Evelyn;

di Linn_CullenBass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 : green eyes ***
Capitolo 2: *** capitolo2: An invisible Chuck ***
Capitolo 3: *** capitolo 3: it isn't easy ***
Capitolo 4: *** capitolo4:i need to talk ***
Capitolo 5: *** capitolo 5: I met her. She's beautiful ***
Capitolo 6: *** Capitolo6: I always have an idea ***
Capitolo 7: *** capitolo 7: I'm not so immature ***
Capitolo 8: *** capitolo 8: help me to find her ***
Capitolo 9: *** capitolo9:OMG ***
Capitolo 10: *** capitolo9:OMG(parte seconda: Where is Dan Humphrey?) ***
Capitolo 11: *** capitolo10:I'm sorry, I try ***
Capitolo 12: *** capitolo11:news ***
Capitolo 13: *** capitolo 12: Silk. ***
Capitolo 14: *** capitolo13:Morning ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Project and coffe ***
Capitolo 16: *** capitolo15: Some tears help the brave ***
Capitolo 17: *** capitolo16:new life, same love. ***
Capitolo 18: *** capitolo17:Don't let me stay here alone ***
Capitolo 19: *** Capitolo19: A night ***
Capitolo 20: *** Capitolo20:Trust me. ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 : green eyes ***


                                    CAPITOLO 1:

                                                    GREEN EYES

 

«spesso incontriamo le persone di cui abbiamo bisogno, ma le ignoriamo»





Seduto sulla panchina del parco, me ne stavo con lo sguardo perso nel vuoto.
Monkey giocherellava con la neve, attirando occhiate di bambini innocenti, che si avvicinavano spesso per accarezzarlo.
Un cane. Un cane  che ormai aveva più di 5 anni. Un cane che mi aveva lenito ferite che sembravano non volersi rimargirare, che continuavano a sanguinare. E l’avevano fatto per anni, ancora.
Anni in cui provavo di tutto. Anni in cui avevo continuato a scappare, a rifugiarmi, in ogni parte del mondo. Argentina, Italia, Russia…. Evitando la Francia, di volta in volta. Tirai fuori una boccetta di whisky dal cappotto firmato, stirato ad arte. Perfetto.
Ne buttai giù un sorso, poi un altro. Tirai un sospiro. Rimasi a fissare il fumo che usciva dalla mia bocca ad ogni soffio, nel freddo invernale di New York.
Rimasi lì tutto il pomeriggio, osservando i gruppo di ragazzine che mi fissavano passando di lì e scuotevano la testa.
-Non è possibile…- mormorai, guardando in basso. 5 anni. 5 fottutissimi anni in cui ogni adolescente, tra i 14 e i 18 anni, passando, mi rigirava un’occhiata provvista di commenti agli amici. Ed ogni commento, ogni santo commento, mi ricordava quei maledetti giorni. Giorni che preferivo dimenticare.
Ricordo che, in particolare QUEL giorno,  Nate mi aveva chiamato, da Monaco, disperato e annoiato. Con solo Humphrey a fargli compagnia. Ed io, gentilmente, avevo rifiutato l’offerta con la singolare eleganza che mi aveva sempre contraddistinto.
Mi alzai dalla panchina e, sospirando lentamente, iniziai a dirigermi verso la via di casa.
Improvvisamente sentii qualcosa tirarmi un lembo del cappotto viola.
- Tu as un beau chien -. Era una vocina squillante, come un leggero scampanellio.
Tenera e piccolissima, una bambina di circa 5 anni, mi fissava con i suoi occhioni verdi scuro.
I capelli erano soffici, scuri, color cioccolato. Le ricadevano dolcemente come un’onda delicata sulla schiena. Con la pelle rosea e le labbra rosse, la bambina si era voltata verso di me, mostrandomi un delizioso baschetto rossiccio, il cappottino firmato, la sciarpa e gli stivaletti di vernice rossa. “Alta società”, pensai.
-merci- le risposi, accennando un debole sorriso. E lei mi rispose altrettanto.
E in un attimo tutto ciò che avevo intorno di fece nitido.
Il cuore, freddo, ghiacciato, di pietra, di “Charles Bass” tornò quello di “Chuck”, preso da un piacevolissimo torpore, non fastidioso. E io mi sentii bene. Sollevato, trovai la forza per accennare un altro sorriso, questa volta più marcato e sincero.
- Evelyn!- gridò qualcuno. Una voce maschile.
In un momento il sole si spense su di me, facendomi tornare nella mia mezzanotte privata.
Il suo sorriso si spense e disse:
-Je doit aller – mi salutò con la mano.
Ancora un richiamo. Eppure mi sembrava di ricordare quella voce.
Ma non riuscii a collegarla a nessuno dei miei conoscenti o amici. Così mi voltai per guardare, per fissare ancora una volta la bimba. Eppure, vidi soltanto una piccola figura disperdersi tra le strade imbiancate di Manhattan, mano nella mano con un uomo, del quale ignoravo l’identità.

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Capitolo 2
*** capitolo2: An invisible Chuck ***


                                                           Capitolo2:                        

                                              
                                                    An invisible Chuck

 
 
    « A volte ritornano.»
 





 
POV SERENA.
 





 
Il telefono squillava. Pareva impazzito, non smetteva più. La canzone che avevo messo come suoneria ricominciava, senza fermarsi mai. Ed io, troppo occupata,  premetti il tasto verde senza guardare chi mi stava chiamando.
- Esse… -
Ed ovviamente, la riconobbi subito. Blair Waldorf, la mia migliore amica… da sempre. Era andata a vivere a Monaco, con la sua nuova famiglia e sua figlia, una bambina di 5 anni molto più che carina. Tuttavia, nonostante fossi la “madrina”, l’avevo potuta vedere solo in fotografia, vista l’impossibilità di poter portare la bimba a New York. Ordini della principessa Sophie. Guai a chi la contraddice.
-Blair!! –
La ragazza lesse il mio entusiasmo praticamente subito, e rispose con la stessa felicità che mi riempiva il cuore.
- Ho una cosa da dirti…-
Fu la frase che mi fece incuriosire.
- Di cosa si tratta? -
Probabilmente il mio interesse la spiazzò, perché non rispose per qualche minuto.
- Ci vediamo a casa mia, alle 3… -
Casa sua? Perciò era tornata?
Il cellulare mi cadde dalle mani. 5 anni. Dopo 5 anni, finalmente, la regina dell’ Upper East Side tornava dal suo “Popolo”, come principessa di Monaco.  E non c’era nulla capace di togliermi quell’entusiasmo che mi riempiva totalmente, dal midollo fino alla punta dei capelli. E poi, era la mia migliore amica. Abbiamo litigato, ci siamo tirate i capelli, ma le volevo  bene. Le volevo molto bene. L’avevo lasciata andare, a stare sotto gli ordini della famiglia reale, impotente. Adesso l’avevo di nuovo con me, e non avrei perso del tempo prezioso.
Così mi cambiai, veloce quanto soltanto una ragazza che vuole riprendersi qualcuno che ama può essere.
La limousine mi aspettava di sotto, Blair me l’aveva mandata, ne ero certa.
Ero euforica.
Volevo vederla, volevo vedere la bambina. Una bambina deliziosa, a parere di Dan, che, non avendo impegni, era andato a trovarle. E allora, dovevo anche io, no?
Dopo aver raccolto il cellulare, ricevetti un’altra chiamata.
Guardai il mittente, e non potei che sorridere. Chuck Bass. Quanto tempo era che non lo sentivo?
- ciao, hai deciso di tornare a vivere e ad essere considerato tale, o preferisci ancora restare nell’ombra per un po’?-
Chiesi, ironicamente. Sebbene negli ultimi anni gli avvistamenti di Chuck erano sporadici a Manhattan (non per nulla nessuno sapeva mai dove fosse) non mi interessai più di molto ad un’ “accoglienza calorosa”.
- non sto mai nell’ombra… dovresti saperlo. -
Mi sedetti un po’ più comoda sulla limo dagli interni di morbida pelle beige.
- che vuoi Chuck?-
La domanda  risultò molto più acida di quanto la volessi. E lui lo notò.
E il povero Bass, già solo, in un mondo come quello di New York, si sentii ancora più amareggiato. Lo percepii dalla sua risposta.
- Nulla. Solo… sono tornato. –
E volli rimediare.
- Verrò a trovarti tra…- guardai il Rolex Woman al mio polso, luccicante, brillante…
-1 ora andrà bene.-
-grazie- la sua risposta sembrò addolcita, mentre io mi dirigevo verso una nuova Blair, senza sapere chi  o che cosa avrei trovato.

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Capitolo 3
*** capitolo 3: it isn't easy ***


                                      CAPITOLO 3:  

                                                    IT ISN'T EASY






  «Amore e felicità sono solo parte di ciò che ti riserva la vita. »




  
Bussai alla porta di casa Waldorf, tesa e un po’ preoccupata. Ma, a dire la verità, anche un po’ sovraeccitata. Blair, mi mancava moltissimo. Sorrisi, al pensiero di Evelyn, la mia “nipotina” sconosciuta.
Appena la porta si aprì, Dorota mi buttò le braccia al collo. Da 5 anni a questa parte, e anche lei si era trasferita nella prestigiosa dimora di Monaco insieme a Blair, da fedele compagna che era.
Si rimise a posto il grembiule, i capelli, e mi abbracciò nuovamente. Le rivolsi un sorriso di cuore.
Era la prova, la certezza, che la mia migliore amica era lì, a due passi da me. Ma ancora non la potevo vedere. Chissà come era cambiata…
- Miss Van Der Woodsen … !-
Esclamò la domestica, infine.
-Dorota!-
-Come sta? Spero bene… l’accompagno… la signorina Waldorf la sta aspettando!-
Iniziò a parlare freneticamente, con una velocità tale che era difficile seguirne i discorsi. Ed io non potei che seguirla, cercando di ascoltarla.
Nella sua camera, saliti gli scalini dell’ importante loft, una ragazza se ne stava seduta sulle coperte pregiate di tessuto francese, rosso carminio.
Girata di spalle, Blair, aveva un vestitino bianco, d’organza. O almeno così mi sembrava.
Dorota mi fece cenno di entrare, con la testa.
E non appena varcai la soglia della sua camera, la vidi voltarsi.
Il tempo era passato. La bellezza di Queen B, invece no. I suoi lineamenti, quasi perfetti, erano sempre gli stessi. Nessun segno dell’età che avanzava, dei suoi 25 anni, si vedeva. Nessuna ruga le rigava il viso. Era identica a come l’avevo lasciata.
E questo mi metteva a mio agio più di quanto avevo immaginato.
L’unica cosa che mostrava righe sul suo viso, era un sorriso ampio e solare che si allargava man mano che mi avvicinavo. Vedevo la sua felicità, e ne ero entusiasta.
Poi, abbracciandola, riuscii a vedere i suoi occhi. Non erano in armonia con il resto del volto, ancora incurvato nell’eco di un sorriso. Erano lucidi. Gonfi.
Il segno del pianto.
E Blair, che ormai mi conosceva come le sue scarpe, mi allontanò.
- Blair!!!!!!!-
Riuscii finalmente a dire qualcosa.
-  serena!! -
Trattenne le lacrime. Ma ero sicura non fosse per l’amica ritrovata, ovvero me. No. Era sicuramente per qualcos’altro… qualcosa che ancora mi doveva raccontare.
- mi sei mancata! Mi sei mancata troppo, B! –
La costrinsi ad un altro abbraccio che lei ricambiò.
-incredibile- disse, all’improvviso. – Non sei cambiata di una virgola- .
Mi stava scrutando, sbattendo le palpebre e guardando a destra e a sinistra, in modo veloce.
- beh, nemmeno tu…- scrollai le spalle.
Poi presi la borsa. Mi stavo dimenticando di una cosa.
Nel tempo che precedeva il ritorno di B, (perché si, sapevo che sarebbe successo) mi ero impegnata a ricercare vestitini, giocattoli, scarpe… per la bambina.
Ancora mi sembrava impossibile che Blair fosse madre. Non me ne rendevo conto, perché non ce la vedevo.
-Dorota…-
Chiamai. E lei accorse, ovviamente. Faceva tutto ciò che Blair o le sue amiche (sempre che le stessero simpatiche) le dicevano.
- Ho lasciato delle buste di sotto… me le andresti a prendere?-
Abbassò la testa in segno positivo e si recò di sotto.
Nel giro di 6-7 minuti era di nuovo in stanza con noi, che, nel frattempo, stavamo chiacchierando di cosa era successo in 5 anni.
E di cose ne erano successe, santo cielo.
Nate, ormai a capo di una rivista importante, stava con una certa “Charlotte”. Non l’avevo mai vista, dopotutto. Ma ne cambiava una quasi ogni mese, comportandosi come “playboy”.
Dan, dopo il successo di “INSIDE”(Film e libro), aveva dovuto scrivere il sequel, diventando famosissimo, in tutto il mondo. Ed io, comunque, avevo intrapreso una relazione con lui, nel momento in cui Lily e Rufus si erano lasciati per un tradimento di lui. Ma si amavano, ne ero sicurissima.
Di Chuck, invece, non sapevo nulla. Ero a conoscenza del fatto che se ne andasse in giro per il mondo ad ubriacarsi e a conoscere ragazze da portare a letto. Sapevo che Monkey era  sempre con lui, e aveva perfino una “casetta” tutta sua. Davvero, non una “cuccia”. Una “casetta” vera e propria. 20mq di casa per un cane. Che cosa stupida.
Ma era sparito. Se ne stava da solo, sempre. E nemmeno Nate ormai gli stava più intorno. Mi dispiaceva, ma aveva combinato disastri abbandonando le industrie Bass a mia madre in un momento di debolezza.
-Guarda … !- le mostrai il vestitino Dior, bianco, portato per la bambina.
Non appena iniziai a tirare fuori i cappellini, i guanti, le scarpe, i cappottini e ogni cosa per Evelyn, abbassò lo sguardo, in preda ad un dolore che sembravo non capire.
- Che succede, B?-
Le misi una mano sulla spalla.
- niente…-
Continuava a non fissarmi.
- Tutto bene con Louis?-
Mi fece cenno di no. Aria di crisi? Lei e la sua favola erano destinate a finire?
- Blair… ma che…?-
Si buttò su di me, in lacrime. La sentivo singhiozzare, e, impotente, riuscivo solo a provare a consolarla.
E lei continuava a non dirmi nulla. Per difficoltà, a parlare.
Presi fiato e le dissi:
- Blair, che è successo a Monaco?- il suo sguardo mi fece intuire che la storia che mi stava per raccontare avrebbe avuto un finale orribile.

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Capitolo 4
*** capitolo4:i need to talk ***


                                                                    CAPITOLO 7:   
     
                                                     I need to talk.

 

 
« I ricordi dolorosi sono proprio quelli che ti fanno capire di aver vissuto davvero.»







 
La poltrona del lussuoso hotel Bass era morbida, comoda. Utile a pensare.
Aspettavo Serena dando occhiate fuori dalla finestra. Strapiombo sulle strade di New York. 25esimo piano.
Scossi la testa.
Il bicchiere di scotch nella mia mano destra mi chiamava, attirandomi a se. Portai le labbra al bicchierino di vetro, e Monkey iniziò a giocare intorno a me.
Muovendomi feci cadere lo scotch. Il vetro era sparpagliato per tutta la stanza, l’alcool emanava un odore forte, e si espandeva, a macchia, sul pavimento.
-Stupido cane.- mormorai.
Poi, subito ci ripensai. Iniziai ad accarezzarlo sul muso, ed egli sembrò illuminarsi.
Dopotutto, era l’unica certezza che avevo.
Chiamai Felicity per pulire, e andai in camera mia a cambiarmi. Improvvisamente sentii la porta aprirsi.
- Signor Bass… la signorina Van Der Woodsen è qui- . 
La voce tremolante, insicura. Non sapeva se farla entrare o no.
- Si.- dissi secco. Mi misi a posto la cravatta e mi preparai ad accogliere la mia sorellina.
- Chi non muore si rivede – i tacchi alti rimbombavano nell’enorme loft. La sua voce, sicura e decisa come sempre, sembrava però essere più matura.
- lo dovresti sapere.- era ormai davanti a me. E accarezzava Monkey come segno di saluto.
- torno sempre- . completai la frase e mi sporsi ad abbracciarla. Qualcosa la frenò, e non allargò le braccia. Un attimo di smarrimento.
- per quel che ne so, Chuck, non è mai certo nulla con te. –scrollò le spalle.
Abbassai lo sguardo, preso dallo sconforto.
-  Perché sei venuta allora?- non osavo guardarla negli occhi. Li avrei trovati arrabbiati, infuocati.
Lily lo sarebbe stata.
Arrabbiata come non mai per aver abbandonato nel nulla le industrie Bass. E come tutrice se n’era caricata le responsabilità.
Mi dispiaceva, ma non ero in me in quel momento. Non ero in grado di gestirle. Troppi ragionamenti che avrei sbagliato.
- Perché rimani sempre e comunque Chuck. -
Dove voleva arrivare? Cosa voleva dire? Che senso aveva? Essere Chuck o meno, aveva importanza? Se fossi stato Nate non sarebbe mai andata, perché sapeva che era più responsabile e meno “bambino” di me?
Mi sentii in colpa.
La balia, credevo non mi servisse.
- e sei mio fratello.-
Abbassai lo sguardo, di nuovo. L’impossibilità di utilizzare un contatto visivo.
- e ti voglio bene. -
Finalmente si sedette vicino a me per abbracciarmi. Ne avevo terribilmente bisogno.
Nate se n’era andato.
Lily ce l’aveva a morte con me.
Humphrey non era esattamente la prima persona che avrei voluto vedere.
Me ne restava soltanto uno… il mio cuore assente.
Il mio cuore che mi corrodeva da dentro. Il mio cuore che faceva tanto male solo a pensarci.
Chissà come stava, ora, il mio cuore…
Non avevo notizie, nulla. Mi rifiutavo di sfogliare giornali, leggere gossip girl, con la paura di trovare notizie che non mi sarebbero piaciute.
Stupido, sì.
Chissà se, dopotutto, era felice. Con il suo principe azzurro, il suo piccolo regno, e la sua bimba.
Che bimba bellissima deve avere. Scommetto che è uguale a lei. Mi uscì un piccolo sorriso.
- Come stai?-
Mi chiese, incerta.
Come stavo? Non lo sapevo neppure io. Cosa avevo dentro? Litri e litri di acido.
Ce n’era a vagonate. Entrava nelle vene ustionandomi, friggendo ogni parte che valeva la pena salvare di me. Ormai, non avevo più nulla.
- Non lo so. -
La mia risposta fu tremante, insicura. Quasi fossi sul punto di piangere.
- è passato troppo poco tempo.-  le parole mi uscirono dalla bocca senza che io ci facessi particolare attenzione.
- 5 anni, Chuck. È una frazione di tempo ragionevolmente lunga per passare oltre, per trovarti un’ altra ragazza.-
Era alzata, ormai. Gridava. La sua voce fece girare Felicity, ancora intenta a pulire.
- è una frazione di tempo ragionevolmente lunga per abituarsi all’idea. - la contraddissi.
Mi guardò in modo strano. Quasi non capisse a cosa mi riferissi.
- Tu non puoi capire, cosa vuol dire. Cosa significa avere un amore irraggiungibile. Averlo avuto, desiderarlo ancora, con tutto il cuore. Non poterlo avere. Sentirsi morire dentro ogni volta che senti il suo nome, ogni volta che vedi i giornali ritrarre la sua foto con…-  serrai i denti. La volgarità era un tratto che non mi apparteneva.
- come puoi dire che non lo capisco? Hai dimenticato cosa ho passato con Dan?- scossi la testa. Davvero non lo capiva? Era ottusa, maledettamente ottusa.
- tu vuoi davvero paragonare me e Blair a te e Dan? Questo dimostra che non hai capito nulla!- scosse la testa. Lei, questa volta.
Poi mi prese il braccio e mi disse:
- Hai bisogno di parlare, Chuck. Hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a superare tutto questo una volte per tutte.- la mia risposta arrivò dopo silenzi.
- Ho bisogno di parlarne con qualcuno- ammisi, a testa bassa. Chuck Bass debole. Chuck Bass codardo. Chuck Bass che ha perso se stesso e lo sta cercando nelle profondità della sua parte più nascosta. Ecco chi ero in quel momento.
- a proposito.- disse, alzandosi dal divano.
- Io credo che non sia così lontano e irraggiungibile il tuo amore.- sorrise. – prova a chiamarla.-
Sebbene non capii cosa volesse dire presi il biglietto che mi aveva appena lanciato.
BLAIR WALDORF
Il suo nome risuonò in me come una tempesta.
Possibile che mi stesse prendendo in giro?
Si stava legando la sciarpa al collo, ma l’ultima frase che udii fu:
- Fidati di me, Chuck, anche lei ha bisogno d’aiuto.-
E la porta si richiuse dietro di lei.

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Capitolo 5
*** capitolo 5: I met her. She's beautiful ***


                                      CAPITOLO5:

                                        I MET HER. SHE'S BEAUTIFUL.


«spesso il destino ci ficca lo zampino»


 

POV CHUCK.
Presi il telefonino in malo modo.
Poi lo buttai sul divano. Era già la quinta volta che facevo così. Mi misi una mano in fronte, ed incominciai a pensare se davvero potevo farlo. Se davvero potevo chiamare Blair, dopo anni di assenza. Eppure…
La sensazione di sentire la sua voce, ancora impressa dentro me in modo permanente, mi portò in cima alle nuvole. Se solo avessi avvertito la sua presenza, mi sarei sentito leggero, forte. Come un tempo. Come al liceo. Come quando lei era ancora mia. Lame affilate mi colpirono. L’imperfetto mi faceva rabbia.
Ma ora lei era lì, a Monaco, con quel pagliaccio. Con un altro. Con un principe.
“okay, no, non posso chiamarla”, pensai.
Così mi alzai, mi misi il cappotto e uscii di corsa da lì. Prima, però, presi il telefono.


POV BLAIR
Ero sdraiata sul letto che fissavo una foto della mia bambina. Guardavo i suoi capelli color cioccolato, morbidi. Vedevo i suoi occhi verdi scuro, bellissimi. Intrisi di tanta innocenza che quasi mi dava la pelle d’oca. Sapevo il mondo in cui vivevo. Ero a conoscenza della mia situazione. Sapevo a cosa andavo in contro.
“eppure questo bambino è nato da un gesto d’amore. Voglio tenerlo” ecco cosa avevo detto a Dan.
Fissavo il cappottino, le scarpine. Tutto minuscolo. Tutto di una piccola bimba, una piccola principessa di soli 5 anni. Che parlava poco, e francese. Che non conosceva quasi per nulla l’americano. La principessa mi aveva impedito di portarcela, in America.
E infatti…
Mi portai le mani al viso, disperata. Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto, violente, impetuose. Facevano male come schiaffi. Blair Waldorf,  la ragazza più forte di New York, piangeva come una bambina sul suo letto. Sul letto che tanto le era mancato, il letto di casa sua.
Poi con l’indice della mano destra toccai il volto di Evelyn dalla foto. E dovetti guardare in alto per non ricominciare a piangere.
Ecco. Il profondo legame tra un figlio e la propria madre. L’amore incondizionato di una madre per la propria bambina. Ora potevo capirlo. E avrei voluto viverlo, ricoprendola di baci, di abbracci. Facendola sentire amata.
Guardai per l’ennesima volta la foto.
Aveva il minuscolo e pallido indice in bocca, intimidita.
- Maman!- aveva detto, non volendo la foto. E io invece continuavo a insistere, volendola poi far vedere a  Serena, Dan ( che spesso veniva a trovarci, con mio grande piacere) e a mia madre e Cyrus, di fatto “nonni” della bimba.
Lei me l’indicava spesso, nelle lunghe e noiose serate a Monaco, in cui Louis e la sua famiglia discutevano d’affari. Io e lei ce ne stavamo nel “lettone”, insieme, a sfogliare vecchie foto. Una avvinghiata all’altra.
Già lì avevo capito che non andava, tra me e Louis. Dopo i primi tempi aveva iniziato a trascurarci. Ed io, a sentirmi oppressa in quel palazzo fin troppo piccolo.
Evelyn voleva uscire, fare qualche giro fuori da Monaco, da sola… o con me… a fare una passeggiata. Ma no, ovviamente. Non ci avrebbero mai lasciate.
Mi aggrappavo a lei con la stessa foga di un naufrago che si aggrappa ad una scialuppa.
Mi serviva. Mi salvava. Era tutto per me.
Poi decisi di uscire.
Così mi feci forza, mi alzai, mi misi il cappotto bianco che tanto adoravo uscii dalla mia stanza.
-Dorota, io esco.-
Le dissi, senza nemmeno guardarla negli occhi.
- Sicura?- si era avvicinata. Sapeva le mie condizioni.
- si. Non aspettarmi.- e presi l’ascensore, scendendo sempre più in basso.



POV CHUCK.
Camminavo per le strade di Manhattan. Le passeggiate facevano bene a chi voleva soltanto un po’ di tempo per pensare. Monkey trotterellava allegro, sul marciapiede. Ogni tanto si fermava. Che Nervi…
Le vetrine scintillavano nella notte di New York, punteggiata di colori e luci. “ la città che non dorme mai”. Ed io, in effetti, non avevo mai veramente dormito negli ultimi tempi.
Avevo bagnato il cuscino di lacrime che preferivo rimanessero chiuse in quella stanza, durante quelle notti. Avevo lasciato che il ricordo delle sue mani intrecciate inevitabilmente alle mie, mi distruggesse, sentendo l’assenza e il vuoto.
Ma dopotutto ero un masochista.
Mi piaceva il dolore, mi piaceva farmi male da solo.
Durante quelle notti la cercavo, nei sogni. Sogni che si tramutavano in incubi al solo pensiero che non l’avrei mai più riavuta in dietro.
Che sarei rimasto per sempre solo. Che nessun’ altra sarebbe riuscita farmi felice come lei.
Passavo così le mie serate, spesso. Tra qualche super-alcolico e tante lacrime, aldilà di quello che tutti raccontavano.  
Camminavo lentamente, con le mani in tasca. Il guinzaglio del mio fedele amico  era legato al mio polso, che fuoriusciva dal cappotto. Troppo freddo.
Ma era l’unico momento in cui ero davvero solo con me stesso, perciò non mi pentivo delle mie passeggiate notturne.
Improvvisamente, però, accadde qualcosa d’ imprevisto. Mi fermai, di scatto. Quasi non mi cadde anche il lungo laccio rosso. Monkey tirava, ed io, invece, ero lì. Fermo come un’ idiota. Non sentivo nulla. Soltanto la sensazione che qualcosa dentro pungesse. Era come se davvero fossi accoltellato. Come se mi avessero sparato, di nuovo.
Mi sentii barcollare, ma mi limitai a stringere i denti senza fare un passo, per vedere se ciò che avevo visto era davvero reale o solo uno stupido scherzo della mia fervida immaginazione.
Con tutto il mio cuore, a brandelli, speravo fosse la prima.
Masochista, l’avevo già detto.
Vedevo il cappotto bianco. Vedevo le scarpe alte. Bianche.
Vedevo il suo viso. Un altro coltello. Un’altra pugnalata, talmente forte che sembrò volermi uccidere.
-va’… -mormorai a Monkey. Nel frattempo, anche lui s’era bloccato. Non voleva andarsene.
Aveva visto un angelo, il MIO angelo, e non voleva andare via, una volta rimasto ammaliato.
Poi si voltò. Uno sguardo che mi sciolse l’anima. L’acido iniziò a fluire nelle vene più forte del solito.
Faceva male.
Mi stava venendo in contro. Mormorava il mio nome, lentamente, piano. Il suo passo frenetico, per venire da me. Non sapevo che aspettarmi. In 5 anni, non mi ero più abituato alla sua bellezza, ai suoi lineamenti così perfetti…
-Chuck.- il mio nome risuonò più bello, uscito dalla sua bocca. Dalle sue labbra soffici, che non smettevo un minuto di fissare. Se l’avessi guardata negli occhi sarebbe stata la fine.
Mi alzò il viso con le sue mani fredde.
-    Blair. –  mi uscì secco.
-come… come stai? – sembrava interessata, davvero.
- Bene. Tu? La tua favola? Come sta la bimba? Sai, un giorno dovrai mostrarmela. – accennai un sorriso. Falso, costruito, ancora mi stava sul volto.
- Male. Male e… non lo so. – la sua espressione si fece frustrata. Le sue mani si posero sulla fronte e vidi delle lacrime rigarle il volto. Che cos’era? Che cosa significava?
- Blair… ma che fai? Piangi?- sembravo acido e retorico. Anzi no, lo ero proprio. Stava vivendo la sua fiaba, no? Aveva un principe azzurro, aveva un bambina … insomma, il meglio. Perché piangeva? Perché farlo ora, se si ha tutto ciò che di meglio si può avere al mondo?
Tutte domande che non osavo porle. Tutte domande che mi colpivano la testa una ad una. Mi trituravano il cervello dalla curiosità. Volevo disperatamente sapere cos’era successo.
Oppure…
Che cosa le aveva fatto quel principe da strapazzo? Quel pagliaccio con un nome reale? L’aveva toccata? Aveva toccato la bimba? Una cosa era certa. Le aveva fatto male. Molto. Per ridurre Blair Waldorf in questo stato, qualcosa deve pure essere accaduto.
- si. E sono stanca di dover fingere.- i suoi occhi gonfi, rossi, non fecero altro che aumentare la mia rabbia. L’avrei ucciso. Con le mie mani, ora.
Senza che me ne accorgessi portai la mia mano al suo viso. Il contatto con la sua pelle mi diede una scarica, difficile da definire. La vidi voltarsi.
- Me l’hanno portata via, Chuck- . tolsi la mano, per far posto alle sue. Disperazione, dolore. Tante cose una dopo l’altra. Iniziò a respirare a fatica.
E subito non capii a cosa si riferisse.
- Me l’hanno portata via e non la rivedrò più, mai più. – altri singhiozzi.
Le sue lacrime mi annebbiarono la mente. La rabbia saliva, irrefrenabile. Le avevano tolto sua figlia. Ciò per cui tanto aveva lottato, ciò per cui si era trasferita, via da qui, da questo piccolo mondo che è New York. Tutto finito.
- Cosa? Perché?- ero disgustato. Disgustato da quei pagliacci, disgustato dalla FAMIGLIA REALE.
Istintivamente, come avrei fatto tempo fa’, la tirai verso me, per abbracciarla. Le accarezzavo i capelli, cercavo di tranquillizzarla.
E lei continuava a piangere, talmente debole che nemmeno la riconoscevo più.
Ma non sopportavo di vederla così. Non potevo permetterlo.
Non sapevano di cosa era capace la rabbia Chuck Bass, per aver fatto questo.
- Non lo so… è successo tutto 3 settimane fa’…-
Continuava.
Ad ogni singhiozzo le mie mani s’irrigidivano in pugni di rabbia.
- vieni, parliamo.-
E la portai, per mano, in un bar del centro. Avrei trovato una soluzione.



spazio autrice :

volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito, grazie siete fantastici! :) e tutti coloro che sono soltanto passati a fare una visita...! mi fa molto piacere!! :)
adoro scrivere questa storia... ho sempre idee nuove, che potrebbero migliorarla. spero vivamente che continuate a seguirla!
XoXo,
C.

