La bellezza delle cose

di Charlotte Doyle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e Capitolo 1 - Neville ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Ron ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ginny ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Hermione ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Harry ***
Capitolo 6: *** Speciale I - Cho ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Ron ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Ginny ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Neville ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Harry ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Ron ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Ginny ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Ron ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Harry ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Neville ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Hermione ***
Capitolo 17: *** Speciale Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo e Capitolo 1 - Neville ***


Attenzione! Questa fanfiction è stata scritta prima dell'uscita di Harry Potter e l'Ordine della Fenice, dunque non troverete Luna, la Umbridge o Tonks. Sirius è ancora vivo ecc. ecc.
Ho deciso di non lasciarla incompiuta qui su EFP, e quindi eccomi qui a pubblicarla. Cosa è cambiato? Ho eliminato gli stacchetti con protagonisti i Serpeverde, che comunque potete ancora leggere nella versione originale. Grazie, ChaDo.

Prologo


[Dove Charlotte Doyle comincia una storia…]



È una serata fresca di quasi-estate, qui, nella Sala Comune di Serpeverde.

Nonostante non sia un giorno come un altro, tutti sembrano presi come sempre dalle loro occupazioni quotidiane: c’è chi finisce i compiti, sì, ma anche chi gioca a carte e a scacchi, chi fa riunioni di Alta Portineria e chi non fa assolutamente niente.

Io, per quanto mi riguarda, sono tutta presa a scrivere nel mio bellissimo quaderno nuovo, e appena avrò finito mi butterò nella lettura della mia ultima gemma, un altro di quegli allegri mattoncini per cui vengo tanto criticata. Non vedo l’ora.

Finisco di scrivere nel quaderno, poi leggo, e poi-

Mai parlare troppo presto.

Chissà perché, mi sento osservata. Mi guardò intorno. Sembra tutto normale, dunque torno a scrivere nel mio quaderno. Ho tante cose da fare, sapete.

Poi mi giunge una voce scocciata, una voce inconfondibile qui giù a Serpeverde, che non può essere altro quella di Franz Zabini, una mia allegra compagna di classe a cui ogni tanto prendono crisi isteriche. Ogni tanto è dir poco, ma i motivi principali sono tre: la noia, la fame, e Nathan Doyle.

Nathan Doyle è mio cugino, ed è pazzamente innamorato di Franz, ma purtroppo per lui lei lo odia. Neanche Fuu Marie riuscirà a modificare ciò. Franz è assolutamente irremovibile.

E adesso, tra l’altro, sta avendo un’altra delle sue crisi isteriche.

- Ah, che brutto! Che noia! Facciamo qualcosa!

- Potresti disegnare — dice calma Dorothy Jane, alzando gli occhi dai suoi esercizi di matematica. Dorothy Jane è una ragazza fissata con le materie scientifiche babbane.

- Potresti buttarti a fiume — fa, assumendo lo stesso tono di Dorothy Jane, Sorensen McBarris, un tipo alquanto scemo. La risposta a questa uscita arriva presto e arriva da Ray Grossman, che è un altro mio compagno che in stazza potrebbe far concorrenza agli scagnozzi di Malfoy.

- Macchè! Qua di fiumi non ce n’è!

Sorrido. I miei compagni stasera stanno proprio fuori. Quasi più delle altre sere. In fondo, stasera non è una giornata normale.

Sento da un’altra parte le lamentele di Queenie verso Blaise Zabini, il fratello di Franz.

- Insomma, Blaise, non capisci? Io ci sto male, se lo vedo con un’altra…

Blaise è un tipo che fa le cose molto semplici, e soprattutto, molto divertenti. Dà ai nervi, certe volte.

- Queenie, ricorda che non ti ha mica sposato… non state neanche insieme!

Ma i problemi sentimentali di Queenie non mi interessano. Meglio leggere.

Mentre penso questo, però, giunge Fuu Marie Black, in preda all’esasperazione, e mi toglie il libro di mano. Sto per esclamare qualcosa, in un misto tra sorpresa e disappunto, ma lei è più veloce di me.

- Charley, toglimi dalle scatole tuo cugino… digli che ha speranze con Francine Zabini!

Sospiro.

- Ma che speranze, se lei non fa altro che chiamarlo “piattola”…

- Ti prego, non ce la faccio più!

- E che ti faccio?

Nathan si fionda addosso a noi.

- Cuginetta…

- Niente da fare! — esclamo — Fuu, ridammi il mio libro, non voglio essere interrotta stasera!

Ma Fuu Marie non accenna a volermi restituire il mio amato mattoncino.

- Fuu!

- Dai, Charley, fai qualcosa…

- Non posso fare niente! Voglio leggere in santa pace!

Cerco di afferrare il volume dalle mani della mia amica, ma come al solito sono troppo bassa. Sigh. Ma non dispero, devo riuscire… voglio sapere come va a finire il quindicesimo capitolo!

Quando però finalmente riesco a riprendere il mio libro, noto che un gruppetto di persone si è radunato intorno a me.

- Be’, che avete da guardare? — faccio, riaprendo la pagina dove avevo lasciato il segno con fare teatrale.

Tutti mi stanno fissando, a partire da Fuu Marie e Nathan, facendo tutto il giro, con Francine, Sorensen, Ray e Dorothy Jane, Queenie e Blaise.

- Charley… - inizia Francine — sai che non abbiamo niente da fare stasera?

- E allora?

- Sai — dice Fuu — mi era parso di capire che avevi finito di scrivere una certa storia…

Intuendo le loro intenzioni, mi alzo indignata.

- Non se ne parla nemmeno! Ma che vi è saltato in testa?

- Ti prego, Charl… questa non è una serata come le altre… sai che-

- Ma la storia è mia e non ho intenzione di-

- Che scrivi a fare una storia se poi non ce la leggi? — dice Francine.

Giustamente.

- Ehm… e perché proprio a voi? — mi sto arrampicando sugli specchi.

- Perché noi siamo noi!

- Perché stasera?

- Perché non è una serata come le altre!

Non ho più argomentazioni a mio favore. Mi tocca leggere.

Gli altri lo capiscono e prendono posto in cerchio intorno a me.

- Allora? — fa Queenie.

- Di che parla questa storia? — chiede Blaise.

- Eh, sarà un’altra delle sue… - dice Ray, facendo il saputo.

- Be’ — inizio — questa è una storia vera…

- Non dirmi, la storia della tua vita!

- Per carità… - rispondo.

- Allora?

- è la storia di cinque Grifondoro a noi contemporanei…

- E ti pareva che non andava a impicciarsi… - fa Ray.

- Nah, non dirmi che c’è Potter! — esclama Soren.

- Ehm, effettivamente sì… ma la centralità della storia è basato su un altro fatto… anzi, due fatti, a dir la verità… Omero introdurrebbe questa storia più o meno così:

Cantami oh Hogwarts degli amici di Potter

La lite funesta, che tanti equivoci portò

Nella nobile Casa di Grifondoro…

- Quel “nobile” non mi piace molto, Charlotte… per chi parteggi? — mi chiede Blaise.

- Be’, è preso dal loro punto di vista, quindi…

- Non importa! — sentenzia Fuu Marie — basta che ci leggi tutto!

- Così sia… - rispondo, sconsolata.

Che razza di serata, dico. Che razza di serata.



[/Dove Charlotte Doyle comincia una storia…]



Fine Prologo





Capitolo 1


[Dove Neville fa una scoperta per i corridoi di Hogwarts]



Non avevo proprio speranze.

Lei se n’era andata, infastidita dal comportamento di Ron più che da altro. La solita lite.

Una sfuriata iniziale, due o tre giorni di silenzio, poi lui si tradisce con qualche sciocchezza — sapete, quella roba per cui le ragazze impazziscono: un sorriso, un saluto, una parola qualsiasi — e lei giù a profondersi in scuse, tra l’altro quando lei non ha nessuna colpa.

Era così da almeno tre anni, e sarebbe continuata ancora. Ma era colpa di lui, dico, davvero, e soprattutto questa volta ne aveva dette di tutti colori. Lo sapevano tutti. “Non crederti mia amica solo perché lo sei di Harry”. Più o meno.

Cavolo.

Era un bastardo.

Non capiva che Hermione ci soffriva veramente? Oh be’. In quel momento, a dir la verità, già non ricordavo più a che ora mi avrebbe aiutato in Pozioni. Non era un gran problema, alla fine, bastava chiederglielo di nuovo.

Ma per me era umiliante.

Non più del solito, questo no, ma umiliante era umiliante, e questo bastava.

A che mi sarebbe servito, quel ripasso di Pozioni, poi, non lo so. Ero una catastrofe sempre e comunque, e se anche fossi riuscito a fare qualcosina di più per una volta, Piton avrebbe fatto di tutto per abbassarmi il voto per qualche altro motivo.

“A continuare così verrai bocciato” mi diceva la nonna durante l’estate, e non poco irata.

Io non sapevo che rispondere. In effetti, non c’era niente da dire.

Insomma, mi si poteva compatire, commiserare, volendo. Si poteva aver compassione di me. Gli insegnanti, per esempio, lo facevano. Anche Piton, forse sotto costrizione della McGranitt, arrivava a darmi quasi la sufficienza. D, addirittura D+… alla fin fine, non mi potevo lamentare.

Se ero scarso nella magia, sia teorica che pratica, non potevo farci niente.

Se non riuscivo ad avere alcuna relazione sociale o antisociale, pazienza. Non ho mai creduto di essere fortunato, nella vita.

Un colpetto alla spalla.

Ron Weasley. Nuovo portiere della squadra di Quidditch, miglior amico di Harry Potter, l’unica persona per cui Hermione si sarebbe gettata dalla torre di Grifondoro. Okay, forse sono melodrammatico, ma dire che lei avrebbe smesso di studiare per lui era veramente surrealismo. Per questo, lasciamo la definizione del gettarsi dalla torre.

- Uh? - borbottai; - che c’è?

- Sei più pallido di Malfoy- disse; - stai male?

Si stava preoccupando per me?

- No, no, sto bene - dissi, alzandomi. Nel farlo, sbattei contro il tavolo e feci cadere un bicchiere in bilico a terra, il quale si ruppe in non so quanti pezzi. Ron sospirò. I suoi pensieri dovevano essere più o meno come “il caro vecchio Neville”.

- Dico - riprese - non sarai mica preoccupato per quello che la Cooman ha detto ieri - sembrava nervoso - dice sempre un sacco di frottole…

Non è che sembrava nervoso. Era nervoso.

Come se parlare con me gli provocasse qualche problema, oppure parlare di quel dato argomento, ma ciò era piuttosto improbabile — lui ci rideva di quello che diceva l’insegnante di Divinazione.

Attendeva una risposta, a quanto pareva. Scossi la testa deciso.

Quella mattina erano tutti strani. Harry se ne andava vicino a Dean, Hermione momenti si addormentava sulla colazione, Ron che parlava seriamente con me della Cooman.

Doveva esser successo qualcosa.

Ma non ci tenevo a saperlo. Avrebbe certamente portato altri guai.

Qualsiasi cosa nel cui fossi immischiato, andava sempre e comunque a scatafascio, quindi tanto valeva tenersi fuori da qualsiasi tipo di fatto o problema, in modo almeno di non creare ulteriore confusione.

Decisi dunque di avviarmi verso l’aula di Trasfigurazione. Era presto, e lo sapevo, in quel modo avevo anche il tempo per perdermi, in caso.

Sì, attualmente so che avrei fatto meglio ad aspettare Ron e andare a Trasfigurazione con lui, ma in quel momento mi ero innervosito e non ero proprio in vena di farmi una passeggiata con Ron Weasley.

Tra l’altro, mi era anche ritornato un lieve mal di testa che mi perseguitava da qualche giorno, più o meno da quando Malfoy mi aveva schiantato in fondo all’aula durante l’ora di Pozioni.

Il professor Piton, ovviamente, non aveva fatto niente, anzi poco mancava che togliesse una ventina di punti a Grifondoro, come sempre senza una ragione precisa. Per una volta, però, si era trattenuto.

Una volta mi ero chiesto chi stilava l’orario delle lezioni di Hogwarts. La McGranitt, forse? Me lo chiedevo per due motivi, soprattutto: primo, perché era così complicato che non lo avrei mai imparato nel giro di un anno; secondo, perché Piton continuava ad avere le doppie lezioni con Serpeverde e Grifondoro insieme, quando lo facevano risultare così disgustoso.

Se lo faceva apposta, era proprio stupido.

Il mio mal di testa, comunque, non era così grave. Era una situazione normale per me non stare mai completamente bene. Non so come gli esperimenti dei miei zii per controllare se avessi capacità magiche da piccolo siano riusciti a non uccidermi, visto che bastava una botta per rompermi un braccio, o una gamba.

Questo significava correre dritti al San Mungo, cosa che odiavo fare con tutto il cuore, perché mi imponeva di trovarmi in un preciso stato d’animo, ritto, composto, non incline al pianto né a qualsiasi tipo di lamentela.

Soprattutto, non dovevo essere né triste né allegro. Ma allora, senza ridere né piangere, come volevano che mi comportassi?

Mia nonna, comunque, in qualche modo, mise fine a quella tragedia.

Sarebbe difficile, altrimenti, capire cosa ne rimarrebbe di me dopo quattro anni e mezzo in questa scuola, con Malfoy che mi maltratta ritenendosi superiore e con Harry che eroe o non eroe ne combina sempre una più del diavolo, per non parlare dei fratelli di Ron, poi.

A quel punto della mia riflessione, mi fermai, guardandomi per la prima volta intorno.

Ci eravamo di nuovo, mi ero perso.

Non ricordavo di aver mai attraversato un corridoio simile. Era strano, veramente strano.

Per prima cosa, la pareti erano ricoperte di dipinti, ma non uno di questi era un ritratto, così non potevo chiedere aiuto. Vi erano disegnati paesaggi dall’aspetto decisamente oscuro, luci e colori alla rinfusa, e soprattutto degli schemi molto simili a quelli di Quidditch della squadra di Grifondoro, ma sicuramente non lì per lo stesso motivo.

Sembravano indicare dei movimenti, delle posizioni da assumere. Che fosse uno di quei corridoi con trappole e trabocchetti? Feci qualche altro passo con cautela. Non sapevo neanche a che piano mi trovassi. Di finestre, tra l’altro, neanche l’ombra, solo qualche feritoia in alto, e ciò non significava assolutamente niente per me, poiché Hogwarts non era un castello come tutti gli altri.

Inoltre, le pareti sembravano fatte di carta. Forse lo erano davvero, poiché ad un certo punto sentii una voce da oltre il muro. Una voce molto, molto famigliare, inconfondibile per le mie orecchie. Una voce melliflua e strascicata, se vogliamo dirlo alla Rowling.

- Cazzo, Willoughby! - sibilò Malfoy - così non va affatto bene, non va bene proprio!

Non credo di averlo mai sentito così arrabbiato, ma era certo lui, non c’era neanche da chiederselo.

L’altra voce ribatté altrettanto inviperita subito poco dopo.

- E chi ti dice che non va bene, eh?

Era una voce maschile, profonda, che in qualche modo mi rimase impressa nella mente.

- Lo dico io - rispose Malfoy, con la solita presunzione, completamente serio; - se andiamo avanti di questo passo, non combineremo mai niente!

Per la prima volta, da quando avevo capito che non ero solo in quel corridoio, mi chiesi cosa mai stessero facendo Malfoy e compagno in quel posto dimenticato da chiunque. A quanto pareva, non c’era alcuna aula nel raggio di metri.

Malfoy continuò a blaterare. - Ci vuole qualcosa di meno banale, meno prevedibile - disse, e detto questo doveva aver sbattuto qualcosa a terra, perché si sentì un tonfo. Poi, cambiando lievemente la voce, aggiunse: - e soprattutto, dev’essere più cattivo… o meglio, più crudele.

L’altra voce sembrava interdetta. - Più cattivo? Crudele? Ma non lo è già abbastanza, per essere quello che è?

Un terribile sospetto cominciava a salirmi alla mente. Poteva essere che Malfoy stesse effettivamente preparando qualcosa per noi, o più precisamente per Harry, per fargliela pagare dell’ultima sconfitta di Serpeverde contro Grifondoro?

In fondo, tra qualche settimana si sarebbe tenuta la finale di Quidditch. Grifondoro vs. Corvonero. E la vittoria, secondo alcuni dei miei compagni, non era poi così certa, una volta notato l’atteggiamento che Harry manteneva con la cercatrice sua avversaria, la ex di Cedric Diggory, pace all’anima sua (per Cedric Diggory, non per la cercatrice).

Le parole che ero riuscito a cogliere poi, mentre già tremavo per il timore di un possibile diabolico piano contro di noi, non facevano che confermare la mia versione dei fatti. Udii più volte vocaboli come “vendetta” e “complotto”.

Lentamente, cercai di allontanarmi il più possibile da quella stanza, fino a svoltare l’angolo e trovarmi in un altro corridoio. Quindi, mi misi a correre. Avrei dovuto dirlo a qualcuno, ed in fretta, prima che il fatto mi passasse di mente. E chi non mi ritrovai davanti, tornato in un corridoio principale, se non Ron Weasley, l’ultima persona a cui avrei confidato i miei timori di quei tempi? Ma non vedevo altra soluzione, era troppo impaziente di parlare.

- Neville - fece Ron - che ti è successo? Hai corso?

Non tentai neanche di rispondere. Solo mi accucciai a terra cercando di riprendere fiato.

Poi mi rialzai e raccontai ciò che avevo sentito, mentre raggiungevamo l’aula di Trasfigurazione.





[/Dove Neville fa una scoperta per i corridoi di Hogwarts]

Fine Capitolo 1

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Ron ***


Capitolo 2

[Dove Neville fa una scoperta per i corridoi di Hogwarts]



Non avevo proprio speranze.

Lei se n’era andata, infastidita dal comportamento di Ron più che da altro. La solita lite.

Una sfuriata iniziale, due o tre giorni di silenzio, poi lui si tradisce con qualche sciocchezza — sapete, quella roba per cui le ragazze impazziscono: un sorriso, un saluto, una parola qualsiasi — e lei giù a profondersi in scuse, tra l’altro quando lei non ha nessuna colpa.

Era così da almeno tre anni, e sarebbe continuata ancora. Ma era colpa di lui, dico, davvero, e soprattutto questa volta ne aveva dette di tutti colori. Lo sapevano tutti. “Non crederti mia amica solo perché lo sei di Harry”. Più o meno.

Cavolo.

Era un bastardo.

Non capiva che Hermione ci soffriva veramente? Oh be’. In quel momento, a dir la verità, già non ricordavo più a che ora mi avrebbe aiutato in Pozioni. Non era un gran problema, alla fine, bastava chiederglielo di nuovo.

Ma per me era umiliante.

Non più del solito, questo no, ma umiliante era umiliante, e questo bastava.

A che mi sarebbe servito, quel ripasso di Pozioni, poi, non lo so. Ero una catastrofe sempre e comunque, e se anche fossi riuscito a fare qualcosina di più per una volta, Piton avrebbe fatto di tutto per abbassarmi il voto per qualche altro motivo.

“A continuare così verrai bocciato” mi diceva la nonna durante l’estate, e non poco irata.

Io non sapevo che rispondere. In effetti, non c’era niente da dire.

Insomma, mi si poteva compatire, commiserare, volendo. Si poteva aver compassione di me. Gli insegnanti, per esempio, lo facevano. Anche Piton, forse sotto costrizione della McGranitt, arrivava a darmi quasi la sufficienza. D, addirittura D+… alla fin fine, non mi potevo lamentare.

Se ero scarso nella magia, sia teorica che pratica, non potevo farci niente.

Se non riuscivo ad avere alcuna relazione sociale o antisociale, pazienza. Non ho mai creduto di essere fortunato, nella vita.

Un colpetto alla spalla.

Ron Weasley. Nuovo portiere della squadra di Quidditch, miglior amico di Harry Potter, l’unica persona per cui Hermione si sarebbe gettata dalla torre di Grifondoro. Okay, forse sono melodrammatico, ma dire che lei avrebbe smesso di studiare per lui era veramente surrealismo. Per questo, lasciamo la definizione del gettarsi dalla torre.

- Uh? - borbottai; - che c’è?

- Sei più pallido di Malfoy- disse; - stai male?

Si stava preoccupando per me?

- No, no, sto bene - dissi, alzandomi. Nel farlo, sbattei contro il tavolo e feci cadere un bicchiere in bilico a terra, il quale si ruppe in non so quanti pezzi. Ron sospirò. I suoi pensieri dovevano essere più o meno come “il caro vecchio Neville”.

- Dico - riprese - non sarai mica preoccupato per quello che la Cooman ha detto ieri - sembrava nervoso - dice sempre un sacco di frottole…

Non è che sembrava nervoso. Era nervoso.

Come se parlare con me gli provocasse qualche problema, oppure parlare di quel dato argomento, ma ciò era piuttosto improbabile — lui ci rideva di quello che diceva l’insegnante di Divinazione.

Attendeva una risposta, a quanto pareva. Scossi la testa deciso.

Quella mattina erano tutti strani. Harry se ne andava vicino a Dean, Hermione momenti si addormentava sulla colazione, Ron che parlava seriamente con me della Cooman.

Doveva esser successo qualcosa.

Ma non ci tenevo a saperlo. Avrebbe certamente portato altri guai.

Qualsiasi cosa nel cui fossi immischiato, andava sempre e comunque a scatafascio, quindi tanto valeva tenersi fuori da qualsiasi tipo di fatto o problema, in modo almeno di non creare ulteriore confusione.

Decisi dunque di avviarmi verso l’aula di Trasfigurazione. Era presto, e lo sapevo, in quel modo avevo anche il tempo per perdermi, in caso.

Sì, attualmente so che avrei fatto meglio ad aspettare Ron e andare a Trasfigurazione con lui, ma in quel momento mi ero innervosito e non ero proprio in vena di farmi una passeggiata con Ron Weasley.

Tra l’altro, mi era anche ritornato un lieve mal di testa che mi perseguitava da qualche giorno, più o meno da quando Malfoy mi aveva schiantato in fondo all’aula durante l’ora di Pozioni.

Il professor Piton, ovviamente, non aveva fatto niente, anzi poco mancava che togliesse una ventina di punti a Grifondoro, come sempre senza una ragione precisa. Per una volta, però, si era trattenuto.

Una volta mi ero chiesto chi stilava l’orario delle lezioni di Hogwarts. La McGranitt, forse? Me lo chiedevo per due motivi, soprattutto: primo, perché era così complicato che non lo avrei mai imparato nel giro di un anno; secondo, perché Piton continuava ad avere le doppie lezioni con Serpeverde e Grifondoro insieme, quando lo facevano risultare così disgustoso.

Se lo faceva apposta, era proprio stupido.

Il mio mal di testa, comunque, non era così grave. Era una situazione normale per me non stare mai completamente bene. Non so come gli esperimenti dei miei zii per controllare se avessi capacità magiche da piccolo siano riusciti a non uccidermi, visto che bastava una botta per rompermi un braccio, o una gamba.

Questo significava correre dritti al San Mungo, cosa che odiavo fare con tutto il cuore, perché mi imponeva di trovarmi in un preciso stato d’animo, ritto, composto, non incline al pianto né a qualsiasi tipo di lamentela.

Soprattutto, non dovevo essere né triste né allegro. Ma allora, senza ridere né piangere, come volevano che mi comportassi?

