L'Amante del Re

di Blacket
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - L'Amante del Re - ***
Capitolo 2: *** - II Capitolo - ***
Capitolo 3: *** - III Capitolo - ***
Capitolo 4: *** - IV Capitolo - ***
Capitolo 5: *** - V Capitolo - ***
Capitolo 6: *** - VI Capitolo - ***
Capitolo 7: *** - VII Capitolo - ***
Capitolo 8: *** - VIII Capitolo - ***
Capitolo 9: *** - IX Capitolo - ***
Capitolo 10: *** - X Capitolo - ***
Capitolo 11: *** - XI Capitolo - ***



Capitolo 1
*** - L'Amante del Re - ***


01 L'A. del Re.
 L'amante del re







"Lui era l'essenza del più intimo dei pensieri, era la flebile volgarità, che s'insinuava in un compito ancora più nobile e difficile da portare a termine.
Amare."

Entrare nel letto di una persona, violarne semplicemente le coltri era un gesto così sporco; che per lui poteva apparire solo superficiale, ed al quale si accostava con riluttanza; un gesto così insulso che poteva riuscire a smembrare quel piccolo e meraviglioso circolo vizioso che era fare l'amore.
L'Amante aveva l'arduo dovere di amare, in quel momento che si trovasse ora a sfiorare labbra e capelli, ora a lambire il tutto solamente con lo sguardo.
Chiunque fosse la persona scelta -Bensì di scelta si parlava, non dell'uomo o donna che avrebbe offerto di più- ci si doveva ritrovare ad amarla ed apprezzarla fin nel profondo; anche per una sola notte, pomeriggio o mattina che fosse.
E tutto questo prima che l'Amante se ne vada, prenda quel suo angolino di cuore e parta guidato dai venti dell'obbedienza; non lasciando mai nè promesse nè tutta la sua intera anima a qualcuno.

"L'Amante impara ad apprezzare chi deve, fino a riuscire nell'intento di donare il proprio cuore; per poi strapparlo benevolmente dalle mani della persona che l'aveva ricevuto.
Amare quindi, risulta l'arte più acuta e meschina delle storie di mondo."


Feliciano Vargas, che si sapesse o meno - a lui non importava più di tanto- era La Sua Maestà di chi amava per arte e vocazione; e poco importava che si trattasse di scommessa o gioco oppure vago presentimento; si era già prospettato di accogliere quella piccola sfida lanciata dal caso.





Anno del signore 1307


Odore di fumo, di pesante vociare, in quella piccola taverna.
C'era l'aria della birra, c'era l'appena accennato sentore del legno; si parlava di scommesse in quell'aria satura di abitudini.
- Pronto, Felicièn? -
E sorrideva sornione l'italiano, mentre la moneta appena lanciata girava pigra sopra la sua testa, ricadeva tintinnando sul legno duro mostrando la sua faccia migliore.
La Croce.
Vargas si sedette meglio, un lieve sbuffo simile ad una risata, e si chiedeva ironicamente perchè le scommesse dovesse perderle tutte lui.
- Va bene, va bene. Ho perso. - Eppure sorrideva, accettava quella sua "punizione" anche con garbo. Una veloce occhiata al francese seduto vicino a lui, che ridacchiava sommesso rigirandosi fra le mani la maledetta moneta.
- Felicièn, sembra che lo fai apposta. - Come suo solito appoggia un gomito al tavolo, pure lui si degna di sorridere davanti alla sconfitta dell'altro. Feliciano lo sa, che in quel momento sta pensando, fa arrovellare i pensieri per trovare una condizione a lui adatta, un qualcuno che potesse andargli bene.
Fare lavori simili -sia ben chiaro- non era certo il modo migliore di trascorrere l'esistenza e guadagnarsi il pane.
Ma il segreto, che riusciva a far apprezzare quello stile di vita, sviava tutto nel Metodo.  
"Si trattava di scelta, mai d'altro".
- Nobile, oui. Ricco, importante. Voglio vederlo, mentre cercherà invano l'unica cosa che non saprà comprare. - Altro sorriso da parte dell'italiano, questa volta ammonitorio. Ma semplice e abituato com'era al carattere di Francis, poteva anche lasciare correre. Lo squadrò quindi bene, mentre continuava a parlare.
- Magari, il Grande Re. -
Evidente che scherzasse, almeno a giudicare dalla sua espressione. Eppure Feliciano, aveva l'insana voglia di prendere sul serio quella bieca proposta.
Il Re.
Inarcò un sopracciglio, mentre cercava fra i suoi ricordi e pensieri una sua immagine, almeno da rammentare il viso. Oppure, poteva avvicinarselo inconsciamente cominciando a chiamarlo con il suo nome di battesimo senza definirlo maestà: Ludwig.
- Accetto, Francis. Che il Re sia.-
Ignorò lo sbigottimento di uno, l'occhiataccia quasi ben azzecata di suo fratello, che però sostava poco più in là. Era meglio non badare alle proteste, perchè chi doveva decidere, era lui.
Ed in quel momento, aveva appena deciso di amare la sua Grande Maestà.














Blacket's Time:
Okay. L'avevo in mente da tempo, dovevo riuscire a pubblicarla, e possibilmente anche a formare un seguito decente.
Spero che a qualcuno possa piacere; che vi abbia lasciato una buona impressione. Oppure non è piaciuta affatto; ma apprezzo il fatto che siate arrivati fino a qui e che abbiate letto comunque.
Ne approfitto per ringraziarvi, lascio l'alone di mistero intorno alla storia, e saluto.

Baci, Blacket.

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Capitolo 2
*** - II Capitolo - ***


02 L'A. Del re
II Capitolo
-Compromesso-









Il Fine giustifica sempre i mezzi.
Se questo è definibile come detto, come parola che vaga di bocca in bocca e ogni volta si rinnova identica; potrà sicuramente identificarsi come specchio della nostra condizione umana.

Qualunque sia il metodo escogitato per arrivare fra le braccia di quell'agognato fine, si accettava e sorpassava poi a testa alta.
E quanti Amanti, han dato più di ciò che possedevano, nell'intento di ritrovarsi nel dolce e lieto fine? Cosa poteva importare quel piccolo espediente usato in passato da molti, se ora ci si ritrovava a togliere inutili vesti e scambiarsi carezze?
Nulla.






Anno del Signore 1307

La mattina si annunciava tiepida all'orizzonte, schiariva la bruma invernale e la lieve nebbia ancora levata a mezz'aria.
Era giornata di mercato, mattinate in cui v'era quello spesso vociare compatto più della foschia bianca, che osava a stento penetare attraverso le spesse mura del forte.
Da quell' ultima finestra della modesta locanda, si potevano scorgere le bancarelle già montate, qualche coraggioso che s'avventurava  nell'ara gonfia di odori e freddo; oppure un solitario viandante con tanto di cappuccio calato in volto.
-Feliciano, muoviti.-
La voce secca del fratello, già pronto per darsi da fare anche quella giornata. Si era svegliato poco prima, e con gli stessi atteggiamenti distaccati  aveva tentato di svegliarlo.
Era ancora arrabbiato con lui, si vedeva eccome. Quel suo frenetico arricciare il naso era per Feliciano più che un segnale.
- Lovino, su, non infervorarti per così poco.-
Ora il minore si era alzato, ammucchiando le coperte raggomitolate in fondo al letto e sfoggiando un sorriso stanco. Romano gli aveva rivolto invece un'occhiataccia eloquente, le braccia si erano incrociate minacciosamente al petto.
-Non dovrei arrabbiarmi, dici?!- Tono trattenuto, forse per evitare di svegliare chi alloggiava lì. E quella premura non era certo indirizzata allo scopo di non disturbare; più che altro Romano voleva evitare i guazzabugli dati dalle polemiche, almeno la mattina.
Come se non ce ne fossero mai abbasatanza.
-Non dovresti arrabbiarti, dico.- Feliciano aveva iniziato a spogliarsi, lasciando cadere la grande maglia ai suoi piedi prima di prendere il cambio. E calmo prese a rivestirsi con una strana grazia, nemmeno si stesse coprendo d'acqua. S'infilò  la camicia bianca, la fece scivolare a ritroso sulle braccia e sulle spalle, afferrò il panciotto lì accanto.
E sentiva gli occhi del fratello ancora astiosi puntati sulla schiena; quasi era tentato di voltarsi e chiedergli di smettere. Non compì però quel gesto, diede solamente aria alla bocca.
- Diffidi delle mie capacità, fratello?- Il tono di Veneziano si fece più millefluo, acquisisce la solita tonalità cristallina che serba nelle occasioni simili a quella.
Il piede di Romano iniziò a tenere un ritmo a lui sconosciuto; probabilmente stava rimugigando sul da farsi. Lasciare che cada nelle braccia del Re, oppure no?
-Feliciano, Vaffanculo!- Le parole uscite a stento dai denti, il viso che con tutta probabilità si era tinto di un bel rosso pomodoro, Feliciano se lo immaginava dietrò si sè, alle sue spalle.
E poi lo sbatacchiare dei suoi piedi sulle scale, di quella rabbia un po' fraterna, un po' buffa, che regala a Veneziano un semplice sospiro.


Si era preparato, quella notte. Aveva metabolizzato l'idea mettendola velocemente in cantiere, realizzandola quella stessa mattina portandosi sottobraccio tela, pennelli e alcune informazioni riguardo ai regnanti. Gliel'aveva ripetuto Francis minuti prima, mentre gli aveva offerto la colazione. "Amano l'arte, oui!" - e quella sua conferma poteva bastare.
Se voleva seriamente avvicinarsi ad un Re - si parla di un Monarca, nè Conti, nè Duca.- riserbava le sue speranze nel semplice prenderlo per la gola. Come poteva sperare di analizzarlo e starci vicino, se a Corte era escluso? 
Non poteva nemmeno metterci del losco nei suoi metodi, magari inventandosi chissà quale frottola e scusa mentre si presentava sotto il trono. Doveva andarci piano, prendere tutto con le pinze; stava trattando con gente che le bugie le impiccava pubblicamente in piazza.
Eppure, se fosse riuscito ad entrare un poco nel cuore imperlato di diamanti e oro, sarebbe stato felice. Ma non sapeva, come Ludwig -si, gli piaceva chiamarlo a quel modo- si presentasse alle altre persone, di come apparisse e che sentimento gli avrebbe suscitato una volta conosciuto.
Doveva affidarsi alla sua esperienza, immaginarlo a lavoro compiuto.
Quindi si presentò a chi poteva aiutarlo, nei suoi panni migliori e che vestiva ben volentieri anche fra la moltitudine di gente che scorrazzava per le vie lastricate quel giorno. Gli odori diversi e alquanto improbabili ora lo investivano, come le urla di venditori e le ovvie contrattazioni con clienti. Le gambe lo portarono in piazza, e con gli occhi cercò il segno della nobiltà: un mantello rosso o blu, bramava quello spostarsi di gente al passaggio dei magnati.
Si era presentato ad un cavaliere che sostava in piazza, e quasi pareva attenderlo, mentre smontava dal destriero nero mettendo bene in vista ciò che indossava come un muto avvertimento. Tutti quei fronzoli attaccati al mantello, alla tunica e sulla spada, parevano dire solo una cosa: "Guardami, bada bene a chi sono, e comportati di conseguenza".
E Feliciano, con un'umiltà che si sarebbe potuta additare al più umile e fedele dei servi, aveva proferito un profondo inchino in sua presenza, chiamandolo "Maestà" una volta davanti a lui.
Non aveva voluto far caso, il ragazzo, all'insolito quanto inquietante aspetto del nobile: dei capelli tagliati corti così chiari da non contemplare nemmeno più il bianco, ma uno strano argento opaco; i lineamenti non troppo marcati e un paio di occhi vermigli. Un personaggio singolare, certo, ma non era l'aspetto che a Veneziano interessava, giusto?
Dopo aver dato i soliti ossequi, propone senza troppe perdite di tempo la sua mezza idea, con uno di quegli atteggiamenti tanto particolari che caratterizzavano l'italiano, e lo portavano a mutare secondo la situazone.
Aveva parlato come un grande Artista, uno i quei pittori impegnati e con l'ispirazione sempre in testa; ma allo stesso tempo serbava un finto rispetto per quell'essere, e anche se le parole potevano sembrar pretenziose bilanciava il tutto con quell'umile abbassare il capo ogni tanto.
Ed infine un gran sorriso, che nulla aveva di falso, e che probabilmente conquistò l'albino.  
"Venga allora, venga pure!" Gli aveva ripetuto con quella sua voce gorgogliante, un'espressione soddisfatta in volto. "L'attendo alla mia corte, Artista. Venga a dipingere le meraviglie che riuscirà a cogliere!" Borbottando, e mentre ghignava e risaliva a cavallo, chiese distrattamente un paio di ritratti, prima di salutarlo e partire al galoppo.
Oh.
Era fatta. Evviva i Mecenati, allora.




Quel giardino, era esageratamente grande. Aveva debolmente cercato il suo Re in quel giardino, ma pareva non esserci.
In ogni caso, dato che aveva promesso i suoi servigi al fratello del Monarca, poteva almeno iniziare quella farsa, e prendere ad imbrattare un po' la tela. Non aveva nemmeno incontrato il suo padrone (Sir Gilbert?), ma l'avevano accolto comunque dandogli il via libera.
Era certo vietato entrare nelle camere senza permesso, e ovviamente mettersi a girovagare senza meta.
In piedi, quindi, aveva preso ad osservare le grandi piante, poi ancora l'erba e le stalle più in là. Passò lo sguardo sul castello, sulle pietre e sull'unica finestra aperta, grande quasi come un portone. Non fece in tempo a passare il carboncino, che qualcos'altro catturò la sua attenzione.
A quella grande finestra, si era appena affacciato qualcuno. Alzò lo sguardo, incuriosito; e fu lì che lo vide.
Il Re si aggrappava al davanzale, rivolgeva lo sguardo preoccupato innanzi a sè incurante di un povero pittore che se lo mangiava con gli occhi poco più in basso. Feliciano non riusciva a vedere bene ogni suo particolare a causa della distanza, ma lo osservò nell'insieme, rapito.
Era un uomo alto, robusto, i tratti marcati del viso ora stanchi. I capelli erano corti e biondi,  riusciva a vedere persino da lì il colore azzurro ed intenso degli occhi. Lo pensò bello, gli piacque.
Si ritrovava un po' ad essere come quelle giovani spose che conoscono per la prima volta il marito, e non sapendo bene cosa aspettarsi si affidano un po' alla prima impressione.
Davvero si trattava di Ludwig, allora. Aveva seriamente scommesso su di lui, senza una posta in gioco, senza che le cose all'inizio fossero state prese sul serio.
L'ha visto sospirare, gli è parso persino di sentirlo, e si allarma quando girò i tacchi per andarsene. Oh, no.
Quello era appena diventato il suo nuovo soggetto del quadro, e lasciarlo a dipingere il nulla non era affatto carino. Feliciano ora si muoveva, afferrava cavalletto colori e carboncino, con una nuova foga si intrufolò all'interno della grande magione in pietra.
Aveva pensato che trovarlo lì sarebbe stato un po' impossibile, eppure ce l'aveva fatta. Ovviamente all'inizio non pretendeva di avere una confidenza tale che lo portasse a non resistergli più, ma probabilmente si sarebbero create le situazioni adatte.
Ed innanzitutto, doveva vedere con chi aveva a che fare. Essere un valido Amante poteva rivelarsi un'autentica impresa, e conoscere alla perfezione chi i segreti li teneva celati anche dopo la morte non era esattamente facile.
Si sarebbe probabilmente ritrovato a fare dei salti mortali per far si che abbandonasse le solite consuetudini per lui.
Anche se il problema, non era che Ludwig si innamorasse di Veneziano, semmai il contrario.
Così si incamminò su per quelle scale di legno, e man mano che saliva queste parevano prendere sempre più sfarzo e lusso; il legno veniva ricoperto da drappi rossi, arazzi immensi e affreschi abbracciavano le pareti.
V'erano quadri, tanti quadri, ma anche servi e personale, ovviamente. L'avevano lasciato passare con tranquillità; evidentemente la tela portata sottobraccio ed il suo atteggiamento sicuro mentre salutava risultava abbastanza convincente ad altri.
Non si sentiva a disagio, in quella moltitudine di gente che viene e va, in quella grande corte. L'aveva fatto tantissime volte, alla sorte piaceva pescarlo in situazioni anche più sconvolgenti ed allarmanti.
Forte delle esperienze passate, quindi, rivolse un coridale sorriso persino alle guardie armate non chiedendo però nulla: il Re l'avrebbe trovato da solo (forse, anche per non insospettire nessuno), e se Ludwig aveva una gran voglia di giocare a nascondino, lui poteva dirsi un campione in quel passatempo.
Girava angoli, saliva scaloni, arrivava meccanicamente più in alto, quando guardando fuori da una finestra, scorse il prato dove si trovava poco prima. Se la fortuna lo avesse assistito un po', forse Sua Maestà si trovava ancora nella medesima stanza di cui Feliciano aveva visto solo la finestra.
In ogni caso, doveva essere lì vicino.
E v'erano appena tre stanze in quel corridoio; una di queste semi - chiusa. Oh, quando si diceva "La coincidenza".
Silente si era avvicinato, posizionandosi in modo da non essere visto da nessuno - il corridoio era deserto, ma se davvero dentro c'era Ludwig si sarebbe accorto che effettivamente era spiato.
Feliciano vedeva solo una modesta striscia di tutta l'immagine, e cercava di cogliere il più piccolo particolare. Lì, riesce a scorgere un movimento, e nel suo campo visivo comparve una corta chioma bionda che a Veneziano iniziava ad interessare. Si era tolto la corona, ed ora l'Amante aveva davanti anche il bel viso di Ludwig.
Da vicino, pareva persino lo stampo dei soliti principi da favola. Non fosse stato per l'aria seria e corrucciata, chiaro.
Si stava giusto togliendo il mantello, borbottava un qualcosa di incomprensibile mentre sfilava il cinturone in cuoio e lo abbandonava sul letto lì vicino. Feliciano si ritrovò a strabuzzare gli occhi, e forse un po' imbarazzato (No, non per ciò che vedeva, assolutamente. Per la situazione in sè, per il fatto che il destino gli serbasse delle "strane" sorprese al sesto piano di un castello-roccaforte.) continuò a guardare incuriosito.
Il Re stava giusto levando la pesante cotta di maglia, slacciava veloce e con gesti secchi il panciotto di cuoio che copriva il petto. Pareva che quelli fossero movimenti quotidiani, gli venivano naturali ed in quel momento il biondo aveva un'espressione mezza assorta che fece sfuggire all'italiano un lieve sorriso.
Lasciando perdere il fatto che in quel momento lo stava osservando mentre si spogliava, era una fortuna poterlo vedere nell'intimità, mentre si comportava come faceva ogni giorno. "Ovviamene il fatto che sia bello e oh- si è appena tolto la tunica, ora è a petto nudo."
Nemmeno faceva in tempo a pensare, che altre cose gli piombavano in testa, mentre guardava il fisico asciutto di Ludwig e quelle spalle larghe , la pelle chiarissima e quelle tristi cicatrici sulla schiena che contribuivano a farlo sembrare un uomo vissuto.
Il Re non possedeva nessuna grazia nei movimenti, non lasciava che i vestiti sciolassero giù; piuttosto li buttava sul letto forse incurante del suo rale aspetto.
Uomo d'armi, quindi. Oh, a Feliciano non dispiaceva affatto.
Però anche il fatto che fosse "più che discreto" poteva fargli guadagnare solo uno, due punti in più. E ne mancavano ancora tanti, decisamente.

