Time for freedom

di Fede_Cookie93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tortuga ***
Capitolo 2: *** Dagawn Doherty ***
Capitolo 3: *** Alleanze ***



Capitolo 1
*** Tortuga ***


Time for freedom


Cap. 1
Tortuga


L'aria afosa e calda del giorno incombeva ancora per gli stretti ed affollati cunicoli, senza accennare ad abbandonare le strade e le piccole piazze, penetrando umida e a fatica nei polmoni che invano avevano sperato in una frescura serale.
La presenza di quelle decine e decine di corpi caldi, ammassati ai tavoli della locanda e madidi di sudore, non facevano altro che peggiorare la cappa irrespirabile ed anche le fiamme tremolanti delle candele sembravano guizzare a fatica, lambendo avide l'aria satura dei pungenti miasmi dell'alcool, del tabacco e della pelle sudata.
I miei occhi scuri saettarono distrattamente, soffermandosi sul caos di gente brulicante, di uomini a cui il troppo bere aveva fatto perdere la concezione di sé ed urlavano a tutti i presenti i loro discorsi mentre altri ridevano sguaiatamente, mostrando le ugole lucide e i denti marci, o altri ancora si dilettavano nell'arte di ruvidi amanti, facendo cantare con urla assai poco pudiche certe mie “colleghe” - neanche si trattasse del teatro d'opera - cacciando i volti barbuti e segnati dagli scontri nelle scollature succinte ed invitanti delle donne, sollevandogli avidi le gonne.
Per deliziare ulteriormente quel branco di clienti dalla fama assai poco rassicurante, Chad, il proprietario della taverna, aveva ben pensato di riesumare tra i ranghi di canaglie e disgraziati che affollavano le strade della città, un paio di violinisti -abbastanza improvvisati a giudicare dalle stonature stridenti che di tanto in tanto sfuggivano dalle loro corde- ed un terzo uomo, adibito occasionalmente alla chitarra o alla fisarmonica.
Il baccano infernale che ne risultava avrebbe messo in soggezione chiunque non vi fosse abituato e fatto sfoderare parecchie manette tintinnanti se qualche pomposo ufficiale della marina vi avesse messo piede.
Il caos che regnava sovrano nell'ampia sala non era molto diverso da quello che vigeva lungo i vicoli tortuosi della cittadina: ad ogni angolo si potevano trovare uomini e donne in vena di peccaminose follie tra fiumi di rum e vino, o gruppi di canaglie intenti a giocare d'azzardo o a sfogare le mani in risse furiose, riempiendo l'aria di urla e spari. Ma, dopotutto, non ci si poteva aspettare nulla di diverso dalla città patria, tana e madre di ogni farabutto che si definisse pirata: Tortuga.
Qui vigeva l'anarchia assoluta ed il solo nome era capace di illuminare gli occhi di qualsiasi gentiluomo di fortuna, che vedeva quel luogo come una promessa di dolce perdizione nella quale abbandonarsi completamente, godendo del suo abbraccio sicuro, libero di consumare ogni vizio e desiderio nel budello di vie costellate di taverne e bordelli, rifocillando le membra dai lunghi mesi di mare.
Tortuga era la culla dove ogni sorta di follia e piacere trovavano libero sfogo, dove ogni pirata poteva trovare la risposta o l'inizio dei suoi problemi, il principio o la fine della sua carriera. Quel covo di canaglie era una contraddizione unica, dove qualsiasi persona poteva cadere vittima dei suoi abissi seducenti trovandovi la vita, o finire finire steso nel fango con una pallottola piantata in mezzo agli occhi con la stessa facilità. Tortuga era una dama dolce e crudele al tempo steso, capace di affascinare e stregare gli avventori di passaggio, catturandoli con il suo razionale caos. Ma se ai viaggiatori poteva apparire come un illegale paradiso, solo gli abitanti che trascorrevano ogni giorno a contatto con questa realtà conoscevano il vero volto di Tortuga...ed io ero una di queste.
Spesso mi chiedevo come mio padre, pur stando spesso fuori per portare in giro le sue merci, fosse riuscito a tenermi al sicuro, lontana dalle grinfie notturne della città...

