L'Oscura Parvenza

di Dreaming_Archer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il potere che conduce al male ***
Capitolo 2: *** Cap1 - Il Patto di Hira ***
Capitolo 3: *** Cap2 - Il Pugnale di Mohran ***
Capitolo 4: *** Cap3 - Colui Che Da Coraggio ***
Capitolo 5: *** Cap4 - Il popolo Celato ***
Capitolo 6: *** Cap5 - Il Mare Sconfinato ***
Capitolo 7: *** Cap 6 - Terraferma ***
Capitolo 8: *** Cap 7 - Due Forestieri ***
Capitolo 9: *** Cap 8 - Lunga vita alla Principessa ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il potere che conduce al male ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Prologo-

Il potere che conduce al male

Le antiche leggende narrano che fin dall’inizio dei tempi, il mondo era governato da due entità: lo Splendente, il creatore; e l’Oscuro, il devastatore.

Il sogno di un potere assoluto ha da sempre spinto molti uomini a compiere gesti sconsiderati e crudeli.

Un tempo, il Regno era governato da re Mohran, un re né migliore né peggiore di altri, ma che aveva un oscuro e profondo desiderio: l’onnipotenza.

Durante il suo regno, lo Splendente decise di fare un dono agli uomini, un dono che doveva fare soltanto del bene e portare la pace.

Scelse una sacerdotessa, e decise che sarebbe stata lei la prima depositaria di quel grande dono. Il suo nome era Inahet, e da alcuni anni era stata iniziata al culto dello Splendente.

Si occupava dei poveri e dei malati con fervore, felice di poter aiutare i bisognosi. Lo Splendente decise di donare a lei la magia, un potere che poteva usare per curare i malati e compiere altri prodigi. Era un dono straordinario, perché sull’Isola Universale non esisteva altra magia al di fuori della Fede nello Splendente.

Invece di concentrare tutti i poteri nel corpo della sacerdotessa, lo Splendente la fornì di un catalizzatore: un manufatto magico che permetteva di compiere la magia. In questo modo Inahet avrebbe potuto tramandare la magia anche a chi non fosse suo consanguineo.

La sacerdotessa si applicò ancora con maggiore veemenza nella sua missione, curando gli infermi e donando oro ai più poveri. Era tutto merito dello Splendente, che con il suo dono aveva portato la felicità in tutta l’Isola Universale. La magia era catalizzata in un braccialetto, che Inahet portava sempre. le pietre preziose brillavano di riflessi dorati come il sole, intervallate da pezzi d’oro incisi e finemente lavorati.

Con il passare degli anni, la voce di una sacerdotessa che era in grado di compiere prodigi si diffuse, ed attirò l’attenzione di re Mohran. Il suo sogno di un potere onnisciente si era materializzato: con quel braccialetto sarebbe stato in grado di compiere prodigi. Era deciso: avrebbe fatto di tutto pur di averlo. Il potere aveva manipolato anche la sua mente di sovrano buono e giusto, spingendolo a convocare Inahet a palazzo, e a chiederle il braccialetto.

-Mai.- Rispose sicura la sacerdotessa. –Questo è un dono dello Splendente per me ed i sacerdoti miei successori. Non potete averlo, deve essere usato per fare del bene!-

-Ed io infatti lo userò solamente per la felicità del mio popolo.- Mentì il re, che in realtà aveva come unico scopo l’accrescimento del suo potere.

-Voi siete un sovrano.- Disse infatti Inahet. –Non avete nessun bisogno di questo bracciale. Lasciatelo a me e lo userò per curare i malati e agevolare i poveri!-

Il re non sembrava ascoltare la sacerdotessa, e giocherellava con l’elsa della spada. –Ve lo dico per l’ultima volta: datemi quel braccialetto. È un ordine del vostro re!-

Inahet era visibilmente contrariata, e non aveva nessuna intenzione di cedere al re. –No.- Disse infine, con estrema fatica.

-Vi avevo detto che era l’ultima volta che ve l’avrei chiesto.- Si alzò in piedi e si avvicinò minaccioso alla sacerdotessa. –Ora mi prenderò quel braccialetto.- Il re estrasse la spada, e in pochi secondi costrinse la sacerdotessa al muro con l’arma puntata alla gola. –Datemi quel braccialetto.- Ordinò, tendendo la mano aperta.

Inahet teneva le braccia strette al petto, il bracciale nascosto dalle larghe maniche della veste. Tremava dalla paura, e non riusciva più a pensare; era troppo terrorizzata. Non voleva che quel braccialetto andasse nelle mani  del re, perché era sicura che lui non l’avrebbe usato come faceva lei per aiutare i bisognosi.

Il viso di re Mohran era sfigurato dalla rabbia, e quando il braccialetto brillò di riflessi dorati, nei suoi occhi si accesero un lampo di pura follia.

La sacerdotessa tentò di scappare, ma non fece in tempo a liberarsi, che il re la trafisse con la spada. Osservò il suo corpo afflosciarsi al suolo, senza il minimo risentimento. Si chinò sul corpo inerte della donna, e le scoprì il braccio. Il potere onnisciente  stava lì, nascosto sotto forma di oro e pietre preziose. Si impadronì del braccialetto con un gesto veloce, e lo strinse nel pugno con sollievo, come se solo allora avesse cominciato a vivere. Sentiva il potere fluire dal gioiello alla sua mano, poi al suo braccio, fino a pervaderlo completamente.

Da fuori provenivano urla e discussioni, probabilmente i sacerdoti cominciavano ad insospettirsi sul colloquio tra Inahet ed il re.

Mohran, indossò il braccialetto, e gli bastò pensare a quello che voleva, che il corpo insanguinato della sacerdotessa si dissolse senza lasciare traccia.

Ai sacerdoti disse che la loro signora era salita in Cielo, e che anche il braccialetto magico era tornato al suo creatore; perché lo Splendente aveva deciso che Inahet aveva terminato al meglio la sua missione.

I sacerdoti non gli credettero, ma non avevano nessuna prova del contrario, e la loro Fede li obbligava a credere che lo Splendente avrebbe potuto prendere Inahet con è in ogni momento. Il fatto, però, determinò una spaccatura tra i sacerdoti dello Splendente e il Regno.

Mohran sapeva che non poteva usare il bracciale, perché era troppo conosciuto dai suoi sudditi, e avrebbe attirato domande indiscrete. Decise di cambiarne la forma fondendo l’oro e applicando la pietre preziose.

Convocò il migliore armaiolo del Regno, che in segreto forgiò per il re un pugnale meraviglioso e magico. Dopo aver compiuto il suo lavoro, il re lo uccise senza nessun rimorso.

Le pietre preziose ornavano l’elsa del pugnale, e la lama era completamente d’oro. Per evitare che nessuno potesse estorcergli la magia, come lui aveva fatto con Inahet, durante la forgiatura dell’arma, Mohran unì all’oro colato alcune gocce del proprio sangue, così che il pugnale potesse scatenare la sua magia soltanto tramite individui di sangue reale.

* * *
Buon giorno a tutti!
allora, questa è una nuova storia che ho in cantiere da un bel po' di tempo... avevo già pubblicato una one-shot sulla stessa idea (il Galoppo verso l'Oscuro), ma poi l'ho modificata molto e da lì mi è venuta l'idea per tutta la storia.
per ora questo è solo il prologo (che ovviamente non è lo stesso della one-shot!), e avviso che non penso di aggiornare molto spesso... ho già pronti alcuni capitoli scritti un po' di tempo fa, e in questo momento sono in una fase di poca ispirazione...
in ogni caso, spero proprio che vi piaccia!
vi prego recensite, mi sarà utile a capire se è una buona idea aggiungere i capitoli, (e cancellare la One-shot) o è meglio lascir perdere questa storia fin dal principio!
bhè, in ogni caso se siete arrivati fino a qui, un GRAZIE grande grande,
                                                     Dreaming_Archer

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Capitolo 2
*** Cap1 - Il Patto di Hira ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 1-

Il patto di Hira

Da sempre nell’Isola Universale, si alternavano ère Oscure e Splendenti, perché serve sia il bene che il male.