Mia nonna, comunque, in qualche modo, mise fine a quella tragedia.

Sarebbe difficile, altrimenti, capire cosa ne rimarrebbe di me dopo quattro anni e mezzo in questa scuola, con Malfoy che mi maltratta ritenendosi superiore e con Harry che eroe o non eroe ne combina sempre una più del diavolo, per non parlare dei fratelli di Ron, poi.

A quel punto della mia riflessione, mi fermai, guardandomi per la prima volta intorno.

Ci eravamo di nuovo, mi ero perso.

Non ricordavo di aver mai attraversato un corridoio simile. Era strano, veramente strano.

Per prima cosa, la pareti erano ricoperte di dipinti, ma non uno di questi era un ritratto, così non potevo chiedere aiuto. Vi erano disegnati paesaggi dall’aspetto decisamente oscuro, luci e colori alla rinfusa, e soprattutto degli schemi molto simili a quelli di Quidditch della squadra di Grifondoro, ma sicuramente non lì per lo stesso motivo.

Sembravano indicare dei movimenti, delle posizioni da assumere. Che fosse uno di quei corridoi con trappole e trabocchetti? Feci qualche altro passo con cautela. Non sapevo neanche a che piano mi trovassi. Di finestre, tra l’altro, neanche l’ombra, solo qualche feritoia in alto, e ciò non significava assolutamente niente per me, poiché Hogwarts non era un castello come tutti gli altri.

Inoltre, le pareti sembravano fatte di carta. Forse lo erano davvero, poiché ad un certo punto sentii una voce da oltre il muro. Una voce molto, molto famigliare, inconfondibile per le mie orecchie. Una voce melliflua e strascicata, se vogliamo dirlo alla Rowling.

- Cazzo, Willoughby! - sibilò Malfoy - così non va affatto bene, non va bene proprio!

Non credo di averlo mai sentito così arrabbiato, ma era certo lui, non c’era neanche da chiederselo.

L’altra voce ribatté altrettanto inviperita subito poco dopo.

- E chi ti dice che non va bene, eh?

Era una voce maschile, profonda, che in qualche modo mi rimase impressa nella mente.

- Lo dico io - rispose Malfoy, con la solita presunzione, completamente serio; - se andiamo avanti di questo passo, non combineremo mai niente!

Per la prima volta, da quando avevo capito che non ero solo in quel corridoio, mi chiesi cosa mai stessero facendo Malfoy e compagno in quel posto dimenticato da chiunque. A quanto pareva, non c’era alcuna aula nel raggio di metri.

Malfoy continuò a blaterare. - Ci vuole qualcosa di meno banale, meno prevedibile - disse, e detto questo doveva aver sbattuto qualcosa a terra, perché si sentì un tonfo. Poi, cambiando lievemente la voce, aggiunse: - e soprattutto, dev’essere più cattivo… o meglio, più crudele.

L’altra voce sembrava interdetta. - Più cattivo? Crudele? Ma non lo è già abbastanza, per essere quello che è?

Un terribile sospetto cominciava a salirmi alla mente. Poteva essere che Malfoy stesse effettivamente preparando qualcosa per noi, o più precisamente per Harry, per fargliela pagare dell’ultima sconfitta di Serpeverde contro Grifondoro?

In fondo, tra qualche settimana si sarebbe tenuta la finale di Quidditch. Grifondoro vs. Corvonero. E la vittoria, secondo alcuni dei miei compagni, non era poi così certa, una volta notato l’atteggiamento che Harry manteneva con la cercatrice sua avversaria, la ex di Cedric Diggory, pace all’anima sua (per Cedric Diggory, non per la cercatrice).

Le parole che ero riuscito a cogliere poi, mentre già tremavo per il timore di un possibile diabolico piano contro di noi, non facevano che confermare la mia versione dei fatti. Udii più volte vocaboli come “vendetta” e “complotto”.

Lentamente, cercai di allontanarmi il più possibile da quella stanza, fino a svoltare l’angolo e trovarmi in un altro corridoio. Quindi, mi misi a correre. Avrei dovuto dirlo a qualcuno, ed in fretta, prima che il fatto mi passasse di mente. E chi non mi ritrovai davanti, tornato in un corridoio principale, se non Ron Weasley, l’ultima persona a cui avrei confidato i miei timori di quei tempi? Ma non vedevo altra soluzione, era troppo impaziente di parlare.

- Neville - fece Ron - che ti è successo? Hai corso?

Non tentai neanche di rispondere. Solo mi accucciai a terra cercando di riprendere fiato.

Poi mi rialzai e raccontai ciò che avevo sentito, mentre raggiungevamo l’aula di Trasfigurazione.





[/Dove Neville fa una scoperta per i corridoi di Hogwarts]

Fine Capitolo 2

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Ginny ***


Capitolo 3

[Dove Ron non riesce a pensare ad altro]



- Cooosa? - esclamai, incredulo, dopo che Neville ebbe finito di raccontarmi la sua scoperta. Possibile che Malfoy stesse architettando qualcosa per evitare che Grifondoro vincesse la coppa di Quidditch quest’anno? E pensare che lui si era anche ritirato dalla squadra, per motivi ignoti. Ed era una cosa normale, per i Serpeverde, che lui poteva far tutto quello che voleva anche se a discapito della squadra.

- Allora, che ne dici? - mi chiese Neville. Io scossi la testa.

- Bisogna cercare di scoprire qualcos’altro - risposi. Poi riflettei tra me e me. Neville lo avrebbe detto a Hermione, e ciò non andava affatto bene. Se lei fosse stata coinvolta… be’, sarebbe andata a raccontare subito tutto alla McGranitt o addirittura a Silente, e Malfoy ovviamente si sarebbe difeso. No, bisognava mantenere l’affare segreto. Neville era ancora davanti a me, aspettando un cenno per entrare nell’aula di Trasfigurazione. Gli intimai dunque di non dirlo a nessuno, assolutamente a nessuno. Che ci avrei pensato io a parlare con Harry, e poi ne avremmo discusso insieme. Purché Hermione non ci fosse in mezzo (e questo, ovviamente, non lo dissi a voce alta, ma lo pensai soltanto).

Neville annuì, serio.

Entrando, con lo sguardo feci intendere nuovamente quello che avevo appena detto. Dopodiché, presi posto accanto a Harry, dall’altra parte sempre Hermione, pronta come al solito per prendere gli appunti della lezione. Oh, anch’io prendevo appunti, a Trasfigurazione. La serietà e la compostezza della McGranitt a volte erano davvero degne di nota, e certi suoi atteggiamenti potevano diventare delle barzellette non poco divertenti. Già il fatto che chiedesse di non usare parolacce e insulti vari con “Preferirei che il livello del diverbio verbale della classe non scendesse sotto un determinato standard” faceva decisamente morire dalle risate.

E comunque mi aveva già ripreso due volte dall’inizio della lezione. Una volta quando ero entrato, non proprio in orario, in classe, e la seconda perché cercavo di comunicare a Harry il fattaccio, sperando che Hermione non sentisse.

E poi dicono che è una professoressa che non fa favoritismi, del tutto imparziale. Certo, non dico sia come Piton, ma perché prendersela sempre con me, e con Harry, quando Lavanda e Calì non facevano altro che ridacchiare per tutta la lezione, e anche Hermione quel giorno sembrava tutto tranne che attenta?

Se ne stava lì, con la testa adagiata tra le braccia incrociate, lo sguardo perso nel vuoto. Non dico addormentarsi durante lezione sia una cosa proibita. Ma per lei era tutto fuorché normale. Non era così dal terzo anno, quando seguiva tutte quelle lezioni. Quell’anno avevamo sì i G.U.F.O., ma lei avrebbe dovuto essere l’ultima a preoccuparsi. Eppure aveva davvero una brutta cera. E io… non che fossi preoccupato, per carità, ci mancava solo questo. Anzi, faceva ridere, sì, un po’ come la McGranitt. Quella preoccupazione inutile, la continua stanchezza per tutti quei libri sulle spalle e il sonno perso… è ridicolo, no?

No?



Non si meritava di stare così. Ma… ma certo non era tutta questa persona eccezionale. Anzi, anzi, era insopportabile a dismisura, e saccente, e presuntuosa, e tutto, cavolo, lei era tut-

Ecco, ehm, be’, insomma, era ridicolo.

Cos’era ridicolo, dite? Ecco, credo di… non vorrete mica che ricomincio daccapo?

Era molto più importante, invece, trovare un modo per dire di Malfoy a Harry. Quella mattina non sembrava che il suo rapporto con me fosse molto buono, ma sarebbe passata.

Insomma, lui era un eroe e non poteva certo darsi pensiero per litigi così futili. (Certo che pure io ne sparo di cazzate…).

Ehm, litigi così futili, dicevo. Che poi, tanto futile, di litigio, non era. No, non con Harry.

Io non avevo litigato con Harry, ma con lei, con Hermione, quella miss sotutto che stava dopo Harry. E non avevo neanche intenzione di farci pace tanto presto.

A dire la verità, sentivo che sarei stato molto meglio se non ci avessi mai più fatto pace. Pensare che liberazione, non avere più alcun peso sulla coscienza per lo sfruttamento degli elfi domestici, per i compiti copiati o non svolti, per tutte le regole della scuola infrante (e me le faceva pure pagare, quest’anno che era Prefetto), e per tutte quelle cose che non si erano universalmente considerate giuste, legali e cortesi. Oh, aveva una fissazione per quello che dicevo. Il diverbio verbale, come lo avrebbe definito la McGranitt.

Mi ossessionava, sul fatto di non essere volgare e tutto quanto.

E poi non andavamo neanche una volta d’accordo per qualcosa, per farla breve. Perché ci frequentavamo, era un mistero. Cioè, mistero alla fin fine non era, e lo sapevo benissimo perché ci ritrovavamo insieme quando io, be’, non l’avrei voluta accanto per tutto l’oro del mondo (e chi mi conosce sa che questa è un’affermazione piuttosto forte per me).

Non avevo tutta questa voglia di confrontarmi con lei in quel momento, ecco tutto. Sempre che non fosse sulla scacchiera, lì chiunque mi sarebbe andato bene. Anche Malfoy.

Malfoy. Già. Mi ero giusto detto che dovevo parlarne a Harry, appena ne avessi avuto l’occasione. L’ora dopo Hermione sarebbe stata in biblioteca ad aiutare Neville in Pozioni e quindi io avrei avuto campo libero.

Poi, questa faccenda delle ripetizioni. Non solo si faceva carico di un peso molto superiore alle sue forze, per quanto intelligente e capace e tutto quanto. Ma cercava anche di aiutare gli studenti in difficoltà, in qualsiasi momento, in qualsiasi materia, momenti anche in Divinazione. Oh, dopo la faccenda degli elfi domestici non dubitavo certo del suo esemplare comportamento cristiano. Soprattutto, dopo la faccenda di Krum, non ne dubitavo affatto, non ne avevo proprio motivo. “Non conosceva nessuno, voleva semplicemente fare amicizia”.

Certamente, certamente. E con tutte le…, insomma, quello, presenti a scuola, proprio lei doveva offrirgli il suo aiuto. Davvero caritatevole, non c’è che dire. Intanto, non che ci avesse ricevuto qualcosa in cambio. Se ne stava sempre lì, a morire sopra i suoi libri e sopra i suoi fogli di pergamena da riempire.

Bisognava lasciarla friggere nel suo brodo. Ecco che bisognava fare.

- Ron? Ohi, Ron? - la voce di Harry entrò a forza nelle mie orecchie.

- Che c’è?!? - sbottai voltandomi verso di lui, con il viso che scottava. Harry fece un balzo indietro con la sedia, terrorizzato.

- Ma che ti prende? - mi chiese, cercando di riprendersi. Io intanto mi guardai intorno. Sì, fortunatamente la campanella era suonata già quando Harry mi aveva chiamato, la McGranitt era alla cattedra ad aggiornare il suo registro.

Scossi la testa.

- Niente, niente…

- Sembravi molto preso dai tuoi pensieri.

Che brillante deduzione!

- Affari miei - dissi, come se ci fosse qualcosa che non avessi mai detto a Harry. Poi lo guardai seriamente - Ti devo dire una cosa.

Lui però, dopo il colpo, sembrava di essere diventato stranamente allegro.

- Hai finalmente deciso di farmi la dichiarazione? - disse, facendo finta di pavoneggiarsi alla Allock. Io, per quanto mi sforzassi, non riuscii a non farmi scappare un sorrisetto.

- No, stupido - disse - è un affare serio davvero - e con le labbra, lentamente, formai il nome di Malfoy. Harry, con la stessa lentezza, fece cenno di aver capito.

Mi stava prendendo in giro.

Sferrai un pugno, ma non riuscii a beccare Harry. Non ci avrei mai creduto, che quell’allenamento con i bolidi avrebbe davvero portato a sviluppare, oltre a dei bernoccoli sensazionali, anche dei riflessi. Soprattutto se si doveva parlare di Harry.

In breve, dopo questo sfogo, tornai serio. O almeno, quanto uno come me può essere serio. Spiegai brevemente la faccenda a Harry. Questo sembrò incredulo quanto me, forse anche di più.

- Se è qualcosa per la finale di Quidditch dobbiamo stare attenti - mormorò - ma strano, perché lui aveva anche lasciato la squadra, e…

- Hai qualche idea riguardo il motivo per cui l’ha fatto? - chiesi.

Lui fece una faccia della serie “Certo-Che-Ce-L’ho-Sono-O-Non-Sono-Il-Miglior-Amico-Di-Draco?”. Poi prese un’aria cupa. - Io, piuttosto, ho paura che abbia qualcosa a che fare con il padre.

Io annuii.

- Sei sicuro che non fosse Tiger o Goyle l’altro con cui stava parlando? - mi chiese poi. Risposi che Neville mi aveva assicurato così, che aveva un altro nome che non ricordava. Harry rimase perplesso.

- Dov’è Hermione? - chiese infine. Sbuffai, scocciato.

- E che ne so, io?

Lui sembrò capire che non era proprio il caso di parlarne.

Sembrò, giustamente.

- Non sarebbe meglio parlarne con lei? - chiese.

Sospirai.

- Assolutamente no - dissi, ringraziando il cielo che almeno me lo avesse chiesto. - Lei lo andrebbe a dire alla McGranitt e poi lei non ci crederebbe e Malfoy chiederebbe aiuto a Piton e-

- Okay, okay - disse. Questa volta aveva capito. Ma non si rassegnava.

Possibile che dovessimo sempre lavorare a tre? Aveva ragione Piton, per quelle storie del “Dream Team” e tutto. Insomma, eravamo un pacchetto unico, venduti necessariamente indivisibili. Harry-Hermione-Ron, in ordine di importanza, ma Hermione-Ron-Harry, in ordine di intelligenza, e Ron-Harry-Hermione, in ordine di altezza, ma la sostanza in poche parole era quella, noi tre, tre e non due, mai una volta che potesse essere solo Harry e me, o solo Hermione e Harry.

O solo Hermione e me.



Cazzo ma perché il pensiero di lei non mi lasciava in pace?



L’uccello che canta nella mia testa

E mi ripete che ti amo E mi ripete che mi ami
L’uccello dal fastidioso ritornello

Lo ucciderò domani.

(Jacques Prévert, Le canzoni più brevi…)


[/Dove Ron non riesce a pensare ad altro]

Fine Capitolo 3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Hermione ***


Nota: Ho deciso di continuare a postare tutti i capitoli di questa fanfiction fino alla fine per non lasciarla incompiuta su EFP. Per favore, ricordate che è stata scritta prima dell'uscita del quinto libro.

Capitolo 4


[Dove Hermione cerca di raccontarsi]



Se sono mai riuscita a raccontarmi, durante i miei primi anni a Hogwarts, immagino di aver colto di me solo la mia suggestionabilità. In effetti, questo era ciò che più evidenziavo nel mio carattere. Era fin troppo facile: bastava una scintilla per accendere i miei dubbi, le mie paure, mentre sarebbe stato meglio se ogni tanto avessi dato meno peso a quello che accadeva intorno a me, a quello che la gente diceva. Potevo andare avanti con il sorriso quanto volevano, ma non facevo altro che soffrire e soffrire e ribollire nel silenzio.

Quei giorni ero peggio di uno straccio, diciamolo subito. Come sempre, mi ero buttata a studiare tutto il possibile e l’immaginabile in attesa dei G.U.F.O., la mia ostentata carriera di Prefetto che non significava assolutamente niente, il tormento di un possibile attacco da parte delle forze oscure. Ero tormentata da tutto, non riuscivo a dormire e neanche a mangiare, a volte.

Le cose erano cambiate, e all’improvviso, per me. Non so se fossero stati gli avvenimenti dell’anno prima, i quali avevano macchiato la mia figura di secchiona sotutto, a rendermi così paurosa nei rapporti con gli altri. Certo, finche ero ritenuta un’aliena in quella massa di scansafatiche potevo anche essere antipatica a tutti, ma almeno stavo bene con me stessa.

Le cose erano cambiate.

Adesso le mie compagne di stanza mi consideravano una persona come loro, per quanto non certo bella né affascinante, e anche qualcun altro si era finalmente accorto di me. Eppure, per quanto possa sembrare meraviglioso come prima impressione, era la situazione più difficile che avessi mai dovuto vivere; non sapevo assolutamente come comportarmi: cosa dire, cosa fare, era tutto un mistero.

Crollato il muro che mi divideva dagli altri, inoltre, la mia emotività aveva raggiunto le stelle, e molte delle cose che ritenevo tra le più importanti avevano perso peso tanto da poterle dimenticare con facilità. La mia tendenza a considerare solo i grandi problemi e non le piccole cose mi appariva sciocca, infantile. Solo il pericolo che incombeva su Harry e il mondo magico mi riportava pesantemente sui miei vecchi passi… perché era l’unica grande cosa che mi fossi mai trovata ad affrontare, credendo di essere brava e abile, quando invece c’era sempre qualcuno più adulto e sapiente alle mie spalle.

Improvvisamente, trovai ridicola la mia campagna di sensibilizzazione per lo sfruttamento degli elfi domestici; vidi davanti a me solo una ragazzina presuntuosa, spuntata fuori dal nulla in quel mondo così difficile, che combatteva per qualcosa in cui credeva: se stessa. Il suo ego. Il suo reale bisogno di distinguersi dagli altri e la sua incapacità nel vedere le cose come stavano veramente, per una volta. Cercare di vedere dentro sé e non più fuori, come aveva sempre erroneamente fatto, credendo invece il contrario.

Pensavo di essere il mondo, di essere la vita.

In realtà, non ero niente.

E se quello inizialmente poteva apparire solo come un momento di sconforto, tristezza, la prova della sua veridicità arrivò senza indugiare nel momento meno opportuno. Il mio ennesimo litigio con Ron. Le cose che abbiamo detto, be’… mi sentivo così nervosa a ripensare a quel giorno. Non so proprio come ho potuto lasciare che le cose andassero così male, quando sembrava che tutto fosse così perfetto.

Probabilmente tutti conoscono la seconda parte del nostro litigio. Sapete, quando ci siamo messi a urlare uno contro l’altro fino a mandarci a quel paese reciprocamente. La cosa però era iniziata subito dopo pranzo, quando lui era venuto a cercarmi in biblioteca. Era entrato piano, quasi a cercare di non disturbarmi, aspettando pazientemente che mi accorgessi di lui.

Quando lo vidi, accennò un sorriso.

“Che fai, non mangi?” mi chiese. Io risposi che no, non avevo fame, e che comunque dovevo studiare Aritmanzia. Lui si mise a scherzare un po’, poi aggiunse, più seriamente, che Harry era andato a parlare con il professore di DADA. Io annuii pensosa a questa informazione. Quasi senza farci caso, si era seduto accanto a me.

“Che hai fatto?”.

Scossi la testa. Mi voltai, e lui mi stava ancora osservando, come ad attendere qualcosa da me. “Sai” dissi, stranamente insicura di me “quello che abbiamo letto sulla Gazzetta del Profeta stamattina…”.

“Silente ha detto che non ha niente a che fare con Tu-Sai-Chi” mi rammentò, cercando di rassicurarmi. Non era una cosa tanto semplice.

“Come” dissi io “quell’esplosione ha fatto saltare in aria tre maghi, non può essere stato solo un incidente… non è possibile, le norme di sicurezza dettate dal Ministero-“

“E’ fallibile anche il Ministero della Magia, che credi?” aveva riso.

“Ma è assurdo, sono morte tre persone e noi siamo qui come sempre e-“

“Probabilmente erano troppo lontane perché avessero un effetto diretto su noi”

Ci sono frasi del genere che smorzano i discorsi. Certo non fanno altro che metterti a cuccia, oppure metterti in guardia, ma fatto sta che la calma se ne va in un battibaleno. Tra noi succedeva spesso, fin troppo spesso, purtroppo. Eppure quella non era una di quelle frasi. Oppure eravamo troppo stanchi per litigare. Fatto sta che continuammo a chiacchierare quietamente senza neanche tentare di distogliere l’uno gli occhi dall’altra.

E io prima non avevo mai parlato con Ron. Solo lui ed io. E in quella maniera così semplice e allo stesso tempo inusuale.

Abbiamo vagato a lungo in quei discorsi preziosi e contorti senza concludere... E io pendevo dalle sue labbra in un modo così spaventoso che mi facevo paura da sola.

Può sembrare assurdo detto da una strega, ma non credevo di aver mai provato la magia veramente sino a quel momento.

Naturalmente, non durò a lungo.

Non ci fu più il coraggio di parlare, una volta giunti a quelle situazioni che avevo sempre pregato di non vivere, perché patetiche e assolutamente compromettenti. E avevo paura di dire qualcosa, qualsiasi cosa, veramente. Tremavo. Ero la cosa più pietosa che avessi mai visto. Nulla. Non c’era nulla nella mia testa da poter rivelare. Solo una barriera che non mi permetteva di esprimere quel poco che provavo, quel poco che ero in realtà.

Ho paura che proprio allora si accorse di quanto fossi vuota, nonostante la mia abituale parlantina saccente, nonostante tutto quello che sapevo.

Non sapevo niente, in realtà, non ho mai saputo niente. Niente di niente.

Proprio in quel momento giunse Harry. La nostra attenzione si spostò dunque su lui, riportandoci a tutte le preoccupazioni per gli attacchi, i buoni, i cattivi, il Quidditch e la cena, e tra una cosa e l’altra spuntò fuori un pretesto per litigare. Immaginavo fosse solo una sciocca scusa, perché ero sicura di aver lasciato Ron completamente deluso di me. Mi guardava ogni tanto con una sorta di disprezzo negli occhi, e poi abbassava lo sguardo, scotendo la testa. Così avevamo iniziato a battibeccare ed era successo quel che era successo. Le cose non erano semplicemente cambiate. Erano di giorno in giorno più difficili, e sempre più complicate. E non vedevo via di uscita, né raggi splendenti oltre le cupe nuvole che quegli ultimi giorni sostavano presso Hogwarts, né scogli a cui aggrapparsi. E mi faceva star male più di quanto potessi mai credere.



Ginny era una buona amica, e io ero solo stata accecata dalla mia presunzione e dalle mie pene. Mi ero comportata scioccamente e con sgarbo, senza pensare di poterla ferire. Senza pensare che forse avrei potuto reggermi a lei come lei avrebbe potuto fare lo stesso con me.

Io che avevo sempre voluto essere così perfetta, così maledettamente perfetta, senza pensare di essere fragile in realtà, senza pensare di poter fallire!

