Time for freedom di Fede_Cookie93 (/viewuser.php?uid=91035)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tortuga ***
Capitolo 2: *** Dagawn Doherty ***
Capitolo 3: *** Alleanze ***
Capitolo 1 *** Tortuga ***
Time
for freedom
Cap.
1 Tortuga
L'aria
afosa e calda del giorno incombeva ancora per gli stretti ed
affollati cunicoli, senza accennare ad abbandonare le strade e le
piccole piazze, penetrando umida e a fatica nei polmoni che invano
avevano sperato in una frescura serale. La presenza di quelle
decine e decine di corpi caldi, ammassati ai tavoli della locanda e
madidi di sudore, non facevano altro che peggiorare la cappa
irrespirabile ed anche le fiamme tremolanti delle candele sembravano
guizzare a fatica, lambendo avide l'aria satura dei pungenti miasmi
dell'alcool, del tabacco e della pelle sudata. I miei occhi scuri
saettarono distrattamente, soffermandosi sul caos di gente
brulicante, di uomini a cui il troppo bere aveva fatto perdere la
concezione di sé ed urlavano a tutti i presenti i loro
discorsi mentre altri ridevano sguaiatamente, mostrando le ugole
lucide e i denti marci, o altri ancora si dilettavano nell'arte di
ruvidi amanti, facendo cantare con urla assai poco pudiche certe mie
“colleghe” - neanche si trattasse del teatro d'opera -
cacciando i volti barbuti e segnati dagli scontri nelle scollature
succinte ed invitanti delle donne, sollevandogli avidi le gonne. Per
deliziare ulteriormente quel branco di clienti dalla fama assai poco
rassicurante, Chad, il proprietario della taverna, aveva ben pensato
di riesumare tra i ranghi di canaglie e disgraziati che affollavano
le strade della città, un paio di violinisti -abbastanza
improvvisati a giudicare dalle stonature stridenti che di tanto in
tanto sfuggivano dalle loro corde- ed un terzo uomo, adibito
occasionalmente alla chitarra o alla fisarmonica. Il baccano
infernale che ne risultava avrebbe messo in soggezione chiunque non
vi fosse abituato e fatto sfoderare parecchie manette tintinnanti se
qualche pomposo ufficiale della marina vi avesse messo piede. Il
caos che regnava sovrano nell'ampia sala non era molto diverso da
quello che vigeva lungo i vicoli tortuosi della cittadina: ad ogni
angolo si potevano trovare uomini e donne in vena di peccaminose
follie tra fiumi di rum e vino, o gruppi di canaglie intenti a
giocare d'azzardo o a sfogare le mani in risse furiose, riempiendo
l'aria di urla e spari. Ma, dopotutto, non ci si poteva aspettare
nulla di diverso dalla città patria, tana e madre di ogni
farabutto che si definisse pirata: Tortuga. Qui vigeva l'anarchia
assoluta ed il solo nome era capace di illuminare gli occhi di
qualsiasi gentiluomo di fortuna, che vedeva quel luogo come
una promessa di dolce perdizione nella quale abbandonarsi
completamente, godendo del suo abbraccio sicuro, libero di consumare
ogni vizio e desiderio nel budello di vie costellate di taverne e
bordelli, rifocillando le membra dai lunghi mesi di mare. Tortuga
era la culla dove ogni sorta di follia e piacere trovavano libero
sfogo, dove ogni pirata poteva trovare la risposta o l'inizio dei
suoi problemi, il principio o la fine della sua carriera. Quel covo
di canaglie era una contraddizione unica, dove qualsiasi persona
poteva cadere vittima dei suoi abissi seducenti trovandovi la vita, o
finire finire steso nel fango con una pallottola piantata in mezzo
agli occhi con la stessa facilità. Tortuga era una dama dolce
e crudele al tempo steso, capace di affascinare e stregare gli
avventori di passaggio, catturandoli con il suo razionale caos. Ma se
ai viaggiatori poteva apparire come un illegale paradiso, solo gli
abitanti che trascorrevano ogni giorno a contatto con questa realtà
conoscevano il vero volto di Tortuga...ed io ero una di
queste. Spesso mi chiedevo come mio padre, pur stando spesso fuori
per portare in giro le sue merci, fosse riuscito a tenermi al sicuro,
lontana dalle grinfie notturne della città...
-
FARLOW!! - l'urlo di Chad mi strappò bruscamente dai miei
pensieri, perforandomi quasi i timpani: con la stazza che si
ritrovava possedeva un diaframma davvero notevole, tanto da poter
sovrastare senza troppi problemi il baccano che regnava sovrano nella
sala. Non mi voltai nemmeno verso l'omaccione panciuto dal viso
tondeggiante che teneva stratta tra i denti storti e gialli una
bisunta pipa fumante; potevo sentire i suoi piccoli occhietti fissi
su di me, lucidi ed iniettati di sangue, furiosi come sempre. -
Cosa ti urli, Chad? Nonostante il caos qui dentro, non sono ancora
diventata sorda. - replicai svogliatamente, continuando a passare lo
straccio sul legno lucido e levigato del bancone, pulendo le chiazze
di liquidi alcolici e non sparse su di esso. - Non fare la solita
impertinente con me, Loren! - guaì irritato quello mentre il
flaccido doppio mento dondolava frenetico sotto la foga di quelle
parole - Vedi piuttosto di lavorare come si deve... Anzi, come dico
io, dato che sono il tuo capo e a te serve questo maledetto lavoro! -
soggiunse staccandosi la pipa dai denti, stringendola nella grassa
mano mentre gesticolava, disegnando così forme diafane e
tremolanti con il fumo che questa ancora emanava, puntandomela poi
contro come per indicarmi con fare accusatore. Chiusi un secondo
gli occhi, sospirando profondamente, seccata dall'ennesima scenata
che stava per esibire quel maiale burbero. - Chad, per l'ultima
volta: non ho intenzione di prostituirmi! E né lo farò
mai - declamai quasi svogliata, non perché non fossi
fermamente convinta dei miei ideali, ma piuttosto perché avevo
ripetuto tante di quelle volte quella stessa identica frase, che
oramai avevo smesso di tenere il conto, rinunciando a mettervi la
solita convinzione: tanto non serviva a nulla. Non lo aveva ancora
degnato di uno sguardo, ma immaginavo bene come in quel momento gli
stesse ridicolamente tremando il grasso mento, come sempre quando si
arrabbiava sul serio. Mi afferrò violentemente il braccio con
la sua mano unta e paffuta, voltandomi a forza verso di lui.
Arricciai disgustata il naso quando il fetore del suo alito e della
sua barba sudicia mi investirono il volto. - Tu non hai alcuna
volontà qui dentro, chiaro?! - mi sbraitò in faccia,
sputacchiando nella foga della rabbia - E se io voglio che tu sia una
puttana, tu lo sei e basta, senza fiatare!! Assottigliai lo
sguardo un istante prima di mollargli fulminea un tale schiaffo da
allontanarlo da me, voltandogli la faccia con uno schiocco sordo: nei
cinque anni passati in quell'infernale locanda avevo avuto tutto il
tempo e le occasioni per diventare decisamente forte, specialmente
sotto l'aspetto fisico, e parecchi uomini che avevano tentato di
prendermi con la forza erano stati costretti a battere in ritirata
con la coda tra le game, stringendosi doloranti i gioielli di
famiglia, con le labbra sanguinanti o chiazze rosse che pulsavano
dolorose dove li avevano raggiunti i miei ceffoni. - Piantala una
buona volta con queste follie!! - sbottai decisamente seccata,
fissandolo con disprezzo - Sono cinque anni che ogni santo giorno mi
fai questa predica senza ottenere nulla! Quando ti deciderai a
rinunciare e metterti l'anima in pace?! - commentai retorica con un
sospiro rassegnato mentre l'uomo si premeva la mano grassoccia contro
la guancia dolorante, imprecando a denti stretti. - Torna a
lavorare, cagna! - ringhiò lui, ignorando come sempre le mie
parole, cacciandosi la pipa tra i denti e sparendo nel retrobottega,
continuando ad inveire irritato. Scossi il capo mentre tornavo a
dedicarmi alla pulizia del bancone, rassegnata. Gli avventori che
affollavano la locanda non avevano fatto caso a quello scambio di
battute, solo alcuni, nuovi di queste parti e abbastanza sobri per
notarci, avevano allungato incuriositi il collo per osservare la
scena. Oramai le urla assillanti dell'oste contro di me erano
diventate una routine quotidiana tanto quanto le mie risposte non
meno sentite, e tutti, a Tortuga, conoscevano il mio nome. La mia
fama di donna bellissima ma intoccabile mi aveva procurato tanti
favori quante seccature dato che, se da una parte quei lupi affamati
avevano rinunciato al desiderio di far loro una delle donne più
belle che avessero mai visto -così, almeno, mi ero sentita
sempre definire da quei disgraziati- , dall'altra molte teste calde
osavano sfacciatamente tentare là dove tutti gli altri avevano
fallito, sperando di essere i primi “eroi” a conquistare
l'ambita preda. La maggior parte di loro imparava la lezione a suon
di calci e pugni, fortunatamente... Penso fosse il sogno di ogni
donna quello di essere assai bella e spesso le mie “colleghe”
mi dicevano che la mia estrema beltà fosse una benedizione e
che fossi una stupida a non sfruttarla. Si sbagliavano, tutte quante.