Sia l’Oscuro che lo Splendente, però, erano ambiziosi, ed entrambi desideravano rendere eterno il loro dominio nella loro èra. Durante l’èra Splendente, il creatore decise di mantenere inalterata la pace, così da cancellare l’era Oscura. L’Isola Universale, per alcuni decenni, visse periodi di pace e prosperità in comunione con il Mare Sconfinato, che la circondava fino all’infinito.

L’Oscuro si lasciò mettere da parte solo in un primo momento, progettando una crudele vendetta. Mentre scrutava la pacifica Isola Universale, vide nascere una bambina particolare, e subito la sua peculiarità attirò la sua attenzione. Aveva visto nascere migliaia di bambini, ma nessuno come quella aveva le caratteristiche di una Parvenza; l’unico modo che aveva l’Oscuro per scendere di nuovo sull’Isola: un suo adepto mortale.

Attese che la bambina crescesse, e quando raggiunse l’età di sedici anni, ella partecipò alla sua cerimonia di iniziazione nella società. Era una tradizione fondata dallo Splendente: quando i ragazzi raggiungevano i sedici anni di età erano liberi di decidere cosa fare del loro futuro. I maschi potevano diventare Guerrieri, paladini del Bene e difensori del Regno, mentre le femmine potevano cominciare a cercare marito.

Hira si era sempre sentita diversa dagli altri, perché fin da piccola preferiva stare da sola, fare giochi violenti, e isolarsi in luoghi sperduti ed impervi.

L’Oscuro aveva atteso per lunghi anni, aspettando il momento migliore per proporre un patto ad Hira.

La leggenda narra che la ragazza stesse progettando di uccidere la sua famiglia per non partecipare all’iniziazione, quando avvenne un fatto molto singolare. Hira si accorse che dalla zona più buia della sua stanza, si allungava un’ombra nella sua direzione. Le sembrava incredibilmente irreale, perché tutto nella stanza era immobile, ma la allettava, e sembrava quasi chiamarla. L’ombra continuava ad avanzare, allargandosi sul pavimento come una pozza d’acqua. Hira però, non aveva paura. Era semplicemente curiosa di sapere cosa stesse succedendo; magari la potevano portare via di lì.

L’ombra si fermò ai suoi piedi, in attesa come lei.

–Cosa sei?- mormorò la ragazza, parlando quasi a sé stessa.

L’ombra ebbe un fremito, una voce tonante riempì il silenzio della stanza. –Sono l’Oscuro. E ho bisogno di te, mia adepta.-

Hira si guardò intorno per cercare di capire da dove proveniva la voce, ma dovette convincersi che era quell’anormale ombra a parlare. Il suo cuore prese un colpo sentendo quelle parole. Volevano proprio lei? –Cosa devo fare?- Chiese con voce chiara tornando sicura di sé.

-Diventare una mia Parvenza sulla terra. Stabilisciti dall’altra parte del Grande Fiume, e dai guerra al Regno. Così io potrò risorgere e l’Isola Universale avrà la sua era Oscura.–

Hira rimase stupita, ma si riprese velocemente. Era una ragazza ambiziosa, e sognava l’onnipotenza. Odiava la vita nel Regno, odiava quella pace noiosa e monotona in cui era obbligata a vivere. -E io cosa ci guadagno?- Chiese, decisa ad accettare il patto.

L’ombra ebbe un altro fremito. –L’onnipotenza.- Disse con voce suadente. –Potrai tutto quello che vorrai, e la tua magia non avrà limiti.-

Hira scosse la testa. –Voglio l’immortalità.- S’impose. –In questo modo la mia magia non avrà nessun limite.-

L’ombra si allargò sul pavimento. Aveva trovato proprio la persona giusta, che non si accontentava mai. –Sarai una Parvenza. Non un’altra Dea.-

Hira arricciò le labbra. –Se vuoi la tua Parvenza devi assicurarmi che non morirò mai.-

L’ombra si allargò ancora, come se la sua rabbia montasse. –Ti renderò immune a tutte le armi della Terra.-

Hira sospirò. Era riuscita a ricattare addirittura l’Oscuro!

–Eccetto una.- Continuò la voce dell’ombra. –Il pugnale del vecchio re Mohran. Conosci la leggenda, si dice che sia stato creato dallo Splendente; e le leggende sono sempre veritiere. Sta a te trovare il Pugnale e tenerlo al sicuro. Solo quello potrà ucciderti, le altre armi scalfiranno solamente la tua armatura.-

Hira vibrò di rabbia da capo a piedi. Beffata da un’ombra! –Sono la tua Parvenza.- Disse, capendo che non poteva contrattare oltre. –Cosa devo fare?-

L’ombra si allargò come una pozza di pece, fino a lambire i suoi piedi nudi. –Immergiti nell’oblio e diventerai la Parvenza.-

-E il patto?- Domandò, cedendo all’insicurezza.

-Tu manterrai la promessa se non vuoi morire e perdere il tuo potere, giusto?-

-Certo.-

-Allora non devi temermi.-

Hira si guardò i piedi, poi guardò l’ombra, che sembrava un nero nell’ignoto. Prese un profondo respiro e fece un passo nell’oscurità.

Appena la sfiorò, l’ombra scivolò dal piede della ragazza lungo tutto il suo corpo, coprendolo di un impenetrabile armatura nera. La stanza si fece opaca e cominciò a vorticare, finché scomparve.

Fu così, che Hira divenne l’Oscura Parvenza.

* * *

ciao!!
volevo solo aggiungere che questo capitolo è dedicato a Hivy... non solo per quanto ho detto nella risposta alla recensione, ma soprattutto perchè sei stata tu (senza saperlo) a darmi l'ispirazione per Hira... (lei è molto Sorella dell'Oscurità!)
grazie a tutti, anche solo chi ha letto!

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Capitolo 3
*** Cap2 - Il Pugnale di Mohran ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 2-

Il Pugnale di Mohran

Erano passati decenni dal patto di Hira, ma l’adepta dell’Oscuro sembrava immortale, e l’Isola Universale era divisa in due dalla guerra tra il Regno, ad ovest, dove dominavano i seguaci dello Splendente, e le terre dell’Oscura Parvenza, ad est aldilà del Grande Fiume.

Durante un conflitto interno al Regno, un piccolo gruppo di sacerdoti del culto dello Splendente fuggirono. Essi raggiunsero i confini dell’Isola, e si buttarono in mare. Le leggende narrano che sopravvissero alle immense cascate Nahjs, e che si insediarono sottoterra, nascosti dalla cascata, ma nessuno è a conoscenza della verità.

Subito dopo il patto, l’Oscura Parvenza aveva iniziato le ricerche del pugnale di Mohran, e in tutte le città che attaccava, cominciava una ricerca a tappeto. Nessuno capiva cosa stesse cercando e perché, ma sembrava che le sue ricerche non dessero alcun risultato. Dopo lungo tempo, le sue divinazioni mostrarono finalmente il pugnale. Per sua sfortuna, si trovava nascosto nel palazzo Reale, custodito come sacro perché appartenuto all’antico re Mohran.

L’Oscura Parvenza progettò subito un piano, perché aveva bisogno della persona giusta per rubare il pugnale. Doveva essere un viso familiare al palazzo, così che entrare sarebbe stato più facile. Doveva essere un Guerriero, l’unico in grado di fuggire attraverso il Regno fino alle terre Oscure. Nessuno sapeva da dove veniva il Pugnale, e l’immensa magia che nascondeva. Dopo la morte di Mohran il segreto era morto con lui.

Mentre l’Oscura studiava il Regno, le sue divinazioni mostrarono la famiglia di un Guerriero abbastanza modesto. Lui doveva essere in missione, perché la casa era abitata solo da un donna sulla quarantina e da una ragazza che a giudicare dall’età, tra poco avrebbe avuto il suo rito di iniziazione.

L’Oscura Parvenza capì subito che erano le persone giuste.

 *

La casa del Guerriero Kay era silenziosa quando il padre non c’era. La moglie e la figlia lavoravano senza dire una parola, e aspettavano ansiosamente che lui tornasse a casa.

Era tutto tranquillo, quando da un angolo poco illuminato, la ragazza vide allargarsi un’ombra informe. Stava apparecchiando la tavola, e quando se ne accorse lasciò cadere a terra la pila di piatti con un urlo acuto.

La madre accorse subito a vedere cosa fosse successo, ma si bloccò terrorizzata vedendo l’ombra che raggiungeva rapidamente la figlia e la assorbiva. La donna corse subito verso la ragazza e la prese per una mano.