Ed ero abituata a non ricevere alcun aiuto dagli altri, a non fidarmi, a stare sulle mie. E così com’ero abituata, nonostante rilevato il problema, non riuscivo a risolverlo. Non avevo la forza per spezzare le mie azioni abituali, eppure tutto questo discorso senza senso è l’unica prodotto che risultò quel pomeriggio in biblioteca.

Alla fine mi stancai di dover ancora stare a combattere contro mulini a vento.

Raccolsi i miei libri e i tutti i fogli svolazzanti, e salii in dormitorio. Ero distrutta. Dormii per tutto il resto del giorno.



“Probabilmente erano troppo lontane perché avessero un effetto diretto su noi”
all these symptoms symptoms are simpler cuz
i've had moments in my life when I've contributed by believing we are
separate we are separate
disconnected in this unity…

(Alanis Morissette, Symptons)





[/Dove Hermione cerca di raccontarsi]


Fine Capitolo 4

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Harry ***


Capitolo 5

[Dove Harry si allena a Quidditch]



Davanti a me, solo confusione. Per lo meno era quello che vedevo. Ogni giorno, ogni ora, in qualunque momento. Mi ero accorto che improvvisamente la mia vita era divenuta invivibile, quell’anno. Certo, era già successo altre volte, per non parlare poi della vita dai Dursley, ma c’era una nota diversa, un qualcosa di doloroso e sgradevole, quasi pietoso.

Il pensiero generale era che, per quanto miope, vedevo fin troppo cose che in realtà non c’erano. Perché tutte le supposizioni che stavo facendo potevano essere confutate ogni giorno, ogni ora, in qualunque momento. Perché all’inizio pensavo che la storia di Voldemort avrebbe fatto tanto scalpore, che avrebbe colmato di paura anche l’animo del più temerario. Avevo inizialmente pensato che ci avrebbero creduto, tutti.

La maggior parte delle volte, la verità non viene creduta.

Eppure Cedric Diggory era morto per mano sua, dico, non era semplicemente passato un cartellone pubblicitario con su scritto “E dopo quattordici anni, Lord Voldemort è qui!”. Ma la vita continuava come sempre, quando non aveva a che fare con me. Perché era quando gli sguardi si incrociavano con il mio che si cominciava a sentire un certo senso di colpa nell’aria, aria viziata, e tesa, e irrespirabile alla fine.

Non voglio dire niente contro la gente che mi stava attorno, no, realmente. Tutti erano più che solidali con me, mi sostenevano nella lotta contro le cattiverie di Malfoy con tutto il cuore, davvero. Non voglio lamentarmi di questo.

È solo che mi trattavano come se fossi ancora quel bambino che mia madre aveva protetto da Voldemort dando in cambio la vita, mi vedevano come un essere indifeso, e non come qualcuno che ne aveva già passate abbastanza per essere pronto a combattere di nuovo.

E non erano solo i professori che si comportavano così, non solo Sirius, ma tutti i miei compagni, dal primo all’ultimo, simulando il ruolo dei miei genitori, come se avessero chissà quali esperienze alle loro spalle, chissà quale maturità, quando avevano al massimo due anni di differenza rispetto a me!

Odiavo vivere in questa prigione, odiavo vivere con questa mia temibile fama.

La vita continuava, ma io non continuavo a farlo con lei. Andavo in senso contrario, troppo lento, troppo veloce. Passo saltellato, saltelli più corti, saltelli più lunghi, salto in alto, salti in bocca, gira a sinistra, fai capriola, voltati a destra, alza la testa.

Passo saltellato

Saltelli più corti

Saltelli più lunghi

Salto in alto

Salti in bocca

Gira a sinistra

Fai capriola

Voltati a destra

Alza la testa…

Ma poi a che serviva saper saltare nel Quidditch?

Passo saltellato saltelli più corti saltelli più lunghi salto in alto salti in bocca gira a sinistra Fai capriola Voltati a destra Alza la testa Passo saltellato Saltelli più corti Saltelli più lunghi Salto in alto Salti in bocca Gira a sinistra Fai capriola Voltati a destra Alza la testa Passo saltellato Saltelli più corti Saltelli più lunghi Salto in alto Salti in bocca Gira a sinistra Fai capriola Voltati a destra Alza la testa… attento, il bolide, ATTENTO, IL BO-



STUMPT!



Steso sul filo

Di una gloria che non c’è

Disincantato disarmato

Per aver

Perso di vista

Perso di vista

Te stesso



La vita continuava. Era marzo, e il trimestre stava per concludersi.

Il trimestre stava per concludersi e i compiti in classe non erano sospesi, nonostante tutto.

Il trimestre stava per concludersi e Piton era perfido come al solito, nonostante tutto.

Il trimestre stava per concludersi e la McGranitt non avrebbe lasciato la classe in pace neanche per una bomba nella scuola, nonostante tutto.

Il trimestre stava per concludersi e l’insegnante di DADA era sempre più incompetente, nonostante tutto.

Il trimestre stava per concludersi e Hermione si caricava come sempre di compiti inutili, nonostante tutto.

Il trimestre stava per concludersi e, nonostante tutto, Ron aveva di nuovo trovato un per litigare con Hermione.

Rifiutavano di parlarsi. Sedevo in mezzo a loro come un imbecille aspettando che uno dei due aprisse bocca, ma probabilmente il loro silenzio includeva anche me. Una volta Hermione se ne sarebbe andata per fatti suoi, ma dato il momento non era proprio il caso, sapete, di lasciare il povero piccolo Harry nelle mani di quell’irresponsabile di Ron. Visti i tempi che correvano, era già tanto che non lo accompagnasse fino alla porta della sua camerata. Ma, nonostante tutto, c’era sempre il diritto alla lite e soprattutto, ancor di più, il diritto al silenzio.

E se rimanevo da solo con uno l’argomento principale era tutto verso quello che mancava. Se in bene o in male, potete immaginarvelo. Di certo non voglio essere io a parlare per primo, avrebbero dovuto farlo loro, avrebbero dovuto; e davvero.

A preoccuparsi per me, il povero Harry, si preoccupavano, certamente, sapete, era molto più importante curarsi dei loro fatti personali, il loro odio, il loro amore, la loro assurda stupidità. Tra l’altro, tra i loro fatti personali c’ero anch’io. Sia in quelli di lei che in quelli di lui.

Sembrava di giocare alle bambole.

Ma vi pare normale?



STUMPT!

- Harry!?! Stai bene?!?



Appeso al grido

Di una folla che non c’è

Amareggiato disorientato

Per aver

Perso di vista

Perso di vista

Te stesso



Stai vivendo un equilibrio precario


Dunque mi trovavo lì, imprigionato in questa situazione del cavolo. Il mio padrino di certo non aiutava a farmi sentire meglio. Per quanto distante, cercava di proteggermi in tutti i modi possibili, tentando a proibire me qualsiasi tipo di attività ludica, anche il Quidditch. Non c’era più tempo da perdere scherzando e giocando, mi diceva. E potevo anche dargli ragione, finche non alzavo gli occhi su tutti quelli che intorno a me non facevano altro che divertirsi, tra le varie vicende della giornata.

Tra le varie vicende della vita.

Ma non era vita anche quella? Non era vita anche la mia, mia, di una persona che nonostante tutte le avversità era riuscita a tirare avanti sino al suo quindicesimo compleanno?

Probabilmente no.

Magari sì, ma non poteva essere considerata tale, non poteva essere vissuta come una vita qualsiasi; era tutto troppo difficile, troppo calcolato, troppo anormale.

Sirius mi scriveva spesso. Non era mai troppo affettuoso e non aveva di certo peli sulla lingua quando si trattava di come dovevo comportarmi; capivo quanto potesse essere preoccupato, ma in lui c’era anche quella sorta di risentimento che si prova, sapete, quando si crede di aver ucciso qualcuno.

Lo sapevo bene, poiché lo provavo io stesso. Non solo per i miei genitori, che alla fin fine erano morti inutilmente, ma soprattutto per Cedric Diggory. Ne avevano provate di tutte per convincermi che non era colpa mia, che doveva succedere. Ma non volevo crederci. Meglio ancora dire che non riuscivo ad accettare il fatto che ero ancora vivo, nonostante tutto.



STUMPT!

- Harry!?! Stai bene?!?

- Non si vede, per caso?



Steso all’ombra

Di una vita che non c’è

Rammaricato tormentato

Per aver

Perso di vista

Perso di vista

Te stesso



Alla fine non me ne poteva fregare niente se Malfoy aveva in mente qualche piano per sabotare la finale di Quidditch. Poteva fare quello che voleva, in fondo così era sempre stato abituato a pensare, lasciamoglielo pure credere.

Non me ne importava niente, perché già era successo altre volte e quest’anno che la sorveglianza era così stretta… di certo non sarebbe riuscito a combinare un bel niente. Non a caso, lui, Prefetto di Serpeverde, sempre per merito del padre, non si faceva vedere molto in giro negli ultimi tempi. Non faceva che confabulare con i suoi compagni, sicuro, ma era molto cauto nel parlare della venuta del Signore Oscuro, come lo chiamava. Probabilmente il padre gli aveva vietato di sventolare ai quattro venti il fatto che erano nella compagnia di Voldemort, tutti insieme appassionatamente.

Non me ne importava niente anche perché ero abbastanza bravo con la scopa da riuscire a difendermi da me, nonostante negli anni passati i bolidi non erano stati mai così gentili. Avevo padronanza nel volo, sicuro dell’obiettivo da raggiungere. Che problemi dovevo avere, quando a minacciarmi era un tipo uscito dalla sua squadra senza motivo, ma che a parer mio era stato cacciato, a causa della sua anticapacità nel gioco? Anche una squadra come quella di Serpeverde aveva bisogno di collaborazione tra i giocatori. Malfoy probabilmente non era il benvenuto.

Infine, non me importava niente se Malfoy aveva intenzione di rovinarmi la finale di Quidditch, semplicemente per il fatto che me la sarei rovinata da solo. Non era a caso, era contro Corvonero. E più volte nella mia mente era passata l’idea di non prendere il boccino neanche se si ficcava da solo nella mia mano.

Perché non riuscivo a sostenere il suo sguardo.

Il suo atteggiamento, da come la vedevo, non era cambiato. Rideva anche. Ma era un po’ come tutti. A vedermi, le mettevo la paura e la tristezza nel cuore. Meglio dileguarmi, dicevo, meglio lasciarla in pace. Era più che altro una specie di difesa per me stesso, perché non volevo neanche provare a vedere come mi sarei comportato avendola vicino, provando a parlarci. Era insostenibile ogni cosa che la riguardava, non mi davo pace. Perché in un momento, tempo fa, troppo per me ora che sto parlando, ma assai breve se vogliamo essere oggettivi, be’, in un momento ho desiderato questa situazione, avendo davanti un’occasione così invitante. Ma c’è sempre un prezzo da pagare, a quanto pare.

Non sapevo se si fosse ripresa dalla morte di Cedric. Figurarsi, non sapevo neanche se io mi ero realmente ripreso, oppure no, no, andavo avanti solo con la voglia matta di svegliarmi una mattina, e improvvisamente sapere che non era successo nulla, assolutamente nulla. Magari, scendere le scale, sbadigliando, e incontrare lo sguardo di mia madre ai fornelli, il mio stesso sguardo.



STUMPT!

- Harry!?! Stai bene?!?

- Non si vede per caso?

Mi guardarono straniti. Preoccupati, forse.

- Non vi preoccupate; non è niente.

Mi alzai, ma non reggevo, e caddi di nuovo a terra.


Stai vivendo un equilibrio precario


Potevo anche essere il malato di mente che la Skeeter aveva descritto nei suoi articoli. Ma c’era un unico problema: me ne rendevo conto.

Ed ero attorniato da un alone dorato, che non mi rappresentava per quello che ero veramente, eppure, allo stesso tempo non ero niente, in mancanza di questo.



Steso sul filo

Di una gloria che non c’è

Demotivato insoddisfatto

Per aver

Perso di vista

Perso di vista

Te stesso

(Carmen Consoli, Equilibrio precario)





[/Dove Harry si allena a Quidditch]

Fine Capitolo 5

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Capitolo 6
*** Speciale I - Cho ***


Speciale I

[Dove Cho sente una voce, da qualche parte]



Eccomi. La fioca luce della luna mi accarezzava dolcemente il viso, io, seduta sul ciglio del lago, persa nei miei sogni notturni.

Non sapevo bene perché mai mi costringessi a farlo così spesso; in realtà, non avevo la pallida idea per spiegare la mia presenza, in quel luogo e in quel momento. Semplicemente, mi trovavo lì, e lì volevo rimanere.

Faceva un po’ freddo.

Mi strinsi nel mantello, il profumo devastante di calore e falsa protezione che entrava a forza nel mio capo impedendo qualsiasi tipo di libero pensiero…

Dicevano che finche ci fosse stato Silente a Hogwarts tutto sarebbe stato a posto, e noi soprattutto saremmo stati al sicuro dal pericolo che incombeva. Me lo chiedevo sempre più di frequente: quale pericolo? Perché si faceva presto a parlare di maghi pazzi e oscuri e furiosi, ma l’oscurità di certo non faceva per andarsene allo schiocco delle dita di un vecchio mago sapiente, no, neanche per sogno. Forse un tempo era così, ma adesso… adesso le tenebre regnavano.

Cinque di mattina, ancora nessun segno di sole, neanche lontano, lontano, sull’orizzonte.

No, la notte non era uno di quei pericoli alla portata di Silente, affatto. E in questo caso, di questa nostra scura signora si poteva fare ben poco: rifuggirne, da codardi, cercando il sole all’altro capo del mondo, o farne parte, lasciando che ogni cosa bella scivolasse via, senza riconoscere una vita migliore oltre queste deboli ore. Quelli consapevoli, invece, potevano anche conviverci, con la notte, accettando le conseguenze. Come facevo io.

Mi tenevo sulla sua stessa linea, tentando di andare avanti. La notte, io, il resto del mondo.

Alzai lo sguardo per cercare di nuovo la luna, le nuvole attorno a lei come una corona di luce, lei, che si specchiava in esse, come se non brillasse di luce riflessa. E lì in alto splendeva, tranquilla e placida, come se sin dai primordi nessuno avesse mai messo in discussione la sua alta magnificenza.

Guarda che bianca luna

Nel cielo, vedi

Somiglia a te

Era forse così che diceva?

Guarda che bel sorriso

Non ha paura

Vorrei andarle vicino…

Oh, sì, era proprio così che mi diceva. Anche allora la luna era alta nel cielo e illuminava la notte. Per me era tutto.

E ora, in mancanza di quella voce, non più abbastanza.

Sapevo che la mente umana è abituata a cancellare ogni dolore, anche il più profondo, così come succede a volte alle gioie più grandi. Ma come fare, per dimenticare, quando anche un’altra notte spaventosa, più di qualunque altra, aveva ospitato un simile cielo? Come fare, per guardare quella bianca luna senza provare prima felicità immensa, poi dolore straziante, e ancora devozione, e sempre devozione sarà, e tristezza infinita?

Ma tanto prima o poi passava, passava… ecco…

… ecco una nube nera

O bianca luna

Non ci sei più.

Cosa c’era di più semplice? Niente più, niente, niente più…



Ma era sempre lì, in realtà. E non mi lasciava, non mi avrebbe mai lasciato. Fin allora, almeno, così era parso, ed era una così sciocca perdita di tempo rimanere ancora fermi, aspettare, aspettare che passasse una volta per tutte, che non si facesse più vedere ai miei occhi, che le mie orecchie non potessero più sentirla… eppure ecco, che quella notte, giunta alla conclusione che da tanto aspettavo, la mia condanna… una voce si fece sentire. E non parlava di lune e nubi, no, non era più una nenia sconsolata a mezza voce.

Da qualche parte nel mondo, da qualche parte, nell’oscurità, mi stava chiamando, stava chiamando il mio nome! Forte, e chiaro, e non sapevo come rispondere, non sapevo dove andarmi a buttare… Non capivo niente, non significava niente, non volevo che significasse qualcosa, per me. Perché era stato sin troppo doloroso, andare avanti, tentando di dimenticare quando non faceva altro che tornare alla mente. Ma credo di averlo già fatto intendere, sarò noiosa, forse. Eppure non potevo fermarmi.



Somewhere in the world

Somewhere in the dark

I can hear the voice that calls my name

Might be a memory

Might be my future

Might be a love waiting for me



Ero lì, seduta sul ciglio del lago, con la notte che mi avvolgeva, e intanto, da qualche parte nel mondo, da qualche parte nell’oscurità, mi stava chiamando, stava chiamando il mio nome. Se non era un canto di trapasso, verso la mia eterna follia, cosa poteva significare? Cosa poteva essere, per la barba di Merlino? Da troppo tempo vivevo nelle memorie, eppure questa poteva essere una delle tante, così come poteva rappresentare il mio futuro, un futuro lontano e inimmaginabile.

Poteva essere il mio presente, da quanto tempo non facevo altro che vivere di sogni? Un amore che mi stava aspettando…



Rock me gently

Hug me tenderly

'Til the morning breaks, night fades away

I've spent my time in vain

Trapped inside pain

Don't let me down
Help me see the light



Ma tutto era di nuovo immaginario, perché una voce, perché non rendermene conto nella realtà, durante il giorno? Forse avevo bisogno di un risveglio, ma lasciarmi ancora nei sogni non avrebbe aiutato a portarmi via da essi.

Non ascolti più la realtà, ormai, quello è il tuo sogno…
Dov’era? Dove potevo trovarlo? Già, la realtà non significava più nulla per me. Era solo uno squallido sogno, un incubo mal riuscito, una cosa di cui si poteva ridere per non piangere. E ora, la voce che mi chiamava, mi riportava in vita, in vita come non mi sentivo da tanto, troppo tempo…

Quanto avevo bisogno di una gentile scossa per farmi svegliare?

Quanto avevo bisogno di un tenero abbraccio per poter ancora sorridere?

Infinito, infinito… e il mattino avrebbe irrotto il mio torpore, mi avrebbe riportato qui davanti a voi, viva più di un qualsiasi vegetale, forte e coraggiosa com’ero sempre stata fin allora, fino a quando non avevo smesso di lottare… e così avrebbe spazzato via la notte, una volta per sempre, dalla mia vita.

Perché non c’era notte che l’alba non potesse scacciare, e non c’era problema che l’amore non potesse cancellare… ed era quello che stavo aspettando, da così tanto tempo, mentre impazzivo nel dolore, intrappolata in esso. Stavo aspettando quella voce ignota, un segno divino, perché mi sostenesse in una nuova lotta, perché non mi lasciasse cadere nel nulla, come se poi non fossi mai esistita, perché mi aiutasse a vedere la luce, quella che splendeva oltre le nuvole, oltre la luna e le stelle, e oltre il firmamento intero…



Feeling bitter and twisted all along

Wading through an empty life too long

I close my eyes

Listen to the wind

Longing to belong to a higher place



Un venticello tranquillo era dunque giunto ad inaugurare un nuovo mattino, mentre ero ancora alla pazza ricerca di quella strana voce, in ascolto, gli occhi chiusi, le mani giunte.

Mai più sentire il peso di quelle lunghe giornate vuote passate a vagare come i fantasmi tra i corridoi, ma più sentire l’amarezza tutto intorno e la completa assurdità della situazione in ogni situazione… no, desideravo appartenere ad un posto ben più alto.

Questo capii in quel breve attimo, mentre il sole lentamente si mostrava al mondo, mentre sorgeva maestoso, quanto la luna o forse più.

E capii anche un’altra cosa.

Quello era un addio.



Let me hear your voice

Let me be with you

When the shadow falls down upon me

Like a bird singing

Like a breeze blowing

It's calling me

Somewhere in the world
(Somewhere, Slayers ST)



Dovevo dirti addio, Cedric, fonte della mia più grande gioia e del mio più profondo dolore. Sembrava banale, ma era pur sempre successo quello che era successo, e sapevo che quella voce miracolosa mi accompagnava, gentilmente, verso un nuovo inizio. Rimanevi tu, tra i canti degli uccelli, e la dolce brezza della mattina, e anche quando le ombre cadevano attorno a me. Avrei voluto essere con te di nuovo, avrei voluto ridere, e scherzare, eppure il richiamo era intenso e irresistibile, e aveva le stesse allegre note della tua voce. Mi stava chiamando, da qualche parte nel mondo, e io ero pronta per seguirlo.



[/Dove Cho sente una voce, da qualche parte]

Fine Speciale I

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Ron ***


Capitolo 6


[Dove Ron indaga]



Nessuno poteva capire, no, no davvero. Tutto quel tempo a origliare e impicciarsi dei fatti altrui, e ancora non eravamo giunti a nessuna conclusione.

Ah, be’, come avremmo potuto mai, senza Hermione?

Ma non volevo perdere altro tempo a pensare a lei, quella pazza!, già era tanto che tutto quel gran daffare me l’avesse tolta dalla testa per un momento. Evitavo di guardarla, sapete?

E che dire, che dire? Gli indizi c’erano, ma prove, neanche a pagare un elfo domestico.

Vedevo Malfoy alzarsi dalla tavola durante il pranzo (mentre i suoi scimmioni continuavano ad abbuffarsi), per andare a parlare con uno o con un'altra, in modo assai strano, con fare circospetto!

Abituato a conoscerlo così come lo conoscevo, mi stupivo a vederlo scomodarsi, e con tanta frequenza; proprio lui, che non avrebbe mai avanzato l’idea di fare del proprio meglio o cose simili. E sghignazzava di gusto, ma davvero di gusto… tanto che ero sempre più convinto che si trattasse di un affare importantissimo.

Ma poi… poi c’era il vuoto totale.

Non uno straccio di sicurezza, neanche tanto così, perché almeno qualcuna delle nostre ipotesi potesse tener fronte al pericolo incombente.

Oltretutto, di ipotesi non ce n’erano.

Sì, sì, un po’ fissati sull’argomento lo eravamo, ma non era poi così grave. Era quello che combinava Malfoy ad essere grave.

E poi alla fin fine era una specie di questione di scambio, con quell’imbecille di Serpeverde: lui faceva di tutto per rovinarci l’anno scolastico, prima uno sghignazzo, poi un’offesa, fino ad arrivare alle maniere forti e ai complotti; noi, invece, che di solito ce ne fregavamo altamente di quello che facevo il signorino, adesso dovevamo sgobbare a cercar di capire cosa diavolo aveva in mente per la sua prossima, ma di certo non ultima, impresa criminale, a danni di Harry.

Avevo talmente tanto a cui pensare, su questa faccenda, che qualsiasi altra cosa era dimenticata. Anche Hermione, pure se Harry, con il suo spirito d’imbecille doc, non evitava mai di dire, ogni qualvolta ci capitasse di entrare in biblioteca a fare questo o quest’altro, una frase del genere “Ah, qui ci vorrebbe Hermione”. Poi davano a me del fissato.

Fissato era lui, lui, lui!

E io intanto indagavo. Davvero.

Decisi di fare il vago con Ginny, sperando di poter carpire qualche impressione sulle sue compagne Serpeverde.

- Gin, non è che hai notato qualcosa di strano ultimamente… dalle parti di… non so… Serpeverde?

Perfetto, mi dissi. Adesso lei si sarebbe sfogata con tutti i suoi problemi nei confronti di Harry, ma intanto mi avrebbe anche detto qualcosa di interessante sui Serpeverde.