Feliciano era così concentrato, a vederlo mentre i pantaloni volavano giù, che nemmeno si accorse della presenza alle sue spalle. Una mano posata sulla sua spalla, lo riportò alla realtà ghiacciandolo completamente: lui e pure il suo buffo ciuffo.
Poi, gli giunse la risata un po' sguaiata e incrinata del suo padrone, conosciuto in piazza quella mattina.
-Ragazzo, tutto a posto?-












Blacket's time:
Piccolo avviso: Feliciano potrebbe essere leggermente OOC in questa FF, ma credo che figurarlo lievemente differente sia la cosa migliore per la storia.
Bene.
Ora che ho arpionato un po' di lettori (dai, scherzo. credo.) Ne approfitto per ringraziarvi dei vostri commenti, di chi ha messo nei preferiti e seguite- non me ne aspettavo così tanti! Grazie davvero :)
Spero il capitolo vi piaccia, che vi paia interessante.

Ringraziamenti:
Cosmopolita: Grazie, sono contenta che ti piaccia! Non so se il Raiting si alzerà, nel mentre lasciamo tutto nell'alone di mistero. uh, Grazie ancora!
McBlebber: Sono contenta che ti abbia interessato :3 Spero che questo capitolo non ti deluda!
Adeline_Mad: Grazie! sei molto gentile a recensirmi (L)
H2o: Ecco. Io spero di non deluderti con questo capitolo, e grazie dei tuoi magnifici commenti!
Adieu: Oh, sei troppo gentile! Ti ringrazio per il tuo commento, spero ti piaccia anche questo capitolo!
namida1982: Grazie! doppiamente, eh! Primo grazie per il bel commento e secondo grazie per avermi fatto notare un errore :' Grazie!
_Valchiria_: Oh, grazie! Spero quindi che inizi a piacerti, e che ti abbia fatto una buona impressione il capitolo!
Lord_Trancy: Grazie per i tuoi commenti ;__; Sei così gentile! Grazie ancora!
ninjagirl: Oh *^* Non potevi rendermi più felice! Mi sento stalkerata benevolmente :) Ti ringrazio tanto!


Baci, Blacket.







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Capitolo 3
*** - III Capitolo - ***


3 capitolo L'A. del Re
Capitolo III
- Il Ritratto -








Quando si inizia anche per sbaglio un'opera, è bene finirla.
La correttezza e la buona riuscita stanno nei metodi e nella tenacia, e come ovvio nella capacità di osservazione. Si deve pensare alla mossa successiva, bisogna cercare di aggirare la vittima nel migiore dei modi, è pure necessario addolcirsi e velarsi d'umiltà nelle eventuali "aspre tenzoni".

Ergo, chi bene inizia, è già a metà dell'opera.







Anno del Signore 1307

- Ragazzo, tutto bene?-
-Certamente Maestà, senza dubbio alcuno.-
-E, come mai, ai piani alti?-
-Ero in cerca di ispirazione, Vossignoria.-
-Qui? Dove la trovi, la tua agognata ispirazione? In armature vuote?-
-M'offende, con queste parole! Voi non dovete dubitare della mia arte. Se Feliciano Vargas vi dà la parola, ebbene ch'ella sia mantenuta! Sia mai che io non possa dipingere un volto?-
-oh...Perdono, Artista. E allor che cerchi, magari potrai davvero trovar qualcosa.-


Quel breve discorso con il maggiore dei Beilschmidt era riuscito a farlo raggelare. Era abbastanza strano che non gli avesse chiesto per quale motivo si trovasse davanti alla camera di suo fratello, e rimanesse a fissare con una grave intensità la porta semichiusa.
Probabilmente se avesse sospettato un qualcosa, si sarebbe certamente presentato a lui con varie ingiurie e condanne; forte della sua nobiltà e pompato del potere che deteneva. Eppure questo tipo d'impiccio, l'aveva tenuto in conto fin dall'inizio: più era grande e importante la sua preda, più lui poteva rischiarci la pelle.
Ma ormai il Sire l'aveva visto, e con la sola prima impressione era riuscito ad interessargli. Non solo per i capelli biondi, e gli occhi azzurri e blu, che potevano benissimo far invidia al cielo; no.
Voleva spremere goccia per goccia il suo sentimento, capire perchè su un viso così bello dovesse vedersi già la preoccupazione e l'insistente serietà che contribuiva appena a farlo figurare come guerriero, cavaliere.
Aveva però anche testa, quell'uomo. Dopotutto il reame chi lo amministrava?
E l'italiano con un sorrisetto mesto aveva dato accomiato all'altro nobile, che distratto da altri rampolli della sua spessa specie era fuggito facendo svolazzare il mantello, non prima di avergli lanciato un'occhiata più che eloquente. Quelle che volesse intendere, però, non gli era dato saperlo.
Aspettava quindi accanto a quel gran portone, trattenendo in mano la tela e gli altri colori. Forse, in quel momento si era anche sporcato, il carboncino veniva involontariamente utilizzato sulla sua camicia bianca - ed era esattamente quello l'aspetto che voleva avere davanti a Ludwig.
Se non avesse badato al suo abbigliamento, ovviamente più che decente ma ora imbrattato, avrebbe scoperto un qualcosina di più sulla sua personalità. Irrilevante, ma pur sempre qualcosa.
Aveva sempre odiato le persone che davano troppa importanza all'apparenza.
Si stava internando in una specie di abbiocco pieno delle sue fantasie e pensieri -per quanto potessero risultare interessanti: sviavano dal Re, al pranzo, alle cucine reali- che la porta si apre di scatto, e lui stupidamente ha sussultato prima di scorgere un'alta figura e sulla vetta l'ombra della scintillante corona.
-Maestà.- Voce milleflua, ma decisa, tutta intenta a voler catturare la sua attenzione. Era ora inchinato, si muoveva con eleganza ; ed i gesti che parevano studiati da tempo.
-Si alzi.- Una voce profonda, seria, ma anche calda. Non poteva sperare di meglio. Cominciava seriamente a sperare che il tutto andasse bene, soprattutto ora che era in mezzo alle danze.
Quindi Veneziano ubbedisce, tiene comunque la testa lievemente bassa riuscendo a portarsi a dietro quell'umiltà che a lor padroni piaceva molto. Poi lo aveva guardato con attenzione, in quel momento si trovava molto più vicino di prima e poteva osservare dei dettagli che ad un primo impatto potevano sfuggire.
-Sire, mi permettiate di porvi una semplice richiesta, da umile artista.-
Eh, diamine. Quel Re pareva proprio una statua, immobile e perfetta. Aveva solo rabbuiato ancora di più lo sguardo, Ludwig. Probabilmente si stava chiedendo chi fosse quel pretenzioso che si presentava a lui.
-Perdonate, Perdonate la mia veemenza. Io..-
-Che ci fa, qui?- Il tono forse più duro, la posa e l'espressione che non ne volevano sapere di mutare. Aveva del ferro, al posto del sangue. Eppure Feliciano non doveva farsi abbattere da quell'incontro, poteva innanzitutto mettersi nei panni della sua vittima.
-Sono un'artista, Sire. Vostro fratello mi ha comandato i servigi.- Cerca di rispondere con calma, sosteneva lo sguardo di Ludwig con una certa difficoltà. Metteva soggezione, ma ciò che riuscì a renderlo contento fu quello che lesse nel suo sguardo: un lieve barlume di interesse.
Quindi quell'uomo, un qualcosa di espressivo e umano l'aveva, bisognava solo interpretarlo.
-Mio fratello? Adesso, in questo periodo?- Pareva stupito, e fu lì che la sua espressione si rilassò un poco. Splendido, per un quadro.
Feliciano si limitò ad annuire, mostrando un foglietto stropicciato che gli avevano affidato quel pomeriggio, e sopra l'ordinazione di Gilbert. Di fronte all'evidenza, non ci si poteva certo sottrarre, no?
Il Re sospira, lo osserva poi praticamente incalzandolo a continuare.
- Mi domandavo, se eravate disposto a posare per me. Un semplice ritratto.-  Non ci girò molto intorno, ma aveva comunque parlato con cordialità, sperando che accettasse o si arrivasse ad un compromesso.  -Ora?- Disse poi, ridiventando serio. L'italiano, a quel punto, cercò pure di assecondare ciò che aveva detto il Re.
Dopo un solo sospiro, e qualche sorrisetto supplicante, acconsentì. "Non per molto", aggiunse però dopo.
Oh, per Feliciano non era certo un problema. L'opera doveva essere perfetta, e attuata con calma.

La tela era montata, ora guardava con scetticismo la luce sul volto di Ludwig.
Erano in una camera, grande e pure vuota; ricolma di lusso ma priva della luce che lui desiderava per dipingere. V'erano grandi arazzi, un quadro decisamente enorme raffigurante battaglie e paladini, ed una quantità spropositata di libri accantonati nella libreria, su tavolini, impilati con ordine sui mobili. Ed infine i candelabri, e quella bella finestra che l'aveva attratto da subito.
Il Re stava seduto su una poltrona rossa, rivestita probabilmente di velluto; una posa statica che quasi fece ridere l'italiano. 
-Potete anche muovervi e parlare.- Aveva puntualizzato passando il carboncino, raccogliendo l'immagine in un rudimentale schema, con un sorrisetto divertito in volto.
Ludwig non aveva fatto più di tanto, pareva persino in difficoltà. Faceva così fatica, ed essere spontaneo? Veneziano non voleva ovviamente forzarlo a fare nulla, ma preferì riempire di un rassicurante chiacchiericcio quel silenzio.
Aveva iniziato raccontando di come suo fratello si era presentato a lui, quali impressioni regalava la reggia e chi abitava all'interno. Tutti argomenti abbastanza superflui, ma trattati con parole a volte ricercate, altre persino squillanti, proprio per far sembrare il tutto una favola o racconto.
Poi, si era avvicinato a Ludwig, con il palese intento di spostare un poco il mantello ed il capo. "Per la luce", avrebbe giustificato neutrale, innocente come pochi. Il Re lo seguiva con lo sguardo, anche quando si inchinò davanti a lui per afferrare i lembi della veste e spostare il mantello, rivoltarlo aggiungere e togliere pieghe. Nel mentre continuava a parlare, e si alzava lento, sicuro di avere ormai una certa libertà.
Non aveva commentato, nemmeno un flebile accenno a ciò che diceva, me nemmeno gli era stato chiesto di smettere. 
Feliciano Spostò la testa del biondo, passando delicatamente la mano sotto la nuca, sfiorando appena i capelli corti e dando una piccola spintarella per far voltare appena il viso.
-...E v'è uno sfarzo, qui nella vostra magione! Appena ho la possibilità, mi recherò di nuovo nel giardino, magari in cerca di ispirazione. Passerò più volte dalle cucine, anzi.- Si accorse più tardi della sua uscita, e non era di certo la cosa migliore da dire. Non lo conosceva nemmeno, questo Re; poteva farsi un'idea contorta della sua persona.
Deglutisce, nemmeno era riuscito ad innalzare un lieve sorriso come scusa. Quindi si zittisce vergognoso, e aveva preso ad allontanarsi, quando accadde il miracolo: sua Maestà, con il capo ora voltato ed illuminato, dopo quelle parole lievemente lascive aveva abbozzato un sorriso stanco, piccolo piccolo ma presente.
Per Feliciano, fu un'illuminazione. Quando quell'uomo sorrideva, cambiava completamente aria, riusciva persino a diventare più bello, e soprattutto esternava un poco di quel che si teneva dentro.
Perfetto, assolutamente.
- Eh...Aspettate, vi prego! Rimanete in quella posizione, lasciate pure il sorriso.- Ma la sua richiesta non era stata ascoltata: Ludwig lo aveva guardato confuso, non capendo forse bene la situazione.
-Peccato, vi donava.- L'italiano sorrise, ritornò con un nuovo batticuore di speranza dietro la tela.
Quando però si era voltato rivolgendo lo sguardo sul Re, riuscì a vedere qualcosa che lo spiazzò, sorprendendolo al meglio, un qualcosa che era riuscito a lasciare un mezzo sospiro sulla bocca dell'italiano.
"La scelta migliore che Francis potesse fare."
Ed era rimasto lì, per un minuto o due, a guardare quel lieve broncio corrucciato, e due belle gote rosse.


Cominciava seriamente a garbargli quella scommessa.
Il quadro cominciava a nascere, e con tutte le probabilità avrebbe tardato di un poco a finire. Il tempo passato a dipingere lì in reggia, riusciva ad avvicinarlo sempre di più alle persone di quel luogo, e piano piano si incatenò persino a Ludwig.
Ogni singolo giorno, cercava di cogliere un qualcosa di nuovo, nella sua figura. Mentre dipingeva lo divorava avidamente con gli occhi, si chiedeva distrattamente se quel suo sguardo così dannatamente interessato avesse causato un qualche pensiero al Re - che per inciso, aveva visto più d'una volta sbirciare sulla tela, anche se Feliciano aveva ribadito che " L'opera andrà vista solo se completata e rifinita."
Ludwig non gli avrebbe detto nulla riguardo a quella sua stramberia. Era un tipo serio, ma anche accondiscendente, attirava le persone come una calamita ma non concedeva una mezza espressione a nessuno.
Era quindi chiuso, ma l'italiano era sciuro che c'era sempre un pensiero maligno a gravargli in testa, o che avesse degli hobby o passioni. Quando parlava, diceva sempre ciò che era giusto; e pareva così serio, diamine.
Solamente con suo fratello Gilbert (aveva legato persino con lui, Veneziano. Era un tipo simpatico, si divertiva a chiamarlo "Feli", e nemmeno gli dava del lei come il fratello minore.) si lasciava andare, lo si poteva veder sorridere o discorrere su ciò che non riguardava economia ed altro.
Inoltre Ludwig si dimostrava paziente, e pure un vero uomo d'armi. Erano passati 5, 6 giorni dal loro primo incontro, e già cominciava a delineare una figura più marcata su quell'individuo. Si, sarebbe stato più che difficile aggirarlo per bene, far si che quella sua voce profonda diventasse un sussurro appena accennato al suo orecchio.
Ed inoltre, se l'avesse conosciuto meglio, avrebbe persino completato la parte più insidiosa e complicata del piano: imparare ad amarlo.
Perchè si trattava di imparare, il caso non giocava nessun ruolo; il cuore di Feliciano sarebbe rimasto nelle mani del proprietario.





-Ah, il bastardo.- Lovino si era avvicinato al tavolo, aveva portato via malamente i bicchieri che stavano bevendo.
-Lovi, piantala di chiamarlo così.- Feliciano ed il suo sorriso contrariato, che si distoglieva un poco dalla domanda di Francis. Possibile che suo fratello dovesse avere una tale considerazione del suo Re?
-Feliciano, non rompere. So che state parlando di lui, e non posso farci nulla se ce l'ho qui.- Si era piantato seccamente una mano al petto, per poi andarsene borbottando un qualcosa di incomprensibile.
-Felicién, non lo ascoltare. Stavamo dicendo? Ah, vero. Come ti pare, questo Re? Ti piace?-
Quando il francese poneva quel tipo di domande era solito alzare un sopracciglio, e sfoderare il solito affabile sorriso. Forse a lui interessava sapere se qualche anima prima o poi, sarebbe riuscita a cavargli il cuore dal petto.
Cosa forse improbabile.
- Come mi pare....lo conosco appena. Mi piace, però. Un personaggio interessante, bello, enigmatico.- Veneziano poi si era voltato verso la cucina, aveva alzato la voce con tono allegro. - Romano! Quando è pronta la pasta? Ho fame!-
Gli era giunta una risposta ovattata, in pratica dei grugniti in serie; una specie di "Adesso aspetti, o vai a mangiare dal bastardo!". 
Si era sentito poi tirare la manica, Francis che pretendeva un poco di considerazione. -Tutto qui?-
-Tutto qui.-
-No, non ci credo, mes ami.- Un'intuizione? Feliciano non era troppo sicuro sul resto, quindi elencò varie sue caratteristiche, sorridendo comunque compiaciuto.
-Dai, Francis, ti racconterò dopo- Ed un sorriso insolito sul volto dell'italiano, che aveva fatto insospettire l'amico della borgogna, che bellamente rimaneva seduto davanti a lui tirando conlusioni e facendosi castelli per aria.
Francis assottigliò gli occhi, lo guardava penetrante.
-Lo sai, che prima o poi si dovrà sposare, vero?-
Feliciano aveva sbattuto le palpebre, cercava di sfoggiare un sorriso decente. -Certo, certo che lo so.-
E nessun fastidio, né rancore, né tumulto nello stomaco.
Vero?














Blacket's Time:
Ce l'ho fatta. Un poco di ritardo, ma...
Bene. Qui si delinea la storia, i due si incontrano; apparentemente c'è solo interesse ma nessuna scintilla. Ok, vado un poco di fretta, non sto qui a fare chissà quale discorso.
Accorcerò anche i ringraziamenti, ma sappiate che comunque la vostre recensioni mi hanno fatto un piacere immenso (L).
Grazie anche a chi legge, inserisce nei preferiti, seguite e ricordate. Grazie a tutti.
Un Ringraziamento speciale a:
Adeline_Mad
H2o
McBlebber
Lord_Trancy
Cosmopolita
_Valchiria_
bianfre
Aranciata
Baci, Blacket.






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Capitolo 4
*** - IV Capitolo - ***


04 l'A. del Re
Capitolo IV
- Metodi -









Si è propensi a mantenere l'abitudine.
La quotidianità, per quanto possa risultare spossante, rientra appieno nel tenore di onguno, che esso sia grande ed importante, oppure semplice popolano.
Quindi è bene, evitare di sconvolgere chi non cerca l'avventura, e addentrarsi nella vita di qualcuno piano piano, cosìcchè nemmeno possa accorgersene.
Tutta questione di metodo.