- FARLOW!! - l'urlo di Chad mi strappò bruscamente dai miei pensieri, perforandomi quasi i timpani: con la stazza che si ritrovava possedeva un diaframma davvero notevole, tanto da poter sovrastare senza troppi problemi il baccano che regnava sovrano nella sala.
Non mi voltai nemmeno verso l'omaccione panciuto dal viso tondeggiante che teneva stratta tra i denti storti e gialli una bisunta pipa fumante; potevo sentire i suoi piccoli occhietti fissi su di me, lucidi ed iniettati di sangue, furiosi come sempre.
- Cosa ti urli, Chad? Nonostante il caos qui dentro, non sono ancora diventata sorda. - replicai svogliatamente, continuando a passare lo straccio sul legno lucido e levigato del bancone, pulendo le chiazze di liquidi alcolici e non sparse su di esso.
- Non fare la solita impertinente con me, Loren! - guaì irritato quello mentre il flaccido doppio mento dondolava frenetico sotto la foga di quelle parole - Vedi piuttosto di lavorare come si deve... Anzi, come dico io, dato che sono il tuo capo e a te serve questo maledetto lavoro! - soggiunse staccandosi la pipa dai denti, stringendola nella grassa mano mentre gesticolava, disegnando così forme diafane e tremolanti con il fumo che questa ancora emanava, puntandomela poi contro come per indicarmi con fare accusatore.
Chiusi un secondo gli occhi, sospirando profondamente, seccata dall'ennesima scenata che stava per esibire quel maiale burbero.
- Chad, per l'ultima volta: non ho intenzione di prostituirmi! E né lo farò mai - declamai quasi svogliata, non perché non fossi fermamente convinta dei miei ideali, ma piuttosto perché avevo ripetuto tante di quelle volte quella stessa identica frase, che oramai avevo smesso di tenere il conto, rinunciando a mettervi la solita convinzione: tanto non serviva a nulla.
Non lo aveva ancora degnato di uno sguardo, ma immaginavo bene come in quel momento gli stesse ridicolamente tremando il grasso mento, come sempre quando si arrabbiava sul serio. Mi afferrò violentemente il braccio con la sua mano unta e paffuta, voltandomi a forza verso di lui. Arricciai disgustata il naso quando il fetore del suo alito e della sua barba sudicia mi investirono il volto.
- Tu non hai alcuna volontà qui dentro, chiaro?! - mi sbraitò in faccia, sputacchiando nella foga della rabbia - E se io voglio che tu sia una puttana, tu lo sei e basta, senza fiatare!!
Assottigliai lo sguardo un istante prima di mollargli fulminea un tale schiaffo da allontanarlo da me, voltandogli la faccia con uno schiocco sordo: nei cinque anni passati in quell'infernale locanda avevo avuto tutto il tempo e le occasioni per diventare decisamente forte, specialmente sotto l'aspetto fisico, e parecchi uomini che avevano tentato di prendermi con la forza erano stati costretti a battere in ritirata con la coda tra le game, stringendosi doloranti i gioielli di famiglia, con le labbra sanguinanti o chiazze rosse che pulsavano dolorose dove li avevano raggiunti i miei ceffoni.
- Piantala una buona volta con queste follie!! - sbottai decisamente seccata, fissandolo con disprezzo - Sono cinque anni che ogni santo giorno mi fai questa predica senza ottenere nulla! Quando ti deciderai a rinunciare e metterti l'anima in pace?! - commentai retorica con un sospiro rassegnato mentre l'uomo si premeva la mano grassoccia contro la guancia dolorante, imprecando a denti stretti.
- Torna a lavorare, cagna! - ringhiò lui, ignorando come sempre le mie parole, cacciandosi la pipa tra i denti e sparendo nel retrobottega, continuando ad inveire irritato.
Scossi il capo mentre tornavo a dedicarmi alla pulizia del bancone, rassegnata. Gli avventori che affollavano la locanda non avevano fatto caso a quello scambio di battute, solo alcuni, nuovi di queste parti e abbastanza sobri per notarci, avevano allungato incuriositi il collo per osservare la scena. Oramai le urla assillanti dell'oste contro di me erano diventate una routine quotidiana tanto quanto le mie risposte non meno sentite, e tutti, a Tortuga, conoscevano il mio nome. La mia fama di donna bellissima ma intoccabile mi aveva procurato tanti favori quante seccature dato che, se da una parte quei lupi affamati avevano rinunciato al desiderio di far loro una delle donne più belle che avessero mai visto -così, almeno, mi ero sentita sempre definire da quei disgraziati- , dall'altra molte teste calde osavano sfacciatamente tentare là dove tutti gli altri avevano fallito, sperando di essere i primi “eroi” a conquistare l'ambita preda. La maggior parte di loro imparava la lezione a suon di calci e pugni, fortunatamente...
Penso fosse il sogno di ogni donna quello di essere assai bella e spesso le mie “colleghe” mi dicevano che la mia estrema beltà fosse una benedizione e che fossi una stupida a non sfruttarla. Si sbagliavano, tutte quante. Per me la bellezza è sempre stata la mia più grande maledizione. A causa sua ero costretta ogni giorno a lottare con le unghie e con i denti per preservare il mio corpo dal desiderio perverso e profanatorio di ogni uomo che posava gli occhi su di me... non era affatto bello come si credeva essere costantemente carezzate da occhi famelici che ti spogliavano avidi con lo sguardo, senza desiderare altro che le tue curve e la tua virtù, finendo per considerarti come un succulento pasto: un lauto premio carnale da sfruttare, goderne e poi gettare via una volta soddisfatto il desiderio, pavoneggiandosi con gli altri poveri sventurati che non avevano avuto la loro stessa fortuna.
Nonostante fossi nata e cresciuta a Tortuga e fin da piccola abbia dovuto fare i conti con le sue realtà, sono sempre stata una ragazza che credeva nel vero amore. Chiamatemi sciocca, chiamatemi illusa, come tutti mi hanno sempre definita: eppure non smisi mai, nemmeno per un secondo, di crederci... ed era proprio per questo motivo che ogni giorno lottavo contro i desideri esclusivamente carnali di quelle canaglie, trovando la forza per tenergli testa nelle parole che mio padre mi ripeteva sempre quando ero bambina e che mi portavo sempre nel cuore: “Sii come il mare, bambina mia, che ogni volta che si infrange sugli scogli, trova sempre la forza di riprovarci”, e io seguivo fedelmente quel dolce augurio.
Mai mi rendevo conto di quanto la mia bellezza fosse una condanna, più di quando mi ritrovavo ad affrontare uomini così testardi da non arrendersi al primo rifiuto, ma continuare imperterriti a provarci più e più volte... e mai uomo, o meglio, ragazzo in questo caso, fu più insistente ed esasperante di Hector Barbossa.
Aveva solo un anno più di me ed era approdato per la prima volta a Tortuga sedicenne, tre anni fa. La sua prima visita si prolungò per un'intera settimana nella quale si era stabilito giornalmente alla locanda, passando gran parte del tempo ad ubriacarsi e conquistandosi in pochi giorni la fama di amante capace e assai focoso tra le mie colleghe. Già dal primo giorno in cui aveva messo piede alla Sposa Devota mi aveva puntata, mettendosi in testa che la donna più bella di tutta Tortuga -sì: anche così mi ero sentita descrivere alle volte, purtroppo- dovesse essere sua.
Aveva cominciato a lusingarmi con le solite smancerie, provando inizialmente a prendermi con le buone, ma, dati i miei costanti e freddi rifiuti, aveva cominciato ad usare anche le maniere forti, specialmente nelle giornate in cui, anche negli anni a seguire, era più ardito e determinato delle altre volte. Ne usciva sempre con qualche forte schiaffo sulla guancia, stringendosi il cavallo dei pantaloni, dolorante, anche se raramente l'avevo sentito lasciarsi sfuggire un gemito di dolore alle mie botte, limitandosi ad abbozzare in silenzio.