Un attimo dopo venivano risucchiate entrambe dall’ombra.

 *

Quando Kay tornò a casa, trovò l’abitazione vuota e buia, senza nemmeno una candela ad illuminarla. Subito si preoccupò, perché non era mai successo, e si vedeva poco o niente.

Chiamò la moglie e la figlia più volte, finché non vide i cocci di alcuni piatti a terra vicino al tavolo. Si chinò per prenderne uno in mano, ma ciò non aiutava a capire cosa fosse successo. La paura cominciò a crescere e a farsi sentire come un groppo in gola.

Socchiuse gli occhi nella penombra, e allora vide la moglie e la figlia, ma era una visione. Erano incatenate, e si abbracciavano per farsi coraggio l’un l’altra in luogo buio e angusto.

Kay le chiamò ancora, incapace di sottrarsi alla visione, e una voce scura ma vellutata raggiunse la sue orecchie.

-Ora sono in mio potere.- Diceva la voce, femminile. –Se le vuoi rivedere devi portarmi il pugnale di Mohran.-

La visione cambiò, Kay vide il palazzo Reale e una piccola stanza sotterranea, di cui conosceva bene la posizione, perché ne era il guardiano. Probabilmente la voce, che gli era entrata nella mente, poteva sentire anche i suoi pensieri, così l’Oscura Parvenza capì subito che aveva trovato la persona giusta. –Portami il pugnale nel mio palazzo aldilà del Fiume, e allora le riavrai.-

-Io non posso tradire!- Gridò Kay, preso dall’ansia e allo stesso tempo dalla paura per la sua famiglia. –Io sono un Guerriero!-

-Quindi non sarà un problema.- Concluse la voce, e la mente di Kay si liberò di colpo dalla visione. Lui si ritrovò spossato a terra tra i cocci dei piatti. Si portò le mani alla testa, per cercare di riflettere. Avrebbe fatto di tutto per sua moglie e sua figlia, ma rubare il pugnale di Mohran significava tradire il Regno. E lui non era un traditore, non voleva tradire. Calde lacrime di disperazione gli rigarono il volto. Non voleva, ma per la sua famiglia non c’erano altre possibilità.

 *

Un Kay nervoso e teso si presentò nella stanza del pugnale; il giorno dopo, prima del tramonto. Aveva preso il cavallo più veloce, lo aveva sellato con alcune provviste per la fuga, e aveva limato la spada fino a renderla perfettamente affilata.

Andò a dare il cambio al compagno guardiano, che lo salutò calorosamente. Kay invece era freddo e distante, ma l’altro non ci fece molto caso.

Il Guerriero si chiuse la porta alle spalle, e cercò di restare calmo. Il pugnale di Mohran era di fronte a lui, che brillava come una stella alla luce rossastra del tramonto.

Kay si chiese perché l’Oscura Parvenza volesse quel pugnale, ma non riuscì a trovare una risposta.

Rifletté soltanto un attimo, ma non aveva altre possibilità. Con mani tremanti prese l’arma per l’impugnatura tempestata di pietre, e si permise di osservarlo per un momento. Era una bellissima arma, con la lama affilata a brillante, un unico pezzo d’oro lucente e magnifico. L’elsa sembrava adeguarsi perfettamente al pugno di Kay, e le pietre brillavano come piccole gocce di rugiada.

Il Guerriero si fece per l’ennesima volta coraggio pensando alla moglie e alla figlia nelle mani del nemico, così nascose il pugnale in un panno di pelle e lo ripose sotto la giubba, poi uscì furtivo dalla stanza.

 *

Kay doveva superare alla svelta il confine per recarsi dal nemico. L’Oscura poteva fare di tutto alla sua famiglia.

Sarebbe stato abbastanza facile, se solo al palazzo del re non lo avessero scoperto. Adesso era costretto a galoppare a rotta di collo verso il fiume, che divideva le Terre del Regno da quelle dell’Oscura. “Inquietante sapere che le Terre del nemico rappresentano per me la salvezza.” Si disse, quando cominciava a scorgere il fiume brillare di riflessi dorati alla luce del tramonto. Era lì, appena dopo la discesa dalla collina. Poteva farcela. Cercava di convincersi pensando al dolce sorriso della moglie, gli occhi limpidi della figlia, che molto probabilmente ora pensavano a lui. Doveva aumentare il passo: il suo cavallo era stanco, invece gli altri Guerrieri erano una ventina, e si avvicinavano velocemente.

Come un miraggio, le sue orecchie cominciarono a sentire lo sciabordio dell’acqua, una brezza fresca e umida raggiunse il suo viso. Il fiume era vicino. “Un ultimo sforzo …” si disse, come per incitare il cavallo.

Quelle ultime falcate verso la salvezza gli sembravano eterne. Il cuore che batteva impazzito nel suo petto sembrava seguire i passi frenetici del galoppo, la testa sembrava esplodergli per la fatica e la stanchezza.

E finalmente il fiume era lì, a pochi passi. Come in un sogno, il cavallo si immerse nel guado, cominciando ad arrancare per raggiungere l’altra sponda.

Kay sentiva il fiato dell’animale allo stremo, che cercava di opposi alla forza della natura, mentre la corrente cercava di strapparli al terreno.

Alla fine la somma di tutti gli elementi la ebbero vinta. Il cavallo perse l’appoggio, e scivolò sul letto del fiume. Cominciò a scalciare spaventato e a dimenarsi, Kay si ritrovò in mezzo al fiume a lottare contro la corrente.

Se l’Oscuro non avesse avuto ancora in mano la sua famiglia, avrebbe esultato; nessuno ormai poteva avere quel maledetto pugnale.

Con disperazione si rese conto che la corrente lo stava trascinando lontano, e le sue orecchie cominciarono a sentire come un potente boato. Un rombo continuo, che se le stesse fondamenta della Terra si stessero sgretolando. Erano le cascate di Nahjs, le più alte di tutto il Regno. Nessuno era mai sopravvissuto a quel salto, si raccontava che nemmeno i draghi riuscissero a risalirle.

Kay capì che ormai era finita. Era la sensazione peggiore che si potesse mai provare. Sua moglie e sua figlia non sarebbero mai tornate libere, chissà cosa avrebbe fatto loro l’Oscuro.

Kay disperato, sentì che il suo viso, già bagnato, veniva solcato da pesanti lacrime di rassegnazione.

E il rumore della cascata gli riempì la testa.

* * *

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Capitolo 4
*** Cap3 - Colui Che Da Coraggio ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 3-

Colui Che Da Coraggio

Le leggende forse erano vere, quando raccontavano che i fuggitivi dalla guerra erano sopravvissuti alle cascate di Nahjs.

Si erano infatti stabiliti nelle grotte sotterranee dietro di essa, a strapiombo sul Mare Sconfinato che circondava l’Isola Universale.

I loro costumi, la loro società, la loro religione, tutto era diverso da quelli del Popolo Rivelato, gli abitanti dell’Isola. Tra il Popolo Celato infatti si poteva diventare cacciatori, maghi, oppure esploratori. Di questi ultimi ormai non se ne trovavano più, perché solo i primi Celati avevano esplorato le grotte: ora non serviva più.

Quindi, quando il giorno della scelta, un ragazzo aveva detto di voler diventare esploratore, tutti gli erano scoppiati a ridere in faccia.

Lui non si era lasciato prendere in giro, spiegando che i loro oracoli avevano raccontato che un giorno sarebbe arrivato un uomo dall’Isola che li avrebbe riportati in superficie, e lui lo voleva trovare.

Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere. Quella dell’Isolano era una leggenda antica, e in pochi ormai ricordavano come fosse la superficie. –Io riporterò il nostro Popolo alla luce!- Urlò il ragazzo lasciando la grotta sotterranea. Si era tuffato in acqua, aveva superato la cascata, e con fatica era riuscito ad uscire all’aria.

Per lui non c’era niente di eroico in quel gesto, lo aveva fatto almeno una decina di volte. “Ma questa sarà l’ultima.” Si disse, arrampicandosi su alcuni scogli nei pressi della cascata. “Se il mio Popolo non mi vuole come esploratore, allora non mi avrà del tutto.” Decise, afferrando un sasso molto pesante e legandolo ad un capo di una corda.

