A Midsummer Night's...Reality

di midorijpg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act One ***
Capitolo 2: *** Act Two ***



Capitolo 1
*** Act One ***


A Midsummer Night's...Reality

Act One
 

 Il buio cominciava a calare.
Aspettavo seduta al mio posto da almeno due ore.
Lo stadio era quasi completamente vuoto quando arrivai lì.
Stava incominciando a riempirsi in quel momento, e io mi stavo quasi addormentando, nell'attesa.
Non sembravo neanche una loro fan, se non fosse stato per il blocco di fogli che tenevo in mano insieme alla biro, con lo scopo di farmi fare un autografo alla fine del concerto.
Ero in quinta fila, quasi praticamente attaccata al palco.
Era un posto stupendo, ero riuscita a vedere tutto il soundcheck.
Ma ci stavano mettendo davvero troppo a salire su quel fottuto palco e fare quel che dovevano fare.
Era ormai buio e i posti alla mia destra e alla mia sinistra erano già occupati da un pezzo, come tutti quelli intorno a me.
I miei occhi stavano per chiudersi, quando, all'improvviso, dei potentissimi fasci di luce illuminarono il palco e finalmente il gruppo salì, facendo esplodere il pubblico in un boato di entusiasmo.
Ovviamente mi attivai subito e incominciai ad urlare anch'io.
L'intro fu vivace, Tie Your Mother Down riusciva sempre a scuotermi.
Ero talmente presa dal ritmo di quella canzone che mi misi a dimenare la testa a destra e a manca quando Freddie cantava: "Get that big big big big big big daddy out of doors!", seguendo la batteria, e beccandomi anche degli sguardi straniti dalle persone ai miei lati.
Ma a me non importava.
La musica era la sola cosa che contava in quei frangenti.
Il concerto scorse e ogni canzone, una più bella dell'altra, riusciva a mandarmi in fibrillazione completa, come fosse stata la prima volta che le sentivo.
Quando fu il turno di Love Of My Life, arrivò il momento più bello di tutto il concerto.
Freddie e Brian da soli, sul palco buio, illuminati da un faro sopra di loro che emanava una luce angelica.
Brian sfiorò la sua dodici corde con delicatezza, quasi fosse stata una persona a cui non voleva fare male, e la fece cantare come un usignolo a primavera.
Freddie incominciò a intonare le parole della canzone, e il pubblico (me compresa) si unì a lui.
Ad un certo punto, finì improvvisamente e tutti noi spettatori continuammo a cantare, guidati da Freddie che ci coordinava con ampi movimenti del braccio, quasi fosse stato un direttore d'orchestra di musica classica.
Concludemmo la canzone insieme a lui, con un applauso più forte di tutti gli altri.
Mentre cantavo con lui, non mi ero mai sentita così bene, così viva, così libera.
Mentre cantavo, sentivo la sua voce intrecciarsi con la mia, penetrarmi nel corpo e raggiungere il mio cuore, inebriandomi completamente di musica e di parole.
Dopo quella Love Of My Life, mi dissi che non avevo mai provato delle emozioni così profonde e che la musica non aveva mai avuto un così grande potere su di me.
Dopo, toccò a '39, una delle mie preferite per via del suo tono country e per ciò che narra, una storia fantascientifica.
Brian chiamò sul palco gli altri componenti della band.
- Al basso... Mr. John Deacon! -
Boato.
- Alle maracas e, qualche volta, voce... Mr. Freddie Mercury! -
Altro boato.
- Alla batteria, e con i pantaloni tigrati... Mr. Roger Taylor! -
Ulteriore boato, anche se meno appassionato del precedente.
Io non mi mossi.
Sul palco era appena salito un angelo.
Come Brian aveva detto, portava un paio di pantaloni tigrati simili piuttosto ad una calzamaglia, abbinati ad un gilet ornato di macchie di leopardo, stretto in vita con una fascia di seta, e delle semplici Adidas classiche.
Era mostruosamente affascinante.
Certo, non riesco neanche a contare le volte in cui l'avevo visto in fotografia, ma averlo quasi davanti mi provocò delle emozioni mai sentite prima, come se fosse stata la prima volta che lo vedevo.