Ogni volta che all'inizio di quei tre anni si presentava alla locanda e avanzava spedito verso di me, quasi stentavo a credere che potesse esistere un ragazzo così incredibilmente testardo. Col passare del tempo, però, cominciai a rassegnarmi alla sua costante insistenza, senza sorprendermi più quando si sedeva al bancone con il suo solito ghigno sfacciato e lo sguardo impertinente.
E così fu anche quella sera: si presentò con il consueto portamento fiero ed un ghigno a metà tra il trionfante e il malizioso, già pregustandosi la serata all'insegna di rum e donne che si prospettava. Portava la solita bandana verde a cingergli i capelli semi lunghi e mossi che gli lambivano le spalle, lisciandosi distrattamente i baffi chiari con un dito mentre i suoi occhi azzurri e penetranti scrutavano l'ampia sala. Notai che il pizzetto che solitamente portava era stato lasciato un po' crescere in un accenno di barbetta che gli ricopriva riccioluta il mento. Aveva anche un cappello nuovo: ampio, di feltro blu scuro con un paio di piume di fagiano leggermente spelacchiate ad adornargli il copricapo... di certo l'aveva rubato a qualcuno, dato lo stato palesemente già usato del cappello. Aveva anche rimediato un gilet di velluto rosso ed una fusciacca di un giallo acceso che gli cingeva i fianchi, assicurata ulteriormente dal solito cinturone di cuoio nero al quale teneva fissate la fedele spada e la lunga pistola.
Nonostante il suo carattere testardo e decisamente aitante da bravo diciannovenne, si poteva notare una certa raffinatezza nel suo abbigliamento... peccato che questo gusto raffinato non si riscontrasse anche nel suo modo di fare.
Come al solito sentii i suoi occhi fissarsi su di me e mi sfuggì un sospiro decisamente seccato: fui tentata di sgattaiolare via prima che le sue grinfie mi raggiungessero, ma desistetti dato che ero l'unica in quel turno a servire al bancone e non avevo voglia di disertare e ricevere le solite botte dall'oste quella sera.
Pur di farmi trovare impegnata, presi un boccale a caso dalla mensola, prendendo a pulirlo come se nulla fosse, osservandolo di sottecchi, irritata dalla consapevolezza di quanto mi attendeva di lì a poco.
Il ragazzo ci mise un po' a raggiungermi, perdendo tempo a salutare doviziosamente ciascuna delle mie colleghe che l'avevano accerchiato, attendendo con squittii impazienti ed occhiate invitanti che le labbra del pirata si posassero sulle loro in un bacio decisamente troppo passionale per trattarsi di un semplice saluto.
Le prime volte avevo sperato che quei baci distrassero a tal punto Hector, da farlo dimenticare di me, lasciandosi trascinare su qualche sedia a tirar su la gonna a qualcuna delle spasimanti presenti. Ma neanche una volta era capitato...purtroppo. Il ragazzo era uno di quei tipi che sanno bene chi e cosa vogliono e hanno una determinazione, o testardaggine in questo caso, tale da mettere in secondo piano tutto il resto. Ed io avevo avuto la sfortuna di diventare la preda più ambita di Hector.
- Buonasera Loren, mia cara. - mi salutò mellifluo, sottolineando marcato quel “mia” mentre, finalmente libero dalle grinfie delle altre donne, si era lasciato cadere seduto stravaccato sullo sgabello, chinandosi verso il bancone... era incredibile il suo senso di possesso nei confronti di cose e persone!
- Sempre in forma, vedo! - continuò poi al mio ostinato silenzio, sogghignando con fare divertito - Stai tenendo allenata la mano per clienti più fortunati del sottoscritto, eh! - commentò poi con un ghigno malizioso, alludendo al mio lavoro di ripulitura del boccale mentre schioccava le labbra con falso dispiacere.
- L'hai assaggiata parecchie volte anche tu, la mia mano, proprio sulla tua faccia! - replicai asciutta, degnandolo d'uno sguardo solo in quel momento, arricciando ironica le labbra mentre agitavo sarcastica la mano incriminata.
Lui l'afferrò fulmineo, approfittandone per tirarmi a sé, ad un nulla dal suo volto mentre ghignava maggiormente.
- Mi piacerebbe molto provare suddetta mano su altre parti, nei miei pantaloni... - mi sussurrò sfacciatamente sulle labbra, investendomi il viso con il suo fiato caldo che già sapeva di rum.
Arricciai irritata il naso mentre appoggiavo il boccale sul bancone, liberando l'altra mano per potergli dare lesta un bel ceffone. Ma il ragazzo fu altrettanto veloce, bloccandomi anche quella. Mi ritrovai così con entrambi i polsi ben stretti da Hector che ora mi guardava con un ghigno vittorioso, sebbene continuasse a mantenere uno sguardo decisamente languido.
- Permalosa come sempre, eh, bimba? - domandò poi canzonatorio sulle mie labbra, soddisfatto di quella situazione e facendomi arricciare disgustata il naso.
Digrignai appena i denti, piccata per essere stata braccata... oh! Ma non se la sarebbe di certo cavata con così poco! Gli diedi veloce una forte testata contro la fronte, cogliendolo di sorpresa quanto bastava per fargli mollare la presa sui miei polsi, liberandomi le mani ed indietreggiando svelta, lontana dalla sua portata prima che potesse riacciuffarmi.
- E tu sfacciato come sempre, eh, Heckie? - replicai seccata, ignorando il dolore pulsante alla testa nel punto che avevo usato per colpirlo: era un sacrificio che facevo volentieri pur di sfuggirgli.
Lui abbassò la mano che si era tenuto premuta sulla fronte dolorante, sfoderando il sorriso più strafottente che conosceva, come a confermare la mia domanda retorica.
- Ammettilo che mi adori proprio per questo: la mia sfacciataggine ti conquista. - insinuò mellifluo lui, scavalcando agilmente il bancone con un balzo, rischiando seriamente di urtare il boccale che avevo poggiato lì sopra.
Non feci nemmeno in tempo a sgattaiolare verso la porta del retrobottega, pronta a disertare il mio turno, rinunciando ai buoni propositi fatti prima e preferendo le botte dell'oste alle mani impertinenti del ragazzo, che questo mi aveva già raggiunto a grandi falcate. Mi spinse con tutto il suo corpo contro il muro, serrando nuovamente fulmineo le mani sui miei polsi, bloccandomi.
- Vai all'inferno, Hector... - ringhiai esasperata, divincolandomi sotto la sua stretta; mi teneva però schiacciata contro la parete con tutta la sua persona e anche muovermi sotto di lui mi risultava assai difficile.
Ghignò apparentemente divertito dalla mia uscita. Mi alzò le braccia sopra la testa, in modo da potermi stringere entrambi i polsi con una sola mano mente l'altra mi afferrava il volto, costringendomi a guardarlo dritto negli occhi color del mare. Si chinò sul mio viso ed il suo respiro mi accarezzò le labbra, facendomi arricciare il naso.
- Ma è proprio da lì che vengo, Loren... - esalò seducente al mio orecchio, strusciando con fare provocante il corpo contro il mio, premendomi quasi dolorosamente sulla parete alle mie spalle.
- ...Vedi di tornarci, allora! - sibilai a denti stretti, per nulla impressionata dalle sue parole, scoccandogli un'occhiata furiosa prima di alzare fulminea un ginocchio, picchiandolo senza pietà tra le gambe di Hector, strappandogli una smorfia di dolore.
Non appena il ragazzo staccò le mani dai miei polsi, mi affrettai a schizzare via, nel retrobottega, sperando che per quella sera ne avesse avuto abbastanza.
Mi credevo oramai fuori pericolo, al sicuro nella cucina affollata di cuochi e garzoni, quando la porta alle mie spalle si aprì con un tonfo sordo, segno che era stata spalancata con un calcio, mostrando un Hector ghignante e per nulla vinto dai colpi subiti. Sgranai gli occhi, sorpresa da tanta tenacia: fino ad allora non aveva mai osato seguirmi nel retrobottega, limitandosi ad attendermi fuori, pronto a tornare alla carica non appena avesi rimesso piede nella sala.
Quella sera doveva essere più esaltato del solito, a quanto pareva.
- E' inutile che tenti di continuare a fuggire, Loren! - esclamò lui sotto lo sguardo attonito ed incuriosito dei vari inservienti - Perché non ti arrendi al fascino della piacevole perdizione e non lasci che il più abile tra gli amanti ti illustri ed insegni i peccaminosi piaceri del campo? - domandò avanzando imperterrito verso di me, con fare ammaliante mentre gli occhi si posavano famelici sulla scollatura del mio vestito.