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Capitolo 6
*** Capitolo6: I always have an idea ***


 
                                                                             Capitolo6:
 

                                                                   I always have an idea

 





«Le idee spuntano quando davvero ne abbiamo bisogno.»
  
-racconta. Tutto, da capo. –.
Sorseggiavo una tazzina di caffè fumante, giusto per tenermi le mani occupate.
Sul serio, ancora non me ne capacitavo. Non riuscivo a capire il PERCHE’ di questa azione.  Perché togliere una madre alla propria bambina? O, peggio ancora,  una bambina alla propria madre?
Soltanto una persona meschina e fredda ne era capace. Nemmeno io, Chuck Bass, il ritratto della meschinità, ne ero in grado. Forse perché non ero davvero così. O forse perché ci ero passato in prima persona.
- Io, Louis e la bambina vivevamo a palazzo. E sai… dopo un po’ ci si annoia.-
- A fare che?- mi sentivo uno stupido.
Alzò gli occhi al cielo. Occhi ancora rossi e gonfi dal pianto straziato di prima. Lo sguardo, quello di una donna sul rogo.
- A starci dentro. A stare sempre chiusi, barricati come animali in gabbia. Mai uscite per una passeggiata, e sempre viaggi con Louis, spesso senza che la piccola venisse con noi. Era … orribile dopo un  po’.- .
Fece una pausa. Tempo di riflettere.
Il suo sguardo si fece perso nel vuoto, quasi inverosimile. Per poi diventare il ritratto del mio, prima, pieno di rabbia e disgusto.
- Così lei un giorno mi ha chiesto di uscire. Mi ha detto di fare una passeggiata fuori, perché si sentiva… “chiusa”. Me l’ha chiesto con quella sua vocina, francese. Squillante. Così tenera da sciogliermi ogni volta che mi parlava.-
Un tocco di nostalgia e amarezza si dipinse sul suo volto corrucciato. Altre lacrime stavano per scendere.
E una domanda mi uscì spontaneamente.
Dov’era Blair? Quella che conoscevo io, intendo. Davanti a me c’era una donna debole, moglie e madre. Una donna senza più forza, spinta a versare lacrime in continuazione.
Quella che conoscevo io era diversa. Era una donna, pronta a ridere, a prendere in giro, a sentirsi BLAIR fino in fondo.
Trasmetteva energia, positività.
Ora era un insieme di lacrime che mi davano dolore assoluto.
Tuttavia, in quelle lacrime, la riconoscevo. La riconoscevo io, che la “studiavo” da tempo. Riconoscevo comunque una Blair, ed ero convinto che da qualche parte, in lei, ci fosse comunque la vecchia Blair.
- In ogni caso…  l’ho accontentata. Anche io non volevo starmene solo chiusa in un palazzo troppo grande ma nello stesso tempo troppo piccolo. Così siamo uscite. Ignare del fatto che .. non potevamo farlo. La guardia reale è venuta a prenderci, 4 ore dopo, e me l’ha portata via. Poco tempo dopo la principessa Sophie mi ha chiamata da lei, e mi ha detto che Louis era deluso dal comportamento, che avevo messo in pericolo la vita di mia figlia. Io ho ribattuto, ovviamente. Lui anche, e abbiamo finito per litigare furiosamente.
 La principessa mi ha sbattuto fuori dal palazzo. Poi, mentre cercavo di entrare per riprendermi mia figlia prima di andarmene, mi hanno informata del fatto che in caso di allontanamento da Louis, la bambina sarebbe rimasta a lui, senza che io la potessi vedere più -.
Non riuscivo a crederci.
Non riuscivo ad aprir bocca o a dir nulla. Vedevo solo il suo sguardo nero, vuoto. E a guardare la tazza di caffè fumante che avevo io, e che aveva lei. Lei però non lo toccava. Non mangiava nemmeno il biscotto che aveva vicino . Non faceva più nulla.
Vedere lei in quello stato, distruggeva anche me. Era inevitabile.
Era come se i nostri destini, i nostri cuori, le nostre vite DOVESSERO stare insieme, intrecciarsi, riempirsi a vicenda.
Nascondevo l’agonia in un bicchiere di Whisky invecchiato o nelle passeggiate con Monkey.
 
Serena aveva ragione.
Io e Blair avevamo bisogno d’aiuto, entrambe.
- Beh… io… non so che dire…  non hai qualcosa, qualche scoop che ti faccia riavere la bambina? -
Scosse la testa disperata.
- Oh… allora… ti aiuterò io. -
Nella mia mente un pensiero si fece lampo.
E se…
Se l’avessi aiutata, davvero? Se fossi riuscito a riportarle sua figlia?
Lei me ne sarebbe stata riconoscente.
Dio, mi facevo compassione da solo. Ero arrivato al punto di “fare le cose soltanto per avere il suo amore”. Già. Perché per quanto non lo ammettessi chiaramente, alla fine, avevo un disperato bisogno di lei accanto.
Ma ero troppo cocciuto e orgoglioso per ammettere che avevo necessità di svegliarmi tenendola tra le braccia. Di sentire il suo profumo quando la baciavo, di vederlo nella mensola del bagno.
Chanel N°5. Uno dei suoi preferiti.
Sospirai.
- Come?- sembrò accendersi, nei suoi occhi neri, la speranza.
- Tu non ti preoccupare. Ci penso io.-
Non ne avevo la minima idea, in realtà. Ma ero Chuck Bass, e questo bastava ad aprirmi molte porte.
Provai ad accennarle un sorriso. E lei fu molto più serena. Se l’avessi delusa, non me lo sarei mai perdonato.
- Andiamo fuori? Giusto per fare una passeggiata. - .
Mi alzai, lasciai tutto sul mio conto e le presi il braccio. Lei era titubante, ma poi accettò.
- Blair, sul serio. Svagati.-
E allora, si alzò.
Non sapevo dove portarla, ma non potevo ricondurla a casa. Perciò, decisi di accompagnarla in un posto… “segreto”.
Lei lo conosceva, ma non sapevo se se lo ricordava ancora. Io si. Ricordavo tutto di quella sera.
La limousine, i suoi baci, le sue carezze. La sua pelle calda, a contatto con la mia. Il suo profumo. I capelli morbidi, color cioccolato. Il suo vestito che scivolava via…
Non era stata una delle tante, no.
Lei era stata LEI. Lei che aveva bloccato il tempo, in me. Aveva fermato la mia indole strafottente. Mi ero accorto di amarla, e non riuscivo ad accettarlo.
Per quello non glielo dicevo. Per questo ogni volta che ci provavo le parole mi si fermavano in gola.
Non ci riuscivo.
Poi, ho capito che avrei potuto perderla per sempre. E non ho esitato, a dirglielo. A dirle tutto quello che provavo.  
A Parigi.
La ragazza si alzò dal tavolo.
- Una promessa però : promettimi che tornerai quella che eri prima. Voglio vederti, Blair. - .
Mormorò un “non ce la faccio”, strascicato.
Ma, dopo il mio sguardo minaccioso, mi seguì a ruota.
- Una cosa sola, Blair- le dissi, saliti entrambe sulla solita limousine. Mi guardò, indagatrice.
-Sarebbe, Bass?- sorrisi. Sapeva che fare patti con me era pericoloso.
- mi serve la foto di tua figlia. E il nome, se è possibile. –. Mi sorrise, beffarda.
Tirò fuori il portafoglio.
Louis Vuitton. Ovvio. Era da Blair.
Poi, quando mi passò la foto ebbi un fremito.
Deglutii rumorosamente. La bimba nella foto aveva gli occhi verdi, i capelli color cioccolato.
Ma non era quello a turbarmi. Anzi no, non turbarmi. “sorprendermi”.
Quella bambina.
Quella bambina era uguale a quella che avevo incontrato io pochi giorni fa’, al mio ritorno.
La stessa bambina che aveva guardato con tenerezza Monkey, che mi aveva trasmesso così tanto amore da farmi addolcire in un minuto.
Era come se i suoi occhi mi penetrassero nel profondo e mi iniettassero una dose di amore, gioia…
Mi rendeva caldo dentro.
Mi faceva volare, sentire leggero. Era speciale, proprio come la mamma.
Cavolo, avrei dovuto capirlo subito.
- Posso sapere come si chiama?- dissi, con un filo di voce, per aver la certezza.
- Evelyn. Evelyn Grimaldi.-
Ovvio.
Deglutii nuovamente. Era diventata una questione personale, ora. In ballo non c’era la figlia di Blair, solo. C’era anche la bambina che era stata in grado di cambiare, seppur per un solo secondo, quel meschino di Chuck Bass.
- Antony…-
Il mio investigatore privato era al telefono.
- Evelyn Grimaldi. Dimmi dove si trova, ora.-
Guardando verso di Blair, la vidi addormentata. Così, la sua testa era appoggiata alle mie spalle. Ed io, con un gesto più che istintivo, poggiai la mia sulla sua, e l’abbracciai da dietro.
 




************************************** prometto che il prossimo capitolo avrà in allegato anche qualche foto. per il momento, non sono riuscita a metterle. a malapena sono riuscita a connettermi! problemi di tempo quì in piemonte hanno fatto saltare la connessione ... mamma mia...! Ringrazio però tutti coloro che hanno letto questo capitolo, al prossimo! XoXo, C.

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Capitolo 7
*** capitolo 7: I'm not so immature ***


                                    Capitolo7:


                             i’m not so immature





«Non sono davvero immaturo. Ho imparato ad amare. »







 

Sul candido divano di casa Waldorf, riposava Blair, tranquilla. Sentivo il suo dolce respiro, ritmico.
Mi ero fermato a casa sua, con l’estremo piacere di Dorota, a parlare ancora un po’ con lei di questa storia.
Ma non accennai nulla riguardo a quel giorno, al parco. Dovevo esserne certo, sicuro.
Guardai la sveglia a fianco, che aveva posato. Le cinque del mattino.
Non l’avevo portata da nessuna parte, se non a casa sua, dato che era sconvolta. E mi ero fermato.
Ma ora era tardi.
Così presi la giacca, feci attenzione a non fare rumore e chiamai Dorota, a voce bassa.
La donna, che si era alzata poco prima per iniziare a pulire e cucinare, mi rivolse un sorriso.
- Le dirò io che se n’è andato …- abbassò lo sguardo. – Buonanotte signor Bass. -
-Buonanotte Dorota. Se c’è qualcosa di cui avete bisogno… non esitate a chiamarmi.- mi sentivo sicuro.
Avrei voluto aiutarle in qualunque modo. Per il suo amore. Per ricevere quella dolcezza infinita.
Così mi chiusi la porta del loft alle spalle, e mi addentrai nella notte di New York. Dopo la rivelazione di questa sera, non sarei mai riuscito a dormire.
Buttai la testa all’indietro sui sedili della limousine.
Una creatura minuscola era da qualche parte senza una madre. E l’unico padre che aveva era un pagliaccio travestito da principe.
Scossi la testa, alzando gli occhi al cielo.  
Scesi dalla macchina lucida, ed entrai nel mio hotel. Mi annoiavo.
Così ri-scesi giù, presi Monkey ed iniziai a darmi da fare per trovare Evelyn. Era una necessità primaria. Mi dava un qualcosa mai provata prima, quella bambina.
Era come se il mio cuore, incatenato, messo in un angolo per evitare di soffrire, dopo la partenza di Blair, non avesse più catene. Fosse libero, come un uccellino. In grado di volare, di sorridere. Ancora.
Era importante ritrovarla. Dovevo capire COSA mi desse quelle sensazioni così piacevoli. E perché sentivo un calore al cuore. Un calore che scioglieva il ghiaccio che avevo fatto nascere dentro di me, che non mi aveva fatto sentire più niente.
La figlia di Blair.
Ancora non propriamente abituato a sentire questa parola, a vedere Blair come madre, mi sentii strano nel dire queste parole.
Una figlia.
Nata da lei, da lui. Ed io non c’entravo nulla. Io ero stato il problema, in questo matrimonio. Del resto, fin da quando ero piccolo, lo ero sempre stato.
Ma ero stato stupido, in quei giorni. Stupido perché giocavo, con i miei sentimenti. Li nascondevo, facevo finta non ci fossero. Usavo l’ironia che, si sa, è utilizzata per mascherare il dolore.
Ero annegato nel mio amore, caduto talmente in basso che non vedevo luce. O possibile via d’uscita.
E di nuovo, camminavo per New York.
5 e mezzo del mattino, le strade ancora erano piene di giovani adolescenti in giro alle feste, ubriachi.
Ragazze in vestitini succinti firmati, da chissà quanti soldi, e tacchi alti.
Tutte ragazze dell’alta società Newyorkese. Scandali e miniscandali infestavano questa città, e gran parte di loro ne era coinvolta.
Avrei potuto prenderne una a caso, chiederle di accompagnarmi da qualche parte, e lei sarebbe venuta. Non per amore, e forse nemmeno per divertimento.
Ma perché ero Chuck Bass.
Per vantarsi, con le amiche. Per sentirsi importante.
Invece per me sarebbe stato soltanto tradire il mio cuore assente. E ciò, era ossessivamente sbagliato.
Il telefono trillò d’improvviso.
- Serena…- la mia voce era bassa, cupa. Troppi pensieri in mente, troppe cose.
- Speravo mi rispondessi… hai visto Dan?- mi bloccai sul colpo.
Effettivamente, oltre a Nate, io e Humphrey ci sentivamo spesso, quando ero a New York. Ma ciò non voleva dire che fossimo “amici”.
- No… mi dispiace….perchè che è successo?- iniziavo  a preoccuparmi. Quale motivo spingeva una santa Serena Van Der Woodsen a chiamarmi nel bel mezzo della notte?
- Ah… credevo fosse con te. Insomma… è da ieri sera che non lo vedo. Non è venuto a dormire a casa, ieri notte… e nemmeno questa. Chuck io sono preoccupata. –
La sua voce non tradiva le sue parole. Era preoccupata. E lo sarei stato anch’io.
- Hai provato con la mappa “avvistato” di Gossip Girl? Voglio dire… lei dovrebbe saperlo…-
Ebbene, dopo anni non ci dava tregua. Gossip Girl continuava il suo operato seguendo noi e altri nuovi rampolli di Manhattan.
- No. Nulla. -
La voce secca, come in attesa.
- Senti, se non hai notizie in 10 minuti, dimmelo.-
Sputai, veloce.
-ok.- la voce spenta, mise giù il telefono prima che potessi provare a mormorare un “ciao” stentato.
Tirai fuori la foto di Evelyn e la fissai per un secondo.
Una bambina di 5 anni è molto più importante di un uomo non ancora cresciuto.
Perfino Chuck Bass poteva arrivarci.






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spazio autrice:

grazie a tutti per le recensioni ancora! :D :D
volevo solo scusarmi per il ritardo, ma ho avuto un problema famigliare... e avevo lasciato la storia per qualche giorno... mi dispiace D:


comunque sotto per la foto che chuck ha di Evelyn, la bimba così tenera e speciale di Blair.... :3
baci,
C.

ecco a voi la piccola Evelyn...! http://www.google.it/imgres?q=mackenzie+foy+5+anni&hl=it&client=firefox-a&hs=Dse&rls=org.mozilla:it:official&biw=1024&bih=599&tbm=isch&tbnid=9AMqyuxXU1ZgyM:&imgrefurl=http://forum.comingsoon.it/viewtopic.php%3Ff%3D5%26t%3D3793%26start%3D4050&docid=6xDvcq_e6zpBhM&imgurl=http://www.ilmondodipatty.it/wp-content/uploads/2010/09/Mackenzie-Foy-11.jpg&w=266&h=400&ei=oWrCToXtL_CO4gSgtJG_DQ&zoom=1&iact=hc&vpx=709&vpy=151&dur=1309&hovh=275&hovw=183&tx=87&ty=126&sig=103469217966314371597&page=4&tbnh=126&tbnw=84&start=62&ndsp=18&ved=1t:429,r:16,s:62 (si chiama Mackenzie Foy, e interpreta Renesmee Cullen in BD <3)

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Capitolo 8
*** capitolo 8: help me to find her ***


                                  Capitolo 8:

                           Help Me to find her

 






« Non so cosa farei per ritrovarla. »





 

-New York.- la voce al telefono mi dava più speranza di quella che mi sarei mai aspettato.

- Ne sei sicuro?- voce allegra, sorriso sul volto.
-Sì, signor Bass. Ora la saluto, devo andare.- misi giù senza rispondere a quel saluto veloce.
Evelyn era a New York, non mi ero sbagliato. Perciò l’avevo vista sul serio. Iniziai ad illuminarmi.
Misi il telefono in tasca e mi diressi a tutta velocità vicino al loft dei Waldorf, ma per la strada incontrai Dorota.
- Signor Bass…- il sorriso sul suo volto mi fermò. Beh, chiedere a lei sembrava la cosa più giusta.
-Dorota… io devo.. devo parlare con Blair, è urgente.- il volto serio, le mascelle serrate. Volevo farle capire l’importanza di ciò che dovevo riferirle. Raccontare sarebbe stato troppo lungo.
- La signorina Blair non vuole vedere nessuno. Ne tantomeno lei, signor Bass. La ragazza è molto arrabbiata , sa?-
Cosa?
Arrabbiata con me. C’era mai stata una volta in cui Blair non fosse arrabbiata con me? Sempre, lo era. Puntualmente.
O per un motivo, o per un altro. Ma stavolta, io, che avevo combinato?
- Perché?-
- Beh… lei se n’è andato così, sta notte. –
Okay, no.
Avevo detto a Dorota che me ne sarei andato, o no? Si, mi pareva di si. L’avevo avvertita che quella notte me ne sarei scappato prima. Dovevo trovare Evelyn, dopo tutto. Giusto, Evelyn. Il minuscolo angelo dai boccoli color cioccolato. Con la pelle candida e fragile, perfetta, come una perla. Le labbra rosee, inarcate in un sorriso che avrebbe stordito chiunque.
- Senta… Riguarda Evelyn…- cercai una giustificazione che mi permettesse di parlare con Blair, e, a giudicare dal volto sconvolto della donna, capii di averla trovata.
- La signorina Blair gliene ha parlato?- la domanda suonava come qualcosa di strano, assurdo, impossibile.
-Sì. Perché?-
Scosse la testa, senza rispondere. Poi fece una smorfia, le sorrisi ammiccando un po’ e lei mi diede le chiavi.
- Entri signor Bass. Ma non stia troppo.-
Questa volta, scossi io la testa.
Entrai nell’atrio e mi bloccai, nemmeno io seppi perché.
Poi mi ritrovai a salire le scale (l’ascensore era fuori servizio) ed ogni scalino mi riportava alla mente un pensiero.
Era come se quegli scalini mi facessero ricordare la NOSTRA storia. La nostra, nostra e di nessun altro.
Noi soltanto.
I baci, le carezze.
1-2…
Quel periodo in cui era stata mia. La prima volta in cui le avevo detto “ti amo”. Orgoglioso com’ero avevo rinunciato parecchie volte, pur sapendo che era vero.
Lei c’era sempre stata. Non riuscivo ad immaginare una vita senza. Non c’era stata, di recente, è vero.
Ma non era mai comunque lontana. Dentro al mio cuore, dentro al mio cervello, qualcosa gridava il suo nome. E mi colpiva come lame affilate.
Un dolore che sembrava non avere ancora fine.
Girai la chiave e spinsi un po’. Non volevo disturbare.
- Dorota….-
Eccola la sua voce. Cristallina e pura come uno scampanellio.
- No… sono io.-
Ero preparato alla sua faccia delusa. La sua faccia amareggiata, o pronta a tirarmi battutacce ironiche. Su chi ero, su cosa ci facevo lì…
E invece no.
Il suo volto fu qualcosa d’ inaspettato. Era sollevata. E non potei che provare un certo compiacimento.
Poi però, ovviamente, tornò la Blair di sempre.
- Ahahah… Bass- tardo eccoti qui, ancora. Perché non sei in qualche night club di lusso a provare le brezza di nuove ragazze slave?-
Eccolo, il sorrisetto ironico.
-… o preferisci russe?-
Mi trattenni da una risata nervosa. Non sapeva cosa diceva.
Volevo solo lei, cavolo. La volevo, la bramavo con intensità che ci avrebbe distrutti entrambe.
Ormai ero talmente vicino che avrei potuto avvicinarmi, accarezzarle la pelle morbida, le morbide  labbra…
Basta, Chuck.
- Evelyn…-
Una sola parola, tirando fuori il cellulare. Bastò una parola a toglierle lo scintillante sorriso che mi colpiva in pieno.
-Tu… tu sai qualcosa?- un passo. Un semplice passo verso di me. Un passo su quei tacchi vertiginosi che solo lei sapeva portare con così tanta grazia. Un passo che trasportò il suo dolce profumo verso di me.
Fui costretto a spostarmi un po’ indietro. Dovevo resisterle.
- Sì… una notizia… positiva.- accennai un sorriso. Un incoraggiamento, una sorta di strada per farla più felice.  Per strapparle un sorriso sincero. Strapparglielo  e portarlo con me nel cuore.
- Ho parlato con Antony, per… cercarla. È qui, Blair. Evelyn è qui a New York!-
E sembrò che tutto avesse senso. Che i pezzi, finalmente, combaciassero, nella sua testa. La vidi aprire leggermente la bocca dallo stupore, e le lacrime scenderle sulle guance bianche. Una speranza, una speranza che sembrava riaccendersi come la luce di un cerino. Piccola, ma c’era.
Per lei questo importava. Evelyn c’era. Evelyn era lì. La sentiva, ci avrei giurato. Un legame incontrastabile che avrebbe portato per tutta la vita.
Passarono secondi, forse minuti. Parecchi. Ma ciò non importava. Quel momento, sembrava durare in eterno.
Finchè lei mi abbracciò.
Sentivo le sue lacrime bagnarmi il cappotto, ma in quel momento nulla era meno importante. Le sue mani attorno a me, le mie attorno al suo collo pallido. Era bellissima.
Singhiozzava, tra le mie braccia. Singhiozzava di felicità.  E non potevo chiedere altro.
Poi prese un fazzolettino, e si asciugò le lacrime.
E riuscì a parlare.
- Chuck…-
Ancora più vicina.
- Devo… devo ringraziarti. – le misi una mano sulle braccia. Cercando di … non lo so.
Sapevo soltanto di volere un altro contatto.
- Blair… lo sai. Ci sono sempre.-
Semplicemente sincero. Ecco cos’ero in quel momento.
- Pensavo che…-
Le feci cenno di tacere.
- Blair… ora cerchiamola e basta ok? Non ho voglia di discutere. -
Fece cenno di si, mi prese la mano, e mi portò veloce fuori di casa. Evelyn, prima di tutto.

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Capitolo 9
*** capitolo9:OMG ***


                                    Capitolo9:
                                      
                                        OMG

                                     




Come posso crederci sul serio? Sono un’idiota.







 
 
Tacchi vertiginosi non impedivano alla ragazza di camminare a passo svelto e deciso verso il grande palazzo dove abitava Antony, mio grande amico, nonché investigatore.
Non parlava, Blair. La sentivo soltanto respirare, in preda a pensieri troppo intimi che forse non avrei mai potuto capire fino a quando non avrei avuto davvero un figlio.
Poi, la vidi bloccarsi di scatto. E non mi chiesi perché, vedendo Serena affannata che correva.
- Blair… -
L’abbracciò.
- Serena.-
Sembrava ansiosa di raccontare, di far sapere all’amica che Evelyn c’era.
- Dan è con voi? L’avete visto o cose simili?- la voce preoccupata, mi faceva intuire che qualcosa non andava. Dan Humphrey era sparito. Non ancora tornato. Ok, FORSE  era il caso di cominciare a preoccuparsi.
- No, mi dispiace.-
Risposi.
- Dio… beh’ se lo vedete ditemelo ok? Sono preoccupata. Ora devo andare. Ci vediamo-
Un bacio fugace sulla guancia dell’amica e sparì tra i palazzi di New York.
Scossi la testa e mi voltai per vedere a che punto eravamo. E sorpresa…
Distratto com’ero, da pensieri che non mi sarebbero dovuti minimamente interessare, non mi ero nemmeno accorto di essere davanti al grande palazzo di Antony.
Blair mi fissò, insicura. Quasi avesse paura nell’entrare, paura nel varcare quella soglia di vetro sottile che la divideva dalla verità su sua figlia.
Ancora, non mi ero abituato. Eppure, sentire Blair parlare di Evelyn, era così naturale. Era come se ci fosse da sempre. Come se io non l’avessi mai vista, eppure lei c’era. Blair non aveva nessun problema a vedersi madre. Io si.
Che stupido.
Era quantomeno logico che lei non trovasse una strana cosa sentirsi dire “mamma” o altre cose. Lei l’aveva vista nascere, lei aveva un “profondo legame”. Era parte di lei. L’aveva messa al mondo.
Sorrisi, nel ricordo della bellissima bimba con i boccoli cioccolato.
Quel suo baschetto rosso. I suoi occhioni verdi-scuro. Alta poco più di Monkey in realtà.
Dio, quanto somigliava a lei. E fortunatamente non a quel pidocchioso principe.
Sbuffai.
Tutti i miei pensieri mi percorsero la testa nel giro di 5 minuti, nei quali B aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Fino a che si decise, ed entrò sicura.
Volevo aspettare fuori.
A dirla tutta non mi sentivo all’altezza di entrare con Blair. Anzi no, non all’altezza. Mi sentivo fuori luogo.
Non era affar mio e non lo sarebbe stato mai.
Ma lo sguardo incantevole di una principessa preoccupata, che debolmente chiamava il mio nome, mi fece avvicinare.
- Chuck ti prego vieni con me. -
Mi disse.
Vedevo tutta l’agonia nelle sue parole, mentre si mordicchiava le soffici labbra rosee. Se c’era una cosa alla stavo assistendo ora, era la distruzione emotiva di una regina già troppo ridotta in polvere, per i miei gusti.
-Se è quello che vuoi…-
Risposi, dopo pochi minuti di titubanza.
E l’ascensore incominciò a salire, in sincronia con il cuore della ragazza, che palpitava a ritmi frenetici.
 
 
 
 
POV SERENA.
- Risponde la segreteria di Dan… sapete cosa dovete fare penso, perciò lasciate un messaggio  e se è importante davvero vi richiamerò. Grazie….-
Il bip l’avevo già sentito così tante volte che avrei saputo riprodurlo su ogni strumento musicale mi avessero dato.
- Dan sono ancora io. Se hai sentito questo messaggio probabilmente hai sentito anche i restanti 22…  Dove sei? So che sei arrabbiato ma ti prego rispondimi, sono tutti preoccupati per te qui. Richiama ok? Ciao-
23 messaggi in segreteria, se non era follia questa.
Eppure Humphrey continuava a non tornare. Ormai era all’incirca due o 3 giorni che mancava da casa. Da casa nostra.
Nate aveva provato a chiamarlo, ma nemmeno a lui rispondeva. Perciò, dov’era Dan?
Chuck era troppo indaffarato con Blair, per darmi una mano.
Li avevo riuniti in un certo senso.
No, non io, in realtà.
Era stata Evelyn ad averli riuniti. Un tesoro di bambina, dai racconti dettagliati di Dan e Blair.
In ogni caso il giovane Bass era off-limits. Perché in ogni caso e in ogni modo avrebbe sempre posticipato me per starsene con la mia migliore amica, fantastico.
L’unico modo dunque, era quello di fare da sola.
Chiamare qualche investigatore, due o tre telefonate. E tutto sarebbe finito.
Avrei ritrovato il mio fidanzato e saremmo stati di nuovo insieme, felici.
 