Anno del Signore 1307


Si alzava la polvere, spessa e soffocante e mossa dagli stivali di cuoio.
Le cotte danzavano assieme alle toghe colorate e fregiate con grandi stemmi, scudi bicolore raffiguranti aquile, leoni e corone.
Le spade cozzavano severe l'una contro l'altra, eccheggiavano silenziose e tintinnando, ricominciando a colpirsi sempre più velocemente - infine l'aria, quella gelida e pungente; quella dell'inverno, si condensava in bieche nuvolette davanti ai volti tesi dei Cavalieri.
Feliciano avrebbe voluto dipingere uno di quei semplici allenamenti, così carichi di diverse emozioni; e la voglia di mettersi in gioco, affrontare un valido compagno per dimostrare il proprio valore.
In realtà, il piccolo evento si presentava molto più alla buona, condito dal solito gorgoglio di parole e accompagnato da un'enorme quantità di quello che loro chiamavano "Oro potabile" (Un nome decisamente onorifico, per della semplice birra.) ; erano appunto dei guerrieri più pronti per una scampagnata che per altro, in quegli allenamenti improvvisati e visti sicuramente come una pausa o piccola festicciola.
Ed il piccolo italiano, affiancato da un metro e novanta di armatura, cominciava a dubitare seriamente della sua utilità in un posto dove ci si affettava ridendo; magari facendosi seriamente male - perchè di incidenti ce n'erano stati.
Sarebbe stato invece molto utile come inserviente. Lui serviva la birra, loro si divertivano riuscendo pure a prenderlo in simpatia.
Eppure era sgattaiolato lì seguendo la massa, cercando con lo sguardo una certa chioma bionda.
In quegli ultimi giorni era riuscito a cavargli fuori dalla bocca una o due parole, e si era assicurato almeno il suo saluto e un poco della sua considerazione.
Risultato abbastanza discreto, che comunque valeva un qualcosa.
Aveva tentato un approccio inizialmente distaccato, più per prudenza che per altro. Non fosse stato Re, dopo una settimanella buona si sarebbero salutati con uno schiocco di labbra.
Ovviamente non metteva nemmeno in dubbio che lui non potesse piacere a Ludwig. Sapeva manovrare abbastanza bene la freccia di Cupido, ed anche se con quel Beilschmidt non poteva prevedere quando avrebbe colpito, si sentiva sicuro di sè.
O almeno ci provava.
Il Re invece, sapeva tutto di lui, ogni singola cosa che avesse inventato per tenere in piedi quel grande tendone coprente la verità. Un tendone colorato, a cui doveva aggiungere diverse toppe, ma che per ora si ergeva stabile sulla sua base.
Guardò poi davanti a sè, incontrando curioso i due fratelli, intenti a seguire il combattimento in corso commentando di tanto in tanto.
Si rabbuiò lievemente quando Gilbert si accorse di lui, e sorrise compiaciuto attaccandosi poi all'orecchio del fratello, sussurrando chissà cosa.
Veneziano attese, mostrando comunque un sorriso di convenienza, anche dopo che ricevette un'occhiata frettolosa da Ludwig. Aveva uno sguardo fin troppo intenso, quell'uomo.
L'occhio ambrato si mosse, seguì la caduta di un povero Cavaliere, puntato poi dalla lama di un avversario. Si sollevò la polvere, i due combattenti ansanti si complimentarono inchinandosi poi al sovrano.
Altra scena da quadro.
Sorrise poi, l'italiano, ricordando la sua agilità in combattimenti tutt'altro che nobili, dove si riusciva vincenti semplicemente usando qualche trucchetto. In una sfida cavalleresca come quella, non sarebbe riuscito a muoversi tenendo in mano venticinque kili di acciaio affilato.
- Artista! - Gilbert sorrideva scherzoso, non propriamente benevolo. Se, in ogni caso, quel sorriso si ergeva per bontà, nemmeno si sarebbe capito; Gilbert aveva delle espressioni assolutamente contorte e scomposte: pareva che l'avessero sfregiato in passato, privandolo di un sorriso solare.
- Ragazzo! Si, tu. Vuoi dar prova a noialtri  delle tue arti combattive?-
Feliciano raggelò per la seconda volta in sua presenza, deglutì e cercò il più possibile di non deformare la sua espressione sorridente. Come? Aveva capito bene?
Probabilmente si, quell'albino l'aveva puntato fin dall'inizio. Non sapeva se avesse capito un qualcosa sulla sua identità, ma  accertarsene l'avrebbe tranquillizzato.
Ovviamente se fosse uscito vivo da lì con un briciolo di dignità, ecco.
- Veramente, Vossignoria, non credo che un umile pittore come me possa impugnare valorosamente una spada.- Seguì un qualche risolino, non di scherno.
Feliciano e la sua espressione particolare, che non doveva tramutarsi in una supplica.
-Orsù! Si tratterà infatti di bastoni, non spade. Sei così restio ad esaudire un mio desiderio?- Quell'uscita non voleva certo suonare come ordine; ma aveva tutti i requisiti per apparire tale.
L'italiano si ritrovò a mormorare un "Come chiede", e avanzò al centro di quell'improvvisato campo polveroso, chiedendosi se davvero quel suo sacrificio sarebbe potuto servire a qualcosa.
Se la sua sconfitta (non poteva sperare in meglio, siamo sinceri) l'avrebbe umiliato a vita doveva anche dire "addio" alla sua unica chance che piano piano si stava costruendo con il Re.  A meno che il sovrano...No, impossibile.
Voltò il capo verso la tribuna, e un paggio gli consegnò un lungo bastone di legno, levigato; ed inchinandosi si accomiatò da lui con il suo compare che aveva appena fatto lo stesso con il futuro avversario.
Avversario alto e biondo, che sospirando si era levato la corona affidandola al fratello.
No- nonono.
Che diritto aveva lui di combattere contro il Re? Capiva il criterio di scelta degli altri combattimenti (un giro intricato, manipolato da richieste e persino scommesse) ma non potevano scagliarlo contro "Sua Maestà" semplicemente perchè era l'ultimo rimasto.
Dannato, Dannatissimo te, Gilbert.
Vide Ludwig prepararsi, mostrare al mondo - inconsciamente, di sicuro- il suo portamento così incredibilmente importante e spaventosamente spontaneo.
Teneva la schiena dritta, il capo che non mirava mai troppo in alto; gli occhi che puntavano in avanti ed ogni singolo movimento risultava calibrato e sicuro.
Tralasciando il fatto dell'ansia, e del panico che s'aggrovigliò allo stomaco, ora doveva prepararsi a combattere. A parare ciò che doveva - perchè un attacco nemmeno avrebbe osato sferrarlo.
Guardò attentamente l'avversario, constatò pure la sua serietà ed il cipiglio che prendeva. Diede un'occhiata alla posizione pronta al combattimento, le gambe piegate e sottosforzo.
Poi, il tutto incominciò.
Via una parata, e un'altra, un'altra ancora. Il legno produceva dei "Toc" continui, che si fecero ancora più disperati quando il Re cambiò tattica, usò la sua arma come doveva.
A tratti roteava, attaccava e si abbassava come una saetta, passava di mano in mano e Feliciano nemmeno pareva accorgersene.
Venne infine il tragico errore di distrazione, il legno duro picchiò sulla mano di Veneziano, e questo strinse i denti mollando un poco la presa.
Un altro colpo dritto in pancia, ed il sedere che rovinò a terra sporcandosi.
Oh, momento buio. La vergogna si stava impossessando di lui, dovette respirare un paio di volte per dimenticare la fitta alla milza e ignorare le risate generali che però non si riferivano direttamente a lui, ma alla situazione.
Aprì gli occhi, vide la mano guantata del Sire tesa, e sul viso di Ludwig un'espressione neutra.
"Oh, aveva pure i capelli scompigliati, calati sulla fronte. Gli stavano bene pure così, rimaneva bello uguale."
L'Amante afferrò quindi la mano, e si lasciò tirare su come se fosse un fuscello, trascinato dalla forza dell'altro. Gli altri nel mentre si accomiatavano, se ne tornavano da dove erano venuti portandosi a dietro pinte di Oro Potabile e le diverse armi bianche.
- Complimenti. Non venirmi poi a raccontare, che con quelle mani dipingi soltanto.- Gracchiò Gilbert da lontano, salutando con una mano.
Difatti lui, con le mani faceva altro che dipingere. Ma non combattere, di certo.
-Mio fratello le ha lasciato il posto. Avrei dovuto gareggiare con lui.- Feliciano si riscosse a quella voce profonda, nemmeno credette alle sue orecchie.
Era così incredibilmente raro che il Re dicesse un qualcosa che non fosse legato alla circostanza, ai convenevoli. Quelle pochissime volte che si apriva davano la possibilità a lui di familiarizzare, cercare di avvicinarselo - ed erano eventi, eventi veri e propri.
- Mi ha fatto un onore,  vostro fratello.- Sorrise, il più smaliziato possibile.
-Non credo. Ho colpito la vostra mano, ciò che voi utilizzate per dipingere.-
Le sorprese, non accennavano a finire. Aveva forse deciso di fargli un anticipato regalo di Natale? La sua imprevedibilità cominciava quasi a piacergli.
- Riuscirò a lavorare di nuovo. Il vostro quadro non è finito, non potrei mai permettermi di lasciarlo così, a metà.-
Adesso una lieve pausa, Ludwig che pareva pensieroso. Si erano incamminati assieme, un poco, ed il campetto di terra battuta si sostituì ad un'erbetta fresca di rugiada.
- Lei quindi ha sempre dipinto. Mi sembra...piuttosto agile.- 
Ah, ecco cos'era, ciò che tratteneva il Re a conversare con lui. Feliciano non aveva precisato dei suoi eventi passati e- oddio, davvero a lui poteva interessare ciò? Forse voleva essere sicuro di chi alloggiava nelle sue proprietà, eppure avrebbe dovuto farlo prima; erano più di due settimane che si...conoscevano.
- Ho dovuto contemplare certe arti. Diverse da quelle vostre, quelle dei cavalieri.- ridacchiò, annuendo. - Credo che Voi non vogliate nemmeno sapere, di certi rozzi metodi.-
-Un pittore come lei, quali metodi dovrebbe usare?- Chiese questa volta, sempre più curioso.
Quell'uomo, quando era concentrato -non preoccupato, ma concentrato o interessato- modificava in modo particolare i tratti del viso; rendendolo quasi bambinesco.
O forse era lui, che a forza di guardarlo s'immaginava le cose.
Feliciano questa volta sorrise con malizia, deciso a mostrare al suo padrone quali "orribili" e decisamente poco cavalleresche pratiche conosceva.
Con un movimento rapido del bastone, picchiò leggermente dietro al ginocchio di Ludwig, che come previsto cedette. Poi, in una frazione di secondo, mosse il legno verso la caviglia facendo questa volta più leva, ottenendo il risultato sperato.
Beilschmidt cadde, strabuzzando sorpreso gli occhi; e Feliciano, come una saetta, si posizionò a cavalcioni su di lui, inarcando un sopracciglio e puntando "l'arma"al fianco del capo reale, successivamente appoggiandovisi.
Scrutò sorridente l'espressione sbigottita dell'altro, come puro sfizio personale strinse le cosce ai fianchi asciutti di lui.
-Sono queste, le mie rozze pratiche. Potrete mai perdonarmi per aver osato?-
Il riso si tramutò in una risata sincera, ed un miracoloso lieve -lievissimo!- contagio che arrivò al Re, e sorrise controvoglia, borbottando un "Siete esasperante".


Ludwig, Ludwig, Ludwig.
Cominciava a piacergli seriamente, la sottospecie di statua greca portata alla vita. Quell'Amante mai completo (proprio perchè non aveva davvero amato mai), non si sarebbe mai aspettato che un tipo del genere potesse piacergli così tanto.
Ad essere ben franchi, nemmeno capiva il perchè, di tutto quel bisogno del Re.
Si sentiva inaspettatamente meglio quando lo aveva sotto gli occhi, e contro tutti i pronostici; gli stava persino a cuore quello che Ludwig pensava di lui.
Forse perchè era importante, ecco.
"Deve per forza essere per quello!" Rimuginava, e si ripeteva passandosi una mano svogliata fra i capelli ramati. A Romano e Francis non avrebbe mai detto nulla di questi suoi personali patemi - che a proposito, erano aumentati sensibilmente da quando aveva iniziato a conoscere meglio la Maestà.
Si sentiva adesso in dovere di stuzzicarlo nei limiti del possibile, gli piacque persino un suo riferimento non propriamente buono, ma che contraccambiò con il solito sorrisetto furbo.
"Siete la mia croce." Aveva borbottato Ludwig una volta, dopo che l'italiano aveva raccontato diversi annedotti imbarazzanti mentre lo dipingeva, alzando forse un po' troppo la voce.
Aveva poi scoperto che il Re non era sempre serio, e risultava pure altruista. Per qualche strano motivo, a volte, era capace di strappare a lui, l'italiano, un sorrisino.
Ciò accadeva quando lo vedeva esasperato, ma si guardava bene dal mostrare quel suo lato.
Era meglio non pensare, a tutto ciò che non c'entrava con la sua "carriera", che non avesse l'intento iniziale, che non mettesse in ballo null'altro che una scommessa.

Feliciano, quella stessa notte, sognò tante, tantissime fragole.
Erano grandi e belle, e lui rideva, sotto un cielo blu. Visione inaspettatamente positiva, per lui.
Avrebbe chiesto il giorno dopo a Romano. Lui sapeva sempre, certe cose.













Blacket's Time:
OOOH. Scusatemi il ritardo, ecco. Qui il capitolo a cui tenevo parecchio. Perchè il loro rapporto si evolve un poco, ecco. Ovviamente ciò che verrà nei prossimi sarà molto più importante, ecco.
Il prossimo (tanto per anticipare), sarà un poco più corto, credo. Non posso prevedere con precisione, ma anche se corticcio rispetto a questo credo che si rivelerà importante.
Bene, ho stressato abbastanza.
ODDIO, forse c'è qualcuno che ha letto fino a qui! - Vede le recensioni che man mano scendono, si deprime. Doveva accadere, prima o poi. -
I Ringraziamenti, ovviamente. Ringrazio a chi ha inserito nelle preferite, ricordate, seguite.
Ringrazio alcune persone, che ho conosciuto e mi hanno fatto dei sinceri complimenti sulla storia. Non so se meritarli, ma vi ringrazio tanto, tantissimo.
Adeline_Mad: Grazie! Sono contenta che ti piaccia, e che i personaggi ti appaiano così ben fatti :)
McBlebber: Own! Tu mi fai sempre troppi complimenti, non me li merito, ecco! Ringrazio tanto anche te!
H20: Oh, una tua recensione! Allora ti piace la storia! Mi rendono felicissima le tue recensioni! Grazie!
Aranciata_: Sei stata gentilissima! Oh, si, Ludwig attira. Altro che calamita. E Grazie per i commenti sulla figura di Gilbert, ci tengo molto!
Lord_Trancy: Grazie! Grazie tantissime a te, e alle tue recensioni! Mi date davvero la voglia di andare avanti, giuro :) Non ti ringrazierò mai abbastanza, sia per le recensioni qui, che sulle altre Fic!
Grazie anche per avermi fatto notare gli errori! -s'inchina- E ti ringrazio ancora tanto!
Cosmopolita: Uh! Grazie Grazie Grazie! Sono contenta che ti piaccia, spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento!

Baci, Blacket
















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Capitolo 5
*** - V Capitolo - ***


L'A. del Re 5
Capitolo V
- Ballando con le stelle -









Rimane essenziale per un'Amante, entrare nella scacchiera come pedina più grande.
La faccenda consiste nel manipolare una persona senza che questa se ne accorga, e fare il tutto con una discrezione benevola ed esperta. Rimarrà sempre questo il ruolo principale per La buona riuscita; sia semplice, sia difficile che sia.
Sarà forse inutile ricordare, che il cuore verrà coinvolto al massimo e solo per metà.






Anno del Signore 1307

Ogni qualvolta che la porta s'apriva, il gelo mattutino riusciva a colpirlo dritto sulla schiena; aggrappandosi ai vestiti, e spruzzando un poco d'umidità nei dintorni.
Se non fosse stato per il brusio di sottofondo che attribuiva a quel bugigattolo aria di casa, sarebbe scivolato sotto le coperte aspettando che un qualcuno si degnasse di portarlo giù di peso -come minimo.
Feliciano aveva una sensibilità disumana verso il cielo ed il tempo che portava. Si adeguava all'umore delle giornate, modificando i gesti quotidiani in base a ciò che riusciva a percepire, e che in quel momento i nuvoloni spessi e plumbei gli ispiravano.
Un letto caldo, del fuoco nel camino.
L'unica cosa che avrebbe osato chiedere in più era la compagnia, dentro a quel dannato letto ancora mezzo vuoto.
Ma ovviamente l'italiano non poteva esternare il suo frivolo pensiero in un'osteria praticamente piena, traboccante di gentaglia più o meno raccomandabile. V'era, già alle otto di mattina, un sentore acuto di birra; o come avrebbe detto Ludwig (l'aveva sentito proprio dalle sue labbra, mica altro): "Oro Potabile".
Il perchè di tanta venerazione verso una semplice bevanda gli era ancora sconosciuto, ma riusciva a compiacersi di aver scoperto che persino l'austero Re aveva una qualche passione umana. Cercare di stargli vicino aveva dunque dato i suoi piccoli frutti.
Veneziano lasciava vagare lo sguardo sugli avventori, e ciondolava pigro al bancone; in dosso un semplice sorriso di cortesia ormai levigato dal tempo - non più spontaneo come una volta, purtroppo.
-Feliciano, cosa mi avevi chiesto, prima?- Romano lo aveva affiancato, ed era tutto intento a litigare con una delle poche e rare lettere indirizzate a suo nome.
Aveva già stropicciato quel foglio giallognolo in più punti, e pareva non aver affatto voglia di smettere la tortura nei confronti dello scritto.
Il minore allora sorrise furbo, non staccando gli occhi da ciò che teneva in mano il fratello. -Di chi è? Antonio?-
Si permise di ridacchiare, ancora prima che Lovino incominciasse ad arrossire e borbottare. Si, era dello spagnolo, non risultava poi tanto difficile capirlo.
Suo fartello assumeva un colorito purpureo, totalmente differente dal rosso deciso che accendeva il suo volto durante una sfuriata.
Ed era di gran lunga meglio ignorare le parole che a stento gli uscivano dalle labbra, oppure quelle sibilate e silenti,  ma molto più veritiere che quelle pronunciate con arroganza e stizza.
- Quel...quel bastardo, verrà a...trovarci.- Sventolò la lettera per aria, come spazientito. - Ti saluta, chiede come stai...dice che....Francis l'ha informato sulla "scommessa" e- oh, cazzo! Non puoi chiamarla tale, Feliciano. Stai saltando in braccio ad un mangiasoldi a tradimento, che sulla testa tiene due kili d'oro!-
Sbottò poi, come trascinato da una valanga di pensieri trattenuti per troppo tempo. E che, a dire il vero, dovevano frenarsi di botto davanti allo sguardo severo di Feliciano. Le sue rare occhiatacce, avevano più autorità di quelle di una guardia armata. 
Non gradiva molto, Veneziano, che suo fratello avesse una così superflua opinione di Ludwig, senza nemmeno aver intuito cosa si nascondeva veramente in quei pozzi celesti che erano i suoi occhi.
-Su, Feli. Lo sai quel che penso. E quando questa storia sarà passata, mi darai pure ragione.-
"E quando questa storia sarà passata". Feliciano rimase in silenzio, mentre puliva con uno straccio il legno consunto del bancone.
E in quella testolina rossiccia, analizzava le ultime parole del maggiore; come grammatica, periodo, tralasciando volutamente il significato.
- Dice anche....Cioè, ti raccomanda...di stare attento. Perchè si sposerà, a breve.-
La seconda stoccata arrivò più in superficie, ma penetrò dove già v'era una ferita aperta. Feliciano sorrideva pacato, guardava di sfuggita la lettera di suo fratello, trattenendo un'agitazione lieve e disperata.
Doveva reagire, e chiedersi una volta per tutte perchè delle semplici parole gli avessero preso a martellate il cuore. Forse, aveva preso troppo sul serio quella storia con il Re. 
Forse, aveva sbagliato tutto in principio.
- Lovino, non credo che tutte quelle parole che vedo siano destinate a me. Che ti ha scritto?-
"Cazzi miei", fu la risposta fine e delicata del fratello- tutto intento a sembrare più distaccato di quello che invece era. Quante scuse, invece che ammettere di essere innamorato.
Cercò poi di cambiare discorso, (il minore nemmeno tentava più, di capire cosa cavolo c'era scritto là sopra) intimando a Feliciano di dirgli ciò che quella stessa mattina aveva acennato di dire.
- Ho sognato delle fragole, stanotte. Tante. Cosa vogliono dire?-
Il maggiore parve non fare troppo caso alla strana richiesta, piuttosto corrugò la fronte, pensante.
- Credo che stiano a significare... un sentimento comune, che viene ricambiato; qualcosa del genere. Tutte baggianate, alla fine.-
E le due frecce rimanevano ancora lì, puntate fastidiose nel cuore. Semplicemente, quest'ultimo era diventato un poco più grande.


