corpo.

Non se la sentiva ancora di aprire bocca. Si guardò solo intorno con aria spaesata.

Ma è successo davvero?

Osservò la videocamera ancora accesa per più di dieci secondi senza muovere un muscolo, ancora appoggiata alla porta. Poi si diresse dai suoi libri e la estrasse con delicatezza. Se la puntò in pieno viso, inquadrandosi in un primo piano.

«L’abbiamo scampata bella, eh? Per un pelo non ci scopriva, accidenti. Dove le compro quelle microspie che si vedono sempre nei film?»

Esaminò i dati sul piccolo schermo: la batteria era quasi scarica e il filmato durava da circa due ore. La maggior parte di quel tempo era solo un’inquadratura inutile con una visuale della sua stanza. Ma gli ultimi minuti erano quelli davvero interessanti. Arrestò il filmato e salvò il tutto. Accese il computer e con un cavetto collegò la videocamera.

Con poche complicazioni scaricò il video e lo salvò sul desktop cancellandolo dalla memoria del piccolo apparecchio, dopo di che aprì un programma per la lavorazione dei filmati molto elaborato e cliccò sullo strumento forbici, quello che serve per tagliare sequenze inutili, usato soprattutto per i film. Fece un unico taglio, da poco dopo l’inizio del video, quando lei aveva lasciato la stanza, a quando era tornata insieme a Dave. Ricontrollò ancora un paio di volte il risultato per assicurarsi di non aver fatto dei tagli di troppo e per accertarsi che l’audio non avesse alcun tipo di problema.

Sistemò la luce in modo che la visualizzazione fosse migliore e, dopo essersi resa conto che cercare di aumentare ulteriormente la qualità audio era inutile, avviò il processo di esportazione. Aspettò un paio di minuti prima che il nuovo filmato fosse anch’esso salvato sul desktop. Ne fece poi un’altra copia e la salvò su un cd vuoto, per ogni evenienza, mettendolo infine via, posandolo sul comodino. Avrebbe poi pensato se fosse il caso di tenerlo e, se sì, di dove metterlo.

Chiuse il programma ma lasciò il computer acceso, si alzò e riprese in mano il cellulare, componendo un numero a memoria.

Christina rispose dopo due squilli e mezzo. «Violet? E adesso?»

Violet cominciò a girovagare per la stanza senza una meta. «Ciao, che stai facendo?»

«Stavo studiando, ma non ce la faccio. Oggi non è proprio giornata, ho bisogno di distrarmi un po’. Tu invece che fai? Sei ancora con David?»

Notò senza troppa difficoltà il suo tono ironico, e ne fu lievemente irritata. «No, stavo lavorando con un filmato importante al computer, ho appena finito e dovresti vederlo.»

«Quale filmato?»

«Non posso dirti niente. Vieni qui e lo scoprirai.»

«Adesso? Così, di punto in bianco?»

«Sì, subito.»

Si salutarono e chiuse la chiamata. Ritornò sulla sua sedia e spostò il filmato appena salvato in una cartella apposita, rinominandolo. In quei cinque minuti Violet decise che avrebbe riguardato il video fino alla nausea, poi però si ricordò degli autografi che Dave aveva fatto loro. Puntò lo sguardo in maniera curiosa in basso alla sua sinistra, sulla scrivania, dove c’erano i cassetti.

Aprì quello dove aveva riposto il block notes in precedenza e lo prese tra le mani. Le pagine erano praticamente tutte bianche e a quadretti da cinque millimetri, la copertina era blu e plastificata con sopra scritta la marca del quadernetto a lettere cubitali e bianche. Solo i primi due fogli presentavano delle scritte, a penna nera. Violet osservò il primo:

A Christina, da David Kincy.

S’immaginò la faccia che avrebbe fatto la sua amica e poi voltò il foglio. C’era scritta la stessa identica cosa, ma intestata a un’altra persona.

A Violet, da David Kincy.

Quello era per lei. Tutto suo.

E questo?

Solo allora notò quello smiley: di fianco alla scritta, una faccina piccola e sorridente, disegnata alla meno peggio e che, nonostante la semplicità, denotava la scarsa attitudine al disegno di David di cui Violet aveva letto su Internet. Tuttavia, era così… così… Così carino.

Violet sorrise di cuore.

Poi strillò, come una bambina infantile ed esagerata, ma non le importava. Insomma, porca miseria, David Kincy era stato a casa sua.

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Jade’s place:

Finalmente sono arrivata con il quarto capitolo! Evviva! Mi sono resa conto che tutto sommato il lavoro di revisione non è poi così tanto semplice come credevo ;D in certi casi bisogna modificare anche drasticamente il capitolo D: fortunatamente ancora non mi è accaduto =)

Riassumendo: David e Violet si sono fatti una bella chiacchierata ;D e la seconda è riuscita a filmare il primo senza farsi scoprire. Che culo (pardon per la finezza)!

Ma è il momento delle anticipazioni! Nel prossimo capitolo:

Non appena Annabelle formulò quel pensiero, il cellulare le vibrò in tasca. Un sms. Il suo cuoricino accelerò il battito quando vide chi era, anche se non si trattava di David. Ormai aveva perso la speranza che quest’ultimo le potesse mandare un messaggio – questione di stupido orgoglio maschile.

«Perfetto» disse in tono monocorde, dopo aver letto e cancellato il messaggio.

Proprio quello che volevo.

Al prossimo capitolo, dunque! Bacioni dalla vostra

Jade :D

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Capitolo 6
*** Cinque ***




C
inque

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Pochi giorni dopo

Mercoledì 13 aprile 2011

Mancavano pochi giorni, poi avrebbe rivisto David Kincy. Violet Ross aveva continuato a dire a se stessa che per quell’occasione doveva essere bella come non lo era mai stata. Doveva frugare fra la sua roba in cerca di una borsetta adatta all’occasione e comprare qualche nuovo cosmetico – quando si era trasferita aveva buttato via tutti i trucchi per non occupare dello spazio inutilmente, poi non ne aveva più ricomprati e fino ad allora non le era mai passato per la mente di truccarsi. Poi doveva trovare uno shampoo decente, che riuscisse davvero a renderle i capelli setosi, invece molte volte erano solo prodotti molto pubblicizzati ma scadenti.

Quel giorno aveva deciso di portarsi dietro Christina, ancora mezza sconvolta dopo la rivelazione del video che aveva girato a David, per uno shopping sfrenato nei negozi di abbigliamento migliori in circolazione e nelle profumerie. Avevano girato in lungo e in largo, prima di trovare il posto giusto.

Prima la profumeria: le due entrarono e Violet, non conoscendo affatto il negozio, poiché non vi aveva mai messo piede, si fece guidare da Christina che invece conosceva il posto meglio di casa propria. Trovò un flacone di shampoo a un prezzo non molto conveniente, ma almeno Christina le aveva garantito che la marca era molto affidabile.

Poi si sistemò davanti al reparto cosmetici e fece rifornimento di ombretti, lucidalabbra, mascara, e decise di prendere, sotto persuasione della sua amica, anche una confezione di fondotinta. In più aggiunse anche una lima per le unghie e uno smalto rosa acceso, accompagnato da un altro con la funzione di rinforzante. Si chiedeva a cosa potesse servirle la lima. Infatti, le rimanevano solo dei mozziconi di unghie dato che ogni volta che crescevano un po’ non poteva fare a meno di mangiucchiarsele quando era estremamente nervosa. Alla fine così optò per metterla da parte.

Si era data da fare anche per cercare una crema che le permettesse di avere la pelle liscia con un effetto idratante, e già che c’era si procurò l’occorrente per farsi una maschera sul viso all’argilla verde. In totale la spesa era considerevole, ma più che soddisfacente. Quando arrivò alla cassa si rese conto che forse aveva un po’ esagerato, e anche il suo portafoglio lo pensò.

«E il profumo? Hai un po’ di profumo a casa?» le chiese Christina.

«Sì, ho una vecchia boccetta che ho mantenuto quando mi sono trasferita. È l’unica cosa che ho conservato, mi piaceva molto l’odore.»

Perciò anche per il profumo ora non c’era problema. Tra l’altro era anche lo stesso che aveva messo in occasione del pranzo qualche giorno prima.

Dopo di che le due si diressero verso altri due negozi, stavolta di abbigliamento, per poi scoprire che non vendevano quello che cercavano. Uno vendeva cose troppo sportive, l’altro era provvisto praticamente solo di maglioncini invernali di colori spenti.

Poi videro un terzo negozio, e capirono che quello era ciò che stavano cercando solo dall’insegna.

Violet entrò seguita da Christina, intenta a sistemarsi i riccioli in una coda di cavallo con un elastico nero. Cominciarono a curiosare tra i vestiti, le commesse che le seguivano con lo sguardo.

«Quanto vorrei essere nei tuoi panni» disse Christina, con aria sognante come suo solito.

«Credimi» rispose Violet, controllando una maglia azzurra con il collo alto e poi rimettendola via «non è poi un granché essere così agitata.»

«Sciocchezze, io darei questo e altro pur di incontrare…»

«Shh!» la zittì. Non poteva andare in giro a cantare ai quattro venti che conosceva David. Non aveva voglia di finire su alcuna rivista di gossip.

Una commessa un po’ formosa e con un cartellino attaccato alla divisa sul quale era scritto Wendy si avvicinò alle due. «Posso esservi d’aiuto, ragazze?»

A Violet la commessa sembrava abbastanza giovane, forse avrebbe potuto capire le sue esigenze. «Sì, grazie, Wendy» disse gentilmente leggendo il nome sulla targhetta. Cominciò a gesticolare con le mani nel tentativo di spiegare. «Questo fine settimana ho un appuntamento importante e… vorrei qualcosa di carino ma non troppo provocante.»