Si rese conto solo allora che stava piangendo. Si fermò solo quando la corda fu ben legata alla pietra e l’altro capo alla sua caviglia.

Non sopportava più le prese in giro dei suoi compagni e di essere lo zimbello di tutto il Popolo Celato. Così era arrivato a fare quel gesto estremo. –Io non sono uno di voi!- Urlò verso la cascata. –Non lo sarò mai!!- Con il cuore che gli batteva forte in gola, allungò il collo per guardare al di là degli scogli, dove aveva intenzione di buttarsi. Rimase bloccato all’istante.

Poco sotto di lui c’era un uomo, vestito in modo molto strano, ma l’attenzione del ragazzo era tutta per la sua pelle, molto più scura di quella di chiunque altro avesse mai visto.

D’istinto estrasse un pugnale a lama corta e tagliò la corda, poi si tuffò agilmente per raggiungere l’Isolano.

 *

La prima cosa di cui Kay si accorse, fu che aveva freddo. Stava letteralmente congelando, perché era completamente bagnato, e il luogo in cui si trovava era umido e freddissimo. Provò a muovere una mano, e con meraviglia si accorse che il suo corpo rispondeva bene.

Gli venne di nuovo da piangere, perché era sopravvissuto alle cascate più alte di cui il suo Popolo era a conoscenza, e poteva ancora salvare la sua famiglia.

Una mano calda prese la sua, e per un attimo pensò alle mani di sua moglie, dolci e delicate.

Quasi senza accorgersene, Kay batté le palpebre e lentamente aprì i suoi occhi castani. Sopra di lui era buio: vedeva un po’ sfocato, ma si accorse subito che quello era il soffitto di una caverna. Capì all’istante il perché di quel freddo.

Subito gli tornarono alla mente i racconti sul Popolo Celato, che come lui dovevano essere sopravvissuti alle cascate.

Nel suo campo visivo comparve allora un viso ovale, di un pallore che Kay non aveva mai visto nemmeno a un morto. Capì subito che la mano che stava stringendo era quella di quello strano ragazzo, e la ritrasse velocemente.

-Sei sveglio, Isolano?- Chiese il ragazzo con uno strano accento.

Kay sbatté di nuovo le palpebre, e il viso pallido si ritrasse. –Sì, aiutami ad alzarmi.-

L’altro obbedì circospetto, finché Kay non lanciò un urlo acuto quando provò a muovere la gamba destra.

-Probabilmente è rotta.- Spiegò il ragazzo. –La forza della Lacrima dello Splendente è immensa.-

-La che cosa?- Domandò Kay, cercando di ignorare il dolore.

Il ragazzo si chinò a studiare la gamba di Kay, però non si dimenticò della domanda. –La Lacrima dello Splendente è come il mio Popolo chiama la cascata. Perché ci porta i doni del Dio.-

Il ragazzo stese le mani e chiuse gli occhi. Kay non riusciva a capire cosa stesse facendo, ma gli bastava sapere che il dolore si stava attenuando, fino a scomparire. Le palme delle mani del ragazzo si illuminarono di una luce dorata, che si spese lentamente.

Kay rimase sbalordito. Quel ragazzo sapeva usare la magia! D’istinto avrebbe voluto buttarsi ai suoi piedi e ringraziarlo in tutte le lingue che conosceva, perché aveva guarito la gamba come nemmeno i migliori guaritori del suo popolo erano in grado di fare. Avrebbe anche potuto provare a camminare: in fondo era un Guerriero, e sapeva lottare contro il dolore. –Dove sono?- Chiese, mentre si permetteva di studiare il suo inusuale salvatore. Oltre ad essere pallidissimo, il suo corpo aveva altre caratteristiche tipiche degli abitanti delle grotte sotterranee: era molto basso, come un bambino di dodici anni, anche se Kay era sicuro che fosse molto più grande, forse dell’età di sua figlia. Anche se basso, aveva un fisico atletico e agile, e aveva una discreta muscolatura. Di sicuro anche tra il Popolo Celato si usava allenare i giovani. I suoi occhi erano più grandi del normale, e brillavano di un verde accecante, sicuramente capaci di vedere al buio. Aveva poco di umano, anche per i suoi movimenti a carponi nella grotta.

Kay però non aveva paura di lui, anche se aveva alcuni coltelli legati al corpo, perché lo aveva guarito. Solo un pazzo avrebbe salvato il suo nemico per poi ucciderlo.

-Ben arrivato tra il mio Popolo, Isolano.- Rispose a bassa voce il ragazzo, muovendo il suo codino di lunghi capelli scuri, intrecciati fittamente con alcuni piccoli sassolini.

-Perché mi chiami così?- Domandò il Guerriero, che odiava i soprannomi. –Io sono Kay.-

-Perdonami, Kay.- Disse il Celato guardandolo con i suoi strani occhi verdi. –Ma una leggenda narra della tua venuta qui tra noi Celati. Tu ci riporterai alla luce.-

Kay rimase sbalordito. Quel ragazzo gli aveva salvato la vita, ma non sapeva di cosa stesse parlando. –Io ho una missione da compiere in superficie.- Disse lo stesso. –Come posso fare?-

-Ti porterò io via di qui.- Disse a sua volta il ragazzo.

Kay annuì, cominciando a muoversi.

-Io mi chiamo Reydhan. Nella mia lingua significa: Colui Che Da Coraggio.- Riferì il Celato con visibile soddisfazione.

-Credo proprio che ne avrò bisogno.- Rispose Kay mesto.

* * *

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Capitolo 5
*** Cap4 - Il popolo Celato ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 4-

Il Popolo Celato

Kay non pensava che Reydhan lo avrebbe portato dal suo Popolo. Invece, dopo averlo aiutato ad alzarsi, lo accompagnò in una grotta dal soffitto vertiginosamente altro, riempita da un centinaio di Celati come il ragazzo.

Al loro ingresso nella sala dell’Assemblea, duecento paia di enormi occhi luminosi si girarono verso di loro.

Per Kay era difficile vedere; i suoi occhi non erano abituati a quell’infima penombra, e quando tutti lo guardarono, cominciò a provare quello che ancora non aveva provato insieme a Reydhan: paura. I Celati erano armati fino ai denti, e lui aveva perso la spada nella cascata. Ora aveva solo … il Pugnale di Mohran! Si accorse con un colpo al cuore che era ancora sotto la sua giubba di pelle. La cascata si era presa tutto, ma non quell’ultima speranza.

I Celati che riempivano la sala lo guardavano circospetti spostando lo sguardo da lui a Reydhan, e viceversa. Il ragazzo gli aveva detto che il suo Popolo non aveva molta stima verso di lui, ma non si aspettava quella fredda accoglienza.

I Celati non erano un Popolo leggendario, stracolmo di buoni sentimenti, erano esattamente come i Rivelati della superficie: non sopportavano le diversità.

Reydhan però era testardo, infatti ignorò quegli sguardi inquisitori e salì sulla roccia più alta della grotta, per dominare tutto l’uditorio. –L’Isolano è sopravvissuto alla Lacrima dello Splendente, e ci può riportare in superficie!- Urlò. –Come vi avevo detto, la profezia era vera! Io sono uscito dalle grotte e l’ho salvato! Dobbiamo aiutarlo a tornare dal suo Popolo!-  Tra l’uditorio vibrò un brusio, e scoppiò qualche risata. L’espressione sicura di Reydhan si spense in un istante, e gli tornò alla mente la corda che aveva lasciato sugli scogli. Era ancora lì che lo aspettava …

Kay prese il coraggio e lasciò perdere la paura, perché Reydhan gli aveva  salvato la vita, e non poteva permettersi che quelli lo prendessero in giro. Si era già affezionato a quel ragazzo.

Si avvicinò a lui, ed estrasse il Pugnale di Mohran. –E’ questo- Disse, alzando l’arma. –Il motivo per cui sono qui. Ho rubato questo pugnale per salvare la mia famiglia, e devo assolutamente riportarlo all’Oscura Parvenza! Ho bisogno del vostro aiuto per tornare in superficie!-

La folla rimase un attimo zittita, e anche Reydhan guardò allibito Kay. Il Guerriero capì subito che loro conoscevano la forza di quel pugnale.

