L'Oscura Parvenza di Dreaming_Archer (/viewuser.php?uid=99769)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il potere che conduce al male ***
Capitolo 2: *** Cap1 - Il Patto di Hira ***
Capitolo 3: *** Cap2 - Il Pugnale di Mohran ***
Capitolo 4: *** Cap3 - Colui Che Da Coraggio ***
Capitolo 5: *** Cap4 - Il popolo Celato ***
Capitolo 6: *** Cap5 - Il Mare Sconfinato ***
Capitolo 7: *** Cap 6 - Terraferma ***
Capitolo 8: *** Cap 7 - Due Forestieri ***
Capitolo 9: *** Cap 8 - Lunga vita alla Principessa ***
Capitolo 1 *** Prologo - Il potere che conduce al male ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al
male
L’Oscura Parvenza
-Prologo-
Il potere
che conduce al male
Le antiche
leggende narrano che fin dall’inizio dei
tempi, il mondo era governato da due entità: lo Splendente,
il creatore; e
l’Oscuro, il devastatore.
Il sogno di un
potere assoluto ha da sempre spinto molti
uomini a compiere gesti sconsiderati e crudeli.
Un tempo, il
Regno era governato da re Mohran, un re né
migliore né peggiore di altri, ma che aveva un oscuro e
profondo desiderio:
l’onnipotenza.
Durante il suo
regno, lo Splendente decise di fare un
dono agli uomini, un dono che doveva fare soltanto del bene e portare
la pace.
Scelse una
sacerdotessa, e decise che sarebbe stata lei
la prima depositaria di quel grande dono. Il suo nome era Inahet, e da
alcuni
anni era stata iniziata al culto dello Splendente.
Si occupava dei
poveri e dei malati con fervore, felice
di poter aiutare i bisognosi. Lo Splendente decise di donare a lei la
magia, un
potere che poteva usare per curare i malati e compiere altri prodigi.
Era un
dono straordinario, perché sull’Isola Universale
non esisteva altra magia al di
fuori della Fede nello Splendente.
Invece di
concentrare tutti i poteri nel corpo della
sacerdotessa, lo Splendente la fornì di un catalizzatore: un
manufatto magico
che permetteva di compiere la magia. In questo modo Inahet avrebbe
potuto
tramandare la magia anche a chi non fosse suo consanguineo.
La sacerdotessa
si applicò ancora con maggiore veemenza
nella sua missione, curando gli infermi e donando oro ai più
poveri. Era tutto
merito dello Splendente, che con il suo dono aveva portato la
felicità in tutta
l’Isola Universale. La magia era catalizzata in un
braccialetto, che Inahet
portava sempre. le pietre preziose brillavano di riflessi dorati come
il sole,
intervallate da pezzi d’oro incisi e finemente lavorati.
Con il passare
degli anni, la voce di una sacerdotessa
che era in grado di compiere prodigi si diffuse, ed attirò
l’attenzione di re
Mohran. Il suo sogno di un potere onnisciente si era materializzato:
con quel
braccialetto sarebbe stato in grado di compiere prodigi. Era deciso:
avrebbe
fatto di tutto pur di averlo. Il potere aveva manipolato anche la sua
mente di
sovrano buono e giusto, spingendolo a convocare Inahet a palazzo, e a
chiederle
il braccialetto.
-Mai.- Rispose
sicura la sacerdotessa. –Questo è un dono
dello Splendente per me ed i sacerdoti miei successori. Non potete
averlo, deve
essere usato per fare del bene!-
-Ed io infatti
lo userò solamente per la felicità del mio
popolo.- Mentì il re, che in realtà aveva come
unico scopo l’accrescimento del
suo potere.
-Voi siete un
sovrano.- Disse infatti Inahet. –Non avete
nessun bisogno di questo bracciale. Lasciatelo a me e lo
userò per curare i
malati e agevolare i poveri!-
Il re non
sembrava ascoltare la sacerdotessa, e
giocherellava con l’elsa della spada. –Ve lo dico
per l’ultima volta: datemi
quel braccialetto. È un ordine del vostro re!-
Inahet era
visibilmente contrariata, e non aveva nessuna
intenzione di cedere al re. –No.- Disse infine, con estrema
fatica.
-Vi avevo detto
che era l’ultima volta che ve l’avrei
chiesto.- Si alzò in piedi e si avvicinò
minaccioso alla sacerdotessa. –Ora mi
prenderò quel braccialetto.- Il re estrasse la spada, e in
pochi secondi
costrinse la sacerdotessa al muro con l’arma puntata alla
gola. –Datemi quel
braccialetto.- Ordinò, tendendo la mano aperta.
Inahet teneva
le braccia strette al petto, il bracciale
nascosto dalle larghe maniche della veste. Tremava dalla paura, e non
riusciva
più a pensare; era troppo terrorizzata. Non voleva che quel
braccialetto andasse
nelle mani del re,
perché era sicura che
lui non l’avrebbe usato come faceva lei per aiutare i
bisognosi.
Il viso di re
Mohran era sfigurato dalla rabbia, e quando
il braccialetto brillò di riflessi dorati, nei suoi occhi si
accesero un lampo
di pura follia.
La sacerdotessa
tentò di scappare, ma non fece in tempo a
liberarsi, che il re la trafisse con la spada. Osservò il
suo corpo
afflosciarsi al suolo, senza il minimo risentimento. Si
chinò sul corpo inerte
della donna, e le scoprì il braccio. Il potere onnisciente stava lì,
nascosto sotto forma di oro e
pietre preziose. Si impadronì del braccialetto con un gesto
veloce, e lo
strinse nel pugno con sollievo, come se solo allora avesse cominciato a
vivere.
Sentiva il potere fluire dal gioiello alla sua mano, poi al suo
braccio, fino a
pervaderlo completamente.
Da fuori
provenivano urla e discussioni, probabilmente i
sacerdoti cominciavano ad insospettirsi sul colloquio tra Inahet ed il
re.
Mohran,
indossò il braccialetto, e gli bastò pensare a
quello che voleva, che il corpo insanguinato della sacerdotessa si
dissolse
senza lasciare traccia.
Ai sacerdoti
disse che la loro signora era salita in
Cielo, e che anche il braccialetto magico era tornato al suo creatore;
perché
lo Splendente aveva deciso che Inahet aveva terminato al meglio la sua
missione.
I sacerdoti non
gli credettero, ma non avevano nessuna
prova del contrario, e la loro Fede li obbligava a credere che lo
Splendente
avrebbe potuto prendere Inahet con è in ogni momento. Il
fatto, però, determinò
una spaccatura tra i sacerdoti dello Splendente e il Regno.
Mohran sapeva
che non poteva usare il bracciale, perché
era troppo conosciuto dai suoi sudditi, e avrebbe attirato domande
indiscrete.
Decise di cambiarne la forma fondendo l’oro e applicando la
pietre preziose.
Convocò
il migliore armaiolo del Regno, che in segreto
forgiò per il re un pugnale meraviglioso e magico. Dopo aver
compiuto il suo
lavoro, il re lo uccise senza nessun rimorso.
Le pietre
preziose ornavano l’elsa del pugnale, e la lama
era completamente d’oro. Per evitare che nessuno potesse
estorcergli la magia,
come lui aveva fatto con Inahet, durante la forgiatura
dell’arma, Mohran unì
all’oro colato alcune gocce del proprio sangue,
così che il pugnale potesse
scatenare la sua magia soltanto tramite individui di sangue reale.
* * *
Buon giorno a tutti!
allora, questa è una nuova storia che ho in cantiere da un
bel po' di tempo... avevo già pubblicato una one-shot sulla
stessa idea (il Galoppo verso l'Oscuro), ma poi l'ho modificata molto e
da lì mi è venuta l'idea per tutta la storia.
per ora questo è solo il prologo (che ovviamente non
è lo stesso della one-shot!), e avviso che non penso di
aggiornare molto spesso... ho già pronti alcuni capitoli
scritti un po' di tempo fa, e in questo momento sono in una fase di
poca ispirazione...
in ogni caso, spero proprio che vi piaccia!
vi prego recensite, mi sarà utile a capire se è
una buona idea aggiungere i capitoli, (e cancellare la One-shot) o
è meglio lascir perdere questa storia fin dal principio!
bhè, in ogni caso se siete arrivati fino a qui, un GRAZIE
grande grande,
Dreaming_Archer
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Capitolo 2 *** Cap1 - Il Patto di Hira ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 1-
Il patto di Hira
Da sempre nell’Isola Universale, si alternavano ère
Oscure e Splendenti, perché serve sia il bene che il male.