Ne aveva un disperato bisogno. Non ricordava l’ultima volta che aveva fatto shopping, tutti i suoi vestiti avevano almeno un anno e ormai non erano neanche più nel suo stile. In più, alcune cose avevano cominciato a starle corte da un po’. Si era alzata di quegli ultimi centimetri che le avevano reso inutilizzabile almeno una decina di indumenti.

La commessa la condusse verso una scaffalatura dove c’erano altri vestiti. Cominciò a mostrarle, uno per volta, i capi che lei riteneva più trendy al momento. All’inizio Violet aveva considerato l’idea di prendere una maglia colorata e non troppo leggera che aveva attirato la sua attenzione, ma l’aveva scartata perché la scollatura era davvero eccessiva. Non era una cliente dai gusti facili, e la commessa se ne era accorta. Tenne duro fino all’ultimo, mostrandole infine una camicetta di un rosa così chiaro che pareva bianco, forse un po’ banale, ma Violet si rese conto che la semplicità spesso era la via migliore. La prese, attratta, ricordandosi di avere solo una camicia sbiadita vecchia di un anno nell’armadio, e decise di andarsela a provare. La prese soprattutto con la scusa che era rimasta senza camicie, cercando di convincere se stessa. Christina era da qualche parte a frugare tra le grucce, ammaliata dallo spettacolo di abiti che le si prostrava dinanzi.

Dentro al camerino Violet trovò uno specchio. Si provò la camicetta e decise che quello era proprio un giorno ideale per lo shopping, perché su di sé la trovava perfetta. Adesso doveva solo abbinarci un bel paio di pantaloni. O forse era meglio una gonna? Be’, a cosa servono le commesse se non per dare consigli ai clienti?

Dopo un’ora era stremata – sia lei che Wendy – e aveva già preso un monte di roba, e ora era incerta se i soldi le sarebbero bastati. Afferrato un paio di jeans – l’ultima cosa che si era ripromessa di comprare, altrimenti avrebbe del tutto prosciugato i suoi risparmi – fece cenno a Christina che si stava dirigendo alla cassa. Lei era distratta da un bellissimo vestito da sera.

«Vai a pagare, io ti raggiungo.» Christina aveva agguantato il vestito e si era tuffata in camerino.

Con la mole di vestiti che si portava appresso, Violet non riusciva a vedere oltre il suo naso. Posò tutto sulla cassa e cominciò a frugare nella borsa, in cerca dei contanti.

«Giornata di acquisti, oggi, vedo» commentò il cassiere, in confidenza.

Un po’ troppo in confidenza.

Violet si pietrificò.

Alzò lentamente lo sguardo dalla borsetta, riconoscendo una voce familiare.

«Scommetto che gradirebbe uno sconto, signorina» le disse Vincent Carter dall’altra parte della cassa, che le rivolgeva un sorrisetto malizioso con i suoi denti perfetti.

«E tu che diamine ci fai qui?»

Violet era rimasta di stucco.

«Doveva essere questa la sorpresa, volevo dirtelo, che mi ero temporaneamente trasferito qui dai miei zii, volevo farti visita a casa, ma il destino ha voluto che c’incontrassimo qui. È il mio nuovo lavoro. Figo, vero? Guarda, c’è anche la targhetta con il mio nome!»

Violet ascoltò a bocca aperta, troppo scossa per dire qualcosa. Non notò nemmeno la stupida targhetta con il nome di Vincent impresso sopra. Poi si riprese. «Cos’è, uno scherzo?» si rese conto che era una domanda sciocca. Ma era ovvio: Vincent Carter l’anno prima era a un passo dal diploma, e non aveva intenzione di andarsene al college. Adesso era diplomato e libero, aveva avuto tutto il tempo per inseguirla. «Dai, Vincent, non farmi perdere tempo, fammi pagare e lasciami andare.»

E già che ci sei fammi pure lo sconto.

Era bellissimo, proprio come lei se lo ricordava. Così bello che quasi gli occhi bruciavano. Tutto l’insieme dei suoi lineamenti componeva un’armonia unica: le fossette delicate che si formavano sulle sue guance quando sorrideva, i suoi occhi bruni e i capelli, il naso proporzionato, le labbra. Quelle labbra rosee e morbide che Violet conosceva bene. Ma a lei non mancava tutto questo, ne era certa.

«Chi è lui?» le chiese poi. La sua presenza non solo la infastidiva, ma riusciva anche a metterla in soggezione e ad agitarla. Era piuttosto strano ritrovarsi il proprio ex ragazzo per caso, in un’altra città, a fare il cassiere in un negozietto di abbigliamento. Violet sperò che la sua domanda non si riferisse a ciò che pensava.

«Uhm?»

«Dai, non fare la finta tonta, il ragazzo con cui devi uscire! Altrimenti non avresti comprato tutta questa roba in una volta sola, ti conosco più di quanto pensi!»

Violet era ancora più allibita. Si permetteva ancora di farsi i fatti suoi. «Invece no che non mi conosci, altrimenti avresti capito che non ho nessun appuntamento.»

Alla svelta, pagò Vincent, che le fece uno sconto esagerato. Infilò tutta la merce in una borsa di plastica e fece per girare i tacchi e andarsene.

«Balle, balle… scoprirò chi è, tanto. Non è finita, Violet, dobbiamo ancora parlare di cose importanti, noi!»

Al diavolo, lo maledisse lei, rabbrividendo allo stesso tempo. Intanto Christina era uscita dal camerino e aveva visto metà della scena, dopo aver constatato, senza troppo stupore, che era impossibile che quella taglia quaranta di quell’abitino le entrasse.

«Ma chi è quel ragazzo stupendo con cui stavi chiacchierando?» Christina aveva il suo abituale sguardo complice, completamente inutile in quel contesto.

Chiacchierando? Io e Vincent, chiacchierando? Era palese che non ammetteva che quel pensiero le entrasse neanche per l’anticamera del cervello.

«E non ti ci mettere anche tu, per favore!»

«Ma che ho detto, scusa?» fece l’offesa.

«Sai chi è quello? Vincent Carter! È tornato a cercarmi, capisci? È matto da legare, quello lì!» ringhiò, piena di esasperazione e rassegnazione.

Christina rimase a bocca aperta. «Cosa? Sarebbe lui? Ma stai scherzando? Dio, ma non mi avevi detto che era così carino!»

«Christina, sto parlando di una cosa seria: capisci che deve essere ossessionato da me se è tornato per cercarmi? E se non mi ha dato tregua per un anno pensi che, ora che siamo nella stessa città, si arrenderà? Può scoprire tutto di me, se vuole. E io non posso farci nulla!»

«Suvvia, sono sicura che appena parlerete faccia a faccia e gli dirai le cose come stanno la smetterà. Non farti troppi problemi.»

«Non lo conosci, allora. Sa che devo uscire con qualcuno – cioè, crede che io esca con qualcuno anche se poi non è un vero appuntamento. E credi che non scoprirà che si tratta di David Kincy?»

Christina le trasmise un sorriso tranquillo, sperando che avrebbe infuso calma anche a lei. «Sei troppo pessimista, vedrai che andrà tutto per il meglio. Come sempre.»

La fa facile, lei.

Christina continuò, dopo aver sbuffato lievemente. «Però non è giusto, alla fine tutti i ragazzi corrono sempre da te. Guarda David, e guarda Vincent… fossero brutti, ma no, sono tutti e due belli come il sole. Onestamente non saprei tra chi decidere.»

«Ma che dici? Non corrono da me! David non ha mai detto di essere interessato a me, e Vincent è semplicemente matto.»

«Di’ quello che vuoi, ma tanto non mi convinci. Per me sta già pensando di uscire con te.»

«No, non vuole.»

«Invece sì!» la canzonò l’altra, improvvisamente più allegra.

«Okay, forse c’è una possibilità su dieci miliardi elevato all’ennesima potenza, e allora? Non siamo di certo ragazzine, che stanno tutto il giorno a fantasticare su un possibile appuntamento.» Non si era accorta di essere diventata paonazza al pensiero di se stessa fuori a cena con David Kincy.

«E allora, mia cara, non eri forse tu quella che diceva continuamente “Non succederà mai, è impossibile” e tutte queste cose qui?»

«Sì, ma è anche vero che le cose ti accadono sempre quando meno te lo aspetti.»

E in quell’ultima frase, non si riferiva solo a David. Le sorprese non erano sempre da considerarsi positive.

_

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Annabelle Jenner faceva danzare le sue lunghe dita della mano nervosamente sul tavolo senza accorgersene, pensando a una strategia. Okay, aveva commesso un terribile sbaglio a farsi beccare in giro con un altro, da David poi, proprio l’unico con cui stava insieme e che le interessava di più – dal punto di vista estetico e di notorietà, non per altro – ma era convinta che per ogni male vi fosse rimedio. Doveva pensare a un modo per poterci parlare. Sapeva che, usando uno dei suoi discorsi persuasivi, lo avrebbe di nuovo intrappolato nella sua ragnatela.

Si alzò per andare a prendere una lattina di Coca Cola dal frigo e cominciò a bere appoggiata alla parete. Doveva esserci un’occasione ideale.

«Ma quando?» sbraitò improvvisamente rivolta a nessuno, poiché in casa era sola in quel momento. Il che non era strano. Era abituata ad avere la casa tutta per sé, era una delle cose che apprezzava di più nel lavoro dei suoi genitori. In più aveva sempre la casa libera per qualche festa.

Una… festa?

Non appena formulò quel pensiero il cellulare le vibrò in tasca. Un sms. Il suo cuoricino accelerò il battito quando vide chi era, anche se non si trattava di David. Ormai aveva perso la speranza che quest’ultimo le potesse mandare un messaggio – questione di stupido orgoglio maschile.

«Perfetto» disse in tono monocorde dopo aver letto e cancellato l’sms.

Proprio quello che volevo.