- In che guaio vi state cacciando, questa volta? — mi rispose.

Ehm. Evidentemente non ero stato abbastanza vago. Non che qualcuno all’infuori di mia sorella potesse capirmi, no… be’, magari con qualsiasi altra persona all’infuori di lei sarei stato abbastanza vago, ma con lei, con lei no, perché… ehm, insomma, sapete cos’è l’intuito fraterno e tutto quanto.

Non potevo ingannarla.

- Noi? Ma che vai a pensare?

Però ci provavo.

- Cosa devo andare a pensare quando un imbecille mi si presenta davanti all’improvviso chiedendomi così, tutto d’un botto, “cosa succede a Serpeverde?”.

- be’, non so, potevi pensare qualcosa del tipo er… ehm…

- “er” e “ehm” sono pensieri che giusto tu puoi fare, fratellino.

Che urto, diamine, perché adesso anche lei mi trattava come una pezza da piedi? Un po’ di rispetto per suo fratello maggiore (uno dei tanti), dov’era?

Tutta colpa di Hermione, pensai, tutta colpa di quella maledetta sotutto — da quando era diventata sua amica, mia sorella era diventata anche un sacco acida!

Prima era dolce e carina, invece, intelligente quanto bastava, gentile e affettuosa.

Adesso, invece, neanche l’avessero incoronata Miss Hogwarts.

Mi era passata davanti anche lei (nonostante il Potter di qui e il Potter di là).

Ca**o.

Ehm! No, non dovrei parlare così della mia dolce sorellina. Magari un po’ acida ultimamente, ma va bene, era comunque la mia dolce sorellina. E con sguardo sospettoso mi stava ancora osservando, fissa, con le mani ai fianchi.

Classico atteggiamento da Hermione.

- Be’, allora? — chiesi; - notato niente di che nei Serpe?

Ginny sbuffò — e poi mi guardò male.

- Ron — disse; - ti proibisco categoricamente di fare qualcosa che metta in pericolo Harry!

Grazie per la considerazione, pensai. Se mi mettevo nei guai io… be’, uno di meno, che faceva?

Ma perché avevo parlato?

- Gin, falla finita — sbuffai; - non sei mamma.

Effettivamente, anche mamma aveva un che di così maledettamente saccente che mi mandava in bestia. Probabilmente, pensai in un attimo, dev’essere un fatto da donne, comportarsi in modo così irritante.

- Non sono cose su cui scherzarci sopra — rispose lei, offesa.

Io, che guardavo da un’altra parte, la osservai con la cosa dell’occhio.

Sì, esattamente come mamma, a parte qualche chilo di meno (tanti — mia sorella era uno stecchino). Non va bene, Ron, non si fa così, Ron, stai attento a dove metti i piedi, Ron, con la tua goffaggine, Ron, potresti calpestare il caro Harry!

Ma perché tutta la mia famiglia (io compreso) dovevamo avere una passione così esagerata per Harry Potter? Non potevamo averla per, non so, le farfalle?

Ma questa era un’altra storia.

D’altra parte quando l’autrice ti mette a disposizione solo tre capitoli non è che puoi parlare di così tante cose.

Torniamo dunque al mio discorso con Ginny.

- Ma, cos’è successo? — mi chiese poi.

- Niente, niente, Gin.

- Dai!

- Aaah… prometti che non lo dici a Hermione?

Ginny sbuffò.

- Certo che sei proprio fissato con lei!

Arieccoci. Io. Fissato. Con. Hermione. Ma vi pare vero?

- Allora?

- D’accordo, prometto… tanto prima o poi lei lo scoprirà…

- Sì, sì, contaci. Be’, comunque non è niente di che, lo sai che Malfoy cerca sempre di tirarci brutti scherzi! Prevenire è senz’altro meglio che curare!

Tant’è che non so quante volte durante la mia infanzia mi sono fatto curare i denti da zio Lance, mamma mi ingozzava di dolci dalla mattina alla sera e poi si lamentava che mi venivano le carie — be’, un po’ ero anch’io, i dolci mi piacciono, ma come si fa a non mangiare quando mamma non fa altro che cucinarli?

- Ma lasciate in pace Malfoy! — esclamò Ginny, proprio mentre stavo pensando che in effetti avevo un certo languorino; - quando si renderà conto di quanto è misera la sua vita ne avrà a male per tutta la vita! Lasciatelo perdere!

Lasciar perdere Malfoy? Esagerato.

- Sì — risposi — e qual è il prossimo passo, sorellina? Diventiamo suoi amici? Lo invitiamo a fare un giro sulla nostra ruota?

- e che siete, criceti?

No, non credevo fossimo criceti. Perché mai avevo parlato di ruote?

- intendevo… be’, non importa che intendevo… voglio solo sapere che sai cosa stanno progettando i Serpeverde contro la finale di Quidditch!

- Ma che diavolo possono progettare? Sarà una cosa così, poi adesso Malfoy è prefetto, che ne sai che fanno?

- Sarà una cosa così? — feci, per niente convinto — e da quando in qua i Serpeverde fanno cose tanto per farle? Forse hanno improvvisamente scoperto il loro talento (inesistente) e vogliono metter su una commedia? Ma dai!

Ginny sbuffò.

- Be’, se non vuoi accettare quello che ti dico, tanto vale che la fai finita di fare il gradasso, io penso che anche loro qualche volta possano divertirsi civilmente come tutti — una commedia no, ma dove ti scappano fuori queste idee assurde? — ma che ne sai, una festa…

- Non so che dirti — dissi, e poi la guardai di nuovo, e ci ritrovai la mia sorellina. Improvvisamente un moto di affetto mi spinse a chiederle scusa, ero stato sgarbato con la mia sorellina, ed era un peccato mortale, vedete. Mia madre mi aveva cresciuto con questa verità. Peccato non avesse fatto lo stesso trattamento anche ai gemelli.

Ginny sorrise e mi baciò su una guancia.

- ti voglio bene — disse.

Dio quant’era adorabile, non credete anche voi che sia adorabile, la mia Ginny?



[/Dove Ron indaga]


Fine Capitolo 6

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Ginny ***


Capitolo 7


[Dove Ginny si trova di nuovo a commiserarsi]



Mio fratello scomparve alla mia vista e io cominciai a dirigermi verso la classe che avrei avuto di lì a pochi minuti.

Ora mi era tutto più chiaro.

In realtà non era la prima volta che pensavo a queste cose, non la prima volta come pensavo ogni volta, ma solo una delle tante.

Eppure, nonostante ciò, sono sempre andata avanti per la stessa strada; posso sembrare stupida, sì, lo so, ma… alla fin fine non c’era tanta scelta.

Cosa credete, è forse facile cambiare la vostra essenza da un giorno all’altro? Quello che siete, le vostre idee e sogni e passioni e amori, amori infiniti… vi sembra facile?

Non c’era molta scelta davvero, poi, vedete: ero la sorella di Ron, e la migliore amica di Hermione, e fin qui tutto bene, ma per Harry, cos’ero per Harry?

Oh, per me lui era tante cose, non credo di averlo mai nascosto. Altrimenti, be’, la mia vita sarebbe trascorsa tanto bene anche dai miei undici anni in su, invece dello squallido crollo che ha subito.

Per me lui era tutto… e per lui io non ero niente.

E se la cosa può sembrare tanto tragica e teatrale ad un primo impatto con il testo, questa è la sintesi di qualsiasi amore non ricambiato. Dio, qua dentro sarò di certo la più banale, a raccontare, ne?

In fondo lui non aveva neanche torto, a non guardarmi neanche in faccia quando gli passavo accanto: ero brutta e sciapa e non certo brava a Quidditch, piangevo tutto il tempo e non rappresentavo nient’altro che una brutta copia dei miei fratelli, in gonnella, però.

I miei fratelli, poi, una gran bella storia! Bill e Charlie più simili a zii, grandi e con vite tutte al di fuori della nostra famiglia; Percy una palla, e non dico altro; Fred e George a volte sin troppo insopportabili, altro bel pacchetto di regalo di compleanno, sapete, e poi Ron, Ron, la persona a me più vicina in famiglia, come la mamma, che si era venduto a Harry Potter per qualcosa come un po’ di risate e avventura e che ne so, sopravvivenza.

Perché non si può andare avanti in questa scuola se non si hanno amici stretti, pensate a Hermione che si è accontentata di me.

Eppure se Ron avesse aspettato un solo anno, un anno, sarei venuta anch’io a Hogwarts e sarebbe stato tutto come prima che lui andasse a scuola, e gli sarei stata accanto, sempre e in ogni caso.

Tra tutti quelli che c’erano, poi, proprio Harry Potter… crescere in una famiglia dove quel nome viene ripetuto almeno quattro volte al giorno che fosse per il pane di ogni giorno («Signore ti ringraziamo per il pane che ci dai. Harry Potter, prega per noi!…») o per lo stipendio di mio padre, credete forse che i bambini non capiscano queste cose?

Ecco, penso realmente che se non ci fosse stata Hermione, mio fratello sarebbe passato dall’altra parte e sarebbe caduto ai piedi di Potter nel vero senso della parola.

Quel ruolo, invece, toccava a me interpretarlo, perché non si può mica lasciare una parte così importante!

E anche se non fosse stato Harry Potter, dico, se al posto suo c’era Seamus o Dean o persino Neville, era scontato che io mi dovessi innamorare del miglior amico di mio fratello.

Pare un po’ un’americanata a dirlo, ma perché no, alla fine va sempre così… Dio, anche se al posto di Harry Potter c’era Draco Malfoy, seriamente, anche in quel caso tutto quello che ero sarebbe stato presentato sul suo altare sacrificale, non sarebbe stata poi una gran perdita.

Purché le mie attenzioni non fossero dirette verso Ron, qualunque altra anima sarebbe andata bene.

- Facciamo che un grande e brutto drago ti teneva prigioniera e io ero l’incantatore venuto a salvarti.

- E certo, vai a vedere che non succede niente alla fine!

Ora di Pozioni. Di nuovo. Che bello. Che bello.

- Perché scusa? — feci alla mia compagna.

Quella alzò le spalle, indicò il calderone.

- Non bolle.

Guardai anch’io, e trovai in effetti un mucchio di melma che non accennava neanche a smuoversi, stretta tutta al centro come fosse un’isola galleggiante.

- wow — la mia compagna aveva probabilmente colto la mia allusione all’isola — l’Ile de France.

Le lancia un’espressione piuttosto asciutta, come per dire “e allora?”.

Io a lezione non c’ero, con la testa.

Non c’ero mai, d’altronde, perché avrei dovuto?

- Immagino che questo sia il risultato del vostro antidoto.

La voce gelida del professore ci paralizzò all’istante, e io rimasi con le mani a mezz’aria, notevolmente imbarazzata.

Quanti punti meno a Grifondoro questa volta? Dieci, venti? Quaranta?

Ma non ebbe tempo neanche di rimproverarci, perché un fumo densissimo invase l’intera aula fino quasi a non poter più respirare.

No, non eravamo le uniche incapaci di antidoti. Soren McBarris sorrideva contento, mentre Piton lo guardava torvo, una volta fuori dall’aula, ancora intenti a riprendere fiato.

- Era un esperimento, professore.

- La mia lezione —

- Lo so, ma non serve a niente lavorare sugli antidoti quando i veleni sono illegali.

Ecco la classica ignoranza di un Serpeverde qualunque. Un altro di quei bamboccioli tipo Malfoy, di buona famiglia, ricco e tutto quanto, ma fastidioso il doppio e sciocco pure.

Intanto, però, la lezione era terminata un’ora prima, perché non era proprio possibile rimettere a posto l’aula in due minuti. Il professor Piton oltretutto sembrava assai crucciato per affari suoi e non aveva una gran voglia di tirarla per le lunghe.

E poi non avrebbe mai rimproverato in maniera seria, o castigato, un alunno della sua casa. Non certo Soren McBarris.

Il professore se ne andò borbottando qualcosa sulla disintossicazione da laboratorio, e intanto il tale McBarris rideva a tutto spiano.

- Perfetto! — mormorò una ragazzina Serpeverde con un ostentato accento — niente lezione! BUCO! BUCO! Grande Sorry! Ti amo!

Certo, si perdeva un’ora di lezione e quelli erano contenti, non pensando a quanto il programma… mi fermai a questo pensiero, orripilata, era il classico intervento di Hermione, quello!

Stavo scomparendo dalla faccia della terra, lo vedevo bene. Non c’era più neanche un rimasuglio di me in me e neanche un più debole ricordo di me negli altri.

Vedere come Ron si comportava mi rincuorava, a volte, ma raramente; nessuno di noi era più lo stesso dopo essere venuti a contatto con Hogwarts, e nessuno di noi sarebbe uscito da scuola con uno dei pensieri con il quale l’aveva cominciata.

Questo vento di cambiamento, lo ammetto, m i faceva rabbrividire, e piangere, piangere al solo pensarci, come se mi avrebbe ucciso, prima o poi… un giorno, forse, sarei morta di questo.

Paura.

E ora, ora dov’era la mamma pronta ad aiutarmi, papà a proteggermi, quella branca di fratelli affamati in ogni occasione da somigliare ad un branco di orchetti, che sarebbero riusciti in un batter d’occhio ad annientare ogni male imminente, se solo avessi gridato? (battuta infelice… meglio piangere che ridere, a volte).

No, gridare, e cantare, non sarebbe servito a niente. Non era servito niente quattro anni fa, non sarebbe servito neanche adesso. Ero sola.

Tornando in Sala Comune, mi accorsi di gelare, benché fossimo alla fine dell’inverno. Non riuscivo a muovere le dita delle mani, avevo quasi paura che una volta piegate queste si rompessero, cadendo a terra e scoppiando come fossero blocchi di ghiaccio.

Non potevo fare niente, dovevo solo aspettare.

Prima o poi la paura sarebbe passata, pensai.

Prima o poi, mi dissi, sarebbe passata per sempre.

Intanto potevo ben trascorrere la metà del mio tempo a pensare alla vita degli altri e l’altra metà a piangere per la mia.



- Facciamo che un grande e brutto drago ti teneva prigioniera e io ero l’incantatore venuto a salvarti.

- Ma gli incantatori non salvano le fanciulle in pericolo!

- Però uccidono i draghi per il loro sangue!

- Allora gli incantatori sono cattivi, se uccidono i draghi.

- No, hanno soltanto altro a cui pensare.

- Tipo?

- Non lo so, ma hanno altro a cui pensare. L’ha detto zia Lynnette.

- Mamma dice di non ascoltare quello che dice zia Lynnette.

- Però racconta delle belle storie!

- Non è vero, fanno paura.

- Non fanno paura. Non andrai mai a Grifondoro, se non sei coraggiosa, poi.

- Uffa, Ron! Io mica la posso comandare, la paura mia!

- Vedi allora, la prossima volta che viene zia Lynnette ti siedi vicino a me, e se hai paura ci sarò io — vedi, la prossima volta che viene zia Lynnette!



A mamma davvero non piaceva la sorella di papà, zia Lynnette.

Non so precisamente i motivi, ma ogni volta che veniva la teneva sempre occupata perché non stesse molto a contatto con noi, ci influenzava negativamente secondo lei, qualcosa del genere.

A me zia Lynnette faceva paura, perché era vestita in modo strano e parlava con la voce altissima, acuta e tagliente.

Eppure sembrava davvero che raccontasse belle storie, e anche bene.

Frequentava giri di persone non raccomandabili, mi chiedo se mai avesse avuto qualcosa a che fare con To-, con Voi-sapete-chi.

Un giorno non venne più, e mamma cominciò a demolire ogni cosa che ci aveva passato. Per quanto lo detestasse il Quidditch, preferì che Ron vi si appassionasse piuttosto che star dietro ancora alle storie che zia Lynnette raccontava, le quali per mio fratello erano una vera fissa.

Gli incantatori, diceva mamma, se mai erano esistiti, ormai erano morti e sepolti da secoli, e non avevano mai fatto la giustizia nel mondo.

Quelli che attualmente si consideravano tali, poi, erano solo una massa di ciarlatani, perché infatti chi aveva sconfitto Voi-sapete-chi, chi l’aveva sconfitto? Harry Potter, non certo gli incantatori di zia Lynnette.

Ma mamma, e gli incantatori, e zia Lynnette, non importava niente, di quello.

Con quelle parole Ron si era aggiudicato il mio favore di sorellina minore, nella sua infantile ingenuità.

Quel giorno gli ero saltata addosso, le braccia al collo, baciandolo, sentendomi più sicura che mai della sua forza; mamma, dalla cucina, si era affacciata e aveva sorriso.

E ora che c’era Harry in mezzo, e ora che Ron non poteva farci proprio niente (ma lui era l’incantatore, e mi avrebbe salvato, sì, mi avrebbe salvato…), se fossi avessi abbracciato mio fratello così come usavo da piccola, se lo avessi fatto così come volevo, allora, allora mia madre avrebbe sorriso di nuovo?



[/Dove Ginny si trova di nuovo a commiserarsi]


Fine Capitolo 7

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Neville ***


Capitolo 8


[Dove Neville fa un triste incontro]



Non mi divertivo affatto a vedere Ron e Harry nervosi, soprattutto perché se la prendevano con me, in quel tipo di occasioni.

No, non che mi picchiassero o che; le loro pressioni erano mali molto più sottili di qualsiasi pugno o minaccia.

- Neville, vai immediatamente a identificare questo Willow!

Scherzo, scherzo. Scherzano tutti, io non posso? Ma Willow lo si cercava davvero.

Willow, o come si chiamava, perché non ricordavo bene il nome del compagno di Malfoy.

- Ma Willow non è un nome da ragazza? — chiese Harry, tutto d’un tratto.

Ron mi guardò.

-Era una ragazza?

- No, no! — risposi — l’ho detto, che era un ragazzi, e aveva una voce bassa, e, e profonda!

- Può darsi che si sono sbagliati all’anagrafe e l’hanno chiamato con un nome da ragazza — ipotizzò Ron.

Certo che erano proprio ragazzi insensati, a volte, e senza Hermione, poi! Forse esagererò un po’ nel dirlo, non che io sia tutto questo che alla fin fine, ma c’è sempre un limite a tutto.

- Che cosa strana — commentò Harry, pensieroso.

- Malfoy, in effetti, prenderebbe in giro un ragazzo con un nome del genere, e senza tanti scrupoli, bastardo com’è.

Puoi dirlo forte, Ron, pensai. Quello continuò.

- E anch’io, in effetti, dico, se tu ti fossi chiamato Mary Sue, invece che Harry, be’…

- Mary Sue? — fece Harry, perplesso.

- Be’, anch’io ti avrei preso in giro. Sì, Mary Sue, ma anche Jessica o Cathy, se ti donano di più.

- Ho una faccia da Jessica? — mi chiese Harry, preoccupato.

Demenziale.

Pensai che no, le Jessica non portano gli occhiali, ma non lo dissi, non era proprio il caso di fare una figura di m***a del genere.

Fu invece Ron a parlare.

- Ma no, hai una faccia da schiaffi e basta.

Harry ridacchiò.

Con tutto rispetto, ma a me non pareva proprio un complimento.

Ora mi chiedo se in momenti come questi quei due potessero oltrepassare la soglia della stupidità (aggiornata ogni anno dalla McGranitt in relazione alla media di stupidità di persone come Tiger e Goyle).

- Ma riguardo a Willow, c’è ben poco da dire — riprese Ron poi — però può darsi che è un travestito.

Harry rise di nuovo.

Macché Tiger e Goyle. Quelli erano Calì e Lavanda.

- Scusate — cercai di parlare, ma fu inutile, non mi ascoltavano minimamente.

- Ma no, no, non può essere — disse poi Harry, convinto.

- E allora magari si tratta di un fantasma.

- Scusate — provai di nuovo, e intanto il mio solito mal di testa aumentava a dismisura.

- E che c’entrano i fantasmi con i travestiti e Willow?

- Allora era un soprannome!

- Sì, e Malfoy come veniva chiamato? Drackie?

- OHI! — gridai.

I due si voltarono verso di me, finalmente.

- Eh? — fecero all’unisono.

No, non c’era nulla da fare.

- Niente — dissi, sconsolato — pensavo solo che Willow poteva essere un cognome, magari. Malfoy chiama sempre tutti per cognome.

Ecco il fantasma, eccolo, avete visto le loro bocche spalancate?

Neanche a dire che sono un genio della logica, non avrei mai questa presunzione, o meglio ancora, non sarei mai così bugiardo: ve ne sarete accorti anche voi, è una cosa talmente elementare che anche il mio rospo potrebbe capire.

Ma ero stanco e scocciato di stare in mezzo a quei due.

- Scusatemi — dissi — vado in infermeria a prendere qualcosa per il mio mal di testa.

Pronti ad accompagnarmi? Certamente, come no?

Mettiamo gli amici davanti a qualsiasi problema personale e accompagniamoli in infermeria, forza!

Giustamente non c’è molto da dire, ho analizzato un po’ meglio la situazione poi…

Io non ero loro amico.

Ma non per questioni di antipatia o che, no. Insomma, non siamo tutti Malfoy e Potter in questo mondo, ma semplicemente io, io solo, non ero davvero il tipo che si fa gli amici facilmente.

Ero in effetti non il massimo dell’intelligenza, né dell’attenzione, né tantomeno dell’allegria.

Un clown triste, forse.

E comunque, una persona pesante indubbio, in molte delle situazione. Posso ridere agli scherzi, sì, ma in realtà devo ridere, altrimenti verrei criticato e deriso.

Ma non ho niente da ridere, in realtà, non ho mai avuto niente da ridere.

Meglio ridere che piangere, comunque, ed a questo pensavo entrando in infermeria, già pronto a subire i rimbrotti di Madama Chips, sulla mia tendenza a farmi male da solo, e pronto anche a bollire nel brodo dei miei pensieri per un lungo tempo mentre aspettavo che l’infermiera si facesse viva.

Ma l’infermeria non era vuota. Una ragazzina biondo cenere, il capo abbassato, le gambe ciondolanti, sedeva su una sedia nella saletta d’aspetto, e quando arrivai, alzò la testa e mi guardò bene in faccia.

Sorrise debolmente.

- Ciao — disse — Madama Chips sarà qui in dieci minuti, mi sta prendendo qualcosa per la gola.

La voce, la voce era spezzata, ma non dal pianto, era una cosa strana, roca e sconnessa, e pensai che parlare così era troppo anche per dire di problemi alla gola, tanto che capii appena cosa disse.

Improvvisamente, quella voce, il volto, il sorriso, mi furono famigliari, e in modo incredibile. L’avevo già incontrata, da qualche parte. Pensiero decisamente stupido, per uno che vive in un collegio e vede sempre le stesse persone, ma in effetti non mi sbagliavo.

Ecco, l’avevo incontrata al San Mungo, durante una visita ai miei genitori.



Okay, non c’era mica bisogno di fare una così lunga pausa di requiem, ormai avrei dovuto esserci abituato.

Ma adesso la ricordavo bene.

Ero seduto davanti a lei, e questa improvvisamente interruppe il breve silenzio che si era creato dopo il mio scarno saluto.

- Come… come stanno i tuoi?

Sembrava una delle classiche domande di cortesia che tanta gente mi faceva, eppure c’era qualcosa di vero, di sentito, e faceva molta differenza per me, anche se non sapevo bene come rispondere.

- Insomma… - feci.