Sia l’Oscuro che lo Splendente, però, erano ambiziosi, ed
entrambi desideravano rendere eterno il loro dominio nella loro èra. Durante l’èra
Splendente, il creatore decise di mantenere inalterata la pace, così da
cancellare l’era Oscura. L’Isola Universale, per alcuni decenni, visse periodi
di pace e prosperità in comunione con il Mare Sconfinato, che la circondava
fino all’infinito.
L’Oscuro si lasciò mettere da parte solo in un primo
momento, progettando una crudele vendetta. Mentre scrutava la pacifica Isola
Universale, vide nascere una bambina particolare, e subito la sua peculiarità
attirò la sua attenzione. Aveva visto nascere migliaia di bambini, ma nessuno
come quella aveva le caratteristiche di una Parvenza; l’unico modo che aveva l’Oscuro
per scendere di nuovo sull’Isola: un suo adepto mortale.
Attese che la bambina crescesse, e quando raggiunse l’età
di sedici anni, ella partecipò alla sua cerimonia di iniziazione nella società.
Era una tradizione fondata dallo Splendente: quando i ragazzi raggiungevano i
sedici anni di età erano liberi di decidere cosa fare del loro futuro. I maschi
potevano diventare Guerrieri, paladini del Bene e difensori del Regno, mentre
le femmine potevano cominciare a cercare marito.
Hira si era sempre sentita diversa dagli altri, perché
fin da piccola preferiva stare da sola, fare giochi violenti, e isolarsi in
luoghi sperduti ed impervi.
L’Oscuro aveva atteso per lunghi anni, aspettando il
momento migliore per proporre un patto ad Hira.
La leggenda narra che la ragazza stesse progettando di
uccidere la sua famiglia per non partecipare all’iniziazione, quando avvenne un
fatto molto singolare. Hira si accorse che dalla zona più buia della sua stanza,
si allungava un’ombra nella sua direzione. Le sembrava incredibilmente irreale,
perché tutto nella stanza era immobile, ma la allettava, e sembrava quasi
chiamarla. L’ombra continuava ad avanzare, allargandosi sul pavimento come una
pozza d’acqua. Hira però, non aveva paura. Era semplicemente curiosa di sapere
cosa stesse succedendo; magari la potevano portare via di lì.
L’ombra si fermò ai suoi piedi, in attesa come lei.
–Cosa sei?- mormorò la ragazza, parlando quasi a sé
stessa.
L’ombra ebbe un fremito, una voce tonante riempì il
silenzio della stanza. –Sono l’Oscuro. E ho bisogno di te, mia adepta.-
Hira si guardò intorno per cercare di capire da dove
proveniva la voce, ma dovette convincersi che era quell’anormale ombra a
parlare. Il suo cuore prese un colpo sentendo quelle parole. Volevano proprio
lei? –Cosa devo fare?- Chiese con voce chiara tornando sicura di sé.
-Diventare una mia Parvenza sulla terra. Stabilisciti dall’altra
parte del Grande Fiume, e dai guerra al Regno. Così io potrò risorgere e
l’Isola Universale avrà la sua era Oscura.–
Hira rimase stupita, ma si riprese velocemente. Era una
ragazza ambiziosa, e sognava l’onnipotenza. Odiava la vita nel Regno, odiava
quella pace noiosa e monotona in cui era obbligata a vivere. -E io cosa ci
guadagno?- Chiese, decisa ad accettare il patto.
L’ombra ebbe un altro fremito. –L’onnipotenza.- Disse con
voce suadente. –Potrai tutto quello che vorrai, e la tua magia non avrà
limiti.-
Hira scosse la testa. –Voglio l’immortalità.- S’impose. –In
questo modo la mia magia non avrà nessun limite.-
L’ombra si allargò sul pavimento. Aveva trovato proprio
la persona giusta, che non si accontentava mai. –Sarai una Parvenza. Non
un’altra Dea.-
Hira arricciò le labbra. –Se vuoi la tua Parvenza devi
assicurarmi che non morirò mai.-
L’ombra si allargò ancora, come se la sua rabbia
montasse. –Ti renderò immune a tutte le armi della Terra.-
Hira sospirò. Era riuscita a ricattare addirittura
l’Oscuro!
–Eccetto una.- Continuò la voce dell’ombra. –Il pugnale del
vecchio re Mohran. Conosci la leggenda, si dice che sia stato creato dallo
Splendente; e le leggende sono sempre veritiere. Sta a te trovare il Pugnale e
tenerlo al sicuro. Solo quello potrà ucciderti, le altre armi scalfiranno
solamente la tua armatura.-
Hira vibrò di rabbia da capo a piedi. Beffata da
un’ombra! –Sono la tua Parvenza.- Disse, capendo che non poteva contrattare
oltre. –Cosa devo fare?-
L’ombra si allargò come una pozza di pece, fino a lambire
i suoi piedi nudi. –Immergiti nell’oblio e diventerai la Parvenza.-
-E il patto?- Domandò, cedendo all’insicurezza.
-Tu manterrai la promessa se non vuoi morire e perdere il
tuo potere, giusto?-
-Certo.-
-Allora non devi temermi.-
Hira si guardò i piedi, poi guardò l’ombra, che sembrava
un nero nell’ignoto. Prese un profondo respiro e fece un passo nell’oscurità.
Appena la sfiorò, l’ombra scivolò dal piede della ragazza
lungo tutto il suo corpo, coprendolo di un impenetrabile armatura nera. La
stanza si fece opaca e cominciò a vorticare, finché scomparve.
Fu così, che Hira divenne l’Oscura Parvenza.
* * *
ciao!!
volevo solo aggiungere che questo capitolo è dedicato a Hivy...
non solo per quanto ho detto nella risposta alla recensione, ma
soprattutto perchè sei stata tu (senza saperlo) a darmi
l'ispirazione per Hira... (lei è molto Sorella
dell'Oscurità!)
grazie a tutti, anche solo chi ha letto!
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Capitolo 3 *** Cap2 - Il Pugnale di Mohran ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 2-
Il Pugnale di Mohran
Erano passati decenni dal patto di Hira, ma l’adepta
dell’Oscuro sembrava immortale, e l’Isola Universale era divisa in due dalla
guerra tra il Regno, ad ovest, dove dominavano i seguaci dello Splendente, e le
terre dell’Oscura Parvenza, ad est aldilà del Grande Fiume.
Durante un conflitto interno al Regno, un piccolo gruppo
di sacerdoti del culto dello Splendente fuggirono. Essi raggiunsero i confini
dell’Isola, e si buttarono in mare. Le leggende narrano che sopravvissero alle
immense cascate Nahjs, e che si insediarono sottoterra, nascosti dalla cascata,
ma nessuno è a conoscenza della verità.
Subito dopo il patto, l’Oscura Parvenza aveva iniziato le
ricerche del pugnale di Mohran, e in tutte le città che attaccava, cominciava
una ricerca a tappeto. Nessuno capiva cosa stesse cercando e perché, ma
sembrava che le sue ricerche non dessero alcun risultato. Dopo lungo tempo, le
sue divinazioni mostrarono finalmente il pugnale. Per sua sfortuna, si trovava
nascosto nel palazzo Reale, custodito come sacro perché appartenuto all’antico
re Mohran.
L’Oscura Parvenza progettò subito un piano, perché aveva
bisogno della persona giusta per rubare il pugnale. Doveva essere un viso
familiare al palazzo, così che entrare sarebbe stato più facile. Doveva essere
un Guerriero, l’unico in grado di fuggire attraverso il Regno fino alle terre
Oscure. Nessuno sapeva da dove veniva il Pugnale, e l’immensa magia che
nascondeva. Dopo la morte di Mohran il segreto era morto con lui.
Mentre l’Oscura studiava il Regno, le sue divinazioni
mostrarono la famiglia di un Guerriero abbastanza modesto. Lui doveva essere in
missione, perché la casa era abitata solo da un donna sulla quarantina e da una
ragazza che a giudicare dall’età, tra poco avrebbe avuto il suo rito di
iniziazione.
L’Oscura Parvenza capì subito che erano le persone
giuste.
*
La casa del Guerriero Kay era silenziosa quando il padre
non c’era. La moglie e la figlia lavoravano senza dire una parola, e
aspettavano ansiosamente che lui tornasse a casa.
Era tutto tranquillo, quando da un angolo poco
illuminato, la ragazza vide allargarsi un’ombra informe. Stava apparecchiando
la tavola, e quando se ne accorse lasciò cadere a terra la pila di piatti con
un urlo acuto.