Per me la bellezza è sempre stata la mia più grande
maledizione. A causa sua ero costretta ogni giorno a lottare con le
unghie e con i denti per preservare il mio corpo dal desiderio
perverso e profanatorio di ogni uomo che posava gli occhi su di me...
non era affatto bello come si credeva essere costantemente carezzate
da occhi famelici che ti spogliavano avidi con lo sguardo, senza
desiderare altro che le tue curve e la tua virtù, finendo per
considerarti come un succulento pasto: un lauto premio carnale da
sfruttare, goderne e poi gettare via una volta soddisfatto il
desiderio, pavoneggiandosi con gli altri poveri sventurati che non
avevano avuto la loro stessa fortuna. Nonostante fossi nata e
cresciuta a Tortuga e fin da piccola abbia dovuto fare i conti con le
sue realtà, sono sempre stata una ragazza che credeva nel vero
amore. Chiamatemi sciocca, chiamatemi illusa, come tutti mi hanno
sempre definita: eppure non smisi mai, nemmeno per un secondo, di
crederci... ed era proprio per questo motivo che ogni giorno lottavo
contro i desideri esclusivamente carnali di quelle canaglie, trovando
la forza per tenergli testa nelle parole che mio padre mi ripeteva
sempre quando ero bambina e che mi portavo sempre nel cuore: “Sii
come il mare, bambina mia, che ogni volta che si infrange sugli
scogli, trova sempre la forza di riprovarci”, e io seguivo
fedelmente quel dolce augurio. Mai mi rendevo conto di quanto la
mia bellezza fosse una condanna, più di quando mi ritrovavo ad
affrontare uomini così testardi da non arrendersi al primo
rifiuto, ma continuare imperterriti a provarci più e più
volte... e mai uomo, o meglio, ragazzo in questo caso, fu più
insistente ed esasperante di Hector Barbossa. Aveva solo un anno
più di me ed era approdato per la prima volta a Tortuga
sedicenne, tre anni fa. La sua prima visita si prolungò per
un'intera settimana nella quale si era stabilito giornalmente alla
locanda, passando gran parte del tempo ad ubriacarsi e conquistandosi
in pochi giorni la fama di amante capace e assai focoso tra le mie
colleghe. Già dal primo giorno in cui aveva messo piede alla
Sposa Devota mi aveva puntata, mettendosi in testa che la
donna più bella di tutta Tortuga -sì: anche così
mi ero sentita descrivere alle volte, purtroppo- dovesse essere sua.
Aveva cominciato a lusingarmi con le solite smancerie, provando
inizialmente a prendermi con le buone, ma, dati i miei costanti e
freddi rifiuti, aveva cominciato ad usare anche le maniere forti,
specialmente nelle giornate in cui, anche negli anni a seguire, era
più ardito e determinato delle altre volte. Ne usciva sempre
con qualche forte schiaffo sulla guancia, stringendosi il cavallo dei
pantaloni, dolorante, anche se raramente l'avevo sentito lasciarsi
sfuggire un gemito di dolore alle mie botte, limitandosi ad abbozzare
in silenzio. Ogni volta che all'inizio di quei tre anni si
presentava alla locanda e avanzava spedito verso di me, quasi
stentavo a credere che potesse esistere un ragazzo così
incredibilmente testardo. Col passare del tempo, però,
cominciai a rassegnarmi alla sua costante insistenza, senza
sorprendermi più quando si sedeva al bancone con il suo solito
ghigno sfacciato e lo sguardo impertinente. E così fu anche
quella sera: si presentò con il consueto portamento fiero ed
un ghigno a metà tra il trionfante e il malizioso, già
pregustandosi la serata all'insegna di rum e donne che si
prospettava. Portava la solita bandana verde a cingergli i capelli
semi lunghi e mossi che gli lambivano le spalle, lisciandosi
distrattamente i baffi chiari con un dito mentre i suoi occhi azzurri
e penetranti scrutavano l'ampia sala. Notai che il pizzetto che
solitamente portava era stato lasciato un po' crescere in un accenno
di barbetta che gli ricopriva riccioluta il mento. Aveva anche un
cappello nuovo: ampio, di feltro blu scuro con un paio di piume di
fagiano leggermente spelacchiate ad adornargli il copricapo... di
certo l'aveva rubato a qualcuno, dato lo stato palesemente già
usato del cappello. Aveva anche rimediato un gilet di velluto rosso
ed una fusciacca di un giallo acceso che gli cingeva i fianchi,
assicurata ulteriormente dal solito cinturone di cuoio nero al quale
teneva fissate la fedele spada e la lunga pistola. Nonostante il
suo carattere testardo e decisamente aitante da bravo diciannovenne,
si poteva notare una certa raffinatezza nel suo abbigliamento...
peccato che questo gusto raffinato non si riscontrasse anche nel suo
modo di fare. Come al solito sentii i suoi occhi fissarsi su di
me e mi sfuggì un sospiro decisamente seccato: fui tentata di
sgattaiolare via prima che le sue grinfie mi raggiungessero, ma
desistetti dato che ero l'unica in quel turno a servire al bancone e
non avevo voglia di disertare e ricevere le solite botte dall'oste
quella sera. Pur di farmi trovare impegnata, presi un boccale a
caso dalla mensola, prendendo a pulirlo come se nulla fosse,
osservandolo di sottecchi, irritata dalla consapevolezza di quanto mi
attendeva di lì a poco. Il ragazzo ci mise un po' a
raggiungermi, perdendo tempo a salutare doviziosamente ciascuna delle
mie colleghe che l'avevano accerchiato, attendendo con squittii
impazienti ed occhiate invitanti che le labbra del pirata si
posassero sulle loro in un bacio decisamente troppo passionale per
trattarsi di un semplice saluto. Le prime volte avevo sperato che
quei baci distrassero a tal punto Hector, da farlo dimenticare di me,
lasciandosi trascinare su qualche sedia a tirar su la gonna a
qualcuna delle spasimanti presenti. Ma neanche una volta era
capitato...purtroppo. Il ragazzo era uno di quei tipi che sanno bene
chi e cosa vogliono e hanno una determinazione, o testardaggine in
questo caso, tale da mettere in secondo piano tutto il resto. Ed io
avevo avuto la sfortuna di diventare la preda più ambita di
Hector. - Buonasera Loren, mia cara. - mi salutò
mellifluo, sottolineando marcato quel “mia”
mentre, finalmente libero dalle grinfie delle altre donne, si era
lasciato cadere seduto stravaccato sullo sgabello, chinandosi verso
il bancone... era incredibile il suo senso di possesso nei confronti
di cose e persone! - Sempre in forma, vedo! - continuò poi
al mio ostinato silenzio, sogghignando con fare divertito - Stai
tenendo allenata la mano per clienti più fortunati del
sottoscritto, eh! - commentò poi con un ghigno malizioso,
alludendo al mio lavoro di ripulitura del boccale mentre schioccava
le labbra con falso dispiacere. - L'hai assaggiata parecchie
volte anche tu, la mia mano, proprio sulla tua faccia! - replicai
asciutta, degnandolo d'uno sguardo solo in quel momento, arricciando
ironica le labbra mentre agitavo sarcastica la mano incriminata. Lui
l'afferrò fulmineo, approfittandone per tirarmi a sé,
ad un nulla dal suo volto mentre ghignava maggiormente. - Mi
piacerebbe molto provare suddetta mano su altre parti, nei miei
pantaloni... - mi sussurrò sfacciatamente sulle labbra,
investendomi il viso con il suo fiato caldo che già sapeva di
rum. Arricciai irritata il naso mentre appoggiavo il boccale sul
bancone, liberando l'altra mano per potergli dare lesta un bel
ceffone. Ma il ragazzo fu altrettanto veloce, bloccandomi anche
quella. Mi ritrovai così con entrambi i polsi ben stretti da
Hector che ora mi guardava con un ghigno vittorioso, sebbene
continuasse a mantenere uno sguardo decisamente languido. -
Permalosa come sempre, eh, bimba? - domandò poi canzonatorio
sulle mie labbra, soddisfatto di quella situazione e facendomi
arricciare disgustata il naso. Digrignai appena i denti, piccata
per essere stata braccata... oh! Ma non se la sarebbe di certo cavata
con così poco! Gli diedi veloce una forte testata contro la
fronte, cogliendolo di sorpresa quanto bastava per fargli mollare la
presa sui miei polsi, liberandomi le mani ed indietreggiando svelta,
lontana dalla sua portata prima che potesse riacciuffarmi. - E
tu sfacciato come sempre, eh, Heckie? - replicai seccata, ignorando
il dolore pulsante alla testa nel punto che avevo usato per colpirlo:
era un sacrificio che facevo volentieri pur di sfuggirgli. Lui
abbassò la mano che si era tenuto premuta sulla fronte
dolorante, sfoderando il sorriso più strafottente che
conosceva, come a confermare la mia domanda retorica. - Ammettilo
che mi adori proprio per questo: la mia sfacciataggine ti conquista.