 
 
POV BLAIR.
Il grande salotto del loft principale era occupato da due divani neri lucidi, in pelle.
Ed io, me ne stavo seduta con Chuck su quello a destra, aspettando il ragazzo.
Chuck aveva garantito per me, ed ora mi stava stringendo la mano destra, premuroso.
Quel gesto non mi dava nessun imbarazzo.
Di già che potevo identificare il giovane Bass come “mio”. Mio e di nessun’altra.
Mi sorrise, dolcemente preoccupato per la mia salute. Più psicologica che fisica, a dirla tutta.
Ed io rispondevo al sorriso con occhiate luminose, di tanto in tanto.
Poi, nel silenzio tombale che avvolgeva pesantemente la stanza, riuscii a sentire addirittura il suo respiro. Più pesante e preoccupato perfino del mio.
Il suo profumo era dolce e delizioso, e mi colpiva in pieno volto, facendomi girare la testa.
E fu come se milioni di farfalle m’invadessero lo stomaco. Le sentivo svolazzare e cercai di mascherarle.
No, non potevo ammetterlo.
Chuck non era più cosa mia, ormai. Né io provavo qualcosa per lui.
E quelle morirono nello stesso lasso di tempo in cui erano nate.
-Buongiorno signor Bass, la trovo in ottima forma.-
Non mollò la mia mano nemmeno per un istante e l’altra la diede al giovane ragazzo dai capelli scuri davanti a me.
- Lei deve essere la signorina Waldorf, giusto? Me lo lasci dire, lei è deliziosa signorina.-
E mi baciò delicato la mano libera.
Sotto gli occhi attenti di un Chuck che sembrava non propriamente contento di questo gesto.
E per un attimo tornai ai vecchi tempi.
Tant’è che il secondo gesto che feci fu baciarlo dolcemente sulla guancia.
E la mano di Bass si staccò veloce. Ma io, non potendolo permettere, la ripresi al volo prima che potesse scapparmi. E un dolce e incredibile sorriso gli si dipinse sul volto, già luminoso.
- Sedetevi, grazie. –
C’invitò.
- Dunque….- stava cercando, indaffarato tra un mucchio di cartelline, quella giusta.  Canticchiava, fischiettava. Talmente era una cosa normale per lui.
Poi si fermò. Ne aprì una, tra le tante. Aveva la scritta “urgente” sopra.
Sorrisi.
Ovviamente, era tipico di chi aveva a che fare con Chuck.
- Ecco… Evelyn Grimaldi -
Mi guardò. Ed io, al solo sentirne il nome, sussultai. Aspettava una risposta che non arrivò, se non con un cenno della testa.
- ora si trova a New York.-
Quindi era vero. Evelyn era a pochi metri da me, alla fine. La mia piccola creatura era qui e respirava la mia stessa aria, vedeva le stesse macchine, gli stessi palazzi…
Ma ancora non sapevo come diavolo fare per prenderla. Anche se questo, a detta di Chuck, era un problema secondario. E, se l’aveva detto lui, potevo crederci.
- con chi?- chiesi ,quasi sussurrando.
- giusto…- sospirò.
- Il signor Bass non mi aveva detto che si trattava dell’adorata figlia del principe di Monaco. Questo, non vi nascondo, potrebbe essere un problema.-
Buttai la testa indietro.
“adorata”? che squallore.
In 5 anni della sua vita non le aveva mai rivolto un VERO abbraccio. E mai c’era stato.
Alcune volte, giusto nei periodi di Natale, si ricordava di avere una figlia. Altrimenti, se Eve non ci fosse stata sarebbe stato uguale.
- Adorata?-
Sbottai, d’improvviso.
- Si… beh… così dicono. Non è ..- alzò le mani per le virgolette – “l’angelo della famiglia Grimaldi”?-
Spalancai la bocca.
L’angelo della famiglia Grimaldi? Semmai il MIO angelo. Mio e della mia famiglia
Dio, ero furiosa.
Arrabbiata, amareggiata e … triste. Triste pensando a quello che avevamo perso, ai giorni che non avevo potuto passare con mia figlia. Ma anche in pace con me stessa per tutto l’amore che ero riuscita a darle, in questi anni passati al palazzo.
E in un minuto ripercorsi tutto.
Inevitabilmente la mia mano si strinse ancora un po’ a quella di Chuck. Mentre la destra intorno al ciondolo d’oro della bambina.
E Chuck guardò Antony, stranito.
- Questo è un altro discorso, Antony. Che sia vero o no al momento non interessa.- e mi fissò, giusto per farmi calmare.
Ancora arrabbiata accavallai le gambe e mollai le mano del mio vicino per incrociare le braccia.
Oh no, non sarebbe finita lì.
 
 
POV CHUCK.
- Certo, sì. Ha ragione. In ogni caso… devo informarla che ho trovato l’indirizzo del posto dove si trova la bambina. E non è da sola.-
Vidi la ragazza vicino a me irrigidirsi.
- Che vuol dire? Voglio ben credere che non lo è! Ha solo 5 anni…-
Si stava scaldando, arrabbiando. Anzi no, si stava innervosendo.
Dovevo calmarla, ma non pareva fosse possibile in quel momento. La tensione era percepibile.
- Non intendevo questo, tesoro.-
La voce tirata sull’ironico.
- Non sono riuscito a capire chi ci sia con lei, in quell’appartamento. Ma si tratta di un ragazzo. -
Stavo per ribattere, ma Blair mi precedette. Con la voce acida disse qualcosa, prontamente.
- Beh… magari è … che ne so… il padre? -
Fu allora che intervenni.
- Blair, santo cielo, lascialo parlare.- la mia voce calma, il tono ragionevole. Era da parecchio tempo che non mi arrabbiavo. E poi, con lei, non avrei mai più perso la pazienza. Non come quel giorno, a casa mia. Rabbrividii al ricordo.
- Lasciarlo palare? Chuck maledizione… è un incapace!-
Dopo aver sospirato pesantemente, cercai di farla ragionare. Non era per nulla vero.
Antony aveva sempre trovato tutto su tutti. Era sempre stato il mio amico più fidato. Non potevo credere a quello che Blair aveva appena detto.
- Mi ascolti.- il ragazzo era ancora più razionale di quanto mi sarei mai aspettato.
- So che è scossa, va bene? Che sta male e che le manca sua figlia. Davvero, posso capirlo. Ho un bambino di 3 anni a casa, e non so cosa farei senza di lui. Sul serio. Ma ora deve calmarsi e ascoltarmi se vuole ritrovarla. Altrimenti, io starò zitto, non dirò più nulla e la sua piccola Evelyn… dubito che saprà come e dove andarla a cercare.-
La sua durezza colpì anche me. Vedevo le mascelle serrate della mia dolce vicina, ora in preda a silenziose lacrime.
Istintivamente, le strinsi la mano sempre più forte. No, non accettavo questo tono contro di una ragazza già troppo distrutta di per sé. Ma se bastava a farla ragionare, forse era la cosa migliore.
E Blair continuava a guardare il basso.
- Dunque, dicevamo. La bambina ora non è a Monaco. È qui, e questo è positivo.
Ma c’è una cosa che mi ha stranito parecchio, e alla quale non potrete credere nello stesso momento in cui ve la dirò. Perché non posso credere davvero che ve la siete lasciata scappare, ad un passo da voi.-
Stava sorridendo tranquillo, anche un po’ ironico, a dirla tutta.
- Quindi?-
Ora anche io stavo sorridendo.
- Signor Bass, Evelyn Grimaldi si trova all’Empire. Qualche stanza di differenza da lei, ma è lì.-
E fu come se un secchio di acqua ghiacciata mi colpisse in pieno. E due paia di occhi incominciarono a fissarmi, sorpresi.


*******************************************************************************spazio autrice





1-     scusate il ritardo ma ho avuto una sorta di “blocco”. Sapevo come la storia si evolveva, ma non come scriverla :/
2. ora sono un VULCANO DI IDEEEE!!!
 
Ringrazio tutti per le recensioni e le visite…  davvero siete fantastici!
 
In fine voglio riportare una parte della 5x10… che mi ha quasi fatto piangere ragazzi!!! :D
 
 
-Chuck Bass: Ho sbagliato tutto.Solo perché Louis è il padre del bambino non vuol dire che devi stare con lui. Dovresti stare con me.
-Blair Waldorf: Perché?
-Chuck Bass: Perché amerò tuo figlio quanto amo te.

- Gossip Girl 5x1O.


 
#aspettandoil16gennaio2012

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Capitolo 10
*** capitolo9:OMG(parte seconda: Where is Dan Humphrey?) ***


                                        Capitolo9:

                     
         
                        OMG (parte seconda: Where is Dan Humphrey?)









«Un ragazzo è scomparso. Ma del mio cuore, chi se ne preoccupa?»










Correvamo,veloci, sul marciapiede.
Milioni di pensieri mi attraversavano la mente, confusi.
Eppure, tra di loro, non riuscivo a ricordare di aver visto quella bambina. Non di nuovo, per lo meno. E sicuramente l’avrei vista, perché dimenticarla era impossibile.
In quella sala, da Antony, Blair aveva cominciato a dare di matto, dicendo che era colpa mia, che la stavo prendendo in giro.
Ed io, quasi con le lacrime agli occhi, le avevo detto di no, che non era vero.
Che sul serio, non  avevo visto Evelyn.
E lei non mi credeva. E nel suo sconcerto, io sprofondavo sempre di più.  Non era possibile perderla dinuovo, non così.
Le mani posate, la testa bassa. Blair camminava così, davanti a me, cercando in tutti i modi di evitarmi. Avevo vissuto quella scena, Blair incredibilmente arrabbiata con me, talmente tante volte da provare quasi un senso di déja-vù.
E nel ricordo, continuavo a soffrire.
Meno di prima, però. Questo era quanto bastava a farmi capire che la sua presenza era sufficiente a lenire le mie ferite. A curarle, farle meno profonde e dolorose.
Averla anche solo accanto era una medicina miracolosa. E, nonostante Chuck Bass avesse problemi ad ammetterlo, era tutto quello di cui avevo bisogno. L’ossigeno che mi serviva per vivere.
- Blair santo cielo.-
Sussurrai, alla fine, davanti casa sua. Chiuse le palpebre, respirò profondamente.
-    Chuck. Basta. Non possiamo riprenderci quello che è scemato nel tempo. Questa alleanza… è sbagliata. Ingiusta. Noi… abbiamo già provato ad essere amici, ma non ci riusciamo. Abbiamo provato a stare insieme, ma l’amore che abbiamo è troppo forte e ci consuma. E il nostro orgoglio, non ci permette di vivere una vita spensierata da innamorati. È così, purtroppo. Accettiamolo.-
Non capivo.
Cosa c’entrava con Evelyn? Non ne valeva la pena, adesso. Parlare di questo, della nostra situazione.
Poi l’effetto delle sue parole si schiantò su di me, e quasi non mi buttò per terra.
Non potevamo riprenderci nulla di noi. Di quello che eravamo.
La nostra alleanza era sbagliata.
Non potevamo essere amici, né amanti. Perché l’orgoglio, di entrambe, non ce lo permetteva.
E mi pietrificai, come se il cuore di bloccasse.
Come se non riuscisse a ripartire.
Non respiravo, mi sentivo annegare. E io VOLEVO annegare. Volevo solo sparire e non tornare più.
E mentre la parte di me che voleva buttarsi al suolo, gridava, quella dura che avevo tenuto per anni, parlava al suo posto.
- Lo so. Ma che c’entra con Eve, ora?-
No, cavolo. Io la sapevo diversa.
Sapevo che la volevo. Che la desideravo con tutto me stesso. Che volevo prenderla e stamparle un bacio profondo, passionale. Che volevo proteggerla, perché era troppo debole e fragile.
Che volevo regalarle Peonie, che volevo riempirla di regali.
Volevo tornare a casa, e vederla lì, ad aspettarmi. Incinta, magari, del MIO bambino.
- C’entra. Perché tu ti sei attaccato alla storia di MIA figlia, per tornare da me. Nonostante tu sapessi dove fosse, Chuck. Non potevi non esserne a conoscenza. -
Rise nervosa.
- No, di questo non puoi accusarmi. Non puoi davvero credere che la mia ipocrisia possa passare sopra ad una bambina. Soprattutto se quella bambina è figlia tua. -
La mia voce si alzò di tono sull’ultima frase.
A questo punto, si sfiorava il ridicolo.
Davvero, Blair credeva che io mi potessi approfittare di una bambina scomparsa?  Di Quella bambina?
Io me la ricordavo, Evelyn.
Mi aveva preso il cuore tra quelle sue manine piccole e bianche. Poi lo aveva stretto forte, scaldandolo con il suo. Mi aveva sorriso, portandomi gioia. Era come se risplendesse. Tant’è che mi ero ritrovato a pensare che in realtà non fosse reale. Fino a quando Blair non me l’aveva mostrata in fotografia.
Ma questo, Blair, non lo sapeva. E non potevo dirglielo, perché avrei peggiorato la situazione dicendole che l’avevo vista, in realtà.
- Chuck…-
Inutile. I suoi occhi me lo dicevano. Non mi credeva.
- Non puoi davvero crederlo, Blair. -
Poi, quasi con tempismo perfetto, il telefono squillò. E Gossip Girl, che davvero non ci dava tregua, peggiorava la situazione.
““Oh-oh, che cosa vedo all’orizzonte? Un Bass bugiardo e un’ex principessa che riacquistano la parola.
Avanti, C, ammettilo. Non hai mai visto solo in fotografia l’”angelo della famiglia Grimaldi”.
E qui ne abbiamo una prova.
Mi dispiace, B. sembra che ancora una volta il destino sia contro di te. E non solo quello…”” Buttai il telefono per terra. Non volevo vedere la foto. Non volevo vedere più nulla, e sembrava sul serio che non lo vedessi.
Era come fossi cieco.
Accecato dall’amore per la ragazza in lacrime di fronte a me, e dalla rabbia per quel messaggio.
Perché ci dava ancora la caccia e non ci lasciava in pace?
Mi presi la testa tra le mani e iniziai a respirare forte, freneticamente.
Strinsi i pugni e ne sbattei uno sull’asta di metallo che sorreggeva una decorazione floreale.
Vedevo il sangue scendere dalle nocche, il dolore forte che non sentivo.
Non me ne preoccupavo.
Ora che Blair lo sapeva, avrebbe davvero chiuso i rapporti.
- Okey forse l’ho incontrata una volta. -
Se ne stava per andare, e non potevo permetterlo
Si voltò, a pochi metri da me.
- Ma non avevo idea di chi fosse. Sapevo solo che era una bambina, che era meravigliosa e che mi aveva illuminato la giornata,ok? Tua figlia mi aveva illuminato il cuore, lo aveva scaldato, ne aveva sciolto il ghiaccio, quel giorno. Non sapevo chi fosse, ma era venuta lei da me. Ad.. accarezzare Monkey. E nello stesso tempo aveva accarezzato anche me, forse senza saperlo nemmeno.
Poi mi hai mostrato la sua fotografia.
Ho pensato che non era importante, e che si assomigliavano. Poi Antony ha detto che era qui e ho capito che erano la stessa persona.
Mi dispiace, non te l’ho detto prima. Ma temevo una tua reazione. –
Ormai gridavo.
Gridavo, e le lacrime scendevano come un fiume in piena,  non potevo fermarle. Se solo l’avessi persa di nuovo, non sarei riuscito a sopportarlo.
Che cosa pretendeva? Cosa voleva?
Voleva che le dicessi che l’avevo fatto apposta, perché ero fatto così? L’avrei fatto, ma sarei stato davvero un’ipocrita.
Non riuscivo a prendere pace, e il respiro continuava a mancare, nella paura di lasciarla andare.
Poi la vidi voltarsi completamente verso di me asciugarsi le lacrime.
- E facevi bene. Io mi sono fidata di te, Chuck. Sapevo che stavo sbagliando.Addio Bass. E stavolta, per sempre.-
E se ne andò.
Ed io, non curandomi di chi avevo in torno, gridavo il suo nome. Lo gridai finchè non ebbi più voce per farlo.
Mi accasciai a terra in lacrime, sottomesso.
Non m’importava. Ero un essere umano, infondo. E l’amore infinito per lei era talmente lungo che non potevo nasconderlo più. Il dolore di averla persa, questa volta sul serio, per sempre, mì colpì con l’intensità di un pugno.
- Chuck…-
Nate, mi aveva preso per un braccio. Era sorpreso. Non lo vedevo da un pezzo. E per lui, vedermi in quello stato, dopo mesi o anni, era inaccettabile.
-    Avanti vieni. Andiamo a casa.-


POVE SERENA
-Mamma …-
Un abbraccio materno m’avviluppò, con calore.
Mi cingeva le braccia, e i lunghi capelli dorati.
 Poi si dicostò, e le lacrime incominciarono a scendere, lente.
- Tesoro… smetti di piangere. Lo troveremo, vedrai.-
Un sorriso, non troppo convinto, più per convincere me, si fece eco sul suo volto.
- Sì ma… diamine…  perché? E soprattutto, dov’è?-
Mi presi la testa tra le mani, in preda alla disperazione più assoluta.
Se Dan voleva andarsene, andava bene. Ma per lo meno, avrebbe dovuto avvertirmi. Perché non c’è nulla di più orribile che non sapere dove si trova la persona che ami.
Ed io avrei voluto abbracciarlo, baciarlo. E non potevo.
Né fargli sapere cose che ancora non gli avevo detto, importanti e necessarie.
- Credo che se ce lo avrebbe voluto far sapere, lo avrebbe fatto, non credi?-
Annuii, distratta.
Sarebbe stato meno doloroso, e più facile d’accettare mi avesse detto in faccia che non mi voleva più.
Così, avrò sempre il dubbio.
Restava il fatto che era incontattabile. Nemmeno da suo padre.
Rufus mi aveva detto che doveva parlargli urgentemente, eppure Dan continuava a rimanere da qualche parte nell’ombra. O in un angolo di mondo, lontano da noi.
Chuck non mi aveva minimamente ascoltato, Blair non si era interessata.
E forse, avevano le loro motivazioni, certo. Ma non era valido che loro fossero insieme e io da sola. Che dovessi affrontare la sua perdita senza un supporto.
Ma forse, prima di ottenere la vicinanza di Blair, sarei dovuta andare io da lei, per un aiuto quantomeno reciproco.
- devo fare una cosa. -
E senza che mi chiedesse cosa, presi la borsa e volai dritta verso la casa della  mia migliore amica.


POV CHUCK.
- ma che diavolo…?-
Nate mi preparava un bicchiere di qualcosa. Qualcosa di molto forte. Forse un Whisky. A casa sua c’era il migliore.
- Lunga… lunga storia.-
Sospirai, prendendo il bicchiere in mano.
- Prendi pure la bottiglia, Nathaniel. Ce ne sono di cose. -
Ed obbedì. Senza una domanda o una parola di troppo
Entrambe sedevamo sui divani, silenziosi. Immersi tra i nostri pensieri e le nostre sensazioni. Da un anno non ci vedavamo, ma comunque non avevamo nulla da dirci, la nostra testa faceva già troppo chiasso di per sé.
Poi, dopo poco tempo, decisi finalmente di iniziare a parlare.
- la storia è troppo lunga, non voglio parlarne ora.-
E poi fa male, male da morire.
Ma soffocai l’angoscia con un sorso, giù veloce.
- Sicuro?-
La voce preoccupata, e la testa leggermente inclinata per vedermi meglio.
- Sì. -
Fu secco, incredibilmente duro. E deciso a tal punto che lo spaventò.
-  Beh allora senti questa.-
Cercò di cambiare discorso, capendo tutto il mio dolore.
Capendo che la storia, forse, era dura e particolare. Che non era da trattare con superficialità e delicatezza. E che anche lui, appena tornato, non voleva disastri e casini famigliari come ultimo ricordo prima di ripartire.
- Dan Humphrey è scomparso. -
Ne parlava come fosse qualcosa di davvero importante.
Ci avevo passato del tempo, vero. Ma non tanto da interessarmene.
Insomma, Humphrey era un adulto. Se la poteva cavare da solo, qualunque cosa gli fosse successa.
Non era problema mio, ne suo. Solo di Serena, forse. E di..
Mi rifiutai di pensarne il nome.
Sì perché, in fondo, era il suo migliore amico. E forse, dopo di Evelyn, le sarebbe importato.
Ma solo dopo di lei.
Qualunque cosa sarebbe stata meno importante, in questo momento.
- Sì, ne ho sentito parlare.-
Nonchalance.
Con molta calma poggiai il bicchiere sul tavolino di vetro sottile. Lucido, sul quale potevo specchiarmi. Uno splendido lavoro di moderno design.
- E non ti preoccupa?-
Sembrava sorpreso, a dir poco.
- No, dovrebbe? Nathaniel, in questo momento di Humphrey non potrebbe importarmi di meno. È complicato da spiegare, ma è giusto così. Credimi -
Mi alzai e gli posai la mano destra sulla spalla. Lui chinò la testa, e non mi guardò. Nascondendo gli occhi.
- Non ci sarai tu dietro la sua scomparsa, vero Chuck?-
Sgranai gli occhi. Non aveva mai detto cosa tanto stupida.
Che fossi meschino, glielo concedevo. Che spesso esageravo nella protezione e nel controllo delle persone, anche. Ma mai avrei fatto sparire Humphrey senza un motivo valido. Non mi andava esattamente a genio, ma non al punto di … farlo sparire. E poi, avrebbe ferito Blair.
- Scherzi, vero?-
Mi guardò.
No, non scherzava. Che assurdità!
- Vabbè ora non è il momento per questo. Vuoi trovarlo? Andiamo. Ma sappi che io ti accompagno solo, non muovo un dito per lui. Che sia chiaro. Ho altro da fare. -
Tipo chiedere di Evelyn Grimaldi all’empire.
Annuì. e io lo seguii a ruota.

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Capitolo 11
*** capitolo10:I'm sorry, I try ***


                                       Capitolo10:

I’m sorry.






 
«Si, è vero. Il tempo e le probabilità sono sempre contro di noi.»
 



 
La limousine procedeva a ritmo lento. Ogni tanto addirittura si fermava,  per la coda che si era creata. Ed io imprecavo, rassegnandomi ogni volta all’idea di arrivare troppo tardi. Ma potevo davvero arrivare troppo tardi?
Voglio dire, l’hotel era effettivamente mio. E questa cosa, non mi convinceva del tutto.
Com’era possibile che … quel Louis abbia portato lui e sua figlia proprio nel mio hotel?
Non siamo mai andati d’accordo, sapeva chi ero.
Dubbi mi attraversavano il cervello veloci, passando come ombre. Tormentandomi.
Guardavo fuori dal finestrino il mondo che mi circondava.
Era un mondo nascosto.
Scintillante e dorato fuori. Crudo ed oscuro all’interno. Un posto nel quale, se non eri forte, sfrontato, pronto a tutto, non avresti mai potuto viverci.
Qui la gente ti preparava, ad esserlo.
- A che punto siamo? Ho bisogno di arrivare in fretta -
la mia voce era dura, secca. Le mie mascelle contratte.
Ma non arrivò nessuna risposta.
E questo mi toccava i nervi. Dovevo farcela. Dovevo arrivare. Per lei. Per me. Per la bambina. Per dimostrare a Blair che non la stavo prendendo in giro.
Respiravo a scatti, alzando ed abbassando le sballe ritmicamente. Poi la vidi, per strada.
Bella come al solito, da far sobbalzare il mio cuore. Sobbalzava, a tratti. Spesso avevo la sensazione che si fermasse.
La sua camminata era aggraziata, quasi danzava. Seppur frenetica, in un certo senso. Capii che stavamo andando nella stesso posto.
Mi sarei potuto fermare e proporle di salire. Oppure, al contrario, andare a piedi con lei. Ma non avrebbe accettato. 
Non dopo quello che era successo.
Era mai possibile che nel momento in cui il mio cuore aveva ripreso a battere, dopo mesi, anni in cui era stato completamente chiuso in se, senza battere davvero, senza che mi accorgessi di lui, dovesse ricominciare a morire lentamente?
Che tutto dovesse finire così, per colpa di qualcuno che di vero aveva nulla?
Una bambina ci aveva riunito, e ora ci avrebbe diviso.
La piccola Evelyn,  intanto, ancora non si era trovata. E non avrei lasciato che quell’enorme dolore gravasse sulle spalle di una donna così piccola.
Perché sì, sebbene fosse “queen B” io la vedevo piccola, bisognosa di aiuto. Eravamo uguali, con un’unica differenza: io forte, lei debole.
Forte.
Lo ero sul serio?
Mi ero sempre nascosto dietro quella facciata da “mostro”, non curandomi mai di mostrare il vero Chuck.
Prima che arrivasse lei a distruggerla, a far mostrare chi ero sul serio. Aveva messo in mostra le mie insicurezze, le mie debolezze e le mie paure. E tutte o quasi erano sorte quando Blair era entrata nella mia vita.
L’avevo presa, quasi rubata, a Nate. L’avevo presa e portata via da quello che era il suo principe azzurro, e le avevo rubato la virtù rendendola una traditrice.
Ma lei, ora, si era impossessata di me.
Improvvisamente, non ero io quello che l’aveva nelle mani, da manipolare a suo piacimento. Era lei che mi rendeva felice o triste. Arrabbiato o allegro.
Mi corressi.
Lei forte, io debole.
- Dio, quanto ci dobbiamo ancora mettere?-
Ero spaventato dai miei pensieri. Impaurito da quello che sapevo, ma che tentavo di nascondere. Già, masochista ed orgoglioso. Era questo lo schifo che ero.
Poi la limousine si fermò, e mi accorsi con piacere di essere arrivato all’Empire  prima di lei.
Scesi veloce, incurante della gente che mi guardava stranita.
Cosa faceva correre Chuck Bass nel suo hotel, con una fretta improvvisa e del tutto nuova?
La gente mi guardava, quasi fossi pazzo. Qualcuno non si sarebbe mai fatto gli affari suoi.
Eppure correvo. Correvo verso la hall dell’hotel.
Mi amncava il fiato, quasi soffocassi.
- Ho bisogno di un’ informazione. Ti prego, ti prego… dimmi che i reali sono ancora qui. Anzi no, dimmi che stanza.-
-veramente io…-
Sembrava incerto su ciò che doveva dire. Fortunatamente io ero più sveglio…
- In fretta Carl!! La stanza!-
- 322-
Corsi verso  l’ascensore. Imprecavo.
Andava troppo lento. Sbattevo i bugni sulle pareti, e provocai una piccola crepa su quella alla mia destra.
Arrivato al piano giusto il “dlin-dlon” dell’ascensore non fece in tempo a finire che io già ero fuori, che correvo tra i corridoi, per arrivare alla stanza 322.
Non la trovavo.
Disperazione, rabbia. Frustrato, continuai la mia ricerca. Ed eccola, la stanza era davanti a me.
Ed ecco.
Pochi metri mi dividevano dalla felicità di Blair, dal suo tesoro. Ed io, in fondo, ero di troppo.
Non rientravo nel suo quadretto famigliare perfetto. L’avevo ferita. Le avevo fatto del male, troppo.
Non mi fermai, ed iniziai a cerare di buttare giù la porta.
Preso dalla rabbia verso quel pagliaccio, verso il passato, verso il futuro che non sarebbe mai stato nostro, verso un presente orribile al quale rifiutavo di pensare. Verso Dan Humphrey, che aveva tentato di portarmela via, verso mio zio, che aveva la colpa della rottura del nostro legame.
Spesso penso semplicemente che se non fosse mai tornato a new york, anni fa’, ora Blair sarebbe con me.
Poi mi ricordo che era stata una scelta mia, e la rabbia mi si frantumava addosso, tagliandomi.
Perciò, ancora una volta, Chuck, eri tu l’artefice della tua sfortuna. Bravo.
- Sono il propietario e ho bisogno di…-
La porta si aprì.
E dentro, il nulla. Sbattei i pugni sul tavolino di vetro, che quasi non si spaccarono.
- Dio! –
Continuavo ad imprecare, sconvolto. Forse ero arrivato troppo tardi.
Ma che dico?
Ero SICURAMENTE arrivato troppo tardi. Perché tutto era sempre contro e mai con me?
A distrarmi dalla frustrazione, fu una voce famigliare.
- Se ne sono andati pochi minuti fa’. Hanno usato la porta sul retro.-
Voltandomi, non potevo credere a chi avevo davanti. Era tutto stranamente confuso, particolare.  
Tutto sbagliato.
Diverso.
Cercai di mantere la calma, di concentrarmi sull’aspetto bizzarro di questa storia.
- Mi dispiace. Io non ne ho colpa. -
Continuava a parlare, a vanvera. Sembrava una macchinetta, non riuscivo a fermarlo. Poi, prese da bere.
- E tu cosa c’entri?-
Chiesi, fissando il vuoto. Tutti, ma non lui.
- E che ne so.-
Scossi il capo, e continuai a bere per mandare giù tutto quello che mi tormentava il cuore e la testa.
 
 
 
 
POV BLAIR.
Ecco. L’hotel che mi separava da Evelyn era lo stesso della persona che avevo amato di più in tutta la mia vita. L’ex fidanzato che mi aveva distrutto, sbriciolato il cuore. L’aveva preso e poi buttato a terra, calpestato. Ero stata disposta a perdornarlo per una cosa che nessuno avrebbe perdonato. Ma lui non si era mai limitato sul serio a fare solo quello.
Presi una profonda boccata d’aria, prima di entrare dalla porta di vetro.
Incamminandomi velocemente, andai in contro a Carl. In passato, mi aveva aiutata.
- La stanza dei reali….-
Non mi lasciò finire. Sembrava addirittura scocciato.
- Il signor Bass è già là. La stanza 322.-
Sorrisi.
Il signor Bass è già là? Che voleva dire? Quindi Chuck era già con… a solo sapere che il suo nome era realtà a pochi metri da me, mi dava una sensazione di felicità estrema.
- Grazie mille, Carl.-
Per tutto il tragitto in ascensore non feci altro che pensare al momento in cui l’avrei rivista.
Ne ero felice. Assurdamente felice.
Poi eccola là.
La stanza 322. la porta era aperta ed io mi precipitai.
Arrivata lì, però, tutto mi crollò addosso.
- Ma che diavolo…?-
Fu l’unica cosa che riuscii a dire vedendo i due ragazzi seduti sul divano che bevevano silenziosi.
 
 

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Buon giorno gente! :) eccoci quì, dunque.
abbiamo un Chuck frustrato ed amareggiato, in lotta con se stesso, una Blair che cerca quella povera bambina che però è stata portata via nuovamente. povera B, in fondo, è come se l'avesse persa per la seconda volta.
E poi abbiamo un personaggio che con questa storia non c'entra nulla, o solo apparentemente.
Vabbè, vi aspetto per il prossimo capitolo e vi invito a leggere la mia FF su Twilight, (se siete fans) :))
XoXo,
C.
:)

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Capitolo 12
*** capitolo11:news ***


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                                               Capitolo11:


News









 
«Alla ricerca delle novità.»
 