La madre accorse subito a vedere cosa fosse successo, ma
si bloccò terrorizzata vedendo l’ombra che raggiungeva rapidamente la figlia e
la assorbiva. La donna corse subito verso la ragazza e la prese per una mano.
Un attimo dopo venivano risucchiate entrambe dall’ombra.
*
Quando Kay tornò a casa, trovò l’abitazione vuota e buia,
senza nemmeno una candela ad illuminarla. Subito si preoccupò, perché non era
mai successo, e si vedeva poco o niente.
Chiamò la moglie e la figlia più volte, finché non vide i
cocci di alcuni piatti a terra vicino al tavolo. Si chinò per prenderne uno in
mano, ma ciò non aiutava a capire cosa fosse successo. La paura cominciò a
crescere e a farsi sentire come un groppo in gola.
Socchiuse gli occhi nella penombra, e allora vide la
moglie e la figlia, ma era una visione. Erano incatenate, e si abbracciavano
per farsi coraggio l’un l’altra in luogo buio e angusto.
Kay le chiamò ancora, incapace di sottrarsi alla visione,
e una voce scura ma vellutata raggiunse la sue orecchie.
-Ora sono in mio potere.- Diceva la voce, femminile. –Se
le vuoi rivedere devi portarmi il pugnale di Mohran.-
La visione cambiò, Kay vide il palazzo Reale e una
piccola stanza sotterranea, di cui conosceva bene la posizione, perché ne era
il guardiano. Probabilmente la voce, che gli era entrata nella mente, poteva
sentire anche i suoi pensieri, così l’Oscura Parvenza capì subito che aveva trovato
la persona giusta. –Portami il pugnale nel mio palazzo aldilà del Fiume, e
allora le riavrai.-
-Io non posso tradire!- Gridò Kay, preso dall’ansia e
allo stesso tempo dalla paura per la sua famiglia. –Io sono un Guerriero!-
-Quindi non sarà un problema.- Concluse la voce, e la
mente di Kay si liberò di colpo dalla visione. Lui si ritrovò spossato a terra
tra i cocci dei piatti. Si portò le mani alla testa, per cercare di riflettere.
Avrebbe fatto di tutto per sua moglie e sua figlia, ma rubare il pugnale di
Mohran significava tradire il Regno. E lui non era un traditore, non voleva
tradire. Calde lacrime di disperazione gli rigarono il volto. Non voleva, ma
per la sua famiglia non c’erano altre possibilità.
*
Un Kay nervoso e teso si presentò nella stanza del
pugnale; il giorno dopo, prima del tramonto. Aveva preso il cavallo più veloce,
lo aveva sellato con alcune provviste per la fuga, e aveva limato la spada fino
a renderla perfettamente affilata.
Andò a dare il cambio al compagno guardiano, che lo salutò
calorosamente. Kay invece era freddo e distante, ma l’altro non ci fece molto
caso.
Il Guerriero si chiuse la porta alle spalle, e cercò di
restare calmo. Il pugnale di Mohran era di fronte a lui, che brillava come una
stella alla luce rossastra del tramonto.
Kay si chiese perché l’Oscura Parvenza volesse quel
pugnale, ma non riuscì a trovare una risposta.
Rifletté soltanto un attimo, ma non aveva altre
possibilità. Con mani tremanti prese l’arma per l’impugnatura tempestata di pietre,
e si permise di osservarlo per un momento. Era una bellissima arma, con la lama
affilata a brillante, un unico pezzo d’oro lucente e magnifico. L’elsa sembrava
adeguarsi perfettamente al pugno di Kay, e le pietre brillavano come piccole
gocce di rugiada.
Il Guerriero si fece per l’ennesima volta coraggio
pensando alla moglie e alla figlia nelle mani del nemico, così nascose il
pugnale in un panno di pelle e lo ripose sotto la giubba, poi uscì furtivo
dalla stanza.
*
Kay doveva superare alla svelta il confine per recarsi dal
nemico. L’Oscura poteva fare di tutto alla sua famiglia.
Sarebbe stato abbastanza facile, se solo al palazzo del
re non lo avessero scoperto. Adesso era costretto a galoppare a rotta di collo
verso il fiume, che divideva le Terre del Regno da quelle dell’Oscura.
“Inquietante sapere che le Terre del nemico rappresentano per me la salvezza.”
Si disse, quando cominciava a scorgere il fiume brillare di riflessi dorati
alla luce del tramonto. Era lì, appena dopo la discesa dalla collina. Poteva
farcela. Cercava di convincersi pensando al dolce sorriso della moglie, gli
occhi limpidi della figlia, che molto probabilmente ora pensavano a lui. Doveva
aumentare il passo: il suo cavallo era stanco, invece gli altri Guerrieri erano
una ventina, e si avvicinavano velocemente.
Come un miraggio, le sue orecchie cominciarono a sentire
lo sciabordio dell’acqua, una brezza fresca e umida raggiunse il suo viso. Il
fiume era vicino. “Un ultimo sforzo …” si disse, come per incitare il cavallo.
Quelle ultime falcate verso la salvezza gli sembravano
eterne. Il cuore che batteva impazzito nel suo petto sembrava seguire i passi
frenetici del galoppo, la testa sembrava esplodergli per la fatica e la
stanchezza.
E finalmente il fiume era lì, a pochi passi. Come in un
sogno, il cavallo si immerse nel guado, cominciando ad arrancare per
raggiungere l’altra sponda.
Kay sentiva il fiato dell’animale allo stremo, che
cercava di opposi alla forza della natura, mentre la corrente cercava di
strapparli al terreno.
Alla fine la somma di tutti gli elementi la ebbero vinta.
Il cavallo perse l’appoggio, e scivolò sul letto del fiume. Cominciò a
scalciare spaventato e a dimenarsi, Kay si ritrovò in mezzo al fiume a lottare
contro la corrente.
Se l’Oscuro non avesse avuto ancora in mano la sua famiglia,
avrebbe esultato; nessuno ormai poteva avere quel maledetto pugnale.
Con disperazione si rese conto che la corrente lo stava
trascinando lontano, e le sue orecchie cominciarono a sentire come un potente
boato. Un rombo continuo, che se le stesse fondamenta della Terra si stessero
sgretolando. Erano le cascate di Nahjs, le più alte di tutto il Regno. Nessuno
era mai sopravvissuto a quel salto, si raccontava che nemmeno i draghi
riuscissero a risalirle.
Kay capì che ormai era finita. Era la sensazione peggiore
che si potesse mai provare. Sua moglie e sua figlia non sarebbero mai tornate
libere, chissà cosa avrebbe fatto loro l’Oscuro.
Kay disperato, sentì che il suo viso, già bagnato, veniva
solcato da pesanti lacrime di rassegnazione.
E il rumore della cascata gli riempì la testa.
* * *
|
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Capitolo 4 *** Cap3 - Colui Che Da Coraggio ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 3-
Colui Che Da Coraggio
Le leggende forse erano vere, quando raccontavano che i
fuggitivi dalla guerra erano sopravvissuti alle cascate di Nahjs.
Si erano infatti stabiliti nelle grotte sotterranee dietro
di essa, a strapiombo sul Mare Sconfinato che circondava l’Isola Universale.
I loro costumi, la loro società, la loro religione, tutto
era diverso da quelli del Popolo Rivelato, gli abitanti dell’Isola. Tra il
Popolo Celato infatti si poteva diventare cacciatori, maghi, oppure esploratori.
Di questi ultimi ormai non se ne trovavano più, perché solo i primi Celati
avevano esplorato le grotte: ora non serviva più.
Quindi, quando il giorno della scelta, un ragazzo aveva
detto di voler diventare esploratore, tutti gli erano scoppiati a ridere in
faccia.
Lui non si era lasciato prendere in giro, spiegando che i
loro oracoli avevano raccontato che un giorno sarebbe arrivato un uomo
dall’Isola che li avrebbe riportati in superficie, e lui lo voleva trovare.
Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere. Quella dell’Isolano
era una leggenda antica, e in pochi ormai ricordavano come fosse la superficie.
–Io riporterò il nostro Popolo alla luce!- Urlò il ragazzo lasciando la grotta
sotterranea. Si era tuffato in acqua, aveva superato la cascata, e con fatica
era riuscito ad uscire all’aria.
