I'm in love with this hurricane.

di annalisaechelon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's in your eyes. ***
Capitolo 2: *** You came and saved me. ***
Capitolo 3: *** Love me tonight. ***



Capitolo 1
*** It's in your eyes. ***


DEATH

Mi aveva spezzato il cuore, me lo aveva strappato dal petto, privandolo di ogni battito. Mi aveva lasciato sola, sotto la pioggia scrosciante unita insieme ai tuoni elettrici che, a momenti, avrebbero spezzato le strade e corrotto ogni singola forma di vita. Vagavo tra il nulla, senza forze. La sua macchina aveva messo in moto subito dopo avermi sbattuto accanto ad una panchina, sistemata a poca distanza dalla strada principale. Si era dileguata tra le pozzanghere, lasciando schizzare l’acqua sporca sui muri che tenevano in piedi le case di tutte quelle persone che si proteggevano dall’uragano in arrivo. A me non interessava ripararmi, desideravo tanto che quella tempesta mi trascinasse via con sé, per smettere di vivere. Avevo sprecato tre anni della mia vita con lui, quel lui che non aveva mai capito quanto io potessi amarlo, quanto io potessi donargli, ogni giorno, tutti i giorni. Aveva cominciato a dare per scontato la mia presenza, aveva cominciato solamente a sfruttarmi per sfogare il suo istinto animale, il suo desiderio fisico. Voleva solamente usufruire del mio corpo, fingendo di amarmi. Aveva smesso ormai, da tanto tempo, ed io cosa facevo?  M’illudevo che non fosse così, m’illudevo che lui fosse perfetto, mi costringevo quasi a crederlo. Non avrei mai voluto ammettere il contrario. Non potevo farmi questo perché ormai l’avevo idealizzato. Avevo fatto della sua imperfezione, la sua perfezione, ma nulla di ciò esisteva veramente. Adesso però, nulla contava più, ero sola, lui se n’era andato e spero a fanculo, per sempre. Non l’avrei perdonato, nemmeno nei sogni. Non volevo più soffrire, né volevo rivederlo. Ormai per me era un uomo morto. Continuavo ad aggirarmi per quelle strade vuote, mentre il frastuono della pioggia riempiva le mie candide orecchie. Il mio sguardo spaventato faceva da cornice alle lacrime che cadevano violente sul mio viso. Sentivo gli occhi bruciare, le guance prender fuoco mentre le mie labbra tremavano di paura. In lontananza adocchiai una macchina nera, sfilata, lucida, che al solo vedermi, si fermò. Aguzzai la vista e mi accorsi della presenza di un uomo vestito in giacca e cravatta, mi avvicinai piano, ma riuscii ad accorgermi che nel suo sguardo non vi era nulla di buono. Spaventata e col cuore a mille, mi nascosi vicino alle scale dell’entrata di un appartamento. Temevo le sue intenzioni. Sentì la macchina sgommare accanto al viale in cui mi trovavo io, avvicinandosi con violenza a me. Presa dall’ansia, bussai al campanello di uno sconosciuto e senza sapere chi fosse, appena mi aprirono, entrai.
- Oddio, ma tu.. tu non sei George! – la ragazza avvicinandosi all’ingresso, mi guardò come se fossi un’aliena.
- Cchhi è George? – balbettai terrorizzata con voce tremante.