Avevano incominciato a suonare.
Roger, con il suo tamburello e la sua grancassa, coordinava tutti e si guardava intorno con fare divertito.
I suoi capelli biondi risplendevano sotto i riflettori, ogni volta che li scuoteva sembrava rimandare quella luce verso il pubblico, verso di me.
Dal misero posto in cui ero, seppur molto vicino, riuscivo a vedere la vivacità dei suoi occhi azzurri, che risaltavano su quel mare di giallo, arancione e nero che aveva addosso.
Aveva un'aria feroce, un po' per via dei suoi vestiti e un po' per il sudore sulla sua fronte, ma allo stesso tempo mi sembrava delicato come un fiore di pesco, per via della seta che gli cingeva la vita e per la sua pelle bianca alla luce del riflettore.
Ero rimasta ad ammirarlo senza neanche rendermene conto, completamente offuscata dalla sua bellezza.
Vedevo i suoi occhioni azzurri scorrere ampiamente sul pubblico davanti a sé con fare soddisfatto.
Ad un certo punto, il suo sguardo si fermò su un punto preciso: me.
Mi guardava con insistenza, sorridendomi e facendo, di conseguenza, spuntare un raggio di sole nel bel mezzo della notte.
Io mi resi conto solo poco dopo di quel che Roger stava facendo.
Cioè, stava guardando me, proprio me, nessun altro al di fuori di... me!
Dire che ero in sovreccitazione era poco.
Ma non dovevo cercare neanche di dimostrarlo.
Appena mi resi conto che mi stava guardando, gli sorrisi anch'io, arrossendo leggermente.
Lui, forse notando le mie reazioni, mi fece l'occhiolino, senza smettere di guardarmi e sorridere.
Solo a quel gesto, diventai praticamente di brace e il mio cuore si mise a battere fortissimo.
Stava veramente facendo l'occhiolino a me?!
No, era sicuramente un sogno.
Volevo scuotere la testa per ritornare alla realtà, ma a quanto pareva, nella realtà c'ero, eccome.
La canzone finì e Roger si dileguò al suo posto, dietro alla batteria.
Il concerto scorse, e verso la fine tutti incominciarono ad accalcarsi verso le transenne che dividevano il pubblico dai camerini.
Non so come, ma sulle note di God Save The Queen riuscii ad attaccarmi alla transenna, sempre con il mio blocchetto e la mia penna in mano.
Il pubblico chiese il bis, ma, evidentemente, i Queen avevano di meglio da fare.
Ormai era notte inoltrata e io ero letteralmente schiacciata sulla transenna da quelli dietro di me, che pressavano e spingevano per avere un misero autografo.
Passò quasi un quarto d'ora, e dei Queen neanche l'ombra.
Improvvisamente, vidi una macchiolina dorata nel buio del retro palco: Roger.
Avevo una speranza di rivederlo.
Ad impedirmelo, però, c'erano una sbarra di metallo e un buttafuori muscoloso che mi avrebbe di sicuro spezzata in due come uno stuzzicadenti se avessi osato valicare quella barriera che mi separava dalle star.
La fortuna volle che si scatenarono delle incomprensioni in un punto lontano dal palco e che videro intervenire il nerboruto buttafuori, distraendolo da quelli che, come me, erano attaccati alle transenne.
Appena fu abbastanza lontano, un'idea mi balzò alla mente.
Con uno scatto da gazzella, saltai oltre la transenna e corsi nella direzione in cui poco prima era sparito Roger.
Dovevo incontrarlo, sentivo di potercela fare.
Niente mi avrebbe fermato, in quel momento.
Pochi secondi dopo, però, era sparito.
Guardai freneticamente a destra e a sinistra, senza successo.
Ero dietro al palcoscenico: c'erano tante persone, sembravano tutte indaffarate e nessuno sembrava fare caso a me, una fan completamente sconosciuta, infiltratasi di nascosto dietro le quinte per seguire un angelo fuggevole.
Ad un certo punto, una persona mi passò davanti svelta, infilandosi il giubbotto, dal quale era caduto un bigliettino cartonato.
- Aspetti! Le è caduto... - provai a dire, ma lui era già avanti.
Diedi un'occhiata al biglietto.