- E questo “più abile tra gli amanti” saresti tu? - domandai ironica, indietreggiando di qualche passo prima di schioccare seccata le labbra, voltandomi a dargli le spalle e allontanandomi veloce, facendomi agilmente strada tra le botti, le casse ed i sacchi che ingombravano la cucina.
- Ovviamente, piccola! - esclamò lui con un sorriso sardonico, gonfiando appena il petto come a darsi delle arie mentre mi seguiva lesto, saltando svelto gli ostacoli e pestando pesantemente gli eleganti stivali in pelle nera, seguendomi testardo.
- Io non ne sarei affatto sicura, se fossi in te. - replicai fredda,cominciando davvero a perdere la pazienza nel notare che Hector non demordeva, facendosi largo a spallate tra i garzoni pur di non perdere terreno.
Affrettai il passo, ritrovandomi quasi a correre verso la piccola porta di legno mezza sgangherata che conduceva sul retro; ma prima che la mia mano potesse chiudersi sul freddo e rassicurante metallo della maniglia, il ragazzo mi afferrò lesto le spalle, voltandomi di scatto verso di lui e spingendomi con la schiena contro il legno della porta che scricchiolò appena sotto il mio corpo.
- Puoi sempre constatare tu stessa sul piano pratico...- m'invitò in un sussurro sulle mie labbra, invitante, ritrovandomelo per l'ennesima volta ad un nulla dal mio volto... tanto vicino da poter sentire i riccioli della sua barbetta solleticarmi il mento.
- No, grazie, preferisco tenermi le mie idee senza controllare di persona. - replicai irritata, premendo maggiormente il capo contro la porta dietro di me nel tentativo di allontanarmi da lui.
Prima che avesse il tempo di commentare ulteriormente, allungai fulminea la mano alla maniglia alle mie spalle, spalancando di colpo la porta. Hector, che si teneva poggiato con l'avambraccio contro di essa, improvvisamente sbilanciato, capitombolò in avanti, finendo faccia a terra mentre io ero sgusciata prontamente di lato in modo da sottrarmi alla traiettoria di caduta del corpo del ragazzo.
- Vedi ora di tornartene dalle tue spasimanti, prima che qualche altro “abile amante” te le occupi! - gli suggerii ironica, osservandolo mentre si rialzava imprecando tra i denti.
Feci per chiudergli la porta in faccia, ma mi bloccai di colpo quando un suono simile ad un rauco rantolo mi giunse alle orecchie.
-Che aspettino pure: io ho altro che bramo da conquistare. - replicò lui osservandomi intensamente con gli occhi che brillavano di un desiderio quasi ossessivo, dettato dalla caparbia testardaggine di voler ottenere ciò che si era convinto dovesse essere suo. A quanto pareva non aveva sentito quel rantolo.
Mi sporsi di lato, aggrottando preoccupata le sopracciglia: avevo cominciato a distinguere un respiro rauco, raschiato, come qualcuno che stesse soffocando. Scattai svelta avanti, ignorando completamente Hector e dirigendomi verso la pila di casse, illuminata dalla fioca luce delle lampade ad olio appese al muro scrostato del retro, dietro la quale sembrava provenire quel lamento.
Il ragazzo mi seguì con lo sguardo, sorpreso e forse quasi offeso dalla mia totale mancanza di attenzione alla sua ultima uscita, tanto che tentò di fermarmi afferrandomi con una mano che io però scacciai con un gesto sbrigativo.
- Hector, fermo un attimo: mi pare ci sia qualcuno che si lamenta lì dietro. - borbottai mentre mi avvicinavo cauta alle casse.
Una volta arrivata a distanza di pochi passi, il mio sguardo fu catturato da un bagliore rossastro sul suolo umido e sudicio. Mi fermai a guardare meglio ed il mio cuore ebbe un sussulto: sulla terra fangosa si allargava lentamente una chiazza vermiglia di sangue caldo, facendo capolino da dietro le casse.
- Ai poveri diavoli che ti corrono dietro non li degni nemmeno d'uno sguardo... ma a quelli feriti ti precipiti subito a soccorrerli, eh? - commentò con fare di scherno Hector alle mie spalle, per nulla toccato dalla notizia, probabilmente fin troppo avvezzo a situazioni simili in combattimento – Va a finire che dovrò squarciarmi il ventre per poter ricevere un po' delle tue “cure amorevoli”. - sogghignò poi mentre sentivo il tonfo ovattato delle suole dei suoi stivali avvicinarsi dietro di me.
Non badai minimamente alle sue parole, decidendomi finalmente ad aggirare le casse. Sussultai vivamente quando vidi un corpo riverso a terra in un lago di sangue: aveva due profonde ferite ai fianchi che avevano inzuppato interamente la camicia e il gilet di cuoio del liquido vermiglio. Era disteso supino sulla terra molle e quando mi vide arrivare fece saettare il debole sguardo su di me, muovendo freneticamente le labbra come se cercasse di dire qualcosa. Uno spettacolo simile non era affatto raro a Tortuga e ne avevo visti conciati peggio, ma non potevo evitare di provare compassione per quegli sventurati che, per debiti, per ripicca o per sbaglio, si erano guadagnati una pallottola o uno squarcio sul corpo.
Mi inginocchia accanto a lui, senza curarmi del sangue che impregnò la stoffa della mia lunga gonna e la mia mano quando andai a scostargli delicata il tessuto della camicia per constatare l'entità dei danni mentre gli sollevavo la testa sulle mie ginocchia.
Notai che, a giudicare dai suoi capelli radi e dalla barba parecchio brizzolati e la rete di rughe che gli correva lungo il volto, doveva aver passato da un po' la cinquantina.
- ...Gawn...Da...ga...- lo sventurato era riuscito ad articolare qualche suono comprensibile tra un rantolo e l'altro, fissandomi con gli occhi vitrei spalancati in un'espressione di ansia e dolore.
Sentii Hector schioccare le labbra con fare di noncuranza allo stato del ferito.
- Non vi agitate, è meglio se risparmiate il fiato per respirare... - gli suggerii io osservando preoccupata le ferite; purtroppo non c'era molto da fare: era stato colpito ad entrambi i fianchi, appena sotto la cassa toracica con qualche lama decisamente lunga... probabilmente con qualche misericordia.
L'uomo mi afferrò di scatto il polso, sgranando maggiormente gli occhi, quasi spaventato di non riuscire a dire quanto voleva.
- Da...Daga...Dagawn... - riuscì ad esalare in un rauco sussurro, con le labbra tremanti per lo sforzo – Doh...erty...Doherty...
Sentii Hector fermarsi di colpo nella sua passeggiata alle mie spalle ed avvicinarsi frettolosamente, accigliato.
- Cos'è che ha detto? - domandò in un sussurro al mio orecchio: di colpo aveva perso ogni nota maliziosa nella voce, facendosi improvvisamente interessato.
Mi voltai appena a guardarlo, lanciandogli un'occhiata interrogativa a tutto quell'interesse. Dischiusi le labbra, facendo per rispondergli, ma il moribondo mi precedette, serrando maggiormente la presa già debole sul mio polso.
- Doherty!...Boh...Bonaire!!- gemette in un rantolo, con tanto slancio che sembrava trattarsi di una questione vitale - ...Chapman. - con quest'ultimo nome spirò, lasciandomi di colpo il braccio, rovesciando gli occhi al cielo mentre la scintilla vitale lo abbandonava.
Osservai perplessa il cadavere che giaceva con la testa ancora poggiata sulle mie ginocchia. Due di quei nomi mi suonavano familiari, anche se il terzo non l'avevo mai sentito prima d'ora. Hector, ancora chinato al mio fianco, si era fatto terribilmente serio, osservando con sguardo indecifrabile il corpo inerme steso a terra. Poi, senza aggiungere una parola, si raddrizzò, allontanandosi a grandi falcate verso la piccola porta del retro, sparendo nuovamente nelle cucine diretto probabilmente alla sala principale.
Gli scoccai un'occhiata furtiva: non ricordavo dove avevo già sentito quei nomi, ma se Hector aveva reagito in quel modo, doveva trattarsi di qualcosa di davvero importante.