- insinuò mellifluo lui, scavalcando agilmente il bancone con
un balzo, rischiando seriamente di urtare il boccale che avevo
poggiato lì sopra. Non feci nemmeno in tempo a sgattaiolare
verso la porta del retrobottega, pronta a disertare il mio turno,
rinunciando ai buoni propositi fatti prima e preferendo le botte
dell'oste alle mani impertinenti del ragazzo, che questo mi aveva già
raggiunto a grandi falcate. Mi spinse con tutto il suo corpo contro
il muro, serrando nuovamente fulmineo le mani sui miei polsi,
bloccandomi. - Vai all'inferno, Hector... - ringhiai esasperata,
divincolandomi sotto la sua stretta; mi teneva però
schiacciata contro la parete con tutta la sua persona e anche
muovermi sotto di lui mi risultava assai difficile. Ghignò
apparentemente divertito dalla mia uscita. Mi alzò le braccia
sopra la testa, in modo da potermi stringere entrambi i polsi con una
sola mano mente l'altra mi afferrava il volto, costringendomi a
guardarlo dritto negli occhi color del mare. Si chinò sul mio
viso ed il suo respiro mi accarezzò le labbra, facendomi
arricciare il naso. - Ma è proprio da lì che vengo,
Loren... - esalò seducente al mio orecchio, strusciando con
fare provocante il corpo contro il mio, premendomi quasi
dolorosamente sulla parete alle mie spalle. - ...Vedi di
tornarci, allora! - sibilai a denti stretti, per nulla impressionata
dalle sue parole, scoccandogli un'occhiata furiosa prima di alzare
fulminea un ginocchio, picchiandolo senza pietà tra le gambe
di Hector, strappandogli una smorfia di dolore. Non appena il
ragazzo staccò le mani dai miei polsi, mi affrettai a
schizzare via, nel retrobottega, sperando che per quella sera ne
avesse avuto abbastanza. Mi credevo oramai fuori pericolo, al
sicuro nella cucina affollata di cuochi e garzoni, quando la porta
alle mie spalle si aprì con un tonfo sordo, segno che era
stata spalancata con un calcio, mostrando un Hector ghignante e per
nulla vinto dai colpi subiti. Sgranai gli occhi, sorpresa da tanta
tenacia: fino ad allora non aveva mai osato seguirmi nel
retrobottega, limitandosi ad attendermi fuori, pronto a tornare alla
carica non appena avesi rimesso piede nella sala. Quella sera
doveva essere più esaltato del solito, a quanto pareva. -
E' inutile che tenti di continuare a fuggire, Loren! - esclamò
lui sotto lo sguardo attonito ed incuriosito dei vari inservienti -
Perché non ti arrendi al fascino della piacevole perdizione e
non lasci che il più abile tra gli amanti ti illustri ed
insegni i peccaminosi piaceri del campo? - domandò avanzando
imperterrito verso di me, con fare ammaliante mentre gli occhi si
posavano famelici sulla scollatura del mio vestito. - E questo
“più abile tra gli amanti” saresti tu? - domandai
ironica, indietreggiando di qualche passo prima di schioccare seccata
le labbra, voltandomi a dargli le spalle e allontanandomi veloce,
facendomi agilmente strada tra le botti, le casse ed i sacchi che
ingombravano la cucina. - Ovviamente, piccola! - esclamò
lui con un sorriso sardonico, gonfiando appena il petto come a darsi
delle arie mentre mi seguiva lesto, saltando svelto gli ostacoli e
pestando pesantemente gli eleganti stivali in pelle nera, seguendomi
testardo. - Io non ne sarei affatto sicura, se fossi in te. -
replicai fredda,cominciando davvero a perdere la pazienza nel notare
che Hector non demordeva, facendosi largo a spallate tra i garzoni
pur di non perdere terreno. Affrettai il passo, ritrovandomi
quasi a correre verso la piccola porta di legno mezza sgangherata che
conduceva sul retro; ma prima che la mia mano potesse chiudersi sul
freddo e rassicurante metallo della maniglia, il ragazzo mi afferrò
lesto le spalle, voltandomi di scatto verso di lui e spingendomi con
la schiena contro il legno della porta che scricchiolò appena
sotto il mio corpo. - Puoi sempre constatare tu stessa sul piano
pratico...- m'invitò in un sussurro sulle mie labbra,
invitante, ritrovandomelo per l'ennesima volta ad un nulla dal mio
volto... tanto vicino da poter sentire i riccioli della sua barbetta
solleticarmi il mento. - No, grazie, preferisco tenermi le mie
idee senza controllare di persona. - replicai irritata, premendo
maggiormente il capo contro la porta dietro di me nel tentativo di
allontanarmi da lui. Prima che avesse il tempo di commentare
ulteriormente, allungai fulminea la mano alla maniglia alle mie
spalle, spalancando di colpo la porta. Hector, che si teneva poggiato
con l'avambraccio contro di essa, improvvisamente sbilanciato,
capitombolò in avanti, finendo faccia a terra mentre io ero
sgusciata prontamente di lato in modo da sottrarmi alla traiettoria
di caduta del corpo del ragazzo. - Vedi ora di tornartene dalle
tue spasimanti, prima che qualche altro “abile amante”
te le occupi! - gli suggerii ironica, osservandolo mentre si rialzava
imprecando tra i denti. Feci per chiudergli la porta in faccia,
ma mi bloccai di colpo quando un suono simile ad un rauco rantolo mi
giunse alle orecchie. -Che aspettino pure: io ho altro che bramo
da conquistare. - replicò lui osservandomi intensamente con
gli occhi che brillavano di un desiderio quasi ossessivo, dettato
dalla caparbia testardaggine di voler ottenere ciò che si era
convinto dovesse essere suo. A quanto pareva non aveva sentito quel
rantolo. Mi sporsi di lato, aggrottando preoccupata le
sopracciglia: avevo cominciato a distinguere un respiro rauco,
raschiato, come qualcuno che stesse soffocando. Scattai svelta
avanti, ignorando completamente Hector e dirigendomi verso la pila di
casse, illuminata dalla fioca luce delle lampade ad olio appese al
muro scrostato del retro, dietro la quale sembrava provenire quel
lamento. Il ragazzo mi seguì con lo sguardo, sorpreso e
forse quasi offeso dalla mia totale mancanza di attenzione alla sua
ultima uscita, tanto che tentò di fermarmi afferrandomi con
una mano che io però scacciai con un gesto sbrigativo. -
Hector, fermo un attimo: mi pare ci sia qualcuno che si lamenta lì
dietro. - borbottai mentre mi avvicinavo cauta alle casse. Una
volta arrivata a distanza di pochi passi, il mio sguardo fu catturato
da un bagliore rossastro sul suolo umido e sudicio. Mi fermai a
guardare meglio ed il mio cuore ebbe un sussulto: sulla terra fangosa
si allargava lentamente una chiazza vermiglia di sangue caldo,
facendo capolino da dietro le casse. - Ai poveri diavoli che ti
corrono dietro non li degni nemmeno d'uno sguardo... ma a quelli
feriti ti precipiti subito a soccorrerli, eh? - commentò con
fare di scherno Hector alle mie spalle, per nulla toccato dalla
notizia, probabilmente fin troppo avvezzo a situazioni simili in
combattimento – Va a finire che dovrò squarciarmi il
ventre per poter ricevere un po' delle tue “cure amorevoli”.
- sogghignò poi mentre sentivo il tonfo ovattato delle suole
dei suoi stivali avvicinarsi dietro di me. Non badai minimamente
alle sue parole, decidendomi finalmente ad aggirare le casse.