Per lui non c’era niente di eroico in quel gesto, lo
aveva fatto almeno una decina di volte. “Ma questa sarà l’ultima.” Si disse,
arrampicandosi su alcuni scogli nei pressi della cascata. “Se il mio Popolo non
mi vuole come esploratore, allora non mi avrà del tutto.” Decise, afferrando un
sasso molto pesante e legandolo ad un capo di una corda.
Si rese conto solo allora che stava piangendo. Si fermò
solo quando la corda fu ben legata alla pietra e l’altro capo alla sua
caviglia.
Non sopportava più le prese in giro dei suoi compagni e
di essere lo zimbello di tutto il Popolo Celato. Così era arrivato a fare quel
gesto estremo. –Io non sono uno di voi!- Urlò verso la cascata. –Non lo sarò
mai!!- Con il cuore che gli batteva forte in gola, allungò il collo per
guardare al di là degli scogli, dove aveva intenzione di buttarsi. Rimase
bloccato all’istante.
Poco sotto di lui c’era un uomo, vestito in modo molto
strano, ma l’attenzione del ragazzo era tutta per la sua pelle, molto più scura
di quella di chiunque altro avesse mai visto.
D’istinto estrasse un pugnale a lama corta e tagliò la
corda, poi si tuffò agilmente per raggiungere l’Isolano.
*
La prima cosa di cui Kay si accorse, fu che aveva freddo.
Stava letteralmente congelando, perché era completamente bagnato, e il luogo in
cui si trovava era umido e freddissimo. Provò a muovere una mano, e con
meraviglia si accorse che il suo corpo rispondeva bene.
Gli venne di nuovo da piangere, perché era sopravvissuto
alle cascate più alte di cui il suo Popolo era a conoscenza, e poteva ancora
salvare la sua famiglia.
Una mano calda prese la sua, e per un attimo pensò alle
mani di sua moglie, dolci e delicate.
Quasi senza accorgersene, Kay batté le palpebre e
lentamente aprì i suoi occhi castani. Sopra di lui era buio: vedeva un po’
sfocato, ma si accorse subito che quello era il soffitto di una caverna. Capì
all’istante il perché di quel freddo.
Subito gli tornarono alla mente i racconti sul Popolo
Celato, che come lui dovevano essere sopravvissuti alle cascate.
Nel suo campo visivo comparve allora un viso ovale, di un
pallore che Kay non aveva mai visto nemmeno a un morto. Capì subito che la mano
che stava stringendo era quella di quello strano ragazzo, e la ritrasse velocemente.
-Sei sveglio, Isolano?- Chiese il ragazzo con uno strano
accento.
Kay sbatté di nuovo le palpebre, e il viso pallido si
ritrasse. –Sì, aiutami ad alzarmi.-
L’altro obbedì circospetto, finché Kay non lanciò un urlo
acuto quando provò a muovere la gamba destra.
-Probabilmente è rotta.- Spiegò il ragazzo. –La forza
della Lacrima dello Splendente è immensa.-
-La che cosa?- Domandò Kay, cercando di ignorare il
dolore.
Il ragazzo si chinò a studiare la gamba di Kay, però non
si dimenticò della domanda. –La Lacrima dello Splendente è come il mio Popolo
chiama la cascata. Perché ci porta i doni del Dio.-
Il ragazzo stese le mani e chiuse gli occhi. Kay non
riusciva a capire cosa stesse facendo, ma gli bastava sapere che il dolore si
stava attenuando, fino a scomparire. Le palme delle mani del ragazzo si
illuminarono di una luce dorata, che si spese lentamente.
Kay rimase sbalordito. Quel ragazzo sapeva usare la magia!
D’istinto avrebbe voluto buttarsi ai suoi piedi e ringraziarlo in tutte le
lingue che conosceva, perché aveva guarito la gamba come nemmeno i migliori
guaritori del suo popolo erano in grado di fare. Avrebbe anche potuto provare a
camminare: in fondo era un Guerriero, e sapeva lottare contro il dolore. –Dove
sono?- Chiese, mentre si permetteva di studiare il suo inusuale salvatore.
Oltre ad essere pallidissimo, il suo corpo aveva altre caratteristiche tipiche
degli abitanti delle grotte sotterranee: era molto basso, come un bambino di
dodici anni, anche se Kay era sicuro che fosse molto più grande, forse dell’età
di sua figlia. Anche se basso, aveva un fisico atletico e agile, e aveva una
discreta muscolatura. Di sicuro anche tra il Popolo Celato si usava allenare i
giovani. I suoi occhi erano più grandi del normale, e brillavano di un verde
accecante, sicuramente capaci di vedere al buio. Aveva poco di umano, anche per
i suoi movimenti a carponi nella grotta.
Kay però non aveva paura di lui, anche se aveva alcuni
coltelli legati al corpo, perché lo aveva guarito. Solo un pazzo avrebbe
salvato il suo nemico per poi ucciderlo.
-Ben arrivato tra il mio Popolo, Isolano.- Rispose a bassa
voce il ragazzo, muovendo il suo codino di lunghi capelli scuri, intrecciati
fittamente con alcuni piccoli sassolini.
-Perché mi chiami così?- Domandò il Guerriero, che odiava
i soprannomi. –Io sono Kay.-
-Perdonami, Kay.- Disse il Celato guardandolo con i suoi
strani occhi verdi. –Ma una leggenda narra della tua venuta qui tra noi Celati.
Tu ci riporterai alla luce.-
Kay rimase sbalordito. Quel ragazzo gli aveva salvato la
vita, ma non sapeva di cosa stesse parlando. –Io ho una missione da compiere in
superficie.- Disse lo stesso. –Come posso fare?-
-Ti porterò io via di qui.- Disse a sua volta il ragazzo.
Kay annuì, cominciando a muoversi.
-Io mi chiamo Reydhan. Nella mia lingua significa: Colui
Che Da Coraggio.- Riferì il Celato con visibile soddisfazione.
-Credo proprio che ne avrò bisogno.- Rispose Kay mesto.
* * *
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Capitolo 5 *** Cap4 - Il popolo Celato ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 4-
Il Popolo Celato
Kay non pensava che Reydhan lo avrebbe portato dal suo
Popolo. Invece, dopo averlo aiutato ad alzarsi, lo accompagnò in una grotta dal
soffitto vertiginosamente altro, riempita da un centinaio di Celati come il
ragazzo.
Al loro ingresso nella sala dell’Assemblea, duecento paia
di enormi occhi luminosi si girarono verso di loro.
Per Kay era difficile vedere; i suoi occhi non erano
abituati a quell’infima penombra, e quando tutti lo guardarono, cominciò a
provare quello che ancora non aveva provato insieme a Reydhan: paura. I Celati
erano armati fino ai denti, e lui aveva perso la spada nella cascata. Ora aveva
solo … il Pugnale di Mohran! Si accorse con un colpo al cuore che era ancora
sotto la sua giubba di pelle. La cascata si era presa tutto, ma non
quell’ultima speranza.
I Celati che riempivano la sala lo guardavano circospetti
spostando lo sguardo da lui a Reydhan, e viceversa. Il ragazzo gli aveva detto
che il suo Popolo non aveva molta stima verso di lui, ma non si aspettava
quella fredda accoglienza.
I Celati non erano un Popolo leggendario, stracolmo di
buoni sentimenti, erano esattamente come i Rivelati della superficie: non
sopportavano le diversità.
Reydhan però era testardo, infatti ignorò quegli sguardi
inquisitori e salì sulla roccia più alta della grotta, per dominare tutto
l’uditorio. –L’Isolano è sopravvissuto alla Lacrima dello Splendente, e ci può
riportare in superficie!- Urlò. –Come vi avevo detto, la profezia era vera! Io
sono uscito dalle grotte e l’ho salvato! Dobbiamo aiutarlo a tornare dal suo
Popolo!- Tra l’uditorio vibrò un brusio,
e scoppiò qualche risata. L’espressione sicura di Reydhan si spense in un istante,
e gli tornò alla mente la corda che aveva lasciato sugli scogli. Era ancora lì
che lo aspettava …
Kay prese il coraggio e lasciò perdere la paura, perché
Reydhan gli aveva salvato la vita, e non
poteva permettersi che quelli lo prendessero in giro. Si era già affezionato a
quel ragazzo.
Si avvicinò a lui, ed estrasse il Pugnale di Mohran. –E’
questo- Disse, alzando l’arma. –Il motivo per cui sono qui. Ho rubato questo
pugnale per salvare la mia famiglia, e devo assolutamente riportarlo all’Oscura
Parvenza! Ho bisogno del vostro aiuto per tornare in superficie!-
La folla rimase un attimo zittita, e anche Reydhan guardò
allibito Kay. Il Guerriero capì subito che loro conoscevano la forza di quel
pugnale.