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Capitolo 2
*** Dagawn Doherty ***



Cap. 2

Dagawn Doherty


Camminò a passo svelto, ignorando la calura soffocante che aleggiava nella cucina, arroventata dal grande braciere e dagli altri fuochi più piccoli dove venivano arrostite le succulente pietanze per soddisfare le gole delle canaglie nella stanza accanto. Spalancò la porta con un calcio senza curarsi di scalfire il legno già malandato ed ammaccato in diversi punti, facendo nuovamente il suo ingresso nella sala principale della locanda. Il ragazzo scavalcò poi agile il bancone, facendo saettare gli occhi magnetici tra la gente accalcata presso i tavoli. Non appena trovò quanto cercava, riprese il suo passo spedito fino a fermarsi accanto ad un paio di giovani uomini intenti a discutere animatamente mentre giocavano a carte. A giudicare dal colorito rosso acceso delle guance di entrambi e dal modo brusco ed esasperato con cui si urlavano addosso, agitando malamente le carte che avevano in mano, non dovevano essere molto soddisfatti dell'andamento del gioco.
- Non lo puoi scartare quel due di picche!! Non puoi e basta!!- stava sbraitando il più grande tra i due che doveva avere occhio e croce la stessa età di Hector, anche se il velo di barba che gli ricopriva la mascella e la fronte molto alta lo facevano sembrare più vecchio, sebbene fosse anche basso di statura.
- “Non puoi e basta” non è una giustificazione sufficiente!! - ribatté il compare: era parecchio più giovane dell'altro, doveva avere massimo tredici anni, anche se era decisamente alto per la sua età, tanto da poter passare tranquillamente per un sedicenne – Devi darmi una buona ragione! Altrimenti fammi fare come più mi aggrada ed inventiamoci un nuovo gioco a questo punto!!
Hector osservò quella bizzarra coppia con aria quasi rassegnata, alzando gli occhi al cielo prima di sbattere violentemente una mano sul tavolo, sotto il naso dei due litiganti, facendoli sussultare vivamente ed attirando l'attenzione su di sé.
- Desolato d'interrompere una questione di cotale importanza e vitalità, signori miei...- annunciò con un ghigno, il tono carico d'ironica costernazione – Ma ho delle squisite notizie che bollono in pentola da riferire al capitano... Era con voi fino ad un momento fa: sapete dirmi dove è andato?
I due ragazzi lo osservarono dapprima perplessi, poi di colpo incuriositi dal menzionamento delle notizie importanti. Si scambiarono un'occhiata, come ad aiutarsi vicendevolmente a ricordare che fine avesse fatto il capitano.
- E' andato di là! - esclamarono poi all'unisono con un sorriso deciso, indicando entrambi due direzioni completamente opposte, facendo inarcare un sopracciglio ad Hector.
Il ragazzo schioccò poi con fare irritato le labbra: non aveva alcuna voglia di perdere tempo con quei due idioti. Paleso così la sa impazienza carezzando eloquente il calcio della pistola. Il ragazzo più grande notò subito quel gesto, al contrario del compare che stava ancora indicando la direzione richiesta con un sorriso quasi da ebete dipinto in faccia.
- Che diavolo stai dicendo, Ragetti!? - sbottò con tono di rimprovero, dando un pugno sul capo biondo del ragazzino – E' andato di là! - lo corresse indicando insistentemente alla propria sinistra.
- Ahi!! Mi hai fatto male, Pintel! - piagnucolò questo in risposta, massaggiandosi con aria crucciata il punto sulla testa in cui era stato colpito, lanciando uno sguardo piccato al suo aggressore davanti ad un Hector sempre più spazientito.
Stava quasi per sfoderare esasperato la pistola per schiarire una volta per tutte le idee a quei due imbecilli, che sentì una mano stringergli amichevolmente una spalla, facendogli voltare di scatto lo sguardo.
- Rogne con i due mastri? - la voce profonda e appena un po' rauca del nuovo arrivato attirò l'attenzione dei tre pirati: si trattava di un ragazzo sulla ventina; portava i capelli corti di un marrone scuro, quasi nero, mossi e scapigliati sul capo, mentre un paio di baffi e la barba gli conferivano un'aria seria e matura e due occhi color del ghiaccio svettavano in netto contrasto con la pelle abbrustolita dal sole e il colore scuro dei capelli.
- Sam... - lo salutò con un ghigno Hector, sollevato dalla comparsa dell'amico, confidando di ricevere da lui qualche risposta più esauriente rispetto a quei due disgraziati – Stavo tentando invano di farmi riferire che fine abbia fatto il capitano; ne sai qualcosa? - s'informò poi inarcando un sopracciglio come ad esortare il ragazzo a non fare troppe domande e rispondere subito.
Sam scrutò attentamente Hector e gli occhi gli scintillarono di curiosità nel comprendere l'urgenza che si celava dietro quell'atteggiamento pacato. Ghignò e il suo sguardo guizzò divertito dal compare ad un punto dietro le sue spalle, probabilmente attirato dalle curve formose di qualche donna.
- Circolano grandi notizie in piazza, eh? - mormorò retorico, facendogli poi un cenno col capo, indicando un tavolo a qualche fila di distanza alle loro spalle – E' lì a parlare con Thomas. - rispose alla domanda di Hector prima di lanciargli un'occhiata complice, curioso di sapere di cosa si trattasse, ma pazientando il momento in cui l'amico sarebbe stato più libero di riferirglielo.
Questo si limitò ad un sorriso enigmatico di circostanza prima di sorpassarlo: aveva fretta di parlare con il capitano Sterling. Si diresse a grandi falcate verso il pirata indicatogli da Sam: un grosso omaccione dalle spalle larghe e forti e la barba folta e rossiccia annodata in diverse trecce alle estremità, intento a discutere animatamente con un vecchio stempiato, sorseggiando di tanto in tanto del rum.
- Capitano! - lo chiamò poi una volta raggiunto, senza farsi troppi problemi ad interrompere la fitta discussione in cui l'uomo era immerso – Devo parlarvi in privato. - lo informò serio, sebbene mantenendo un atteggiamento di noncuranza, come se la questione da riferire era importante, ma nulla di vitale: non voleva destare alcun sospetto in giro.
Sterling si voltò a guardarlo, inarcando appena un folto sopracciglio, scrutando attentamente il ragazzo come se stesse valutando se valesse o meno la pena prestargli attenzione. Ma l'espressione decisa di Hector lo persuase ad abbandonare la precedente chiacchierata, congedandosi dall'anziano con un cenno del capo. Si alzò poi dallo sgabello sul quale si era accomodato, facendo segno al ragazzo di precederlo. Si andarono ad appartare presso un piccolo tavolo in disparte, in un angolo scuro della locanda al sicuro da orecchie indiscrete. Lungo il tragitto, Hector intercettò una delle cameriere intenta a portare tre bottiglie e altrettanti boccali di rum, distraendola con un veloce ma intenso bacio mentre si appropriava di una delle suddette bottiglie. La congedò poi con un colpetto sul fondoschiena, staccandosi da lei con un ghigno malizioso mentre quella si allontanava ridacchiando soddisfatta senza essersi accorta del “furto”.
Una volta seduti al tavolo, con il ragazzo che si gustava l'alcolico bottino con generose sorsate, Sterling si schiarì appena la voce, osservando ansioso Hector, impaziente di sapere: se quel ragazzo gli aveva riferito che aveva qualcosa d'importante da dirgli, era certo che doveva trattarsi di una questione di notevole interesse e non una stupidaggine qualunque, dato che lo scetticismo del giovane nei confronti di favolette o nozioni dubbie era noto a tutti.
Hector, però, non aveva fatto una piega a quel palese gesto d'impazienza da parte del capitano, continuando a degustarsi con doviziosa accuratezza il forte liquore.
- ...Dunque?!- la nota esasperata nella domanda di Sterling vibrò in tutta la sua chiarezza nel silenzio ostinato del giovane.
Il ragazzo ghignò mentalmente a quella reazione, concedendosi un'ultima sorsata prima di staccare le labbra dal collo della bottiglia, schioccandole soddisfatto con estrema calma, come a tenere ulteriormente sulle spine l'uomo: adorava fare un po' di scena, creare la giusta atmosfera in modo tale che il suo pubblico pendesse dalle proprie labbra.
- Pochi minuti fa sono venuto a conoscenza di un'informazione assai interessante... - cominciò poi con fare mellifluo, appoggiando i piedi sul tavolo con noncuranza – Vi dice qualcosa il nome di “Dagawn Doherty”? - domandò con un ampio ghigno.
Sterling si accigliò appena a quel nome, aggrottando pensieroso la fronte mentre giocherellava con una delle treccine della sua lunga barba.
- ...
Quel Dagawn Doherty? - ripeté il capitano, osservando il ragazzo sempre più curioso, domandandosi dove volesse andare a parare.
-
Quel Dagawn Doherty, nostromo di quel Blaze Chapman, sì. - confermò in un ghigno divertito e quasi saccente Hector, annuendo con fare eloquente.
- Diavoli, Hector, chi è che non lo conosce? - domandò retorico Sterling, ridacchiando mentre si faceva più attento, facendo cenno al ragazzo di proseguire nell'esposizione della fatidica notizia.
- ...So dove si trova. - declamò Hector in un soffio, attaccandosi poi nuovamente alla bottiglia, lasciando in un silenzio sbigottito il capitano.
Questo boccheggiò appena, esitando quasi in un primo momento a credere a quanto sentito; ma il fatto che fosse stato proprio Hector a riferirglielo, gli bastava come garanzia certa della veridicità di quelle parole... specialmente per il fatto che non gli aveva ancora specificato
dove si trovava.
- ...E dov'è, quindi? - il ghigno eloquente che si dipinse sulle labbra del ragazzo gli fece subito comprendere che non era per pure lealtà che l'aveva informato di quella notizia.
- Mi auguro che ci sarà una lauta ricompensa per il sottoscritto... - commentò con tono mellifluo Hector mentre i suoi occhi scintillavano avidi e furbi alla luce tremolante delle candele – Per aver scoperto l'ubicazione... e, ovviamente, per il grande gesto di devozione nei vostri confronti nel venirvi a riferire una così lieta notizia, non trovate? - gli fece notare con una sottile ironia ben leggibile nel suo ghigno sardonico: voleva il suo tornaconto e non avrebbe cantato senza la promessa del suo premio.
Sterling inarcò le sopracciglia a quell'uscita, come sorpreso; poi scoppiò in una fragorosa risata, allungando la grossa mano a batterla divertito sulla spalla del ragazzo.
- Siete una canaglia fino all'osso, Hector! - esclamò sghignazzando quasi compiaciuto della subdola scaltrezza del giovane – D'accordo, Barbossa: avete la mia parola d'onore che saprò lautamente ricompensarvi – gli concesse poi mentre si sistemava con un sorriso divertito sullo schienale della sedia – E sapete bene che sono un uomo che mantiene sempre la parola data!
Hector sogghignò soddisfatto, giocherellando con la bottiglia già semivuota. Si sporse verso il capitano, come a premurarsi ulteriormente che nessuno potesse udirli.
- Si trova sull'isola di Bonaire. - mormorò poi la risposta tanto agognata dall'uomo.
Il ragazzo gli vide scintillare gli occhi a quella preziosa notizia, soddisfatto, per poi farsi improvvisamente serio.
- Come siete venuto a conoscenza di quest'informazione? - gli domandò sottovoce, lanciandosi sguardi furtivi attorno.
- Ho le mie fonti... - si limitò a rispondere laconico il giovane con un sorriso arrogante prima di attaccarsi ancora una volta alla bottiglia, scolandosela del tutto.
- ...Dobbiamo partire il più presto possibile: prima che la notizia corra il rischio di diffondersi. - osservò poi Sterling, sovrappensiero – ...Ma senza dare nell'occhio. Partiremo a mezzanotte, vedete di informare anche il resto della ciurma con la massima discrezione. - aggiunse poi scrutando serio il ragazzo.
Hector ghignò sardonico, soddisfatto della notizia, annuendo in risposta alla raccomandazione del capitano.
- Provvedo subito! - gli assicurò mentre si alzava, abbandonando la bottiglia vuota sul tavolo – Ci vediamo a mezzanotte al molo.
Poi, senza aggiungere altro, se non un cenno di saluto sfiorandosi l'ampio cappello, il ragazzo si allontanò a grandi falcate, facendosi largo tra la massa malferma di pirati perlopiù ubriachi che affollava tutta la sala. Richiamò poi l'attenzione di Sam con un colpetto dietro il capo, distraendolo dalle maliziose lusinghe che stava riservando ad una donna che sembrava aver bevuto decisamente troppo rum per stare davvero ad ascoltare il ragazzo.
- Avvisa tutta la ciurma che si salpa a mezzanotte: massima discrezione. - gli sussurrò poi con fare eloquente, palesandogli l'urgenza della faccenda.
Sam arricciò contrariato il naso, spiaciuto di quella notizia che l'avrebbe portato, almeno momentaneamente, a rinunciare alla dolce compagnia che aveva abbordato.
- Ordini del capitano. - aggiunse sogghignando Hector come a discolparsi e assicurandosi al tempo stesso che il compare eseguisse gli ordini.
Questi si limitò ad un grugnito irritato ed un cenno d'assenso, lasciando la donna a finire di scolarsi il boccale di liquore che teneva tra le mani pallide. Hector lo osservò allontanarsi con un sorrisetto soddisfatto, prima di voltarsi con un ampio ghigno malizioso verso la preda abbandonata da Sam. Questa ricambiò il sorriso con una risata impastata dall'alcool, buttando subito le braccia al collo del ragazzo.
- Buonasera, Rose... - la salutò lui, seducente, con un soffio invitante mentre le passava una mano attorno alla vita, tirandola a sé prima di tuffarsi sulle labbra piene ed esperte della donna.