Vedete, non che ci fosse molto da dire davvero, né di nuovo di vecchio, tanto che le loro condizioni erano sempre state le stesse negli ultimi tredici anni.

Lei sospirò.

- Che brutta cosa — disse.

Annuii, e poi mi venne altro in mente su quella ragazzina.

Lei aveva la madre lì, non era forse vero? Sì, era proprio la figlia, le somigliava.

L’avevo vista sua mamma, io, e non stava bene davvero, non certo meglio dei miei.

Un giorno era fuori e mi si era accucciata accanto, gli occhi pieni di lacrime, l’espressione un po’ vuota, un po’ disperata, e allo stesso tempo così dolce, come se fosse mia madre.

Lo ricordo distintamente quell’attimo, anche se allora avevo solo sette anni.

Lei mi aveva parlato.

- Meglio non sapere mai, meglio non conoscere — aveva sentenziato, singhiozzando — meglio non ricordare… vedi che tanto dolore se ne va, se rimani ignorante.

Non sapevo cosa volesse dire, mia nonna chiamò ben presto medimaghi e infermieri a portarla via, mentre continuava a piangere.

E io che potevo dire a quella ragazzina? Non ero così capace alla fin fine nelle forme di circostanza.

Ma in quel momento irruppe nella sala un ragazzo alto dallo sguardo deciso, piuttosto seccato.

- Sorellina, vieni, devo parlarti di cose importanti.

Sì, ricordai che in effetti c’era anche un fratello. Ed era, probabilmente, proprio quel ragazzo alto e dallo sguardo deciso, con una voce bassa e profonda, una voce… quella voce!

Willow!

- Ma Orsy — protestò debolmente la ragazzina — devo prendere le gocce.

- Possono aspettare! Ti prego, Dol, seno affari urgenti davvero.

Nel dire questo, si voltò verso di me e mi guardò con fare circospetto.

Non c’erano dubbi, era sempre Malfoy, che c’era di mezzo.

La ragazzina si alzò, mi lanciò un cenno di saluto e seguì il fratello verso l’uscita.

Orsy, Dol, dovevo ricordarmelo.

Orsy, poi. Era ancor peggio di chiamarsi Willow.

Attesi solo qualche minuto nella stanzetta, da solo, poi arrivò Madama Chips.

- Paciock! — esclamò — di nuovo tu? Che hai stavolta?

Mormorai timoroso qualcosa riguardo i miei disturbi alla testa, e Madama Chips sospirò.

- Vorrei proprio capire come mai sei un ragazzo così disastrato, Paciock — borbottò.

A saperlo.

In fondo tutti lo sapevano, comunque, solo che non volevano tenerne conto.

Alla fin fine, si dicevano, anche Potter non ha i genitori, eppure, supposizioni della Skeeter a parte, è a posto.

Be’, una cosa è perdere i genitori, pensai.

Un’altra, i genitori che si perdono da sé.

E non mi riferisco, ovviamente, alla società degli aspaziali della madre di Lavanda Brown.

Certo che pure qui potevano arrivarci tutti, ma magari non ci volevano pensare, e meglio per loro, hanno tutto il diritto di sorvolare. A chi piace pensare a questo genere di cose?

Una volta avevo parlato un po’ con quella ragazzina, al San Mungo, e lei d’improvviso aveva detto “Mia madre non è pazza”.

Ecco, dunque, pensai che in fondo la madre di quella ragazzina non era veramente pazza.

Almeno, aveva ragione.

Tanto meglio non sapere, che il dolore se ne va.



Allodola del ricordo

È il tuo sangue che scorre

È il tuo e non il mio

Allodola del ricordo

Ho stretto il pugno mio

Allodola del ricordo

Gentile uccello finito

Non saresti dovuto venire

A beccare nella mia mano

I semi della dimenticanza.



(Jacques Prévert, Sangue e piume)



[/Dove Neville fa un triste incontro]


Fine Capitolo 8

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Harry ***


Capitolo 9


[Dove Harry convince Ron a far pace]



Neville ci aveva dunque lasciato. Solo allora Ron decise di dire il ricavato delle sue ultime indagini.

- Ne sei proprio sicuro?

- ma sì, ti dico! Quel viscido di Malfoy si è messo a confabulare con quelli del settimo anno di Serpeverde!

Annuii. Non era certo la prima volta che Malfoy veniva assecondato anche dai più grandi, i quali forse avevano timore dell’influenza del padre sul mondo magico.

Però…

- scusa, ma chi te lo ha detto? — chiesi.

Ron sbuffò. — i gemelli!

- Non ne avrai parlato con i gemelli?!

- No, no, ho fatto il vago…

- Per come puoi fare il vago tu…!

- Oh, insomma, finiamolo! Ti dico che ho fatto il vago.

- Quando?

Ron sbuffò per una seconda volta.

- ecco… - iniziò.

- Allora?

- In poche parole, non è che ci abbia proprio parlato, con i gemelli.

- Come?!

Sembrava quasi imbarazzato.

- Cioè, sai quando siamo tornati dagli allenamenti, l’altroieri…

Grazie al cielo, la botta che mi ero preso dal bolide non mi aveva impedito di continuare a giocare. È stata una cosa piuttosto leggera.

- E allora?

- Be’, tornando ho visto Fred e Angelina che, ehm, parlavano.

- Parlavano?

Ron distolse lo sguardo. Adesso era propriamente imbarazzato.

- Be’, parlavano anche…

- E che dicevano?

Non era molto contento delle mie interruzioni frequenti.

- Ma la vuoi finire di fare domande? Sto parlando!

Tacqui.

Con tutti i miei propositi, non potevo fare a meno di seguire le “indagini” che Ron e Neville (questo, per quanto poteva) stavano svolgendo. Non che avessimo molte buone notizie, a volte pareva che fosse qualcosa di più pesante, rispetto a un sabotaggio di una partita di Quidditch.

- Scusa — dissi infine, rivolto al mio amico. Questo riprese a parlare.

- In pratica, parlavano di Lee. Angelina diceva qualcosa del genere “Non dovrebbe stare dietro Colette Compton, quella là va pure con Malfoy”.

Frase che a me non diceva assolutamente niente.

- Colette Compton? — chiesi allora, cercando di rammentare un volto nella mia testa con quel nome.

- Harry! — mi rimproverò Ron.

- Eh?

- Quella — e qui disse una cosa che meglio non scrivere — di Serpeverde, settimo anno, Prefetto… quella americana!

Sbuffai. Non avevo presente in mente nessuna americana, no davvero.

- Be’, solo tu ti metti a guardare le Serpeverde!

Annotazione giusta da fare. Non c’erano Serpeverde degne di nota, essendo Serpeverde.

Ron non era dello stesso parere.

- Come ca**o fai a non notarla? Hai gli occhi foderati di prosciutto, ecco che è…

Non sopportavo Ron quando mi diceva che avevo gli occhi foderati di prosciutto. Potevo essere un po’ miope, ma comunque… Ron aveva realmente bisogno di litigare. Se non c’è Hermione, cercava di litigare addirittura con me. Gli mancava troppo quella ragazza.

- E allora? — feci poi.

Strabuzzò gli occhi.

- Come “e allora?”?!?

- Cioè, che questa “va” con Malfoy, a me che me ne può fregare?

- Ma non capisci? I genitori di Colette Compton sono commercianti, hanno negozi in tutto il mondo, vendono ingredienti per pozioni! È facile che Malfoy traviando quella povera figliola la costringa a procurargli qualcosa di illegale, non so, veleni…

Non sopportavo neanche quando aveva questi lampi di intelligenza, era del tutto fuori luogo.

- Sai, certe volte somigli a Hermione — gli dissi per ripicca.

Ron ci rimase secco, o qualcosa del genere. Poco dopo, era sul punto di picchiarmi.

- NON-DIRE-QUEL-NOME!

Quella frase l’avevo già sentita. Sì, sì, Ron la diceva spesso, ma in un contesto diverso.

- Sei anche monotono — dissi.

Ma Ron non mi ascoltava più, amen.



Che fare quando ogni coincidenza, anche quella meno probabile, dev’esser presa per un potenziale indizio?

Che fare quando, pur di scoprire l’ultimo complotto contro di me, bisognava controllare il significato di ogni parola sul dizionario?



- diceva proprio vendetta?

- Sì, sì.

- Ma ne sei proprio sicuro?

- Sì!

- E che altro diceva?

- Non ricordo bene…

- DEVI ricordare!

- Okay, okay… adesso… adesso ci penso.

- ma, ascolta: diceva “alla vendetta”, o “della vendetta”… o “per la vendetta”?

- ma che differenza fa?

- voglio sapere cos’ha detto, parola per parola!

- Be’, allora…

- allora?

- nonricordoaltro.

- che ha detto?

- che non se ne ricorda.

- NON PUOI NON RICORDARTENE!



E dunque era così difficile capire qualcosa, e ogni ipotesi portava con sé mille diverse possibilità.

E, seriamente, per la prima volta i conti non mi tornavano.







- Ron?

- Eh?

Presi coraggio.

- Sai, penso che dovresti far pace con Hermione.

Si rabbuiò appena nominai il suo nome. E non si degnò neanche di rispondermi.

- Perché no? — chiesi.

- Perché no cosa?!

Sbuffai.

- Lo sai benissimo cosa.

Silenzio.

- che palle che sei — disse infine.

- voi due non siete certo meglio — dissi.

- Ca**o, Harry! Che ti dobbiamo fare sempre da spalle, neanche ci chiamassimo Tiger e Goyle???

- Non è tanto quello, ma piuttosto-

- No, è proprio quello, Harry, è proprio quello! Pretendi che io e te e lei stiamo sempre appiccicati, pretendi che siamo una cosa sola, anche quando non dobbiamo difenderci da chissà quale pericolo! Tra un po’ Hermione, pur di tenerti sotto controllo, dormirà nel letto di Neville. O che ne so, magari Seamus gradirebbe di più…

Mi aveva preso alla sprovvista.

- Non-

Mi guardò, sfidandomi a dire qualcosa di sensato che mi discolpasse.

Parlai tutto d’un fiato.

- il fatto è che siete miei amici e litigate per motivi così futili…

- saranno affari nostri, no?

- Sì, non dico questo, ma…

Non reggeva, non reggeva.

- Vedi che magari riusciamo a risolverli anche senza dover fare le cose a tre.

Tentai di protestare.

- Ma hai visto come sta Hermione…

- Harry, quella è colpa sua, sua, sua! Se le piace farsi male da sola, con tutti quei stramaledetti libri, è colpa sua!

Era rosso in faccia dalla rabbia, mentre mi gridava quelle cose. Ma non so cosa realmente stesse pensando.

Interruppi il silenzio tra noi solo dopo che mi venne di nuovo il coraggio di rispondergli, un momento interminabile, ve lo posso assicurare.

- non sono i libri che le fanno male, Ron.

Mi guardò, stava riprendendo fiato, convinto di aver avuto l’ultima parola. Mi fece segno come per spiegare meglio quello che avevo detto.

- Non sono i libri che la fanno stare così, sei tu che non le rivolgi parola.

Insomma, una cosa a cui ero arrivato da solo, per favore, fatemela dire con un po’ di effetto.

Sulle sue labbra si formò un sorriso amaro, gli occhi azzurri ora spenti, privi di qualsiasi moto di rancore o entusiasmo.

- sciocchezze — disse soltanto.

Sembrava un cucciolo bastonato, e con una certa vergogna ammisi a me stesso che non era così che dovevano andare le cose. L’avevo ferito gravemente, e in qualche modo volevo riparare.

- Non pensare che non gliene freghi niente di te, sei comunque il suo migliore amico.

- Sei TU il suo migliore amico, Harry. Io sono solo un povero imbecille che vi gira attorno, e che cerca di copiare i suoi temi chilometrici quando non so che scrivere.

- Però lei piange quando litiga con te — gli feci notare.

- è solo che sono uno stronzo e allora la faccio piangere. Per gusto, sai.

Ma non era così, accidenti. E mancava poco che Ron avesse gli occhi lucidi.

Certo mi lasciava un po’ interdetto, a volte.

- se lo ammetti — parlai, pur rischiando di venire spiaccicato da qualche parte — perché non fai pace con lei? Non c’è neanche bisogno che tu le dica qualcosa di particolare… ti perdona all’istante.

Abbassò gli occhi.

- Lascia perdere, Harry, okay?

Il discorso cadde lì. Io, almeno, avevo detto la mia.



Più tardi, però, prima di cena, mi fermò.

- Harry…

- uh?

- Forse… forse farò come hai detto tu.

Sorrisi, mentre lo vedevo allontanarsi da me.

Poi pensai che probabilmente era anche un atto egoistico da parte mia, come aveva detto lui. In quel caso, però, non avrebbe portato che bene. Almeno così credevo.





[/Dove Harry convince Ron a far pace]


Fine Capitolo 9

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Ron ***


Capitolo 10


[Dove Hermione riceve le scuse di Ron]



Avevo scoperto una cosa interessante in biblioteca, e non potevo non essere soddisfatta di me.

Ecco, non era precisamente una cosa che avevo scoperto, e soprattutto, ancor di più, non era niente che riguardava la roba che di solito si trovava in biblioteca, niente libri, in poche parole.

Meglio dire che avevo origliato qualcosa, e di molto interessante.

D’accordo, non sarà giusto, ma in certi casi è giusto: soprattutto quando in biblioteca ci dovrebbe essere silenzio, e invece non c’è mai.

Come potreste immaginare, ero in biblioteca, e stavo studiando.

Non è vero; non stavo studiando… o almeno non sul serio, era da tanto che non lo facevo più. Io… io ero troppo distratta da altre cose, vedete.

Scorrevo le righe senza comprendere il loro significato, senza neanche accorgermi di aver passato venti pagine in questa misera situazione, quando improvvisamente mi svegliai, poiché la porta della biblioteca si aprì e si sentirono i passi di un piccolo gruppo di persone.

Una di queste, una voce femminile dall’accento straniero, leggermente nasale, cominciò a parlare, e non sentirla era un compito ancor più impossibile di leggere il libro che avevo sotto gli occhi.

- Senti — diceva — non so come riusciremo a procurarcelo, dico, è piuttosto difficile da trovare.

Le rispose poco dopo una voce maschile, che sembrava aver ragionato molto sull’argomento.

- Potremo farlo noi.

- Non renderebbe abbastanza.

Fin qui, non erano per nulla affari miei, e sarebbe stato molto meglio se mi fossi attappata le orecchie, ma quando sopraggiunse la voce di Malfoy, be’, tutto d’un tratto decisi che pur non essendo fatti miei sarebbe stata una cosa buona ascoltare.

- Forse potrebbero trovarlo i miei genitori, insomma, abbiamo un sacco di roba al Malfoy Manor…

Figurarsi se non perdeva occasione di vantarsi.

Ma non c’era tempo di parlar male di Malfoy, di cosa stavano parlando esattamente? Perché parlavano in una maniera strana, circospetta e nonostante ciò non si curavano di abbassare la voce.

Sembrava tutto troppo strano perché Malfoy stesse semplicemente progettando qualcuna delle sue: in fondo non faceva altro che rinfacciarmi di vivere in biblioteca (non era neanche l’unico), e tutti alla fin fine sapevano che avrei potuto sentire tutto.

E allora erano lì proprio per farmi sospettare? Insomma, a quanto pareva di parlava di vita o di morte, e se Malfoy aveva parlato dei suoi genitori voleva far credere che anche loro avessero un compito ben preciso.

E se fosse stato veramente un qualcosa che aveva a che fare con Colui-che-non-deve-essere-nominato e i Mangiamorte?

Ma no, mi dissi, era tutto troppo facile! Doveva essere una trappola, una trappola per indurre Harry a mettersi nei guai.

- Sarà allora abbastanza forte per una vendetta in piena regola?

Era la voce dell’altro ragazzo.

Ma dai, era troppo evidente, ci volevano far cadere in inganno. Dovevo avvertire Harry e Ron, forse loro erano già sulle tracce di qualche intrigo quando magari non ce n’erano.

In caso, poi, avremmo dovuto parlarne con il professor Silente, o con la McGranitt…

Poi mi colpì un pensiero: già, parlare… come diavolo si faceva a parlare con i professori se non riuscivamo neanche a parlare tra noi?

Ma alla fin fine io dovevo soltanto dire tutto a Harry e a nessun altro; Ron non c’entrava, non sarebbe crollato di nuovo tutto con un altro bisticcio.

Che altro sarebbe potuto crollare, allora?

I tre si erano appostati nel terzo corridoio, quello della narrativa — se fossi uscita, non si sarebbero accorti di me. Mi alzai in punta di piedi, raccolsi la mia roba e sgusciai fuori dalla biblioteca.

Dove potevo trovare Harry?

Pensai che era ora quasi ora di cena, e forse si trovavano — cioè, Harry si trovava — già in Sala Grande.

Mentre scendevo le scale, però, scorsi Ron che veniva verso di me.

- Hermione! — gridò, dopo qualche istante che mi aveva visto.

Mi aveva forse parlato?

Mi aveva parlato?

No, mi risposi; mi aveva semplicemente chiamato, e…

- Ti stavo cercando — disse, una volta ai piedi delle scale. Non sembrava né allegro né triste, e poi non mi guardava in faccia.

Non volevo sentire, non ci credevo… no, non c’è da piangere, Hermione, non c’è da piangere… non c’è da piangere — devi trovare Harry!

Giusto.

- E io stavo cercando Harry — dissi, semplicemente.

- Senti, io-

Lo interruppi, dovevo sputare fuori Oscar prima che scoppiassi a piangere come una folle.

- Sh! Malfoy, in biblioteca… stava parlando di cose strane, e sembrava-

Ron sembrò meravigliato.

- Anche tu lo hai scoperto? Te lo ha detto- ma no, ecco, è un affare grave, e noi non sappiamo che pesci prendere!

- Ma che affare grave! — esclamai, seccata per esser stata interrotta. Ma no, ci stavano deviando, Malfoy e compagnia bella, era così ovvio!

- Ti dico di sì, non è la prima volta, e… diavolo, avremmo dovuto parlartene prima!

Bene. Urgeva aiuto da Hermione.

È una cosa così bella, a volte, che la gente si affidi a te quando ha bisogno di aiuto. Avere così tanta fiducia da parte degli altri, essere considerati responsabili, e intelligenti, ed utili.

Quando c’è bisogno di aiuto.

- Senti, ti posso solo dire che non è come voi immaginate, di sicuro; io l’ho sentito e-

- Anche noi l’abbiamo sentito, che credi?

Cominciava a darmi sui nervi; ero sicura di quello che dicevo, insomma, io li avevo sentiti e non c’era alcun dubbio sul fatto che stavano cercando di prenderci in giro.

- Sì, ma non avete di sicuro capito che lui- insomma, NON AVETE CAPITO NIENTE! — gridai.

Ron, allora, rispose al mio grido con un altro grido.

- E CHI TI DICE CHE SIA TU AD AVER CAPITO TUTTO?

Avevo perso la testa un’altra volta. Lo sapevo, che sarebbe successo, lo sapevo, io-

- LO SO, RON, PERCHE’ VOI LA MAGGIOR PARTE DELLE VOLTE SIETE DELLE EMERITE TESTE DI LEGNO!

- AH, TESTE DI LEGNO, EH? PENSA A QUALCUN ALTRO, NON A NOI, E SOPRATTUTTO NON A ME!

Quando diceva “qualcun altro” così, intendeva Viktor, e mi faceva inquietare in una maniera assurda; era già tanto che era andato tutto male prima, se ci si metteva pure lui a gridarmi addosso quel nome, ogni volta, con quell’odio profondo…

- FALLA FINITA!

- MA CHIUDI LA BOCCA TU, NON RIESCO NEANCHE A PARLARE CHE GIA’ HAI DA RIDIRE!

- BE’, NON SEI CERTO LA PERSONA PIU’ RAGIONEVOLE DEL MONDO!

- NON MI FAI NEANCHE PARLARE!

- BE’, GRIDA, ALLORA, VEDI COME TI SI SENTE?!

Ron allora abbassò il capo.

Poco dopo, iniziò a salire le scale, lentamente, diretto senza dubbio verso di me. Quando si fece più vicino, e vidi la sua faccia scura, indietreggiai d’istinto, intimorita.

Mi passò accanto senza neanche guardarmi.

- Sappi comunque — disse, con voce fievole — che volevo solamente scusarmi.

Non si era fermato ad aspettare una mia reazione, sparì ai miei occhi in quel momento, dietro qualche angolo, non so.

La mia reazione però ci fu, e non tardò ad arrivare.

Mi accasciai a terra, priva di qualunque pensiero coerente, e piansi finalmente. Sembrava non dover finire più.

Perché era sempre tutto così sbagliato? Perché ero sempre così sbagliata, io?



Dopo essermi ripresa, mi sono sciacquata la faccia e sono salita in Sala Comune, decisa più che mai ad andare a letto senza cena, un’altra volta ancora.

Di nuovo, però, non sono riuscita a raggiungere la mia meta, poiché ho incontrato Harry a metà strada.

Mi sorrise.

- Ciao Hermione — disse — hai visto Ron? Pensavo fosse con te.

Di bene in meglio! Ci mancava anche lui, un tatto che faceva paura, davvero, a chiedersi perché uno stava sempre attento a non nominare i genitori in sua presenza.

Non risposi.

Harry si avvicinò di più.

- Allora? Avete fatto pace, finalmente?

Ah, ma ovviamente lui sapeva tutto delle intenzioni di Ron. Solamente che poi questo non si era andato a confidare con l’amichetto dopo quello che era successo.

- Ohi? — mi fece, probabile che fosse passato un sacco di tempo mentre mi uccidevo mentalmente più e più volte. — Perché non rispondi?

Lo guardai in faccia.

- Sai che ti dico? VAI AL DIAVOLO, HARRY POTTER!

Non c’è che dire, ci deve essere rimasto proprio bene.

Tacque all’improvviso e se ne andò via, in silenzio, lasciandomi da sola, anche lui.

Questo era giusto.

Neanche un secondo dopo che Harry era sparito, sentii dei battiti di mani, lenti e cadenzati. Da un angolo, sbucò fuori Draco Malfoy.

Lo guardai sorpresa.

- Ben fatto, Granger — mi disse, compiaciuto. — Era proprio ora che anche tu glielo dicessi, davvero!

Ero paralizzata. Ci aveva spiato? Forse mi seguiva sin da quando ero uscita dalla biblioteca?

Per quanto ripetessi sempre a una certa persona di non essere volgare, istintivamente mi scappò un insulto.

- Guarda che sono sincero, Granger — disse lui, sorridendo.

- Impicciati dei fatti tuoi, Malfoy!

- E’ quello che ho sempre fatto. Ma se cammino per un corridoio e sento una voce ben nota gridare “vai al diavolo, Harry Potter”, non posso far a meno di sentire.

- Ma tu non stavi camminando per un corridoio, mi stavi seguendo da quando sono uscita dalla biblioteca!

Malfoy fece una faccia strana, allora, in un misto tra lo stupito e l’allarmato.

- In biblioteca? … ma quando… quando mai?

- In biblioteca, quando facevi allegre chiacchierate con i tuoi amichetti di Serpeverde!

A questo punto, sembrava davvero terrorizzato.

- Non avrai mica origliato? — mi accusò.

- Ma magari sei tu che hai origliato! — esclamai, furiosa. — E non pensare che io ci caschi nei tuoi giochetti, perché potrai anche essere un bravo attore, ma con me la commedia non funziona!