Spaventata, iniziai a guardarmi attorno con lo sguardo di quella donna puntato sul viso. L’aria era calda, al contrario del gelo che regnava al di fuori, le luci erano soffuse e qua e là vi erano delle candele accese. Jenni, così si chiamava, indossava una tutina in latex nero che le modellava ogni forma, quasi a definirle quel corpo pronto a donarsi, a questo George probabilmente. Le gambe lunghe erano sfilate e tese dai muscoli. Ogni minima parte del corpo era curata. Quando mi mossi per guardarle il viso, rimasi folgorata da due pietre verdi, incastonate sotto a quelle delicate sopracciglia. I capelli ondulati di un castano forte le cadevano leggeri sul volto, sfiorandole quell’angolo perfetto che erano le sue spalle. Il seno prorompente era stretto in una piccola fascia nera e la pancia piatta s’intravedeva appena.
- George è l’uomo che sto aspettando.. – mi rispose in maniera disinibita, non curandosi di ciò che stava dicendo.
Annuì impaurita, limitandomi a fissarla, spostando il mio sguardo dall’alto verso il basso. Era perfetta però. Tutto d’un tratto, qualcuno bussò con gran foga alla porta, spingendo forte i pugni, senza notare il campanello. Jenni assunse un’espressione di panico mentre mi faceva segno di nascondermi nell’armadio. Ogni mio tentativo di evitare ciò fu vano perché mi ci sbattè dentro, togliendomi il respiro. Velocemente si avviò alla porta, accogliendo questo tanto atteso George. Da quel momento non riuscì più ad intuire nulla. Sentivo solo dei rumori provenienti dalla cucina, qualcosa che sbatteva, qualcuno che ansimava. Di piacere, di paura, di desiderio. Non riuscendo più a respirare, spalancai le ante dell’armadio e mi diressi determinata in cucina. Mi ero cacciata da sola in quella strana situazione e da sola ne sarei dovuta uscire.
- E chi è lei? Mi sembra d’averla già vista.. – era l’uomo della macchina.
- Ma non ne ho idea, si è infilata da sola in casa mia.. – rispose Jenni, guardandomi con aria di disprezzo.
I due si trovavano seminudi sul tavolo. Lui le aveva strappato qualche pezzo di tutina di dosso, mentre lei gli aveva quasi tolto i pantaloni. Il trucco le era completamente colato e i capelli le si erano arruffati in testa. George mi guardava con aria arrapata ed io non sapevo assolutamente cosa fare. Volevo scappare, dovevo scappare. Cosa significava questa situazione? Dove mi ero andata a cacciare? Cosa stava succedendo? Tutte queste domande mi si attanagliarono tra i pensieri, ma in un attimo mi ricordai di tutto quello che era successo. Non avevo più motivo di vivere.
- Cosa c’è? – gli dissi.
- Vuoi unirti a noi? – fece lui, guardando Jenni, che annuendo, acconsentì.
Entrambi mi si avvicinarono piano, sbattendomi al muro. Immobile, senza reagire, mi feci sopraffare dalla ragazza mora, che in un attimo, fiondò le sue labbra sulle mie. Mi stampò un bacio che sapeva di frustrazione, forse perché era quello che provavo dentro. L’unico sentimento che in quel momento ero in grado di provare. Ricambiai, infilandole la lingua in bocca e aggrappandomi ai suoi capelli. George, da un lato, ci osservava eccitato. Era un bell’uomo dopo tutto, alto, magro, occhi verdi contornati da una capigliatura scura.
Cosa diavolo mi prendeva? Avevo appena baciato una donna e stavo facendo apprezzamenti sull’uomo da cui poco prima stavo scappando.
- Dov’è Stephen? – gridai spingendo Jenni lontano da me.
- Qui non c’è nessuno Stephen! – rispose George.
Uscii velocemente da quella casa, incosciente di tutto quello che avevo appena fatto. Ricordavo solo il sapore di quella ragazza e gli occhi desiderosi di quell’uomo.  Mentre correvo via sotto la pioggia, aprendo gli occhi, mi trovai una grossa Jeep davanti. L’unica cosa di cui riuscii ad accorgermi prima di svenire, furono due occhi di ghiaccio, che spaventati, fermarono la macchina. 
 