*


Il caos che regnava nella sala non aveva accennato a sfumare nonostante l'avanzare della notte: solo alcuni uomini erano spariti a nascondersi nelle camere al piano di sopra o nei vicoli bui e tortuosi della città con qualche donnina allegra, decidendo di consumare la notte lontano dalla folla che gremiva la locanda; ma erano stati subito sostituiti da altri pirati vogliosi di lasciarsi naufragare nei fiumi di alcool, chiacchiere sguaiate e risse furiose che le ampie sale delle taverne offrivano loro.
L'aria all'interno della
Sposa era diventata quasi irrespirabile, viziata dalla costante presenza dei corpi accaldati e del fumo delle pipe. Ma Sterling, seduto in un angolo della locanda, immerso nel suo boccale di rum e nei suoi pensieri, sembrava non curarsene minimamente. Alzò lo sguardo solo quando sentì dei passi leggeri avvicinarsi presso di lui: un giovane ragazzo si era preso la libertà di scostare la sedia, sistemandosi seduto difronte a lui, dall'altro capo del logoro tavolo. Le folte sopracciglia del capitano si aggrottarono appena con un misto di curiosità e sorpresa mentre scrutava il volto del giovane uomo: portava dei piccoli baffi marroni sopra le labbra piene; il volto era parecchio sporco da quelle che sembravano macchie di fuliggine e cenere; una bandana vermiglia gli copriva quasi completamente il capo, lasciando solo intravedere i capelli che sparivano sotto di essa, ed un ampio cappello di feltro nero, rialzato da un lato ed adornato di una lunga piuma bianca e vaporosa, era stato ben calcato sulla testa.
- Cosa posso fare per voi, figliuolo? - domandò poi l'uomo con una certa stizza nel tono della voce: non aveva affatto voglia di parlare, non dopo quanto gli aveva appena riferito Hector.
Il giovane sogghignò appena, sistemandosi meglio sullo schienale della sedia, appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani sotto il mento con tutta calma. Fissò intensamente l'uomo con i suoi occhi profondi, facendosi di colpo estremamente serio.
- Desidererei arruolarmi nel vostro equipaggio, capitano. - gli spiegò poi con una tale decisione nella voce, che fece capire a Sterling che il ragazzo doveva averci pensato su da un pezzo.
- E per quale motivo avreste deciso ciò?- molti capitani non si curavano, solitamente, delle motivazioni che spingevano le varie anime e lasciare tutto per donare il proprio cuore al mare, purché le braccia su cui contare fossero molte; ma lui non la pensava allo stesso modo: ci teneva a venire a conoscenza di quanto induceva ogni individuo ad una così drastica decisione prima di prenderli a bordo. In quel modo poteva comprendere quanto un marinaio gli sarebbe stato fedele o meno, se si sarebbe impegnato attivamente oppure avrebbe sfruttato la presenza a bordo come passaggio. Non importava se qualcuno mentiva: aveva imparato a distinguere bene la menzogna dalla verità da molti anni, in quel campo.
Negli occhi del giovane sembrò passare l'ombra di un sorriso ad una tale domanda, ma rimase ugualmente serio, fissando ancora più intensamente il volto del capitano.
- Ci sono tanti motivi, signore, per cui mi vorrei arruolare... - cominciò poi prendendo a lisciarsi distrattamente i baffetti - ...Ma tutti possono essere riassunti in una sola parola: libertà. - aggiunse mentre i suoi occhi scintillavano a quella parola, quasi a riflettere lo splendore di quell'ideale – Vorrei arruolarmi per poter sfuggire al giogo e alle catene che questo posto maledetto mi ha stretto addosso, soffocandomi e schiacciandomi giorno dopo giorno sempre di più. Voglio liberarmi dal peso opprimente di dipendere da un lavoro che odio e per il quale vengo sfruttato. Voglio fuggire dal bastone dell'oste, dagli schiaffi e le risa dei cuochi di questa maledetta taverna dove sono garzone... Voglio scappare da questa follia, dalla follia della gente, dalle sfacciate urla delle prostitute e quelle ubriache degli uomini. Ho bisogno di sentirmi libero: libero di scegliere della mia vita; libero di andare dove voglio, di fare quello che davvero voglio senza più costrizioni, né punizioni. Voglio sentire il viso abbrustolirsi al sole e la spuma dell'onda inzupparmi i vestiti; voglio sentire le grida del capitano che detta manovre e le mie mani scottare dopo aver tirato le cime delle vele; voglio sentire il brivido della paura durante una tempesta mentre la nave s'impenna pericolosamente prima di tuffarsi nel ruggito delle onde o la scarica di adrenalina al boato assordante dei cannoni che prelude allo scontro. Voglio sentire e provate tutto questo sulla mia pelle: a volte sarà difficile, altre doloroso e stancante, ma almeno saprò di essere vivo... di essere libero. - declamò con enfasi mentre le guance gli s'imporporavano appena nella foga della spiegazione, nell'ammissione di quel desiderio incontenibile che gli invadeva tutto il corpo, spingendolo a compiere quel “grande passo”.
Sterling ascoltò con attenzione mentre si rigirava il boccale vuoto tra le forti e nodose mani: il ragazzo sembrava proprio sapere il fatto suo e la determinazione ferrea che gli leggeva negli occhi erano la conferma della sincerità di tali idee, di quella voglia disperata di libertà. Sogghignò con fare soddisfatto, battendo il palmo della mano sul tavolo come a conferma del proprio compiacimento a quel discorso.
- Mi piace il vostro spirito, figliolo!- esclamò puntandogli contro un dito, ridacchiando – A quanto avete detto eravate garzone in questa locanda, giusto? - chiese conferma, prendendo a giocherellare con una delle treccine della folta barba.
- Sissignore! - esclamò prontamente il ragazzo con un sorriso speranzoso, attendendo trepidante il verdetto finale del capitano.
- Quindi mi auguro che voi sappiate cucinare bene... - continuò poi Sterling, ridendo divertito nel leggere l'impazienza sul volto del giovane.
- Piatti gustosi come i miei non li avete mangiati, né li mangerete mai! - gli assicurò in risposta questo con un ghigno divertito, di chi la sa lunga.
- Lo spero bene, ragazzo! Perché da ora in avanti siete il cuoco ufficiale della Nemesis! - lo informò allegro questo: quel ragazzo capitava a fagiolo, dato che avevano giusto bisogno di qualcuno che s'intendesse di cucina e che non rischiasse di avvelenare l'intero equipaggio come era quasi capitato con il precedente “cuoco” - Salpiamo a mezzanotte in punto: vedete di farvi trovare al molo, che abbiamo fretta di partire. - aggiunse poi, facendosi estremamente serio.
Al giovane gli si illuminarono gli occhi alla conferma dell'arruolamento, ed un inevitabile sorriso di gratitudine gli si dipinse sulle labbra. Annuì poi serio alla raccomandazione di Sterling.
- Aye aye, capitano, non temete: ci sarò. - gli promise con un sorriso deciso prima di congedarsi con un gesto di saluto, toccandosi il cappello – A dopo, signore.
- Aspettate! Non mi avete detto il vostro nome! - gli ricordò Sterling, fermandolo prima che venisse inghiottito dalla calca.
- Chris Ramirez. -rispose questo con un sorriso prima di voltarsi nuovamente e sparire tra la folla.
Se il capitano avesse guardato meglio, forse avrebbe notato i fianchi leggermente troppo larghi del normale, la camminata con un vago accenno di sinuosità e il leggero rigonfiamento al petto... a quanto pareva non aveva notato il mio sorriso di scherno nel constatare le mie doti di attrice mentre mi allontanavo, facendomi largo tra l'orda di pirati che affollavano la sala.