Mi guardò con tanto d’occhi, e poi fece una smorfia.

- Ah, be’, pensa quello che vuoi, Granger — disse; - bel modo di rispondere, però, quando uno per la prima volta ti fa un complimento… vedi perché sono meglio gli insulti?

E anche lui sparì nel nulla, e se non avessi letto Storia di Hogwarts avrei seriamente pensato che si fosse smaterializzato, lui e gli altri due, tanto che la mia testa non si trovava più da nessuna parte.

Di tutto quello che era successo nelle ultime tre ore, neanche una volta che avessi fatto la cosa giusta.

Bello, andare avanti così, lo consiglio a tutti.





[/Dove Hermione riceve le scuse di Ron]


Fine Capitolo 10

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Ginny ***


Capitolo 11


[Dove Ginny si accorge di qualcosa]



Without your pulling it, the tide comes in,

Without your twirling it, the earth can spin.

Without your pushing them, the clouds roll by.

If they can do without you, ducky, so can I!



Harry non mi piacerà più, d’ora in poi.

Via dall’infanzia, via dai sogni più assurdi, quelli che parevano patetici al primo impatto.

Non funzionavano mica.



I sogni della nostra piccola Virginia Weasley
“Io… io ti amo, Ginny. Sin dal primo momento che ti ho vista, io… non ho potuto far altro che pensare a te”. La voce di Harry, leggermente impacciata, ma forte e chiara, e sincera, trasparente, eccola, eccola!

Da anni aspettava di sentirlo, e ora non sapeva che rispondere.

Ma Harry aveva altro da dire.

“Mi… mi vuoi sposare?” continuò “dopo la scuola, noi… noi ce ne andremo da qualche parte e metteremo su famiglia… avremo tanti bambini e-“



E Tom vorrà ucciderci tutti.

Ma non era tanto quello il problema. Harry non accennava neanche una volta a Voldemort, era tutto andato, ormai, Harry era un eroe, un mago fuori dal comune, lui l’aveva sconfitto da tanto tempo ormai.

Non quadrava molto il fatto dei bambini, a dir la verità. A me sarebbe piaciuto essere figlia unica, come Hermione. Perché avrei voluto sì tanto male ai miei bambini affiancandogli tanti fratelli?

Forse non mi sono spiegata bene, ma in poche parole a questo punto mi interrompevo. Vedete, era il mio futuro, non potevo costruirmelo così come non mi sarebbe piaciuto.

Non certo come l’autrice — quella pur di finire scriverebbe le più grandi sciocchezze del mondo — e non come Hermione.

La mia amica usa di fare tutto una questione di carta. La carta li crea (“ma ci dovrà essere qualcosa scritto da qualche parte!”), la carta li distrugge (“C’è di sicuro un incantesimo adatto”). La carta rende più semplice la vita. Bidimensionale, sapete.

Da questa mia parte, invece, qui dove il mondo ha tre dimensioni, o forse anche più, mi trovo ogni volta davanti ad un possibile suicidio, perché sopportare tutto e tutti non è poi così facile.

Perché lasciare che l’amore mi uccida?

Uccidiamo l’amore.



Senza che te la attragga, la marea arriva,

Senza che te la ruoti, la terra può girare.

Senza che te le spinga, le nuvole si muovono…
Se possono far tutto questo senza te, loro, be’, allora anch’io posso!



Per qualunque ragazzo questa canzoncina avrebbe funzionato, bisognava solamente cantarla, e passava tutto, passava, passava!

Ma perché proprio Harry Potter doveva uscire di nuovo fuori dagli schemi?

Non dico letteralmente, perché Harry non controllava né acqua né terra né aria, e tantomeno fuoco… però, scusate per la battuta infelice, che mondo sarebbe senza Harry Potter?

Un mondo nelle mani di Voldemort? Un mondo pieno di Mangiamorte e male?

Un mondo ormai sempre più vicino alla fine?



D’ora in poi non mi piacerà più Harry Potter.



- Ginny? Ohi? Buon giorno, chi parla?

- Ciao…

- Parlo con Ginny Weasley?

- Forse…

- Ma che è diventata una moda non mangiare più di questi tempi? O è soltanto un atto di solidarietà verso il Prefetto Granger?

- Chasta, lasciami in pace, ti prego…

È sempre così, in qualunque scuola uno si trovi, o almeno credo, non avendo frequentato mai altre scuole all’infuori di Hogwarts. Pensiamo tutti, quando il trimestre finirà, quando il trimestre finirà la pace tornerà a regnare in queste terre.

Non è così. Non è mai così, ve lo assicuro.

Tant’è che il professor Piton ha già ricominciato a interrogare.



I sogni della nostra piccola Virginia Weasley

Il professore era ad aspettarli in aula, seduto alla cattedra, le braccia conserte, la calma quasi dipinta nel suo sguardo.

“Oggi ci dividiamo in due gruppi” aveva detto “l’esperimento di oggi è fondamentale per il programma di quest’anno”.

I Serpeverde da una parte, i Grifondoro dall’altra. Sorensen McBarris che sghignazzava dalla prima, Abby che batteva le mani entusiasta.

Piton cominciò a distribuire dei fogli ai due gruppi. Ginny si spinse leggermente avanti per vederli.

Spartiti musicali.

I tre porcellini…



Devo dire che nessun incubo, almeno dopo Tom, mi aveva mai colpito più di questo.

Cantare “I tre porcellini”… ma prima ancora di me, Piton si sarebbe rifiutato — anche solo di stare a sentire. Perché a volte mi venivano in mente cose così dementi?

Stavo male indubbio, ecco cos’era.

Forse però quel sogno non era finito così. Ad un certo punto sarebbe entrato in scena Harry e avrebbe iniziato a prendere in giro il professore fino a farlo diventare rosso, fino a farlo seppellire sotto terra per la vergogna, fino a farlo scomparire per sempre, nel nulla.

Nel sogno.

Ma perché doveva sempre intervenire, questo benedetto Harry Potter? Lui poteva fare tante cose, e mi sta anche bene, io non voglio dire niente su questo, ma perché anche umiliare l’insegnante di pozioni? Perché anche salvare la giornata, come sempre, anche nei sogni?

E soprattutto, perché Harry riusciva a fare tutte queste fantastiche cose, e ancora non riusciva ad aprire abbastanza gli occhi, quei occhi che erano pure bellissimi, dopotutto, aprirli abbastanza per riuscire a vedermi?

Sarà colpa degli occhiali?

- Ginny? Mi stai a sentire?

- Chasta, no, che vuoi?

- Volevo soltanto chiederti se potevi ringraziare Colin da parte mia per quella foto.

- Lo vedi tutti i giorni anche tu, ti vergogni forse? Lui sarebbe più felice se glielo dicessi tu stessa — dissi senza pensare.

Chasta fece una faccia strana, un misto tra perplessità e sorpresa.

- Non dire sciocchezze — fece, sorridendo — che ti prende?

- Chasta, lo sai che piaci a Colin?

Lei scoppiò a ridere come non ci fosse mai stata cosa più divertente di quello che avevo detto. E io non capivo perché, ed ero anche un po’ offesa, e non ci stavo con la testa.

Questa è una storia fatta di sogni, e io stavo ancora dormendo, vedete?

- Che c’è? — chiesi — perché ridi? Che ha Colin che non va?

- No… ghghg… scusa, davvero, niente non va in Colin, anzi, è anche carino! Però credo tu abbia capito male!

- Capito male? Cos’ho capito male?

Lei non rispose, continuò a ridere.

- Chasta? Chasta? — continuai a chiedere, mentre lei cercava intensamente di strozzarsi con il pranzo.

Da qualche posto più in là, allora, intervenne Marianna.

- Che è successo? — chiese, giunta dietro di noi con un salto, la mano già intenta a dare pacche sulla schiena di Chasta per farla riprendere.

- Non lo so, le ho detto che piace a Colin, ed è scoppiata a ridere.

Marianna guardò di nuovo Chasta, poi guardò me, veramente perplessa.

- Strano — disse — io pensavo che a Colin piacessi tu.

Chasta ebbe un altro attacco di riso, mentre io arrossii, senza un motivo particolare.

- Che dici? — feci, incredula.

- Oh, senti, io non ne so niente, però se Chasta muore soffocata poi chi la sente la McGranitt?

Rialzammo Chasta da terra, dove era rotolata giù dalla panca (vedete che succede a chi non si siede correttamente!), ancora in preda a risate isteriche.

- Mamma mia, ma a questa che le prende?

Dopo qualche minuto in preda alla follia più completa, però, Chasta si calmò.

- Scusa — mi disse, con tono sincero — non volevo prenderti in giro. Mi fa soltanto ridere che non te ne sia accorta.

- Accorta di che? — Chasta avrà anche riso per mezz’ora rischiando di morire, ma la più rossa lì ero io.

- Di tutte quelle foto che ti fa — disse Chasta — insomma, lo sappiamo tutti che è fissato, ma ultimamente ha cambiato preferenze in quanto al soggetto.

- Mi fa delle foto? — chiesi allarmata a Marianna.

Lei alzò le spalle.

- Non chiedere niente a me, io non sento, non vedo, non parlo… è mia cugina Franz che lo dice, al massimo. Chasta forse non è una fonte sicura, ma Franz sì.

A fidarsi di Francine Zabini il mondo sì che sarebbe andato avanti. Sarebbe riuscita a far confessare crimine per crimine anche ai maghi oscuri più pericolosi, se ci si fosse messa sotto.

Ma non è Francine Zabini la persona a cui stavo pensando, in quel momento. Alla fin fine la potete vedere benissimo durante gli stacchetti, quindi…

- Davvero non te ne eri accorta, Gin?

Evitai di guardare Chasta.

Ma sì, vedi che mi ero accorta anche che Colin scattava qualche foto con me in mezzo, se gli capitava. Non avevo mai fatto il conto di quante volte fosse successo, però.

Quindi non fotografava più così spesso Harry. C’erano motivi sufficienti perché non mi avesse mostrato più i suoi ultimi album.

Wow.

Allora era così.

Forse dovevo semplicemente cambiare punto di vista, per avere un po’ più di felicità.

Voldemort poteva fare quello che voleva, ormai era stato quel ch’era stato. E magari Tom era anche un pericolo per noi, ma dovevo spostare Harry dal mio campo visivo per un po’.

E i suoi occhiali non avevano nessuna colpa, comunque, funzionavano bene, a parte quando erano rotti a causa del cugino.

Alla fin fine, ognuno vede solo quello che vuole vedere, pensai.



I sogni della nostra piccola Virginia Weasley

Ginny rideva, rideva ed era felice. La sua vita era felice.

Poi una mongolfiera all’orizzonte, anzi no, una scopa. In groppa a questa… Harry Potter.

Disperato.

“Ginny! Ginny, solo tu mi puoi aiutare! Ti prego, abbi pietà di me!”.



Certe volte i sogni si avverano. Anche se non proprio uguali, in modo molto simile.

Più tardi, molto più tardi, quel giorno, passeggiavo per i corridoi, chiacchierando con Colin. E l’apparizione di Harry fu un po’ così, sorprendente, improvvisa, lui, pallido in volto e tremante come un bimbo che ha visto un fantasma per la prima volta.

Però questa è un’altra storia. E la mia finisce qui.



[/Dove Ginny si accorge di qualcosa]



Fine Capitolo 11

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Ron ***


Capitolo 12


[Dove Ron realizza]



Ed eccoci qui, di nuovo.

- Momenti mi si mangiava!

Perché, a me no? Tralasciando che sono stato cattivo con lei e voi siete di parte, ma non era forse vero che mi stava mangiando?

- Ma che le hai detto?

Avrei voluto saperlo anch’io. Poi quando si parlava di persone testarde che non stanno mai a sentire gli altri tutti indicavano sempre me.

- Ron?

- EH?

- Ma mi vuoi sentire?

- NO.

Harry sbuffò malamente.

D’accordo, non ero proprio dell’umore adatto per star a parlare con lui in quel momento. In quel momento, così come in tanti altri, ma cacchio!

- Ron, ascolta… lo so che ti piglia così quando litighi con lei, ti conosco da cinque anni ormai, ricordi? Ma è assolutamente inutile continuare così quando tu invece volevi farci pace…

- Ma chi ci vuole far pace con quella?! Ma chi ci vuole parlare?!

- Ron, ti senti quando parli? — fece lui tutto serio, come risposta.

- Eh?

- Dico, non è vero che non ci vuoi far pace, d’impulso dici certe stupidaggini che non stanno né in cielo né in terra…

- Sì, prova a cercare in qualche altro sito, hai visto mai…

- Hai intenzione di mandarmi al diavolo anche tu?

E perché no? Pensai. Tanto andava a finire che tra il diavolo e Voi-sapete-chi non c’era neanche tanta differenza, anzi, forse il diavolo non era così male…

Vedete, che in momenti come questi era meglio non parlarci con Harry.

Pensavo sempre ad un sacco di cattiverie, e mi immagino, lì, davanti a Harry, io, rosso in viso, in un misto tra rabbia e disperazione. Ma si poteva continuare così?

- Anche Hermione me ne ha cantate quattro, quindi, se vuoi farlo anche tu, accomodati, tanto ormai…

E aveva fatto bene. Ora c’era da chiedersi se era più impicciona la Sprite oppure lui.

- E falla finita! — gridai — non voglio più sentir parlare di questa roba fino al prossimo anno, fammi trascorrere questo ultimo trimestre sereno!

Come se non ci fossero i G.U.F.O. in arrivo, montagne di compiti da fare e di libri da studiare… Hermione di certo non si troverà come noi tutti due giorni prima degli esami con un mucchio di lavoro ancora da fare.

- Be’, in effetti — disse Harry infine, pensieroso — vedi che abbia un sacco di cose a cui pensare.

In quanto sarebbe stata la finale di Quidditch? Una, due settimane? I serpeverde ormai avevano avuto tutto il tempo di prepararsi per i loro piani criminali.

Ma alla fine, chi se ne fregava?

Forse non c’era affatto da preoccuparsi, come aveva detto Hermione. Che Draco si scannasse con Harry, e che Harry facesse pure quello che voleva, io avevo ben altri problemi, e se si andava avanti così alla finale di Quidditch non ci arrivavo proprio, che si trovassero un altro Portiere.

- Dobbiamo fare il punto della situazione delle indagini.

Dovevo assolutamente capire che fare. Allora, potevo ammazzarmi.

Prima, però, per sicurezza, ammazzavo anche Malfoy.

Lo avrei strozzato con il filo interdentale, altro che Avada Kedavra, che poi scappa fuori il becchino e chi lo rimanda più indietro. *stacchetto dell’Avada Kedavra*

Almeno avrei fatto qualcosa di buono, con tutte le cattiverie che quel cretino aveva detto a Hermione. Qualcosa di buono per lei, dunque.

(e per tutti. Chi non vorrebbe Malfoy morto? Okay, abbassate le mani. E dai, era un modo di dire! Oh, e lo so che adorate tutte Malfoy e odiate me. Siete di parte, no?)

- Partiamo dall’inizio: circa una decina di giorni fa, Neville scopre un complotto tra Draco Malfoy e qualche altro Serpeverde…

Giustamente, era meglio ricapitolare tutto dall’inizio. Lo sapete, ogni volta che uno muore vede tutta la sua vita in un solo colpo. Era meglio prepararsi.

Che cazzo avevo fatto stavolta per litigare con lei?

Di solito non me lo ricordo mai, e questa volta non era un’eccezione. Quanto tempo era passato? Due settimane?

Davvero solo due settimane?

Ah, già. Era successo tutto quel benedettissimo giorno dell’esplosione a Diagon Alley. O meglio dire maledettissimo, vedendo poi com’è andata a finire.

Fatto sta che ero piuttosto su di giri quel giorno; Hermione era scioccata e non aveva quasi toccato cibo, e mentre Harry era andato a parlare con il professore di DADA io ero a andato a cercarla in biblioteca.

La sua sensibilità era stata colpita troppo duramente per farla star zitta, un po’ come il fatto degli elfi domestici e tutta quella roba lì. Non sapevo che fare.

Mi sono sempre trovato a disagio a parlare con lei, di solito andava sempre a finire sul ridere o con un litigio. Lei era troppo intelligente per stare a sentire i miei discorsi sconclusionati e non avevo mai niente da dire in realtà che potesse attirare la sua attenzione.

- Secondo motivo per cui dovrebbero avercela con me: Malfoy ha sempre…

Ero troppo stupido io, e davanti a lei mi sentivo anche più imbecille di quell’imbecille di Harry.

Si era sfogata con me, però, cose che forse non le avevo mai sentito dire (“Non lo so” era il massimo), confidando nel fatto che la potessi capire.

Sapevo benissimo che nessuno in questo mondo poteva essere perfetto, ancor di più degli altri essendo io l’esatto opposto della perfezione, e sapevo che anche lei che vi si avvicinava tanto per me poteva cadere ogni tanto, ma non l’avevo mai vista così piccola per forza e coraggio, sembrava non riuscisse neanche a sperare ed a sognare, così schiacciata dalle disgrazie del mondo che lei aveva accettato come la favola della sua vita.

Ed io, stupido, fermo lì ad ascoltarla, in quella sua innaturale insicurezza, avevo solo in mente l’idea di baciarla.

- Ora, questo è assurdo, nevvero?

Assurdo? Assolutamente idiota!

Da dove era venuta questa idea? Be’, non era la prima volta che mi saltava in testa, ma allora avevo solo dodici anni ed ero uno stupidissimo ragazzino che credeva di poterla risvegliare dalla pietrificazione del Basilisco con un bacio alla Briar Rose (La bella addormentata; NdA).

Ormai avrei dovuto capire che non dovevo più credere alle favole… era finito il tempo degli incantatori!

- E a quel viscido di Malfoy piacerebbe da morire umiliarmi un’altra volta…

E a me sarebbe piaciuto da morire poterla baciare, ma insomma, dimenticavo forse il fatto che lei era una ragazza seria e ancor di più la mia migliore amica, e non avrei dovuto neanche pensare a cose del genere.

- Altro ragazzo coinvolto nella storia è un tale Willow, probabilmente di qualche anno più grande di noi…

E poi c’era Harry e tutta la sua storia. Non c’era certo da pensare a cose futili come baci quando c’era un pazzo maniaco che cercava di ammazzare il nostro migliore amico.

Era ritornato dal colloquio con il professore, e non c’era più niente da fare.

- E si intromette anche Colette Compton, avvenente Serpeverde del settimo anno.

E poi alla fine avevamo litigato, con Harry in mezzo a noi, come al solito, forza che scatenava la maggior parte delle discussioni, ora niente di male da dire, ma perché voler metterci in mezzo anche Viktor Krum?

Ora non ditemi che ormai avrei dovuto accettarlo, perché quando non ci si riesce non ci si può far proprio niente. E oltretutto metterlo anche in mezzo! “Magari potrebbe radunare un po’ di gente che sta dalla nostra parte”.

Sì. A Durmstrang. Lui, insieme a tutti gli altri, con le Arti Oscure e tutto quanto.

Un gran giocatore di Quidditch, non c’era proprio niente da dire su questo, ma tutto il resto? Io non mi fidavo a fargli sapere tanto così da renderlo capace di aiutarci, poteva sempre essere un Mangiamorte. Non mi fidavo a farci aiutare da lui neanche in una situazione assolutamente sicura, pian piano sarebbe entrato sempre più all’interno del nostro giro. Non mi fidavo a lasciare Hermione con lui, le che già era in pericolo per essere amica di Harry.

Non lo potevo sopportare.

- E così, con tutto quello che sappiamo, siamo di nuovo da capo a dodici.

Credete che io sia stupido.

Ma l’ho detto sin dall’inizio, che quello stupido qui dentro è Harry. Magari nelle sue cronache non c’è scritto per motivi di marketing, ma io glielo dico ogni giorno che è un emerito imbecille.

Non mi fate fare ora la figura di quello che lo tradirebbe per soldi o per potere o per quello che volete.

Io non lo tradirei mai.

Ma a continuare a fare punti della situazione davanti a me che non lo stavo ascoltando minimamente, non credete fosse totalmente inutile?

L’ho già detto, io non ci sarei arrivato alla finale di Quidditch.

Ero sin troppo sfigato già per conto mio, vedete, e poi, quando mi ero addirittura deciso a chiederle scusa, lei fa anche la difficile e litighiamo di nuovo, e non riesco neanche a riempirla di botte, non riesco neanche a odiarla.

Di che sto parlando? Oh cacchio, sono tre capitoli che non faccio altro che dire quanto mi piace Hermione e voi mi chiedete ancora di che sto parlando? E va bene che non sono un genio e neanche uno scrittore, e va bene che l’autrice fa certe decodificazioni che neanche le antiche rune così, ma vedi poi che i fan di Harry Potter possono essere solo gente più imbecille di lui!

Ehm, che ho esagerato con gli insulti? Okay, forse quella di Harry non dovevo dirla.

No, che hai detto? Se mi piaceva Hermione? A me?

L’ho detto?

Ah.

Ehm.

Be’, dovete anche capirmi, lei è così carina, e così intelligente, a chi non piacerebbe? Anche a Neville piace. Scommetto che anche per Harry è così. E anche per Malfoy, pure se non vuole ammetterlo.

- Ron?

Cazzo. Già.

Questi me la fregano se non mi sbrigo.

- Ron? Ron? Ci sei?

- Eh? Sì, sì.

- E stai pensando a quello che ti ho appena detto?

Macchè. L’unica cosa che riuscivo a pensare era che Hermione mi piaceva più di qualunque altra cosa al mondo.

Ma perché non l’avevo detto prima?

E perché non l’avevo detto a lei — subito?

- Non capisci che se non ci fai pace non riusciremo mai a combinare niente?

Quanto ero imbecille da uno a dieci? Ditemelo, vi prego. Undici? Quindici? Centomila?

Quanto Harry?

- Abbiamo bisogno di lei, assolutamente, per-

Parole sante. Avevo bisogno di lei. Avevo maledettamente bisogno di lei.

- Hai… hai ragione — mormorai.

Il mio amico mi guardò compiaciuto. Be’, aveva ragione davvero.

Era un imbecille, questo sì, ma a volte talmente tanto imbecille da diventare un genio. Wow.

Un moto di affetto verso di lui mi portò ad abbracciarlo con tutta l’anima, a stritolarlo. Prima di lasciarlo, gli schioccai un bacio sulla guancia.

Be’, non potevo presentarmi senza aver provato neanche una volta.

Mi guardò terrorizzato.

- Harry, è stupendo, non credi? — esclamai, i miei pensieri già proiettati verso quello splendore, i suoi meravigliosi occhi, la sua bocca del colore della ciliegia, come le marmellate che faceva mamma… così dolce, così terribilmente adorabile… lei, non la marmellata. Okay, anche la marmellata.

- Sono innamorato! — annunciai, lanciando un altro sorriso a Harry, che si tirò indietro, spaventato, come se gli avessi fatto chissà che. E senza neanche salutarlo, lasciai l’aula e corsi via a cercare Hermione.





[/Dove Ron realizza]



Fine Capitolo 12

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Harry ***


Capitolo 13


[Dove Harry si dà una ragione]



Io non riuscivo proprio a capirla la gente.

Poi, non capivo neanche Ron, e ancor meglio vi dico com’ero rimasto dopo che lui era scappato via, in preda a chissà quali pensieri (a starlo a sentire, veramente, mi pareva un matto, ma anche lui avrà avuto le sue ragioni, ne?).