 
 

-Dicci tutto quello che sai., Humphrey. E non tralasciare nulla!-

Il ragazzo era ancora tranquillo. Ci fissava stranito. Non avevo idea di ciò che pensasse,

né per quale motivo fosse lì. E soprattutto, mi chiedevo perché LUI proprio.

Cercai di non dare a vedere che i miei nervi stavano saltando.

- Da dove devo cominciare?-

Ci fissò.

- Dall’inizio, ecco da dove. -

Blair alzò gli occhi al cielo.

- Beh, un giorno ero a casa mia. È arrivato un tipo, era piuttosto strano. Mi ha detto “sei tu Dan Humphrey?” e io gli ho detto “ Sì, certo.” Poi mi ha detto che mi doveva portare in un posto, ed io ho acconsentito. Non pensavo fossero…-

Si fermò per bere un altro sorso dal bicchiere di cristallo.

- loro. Io non ne avevo idea. Poi ho visto Evelyn.- fissò Blair per un minuto interminabile. Mi sentivo addirittura di troppo. Erano davvero in sintonia più del dovuto, più di quanto gradissi.

- E allora… ho capito che erano i reali. Non ho mai saputo cosa volessero da me. So solo che non c’era quasi mai nessuno, che stavo sempre io con la bambina. E che c’impedivano di uscire. È stato davvero … orribile. Era come essere in carcere – scuoteva meccanicamente la testa. Poi, smise di parlare e sospirò profondamente.

- Ti ha chiesto di me?-

Blair riemergette dall’angolo buio in cui era finita. La sua voce talmente flebile che era poco più di un sussurro. Venne avanti, ed io la guardai, sebbene avessi paura di farlo.

- Non direttamente. Mi ha detto: “ Ho voglia di abbracciare mamma” è davvero una bambina dolcissima. Sul serio. Ma, se posso chiederti,  perchè è qui?-

Vidi gli occhi di Blair  riempirsi di lacrime.

Iniziò a guardare il soffitto, nel tentativo di non farle scendere. Ma probabilmente, una le sfuggì. E le rigò dolcemente il viso. 

- Oh… - sussultò. – Lo so. Eve è davvero una bambina d’oro.- si fermò per un istante. – che cosa indossava?-

Era molto più che interessata. E in un certo senso la capivo. Tutto le faceva pensare che fosse vicina, molto più vicina. Che fosse in un qualche modo reale. Per questo continuava a chiedere.

Dan non fece caso alla domanda sviata, e rispose in tutta velocità.

- Beh… non lo so, non ricordo. Oggi aveva un vestitino blu mi pare… roba di alta classe. Se vuoi di la ci sono le sue cose. Sono andati via di fretta, non so se torneranno. Va’ a vedere.-

Sembrava aver intuito qualcosa.

Prudente ed incerta, Blair raggiunse la camera.

Ed io trovai il tempo per parlare un po’ con il ragazzo, che sembrava scomparso dalla circolazione. In verità era con la nostra scomparsa, e mi sentivo uno stupido a non averci pensato subito. Dan Humphrey scompare nello stesso momento in cui anche Evelyn lo fa. E inoltre, era sempre stato molto amico con loro. Dio, ero davvero un’idiota.

- Che è successo?-

Mi chiese, abbassando la voce.

- Non l’hai capito? Quei pagliacci le hanno portato via la figlia. E tu, Humphrey, servivi per badarle. Interessante no? Soprattutto visto che soltanto Serena si era minimamente interessata a te e alla tua scomparsa. In ogni caso, Blair è tornata e mi ha raccontato che Evelyn era stata portata via e…. - la storia era troppo lunga, e non avevo voglia di dare spiegazioni. – oh, ma lascia perdere.Comunque, hanno detto dove andavano? E quando se ne sono andati?- 

Alzò le mani come fosse un colpevole davanti alla polizia.

- Non lo so. Non hanno detto nulla. Louis è entrato, ha preso Evelyn, ed è andato via con una valigia in mano. E io … è da circa 4 ore che sono qui da solo. In attesa che torni qualcuno. Tra un’ora me ne sarei andato, comunque. Non potevo lasciare la bambina da sola, nel caso fossero tornati.  -

Quindi sapevano che li stavamo cercando.

Mi guardai intorno. Sicuramente c’era qualcuno che gli aveva avvertiti, che ci stava spiando. Oppure, stava spiando Blair.

Consapevole che cercasse di riprendersi sua figlia.

- Quindi sanno che li stiamo cercando e dove siamo diretti. Ovvero a lei.-

Afferrai il cellulare e composi il numero alla velocità della luce, mentre Blair ancora era nella stanza.

- Antony, ho bisogno di un favore. Controllami i movimenti di Louis Grimaldi e la figlia, sanno che siamo qua, e c’è qualcuno che sa dove ci muoviamo e come agiamo. Dobbiamo fare in modo di non farci beccare. Perciò, cercami anche se riesci qualcuno che ci segue, che ti sembra sospetto. Telefonami quando sai qualcosa, ciao. -

Aspettai un suo “si” stentato e chiusi il cellulare.

Diedi una pacca sulla spalla a Dan, e mi sedetti al suo fianco. Erano giorni che era lì, evidentemente.

- Non ti va di uscire a fare un giro? Giusto così, visto e considerato che è parecchio che sei rinchiuso qui? Va’, noi ci occupiamo di questa storia.-

- Neanche per sogno.- mi rispose deciso. E il suo tono non mi piacque per nulla . – Io vengo a fondo a questa storia con voi. Adoro Evelyn, le voglio bene. Io sono lo “zio Dan” e vi aiuto a cercarla. Piuttosto tu, Chuck, che c’entri?-

Mostrai i denti quando disse “zio Dan”. Ma, alla fine, che c’entravo io davvero? Effettivamente non avevo nessun legame né con Blair né con la bambina. Erano solo una cara (cara, carissima) amica e sua figlia.

Poi nella mia testa di fece largo una domanda più che sensata.

Anche Dan, che centrava? Voglio dire, ovvio, lui era lo “zio Dan”. Ma era soltanto il fidanzato della madrina della bambina, non andava tanto lontano da me. Tra l’altro, io, ero pure il propietario dell’hotel dove alloggiavano. E uno dei più cari amici di Blair. La madre. Fossi stato presente nella sua vita, sono sicuro che sarei stato lo “zio Chuck”.

- Anche tu Humphrey. Non sei davvero parte della famiglia. Hai solo avuto molto più tempo a disposizione per starle accanto. -

Non osò controbattere a questa affermazione.

 

 

 

 

POV BLAIR.

Entrando nella stanza, non potei fare a meno che notare quanti peluches la invadessero.

Non c’erano vestiti, solo bambole e pupazzi. Evelyn doveva averli lasciati qui.

Subito vidi tra gli altri il suo preferito, quello che non lasciava mai a casa. E provai pena per lei, che doveva essere disperata. Lo strinsi forse, sentendo il suo profumo dolce.

Inevitabilmente gli occhi si fecero umidi e la vista sfocata.

Cercai di controllare la respirazione, ma continuavo a singhiozzare più che respirare.

“Andiamo Blair! Datti un contegno!” mi dicevo. Ma la situazione non migliorava. Non volevo, non potevo, farmi sentire dai ragazzi di là. Mi avrebbero creduto una debole.

Eppure, essi si facevano più violenti, tanto da spezzare l’inquieto silenzio che aleggiava nella stanza. E mi distruggeva che qualcuno potesse udirli.

Speravo non venissero a controllare. Dovevo riprendermi.

La volevo.

La volevo adesso.

La volevo proprio allo stesso modo in cui volevo Chuck qui, ora. Volevo abbracciare lei, stritolarla. E volevo che LUI venisse qui a consolarmi, senza sapere come. Perché? Non lo accettavo. Nemmeno io volevo ammetterlo ma era vero. In questo momento, non avrei voluto nessun altro.

Mi sedetti sul letto stringendo ancora il peluches della mia bambina.

Evelyn, dove diavolo ti sei cacciata?

Perché non posso averti qui, tra le mie braccia, ora?

Perché non posso portarti a fare shopping tra le strade di New York, tenedoti per mano e ascoltando la tua dolce vocina ridere?

Perché non posso farti conoscere i miei amici, i tuoi nonni materni?

Il tormento era atroce.

Poi presi sottomano la foto che avevo guardato e riguardato durante tutta la sua assenza.

Era davvero una bambina bellissima.

E poi, la situazione mi sfuggì di mano, e quasi mi sembrò d’impazzire. Iniziai a buttare giù i suoi pupazzi, le bambole, e anche le coperte. Tutto quello che mi capitava sotto mano veniva travolto dalla mia rabbia.

Per terra, poi, rimase un fiocchetto per i capelli azzurro.

Lo raccolsi, con molta calma e cura.

Lo strinsi in un pugno e lo misi in tasca, tenendolo con me. Quello era il fiocco azzurro di Evelyn. Una cosa che era sua.

Decisi allora di tornare di la.

Non mi ero accorta che era passata più di mezz’ora, in realtà avevo perso la percezione del tempo,  e mi sembrava di esserci stata 5 minuti.

Portai con me il peluches. Quando l’avrei rivista, glielo avrei sicuramente ridato.

Nel salone, Dan e Chuck erano ancora uno di fronte all’altro a parlare.

- Non lo so, Chuck. Non ne ho la più pallida idea. Non hanno mai davvero parlato, e io non ho mai sul serio visto Louis.-

Dan insisteva, dicendo che non aveva idea di dove fossero andati. E Chuck, non gli credeva.

- Avanti, Humphrey. Devono aver parlato!-

- Te lo posso giurare, Chuck, non lo so!-

Tornai da loro quando udii i loro toni alzarsi. Volevo evitare grossi litigi, soprattutto ora, che sentivo la mancanza di Evelyn in un modo incredibile.

Arrivai a passo lento, incerto. Non volevo tuttavia mettermi in mezzo.

- Se dice che non lo sa, non lo sa. Lui non mente a TAL punto, Chuck. Non è te. -

Sapevo che le mie parole lo avrebbero ferito. Ma era vero.

Chuck mi aveva mentito, dicendo di non conoscere Evelyn, e Gossip Girl me l’aveva rivelato. Lui non me l’avrebbe mai detto. Ed io, sarei rimasta per sempre all’oscuro. La sensazione di volerlo con me, svanì velocemente.

- Tu non sai quello che dici.-

Mi sillabò, vicino all’orecchio.

Mi allontanai. Io non lo sapevo?

- Humphrey, vieni.- dissi poi, con voce talmente decisa quasi fosse un ordine – abbiamo una bambina da cercare.-

Oh, avrei trovato mia figlia. Con o senza Chuck. Non era indispensabile, dopotutto.

- Credi di poter far qualcosa senza di me? Avanti Blair, ho appena chiamato Antony. Ci aiuterà. Ti scongiuro, smettila con queste bambinate.- .

Mise una mano sulla spalla di Dan, nel tentativo di farlo sedere. Quasi a dirgli: “no, sta fermo lì.”.

- Ha ragione.- Dan pareva appoggiarlo.

Tuttavia, io, da sola, non avrei combinato molto. L’unica cosa che mi restava era… fidarmi di lui. Fidarmi ciecamente di Chuck.

- D’ accordo. Ma prometti.- mi rivolsi, con sguardo di minacce, al ragazzo. – Non nascondermi più nulla.-

Annuì, e tutti insieme ce ne andammo dalla suite senza più fiatare.

 

 

 

 

POV CHUCK.

- Si, d’accordo. Sono diretti verso il Palace? Ok.-

Sospiravo, sotto gli occhi curiosi di Dan e Blair, seduti uno di fianco all’altra. Si guardavano. A tratti si sorridevano. Dentro di me, un profondo ringhio si fece largo. Lottai con me stesso per non farlo uscire.

- Ah, signor Bass?- ripresi l’attenzione sulla voce al telefono.- faccia attenzione all’auto di fianco alla vostra limousine, sembra sempre nei paraggi. -

Guardai fuori.

Effettivamente, c’era un auto nera, tirata a lucido, di fianco alla nostra.

Pedinamenti, wow.

- Grazie. Dica ad Antony che gli sono grato.-

E staccai la chiamata, sotto il mio profondo sospiro.

- Allora?-

Dan era pronto ed incuriosito. Blair non parlava, per motivi di orgoglio, di sicuro.

Avrei messo la mano sul fuoco che il motivo del suo disinteressamento verso questa chiamata, aveva un unico fondamento. Ovvero, lo strano orgoglio che non le faceva vedere nemmeno quando sbagliava a non fidarsi della gente.

- Nulla. Stanno andando al Palace.-

Feci spallucce.

- e questo ti sembra nulla? Maledizione, Chuck!- . Blair stava gridando, probabilmente senza nemmeno rendersene conto.

Alzai gli occhi al cielo e continuai a guardare guardare fuori, senza dar credito alle parole della ragazza con gli occhi più belli che avessi visto fin’ora.

Chissà quanto ancora sarebbe durata questa momentanea rivalità.

Un minuto primo mi adorava, quello dopo mi odiava. Era tipico di noi.

Era una cosa malsana, sbagliata. Ma non riuscivo a staccarmente mai definitivamente.

Avevo il terrore, di farlo. L’unica volta, era stata la sua partenza. E il dolore che n’era uscito era talmente forte fa smorzarmi il respiro e fermarmi il cuore.

- John, facci scendere tra 5 minuti. -

- Hei ma che vuoi fare?- chiese Dan, stranito e un po’ confuso. Probabilmente pensava che volessi scendere da solo con lui. Indicai  l’auto nera che correva veloce fianco a fianco con la nostra.

- la vedi, Humphrey? È sempre dove siamo noi. Ci conviene prendere un’ altra auto e despistare questa.- . il ragazzo mi guardava, senza controbattere o contenstare nulla.

Attendemmo per un attimo l’arrivo dell’auto e, senza farci vedere, scendemmo dalla mia limousine.

Facemmo attenzione, non dovevano beccarci

Salimmo poi sull’altra con una velocità incredibile. L’avevo fatta portare fin qui.

- Ora- dissi, osservando con attenzione i due ragazzi . - .. vi dico cosa dobbiamo fare. E ascoltatemi, perché non lo ripeterò due volte. La limousine ha preso l’altra via, noi ora prenderemo quella all’angolo. Per favore, per favore… non fatevi vedere. non abbiamo tempo per occuparci anche di quella maledetta spia, o quel che è. D’accordo?-

Entrambe annuirono, convinti. Non erano spaventati, anzi. Blair era molto più che entusiasta, anche se tentava di non darlo a vedere. E Dan… beh Humphrey c’entrava poco nulla con questa storia, era  soltanto una sorta di “intruso”. Per lo meno, era così che lo vedevo io.

E l’auto andava, veloce. Veloce, ma il tempo comunque continuava a non passare mai. Sembrava quasi che l’attesa ci avesse ammutolito tutti quanti.

Chissà, forse era solo perchè di lì a poco avremmo visto qualcuno che era da parecchio tempo che non vedevamo.

Era che dopo tanto tempo, mi sembrava di essere in un qualche modo “legato” a questa bambina, in un certo senso sconosciuta. Incredibile pensare che per lei fossi un estraneo.

Beh, dovevo rallegrarmi. Presto o tardi sarei diventato lo “zio Chuck” no? Nel momento in cui l’avessimo trovata, me l’avrebbe mostrata, vero? Fatta conoscere meglio?

Sarei potuto essere partecipe anche io delle loro vite?

Non sapevo rispondermi.

Sapevo solo che, malsanamente, desideravo avere un legame più stretto di uno zio, con lei. Forse, volevo esserne il padre. Volevo solo stare con Blair ed abbracciare la nostra bambina.

Il pensiero di come sarebbe potuto essere, mi mozzò il respiro.

- Non lo so…-

Sentii poi, provenire dalle labbra di Dan Humphrey. Labbra che avrei preferito rimanessero chiuse, in tutti i sensi.

Lo fissai, i miei occhi erano più eloquenti del resto.

-  Blair ha chiesto se l’avremmo vista.-

La scrutai. Nei suoi occhi, la speranza. Nonostante volesse farmi vedere l’arrabbiatura, dentro di essi vedevo ancora un luccichio particolare. Lei VOLEVA il mio aiuto.

- Non lo so.-

Fui freddo e distaccato.

Ma non poteva dimenticare che a giocare eravamo in due.

Distolse lo sguardo e incominciò a guardare altrove, per discostare i pensieri da alcuni troppo orribili per essere accettati. Lei, la Blair invincibile, continuava a torturarsi, facendo così.

Scossi la testa.

La tortura era doppia, se solo pensavo che anche io non potevo toccarla.

Non potevo sfiorarla, sentire il suo dolce profumo, la sua pelle candida, perfetta a tal punto da sembrare irreale.

Perfezione?

Forse.

Chiusi gli occhi.

No, non avrei permesso alle lacrime di recidere ancora il mio orgoglio. Già incrinato da troppe spese forse inutilmente. Perché le sue scelte non sarebbero mai tornate indietro.

E poi, la sorpresa.

Louis Grimaldi, principe di Monaco, era al telefono fuori dalla grande porta del Palace Hotel. Elegante, un principe.

Blair, piena di aspettative, si affacciò. E…

Non trovò nulla.

Nulla che valesse la pena guardare.

A stento riuscimmo a trattenerla dallo scendere dalla macchina, andare dal marito e chiedere della figlioletta. Inveire contro di lui.

Vederla dimenarsi così, trattenendo lacrime e pugni dava un tale dolore interiore, che nemmeno riuscii a guardarla.

Fu Dan, infatti, a cercare di calmarla.

E a soffocare i singhiozzi convulsi che lentamente crescevano, fino a sfociare in un pianto isterico.

Continuava a ripetere che era lì, doveva solo entrare. Lo ripeteva, e non riuscivi a farla smettere.

Non avrebbe funzionato.

E il pianto, e le grida, crescevano.

Nell’auto, ormai, non sapevamo più che fare. E la mia testa, stava iniziando a dare di matto.

- Blair smettila!-

Gridai.

Smise di botto. La voce era stata troppo dura. L’avevo ferita. L’amaro in bocca non accennava miglioramenti.

- Non è ora di questo. Dopo. Calmati Blair, la troveremo! La troveremo.- e cose ne seguì dopo fu istintivo.

Le presi le braccia, la strinsi forte a me, lasciando che piangesse. Ancora una volta.

-… la troveremo Blair.-

Appoggiò la fronte nell’incavo del mio collo, ed io, lasciai cadere quella lacrima che percorreva la mia guacia, solitaria.

 

 

 

 

Spazio autrice:

Come promesso!Ecco il capitolo!

Dio mio, adoro il Chuck geloso del rapporto di Blair e Dan ed Evelyn e Dan…. Tenero “zio Chuck”!

Selene_V: benvenuta in questa storia Tesoro!

Vi voglio bene, e vi aspetto lunedì! J

XoXo,

C.

Ps: stasera, 5x11!  Non vedo l’ora! 

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Capitolo 13
*** capitolo 12: Silk. ***


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                                              Capitolo12:


Silk.

 


« La seta è morbida, come le lacrime sulle guance rosee della donna che ami. Le tue sono dure, e rigano il volto lasciandolo pieno di cicatrici.»









 

 

 

- Si è calmata?-
Dan Humphrey era seduto comodamente sul divano di casa mia,  con lo sguardo fisso sul vuoto.I suoi occhi sconcertati erano il ritratto dei miei.Venivo dalla mia stanza dove c’era una Blair distrutta, che aveva smesso di piangere da poco, con la mano destra intrecciata alla mia. Ora se ne stava tranquilla, quasi addormentata, senza parlare. Ed io, non volevo costringerla.
- Si.-
Mi sedetti al suo fianco. Il suo silenzio, l’eco del mio. Pieno di tensione, aleggiava nella stanza. Per molti minuti, una manciata, non aprimmo bocca. Poi, senza far rumore, mi alzai e diressi verso la bottiglia trasparente sul tavolo.
Dentro, alcool puro.
- Ancora, Chuck? Sai, dovresti smetterla.-
Lo ignorai, e ne versai un po’ nel bicchierino. Giù quello, giù i pensieri. Scosse la testa, in preda alla rassegnazione totale, e poi sospirò profondamente. E il suo sospiro, interruppe quel momento di calma assoluta.
- Perché non andiamo là e la portiamo via?-
Ancora, Dan, parlava. Non lo capiva proprio, che non lo sopportavo. Continuava, imperterrito, e non accennava a smettere. Forse, voleva solo che io lo accettassi.
Risi di quel pensiero.
Di sicuro, non era mia prerogativa.
- Sai, ci sono cose che ho imparato nel tempo. Non si possono affrontare queste cose con la più totale calma e tranquillità. Abbiamo un reale, sua figlia, e un’ ex moglie che la rivuole indietro. Ora, non possiamo aggirarci intorno ai reali senza protezione. Abbiamo a che fare con un’ istituzione, Humphrey. Non con una banalissima famigliola. -
-Si voltò, per non guardarmi in volto. Però, era cocciuto, il ragazzo.
Sorrise, nel rigirarsi verso di me. Ed io lo guardai torvo, non capendo il perché di quel sorriso inebetito.
Lui chiuse gli occhi.
E poi parlò.
- Lo so benissimo, Chuck. Ed è proprio per quello che dobbiamo agire di sorpresa.-
- Scherzi, vero?-
Gli risposi, di botta. Era impossibile aggirarsi li intorno, intorno ad un reale, senza che ci fosse qualcuno a stargli dietro. – è la prova che ho ragione io.- mormorai, senza staccare gli occhi dai suoi.
Stupido. Incredibilmente stupido.
-In che senso scusa?-
Inclinò la testa, senza capire.
- Sai come sono i reali, no?-
La mente degli Humprey era molto limitata, visto e considerato che non ne aveva idea. E me ne diede la prova scuotendo la testa.

 

 

 

 

POV BLAIR.

Il letto morbido era comodo e caldo. Me ne stavo lì, persa tra il dormiveglia, tra i miei pensieri. Che combattevo con due angoli del mio cuore opposti. Uno voleva prenderla, portarsela via. Prenderla e darsela a gambe. Prenderla e stringerla forte.
L’altra, quella più scura di me, prendere Louis e riempirlo di insulti, e allora, solo allora me ne sarei andata via con mia figlia.
Una parte di me era distrutta per l’assenza di Eve e l’altra era arrabbiata, nera e furiosa, con il padre. Al punto che tra un po’ questo copriva addirittura l’assenza della piccolina.
Non era sano.
Chuck era andato via, poco fa’, lascindomi le mani, convinto che dormissi. Io invece, sapendo di averlo parecchio sconvolto, con tira e molla, amore ed odio, e questa storia… l’avevo lasciato andare. Sebbene, dentro di me, molto nel profondo, sapevo di volerlo insieme a me, anche questa volta. Sempre, con me.
Un desiderio malsano, anche questo.
Serrai le palpebre forte e tentai un profondo respiro. Ma l’ossigeno sembrava non arrivare.
Com’era?

Perché non riuscivo a respirare?

Era come se fossi soffocata, dall’interno.

Mi sentivo morire, mi sentivo portare via le forze. Al punto che nemmeno il pianto riusciva a sfogarsi. Così, mi alzai di scatto, scostandomi i capelli dal volto, ancora semibagnati dal pianto di prima. Un pianto che mi aveva consumato fino al midollo.
Mi coprii con una coperta, perché sentivo freddo. Sentivo il gelo, sentivo un fastidio che mi prendeva tutta, dandomi un terribile tremolio.
Mi morsi il labbro inferiore, prima di coprirmi.
Delicatamente, poggiai di nuovo la testa al cuscino. Il suo profumo di colpì con la stessa fortissima intensità di un’onda nomala. In pieno volto. Era … buonissimo. E non potè che rifarmi lo stesso effetto della prima volta, dandomi le vertigini.
Mi sentii addirittura una stupida, perché da lì non mi volevo staccare. Non volevo togliermi. Stavo davvero.. bene.
Sul mio volto, si fece largo un sorriso luminoso. Di quelli che non riuscivo più a fare da troppo tempo. Di quelli che Evelyn si era portata con sé.
Presi il fiocco azzurro dalla tasca,  e lo strinsi con tutta la poca forza che avevo ancora.
- Evelyn..- sussurrai.
Rimisi a posto il fiocco e scesi per camminare verso la finestra. Era buio. Non sapevo che ora fosse, e non m’interessava. Avevo perso la cognizione di esso, e  vivevo alla giornata. Anzi, no. Vivevo come capitava, senza preoccuparmi di dormire o mangiare.
Non era giusto, forse. Ma mi avevano appena preso la mia ragione di vita, come avrei dovuto reagire?
Senza che me ne potessi accorgere, poi, qualcuno parlò.
- Che fai, guardi la luna?-
Sembrava avesse un tono del tutto ironico. Mi fece comunque sobbalzare.
Abbassai lo sguardo, e lui smise di ridacchiare. Non volevo farlo rimanere male, ma nemmeno potevo illuderlo o assecondarlo. E poi, in fondo, io ancora ce l’avevo con lui, no?

Mi ci vollero pochi secondi per rendermi conto che lo stavo chiedendo a me stessa.

Scossi la testa per cacciare quei pensieri.
- Si vede?-
Si avvicinò a me, ancora silenziosa nel mio angolino.
-Blair…- disse poi, avvicinandosi sempre di più con la mano verso il mio volto.
No!
Gridavo dentro di me. In questo momento non volevo contatti se non con mia figlia! Ti prego, Chuck! Ormai, urlavo contro me stessa.
E lui lo lesse, nei miei occhi. Lesse quella scintilla d’indecisione.
Tentò di nasconderlo, di non darlo a vedere. Ma io, che Chuck lo conoscevo piuttosto bene, potevo dire di averlo notato.
La sua mano si allontanò veloce, ed io, rammaricata, gli rivolsi un debole, debolissimo sorriso. Non riuscì a rispondere con uno tutto suo. Uno solito, di quelli beffardi. E mi sentii in colpa, al punto che quasi non riuscivo a guardarlo in volto.
- Scusa.-
Sussurrò debole. Quasi nemmeno io lo udii.
Chissà che pensava. Lo vedevo scuotere la testa, quasi fosse arrabbiato con se stesso. Era sbagliato. Era con me, che doveva avercela!
Poi, uscì dalla stanza.
Ed io lo seguii, con un passo veloce che lo sorpassò. E mi sedetti, così, vicino a Dan. Il quale, vedendomi in volto, mi strinse la mano.
E potrei giurare di vedere le mascelle di Chuck irrigidirsi.
-Che ora è?-
Chiesi, riemergendo dal nulla, come di solito facevo.
Dan tirò fuori lo schermo luminoso del cellulare.
- Le 3 di notte. Blair, se vuoi puoi andare…-
-NO.-
La voce secca di Bass, ormai, non poteva essere contraddita. Così  dura, quasi mi fece paura.
- Chuck… -
Lo ripresi.
- No, Blair. Cerca di capire. Loro sanno che stai cercando di prenderti Evelyn. Sanno dove abiti. A farti… non dico fuori, ma quasi, ci mettono due minuti. – i suoi occhi non andavano di paripasso con la bocca. Quasi non dicesse quello che pensava davvero.-  .. ti prego.- gli occhi erano supplicanti, quasi lucidi.
Abbassai lo sguardo, in pena di fronte a quel luccichio particolare. Colpevole.
-  D’accordo. Se è ciò che vuoi…-
Sospirai e deglutii. Veloce.
- Chuck, vuoi quindi costringerla a stare qui? Andiamo! – Dan Humphrey, che in quel piccolo tratto di secondo era scomparso dalla mia visuale, ricomparve.
Il ragazzo rispose con uno sguardo pieno di disprezzo, acido. Duro e velenoso. Che non andassero d’accordo, era un dato di fatto. Ma a tal punto…
Inclinai la testa.
- No, io non costringo nessuno. È solo la sua protezione che mi interessa. D’altro canto, se lei davvero non vuole passare del tempo con me, sì Humphrey tu te ne vai domani stesso, non ho nulla da obiettare.-
Visibilmente offeso ed amareggiato, Chuck posò il bicchere e si rifugiò in camera sua. Probabilmente, non aveva voglia di parlarne.

                                                                            

                                                                            *

 

Il giorno seguente, Dan, dopo la nottata passata sul divano, ed io, che avevo dormito nel letto di Chuck, con il suo profumo che mi conciliava il sonno e un po’ di musica classica nelle orecchie, ci alzammo presto.
Ci beccammo a colazione, entrambe, senza rivolgerci la parola. Era presto, non avevamo dormito molto tutti e due. Ci fissavamo, però. Tra una brioches e l’altra e un sorso di cappuccino caldo.
Poi, improvvisamente, iniziò lui una conversazione sensata.
- Blair.-
Un punto fermo, nella sua frase. Non un “Blair” dolce, no. Un “Blair.” Secco. Ciò, aumentò la mia ansia.
- Senti. So, che vuoi tua figlia. Ma forse è meglio che di questa storia se ne occupi qualcun altro. Qualcun altro come il governo, tipo. Sa che fare e…-
No, basta. Stava sul serio parlando a vanvera? Sapeva, che era inutile. Era una monarchia. Un’istituzione. Sarebbe stato troppo, troppo complicato. La giustizia privata, era molto meglio. Perlomeno per come la vedevo io.
- No, Dan. Ti prego. Voglio risolverla io.-
Non ribattè, ma si vedeva quanto fosse contrariato. Il suo volto non mentiva.
- E comunque… -
Borbottai.
- Spero tu mi aiuti, ovviamente. Non ti curar di Chuck.-
Subito lo vidi entrare, dalla stanza. Sembrava avesse un radar. Era appena stato nominato, e già era lì, davanti a me.
Bello, e dannato.