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Capitolo 3
*** Alleanze ***



Cap. 3
Alleanze



Mi tastai distrattamente i baffi sopra le labbra, assicurandomi in quel gesto veloce che fossero ancora ben attaccati al loro posto. L'aria pungente della notte m'investì il viso in una dolce carezza, regalando un po' di sollievo al mio corpo accaldato finalmente libero dall'atmosfera opprimente della taverna. Un sorriso trionfante mi distese inevitabilmente le labbra mentre mi voltavo a guardare l'ingresso di quell'infernale locanda, chiuso per sempre alle mie spalle tanto letteralmente, quanto effettivamente nella mia vita. Dopo cinque, lunghissimi anni ero riuscita a trovare l'occasione per abbandonare quell'orribile posto che mi aveva schiacciata, umiliata e sfruttata, punendomi ogni qual volta che volevo far valere i miei ideali, la mia opinione. Mi passai istintivamente una mano dietro la schiena, in corrispondenza delle sottili cicatrici che la tempestavano, memorie tangibili delle percosse dell'oste eseguite a suon di bastone e bottiglie. Quasi una volta alla settimana ero costretta a chiudermi nella mia camera, passando ore ad estrarre le schegge di vetro dai tagli, lasciati sulla mia pelle come castigo dei miei continui rifiuti a prostituirmi.
Scossi appena il capo, come a scacciare quei dolorosi ricordi: era tutto finito. Per quanto la mia scelta mi avesse messo in una difficoltà e in un pericolo forse anche maggiori, introducendomi in una ciurma di pirati sotto mentite spoglie maschili, preferivo di gran lunga correre il pericolo di un destino peggiore di quello della semplice sgualdrina, rischiando di morire, sì, ma libera, piuttosto che marcire lentamente, a poco a poco, costretta a schiantarmi ogni giorno dolorosamente contro le sbarre di ferro della gabbia impostami dall'oste.
Spesso in quegli anni mi ero chiesta cosa fare, dove poter fuggire per trovare la libertà a cui anelava tutto il mio corpo, stanco dei continui soprusi e di quella vita piatta e monotona. Mi ero detta che avrei potuto seguire le orme di mio padre e cercare di entrare nell'ambito commerciale; oppure andare lontano, in qualche altra isola caraibica e sperare di trovarvi un trattamento più umano rispetto alla mia città natia. Ma sapevo bene che nulla di tutto questo mi avrebbe mai dato ciò che cercavo davvero. Ero cresciuta guardando ogni giorno quelle maestose navi, montate da orde di anime scavezzacollo, attraccare e ripartire dalla baia ed ogni qual volta il mio sguardo si fermava ad accarezzare il legno intagliato dello scafo e la stoffa ruvida delle vele, sentivo un brivido d'emozione solleticarmi le membra, infiammandole di un desiderio incontenibile di salire anch'io a bordo di una di quelle signore del mare che beccheggiavano cigolanti ed invitanti ai moli del porto. Ero stata abituata sin da piccola a fermarmi ad ascoltare incantata le incredibili storie che le bocche salmastre dei vecchi lupi di mare declamavano con estrema enfasi, catturando subito l'attenzione di una giovane come me, facendomi scintillare ammaliata gli occhi a quei racconti che narravano di pericoli, misteri, tesori inestimabili, situazioni mozzafiato tra la vita e la morte che come amanti esperti mi sussurravano allettanti alle mie orecchie, seducendomi al loro irresistibile richiamo di libertà ed avventura, portandomi a sognare ed anelare ogni giorno di più quella vita. Non avevo dubbi che l'unica esistenza che desiderassi davvero e che mi avrebbe potuto dare ciò che cercavo era quella da pirata. Non ero però una sciocca: ero conscia di tutte le difficoltà e i rischi che comportavano una scelta simile. Sapevo del pericolo delle bonacce che potevano durare anche settimane, lasciando morire come mosche sui ponti delle navi gli sventurati marinai che v'incappavano; delle tempeste capaci d'inghiottire nei cavalloni ruggenti ciurme intere; delle malattie che circolavano come viscide serpi nel ventre dei velieri decimando gli equipaggi; dei combattimenti che, nel migliore dei casi, finivano con qualche morto e altrettanti feriti, inondando il ponte e la batteria di sangue; della ciurma stessa che tra scommesse, superstizioni e ripicche rischiava di piantarti qualche pugnale nella schiena o buttarti a mare quando il capitano e gli ufficiali non guardavano.
Ero ben consapevole di tutti questi rischi e ancor di più lo ero del codice dei pirati, secondo il quale, se un membro dell'equipaggio portava a bordo una donna travestita da uomo, questo sarebbe stato punito con la morte... tecnicamente nessuno mi stava portando segretamente a bordo, il che faceva di me l'unica colpevole di tale azione, accaparrandomi così tutto il diritto di subire io stessa la condanna in vigore. Ma non ero stata nemmeno così stupida da non cercare di limitare almeno in parte questo rischio: avevo avuto modo di conoscere personalmente il capitano Sterling, chiacchierandoci di tanto in tanto quando Hector decideva finalmente di lasciarmi in pace dopo i suoi soliti assilli; era un uomo con un senso d'umanità abbastanza sviluppato nella media piratesca ed ero certa che, anche se mi avesse scoperta, non sarebbe ricorso ad un gesto così drastico per punirmi togliendomi addirittura la vita.
Immersa così nei miei pensieri mi ero incamminata verso il porto, gustandomi la piacevole e trionfante sensazione di allontanarmi una volta per tutte da quell'infernale locanda, pestando fiera e soddisfatta gli stivali nel fango molle e umido delle strade tortuose, ancora affollate di gente nonostante l'ora tarda. Mi feci largo tra la folla, evitando pratica ed agile gli spari e le bottiglie che volavano nell'aria afosa, lanciate dagli esaltati di turno e accompagnate da urla e risate. In mezzo a quel baccano si poteva anche udire il suono strimpellante di qualche chitarra o il miagolio di qualche violino.
Finalmente superai quell'ammasso di persone, arrivando al porto che appariva calmo e deserto a confronto del centro cittadino: la stragrande maggioranza dei pirati aveva accuratamente abbandonato le rispettive navi per gustarsi del sano divertimento dopo le settimane trascorse in mare, lasciando così il molo popolato esclusivamente dagli uomini addetti ai turni di guardia sui ponti dei vari legni. Solo alcuni gruppi di uomini intenti a caricare e stivare le provviste facevano eccezione, rompendo quel silenzio placido con il cozzare di casse ed il rotolare dei barili.
Avanzai decisa lungo il molo, fermandomi davanti ad un galeone sul quale svettava a caratteri serpeggianti il nome “
Nemesis”. La conoscevo già bene quella nave: per quanto non vi fossi mai salita a bordo, avevo avuto modo di studiarla diverse volte dall'esterno. Non era di certo tra le più belle che avevano sfilato in quel porto, anzi, sembrava quasi un mezzo relitto, dove i pezzi di ricambio fissati alla meno peggio spiccavano rispetto alle parti originali palesemente più malandate. Nonostante quell'aspetto “rattoppato”, aveva l'aria di una nave che sapeva il fatto suo, come un'anziana saggia, non più forte come un tempo, forse, ma con tutta l'esperienza necessaria per tirare ancora egregiamente avanti.
Alcuni pirati stavano già caricando a bordo i rifornimenti: doveva mancare oramai veramente poco al momento della partenza.
Tutta quella fretta di levare l'ancora non voleva dire che una sola cosa: Hector doveva aver riferito al capitano la notizia appresa dal moribondo. In un primo momento non ero riuscita a ricordare dove avessi già sentito due di quei nomi, ma, mentre ero intenta a lavarmi via il sangue del morto dalle mani, mi era tornato in mente: si trattava di una leggenda che circolava come tante altre tra i pirati.
Si narrava che Blaze Chapman, un famoso capitano pirata assetato di sangue e denaro, avesse assaltato per anni le ricche navi da trasporto spagnole, prendendo sempre di mira solo quelle con il ventre rigonfio e carico dell'oro e dell'argento proveniente dalle miniere delle colonie americane. Aveva così nel tempo accumulato un patrimonio quasi inestimabile. Quando poi un giorno fu ferito mortalmente in un combattimento, si raccontava che avesse tenuto duro alla dipartita fino al momento in cui non si fu rifugiato, insieme a tutta la sua ciurma, nel covo dove aveva nascosto tutti i suoi lauti bottini. Qui, prima di spirare, aveva fatto esplodere una granata all'entrata del nascondiglio in modo da renderlo introvabile e condannando tutto il suo equipaggio a morire rinchiuso con lui all'interno di esso, esalando l'ultimo respiro su un tappeto d'oro scintillante. In questa maniera Chapman si era voluto assicurare che il segreto dell'ubicazione del tesoro morisse insieme a loro, impedendo così che qualcuno potesse approfittarsene dopo la sua scomparsa. La leggenda voleva però che un solo membro dell'equipaggio fosse riuscito a sfuggire a quel tragico destino: il suo nostromo, Dagawn Doherty. Questi sarebbe poi fuggito nei meandri dei Caraibi, dove nessuno potesse trovarlo e sfruttarlo per raggiungere il famoso tesoro del suo capitano. Questa era la storia così come mi era stata raccontata e nessuno era mai riuscito a scoprire dove si trovasse il nostromo o il bottino... fino a quel momento. Bonaire doveva trattarsi del luogo in cui si trovava Doherty, a giudicare dal numero di volte che il moribondo aveva ripetuto quel nome.