Era stata invitata a una festa, come era già accaduto, ma stavolta era diverso per due ragioni. Primo, alla festa sarebbero stati presenti i Bright04 al completo. Sapeva che presto o tardi si sarebbero dovuti concedere una pausa dalle registrazioni e dai concerti, le corde vocali di David non potevano resistere a così tanto sforzo. Secondo, la persona che l’aveva appena invitata le interessava non poco.

Accidenti, Annabelle, no, devi puntare a David, non pensare a certe stupidaggini.

E, dopo essersi mentalmente rimproverata per la sua distrazione verso il caso, non si accorse che a forza di sorseggiare, la lattina adesso era vuota. Storse le labbra, andandola a buttare, sentendo il liquido che fluiva giù per le sue membra, un po’ alla volta.

Okay, ancora un po’ di pazienza, tra meno di due settimane vedrai che David sarà di nuovo completamente tuo, Belle.

Attraversò il corridoio andando in camera sua. Era ordinata e perfetta, anche se i muri bianchi erano invisibili, coperti da decine e decine di poster. La maggior parte di questi raffiguravano i Bright04. Anche se, ultimamente, faceva fatica a guardarli, perché non le andava di avere continuamente di fronte l’immagine del suo ex.

Tra poco non sarà più il mio ex.

Però aveva pur sempre un motivo in più per cui guardare quei poster.

Si diresse verso il suo letto rifatto e dalle coperte profumate e sollevò il morbido cuscino: dentro la federa c’era un diario dalla copertina rosa, tenuto sottochiave da un lucchetto.

All’interno era pieno di graffette e di foto, scritto quasi per intero. Annabelle lo aggiornava quotidianamente senza fare eccezioni. Doveva ricordarsi tutto quello che faceva, e ogni tanto lo riapriva e controllava che cos’aveva fatto nei giorni passati. Prese la sua chiave dal nascondiglio e lo aprì. Andò a una delle pagine centrali, dov’era incollata una foto: l’aveva ritagliata dalla copertina di una rivista di gossip molto popolare e raffigurava lei e David fotografati in gran segreto dai paparazzi. Quello era il primo passo per diventare una celebrità.

Anche se non aveva talenti particolari, Annabelle aveva molto fascino, e, se avesse continuato ad apparire insieme a David sulle riviste, presto tutti si sarebbero accorti di lei e non avrebbe più avuto bisogno di condividere il successo del ragazzo. Le sarebbe bastato il suo.

Con tutta la gente che diventa famosa al giorno d’oggi, figuriamoci se non trovano un posticino anche per me.

Sì, forse era malata di celebrità. Ma si sentiva fin troppo sicura di sé per rinunciare.

Cacciò tutti quei pensieri inutili e sentenziò: aveva bisogno di darci un taglio, per un attimo, con tutte queste preoccupazioni. Dieci minuti dopo stava indossando occhiali da sole di marca e aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo. Uscì di casa e andò verso la sua gelateria preferita, in macchina. Facevano gelati tutto l’anno, e aveva constatato che certa gente li desiderava più d’inverno che d’estate – forse perché erano più difficili da trovare. Be’, era aprile. Una via di mezzo.

Trovò parcheggio con facilità e scese. Entrò e salutò con un cenno il gelataio. Oltre a lei c’erano poche altre persone. Poco dopo aveva pagato ed era già seduta a uno di quei tavolini che danno sulla finestra, dalla quale si vedeva solo il traffico pomeridiano, con una grossa coppa di vetro piena di gelato in mano. I suoi gusti preferiti. Per una volta che si concedeva uno strappo alla regola voleva farlo per bene. Un sorriso amaro sorse sul suo viso quando fissò l’interno della coppa: un solo cucchiaino. Avrebbe voluto qualcun altro di fronte a sé, con cui mangiare tutta quella bomba ipercalorica che traboccava dai bordi del contenitore. Forse però aveva un po’ esagerato. Dopo una prima cucchiaiata avvertì un’esplosione di gustò e dolcezza in bocca. Chiuse gli occhi e si assaporò quella delizia al meglio.

Al diavolo la dieta.

Poi tirò fuori dalla borsetta griffata il cellulare e controllò sul display. Nessun nuovo messaggio. Posò il telefonino proprio di fianco alla coppa di gelato. Essere lì, da sola, a mangiare come una ragazzina depressa e in lacrime che è appena stata lasciata, le faceva pensare che aveva voglia della sua compagnia. Non quella di Dave, né di quella di nessun altro a parte la sua. Solo ed esclusivamente la sua.

E dai Belle… per prima cosa devi concentrarti su David. Per seconda cosa, non avevamo detto che questo momento doveva essere puramente di distrazione?

Continuò a mangiare in silenzio finché non si rese conto che c’era davvero troppo gelato per il suo piccolo stomaco abituato a ricevere quasi solo cibo salutare. Doveva mantenersi in linea per quando sarebbe diventata famosa.

E poi, la tv ingrassa, voglio essere preparata.

Controllò un’ultima volta il cellulare: no, dopo quell’sms di mezz’ora prima, non l’aveva più contattata. Di mandargliene uno lei non se ne parlava, aveva paura e sapeva che l’avrebbe disturbato. Non rimase lì a dirsi di nuovo che doveva smettere per un attimo di pensare ai suoi problemi; lasciò lì la coppa di gelato, terminata per poco più di metà, si mise in bocca un chewing-gum di quelli profumati e rosa e se ne andò in auto. Montò dalla parte del guidatore con un senso di nausea che aveva iniziato ad attanagliarla. Troppo gelato. Troppo. Fece scivolare lo sguardo sul cruscotto. Lo aprì e uscì fuori una montagna di inutili accessori, tra cui un mazzetto di foto di se stessa con David – stavolta non era opera dei paparazzi.

Esibiva in tutte un perfetto sorriso falso, irriconoscibile agli occhi di chiunque. Qualcosa nella sua mente si illuminò come una lampadina nuova.

Chissà, magari potrei fare l’attrice.

Era talmente brava a inscenare qualsiasi tipo di emozione che non si sarebbe sorpresa di vedersi dieci anni dopo a sfilare sul tappeto rosso. S’immaginò con un paio di scarpe con il tacco altissimo, un lungo vestito disegnato dal migliore stilista del Paese e un’acconciatura sfarzosa da attrice hollywoodiana, a salutare i fan che strillavano e gridavano a squarciagola il suo nome mentre i fotografi la immortalavano nella sua seducente bellezza.

Annabelle, Annabelle, Annabelle!

Si svegliò d’un tratto. Senza accorgersene, aveva già richiuso il cruscotto ed era partita alla guida. Aveva avuto la testa fra le nuvole finora e per poco non era uscita fuori strada. Ridacchiò. Si distraeva sempre nei momenti meno opportuni.

Così continuò guidare alla volta del centro della città, a fare cosa di preciso non lo sapeva, ma era certa che non sarebbe tornata a casa tanto presto.

_

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Arthur Backman era alla guida della sua auto diretto verso casa, e di fianco a lui c’era David, a cui doveva dare un passaggio.

La strada era abbastanza trafficata e la macchina procedeva a singhiozzi, i due quindi si erano messi a parlare. Ma se il viaggio doveva durare ancora così tanto, David sapeva che prima o poi sarebbero piombati in quel discorso che non aveva voglia di affrontare.

«Dunque, caro David, mi avevi detto che in questa settimana avresti cercato di conoscere altre ragazze.»

Ecco, abbiamo iniziato proprio nella maniera peggiore pensò Dave.

«Ma… io non l’ho detto!»

«Niente ma. Allora, ne hai conosciuta qualcuna sì o no?»

Non sapeva cosa rispondere. Quell’incontro poteva davvero essere definito… una specie di… appuntamento? Ma in fondo non si erano detti quasi niente. E di certo in quel “quasi niente” c’era una parte quasi invisibile di flirt. Di rilevante le aveva solo detto che sperava che non sarebbe mancata quel sabato a casa sua. Non si poteva chiamare “flirtare” quello.

«Sì.»

«E allora? Cos’aspetti a raccontarmi tutti i dettagli?»

David non sapeva come esprimere l’impressione che aveva avuto di quella giornata, di quelle poche ore trascorse ad analizzare Violet Ross. «Noi non… lei non è… come Annabelle. Anzi, ci siamo detti poche cose ma ho subito capito che sono due persone completamente diverse.»

Arthur sbuffò, seccato. «David, non è che tutte le ragazze che avrai d’ora in avanti dovranno essere come Annabelle! Anzi, più saranno diverse, meno te la ricorderanno!»

«Parli delle ragazze come se si potessero andare a comprare al supermercato.»

«Be’, la mia non è una concezione del tutto sbagliata.»

«Violet è una mia fan, prima di tutto.»

«Anche Annabelle lo era, prima di mettersi con te.»

«Non abbiamo neanche flirtato e non ci rivedremo prima di sabato.»

«La verità è che non hai nemmeno provato a capire com’è davvero. È evidente che t’interessa ancora Annabelle.»

Su questo non ci piove. «No che non m’interessa.» Qualche volta una piccola bugia ad Arthur è necessaria.

«Allora segui il mio consiglio. Prova a conoscerla meglio. Non ti dico di metterti subito insieme a lei, perché tanto ormai lo so come sei fatto e so che non lo faresti. Però conoscere una persona nuova non può fare che bene, alla fine.»

Non era del tutto d’accordo con Arthur. Forse ancora non se la sentiva di conoscere nuove ragazze, forse aveva solo bisogno della presenza di Annabelle che lo baciasse con le sue labbra rosee, con quel tocco perfetto che solo lei possedeva, e che lei le dicesse quelle dolci parole con il suo tono suadente e innocente che l’aveva conquistato.

Mentalmente, prese una decisione: aveva bisogno di tempo. Non aveva intenzione di provarci con Violet, sapendo che in realtà era interessato alla sua ex. Perennemente interessato alla sua ex.

Senza via di uscita.