-Lo raccontano le leggende …- Spiegò Reydhan. –Il Pugnale di Mohran è l’unica arma che può uccidere Hira …-

-Ma a noi ciò non interessa.- Si intromise uno dei più vecchi Celati.

Kay si accorse che i suoi occhi erano ancora della misura normale, quindi probabilmente era uno dei primi sacerdoti che si erano stabiliti lì sotto. –L’Oscura Parvenza è un problema del Popolo Rivelato, non nostro. Noi non ti aiuteremo, e resteremo qui.- Aggiunse fissando Reydhan con astio.

Reydhan strinse i pugni. –Vieni con me, Kay.- Disse, con il viso e offeso, ma allo stesso tempo deciso. –Io ti aiuterò.- Guardò il vecchio. –Perché io non sono più uno di loro, e sono un esploratore.- Saltò agilmente giù dalla roccia, e si diresse deciso verso l’uscita della grotta. –Prendo l’arco, e poi partiamo. La tua famiglia ha bisogno di te.-

Kay rimase sbigottito. –Ma tu non vuoi nulla in cambio?-

Reydhan sembrò sorpreso. -Certo che no. Io ho già quello che voglio.- Guardò Kay e sorrise. I suoi denti erano leggermente appuntiti. –Uscirò all’aria senza dover più scappare.-

 *

Reydhan prese un fagotto da un angolo e cominciò a buttarci dentro alcune cose, quasi senza guardare. Era da tanto che voleva farlo, sapeva a memoria cosa prendere.

Fuori dalla grotta era notte inoltrata, e la “casetta” di Reydhan era piombata nel buio. Per lui non c’erano problemi a vedere, ma accese comunque una torcia e la avvicinò a Kay.

-Tutto bene, Isolano?- Chiese a voce bassa.

-Capisco la tua smania di andartene, Reydhan.- Rispose lui. –Ma ormai è notte fonda, ed io sono esausto. Non riuscirei mai a superare la forza della cascata.-

Reydhan sembrò deluso, ma cercò di non darlo a vedere. –Capisco.- Rispose dopo un po’, mostrandosi estremamente comprensivo. –Ma comunque per la cascata non c’è nessun problema … Conosco un passaggio segreto.- Sorrise di nuovo, e i suoi occhi verdi brillarono.

-Allora domani mattina lo useremo.- Disse Kay per infondergli un po’ di fiducia. –Ma dimmi una cosa: come facciamo ad andarcene?-

-Io ho una barca.- Disse Reydhan contento. –Bhè, la usavo da bambino, quindi non so quanto sarà grande. Ma è robusta, e può affrontare il mare. La tengo in buono stato.-

-Ottimo. Bravo, ragazzo.- Kay si allungò per posargli una mano sulla spalla. –Mi hai salvato la vita e ora mi stai aiutando a salvare la mia famiglia. Come potrò mai sdebitarmi?-

Reydhan lo guardò dritto negli occhi, mostrando tutta la sua determinazione. –Te l’ho già detto. Io non voglio nulla, se non uscire da qui. E tu mi stai aiutando a farlo.- Disse. –E poi sono un esploratore. E’ il mio destino.-

Si voltò, e si accucciò sopra ad un mucchio di coperte per dormire, così Kay lo poté osservare in silenzio. Non aveva idea di cosa fosse un esploratore per quel Popolo, ma gli piaceva molto l’alto senso dell’onore, e il coraggio che mostrava quel ragazzo. Sarebbe stato un ottimo compagno di viaggio, ed era felice di poterlo aiutare ad esaudire il suo sogno, e di portarlo via da quel Popolo che non lo capiva.

Kay era veramente felice. Non solo aveva scoperto il Popolo Celato, ma aveva superato le cascate di Nahjs tenendo il pugnale, e soprattutto: sapeva a cosa serviva.

Per la prima volta da lungo tempo sapeva cosa doveva fare. Non solo salvare la sua famiglia, ma uccidere l’Oscura Parvenza. Era l’ultima possibilità del Regno. L’Oscura lo aveva obbligato a rubare il pugnale perché lui non sapeva a cosa serviva, così glielo avrebbe riportato come se niente fosse e il nemico sarebbe stato immortale.

Sul suo viso comparve un sorriso. Forse la cascate erano veramente una proprietà dello Splendente, e la provvidenza lo aveva portato laggiù, così che potesse trovare i Celati e scoprire la verità sul Pugnale di Mohran.

Il suo sguardo cadde sul pallido viso addormentato di Reydhan, e la sua serenità lo fece tranquillizzare. Quel ragazzo infondeva veramente coraggio.

* * *

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Capitolo 6
*** Cap5 - Il Mare Sconfinato ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 5-

Il Mare Sconfinato

L’alba penetrò come un forte raggio di luce dorata nella grotta di Reydhan, che era molto vicina alla cascata, e il ragazzo si alzò sbadigliando. Sbatté un attimo le palpebre,  poi si voltò dalla parte opposta al raggio di luce. Preferiva di gran lunga il buio, perché lo faceva sentire più protetto; e il suo corpo era cresciuto apposta per muoversi in mancanza di luce.

Kay invece adorava il sole, Reydhan lo capì subito da come i suoi occhi scuri brillarono a vedere quel raggio.

-Non ho molto per colazione.- Si scusò Reydhan. –Ma potremo pescare durante il viaggio per mare.-

Kay fece un gesto con la mano. –Non è un problema.- Disse, anche se aveva una fame da lupi. –Partiamo il prima possibile.-

Reydhan scattò subito in piedi a sentire quelle parole. Prese il fagotto che aveva preparato la sera, e raccolse da terra un lungo arco ricurvo alle estremità e la faretra con alcune frecce.

Kay se ne stupì. –Come fai ad avere arco e frecce se qui non ci sono alberi né uccelli?-

Reydhan andava molto fiero della sua arma. –Sono uno dei pochi ad averne uno. L’unico, in effetti.- Riferì orgoglioso. –L’ho trovato nella caverna di uno dei primi Celati, e lui me lo ha regalato. Voglio fare l’esploratore, quindi non posso non avere un arco. Tira ancora  molto bene, e io penso di aver imparato a maneggiarlo con destrezza. La mira degli antichi esploratori non sbagliava mai.-

Kay si offrì di tenere il fagotto, così Reydhan si mise l’arco e la faretra a tracolla. –L’unico problema sono le frecce.- Continuò a raccontare. –Ho svuotato tutte le faretre che ho trovato, ma non sono più di una ventina di tiri.-

Kay sentì una profonda tenerezza per quel ragazzo. –Tranquillo.- Disse, mettendogli una mano sulla spalla e cominciando a seguirlo. –Quando arriveremo sull’Isola ti comprerò subito delle frecce.-

Reydhan sorrise. –Sono felice di viaggiare con te.-

 *

Per evitare la cascata, Kay aveva seguito Reydhan in uno stretto passaggio intorno alla scogliera, dove le onde del mare si scontravano violentemente pochi metri sotto di loro.

Kay era spaventato, perché il passaggio era molto stretto addirittura per Reydhan, lui era goffo e sembrava un gigante che camminava in una casa delle bambole.

Il cuore gli batteva forte in gola, ovattato dal fragore delle onde sulla scogliera. Quel rumore gli ricordava il boato continuo della cascata, e il solo pensiero gli fece sbagliare un passo, e qualche roccia volò in basso, inghiottita subito dalle onde. Kay trattenne  a stento un urlo e il cuore gli sobbalzò in gola. Si appiattì il più possibile contro la parete di roccia, mentre la mano di Reydhan andava a cercare la sua. La prese e la strinse.

-Tra poco tutto si allarga. Scusa se è faticoso per te.- Disse il ragazzo colpevole.

Quelle parole strapparono a Kay un sorriso. –Non sei tu che hai creato questa scogliera. Non ti scusare, anzi.- Lo guardò negli occhi. –Tu infondi veramente coraggio, sai?- Disse, sentendosi stupido, ma lo sguardo di Reydhan aveva veramente il potere di tirargli su il morale.