Portava il nome di un albergo e il suo indirizzo.
Poi tornai con lo sguardo allo sconosciuto e vidi che gli si era parato davanti niente meno che Brian, il chitarrista.
- Oh, Brian! - esclamò.
- Ehi, Freddie, sai mica dov'è finito Roger? - chiese Brian.
Cazzo, era Freddie!, mi dissi.
Mi nascosi dietro una parete, per non farmi scoprire, e ascoltai quel che si dicevano.
- Lo sto cercando anch'io, caro. Dev'essere già andato all'hotel. -
- Già, hai ragione. A volte quel batterista è proprio un asociale, non ci aspetta neanche a pregarlo! - si lamentò il chitarrista.
Lo sguardo mi cadde nuovamente sul cartoncino arancione che tenevo ancora in mano.
O la va o la spacca, pensai.
La notte era ancora lunga e Roger non aspettava altro che me.
Uscii dal retro del palco, chiamai un taxi e mi feci portare a quell'albergo.
Quando fui arrivata, chiesi subito alla reception l'ubicazione della sua camera.
La signorina mi disse un numero, ma probabilmente sentii male o comunque non capii bene, fatto sta che andai davanti alla porta di questa stanza e, raccogliendo tutto il mio coraggio, bussai timidamente e chiamai:
- Roger? -
Nessuna risposta.
L'ansia dentro di me cresceva, i minuti passavano.
Roger non rispondeva.
Mi ero appena seduta di fronte alla porta della camera, quando davanti mi si parò una persona.
- Oh! - esclamò.
Io alzai lo sguardo e arrossii immediatamente.
Davanti a me c'era lui, John Deacon, il bassista.
Scattai in piedi e serrai la bocca, completamente in imbarazzo.
- E tu chi sei? - mi chiese con un gentile sorriso.
- Io...io... - balbettai.
Mi sorrideva sempre di più, incitandomi a continuare.
Io mi calmai, presi una boccata d'aria e dissi, abbassando lo sguardo:
- Io sto cercando Roger. -
- Oh, abbiamo qui una fan del nostro batterista! - rise John. - Beh, se continui a stare davanti a questa porta, non lo troverai mai. -
Io lo guardai e alzai un sopracciglio in modo interrogativo.
- Questa è la mia camera. - mi disse sorridendo.
Tutto d'un tratto diventai più rossa di prima e spalancai gli occhi, completamente imbarazzata.
"Oh, merda!" erano le uniche parole che avevo in mente in quel momento, mi scorrevano davanti agli occhi, sembravano illuminarsi nella mia mente come se fossero state delle insegne al neon.
- Ma non preoccuparti. -
La voce di John mi fece alzare gli occhi.
Era davanti a me, la sua mano amichevolmente posata sulla mia spalla.
- Sai, ti consiglio di andare sul tetto. - mi disse.
Altra espressione interrogativa.
- Fidati. Da lassù si gode di una splendida vista, te l'assicuro... -
E facendomi l'occhiolino entrò nella sua camera.
Restai sulla soglia ancora basita.
Che cavolo ci poteva essere sul tetto, di così interessante?
Ma alla fine mi decisi, salii le scale fino all'ultimo piano.
Tanto vale, mi dissi, visto che l'unica cosa di Roger che avevo visto era stato quell'occhiolino che mi aveva rivolto durante '39.
Magari un'occhiata alle stelle mi avrebbe rilassato.
Arrivai di fronte ad una porta.
La aprii e la leggera brezzolina della sera cominciò a torturare la mia pelle.
Guardai avanti a me e subito il mio cuore si fermò per qualche secondo, per ripartire più veloce che mai.
Lui era lì, con le gambe distese e le mani appoggiate a terra, con la testa al cielo e la chioma bionda che luccicava alla luce della luna.
Restai a guardarlo per un tempo indeterminato, poi mi strinsi il blocchetto al petto e, alzando lo sguardo alla luna, sussurrai:
- Grazie, John. Da qua si gode davvero di una stupenda vista. -
Ma probabilmente non dev'essere stato un sussurro, perché come finii di pronunciare quella frase, lui si girò lentamente verso di me.
Quando mi inquadrò con i suoi occhioni, mi sentii come illuminata da due fari di una macchina della polizia che colgono sul fatto un ladro che ha appena svaligiato una banca e cercai di farmi più piccola possibile.
- Oh! Sei tu! - esclamò.