Nevicava da poco, ed il candore bianco già aveva iniziato ad attaccare. Le grandi finestre del palazzo accoglievano tutta la luce riflessa dall'esterno; il bianco si rifletteva sugli arazzi e quadri.
Era stato un problema entrare in quella magione tentando di fare una figura decente, coperto di ghiaccio e umidiccio- persino il suo ciuffo, aveva perso parte del vigore che lo caratterizzava. Le buone maniere ed il sorriso, facevano comunque la loro bella figura, che fosse bagnato come un pulcino oppure meno.
E si era preoccupato tanto, per niente.
Ludwig quel giorno non poteva riceverlo come funzionale pittore, si trovava incastrato fra due altri funzionari stranieri e un grande pacco di fogli. Oh, persino un ritratto.
Lì dove si trovava, sulla porta dell'enorme stanza adibita ai ricevimenti, non riusciva a scorgere bene chi o cosa ci fosse raffigurato. Nemmeno capiva perchè mai gli fosse stato recapitato un quadro, e l'unica idea che graffiava maligna la sua mente preferiva non contemplarla, e concentrarsi su altro.
Per esempio, Gilbert; che accomodato vicino a lui puntava lo sguardo vermiglio sulla sua persona in una maniera quasi scandalosa.
Pareva volerlo spolpare con gli occhi, e l'espressione sfigurata che si portava a dietro non addolciva sicuramente il suo viso.
Si accorse del suo avvicinamento quando sentì tintinnare l'armatura, ed uno sferragliare appena accennato delle giunture metalliche.
Sussultò invece, quando  una mano guantata si appoggiò rumorosa al muro sfiorando il suo volto. Voltandosi, si ritrovò sovrastato dall'albino.
I lineamenti del viso presero una piega alla sua memoria sconosciuta; che difficilmente si sarebbe dimenticato. Il sorriso malizioso si divideva a metà, squarciato impietosamente da una cicatrice biancastra. Quella vecchia ferita, rendeva il volto asimmetrico ed irregolare, tranciava a metà la linea del naso e delle sopracciglia.
Uomo affascinante, ma solo se visto da lontano.
E poi, quei giustizieri occhi rossi, adornati dalle ciglia argentee e per nulla naturali. Feliciano attese di sentire sibilare la sua voce roca - faceva uno strano effetto, pareva consumata.
-Faliciano...Vargas.- Sibilò, avvicinandosi impudente. Poi, parve sciogliersi sul suo collo e sui nervi tesi dell'italiano, sfregando il naso freddo prima sull'orecchio, tracciando una scia gelata fino all'allacciatura della camicia.  "Feliciano, Feliciano stai fermo. Questo può rivoltarti come un calzino semplicemente vedendoti da lontano, con tutto il potere che ha.
Non fiatare, silenzio. L'unica persona che può batterlo, sta comunque dalla sua parte."
-Io so chi sei.-
Sentì il suo fiato infrangersi contro la pelle, ed un gorgogliare, simile ad una risatina. 
Veneziano sgranò gli occhi, annaspando nel panico. Il respiro cercava di mantenersi regolare, ma il cuore stava pompando più sangue del dovuto. Sotto lo sguardo ambrato aveva i capelli grigi, il corpo chinato di Gilbert infiocchettato da una spada lunga legata al fianco.
Chi, cosa, quando, e come aveva potuto scoprirlo. Sempre se si stava riferendo al fatto che fosse un'Amante.
Cosa sarebbe successo, poi, se qualcuno fosse uscito dalla porta? Se qualcuno li avesse visti?
Oh, probabilmente assolutamente niente. Gilbert aveva il potere di fare questo e altro. Quel maledetto albino, poteva permettersi -sencondo le sue magnifiche prospettive- di posare poco delicatamente la mano sul suo fianco, scendendo e graffiandolo con i bracciali della cotta.
-Come mai, hai scelto come copertura un semplice pittore? Forse, perchè ti riesce bene.- L'italiano strizzò gli occhi, chiudendoli per pochi secondi. Doveva ignorare quella bocca così vicina e pronta a divorare, e anche quella maledetta mano che stringeva -premendo sempre più i polpastrelli- il suo povero sedere.
-Per chi sei qui?- Quel demonio voleva forse smascherarlo e impiccarlo? L'aveva sempre saputo, che rischiava grosso, e sinceramente avrebbe dovuto prepararsi ad un'eventualità simile.
Non rispose, quindi, il cuore che batteva tamburellando in gola, la paura che quei denti a poca distanza da lui lo mordessero.
- Dillo. Avanti.- Era spazientito, armato, gli stava addosso; sibliava come un serpente, o più opportunamente una bestia pronta all'attacco. Sapeva chi era, aveva tutte le sue carte in mano.
-V-vostro Fratello.- Sussurrò, lieve.
E a quel punto, Gilbert si allontanò, con un'espressione esterrefatta in viso, nemmeno l'avessero preso a schiaffi. Evidentemente, quell'albino, aveva in mano tutte le sue carte; ma dall'asso alla regina.
Mancava il Re.
-...Scherzi, ragazzo?- Con tutte le probabilità che lo uccidesse o minacciasse, l'albino si mise a ridere.
Si, ridere. Gracchiare come sapeva fare lui, dandogli pure una sonora pacca sulla spalla. Strano fuori, e altrettando strano dentro.
-Mio fratello?! Sei pazzo, dico? Oh, auguri! E sciogliti un po', non avevo intenzione di farti nulla. - Si, ovviamente.
Quel sorriso mezzo sbilenco non lo tranquillizzava molto, ma la spontaneità delle sue parole frenava il cuore impazzito.
-Mi spiegherai, cosa ci trovi in lui, che in altri non c'è? -
Lo scalpiccìo di piedi, passi in avvicinamento. Un parlottare quasi assopito, che piano piano si risvegliava dalla porta socchiusa. Il nobile annuì mordendosi un labbro, probabilmente confuso -aveva fretta?
-Se riesci in ciò che devi, alla fine dovrò solo ringraziarti. Ma bada a ciò che fai, pittore.- L'aria che gli gravava intorno, andava sbandando, come se ancora dovesse decidere cosa fare. Un'ultima occhiata, prima di dileguarsi. Veloce, come era comparso.
Poteva essere il suo ultimo giorno lì dentro, oppure quello che avrebbe passato in vita.
Si appaiattì al muro, colpevole -e quasi sicuramente bianco come un cencio- per fare strada a quei due funzionari, accompagnati dagli "arrivederci" di una voce profonda, a lui ben nota.
Un lieve colpo del cuore, la consapevolezza di dover apparire al meglio, sciolto, sereno. Difficile, ma non impossibile.
Capì quindi di essere in trappola, e dover erigere un sorriso a forza quando avvertì su di sé due pupille azzurre. Si voltò lento, sorrise morendo dentro, ma si inchinò.
-Feliciano, si alzi pure.-
Incredibile, come quel tono moderato riuscisse a calmarlo- persino mentre si avvicinava alla sua grande figura, si sentì al sicuro.
Sorrise di nuovo, con quella punta di malizia che serbava in sua presenza, e decorava le labbra in modo quasi naturale. Entrò nella stanza esageratamente grande per essere affibiata alle sedute e affari politici, venendo poi investito dalla luce chiara proveniente da fuori.
-Mi rammarico, di non aver avuto l'onore di ritrarvi, quest'oggi.- Seguì poi gli occhi chiari di Ludwig, che vagavano fuori dalla finestra, fra la neve.
-Sono io a porre le mie scuse. Devo inoltre avvisarla, che dovrà attendere circa una settimana per poi adempire ai suoi servigi.- 
Feliciano non fece molto caso alle parole in sé, nemmeno allo sguardo serafico non rivolto a lui direttamente. Riuscì piuttosto a far attenzione al tono usato, ad una piccolissima sfumatura inframmentata da una pausa.
Dettagli invisibili, soprattutto se velati da una voce sicura e prenentoria; abituata ad alzarsi violenta per comandare, come la sua. Annuì quindi mesto, mentre mille e mille perchè andavano a conficcarsi nel suo cervello, già in moto ed in elaborazione.
-Certamente. Vi ringrazio per avermi avvisato.- Un sorriso falsissimo che increspò le sue labbra, prima che si rendesse conto di come l'altro stesse soppesando le parole, l'aria, i respiri.
C'era ancora un qualcosa da dire, e che forse sarebbe filtrato attraverso quelle crepe inflitte dall'italiano a forza di stargli vicino; in quel perenne muro che il Re era solito erigere sugli altri.
Il silenzio vibrava, impaziente di essere rotto.
Veneziano si perse a seguire le ombre di quella stanza, che sfumavano e s'allungavano sul pavimento, si mescolavano con altre ombre. Ritagli senza luce che avvolgevano indiscreti un quadro, poggiato alla parete.
No, non era un quadro. Si trattava di un ritratto, un primo piano; circondato dalla cornice elaborata ma che ancora non gli dava nessun consiglio su chi poteva essere stato ritratto.
Intravide solo un viso gentile, fine e delicato. Sicuramente femmineo, e circondato da una chioma biondiccia, ma non chiara come quella di Ludwig.
Pareva nuovo, quasi indesiderato. Chissà chi raffigurava.
- Durante la settimana, avverranno i ricevimenti adibiti alle mie nozze. Ecco, perchè lei non potrà lavorare.- Ludwig pareva inflessibile, come una lunga spada d'acciaio, una roccia.
Eppure, pareva che certe scalfitture riuscissero a buttarlo a terra più di tante battaglie.
Si sposava, giusto?
Feliciano invece, accolse quelle parole come un "Mi sposo", praticamente urlato in faccia. Non era (o meglio, non doveva) essere un problema quello delle nozze, l'essere amanti andava oltre la fede nuziale.
Eppure, per qualche secondo, il pensiero che una donna si sarebbe potuta permettere di stargli al fianco di giorno e di notte, lo infastidì.
Anzi, si sentiva come se un ago lo avesse puntellato dappertutto, anche se lievemente.
-Oh, che bella notizia!- Quanto sapeva recitare bene, quel ragazzo? - E' un vero e proprio avvenimento, mi congratulo con voi! Condoglianze, Sire.-
Cinguettò quelle parole con un tono così allenato che molto probabilmente, anche se avesse pronunciato ciò con sincerità non l'avrebbe capito nemmeno lui.
E ora, doveva ben intuire quello che voleva intendere Ludwig, con lo scricchiolio appena accennato nella sua voce. Se ne stava zitto, ancora non aveva osato guardarlo. Perchè? Perchè non riusciva ancora a lasciarsi un poco andare, con lui? Eppure, credeva di aver fatto un buon lavoro, fino a quel momento.
Si diede uno scossone, quindi, e cercò di aggiungere un qualcosa, solo per avere di nuovo il privilegio di vedere Ludwig in volto. La schiena e la sua nuca cominciavano ad inquietarlo.
Senza contare il fratello, che l'aveva decisamente traumatizzato a morte.
- Ricevimenti per una settimana. Ne avrete da danzare, suppongo.-
Oh, finalmente. Gli occhi azzurri di Ludwig gli dedicavano la loro attenzione; esattamente quello che voleva. E la cosa che riuscì a vedere, quasi giunse al suo cuore.
Su quel volto stanco e provato -ma bellissimo, sempre bellissimo- v'era una stranissima punta di sentimento. Era sempre stato così serio, che non aveva mai avuto modo di vedere come indossasse la confusione.
- Sarà ciò che proverò a fare.-
"Ecco. Da adesso in poi, Feliciano, cerca di giocare quest'argomento a tuo favore, e di cambiare quest'aria così spessa."
- Suvvia, un grande Re come lei, nelle danze dev'essere un provetto.- Sorrise, sapendo di potersi permettere quel tipo di frasi e tono annessi. Dopotutto lui si era presentato come un grande pittore, avevano familiarizzato quel tanto che bastava per conversare.
-Non mi dite, che vi preoccupate per questo.-
No, Ludwig non si preoccupava per quel futile motivo. Forse, però, era meglio fare finta che il problema fosse quello.
- Allenatevi con me, in tal caso.-
C'erano probabilità che sarebbe finito in cella proprio quel giorno, tanto valeva approfittarne. Ignorò volutamente l'espressione basita di Ludwig, quel suo sguardo tutto concentrato sulla sua persona, mentre si avvicinava.
-Veramente...non credo, di essere adatto.-  Il Re stava cercando di pensare, trovare una soluazione? Ballare non era mica un reato punibile.
Ed in ogni caso, Veneziano era riuscito nel suo intento: ora, aveva altro da pensare.
- Non vi preoccupate, credo di essere peggio di molti altri.- Si piantò davanti a lui, sorridendo pacato, forse lanciandogli uno sguardo troppo lascivo. -Farò io la dama.-
Esclamò, mettendosi in posizione, senza ovviamente osar toccare l'altro.
E parvero passare secoli, prima che Sua Maestà si decidesse ad allungare le mani, e afferrare quelle sensibilmente più piccole dell'italiano. Piano piano, poggiò la mancina sul fianco dell'Amante. Un gesto così misurato ed infine delicato, che mai si sarebbe attributo ad un omone come Ludwig.
Pareva che avesse paura di romperlo; oppure era solo una sua stupida congettura -dannati castelli costruiti per aria.
Feliciano si aggrappò poi alle sue forti spalle, lasciando che una mano si sciogliesse praticamente in quella dell'altro. Stava bene, protetto da quel cavaliere.
Cominciarono a muoversi dopo poco, sotto la rigida guida del biondo, sciolto come un pezzo di legno; concentrato sulla testa e non sul cuore.
Era tesissimo, cavoli.
-Sire, ballate indubbiamente bene, ma scioglietevi.-
A dire il vero, con quelle parole l'italiano osò parecchio. Accompagnato semplicemente da suo sorriso, sperava che gli abbuonasse quella sua lingua biforcuta.
Ludwig fece per fermarsi, interdetto, persino rosso in volto- quando si faceva trovare in difficoltà a quella maniera, risultava addirittura tenero.
-No, no, Perdonatemi! Andate benissimo, siete perfetto!- E mentre Feliciano iniziava a ridacchiare sotto lo sguardo ammonitorio di Ludwig e quel ritmo oramai dolce-"Croce, la mia croce" borbottava lui, facendosi a malapena sentire-, i due presero a volteggiare per davvero, scivolando naturali sul pavimento; dimostrando all'unico spettatore (quel quadro, che probabilmente ritraeva la sua sposa) come si faceva a ballare veramente.










Blacket's Time:
Bene- scusate per il ritardo. Aggiungo due cosette, prima di fare gli auguri a voi per le feste, e tutto il resto :) Allora: la storia di Feliciano e Romano, si scoprirà poi. Non è molto importante, ma quell'accenno ad Antonio poteva far pensare.
Poi. Mi pare ovvio, che un Re non si possa avvicinare in questo modo ad un semplice pittore, perciò ribadisco che sono esigenze di trama, e che infine una "scusa" buona per questo ci sarà, è stupidissima, ma verrà spiegata poi.
Entrando nel complicato: si vedrà in futuro perchè Gilbert non ha sgozzato l'italiano sedutastante. Il tutto ha a che fare con la sposa, ma nei prossimi capitoli i nodi verranno al pettine.
La sposa. No, non vi dico chi è. Tiè (?) Potete arrivarci, però. :)
Ora, ringrazio tutti voi, per i magnifici commenti lasciati, per le vostre recensioni (vado avanti incoraggiata da quelle, e vi ringrazio tantissimo) per l'aver messo nei preferiti, seguite o ricordate.
Oppure, per aver semplicemente letto.
Vi auguro un Buon Natale :) PRAFI, PRAFI PAMPINI.  