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Jade’s place:

Jade è tornata con il quinto capitolo! So che questo capitolo è un po' troppo... dettagliato, e può risultare noioso, ma ci tenevo a riportarlo così come lo scrissi tempo fa, per "portare rispetto a me stessa" xD Dunque... ricapitolando, Violet è andata a fare acquisti, e ha rincontrato Vincent!!! Cosa ci fa egli qui? Poi abbiamo scoperto le reali intenzioni di Annabelle: sfruttare Dave per diventare famosa. Per questo ci tiene tanto a tornare con lui. Ma chi è che le manda tutte quelle informazioni tramite sms?! E poi, infine, c'è la questione di Dave, che ancora non riesce a dimenticare Annabelle, ma Arthur lo sprona a conoscere nuove ragazze... che una di queste possa essere proprio Violet?

Scopriamolo tutti insieme nel prossimo capitolo! Anticipazioni:

"«Tu perché lo difendi così ostinatamente?» disse Ashley. «Uno come David Kincy non calcola neanche le fan come te e come tutte le presenti, non gliene frega niente!»

«E tu che cosa ne sai, non lo conosci nean…» si bloccò di colpo.

Violet aveva parlato troppo. Ma se ne rese conto troppo tardi.

Il sorrisetto malefico si Ashley Stark riaffiorò. «Perché… tu invece lo conosci, Ross?»"

Al prossimo capitolo allora, mi raccomando ditemi cosa ne pensate! La vostra affezionatissima
Jade

PS:::::: VISITATE LA MIA PAGINA SE NE AVETE VOGLIA! Dunque, l'ho appena creata, e ha pochissimissimi iscritti, ma VOI potete fare la differenza ;D appena raggiungerò un numero decente di fan comincerò a postare lì i miei aggiornamenti e cazzate varie :D
PPS::::::: ANDATE A VEDERE LE ALTRE MIE STORIE SE NON AVETE ALTRO DA FARE xD sono Superbia e Presunzione e Beneath the Snow.

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Capitolo 7
*** Sei ***


 


Sei

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Venerdì 15 aprile 2011

E anche quel giorno era arrivato il momento di entrare nell’aula di storia e farsi definitivamente prendere dal panico.

Violet si guardò intorno, seduta al proprio banco, osservando i compagni davanti terrorizzati a causa della loro posizione scomoda e quelli nelle file in fondo bisbigliare, senza però abbassare la guardia. Quelli delle file in mezzo, come lei, erano semplicemente immobili, incapaci di compiere alcun genere di movimento.

È inutile dire quale fosse il motivo di tale ansia: Mrs Smith era un’ultrasessantenne che, dopo anni di esperienza in campo scolastico, aveva imparato il mestiere di terrorizzare a morte gli alunni come se fosse stato il suo scopo nella vita. Insegnava storia da quasi quarant’anni ed era uno di quei docenti che, non appena entrava in classe, faceva cessare ogni genere di rumore o di segnale di vita umana.

Era mediamente alta ma mezza ingobbita, portava sempre la gonnella nera abbinata a un maglioncino di lana il più delle volte di un colore spento e privo di gusto: si andava dal color marrone acqua inquinata al verde vomito. Portava gli occhiali spessi con la montatura rossa e il suo viso era ormai pieno di rughe e raggrinzito dall’età. Per quella non c’era rimedio. Nonostante ciò si poteva presupporre che da giovane fosse una bella donna.

Quando lei entrava, tutti all’improvviso rimanevano immobili nella loro posizione, quasi come se fossero stati intrappolati in una fotografia. Non di rado prendeva una penna da un cassetto, cominciava a scribacchiare apparentemente a caso e chiamava due o tre persone per volta e faceva loro delle “domandine”. Le domandine di storia potevano essere sia sull’argomento appena svolto, sia su quello degli anni precedenti, poteva richiedere la conoscenza di un determinato evento o anche di una data. Nessuno sapeva mai cosa aspettarsi.

Quando decideva di chiamare quelle persone, allora le opzioni non erano molte: l’alunno poteva guardare il proprio banco, intimorito, ed era impossibile che l’avrebbe scampata. Poteva fissare il vuoto come un ebete sperando di non essere notato, o poteva guardare Mrs Smith dritto negli occhi.

Era impossibile copiare.

Era impossibile riuscire a fare qualsiasi cosa senza che lei se ne accorgesse – pareva avesse gli occhi anche sulla nuca.

Era impossibile rivolgere la parola a un compagno senza beccarsi una strigliata furibonda da isterica.

Questo però ancora Violet non l’aveva imparato del tutto, dato che era arrivata a scuola solo da pochi mesi e quell’insegnante imperversava per le aule e i corridoi da anni per spaventare studenti di tutte le età.

«Stamattina chiamerò qualcuno e faremo un bel ripasso su… il modulo 5.»

Okay, modulo 5, sono preparata. Posso farcela.

Violet continuava a dire a se stessa che era forte e poteva riuscirci, ma alla fine con Mrs Smith i risultati di rado erano quelli.

Mrs Smith si alzò dalla sedia con un cigolio, e cominciò a vagare fissando negli occhi tutti gli studenti presenti. Tutti adottavano la tecnica del guardare altrove, solo Ashley Stark aveva un carattere abbastanza forte da riuscire a dominare il suo sguardo con uno altrettanto determinato. La stava seguendo con i suoi occhi azzurro scuro senza battere mai le palpebre.

Violet invece preferiva non rischiare e stava andando sul sicuro, fingendosi impegnata a sfogliare il quaderno di appunti.

«Dunque, alla lavagna vorrei… Stark, visto che mi sta facendo una radiografia con gli occhi» disse con la sua normalissima acidità.

Ashley Stark arrossì di colpo notando che la sua tecnica questa volta non aveva funzionato. Era capace di sostenere lo sguardo della professoressa, ma in modo eccessivo – Mrs Smith forse aveva paura che addirittura lo potesse sovrastare.

Okay, e siamo a uno si disse Violet. Ancora un altro o due e sono salva.

Continuò intanto a sfogliare gli appunti celermente e senza prestare attenzione.

Mentre Ashley si alzava e andava verso la lavagna, ritrovandosi tutti i compagni davanti a fissarla, Mrs Smith ricominciò.

«Potrei chiamare… Evans.»

Evviva!

E, mentre Frederic Evans intanto si stava alzando, l’insegnante lo fermò di scatto. «Aspetta, mi ero dimenticata, ti ho già chiamato la settimana scorsa. Ricordo bene i risultati poco efficienti» concluse con un sorrisetto maligno, quasi di beffa. «Chiamerò Ross, che deve essere molto preparata siccome sta ripassando gli appunti così velocemente.»

Ecco, mi sono fregata da sola.

Violet si alzò, rassegnata. Giunse di fianco alla sua compagna senza guardarla in volto. Non solo doveva sottoporsi alle torture di Mrs Smith, ma doveva condividere tutto ciò con Ashley Stark. Non le pareva vero.

«Ma prima» continuò, alzando un indice «potrei vedere i vostri appunti? Voglio vedere veramente quanto lavorate durante le lezioni.»

Non è un problema, i miei appunti sono impeccabili e numerosi.

Violet sorrise della cosa, sapendo che almeno quello non avrebbe mai potuto avere un effetto negativo sulla sua valutazione.

Violet ed Ashley andarono di nuovo verso i loro banchi e le porsero i quaderni. Lei cominciò per primo a sfogliare quello di Stark, annuendo ad ogni pagina. Si fermò solamente a meno della metà, con un piccolo sorrisetto stampato in volto. «Perfetto, Stark, ordinata e precisa. Non come Bulter, che ha la calligrafia di un elefante.»

Christina Bulter, seduta a uno dei banchi in fondo, si sentì improvvisamente indignata, ma dovette fare finta di niente.

Mrs Smith passò all’altro quaderno. Stavolta non era così facile: Mrs Smith si sentiva così intimorita certe volte dallo sguardo penetrante di Stark che aveva imparato ad apprezzarla, fino a farla diventare la sua preferita. Ma Violet era quella sempre distratta, sempre in un altro mondo, quella che aveva la sufficienza tirata. Per lei non poteva essere così facile.

Fortunatamente i suoi appunti erano così perfetti che erano inattaccabili.

Violet aveva un sorriso trionfante che si capovolse in un istante non appena dal quaderno scivolò un foglio.

Questo foglio iniziò a volteggiare a mezz’aria, attirando l’attenzione di tutti. Lei si ricordò subito cosa rappresentasse e per la sua mente passò un solo pensiero. Dannazione.

Mrs Smith raccolse il pezzo di carta, sul quale era scarabocchiato qualcosa. In realtà c’era un accurato disegno, una scritta colorata e decorata fatta da Violet il giorno prima per distrarsi un momento dallo studio. C’era scritto David a caratteri cubitali. L’aveva lasciato lì dentro.

«Chi sarebbe questo David?» chiese astiosa la prof, con un sopracciglio alzato.

Violet non sapeva cosa rispondere, anche perché tutti la stavano guardando negli occhi con aria di dubbio. Quella che la stava guardando più intensamente era Ashley, la quale aveva un aspetto molto più curioso e meravigliato.

Dovrò pur dire qualcosa, porca miseria.

Stava per aprire la bocca, quando qualcuno bussò alla porta dell’aula.

«Avanti» disse l’insegnante, scocciata da quell’interruzione.

La porta si aprì e un custode entrò chiedendo permesso. Di certo non aveva l’aria divertita e reggeva tra le mani un ingombrante mazzo di rose. «Mi scusi» cominciò con voce rauca «ma mi hanno detto di consegnare questi fiori.»

Mrs Smith parve un po’ confusa. Tutti pensarono immediatamente che fossero per lei e si misero a ridacchiare. Non appena lei li fulminò con lo sguardo riuscì a zittirli completamente. «Oh bene, e a chi li deve consegnare?»

Il bidello trasandato e sovrappeso armeggiò con il grosso mazzo avvolto nel cellofan per trovare un piccolo bigliettino.