-Lo raccontano le leggende …- Spiegò Reydhan. –Il Pugnale
di Mohran è l’unica arma che può uccidere Hira …-
-Ma a noi ciò non interessa.- Si intromise uno dei più
vecchi Celati.
Kay si accorse che i suoi occhi erano ancora della misura
normale, quindi probabilmente era uno dei primi sacerdoti che si erano
stabiliti lì sotto. –L’Oscura Parvenza è un problema del Popolo Rivelato, non
nostro. Noi non ti aiuteremo, e resteremo qui.- Aggiunse fissando Reydhan con
astio.
Reydhan strinse i pugni. –Vieni con me, Kay.- Disse, con
il viso e offeso, ma allo stesso tempo deciso. –Io ti aiuterò.- Guardò il
vecchio. –Perché io non sono più uno di loro, e sono un esploratore.- Saltò
agilmente giù dalla roccia, e si diresse deciso verso l’uscita della grotta.
–Prendo l’arco, e poi partiamo. La tua famiglia ha bisogno di te.-
Kay rimase sbigottito. –Ma tu non vuoi nulla in cambio?-
Reydhan sembrò sorpreso. -Certo che no. Io ho già quello
che voglio.- Guardò Kay e sorrise. I suoi denti erano leggermente appuntiti.
–Uscirò all’aria senza dover più scappare.-
*
Reydhan prese un fagotto da un angolo e cominciò a
buttarci dentro alcune cose, quasi senza guardare. Era da tanto che voleva
farlo, sapeva a memoria cosa prendere.
Fuori dalla grotta era notte inoltrata, e la “casetta” di
Reydhan era piombata nel buio. Per lui non c’erano problemi a vedere, ma accese
comunque una torcia e la avvicinò a Kay.
-Tutto bene, Isolano?- Chiese a voce bassa.
-Capisco la tua smania di andartene, Reydhan.- Rispose
lui. –Ma ormai è notte fonda, ed io sono esausto. Non riuscirei mai a superare
la forza della cascata.-
Reydhan sembrò deluso, ma cercò di non darlo a vedere.
–Capisco.- Rispose dopo un po’, mostrandosi estremamente comprensivo. –Ma comunque
per la cascata non c’è nessun problema … Conosco un passaggio segreto.- Sorrise
di nuovo, e i suoi occhi verdi brillarono.
-Allora domani mattina lo useremo.- Disse Kay per
infondergli un po’ di fiducia. –Ma dimmi una cosa: come facciamo ad andarcene?-
-Io ho una barca.- Disse Reydhan contento. –Bhè, la usavo
da bambino, quindi non so quanto sarà grande. Ma è robusta, e può affrontare il
mare. La tengo in buono stato.-
-Ottimo. Bravo, ragazzo.- Kay si allungò per posargli una
mano sulla spalla. –Mi hai salvato la vita e ora mi stai aiutando a salvare la
mia famiglia. Come potrò mai sdebitarmi?-
Reydhan lo guardò dritto negli occhi, mostrando tutta la
sua determinazione. –Te l’ho già detto. Io non voglio nulla, se non uscire da
qui. E tu mi stai aiutando a farlo.- Disse. –E poi sono un esploratore. E’ il
mio destino.-
Si voltò, e si accucciò sopra ad un mucchio di coperte
per dormire, così Kay lo poté osservare in silenzio. Non aveva idea di cosa
fosse un esploratore per quel Popolo, ma gli piaceva molto l’alto senso
dell’onore, e il coraggio che mostrava quel ragazzo. Sarebbe stato un ottimo
compagno di viaggio, ed era felice di poterlo aiutare ad esaudire il suo sogno,
e di portarlo via da quel Popolo che non lo capiva.
Kay era veramente felice. Non solo aveva scoperto il
Popolo Celato, ma aveva superato le cascate di Nahjs tenendo il pugnale, e
soprattutto: sapeva a cosa serviva.
Per la prima volta da lungo tempo sapeva cosa doveva
fare. Non solo salvare la sua famiglia, ma uccidere l’Oscura Parvenza. Era
l’ultima possibilità del Regno. L’Oscura lo aveva obbligato a rubare il pugnale
perché lui non sapeva a cosa serviva, così glielo avrebbe riportato come se
niente fosse e il nemico sarebbe stato immortale.
Sul suo viso comparve un sorriso. Forse la cascate erano
veramente una proprietà dello Splendente, e la provvidenza lo aveva portato
laggiù, così che potesse trovare i Celati e scoprire la verità sul Pugnale di
Mohran.
Il suo sguardo cadde sul pallido viso addormentato di
Reydhan, e la sua serenità lo fece tranquillizzare. Quel ragazzo infondeva
veramente coraggio.
* * *
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Capitolo 6 *** Cap5 - Il Mare Sconfinato ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 5-
Il Mare Sconfinato
L’alba penetrò come un forte raggio di luce dorata nella
grotta di Reydhan, che era molto vicina alla cascata, e il ragazzo si alzò
sbadigliando. Sbatté un attimo le palpebre,
poi si voltò dalla parte opposta al raggio di luce. Preferiva di gran
lunga il buio, perché lo faceva sentire più protetto; e il suo corpo era
cresciuto apposta per muoversi in mancanza di luce.
Kay invece adorava il sole, Reydhan lo capì subito da come
i suoi occhi scuri brillarono a vedere quel raggio.
-Non ho molto per colazione.- Si scusò Reydhan. –Ma
potremo pescare durante il viaggio per mare.-
Kay fece un gesto con la mano. –Non è un problema.-
Disse, anche se aveva una fame da lupi. –Partiamo il prima possibile.-
Reydhan scattò subito in piedi a sentire quelle parole.
Prese il fagotto che aveva preparato la sera, e raccolse da terra un lungo arco
ricurvo alle estremità e la faretra con alcune frecce.
Kay se ne stupì. –Come fai ad avere arco e frecce se qui
non ci sono alberi né uccelli?-
Reydhan andava molto fiero della sua arma. –Sono uno dei
pochi ad averne uno. L’unico, in effetti.- Riferì orgoglioso. –L’ho trovato
nella caverna di uno dei primi Celati, e lui me lo ha regalato. Voglio fare
l’esploratore, quindi non posso non avere un arco. Tira ancora molto bene, e io penso di aver imparato a
maneggiarlo con destrezza. La mira degli antichi esploratori non sbagliava mai.-
Kay si offrì di tenere il fagotto, così Reydhan si mise
l’arco e la faretra a tracolla. –L’unico problema sono le frecce.- Continuò a
raccontare. –Ho svuotato tutte le faretre che ho trovato, ma non sono più di
una ventina di tiri.-
Kay sentì una profonda tenerezza per quel ragazzo.
–Tranquillo.- Disse, mettendogli una mano sulla spalla e cominciando a
seguirlo. –Quando arriveremo sull’Isola ti comprerò subito delle frecce.-
Reydhan sorrise. –Sono felice di viaggiare con te.-
*
Per evitare la cascata, Kay aveva seguito Reydhan in uno
stretto passaggio intorno alla scogliera, dove le onde del mare si scontravano
violentemente pochi metri sotto di loro.
Kay era spaventato, perché il passaggio era molto stretto
addirittura per Reydhan, lui era goffo e sembrava un gigante che camminava in
una casa delle bambole.
Il cuore gli batteva forte in gola, ovattato dal fragore
delle onde sulla scogliera. Quel rumore gli ricordava il boato continuo della
cascata, e il solo pensiero gli fece sbagliare un passo, e qualche roccia volò
in basso, inghiottita subito dalle onde. Kay trattenne a stento un urlo e il cuore gli sobbalzò in
gola. Si appiattì il più possibile contro la parete di roccia, mentre la mano
di Reydhan andava a cercare la sua. La prese e la strinse.
-Tra poco tutto si allarga. Scusa se è faticoso per te.-
Disse il ragazzo colpevole.
Quelle parole strapparono a Kay un sorriso. –Non sei tu
che hai creato questa scogliera. Non ti scusare, anzi.- Lo guardò negli occhi.
–Tu infondi veramente coraggio, sai?- Disse, sentendosi stupido, ma lo sguardo
di Reydhan aveva veramente il potere di tirargli su il morale.
Reydhan tornò a guardare davanti a sé, ma sorrise. –E’
solo la tua immaginazione, io non sono diverso da qualunque altro Celato.-
Detto questo si fermò, sopra uno scoglio abbastanza ampio
e piatto. Kay rimase sbalordito, guardando indietro e osservando lo stretto
passaggio che avevano appena attraversato. Era veramente impressionante.