Sussultai vivamente quando vidi un corpo riverso a terra in un lago
di sangue: aveva due profonde ferite ai fianchi che avevano inzuppato
interamente la camicia e il gilet di cuoio del liquido vermiglio. Era
disteso supino sulla terra molle e quando mi vide arrivare fece
saettare il debole sguardo su di me, muovendo freneticamente le
labbra come se cercasse di dire qualcosa. Uno spettacolo simile non
era affatto raro a Tortuga e ne avevo visti conciati peggio, ma non
potevo evitare di provare compassione per quegli sventurati che, per
debiti, per ripicca o per sbaglio, si erano guadagnati una pallottola
o uno squarcio sul corpo. Mi inginocchia accanto a lui, senza
curarmi del sangue che impregnò la stoffa della mia lunga
gonna e la mia mano quando andai a scostargli delicata il tessuto
della camicia per constatare l'entità dei danni mentre gli
sollevavo la testa sulle mie ginocchia. Notai che, a giudicare
dai suoi capelli radi e dalla barba parecchio brizzolati e la rete di
rughe che gli correva lungo il volto, doveva aver passato da un po'
la cinquantina. - ...Gawn...Da...ga...- lo sventurato era
riuscito ad articolare qualche suono comprensibile tra un rantolo e
l'altro, fissandomi con gli occhi vitrei spalancati in un'espressione
di ansia e dolore. Sentii Hector schioccare le labbra con fare di
noncuranza allo stato del ferito. - Non vi agitate, è
meglio se risparmiate il fiato per respirare... - gli suggerii io
osservando preoccupata le ferite; purtroppo non c'era molto da fare:
era stato colpito ad entrambi i fianchi, appena sotto la cassa
toracica con qualche lama decisamente lunga... probabilmente con
qualche misericordia. L'uomo mi afferrò di scatto il
polso, sgranando maggiormente gli occhi, quasi spaventato di non
riuscire a dire quanto voleva. - Da...Daga...Dagawn... - riuscì
ad esalare in un rauco sussurro, con le labbra tremanti per lo sforzo
– Doh...erty...Doherty... Sentii Hector fermarsi di colpo
nella sua passeggiata alle mie spalle ed avvicinarsi frettolosamente,
accigliato. - Cos'è che ha detto? - domandò in un
sussurro al mio orecchio: di colpo aveva perso ogni nota maliziosa
nella voce, facendosi improvvisamente interessato. Mi voltai
appena a guardarlo, lanciandogli un'occhiata interrogativa a tutto
quell'interesse. Dischiusi le labbra, facendo per rispondergli, ma il
moribondo mi precedette, serrando maggiormente la presa già
debole sul mio polso. - Doherty!...Boh...Bonaire!!- gemette in un
rantolo, con tanto slancio che sembrava trattarsi di una questione
vitale - ...Chapman. - con quest'ultimo nome spirò,
lasciandomi di colpo il braccio, rovesciando gli occhi al cielo
mentre la scintilla vitale lo abbandonava. Osservai perplessa il
cadavere che giaceva con la testa ancora poggiata sulle mie
ginocchia. Due di quei nomi mi suonavano familiari, anche se il terzo
non l'avevo mai sentito prima d'ora. Hector, ancora chinato al mio
fianco, si era fatto terribilmente serio, osservando con sguardo
indecifrabile il corpo inerme steso a terra. Poi, senza aggiungere
una parola, si raddrizzò, allontanandosi a grandi falcate
verso la piccola porta del retro, sparendo nuovamente nelle cucine
diretto probabilmente alla sala principale. Gli scoccai
un'occhiata furtiva: non ricordavo dove avevo già sentito quei
nomi, ma se Hector aveva reagito in quel modo, doveva trattarsi di
qualcosa di davvero importante.
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Capitolo 2 *** Dagawn Doherty ***
Cap.
2 Dagawn Doherty
Camminò
a passo svelto, ignorando la calura soffocante che aleggiava nella
cucina, arroventata dal grande braciere e dagli altri fuochi più
piccoli dove venivano arrostite le succulente pietanze per soddisfare
le gole delle canaglie nella stanza accanto. Spalancò la porta
con un calcio senza curarsi di scalfire il legno già malandato
ed ammaccato in diversi punti, facendo nuovamente il suo ingresso
nella sala principale della locanda. Il ragazzo scavalcò poi
agile il bancone, facendo saettare gli occhi magnetici tra la gente
accalcata presso i tavoli. Non appena trovò quanto cercava,
riprese il suo passo spedito fino a fermarsi accanto ad un paio di
giovani uomini intenti a discutere animatamente mentre giocavano a
carte. A giudicare dal colorito rosso acceso delle guance di entrambi
e dal modo brusco ed esasperato con cui si urlavano addosso, agitando
malamente le carte che avevano in mano, non dovevano essere molto
soddisfatti dell'andamento del gioco. - Non lo puoi scartare quel
due di picche!! Non puoi e basta!!- stava sbraitando il più
grande tra i due che doveva avere occhio e croce la stessa età
di Hector, anche se il velo di barba che gli ricopriva la mascella e
la fronte molto alta lo facevano sembrare più vecchio, sebbene
fosse anche basso di statura. - “Non puoi e basta”
non è una giustificazione sufficiente!! - ribatté il
compare: era parecchio più giovane dell'altro, doveva avere
massimo tredici anni, anche se era decisamente alto per la sua età,
tanto da poter passare tranquillamente per un sedicenne – Devi
darmi una buona ragione! Altrimenti fammi fare come più mi
aggrada ed inventiamoci un nuovo gioco a questo punto!! Hector
osservò quella bizzarra coppia con aria quasi rassegnata,
alzando gli occhi al cielo prima di sbattere violentemente una mano
sul tavolo, sotto il naso dei due litiganti, facendoli sussultare
vivamente ed attirando l'attenzione su di sé. - Desolato
d'interrompere una questione di cotale importanza e vitalità,
signori miei...- annunciò con un ghigno, il tono carico
d'ironica costernazione – Ma ho delle squisite notizie che
bollono in pentola da riferire al capitano... Era con voi fino ad un
momento fa: sapete dirmi dove è andato? I due ragazzi lo
osservarono dapprima perplessi, poi di colpo incuriositi dal
menzionamento delle notizie importanti. Si scambiarono un'occhiata,
come ad aiutarsi vicendevolmente a ricordare che fine avesse fatto il
capitano. - E' andato di là! - esclamarono poi all'unisono
con un sorriso deciso, indicando entrambi due direzioni completamente
opposte, facendo inarcare un sopracciglio ad Hector. Il ragazzo
schioccò poi con fare irritato le labbra: non aveva alcuna
voglia di perdere tempo con quei due idioti. Paleso così la sa
impazienza carezzando eloquente il calcio della pistola. Il ragazzo
più grande notò subito quel gesto, al contrario del
compare che stava ancora indicando la direzione richiesta con un
sorriso quasi da ebete dipinto in faccia. - Che diavolo stai
dicendo, Ragetti!? - sbottò con tono di rimprovero, dando un
pugno sul capo biondo del ragazzino – E' andato di là! -
lo corresse indicando insistentemente alla propria sinistra. -
Ahi!! Mi hai fatto male, Pintel! - piagnucolò questo in
risposta, massaggiandosi con aria crucciata il punto sulla testa in
cui era stato colpito, lanciando uno sguardo piccato al suo
aggressore davanti ad un Hector sempre più spazientito. Stava
quasi per sfoderare esasperato la pistola per schiarire una volta per
tutte le idee a quei due imbecilli, che sentì una mano
stringergli amichevolmente una spalla, facendogli voltare di scatto
lo sguardo. - Rogne con i due mastri? - la voce profonda e appena
un po' rauca del nuovo arrivato attirò l'attenzione dei tre
pirati: si trattava di un ragazzo sulla ventina; portava i capelli
corti di un marrone scuro, quasi nero, mossi e scapigliati sul capo,
mentre un paio di baffi e la barba gli conferivano un'aria seria e
matura e due occhi color del ghiaccio svettavano in netto contrasto
con la pelle abbrustolita dal sole e il colore scuro dei capelli.
- Sam... - lo salutò con un ghigno Hector, sollevato dalla
comparsa dell'amico, confidando di ricevere da lui qualche risposta
più esauriente rispetto a quei due disgraziati – Stavo
tentando invano di farmi riferire che fine abbia fatto il capitano;
ne sai qualcosa? - s'informò poi inarcando un sopracciglio
come ad esortare il ragazzo a non fare troppe domande e rispondere
subito. Sam scrutò attentamente Hector e gli occhi gli
scintillarono di curiosità nel comprendere l'urgenza che si
celava dietro quell'atteggiamento pacato. Ghignò e il suo
sguardo guizzò divertito dal compare ad un punto dietro le sue
spalle, probabilmente attirato dalle curve formose di qualche donna.
- Circolano grandi notizie in piazza, eh? - mormorò retorico,
facendogli poi un cenno col capo, indicando un tavolo a qualche fila
di distanza alle loro spalle – E' lì a parlare con
Thomas. - rispose alla domanda di Hector prima di lanciargli
un'occhiata complice, curioso di sapere di cosa si trattasse, ma
pazientando il momento in cui l'amico sarebbe stato più libero
di riferirglielo. Questo si limitò ad un sorriso
enigmatico di circostanza prima di sorpassarlo: aveva fretta di
parlare con il capitano Sterling. Si diresse a grandi falcate verso
il pirata indicatogli da Sam: un grosso omaccione dalle spalle larghe
e forti e la barba folta e rossiccia annodata in diverse trecce alle
estremità, intento a discutere animatamente con un vecchio
stempiato, sorseggiando di tanto in tanto del rum. - Capitano! -
lo chiamò poi una volta raggiunto, senza farsi troppi problemi
ad interrompere la fitta discussione in cui l'uomo era immerso –
Devo parlarvi in privato. - lo informò serio, sebbene
mantenendo un atteggiamento di noncuranza, come se la questione da
riferire era importante, ma nulla di vitale: non voleva destare alcun
sospetto in giro. Sterling si voltò a guardarlo, inarcando
appena un folto sopracciglio, scrutando attentamente il ragazzo come
se stesse valutando se valesse o meno la pena prestargli attenzione.