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Capitolo 2
*** You came and saved me. ***


LIFE

Scese rapidamente dalla macchina, fregandosene della pioggia che gli bagnava l’acconciatura perfetta. Riuscii a scorgere la sua figura solo quando, riprendendo i sensi, aprii piano gli occhi, ma fiondandomi nei suoi, mi persi di nuovo e svenni una seconda volta, tra le sue braccia. Si sfilò il cappotto e lo avvolse attorno al mio corpo. Cercò di svegliarmi accarezzandomi il viso, sistemandomi i capelli, quando poi mi poggiò sul sedile posteriore della macchina, sedendosi al mio fianco. Prese una mia mano tra le sue calde, sperando di sentirsi ricambiare una stretta. Non recependo nessun segno di vita da parte mia, prese il BlackBerry dal cruscotto dell’auto, fissò lo schermo e guardò l’orario.  Le 2.07. Fece per comporre il numero dell’ambulanza, quando all’improvviso mossi leggermente il braccio, aprendo lo sguardo.  Vidi sul suo viso, un’espressione di sollievo farsi spazio. Scossi la testa e poggiandomi sui gomiti, mi alzai delicatamente.
- E chi diavolo sei tu? – chiesi arrogante.
- T’avrei appena salvata, se non te ne sei accorta.. – si fece una risatina.
- E chi te l’ha chiesto? – lo guardai male.
- Il buon senso.. – rise ancora.
- E tu quindi saresti il mio salvatore? –  la sua presenza mi dava fastidio, urtava la mia sensibilità, già parecchio ferita.
- Se vuoi si, ma in realtà, beh, io sarei Jared, piacere.. – mi allungò una mano.
- Piacere! – risposi.
- E il tuo nome? –
- Liz. – non avevo altro da aggiungere.
Cominciai a spogliarmi, per togliermi quei panni fracidi di dosso. Mi sfilai scarpe e calzini, facendo scrollare anche il jeans stretto, rimanendo in slip. Tolsi il cappotto di questo Jared, levai anche il felpone e rimasi in biancheria intima. Avevo il suo sguardo fisso addosso. Quegli occhi innocenti osservavano il mio corpo, da capo a piede. Notai il suo stupore nel guardarmi, bloccandosi sul mio viso.
- Senti! Ti svegli? Non vedi che ho freddo? Accendi l’aria calda, sù! – lo feci distrarre.
- Ssi, ssubito! – rispose con un’aria un po’ inebetita.
Mise in moto l’auto, accese il soffio per farmi riscaldare e senza partire, spostò le mani dallo sterzo e ributtò il suo sguardo su di me. Si sbilanciò, accarezzandomi una guancia.
- Ma che fai?! – gli risi in faccia.
- Sei bellissima.. – sussurrò – Non riesco a dire o fare altro che non sia osservarti.. – continuò a dirmi.
I miei zigomi si arrossirono, facendogli notare il mio imbarazzo. Strinsi forte gli occhi per ritornare in me, scrollandomi quella sensazione di dosso. Un brivido di freddo pervase la mia schiena, non sapevo quanto altro tempo sarei riuscita a resistere in quella macchina, sotto la tempesta, con uno sconosciuto. Le immagini di ciò che avevo subito poche ore prima continuavano ad attraversarmi la mente, la ferita che si era aperta sul mio cuore bruciava come pelle al sole. Nonostante Jared avesse acceso l’aria calda, cominciai a tremare, più per la paura, credo. Ripensai a Stephen, al modo in cui mi aveva trattata, a Jenni e al suo bacio, a George e ai suoi occhi. Mi crollò il mondo addosso. Mi sentì una fitta nella pancia trafiggermi lo stomaco, come se tanti spilli fossero conficcati sul mio ventre. Uno stimolo di vomito attraversò la mia gola, trasformandosi in un pianto isterico. Le lacrime ricominciarono a cadermi sul viso, stavolta lentamente, dolcemente, in maniera delicata ed era proprio per questo che mi distruggevano ancor di più. La rabbia si era trasformata in dolore e quel dolore mi stava uccidendo. Voltai il mio sguardo fuori dal finestrino, non curandomi della presenza di Jared. Pulì il vetro e vi guardai oltre, la tempesta non sarebbe finita presto. Lanciai un’occhiata a lui che mi guardava preoccupato.
- Cos’hai? – mi chiese poggiando una mano sulla mia spalla.
- Non sono affari tuoi, Jared.. – singhiozzai con un filo di rassegnazione.
- Liz, ma almeno dimmi cosa devo fare.. – provò lui, impotente.
- Jared, nulla, niente, stà fermo.. – mi guardo stranito, forse si stava chiedendo come potesse una sconosciuta comportarsi così con uno sconosciuto.
Effettivamente stavo sbagliando, lui mi aveva salvato ed io come lo trattavo?
- Come vuoi.. – si mise a tacere.
Mi spostai la ciocca di capelli che copriva i miei occhi scuri dietro all’orecchio e mi voltai dall’altro lato del finestrino. Vidi la nostra immagine riflessa in quel vetro lucido, pronto ad appannarsi di nuovo per via del nostro respiro affannoso. Mi rigirai verso di lui, tremante.
- Voglio solo dormire, voglio smettere di pensare.. – chiesi.
Inaspettatamente, si avvicinò nuovamente a me per accarezzarmi la chioma voluminosa. Lo guardai con occhi stanchi, mentre una lacrima solcava la mia guancia sporca di trucco. Mi sfiorò il viso, sorridendomi. Spingendogli via la mano, passai sul sediolino posteriore della macchina e mi misi a dormire.
Jared poggiò il piede sull’acceleratore e partì piano. Con gli occhi chiusi e quasi dormiente, non mi accorsi di dove mi stava portando. Seguiva un tragitto preciso, conosceva la strada. Guidò a lungo, fino a quando non si fermò davanti ad un grande palazzo. 