–Invece no.- Disse. –Tu mi hai fatto superare la paura.-
Reydhan sorrise, ma cambiò argomento. –La mia barca è
nella grotta sotterranea qui sotto.- Indicò la roccia su cui erano arrivati.
–La vado a prendere, poi ci saliamo insieme.-
Kay annuì, e prese l’arco e la faretra che Reydhan si era
sfilato dalle spalle, e lo guardò tuffarsi agilmente e senza il minimo
ripensamento tra la spuma e il gorgogliare delle onde. Si sporse a guardare, e
lo vide nuotare a pelo d’acqua aiutato dal moto ondoso. La sua pelle sembrava
ancora più diafana alla luce del mattino, e Kay non poté che meravigliarsi
della forza della natura. I Celati si erano stabiliti solo da alcune
generazioni nelle grotte sotterranee, eppure i loro corpi erano molto diversi
da quelli degli Isolani Rivelati. Si erano adattati al meglio alla vita lì
sotto.
Kay alzò lo sguardo, osservando un’altra meraviglia creata
dallo Splendente. Il Mare Sconfinato si estendeva davanti a lui, in tutte le
direzioni, senza inizio né fine. L’aria salmastra e fresca che stava respirando
proveniva da lontano, da misteriose e lontane terre al di là dell’orizzonte; e
magari anche laggiù si chiedevano, come stava facendo Kay: “Mare Sconfinato,
cosa mi nascondi?”
Chissà quante barche quel forte vento marino faceva
navigare, e quante persone avevano sentito quella fresca brezza accarezzargli i
capelli, frustargli il volto, fischiargli nelle orecchie, e bruciargli gli
occhi.
Kay non era mai stato uno nostalgico e riflessivo; era un
uomo d’azione; ma in quel momento, mentre respirava a pieni polmoni l’aria salmastra,
non poteva non fermarsi ad ammirare quello spettacolo. Si chiese perché non l’avesse
mai fatto, perché non avesse mai voluto provare quell’entusiasmante sensazione
di essere l’unico al mondo, davanti a quell’orizzonte infinito.
-Pronto a partire?- Gridò Reydhan dalla barca, proprio in
quel momento.
“Che guastafeste.” Pensò scherzosamente Kay, lanciando un
ultimo sguardo all’orizzonte prima di concentrarsi sulla misera barchetta di
Reydhan.
Era veramente piccola, e loro due dovevano starci a
malapena; ma aveva una bella vela quadrata e, come aveva detto il ragazzo, era
tenuta in ottimo stato. Prometteva bene.
-E’ un’ottima giornata per navigare!- Esultò Reydhan mostrando
con un gesto tutto il mare, con un grande sorriso sulle labbra.
*
Navigarono per tutta la giornata abbastanza al largo,
perché la barca era leggera e le onde l’avrebbero sfracellata navigando sotto
costa. Il profilo dell’Isola Universale si allungava alla loro sinistra, con le
altissime scogliere la cui superficie si perdeva nella nebbiolina come nelle
nuvole.
Viaggiavano verso nord-est, seguendo il profilo della
costa sudorientale delle Terre dell’Oscura Parvenza.
Cercavano una spiaggia dove attraccare, per poter poi
raggiungere via terra il palazzo dell’Oscura.
Kay si ritrovò a fremere di impazienza, stringendo il
Pugnale di Mohran, aspettando mentre l’ansia cresceva, di usarlo contro
l’adepta dell’Oscuro.
* * *
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Capitolo 7 *** Cap 6 - Terraferma ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 6-
Terraferma
Viaggiarono seguendo il profilo della costa per alcuni
giorni, e Kay sentiva che dentro di lui l’ansia cresceva, la preoccupazione per
la sua famiglia aumentava. Chissà se l’Oscura sapeva che era sopravvissuto e
che aveva il pugnale. E cosa aveva fatto e sua moglie e sua figlia?
–Lo Splendente veglia su di noi.- Disse Reydhan senza
sapere i pensieri del compagno. –Ha
capito che stai facendo del bene, e ci ha voluti aiutare. Non hai visto che
pesca copiosa abbiamo avuto e che non abbiamo incontrato tempeste?- Era molto
felice, ma capì subito che Kay aveva pensieri abbastanza tristi. –A cosa pensi,
Isolano?- Chiese. –Ora che stiamo tornando sulla tua Terra, hai paura?-
-Non ho paura. Sono semplicemente preoccupato per Kayleen
ed Aileen.-
Reydhan lo guardò spalancando i suoi grandi occhi verdi.
-E’ vero, scusami.- Riprese Kay. –Tu non le conosci. Sono
mia moglie Aileen, e mia figlia Kayleen.-
-Perché tua figlia porta il tuo stesso nome?- Domandò il
Celato dopo un po’.
-E’ una tradizione del mio Popolo. “Leen” significa “Dea”
nell’antica lingua, e aggiunto al nome del padre, significa “La dea di Kay”. Si
usa per tutte le primogenite femmine. Come mia moglie, suo padre si chiamava
Ai.-
Reydhan ascoltò attento la spiegazione, ma poi distolse
lo sguardo da Kay, i cui occhi brillavano a parlare della famiglia. Lui era
orfano da quando aveva dodici anni, ed era cresciuto da solo, isolato dal suo
stesso Popolo.
Guardava mestamente la costa sfilare alla loro sinistra,
mentre Kay fissava distrattamente l’acqua del mare. Trai due era calato un
profondo silenzio.
Dopo alcuni minuti, i brillanti occhi di Reydhan scorsero
un cambiamento nella monotonia del paesaggio. Le scogliere si erano abbassate
degradando dolcemente fin dalla loro partenza, ma ancora non avevano scorto
nessuna spiaggia. Fino ad allora, perché la scogliera alta e ripida finiva in
quel momento, nascondendo e proteggendo un piccolo golfo e una breve spiaggia
sabbiosa. –Guarda, Kay! Guarda!- Urlò, puntando il dito verso la spiaggia.
Allora anche Kay si voltò a guardarla, e vide come in un miraggio, due irte
scogliere che cingevano la spiaggia come in un abbraccio materno, e aldilà
della sabbia, immersa nella foschia del primo mattino, alcune basse montagne, e
una vasta campagna erbosa. Il suo cuore accelerò improvvisamente, rischiando di
scoppiargli in petto. Ce l’avevano fatta, e sua moglie e sua figlia erano lì,
da qualche parte.
Lo spazio navigabile del golfo era ancora sgombro perché
era quasi metà mattina quando vi entrarono, e tutti i pescatori che lo
abitavano erano già nelle loro case. Ad ovest sulla spiaggia, infatti, sorgeva
un piccolo villaggio di non più di una decina di case, costruite direttamente
sulla sabbia.
Quando portarono la barchetta in secca, a Kay tremarono
le gambe. Non si ricordava più la terraferma, e dovette impiegare alcuni istanti
per abituarsi a camminare di nuovo, e soprattutto su qualcosa di immobile.
-Quasi mi dispiace lasciare la barca …- Mormorò Reydhan quando
la nascosero tra gli scogli ai piedi della scogliera.
-E’ stato proprio un bel viaggio.- Assentì Kay. –E anche
grazie a te.-
Reydhan non rispose, ormai ne aveva sentite molte di
quelle lodi. Non gli piaceva, principalmente perché non ne era abituato. Tra il
Popolo Celato aveva sentito sempre e solo prese in giro.
-Ora che cosa facciamo?- Domandò dopo un po’ per rompere
il silenzio.
-Credo che sia meglio che tu rimani qui.- Propose Kay.
–Attiri troppi sguardi, e sai quanto i marinai sono superstiziosi …- Cercava di
buttarla sul ridere, ma anche a lui dispiaceva dover lasciare Reydhan, anche se
per poco. Soprattutto non gli andava di fargli pesare la sua diversità. –Ti
comprerò dei vestiti e un mantello con cui coprirti. Non so se qui c’è
un’armeria, ma cercherò anche delle frecce, e una spada.-
Reydhan, scoraggiato, si lasciò cadere a terra in una
macchia d’ombra, nascosto dagli scogli. –Fai in fretta.- Si raccomandò,
visibilmente contrariato, ma sicuro che Kay avesse ragione.
Il Guerriero non aggiunse altro, e si avviò verso il
piccolo villaggio.