«Qui c’è scritto A Violet Ross con amore. Mi hanno detto che adesso Violet Ross dovrebbe essere qui.»

Violet guardò furtivamente l’insegnante prima che questa le fece cenno di sbrigarsi e andare a prendere il mazzo di rose rosse. Saranno state decine, e fece non poca fatica a tenerle in mano riuscendo a vedere poi dove metteva i piedi. «Chi le ha mandate?» chiese infine.

Il bidello fece spallucce. «Un ragazzo. Era alto…»

Dio, David! Sarà lui?

«Fisico sulla media, non troppo muscoloso ma nemmeno mingherlino…»

Sì, è lui, è lui! Violet stava fremendo dalla gioia sperando che quelle bellissime rose profumate fossero da parte di David.

«Biondo…»

Biondo.

Il sorriso di Violet si stroncò. «Okay, grazie» riferì, mentre tutti la stavano guardando con immenso stupore. Violet Ross aveva un ammiratore, e allora? E allora il problema era che Vincent Carter le aveva appena mandato dei fiori, e non aveva intenzione di rinunciare a lei per nessuna ragione.

Vincent, tu sei completamente matto.

Il custode uscì, lasciando tutti quanti stupefatti. Christina era letteralmente a bocca aperta a mirare le rose con occhi scintillanti. Ashley Stark sghignazzava sommessamente con diabolicità. Mrs Smith sembrava per la prima volta da quando aveva a che fare con quella classe a disagio. Nel complesso quello spettacolo non era un bel vedere. Nessuno sapeva che cosa dire.

«Be’, Ross, che cosa stai aspettando? Metti via quelle rose e vieni qui a spiegarmi chi sarebbe questo David.»

«Il suo ammiratore, che stamattina ha voluto inviarle un giardino, probabilmente» disse qualcuno dal fondo dell’aula.

«Nessuno ti ha interpellato» Mrs Smith era un po’ infastidita dalla situazione. «Allora, Ross?»

Ma la diverte così tanto torturarmi in questo modo? Violet era disperata, perché stava cercando ogni mezzo possibile per mandarla a posto e rifilarle un’insufficienza. «Be’…»

«David Kincy, semplice no?» fu Ashley Stark a intervenire, con quel suo sorrisetto irritante. Le sue parole erano sempre efficaci, anche se rade, infatti ora Violet sembrava essere veramente in difficoltà. Certo che era lui, e Violet dubitava seriamente che Ashley fosse a conoscenza che loro due si erano visti e conosciuti, ma la stessa risposta corretta l’aveva fatta agitare ulteriormente.

«No!» ebbe uno scatto.

Le labbra di Ashley s’incurvarono sorprendentemente ancora di più verso l’alto. Le si poteva leggere in fronte quello che stava pensando: Che cos’è quel no così secco? Io stavo solamente scherzando! Bah… mica intendevo veramente David Kincy…

«Invece io dico di sì, fili dietro come una bimbetta a quel cantante da due soldi.»

«Cantante da due soldi?» intervenne qualcuna seduta tra le prime file, che si era sentita toccata dall’argomento. Non erano poche le fan dei Bright04 lì dentro, si poteva dunque constatare. «Ma dico, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Chi sei tu per giudicare la musica che ascolto?»

«Basta, ragazze!» tuonò Mrs Smith, ma per la prima volta nella sua carriera nessuno le diede ascolto.

«Sì, fa successo solo grazie a quel bel faccino che lui e quelli della sua “band” si ritrovano.»

«Questo non puoi dirlo con certezza» Violet lo disse convinta, in tono calmo e deciso, perché in generale la loro musica piaceva a una gran parte del pubblico cui veniva presentata. Tutti sapevano che il fattore estetico in quel caso non c’entrava.

«Tu perché lo difendi così ostinatamente? Uno come David Kincy non calcola neanche le fan come te e come tutte le presenti, non gliene frega niente!»

«E tu che cosa ne sai, non lo conosci nean…» si bloccò di colpo.

Violet aveva parlato troppo. Ma se ne rese conto troppo tardi.

Il sorrisetto malefico si Ashley Stark riaffiorò. «Perché… tu invece lo conosci, Ross?»

«Basta!» l’urlo di Mrs Smith era stato udibile fin da fuori della scuola. Raramente era costretta a gridare così forte, ma quel giorno era necessario. Violet fu felice che lei le avesse interrotte, anche se ora aveva i timpani lesi. Le aveva urlato a pochi centimetri dalle orecchie.

Ashley Stark si morse il labbro. Ecco, era sicura che adesso non sarebbe più stata la sua preferita. Si era fatta trascinare dalla discussione troppo facilmente da quella sfigata di Violet Ross. Che le sarebbe accaduto, adesso? Un’insufficienza, una nota di demerito, una sospensione? Con Mrs Smith non si poteva mai sapere.

«Ho capito, oggi faremo semplicemente lezione. Andate tutt’e due ai vostri posti, filare!»

Era ovvio. Violet aveva capito il motivo di quella decisione: anche se aveva perso parecchi punti, Ashley Stark era pur sempre la sua preferita e non voleva punirla. E, se non puniva lei, non poteva punire neanche la sua compagna che non aveva nemmeno cominciato il battibecco.

Christina guardò la sua amica come per dirle: Stavolta l’hai scampata bella.

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Violet era appena uscita dalla fila alla mensa per ricevere la sua solita razione di cibo su un vassoio di plastica. La sbobba la stava aspettando. Era così strana che non si sarebbe sorpresa se a un certo punto avesse cominciato a parlarle. Aveva capito che c’era della carne lì dentro, ma non riusciva proprio a comprendere di quale animale fosse. Quanto al contorno, non ne parliamo. Aveva già deciso a priori di scartarlo, se il sapore non l’avesse convinta.

Il dessert era l’unica cosa di cui poteva fidarsi: budino al cioccolato. Il giorno del budino al cioccolato permetteva alle papille gustative degli studenti di non atrofizzarsi del tutto. Quello del budino era l’unico sapore che poteva farle davvero esplodere in un’immensa dolcezza.

Ma dopo quel giorno Violet avrebbe deciso che non avrebbe più mangiato budino all’interno della mensa scolastica.

Si stava dirigendo verso il tavolo dove alcune compagne l’attendevano, Christina compresa, quando – sorpresa! – si ritrovò davanti Ashley Stark a guardarla con aria maligna.

«Allora, Ross, me lo dici chi è questo ammiratore segreto?»

Per un momento in cui era riuscita a togliersi dalla testa quel pasticcio causato da Vincent, ecco che tornava lei a ricordarglielo. «Non sono di certo affari tuoi, Stark

Ashley era furibonda con Violet. Per colpa sua aveva fatto una pessima figura davanti a Mrs Smith, che l’avrebbe sicuramente rimossa dalla lista delle alunne predilette. Non si rendeva conto che in realtà era stata tutta colpa della sua incontenibilità. «Ma David non sarà un po’ geloso?» continuò a stuzzicarla, mettendo a dura prova la sua pazienza.

«Ashley, smettila.»

Cercò di farsi strada per poter raggiungere il proprio tavolo, ma Ashley non glielo permise. «Oh no Violet, non s’interrompe una discussione a metà.»

Il vassoio di Violet cominciò a vacillare, finché il suo budino non si ribaltò e andò a finirle contro la T-shirt.

Il danno era minimo, ma Ashley Stark, presa da un eccesso di rabbia nei confronti della ragazza innocente, premette una mano contro il petto di Violet, spargendo il budino su tutta la superficie della maglietta. Adesso sì che il danno era irreparabile.

Siccome erano in un angolino piuttosto appartato della mensa nessuno vide la scena, ma ciò non cambiava che Violet si sentì immediatamente umiliata e iraconda. Posò il vassoio strattonando violentemente Ashley per poter passare, e per poco anche il vassoio di quest’ultima non le cadeva addosso.

Ora la sua T-shirt rossa era piena di chiazze marrone scuro di cioccolato. Che poteva fare? Di certo non poteva fare finta che non fosse accaduto niente e continuare imperterrita le sue attività giornaliere con la maglietta completamente imbrattata. Si fece strada e corse rapida verso il bagno con gli occhi velati.

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Terry Patterson era appoggiata con la schiena a un lavandino del bagno delle ragazze, teneva tra l’indice e il medio una sigaretta mezza consumata. Fece un tiro, gli occhi fissi a guardare il vuoto. Non pensava a nulla di particolare, ma era solamente soddisfatta di passare l’ora del pranzo in bagno a fumare. Ovviamente era vietato, ma siccome tutti erano sempre da qualche altra parte in quel momento della giornata, non era mai stata beccata.

Adesso in bagno aleggiava il tipico odore di fumo, ma poco le importava. La cenere sarebbe andata a finire nel lavandino e il mozzicone nel cestino, tutti si sarebbero di nuovo chiesti chi fosse stato ma lei non sarebbe mai finita nemmeno tra i sospetti. Era una ragazza troppo tranquilla per essere sospettata di qualcosa.

In genere amava la compagnia di se stessa.

Lo studio le interessava, ma fino a un certo punto. Infatti, non aveva la benché minima voglia di ragionare su complicati problemi matematici, ma in altre materie come la letteratura non la batteva nessuno. Le bastava leggere un testo di un autore famoso una volta per digerire tutte le informazioni e farne un’analisi dettagliata. Anche nelle lingue non se la cavava niente male, parlava il francese così bene che chi l’avesse sentita parlarlo per la prima volta avrebbe pensato che fosse la sua lingua madre. Il punto era che con la matematica non poteva continuare a procedere a tentoni come aveva sempre fatto. Sarebbe potuta riuscirci benissimo, se ne avesse avuto voglia. Talvolta desiderava avere la medesima passione per la letteratura e le lingue anche in tutte le altre materie.