 

 

 

 

Angolo autrice:

 

Ringrazio __Lily : grazie mille tesoro, adoro questi complimenti, sul serio!

 

E tutti coloro che seguono la storia, chi l’ha messa tra le preferite e le ricordate! Grazie, mi riempite di gioia!

 

 

Stasera la 5x12.

 

La 5x11 ci ha riservato brutte sorprese, purtroppo. Come la morte del bimbo, o la definitiva rottura tra i Chair. Ma io ci credo ancora, e voi?

 

XoXo,

C.

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Capitolo 14
*** capitolo13:Morning ***


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Capitolo13:


MORNING.





« La mattine estive, in ogni parte del mondo, non sono mai belle come quelle invernali»













 

POV CHUCK.
Non avevo proferito parola. Non volevo, non potevo. Blair aveva detto di non darmi retta. E se lei, alla fine, non voleva farlo, allora sarebbero stati soltanto affari suoi.
Poco importava che io l’amassi.
Poco importava che io volessi a tutti i costi che ricambiasse.
Perciò, quella mattina, non parlammo granchè. E anche con Dan, non ci fu un grande dialogo. Preferivo rimanere da solo, con me, per pensare un po’, sebbene negli ultimi tempi l’avessi già fatto troppo. Pensare era una cosa che mi fregava. Uscivano troppe cose che nascondevo a me stesso. E non sapendole, forse, vivevo anche meglio. Ma, ogni tanto, faceva bene.
Ero intento a sfogliare un giornale, mentre i miei simpatici “coinquilini teporanei” erano in giro a fare spese. Io, nonostante di me si fidassero poco, ero colui che gestiva la faccenda, e s’ impegnava per risolverla.
Più tardi, però, sarei stato io quello che avrebbe preso il cane e se la sarebbe svignata. Ovviamente, non avrei permesso loro di porre resistenza.
Ma c’era un altro fattore, che avevo guardato poco. Il tempo. Louis non sarebbe stato a New York  ancora per molto, sicuramente. E quindi, dovevamo sbrigarci.
- Che pensi?-
Nate, che era entrato in casa, togliendosi la giacca, come abitasse lì, se ne stava ritto davanti a me, con le braccia incrociate.
- Nulla. Solo che…-
Mantenni in sospeso la frase.
- Dan, sai dov’era? All’Empire! Era nel tuo hotel con… ta-ta-ta- taaaa: La vostra amichetta!!-
Allargò le braccia.
- Non capisci, Chuck? La ricerca è finita! Adesso, ho trovato anche la bambina! -
Alzai gli occhi al cielo. Qualcosa mi diceva che era rimasto indietro con le informazioni.
- Non mi cogli impreparato, Nathaniel. L’ho sapevo. È ospite qui. E per quanto riguarda Evelyn… ci stiamo lavorando.-
I miei occhi cominciarono a guardare il pavimento.


POV SERENA.
Nemmeno una chiamata.
Avevo aspettato, nel cuore della notte, che Dan mi chiamasse. Nate mi aveva informato che l’aveva trovato e che, finalmente, lo avremmo sentito. Invece nulla. Non v’erano segnali. Niente di niente.
Perché?
Era una domanda che mi opprimeva il cervello. Dopotutto, ero la sua “ragazza”. Perciò, si partiva dal presupposto che mi amasse. E che la prima persona che avrebbe chiamato, quando e se fossero riusciti a trovarlo, sarei stata io.
A meno che…
A meno che non avesse un cellulare. Nate mi aveva detto che era all’Empire, fino a poco fa’. Perciò, il telefono c’era eccome. E allora per quale motivo nessuno mi chiamava?
Tra l’altro, proprio l’Empire. L’hotel di Chuck.
Quindi anhe Chuck mi aveva preso in giro, erano d’accordo. Blair non aveva tutti i torti, a non sopportarlo.  Ad odiarlo ed amarlo nello stesso tempo.  
Era normale.
Aveva ragione.  
Non avevo nemmeno il coraggio di chiamare lui o la mia amica. Sicuramente, avevano qualcosa di meglio da fare, da lì non si scappava.
Poi, il telefono trillò. E la foto di Dan Humphrey, mio fidanzato, se ne stava come schermo. Presa da un imminente shock, esitai. Poi, risposi cercando di mantere un contegno e la voce ferma.
- Pronto?-
Mi schiarii la voce.
- Serena Van Der Woodsen?-
Mi bloccai di colpo. Conoscevo quella voce. La conoscevo bene, anzi, benissimo. Ma non era Dan. Non era il MIO Dan. Era qualcuno che con me, aveva poco in comune.
- Si.-
La voce era un bisbiglio fin troppo silenzioso. Al punto che non sapevo se chi era dietro l’altra cornetta avrebbe sentito.
- Avrei un’ offerta da proporle.-
Non avrei accettato nulla, con lui. Niente, poteva farmi accettare qualcosa da questa persona. Era stata TROPPO.
- Dica.-
Parlai, quasi in tono di sfida.
- Io, posso darle notizie piuttosto scottanti sul suo fidanzato, Dan Humphrey. Dirle dov’è, ora. Dirle tutto su di lui. Ma lei , in cambio, deve farmi un favore.-
Indugiai. Davvero volevo sapere tutto su Dan? Era sbagliato. Sarebbe stato come se fossi un’ ossessionata. Quasi fossi pazza, ridicola. Non volevo apparire così. Non volevo.
Eppure…
Mi tentava.
Ma davvero, sarei stata in grado di far accordi con lui? Con chi aveva portato via mia nipote a sua madre? Magari, sarei anche potuta arrivare a lei.
Qualcosa, dentro di me, si accese.
Sicuramente, avrei visto Evelyn.
Avrei avuto un contatto con lei.
- Di cosa si tratta?-
Chiesi infine.
Se davvero volevo sapere, fidarmi di Dan e aiutare i miei amici a ritrovare la bambina, l’unico modo era quello di andare fino in fondo.
-Venga al Palace, domani. Troverà qualcuno che la porterà da noi. Le spiegheremo tutto.-
Lo sentii esitare, per via telefonica.
- Ah, Serena. Dev’essere top secret.-  
Non mi diede il tempo di salutare, che mise giù il telefono.



POV CHUCK.
Ormai, non arrivava nessuno. Erano passate ben 4 ore, e non c’era traccia di Dan o Blair.
Nate era rimasto per un po’, giusto il tempo di dirgli tutto, in modo che potesse aiutarci, ma poi era andato via. Monkey scalpitava, per uscire. Ormai voleva andare a fare un giro nel parco. Ed anche io.
Ero chiuso nelle pareti di quella suite. E volevo disperatamente aspettare i due per dire  loro cosa avevo scoperto.
Infatti, Louis, portava via la bambina per impedire a Blair di trovarla, in modo da tenerla con sé. E non aveva intenzione di lasciarla andare.
Il suo intento, rabbrividii nel pensarci, era quello di farla soffrire, portandogliela via, per sempre.
Perché?
Beh, semplicemente per vendetta. Vendetta per il fatto che Blair avesse dubitato del suo amore per lui, credendo sempre di essere innamorata di me.
Per il test del dna, perché l’aveva effettivamente “tradito”. Ed io, mi sentivo in colpa.  Perché effettivamente era stata colpa mia. Solo colpa mia.
Fottutamente colpevole.
Il silenzio che riempiva ogni angolo della stanza, ogni singolo buco, era talmente pesante da schiacciarmi. Come avevo già detto, non amavo particolarmente pensare. Ma la solitudine proprio…
Tutto quello che avevo nel cuore, perché sebbene lo nascondessi il cuore c’era, mi colpiva come lame affilate. E tutto cominciava a sanguinare, sanguinava veloce, quasi stessi morendo. Mi riducevo senza forze, per i ricordi.
La morte.
Mi aveva perseguitato per così tanto tempo, ma gli ero sempre sfuggito, quasi fossi più potente persino di questa. “ci sono cose più potenti di te”, aveva detto Blair. A me, sembrava che così non fosse.
Chuck Bass e la morte. Erano quasi amici.
Finalmente, sentii i passi di qualcuno provenire dalla porta. Blair, bella e perfetta, Era lì, ferma davanti a me.
Humphrey, invece, era dietro di lei. Mi sembrava il classico cagnolino.
- Chuck..-
Tranquilla, perfezione.
Era tutto quello che volevo dirle, quello che avrei voluto dirle.
Invece, mi limitai a scuotere la testa. Anche se avevo paura che fraintendesse i miei gesti.
- Ho incontrato Serena.-
La guardai. Che storia doveva raccontare, ora?
- Ora fai parte di questa storia, e devi sentire tutto quello che abbiamo raccolto.-
“Ora”? beh, giusto. Prima non facevo parte. Io ero solo quello “ di troppo”.
Dentro di me, un ringhio cupo si fece largo. E Dan, indietreggiò al solo mio sguardo.
- Che c’entra Serena ora?-
Esortai.
- Ha ricevuto una chiamata, da Louis. Ecco, lui le ha proposto uno scambio.-
Sembrava incerta.
Io non volevo spaventarla. Solo.. non accettavo determinati atteggiamenti che non meritavo di ricevere.
Mi sentii addirittura disgustato da me stesso.
- Serena incontrerà Louis. Lui le ha chiesto di vedere, per parlare. Per uno scambio.-
- Che tipo, di scambio?-
Respirò veloce, sbattendo le palpebre
- Non ne ho idea. Domani si incontreranno. -
Abbassai lo sguardo.
- Che cosa hai in mente, Chuck? Microfoni, cimici in stile “007”? -
Lo fulminai.
Non era sicuramente il mio stile. E comunque, era improbabile che Louis credesse sul serio che Serena non dicesse niente. Lui SAPEVA, o VOLEVA  che lei lo dicesse a noi. Era sicuramente un trabocchetto.
- No. E dite a Serena di non andare.-
Mi alzai dal divano, per afferrare la bottiglia bianca dal tavolo.
Humphrey però mi fermò. Alzai gli occhi al cielo e gli chiesi di smetterla. E Blair, poi, mi chiese il perché. Sembrava particolarmente confusa.
- Credete davvero che Louis cheda a Serena di andare da lui convinto che non lo dica a nessuno o che sia completamente pulita di quelle cose che quell’idiota di Humphrey prima ha elencato? Avanti, Blair. Ti credevo più intelligente. Di sicuro, passi troppo tempo con lui.-
Indicai il ragazzo vicino a me con disprezzo.
- Dove vuoi arrivare? Non abbiamo altra scelta, Chuck. È l’unico modo per sapere sul serio che cosa vuole!-
Scuotevo la testa, ritmicamente.
- Ma non capisci? È proprio quello che vuole lui!-
Ormai, le nostre grida erano addirittura udibili da fuori. E ce ne diede prova proprio lei, Serena, che entrò all’improvviso.
- Ma si può sapere che succede?-
-C’è che…-
Non le fece finire la frase che fu lei a parlare.
- Ho una cosa da proporvi.-
E il suo sguardo, quando incontrò quello di Humphrey, sconvolto, era qualcosa di simile al disprezzo mista rabbia.


Angolo autrice!:

Eccoci… 
Scusate il ritardo di un giorno, mi dispiace, ma ho anche la scuola a cui pensare (purtroppo).
In ogni caso, siamo arrivati ad un punto cruciale. Serena, chiamata da Louis, ha qualcosa da proporre.. ma cosa?
Lasciate un commentino, che mi fa piacere!
Ieri sera, l’episodio 100.
Beh, auguri GG, da tutti noi! 
XoXo,
C.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Project and coffe ***


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                                             Capitolo 14:








Project and coffe.

 
 




«Promemoria: mai fare progetti. Le cose non vanno mai come le avevi programmate.
E bevi una tazza di caffè, con un amico, per renderti conto di quanto davvero hai da dire»
 




 
 

Calò il silenzio. Le faccie di Serena e Dan erano la prima di rabbia e la seconda di scuse.

Ci sentivamo addirittura di troppo, noi. O, altrimenti, sbagliati. Non dovevamo essere in quella scena.

Gli occhi della ragazza, poi, si fermarono, gelidi come fiocchi di neve, su quelli dell’amica. Blair, infatti, se ne stava seduta tranquillamente sul divano, vicino a quello che sarebbe dovuto essere il fidanzato di Serena. La sua rabbia, l’eco incontrastato della mia. Anche io, infatti, provavo irritazione verso quella vicinanza.

- Avrei dovuto immaginarlo.- mormorò, a denti stretti. Avrei voluto prenderla per il braccio, scuoterla, e dirle di non fare a caso a tutto questo. Che non si amavano. Che erano solo amici.

Mi accorsi, ben presto, che ero io che avevo bisogno di quelle parole.

- Che ci fai tu qui, si può sapere?-

Sbattè violentemente la borsa sul tavolino. Sussultammo.

- Serena.- la rimproverai. Mi raggelò con lo sguardo. Ed io, capii che era meglio lasciar perdere.

- Non ci credo…- s’avvicinò a Blair. – Tu. Perché non me l’hai detto prima? Pensavo fossimo amiche. Ci siamo sentite poco fa, che diamine! - La ragazza si alzò, si sistemò il vestito, e le rispose, alzando la testa. – Lo siamo. Ma lo devo ammettere, S. mi sono completamente dimenticata.-

Fu la sua sincerità, a colpire la ragazza.  Infatti, non stava mentendo. Era lì, vulnerabile. Avrei voluto prendere Serena ed implorarla di non gridarle contro. Sarebbe stato troppo.

-Dimenticata? Ti rendi conto vero mi hai preso in giro?- la vidi fare un leggerissimo, quasi impercettibile, sospiro.- Non ti ho preso in giro, S.Mi sono dimenticata, ok?  E’ solo che sto cercando di riprendermi mia figlia!- la voce si perse, durante le ultime parole.

- Lo so.-

Rispose, a denti stretti e mascelle serrate. – Ma Dan…- non finì la frase e si mise la mano nei capelli.

- Ragazze, vi prego. Possiamo discuterne dopo?- fissai la bionda, inchiodandola con lo sguardo .

- No, Chuck. Anzi, sai che ti dico? Ho sbagliato. So io che fare. Dirò a Louis che non m’interessa, ora so già dove….- non terminò la frase. Era chiaro che parlasse di Dan.

- Serena, per favore!- Esortò, il ragazzo. Probabilmente era l’unico che l’avrebbe convinta, non potevo fermarlo.

- Ti rendi conto, vero, che sei ridicolo, Dan?- gli rispose, incrociando le braccia e spostando il peso sulla gamba destra.

- No, tu sei ridicola. C’è in gioco il futuro di una bambina, e tu che fai? Pensi solo a te. Blair ha perso sua figlia, e tu non le dici nulla. Non la consoli, non t’importa. Serena, forse avevo ragione. Sei molto più egoista di quanto tutti ti abbiano mai descritta. Sei come sei nel libro.-

Le sue parole ci ammmutolirono tutti quanti. Tutti ci sentivamo presi in causa, e nello stesso tempo di troppo. Le sue parole, colpirono Blair come una freccia, rendendola colpevole. La ragazza abbassò lo sguardo, in preda alla vergogna. Se c’era una cosa che voleva, era la sua amica, in questo momento.

- Stai scherzando, vero? Io voglio bene a Blair! Ed Evelyn… è sua figlia! E’ normale che m’importi di lei. E’ solo che … per l’amor del cielo! -

Non riusciva a terminare la frase. Ed in poco tempo crollò inerme sul divano, con le mani fra i capelli. – Ok.-

Disse, infine. – io  voglio aiutarvi. Ma io devo e pretendo di sapere tutta la verità. Niente più bugie o sotterfugi, d’accordo?-. ci fissammo. Poi, il nostro sguardo si spostò sul suo, curioso.

- Certo. Scusami.- due parole, uscirono dalla bocca di Dan. Due parole sole, che le fecero però inarcare le labbra rosee in un debole sorriso.

- Ora, prima di parlare da sola con Dan. Vi voglio proporre una cosa.-

Dalla borsa di pelle, rigorosamente firmata ed incredibilmente costosa, tirò fuori un plico di fogli. Era sottile.

Lo guardai, cercando d’intuire cosa fosse.

- Questi…- li aprì, per mostrarceli meglio. E subito, capii di cosa si trattasse. Sorrisi. Ovviamente, si era già data da fare. In quanto a efficienza, Serena era da 10 e lode.

- … sono i fogli con tutta la conversazione tra te e Louis.- conclusi, forse con una punta di superbia. Non lo negavo, mi piaceva mostrarmi intelligente. Sebbene di cavolate ne avessi fatte tante, il mio modo di gestire le situazioni era alquanto efficace.

- Si, vero.- mi disse, un tantino confusa. – In ogni caso, non ve li ho portati così per fare. E’ che magari potete darmi un aiutino in più. Il mio progetto, la mia idea è questa: gli dico che voglio parlare con lui, faccio ciò che mi chiede e prendo Evelyn.-

Disse, come se nulla fosse.

L’efficienza era ottima, ma il suo modo di vedere le cose a volte troppo ingenuo.

- Serena, quella bambina sicuramente sarà protetta da una decina di persone. Potrebbe non essere facile come credi, prenderla e farla sparire.- le feci notare.

La  ragazza alzò gli occhi castani al cielo.- Lo so. Sarò ottusa, ma fino ad un certo punto. E non tanto da non capire che una principessa non ha protezione- indicò l’ovvietà. A quel punto, allora, cessai di parlare.

- E, comunque, non la porterei mai via così. Mi sembra quantomeno logico che sia lei, a dover scegliere.- guardò Blair, con un’occhiata intrisa di compassione e speranza. Ma io, notai anche un velo di rancore, nelle sue parole.

- Logico.- la sentii mormorare, con gli occhi bassi. – Non so se vorrà venire con me. Io non ho nulla da offrirle, più di quello che Louis può darle.- ammise, con la voce rotta.

Blair aveva l’amore. Aveva il suo amore. E questo, per quanto mi riguardava, bastava per mantenere un figlio in vita, più di quanto denaro e pajettes potessero fare.

- Non mi sembra che fosse felice, dove stava. L’hai detto anche tu, più e più volte. In questo caso, il denaro, è solo un accessorio che serve per raggirarla a stare con lui. Credimi, se potesse scegliere, sceglierebbe te.-

Feci un timido cenno con il bicchiere.

- Si, ma non quando esiste un padre principe.- disse, acida e sconfortata.

- Avanti, Blair. È una bambina! Vuole solo amore! Il lato consumistico di questa storia… non pensavo potessi pensare una cosa del genere.-

Commentai, sarcastico.

- Perciò il progetto è questo?- chiese Nate, un tantino stranito. – Insomma, Serena dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco, e poi portare via Evelyn?- scuoteva la testa, dando quasi un cenno di pazzia a questa cosa. Magari aveva ragione.

- Io non penso che la parola giusta sia: “portare via”. Diciamo… che porrò Evelyn davanti ad una scelta.- borbottò. Ed io, ascoltavo la conversazione senza parteciparne. Standomene muto con le mie idee.

L’idea della ragazza, era abbastanza buona. Ma mancava di qualcosa. E quel qualcosa era Blair. Se c’era una osa che sapevo, era che amava sbrigarsela da sola. Starsene in disparte in questa storia, non le piaceva. E lo si capiva dai dettagli:i suoi occhi erano spenti e la bocca ripiegata in una smorfia.

Voleva partecipare, essere parte attiva.

“NO” gridava ogni parte di me. Mentre il mio cuore palpitava a guardarla, il mio cervello altro non faceva che gridare “è giusto così. Deve essere protetta.”

Le due parti in lotta non si equilibravano, al contrario, mi spezzavano come carne da macello.

L’amore che provavo per lei, era forte e premeva. Premeva su scelte sbagliate, in particolare. Avevo ripromesso a me stesso che non l’avrei mai più condotta verso quelle scelte. E di certo, non avrei smesso ora.

- Ha solo 5 anni.- mormorò poi.- .. è una bimba intelligente. Ma ha solo 5 anni e parla poco la lingua. Forse… - non terminò la frase. Quello che stava per dire, ci stava per colpire tutti.

- No. Non puoi lasciarla là. Qualcosa, qualsiasi cosa, devi farla. Devi provare.-

La scrollai, a parole.

- Non se significa farla soffrire, Chuck.- Mi rispose a tono. – Non se quello che c’è in ballo è la sua felicità.- ammonì. Ed io, ancora una volta, mi sentii in torto.

- Si, ma anche la tua conterà pur qualcosa, no?- chiesi, senza esitare.

- Non capisci, non puoi capire.- ormai, altre lacrime le stavano solcando il volto. E sembravano pesanti, questa volta, talmente pesanti da sembrare graffi. E dolevano, anche su di me.- La mia ragione di vita, ora, è lei! Lei è parte di me! Lei è ME! È quello che sono io, che diamine, Chuck! La mia felicità e anche la sua! Siamo due cose legate! Non puoi chiedermi di pensare a me stessa quando mi è stata portata via la mia bambina.-

Il silenzio calò come un pugno sul volto di tutti noi. Talmente pesante da opprimere anche i pensieri più lucidi e buoni. Lasciando spazio solo al dolore di Blair, che invadeva inevitabilmente anche noi. Me più di tutti.

Non potevo rispondere. Non potevo aprir bocca. Qualsiasi cosa avessi detto in quel momento sarebbe stato sbagliato. Orrendamente sbagliato. E non potendo rispondere, tutto quello che feci fu continuare a guardarmi le scarpe come un codardo. Ero un codardo.

Fu Serena, poi, che spezzò quel silenzio agonizzante.

- Io… che devo fare?-  chiese, con un filo sottile di vergogna. – Si, insomma….- Dan, che non apriva quella boccaccia da un po’, rispose con sicurezza. – Ci penseremo domattina. Ora Andate.-

Nulla andava come volevamo.

Niente andava secondo i piani. E i progetti? Una sfuriata … di lei, poteva cambiare tutto? Le cose sembravano cambiare ogni minuto. E il tempo, che diamine, il tempo era oro, per ora. Louis, non sarebbe stato ancora qui per tanto. Questione di ore, e poi se ne sarebbe andato. E con lui, anche la nostra speranza di riportare a Blair sua figlia. Quella che ormai, era un po’ di tutti noi.

Non li trattenni qui.

Ciò che sapevo, era che speravo che il piano non saltasse. Perché comunque, ci avrebbe aiutati.

- Chuck.- la voce triste, flebile poco pià che un sussurro, mi chiamò da lontano. Nel giro di pochi minuti, una cascata di capelli biondi era dietro la mia schiena.

- … cerca di capirla. Non era sua intenzione gridare o dire cose del genere. Io l’ho fatto. Ho guardato, ho visto Dan e Blair. Due amici. E l’uno che cercava di aiutare l’altro. Cosa che non ho fatto io. Cosa che d’ora in poi farò. – mi mise una mano sulla spalla, un bacio sulla guancia. Non amavo i contatti, eppure, ella mi si avvicinò ed io non opposi resistenza.

- Hai altro da dire, Chuck. Non stare in silenzio.- mi porse un sorriso.- … ti invito al caffè all’angolo. Ti prego Chuck, abbiamo bisogno tutti e due di qualcosa a cui pensare.-

Non ci pensai due secondi, perché non avevo voglia di sprofondare nella fossa che mi ero creato.

 

 

 

----------------------- Spazio autrice.

 

Imperdonabile ritardo.

Mi dispiace davvero tanto, ma la scuola mi uccide in sti giorni!

Vi piace la storia? Allora recensite, mi piacerebbe una vostra opinione :3

 

Un bacio ragazzi.

 

La 100 è stata una delusione, per lo meno per me. La fuga Dair? No parole.

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** capitolo15: Some tears help the brave ***


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                    Capitolo15:


                                        Some tears help the brave.


 

 

«Le lacrime, anche se spesso si tende a nasconderle, spesso aiutano a prendere coraggio, e a tener conto dei proprio sentimenti».





 

 

 

Mentre il tempo passava, veloce, ed io guardavo le lancette dell’orologio come un ossessionato, il cellulare squillava a oltranza. Uno dopo l’altro, investigatori e altri come loro, chiamavano continuamente.

Serena, intanto, aveva informato anche decine e decine di inutili guardie del corpo, affinchè non rimanessimo scoperti. A suo parere, se fossimo rimasti senza protezione, qualcuno si sarebbe fatto male.

Ed io, controvoglia, ero stato costretto ad accettare. Anche perché, sotto il mio stesso tetto, c’era anche una micidiale Blair, cardine di questa storia. E questo, faceva di me, un bersaglio piuttosto ambito. Come l’ultimo ostacolo prima di arrivare alla principessa, in uno di quei squallidi videogiochi.

Non rispondevo alle chiamate, proprio perché non volevo destare sospetti, e rimanere per lo più nell’ombra. Faceva bene, era necessario. Mi sentivo, però, uno di quegli sciagurati dei film. E questo mi procurava un certo fastidio.

Poi, preso dall’improvvisa voglia di staccare quel maledetto aggeggio, lo buttai per terra.

Al diavolo, me la sarei cavata da solo. Insomma, ero Chuck Bass. Un modo per proteggere me, la donna che amavo e quel maledetto che purtroppo stava con noi ( Serena aveva tentato di portarlo con lei, ma lui aveva gentilmente rifiutato con strane scuse che non reggevano, a parer mio e di Serena.)l’avrei trovato. Già, perché, se c’era un’atroce verità, qualcosa che uccideva da dentro ma non lo lasciavo uscire, era la consapevolezza che lui l’amava. E che desiderava proteggerla, così come volevo io. Perciò, a malincuore, accettai, quando mi chiese di stare con noi. Una persona in più dalla nostra parte serviva, senza dubbio.

- Dorme?-

Monkey era uscito con lui a fare una passeggiata. Sarà, ma provavo fastidio. Era il MIO cane. L’aveva portato lui qui, vero, ma per quale motivo doveva insistere per portarlo lui fuori?

In preda a questi pensieri strani, scossi la testa.

- No?- chiese.La sua voce mi irritava, dio quanto mi irritava.- No, non lo so.-

Risposi, acido

- Ah beh. Allora.. vado a vedere se ha bisogno di qualcosa.- lo vidi avvicendarsi verso la mia camera, dove Blair se ne stava rinchiusa.

Non ci feci molto caso. Avevo imparato a controllare le mie idee, i miei pensieri e non dare peso a queste cose. Sapevo che Blair non era innamorata di Dan, e questo bastava a darmi conferma che tra loro non c’era nulla. E che soprattutto lei non aveva nulla con lui.

Questo mi aiutava di certo.

Non sentii parlare, da dove mi trovavo. Il tutto mi fece pensare che Blair stesse dormendo e lui fosse lì soltanto per stare lì. Così, mi alzai. E anche io andai nella mia stanza, convinto fino in fondo di cacciare Dan da lì e lasciarla dormire.

- Sai, Dan, la gente, quando dorme, vorrebbe essere lasciata in pace.-

Si voltò, mi guardò stranito.- Che cosa vuoi dire?-

Chiese, scuotendo la testa.

- Che potresti anche andare via e tornare a farti il tuo giretto quotidiano. Dammi retta, qui ci sono io.-

Lo incoraggiai.

- Avanti, Chuck. Ho il diritto di stare qui quanto te.- la indicava come una cosa giusta, come un ovvietà.

- No, Humphrey, è proprio qui che ti sbagli. Questo è il MIO hotel. E questa la MIA stanza. Non voglio essere sgarbato, ma potrei cacciarti ora, in questo momento. Perciò, forse, è meglio che tu faccia ciò che ti dico. Solo perché ti lascio vivere qui, non vuol dire che tu mi stia per forza simpatico.-

Gli dissi, in tutta sincerità.

Poi, lo presi per un braccio, e lo spostai. Quando lo vidi fuori dalla stanza, oltre che provare un piacevole sollievo, lo incitai ad uscire ancora.

- Chuck, sei ridicolo. Ti rendi conto, vero, che sono appena tornato da una passeggiata con il tuo cane?- quell’aria da saputello, mi faceva saltare i nervi. Ma Blair, se solo gli avessi sfiorato un capello, mi avrebbe detestato più di prima.
E questo, lo rendeva intoccabile.

- Bene, allora Monkey vuole uscire di nuovo.-  diedi una carezza sul muso al cagnolino, e lo invogliai ad uscire di nuovo. Ovviamente, anche a lui non Dan non andava a genio.

Soffocai una risata.

- Ok… ho capito. Mi vuoi fuori da qui. Bene, me ne vado. Ma torno subito, eh.-

e gesticolando di fronte al mio sguardo duro e indispettito, uscì di corsa.

Una sensazione di libertà mi avvolse e mi diede anche calma e tranquillità.

Senza quell’idiota tra i piedi, quello che, un tempo, era stato anche quasi “amico”, mi sentivo meglio.

Poi, nella sua vita era entrata Blair.

Era entrata lei, così come lo aveva fatto nella mia. Senza preavviso, infastidendomi anche un po’.

Ma dopo, aveva iniziato a prendermi. prendermi nel verso giusto, come solo lei sapeva fare. Sapeva cosa mi piaceva e cosa detestavo. E con il tempo, aveva iniziato ad amarmi. Avevo iniziato ad amarla.

Poi, è bastato l’arrivo di mio zio, quello di un principe fantomatico, e di Humphrey.

Diceva di essere innamorato, di lei.

Io potevo anche crederci, ma non avrebbe mai potuto diventare per lui quello che era per me.

Blair era l’aria che respiravo. Era il sole che volevo vedere tutte le mattine.

Blair era l’ossigeno.

Era colei che era riuscita a salvarmi dalla caduta, che mi aveva abbracciato, sul serio, per la prima volta.

Perché cos’è un abbraccio, un bacio, senza amore?

Tirai indetro la testa, in preda a ricordi belli, meravigliosi, ma talmente dolorosi da scavarmi all’interno.

Poi, mi alzai. Quasi istintivamente, senza nemmeno pensarci troppo. Era una cosa quasi meccanica.

La mia stanza era buia, non c’era un filo di luce. L’unica cosa che splendeva, riuscivo ad intravederla sul mio letto.