Reydhan quindi, si ritrovò da solo. Di nuovo, solo. Dopo che era arrivato Kay non pensava quasi più al
suo Popolo, perché tutto quello che voleva era lasciarlo, ma adesso era molto
spaventato dall’Isola Universale. Tutta quella luce gli feriva gli occhi, per
questo aveva cercato l’ombra, e anche se a Kay non l’aveva detto, aveva paura a
stare da solo. Tutta quella luce, quegli spazi sconfinati che i suoi occhi
abbracciavano, lo facevano sentire a disagio. Era come se mille e più occhi lo
stessero guardando, studiando. Si sentiva terribilmente scoperto e piccolo, e
un po’ rimpiangeva le familiari grotte, di cui conosceva a memoria ogni singolo
angolo. Lui era una creatura del buio; solo nell’oscurità si sentiva completamente
protetto.
Nel bel mezzo dei suoi pensieri, si tirò una manata sulla
fronte. “Che razza di esploratore sei, se hai paura di stare solo?” Si disse
con rabbia.
Incrociò le braccia sul petto, e provò a concentrarsi sui
vecchi incantesimi che gli avevano insegnato i Celati. Aveva studiato con un
mago e con un guerriero, cosa che di norma non si doveva fare: o si era maghi,
o cacciatori. Ma lui voleva essere un esploratore, così di nascosto sia da uno
che dall’altro, aveva preso lezioni; e sapeva sia combattere discretamente, che
fare delle magie.
Lo fece solo per agevolare Kay. Si concentrò, e cominciò
a recitare l’incantesimo.
* * *
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Capitolo 8 *** Cap 7 - Due Forestieri ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 7-
Due Forestieri
Kay tornò dopo due ore, con tante cose tra le mani, ma un
grande sorriso sul viso. Si avvicinò alla grotta dove si era nascosto Reydhan,
e trasalì quando scoprì che lui non c’era. Aveva lasciato la faretra e l’arco
accanto alla barca, ma di lui non c’era traccia. Kay abbandonò frettolosamente
gli acquisti sulla sabbia e si mise a cercarlo urlando il suo nome.
-Avevi detto che facevi in fretta.- Disse una voce alle
sue spalle.
Kay si voltò con il cuore in gola, per trovarsi di fronte
un Rivelato, ma vestito nello stesso modo esotico di Reydhan, e il suo stesso
colore di occhi, solo che erano molto più piccoli; della misura normale. La sua
pelle non aveva il pallore dei Celati, anzi era abbronzata come quella di Kay.
Il codino aveva lasciato spazio ad un taglio spettinato e corto, come si usava
tra i Rivelati, e ora che sorrideva, il ragazzo mostrava una chiostra di denti
prefetti e quadrati. –Reydhan?!- Lo chiamò il Guerriero con un filo di voce.
Lo sconosciuto tornò nella zona d’ombra. –Non mi
riconosci?- Domandò. La sua voce lo tradiva: era proprio Reydhan.
-Sei tu?!- Si stupì Kay. –Ma mi somigli!-
Reydhan lo guardò comprensivo. –Sei l’unico Rivelato che
conosco. Non sapevo a chi “ispirarmi”, altrimenti.-
Kay cercò di trovare qualcosa su cui ridere. Era l’unico
modo che conosceva per non pensare male. –Bhè, sembri mio figlio.-
Reydhan decise che era giusto spiegargli. –Sono un mezzo
mago.-
Kay spalancò gli occhi, e lo guardò affascinato. Avrebbe
dovuto capirlo da come aveva guarito la sua gamba, ma non era riuscito a
metabolizzare la cosa.
-So fare alcune magie. L’ho imparato tra il mio Popolo.-
-E … e ora resterai così per quanto?-
Reydhan alzò le spalle. –L’incantesimo dura un paio di
giorni. Dopo devo farlo di nuovo, ma ci vogliono delle energie … Almeno non mi
guarderanno come un aborigeno.-
Kay ritrovò un po’ di sicurezza con quella spiegazione.
Perché erano comunque in territorio nemico, e viaggiare con un Celato non era
proprio la cosa migliore per passare inosservati.
-Cosa hai preso?- Ruppe il silenzio Reydhan buttandosi
curioso a guardare tra gli acquisti di Kay. –Principalmente provviste. E una
mappa. Poi dei vestiti per te, e un mantello.- Gli occhi di Reydhan persero un
poco del loro luccichio.
-Purtroppo niente armi, mi spiace.- Disse Kay. –Ma
dobbiamo andare in direzione del Grande Affluente, attraverso quelle montagne
che vedi laggiù.- Le indicò con un dito, alla loro sinistra. –E lungo il fiume
ci sono due città. Troveremo ad Esilhon l’armeria che cerchiamo.-
Reydhan si rialzò, dopo essersi infilato il paio di
pantaloni di tela che Kay gli aveva preso.
-Spiegami la strada.- Chiese, visto che non sapeva nulla
di quel luogo.
–E’ meglio seguire il corso del Grande Affluente, e poi
attraversare la Foresta Centrale.- Gli spiegò seguendo il percorso sulla mappa.
–E poi dovremmo raggiungere un Valico, che ci porterà dritti davanti al
palazzo.-
-Quanto ci vorrà?-
-Se partiamo subito, domani a quest’ora potremmo essere
ad Esilhon. Poi un altro giorno per Fhar, l’altra città sul corso del fiume.
Per attraversare la foresta ci servirà almeno una settimana per essere in vista
del palazzo almeno un altro giorno.-
–Forza, partiamo.- Disse Reydhan alla fine. -La tua
famiglia non ha molto tempo. E’ già da molti giorni che hai rubato il Pugnale,
e non sei ancora tornato al palazzo di Hira. Prima partiamo, e prima potrai
usare quell’arma.-
-Hai perfettamente ragione.- Annuì Kay. –Non vedo l’ora
di colpirla dritta al cuore. Però mettiti questo.- E gli porse un lungo
mantello di lana nera.
*
Come Kay aveva promesso, il giorno dopo erano ad Esilhon.
La città era poco più di un villaggio, perché la guerra con il Regno aveva
molto impoverito quella Terra, e si estendeva sulle due sponde del fiume, ma
nella parte a sud del Grande Affluente era praticamente disabitata, e molti
degli abitanti erano andati a vivere a Fhar, dove la vita costava meno.
Per Kay, comunque, fu come tornare finalmente alla civiltà.
Le case di legno con i tetti di paglia gli ricordavano la sua, e il mercato che
si allungava nella via principale era per lui incredibilmente familiare.
Per Reydhan invece era tutto nuovo: dai pantaloni che
indossava, alle nuvole che si muovevano veloci nel cielo azzurro. Seguiva Kay
distrattamente, continuando a guardare da una parte all’altra, curioso ed
affascinato.
Il Guerriero lo guidò lungo la via del mercato, l’unica dove
sembrava esserci un po’ di vita, verso un’armeria, posta all’angolo tra la via
principale e un vicolo secondario. Si fermarono sotto l’insegna, che mostrava
un’incudine e un martello molto sbiaditi.
-Facciamo così …- Decise Kay. –Io sono un mercante di
stoffe, e sono in queste terre per vedere se trovo degli acquirenti.- Reydhan
annuì. –Tu invece sei mio figlio. E stiamo cercano delle armi per te, d’accordo?-
Reydhan annuì ancora.
-Non dire mai il mio nome, però. Ho i miei motivi per
pensare che l’Oscura mi stia cercando.- Indicò con il mento un gruppo di
guardie che marciavano dall’altra parte della via.
Anche Reydhan le aveva notate, e istintivamente alzò il
cappuccio del mantello, come aveva fatto prima Kay. –Non possono controllare
ogni singola persona che entra o esce dalla città. E noi staremo attenti.-
Disse il Celato con sicurezza.
Kay non rispose ed entrò nell’armeria. Il proprietario li
accolse cordialmente, e Kay se ne stupì. Non si aspettava di certo
quell’allegria da parte di un armaiolo di un paese in guerra. –Benvenuti,
forestieri. Come posso aiutarvi?-
Kay sorrise cordialmente, e spinse avanti Reydhan.
–Cerchiamo delle frecce per il mio ragazzo, qui.- Lo indicò. –E anche una
spada, di quelle a due mani.- Spiegò, osservando con occhi critico ed esperto
le armi che il proprietario gli faceva vedere. Alla fine scelse una semplice
spada che costava poco, e se la legò in vita.
-E ora vediamo un po’ queste frecce.- Disse l’armaiolo
estraendone un paio dalla faretra di Reydhan. –Ma queste non sono adatte a te!-
disse, senza accorgersi della loro strana fattura.