Si girò per un momento guardando la sua immagine riflessa allo specchio: non era altissima, ma non era neanche bassa. Aveva dei liscissimi capelli castani che arrivavano quasi fino alle spalle, e che decorava con delle meches rosse che sembravano quasi naturali. Il suo sguardo era tranquillo e rilassato, del resto lei stessa lo era. Non amava truccarsi. Specialmente per andare a scuola, dove non ne vedeva la minima necessità. Però non di rado pensava che se lo avesse fatto come tutte le altre ragazze sarebbe stata meglio, non solo per gli altri ma anche per se stessa. Provò a immaginarsi. Vuoto assoluto, poiché l’ultima volta che aveva usato un po’ di cosmetici risaliva a più di un anno prima, quando si era infilata a una festa che doveva essere tra studenti, ma in realtà la metà della gente per lei era perlopiù sconosciuta, così si era ripromessa che prima di imbucarsi a una festa d’ora in avanti si sarebbe informata meglio. Contro il trucco aveva che era come una maschera per il viso, anche se rendeva più belle. Tutti le avevano sempre detto che la gente doveva vederti per come eri e non per come apparivi. Forse però non aveva afferrato bene il messaggio.

Oggettivamente era carina, tuttavia lei non riusciva a definirsi tale. Era comunque contenta dei piercing che aveva al naso e al sopracciglio e di quelli che le occupavano gran parte dell’orecchio sinistro e il lobo di quello destro. Riteneva che potessero attirare di più l’attenzione sul viso.

Stava per posarsi di nuovo la sigaretta fra le labbra sottili, quando la porta del bagno si spalancò.

Lei sbarrò gli occhi, cercando all’ultimo di nascondere la prova del misfatto gettandola a terra e pestandola. Poi si rese conto che era solo Ross.

Conosceva Violet Ross solo di vista, e non sapeva esattamente che carattere aspettarsi da lei. Il suo visetto dai lineamenti fini non le lasciava intendere come fosse fatta. E forse non le interessava. Ma vederla aprire il rubinetto del lavandino di fianco al suo, adirata, l’affascinava. La sorridente Violet Ross adesso era più furiosa di un tornado. Notò che aveva la T-shirt sporca di qualcosa, forse di budino. Si stava ostinando a levarlo, ma con scarsi risultati. Sembrava non aver notato la sua presenza.

Forse sono diventata invisibile, pensò con ironia.

Violet sbuffò, mentre Terry gettò un’occhiata alla sigaretta calpestata dal suo stivale, calciandola con il tacco basso che doveva servire a darle qualche centimetro in più sotto il lavello. Un ghigno si dipinse sul suo viso a vedere come l’altra si stava impegnando nel togliere via quelle macchie che si estendevano per la grandezza di tutto il suo petto. Si rese conto che le importava sapere cosa le fosse successo, per pura curiosità.

Quasi mi dispiace, qualunque cosa le sia successa. Quasi, però.

«Che brutta faccenda» commentò.

Violet si girò e sembrò notare solo adesso che lei era lì vicino a lei. «Già.»

Ormai aveva spazzato via quasi tutto il budino, ma entrambe sapevano che il tessuto non si sarebbe mai ripulito del tutto, almeno non fino a un bel lavaggio in lavatrice.

«Che ti è successo?»

Violet corrugò la fronte mentre Terry la stava guardando a braccia incrociate, con evidente tranquillità. «Un incidente.»

«Al vedere la rabbia che ti sprizza da tutti i pori non si direbbe.»

Era vero. Terry aveva capito che non era stato un incidente, altrimenti la sua reazione sarebbe stata diversa e forse le avrebbe rivolto più di tre scarse parole.

Violet lasciò andare le braccia lungo i fianchi, rassegnata. Non c’era modo di far asciugare quella maglietta in tempo per la fine della pausa, e non s’illudeva nemmeno che sarebbe stata pulita, in tal caso.

«Qualche sgualdrina invidiosa?» tirò a indovinare Terry, capendo che Violet non aveva voglia di dilungarsi in lunghe spiegazioni.

«Ashley Stark.»

Terry si grattò la testa. «Ah, allora ho capito. Brutto soggetto, non mi stupisce che tu sia finita così.» Sapeva di non essere d’aiuto, ma non sapeva che altro dire.

«E ora che faccio?» sussurrò Violet tra sé.

Fu allora che Terry Patterson si sentì spinta da un insolito atto di generosità nei confronti di qualcuno che non conosceva, se non di vista. Abbassò lo sguardo e guardò quello che aveva indosso: portava dei jeans neri consunti con una cintura che, quando l’aveva comprata, le stava così larga che aveva dovuto aggiungervi dei buchi. Poi aveva una maglietta bianca, una di quelle che riportavano la scritta I love NY e sopra di essa una felpa nera con la lampo. Dopo un sospiro, se la sfilò e la porse a Violet. «Tieni. Ne hai più bisogno di me» disse senza guardarla negli occhi. Vide che lei era un po’ titubante, indecisa se prenderla o meno. «Su, prendila finché sono mossa dalla generosità, non capita molto spesso.»

Violet prese la felpa tra le mani, vedendo che era della sua stessa misura. D’un tratto il suo viso s’illuminò di felicità. «Grazie!»

Terry si accese una nuova sigaretta, intenzionata a godersela tutta. «Riportamela presto, o sono guai.» Vedendo che l’altra annuiva con fermezza, e un po’ timorosa, lei sghignazzò. «Stavo scherzando.»

L’altra sorrise, infilandosela. Le stava a pennello. Nessuno avrebbe notato quello che c’era sotto.

Terry fece un tiro, poi le porse la sigaretta. «Vuoi?» le chiese, con un’espressione priva di emozioni.

«No, grazie.»

A dire la verità Violet detestava l’odore del fumo, era più forte di lei, ma quella conversatrice che aveva trovato l’attirava. Non voleva andarsene, non ora.

Terry si scrollò le spalle e puntò lo sguardo su un punto fisso davanti a sé.

«Così…» cominciò Violet, passandosi una mano tra i capelli «sei tu quella che fuma in bagno durante la pausa.»

«Confido che non lo dirai a nessuno» rispose Terry con noncuranza.

«Oh, non preoccuparti, non ne sarei capace.»

Terry le aveva prestato gentilmente la sua felpa in un momento di estremo bisogno. Perché Violet avrebbe dovuto fare la spia?

La porta del bagno si spalancò improvvisamente.

Oh no, di nuovo? Pensò Terry. Quando vide che era Ashley Stark si sollevò, e continuò a fumare tranquillamente guardando sempre quel punto fisso ignoto.

Violet aveva notato che la bionda era piuttosto divertita di vederle lì. «Guarda un po’ chi c’è, Terry Patterson. Oh, Ross, ci sei anche tu; pensavo ti fossi rintanata a piangere da qualche parte, ma mi sbagliavo» alzò le spalle.

Odiosa. Quella ragazza era odiosa. Violet non riuscì a controbattere. Nemmeno Terry disse nulla, ma lei non era per niente interessata a farlo.

«Il preside gradirà la notizia che ho trovato le responsabili del disastro che avete combinato in bagno in questi giorni» continuò Ashley, avvicinandosi a Violet e lanciandole uno sguardo di sfida.

Un momento, Violet non c’entrava niente! Non sapeva che dire, non sapeva come muoversi. Anche se avesse cercato di discolparsi, Ashley Stark non ci sarebbe cascata tanto facilmente.

Terry era molto più tranquilla, e continuava a fissare dritto senza calcolarla. Poi, infine, disse: «Tu sai che io so molte cose, Stark. E sai anche che queste cose sono molto scomode. Forse lo sai meglio di me. Cosa succederebbe se tutti venissero a sapere? La tua vita sarebbe molto più difficile e complicata, suppongo.»

Terry stava parlando come una finta innocente. Ma il suo tono stava avendo un effetto molto evidente su Ashley.

«Dannazione…» sussurrò tra i denti, forte abbastanza perché le altre due potessero sentire.

«Lascia stare me e Ross…» Fece un altro tiro dalla sigaretta, con una pausa a effetto. «O sono guai.»

Così, girò i tacchi e se ne andò, in preda alla collera, sbattendo la porta e portando via con sé tutta la rabbia.

«Wow» disse Violet con sbigottimento, dopo alcuni secondi di pausa «come hai fatto? Svelami il tuo segreto, cos’è che le fa tanto paura?»

Terry Patterson smise di fissare il vuoto e la guardò nei suoi occhi quasi verdi. Si trattenne dal ridere fragorosamente. «Non lo so neanche io. Ashley Stark nasconde qualcosa. Nemmeno io so che cosa, ma lei ha una paura matta che la voce si diffonda. Quindi tutte le volte che mi irrita, io le dico questa frase. E lei, puntualmente, se ne va con la coda tra le gambe.»

Violet rimase perplessa. «Stai dicendo che stavi bluffando?»

Terry tornò a fissare il vuoto. «Esattamente.»

«Sei un genio.»

«Lo so.»

Cosa poteva nascondere di tanto importante Ashley Stark? Violet non riusciva proprio a comprendere. Cosa poteva darle tanto fastidio, se la voce si fosse sparsa? In lei si diffuse in pochi secondi la voglia di scoprire, ma sapeva che doveva rimanere in quel bagno, almeno per il momento, e farsi i fatti suoi.

Solo di una cosa era certa: Terry Patterson quel giorno era stata per lei come una specie di angelo custode pieno di piercing.

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Jade’s place:

Sì, ragazze, l’ho fatto: ho toccato le 4000 parole – 4132 per la precisione – ma spero che gli argomenti qui trattati vi abbiano suscitato maggiore interesse!

Abbiamo introdotto un nuovo personaggio, Terry, tranquilla e un po’ fredda, che però è stata d’aiuto a Violet sebbene non la conoscesse. Poi è tornata Ashley, più furibonda e cattiva che mai.