Ma l'espressione decisa di Hector lo persuase ad abbandonare la
precedente chiacchierata, congedandosi dall'anziano con un cenno del
capo. Si alzò poi dallo sgabello sul quale si era accomodato,
facendo segno al ragazzo di precederlo. Si andarono ad appartare
presso un piccolo tavolo in disparte, in un angolo scuro della
locanda al sicuro da orecchie indiscrete. Lungo il tragitto, Hector
intercettò una delle cameriere intenta a portare tre bottiglie
e altrettanti boccali di rum, distraendola con un veloce ma intenso
bacio mentre si appropriava di una delle suddette bottiglie. La
congedò poi con un colpetto sul fondoschiena, staccandosi da
lei con un ghigno malizioso mentre quella si allontanava ridacchiando
soddisfatta senza essersi accorta del “furto”. Una
volta seduti al tavolo, con il ragazzo che si gustava l'alcolico
bottino con generose sorsate, Sterling si schiarì appena la
voce, osservando ansioso Hector, impaziente di sapere: se quel
ragazzo gli aveva riferito che aveva qualcosa d'importante da dirgli,
era certo che doveva trattarsi di una questione di notevole interesse
e non una stupidaggine qualunque, dato che lo scetticismo del giovane
nei confronti di favolette o nozioni dubbie era noto a tutti. Hector,
però, non aveva fatto una piega a quel palese gesto
d'impazienza da parte del capitano, continuando a degustarsi con
doviziosa accuratezza il forte liquore. - ...Dunque?!- la nota
esasperata nella domanda di Sterling vibrò in tutta la sua
chiarezza nel silenzio ostinato del giovane. Il ragazzo ghignò
mentalmente a quella reazione, concedendosi un'ultima sorsata prima
di staccare le labbra dal collo della bottiglia, schioccandole
soddisfatto con estrema calma, come a tenere ulteriormente sulle
spine l'uomo: adorava fare un po' di scena, creare la giusta
atmosfera in modo tale che il suo pubblico pendesse dalle proprie
labbra. - Pochi minuti fa sono venuto a conoscenza di
un'informazione assai interessante... - cominciò poi con fare
mellifluo, appoggiando i piedi sul tavolo con noncuranza – Vi
dice qualcosa il nome di “Dagawn Doherty”? - domandò
con un ampio ghigno. Sterling si accigliò appena a quel
nome, aggrottando pensieroso la fronte mentre giocherellava con una
delle treccine della sua lunga barba. - ...Quel
Dagawn Doherty? - ripeté il capitano, osservando il ragazzo
sempre più curioso, domandandosi dove volesse andare a
parare. - Quel
Dagawn Doherty, nostromo di quel
Blaze Chapman, sì. - confermò in un ghigno divertito e
quasi saccente Hector, annuendo con fare eloquente. - Diavoli,
Hector, chi è che non lo conosce? - domandò retorico
Sterling, ridacchiando mentre si faceva più attento, facendo
cenno al ragazzo di proseguire nell'esposizione della fatidica
notizia. - ...So dove si trova. - declamò Hector in un
soffio, attaccandosi poi nuovamente alla bottiglia, lasciando in un
silenzio sbigottito il capitano. Questo boccheggiò appena,
esitando quasi in un primo momento a credere a quanto sentito; ma il
fatto che fosse stato proprio Hector a riferirglielo, gli bastava
come garanzia certa della veridicità di quelle parole...
specialmente per il fatto che non gli aveva ancora specificato dove
si
trovava. - ...E dov'è, quindi? - il ghigno eloquente che
si dipinse sulle labbra del ragazzo gli fece subito comprendere che
non era per pure lealtà che l'aveva informato di quella
notizia. - Mi auguro che ci sarà una lauta ricompensa per
il sottoscritto... - commentò con tono mellifluo Hector mentre
i suoi occhi scintillavano avidi e furbi alla luce tremolante delle
candele – Per aver scoperto l'ubicazione... e, ovviamente, per
il grande gesto di devozione nei vostri confronti nel venirvi a
riferire una così lieta notizia, non trovate? - gli fece
notare con una sottile ironia ben leggibile nel suo ghigno sardonico:
voleva il suo tornaconto e non avrebbe cantato senza la promessa del
suo premio. Sterling inarcò le sopracciglia a quell'uscita,
come sorpreso; poi scoppiò in una fragorosa risata, allungando
la grossa mano a batterla divertito sulla spalla del ragazzo. -
Siete una canaglia fino all'osso, Hector! - esclamò
sghignazzando quasi compiaciuto della subdola scaltrezza del giovane
– D'accordo, Barbossa: avete la mia parola d'onore che saprò
lautamente ricompensarvi – gli concesse poi mentre si sistemava
con un sorriso divertito sullo schienale della sedia – E sapete
bene che sono un uomo che mantiene sempre la parola data! Hector
sogghignò soddisfatto, giocherellando con la bottiglia già
semivuota. Si sporse verso il capitano, come a premurarsi
ulteriormente che nessuno potesse udirli. - Si trova sull'isola
di Bonaire. - mormorò poi la risposta tanto agognata
dall'uomo. Il ragazzo gli vide scintillare gli occhi a quella
preziosa notizia, soddisfatto, per poi farsi improvvisamente serio. -
Come siete venuto a conoscenza di quest'informazione? - gli domandò
sottovoce, lanciandosi sguardi furtivi attorno. - Ho le mie
fonti... - si limitò a rispondere laconico il giovane con un
sorriso arrogante prima di attaccarsi ancora una volta alla
bottiglia, scolandosela del tutto. - ...Dobbiamo partire il più
presto possibile: prima che la notizia corra il rischio di
diffondersi. - osservò poi Sterling, sovrappensiero –
...Ma senza dare nell'occhio. Partiremo a mezzanotte, vedete di
informare anche il resto della ciurma con la massima discrezione. -
aggiunse poi scrutando serio il ragazzo. Hector ghignò
sardonico, soddisfatto della notizia, annuendo in risposta alla
raccomandazione del capitano. - Provvedo subito! - gli assicurò
mentre si alzava, abbandonando la bottiglia vuota sul tavolo –
Ci vediamo a mezzanotte al molo. Poi, senza aggiungere altro, se
non un cenno di saluto sfiorandosi l'ampio cappello, il ragazzo si
allontanò a grandi falcate, facendosi largo tra la massa
malferma di pirati perlopiù ubriachi che affollava tutta la
sala. Richiamò poi l'attenzione di Sam con un colpetto dietro
il capo, distraendolo dalle maliziose lusinghe che stava riservando
ad una donna che sembrava aver bevuto decisamente troppo rum per
stare davvero ad ascoltare il ragazzo. - Avvisa tutta la ciurma
che si salpa a mezzanotte: massima discrezione. - gli sussurrò
poi con fare eloquente, palesandogli l'urgenza della faccenda. Sam
arricciò contrariato il naso, spiaciuto di quella notizia che
l'avrebbe portato, almeno momentaneamente, a rinunciare alla dolce
compagnia che aveva abbordato. - Ordini del capitano. - aggiunse
sogghignando Hector come a discolparsi e assicurandosi al tempo
stesso che il compare eseguisse gli ordini. Questi si limitò
ad un grugnito irritato ed un cenno d'assenso, lasciando la donna a
finire di scolarsi il boccale di liquore che teneva tra le mani
pallide. Hector lo osservò allontanarsi con un sorrisetto
soddisfatto, prima di voltarsi con un ampio ghigno malizioso verso la
preda abbandonata da Sam. Questa ricambiò il sorriso con una
risata impastata dall'alcool, buttando subito le braccia al collo del
ragazzo. - Buonasera, Rose... - la salutò lui, seducente,
con un soffio invitante mentre le passava una mano attorno alla vita,
tirandola a sé prima di tuffarsi sulle labbra piene ed esperte
della donna.