Mi sedetti, molto lentamente, per evitare di svegliarla.

- Io…- incominciai a mormorare qualcosa, senza nemmeno saperlo. –sai, forse ti devo delle scuse. Delle scuse, in realtà, sono anche troppo poco, per quello che è successo in tutti questi anni in cui ci siamo amati.

Tutto è cominciato con l’hotel. Te ne sei andata, ed io ho fatto una delle cose più sbagliate del mondo. Un errore che pago tutti i giorni, un errore al quale non posso che fare riferimento quando parlo di noi, di com’è finita. Poi Parigi.

È stata decisiva per noi, quella meta. Io ho incontrato Eva, e tu Louis.

Eva…

Beh, sarei un bugiardo se ti dicessi che non provavo nulla per lei. Ma sempre, pensavo a te. Quando ti ho visto, a Parigi, era come se quello che legava Eva a me, fosse solo il fatto che mi avesse salvato. Il fatto che mi avesse salvato a Praga, quando mi spararono per quell’anello. Il tuo anello.

Sai, ce l’ho ancora. Ce l’ho e non so cosa farmente. Ma mi ricorda te in un modo che forse nemmeno puoi capire, e non posso pensare di darlo via.

Poi, siamo tornati. Il tempo passava, e tu e Humphrey continuavate ad essere sempre più amici, più legati. Ed io non riuscivo a capirlo bene. Poi Louis… la ciliegina sulla torta. Lo sbaglio. Il tuo matrimonio, la partenza per Monaco. E la gravidanza.

Tutta questa serie di eventi non fa che tormentarmi ogni giorno.

Te ne sei andata, e questa cosa brucia come il fuoco che mi doveva divorare già troppe volte. È fa più male ancora.-

Dissi tutto di getto, quasi con le lacrime che ricadevano spesse sul mio viso.

 

 

POV BLAIR.

Lo sentii avvicinarsi, sedersi di fianco a me. La voglia disperata di voltarmi ed abbracciarlo.

Era sbagliato.

Sbagliato per tutto, perché tra noi lo sarebbe stato, perché era inevitabile che non sarebbe durata.

Ed io, avevo già il cuore ridotto a brandelli, appiccicato con lo scotch, per provare a metterlo di nuovo alla prova.

- Io…- la sua voce. La sua voce era tremendamente troppo per me. Più di quanto fossi disposta a sopportare.- sai, forse ti devo delle scuse. Delle scuse, in realtà, sono anche troppo poco, per quello che è successo in tutti questi anni in cui ci siamo amati.-

No, non sei tu a doverlo fare, Chuck. Sono io che ho sbagliato, ad andarmente tutte le volte. Tu hai fatto l’unico errore di non trattenermi mai con la forza.

Gli errori, le scuse, dovrei farle io.

- Tutto è cominciato con l’hotel. Te ne sei andata, ed io ho fatto una delle cose più sbagliate del mondo. Un errore che pago tutti i giorni, un errore al quale non posso che fare riferimento quando parlo di noi, di com’è finita.-

Questo maledetto hotel, ha rovinato tutto. È stato atroce, lasciarti andare, ma lo è stato ancora di più sentire che avevi scelto questo anziché l’amore. Anziché me.

È stato sofferente sentire il rumore del cuore andare in pezzi.

È stato tremendo voler salvare ciò che era tuo e nel frattempo andare a fondo. È stato molto più che atroce. È stato tremendo. Senza perdono.

- Poi Parigi.

È stata decisiva per noi, quella meta. Io ho incontrato Eva, e tu Louis. –

Parigi.

Ricordo benissimo di averti visto, in macchina. E ricordo che quello che ho provato, in quel momento è stato il senso di colpa. Ti volevo disperatamente, ma non avevo il coraggio di abbandonare un Grimaldi per te, che mi avevi fatto troppo male.

Quel maledetto orgoglio è stato il motivo che mi ha condotto di autoditruzione. L’avevo già detto, no? La colpa, era solo mia.

- Eva…-

No, fermati. Vederti con lei è stato orrendo.

Sentivo che tu provavi qualcosa, per quella sconosciuta. Ed io DOVEVO cercare un qualcosa che l’allontanasse da te. Tu eri MIO. E non accettavo l’idea che tu stessi con lei, perché ti vedevo come qualcosa di mia proprietà. Col senno di poi, sono sicura che se ti avessi lasciato stare ora non staresti così male, e voi due sareste felici, sebbene io mi sentirei morire. Ancora una volta, sono la causa del tuo dolore.

- Beh, sarei un bugiardo se ti dicessi che non provavo nulla per lei. Ma sempre, pensavo a te. Quando ti ho visto, a Parigi, era come se quello che legava Eva a me, fosse solo il fatto che mi avesse salvato. Il fatto che mi avesse salvato a Praga, quando mi spararono per quell’anello. Il tuo anello.

Sai, ce l’ho ancora. Ce l’ho e non so cosa farmente. Ma mi ricorda te in un modo che forse nemmeno puoi capire, e non posso pensare di darlo via. –

Tu hai ancora quell’anello?

Ti prego smettila, non dovevi dirmelo.

Le lacrime iniziarono a scendere, mentre gli occhi sbattevano veloci quanto le ali delle farfalle che mi invadevano lo stomaco.

Quell’anello, significa tutto per me. Tutte quelle certezze…

Vuol dire che io sono stata con te per 5 anni ancora?

È terribile, sono un mostro. Tu dovevi essere  felice,  dovevi lasciarmi andare. Mi accorsi ben presto che nello stesso tempo, volevo che tu non mi facessi andare via.

- Poi, siamo tornati. Il tempo passava, e tu e Humphrey continuavate ad essere sempre più amici, più legati. Ed io non riuscivo a capirlo bene. Poi Louis… la ciliegina sulla torta. Lo sbaglio. Il tuo matrimonio, la partenza per Monaco. E la gravidanza. –

La mia amicizia per Dan, il suo amore per me. Io, però l’avevo sempre visto come un amico, forse solo ogni tanto ho pensato a qualcosa di più. Era un po’ come il mio migliore amico, quello di cui avevo bisogno costantemente.

Louis, l’errore più grande della mia vita. Un matrimonio che ho dovuto fare, nonostante avessi visto i tuoi occhi grandi fissarmi innamorati poco tempo prima.

Ancora una volta, mi sentii sprofondare. Non sapevo nemmeno se avessi ancora avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.

La gravidanza, mia figlia, Evelyn. Altre lacrime caddero inconsapevolmente.

No, lei era stata la mia scialuppa di salvataggio.

E se c’era un errore che mi stava divorando da dentro, era quello di non aver mai detto la verità a nessuno. Sull’identità, della mia piccolina.

Un altro colpo al cuore quasi non mi uccise.

- Tutta questa serie di eventi non fa che tormentarmi ogni giorno.

Te ne sei andata, e questa cosa brucia come il fuoco che mi doveva divorare già troppe volte. E fa più male ancora.-

Cercai di non muovermi, mentre il dolore che le sue parole mi stavano procurando era talmente vivo e forte che scalciava per venir fuori in una valle di lacrime.

-E’ sempre stato orribile, vederti con lui o con quel Louis. È sempre stato duro ma ho sempre resistito perché entrambi sapevano che non sarebbe mai durata sul serio, tra di noi.

Siamo tremendamente uguali, eppure così incompatibili.

Anzi, io non credo nel destino, ma forse è sempre stato così che doveva andare. E il nostro errore è stato quello di volerci provare in continuazione, facendoci male a vicenda. –

Non potevo rispondere, la voce sarebbe stata spezzata. Eppure volevo farlo. Volevo con tutto il mio cuore.

Ma dovevo ritrovare il controllo di me stessa.

- La colpa non è solo tua, Chuck.-

Mormorai, quasi inconsapevolmente.

- No? Beh, sono io che ho iniziato.- mi fece notare. Non lo guardavo in faccia, ma potevo sentire ed avvertire il tremolio nella sua voce. Ed era un tremolio che scuoteva addirittura il mio cuore.

- Si, ma purtroppo… vedi, sono stata io a decidere di andare via. Ho sbagliato, e non posso più rimediare a questo.-

Mi alzai con la schiena.

E probabilmente vide il luccichio sulle guancie, e ciò fece scintillare anche le sue. Faceva così male che quasi mancava il respiro.

- chi te lo dice che non puoi rimediare? Blair, non importa cosa hai fatto in passato. È passato, dovresti saperlo,  no? Sono errori che abbiamo fatto entrambe, per quale motivo dici di no?-

La sua mano era in cerca della mia , nel buio. La prese, la strinse forte.

E quel contatto, ( eravamo così vicini che potevo sentire il suo profumo) fu un fulmine a cel sereno. Io VOLEVO questo, ma sapevo che era un errore.

- Chuck.. io... ti devo anche io delle scuse.-

Mormorai, colpevole e in preda alla vergogna.- scusa se ho sbagliato tutto. Scusa se non sono stata esattamente la persona  adatta a te, quella perfetta. Scusa se ti ho fatto male, e scusa se sono stata la causa della fine di ciò che eravamo noi.-

Abbassai gli occhi, il buio mostrava più di quello che avrei voluto.

 

 

POV CHUCK.

- No, non capisci? Adesso possiamo ricominciare,ripartire da zero! Blair è la nostra occasione!-

La  voce, era un miscuglio di emozioni ed euforia.

Poi si spense quando ascoltai i suoi orribili silenzi.

- Aspetta, tu non… provi più nulla per me?- dissi quella frase senza emozioni, restando il più distaccato possibile. Per essere preparato ad un possibile rifiuto.

- No, non ho detto questo, Chuck. Ma l’hai detto tu. Il destino, non ci vuole insieme, è così. Tutto, sempre, si mette in mezzo. Può essere un principe, un’idiota dei bassifondi, o dio stesso. Ti prego, Chuck. Non costringermi ad allontanarti, è l’ultima cosa che voglio.-

La sua voce, di nuovo, stava crollando.

- No, Blair. Ti prego… ascoltami. Siamo scappati troppe volte, è ora di dar voce a tutto quello che ci siamo tenuti dentro per tutto questo tempo. È il NOSTRO momento. Ti chiedo solo di darmi retta. Il nostro errore è sempre stato quello di dare retta e ascolto a chi stava al di fuori di noi. Di farci condizionare delle scene in cui la vita ci metteva. Se solo, per l’amor del cielo, non ascoltassimo nessuno, e non ci facessimo fregare dalle zone “esterne” al nostro amore… allora potrebbe funzionare, e sono sicuro che andrebbe a buon fine. Fidati di me, Blair, l’unica cosa che dobbiamo fare è preoccuparci di noi soltanto.-

Dovevo dirlo, era necessario darle forza e spingerla a riprovarci. Perché averla con me e non poterla sfiorare, toccare, accarezzare,  baciare… era un destino orribile.

Non volevo costringerla, solamente aprirle gli occhi.

- ti prego, prova ad ascoltarmi.-

Ormai, la mia voce di stava affievolendo, e il dolore  ardeva nel petto, come quando mi confessò di essere incinta di Louis.

Poi, qualcosa di inaspettato mi buttò le braccia al collo.

Riuscii ad avvertire il suo dolce profumo, e a sentire i suoi singhiozzi. I suoi capelli morbidi, mi accarezzavano addirittura il viso, ed io desiderai che quel momento durasse in eterno.

Poi, le sue labbra premettero improvvisamente sulle mie, e, mentre eravamo talmente vicini che avvertivo le sue lacrime, il cuore cominciò a sussultare.





-----------------------------------------------------------------------------------------Angolo autrice:


Buon giorno Chair shipper <3


come andiamo?
volevo ringraziare tutti coloro che hanno visualizzato la storia, inserita tra le preferite e da ricordare...
poi

 A l b a_ :   Grazie!!!!!! hai visto? Una scena in gran parte CHAIR! :) <3  
 
 Selene_v: Grazie anche a te tesoro!!!!! Sono contenta che ti piaccia la storia e come scrivo!


vi dedico il capitolo :)

Un bacio,
C.

:)

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Capitolo 17
*** capitolo16:new life, same love. ***


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                                                   Capitolo 16:




                                    New life, same love.






 
 
« La vita, il tempo, può cambiare. Anzi, deve farlo per essere tale. Ma l’amore resta immutato, perché lui al contrario deve essere così per essere vivo».
 












 
 
 
Quella notte, fu la più bella della mia vita.
In sostanza, non successe nulla. Nulla di quello che gli altri potrebbero immaginare, per lo meno.
Ma la dolcezza degli abbracci e dei baci, più casti del solito, di quanto eravamo abituati, non potè che sciogliermi.
Le parole, non servivano. Nessuno dei due aveva proferito parola, o detto qualcosa di particolarmente importante e significativo. Tutto parlava da solo.
Aprii gli occhi, con il sorriso ancora stampato sulle labbra.
Tra le mie braccia, la creatura che amavo più di me stesso e di chiunque altro stesse nel  raggio dell’intero mondo. Blair Waldorf, la mia Blair Waldorf. Il mio braccio passava sotto il suo collo, e potevo sentire addirittura i suoi capelli soffici accarezzarlo. Ed era una carezza tale, da scombussolarmi il cuore.
Stavo lì. A guardarla con probabilmente gli occhi languidi. Ma non provavo vergogna. Né l’orgoglio da uomo ferito stava prendendo il sopravvento. Ed era un cambiamento che stavo amando.
Probabilmente, le ore stavano passando. Ma io non me ne accorgevo.
Sarebbe potuta accadere qualunque cosa, ma io non me ne sarei reso conto. Il mio cuore non se ne sarebbe reso conto. Il mio cervello rifiutava di farlo. Per una volta andavano a braccietto, sentendo di aver fatto la cosa giusta.
Poi, l’imbarazzo e la paura, iniziarono a salire quando vidi due occhi castani e grandi fissarmi con insistenza.
Paura per cosa?
Il mio cuore cedeva al solo pensiero di un ripensamento e di un rifiuto.
- Ciao.-
Sorrise. Il suo sorriso era un qualcosa di dolce ed incredibile, e mi diede una scarica di una forza particolare.- Ciao.- risposi, accarezzandole dolcemente i capelli.
Si girò su un fianco, in modo da guardarmi meglio. Mi sentii più che a mio agio.
- Non dici nulla?-
Se ne uscì così, con questa frase. All’inizio pensavo scherzasse, poi vidi il suo volto farsi serio.
- Io?- chiesi.
- Hai ragione, ho iniziato io.- si voltò di nuovo, ed incominciò a guardare il soffitto, divertita.
- E comunque…-
Cominciai la frase alzando leggermente le spalle per vederla di nuovo in volto, mentre la luce filtrava debole dalla finestra.
- … non c’è nulla da dire.- e premetti le mie labbra sulle sue, mentre le sue braccia si legavano intorno al mio collo con fare naturale.
 
 
 
 
POV BLAIR.
Oddio, l’ho fatto davvero?
Tenevo gli occhi chiusi senza avere un disperato coraggio di aprirli. Avvertivo il suo respiro, ed era come se sentissi anche i suoi occhi su di me.
Era incredibile che avessi trovato la forza per fare quello che ormai sembrava inevitabile.
In realtà, il mio cervello aveva lavorato da solo, prendendo soltanto per mano il cuore.
Ma ora?
Quello che avevo dentro era peggio di quanto immaginassi. Peggio, nel senso che non avevo solo farfalle che libere se ne andavano per lo stomaco,  ma anche tante altre cose che provavo solo quando ero con lui, e alle quali ancora non riuscivo a dare un nome.
Ma poi, sentire le sue braccia intorno a me, mi diede un senso di libertà tale, che non potei che scivolare in quelle sensazioni. Mi sentivo al sicuro, felice, al mio posto.
Così, aprii gli occhi.
 
 
 
POV CHUCK.
- Posso solo sapere una cosa?-
La domanda, era quasi un’ovvietà.
Il dubbio interiore m’invadeva. E se quello che era successo, se tutti i baci, le carezze… fossero stati nulla, per lei?
Se niente sarebbe ricominciato?
Già sapevo che tutto mi avrebbe distrutto, stritolato, disintegrato.
- Si.-
Faceva un sorriso, mentre guardava la tv, tranquilla. Chissà cosa le passava per la testa.
- Perdona la franchezza, non voglio rovinare nulla. Ma questa cosa… significa qualcosa, vero?-
Prima di pronunciare l’intera frase, avevo preso una profonda riserva d’aria. Anche se, nel timore di quello che sospettavo, sarei potuto svenire da un momento all’altro.
Attesi.
Furono minuti che durarono più del solito.
- Chuck.-
Mi si avvicinò, alzandomi il viso con le mani pallide e sottili. Sussultai. – Significa quello che senti. Guardami negli occhi, Chuck. Poi dimmi tu, se significava qualcosa. Se la mia “confessione” voleva dire qualcosa.-
La guardai. La guardai e giurai a me stesso che l’avrei rifatto sempre. Emanava una tale luce, che addirittura offuscava i miei pensieri.
Non sapevo cosa dire, ma sentivo di poter affogare in quegli occhi. Di poter baciare quelle labbra in eterno, di poterla sentire MIA anche a chilometri di distanza. Quasi fossimo in una bolla nostra, che ci rendeva vicini anche lontani.
- Io ti amo, Bass. L’ho detto, perché la tua stupida testolina da sola non ci arriva.-
Sorrise, con un filo di malizia.
In realtà. dopo il “ti amo, Bass” non avevo sentito più nulla.
Non riuscii a controllare i miei pensieri.
Non sapevo se saltare, correre o fare qualsiasi altra cosa.
Mi sentivo in cima al mondo, sopra le montagne.
Più chiaramente, mi sentivo CHUCK BASS. Quanto tempo era che mi sentivo debole, vigliacco? Tanto. Al punto che ricominciai quasi a respirare e quasi riuscii a sentire il cuore battere, per quelle due parole.
Che dette da lei, con quella sua voce tremendamente famigliare, lo rendeva ancora più bello.
“dì qualcosa, Chuck”. Gridava la mente. “Dillo, avanti”.
Mentre il mio inconscio si lamentava, io metabolizzavo. E, come fosse la cosa più naturale del mondo, mormorai quelle parole.
- Io ti amo, Blair.-
La dolcezza nelle mie parole, non la colse impreparata. Se lo aspettava.
Uno scambio di sguardi si fece largo coinvolgendoci fino al midollo, e le nostre labbra s’incontrarono per l’ennesima volta.
- Allora non essere idiota. E comunque, ora, abbiamo altro a cui pensare.- si staccò, ed io la fermai prendendola per i polsi.
- Quando avremo ripreso Evelyn.- rispose.
Giusto, la bambina.
Mi sentii uno schifo a non averci pensato prima.
- Progenia Waldorf. Sarò curioso d’incontrarla e scambiarci quattro chiacchere. Se qualcosa vi accomuna almeno un po’, sono sicuro che riuscirò a rimanerne affascinato. -
Sdrammatizzai. Vidi il suo volto illuminarsi.
- Se non sbaglio già vi siete visti.-  ridacchiava.
Ma io, prontamente, risposi.
- Si, ma ci siamo giusto scambiati due parole. E comunque, ti somiglia molto. Fisiologicamente, intendo. E a giudicare anche da come si veste, anche il carattere dev’essere come il tuo. Sono piuttosto convinto che quella bambina sia incredibile. Certo, sempre se quelle origini di basso ceto di Humphrey non hanno infierito sulla sua singolare elegante figura.-
Commentavo, mentre la ragazza rispondeva al cellulare, in seguito ad una chiamata.
- Pronto.-
Ogni tanto mi rivolgeva sorrisi. Ai quali io rispondevo con i miei, intrisi di sentimenti.
- Si, ho capito. Grazie Dan.-
Sbuffai, al sentire il suo nome. Anche sono quello bastava ad irritarmi.
A giudicare dalla sua chiamata, Dan stanotte non era tornato. E questo, era stato davvero un dono dal cielo.
Staccò.
- Spegni quell’aggeggio, Waldorf. Accendo il mio, sono sicuro che Antony ha qualche novità.-
Vidi i suoi occhi che fissavano il basso.
Mi sentii male, a dirla tutta.
Per quale motivo ero sicuro di riuscire a vedere gli occhi della donna che amavo diventare gonfi e lucidi? Per quale motivo me ne stavo lì impalato e non chiedevo nulla? Non dovevo permettere che Blair piangesse, dovevo consolarla.
Dan aveva chiamato. Dan era con Serena, doveva andare da Louis.
Evelyn.
- Che- che c’è, che succede?- mi avvicinai a lei, e le misi il braccio intorno al collo, dandole un tenero buffetto sul capelli.
- Serena ha parlato con Louis. Lui sa, Chuck. Sa che ora  Serena sa dove si trova, che non ha ricatto. E allora, le ha soltanto detto di riferirmi un messaggio.- lo sguardo era perso nel vuoto
-Non rivedrò più mia figlia. Mai più. A patto che…-
La voce si perse,al punto che si lasciò cadere pesantemente le mani sul  viso.
- a patto che..?- domandai, titubante.
- A patto che io non torni la, da lui, a Monaco. A patto che io torni là come se non fosse successo nulla. Ma mi farà passare una vita orribile, d’inferno. È l’unico modo che ho per vederla…-
I suoi occhi erano lo specchio dell’orrore, della delusione.
Ed io, io non sapevo cosa dire o cosa fare. Come potevo? Non avevo niente in mano che la potesse aiutare.
Ma come? Tornare là?
Il sangue si gelò nelle vene.
- quando?-
Chiesi, in attesa della risposta.
- ho circa un mese per pensarci.-
Tirai un sospiro, perché di tempo ancora ne avevamo.
E poi, riuscii a capire bene.
Il suo ritorno era il sinonimo della nostra divisione. L’ennesima.
E non riuscivo a sopportarlo. Questo, perché già la sensazione di perdere di nuovo Blair era forte al punto da spingermi a stringerla forte. No, proprio ora che ci eravamo ritrovati. Nulla ci avrebbe diviso di nuovo, nulla l’avrebbe fatto ancora.
- Blair, ascolta, abbiamo un mese, possiamo pensarci… troveremo un modo!-
Dissi, in tutta fretta.
- No Chuck, tu non li conosci. Per loro, nulla è troppo complicato. Possono rendermi la vita un inferno senza fatiche. Non voglio che tu passi la stessa sorte, Chuck. Non posso trascinarti con me. Non posso trascinare tutti, Dan Serena… con me. Sarebbe inaccettabile.-
Incrociò le braccia, e cominciò a picchiettare le dita. Dopo queste parole non avevo nemmeno voglia di stare lì a dire qualcosa. La speranza o c’era o no. E in questo caso, la sua sembrava sotterrata. E la mia pareva anche seguirla.
- Beh allora sono io che voglio farlo, non posso permetterti di rovinarti in questo modo. Non posso permetterti di andare via. Non senza combattere.-
Le dissi, quasi mormorandole, nell’orecchio. Era un’idea, un qualcosa che potevo fare, quello che stavo cercando. Non bastava dover cercare Evelyn. Ora, dovevo anche tenere Blair lontana da una qualsiasi malsana idea di andarsene.
- Tu non sai cosa stai dicendo, Chuck.-
Mi disse.
E la mia risposta uscì come qualcosa di incredibilmente convincente.
 
 
 
 
POV SERENA.
Dan camminava di fianco a me, a passo svelto. Non rivolgeva parola, e si limitava a respirare veloce.
- Si può sapere che ti prende?- chiedi, snervata da tutto quel silenzio.
Non rispondeva, aveva lo sguardo fisso sulla strada, e non mi dava retta.
- Dan?-
Cominciai.
- Ascolta.- rispose, dopo che io lo presi per un braccio, un tantino violentemente. - .. Serena, dobbiamo portare Blair da qualche parte e tenerla lì.- rincominciò la sua camminata, ed io tentai di tenere il passo sopra quei maledetti tacchi vertiginosi.
- Ma non lo è già? Sta giorno e notte rinchiusa nella suite di Chuck, non mi risulta sia uscita ancora. Da lì ormai non se ne va, Dan. E penso proprio che se ne stia bene dov’è. –
Dissi, quasi con un sorriso sulle labbra.
- ormai è prevedibile. E se scegliesse di andarsene?-
Sembrava convinto, voleva tutti i costi togliere Blair da quel posto.
- Perché dovrebbe farlo? Ha tutto quello che vuole, là. E soprattutto, la protezione necessaria.-
Arrivammo davanti alla porta di vetro, pronti a spingere e salire nella suite per comunicare meglio a Blair la notizia.
POV BLAIR.
Me ne stavo così, al sicuro, avvinghiata a Chuck. Non parlavamo, non potevamo farlo. Perché mi sentivo male, perché volevo stare con lui e basta. Perché le parole mi avrebbero soltanto fatto ricordare la vita reale fuori da quelle braccia nelle quali volevo vivere, senza preoccupazioni.
Poi, fu lui a parlare.
- Blair…-
Mormorò solo il mio nome, stringendomi forte la mano.
- .. Siamo in due. Siamo abbastanza per fronteggiare questa cosa insieme.- mi guardava negli occhi.
In quegli occhi, un sentimento d’amore talmente forte, che si abbatteva su di me con l’intensità di una valanga.
Non osavo controbattere. Eravamo forti, invincibili, insieme. E poi, c’era la forza del nostro amore. Puro e forte come niente di quello che fino ad ora avevo visto.
Dopo, sentimmo qualcuno entrare.
- Ed ora, sentiamo chi è il rompiscatole.- mi alzai, e lo seguii con la mano intrecciata alla sua. Così, non volevo staccarmi per nessuna ragione al mondo.
Dan e Serena erano lì, davanti a noi, con lo sguardo fisso sulle nostre mani. Lo strinsi appena un po’ più forte. Sorrisi, felice ed invincibile, con il mio futuro di fianco.
- dobbiamo dirvi tutto. Tutto quello che  sappiamo, che abbiamo scoperto.-
Cominciò Serena, visibilmente felice.
Visibilmente sollevata, anche. Sapeva che ora, Dan non avrebbe più fatto nulla per stare con me. Ormai, era solamente suo.
 
 
 
 
 
 
POV SERENA.
- sono entrata, mentre Dan era fuori. Un ragazzo, sulla trentinta, mi ha preso per il braccio e mi ha portato con lui. Mi ha pure coperto gli occhi, a causa del cosiddetto “segreto”. Poi, quando ho visto di nuovo, ero nella stanza di Louis, e lui se ne stava lì, in piedi davanti a me.-
Cercavo di ricordare cos’era successo, anche se le sue parole erano rimaste ben impresse dentro di me. Mi avevano colpito, affondato. Avevo compassione per Blair, prima le avevano privato la figlia. Poi, la libertà.
- Ha incominciato lui a parlare. Mi ha fatto sedere, mi ha chiesto come va. E poi mi ha chiesto notizie di te.-
Sputai le ultime parole inacidita.
In realtà Louis aveva chiesto molto, su di lei.
 
 
- Allora, come stai, Serena?-
Mi aveva chiesto, tranquillo, seduto su quel divanetto duro e scomodo.
- Potrebbe andare meglio. Tu, tutto a posto con tua figlia?-
Avevo buttato quelle parole con i denti serrati, dalla rabbia. La crudeltà con la quale era stata portata via alla madre, mi aveva indignata.
- Come sta Blair?-
Aveva continuato, senza badar bene di rispondermi.
- Come staresti se ti portassi via la bambina?-
Indicai quella deliziosa creatura  che tranquilla guardava un film.
Lei mi notò, e si voltò per guardarmi meglio, incuriosita.
La prima reazione fu di dolcezza infinita.
I suoi capelli, erano la copia perfetta di quelli di Blair. Erano lunghi, quasi fino alla vita, racchiusi in boccoli delicati. La pelle, era perfetta. Bianca, tendente al rossastro sulle gote. E gli occhi, aveva due occhi verdi scuro, che non appartenevano a nessuno dei due genitori.
Il suo volto, era qualcosa di famigliare. Ma non era di Blair, no. Non riuscivo a capire, ma non ci feci caso.
Mi sorrise, mostrandomi le sue tenere fossette.
Sembrava una bambolina di porcellana.
Era vestita tutta a puntino, il che, mi diede un’ulteriore prova del fatto che fosse la figlia di Blair.
 
 
 
 
- Tu che cosa hai detto?-
Mi chiese, riportandomi alla realtà.
- Nulla d’importante.-
In realtà, non avevo risposto direttamente o chiaramente. A nessuna delle sue domande.
- poi mi ha detto che non necessitava più di me. Che sapeva che io ora ero al corrente di dove si trovasse Dan.-
Lo guardò. Era in piedi, appoggiato al muro.
- E tu?- mi chiese la ragazza, con gli occhi sgranati.
- L’ho informato che andava bene così.-
Feci spallucce, senza dar conto a quello che magari poteva sembrare.
- E poi lui ha detto che l’unico modo per rivedere Evelyn, perché sapeva che la stavamo cercando, era quello di tornare a Monaco come se nulla fosse. E tra l’altro, passando una vita infernale. Vedi Blair, lui ce l’ha con te per diversi motivi. Dice che ha sempre saputo che l’hai preso in giro. Dice che il fatto di aver messo a repentaglio la vita di quella bambina.- feci roteare gli occhi.- non è nulla, rispetto al tuo “finto amore”. Mi dispiace.-
Le passai una mano sul braccio, nel tentativo di consolarla. E Chuck, contro ogni mia aspettativa, l’abbracciò con dolcezza. Non sgranai gli occhi. Al contrario di Dan, dietro di me, che non sapeva più che dire.
- E a proposito.-
Dissi, prima di alzarmi.
-… tua figlia è meravigliosa.-
 
 
 
- Non c’è un altro modo?-
Avevo chiesto, semi-disperata.
- non ti è bastato portarle via la sua ragione di vita?-
Ormai ero disperata del tutto. Non potevo permettere che la portasse via di nuovo.
- Evelyn è più felice qui con me.-
La prese in braccio.
Il volto della bimba mi guardava quasi in lacrime. Non voleva stare lì, B aveva sempre avuto ragione. Quella povera bambina era rimasta con il padre contro la sua volontà.
- Non credo proprio.-
Mi guardava, con i suoi occhietti. Poi, si portò un ditino minuscolo e paffuto alla bocca.
Sorrisi, scuotendo la testa.
- conosci la mamma?-
Esclamò, con una vocina squillante. Chuck aveva ragione, era uno scampanellio idilliaco.
Non sapevo cosa dirle, ma mi sarei fidata solo del mio istinto.
- Sì, e ti vuole bene. E ti sta cercando. E le manchi.-
Le dissi, mentre quasi i miei occhi si riempivano di lacrime.
Louis, se ne stava impassibile di fronte a quella scena. Solo, aveva lasciato scendere Eve, che guardavo ammaliata, da inginocchiata.
- E allora perché non viene a prendermi?-
Non risposi, solo le diedi una carezza.
Continuava a chiederlo, mentre camminavo per lasciare quel posto.
La sua vocina riecheggiava, sempre con la stessa domanda.
- Perché non viene?-
Era una tale tortura che mi portò alle lacrime ancor prima di uscire.
 