 

To be continued...
 

Dreamer's corner:
Ok, non so esattamente da dove sia venuta fuori questa...cosa  o___o
So solo che una notte ho fatto un sogno che mi è rimasto in testa, talmente era realistico.
E...questo è il risultato xD
Naturalmente questa storielluccia è moooooooooooolto più romanzata è.è
Le cose che Brian dice sul palco sono vere (o, perlomeno, quasi, visto che la parte in cui annuncia Johnny mio non l'ho capita T.T), le potete sentire nel disco di Live Killers.
Beh, che dire, aspetto commenti, se ce la fate xD spero vi piaccia! :D
See you,
Midori

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Capitolo 2
*** Act Two ***


 A Midsummer Night's...Reality

Act Two

Si alzò e mi venne vicino.
Ad ogni passo che faceva, pensavo: "Adesso muoio. Adesso muoio.", ma non successe, per fortuna.
Quando fu ad un centimetro da me, mi sussurrò:
- Ti aspettavo. -
Arrossii copiosamente. Perché proprio io?
Mi prese la mano e, appena sentii la sua pelle toccare la mia, ebbi un fremito.
Mi sorrise come se fossi un'amica che non vedeva da tanto tempo, mi fece fare qualche passo e poi mi fece sedere accanto a lui.
Per un po' restammo a guardare le stelle; o, almeno, per una parte questo è quello che feci credere a lui.
All'inizio, con gli occhi fissi sul firmamento, pensavo.
Pensavo a me, alla figura di merda che avevo fatto poco prima con John, che mi aveva fornito l'aiuto più prezioso degli ultimi venti minuti.
Pensavo a Roger, al fatto che lui fosse veramente lì, al mio fianco, all'occhiolino che mi aveva rivolto durante il concerto, alla sua bellezza devastante che mi mandava in estasi.
Pensavo a quello che avrebbe potuto succedere dopo.
Che avrebbe fatto Roger, una volta che mi fossi seduta vicino a lui?
Che cosa avrei fatto io, soprattutto?
Sarei morta dall'emozione?
Gli sarei saltata addosso?
O sarei rimasta calma, lì, al suo fianco, a godermi il cielo stellato?
Voltai lo sguardo su di lui, senza farmi vedere. Era anche più bello di come appariva sul palco.
Si era cambiato: portava un paio di pantaloni di tela nera, una maglietta con sopra stampato il logo di Flash Gordon e una giacca di pelle nera.
Se prima sembrava un angelo diurno, adesso si era completamente trasformato in un demone notturno che ti ammaliava con il suo fascino tenebroso. Tutto questo, se non fosse stato per la lucentezza dei suoi capelli biondi e la sua pelle bianca che risaltava sul nero che lo rivestiva.
Regnava un silenzio funereo tra noi.
Lui era completamente rilassato, con un sorriso sul volto, continuava a guardare il cielo. Al contrario, io incominciavo ad agitarmi, il mio sguardo vagava in tre punti: la luna, Roger, per terra. La luna, Roger, per terra.
Ad un certo punto, per rompere il ghiaccio, riuscii a mormorare:
- È stato bello, il concerto. -
Roger si girò verso di me, inquadrandomi con i suoi enormi occhi azzurri.
- Davvero? Ti siamo piaciuti? - chiese.
Io annuii timidamente.
- Questa è stata la prima volta che ho assistito ad un vostro concerto, sono una vostra fan praticamente da sempre e...devo ammettere che nella mia vita non ho mai visto un'esibizione così bella e non ho mai provato emozioni così profonde come quelle che mi avete scatenato questa sera. -
Improvvisamente spalancai gli occhi e serrai la bocca.
Cioè, ero stata veramente io a disporre tutte quelle parole in fila davanti ad un angelo caduto sulla Terra come lui? Che record!
- Scusa, mi sono lasciata andare. - mormorai abbassando lo sguardo.
- No, - mi disse, alzandomi il mento verso di lui con due dita. - non devi scusarti. -
Come sentii quel contatto sulla pelle, seppure lieve, il cuore riprese a battermi forte.
- Ci sono abituato. - aggiunse.
- A cosa? -
- Alle persone che si lasciano andare. - sussurrò guardandomi intensamente e accarezzandomi la guancia con la mano.
Spalancai gli occhi e arrossii, allontanandomi con il viso dalla sua mano tentatrice.
Lui, a quella mia reazione, non rimase deluso; anzi, mi guardò comprensivo.
Dopo alcuni attimi di silenzio, mormorò ancora:
- Ti ho osservata durante il concerto. -
Ma chi l'avrebbe mai detto?!
- Eri bellissima. E lo sei anche adesso. - riprese avvicinandosi ancora di più a me.