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Capitolo 3
*** Love me tonight. ***


BIRTH

Quando mi accorsi che aveva fermato la macchina, mi strofinai gli occhi, provando ad aprirli.  Alzando un po’ la testa, scrutai le sagome fuori dal finestrino, adocchiando meglio la villa in cui Jared mi stava portando. Nonostante la città fosse buia e vittima della violenza dell’uragano, quella casa brillava di luce propria. Intonacata di un bianco lucido, era situata lontano dalle strade trafficate e piene di caos.  Vidi lui gettarmi un’occhiata veloce, facendomi segno di ricoprimi col cappotto. Lo vidi scendere dalla macchina, bagnandosi ancora, per prendere un ombrello dal portabagagli. Mi aprì la porta, riparandomi la testa con l’ombrello, strinse forte le mie braccia e come una guardia del corpo, mi scrutò fino all’entrata. Prese le chiavi e aprì velocemente la porta, scappando dal freddo. Mi fece entrare  ed io, senza nemmeno osservare la casa, mi andai a gettare sul divano. Da lontano Jared si fece scappare una risata. Aveva riso troppo per i miei gusti e non esitai a farglielo presente.
- La smetti di ridere?! – il mio tono era leggermente irritato.
- Benvenuta in casa mia.. – fece finta di niente, aprendo un altro discorso.
Stavolta fui io a ridere, non riuscivo ancora a definire la sua personalità. Era così ambiguo ma nella sua stranezza, riusciva a farmi distrarre, seppure dentro di me stava avendo luogo una guerra tra plotoni. Ripensai, volontariamente, alla mia vita che cadeva a pezzi, al mio cuore che lentamente si sgretolava, sembrava quasi che io non fossi mai stata viva, che fossi sempre stata esanime e che solo in quel momento, riuscivo a trovare la forza per ricominciare. O almeno questo era quello che credevo, essendo la rinascita, l’unica soluzione. Mi guardai attorno spaesata, finì per stendermi completamente sul divano, indifferente a tutto ciò che mi circondava. Disprezzo, questo era quello che provavo, non nei confronti di qualcuno in particolare, ma verso la vita. Non ne avevo più voglia. Jared mi stava preparando un thè, ne sentivo il profumo riscaldare l’aria e tutte quelle attenzioni da parte sua non riuscivo a spiegarmele.
Che diamine gli passava per la testa?
Non lo sapevo, ma non sapevo nemmeno quali fossero i miei pensieri, tant’è che mi alzai dal divano e mi avvicinai a lui. Mi feci versare il thè in una tazza alta e bianca, sedendomi a tavola. Jared mi si sedette di fianco e con le braccia conserte, poggiate sul ripiano, osservava ogni mio movimento.
- Ma che c’hai? – ripresi il discorso.
- Che c’ho?! – assunse un’espressione interrogativa.
- Sei strano, fin troppo.. –  dichiarai io.
- Eh, sono io, prendimi così, se vuoi! – si fece scappare una risata – Allora, me lo dici che ci facevi in mezzo alla strada, sotto la tempesta, distrutta dalle lacrime? – riprovò ad ottenere quell’informazione.
- Jared, è passato ormai, l’unica cosa che posso dirti è che.. scappavo. – finì io.
- Da cosa? – s’incuriosì.
Mi alzai di scatto dalla sedia, ero stufa di tutte quelle domande. Lo guardai dritto negli occhi, azzurri come il mare. Erano contornati da un volto delicato, reso ispido dalla barbetta incolta. I capelli di un colore forte facevano da contrasto alla delicatezza della sua pelle. La bocca, leggermente sottile, richiamava la mia. Mi avvicinai al suo volto, tirandolo per il mento. Prendendolo per mano, lo feci alzare. Tutta quella sofferenza stava risvegliando in me la voglia di sfogare la mia frustrazione. E dovevo farlo, immediatamente. Tirandogli il felpino, accostai le mie labbra alle sue.
- Amami, stanotte.. – sussurrai.
Rimase in silenzio, proprio come volevo facesse. I suoi occhi scrutavano ancora il mio viso, entravano nelle mie pupille avide di liberazione. Ci si rispecchiava, in me. Lasciai scivolare il cappotto di dosso e rimasi in lingerie, mentre l’aiutavo a sfilarsi i vestiti. Sfioravo ogni più piccola parte del suo corpo, baciandogli piano il bacino. Gli bloccai il volto per fissarlo dritto in quei fiumi in piena. Lo spinsi verso me e lo baciai, prima piano, poi strappandogli l’amore di bocca. Mi stringeva la vita, gli stringevo la schiena. Mi accarezzava, lo graffiavo. Gli lambivo le guance, mi rapiva l’anima. Io non lo conoscevo, come lui non conosceva me. Finimmo per trovarci sul letto, continuando ad amarci, per quella sera. Entrò dentro di me, rubando il mio cuore. Lentamente, dolcemente, delicatamente. Si unì con me, mi unì con lui. Divenimmo una sola cosa, per quella sera.
Nessuno dei due avrebbe mai immaginato che quella sera sarebbe durata per sempre.
Quell’uragano mi aveva salvato. 


 

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