Adeline_Mad: Grazie per i tuoi commenti! :) Sono felicissima, che tu riesca a capire veramente quello che voglio dire, e come rendo i personaggi! Grazie ancora, davvero!
H2o: Oh, i tuoi commenti sono sempre graditi, carissima! No- ci sono alcune cose nelle tue recensioni che mi fanno morire, seriamente! Ti ringrazio tanto tanto :)
McBlebber: Sei sempre gentilissima con me. Me lo meriterò? Si, andando avanti con la storia si scopriranno sempre più cose, e sinceramente: devo ancora decidere se piazzare il raiting rosso. Vedrò, dai. Grazie ancora!
Aranciata_: Mi segui anche tu? Ne sono onorata,davvero! Mi raccomando, continua a seguirmi: senza uno di voi mi sentirei persa. Grazie ancora, e baci!
Lord_Trancy: Io...io...ti adoro. Davvero, tantissimo. Mi lasci delle recensioni stupende, e oltre alle belle parole che spendi per me....analizzi nel profondo quello che scrivo, capisci nei minimi dettagli il rapporto fra Feliciano e Ludwig, comprendi alla perfezione cosa voglio intendere per "Amante". Non so come ringraziarti, per le tue bellissime recensioni. Gredo che dei semplici "Grazie" non siano sufficienti, ma continuerò a ripetertelo :) Grazie, anche perchè inconsapevolmente mi incoraggi ad andare avanti a scrivere! Grazie! 
s_theinsanequeen: Grazie :) Sei gentilissima, e ti mando tanti tanti baci per aver letto e apprezzato!
Masane: Oh. Grazie davvero, la tua recensione mi ha resa davvero felice :) Ti ringrazio tantissimo, sto iniziando ad adorarti. Spero questo capitolo ti piaccia!
KikyoOsama: Grazie :) Hai ragione, meglio che non mi lamenti per le recensioni :') Spero che in questo capitolo tutto vada bene, anche se ovviamente mi aspetto di aver tralasciato un qualcosa.
Grazie ancora!!

Baci, Blacket.


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Capitolo 6
*** - VI Capitolo - ***


L'A. del re 06
Capitolo Vi
- errore -









Per quanto possa essere ampio e ben formato il vocabolario di un Amante, l'unica parola che deve essere aggirata  e presa con le pinze è : "ripensamento".
Vili sono le persone che iniziano il loro gioco senza aver riflettuto davvero sulle conseguenze, lasciando la povera vittima spaccata a metà fra le tante facce dell'amore; ormai sola.
Ed ovviamente, ciò riguarda anche l'esatto significato contrario.







Anno del Signore 1307

Il vento gracchiava, sferzava impietoso fra gli alberi falciando le chiome ora ricurve, ora mosse e disperate, rivolte verso il cielo.
Gli spifferi entravano prepotenti e veloci; s'insinuavano maligni fra i suoi vestiti e facendo vibrare il ciuffo sul lato sinistro- continuavano il loro contorto percorso sfrecciando verso il caminetto e stuzzicando il fuoco caldo, che però ardeva ancora.
Tranne lui, probabilmente nessuno dava troppo peso a quel tremolare delle nuvole gigie, già blu e confondibili con la notte- avevano un ospite.
Una persona così tremendamente simile alla fiamma che gli ardeva vicino, così accesa e allegra. Era rossa, fiammeggiante, e non si lasciava intimorire dal vento, no: continuava ad bruciare gioiosa, quasi accogliendo quelle frecciatine che la brezza le precipitava addosso.
Antonio a quella descrizione si addiceva perfettamente, e Feliciano non riusciva davvero a guardarlo con occhi differenti.
Suo fratello invece, in quel momento si immedesimava nell'aria turbolenta di quella sera.
Era bello vederli lì, tutti vicini. Eppure quella scena, gli sembrò davvero triste, proiettata sulla sua persona.
Aveva dei pensieri orribilmente incastonati fra loro nella testa, comparivano mille e mille nomi, ed il più imponente di questi portava la corona- una corona con tante alte punte, grandi montagne ancora da scalare.
Sospirò, sorrise poi al groviglio di persone accomodate lì accanto; così stancamente che quasi si sentì in colpa di mostrare tanto ciò che provava.
Lo spagnolo si teneva stretto il maggiore dei fratelli, non osando spingersi oltre per non farselo sfuggire; e continuare in pace a coccolarlo come poteva.
Si era innescato un divertente circolo vizioso, non macchinato ma creato dalla pura casualità; che di nascosto afferra le redini e dirige a piacere- ossia: "v'è freddo, ergo io ti scaldo standoti accanto."
Gli sarebbe piaciuto trovarsi in una situazione simile, magari con un qualcuno di particolare a stringerlo.
Francis si era pure accorto, di quella sua aria sospesa e pensierosa, e con tutta probabilità si era pure accertato del motivo- l'aveva lasciato in pace quella sera, solo perchè l'aveva praticamente supplicato con un semplice sguardo.

Avere l'opportunità di entrare al banchetto che si sarebbe dato in onore dell'incontro fra il Re e la futura Regina, non poteva far altro che rallegrarlo.
Partecipare come inserviente, poi, apriva più porte di quante si potrebbe pensare.



Uno squillo, due, tre, quattro.
Le trombe vibravano in aria, il suono usciva così imponente dall'ottone che persino lì nelle cucine arrivavano le note coordinate e gli applausi, le risa e tutto il trambusto a seguito.
Il tutto era durato meno di 5 minuti, dopodichè i cuochi diedero il via alle danze- esattamente come accadeva al piano superiore, dove v'erano pure i lievi fruscii dei lunghi abiti che volavano sul pavimento lindo; ed era magnifica quella contemporaneità dei fatti, che Feliciano trovava a dir poco sublime.
Poteva immedesimarsi in un ballerino, piroettare vicino al fuoco o al cibo in fase di preparazione, e godersi quell'intenso profumo di buono che sicuramente i danzatori ufficiali non avrebbero avuto l'onore di sentire.
Quello rappresentava un poco il suo habitat naturale, e doveva anche premurarsi di ringraziare Gilbert per quella sua offerta - non sapeva perchè l'aveva fatto, ma ancora non era pronto ad addentrarsi nei pensieri di quell'insolito individuo.
Pareva avere un fine tutto suo, e finchè quegli occhi scarlatti non gli avrebbero trasmesso che pura angoscia o terrore poteva anche fidarsi della sua parola.
Non che fosse facile capire cosa pensava, ma in confronto al gelido sguardo di Ludwig (decisamente più intimidatorio dall'ambiguo sguardo vermiglio) poteva riuscire anche scorgere un qualcosa fra le piagiuzze rossastre dei suoi occhi.
Il movimento continuò ad aumentare, nella cucina fioccavano piatti esageratamente grandi, e così tanta birra e vino che ne mai ne aveva visti.
Il colore ambrato del malto lavorato lo si scorgeva ovunque, gli schizzi di schiuma arrivavano fino addosso alla sua persona, incitandolo ad entrare nell'atmosfera.
Doveva essere pronto, perfetto, e quando sarebbe arrivato in cima alle scale Feliciano sarebbe divenuto un maestro dell'osservazione.
Rimase lì in attesa, fino a quando non capì più nulla: si ritrovò con un pesante piatto in mano, ed un calcio nel sedere che gli intimò senza mezzi termini di salire le scale e fare ciò per cui erà lì in quel momento; ossia servire.
Le scale erano di nuovo addobbate, troneggiava incontrastato il rosso dei drappi appesi ovunque, e le decorazioni si facevano man mano più sostenute man mano che saliva, e giungeva finalmente al piano superiore.
-Tu, non preoccuparti.-
Gli sibilò addosso quelle poche parole una voce così facile da riconoscere, così acuta e consunta anche se tenuta volutamente bassa, che nemmeno si stupì quando incontrò davanti a sè la svelta schiena di Gilbert- veleggiava veloce verso una tavolata immensa, accompagnato da un largo mantello.
Si gonfiava ad ogni suo passo, l'oro dei ricami rifletteva di tanto in tanto la luce. Scenografico, davvero.
E seguendo anche quel particolare, Feliciano (che attendeva sulla porta, lui, quasi avesse paura di vedere un qualcosa di brutto, o malato) non potè impedire alle sue iridi di seguirlo; nemmeno mentre si accomodava vicino al capotavola.
Lui, diamine.
Ludwig era bello, bellissimo anche da lontano; persino vestito da schiavo o mendicante sarebbe riuscito a mentenere un contegno degno della sovranità. Solamente il suo portamento -seduto, in piedi, pronto all'attacco, preso di sprovvista- risultava così naturale ma solenne ed elegante da spiazzare.
C'era però qualcosa, in quel quadro -un dipinto differente, in cui lui ancora tentava di entrare- che proprio non andava.
Il suo sguardo non doveva spostarsi sulla destra, nel posto davanti a Gilbert.
Sarebbe stato cento volte meglio incantarsi a rimirare l'enorme vetrata luminosa, riflettente ancora il bianco candore della neve; donava gran parte della luce sparsa nell'ambiente- e santo cielo, perchè non aveva dato attenzione alla luce bianca invece che lei?!
Ormai, però, non poteva fermarsi. Aveva passato il capo chiaro dei due fratelli, ed ormai le iridi ambrate erano cadute sui tratti delicati e fini della sposa.
La martellata che ricevette il suo cuore, fu più forte ed imponente del previsto. Ciò che risultò alquanto ilare, in contrasto, fu quella punta di masochismo che Veneziano aveva appena scoperto in sè stesso, mentre ancora fissava le futura Regina.
"Bene, va tutto bene.
Lei, è bellissima. Per lui, perfetta."
Delle parole che ricadevano pesanti come macigni, lo accompagnavano mentre, passo dopo passo, si dilaniava dentro.
Un viso piccolo, minuto, il nasino leggermente all'insù. Dei capelli non troppo lunghi, chiari e contornati da perle ed infinite trecce ricadevano sulle spalle in parte scoperte; due occhi intensi e verdi si spostarono su quelli di Ludwig, e sorrisero. Probabilmente in quel momento, l'italiano si accorse di essere il soldato che andava a morire.
Eppure si avvicinò, sfoggiando in viso una neutralità invidiabile ed un senso del controllo innaturale; scivolando sul pavimento, leggero e portando bevanda e cibo sui palmi delle mani.
Si rese conto infine, di dover ricorrere ad un forbito copione da magistral' attore, e doversi coprire il volto con la maschera più bella di cui disponesse.
Mentre si avvicinava, Ludwig si voltò.
Lo vide chiaramente, in quella scena sfumata e confusa, il suo sguardo carico di stupore- ed i suoi occhi così espressivi e svegli, le due più brave sentinelle che avesse mai visto.
Gli dedicò pochi istanti, dove il tempo si fermò, e lui potè ricominciare a ragionare con chiarezza subito dopo, nemmeno quello sguardo l'avesse improvvisamente risanato.
Quando si ritrovò vicino a loro, trattenne inconsapevolmente il fiato, posando con un sorriso il vassoio sulla tavola stracolma ed imbandita, per poco non luccicante e sicuramente affamata. Si sentiva rosso in volto, sotto tensione, adocchiato da quattro o cinque persone compresi i suoi due sovrani.
Precisando: non ancora entrambi sovrani.
E lì, sul palco della vergogna, riuscì a scorgere un qualcosa di curioso, davvero molto interessante. Il maggiore dei fratelli Beilschmidt, aveva un'espressione molto diversa dal solito; ricordava vagamente quella di un cane ringhiante che protegge il proprio territorio.
In poche parole, se gli sguardi potessero uccidere, chi stava davanti a lui sarebbe già volato al creatore.
"La odia. Gilbert, odia la Sposina."
Quella era la molteplice spiegazione di tanti e tanti comportamenti dell'albino, che ora venivano finalmente a galla.
-Su, versane a mio fratello, lui ne avrà sicuramente più bisogno di me!-
Gli gracchiò nelle orecchie, dando poi una piccola spinta. Si, spinta. Che chiamarla "piccola", alla fine, era solo una gentilezza verso un nobile.
Lo lanciò praticamente verso il Re; lui, e la birra che aspettava ancora di essere versata da un inserviente confuso e quasi spaventato.
Non era mai stato granchè in fatto di equilibrio, e anche se poteva dimostrare delle straordinarie doti di portamento, rimaneva comunque pericoloso in certi campi (di sicuro, non aveva capacità circensi.).
Ovviamente, non si sarebbe mai aspettato che la venerata bevanda strabordasse- anzi: slittasse con slancio fuori dal boccale infrangendosi contro il petto e le gambe del Sovrano.
E non poteva nemmeno prevedere che il fratello prendesse la colpa, indicandogli così segretamente di aver semplicemente fatto apposta.
Il viso dell'italiano, fintamente rammaricato e contrito, avrebbe preso una piega maliziosa, se solo avesse potuto farlo. Grazie al cielo, sapeva bene come comportarsi in situazioni simili grazie alle mille esperienze vissute -più o meno bene; si sentiva anche sinceramente imbarazzato per una volta: non aveva premeditato tutto ciò.
Sentì ancora una o due volte la voce rauca di una certa persona albina ridere di gusto, prima che ordinassero a lui di rimediare a quel bellissmo e meraviglioso guaio.



-Inserviente?-
La voce di Ludwig era così profonda.
Non riusciva a capacitarsi del calore e della sicurezza che riusciva ad infondere, quando era calma e pacata- al contrario, era più potente di timpani e tamburi quando v'era sulle sue labbra un comando o ordine.
-Mancava personale, Sire. Ho offerto la mia manodopera.-
Rispose, finalmente più calmo e tranquillo; decisamente più a suo agio. Stare da solo con lui, gli permetteva di svolgere meglio il suo lavoro (Alla fine, si poteva davvero considerare tale?).
Chiuse poi la porta di quella piccola stanzetta, adibita provvisoriarmente come spogliatoio Reale. Era un luogo caldo, spoglio, che ricamava la sua comodità sull'essenziale e dalla vicinanza con le cucine e la sala centrale; s'udiva il vociare ovattato di sottofondo, un buon profumo nell'aria, comparivano sulle pareti pochi quadri proprio per ricordare che lì si trovavano in un palazzo, e non in un posto qualunque.
Feliciano si sarebe volentieri accampato a vita, lì. Non mancava nemmeno una finestra, che -appunto- gli rivelò la tarda ora mostrando il cielo nero.
-Non ne avevo idea, perdonatemi.-
Ah, e poi c'era lui. Gli stava di fronte con una grande chiazza giallognola addosso, un'espressione così pensierosa ed incuriosita che l'avrebbe seriamente divorata a forza di baci.
C'era perfino un poco d'insicurezza in quel grande uomo, il che lo rendeva ancora più umano di quanto credesse. La prima volta che l'aveva visto, gli aveva ricordato una statua.
-Lei è molto bella. Si chiama..?-
Impossibile fargli evitare l'argomento. Non poteva, nemmeno ci sarebbe riuscito. 
Poi, amava vedere lo stupore sul suo viso.
- Zwingli. Lily Zwingli.-
-Ah. Capisco. Giovane, nevvero?- Si avvicinò, entrando perfettamente nella parte del paggio. Allungò le mani sulla sua figura, togliendo i lacci del mantello ed afferrandolo prima che cadesse.
Poi, toccò alla veste.
-...Solo 18 anni. Non più vecchia di me.- Adorabile il fatto che l'avesse seriamente preso come servo; almeno, si lasciava fare.
Scivolò a terra anche la cotta, così piena di fronzoli e decorazioni, e molto più pesante del solito.
Inutile dire, che arrivato a quel punto Veneziando s'impose di non commentare la leggera tunica bianca che lo copriva- appiccicaticcia sul suo petto a dir poco perfetto, sul torace e sul ventre.
Perfino poco più in basso la birra aveva "atecchito", dando i suoi buoni frutti. Non lasciava proprio spazio all'immaginazione, diamine.
I pantaloni, poi, come se non li avesse, attillati com'erano.
- Non sarà sicuramente la giovane età a decretare la saggezza di una Regina. Ma ditemi, ora che siete così impegnato, come potrò ritrarvi ancora?-
Sorrise, sforzandosi di non guardare in basso. Negli occhi, doveva farsi ingoiare in quei pozzi celesti.
Poteva persino evitare di iniziare a slacciare la camic--oh. Lo stava già facendo.
-Io non...saprei. Può invece lei, spiegarmi perchè ancora non posso vederlo?- 
Oh, che sorpresa. Decisamente meglio quando non seguiva quei suoi schemi mentali di conversazione. Solo per quella frase, così interessata a ciò che faceva, il cuore iniziò a pompare più forte.
Come se tutti quei suoi sforzi, non fossero stati davvero vani.
- Quando sarà finito, Sire. Perdonatemi, ma credo che al termine, faccia un altro effetto.- Il sorriso, questa volta sincero, non voleva proprio andarsene.
Oltre al fatto che in quel momento lo stava letteralmente spogliando, era persino conscio che gli interessasse ciò che faceva. Anche se era poco, poteva considerarsi felice come una pasqua. Forse non avrebbe dovuto esaltarsi per così poco, farlo era solo la conseguenza di un errore.
Le mani, nel mentre, erano scivolate fino al ventre, slacciando con fin troppa facilità la stoffa bagnata. Le avrebbe volentieri allungate per accarezzare il suo petto, il suo volto, o semplicemente le sue labbra.
-I pittori, dipingono ciò che vedono, vero?-
Alzò lo sguardo su di lui, particolarmente interessato. Era pure un uomo colto, lo sorprendeva con certe sue uscite, s'intuiva una mente brillante ed acuta. Ma quelle semplici parole parevano nascondere un qualcos'altro. 
Una muta domanda, lasciata lì sospesa a mezz'aria.
"Lei, come mi vede? Quali sono i colori che usereste per me?"
Cominciava a sorprenderlo sempre di più. Dopo ciò che aveva detto, temette persino di sentire il cuore fare un tonfo e magari tremolare, come una piccola fiammella che si avvicina alla sua gemella.
-Si.-
La risposta fu quasi sofferta, sospirata con un falso buonismo, come lasciata a metà. Il sorriso malizioso, però, rimaneva onnipresente, sorvegliava la scena sornione.
La mano, slacciò l'ultimo bottone.
All'improvviso, da quel lieve contatto che aveva con lui, percepì il suo corpo irrigidirsi, i muscoli sotto le sue dita farsi tesi e nervosi; serrò la mascella tossicchiando lievemente. Era forse in imbarazzo?
No, nemmeno.
Probabilmente, gli pareva inopportuna quella situazione, dato che la sua futura sposa era a meno di 40 metri da lui- ma allora perchè, se lui doveva presentare un semplice paggio, avrebbe dovuto pensare ad una faccenda scomoda?
Troppe domande, in quei pochi secondi.
Il Re era forse a disagio, sicuramente non rilassato. E la compagnia di Feliciano (secondo l'italiano stesso) doveva portare di tutto tranne che spiecevoli sensazioni. Meglio quindi che i toni si abbassassero, avrebbe rimuginato su quella bomba di pensieri che aveva nel cervello più tardi, in pace.
Ora, il suo unico pensiero e dovere, era la sua vittima.
- Scusatemi. Vi lascio solo, fate con comodo. Si rammenti, ch'attendo la sua chiamata.-  
S'incinò lieve, potendo finalmente abbassare lo sguardo, indossando il sorriso più radioso che disponesse- falso o vero che fosse.