Dei passi in avvicinamento mi destarono dalle mie riflessioni, portandomi a rivolgere lo sguardo verso il gruppo di pirati che avanzava lungo il molo. In testa alla combriccola vi era Sterling, il volto teso e serio che mi rendeva chiaro fino a che punto avesse preso sul serio la questione e ci tenesse ad alzare i tacchi da lì il prima possibile. Dietro lo seguivano due figure a me note: un giovane ragazzetto alto e biondo ed un ragazzo basso e tarchiato, rispettivamente Ragetti e Pintel. Avevo avuto modo di parlarci qualche volta, specialmente con il più giovane che, data la sua età e il carattere più mite rispetto agli altri, aveva imparato a guardarmi con occhi quasi rispettosi e non più impertinenti, specialmente dopo le mie forti strigliate quando aveva provato ad imitare Pintel nei suoi modi rudi e maliziosi. Alle loro spalle scorsi anche Sam; un paio di volte aveva tentato di sedurmi anche lui ma, a differenza del suo amico testardo, gli erano bastati due calci ben assestati tra le gambe per farlo desistere dai suoi intenti. Hector camminava al suo fianco, parlottando con il compare sottovoce con aria distaccata.
- Animo uomini!! Levate l'ancora, issate tutte le vele! Veloci! - si mise ad urlare ordini Sterling, una volta giunto accanto alla nave, mentre la ciurma scattava svelta ai propri posti.
Feci per voltarmi, sbrigandomi ad avviarmi su per la passerella quando una stretta forte si serrò sulla mia spalla, fermandomi.
- Ehi, ragazzo, dove credi di andare? - la voce seccata e al tempo stesso incuriosita di Sam mi fece girare verso di lui.
Stavo per rispondergli ma il capitano mi precedette.
- Lascialo stare, Sam: è il nuovo cuoco di bordo. - gli spiegò ridacchiando, facendogli cenno di lasciarmi.
Il giovane osservò prima l'uomo poi me, con un sorrisetto soddisfatto, staccando la mano dalla mia spalla.
- Oh, ma davvero? Mi auguro che questo voglia dire pasti commestibili per tutti, allora! - commentò con fare compiaciuto mentre sentivo gli occhi di Hector, accanto a lui, studiarmi attentamente.
- Vi assicuro che non rimarrete affatto delusi dalla mia cucina! - esclamai con decisione, il tono privo di alcun dubbio, sforzandomi di ricorrere al timbro di voce più maschile di cui ero capace.
- Trovare un buon cuoco, di questi tempi, è come trovare un tesoro... - commentò improvvisamente una voce ruvida e profonda alle nostre spalle.
Ci voltammo tutti verso i nuovi arrivati, interdetti da quell'intromissione. Due uomini sulla trentina d'anni stavano ritti sul molo, fermi a fissarci con un ghigno divertito sulle labbra: a giudicare dai capelli corti e spettinati di un rosso acceso, visibili sotto gli sfarzosi cappelli, e dalla spruzzata ben evidente di lentiggini sugli zigomi, sembrava trattarsi di irlandesi. Avevano la corporatura massiccia e muscolosa ed i lineamenti molto simili tra loro... a quanto pareva dovevano essere parenti.
Notai Sterling e gli altri squadrare con fare sospettoso e minaccioso i due nuovi arrivati, mentre Hector si era limitato ad inarcare appena un sopracciglio a quell'apparizione inaspettata, mantenendo per il resto la solita espressione fredda e distaccata.
- A proposito di tesori... - fece poi l'altro uomo, riservando un sorriso mellifluo al capitano – Ci è giunta voce che voi ne siete alla ricerca di uno... - insinuò mentre tutta la ciurma presente si voltava all'unisono a fissare truce Ragetti, sospettando che fosse stato lui, data la sua ben nota sbadataggine, a spifferare involontariamente tutto.
L'incriminato sussultò, colpito quasi fisicamente da quegli sguardi carichi di rimprovero, facendosi piccolo piccolo e mettendosi sulla difensiva.
- Perché guardate me?! Io non c'entro nulla... - piagnucolò, guaendo come un cane bastonato.
- Chi siete voi? - domandò il capitano, ignorando la protesta di Ragetti, squadrando storto di due nuovi arrivati così come il resto dei suoi uomini.
- Capitan Belock e George O'Ryan per servirvi! - rispose quello più energumeno tra i due, indicando prima sé e poi il compare.
Il cognome in comune confermava la mia supposizione sul loro legame di parentela e, data la grande somiglianza, dovevano essere fratelli.
- ...Mai sentiti. - s'intromise Hector con fare di scherno ed un ghigno sarcastico, osservandoli distaccato, come se quella notizia non lo avesse impressionato minimamente.
I due gli scoccarono un'occhiata di sbieco, arricciando irritati il naso avendo colto la frecciatina.
- Invece noi abbiamo ben sentito che voi siete alla ricerca del tesoro di Chapman. - lo informò con un sorrisetto divertito Belock, soddisfatto nel veder sparire l'espressione canzonatoria dal volto del ragazzo a quelle parole.
- E che siete venuti a conoscenza di un'informazione molto importante, nevvero? - domandò poi retorico George, squadrando tutti i presenti con fare ironico.
Vidi Sterling irrigidirsi a quell'uscita, lanciandosi fulmineo un'occhiata attorno come a controllare che non ci fossero altre orecchie indiscrete nei paraggi; ma le uniche anime presenti erano le nostre ed il resto del molo era deserto, avvolto in un quieto silenzio rotto solamente dal cigolio delle navi ancorate che dondolavano al ritmo delle onde. Avanzò di un paio di passi verso i due uomini, scrutandoli intensamente.
- Cosa volete da noi? - domandò in un sibilo che aveva un ché di minaccioso e rassegnato al medesimo tempo: aveva capito chiaramente a cosa miravano.
I due inarcarono con falsa sorpresa le sopracciglia, lanciandosi un'occhiata con fare esageratamente sorpreso, manifestando così tutta l'ironia e lo scherno che si celavano dietro quel gesto.
- Unirvi a voi, ovviamente! - esclamò logico Belock, allargando appena le braccia a sottolineare l'evidenza della risposta.
- Per una proficua ricerca che, di certo, in tre compiremo assai meglio, non trovate? - gli fece poi osservare retorico l'altro fratello, le labbra inarcate in un sogghigno irritante.
Avevano la classica espressione strafottente di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico... e Sterling ne era ben conscio. Li fissò intensamente, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro dei capitani: era certo che, se anche avesse solo provato a rifiutare, quei due gli avrebbero strappato a forza l'informazione che cercavano a suon di minacce o peggio.
- Avanti, Capitan Sterling... Non vorrete che la notizia giunga alle orecchie di tutta Tortuga ancor prima che salpiate, no? - lo spronò a rispondere con fare lezioso George, sorridendo eloquente: se gli altri pirati che bazzicavano a Tortuga, non meno avidi di succulenti bottini, fossero venuti a conoscenza di quel fatto, a centinaia gli avrebbero dato la caccia fino in capo al mondo pur di ottenere la collocazione del vecchio nostromo di Chapman.
I pirati di Sterling lanciarono un'occhiata significativa al loro capitano: adesso avevano davvero fretta di salpare, ed era meglio che l'uomo prendesse la giusta decisione per evitare situazioni spiacevoli come quella appena menzionata dall'irlandese.
Il capitano esitò un ultimo istante sotto lo sguardo attento e freddo di Hector, poi annuì appena, rassegnato alle minacce dei due fratelli: non aveva altra scelta.
- E sia... seguirete la nostra nave, stando dietro la nostra rotta. - concesse infine con lo sguardo duro e frustrato di chi è stato appena costretto a sottomettersi – Ma il luogo rimarrà per voi un mistero finché non vi approderemo. - aggiunse poi fissandoli intensamente, ora a testa alta – Prendere o lasciare.
I due fratelli si scambiarono un'occhiata, come a consultarsi prima di annuire.
- D'accordo, vi seguiremo fino a destinazione. - concesse Belock, allungando una mano in direzione di Sterling.
Questo la strinse, ripetendo poi lo stesso gesto con George, sancendo così il patto dall'alleanza con i due irlandesi. Un ghigno discretamente soddisfatto distese le labbra dei due fratelli una volta concluso l'affare, mentre Sterling e i suoi li squadravano con aria palesemente risentita.
-Le nostre navi sono la
Dreadful e la Ramisham, vi seguiremo non appena avrete raggiunto il largo della baia. - lo informò poi George, dopodiché, senza nemmeno aspettare un cenno d'assenso da parte del capitano, i due si toccarono gli ampi cappelli in segno di saluto e si dileguarono, silenziosi così come erano apparsi, tra la folla di navi ancorate ai moli.
Nonostante la scomparsa dei due fratelli, l'atmosfera non aveva perso poi molta della sua tensione che era aleggiata durante il negoziato dei tre capitani: nessuno dei presenti era contento della piega che avevano preso gli eventi, specialmente per il fatto che tutti, me compresa, sapevano fin troppo bene che non ci si poteva mai fidare di un'alleanza con i pirati.

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