Reydhan tornò a guardare davanti a sé, ma sorrise. –E’ solo la tua immaginazione, io non sono diverso da qualunque altro Celato.-

Detto questo si fermò, sopra uno scoglio abbastanza ampio e piatto. Kay rimase sbalordito, guardando indietro e osservando lo stretto passaggio che avevano appena attraversato. Era veramente impressionante. –Invece no.- Disse. –Tu mi hai fatto superare la paura.-

Reydhan sorrise, ma cambiò argomento. –La mia barca è nella grotta sotterranea qui sotto.- Indicò la roccia su cui erano arrivati. –La vado a prendere, poi ci saliamo insieme.-

Kay annuì, e prese l’arco e la faretra che Reydhan si era sfilato dalle spalle, e lo guardò tuffarsi agilmente e senza il minimo ripensamento tra la spuma e il gorgogliare delle onde. Si sporse a guardare, e lo vide nuotare a pelo d’acqua aiutato dal moto ondoso. La sua pelle sembrava ancora più diafana alla luce del mattino, e Kay non poté che meravigliarsi della forza della natura. I Celati si erano stabiliti solo da alcune generazioni nelle grotte sotterranee, eppure i loro corpi erano molto diversi da quelli degli Isolani Rivelati. Si erano adattati al meglio alla vita lì sotto.

Kay alzò lo sguardo, osservando un’altra meraviglia creata dallo Splendente. Il Mare Sconfinato si estendeva davanti a lui, in tutte le direzioni, senza inizio né fine. L’aria salmastra e fresca che stava respirando proveniva da lontano, da misteriose e lontane terre al di là dell’orizzonte; e magari anche laggiù si chiedevano, come stava facendo Kay: “Mare Sconfinato, cosa mi nascondi?”

Chissà quante barche quel forte vento marino faceva navigare, e quante persone avevano sentito quella fresca brezza accarezzargli i capelli, frustargli il volto, fischiargli nelle orecchie, e bruciargli gli occhi.

Kay non era mai stato uno nostalgico e riflessivo; era un uomo d’azione; ma in quel momento, mentre respirava a pieni polmoni l’aria salmastra, non poteva non fermarsi ad ammirare quello spettacolo. Si chiese perché non l’avesse mai fatto, perché non avesse mai voluto provare quell’entusiasmante sensazione di essere l’unico al mondo, davanti a quell’orizzonte infinito.

-Pronto a partire?- Gridò Reydhan dalla barca, proprio in quel momento.

“Che guastafeste.” Pensò scherzosamente Kay, lanciando un ultimo sguardo all’orizzonte prima di concentrarsi sulla misera barchetta di Reydhan.

Era veramente piccola, e loro due dovevano starci a malapena; ma aveva una bella vela quadrata e, come aveva detto il ragazzo, era tenuta in ottimo stato. Prometteva bene.

-E’ un’ottima giornata per navigare!- Esultò Reydhan mostrando con un gesto tutto il mare, con un grande sorriso sulle labbra.

 *

Navigarono per tutta la giornata abbastanza al largo, perché la barca era leggera e le onde l’avrebbero sfracellata navigando sotto costa. Il profilo dell’Isola Universale si allungava alla loro sinistra, con le altissime scogliere la cui superficie si perdeva nella nebbiolina come nelle nuvole.

Viaggiavano verso nord-est, seguendo il profilo della costa sudorientale delle Terre dell’Oscura Parvenza.

Cercavano una spiaggia dove attraccare, per poter poi raggiungere via terra il palazzo dell’Oscura.

Kay si ritrovò a fremere di impazienza, stringendo il Pugnale di Mohran, aspettando mentre l’ansia cresceva, di usarlo contro l’adepta dell’Oscuro.

* * *

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Capitolo 7
*** Cap 6 - Terraferma ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 6-

Terraferma

Viaggiarono seguendo il profilo della costa per alcuni giorni, e Kay sentiva che dentro di lui l’ansia cresceva, la preoccupazione per la sua famiglia aumentava. Chissà se l’Oscura sapeva che era sopravvissuto e che aveva il pugnale. E cosa aveva fatto e sua moglie e sua figlia?

–Lo Splendente veglia su di noi.- Disse Reydhan senza sapere i  pensieri del compagno. –Ha capito che stai facendo del bene, e ci ha voluti aiutare. Non hai visto che pesca copiosa abbiamo avuto e che non abbiamo incontrato tempeste?- Era molto felice, ma capì subito che Kay aveva pensieri abbastanza tristi. –A cosa pensi, Isolano?- Chiese. –Ora che stiamo tornando sulla tua Terra, hai paura?-

-Non ho paura. Sono semplicemente preoccupato per Kayleen ed Aileen.-

Reydhan lo guardò spalancando i suoi grandi  occhi verdi.

-E’ vero, scusami.- Riprese Kay. –Tu non le conosci. Sono mia moglie Aileen, e mia figlia Kayleen.-

-Perché tua figlia porta il tuo stesso nome?- Domandò il Celato dopo un po’.

-E’ una tradizione del mio Popolo. “Leen” significa “Dea” nell’antica lingua, e aggiunto al nome del padre, significa “La dea di Kay”. Si usa per tutte le primogenite femmine. Come mia moglie, suo padre si chiamava Ai.-

Reydhan ascoltò attento la spiegazione, ma poi distolse lo sguardo da Kay, i cui occhi brillavano a parlare della famiglia. Lui era orfano da quando aveva dodici anni, ed era cresciuto da solo, isolato dal suo stesso Popolo.

Guardava mestamente la costa sfilare alla loro sinistra, mentre Kay fissava distrattamente l’acqua del mare. Trai due era calato un profondo silenzio.

Dopo alcuni minuti, i brillanti occhi di Reydhan scorsero un cambiamento nella monotonia del paesaggio. Le scogliere si erano abbassate degradando dolcemente fin dalla loro partenza, ma ancora non avevano scorto nessuna spiaggia. Fino ad allora, perché la scogliera alta e ripida finiva in quel momento, nascondendo e proteggendo un piccolo golfo e una breve spiaggia sabbiosa. –Guarda, Kay! Guarda!- Urlò, puntando il dito verso la spiaggia. Allora anche Kay si voltò a guardarla, e vide come in un miraggio, due irte scogliere che cingevano la spiaggia come in un abbraccio materno, e aldilà della sabbia, immersa nella foschia del primo mattino, alcune basse montagne, e una vasta campagna erbosa. Il suo cuore accelerò improvvisamente, rischiando di scoppiargli in petto. Ce l’avevano fatta, e sua moglie e sua figlia erano lì, da qualche parte.

Lo spazio navigabile del golfo era ancora sgombro perché era quasi metà mattina quando vi entrarono, e tutti i pescatori che lo abitavano erano già nelle loro case. Ad ovest sulla spiaggia, infatti, sorgeva un piccolo villaggio di non più di una decina di case, costruite direttamente sulla sabbia.

Quando portarono la barchetta in secca, a Kay tremarono le gambe. Non si ricordava più la terraferma, e dovette impiegare alcuni istanti per abituarsi a camminare di nuovo, e soprattutto su qualcosa di immobile.

-Quasi mi dispiace lasciare la barca …- Mormorò Reydhan quando la nascosero tra gli scogli ai piedi della scogliera.

-E’ stato proprio un bel viaggio.- Assentì Kay. –E anche grazie a te.-

Reydhan non rispose, ormai ne aveva sentite molte di quelle lodi. Non gli piaceva, principalmente perché non ne era abituato. Tra il Popolo Celato aveva sentito sempre e solo prese in giro.

-Ora che cosa facciamo?- Domandò dopo un po’ per rompere il silenzio.

-Credo che sia meglio che tu rimani qui.- Propose Kay. –Attiri troppi sguardi, e sai quanto i marinai sono superstiziosi …- Cercava di buttarla sul ridere, ma anche a lui dispiaceva dover lasciare Reydhan, anche se per poco. Soprattutto non gli andava di fargli pesare la sua diversità. –Ti comprerò dei vestiti e un mantello con cui coprirti. Non so se qui c’è un’armeria, ma cercherò anche delle frecce, e una spada.-

Reydhan, scoraggiato, si lasciò cadere a terra in una macchia d’ombra, nascosto dagli scogli. –Fai in fretta.- Si raccomandò, visibilmente contrariato, ma sicuro che Kay avesse ragione.

Il Guerriero non aggiunse altro, e si avviò verso il piccolo villaggio.