Ed anche se stava camminando su una barca di errori, avrebbe imparato a calpestarli, così che sarebbero diventati piccoli ed insignificanti; e si sarebbe placato tutto quel gran trambusto- proprio come il fuoco riverso nei caminetti, che invece di temere l'aria turblenta capace di spegnerlo, la ama.











Blacket's Time:
Scusate...il ritardo, ecco.
Allora, mi sono seriamente trattenuta dal farli appiovrare (?). No, dai, scherzo.
Comunque, questo è uno dei capitoli che premeditavo da più tempo. Forse, mi è venuta in mente l'idea della FF proprio pensando alla scena della birra rovesciata durante un banchetto.
Indi per qui, rinrazio tutte le birre rovesciate di questo mondo.
Mi è piaciuto molto rendere (anche se molto semplicemente, lo ammetto) Romano e Antonio, che secondo me sono molo carini.
E se avete sospettato qualcosa a proposito di Gilbert--siamo solo all'inizio.
INDIPERCUI. Ringrazio tantissimo voi che avete letto, e siete arrivati fino a questo punto. Davvero, grazie infinite.
Grazie a chi aggiunge la storia ai preferiti, seguite, ricordate, e chi recensisce.
Seriamente: non ci foste voi, io nemmeno avrei la forza e voglia di scrivere. Non so più come ringraziarvi, se non continuando a ripetere GRAZIE.

Ringraziamenti:
AdelineMad: Grazie per i tuoi commenti!! Noto con piacere che noti (?) ciò che voglio mettere in risalto!
H2o: Grazie anche a te :) Proprio perchè so chi sei, apprezzo molto il tuo giudizio riguardo alla storia. Grazie carissima!
McBlebber: Sei troppo buona con me, credo. Ma ti ringrazio tantissimo, perchè quando leggio le tue recensioni mi sento meglio. Grazie!
Aranciata_: Oh--Grazie anche a te! Troppo gentile, davvero!
s_theinsanequeen: Grazie per le tue recensioni! Non finirò mai di dirti che mi fanno davvero molto piacere, e ti ringrazio per il tempo che spendi leggendo e commentando questa fic!
Yumeji: *^* Oh, grazie! Mi ha fatto davvero tanto piacere il fatto che tu mi abbia dato un parere riguardo alla storia, sei stata davvero gentilissima! E---oh, eccola qui, la sposa.
Lord_Trancy: Bhè, che dirti. Io scrivo per essere recensita anche da te. Davvero, sei formidabile. Cogli dei particolari per me importanti, e sono contentissima che sia così. Ti ringrazio davvero tanto tanto tanto!
ninjagirl: Oh, tranquilla! I tuoi commenti mi fanno sempre piacere, e anche se non commenti tutti i capitoli non succede mica nulla! Ti ringrazio tanto tanto, per la tua bella recensione!
Cosmopolita: Grazie! Sono contenta che tu abbia recensito, davvero! Spero continuerai a darmi un tuo parere! Grazie :)

Baci, Blacket













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Capitolo 7
*** - VII Capitolo - ***


L'A del Re 07
Capitolo ViI
- L'incoscienza-










[...] Par persino inutile, sottolineare quello che diviene uno dei principi base di chi si definisce Amante: ossia l'aver dimestichezza a trattar con il tempo, allungarlo ed accorciarlo a piacimento.
La rinomata virtù dei forti -pazienza, come si suol dire- giace sulla grande scacchiera come alfiere; se non Regina.
Indi per cui sarebbe stupido, nonchè assurdamente efferato, tralasciare nel proprio percorso verso lo Scacco Matto una pedina che tutto può fare, tranne che una semplice mossa ad elle.








Anno del Signore 1307 - Dicembre

Lui aveva sempre avuto quell'assurdo vizio di definire l'odore che albergava nella cucina come "soffice"- morbido come quei grandi cuscini di puime che trovava a palazzo, e sui quali nemmeno aveva il coraggio di sedersi, tanto erano morbidi e lindi e ricamati.
Il che, a rigor di logica, nemmeno aveva senso; stava solo ad indicare un'innata sensibilità verso i piccoli dettagli, e la libera espressione di un artista. Non che fosse un personaggio statico o a cui non si potesse attribuire un certo genere di frivolezze.
Feliciano si divertiva, quasi, ad assegnare inconsueti aggettivi ad ogni singola atmosfera che lo attirasse; ma lo faceva con una serietà silenziosa e sacra: trascinandosi a dietro le abitudini che aveva da piccino, teneva solo in testa quegli assurdi pensieri; etichettadosi come poeta, immergendosi nei propri pensieri.
Faceva la stessa cosa anche con le persone.
- Feliciano? Hai finito?- Si ruppe la sua bolla di silenzio, da colui che definiva appunto "casa".
Romano gli passò accanto, misurando inconsciamente ogni singolo gesto che sarebbe seguito alle parole (perchè quando certi argomenti iniziavano a mettersi in ballo; danzare diventava sempre più complicato)- ed il modo, in cui studiava anche i minimi dettagli della scena!
Sbuffò quindi, apparentemente seccato, mascherando così abilmente l'aria sfatta ed il rossore sulle guance, che persino il minore ebbe  la tentazione di lascianrlo perdere, e concentrarsi su altro.
Lovino sviò il suo sguardo con un'andatura veloce, fingendosi tranquillo; rovinando però tutta quella piccola macchinazione semplicemente stringendo troppo forte lo straccio che teneva sulla spalle, ed intorno al collo.
Appena quella stoffa giallognola si spostò di poco, Veneziano riuscì finalmente a vedere l'informe macchia violacea sulla pelle del fratello.
Antonio.
Ridacchiò, sperando quasi che Romano sentisse, e magari si voltasse verso di lui guardandolo con quei due grandi occhi verdi, terribilmente preoccupati che fosse riuscito ad intuire qualcosa.
-Mh? Feliciano? Che vuoi?-
Per poco non aveva balbettato, deglutendo a vuoto, e strozzandosi con quella misera copertura che gli copriva il collo nascondendo pietosamente il suo misfatto. Gli rivolgeva uno sguardo da riccio spaventato, pronto a chiudersi, e sul punto di mettere in mostra tutte le sue spine.
Meglio evitare.
-Nulla, Romano. Tu vai, che fra poco arrivo anche io.-
Una degna conclusione per quel teatrino cavato fuori dal nulla, sarebbe stata la fiammeggiante risata dello spagnolo, che forse  giunta dal piano di sopra (da una di quelle camere chiuse a chiave, che ancora celavano un letto sfatto, e tanti vestiti sparpagliati per terra) avrebbe fatto saltare in aria il maggiore dei Vargas.
-Mh. Va bene. La locanda è vuota, comunque. Sono andati tutti a letto, eh. Non fare rumore, che svegli i clienti.-
Era una di quelle serate molli, inghiottite forse troppo presto dalle tenebre, dove gli avventori si rifugiavano lì quasi timorosi del catrame scuro della notte che veleggiava libero fra le stelle- e per via di qualche strano miracolo, riuscivano a brillare forti e decise anche se avvolte dal nero più totale.
V'era un freddo pungente, d'impatto, che non solo si limitava ad investirti all'improvviso: entrava piano piano nella pelle, si insinuava sotto le ossa, si tramutava poi in neve e cadeva lieve congelando le pietre sel selciato; tipico del Signor Dicembre.
I tavoli erano stati pieni fino a pochi minuti prima- un groviglio di persone che si sfamavano cercando un poco di calore, e mischiavano i loro bisogni in una profonda brodaglia di voci.
Eppure, anche se tutta quella "vita" lo incalzava costantemente suonando allegra dalla sala da pranzo, non riusciva a placare la sua rabbia, che in quei giorni cambiava e mutava in diversi altri sentimenti; tutti esageratamente grandi e piantati nello stomaco.
-Felisién! Felisién, sei ancora qui che lavi i piatti?-
Ah. Altre persone che lo distraevano dai suoi pensieri, dagli intricati rami familiari e non che stava accuratamente progettando- partendo ovviamente dalla sua Corona.
-Francis, ho quasi finito.-
Arrivò poi una mano calda ad accarezzargli la nuca, sentì le dita dell'altro giocare pacate con i capelli ramati, per poi scivolare e sciogliersi sulla sua spalla; e la strinse piano, come per dargli forza.
Davvero aveva potuto intuire, cosa gli stava succedendo? Quel francese era davvero riuscito, a fare di un puzzle tutti i suoi sospiri, ogni singolo sguardo lanciato alla grande magione in pietra?
Come poteva sapere cosa gli stava graffiando il cuore, quale strana sensazione lo scuoteva tutto all'improvviso, portandolo a perdere tutti i suoi propositi?
-Lascia stare. Farai domani.-
Quella mano, cadde inesorabile verso la vita dell'italiano, posandosi lieve ed indisturbata, senza indugi.
-Francis? Sono due settimane che rimango lontano dal Palazzo.-
Prima un braccio, poi l'altro. Andarono entrambi ad avvolgerlo, quasi a volerlo sorreggere se sarebbe caduto schiacciato dal pensiero più tormentoso che si tenesse dentro, da due occhi più azzurri e pungenti del gelo stesso.
- Sai? Non credevo che questa volta fosse così difficile, vincere la scommessa.-
Circa due settimane senza indossare i panni del pittore, allontanato dal suo Re e dalle varie incombenze, dalle disgrazie che seguitavano a cedere sul capo d'oro, inesorabili.
Chissà cosa era accaduto in seguito alla piccola sposa, così respinta da Gilbert. Probabilmente, quell'uomo non avrebbe tardato troppo a far intendere le sue malevoli inclinazioni verso la giovane.
- Credi che anche se entrerà in scena la sposa, potrò continuare ad agire?-
Lasciò che le mani cadessero molli nell'acqua, finissero a toccare il fondo, fondendo quel silenzio nel gocciolare dell'acqua apparentemente piatta, ma che risucchiava nell'indifferenza più totale.
Gli giunse infine la voce del francese, così lieve e sofferta, nemmeno fosse un monito per lui; che gli chiedeva supplichevole di non straziare troppo la sua anima, ma prendere ciò che gli veniva dato e volgerlo a suo piacere.
-Nulla è impossibile per chi ama, Felisién.-
Le parole, seppur sussurrate, gli si riversarono addosso come se avesse soffiato vento di tempesta; ed il suo cuore martoriato perse un colpo- piroettando però come un matto, pregando e supplicando la ragione di lasciargli almeno una voce in capitolo.

Non avrebbe saputo, Feliciano, quale parola o aggettivo affibiare a sè stesso.
La sua persona gli appariva così vuota ed impalpabile- eppure disegnata da tante, tantissime persone, molte delle quali nemmeno riusciva a ricordare.
Ed in quell'abiocco momentaneo, v'era però un'unica immagine che gli rimbalzava in testa, spuntando senza pretese dal nulla e presentandosi come buona idea.
Una croce.
Anzi, no, no.
Lui sarebbe stato la sua croce.




Rimbombavano forti i tuoni, squarciavano impietosi il cielo tagliando le nuvole a metà con i loro scheletri gialli e luminescenti- si annunciavano in lontananza, avanzavano fieri ed inesorabili, portandosi appresso il tamburellare delle nuvole.
Graffiavano il cielo, lo strinavano di contorte righe che appena per pochi secondi potevano comparire; e solamente in quell'istante, proprio quando apparivano i lampi, si riusciva a scorgere il loro immenso taglio.
E vibravano incosicenti di essere la perfetta base di una contorta sinfonia, costruita un poco a singhiozzi e rimbombi (senza che vi fosse un margine di coerenza o ritmo); ma che diveniva una marcia guerriera che narrava molto più di tante parole.
Sorretto da quell'adagio, Feliciano seguiva fedele i tempi del cielo, facendo tuonare il suo cuore di rabbia e sfilando veloce proprio come i lampi- passava da una viuzza all'altra senza perdersi in contrattempi inutili, puntando dritto dritto verso la pendenza che portava alle porte del castello.
Erano dovute passare ben due settimane, prima che si avvertissero i richiami delle sentinelle ed i militari farsi vivi all'alba, e che annunciassero all'esercito di preparare le forze armate. Era suonato un poco come un insolito strillo assai sgradevole; lanciato nell'aria mattutina già satura di polvere ed agitazione.
Appena aveva capito quello che stava succedendo, Feliciano era saltato sull'attenti, rendendosi conto di dover affrettare i tempi- avrebbe aspettato che fosse Ludwig a chiamarlo a sè, e non il contrario.
Perchè quella volta, le potenti emozioni che provava non potevano essere sopite e messe a tacere. Doveva almeno vederlo, doveva chiedergli cosa stesse succedendo, e cosa gli stesse facendo.
Il Re, in quegli ultimi giorni, era parso un personaggio così dannatamente pericoloso, che assieme all'inspiegato groviglio nello stomaco si aggiunse la rabbia.
Non capiva dove quel sovrano sarebbe voluto andare, e lasciarlo lì, solo, era anche un suo fallimento come Amante. Possibile che non avvertisse nessun suo segnale, che i suoi gesti e le sue parole non riuscissero a scioglierlo?! Eppure, era proprio Ludwig che iniziava a piacergli così tanto, come preda.
Non se lo sarebbe lasciato scappare.
Non prima di aver capito cosa stesse succedendo alla sua proverbiale ed impeccabile persona; che nell'arte della seduzione era 5 spanne più su di tutti gli altri grandi amatori.
Tutta quella sua apparente furia, si placò di colpo quando giunse sotto i grandi portoni di pietra, davanti ai preparativi dell'esercito, molto più imponenti di quello che si sarebbe aspettato- pari solo ai forti tuoni, quel giorno.
Per raccogliere tutto quel gigantesco quadro -di colori così incredibilmente chiari, sotto il cielo grigio e nero!- nella sua mente, e collegare ciò a cui portava, gli ci volle un po'.
V'erano stendardi e bandiere giganteschi, così magistralmente innalzati al vento- oro e nero, cucito nell'aria già ferrigna e battagliera. Ogni fila di cavalieri ne aveva uno (o almeno, quelle stipate in fila da tempo, dritte e fiere come statue).
Compariva poi un secondo esercito fatto di lance aguzze e appuntite, voltate al cielo assieme alle punte degli elmi, calati sui volti dei combattenti. Le armature luccicavano, cozzavano impercettibilmente- venivano coprite però dalle urla dei comandanti, ed il parlottare di chi ancora si stava organizzando.
Erano tutti così concentrati sui loro compiti, che nemmeno lo degnarono di uno sguardo.
Fece quasi fatica ad entrare in quel nuovo mondo, circondato da uomini enormi ed armati; che sul loro onore portavano l'epiteto di "cavalieri". Oltre che scenografico, impressionante.
Eppure i suoi occhi volarono timorosi oltre le lame apuntite, alla ricerca di quanche faccia nota, forse bardata di oro e argento. Anche se probabilmente, in tutto quel trambusto, avrebbe dovuto perdere del tempo prezioso.
"Sicuro, Feliciano, che vuoi rimanere qui? Che diritto hai, tu, di--"
Una pacca sulla spalla così ben assesstata, non poteva far altro che provocargli un infantile sussulto- che forse anni e anni prima avrebbe fatto per via del temporale.
- Ragazzo!-
Ah, Gilbert. Non l'avrebbe mai detto, ma sentire quell'assurda voce gorgogliante l'aveva fatto stare meglio; lei e quella sua cicatrice piantata in mezzo al volto sghignazzante, che impavido si contrapponeva alla situazione ed al tempo.
Oppure, dato il soggetto, calzava alla perfezione.
- Non pensavo di trovarti qui. Non usiamo mica i pennelli per combattere, sai? Faresti meglio ad andartene.-
Gracchiò, prima di radiografarlo con una sola occhiata, ed assegnarlo probabilmente in quella sua dannata testa ad una povera sezione dell'esercito.  
Con quell'enorme aquila stirata sul petto ampio, incuteva ancora più timore. Si stupiva sempre, l'italiano, di come quel personaggio si presentava- anche se possedeva dei caratteri innaturali, vedeva bene quel ghigno asimmetrico e strafottente far passare le file dei nemici.  
E quasi si dispiacque per Lily. Non osava nemmeno immaginare le iridi insanguinate e quel suo viso contorto (stranamente affascinante, certo) ringhiare addosso ad una ragazza che aveva apparenza - e probabilmente consistenza- cristallina.
Prima o poi l'avrebbe spezzata a metà.
- Vossignoria! Perdonate la mia impudenza, ve ne prego! Mi sono recato qui, solo per ricevere...alcune informazioni. Credo che la mia povera testa da semplice pittore, non riesca ad afferrare certi nobili affari.-
Non avrebbe mai usato quelle parole, se non fosse stato sicuro che Gilbert era, per il momento, dalla sua parte. Aveva comunque sentito la viscere rivoltarsi per il sospetto e l'aver azzardato la frase senza troppo rifletterci su.
Ma dopotutto, era la sicurezza ciò che risultava vincente.
- Oh. Sveglio. Proprio adesso, dovevi venire?- Rigirò il capo fingendosi annoiato, da quel bravo e mascherato cupido che stava iniziando ad interpretare senza accorgersene.
Lo voltò poi verso il retro facendolo ruotare semplicemente con una mano, e dandogli una piccola spinta, invogliandolo a continuare, come se alla fine avesse trovato il tesoro. Un poco alto, biondo e serio, ma pur sempre un tesoro.
"Veloce", mimò con le labbra il cavaliere albino, seguito in contemporanea dall'inchino del piccolo e povero pittore, che avrebbe presto imparato a combattere anche con dei semplici pennelli.