*
Il
caos che regnava nella sala non aveva accennato a sfumare nonostante
l'avanzare della notte: solo alcuni uomini erano spariti a
nascondersi nelle camere al piano di sopra o nei vicoli bui e
tortuosi della città con qualche donnina allegra, decidendo di
consumare la notte lontano dalla folla che gremiva la locanda; ma
erano stati subito sostituiti da altri pirati vogliosi di lasciarsi
naufragare nei fiumi di alcool, chiacchiere sguaiate e risse furiose
che le ampie sale delle taverne offrivano loro. L'aria
all'interno della Sposa
era
diventata quasi irrespirabile, viziata dalla costante presenza dei
corpi accaldati e del fumo delle pipe. Ma Sterling, seduto in un
angolo della locanda, immerso nel suo boccale di rum e nei suoi
pensieri, sembrava non curarsene minimamente. Alzò lo sguardo
solo quando sentì dei passi leggeri avvicinarsi presso di lui:
un giovane ragazzo si era preso la libertà di scostare la
sedia, sistemandosi seduto difronte a lui, dall'altro capo del logoro
tavolo. Le folte sopracciglia del capitano si aggrottarono appena
con un misto di curiosità e sorpresa mentre scrutava il volto
del giovane uomo: portava dei piccoli baffi marroni sopra le labbra
piene; il volto era parecchio sporco da quelle che sembravano macchie
di fuliggine e cenere; una bandana vermiglia gli copriva quasi
completamente il capo, lasciando solo intravedere i capelli che
sparivano sotto di essa, ed un ampio cappello di feltro nero,
rialzato da un lato ed adornato di una lunga piuma bianca e vaporosa,
era stato ben calcato sulla testa. - Cosa posso fare per voi,
figliuolo? - domandò poi l'uomo con una certa stizza nel tono
della voce: non aveva affatto voglia di parlare, non dopo quanto gli
aveva appena riferito Hector. Il giovane sogghignò appena,
sistemandosi meglio sullo schienale della sedia, appoggiando i gomiti
sul tavolo e congiungendo le mani sotto il mento con tutta calma.
Fissò intensamente l'uomo con i suoi occhi profondi, facendosi
di colpo estremamente serio. - Desidererei arruolarmi nel vostro
equipaggio, capitano. - gli spiegò poi con una tale decisione
nella voce, che fece capire a Sterling che il ragazzo doveva averci
pensato su da un pezzo. - E per quale motivo avreste deciso ciò?-
molti capitani non si curavano, solitamente, delle motivazioni che
spingevano le varie anime e lasciare tutto per donare il proprio
cuore al mare, purché le braccia su cui contare fossero molte;
ma lui non la pensava allo stesso modo: ci teneva a venire a
conoscenza di quanto induceva ogni individuo ad una così
drastica decisione prima di prenderli a bordo. In quel modo poteva
comprendere quanto un marinaio gli sarebbe stato fedele o meno, se si
sarebbe impegnato attivamente oppure avrebbe sfruttato la presenza a
bordo come passaggio. Non importava se qualcuno mentiva: aveva
imparato a distinguere bene la menzogna dalla verità da molti
anni, in quel campo. Negli occhi del giovane sembrò
passare l'ombra di un sorriso ad una tale domanda, ma rimase
ugualmente serio, fissando ancora più intensamente il volto
del capitano. - Ci sono tanti motivi, signore, per cui mi vorrei
arruolare... - cominciò poi prendendo a lisciarsi
distrattamente i baffetti - ...Ma tutti possono essere riassunti in
una sola parola: libertà. - aggiunse mentre i suoi occhi
scintillavano a quella parola, quasi a riflettere lo splendore di
quell'ideale – Vorrei arruolarmi per poter sfuggire al giogo e
alle catene che questo posto maledetto mi ha stretto addosso,
soffocandomi e schiacciandomi giorno dopo giorno sempre di più.
Voglio liberarmi dal peso opprimente di dipendere da un lavoro che
odio e per il quale vengo sfruttato. Voglio fuggire dal bastone
dell'oste, dagli schiaffi e le risa dei cuochi di questa maledetta
taverna dove sono garzone... Voglio scappare da questa follia, dalla
follia della gente, dalle sfacciate urla delle prostitute e quelle
ubriache degli uomini. Ho bisogno di sentirmi libero: libero di
scegliere della mia vita; libero di andare dove voglio, di fare
quello che davvero voglio senza più costrizioni, né
punizioni. Voglio sentire il viso abbrustolirsi al sole e la spuma
dell'onda inzupparmi i vestiti; voglio sentire le grida del capitano
che detta manovre e le mie mani scottare dopo aver tirato le cime
delle vele; voglio sentire il brivido della paura durante una
tempesta mentre la nave s'impenna pericolosamente prima di tuffarsi
nel ruggito delle onde o la scarica di adrenalina al boato assordante
dei cannoni che prelude allo scontro. Voglio sentire e provate tutto
questo sulla mia pelle: a volte sarà difficile, altre doloroso
e stancante, ma almeno saprò di essere vivo... di essere
libero. - declamò con enfasi mentre le guance gli
s'imporporavano appena nella foga della spiegazione, nell'ammissione
di quel desiderio incontenibile che gli invadeva tutto il corpo,
spingendolo a compiere quel “grande passo”. Sterling
ascoltò con attenzione mentre si rigirava il boccale vuoto tra
le forti e nodose mani: il ragazzo sembrava proprio sapere il fatto
suo e la determinazione ferrea che gli leggeva negli occhi erano la
conferma della sincerità di tali idee, di quella voglia
disperata di libertà. Sogghignò con fare soddisfatto,
battendo il palmo della mano sul tavolo come a conferma del proprio
compiacimento a quel discorso. - Mi piace il vostro spirito,
figliolo!- esclamò puntandogli contro un dito, ridacchiando –
A quanto avete detto eravate garzone in questa locanda, giusto? -
chiese conferma, prendendo a giocherellare con una delle treccine
della folta barba. - Sissignore! - esclamò prontamente il
ragazzo con un sorriso speranzoso, attendendo trepidante il verdetto
finale del capitano. - Quindi mi auguro che voi sappiate cucinare
bene... - continuò poi Sterling, ridendo divertito nel leggere
l'impazienza sul volto del giovane. - Piatti gustosi come i miei
non li avete mangiati, né li mangerete mai! - gli assicurò
in risposta questo con un ghigno divertito, di chi la sa lunga. -
Lo spero bene, ragazzo! Perché da ora in avanti siete il cuoco
ufficiale della Nemesis! - lo informò allegro questo: quel
ragazzo capitava a fagiolo, dato che avevano giusto bisogno di
qualcuno che s'intendesse di cucina e che non rischiasse di
avvelenare l'intero equipaggio come era quasi capitato con il
precedente “cuoco” - Salpiamo a mezzanotte in punto:
vedete di farvi trovare al molo, che abbiamo fretta di partire. -
aggiunse poi, facendosi estremamente serio. Al giovane gli si
illuminarono gli occhi alla conferma dell'arruolamento, ed un
inevitabile sorriso di gratitudine gli si dipinse sulle labbra. Annuì
poi serio alla raccomandazione di Sterling. - Aye aye, capitano,
non temete: ci sarò. - gli promise con un sorriso deciso prima
di congedarsi con un gesto di saluto, toccandosi il cappello –
A dopo, signore. - Aspettate! Non mi avete detto il vostro nome!
- gli ricordò Sterling, fermandolo prima che venisse
inghiottito dalla calca. - Chris Ramirez. -rispose questo con un
sorriso prima di voltarsi nuovamente e sparire tra la folla. Se il
capitano avesse guardato meglio, forse avrebbe notato i fianchi
leggermente troppo larghi del normale, la camminata con un vago
accenno di sinuosità e il leggero rigonfiamento al petto... a
quanto pareva non aveva notato il mio sorriso di scherno nel
constatare le mie doti di attrice mentre mi allontanavo, facendomi
largo tra l'orda di pirati che affollavano la sala.
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Capitolo 3 *** Alleanze ***
Cap.
3 Alleanze
Mi
tastai distrattamente i baffi sopra le labbra, assicurandomi in quel
gesto veloce che fossero ancora ben attaccati al loro posto. L'aria
pungente della notte m'investì il viso in una dolce carezza,
regalando un po' di sollievo al mio corpo accaldato finalmente libero
dall'atmosfera opprimente della taverna. Un sorriso trionfante mi
distese inevitabilmente le labbra mentre mi voltavo a guardare
l'ingresso di quell'infernale locanda, chiuso per sempre alle mie
spalle tanto letteralmente, quanto effettivamente nella mia vita.