********************************************************************************Angolo autrice:
 
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo. In realtà, per ora, è uno dei miei preferiti.
Volevo poi ringraziare chi ha messo la storia tra le preferite,  chi tra le seguite e quant’altro. Siete meravigliosi *-*
 A l b a_ oooooddio, grazie!!!!!!!! Ahah, in questo caso sono “contenta” che ti abbia fatto piangere *-*
Effettivamente Blair all’inizio era fredda. Ma penso proprio perché non accettava di provare quel che provava per Chuck. Ora possono stare insieme, no? Speriamo che il destino non gli sia avverso ancora una volta.
 Selene_v : Grazie mille anche a te!! :DD anche in questo caso mi emoziona averti fatto piangere *-* (spero che entrambe capiate cosa intendo) in ogni caso, è vero, questa stagione è un susseguirsi di disastri per i nostri CHAIR.  E si, ho visto PURTROPPO la puntata -.-“” (qua va sempre peggio)
Ci vuole un po’ di felicità e amore.
E soprattutto, un Humphrey di meno.
 blairina: sono contentissima che ti piaccia la storia, e ancora di più che aspetti di vederla tra la lista. *-*
So bene che a nessuno è piaciuto “l’uragano Dair” che si è abbattuto sullo show, e che tutti hanno bisogno di un po’ di CHAIR in questo momento.
Per questo, ho deciso di incominciare proprio qui, in questo e nello scorso capitolo,  questo cammino che…
Non posso anticiparvi nulla tranne che una frase, dal prossimo capitolo.
 
 
“Io ti voglio bene, Dan. Sei il mio migliore amico, forse effettivamente l’unico. E non ho paura ad ammetterlo.
Ma dio, l’amore che provo per Chuck è qualcosa che mi consuma al punto che a volte non riesco nemmeno a respirare.
 
 
XoXo,
 
C.

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Capitolo 18
*** capitolo17:Don't let me stay here alone ***


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                                     Capitolo 17


Please, don’t let me stay here alone.

 
 



 
«No, non ti lascio andare via.
No, non abbandono il mio cuore ancora una volta.
No, non andare via. Non lasciarmi qui da solo».
 
 




 

Serena, dopo il suo racconto super-dettagliato ed incredibile, se n’era andata portandosi con se un Dan ancora confuso.

Non che la cosa non mi andasse a genio, anzi, non vedevo l’ora di vederlo su tutte le furie. Non vedevo l’ora di vedelo arrabbiato.

Mi dava un tale senso di vendetta, che solo io probabilmente potevo capire. Solo io potevo gustare, lasciando probabilmente fuori Blair.

Non avrebbe capito.

Tra di me, ridacchiavo.

Nate si era fermato da me e, mentre Blair era sotto la doccia,  continuava a pormi domande. Talvolta, inopportune.

- Allora, siete tornati insieme?-

Si stava versando un po’ d’alcool nel bicchiere. Feci cenno di versarne anche a me.

- Beh…-

La risposta, poteva essere diversa ascoltando Blair.

Per me, ovviamente, le cose non erano cambiate. L’amavo allo stesso modo, se non di più. Ed ero sicuro che anche lei mi amasse terribilmente, ma magari non stavamo ancora davvero “insieme”:

- Perché non lo chiedi a lei?-

Dissi, quando mi porse il bicchiere.

Non fece caso alla mia risposta, e si limitò a fissare Monkey che tenero giocava con la sua pallina rumorosa.

- E Dan e Serena?-

Mi colse impreparato.

Non mi ero ficcato davvero in mezzo ai loro casini. Erano questioni private. Anche questo, era un discorso da fare a Blair, io avevo già le mie pene al cuore per farci caso.

- Penso che anche questo sia da Blair che lo devi sapere. Io sinceramente, oltre che a Dan, non faccio caso ad altro.-

Nate mi guardò male, quasi credendo che avessi perso il lume della ragione.

- Parlo in senso negativo-

Precisai.

Non avrei mai pensato davvero di preoccuparmi per Dan. Era solo una fonte di problemi, l’essere più spregievole in questo mondo. Colui che era mio amico, eppure voleva la donna che amavo. E la bramava, lo capivo dai dettagli.

Il sangue s’inacidì, e strinsi con forza il bicchere.

- Dovrebbero stare insieme. Ehi, dico dovrebbero perché non si sa mai con loro. Va tu da lei.

Momento, Archibald. Capisco che il divertimento ormai è un Hobby per te, ma Charlotte che fine ha fatto?-

Era la nuova “fiamma” di Nate. Lui diceva di “amarla con tutto se stesso” o ancora di “essere tremendamente preso da quella ragazza”.

 

In realtà l’aveva detto di tutte le decine e decine di ragazze prima di lei, ormai le parole del genere, o un banale ma impegnativo “ti amo” erano sulla sua bocca con ogni ragazza che appena ci sapeva fare.

Povero Nate.

- Sì, ma chiedevo soltanto.-

Rispose, visibilmente imbarazzato.

Ne seguii un silenzio totale, di quelli che mettono un po’ a disagio. Riuscivamo addirittura a sentire il suono della doccia di Blair.

Poi, anche quello cessò. Non sentimmo più nulla, tranne i flebili sospiri di entrambe.

Blair, convinta che in casa ci fossi solo io, uscì tranquilla, con solo un asciugamano addosso.

Un ghigno mi uscì spontaneo, quando il suo volto si fece imbarazzato.

- Oh, scusate.-

Incrociò le braccia, chiusa in se stessa.

Nate, che non riusciva mai a trattenersi, le rivolse uno sguardo del tutto eloquente.

Il fastidio, mi faceva prudere addirittura le mani, ma dovetti trattenermi dal fare commenti inutili.

Lo fulminai solo con gli occhi, e si impietrì lì, con lo sguardo di scuse che dominava il volto.

- Torno di là…-

Un sussurro del tutto impercettibile.

L’imbarazzo di Nate, l’eco del suo.

Non appena la porta di legno massiccio si chiuse alle sue spalle, Nate rincominciò a parlarmi.

Mi sistemai la giacca.

- Scusa.-

Guardava in basso, non sapeva nemmeno cosa dirmi.

E nemmeno io sapevo cosa dirgli.

Ero solo… innamorato, per quanto alla fine davvero mi costava ammetterlo. E dannatamente geloso. Blair era mia.

E come mi aveva dato fastidio Humphrey, i suoi sguardi, le sue paroline tanto vomitevoli quasi quanto il suo senso del gusto, anche le occhiatine degli altri mi davano sui nervi. Non potevo farci nulla.

In più Nate era mio amico.

Il mio migliore amico. Ed era stato anche con lei.

Un brivido mi percosse la schiena, e lo cacciai via prima che s’impadronisse della mia foga.

- Non ti preoccupare, Nathaniel, non ce l’ho con te. Solo trova un altro modo per soddisfare i tuoi bisogni. Che ne dici di qualche mammina con il latte pronto per te?-

Rise, divertito.

- Sai bene che fa parte del passato, vero Chuck?-

Non risposi.

Nate era solito, di recente, preferire ragazze più giovani rispetto a 5 o 6 anni fa. Ricordavo benissimo la madre di Marcus, il suo nome rievocò ricordi troppo dolorosi e un mancato “ti amo”,

o quell’altra, della quale ora mi sfuggiva il nome.

- Comunque, puoi stare tranquillo. Questo lo sai, no? Blair è indubbiamente bellissima, ma ho altro per la testa- ridacchiava, ancora.

- Tipo qualcuno con i capelli lunghi e biondi, gambe chilometriche… vecchia fiamma del passato?-

Inclinai la testa, rivolgendogli un insolente sorriso.

Non rispose, avevo centrato il punto.

Prese la giacca, mi mimò un “ciao” con le labbra, uno ironico a Blair nell’altra stanza, e poi se ne andò, lasciando la porta chiusa alle sue spalle.

                                                                           

                                                                        **

 

Blair era sdraiata sul divano, impeccabile come al solito.

I capelli, sciolti sulle spalle. I boccoli cioccolato che ricordavano tremendamente quelli di Evelyn.

Il ricordo della bimba meravigliosa, era ancora nitido dentro di me.

Indossava un vestito, corto, che lasciava intravedere le gambe perfette.

La fissai in volto, incrociando i suoi occhi castani. Un sorriso, si fece largo sul volto segnato dal dolore e dalla mancanza della figlia.

- Ti manca tanto?-

Chiesi, dopo minuti d’interminabile silenzio.

Impiegò un po’ a rispondere. Forse non sapeva cosa dire, o forse, semplicemente stava formulando un discorso normale senza incasinarlo più del dovuto.

- Sempre.-

Una parola.

- Non ti ho chiesto questo- le feci notare, guardandola teneramente. – ma se non vuoi non ne parliamo.-

Feci per alzarmi, la lei mi fermò posando la sua mano sulla mia. Non voleva che me ne andassi. Non ora, per lo meno.

Sapere che mi voleva con lei, era un passo avanti.

- Come ti sentiresti, Chuck, se avessi un polmone anziché due? Come ti sentiresti se vedessi solo da un occhio? Senza lunghezza o profondità? Senza due braccia, due gambe? Come ti sentiresti, se non ci fosse l’ossigeno? Sai cosa si prova Chuck? -

“Si…” volevo mormorare.

Ma avevo paura di farla star male, ricordandole quando lei se n’era andata.

Blair era scomparsa, sparita dalla mia vita, con la stessa velocità di una cometa. La differenza era che però io non riuscivo a seguirla. Si era volatilizzata con la stessa velocità di come era passata.

L’avevo vista morire dietro l’orizzonte, e sapevo che avrei dovuto aspettare altri 100 anni per vederla di nuovo.

Sempre se, l’avrei rivista.

E questo, oltre che togliere il pavimento da sotto i piedi, aveva bruciato una parte di me.

Aveva mandato al rogo quasi tutto quello che di buono avevo costruito con tanta fatica.

- non penso che tu lo sappia davvero. Perciò penso che provare a spiegarti sarebbe inutile.

È una bambina, Chuck. È intelligente, ma rimane una piccola creatura di 5 anni. E come tale, va protetta.

Evelyn doveva stare con me per sempre, glielo avevo promesso. Louis, ha giocato a suo favore, semplicemente vendicandosi. Ma così le fa del male, è proprio questo che non mi sarei aspettata.

Ed è proprio questo che lui non capisce.-

Non riusciva a guardarmi negli occhi. Era troppo presa da ricordi che aveva nella testa, e che ero sicuro gliela percorressero quasi fosse un film.

Ricordi dei quali non facevo parte, che non mi appartenevano.

Ma nei quali spesso forzavo per entrare, sbagliando come mai prima d’ora.

- No, hai ragione. Non posso capire.-

Confessai, infine, amareggiato.

- No però so che vorresti. E ti sono grata che tu sia qui, Chuck. Credimi.-

Sorrise.

Ci avvicinammo, quel tanto che bastava per sentire il suo dolce profumo inebriarmi il volto, e i suoi occhi entrare nei miei senza il bisogno delle chiavi.

Entravano così, ogni tanto, senza preavviso.

E poi, le nostre labbra s’incontrarono, ed io riuscii a sentire il suo sapore. Un sapore che mi dava alla testa, per il quale avevo lottato, anche con me stesso.

Le mie labbra si modellavano sulle sue quasi fossero fatte per stare insieme.

Erano fatte per stare insieme.

Mi sporsi un tantino più avanti, ed avvertii le sue braccia legarsi intorno al mio collo, passare poi nei miei capelli.

Non volevo nemmeno provare ad esagerare.

Non era il momento, non era il tempo.

Così, con un dolce buffetto sui capelli morbidi, mi staccai, sebbene di malavoglia.

- signorina Waldorf, lei dovrebbe essere bandita da questa terra.-

Le dissi, scherzoso.

Aveva il potere di farmi dimenticare le cose negative.

La guardai, probabilmente con uno sguardo intriso di sentimenti, anche contraddittori.

- Perché?-

Mi rispose, torva.

- Beh, lei è ufficialmente troppo…-

Non terminai la frase, lei capì da sola.

Rise, come non la vedevo fare da tempo.

Le passai un braccio attorno alle spalle, e la sentii rannicchiarsi. Probabilmente, aveva bisogno di un po’ di protezione in più.

E non ci furono parole, perché sarebbero state di troppo.

E non ci furono che i battiti del cuore all’unisono e i respiri sommessi. La cosa più importante.

E il tempo che scorreva, quasi veloce quanto il battito di ali della farfalla. Quelle farfalle.

Dio, mi ricordo di loro.

Sono qui, ancora. Le sento, perché vivono in me, ci hanno preso residenza. Ormai, non mi lasciano libero.

- Chuck, tu pensi che riuscirò a vederla?-

Sembrava una bambina.

Come mai prima d’ora l’avevo vista in quello stato. Una bambina con il bisogno di essere rassicurata.

Il senso instintivo di protezione prese il sopravvento, e la strinsi appena un po’ più forte a me.

- Certo. Troveremo un modo. Troverò un modo. Tu rivedrai tua figlia, Blair.-

Le accarezzai la schiena, per tranquillizzarla.

- E se non la rivedessi mai più?-

Con la voce spezzata dal dolore, la ragazza mi rivolse questa domanda.

Il cuore mi si fermò per un momento.

Incredibile, però, come quella bambina facesse parte di noi.

Come quella bambina, nonostante non tutti l’avessimo vissuta fino in fondo, era figlia di tutti noi.

In qualche modo anche mia.

- Non devi pensare a queste cose, Blair. Smettila di torturarti.-

Le dissi, girandole il volto in modo che guardasse il mio.

 

 

 

 

POV SERENA.

Dan stava ritto di fianco a me. Mi fissava, in modo strano, addirittura pensavo ce l’avesse con me.

In un modo davvero fastidioso, per giunta.

I suoi occhi addosso erano come macigni, e mi davano sui nervi.

Se c’era una cosa della quale ero convinta, era che da quando ci eravamo conosciuti, Dan era cambiato parecchio.

Era diventato addirittura un po’ capriccioso, egoista. E poi, la liason con Blair.

Digrignai i denti.

Mi ricordo benissimo la loro “love-story” o meglio, il loro “flirt”. Con Blair!

Scossi la testa.

Ormai, non mi sorprendevo più di nulla.

- Perché continui a guardarmi?-

Chiesi, alla fine, davvero stizzita.

Non rispose, sgranò a malapena gli occhi.

-  Dan, sul serio, la puoi piantare?-

Dopo alcuni minuti, in cui davvero non ne potevo più, mi limitai ad alzarmi e a dirigermi verso camera mia. Incurante del ragazzo che con lo sguardo continuava a seguirmi.

- No, aspetta.-

Mi disse, afferrandomi un braccio. – Serena..-

Cominciò così, la sua frase.

Con il mio nome.

- Stavo solo pensando a cosa dirti di preciso. Ecco, vedi… io ti amo. Credo. No, aspetta… io ti amo, sì. Però… Blair è la mia migliore amica. Le voglio bene, molto, molto bene. E mi da fastidio vederla infelice, e al fianco di Chuck per giunta. Sappiamo entrambe che la farà soffrire, è fatto così.-

Si giustificò.

Quindi, il suo punto di vista era questo, vero?

Lui vedeva la sua amica? Lui vedeva la sua amica Blair infelice e voleva che Chuck non la facesse soffrire? Strano, io la pensavo diversamente.

- No Dan, è diverso. Tu provi qualcosa per lei. E poco importa che io ci sia di mezzo. Tu … -

Mi passai una mano tra i capelli. Scompigliandoli un po’.

- Io cosa, Serena? Se avessi provato qualcosa per Blair… di davvero forte, intendo, ne avrei approfittato, non credi?-

Esordì.

- Ma tu ne hai approfittato, Dan! Dio, sono l’unica qui che ricorda che vi siete baciati?-

Ormai avevo alzato la voce.

Il suo sguardo, ancora una volta, puntava il basso. Ero quasi sicura che mi stesse prendendo in giro.

- Sì, è vero. Ma non ne ho approfittato, comunque. Ho semplicemente baciato una ragazza consenziente, che era piuttosto fragile. Non l’ho supplicata di farlo, Serena. È successo da sé.-

Sbuffai. Allora non capiva proprio.

- Ma ora amo te, Serena. Te.-

La sua voce, però, era tentennante. Ed io lo notai.

Mi prese il viso tra le mani. Quel contatto era tale da stimolare in me l’elettricità necessaria per lasciarmi andare.

Posai delicatamente le mie mani sulle sue, e quella situazione aumentò.

Mentre i nostri occhi s’incontravano, abbracciandosi, tenendosi per mano, le nostre bocche fecero lo stesso, come due fiumi in piena.

Mi ci volle tutta la forza di volontà che avevo per staccarmi da lì e mollargli una cinquina sulla guancia.

Me ne pentii subito. Avevo rovinato il suo faccino.

- Perché l’hai fatto?-

Chiese, massaggiandosi il lato destro del viso.

- Perché non è me che vuoi. Ed io lo so. E pretendo di chiudere questa cosa una volta per tutte. E pretendo che tu glielo dica, una volta per tutte. Tu diglielo Dan, okey? Poi tra noi si vedrà. Ma diglielo, e non essergli amico solo per comodità.-

Parlavo. A vanvera, a ruota libera, con il cuore che batteva quanto il battito di ali di un colibrì. Con gli occhi che sbattevano per evitare alle lacrime di scendere.

- Stai scherzando vero? Allora non hai capito nulla di…-

Gli feci cenno di tacere.

- Smettila. Smettila e va da lei. È quello che vuoi Dan, ed io non posso farci nulla.-

Mi voltai, con la sensazione di andare sotto terra. Di venire sepolta viva.

Di respirare terra e di soffocare.

Di grattare per uscire e non riuscirci.

Ecco come mi sentivo. Avevo appena mandato l’amore della mia vita tra le braccia della mia migliore amica.

Una migliore amica che c’era sempre stata.

Una migliore amica che nonostante tutto ora se ne sarebbe potuta andare solo per riuscire a vedere di nuovo sua figlia.

Una migliore amica che, comunque, il suo amore della vita già ce lo aveva.

Questo pensiero mi fece rallegrare un po’. Sapevo che avrebbe respinto Dan, perché ormai il suo cuore era incatenato a quello di Chuck.

Non potevo che esserne felice.

Ma io non ero un ripiego.

Non potevo permettere che Dan stesse con me solo perché il cuore di Blair apparteneva a qualcun altro.. O potevo? Dopotutto, era meglio di nulla.

Ma non era mia volontà esserlo, per questo avrei rinunciato anche solo a stargli vicino.

La porta si chiuse alle mie spalle.

Mi buttai a capofitto sul divano, con i capelli che mi  oscuravano la vista e le guance piene di lacrime.

 

 

 

POV BLAIR.

Stavo bene.

Stavo anche meglio, a dirla tutta.

Le sua braccia mi tenevano stretta in una morsa tanto tenera quanto amorevole.

Ed ero al mio posto, nel mondo. Finalmente libera.

Non c’erano state cose “troppo” passionali. Certo, poteva sembrare strano per due come noi.

Per una volta eravamo solo Chuck e Blair, Blair  e Chuck. Uniti, forti. Noi due e solo poi il resto del mondo.

E questo, bastava a farmi capire che era così che doveva essere sempre.

- Senti, posso chiederti una cosa?-

Disse, poi. La sua voce era così vicina da ricordarmi ancora di più che tutto era reale.

Annuii, con un sorriso stampato in volto.

- Si tratta di Humphrey. Non voglio allontanarti, ne tantomento mettermi a fare la predica. Solo..c’è stato alla fine qualcosa di vero, tra di voi, o era solo un qualcosa che si era creato con le circostanze?-

Il suo sguardo, sincero, era addirittura preoccupato.

Risposi, attenta a non ferire i suoi sentimenti, (perché di questo si parlava, sebbene si trattasse di Chuck Bass) e diedi una risposta del tutto sincera.

- In realtà, non c’è stato davvero “qualcosa”. Cioè si, può darsi.Beh, non so nemmeno io cosa c’era. Eravamo amici, molto amici. Poi, d’un tratto qualcosa mi ha detto che di lui potevo fidarmi. Che non importava fosse Dan. Che non contava che fosse lui un cane e io un gatto. Che le due cose potevano davvero funzionare.

Non lo so, forse è stata un illusione. Forse.. ho fatto uso di sostanze e non me ne sono resa conto.

So che poi c’è stato un bacio.

So che c’è stato il matrimonio, e lui era lì. Non che tu non ci fossi eh.. ma forse, avevo bisogno di un “ragazzo-amico” ecco cosa. Ecco io penso… che siano state le circostanze, sì.-

Sembrò sollevato.

Quindi, ancora, credeva che io e Dan potessimo stare insieme?

- Perché me lo chiedi?-

Mi avvicinai, sempre di più.

- Nulla. È che .. beh, credevo che i ritorni di fiamma potessero sempre esserci, no?-

Lo guardai, sorridendo.

- Ma perfavore… quale fiamma?...- risi, mentre parlavo tranquilla.

- Con noi è successo.-

Mi fece notare.

Non azzardai a non rispondergli a tono.

- Con noi non è mai andata via.-

E il bacio che ne seguì fu solo uno dei tanti che c’erano stati. E solo uno dei milioni che il futuro avrebbe portato con se.

 

                                                                   **

 

- Però devi prendere una decisione.-

Mi spronò, Chuck, dall’altra stanza.

Mi fiondai da lui, confusa.

- Mi pare di averla già presa e di avertela già comunicata.-

Risposi, alzando gli occhi al cielo.

Si alzò, e camminò fino da me per abbracciarmi. Risposi all’abbraccio, con un piacere incredibile.

-  Non intendevo questo.-

Ci misi un po’ a capire a cosa si riferisse.

-Oh.- sussurrai, con un filo di voce. Il mio sguardo continuava ad essere fisso sul pavimento lucido, mentre la mia mente vagava alla disperata ricerca di un qualcosa che mi desse la forza di decidere.

A cosa potevo rinunciare?

“ A nulla” mi risposi.

Come potevo abbandonare mia figlia? Non l’avrei mai fatto, questo era fuori discussione.

Ma potevo andarmene da Chuck? Proprio ora, che finalmente c’eravamo ritrovati? Non l’avrei permesso.

Era parte di me.

Tutto ciò che riguardava lui era parte di me.

Il suo cuore.

La sua aria.

Era un continuo condividere.

Ricordi, emozioni. Tutto.

Questa volta, me ne sarei dovuta andare con la consapevolezza che non ci sarebbe mai stato nessun altro in grado di sostituirlo.

Che io volevo la mia famiglia, con la mia bambina, ma con Chuck. Con lui al mio fianco.

Prima che avessi tempo per razionalizzare, milioni e milioni ( o al meno così parvero a me) di lacrime mi scivolarono sul volto, non lasciando spazio a fraintendimenti.

-  Hei..-

Si avvicinò.

-tutto bene?-

La sua voce provocava in me altri ricordi uno dietro l’altro.

“No ti prego, smettila di parlare” avrei voluto dirgli. Ma non l’avrei fatto soffrire. Era il MIO CHUCK.

-  Si.-

Soffocai. Mi portai le mani sugli occhi, sebbene volessi scoppiare in un pianto diverso da quello che ora animava il mio volto. Uno isterico.

- No, aspetta. Siediti. Sono stato uno sciocco, non volevo farti stare male… perdonami…-

Si affannava.

“ No, amore. Il problema non sei tu” mormoravo, tra me e me. La mia testa non stava zitta, e continuava a sussurrarmi parole che avrei dovuto dirgli.

E che non potevo, perché forse già sapevo la risposta alla sua prima domanda.

Sapevo cosa avrei scelto.

Mi fece sedere.

- Chuck.. io…-

Non trovavo le parole.

Non l’avrei lasciato.

Non l’avrei fatto ora.

No.

- .. Io non so cosa scegliere.-

Sputai, mentre la voce si inumidiva di altre lacrime.

Non osavo guardarlo negli occhi.

- Blair.-

Mormorò, dopo pochi minuti.

- Blair..-

Ripeteva.

Non potevo guardarlo. Il mio cervello si rifiutava. Il mio cuore minacciava di spezzarsi se solo l’avessi fatto.

- Mi guardi, per favore?-

Sussurrò.

Ero talmente in sintonia con lui, che sapevo che era scosso, nonostante tendesse a nasconderlo.

Accettai, poi. Sul suo volto, un debole sorriso.

-  Io non ti costringo a scegliere. E lo faccio perché ti amo. Hai capito Blair Waldorf? Io ti amo. E non posso accettare che tu ti riduca così. Dov’è finita Queen B? Avanti, tirala fuori. Lei sa reagire a queste cose. Io so che tu puoi reagire a queste cose. E questo perché ti conosco, e ho fiducia in te.

Qualunque sarà la tua scelta. Anzi no… la tua scelta. È giusta. Perché è così che deve essere.

Perché io sarei fin troppo egoista, per toglierti tua figlia. Perché sarei un mostro. E perché non posso.

Quindi, ora… Smettila di piangere e non pensarci. Hai un mese di tempo. Un mese da passare in armonia con me. Senza Humphrey, cavolo. È un’occasione da cogliere al volo, no?-

Sorrise.

Non sapevo cosa dire.

Dov’era il Chuck Bass che conoscevo io? Perché adoravo questo, e lo avrei voluto tenere con me per sempre.

Non avevo parole. L’unica cosa che potevo fare, era abbracciarlo e portarlo nel mio cuore. Chiuso nel cassetto, del tutto incancellabile.

 

 

 

POV CHUCK.

Dio, non lasciarmi da solo.

No, non farlo.

Sento che sto per morire. Anzi no, forse sto morendo.

Di nuovo. Ancora? Perché?

Non ci sono risposte.

So solo che guardo la luna filtrare i raggi luminosi sulla tua pelle.

E penso a come sarebbe stata la mia vita se non ti avessi mai conosciuta. Sarebbe stata uguale? No, sicuramente no.

Sarebbe stata peggiore, però. Questo è sicuro.

Perchè non avrei ritrovato il lato umano di me. Quello che per indole avevo nascosto, avevo sabotato. Quello che tu sei riuscita a tirar fuori. No, non è il peggio, amore mio. È la parte migliore, quella che ti appartiene.

La sofferenza mi sta divorando da dentro.

Di nuovo, ti devo perdere.

Devo accettarlo. Tu hai la tua vita. Tu hai la tua bambina.

Ma tu sei mia…

Mi sento un bambino a ripeterlo. E forse è così.

No, non sono egoista. Io ti lascio andare. Va per la tua strada.

Se due persone sono destinate a stare insieme, prima o poi, troveranno un modo per ritrovarsi, no?

 

 

 

POV BLAIR.

Erano le 3 di notte, all’incirca, quando sentimmo il campanello suonare.

Io e Chuck, avvinghiati l’uno all’altra, ci alzammo controvoglia.

Chi doveva disturbare la nostra quiete nel cuore della notte?

- Humphrey…-

Mormorò scocciato.

Gli presi la mano, e lo intimai a chiudergli la porta in faccia.

Sfortunatamente, però, lo lasciò entrare.

- Io devo parlare con Blair.-

Alzai gli occhi al cielo e lo mandai via. Indossavo biancheria intima, e non mi andava di passare del tempo con lui. Dopotutto, era soltanto Humphrey.

Mi maledii quando realizzai che lui c’era sempre stato.

- Ti ascolto.-

Dissi, indossando una vestaglia e sedendomi sul divano in pelle.

- Ok.-

Riflettee per due minuti. Al punto che quasi, nell’aspettare, mi si chiusero gli occhi.

- Ho girato per ore, perché non avevo idea di come dirtelo.- fece una pausa, mentre agitava la gamba.

- Io ti amo, Blair. Okey? Ecco io penso che tu sia meravigliosa. Che tu abbia bisogno di qualcuno che si prenda cura di te e non ti faccia soffrire. Che Chuck ha già sbagliato molte volte in passato, e potrebbe rifarlo, che cavolo. Quindi, ora, ti andrebbe di… provare ad uscire… con…me?-

Tentennò sulle ultime parole.

Trattenni una risata, e cercai di sfoggiare la parte più nobile di me.

- Io ti voglio bene, Dan. Sei il mio migliore amico, forse effettivamente l’unico. E non ho paura ad ammetterlo.

Ma dio, l’amore che provo per Chuck è qualcosa che mi consuma al punto che a volte non riesco nemmeno a respirare…- sapevo che era lì ad ascoltare. E la cosa non mi dispiaceva.

-.. perciò, mi vedo costretta a declinare la tua offerta.-

E dalla sua faccia s’intuirono i suoi sentimenti. Si credeva uno stupido.

 

 

 

Eccomi!

Allora, mi scuso infinitamente per il ritardo. Ma non lo trovavo completo, sabato. Avevo bisogno di arrivare fino in fondo.

Così eccomi qui.