La sua voce era graffiante più di un rasoio, riuscivo a sentirla sfiorarmi la pelle, inoltrarsi nel mio cervello e farmi sciogliere i muscoli.
Era spaventosamente sensuale.
- Lo pensavi davvero? - balbettai.
- Lo penso in questo preciso momento. -
La sua voce era ormai ridotta ad un soffio e il suo viso si avvicinava sempre di più al mio. Non avevo il coraggio di muovermi.
Improvvisamente, le mie corde vocali riuscirono ad uscire da quella eccitante paralisi e dissi, senza neanche accorgermene:
- Anche tu lo eri. -
Lo guardai. Un lato del suo viso illuminato dalla luna, i lati della sua bocca inarcati in un sorriso furbo, la sua mano sinistra nuovamente sulla mia guancia. I nostri piedi, alla fine delle nostre gambe distese, si sfioravano appena, le mie umili All Star sembravano quasi avere paura di lui.
- Cioè, - spiegai, continuando a balbettare. - anche tu eri bellissimo durante il concerto. Non è che non lo sia anche adesso, ma... -
Non mi lasciò neanche finire la frase che sentii di colpo le sue labbra morbide sulle mie.
A quel gesto, restai per qualche secondo con gli occhi spalancati, e il mio cuore perse almeno una ventina di battiti. Poi mi ripresi poco alla volta, ritornai alla realtà e mi godetti quel bacio più che potevo. Teneva le mie labbra tra le sue, senza pretendere troppo. Solo cercava di attirarle sempre più verso di lui, come se me le stesse succhiando, ma in maniera delicata, passionale e non troppo violenta.
Ad un certo punto, le mie braccia riacquistarono la mobilità. Con la mano destra gli accarezzai il viso e feci affondare l'altra in quel campo di grano senza papaveri che aveva al posto di una normale chioma capelluta. La sua pelle era morbida e liscia come un cuscino di velluto; i suoi capelli erano soffici e fragranti sotto le mie dita, che scorrevano abili tra di essi. Sembravano lasciare una scia dietro di loro, proprio come una persona che corre in uno sterminato campo di grano sotto il sole di agosto.
Non so per quanto tempo durò quel semplice bacio, so solo che dopo un po' mi staccai da lui, molto delicatamente. Avevo ancora il suo gusto in bocca e con gli occhi chiusi mi godevo il suo respiro calmo che mi inondava le labbra.
- P-perché l'hai fatto? - balbettai sottovoce.
- Non lo so. - rispose lui sicuro. - Forse perché mi piaci, e anche tanto, o forse perché non vedo l'ora che tu ti lasci andare un'altra volta. -
Lo guardai con uno strano sorriso sulle labbra.
- Ti piace sentirmi parlare? - azzardai.
- Mi piaci quando non capisci i doppiosensi. - sussurrò lui perfido, accarezzandomi il mento.
Ridacchiammo, poi Roger si avvicinò ancora a me per darmi un altro bacio.
- Aspetta. - lo fermai mettendogli un dito sulle labbra.
- Che c'è? - mi chiese perplesso.
- È che non so se riesco a sopravvivere ad un altro attacco cardiaco come quello di pochi secondi fa. -
Rise di gusto, poi si sdraiò a terra e mi invitò vicino a lui.
Una proposta che non si può rifiutare, mi dissi, perciò obbedii e mi accoccolai al suo fianco, con la testa appoggiata sul suo braccio.
Per un po' restammo in silenzio, ognuno di noi guardava le stelle, intento in profonde riflessioni.
Dio, che bacio!
In quel momento non riuscivo a pensare ad altro. Certo, sapevo che non avrei più avuto un'occasione come quella e che, al contrario, Roger poteva averne quante ne voleva, ma dovevo cogliere l'attimo e godermi quell'angelo in terra finché potevo. Perciò me ne fregai altamente sul fatto che Roger potesse amarmi oppure no, e mi strinsi ancora di più a lui.
- Quella è Orione. - dissi ad un certo punto indicando con un dito un punto preciso nel cielo, per rompere il ghiaccio. Non riuscivo a stare un secondo senza sentire la sua voce graffiante e sensuale.
- La vedo. Come fai a riconoscerla? - mi chiese.
- Beh, ho studiato astrofisica all'università e, in più, a casa ho la fortuna di avere un bellissimo telescopio. -
- Ne sono contento. Sai, si dice che la Stella Polare si riconosca facilmente perché è la più luminosa. È l'unica cosa che so di astronomia, non sto mica ad ascoltare Brian. -
Ridacchiai, poi dissi:
- Oh, beh, dipende. La Stella Polare si può trovare individuando l'Orsa Minore. È proprio alla fine della "corda del carretto", come si dice. -