Dopo cinque, lunghissimi anni ero riuscita a trovare l'occasione per
abbandonare quell'orribile posto che mi aveva schiacciata, umiliata e
sfruttata, punendomi ogni qual volta che volevo far valere i miei
ideali, la mia opinione. Mi passai istintivamente una mano dietro la
schiena, in corrispondenza delle sottili cicatrici che la
tempestavano, memorie tangibili delle percosse dell'oste eseguite a
suon di bastone e bottiglie. Quasi una volta alla settimana ero
costretta a chiudermi nella mia camera, passando ore ad estrarre le
schegge di vetro dai tagli, lasciati sulla mia pelle come castigo dei
miei continui rifiuti a prostituirmi. Scossi appena il capo, come
a scacciare quei dolorosi ricordi: era tutto finito. Per quanto la
mia scelta mi avesse messo in una difficoltà e in un pericolo
forse anche maggiori, introducendomi in una ciurma di pirati sotto
mentite spoglie maschili, preferivo di gran lunga correre il pericolo
di un destino peggiore di quello della semplice sgualdrina,
rischiando di morire, sì, ma libera, piuttosto che marcire
lentamente, a poco a poco, costretta a schiantarmi ogni giorno
dolorosamente contro le sbarre di ferro della gabbia impostami
dall'oste. Spesso in quegli anni mi ero chiesta cosa fare, dove
poter fuggire per trovare la libertà a cui anelava tutto il
mio corpo, stanco dei continui soprusi e di quella vita piatta e
monotona. Mi ero detta che avrei potuto seguire le orme di mio padre
e cercare di entrare nell'ambito commerciale; oppure andare lontano,
in qualche altra isola caraibica e sperare di trovarvi un trattamento
più umano rispetto alla mia città natia. Ma sapevo bene
che nulla di tutto questo mi avrebbe mai dato ciò che cercavo
davvero. Ero cresciuta guardando ogni giorno quelle maestose navi,
montate da orde di anime scavezzacollo, attraccare e ripartire dalla
baia ed ogni qual volta il mio sguardo si fermava ad accarezzare il
legno intagliato dello scafo e la stoffa ruvida delle vele, sentivo
un brivido d'emozione solleticarmi le membra, infiammandole di un
desiderio incontenibile di salire anch'io a bordo di una di quelle
signore del mare che beccheggiavano cigolanti ed invitanti ai moli
del porto. Ero stata abituata sin da piccola a fermarmi ad ascoltare
incantata le incredibili storie che le bocche salmastre dei vecchi
lupi di mare declamavano con estrema enfasi, catturando subito
l'attenzione di una giovane come me, facendomi scintillare ammaliata
gli occhi a quei racconti che narravano di pericoli, misteri, tesori
inestimabili, situazioni mozzafiato tra la vita e la morte che come
amanti esperti mi sussurravano allettanti alle mie orecchie,
seducendomi al loro irresistibile richiamo di libertà ed
avventura, portandomi a sognare ed anelare ogni giorno di più
quella vita. Non avevo dubbi che l'unica esistenza che desiderassi
davvero e che mi avrebbe potuto dare ciò che cercavo era
quella da pirata. Non ero però una sciocca: ero conscia di
tutte le difficoltà e i rischi che comportavano una scelta
simile. Sapevo del pericolo delle bonacce che potevano durare anche
settimane, lasciando morire come mosche sui ponti delle navi gli
sventurati marinai che v'incappavano; delle tempeste capaci
d'inghiottire nei cavalloni ruggenti ciurme intere; delle malattie
che circolavano come viscide serpi nel ventre dei velieri decimando
gli equipaggi; dei combattimenti che, nel migliore dei casi, finivano
con qualche morto e altrettanti feriti, inondando il ponte e la
batteria di sangue; della ciurma stessa che tra scommesse,
superstizioni e ripicche rischiava di piantarti qualche pugnale nella
schiena o buttarti a mare quando il capitano e gli ufficiali non
guardavano. Ero ben consapevole di tutti questi rischi e ancor di
più lo ero del codice dei pirati, secondo il quale, se un
membro dell'equipaggio portava a bordo una donna travestita da uomo,
questo sarebbe stato punito con la morte... tecnicamente nessuno mi
stava portando segretamente a bordo, il che faceva di me l'unica
colpevole di tale azione, accaparrandomi così tutto il diritto
di subire io stessa la condanna in vigore. Ma non ero stata nemmeno
così stupida da non cercare di limitare almeno in parte questo
rischio: avevo avuto modo di conoscere personalmente il capitano
Sterling, chiacchierandoci di tanto in tanto quando Hector decideva
finalmente di lasciarmi in pace dopo i suoi soliti assilli; era un
uomo con un senso d'umanità abbastanza sviluppato nella media
piratesca ed ero certa che, anche se mi avesse scoperta, non sarebbe
ricorso ad un gesto così drastico per punirmi togliendomi
addirittura la vita. Immersa così nei miei pensieri mi ero
incamminata verso il porto, gustandomi la piacevole e trionfante
sensazione di allontanarmi una volta per tutte da quell'infernale
locanda, pestando fiera e soddisfatta gli stivali nel fango molle e
umido delle strade tortuose, ancora affollate di gente nonostante
l'ora tarda. Mi feci largo tra la folla, evitando pratica ed agile
gli spari e le bottiglie che volavano nell'aria afosa, lanciate dagli
esaltati di turno e accompagnate da urla e risate. In mezzo a quel
baccano si poteva anche udire il suono strimpellante di qualche
chitarra o il miagolio di qualche violino. Finalmente superai
quell'ammasso di persone, arrivando al porto che appariva calmo e
deserto a confronto del centro cittadino: la stragrande maggioranza
dei pirati aveva accuratamente abbandonato le rispettive navi per
gustarsi del sano divertimento dopo le settimane trascorse in mare,
lasciando così il molo popolato esclusivamente dagli uomini
addetti ai turni di guardia sui ponti dei vari legni. Solo alcuni
gruppi di uomini intenti a caricare e stivare le provviste facevano
eccezione, rompendo quel silenzio placido con il cozzare di casse ed
il rotolare dei barili. Avanzai decisa lungo il molo, fermandomi
davanti ad un galeone sul quale svettava a caratteri serpeggianti il
nome “Nemesis”.
La conoscevo già bene quella nave: per quanto non vi fossi mai
salita a bordo, avevo avuto modo di studiarla diverse volte
dall'esterno. Non era di certo tra le più belle che avevano
sfilato in quel porto, anzi, sembrava quasi un mezzo relitto, dove i
pezzi di ricambio fissati alla meno peggio spiccavano rispetto alle
parti originali palesemente più malandate. Nonostante
quell'aspetto “rattoppato”, aveva l'aria di una nave che
sapeva il fatto suo, come un'anziana saggia, non più forte
come un tempo, forse, ma con tutta l'esperienza necessaria per tirare
ancora egregiamente avanti. Alcuni pirati stavano già
caricando a bordo i rifornimenti: doveva mancare oramai veramente
poco al momento della partenza. Tutta quella fretta di levare
l'ancora non voleva dire che una sola cosa: Hector doveva aver
riferito al capitano la notizia appresa dal moribondo. In un primo
momento non ero riuscita a ricordare dove avessi già sentito
due di quei nomi, ma, mentre ero intenta a lavarmi via il sangue del
morto dalle mani, mi era tornato in mente: si trattava di una
leggenda che circolava come tante altre tra i pirati. Si narrava
che Blaze Chapman, un famoso capitano pirata assetato di sangue e
denaro, avesse assaltato per anni le ricche navi da trasporto
spagnole, prendendo sempre di mira solo quelle con il ventre rigonfio
e carico dell'oro e dell'argento proveniente dalle miniere delle
colonie americane. Aveva così nel tempo accumulato un
patrimonio quasi inestimabile. Quando poi un giorno fu ferito
mortalmente in un combattimento, si raccontava che avesse tenuto duro
alla dipartita fino al momento in cui non si fu rifugiato, insieme a
tutta la sua ciurma, nel covo dove aveva nascosto tutti i suoi lauti
bottini. Qui, prima di spirare, aveva fatto esplodere una granata
all'entrata del nascondiglio in modo da renderlo introvabile e
condannando tutto il suo equipaggio a morire rinchiuso con lui
all'interno di esso, esalando l'ultimo respiro su un tappeto d'oro
scintillante. In questa maniera Chapman si era voluto assicurare che
il segreto dell'ubicazione del tesoro morisse insieme a loro,
impedendo così che qualcuno potesse approfittarsene dopo la
sua scomparsa. La leggenda voleva però che un solo membro
dell'equipaggio fosse riuscito a sfuggire a quel tragico destino: il
suo nostromo, Dagawn Doherty. Questi sarebbe poi fuggito nei meandri
dei Caraibi, dove nessuno potesse trovarlo e sfruttarlo per
raggiungere il famoso tesoro del suo capitano. Questa era la storia
così come mi era stata raccontata e nessuno era mai riuscito a
scoprire dove si trovasse il nostromo o il bottino... fino a quel
momento. Bonaire doveva trattarsi del luogo in cui si trovava
Doherty, a giudicare dal numero di volte che il moribondo aveva
ripetuto quel nome. Dei passi in avvicinamento mi destarono dalle