Perplessità.

Va bene, mi dissi, va bene. Tanto meglio lasciar perdere, tanto meglio lasciar perdere, almeno per oggi. Era evidente che non si trattava proprio del momento adatto: tutti avevano altro da fare, altro a cui pensare.

Tutti tranne io, e andava bene anche questo, tanto che l’unica cosa che dovevo realmente preoccuparmi di fare era non cacciarmi nei guai.

Una cosa semplice semplice. Avevo una mezza intenzione di rinchiudermi in dormitorio sino all’ora di cena, ma sarebbe stato inutile anche quello. Con tutto quello che non posso dire di Hermione, c’è anche il fatto che io non sono esattamente il ragazzo con il libro pronto in mano per passare tempo. Neanche l’autrice è riuscita a trasformarmi in questo senso, per quanto io sia totalmente OOC (fuori dal personaggio) e per quanto giorno per giorno lei cerchi sempre più modi per rendermi un’idiota.

Voi anche magari credete che io sia stupido.

Be’, forse è vero.

A forza di sentirlo dire. No, no, non è una vendetta personale sull’autrice. Non picchiatemi, ho capito. Ho capito, ho capito, devo cominciare.



Come ho già detto, ero rimasto solo quando Ron era corso via. Ero uscito dall’aula, guardando prima a destra, poi a sinistra. Ron era sparito completamente, ma io potevo attraversare.

Con tutto quello che un sabato pomeriggio in vista della finale di Quidditch mi aveva portato, tanto valeva andare a fare una visitina a Hagrid, che era tornato solo in gennaio dalla sua misteriosa missione, della quale, misteriosa com’era, ci mancava solo di sapere cos’aveva mangiato durante i pasti.

Non lo avrei trovato in casa: proprio durante il suo viaggio, infatti, era riuscito a trovare una nuova specie di mostr- ehm, creatura magica da sottoporci durante le lezioni di Cura alle Creature Magiche. Della tale creatura magica, non oso neanche parlare.

Dire che si chiamava Grugnotto è già dir tutto.

Ed era lì, Hagrid, ad accudire il suo branco di Grugnotti, che in poche parole, erano ancora più inutili degli Schiopodi Sparacoda — non solo non servivano a niente, ma facevano anche un gran chiasso. Come potreste capire anche da soli, grugnivano.

Ma non è importante. Alla mia vista, Hagrid mi salutò allegramente. Poi mi guardò meglio e chiese qualcosa, che io non riuscii a capire, in quanto i grugniti dei Grugnotti superavano di gran lunga la media dei grugniti degli altri animali.

Allora, con un gesto molto esplicativo, mi invitò ad entrare nella sua capanna, dove mi raggiunse in quattro quattr’otto.

- Un po’ di tè, Harry?

Accettai ringraziando.

- Perché Ron e Hermione non sono con te?

- Ehm… avevano altro da fare.

- Pensavo che Silente ti ha detto di non lasciare il castello da solo.

- Ehm…

Questa era un’altra faccenda rognosa: sembrava quasi che non potessi spostarmi da un punto all’altro di Hogwarts senza qualcuno disposto a farmi da guardia. Peccato non ci fossero una versione Grifondoro di Tiger e Goyle.

Non che avessi niente da dire contro il professor Silente: lui si è sempre fidato di me, spesso anche di più di quanto io mi sia mai fidato di lui. Eppure era arrivato al punto di chiedermi esplicitamente di non fare cose avventate, di non andare a cercarmi problemi, e mancava solo mi sequestrasse Mantello dell’Invisibilità e Mappa del Malandrino, che comunque non avevo il permesso di usare.

Tutte queste precauzioni snervanti, dovreste saperlo già, erano state dettate per filo e per segno da Sirius. Non riuscivo ancora a comprendere se fosse più apprensivo lui o la madre di Ron.

Trovavo dunque un diversivo nell’indagare, come avevamo sempre fatto, anche negli anni passati, con i miei amici. Questa volta, certo, non ci aveva portato ancora a niente, e che la situazione si fosse addirittura aggravata nel frattempo non migliorava le cose.

Malfoy avrebbe potuto veramente essere un contatto tra Hogwarts e i Mangiamorte.

Anzi, lo era di sicuro.

- Non devi deprimerti così, Harry. Vedi che si risolve tutto.

Caro vecchio Hagrid! Fosse stato tutto così facile! Da sempre, da sempre io non facevo altro che aspettare che qualcosa mi venisse addosso, così come aspettavo che il Boccino d’Oro apparisse finalmente in campo, prima di cominciare a giocare veramente.

Da sempre, avevo trovato tutto molto semplice. Per le cose complicate, poi, c’era Hermione, così com’era stato al tempo per la Pozione Polisucco e tutto quanto.

Ho affrontato ogni situazione non sapendo quanto realmente fosse grande l’oscurità, non provando mai, dunque, di volta in volta, alcun cenno di paura.

Ed è questo coraggio, o imprudenza, adesso, a farmi paura.

- Cerca di non pensarci, sta’ solo attento a quello che fai.

Certo non sarebbe stato affatto facile vivere la vita come tutti gli altri ragazzi a scuola ricordandosi comunque di dover evitare di fare certe cose, di limitarsi nell’apparire, perché la mia figura era già stata abbastanza esaltata l’anno prima.

Ecco, probabilmente non sarei mai riuscito a vivere una vita normale.

Hagrid continuava a parlare, e io annuivo, annuivo, annuivo.

Non c’era nient’altro da fare, bisognava fidarsi di Silente ed aspettare che qualcosa succedesse, tanto dai, potevo anche aspettare tutta la vita.

Sicuramente, da qualche parte giaceva la risposta, la risposta al perché della mia esistenza, il perché della successione degli avvenimenti così come s’erano svolti.

Dopo un’altra ventina di minuti passati ad annuire, mi alzai e dissi che forse era meglio tornare al castello. Hagrid si offrì di accompagnarmi fino all’ingresso, ora che si era fatto buio e l’ora di cena si avvicinava.

Mi augurai di trovare Ron da qualche parte, ma non fu così. Mi diressi allora in biblioteca, dove probabilmente Hermione studiava le lezioni della settimana successiva, ma l’unica persona che riuscii ad incontrare fu Neville, che scribacchiava disordinatamente su un foglio di pergamena.

- No, non ho visto Hermione, anche Ron la cercava — mi disse lui, in risposta ai miei dubbi.

Lanciai un’occhiata ai libri che aveva aperti davanti, cercando di capire cosa stesse facendo con Pozioni, e Incantesimi, e Trasfigurazione.

Sorrise debolmente.

- Hermione mi aveva dato dei compiti la volta scorsa. Ho dimenticato di farli.

Ecco, ecco, adesso ci mancava solo che Hermione assegnasse compiti come neanche un professore avrebbe fatto. Finché stavano alle ripetizioni andava bene, ma qui la cosa diventava demenziale. Avrei voluto vedere la faccia della McGranitt a saperlo. Ma forse era stata lei stessa a suggerirglielo.

- Se non li facessi? — chiesi.

Il sorriso di Neville sparì in un batter d’occhio.

- Che fa, ti litiga?

- Vedremo stasera se è di cattivo umore — rispose.

Non sapevo che dire di altro. Non mi ero mai sforzato a fare una conversazione con Neville prima di allora.

- Sai — incominciai, falsamente entusiasta — forse ho scoperto un’altra cosa riguardo il segreto di Malfoy.

- Sì? — fece lui.

- Be’, potremmo provare a vedere come reagisce al fatto che lo sappiamo.

- Buona idea, Harry — sorrise.

Ebbi l’impressione che lo dicesse solo per accontentarmi. Come si fa per i bambini piccoli.

Ebbi l’impressione, improvvisamente, che non tenesse più alcuna speranza.

“Tanto… non risolveremo mai nulla”

Era tutto inutile, dunque?

Salutai Neville, mi diressi fuori della biblioteca, e cominciai a camminare velocemente, senza una meta precisa, pur di continuare a muovermi.

Alle fine non aveva torto.

C’era altro da fare, altro da fare, altro, a cui pensare.

Ma anche queste indagini, alla fin fine, erano una parte delle mie giornate. Dovevo pur andare avanti in qualche modo, e questo non era poi il più brutto.

Era giusto, non volevo rimanere più fermo a far niente, per rimpiangerlo poi.

Non c’era più tempo per aspettare, e adesso che mi si poneva davanti un bivio, dovevo scegliere di combattere, piuttosto che ritirarmi anche più dentro il mio guscio.

Perché non era per piacere che lo facevo, ma per sopravvivenza, mia e degli altri. Come aveva detto Silente, una volta, parlandomi, questa caccia era una caccia senza preda. Non ne avrei avuto nulla in cambio, ma sarebbe cambiato tutto per me, comunque.

Allora perché continuare ancora a parlare a vanvera? Tanto valeva correre, era deciso, sì, correre, nessuno sarebbe stato capace di fermarmi.

Poter esser fiero di me, vedermi in una figura forte e sorridente, raggiungere i miei obiettivi; ormai non c’era più paura di rimanere ferito!

Volevo soltanto dare una ragione di vita al mio futuro.

Ed ecco che allora tutto sarebbe stato svelato, per forza.

La figura che vedendomi si era fermata, osservandomi con aria di sufficienza, non aspettava nient’altro che una mia reazione.

- Potter.

- Malfoy.





[/Dove Harry si dà una ragione]



Fine Capitolo 13

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Neville ***


Capitolo 14


[Dove anche Neville fa la sua parte]



Non perdo tempo a descrivere tutto quello che ho provato di lento e doloroso e straziante nel momento in cui Harry se la filava alla grande preso dai suoi pensieri da eroe. A ognuno i suoi pensieri.

Io, come da copione, ero sconsolato, e pensavo, pensavo, anche questa volta, le cose non sono riuscite a causa mia. Anche questa volta, ho rovinato tutto. Perché davvero niente si sarebbe risolto a continuare ad origliare alle porte.

Così si andava avanti, e io ero quello di sempre, tanto che ormai ci ero abituato, e mi rendevo conto che lì quella veramente depressa era il mio tutor, un’altra volta intenta nello sprecare tempo cercando di aiutarmi.

- Hermione? — chiamai.

Niente. Lei era china sul suo libro, quel libro di mille pagine dalla copertina rossa, un po’ antica, quel libro che parlava di tante cose emozionanti per un topo di biblioteca come lei, quel libro che aveva tutto l’aspetto di una cosa decisamente pesante.

Quel libro che, in pratica, non stava leggendo.

Tentai di nuovo.

- Hermione? Ohi? Ci sei?

Ma niente, no, niente, sembrava presa da altri pensieri.

ERA presa da altri pensieri.

Giustamente.

- HERMIONE!

- Eeh?!

Click. Si era risvegliata, magicamente, dalla sua trance senza fine. Ora mi guardava con gli occhi sbarrati, allarmata, quasi, per essersi distratta.

- Ehm…

- Cosa… cosa volevi dirmi? — chiese gentilmente.

Gentilmente come tante altre volte, non dovete farvi un’idea sbagliata, di lei. Potrà essere una pazza isterica, a volte, petulante, ma non si è mai spazientita con me, nonostante il caso disperato che in effetti sono.

Le misi sotto gli occhi il mio foglio di pergamena, scritto malamente e con ripetute cancellature.

- Se… se volevi controllare, non so… io, avevo finito.

Hermione sospirò profondamente, questa volta non per l’esasperazione nei miei confronti, però, ma piuttosto per liberare la tensione che aveva addosso.

Non era affatto facile, e lo sapevo. Non per lei, non per lei in quella situazione.

Non erano solo i suoi occhi che si chiudevano da soli, non era solo l’aspetto stanco e stressato e assolutamente fuori fase.

Dentro.

Bisognava guardare dentro.

E io vedevo solo distruzione.

Ora, perché mai parlare di cose così drammatiche, estreme, quando era soltanto la vita di tutti i giorni?

Tendevo ad esagerare, lo so bene, ma la guardavo, la guardavo mentre lei afferrava il mio foglio, mentre scorreva le righe, con gli occhi, a balzi, però, come non avesse la forza di leggere tutto.

- Ho… ho scritto troppo male, forse? — chiesi educatamente.

Lei alzò la testa, sorrise, la scosse.

- è tutto okay — disse, la voce più grave del solito, quando di solito lei l’aveva acuta e squillante, e gli occhi spenti, tanto da far paura ad un morto.

Io, poi, lasciai completamente il controllo dall’altra parte del mondo.

- Non… non è tutto okay.

E con quello, le mie azioni non erano più volute, non da me, almeno.

- Ma hai fatto bene, davvero — disse lei, alzando il foglio all’altezza degli occhi, passando in rassegna di nuovo quesito per quesito; - okay — fece dopo qualche secondo — forse questa è un’imprecisione, ma-

La interruppi, togliendole il foglio dalle mani, serio. Dovevo avere un aspetto piuttosto ridicolo, in quel momento, ma che importanza aveva, alla fine?

- Non dico questo.

Sorrise.

A volte, davvero, dava i nervi, a far finta che andava tutto bene.

- Forse — provai — hai bisogno di lasciar perdere per un po’ i libri.

Mi guardò accigliata. Non riusciva neanche a trovare le parole per rispondermi.

Avevo bestemmiato.

Però lei aveva capito, certo che aveva capito. Tanto valeva giocare a carte scoperte, doveva aver pensato, invece che continuava a fingere di non capire di cosa stavo parlando.

- Neville — sfoggiava ancora uno dei suoi spaventosi sorrisi, quelli che la rendevano irreale — io sto bene, e non ti devi preoccupare, se sono un po’ stanca, davvero-

Scoppiai a ridere di rimando. Non sapevo più neanche che stava succedendo a me!

- Sai che non è così! — esclamai.

Il mio sarcasmo, per un momento, nascose una traccia di amarezza.

Conoscevo fino alla perfezione i miei limiti, l’ho già detto. Non potevo pretendere che si consolasse con me, quando i suoi problemi si trovavano tutti da un’altra parte, irrisolti.

E lei, lei che aveva spostato lo sguardo da un’altra parte, riusciva solo a non rispondere, a non rispondere con qualcosa di cattivo — si sfogava con una ciocca di capelli, invece, intorcinandola con le dita, e quest’azione ripetuta non aveva tanto l’aspetto di un gioco ma piuttosto quello di una pace mancata.

Doveva finire, però, perché tutto aveva una fine.

- Non è importante — la sentii mormorare. Non era a me che era rivolta, ma a sé stessa.

Per quanto tempo ancora voleva ingannarsi? Per quanto tempo, ancora?

- Lo è.

Si voltò di nuovo verso di me, e adesso aveva gli occhi lucidi.

- Che… che hai detto?

- Che è importante.

Sospirò.

- Non tanto per doverti preoccupare di me, sei tanto caro, bada, ma prima o poi finisce.

Ero tanto caro.

E anche lei l’aveva capito, che tutto doveva avere una fine.

- Come finisce?

E questo la prese letteralmente di sorpresa. Forse avevo alzato un po’ troppo la voce, perché si guardò intorno, spaurita.

- Che dici?

Doveva essere una peculiarità del trio più famoso di Hogwarts, rimanere sempre un po’ duri d’orecchie.

- Ho chiesto come finisce.

- Che cosa?

- Tutto. Te. Ron. Stai male per questo.

Patetico, il modo in cui riuscivo a tirar fuori le cose come fossero scappate fuori da una di quelle soap che vedeva mia nonna ogni tanto.

- E’ solo un litigio. Neville. Passa.

- Dici che passa, però non sai dirmi come.

- Tu me lo sapresti dire?

Ah, avevo abbastanza conoscenza della situazione per poterne parlare? Be’, chiunque a Hogwarts ci avrebbe potuto mettere bocca. Perché non io?

- Non avete capito un accidente.

- Un accidente?

Sbuffai. Ecco quello che la migliore studentessa di Hogwarts davvero non sapeva fare.

Aprire gli occhi.

- Cercate di credere e far credere di non poter parlare tra di voi soltanto perché una maledettissima lite vi ha messo in disaccordo per un istante, e poi continuate il gioco anche quando vi siete stufati solo perché non sapete come farla finita.

Hermione rimase in silenzio.

- Provate a chiarirvi una volta per tutte, su come vi dovete comportare, no?

Si passò una mano fra i capelli, quasi cercando le parole per rispondere.

Trovai il coraggio, dentro me stesso, per aggiungere una cosa.

- Lui, prima…

- Eh?

- Lui prima ti stava cercando. Ma tu ti eri chiusa in dormitorio e non volevi vedere nessuno, no?

Annuì. Poi parlò.

- Neville… - fece — non voglio provare, perché sarà di nuovo tutto un disastro.

- disastro? — ripetei.

- un disastro! Va sempre a finire così, e poi se anche facciamo pace, non mi accontento, perché so che tanto prima o poi litigheremo di nuovo, e di nuovo. Fa una tale male litigare con Ron, non lo puoi capire!

Si accorse immediatamente di aver sbagliato a parlare.

- Lo sai che tengo a lui, così come tengo a Harry, e a te. È solo che non siamo fatti per convivere nello stesso posto.

Bella battuta. Mi veniva da ridere, a pensarci, Persino io, che le volevo bene in una maniera molto speciale, mi rendevo conto che poteva stare solo con Ron.

E tralasciando tutte le loro affinità astrali, si trattava proprio di un fatto materiale.

Ron avrebbe ucciso chiunque avesse osato avvicinarsi a Hermione senza il permesso di lei. E anche con.

Se Voi-Sapete-Chi si fosse improvvisamente invaghito per quella ragazza Ron sarebbe diventato eroe nazionale.

Ecco tutto.

- Hai paura di farci pace?

- Non è che ho paura… ma dopo secondo te che faccio? Cosa mai ho avuto in comune con lui, se non Harry? Non riesco proprio a…

- Li riporto io su i tuoi libri alla Torre di Grifondoro - tagliai corto; - (se non li faccio cadere prima) su, che aspetti? Vai a cercarlo! Su, dai, che magari riesci anche a non trovarlo… così puoi dire che almeno ci hai provato…

Non la guardai apertamente, ma con la coda dell’occhio, la vidi alzarsi con una specie di sorriso a mo’ di scusa in faccia, diamine, lei e i suoi sorrisi, e rivolgermi ancora uno sguardo dubbioso.

E lì mi venne in mente una canzoncina che cantava spesso mia nonna, quasi come ciliegina finale sulla torta.

Non hai mai sentito dire che la bellezza delle cose ama nascondersi…
Senza più indugiare, uscì dalla biblioteca.

Rimasi ancora fermo qualche momento a canticchiare, poi alzai gli occhi e vidi che era sparita.

Wow. Vedere che mi ero comportato da figo che neanche Malfoy nelle migliori storie, pensai.

E in quel momento mi accorsi che anch’io avevo fatto la mia parte.



[/Dove anche Neville fa la sua parte]



Fine Capitolo 14

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Hermione ***


Capitolo 15


[Dove finalmente Hermione vede]



Adesso, lo so per certo, vi aspetterete un modo veloce e indolore per dare una conclusione a questa storia.

Purtroppo per voi, però, le storie non hanno mai una fine. Possono passare gli anni, morire i personaggi — protagonisti compresi - ma non ci sarà comunque una fine, in alcun caso.

Ed ecco che io non desideravo porre fine alla questione, nonostante le continue pressioni da parte dell’autrice, che si era ben stancata di stare dietro a noi quando aveva molto di meglio da fare, e lo ammetto, anche io mi ero piuttosto rotta di avere una rompiscatole del genere sempre ad impicciarsi degli affari miei.

Ma continuavo a rifiutare una qualsiasi via di uscita. Vagare per il castello, tra l’altro, in un’immaginaria ricerca di Ron, non semplificava le cose: vedete che avrei preferito rinchiudermi di nuovo in dormitorio ed aspettare che tutto fosse finito.

Neville, che non biasimavo affatto per il suo intervento, grazie al cielo c’era ancora una persona sincera che mi stava accanto, lui, aveva tutte le ragioni per dire quello che aveva detto.

Non dico che ascoltare le parole di un amico ogni tanto sia una cosa sbagliata da fare… figurarsi. Eppure, mi era venuto da pensare più volte che fosse tutto inutile — non si sarebbe risolto niente, così, assolutamente niente.

Avevo paura di dover affrontare di nuovo Ron, sopportare il suo sguardo, e ascoltare le sue grida. Qualunque cosa avessi tirato fuori al momento in mia discolpa, per quanto ragionevole e sensata, non avrebbe fatto altro che recare ulteriore danno.

Perché mi sarei scusata io, magari anche lui, e poi avremmo finito per fare pace, normalmente, come si fa tra amici. E qui stava bene a tutti… soltanto io non avrei più retto a continuare così. Ero stanca di tutti, ma di me stessa in particolare, con tutte quelle cose che sbandieravo ostentatamente al mondo e che non avevano alcuna reale funzione, e tutte quelle altre cose che lasciavo marcire dentro di me, quando invece erano le più importanti.

E pensavo troppo. Pensavo questo, ma pensavo anche ad altro.

Un momento dopo, mi immaginavo uno straordinario momento di riconciliazione, uno di quelli che non sarebbe mai successo se non nella mia immaginazione… di quelle cose che davvero non succedono, mai e in nessun modo, neanche come non te le eri aspettate.

In fondo, Ron non era esattamente il tipo che ti avrebbe scritto un poema per dichiarare… il suo pentimento, e io ancor di meno non ero del tipo di starlo ad ascoltare con il fazzoletto in mano, giusto per farlo cadere alla fine in segno di benevolenza.

Sarebbe andata via in modo molto più veloce e sbrigativo. Dopo esserci scusati, il giorno dopo avremmo ricominciato a parlare, evitando accuratamente ogni tipo di litigio, e pian piano tutto sarebbe ritornato come sempre.

I soliti pomeriggi in biblioteca a fare i compiti, a chiedersi come e perché su Voldemort e Silente e compagnia bella, i soliti guai in cui, prima o poi, saremmo incappati, alla fin fine con Harry era impossibile non capitare in qualche situazione disastrata, la solita vecchia straziante tensione fra di noi.

Cominciai poi a credere che niente di questo sarebbe ritornato tanto presto. Le cose stavano cambiando, e non solo tra noi, ma anche di fuori, e non solo di fuori, ma anche tra noi. Questo significava che più niente sarebbe stato lo stesso, e magari sarebbe venuto un giorno nel quale non ci saremmo neanche più parlati — non per un conflitto tra noi, ma semplicemente per una graduale perdita di amicizia. Poteva succedere?

Ero piuttosto brava a tirare fuori ipotesi, ci avete fatto caso? Ma avevo già attraversato metà del castello senza trovare traccia di Ron. Magari, avevo pensato, ormai anche lui aveva capito che era tutto inutile, e si trovava già nel suo dormitorio, per quanto fosse solo un sabato sera, e tutti preferivano rimanere in Sala Grande fino al coprifuoco.

Sospirai, mi convinsi anch’io a tornare nella Sala Comune Grifondoro. A Neville avrei detto che appunto non l’avevo trovato. C’era forse qualcosa di errato in questa affermazione?

Mi avvicinai verso il ritratto della Signora Grassa. Qualcuno stava già provando ad entrare, ripetendo continuamente la parola d’ordine.

All’udire quella voce, mi bloccai.

- La rana in Spagna gracida in campagna! La rana in Spagna gracida in campagna!