- Secondo te riusciamo a trovare l'Orsa Minore e quella Maggiore? -
- Beh, ci si può provare, aguzzando ben bene la vista. Mmmmh... - feci, strizzando gli occhi. - Eccola. -
Gli segnai un percorso con il dito sul cielo stellato. Ed eccola lì, materializzata come per magia, l'Orsa Minore e la Stella Polare, in tutta la sua luminosità.
Sembrava non l'avesse mai vista, prima di quel momento. Sembrerà da bambini, ma in quell'istante, chiesi alla Stella di farmi rimanere con Roger per più tempo possibile, di far sì che quella nottata magica durasse tantissimo, che i minuti con lui scorressero lentissimamente.
Lo chiesi con la mente e con il cuore, sperando che il mio desiderio si avverasse.
Mentre si era sporto per vedere meglio la Stella, Roger si era seduto e mi teneva stretta a lui con un braccio sulla mia spalla.
Io notai quel gesto e lo considerai come un primo segnale che testimoniava che la Stella mi aveva ascoltato.
- Sai, la Stella Polare indica il Polo Nord. Già in passato gli antichi la osservavano per orientarsi, ed è grazie a lei se Aristotele ha formulato le prime ipotesi indirette sulla sfericità della Terra. -
- Lo sai che hai un'aria inquietante quando parli delle stelle usando tutti questi termini ricercati, sì? - mi chiese sornione.
- Me ne rendo conto. Da come mi guardi. - sorrisi.
E di nuovo mi ritrovai con le labbra incollate alle sue. Era sempre un bacio molto pudico, ma che riusciva a sciogliermi come burro al sole.
Le sue mani passarono sotto le mie braccia e finirono sulla mia schiena, stringendomi a lui. I miei seni premevano contro il suo petto, sentivo la sua brama nei miei confronti salire sempre di più, e per questo mi stavo accaldando.
In un attimo, mi ritrovai sotto di lui, a terra, il suo bacino che premeva contro il mio, le nostra bocche ancora unite. Per un secondo decisi di staccarmi da lui, non avevo più aria dentro il corpo. Respiravo affannosamente. Rimasi sorpresa, ma eccitata: quell'uomo era capace di togliere il respiro con solo un occhiolino, figuriamoci con un bacio!
Mi guardai intorno: mi sentivo infinitamente piccola, sotto l'oscurità dei suoi vestiti, e allo stesso tempo mi sentivo completamente al buio, come se intorno a me le stelle e la luna fossero state oscurate.
- Co-come siamo finiti così? - balbettai sorridendo.
- Non lo so. Ma mi piace alquanto questa prospettiva... -
Ancora quel sorriso malandrino stampato sulle sue labbra morbide. Poteva significare solamente una cosa. E si sa a cosa mi riferisco.
Subito dopo, sentii le sue labbra sul mio collo, pronte a sfiorarne e stuzzicarne ogni singolo, sensibile punto.
- A proposito, - mormorai, senza un motivo valido, ansimando leggermente. - mi chiamo... -
- Sssh... -
Di nuovo quel sussurro tagliente come un rasoio. In aggiunta, un suo dito sulle mie labbra.
- Non voglio sapere come ti chiami... - mi disse sottovoce, appena udibile. - A me basti tu. -
A quella frase, i miei muscoli contratti dall'ansia si rilassarono come se fossero stati appoggiati su una soffice nuvola. Si distesero completamente a quella frase da brividi.
Incominciò a slacciarmi i primi bottoni della mia camicetta, scoprendo leggermente i seni. Mi baciò il petto e iniziò a provocare il mio reggiseno con le dita, il quale non aspettava altro che essere tolto.
Intanto, non so come, una mia mano era finita sul bordo dei suoi pantaloni. Le mie dita fremevano dal desiderio di levarglieli, e lui se ne accorse eccitato.
Slacciai il bottone e lui mi lasciò fare, mentre continuava a baciarmi sulla bocca e finiva di togliermi la camicia. Quando presi tra il pollice e l'indice la piccola cerniera, tutti e due lanciammo un lungo sospiro, con un sorriso in volto.
Iniziai a farla scorrere verso il basso, in una maniera eccezionalmente lenta. Tutti e due avevamo un caldo tremendo, anche se lui continuava a tenere addosso il giubbotto di pelle.
D'un tratto, sul mio collo sentii solo il suo fievole fiato. Non ce la faceva più a baciarmi. Era troppo. Bisognava passare ai fatti.
Mi accorsi di essere arrivata a un pelo dal mio obiettivo.
Eccoli lì, davanti a me (o meglio, sopra di me), i suoi magnifici boxer color...