È già il secondo personaggio “cattivo” che incontriamo, insieme ad Annabelle. Comunque, vi accorgerete che le due ragazze hanno un tipo di cattiveria diverso. Annabelle è più subdola, più pianificatrice e più vipera, mentre prevalentemente Ashley agisce d’impulso: reagisce a ciò che la irrita. Ma dove si posiziona Ashley Stark nel nostro puzzle? In che tassello consiste la sua figura? E quella si Terry? Scopriamolo tutti insieme nel prossimo capitolo!

Jade

PS: Mmm… mistress_chocolate… io questo cap l’ho scritto un anno fa ma la prof che sequestra il foglio pieno di disegnini alla povera Violet e inizia a fare commenti… non ti ricorda qualcosa?!?! xD

PPS: se ne avete voglia fate una visitina a Riflessioni di un'adolescente romantica e meditativaBeneath The Snow e Superbia e Presunzione. Mi farebbe molto piacere ;D ah recensite o vi vengo a cercare a casa (in realtà l’autrice non sa nemmeno chi siete… o___o *minacce che vanno a vuoto xD*) va be’ ho fatto la scema abbastanza. Ciao!
Jade (oppure
Cam ;P)

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Capitolo 8
*** Sette ***




S
ette

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A fine capitolo... una piccola sorpresina ;D

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Sabato 16 aprile 2011

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Quel tardo pomeriggio, quando ancora il sole non era del tutto tramontato, Violet stava finendosi di preparare per andare fuori a cena. E che cena. Non si era accorta che il tempo era volato davanti allo specchio ed era già ora di andare. Si era messa quei vestiti comprati qualche giorno prima insieme a Christina in quel negozio dove lavorava Vincent.

Nella fretta, prese dall’armadio la prima felpa che le era capitata sotto tiro per coprirsi. Prima di uscire di casa, si ricordò di mettere il profumo. Quello della volta precedente, quello con la boccetta rosa e il nastro intorno. Chissà se David l’aveva sentito, la settimana prima, addosso a lei.

Solamente una volta fuori si accorse che la felpa che aveva indosso era ancora quella di Terry Patterson.

Violet amava l’alone di mistero che ruotava intorno a quella ragazza, anche se forse di segreti non ne aveva. Le piaceva la sua felpa che odorava in modo tenue di fumo, e su cui ora aveva tra l’altro spruzzato del profumo, e desiderava conoscerla meglio, sapere tutto di lei. Aveva sempre voglia di fare nuove amicizie, ma il giorno prima si era sentita a suo agio sotto l’ala protettiva di Terry. A proprio agio, ecco come ci si doveva sentire con le amiche vere.

Violet era convinta di essere lo stereotipo della ragazza decisamente troppo perbene: quella che chiede ai genitori il permesso per stare fuori fino a tardi, quella che non faceva mai nulla di trasgressivo e che infine non chiedeva soldi o un cellulare nuovo alla prima opportunità. Forse era proprio per questo che Terry Patterson, con i suoi piercing, l’assenza di trucco, il comportamento criptico e apparentemente cinico e quella sigaretta tra le dita, aveva richiamato la sua attenzione. La sentiva diversa, ma in una maniera curiosa e positiva – per quanto realmente potesse esserlo.

Ma non era il momento di pensarci.

Entrò alla svelta in auto, sedendosi sul sedile posteriore, e controllò il cellulare: per fortuna non aveva ricevuto nuovi messaggi. Non aveva mandato alcun sms il giorno prima a Vincent, per il suo mazzo di rose, perché si era decisa di ignorarlo completamente. Sapeva che non avrebbe smesso di tormentarla, ma sicuramente mandargli degli altri messaggi non avrebbe migliorato la situazione. Ne aveva solo ricevuto uno da Vincent, quella mattinata, dove chiedeva se le erano piaciute le rose.

A quale ragazza non piacciono le rose? Pensò. Ma solo se provengono dalla persona giusta.

E Vincent non poteva essere la persona giusta. Lui era parte del passato. Non poteva continuare a introdursi nella sua vita riaprendo le vecchie ferite.

Era la personificazione di tutto ciò che non voleva ricordare.

Mentre Mr Ross, alla guida, seguiva le indicazioni che gli erano state fornite per raggiungere casa Kincy, lei cercava di memorizzare i tratti di strada, con non poca difficoltà. Tuttavia da un momento all’altro il pensiero di Carter s’intrufolava nella sua mente con decisione e radicandosi lì finché lei, con fatica, non riusciva a scacciarlo.

Il viaggio era abbastanza lungo, ma a Violet il tempo non sembrava mai abbastanza: incontrarsi con un ragazzo non le aveva mai dato un’agitazione particolare – forse solo al primo appuntamento – ma quella volta le farfalle nello stomaco si facevano sentire. Il suo tormentarsi con il pensiero che doveva essere matura, moderare la quantità di parole e arrossire il meno possibile l’aveva convinta che sarebbe stata durissima farcela, se non addirittura impossibile. Più cercava di convincersi del fatto che David fosse in fondo una persona come tutte le altre, più il fatto che avesse venduto album su album insieme alla sua band e che le ragazzine di tutto il mondo stravedessero per lui già dopo così poco tempo sulle scene la faceva rendere conto della reale situazione.

Quale ragazza, al suo posto, non avrebbe cominciato a strillare di gioia? Quante altre, invece, avrebbero pensato che tutti i suoi pensieri su come comportarsi fossero idioti e futili?

Ora che ci pensava, non aveva neanche chiesto a David com’era andata realmente finire la sua lunga storia insieme ad Annabelle Jenner. Era stato meglio così, si convinse. Chissà cos’era davvero successo. Da quello che aveva capito, non era stata proprio una cosa decisa da entrambi. Ma questo era solo il suo intuito femminile, o forse la sua mania di farsi delle paranoie.

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Impaziente e girovagando per la casa vuota senza una meta, Annabelle stava aspettando una visita. La visita di qualcuno che era disposta ad aspettare anche per ore. Quando aveva ricevuto il suo sms dove diceva che aveva “bisogno” di lei, si era subito catapultata in bagno a prepararsi.

Certo, il bisogno che lui aveva di lei era puramente fisico. Annabelle era convinta che anche per lei fosse la stessa cosa. Semplicemente un fatto fisico.

Allora perché era così irrequieta?

Si recò in cucina e aprì il frigo, dal quale tirò fuori una torta al cioccolato su un vassoio. Non l’aveva cucinata lei, l’aveva comprata in pasticceria il giorno prima dopo aver visto il bell’aspetto che aveva, convinta che si sarebbe presentata l’occasione giusta per tirarla fuori. Infatti, le sembrava un gesto carino intrattenere un po’ il suo ospite con della buonissima torta, non appena sarebbe arrivato.

Il campanello suonò con il suo solito trillo.

Annabelle posò il vassoio sul tavolo e giunse alla porta con un balzo ad aprire. Ogni volta che lo vedeva le spuntava il sorriso senza che nemmeno lo volesse. La sua presenza le piaceva più delle altre, anche se lei non ci aveva mai fatto caso. «Ciao» lo fece entrare, allegra come una bambina. Lui sembrava stanco e mise via immediatamente la giacca. «Giornata stancante, vero?» chiese con reale interesse. «Immagino, specialmente…»

«Andiamo in camera tua?» domandò senza farsi troppi preamboli.

Qualcosa nel cuoricino di Annabelle si spezzò, e la sua solarità scomparve altrettanto velocemente come era apparsa. Rimase a bocca aperta, incerta su cosa dire. Lui non l’aveva né salutata né tanto meno aveva considerato la sua domanda. Lei gli aveva chiesto solo com’era stata la sua giornata, l’aveva fatto perché lo voleva sapere veramente. Ma a lui importava solo di andare in camera sua, sul suo letto morbido, fra le lenzuola fresche. Con fatica, a causa del blocco che le si era formato in gola, deglutì. «Sì, cosa aspettiamo?»

Già, cosa aspettiamo? Pensò, cercando di convincersi che non ci fosse realmente tempo da perdere in chiacchiere.

Capì però che in fondo le sarebbe piaciuto fermarsi un momento, e parlare. Di qualsiasi cosa. Di com’era stata la sua giornata, del bel tempo che faceva fuori, dei programmi spazzatura che davano in tv… Non andare subito a fare sesso. «È successo qualcosa?» le scappò la domanda. Solitamente lui non si faceva vivo, a meno che non succedesse qualcosa di particolare, sia che fosse bello o sia che fosse brutto.

Lui la guardò con un sopracciglio alzato, e indietreggiò di un passo verso la sua stanza. Aveva proprio fretta di andare. «Cosa te lo fa pensare?» Non era comunque una risposta decente.

Lei fece spallucce. Perché era sempre così disinvolta in compagnie altrui, ma lui riusciva a metterla a disagio? «Non lo so, sei venuto qui così di fretta che ho pensato…»

«No, niente di importante. Solo che oggi sono parecchio stressato e ho bisogno di scaricare la tensione. Ora possiamo andare o devi continuare l’interrogatorio?»

Sempre così. La trattava sempre nello stesso modo. «Scusami, io volevo solo sapere se andava tutto bene.»

«Sai che raramente ho voglia di parlare in queste occasioni. Altrimenti perché verrei qui?» Si guardò intorno, constatando che era, come sempre quando lui le faceva visita, da sola.

«Sì» confermò Annabelle «stasera la casa è tutta per noi.»

Sei contento?

«Sì sì certo, ma lo sai che non mi posso fermare più di mezz’ora, niente strappi alla regola. Sai, la gente rompe e dopo un po’ tutti cominciano a chiedersi che fine io faccia tutte le volte che sparisco da non si sa chi.»

Belle conosceva bene quella regola, ma pensava – sperava – che una volta ogni tanto anche lui potesse fare un’eccezione. Forse il problema era lei. Fu pervasa da un vago senso di delusione. Se non c’era lui, quella sera nessuno avrebbe potuto tenerle compagnia. Sapeva che se avesse posto il problema a lui però, le avrebbe risposto qualcosa come che doveva prendersi un cane, come già aveva fatto altre volte.