Come al solito, ringrazio tutti i recensori e chi ha letto zitto zitto e ha inserito la storia nelle varie cartelle. *-* dio, il mio amore per voi è grande quanto il mio odio per Humphrey di questi tempi! Ahah xD

 

Sapete che ho letto proprio oggi?

Avvistamento di Ed e Leight sul set, che si baciavano *-* quindi … questo vuol dire… CHAIR is BACK ! Oddio… speriamo non siano solo illusioni! :D

 

Vi lascio con una frase, nella speranza che vi possa piacere questo capitolo.

“ I suoi occhi erano talmente gonfi che avrei preferito non vederli”

 

XoXo,

 

C.

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Capitolo 19
*** Capitolo19: A night ***


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                                 Capitolo19:

                                                              A NIGHT.

 
 
«Sono solo ricordi.
Allora perché sento queste cose così vivide? Provo a scrollarmi ma non se ne vanno. Provo con un pizzicotto e non se ne vanno.
Che cosa sono?
Forse solo pezzi di vita che non ne vogliono sapere di restare così, e vogliono continuare ad essere vissuti.»
 
 
POV DAN.
-Evelyn.. che c’è?Che succede?-
Quella deliziosa creatura era lì, di fronte a me, con un boccolo davanti agli occhi.
La guardai, in attesa che mi dicesse qualcosa.
E qualcosa, anche se dopo pochi minuti, e sebbene nel cuore della notte, arrivò.
- Dov’è mamma?-
Diceva.
Il suo vestitino blu, da notte, la rendeva più visibile nel buio. E il peluches, quel delizioso peluches, era semi-visibile.
- Oh, non lo so. Se tu non lo sai, io…-
Tristemente, e con un colpo al cuore, vidi quella piccola lacrima argentata nella notte, che se ne stava lì su quella gota biancastra.
No, non piangere.
Tu sei piccola, non piangere. Devi ridere, devi giocare. Sei una bambina, niente dolore.
Ti prego, Eve. Devi vedere il mondo prima di piangere davvero. Devi vedere le meraviglie, prima di sprecare lacrime. Anche se lo sembrano, non sono infinite!
Istintivamente, le presi la manina bianca.
- Evelyn… perché?-
Scosse la testa, muovendo con delizatezza i boccoli castani.
Socchiuse gli occhi, e fece un respiro.
Era così buffa, così posata ed elegante.
- Non so. Non la vedo, non so dov’è. Quand’è che torna? Me l’aveva promesso. Sai dov’è? Tu lo sai?-
La fronte le si era leggermente corrucciata, e sorrideva con quelle labbra rosee. La portai sul mio letto, facendola sdraiare.
- Evelyn, viens ici.-
Si raggomitolò, poggiando la testolina sul cuscino e addormentandosi con la testa dell’incavo della mia spalla.
 
 
 
I ricordi correvano. Correvano, da tutte le parti.
Dei momenti passati con quella bambina, senza sapere la crudeltà che le era stata riservata. Senza sapere sul serio cosa avrebbe sopportato.
Se solo l’avessi saputo…
Nulla. Se solo l’avessi saputo nulla. Non avrei fatto niente.
Se l’avessi saputo non avrei saputo affrontare comunque la situazione. Che cosa le avrei potuto dire? “Mi dispiace Eve, tua madre non tornerà” ?
Spezzarle il cuoricino in quella maniera?
No, ovviamente no.
Lasciavo che i passi andassero da soli, tra le strade tremendamente trafficate di New York. Mentre le auto correvano ancora come i miei pensieri, sulla stessa linea, alla stessa velocità, e il rifiuto di Blair ancora risuonava vivido in me come quelle canzoni estive che di solito ti entrano in testa e non ti togli per un po’.
Ci ero rimasto male? Come avevo reagito?
Me n’ero andato.
Non avevo proferito parola. Mi ero limitato ad aprire la porta, con una faccia da ebete probabilmente, e richiuderla.
Non avevo nemmeno avuto il tempo di un respiro, dopotutto. Mi ero limitato ad andare via. A correre via.
Non era stato nemmeno tanto male, immaginavo di peggio. Chuck soprattutto, temevo che ascoltata la mia richiesta volesse venirmi ad aspettare sotto casa.
Ma forse avevo dimenticato un particolare: Chuck non si sporcava le mani. Avrei dovuto prestare attenzione a chi stava sotto casa mia…
 
 
 
POV CHUCK.
-Beh, e questa?-
Mormorò Blair, voltandosi di scatto.
Stava sorridendo, lievemente confusa, mentre si accarezzava la fronte.
- Non lo so…-
Mi avvicinai, e dolcemente la presi per la vita, stringendola a me.
Sentirla mia, mi rendeva così me stesso.
 Per lo meno ora aveva chiaramente capito che doveva stargli lontano. O comunque, Humphrey stesso non sarebbe tornato più.
Che bella sensazione.
Libertà.
- Beh Waldorf, abbiamo una bambina da cercare comunque, no? Non dobbiamo curarci di un outsider che vuole a tutti i costi portarti via con lui. Perciò domattina chiamerò Antony, per le novità..-
Le feci notare. E la lasciai, prendendola solo più per mano. Le nostre dita si stringevano, mentre ancora i nostri occhi se ne stavano lì ad intrecciarsi.
Poi, improvvisamente, la lasciò cadere.
La guardai, bieco. E lei, ancora dolcemente, si avvicinò.
Al punto che quasi mi vennero le vertigini, per la vicinanza del suo profumo, del suo viso, delle sue labbra. Del suo corpo, così dannatamente attraente, che bramavo da anni e che non avevo più potuto ottenere.
Poi, le sue braccia si strinsero attorno al mio collo. Ancora una volta, i suoi capelli m’invasero il viso, sprigionando un profumo invitante. Bloccai la respirazione, per un momento.
Sapevo che non potevo spingermi troppo in là. E quella vicinanza era troppo, troppo avventata.
E poi, le sue labbra continuavano a cercare impazienti le mie.
E le trovarono, per amore di entrambe. Per amore mio. Per il suo.
- Blair..-
La sua foga, mi colpiva. Ero convinto, assurdamente convinto, che lei volesse aspettare. Aspettare Evelyn, una stabilità mentale. Non volevo appropriami di qualcosa che non era a posto. Era sbagliato.
Eppure, continuava.
La stretta si fece più forte, quasi volesse contringermi alla resa.
- Blair, ti prego..-
Ero incoerente. Ero pieno di incongruenze. Volevo o non volevo? No, appropriarmi di lei (mia a tutti gli effetti) mentre la sua mente era ridotta in poltiglia era assurdamente egoistico. Ma che tentazione…
- Chuck..-
Ormai, eravamo sdraiati, l’uno sull’altro, avvinghiati come due perfette metà, buio e luce.
La sua voce era un sussurro, ed era accesa da quella passione che non sentivo da un pezzo ormai.
E che mi scatenava una marea di emozioni tutte in una volta.
- …  io sto bene. Bene, una meraviglia, nonostante Eve. Ma tra un mese.. potrebbe finire tutto, e tu lo sai. E 30 giorni… sono pochi, relativamente pochi. Per passare la mia vita. Con te, in particolare. Non faccio altro che pensarci da quando mi è stato riferito… il tempo è contato, i minuti lo sono. Le ore, i rintocchi dell’orologio… sono speciali. Sono da rendere importanti. Chuck, ho paura che il tempo mi scivoli via dalle mani. E non posso permettermi di andare via, senza averti reso mio, ancora una volta. Perciò, abbiamo questa notte. E le altre 28 che si prospetteranno. Facciamole divenire importanti, ok?-
Quelle parole, dette tutte in un colpo di fiato, mi spiazzarono del tutto.
E poi, ci stringemmo forti. Ci stringemmo l’uno all’altra, senza badare al tempo che scorreva. Senza pensare a cosa o chi ci avrebbe diviso. Nulla poteva farlo, finche il nostro cuore era in sintonia.
Finchè il suo cuore era con me e il mio nelle sue mani, niente li avrebbe separati. Che fossero i chilometri o un principe.
La feci mia, mentre la passione prendeva il sopravvento su chi eravamo ora, su quello che eravamo diventati. Mentre la notte scorreva, e le stelle scintillavano quasi quanto i suoi occhi.
Mentre le sue mani accarezzavano le mie spalle e il mio volto riusciva a sentire ancora il suo dolce profumo e i suoi sospiri.
Ecco che le nostre mani poi s’intrecciarono, mentre la forza dei nostri corpi che si univano portavano nel trionfo dell’amore anche le nostre menti. Anch’essi, all’unisono.
Come due anime in cerca del paradiso, le nostre avevano scontato il purgatorio ed erano pronte per entrare.
Insieme.
Ancora una volta, così come allora. Così come sempre.
Eravamo lì, che esprimevamo il nostro amore. Lo avevamo espresso in tutti i modi possibili, di recente. Molto, molto di recente. Ora, l’ultimo che ci rimaneva.
Quindi ancora, mentre ci accarezzavamo, mentre le nostre labbra s’incontravano, i nostri corpi si fondevano in uno solo.
E lasciammo che la notte ci prendesse tra le sue braccia, mentre noi non ci saremmo fatti distrarre nemmeno dal timido raggio di sole del mattino
 
 
 
POV SERENA.
I capelli mi solletivacano il volto, mentre me ne stavo sdraiata sul letto con quel libro in mano.
Aiutava la mia mente a distrarsi, in modo da non dover pensare a quello che avevo spinto Dan a fare.
Ma, dopotutto, era la verità. Lui era innamorato.
Non tenevo il cellulare acceso, non volevo vedere nemmeno uno dei blast che Gossip Girl avrebbe postato. Sarebbe stata una tortura.
“Blair e Dan? La nuova coppia” più qualcos’altro sul ragazzo solitario, la regina spodestata e il cavaliere oscuro.
Eppure, non riuscivo ad immaginare Chuck e Blair separati. Non lo sarebbero stati mai.
Neppure allora, quando Blair era fuggita a Monaco, lo erano stati. Avrei scommesso la mia vita che il suo cuore fosse ancora all’Empire, proprio nelle sue mani.
Non avevo mai giudicato davvero Chuck. Era il mio “fratellastro-masochista” a cui piaceva lo strazio. E non poteva, davvero, essere biasimato. Aveva avuto un’infanzia terribile, persa tra i ricordi sfocati e qualche preservativo in più per una notte con qualche svedese.
Poi, l’aveva incontrata.
Colpa mia? Forse. Se non fossi mai andata a letto con Nate, nulla sarebbe cambiato. E ora, sarei pronta a scommettere che la loro storia starebbe per culminare nel matrimonio. Chissà, forse il destino voleva così ed io l’avevo compromesso a vita tornando a New York. E se io l’avevo compromesso, la colpa della storia tormentata tra Chuck e Blair, era colpa mia.
Diamine, lo era sempre stata!
Avevo oscurato la luce di Blair, e sedotto il suo ragazzo. Io le avevo fatto male.
Io l’avevo indotta al “suicidio” con Chuck.
Eppure, una piccola ma difficile da soffocare, vocina, mi gridava che in realtà il destino era loro.
Quindi, l’avevo solo aiutato ad accadere.
E allora perché da anni la vedevo piangere, per lui? Che fosse a Monaco o ancora qui. Erano stati “insieme” o quasi per così tanto tempo.. e l’avevo sempre vista versare lacrime. Se il destino voleva questo, allora il destino era davvero crudele.
Chiusi il libro con uno scatto secco, mentre ancora faceva buio. Mentre ancora non riuscivo a prendere sonno. Mentre ancora ascoltavo il mio cuore scricchiolare per quello a cui lo stavo sopponendo.
Provavo pena, per lui.
Mi portai le mani fredde sulla fronte, per poi sdraiarmi. Chiusi le palpebre pesanti, dopo ore passate a pensare.
Cercavo di non sentire la testa pulsare dal dolore, mentre deglutivo e sospiravo, aspettando di addormentarmi nella città che non dorme mai.
 
 
 
 
 
POV CHUCK.
C’era il sole.
Era un sogno, credo, e c’era il sole.
Ma faceva freddo, un freddo pungente che non permetteva nemmeno di uscire.
Mi sentivo strano, quasi come se sapessi che c’era davvero qualcuno lì fuori pronto ad aspettare per me.
E poi, quasi con una particolare naturalezza, mi voltai sorridendo: c’era lei.
Lei era lì, statuaria, sorridente, che mi veniva incontro. Ma non era sola, no. Dietro di lei c’era una bambina. C’era LA bambina, Eve.
La piccola Evelyn era sul divano che guardava la tv, mentre sorrideva mostrando i denti bianchissimi e le labbra rosse; le fossette degli angeli e i capelli morbidi. Monkey era sdraiato sotto di lei, sotto le sue delicate carezze dalle manine paffute.
Sorridevo.
Sorridevo con il cuore.
Quasi le lacrime timide scendevano, quasi l’imbarazzo nel farle scendere si faceva sentire.
Perché proprio lì, in quel momento, quel momento giusto, era la MIA famiglia.
Lo era ,sul serio.
Non ero più solo.
 
Poi, con uno scatto improvviso, mi svegliai di soprassalto, colpito dal tintinnio fastidioso del cellulare.
 
 
 
POV BLAIR.
La fastidiosa suoneria svegliò entrambe. Eravamo abbracciati, legati l’uno all’altra, quando entrambe sobbalzammo.
Chi mai poteva chiamarci? Fuori, nemmeno le prime luci del mattino erano ancora uscite.
Ancora il sole, con la sua luce forte, se ne stava assopito, dando al cielo la voglia di buio.
Mi strofinai delicatamente gli occhi, mentre Chuck rispondeva scocciato alla chiamata.
-Sì?-
Sospirò.
- Come sarebbe?-
Il suo volto si fece corrucciato, e le sue mani si posero sulla fronte. Inclinai di lato la testa, per chiedergli cosa avesse scatenato tale reazione.
Mi fece un cenno: ne avremo parlato dopo.
- Sicuro? Proprio ora?-
Insisteva, e più lo faceva, più mi spaventava.
- Aspettami, mi vesto e arrivo, così ne parliamo.-
Buttò infuriato il cellulare sul letto. E si rivolse verso di me.
- Era Antony.-
E fu come se tutto diventasse buio.
Capii che tutto stava peggiorando, altrimenti non sarebbe dovuto scappare via. A malapena chiesi spiegazioni, perché mi mancò l’aria e smisi di respirare. Lo feci per un po’, fino a quando tutto divenne davvero oscuro e io lasciai che la mia mente si difendesse come meglio credeva.
 
                                                                **
 
 
-Mamma, andiamo fuori.-
Il sole, il caldo.
Mia figlia mi tirava per un braccio: così piccola, e così testarda.
Il vestitino bianco, che le donava davvero moltissimo e avevamo scelto con cura insieme, era un misto stra pizzo e organza, e i suoi capelli erano legati in due codini perfetti, con boccoli talmente ordinati al punto da sembrare irreali.
E le scarpe di vernice bianca, erano diverse da quelle che aveva chiesto Louis per il party. Ma sinceramente, a noi non importava granchè.
- No, Evelyn… lo sai che non possiamo.-
Mi sedetti sul divano antico, di quelli che solo con uno sguardo di troppo l’ avresti di sicuro sgualcito. Ma io, e le mie movenze delicate, ormai ci avevamo fatto l’abitudine.
La presi sulle gambe, e l’abbracciai forte.
- Ma mamma io voglio andare al mare!-
Dai suoi occhi, così tristi, uscì una lacrima che mi apprestai a catturare in tutta velocità.
La strinsi appena un po’ più forte, quasi avessi paura che scappasse.
- Ci andremo.- le promisi, sorridendo.
- Insieme?-
Esortò.
E io le risposi con un bacio sulla guancia bianca latte.
- Ne dubiti? Non farlo, noi saremo sempre insieme.-
 
 
Poi la luce del ricordo si spostò. Divenne accecante, e più reale. Fu come se fossi lì, ancora una volta. Mentre la mente mi spingeva a ricordare. Mentre io non volevo farlo.
- Vado a prendere Eve, spostati.-
Mi diressi verso la porta, mentre lui mi teneva con il braccio.
- No, non hai capito.-
S’avvicinò, mentre speravo che il mio cervello mi avesse fatto capire male.
- .. Evelyn resta qui. Hai firmato, lo sapevi.-
Mi accarezzò il braccio, mentre io la stavo pagando cara per quella bugia.
Se solo avessi detto la verità…
Poi, le lacrime uscirono con un’intensità tagliente, al punto che lacerarono anche il mio cuore.
Guardavo intorno a me, verso la porta bianca.
- No, è mia figlia!-
Gridavo.
Il palazzo era grande, speravo che lei mi sentisse. Speravo che venisse da me.
Avrei voluto abbracciarla, prenderla.
Rivedere la scena da un altro lato, era addirittura più struggente.
Louis non rispondeva.
Lui, le sue braccia conserte, mi separavano dal mio cuore. Dal mio cervello. Da quella che ormai ero io.
Lei era MIA.
- è MIA, Louis. Non ci pensi?-
Cercavo di far leva sui suoi sentimenti, cercavo di trovare qualcosa che lo spingesse a tirarsi indietro.
Ma mi sbagliavo; il suo cuore, era più che di pietra.
- Starà bene.-
Poi, sentimmo lo scricchiolio della porta in legno. I suoi occhi erano spaesati, la sua boccuccia aperta.
Feci un passo avanti, lo feci e lo avrei fatto anche se Louis avesse chiamato qualcuno. E lui mi tenne, cercando di separarci.
Evelyn cercava di venire,  fece qualche passetto, ma la mano dell’uomo la bloccava.
- Ma cherie…-
Scoppiò in pianto, la bimba deliziosa. Scoppiò a piangere nell’istante in cui l’impediva di arrivare tra le braccia di sua madre.
Mentre voleva sorridere, un abbraccio.
Quello che non avevo avuto io, e che volevo darle.
Inutile chiamarla, vedevo le sue manine tendersi e mi annientavo dall’interno al solo pensiero.
La guardavo, continuava a gridare mentre veniva strappata via da me.
Mentre io dovetti correre via, sapendo che quel ricordo me lo sarei portata dietro per sempre anche non volendo.
I suoi occhi erano talmente gonfi che avrei preferito non vederli.
 
Incredibilmente, qualcuno mi scosse da quell’incubo cupo. Qualcuno mi asciugava le lacrime che erano sgorgate nel viale dei ricordi più lungo ed insidioso che avessi mai percorso.
Aprii gli occhi, ancora singhiozzante e scossa.
Quasi semplicemente, mi aggrappai come un’ancora alle braccia di lui che mi si prestava davanti, con tutto il suo amore.
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
 
Ero morta?Possibile, davvero xD
Però ho avuto davvero troppe cose da fare, gli ultimi tempi. E scrivere… beh, lo facevo ogni tanto quando avevo tempo. Ma Evelyn, Blair e Chuck mi sono rimasti tutti nel cuore.
Per questo, in queste vacanze, ho finito il capitolo.
Tengo a precisare che riprenderemo di nuovo il corso normale delle cose, un capitolo a settimana! Don’t worry, guys!
E continuiamo a sperare per il Chair, che vada tutto per il meglio.
Ringrazio tutti, i lettori silenziosi e i recensori.
Vi voglio bene!
Alla prossima,
C.

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Capitolo 20
*** Capitolo20:Trust me. ***


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                                                                          CAPITOLO 20:
                      
                                                                                                             TRUST ME.

 






 
«Sai che di me ti puoi fidare, no?»














 
POV BLAIR.
 
 
L’orologio batteva i suoi rintocchi nervosi.
E il mio cuore, raggrinzito quasi, faceva lo stesso, tirandosi avanti come poteva.
La notte era sfumata via senza che io potessi rendermene conto, e Chuck se n’era andato con timido bacio in fronte, mentre il mio sguardo agghiacciato era fisso su di un punto indefinito della stanza.
Mi sdraiai sul letto, mentre Monkey stava correndo verso di me.
- No, Monk. Non sono dell’umore.-
Lo accarezzai sul muso, mentre mi squadrava con i suoi occhi grandi.
Non se ne andava.
- Okey, stai quì con me. Ma ti avverto, ti deprimerai.-
Buttai di forza la testa sul cuscino, e la sentii sprofondare.
Che stupida.
Come mi ero ritrovata a parlare con  un cane?
La disperazione mi aveva portato a questi livelli. Ero una causa persa.
Più che altro, tentavo miseramente di non pensare a quello che era successo. Perché strano, e perché evidentemente non bello.
Altrimenti, Antony non avrebbe di sicuro chiamato Chuck. Per quel che ne sapevo, era LEI che stavano cercando. Nessun altro.
Perciò doveva trattarsi proprio di Evelyn.
Mi portai le mani al volto, mentre sentivo il cuore sul punto di scoppiare.
Il cagnolino che avevo di fianco, quello con gli occhi lucidi e grandi, scodinzolò, prima di saltellare sul letto con fare giocoso.
Che diamine stava accadendo?
Che cosa stava facendo Chuck? Che cosa aveva scoperto Antony?
Mi sentii male, e sentii qualcosa chiudersi dentro di me.
Una lacrima, silenziosa e del tutto imprevista, scese percorrendo tutta la guancia destra, cadendo con un debolissimo colpetto sul cuscino bianco panna.
Accarezzai il dorso dell’animale di fianco a me, che si accucciò.
- Grazie, Monkey.-
E poi, quasi spaventandomi, sentii vibrare il cellulare.
Il mio Blackbarry nero lucido, che scintillava di fronte alla luce.
“ Casa mia. Ora”
Serena era impaziente. Impaziente e arrabbiata, parve a me. E avrei potuto scommettere oro, che Humphrey, il mio amico Dan, c’entrava qualcosa.
Giusto, il mio amico Dan.
Un altro incredibile problema che mi attanagliava il cervello. Dan Humphrey, era irrotto nell’appartamento di Chuck (dove,tra l’altro, ero carcerata) e mi aveva fatto una sorta di dichiarazione.
Non una sorta, stupida, una vera e propria.
Di sicuro, Serena sapeva qualcosa. Di sicuro, ce l’aveva con me. Di sicuro, credeva che avessimo già deciso la data delle nozze, o peggio, che già ci fossimo convolati. Nulla di più sbagliato.
Ma lei questo non lo sapeva; Dubitavo altamente che fosse tornato da lei dicendole “ Hei, sai che Blair mi ha rifiutato?”.
No. No di certo!
Così, dopo mezzo secondo di meditazione personale, afferrai quel telefono e digitai i tasti velocemente.
“ D’accordo. Se si tratta di Humphrey, lasciami tutto il tempo per spiegare”.
Schiacciai su “invio” ed aspettai.
Poi, lo lanciai dall’altra parte del letto a due piazze.
Chiusi gli occhi e continuai, tentando di riprendere il controllo della mia respirazione.
E poi, di nuovo.
Una vibrazione lunga, costante.
La voglia di prenderlo e sbatterlo giù dalla finestra, fortunatamente, non prese il sopravvento, così decisi di rispondere.
- Blair?- la voce di Chuck era un misto di rabbia e .. qualcos’altro. Qualcosa che non riuscivo a capire.
Probabilmente,avvertì il cambiamento di respirazione.
- Ti prego, ascoltami un secondo. Antony dice che Louis ha cambiato posizione. La visita di Serena l’ha spaventato, e… -
Il cuore ebbe un tonfo sordo. Fu un attimo, e mi sembrò di morire.
La sua voce, parve rallentare e poi bloccarsi di colpo.
- ..Blair?Ci sei?-
Mimai un sì con le labbra, per poi rendermi conto di dover parlare. Ma fu come se non riuscissi a trovare la voce.
-Sì..-
La mia voce, la mia voce incrinata, uscì in un modo strano. E non gli sfuggì.
- Blair, amore, ascoltami un secondo..-
Già piangevo, ovviamente. Di recente piangevo troppo, e stavo rischiando di compromettere quella maledetta maschera di regina di ghiaccio che stavo cercando di difendere.
Come se il caldo delle lacrime la stesse sciogliendo.
Solo un calore, il più importante, non lo faceva. O forse sì, ma in un modo piacevole, migliore. Quello che fuoriusciva quando stavo con lui, Chuck.
- .. Niente è irreparabile. Riavrai la tua bambina. Riavrai la tua bimba di porcellana. Ed io.. ti renderò felice. VI renderò felici.-
L’amore che provava per me, mi sconvolgeva già abbastanza. Ma l’amore che aveva anche per la bambina, sebbene mai l’avesse vista, m’incuriosiva e mi affascinava .
E soprattutto, il pensiero incredibile di noi, come una famiglia, mi elettrizzava.
- Ti fidi di me?-
Lo disse con una tale dolcezza, che dovetti chiudere gli occhi e “stringere la voce” per non crollare.
- Sì..-
Fu tutto quello che mormorai.
-Ti amo.- lo disse così, senza sforzo, senza problemi. Non come un tempo.
Come quel giorno, a Parigi, che sembrava appartenere ad un’altra vita. Una vita più semplice, che all’epoca sembrava complicata.
Ora, a pensarci bene, era addirittura TROPPO semplice.
. –Sì. Anche io ti amo.-
E chiusi la chiamata così, alzandomi poi in piedi, e dirigendomi verso la cucina, con Monkey che mi seguiva ad ogni passo.
 
POV CHUCK.
 
Antony era stato chiaro al riguardo.
“.. Chuck, non voglio mentirti..” aveva detto. “.. la bambina è più difficile da trovare di quanto pensassi. Probabilmente, le origini reali, contribuiscono. Louis mi ha preso in giro, sta partendo, ma la bambina non è con lui. E lei è irraggiungibile. Di questo passo, non la troveremo mai, se non, forse, con una mano dal cielo”.
Non avevo saputo rispondere a quell’affermazione. Non avevo saputo rispondere a nulla di ciò che avevo sentito.
Sapevo solo che dovevo parlarle, sentirla reale, dopo la notte appena trascorsa.
E poi, avvertirla.
Magari non con tutto, la verità l’avrebbe distrutta. Però con qualcosa, di appena accennato.
O forse, sì, meglio tutto. Con calma,tranquillità, pronto per vederla cadere e tenerla, in modo che non crollasse definitivamente.
Così, presi il cellulare e composi il numero 1.
Era già lì.
Nella memoria del cellulare, come nella mia, non se n’era mai andata da dove se ne stava prima. Al primo posto.
- Blair?-
Non sapevo cosa dirle, la mia voce era incerta.
Non rispondeva. Riuscì solo a sentire il suo respiro mozzarsi. E insieme al suo, il mio.
Perché?
Perché doveva esserci qualcuno di così meschino, da togliere una figlia alla propria madre?
Ah, il suo dolore.
Sbriciolava anche il mio, di cuore. Vederla così distrutta, mi rendeva triste, furioso. Adirato contro il mondo intero, che l’aveva ridotta così.
Nel momento stesso in cui il suo respiro cessava, anche il mio lo faceva. Perché l’ossigeno che mi teneva in vita, era inevitabilmente collegato con il suo.
-  Ti prego, ascoltami un secondo. Antony dice che Louis ha cambiato posizione. La visita di Serena l’ha spaventato, e… -
E cosa? Cosa potevo dirle?
Cosa, che non la facesse svenire lì, in quel momento?
Cosa avrei dovuto fare?
Per la prima volta, anche Chuck Bass pareva impotente.
Ah, quanto era forte il dolore.
Mi stava scorrendo nelle vene.
Pareva acido. Acido che mi corrodeva.
Come quando lei non c’era. Come fino a poco tempo fa’.
-..Blair?Ci sei?-
Tentai, visibilmente spaventato.
Ero spaventato,sì. Avevo paura, per lei. Era così .. fragile, di recente. Per quanto tentasse di nasconderlo, lo era.
Ed io, quando era con me, la sentivo al sicuro. Protetta, come in una campana di vetro. Cosa fare, vedendola creparsi e poi frantumarsi?
Avvertì di nuovo quel blocco improvviso dall’altra parte del telefono.
Ed il mio cuore vacillò.
- Sì..- mormorò.
Ahh.. quella voce. Avrei imprecato.
Avrei fatto a pezzi chi l’aveva ridotta così.
Non lo sopportavo.
Non potevo sopportarlo. Era troppo, troppo.
Perché?
Ecco cosa mi frullava in testa.
Perché a lei?
-Blair, amore, ascoltami un secondo..- provai ad inserirci tutta la dolcezza possibile, tentando di coprire quel dolore che traspariva da me.
Un dolore che arrivava direttamente da lei.
L’empatia, tra noi due, era ormai un dato di fatto.
- .. Niente è irreparabile. Riavrai la tua bambina. Riavrai la tua bimba di porcellana. Ed io.. ti renderò felice. VI renderò felici.-
Ma io ci credevo?
Diamine, no.
Lo so, io, quanto è difficile trovarla, amore. Ti prego, perdonami.
Perdonami se in questo momento ti sto mentendo così.
Lo faccio per te.
Per noi.
Per i nostri ultimi 30 giorni.
DOVEVO trovare Evelyn.
- ti amo.-
Mormorai infine.
Aspettai la sua risposta, che non tardò.
Poi aspettai, e me ne andai via da quel posto troppo affollato per le lacrime, diretto verso casa mia.
Dove avevo lasciato il mio cuore, che teneva lei in mano, con tutta la forza possibile.
 





La gente di buona fede, sapeva che avrei continuato.
E infatti...
Eccomi!
Scusate per il ritardo, ma sono successe così tante cose! La scuola, l'estate ragazzi, le riprese del film.. tutto insieme.
Prometto che proverò ad essere il più puntuale possibile! Bastonatemi pure nel caso non fosse così! D:
Dunque, siamo quì. A questo punto dove ho voluto infilare i due POV, perchè mi piaceva mostrarvi entrambe le visuali, entrambi i dolori.
Serena ha dunque mandato un messaggio alla nostra B, che proprio ora l'ultima cosa di cui ha bisogno è una litigata.
E Dan?
Mistero.

Alla prossima! Che al massimo, giuro, sarà tra due settimane!
un bacio,
C. :)

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