Driiiin, driiiin!
Subito dopo il trillo, una fin troppo vivace schitarrata rimbomba a tutto volume nelle mie orecchie ancora non abituate ai suoni del mondo esterno.
"You say you wanna a revolution...
Well, you know
We all wanna change the world...
"
Mi guardo intorno. Sono nel mio letto, la tapparella della mia camera tirata giù quasi completamente lascia entrare uno spiraglio solare.
Non sono su un tetto. E tantomeno con Roger Taylor. Con il suo giubbotto di pelle. Con la sua maglietta di Flash. Con i suoi boxer che aspettavano solo me.
- Ma che cazz... -
Poi realizzo.
- No! No! No! - ripeto, affondando la testa nel cuscino.
- È ora di alzarsi! - urla mia madre dalla cucina.
- NO! - ribatto, incazzata come una bestia.
Intanto Revolution, la canzone che ho impostato sul mio telefono per svegliarmi, continua ad infuriare sul mio comodino.
Tiro un pugno al fatale aggeggio massacratore di fantasie notturne altrui, ancora la testa nel cuscino.

 

The End
 
 

Dreamer’s corner:
Waaaaa! xD è la parola del mese, uhu!
Finalmente xD *coro di Alleluja*
Prima di tutto: SCUSATEMI!
Esigo il vostro perdono per aver aggiornato così tardi >.< e poi aggiornerò anche nell’altra, lo prometto u.u
Alloooora…avevo già in mente da un po’ sto finale, che ne pensate? xDDD
Mhuauhau immagino avere Revolution per suoneria xD con il riff iniziale che ti fa venire un infarto xD
Volevo darle un risveglio…aggraziato, ecco. xD
Beh, che dire…grazie mille a tutti e perdonatemi ancora! >.<
See you,
Midori

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