Almeno i cani non abbandonano il padrone per tornare solo quando ne hanno voglia.

«Senti, io…» voleva dirgli che comunque aveva una buonissima torta di là e che se voleva poteva accomodarsi. Ma lui le aveva già comunicato le sue intenzioni, e poi non terminò neanche la frase perché lui si avvicinò, cingendola con le braccia e baciandola. Il bacio di solito era una delle cose di lui che ad Annabelle più piacevano, ma allo stesso tempo una di quelle che più odiava.

Lui li sapeva mascherare perfettamente da baci dolci e passionali, cosa che invece non erano. Sì, era anch’egli molto bravo nella finzione, a quanto pareva.

Premeva le labbra contro le sue in una maniera che Annabelle adorava. Forse alla fine erano come tutti gli altri baci, ma era la persona a renderli diversi per lei.

L’ho capito da tempo che i tuoi baci sono solo per tapparmi la bocca…

E quando le loro lingue finalmente s’intrecciarono, Annabelle capì che non ci avrebbe più capito niente, e avrebbe fatto tutto quello che voleva lui.

Anche per oggi sono tua.

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Le labbra di David si stavano posando lievi come una farfalla sulle sue, quando Violet si svegliò bruscamente. «Sveglia tesoro, siamo arrivati» la svegliò sua madre dal sedile del passeggero anteriore.

Violet si massaggiò la fronte. No, non doveva assopirsi in auto, ma come aveva fatto? Sbadigliò, tirando fuori un piccolo e pratico specchietto dalla borsa per controllare se il suo viso era ancora tutto okay. La sonnolenza le aveva lasciato una strana sensazione per tutto il corpo, e passò qualche secondo prima che la sua mente tornasse del tutto lucida.

Suo padre, alla guida, stava parcheggiando la Bmw quando lei si ricordò perché era in quell’auto. Ma certo, era sabato. Aveva aspettato quel giorno per tutta la settimana. Guardò l’orologio: non era ancora ora di cena. Affatto; il sole stava cominciando a tramontare adesso. «Siamo in anticipo?»

«No, siamo in perfetto orario» fu la risposta.

Poteva significare solo che aveva maggior tempo per stare con David.

E dai Violet, non puoi gioire come una bambina per ogni secondo in più che puoi passare con David. Non è il tuo ragazzo e non t’interessa neanche. Vero?

Una volta scesa dall’auto, sua madre le passò di fianco. Ricevette una dolce zaffata che proveniva dalla figlia. «Dio, Violet, quanto profumo ti sei data?»

Oooooops.

«Ma che dici? Ne ho dato giusto due spruzzi!» Appoggiò il naso sui vestiti, anche sulla felpa di Terry, per sentire se davvero l’odore era così forte. Imprecò tra sé e sé. «Sul serio si sente così tanto?»

Mrs Ross strabuzzò gli occhi. «E direi, ti si sente lontano un miglio.»

Ma bene.

Ormai non poteva farci niente. Tanto la maggior parte del profumo proveniva dalla felpa, che avrebbe tolto non appena entrata in casa.

La casa non dava nell’occhio, non era una di quelle grosse ville che ci si aspetta di vedere in proprietà ai personaggi famosi. Non aveva la piscina, non aveva tre piani e non era così vasta come Violet se l’aspettava. Anche se adesso bisognava vedere l’interno.

Si stava mettendo a posto i lunghi capelli lisciati con la piastra, sistemando una ciocca di lato con una molletta. Chiuse gli occhi respirando profondamente, più agitata di una bambina il primo giorno di scuola. Bene Violet, è ora di svegliarsi dal mondo dei sogni. Benvenuta nella realtà.

Mr Ross suonò alla porta.
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In quel groviglio di lenzuola tra le sue braccia, Annabelle si sentiva del tutto protetta. Avevano avuto una ventina di minuti di attività, poi avevano smesso.

Mi rimangono altri dieci minuti.

Adesso lui era sdraiato che fissava il soffitto, con Annabelle vicino, e lei voleva solo sentire il calore del suo corpo. Doveva anche trovare qualcosa di cui discutere in quel poco tempo rimanente. «Mi sembra di capire che a ragazze vada piuttosto male.»

Lui ridacchiò. «Aha, spiritosa. No, non va male, ma tu mi basti.»

Annabelle si sentì d’un tratto importante, e il cuore le si colmò di una gioia sconfinata che cercò di trattenere. Poi però questa sensazione sparì. Sapeva cosa intendeva: stava parlando del sesso. A lui bastava quello, non aveva bisogno di qualche romantico bacetto.

«Come procede con il tuo ex?»

Per una volta era lui a continuare la conversazione, introducendo un nuovo argomento. «Oh, bene. Non mi vuole parlare.»

«Ci credo, dopo che ti sei fatta beccare in giro con un altro! Ma come ha fatto a non accorgersene prima? Doveva essere proprio cieco per non vedere che hai ragazzi che ti sbucano da tutti gli angoli. Comunque sia, hai ancora intenzione di rimetterti con lui?»

Be’, sai com’è, non mi sembra di avere molta altra scelta. «Sì, ho bisogno della sua presenza, sai il motivo. Presto sarò su tutte le copertine. Ti dà fastidio?»

«Cosa, David Kincy o il fatto che tu sarai presto sulle copertine?»

Teneva troppo a finire sulle copertine per chiedere a qualcuno se gli desse fastidio. «Mi riferivo a David.»

«No, no, puoi fare quello che vuoi. Io non so niente. Però non deve sapere di noi, questo mi pare ovvio.»

Ma certo che non gli dà fastidio. Cosa gliene importa, di me? «No, puoi fidarti. Succederebbe un putiferio e i mass-media creerebbero sicuramente della pubblicità negativa su di me, se stavolta David andasse a raccontare tutto quanto. So che farebbe molto scalpore.»

Non sembrava convinto. Si spostò indietro i capelli con un gesto, studiando tutti i poster dei Bright04 appesi ai muri che conosceva perfettamente a memoria. «È che… non sarebbe meglio cercare di farla finita con lui? Così almeno non ti manderei nessun messaggio con il timore che lui possa essere lì e sai… leggere.»

Lei sbuffò. «Non posso, te l’ho appena detto. Essere sulle copertine è il mio obiettivo principale. Ma non voglio che sia perché ha scoperto di nuovo che l’ho tradito. Tranquillo, so quello che faccio. Sono matura e intelligente.»

Non appena lei cercò il suo contatto, lui si scansò e fece per alzarsi e rivestirsi. «Si è fatto tardi, devo proprio andare adesso.»

Lei tentò di opporsi. «Ma come, ancora non è passata mezz’ora!» Cercò di rendere il proprio tono più suadente. «Abbiamo ancora tempo, approfittiamone finché siamo ancora così.»

Lui scosse la testa. «No, no, mi dispiace, ma prima torno a casa e meglio è per me.»

Da un po’ di tempo Annabelle stava pensando se porgli quella domanda o meno. Tentar non nuoce, si diceva, ma era il caso? Stava per aprire bocca, quando ci ripensò. Gli chiese invece un’altra cosa. «Tornerai anche la settimana prossima?»

Lui era pensieroso. «Se avrò delle altre giornate così stressanti, forse anche prima. Comunque ti avviserò per tempo, non preoccuparti.»

Adesso Annabelle aveva almeno un pizzico di speranza. Si batté una mano sulla fronte. Ora basta, non doveva comportarsi come se avesse una cotta per lui. Doveva prendere la propria situazione seriamente: la sua priorità era quella di rimettersi con David.

«Sicuro di dover andare?» fece un ultimo tentativo.

«Sì» rispose senza esitare lui, già vestito e pronto per uscire.

Delusa da come si erano svolte le cose, Annabelle si rannicchiò tra le coperte, udendo l’altro che la salutava distrattamente e che, come se fosse a casa sua, usciva dalla sua vita anche per quel giorno.

Intanto, in cucina, la torta al cioccolato attendeva. Belle si rivestì lentamente e con svogliatezza, poi uscì anche lei dalla stanza e, dopo essersi accertata che non ci fosse più nessuno dentro oltre a lei, si fiondò sulla torta e non poté fare a meno di mangiarne due fette abbondanti, un pesante silenzio che incombeva su di lei, tutt’intorno.

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Jade’s place:

 

Siccome mi è stato richiesto, per oggi c'è un bel regalino per voi. E' ovvio che lo stile musicale dei Bright04 ve lo potete immaginare come volete, potrebbero suonare rock, punk, pop o tutto quel che volete, ma vi darò qui il link della canzone che mi ha ispirata per loro (e, anche se in molto minima parte, anche la stessa band):

Your love is a lie (tra parentesi... questa sarebbe una bella canzoncina che David potrebbe dedicare ad Annabelle xD).

Ammetto che questo è uno dei miei capitoli preferiti. Abbiamo una Violet un po’ frivola, ma comprendetela, la situazione a mio parere lo richiedeva. Non poteva, secondo me, arrivare a casa della sua star preferita calma e tranquilla, tutto rose e fiori. Mentre dall’altra parte, ci siamo focalizzati un po’ di più sui pensieri di Annabelle, che abbiamo avuto modo di vedere grazie a questo ragazzo misterioso che è venuto a farle visita…

E non credo nemmeno che ve ne siate accorte, perché quella era la mia intenzione, ma è appena stato attivato un meccanismo che andrà ad incasinare tutta la storia, molto presto! :D vi attendo al prossimo capitolo, mie care lettrici<3 lasciate un commentino, mi sento forever alone T-T okay ciaoooo!

Jade

PS: guardate, ho pubblicato una nuova storia :D si chiama Rebirthing Now, e ne approfitto per ringraziare anche qui coloro che l’hanno letta perché ha avuto un successo che non mi aspettavo. ;D

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