Non poteva considerarsi coerente- o quantomeno deciso, provvisto della sua rara malizia che sfoggiava quasi inconsciamente anche con semplici gesti delle mani o del capo, riusciendo ad incanalare su di sè tutta l'attenzione che bramava.
Anche da lontano, quel maledetto uomo agiva sulla sua persona, intaccando lo stomaco -che ribolliva da tempo, per quel suo nervosismo e altre tantissime emozioni utili solo a far rivoltare ciò che aveva dentro- , piantando un mattone di considerevoli dimensioni, e prendendo da lì la mira con uno di quegli archi che aveva visto nel cortile; puntando dritto verso il suo cuore, e minacciando seriamente di scoccare la freccia.
Avrebbe voluto anche solo poter rimanere indifferente davanti alla sua schiena voltata, a quel lungo mantello bardato d'oro e d'argento- degno compare della corona piantata saldamente sul capo del regnante. Gli sarebbe piaciuto avvicinarsi con un' andatura decisa, passare tutte le navate del porticato esterno -suggestivo, a dire il vero, con quell'edera avviluppata sugli eminenti pilastri, ed il cortile lì accanto- sorridendo affabile prima di trovarsi davanti un metro e ottanta di pura eleganza.
Ludwig l'avrebbe ucciso, se fosse andato avanti a stupirlo a quella maniera- e a dire il vero, gli sarebbe bastato rimanere così com'era per lasciarlo scombussolato a rimirarlo, senza che se ne accorgesse.
E dire, che era riuscito a vedere solamente la nuca ed i capelli corti e biondi del Re. Se solo se lo fosse trovato davanti, come diavolo avrebbe reagito?
Quindi iniziò a camminare, chiedendosi quali fossero le regole di quello strano gioco di scacchi- Feliciano, era sempre stato una piccola pedina, che solo con l'arguzia riusciva ad avvicinarsi al Re, prima di urlare "Scacco".
Quella volta, però, sembrava che la regal pedina avesse mille e mille torri a proteggerla, cavalli, alfieri e persino una regina- forse debole, ma così presente da spiazzare.
- Sire?-
Aveva parlato senza pensarci troppo, non dando ascolto alla sua rabbia, ma al solo desiderio di sentirsi messo alla prova dagli occhi chiari e scattanti di Ludwig. Quanto in realtà, desiderava vederli?
Lo vide voltarsi, dedicargli quello sguardo così confuso ("Adorabile, davvero adorabile") che cozzava così tanto con la sua bardatura lucente, la spada lunga legata al fianco e quell'aria da Imperatore che lo seguiva fedele.  Eccolo, un altro motivo per cui faticava ad arrabbiarsi seriamente.
- Feliciano? Come mai siete qui?-
E qui l'italiano si immerse nel suono della sua voce, accusandolo mentalmente come poteva.
Ora, forse, avrebbe capito quello che stava accadendo, e per quale strano motivo non si era premurato di avvisarlo prima che se ne sarebbe andato su un cavallo da guerra, alla volta di terre lontane.
- Ero venuto, Maestà, a ..emh...veder-chiedervi...quando sarei potuto tornare al servizio vostro.-
"Oh, Dio.
Ho balbettato. Io, ho balbettato."
Mentre si sentiva pian piano morire, gli venne inferta l'ennesima stoccata, dallo sguardo severo di quell'uomo ormai ritornato statua- e dire, che lui ci aveva impiegato così tanto, per figurarsi le sue piccole abitudini, ogni più piccolo gesto che si potesse collegare alla quotidianità.
- Mi perdoni. Sono stato occupato da altro, in questi giorni.-
Santo cielo.
Perchè si era illuso di poter entrare già nella sua testa? Delle semplici parole scambiate in una piccola stanzetta calda lo avevano già fatto impazzire- come tute quelle confidenze che si erano presi man mano, senza accorgersene.
Evidentemente, aveva ancora tanto lavoro da fare.
La piccola pedina quindi vacillò, ancora.
- Perdonatemi voi. Avrei dovuto intuire tutto.-
Abbassò poi affabile il capo, imitando uno di quei comportamenti che gli riuscivano meglio quando entrava in crisi. Forse, l'onnipresente maschera che gli copriva il viso si stava incrinando un po' troppo. Vedeva le spaccature farsi enormi, grandi ed immente come i lampi voraci, che divoravano il cielo tuonando sempre più forte.
In quel momento, mentre l'italiano cercava di mantenere il suo travestimento intatto, iniziò a piovere. Una pioggerella rada, ma forte e battagliera- piombava a terra così forte, che avrebbe potuto scambiarla per grandine.
Solo quel particolare distrasse entrambi, che volsero gli sguardi all'esterno, in silenzio.
- Partirò per una campagna militare, sul confine.-
Parlò con calma, Ludwig, avvolgendolo di nuovo con quella sua voce profonda e calda, che oramai iniziava a scottare.

Le due pedine, si avvicinarono.

Veneziano alzò la testa, gli rivolse lo sguardo più stupito che in quel momento disponesse. Non ce l'avrebbe fatta, a resistere.
Se prima il suo costume si stava sgretolando, con la pioggia aveva iniziato a sciogliersi letteralmente sul volto.
- Confido nella vostra forza, Sire. Non fallirete, sicuramente.-
Quante, quante frasi fatte e ben impostate; piazzate una dopo l'altra. E se quel mangianastri si fosse inceppato? 
Davanti a quello sguardo, forse. Probabilmente, Feliciano, credeva di essere atterrato in piedi solo perchè si portava appresso delle stampelle.Patetico.
- Farò ciò che è giusto per il mio regno, e le terre che governo. Se porto questa corona in testa, ho dei precisi doveri da assolvere e giustamente da portare a termine.-
No, non era una risposta rassicurante. Anzi, aveva appena sconvolto Feliciano, prendendolo violentemente a schiaffi e facendogli capire -finalmente- che quella sua rabbia, era solo preoccupazione.
"No, no, non è possibile.
Fermo, Feliciano, rimani piantato a terra; sei davanti ad un Re."
-Quindi, voi solo perchè "dovete", vi lancerete in battaglia? Non avete altre alternative?-
La maschera, era finalmente rotta.

La pedina passa indenne la prima torre, giunge davanti all'alfiere.

Ciò che vide poi, non avrebbe nemmeno voluto immaginarlo.
L'espressione di Ludwig si trasfigurò, parve diventare un tutt'uno con il rombare dei tuoni- e quegli occhi! Quanto mai, aveva osato aprir bocca a quel modo, difronte ad una tale furia!
- Come? Cosa ha detto?-
Per la prima volta, il cuore di Feliciano stridette per lo spavento, digrignò i denti poi, sforzandosi di rimanere intatto di fronte a quelle parole sibilate appena- un particolare della sua voce, che ancora non aveva conosciuto.
Doveva aprire bocca. In qualche modo.
- Voi andrete là, e rischierete la vita. Sento che nella vostra voce non v'è tutta la sicurezza della vittoria come vorrei ci fosse.-
Eppure, per qualche strana ragione, continuava a zappare nella terra, a scavarsi la fossa da solo, parlando troppo, mostrando una preoccupazione anomala e la voglia di far vedere ad un uomo di pietra cosa volesse dire mettere la ferrea logica in un cantuccio.
Lui l'aveva appena scoperto, come si faceva.

La pedina avanza ancora, dritta ed in diagonale, fino a che non la blocca l'ennesima torre.

- Come osate, giudicare in questo modo le mie decisioni? Rammentate, con chi parlate?-
Il tono si era fatto così secco, da stonare fin troppo con lo scrosciare della pioggia.
Chissà perchè, stava perdendo tempo con lui. Si interessava forse a ciò che pensava, egli, un Re? 
Magari era solo un' impressione -forse un poco scontata- ma in quel momento, Feliciano si sentiva esplodere. Il cuore che piano piano aveva pompato frenetico, ora lo intimidiva dando solo vigorosi colpi.
- Non pensate solo al vostro....Voi.
Potete decidere anche di risolvere la cosa in maniera diversa! Non sono certo qui per giudicare, ma non dovete perforza partire oggi...oggi stesso!...-

La pedina, si ritrovò infine difronte alla Regina. L'avrebbe superata a testa alta?

-...State anche per sposarvi.-
Poteva finire in moltissimi modi quella frase, forse compromettendosi a vita; ma terminando a quel modo, si era semplicemente arreso all'idea di soffrire molto di più di ciò che desse a vedere.
Ora gli importava relativamente, che Ludwig lo cacciasse indignato, magari con un ceffone in volto o addirittura facendo sibilare la lama in aria.
- ...Perchè le interessa tanto? Ha solo il compito di dipingere, non altro.-
Ludwig riusciva sempre, sempre, smpre a stupirlo.
Sia male, che bene.
Ed in quel momento, era così martoriato, che non riusciva nemmeno più a contare quante frecce fossero conficcate in altre ferite già aperte.
Lo vide girarsi, la sua armatura scintillante arrivò a tintinnare sotto la pioggia, quando il Re iniziava a partire di gran carriera verso l'entrata della magione- portandosi dietro tante, troppe cose. Si inoltrò sotto l'acqua, stringendo i pugni, lasciandolo lì a penare.
No. Non sarebbe finita a quel modo. Forse, quella, era l'ultima volta che lo vedeva.
Aveva ancora un suo piccolo desiderio, che avrebbe voluto soddisfare- e proprio per questo, seguì il Re facendosi pizzicare dal tempo, marciando con quelle gambe che agivano da sole.
-Ludwig. Ti prego, aspetta.-
Il Re si girò subito, sentendosi chiamare cosi spietatamente con il suo nome di battesimo- con quella vocetta stridula, nemmeno fosse stata una supplica.
E nessuno dei due, si accorse bene di come si fosse incastinata la dinamica delle cose. Feliciano era già vicino a lui, falciava l'erba bagnata con una strana decisione (decisione esitante, può esistere?), contò i passi come avrebbe fatto danzando.
Uno, due, tre.
Si alzò sulle punte -perchè no, non ci sarebbe mai arrivato- e avendo quasi remore a toccarlo, prese il suo viso fra le mani, il cuore gli scoppiò in petto, e le labbra scivolarono sulle sue.

Scacco matto. Per te, Feliciano.

Al diavolo quello che pensava del tempo e di come gestirlo, al diavolo quelle stupide regole che si era imposto fino a quel momento- esisteva solamente un forte, fortissimo bisogno di esprimersi a quel modo.
Di baciarlo.
Di fare suo quel momento, prima che partisse, e fosse troppo tardi.
Aveva probabilmente un'espressione sofferente, resosi conto solo poi di quello che aveva fatto- ma non poteva allontanarsi in quel momento, quando le labbra rimanevano immobili sulle sue; così morbide e calde, chi l'avrebbe detto?
Tremeva, per il freddo e per il solo pensiero di muoversi su un terreno così inesplorato e nuovo, che stranamente non lo rigettava indietro reclamando la sua libertà.
Le dita, però, iniziarono ad intrecciarsi con i suoi capelli biondi e bagnati, infradiciati dalla pioggia che ora più lentamente scendeva, e copriva i loro volti e le labbra coingiunte; posate lievemente le une sulle altre.
Era quello- solo quello che aveva desiderato per troppo tempo, e che aveva immaginato in maniera diversa, con delle prospettive totalmente differenti e discordanti da quella che stava vivendo; perchè mesi prima, si era immaginato un Re che avrebbe ceduto la sua corona per lui, ed invece si trovava coinvolto nel più bel bacio -non ricambiato- sotto la pioggia nella più disdicevole situazione, luogo e giornata che potesse scegliere.
Sotto i tuoni, l'Amante era appena morto, oppure appena rinato.
E proprio quando iniziava a sentire un impercettibile movimento delle sue labbra, che timide avevano schioccato diventando sempre più invitanti e rosee, si sentì una voce chiamare il Re; rimbombare per il porticato vuoto, e giungere fino a loro.
Immediatamente Feliciano si staccò, sentendosi subito privare di un qualcosa di incredibilmente essenziale- gli si strappò l'anima.
"Io lo amo, quest'uomo?"
E come epilogo, vide la scena farsi offuscata, ed uno sguardo colpevole e stupito puntarglisi addosso, prima di essere trascinato via, sotto la pioggia. Ricordò bene quell'azzurro intenso volare via lontano, ponendogli mille domande a cui nemmeno lui avrebbe potuto rispondere con chiarezza.
Lì, in mezzo a quella fanghiglia appiccicosa e all'erba, si inchinò verso il suo sovrano, con uno strano sapore in bocca e nel cuore- entrambi ancora, dovevano essere saziati.

Che senso aveva, lasciarlo andare? Nemmeno riusciva ad immaginarlo là in guerra, a piroettare nel fango e nelle polvere, danzare sotto le lame senza sapere se l'avrebbe rivisto oppure no.
Pregare, non sarebbe servito a molto.
Agire, forse sì.



"Nel momento in cui ti soffermi a pensare se ami o no una persona, hai già la risposta." [Cit- L'ombra del vento | Carlos Ruiz Zafòn]






Blacket's Time:
ECCOLO.
Eccolo, il capitolo che sconvolgerà tutta la trama parzialmente "tranquilla".
Non abbiatecela con me perchè il bacio non è così...appassionato. Non potevo metterlo in questo momento. Capite una povera autrice presa dalle esigenza di trama, SI. E' stato un parto trigemellare, ecco. Soprattutto, è stato difficoltoso riuscire a creare le atmosfere e situazioni che volevo io. Spero vivamente che non vi deluda questo primo "bacio", e che anche il capitolo sia di vosto ggggVadimento.
Un Grazie a chi inserirà nelle preferite, seguite, ricordate, a chi semplicemnete leggerà, e a tutti i santi (lascio al maschile, anche se probabilmente siete tutte femmine) che mi lasiano un commentino.
Vi ringrazio davvero tanto ;___; E' anche per voi che scrivo.

Ringraziamenti:
Aranciata: Grazie :) Sono felice che ti piaccia, e concordo in pieno con te sull'attuale situazione di Ludwig.
E' un belloccio. Tanto tanto.--- Spero che il capitolo ti piaccia!
Adeline_Mad: Oww-- sei tenera tanto, tu. Grazie per i tuoi commenti, che mi fanno sempre contenta! :)
H2o: Okay---l'ho già detto, che le tue recensioni sono così dannatamente dirette che inizio ad amarle? No? Ora lo sai! :)
bianfre: Grazie per la recensione! Sono contenta che ti piaccia così! ---Mi sento realizzata, Donna.
ninjagirl: Eccolo, il bacio che volevi! Oddio, spero che non sia uscita una schifezza.
Grazie ancora per i tuoi commenti! :)
McBlebber: Oh, grazieissime! I tuoi complimenti sono così....buoni. Troppo, per me!
sara_sakurazaka: Ti ringrazio tanto per il tuo commento! Mi fa piacere che qualcuno abbia letto tutti i capitoli così, ecco. ---Si, mi hai fatto contenta :) Grazie!
Lord_Trancy: Si appiovrano. Qui, si appiovrano :' Non so più come ringraziarti per le tue belle parole, per tutto quello che noti, e per come recensisci positivamente questa storia!! Mi commuovi sempre, cavoli.
Ecco, spero di non averti delusa on questo capitolo! Grazie ancora :)
Soul_Sister: Oh-oh. Eccolo qui! Devo ringraziare te se l'ho scritto adesso, con certe idee all'interno.
Grazie grazie grazie :)

Baci, Blacket.





















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Capitolo 8
*** - VIII Capitolo - ***


L'A. del Re 08
VIII Capitolo
-Il padrone-









Un Amante, non è provvisto di passato.
I ricordi esitano a sfiorare chi li chiude in una fida cassaforte mentale, e le conseguenze che essi potevano portare rimangono solo vane ipotesi assoggettate comunque dallo stesso individuo- che data l'ovvia esperienza, saprà gestire qualunque situazione, sia di tempo, che di danaro; deliberando l'ignoranza sul campo della sofferenza sentimentale.
Per quanto la storia dell'Amante possa essere inconsueta, rimane essenziale tralasciare ciò che è venuto prima, e progettare i minimi particolari di ciò che riguarda solo l'imminente futuro.








Anno del Signore 1307

Il vento gli ruggiva in volto, lo prendeva a schiaffi con potenti sferzate ululate attraverso gli alberi- e questi, anche se forti e ben radicati nel terreno, si piegavano sotto una forza ancora più potente e devastante, che li colpiva fiera dall'alto, falciando le chiome verdi e squotendole come bambole di pezza.
La cotta dell'armatura pareva scricchiolare insicura, tradendo il vero significato e l'impressione che dovevano dare le placche di ferro appostate l'una sull'altra, quasi a formare da sole un'intera armata pronta alla difesa: il vestiario era noto a chi impugnava con maestria le lunghe spade d'acciaio, caricando il coraggio in spalla ed imbracciando poche parole di grande significato.
Il che rappresentava, il perfetto cavaliere che difende la patria e scende in battaglia letale come una belva feroce, ma anche agile ed intelligente, il tipo di persona che svetta sul nemico non prima del tramonto, porgendo a lui sia la spada, che la propria mano- il tipo di persona che giusto intravedeva come Ludwig, ecco.  
Lui invece muoveva il suo tristo umore sul piccolo destriero di carta, che invece di cavalcar teneva nelle mani tremanti, sprovviste di lancia ed infreddolite- questa che lui chiamava cavalcatura, solo perchè l'aveva portato là al limitare della guerra, era invece un foglio di carta strapazzata dall'ansia, che dagli inferi gli era stata spietatamente spedita.
E quelle poche parole, inflitte prima nell'inchiostro e poi nel suo cuore, risvegliarono il Cerbero che prima dormiva nella sua mente, tenendo tutte e tre le teste demoniache chinate verso il basso- o meglio: ciò era successo, non appena si era stabilito là, nel regno che il suo Re comandava.
Ma ora quella bestia era sveglia, destata dal pericolo e dalla preoccupazione; fiutava famelica il suo cuore, pronta a divorarlo. Poteva benissimo vederli, Feliciano, quei tre volti canini- Il mancino rivolto a ringhiare verso il disastroso passato, il destro tremava di paura di fronte alla sola idea dell'Amore che incombeva precoce, e quella centrale sorrideva a lui, lo faceva malignamente, ricordandogli chi avrebbe dovuto incontrare di lì a poco.
Un uomo potente, importante, che anni prima aveva comprato lui e suo fratello per poche corone; aveva fatto conoscere loro l'umiltà ed il timore che un sopressore imprimeva nel soppresso.
In compenso, nei due italiani erano fiorite le arti di tutto quel misero mondo, mostrandosi a loro in preoce età; e sbocciarono quindi i fiori della musica per Romano, quelli della Pittura e dell'Amore per Feliciano- come poteva, quel così potente padrone, tenere segregati quei due portenti tricolore, che ancora coltivavano un immenso frutteto di capacità.
Così aveva dato loro la possibilità di riscattarsi, fino a che non finirono in un'altra regione, coinvolti da altre regole ed abitudini.
Lì nacque la figura dell'Amante (e pensare, pensare che era stato quel Roderich, la sua prima vittima), si formò con l'esperienza e l'innata dote, fino a morire in un castello, sotto la battente pioggia, per colpa di un biondo Re.
Era davvero morta, quella sua perfetta concezione di vita?
Forse, di lì a poco, l'avrebbe fatto comunque. Perchè il ricco austriaco, stava giusto allargando i suoi orizzonti verso il confine dei Beilschmidt, e vorace si stava divertendo a divorare le loro terre- cosa forse dettata dal un terzo, dato che a quando aveva capito, Ludwig e suo fratello non erano certo agnellini sul campo di battaglia- ma chiedeva anche un tributo, un pegno molto più grosso di ciò che prima gli aveva chiesto: la sua vita, le sue mani nella polvere, contro il cavaliere che Cupido gli aveva designato.
Si stava quindi trascinando a morire, chiedendosi perchè Dio gli aveva voltato le spalle così presto, puntando il faro luminoso della grazia lontano da lui- quindi seguiva il vociare scomposto e contorto davanti a lui, un sibilare di spavento e armi cozzanti. E dire che Romano si era quasi messo a piangere per convincerlo a trovare un'altra soluzione- e santo cielo, suo fratello con quegli occhi lucidi e arrabbiati, gli avevano spezzato il cuore; ma davvero non poteva rimanere lì con le mani in mano.
La cava mortale non era troppo lontana, le truppe del suo padrone avevano subito raggiunto quelle del tedesco, dando così a Veneziano non più di un giorno di terribile marcia- che infine aveva abbreviato a cavallo, abbandonando però quest'ultimo non appena aveva udito il tonfo della morte farsi più vicino.
Sia prima che dopo la consapevolezza che l'aveva portato a sospirare per un giovane regnante, si ritrovava a combattere contro il priprio amore- anche se probabilmente dopo quel bacio a fior di labbra (quell'assolutamente magnifico momento, durato non più di un minuto, così immobile e dolce, sotto il temporale) il suo rapporto con Ludwig si era inevitabilmente compromesso.
Però lo voleva vedere di nuovo -ascoltare quella voce profonda, incantarsi a scoprire le invisibili differenze fra gli occhi di Lui ed il cielo sereno-, magari per potersi trafiggere quel cuore ferito da un abile macellaio, appuntando sulla sua vita la parola "Fine".