mie riflessioni, portandomi a rivolgere lo sguardo verso il gruppo di
pirati che avanzava lungo il molo. In testa alla combriccola vi era
Sterling, il volto teso e serio che mi rendeva chiaro fino a che
punto avesse preso sul serio la questione e ci tenesse ad alzare i
tacchi da lì il prima possibile. Dietro lo seguivano due
figure a me note: un giovane ragazzetto alto e biondo ed un ragazzo
basso e tarchiato, rispettivamente Ragetti e Pintel. Avevo avuto modo
di parlarci qualche volta, specialmente con il più giovane
che, data la sua età e il carattere più mite rispetto
agli altri, aveva imparato a guardarmi con occhi quasi rispettosi e
non più impertinenti, specialmente dopo le mie forti
strigliate quando aveva provato ad imitare Pintel nei suoi modi rudi
e maliziosi. Alle loro spalle scorsi anche Sam; un paio di volte
aveva tentato di sedurmi anche lui ma, a differenza del suo amico
testardo, gli erano bastati due calci ben assestati tra le gambe per
farlo desistere dai suoi intenti. Hector camminava al suo fianco,
parlottando con il compare sottovoce con aria distaccata. - Animo
uomini!! Levate l'ancora, issate tutte le vele! Veloci! - si mise ad
urlare ordini Sterling, una volta giunto accanto alla nave, mentre la
ciurma scattava svelta ai propri posti. Feci per voltarmi,
sbrigandomi ad avviarmi su per la passerella quando una stretta forte
si serrò sulla mia spalla, fermandomi. - Ehi, ragazzo, dove
credi di andare? - la voce seccata e al tempo stesso incuriosita di
Sam mi fece girare verso di lui. Stavo per rispondergli ma il
capitano mi precedette. - Lascialo stare, Sam: è il nuovo
cuoco di bordo. - gli spiegò ridacchiando, facendogli cenno di
lasciarmi. Il giovane osservò prima l'uomo poi me, con un
sorrisetto soddisfatto, staccando la mano dalla mia spalla. - Oh,
ma davvero? Mi auguro che questo voglia dire pasti commestibili per
tutti, allora! - commentò con fare compiaciuto mentre sentivo
gli occhi di Hector, accanto a lui, studiarmi attentamente. - Vi
assicuro che non rimarrete affatto delusi dalla mia cucina! -
esclamai con decisione, il tono privo di alcun dubbio, sforzandomi di
ricorrere al timbro di voce più maschile di cui ero capace. -
Trovare un buon cuoco, di questi tempi, è come trovare un
tesoro... - commentò improvvisamente una voce ruvida e
profonda alle nostre spalle. Ci voltammo tutti verso i nuovi
arrivati, interdetti da quell'intromissione. Due uomini sulla
trentina d'anni stavano ritti sul molo, fermi a fissarci con un
ghigno divertito sulle labbra: a giudicare dai capelli corti e
spettinati di un rosso acceso, visibili sotto gli sfarzosi cappelli,
e dalla spruzzata ben evidente di lentiggini sugli zigomi, sembrava
trattarsi di irlandesi. Avevano la corporatura massiccia e muscolosa
ed i lineamenti molto simili tra loro... a quanto pareva dovevano
essere parenti. Notai Sterling e gli altri squadrare con fare
sospettoso e minaccioso i due nuovi arrivati, mentre Hector si era
limitato ad inarcare appena un sopracciglio a quell'apparizione
inaspettata, mantenendo per il resto la solita espressione fredda e
distaccata. - A proposito di tesori... - fece poi l'altro uomo,
riservando un sorriso mellifluo al capitano – Ci è
giunta voce che voi ne siete alla ricerca di uno... - insinuò
mentre tutta la ciurma presente si voltava all'unisono a fissare
truce Ragetti, sospettando che fosse stato lui, data la sua ben nota
sbadataggine, a spifferare involontariamente tutto. L'incriminato
sussultò, colpito quasi fisicamente da quegli sguardi carichi
di rimprovero, facendosi piccolo piccolo e mettendosi sulla
difensiva. - Perché guardate me?! Io non c'entro nulla... -
piagnucolò, guaendo come un cane bastonato. - Chi siete
voi? - domandò il capitano, ignorando la protesta di Ragetti,
squadrando storto di due nuovi arrivati così come il resto dei
suoi uomini. - Capitan Belock e George O'Ryan per servirvi! -
rispose quello più energumeno tra i due, indicando prima sé
e poi il compare. Il cognome in comune confermava la mia
supposizione sul loro legame di parentela e, data la grande
somiglianza, dovevano essere fratelli. - ...Mai sentiti. -
s'intromise Hector con fare di scherno ed un ghigno sarcastico,
osservandoli distaccato, come se quella notizia non lo avesse
impressionato minimamente. I due gli scoccarono un'occhiata di
sbieco, arricciando irritati il naso avendo colto la frecciatina. -
Invece noi abbiamo ben sentito che voi siete alla ricerca del tesoro
di Chapman. - lo informò con un sorrisetto divertito Belock,
soddisfatto nel veder sparire l'espressione canzonatoria dal volto
del ragazzo a quelle parole. - E che siete venuti a conoscenza di
un'informazione molto importante, nevvero? - domandò poi
retorico George, squadrando tutti i presenti con fare ironico. Vidi
Sterling irrigidirsi a quell'uscita, lanciandosi fulmineo un'occhiata
attorno come a controllare che non ci fossero altre orecchie
indiscrete nei paraggi; ma le uniche anime presenti erano le nostre
ed il resto del molo era deserto, avvolto in un quieto silenzio rotto
solamente dal cigolio delle navi ancorate che dondolavano al ritmo
delle onde. Avanzò di un paio di passi verso i due uomini,
scrutandoli intensamente. - Cosa volete da noi? - domandò
in un sibilo che aveva un ché di minaccioso e rassegnato al
medesimo tempo: aveva capito chiaramente a cosa miravano. I due
inarcarono con falsa sorpresa le sopracciglia, lanciandosi
un'occhiata con fare esageratamente sorpreso, manifestando così
tutta l'ironia e lo scherno che si celavano dietro quel gesto. -
Unirvi a voi, ovviamente! - esclamò logico Belock, allargando
appena le braccia a sottolineare l'evidenza della risposta. - Per
una proficua ricerca che, di certo, in tre compiremo assai meglio,
non trovate? - gli fece poi osservare retorico l'altro fratello, le
labbra inarcate in un sogghigno irritante. Avevano la classica
espressione strafottente di chi sa di avere il coltello dalla parte
del manico... e Sterling ne era ben conscio. Li fissò
intensamente, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro dei
capitani: era certo che, se anche avesse solo provato a rifiutare,
quei due gli avrebbero strappato a forza l'informazione che cercavano
a suon di minacce o peggio. - Avanti, Capitan Sterling... Non
vorrete che la notizia giunga alle orecchie di tutta Tortuga ancor
prima che salpiate, no? - lo spronò a rispondere con fare
lezioso George, sorridendo eloquente: se gli altri pirati che
bazzicavano a Tortuga, non meno avidi di succulenti bottini, fossero
venuti a conoscenza di quel fatto, a centinaia gli avrebbero dato la
caccia fino in capo al mondo pur di ottenere la collocazione del
vecchio nostromo di Chapman. I pirati di Sterling lanciarono
un'occhiata significativa al loro capitano: adesso avevano davvero
fretta di salpare, ed era meglio che l'uomo prendesse la giusta
decisione per evitare situazioni spiacevoli come quella appena
menzionata dall'irlandese. Il capitano esitò un ultimo
istante sotto lo sguardo attento e freddo di Hector, poi annuì
appena, rassegnato alle minacce dei due fratelli: non aveva altra
scelta. - E sia... seguirete la nostra nave, stando dietro la
nostra rotta. - concesse infine con lo sguardo duro e frustrato di
chi è stato appena costretto a sottomettersi – Ma il
luogo rimarrà per voi un mistero finché non vi
approderemo. - aggiunse poi fissandoli intensamente, ora a testa alta
– Prendere o lasciare. I due fratelli si scambiarono
un'occhiata, come a consultarsi prima di annuire. - D'accordo, vi
seguiremo fino a destinazione. - concesse Belock, allungando una mano
in direzione di Sterling. Questo la strinse, ripetendo poi lo
stesso gesto con George, sancendo così il patto dall'alleanza
con i due irlandesi. Un ghigno discretamente soddisfatto distese le
labbra dei due fratelli una volta concluso l'affare, mentre Sterling
e i suoi li squadravano con aria palesemente risentita. -Le
nostre navi sono la Dreadful
e la
Ramisham,
vi seguiremo non appena avrete raggiunto il largo della baia. - lo
informò poi George, dopodiché, senza nemmeno aspettare
un cenno d'assenso da parte del capitano, i due si toccarono gli ampi
cappelli in segno di saluto e si dileguarono, silenziosi così
come erano apparsi, tra la folla di navi ancorate ai moli. Nonostante
la scomparsa dei due fratelli, l'atmosfera non aveva perso poi molta
della sua tensione che era aleggiata durante il negoziato dei tre
capitani: nessuno dei presenti era contento della piega che avevano
preso gli eventi, specialmente per il fatto che tutti, me compresa,
sapevano fin troppo bene che non ci si poteva mai fidare di
un'alleanza con i pirati.
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