Reydhan quindi, si ritrovò da solo. Di nuovo, solo. Dopo che era arrivato Kay non pensava quasi più al suo Popolo, perché tutto quello che voleva era lasciarlo, ma adesso era molto spaventato dall’Isola Universale. Tutta quella luce gli feriva gli occhi, per questo aveva cercato l’ombra, e anche se a Kay non l’aveva detto, aveva paura a stare da solo. Tutta quella luce, quegli spazi sconfinati che i suoi occhi abbracciavano, lo facevano sentire a disagio. Era come se mille e più occhi lo stessero guardando, studiando. Si sentiva terribilmente scoperto e piccolo, e un po’ rimpiangeva le familiari grotte, di cui conosceva a memoria ogni singolo angolo. Lui era una creatura del buio; solo nell’oscurità si sentiva completamente protetto.

Nel bel mezzo dei suoi pensieri, si tirò una manata sulla fronte. “Che razza di esploratore sei, se hai paura di stare solo?” Si disse con rabbia.

Incrociò le braccia sul petto, e provò a concentrarsi sui vecchi incantesimi che gli avevano insegnato i Celati. Aveva studiato con un mago e con un guerriero, cosa che di norma non si doveva fare: o si era maghi, o cacciatori. Ma lui voleva essere un esploratore, così di nascosto sia da uno che dall’altro, aveva preso lezioni; e sapeva sia combattere discretamente, che fare delle magie.

Lo fece solo per agevolare Kay. Si concentrò, e cominciò a recitare l’incantesimo.

* * *

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Capitolo 8
*** Cap 7 - Due Forestieri ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 7-

Due Forestieri

Kay tornò dopo due ore, con tante cose tra le mani, ma un grande sorriso sul viso. Si avvicinò alla grotta dove si era nascosto Reydhan, e trasalì quando scoprì che lui non c’era. Aveva lasciato la faretra e l’arco accanto alla barca, ma di lui non c’era traccia. Kay abbandonò frettolosamente gli acquisti sulla sabbia e si mise a cercarlo urlando il suo nome.

-Avevi detto che facevi in fretta.- Disse una voce alle sue spalle.

Kay si voltò con il cuore in gola, per trovarsi di fronte un Rivelato, ma vestito nello stesso modo esotico di Reydhan, e il suo stesso colore di occhi, solo che erano molto più piccoli; della misura normale. La sua pelle non aveva il pallore dei Celati, anzi era abbronzata come quella di Kay. Il codino aveva lasciato spazio ad un taglio spettinato e corto, come si usava tra i Rivelati, e ora che sorrideva, il ragazzo mostrava una chiostra di denti prefetti e quadrati. –Reydhan?!- Lo chiamò il Guerriero con un filo di voce.

Lo sconosciuto tornò nella zona d’ombra. –Non mi riconosci?- Domandò. La sua voce lo tradiva: era proprio Reydhan.

-Sei tu?!- Si stupì Kay. –Ma mi somigli!-

Reydhan lo guardò comprensivo. –Sei l’unico Rivelato che conosco. Non sapevo a chi “ispirarmi”, altrimenti.-

Kay cercò di trovare qualcosa su cui ridere. Era l’unico modo che conosceva per non pensare male. –Bhè, sembri mio figlio.-

Reydhan decise che era giusto spiegargli. –Sono un mezzo mago.-

Kay spalancò gli occhi, e lo guardò affascinato. Avrebbe dovuto capirlo da come aveva guarito la sua gamba, ma non era riuscito a metabolizzare la cosa.

-So fare alcune magie. L’ho imparato tra il mio Popolo.-

-E … e ora resterai così per quanto?-

Reydhan alzò le spalle. –L’incantesimo dura un paio di giorni. Dopo devo farlo di nuovo, ma ci vogliono delle energie … Almeno non mi guarderanno come un aborigeno.-

Kay ritrovò un po’ di sicurezza con quella spiegazione. Perché erano comunque in territorio nemico, e viaggiare con un Celato non era proprio la cosa migliore per passare inosservati.

-Cosa hai preso?- Ruppe il silenzio Reydhan buttandosi curioso a guardare tra gli acquisti di Kay. –Principalmente provviste. E una mappa. Poi dei vestiti per te, e un mantello.- Gli occhi di Reydhan persero un poco del loro luccichio.

-Purtroppo niente armi, mi spiace.- Disse Kay. –Ma dobbiamo andare in direzione del Grande Affluente, attraverso quelle montagne che vedi laggiù.- Le indicò con un dito, alla loro sinistra. –E lungo il fiume ci sono due città. Troveremo ad Esilhon l’armeria che cerchiamo.-

Reydhan si rialzò, dopo essersi infilato il paio di pantaloni di tela che Kay gli aveva preso.

-Spiegami la strada.- Chiese, visto che non sapeva nulla di quel luogo.

–E’ meglio seguire il corso del Grande Affluente, e poi attraversare la Foresta Centrale.- Gli spiegò seguendo il percorso sulla mappa. –E poi dovremmo raggiungere un Valico, che ci porterà dritti davanti al palazzo.-

-Quanto ci vorrà?-

-Se partiamo subito, domani a quest’ora potremmo essere ad Esilhon. Poi un altro giorno per Fhar, l’altra città sul corso del fiume. Per attraversare la foresta ci servirà almeno una settimana per essere in vista del palazzo almeno un altro giorno.-

–Forza, partiamo.- Disse Reydhan alla fine. -La tua famiglia non ha molto tempo. E’ già da molti giorni che hai rubato il Pugnale, e non sei ancora tornato al palazzo di Hira. Prima partiamo, e prima potrai usare quell’arma.-

-Hai perfettamente ragione.- Annuì Kay. –Non vedo l’ora di colpirla dritta al cuore. Però mettiti questo.- E gli porse un lungo mantello di lana nera.

 *

Come Kay aveva promesso, il giorno dopo erano ad Esilhon. La città era poco più di un villaggio, perché la guerra con il Regno aveva molto impoverito quella Terra, e si estendeva sulle due sponde del fiume, ma nella parte a sud del Grande Affluente era praticamente disabitata, e molti degli abitanti erano andati a vivere a Fhar, dove la vita costava meno.

Per Kay, comunque, fu come tornare finalmente alla civiltà. Le case di legno con i tetti di paglia gli ricordavano la sua, e il mercato che si allungava nella via principale era per lui incredibilmente familiare.

Per Reydhan invece era tutto nuovo: dai pantaloni che indossava, alle nuvole che si muovevano veloci nel cielo azzurro. Seguiva Kay distrattamente, continuando a guardare da una parte all’altra, curioso ed affascinato.

Il Guerriero lo guidò lungo la via del mercato, l’unica dove sembrava esserci un po’ di vita, verso un’armeria, posta all’angolo tra la via principale e un vicolo secondario. Si fermarono sotto l’insegna, che mostrava un’incudine e un martello molto sbiaditi.

-Facciamo così …- Decise Kay. –Io sono un mercante di stoffe, e sono in queste terre per vedere se trovo degli acquirenti.- Reydhan annuì. –Tu invece sei mio figlio. E stiamo cercano delle armi per te, d’accordo?-

Reydhan annuì ancora.

-Non dire mai il mio nome, però. Ho i miei motivi per pensare che l’Oscura mi stia cercando.- Indicò con il mento un gruppo di guardie che marciavano dall’altra parte della via.

Anche Reydhan le aveva notate, e istintivamente alzò il cappuccio del mantello, come aveva fatto prima Kay. –Non possono controllare ogni singola persona che entra o esce dalla città. E noi staremo attenti.- Disse il Celato con sicurezza.

Kay non rispose ed entrò nell’armeria. Il proprietario li accolse cordialmente, e Kay se ne stupì. Non si aspettava di certo quell’allegria da parte di un armaiolo di un paese in guerra. –Benvenuti, forestieri. Come posso aiutarvi?-

Kay sorrise cordialmente, e spinse avanti Reydhan. –Cerchiamo delle frecce per il mio ragazzo, qui.- Lo indicò. –E anche una spada, di quelle a due mani.- Spiegò, osservando con occhi critico ed esperto le armi che il proprietario gli faceva vedere. Alla fine scelse una semplice spada che costava poco, e se la legò in vita.

-E ora vediamo un po’ queste frecce.- Disse l’armaiolo estraendone un paio dalla faretra di Reydhan. –Ma queste non sono adatte a te!- disse, senza accorgersi della loro strana fattura.