- Niente da fare, signorino, non ti faccio entrare — disse la Signora Grassa con aria severa.

- Che cazzo ho fatto per meritarmi questo? EH?

Era la voce di Ron.

Lo sapevo, mi dissi, lo sapevo. Lo sapevo che in qualche modo sarei capitata in una situazione del genere.

Mi feci coraggio e salii le scale, fino a quando non risultai visibile ai presenti. Ron sembrò non notarmi.

Abbassai lo sguardo.

- Insomma! — gridò lui, ancora, sbattendo i pugni contro il quadro — mi vuoi far entrare? So che Hermione è lì dentro!

Effettivamente non mi aveva notato.

- Ehm… - feci, piuttosto controvoglia.

Ron si voltò, ancora rosso di rabbia; alla mia vista, apparve decisamente sconcertato.

- Devi entrare, Prefetto? — mi chiese la Signora Grassa, con un sorriso benevolo.

Sorrisi debolmente. Non sapevo a chi rivolgermi per primo. Ron aveva abbassato le mani, e se ne stava zitto, a guardarmi.

- Ecco…

- Se non ti sbrighi a decidere io me ne vado!

- Che… che è successo? — chiesi, rivolta a Ron, involontariamente.

Fu però il ritratto a rispondermi.

- Mi è stato spiegato perché non deve entrare, e io dunque non lo faccio entrare…

- Ma che ho fatto?! — riprese a gridare Ron, esasperato.

- Harry Potter, ti dice niente? — disse la Signora Grassa — dovresti avere un peso sulla coscienza ormai…

- IO? CHE HO FATTO A HARRY?

Detto questo, diede un altro pugno al muro, e la Signora Grassa, indignata, se ne andò, diretta probabilmente verso la tela della sua amica Violet.

- Perfetto — dissi, senza accorgermene — adesso sono fuori anch’io…

Per un momento, i miei occhi incontrarono quelli di Ron.

- Ciao — disse lui, piano.

- Ciao — risposi; mi sentii in dovere di dire qualcosa: - mi… mi stavi cercando?

- Io? Be’, in un certo senso… credevo… credevo fossi dentro — mi indicò il quadro vuoto, come a spiegarmi la sua impazienza ad entrare.

Annuii.

Dopo qualche attimo di silenzio, presi coraggio e parlai.

- Volevi… dirmi qualcosa, forse?

Lui alzò una mano, se la passò tra i capelli, con fare un po’ distaccato.

- Ehm… sì… sai, per quanto riguarda l’altro giorno…

- La facciamo finita qui, è vero? — chiesi, lo sguardo basso, io, improvvisamente interessata alle mie mani intrecciate.

Lui strabuzzò gli occhi.

- Farla finita?

- Nel senso… nel senso di fare la pace, tutto qui.

Emise un sospiro di sollievo.

- Pensavo volessi suicidarti… - mormorò, pensieroso.

- Forse è esagerato — dissi.

- Sì, in effetti…

- Allora? — ripresi, infine.

- Facciamo finta che non sia successo niente?

- Sì, direi di sì…

- Mi dispiace, Hermione…

- Anche a me, Ron…

Cosa vi avevo detto? Come da copione… niente di conquistato in realtà, ma almeno un altro problema se n’era andato a farsi fottere, e scusate la parola.

- Scusa… scusa se te lo chiedo — dissi, poi.

- Eh?

- Ma cosa hai fatto a Harry, sinceramente?

Il suo sguardo si oscurò.

- Ma anche tu adesso?

E quando mai non io?

- Be’, non so, credevo…

- Non gli ho fatto niente! Forse, non so, non gli stavo dando corda a sufficienza, non lo so, ma…

- Non importa — dissi, subito.

- Sì che importa.

- No, no.

- Sì invece.

- Davvero, puoi anche non rispondermi, io-

- Non serve a niente.

- Cosa?

Si coprì il viso con le mani.

- Cosa c’è, Ron? — chiesi, venendogli sotto.

Non avevo intenzione di lasciare cadere il discorso. Non so perché, ma volevo che tutto fosse chiarito; oramai ero entrata nel gioco, tanto valeva giocare.

E non volevo perdere.

- Niente, niente.

Non volevo perderlo.

- Ron…

Riuscivo ad intravedere i suoi occhi azzurri, nascosti dalle dita. Mi stavano guardando. Fissa.

Sospirò, si voltò leggermente verso destra, si mise le mani in tasca.

Sorrise, con uno sforzo appena visibile.

- Okay, adesso come facciamo ad entrare? — disse, a voce alta.

Io indietreggiai, preoccupata.

- Ron, se c’è qualche problema…

Accennò uno sbuffo divertito.

- Non è niente, davvero! — esclamò; - solo…

- Solo…?

- Ah be’, pensavo che sarei riuscito a farla finita una volta per tutte…

- Farla finita?! — esclamai.

- Nel senso di mettere fine a questi sciocchi disagi… che hai capito?

- Pensavo volessi farti fuori — mormorai, arrossendo.

Lui sorrise, mi venne vicino e mi abbracciò, forte.

- Forse è esagerato. — disse.

Non riuscii più a trattenermi: scoppiai a piangere senza un minimo di dignità, le mani aggrappate intorno a lui, le lacrime che bagnavano la sua maglietta.

Lui disse semplicemente: - Pensavo che magari per te c’era di meglio.

- Di meglio? — sussurrai.

- Di meglio, sì — disse, e con la coda dell’occhio scorsi che stava arrossendo — di meglio che stare a sentire un imbecille come me.

Piansi più forte. Di meglio? Perché mai ci sarebbe dovuto essere qualcosa di meglio che stare con lui, scambiarsi una parola, una risata, con lui? Riusciva a rendermi così allegra… perché dovevo buttare fuori a calci la felicità in una tale maniera?

- Non dirle più queste cose! — esclamai, ribadendo il concetto con un pugno sulla sua schiena; - Io ti voglio bene!

- Pensi che io non te ne voglia, a te? — fece lui; - ma se bisogna farsi tutti questi problemi per dirsi una cosa così semplice!

(Non hai mai sentito dire che la bellezza delle cose ama sorprenderci?)

All’improvviso, sentii che aveva ragione, e che in effetti mi stavo comportando come un’emerita imbecille. Davvero, mi sentii veramente imbecille, in quel momento. Anche lui, sorpreso più dalle sue parole che dalle mie, sembrava pensare un po’ la stessa cosa della sua persona.

Mi staccai da lui immediatamente, guardandolo dubbiosa.

- Forse la stiamo facendo troppo lunga - dissi.

- Forse la stiamo facendo troppo tragica — convenne.

- Perché? — chiesi.

- Perché? — chiese anche lui.

Mi asciugai le ultime lacrime con la manica della divisa. Lui era diventato rosso, e con la mano si faceva aria al viso tanto bruciava.

- Be’, allora… - iniziò lui, titubante.

- Allora anche questa volta è finita così — conclusi.

- Sì, ecco.

Poi tutto mi parve assolutamente assurdo, e neanche cosciente di quello che mi stava succedendo, presi la mano di Ron, il quale mi guardò stupito.

- Io… ho dimenticato i libri in biblioteca… mi accompagni?

Mi stavo comportando come se fossi impazzita, tanto che poi Neville mi aveva assicurato che i miei libri li avrebbe riportati su lui.

Una richiesta che non esigeva una risposta, per me. Ron fece appena in tempo ad annuire che io cominciai a scendere le scale trascinandomelo dietro, come una di quelle ochette con le ruote con cui giocano tanti bambini, solo che con la sua stazza poco ci mancava che non inciampasse tra un gradino e l’altro tanto andavo di corsa.

Poi sembrò ricordarsi di qualcosa, una cosa che lo costrinse a fermarsi.

Mi voltai verso di lui, e Ron mi stava guardando, con lo sguardo un po’ perso nei suoi pensieri.

- Hermione. — disse poi.

- Ehm… sì?

Non feci tante storie per esserci fermati. Alla fin fine la biblioteca non era che un pretesto per muoversi di lì.

- Senti, volevo… volevo chiederti una cosa.

- Dimmi pure.

Sembrava preso da un terribile conflitto interiore.

- Ecco, in questi giorni, se mi… se mai volessi, dico, se mi venisse voglia di farlo, più o meno… ecco, potrei baciarti?

Sentii il viso andarmi in fiamme. Alzando gli occhi su di lui, lo vedi sorridere imbarazzato, la mia mano ancora stretta nella sua (me n’ero completamente dimenticata). Era tutto così stupido, per i miei canoni abituali. Mi sentivo, per la seconda volta nella mia vita, e a distanza di pochissimo tempo dalla prima, immensamente imbecille, con il cuore che mi batteva ad un ritmo ormai impazzito da sé; così imbecille, e così felice. Non riuscivo a resistere.

Annuii gravemente.

L’imbarazzo crebbe a dismisura. Mi sentivo sempre più stupida, con lui che ancora mi teneva la mano, io rossa in viso, entrambi titubanti sul da farsi. Poi lui respirò forte, lo sentii bene, quasi a prendere coraggio, come per abbattere nuovamente quel troll del primo anno e salvarmi. La sua voce però non aveva niente di combattivo, ma era fievole e bassa.

- E posso… adesso?

Con ogni probabilità avevo sempre avuto una visione sbagliata del mondo, ma che importava alla fin fine? Non c’era niente di così complicato, dovevo solo riuscire a scorgere la bellezza delle cose.

E adesso la vedevo chiaramente.

Annuii di nuovo.



Non hai mai sentito dire che la bellezza delle cose ama nascondersi…



[/Dove finalmente Hermione vede]



Fine Capitolo 15

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Capitolo 17
*** Speciale Epilogo ***


Speciale Epilogo


[Dove Draco svela i misteri che Charlotte Doyle non ha ancora svelato]



Una pietra

Due case

Tre ruderi

Quattro becchini
Un giardino

Fiori



Un orso lavatore



Voglio andare a Grifondoro.

Sono serio. Mi pento di tutti i miei peccati, di tutte le volte che ho insultato Potter e piccioncini allegati, mi pento di qualunque cosa io abbia detto.

Basta che mi fate andar via da questa banda di matti.



Una dozzina di ostriche un limone un panino

Un raggio di sole

Un'onda di fondo

Sei musicisti

Una porta col suo stoino

Un signore decorato con la legion d'onore



Un altro orso lavatore



C’è gente che arriva a Hogwarts senza neanche sapere della divisione in dormitori. Mezzosangue, principalmente. O imbecilli.

“Ah, perché, non dormiamo tutti insieme?” fanno.

Sì, in una di quelle stanzone con lunghissime file di letti, come in colonia. Da Auto-Avada-Kedavrarsi all’istante. Bel verbo, complimenti Malfoy.

“Non abbiamo una stanza tutta per noi?!” fanno invece altri.

Tesoro, la retta ci starei pure a pagarla, ma sai com’è — questa scuola l’hanno fatta per tipi come i Weasley. Che ci vuoi fare?



Uno scultore che scolpisce Napoleoni

Il fiore che vien detto girasole

Due innamorati su un gran letto

Un esattore delle tasse una sedia tre tacchini

Un ecclesiastico un foruncolo

Una vespa

Un rene mobile

Una scuderia da corsa

Un figlio indegno due frati domenicani tre cavallette uno strapuntino

Due puttanelle uno zio Cipriano

Una Mater dolorosa tre padri bonaccioni due capre di Monsieur Seguin

Un tacco Luigi XV

Una poltrona Luigi XVI

Una credenza Enrico II due credenze Enrico III tre credenze Enrico IV

Un cassetto scompagnato

Un gomitolo di spago due spille di sicurezza un signore anziano

Una Vittoria di Samotracia un contabile due aiuti contabile un uomo di mondo due chirurghi tre vegetariani

Un cannibale

Una spedizione coloniale un cavallo intero una mezza pinta di buon sangue una mosca tse-tse

Un gambero all'americana un giardino alla francese

Due mele all'inglese

Un occhialino un maggiordomo un orfanello un polmone d'acciaio

Un giorno di gloria

Una settimana di bontà
Un mese di Maria

Un'annata terribile

Un minuto di silenzio

Un secondo di disattenzione

e…



La gente che apprezzo di più sono quelli che già sanno con sicurezza dove andranno.

“Voglio andare a Grifondoro!”

La classica battuta di qualunque primino di scarsa qualità. Di solito pensano che a Grifondoro è meglio perché c'è Potter e tutto quanto. Non è vero. Non si fa un ca**o a Grifondoro. Potete andare dietro a Potter, al massimo.

Sa’ che bello.

Altri poi, ma sono più rari, dicono di voler andare a Corvonero o Tassorosso. Li odio in entrambi i casi.

Non ho niente di particolare contro loro, ma di solito quelli che vogliono andare a Corvonero credono di essere tutta questa intelligenza, tanto che se gli chiedi qualcosa non capiscono neanche cosa vuol dire (“scusa, puoi ripetere la domanda?”), mentre i Tassorosso, be’, i Tassorosso sono tutti stramaledetti esploratori. Scout, come li volete chiamare? Insomma, sono quelli bravi e basta.

Magari i Grifondoro pretendono di avere il titolo di “quelli meglio”. Mah. A i Tassorosso basta essere buoni, bravi e laboriosi. Ed economi. Il fai-da-te in quella Casa è lo sport preferito da tutti.

Solo in certi casi ti si illuminano gli occhi — solo in certi casi capisci che poi alla fine non tutto è perduto. E’ quando ti si presenta il ragazzino, la ragazzina, sorridente, con calma, e fa:

“Io vado a Serpeverde”

Punto.

Ma a questo punto è cosa automatica che tu gli risponda: “Ah. Serpeverde… perché… Serpeverde? Dico, niente di personale… ma perché Serpeverde?”

Tutti lo chiedono. Anche a me l’hanno chiesto. Anch’io lo chiedo.

Va a finire, con questa stupidissima domanda, che ti giochi anche le ultime speranze che tenevi in serbo per i tuoi futuri compagni di Casa.

Ormai, e mettiamolo in chiaro, non c’è più il caro vecchio tipo di ragazzo che ti risponde che è cattivo e vuole imparare le arti oscure. No. È bastata una decina d’anni dalla scomparsa di Voldemort e una decina d’anni persa nella frivolezza che i pochi che hanno in mente di andare a Serpeverde non hanno niente a che vedere con la Magia Oscura.

Vogliono diventare attori.

Ti si propongono, tutti belli infiocchettati e improfumati, con quello sguardo da innocente di prima qualità, un sorriso che farebbe paura a chiunque, e ti dicono:

“Da grande faccio l’attore”

Sì, avete ragione, faccio, con una certa amarezza dentro di me, come se avessi vissuto io gli anni del terrore di Voldemort. Serpeverde non ha dato solo i più temuti maghi oscuri all’Inghilterra.

Ha dato anche gli attori più pagati nel mondo, come Blanche Crawford, che tra l’altro sarà qui in mezz’ora, contattata all’ultimo minuto tramite conoscenze di Willoughby, per le prove generali.

Già. Le prove generali.



e…



cinque o sei orsi lavatori



Il problema è che, vedete, una volta che sei fatto Prefetto, non è che puoi dire “Ah, bene, organizziamo subito qualche bel piano criminale contro Potter & co.!” Perché la gente, la gente non ti ascolta.

Puoi parlare per ore, e ore, sull’importanza della prossima ascesa del Signore Oscuro, e i Serpeverde ai tavoli della Sala Comune giocano a tressette, fanno comizi di Alta Portineria, leggono inutili autori babbani con le loro poesie e le loro commedie.

Ma cosa ci vuole a farsi ascoltare, Draco Malfoy? Non serve mica il Doppio Sonorus… guarda Colette Compton, quella scema di prima categoria, guarda quanto è acclamata dal pubblico.

Tu sei lì da due ore, ti guardi intorno, nessuno ti si fila. Arriva lei, si mette indietro i capelli, sorride e fa:

“Serpeverde tutta, giochiamo a sciarade?”

E allora tutti quelli che prima stavano a giocare, a parlare, a leggere, alzano gli occhi e sorridono. Che aspettiamo? Forza, giochiamo a sciarade, giochiamo ai mimi!

Non è solo una questione che dipende dal fatto che Colette è americana, carina e disponibile.

No.

Se non giochi a sciarade, a Serpeverde sei uno zero.

E allora, mi dico, facciamo uno sforzo, giochiamo a sciarade. Tanto bisogna passar tempo.

Poi però una sera, quando sei l’ultimo a rientrare, arriva dal dormitorio una bambina spettrale, forse del primo anno, forse del terzo, con i capelli sciolti che le scendono lungo la camicia bianca che arriva sino terra.

Una visione per così dire celestiale. Pensi oh, che bello, sono in paradiso.

Poi la bambina ti fa:

“Dobbiamo giocare a sciarade”

No, dico, detto in modo molto spettrale, come il suo aspetto. Ti mette una strizza da svenire lì per lì. Tu lì, da solo, con la bambina che ti dice che si deve giocare a sciarade.

Che dovevo dire?

“Sì, sì, vedi che organizziamo una bella cosa a Serpeverde quest’anno”

La bambina sorride (paura!) e se ne va, soddisfatta. Il misfatto è compiuto.

Sapete com’è. Qui a Serpeverde si usa giocare a “Io sono Lavanda Brown e tu Calì Patil”. Entro il giorno dopo sapevano tutti del mio incontro e della mia, per così dire, promessa.

La bambina non riesco a riconoscerla tra la folla.

“Doveva essere una visione” fa Willoughby.

Oppure un piano architettato da lui per strapparmi via quelle parole. È da anni che va a dire in giro “Organizziamo uno spettacolo organizziamo uno spettacolo”.

Benissimo. Ora finalmente ha tutto quello che ha sempre desiderato.

È dal secondo trimestre che si va in giro ad organizzare questa maledetta commedia.

“La bellezza delle cose” si chiama. Capolavoro settecentesco.

Dico commedia anche se è drammatico. E c’è un sacco di gente cattiva. Tanto finisce bene.

Vogliono la favoletta, i Serpeverde.

Come ci stiamo riducendo.

E poi eccoci arrivati al giorno delle prove generali, e mi trovo un gruppo di imbecilli che tanto ha insistito per metter su “La bellezza delle cose”, che invece di ripassare la loro parte, o sia fare il loro lavoro, stanno ancora a giocherellare in Sala Comune.

- Sai che Potter pensava che tu stessi architettando qualcosa contro di lui? — mi fa Blaise Zabini.

Ah, allora era questo di cui parlava Potter, e anche Granger, quando li ho incontrati. Be’, l’incontro con Potter mi è rimasto più in mente.

Sapete qual è il problema di essere biondo e decisamente attraente, ammettiamolo senza falsa modestia, nella scelta dei ruoli in una commedia? Che ti fanno protagonista.

No, non quello cattivo. Quello tocca a Willoughby perché lui è molto dark, asociale e tutto quanto.

A me tocca quello buono.

Come lo chiamano i babbani? Il principe azzurro?

E il principe azzurro, si sa, deve essere perdutamente innamorato di una fanciulla che non conosce nemmeno. E deve saper baciare bene, e dire cose tanto dolci.

Mi ci è voluto un po’ di tempo per entrare nel personaggio. E sono dovuto passare attraverso Potter per il tutto, proprio così.

Perché lì per lì, quando mi ha fronteggiato con quell’aria da imbecille (e come altro dovrebbe essere?), e io, con in mano il copione, che provavo… insomma, l’ho baciato.

Non potete capire che schifo.

Allora lui a gridare, come impazzito “UN COMPLOTTO! ANCHE RON! UN COMPLOTTO!”.

Io sinceramente non ho capito che cavolo c’entrava Weasley che poi è l’unico che non mi ha scocciato, di questi tempi tanto tremendi per me.

Ma una cosa è sicura: Potter quella sera c’è rimasto scioccato e adesso non riesce più neanche a guardarmi in faccia.

Meglio.

Anch’io però non riesco a guardarlo. Mi viene da vomitare a prima vista.

Che schifo.



un ragazzino che entra a scuola piangendo

un ragazzino che esce da scuola ridendo

una formica

due pietre focaie

diciassette elefanti un giudice istruttore in vacanza su una seggiolina pieghevole

un paesaggio con molta erba verde

una vacca

un toro

due amori belli due grandi organi un vitello alla marengo

un sole di Austerlitz

un sifone di Seltz

un vino di bianco con limone

un Pollicino una grande scusa un calvario di pietre una scala di corda

due sorelle latine tre dimensioni dodici apostoli mille e una notte trentadue posizioni sei parti del mondo cinque punti cardinali dieci anni di buono e onesto servizio sette peccati capitali due dita della mano dieci gocce prima di ogni pasto trenta giorni di prigione di cui quindici di rigore cinque minuti di intervallo



e…



- Allora, vi decidete a venire? — grido infine all’ultimo gruppo di Serpeverde rimasti.

Quelli non rispondono, sono troppo presi da qualche storiella.

Oh basta. Non ce la faccio più.

Che rimangano pure lì a fare gli imbecilli. Io me ne vado.

Ecco, esco dalla sala comune, adesso… adesso andrò nella sala prove, sono tutti lì, c’è anche Blanche Crawford, di cui sono un fan sfegatato da quando avevo tre anni, per il disappunto di mio padre… sono quasi uscito, ecco, basta svoltare l’angolo del corridoio e ci-

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!



e…



molti orsi lavatori.

(Jacques Prévert, Inventario)



[/Dove Draco svela i misteri che Charlotte Doyle non ha ancora svelato]



(Parla Charlotte Doyle) All’urlo di Malfoy, siamo accorsi tutti fuori dalla Sala Comune. Se era un simpatico espediente per farci venire, devo ammettere che gli era riuscito bene. È un attore nato, in fondo: pensate solo a come recitava bene la parte di quello che stava male quando l’Ippogrifo di Hagrid l’aveva appena sfiorato. Per questo l’abbiamo fatto protagonista.

Arrivati all’angolo del corridoio, da una parte le scale, dall’altra la sala prove, abbiamo trovato Malfoy disteso a terra, svenuto.

- Ma che… - fa Francine, dubbiosa.

- Aspettate! — esclama Dorothy Jane — guardate!

E notiamo, dietro a Malfoy, un orso.

Be’, fino a qualche minuto prima sembrava semplicemente un orso impagliato, ma adesso si muove. Alza le zampe su, fino alla testa.

Indietreggiamo.

Si prende la testa con le zampe e la tira. Sotto, c’è una testa di un ragazzo castano, sorridente, dalla voce profonda.

- Orson! — grida Fuu Marie presa dalla commozione. Di cosa, non lo so.

- Vi piace il costume da mostro che ho trovato? — ci fa, tutto contento. Poi guarda la testa, e un po’ a mo’ di scusa, aggiunge: - okay, non è proprio un mostro, ma quelli non si trovavano. Ci abbiamo messo anni a cercarlo, invece questo da orso è facilmente reperibile. E molto realistico. Povero Draco! L’ho spaventato?

La sorella di Orson, Dorothy Jane, agita la mano a dir di lasciar perdere.

- Si riprenderà — sentenzia, con fare da psicologa.

- Bene — dice Orson — siamo un po’ in ritardo, comunque, sono tutti in sala prove. Andiamo?

Esclamiamo tutti un bel sì, pronti a seguirlo.

Nathan e Blaise afferrano le braccia di Draco, iniziano a trascinarlo.

E ci avviamo tutti verso le prove generali de “La bellezza delle cose”.



FINE.

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