Prese un paio di frecce, e ne poggiò una, dalla parte
della cocca, sul petto di Reydhan. –Allunga le mani.- Disse, e Reydhan eseguì,
ma la freccia era troppo corta per lui. Lo stesso gesto si ripeté con altre due
misure di frecce, ma poi trovarono quelle giuste.
Ne riempirono la faretra poi, soddisfatti, ripresero la
strada per Fhar.
* * *
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Capitolo 9 *** Cap 8 - Lunga vita alla Principessa ***
L'Oscura Parvenza - prologo - il potere che conduce al male
L’Oscura Parvenza
-Capitolo 8-
Lunga vita alla principessa
Dopo aver subìto il furto del Pugnale di Mohran, il
palazzo di re Savron era molto più controllato, ed era praticamente impossibile
entrare nelle stanze private con un’arma, anche per i Guerrieri scelti. Dopo il
tradimento di Kay tutto era cambiato: il sovrano, che era abbastanza anziano,
viveva praticamente rinchiuso nei suoi stessi alloggi, e aveva poche notizie
dei suoi due figli; entrambi in guerra sul confine.
Infatti, proprio in quei giorni, sembrava essere scoppiata
un’epidemia tra le fila del Regno: un’ombra scura e letale che si muoveva di
notte, strisciando tra il campo dei soldati. Quando raggiungeva la sua preda,
non c’era più niente da fare, perché anche se veniva scoperta, era impossibile
fermarla. E le sue prede, erano state proprio i due principi, morti nelle
stesse misteriose circostanze.
Era stato mandato un messaggero a palazzo, per portare la
notizia, ma soprattutto per trovare un altro erede.
L’Oscura non lo sapeva, ma molti anni prima, la regina aveva
dato alla luce un terzo figlio: la principessa Amaranth. Per farla stare al
sicuro, e dato che era una femmina, la bambina era stata portata via dal
palazzo; e si era stabilita con una nuova famiglia nella Città Estrema, perché
a quel tempo era ancora un territorio del Regno, ed era abbastanza lontana dal
palazzo.
Dopo, la situazione si era fatta disastrosa: tutti i due
principi erano andati sul campo di battaglia, e della giovane principessa si
erano perse le tracce. L’ultima lettera della famiglia adottiva al re diceva
che erano stati costretti a trasferirsi a Fhar, una città sul Grande Affluente,
perché il padre era morto, e la madre e la ragazza ora lavoravano in una
locanda.
-Una principessa del Regno a fare la cameriera! Ma è uno
scherzo?!- Si era infervorato re Savron, con gli occhi viola che brillavano.
Era una caratteristica della famiglia reale: anche i due principi avevano gli
occhi di un viola profondo. Le altre lettere che aveva scritto non avevano
ricevuto risposta, ed era tremendamente preoccupato per la figlia. Aveva un
medaglione che la identificava, ma era molto lontana, e in un paese in guerra.
Ormai aveva sedici anni, ed era giusto che tornasse a palazzo.
Il re era seduto nel suo studio privato, a pensare un
modo per ritrovare Amaranth, quando sentì che le guardie, al cancello
principale, facevano entrare un messaggero. Si sporse a guadare dalla finestra
verso il cortile interno, e notò che il messaggero portava il sigillo reale: un’aquila
e due spade incrociate sullo sfondo. “Finalmente qualche notizia dai miei
figli!” Si disse, e si voltò verso l’interno della stanza.
Rimase bloccato sul posto, spaventato. Nella stanza
troneggiava un estraneo: una figura scura e minacciosa come la personificazione
della morte. Era completamente coperto da un mantello nero, da cui spuntava
solo la punta lucente di una spada.
Il re sentì il
sangue ghiacciarsi nelle vene, il cuore salirgli in gola e battere impazzito.
Avrebbe voluto urlare alle guardie di entrare, me era bloccato, come per uno
strano incantesimo, e per quanto si sforzasse, non riusciva a spiccare parola. Il
re non aveva bisogno di chiedere chi fosse. C’era un Assassino davanti a lui, e
lo minacciava puntandogli la lunga spada lucente alla gola.
Il sovrano ritrovò la parola, per rispondere alla domanda
che l’Assassino gli aveva appena posto. –Sai della morte dei tuoi figli?-
Chiedeva, con una certa ironia nella voce.
Gli occhi viola del re si velarono di tristezza. Sapeva
per certo, per uno strano motivo, che era vero. Allora il suo pensiero volò
subito ad Amaranth, di cui avevano ancora più bisogno.
L’Assassino scoppiò a ridere. Una risata che ghiacciava
il sangue nelle vene. –Credevi veramente che non lo avrei scoperto?- Parlava
chiaramente della principessa.
Il re, bloccato dall’arma con le spalle al muro, non
riuscì a nascondere la paura. Era ad un passo dal terrore puro.
-Non dovevi pensare, allora.- Continuò l’altro con
sarcasmo. –Dimmi dov’è. Dimmi dov’è Amaranth.- Intimò, e sulla punta della
spada si creò una piccola goccia di sangue.
Il re scosse la testa, con gli occhi spalancati dalla
paura. –Non lo so … Non lo so …- Disse, ma nella sua mente, anche se cercava di
controllarsi, si formava un pensiero. “Fhar …”
L’Assassino non perse altro tempo, perché sentiva i passi
dei soldati che accompagnavano il messaggero aldilà della porta. –Vai a
raggiungere i tuoi figli.- Sibilò, poi con un solo colpo, trafisse il re,
passandolo da parte a parte.
-Lunga vita alla principessa …- Mormorò il sovrano
accasciato a terra, prima di spirare.
-Questo è da vedere …- Rispose l’Assassino con rabbia.
Rimise la spada nel fodero, poi prese un lembo del mantello, e con un gesto
veloce, scomparve.
Pochi secondi dopo, la porta si apriva ed entravano i soldati.
*
Il palazzo di Hira, tra i Monti Settentrionali, era
gelido, e lo erano ancora di più le colonne di marmo nero della sala del trono,
dove Hira stava sempre, e controllava le prigioniere.
Aileen e Kayleen erano state trascinate e legate alle
fredde colonne della sala del trono, da quando Kay aveva rubato il Pugnale, ma
poi non era tornato.
-A quanto pare quel buono a nulla non ha intenzione di
raggiungervi …- Aveva detto l’Oscura sarcastica, alle due donne stremate,
legate una di fronte all’altra, a due colonne opposte.
Le prigioniere avevano cercato di non far trasparire la
paura, ma era un’impresa. Per loro fortuna la loro carceriera era stata
interrotta dall’arrivo di un Assassino, un guerriero coperto da un pesante
mantello scuro, e con cui si era messa a parlare fitto senza che loro
sentissero nemmeno una parole.
–Non piangete.- Disse ironica, dopo che l’Assassino le
ebbe riferito tutto. -… Ma il re, è morto.-
Aileen si irrigidì, ma non disse nulla. Un secondo dopo,
Hira era di fronte a lei, e le sollevava il viso con due dita. –Ma a te non
interessa, giusto? Vuoi sapere di quel traditore di tuo marito …- Sibilò. –Bhè,
anche io.- Detto questo, sul suo palmo comparve un’oscura sfera, che sembrava
racchiudere tutte le nebbie dell’Isola Universale.
Hira tornò al trono, e guardò all’interno della sfera.
Finalmente Kay era all’interno delle sue Terre, e lei poteva seguite tutti i
suoi movimenti. Nel Regno la divinazione era molto più faticosa, e non sempre
funzionava.
Ciò che attirò la sua attenzione non fu il ragazzo che
sembrava accompagnare Kay, bensì quello che stavano dicendo: “Prima partiamo, e
prima potrai usare quell’arma.” Diceva il ragazzo, chiaramente riferito al
Pugnale di Mohran. “Hai perfettamente ragione. Non vedo l’ora di colpirla
dritta al cuore.” Rispondeva Kay.
L’Oscura interruppe subito la divinazione, scagliando la
sfera a terra con rabbia. Chiamò di nuovo l’Assassino, che era rimasto
impettito ad un lato del trono. -Dirigiti a Fhar con i tuoi compagni.- Ordinò.
–Uccidete il Guerriero e quel ragazzino che lo accompagna. Ma portatemi il
Pugnale.- Fece una pausa, vedendo che Aileen e Kayleen la guardavano
terrorizzate. Lei ricambiò lo sguardo con un’espressione gelida e vagamente
soddisfatta. –E trovate una ragazza con gli occhi viola e il medaglione reale.
Uccidetela.-
* * *
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