Prese un paio di frecce, e ne poggiò una, dalla parte della cocca, sul petto di Reydhan. –Allunga le mani.- Disse, e Reydhan eseguì, ma la freccia era troppo corta per lui. Lo stesso gesto si ripeté con altre due misure di frecce, ma poi trovarono quelle giuste.

Ne riempirono la faretra poi, soddisfatti, ripresero la strada per Fhar.

* * *

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Capitolo 9
*** Cap 8 - Lunga vita alla Principessa ***


L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male

L’Oscura Parvenza

-Capitolo 8-

Lunga vita alla principessa

Dopo aver subìto il furto del Pugnale di Mohran, il palazzo di re Savron era molto più controllato, ed era praticamente impossibile entrare nelle stanze private con un’arma, anche per i Guerrieri scelti. Dopo il tradimento di Kay tutto era cambiato: il sovrano, che era abbastanza anziano, viveva praticamente rinchiuso nei suoi stessi alloggi, e aveva poche notizie dei suoi due figli; entrambi in guerra sul confine.

Infatti, proprio in quei giorni, sembrava essere scoppiata un’epidemia tra le fila del Regno: un’ombra scura e letale che si muoveva di notte, strisciando tra il campo dei soldati. Quando raggiungeva la sua preda, non c’era più niente da fare, perché anche se veniva scoperta, era impossibile fermarla. E le sue prede, erano state proprio i due principi, morti nelle stesse misteriose circostanze.

Era stato mandato un messaggero a palazzo, per portare la notizia, ma soprattutto per trovare un altro erede.

L’Oscura non lo sapeva, ma molti anni prima, la regina aveva dato alla luce un terzo figlio: la principessa Amaranth. Per farla stare al sicuro, e dato che era una femmina, la bambina era stata portata via dal palazzo; e si era stabilita con una nuova famiglia nella Città Estrema, perché a quel tempo era ancora un territorio del Regno, ed era abbastanza lontana dal palazzo.

Dopo, la situazione si era fatta disastrosa: tutti i due principi erano andati sul campo di battaglia, e della giovane principessa si erano perse le tracce. L’ultima lettera della famiglia adottiva al re diceva che erano stati costretti a trasferirsi a Fhar, una città sul Grande Affluente, perché il padre era morto, e la madre e la ragazza ora lavoravano in una locanda.

-Una principessa del Regno a fare la cameriera! Ma è uno scherzo?!- Si era infervorato re Savron, con gli occhi viola che brillavano. Era una caratteristica della famiglia reale: anche i due principi avevano gli occhi di un viola profondo. Le altre lettere che aveva scritto non avevano ricevuto risposta, ed era tremendamente preoccupato per la figlia. Aveva un medaglione che la identificava, ma era molto lontana, e in un paese in guerra. Ormai aveva sedici anni, ed era giusto che tornasse a palazzo.

Il re era seduto nel suo studio privato, a pensare un modo per ritrovare Amaranth, quando sentì che le guardie, al cancello principale, facevano entrare un messaggero. Si sporse a guadare dalla finestra verso il cortile interno, e notò che il messaggero portava il sigillo reale: un’aquila e due spade incrociate sullo sfondo. “Finalmente qualche notizia dai miei figli!” Si disse, e si voltò verso l’interno della stanza.

Rimase bloccato sul posto, spaventato. Nella stanza troneggiava un estraneo: una figura scura e minacciosa come la personificazione della morte. Era completamente coperto da un mantello nero, da cui spuntava solo la punta lucente di una spada.

 Il re sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene, il cuore salirgli in gola e battere impazzito. Avrebbe voluto urlare alle guardie di entrare, me era bloccato, come per uno strano incantesimo, e per quanto si sforzasse, non riusciva a spiccare parola. Il re non aveva bisogno di chiedere chi fosse. C’era un Assassino davanti a lui, e lo minacciava puntandogli la lunga spada lucente alla gola.

Il sovrano ritrovò la parola, per rispondere alla domanda che l’Assassino gli aveva appena posto. –Sai della morte dei tuoi figli?- Chiedeva, con una certa ironia nella voce.

Gli occhi viola del re si velarono di tristezza. Sapeva per certo, per uno strano motivo, che era vero. Allora il suo pensiero volò subito ad Amaranth, di cui avevano ancora più bisogno.

L’Assassino scoppiò a ridere. Una risata che ghiacciava il sangue nelle vene. –Credevi veramente che non lo avrei scoperto?- Parlava chiaramente della principessa.

Il re, bloccato dall’arma con le spalle al muro, non riuscì a nascondere la paura. Era ad un passo dal terrore puro.

-Non dovevi pensare, allora.- Continuò l’altro con sarcasmo. –Dimmi dov’è. Dimmi dov’è Amaranth.- Intimò, e sulla punta della spada si creò una piccola goccia di sangue.

Il re scosse la testa, con gli occhi spalancati dalla paura. –Non lo so … Non lo so …- Disse, ma nella sua mente, anche se cercava di controllarsi, si formava un pensiero. “Fhar …”

L’Assassino non perse altro tempo, perché sentiva i passi dei soldati che accompagnavano il messaggero aldilà della porta. –Vai a raggiungere i tuoi figli.- Sibilò, poi con un solo colpo, trafisse il re, passandolo da parte a parte.

-Lunga vita alla principessa …- Mormorò il sovrano accasciato a terra, prima di spirare.

-Questo è da vedere …- Rispose l’Assassino con rabbia. Rimise la spada nel fodero, poi prese un lembo del mantello, e con un gesto veloce, scomparve.

Pochi secondi dopo, la porta si apriva ed entravano i soldati.

 *

Il palazzo di Hira, tra i Monti Settentrionali, era gelido, e lo erano ancora di più le colonne di marmo nero della sala del trono, dove Hira stava sempre, e controllava le prigioniere.

Aileen e Kayleen erano state trascinate e legate alle fredde colonne della sala del trono, da quando Kay aveva rubato il Pugnale, ma poi non era tornato.

-A quanto pare quel buono a nulla non ha intenzione di raggiungervi …- Aveva detto l’Oscura sarcastica, alle due donne stremate, legate una di fronte all’altra, a due colonne opposte.

Le prigioniere avevano cercato di non far trasparire la paura, ma era un’impresa. Per loro fortuna la loro carceriera era stata interrotta dall’arrivo di un Assassino, un guerriero coperto da un pesante mantello scuro, e con cui si era messa a parlare fitto senza che loro sentissero nemmeno una parole.

–Non piangete.- Disse ironica, dopo che l’Assassino le ebbe riferito tutto. -… Ma il re, è morto.-

Aileen si irrigidì, ma non disse nulla. Un secondo dopo, Hira era di fronte a lei, e le sollevava il viso con due dita. –Ma a te non interessa, giusto? Vuoi sapere di quel traditore di tuo marito …- Sibilò. –Bhè, anche io.- Detto questo, sul suo palmo comparve un’oscura sfera, che sembrava racchiudere tutte le nebbie dell’Isola Universale.

Hira tornò al trono, e guardò all’interno della sfera. Finalmente Kay era all’interno delle sue Terre, e lei poteva seguite tutti i suoi movimenti. Nel Regno la divinazione era molto più faticosa, e non sempre funzionava.

Ciò che attirò la sua attenzione non fu il ragazzo che sembrava accompagnare Kay, bensì quello che stavano dicendo: “Prima partiamo, e prima potrai usare quell’arma.” Diceva il ragazzo, chiaramente riferito al Pugnale di Mohran. “Hai perfettamente ragione. Non vedo l’ora di colpirla dritta al cuore.” Rispondeva Kay.

L’Oscura interruppe subito la divinazione, scagliando la sfera a terra con rabbia. Chiamò di nuovo l’Assassino, che era rimasto impettito ad un lato del trono. -Dirigiti a Fhar con i tuoi compagni.- Ordinò. –Uccidete il Guerriero e quel ragazzino che lo accompagna. Ma portatemi il Pugnale.- Fece una pausa, vedendo che Aileen e Kayleen la guardavano terrorizzate. Lei ricambiò lo sguardo con un’espressione gelida e vagamente soddisfatta. –E trovate una ragazza con gli occhi viola e il medaglione reale. Uccidetela.-

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