Il caos arrivò strisciando abile nel sottosuolo, per poi levarsi in aria simile al gesto che fa la lieve polvere, quando un imponente peso cade ad infangarsi fra le briciole di cenere.
Proprio così arrivarono le grida, rimasero in aria come paralizzate e vuote, per poi esplodere tutte intorno a lui sotto la carica potente dei cavalli, dei fanti e difensori che occupavano la valle ora immaccolata dal sangue.
Aveva visto gli stendardi immobili per pochi secondi, prima che sventolassero veloci nella battaglia, tutti quei colori brillanti rivolti verso il cielo come per avvisare Dio di quella strage, far si che voltasse il suo sguardo misericordioso verso quella brodaglia informe di ferro e grida.
L'impatto era stato un boato sordo, che Feliciano avvertì come vuoto- perchè si, gli occhi ambrati non avevano avuto cuore di vedere che sarebbe successo alle prime file di quegli schieramenti, e tremando aveva preso a togliersi ogni singolo stemma o riconoscimento, diventando un Cavaliere di nessuno.
Non aveva intenzione di ritrovarsi a combattere per una di quelle fazioni, e comunque, in quella ressa nessuno si sarebbe preoccupato troppo per l'assenza di stemmi e marchi- il fatto che si fosse levato anche l'elmo non implicava che lo riconoscessero subito.
Oltre al fatto che quasi nessuno lo conosceva veramente (il ciuffo, poteva essere scambiato come segno particolare?), dentro a quella scatola metallica, si sentiva soffocare.
Aveva fatto tutto di fretta, balbettando, setendo la sua vita mettersi in ballo sempre più mentre alle sue spalle arrivavano i clamori della battaglia- e sudava, conscio di aver evitato in passato quell'orribile situazione per poco.
Ma anche se non voleva guardare, le pupille vagavano sulle lance voltate ad altezza d'uomo, sopra quella marmaglia di ferro fra il nero del cielo e della battaglia, in quell'orizzonte giallognolo e malato- cercavano l'oro e l'argento ed una corona, una sottospecie di angelo che solo reclamava le sue ali piumate per divenire anche un cavaliere della Santa Croce.
Così si voltò, ancora in disparte e nascosto, lasciando che una mano scivolasse suadente verso l'elsa della spada, pronto a trovarsi di fronte ai suoi problemi e al suo batticuore. E quindi osserva attento, immobile e ritto come una sentinella, avendo il coraggio di immergere la sua anima in quell'Erebo eretto dagli stessi uomini, portato lì sulla terra e presentatogli nel peggiore dei modi.
E finalmente - finalmente vide, due familiari figure che danzavano esperte in quella piccola valle spoglia, facendo roteare gigantesche daghe e spadoni sulla loro testa, svettando per bravura, letali esattamente come il cane a tre teste che figurava il disordine nella sua mente; così veloci ed inconfondibili che pareva si muovessero sotto una melodia tutta loro.
Gilbert probabilmente sorrideva beffardo anche alla morte- l'italiano riusciva così a vedere la deformata cicatrice del suo viso gridare vendetta, posta sul suo volto come ad ammonire tutti quegli scialbi soldati; incutendo terrore e paura ancora prima che riuscissero a scorgere i famelici occhi rossi brillare attraverso la polvere.
L'ormai ex amante riuscì ad avvertire una potente scarica elettrica salire dalla schiena agli occhi, facandoli formicolare ed inumidire per la semplice paura che gli incuteva quell'uomo mentre gracchiava facendo sibilare la propria lama prima in aria, poi rasoterra.
Ludwig -oh, il suo Ludwig- invece era tutt'altra cosa.
Guidava il suo destriero nero con una naturalezza disarmante, togliendo tutti quegli impicci estetici che poteva dare una cavalcatura; veleggiava sicuro in quel mare denso di catrame e sangue, giungendo poi veloce ed in picchiata, simile a quel falco che portava suo suo stemma- e si poteva subire anche da lontano il timore degli avversari, che lenti si spostavano dal suo passaggio (molte volte, troppo tardi) perchè ogni qualvolta Ludwig alzava il lungo spadone fregiato, si poteva contare già un'anima in meno anche solo mentre accennava ad abbassarlo.
Insieme, i due fratelli, incastonavano il loro metodo combattivo quasi con grazia, colmando l'uno le mancanze dell'altro, intersecando ogni singolo gesto con una telepatia innaturale.
Lui quell'uomo, l'aveva anche baciato.
Ci aveva riso, scherzato a volte, ritratto e sentito piacevolmente parlare; una volta, si erano perfino allenati assieme- certamente non l'aveva ridotto a lividi e botte, ed era di gran lunga molto più saggio averlo al proprio fianco negli schieramenti che davanti.
Ludwig dimostrava il suo valore anche solo mentre respirava, si muoveva con destrezza e capacità, ed ovviamente gli occhi di Feliciano brillavano di paura per lui, lo facevano apparire sempre più grande, forte, magnifico e bello- che, a dirla tutta, anche se avesse espresso un commento puramente oggettivo su di lui, non avrebbe modificato una singola parola e tolto nessun elogio- e questo anche se lui in quel momento uccideva, si difendeva togliendo il diritto di vivere ad altri.
Ma se non l'avesse fatto, centinaia di cavalieri nemici gli sarebbero stati addosso; ed un popolo intero, proprio come i castelli di carte, avrebbe annunciato la sua fine cadendo, fragile.
Quale bestialità, aveva inventato l'uomo.
Però, mentre rimuginava tramutato in un'immobile statua, vide la scena di quel grande Re a nemmeno 60 metri da lui diventare sfacelo; ed in quel momento il suo cuore morì e resuscitò più volte solo per aver la possibilità di morire ancora.
Un fascio di luce (voluto o non) aveva probabilmente colpito in pieno muso il destriero di Ludwig, perchè l'animale, improvvisamente impennò in aria lanciando un grido terribile, innalzando la mole e disarcionando a forza il suo cavaliere. Rammentò poi nella sua mente la scena di quel fiero sovrano scivolare all'indietro (ed il luccicare della sua armatura affievolirsi inesorabilmente, strinare con il cielo e lasciando altri in preda allo sgomento), cadere verso il baratro di lance e vite spezzate lì a terra- così circondato da avversari ora immensi e forti, che colsero l'occasione per spostare la loro arma acuminata a pandere verso il basso, verso Ludwig.
"No."
Appunto un' imperiosa negazione bloccò i pensieri dell'italiano, che iniziò a non sentire più il fragore delle armi, le grida e gli ordini; nemmeno vide più l'inferno di cenere e morte che gli vorticava attorno, ed il tempo che lento trascorreva rallentando- lo avvolse il silenzio e la paura, intravide una morte stanca avventarsi verso chi ora amava.
Le gambe si mossero, da sole e veloci, entrarono nel campo polveroso a calpestare i caduti mostrandosi al cielo nero e tamburellante in una corsa che lui vide come impossibile e disperata. Non ci pensò due volte a buttarsi là in mezzo, senza staccare gli occhi languidi dalla scena.
V'era un nemico, bardato di rette linee blu e rosse, così stramaledettamente vicino al Re, che lo aggirava a cavallo, lasciando che la lancia cadesse verso il basso, come un grande pendolo- e il tedesco pareva che ancora stesse cadendo, che ancora fosse a mezz'aria.
Appena la corona sarebbe caduta a terra, mille e mille fuochi si sarebbero ritrovati sul sovrano il un battito di ciglia.
Era troppo lontano, non ce l'avrebbe fatta a raggiungerlo.
Così -per cara benevolenza o destino- Feliciano scorse a terra un grande arco intarlato e lungo; un'arma che da sola poteva arrivare ai 40 Kg, una di quelle che forse non sarebbe mai nemmeno riuscito ad imbracciare, ma invece già teneva in mano, e frettoloso afferrava una freccia sporca e consunta, ma ancora buona.
I suoni non arrivavano, percepiva solo il battito del proprio cuore che stranamente ancora c'era- e funzionava da metronomo: ogni battito era un millisecondo che volava, era il tempo che passava e lui doveva essere in grado di fermarlo.
Prese la mira, tenendo l'arco con una forza che decisamente non era sua; non gli importò di intravedere minacciosi macellai a cavallo che roteavano lì intorno- aveva bisogno di un secondo, anche solo uno di perfetta concentrazione.
E veloce e saettante, la freccia scocca dalla sua mano, percorre molto più rapidamente di quello che avrebbe potuto fare lui correndo i metri che dividevano la vita e la morte; invisibile si conficcò esattamente nella fronte della cavalcatura nemica, fino a farla vacillare e cadere- dando così a Gilbert, quei pochi secondi che gli permisero di staccare con un colpo netto la testa dell'altro cavaliere.
Finalmente il tempo ricominciò a sibilare nel vento, a destarlo da quel suo sogno e farlo ritrovare nell'occhio del ciclone; che ora avanzava e si smuoveva, gridava "ritirata", e si divideva di nuovo.
Non sapeva, l'italiano, se quel suo vecchio padrone era riuscito a scorgerlo in quel suo eroico atto (diciamo che il povero Feliciano, si sentiva un poco morire dopo quel gesto. Non certo per il fatto di trovarsi in battaglia, dato che gli era già accaduto; ma l'aver scambiato la vita del suo amato per quella di un cavallo, lo esaltava alquanto), e pregò che nemmeno avesse scorto il suo volto o la sua intera figura.
I cavalieri e soldati ora serpeggiavano in direzioni diverse, gli scontri si facevano più radi e le armature luccicanti si accalcavano intorno al punto in cui Ludwig era caduto.
Seguì quella folla, strepitante e preoccupata, ancora tremando- ed ecco Gilbert! Quel suo sguardo che lo rincorreva, e già l'aveva trovato.
Ora non era solo Cupido a saper lanciare le frecce.



Ludwig era caduto sopra ad una delle lance mezze spezzate del terreno, di quelle che tenevano la punta rivolta verso l'alto, e paralizzate aspettavano di essere raccolte- a Feliciano, ricordavano vagamente degli arti frantumati; una scena d'immensa tristezza.
La sporca punta metallica aveva perforato un fianco, osando lacerare la pelle diafana del suo Re, iniziando una lenta espansione del germe ferrigno, forse causando addirittura un'infezione- quale casualità, ed inevitabile sfortuna; gemella della sorte che gli aveva fatto trovare in mano un gigantesco arco.
Così avevano detto i medici -specificando e tranquillizzando mezzo reame sul fatto che quella febbre dovuta all'infezione, avrebbe semplicemente dovuto seguire il suo normale corso- , che subito si erano radunati attorno al sovrano, rivoltandolo in tutti i modi cercando di compiacere quasi suo fratello, fido sorvegliante di tutto- quell'albino non aveva abbandonato Ludwig nemmeno per un secondo, assicurandosi della sua salute prima uscire dalla tenda a Sua Maestà prestabilita e avventarsi quasi contro l'italiano.
Gli girò intorno come un lupo diffidente, arrivò calpestando secco l'erba e dedicandogli una mezz'ora d'inferno. Eppure, per qualche strana ragione, lo tenne lì con lui (ancora Lily? Solo per lei, ancorava un ipotetico amante a suo fratello? Forse, c'era ancora qualche altra cosa in quella testaccia albina che doveva comprendere- anche se magari non era bene capire quell'individuo sino in fondo), incitandolo a chiacchierare con modi stranamente tranquilli e gentili.
- Che ci fai qui, tu? Ti reggi ancora in piedi, complimenti!- 
Infilò due dita nella fessura dell'armatura dell'italiano tirando uno dei lacci posteriori, e scuotendolo tutto. Feliciano tentennò a quel gesto, ma cercò comunque di mostrarsi rispettoso e calmo.
Ora; non poteva certo dire a quel pazzo cavaliere -ancora armato, per l'appunto- frottole o baggianate; perchè per quanto ben achitettate, non gli andava di rischiare troppo con gente del genere. Inoltre, non avrebbe saputo spiegare il suo abbigliamento- che invece fragile più del cristallo, quasi invisibile come le sue difese. Per questo ed altri motivi, si poteva anche accennare ad un briciolo di verità.
Feliciano si guardò intorno con naturalezza, sbirciando il viavai di quell'accampamento improvvisato ed ancora in allestimento. Si trovavano al limitare di quella piccola valle sporca dove avevano combattuto, ed alcune tende già si inforcavano fra le grandi querce ed abeti. E tutto erano impegnati a rendersi utili, davvero pochi -se non nessuno- avrebbero prestato attenzione a lui.
- Sono...ordini. Non graditi, che vengono da un vecchio...debito. Precisando, possiamodire che si tratta più di una richiesta.-
Ed in quel momento sperò, che capisse. Senza che si sarebbero dovute aggiungere parole inutili, difficili a malate.
-Eppure tu, mio fratello l'hai salvato.-
Lo stupore che colse Veneziano, non fu affatto esternato; sicuro e tranquillo, in mezzo a quel mare di tempesta, poteva ancora fare la differenza. Si sentiva già meglio, dopo che quel suo gesto così di parte fosse stato visto dalla persona giusta.
Gilbert ora gracchiava quella sua risata sbilenca, socchiudeva gli occhi rossi ed intonava il cielo plumbeo a suo canto- magari si sarebbero sentiti di nuovo i tuoni, in lontananza.
- Tu, pittore sghembo, hai ancora tanto da raccontare. Non credere, verrò a sapere ogni cosa.
Ti lascio libero semplicemente perchè l'altro ieri non so bene che hai fatto al mio fratellino, ma l'hai lasciato scombussolato. Se gli piombi in tenda, farà una faccia che sicuramente divertirà pure me.-
Gilbert somigliava tanto ad un Jolly. Una figura ambigua, a tratti simpatica; per la maggiore inquietante. Attira moltissimo l'attenzione con il suo scampanellare, ride della sventura e della troppa buona sorte, saltellando per tutto il reame.
Poi, si avvicinò a lui. Lo afferrò per la spalla, attaccando i suoi sbuffi caldi al suo orecchio, piegandosi in avanti.
-Adesso vai. Attento però, a ciò che fai.-
Attenzione: doveva averne molta, per tutto e tutti, era una parola che lo inseguiva inesorabile non applicando su di lui però il proprio significato- ora doveva prepararsi a prendere il problema di petto, ad affrontare quel lieve bacio che sarebbe sceso su di lui come una violenta cascata gelida.
Era una croce, poteva fare anche questo.


Ancora una volta il rosso si era deciso ad accompagnare il passo del Re, comparendo sulle pareti di tela, fiorendo sul tappeto riccamente decorato e prendendo a braccetto gli orli delle coperte e cuscini- si schiariva fino a che non nasceva dal nulla l'oro, incastonato nei freddi bauli in legno, a ricamare di nuovo i vestiti e giungendo infine alla sua apoteosi e gloria: la corona posata su un tavolino, a sua volta adagiata sul prezioso velluto.
V'era così tanto lusso, in quei pochi metri quadri.
Appena era entrato in quella tenda, aveva varcato la soglia di un mondo parallelo, piccolo e prezioso- soprattutto per ciò che conteneva; un biondo diamante, avvolto da fasce e coperte. E non appena intravide la capigliatura chiara, gli scoppiò ogni suo singolo organo mentre nel suo stomaco prendeva vita un vero e proprio allevamento di farfalle.
Che sensazione sconosciuta, quanto voluta e spaventosa.
Ora, dopo tempo indefinito, avrebbe saputo anche la sua reazione a quell'accenno di affetto con cui si erano lasciati pochi giorni prima- e che a detta di Gilbert, l'aveva lasciato "scombussolato".
Il senso di quella frase, l'avrebbe capito di lì a poco.
- Gilbert? Sei tu?- 
Ludwig si muove fra le coperte, gira a fatica il busto e tira dolorante i muscoli (come poteva, apparire così infinitamente bello anche visto da quella prospettiva?) e finalmente dopo tanto sforzo si gira, lasciandosi cadere molle sulla branda, incontrando lo sguardo di Feliciano.
Aveva quei bellissimi occhi ben aperti, e l'azzurro che l'italiano ci vide fu la perfezione più assoluta: quello era il colore che cercava disperatamente nelle sue tele, che voleva vedere quando gli sembrava di andare giù a fondo- gli sarebbe parso di riuscire a scorgere sempre una via d'uscita, un pezzetto di cielo.
E questi ultimi erano languidi, risaltavano su un viso febbricitante e roseo, tutto incorniciato dal biondo -no, non come il grano. I suoi capelli, erano ancora più chiari.
Eppure aveva paura di tutta quella bellezza nordica, che ora voleva capirci meglio, e tratteneva una curiosità irosa dentro a quelle bende tutte avvolte sui fianchi e sulle spalle, ad una voce che sempre stupendamente profonda era capace di farlo tremare.
-Sire.-
Iniziò quindi Feliciano, accennando ad un piccolo inchino, volendo scomparire e morire, ma al contempo non lasciare mai quel luogo così piccolo e lussuoso che avrebbe comunque potuto far invidia alla sua intera casa.
-Come mai si trova in questo luogo? Non...dovrebbe essere qui. -
Il tono di lui probabilmente voleva essere secco, ma quella febbre che l'aveva preso, forse attenuava ogni suo carattere- anche se a Feliciano, veniva tutto in faccia come uno schiaffo.
- E'...stato un incidente. Perdonatemi, se sono qui, ma...-
Era zitto. Lo stava forse ascoltando? Puntava gli occhi su di lui, poi voltava il capo in direzione opposta, come se stesse cercando altro da dirgli.
Chissà cosa passava per la teutonica testa.
- ..Ma dovevo vedervi. Sentivo il bisogno di farlo.-
E qui venne interrotto, da altre parole che si sovrapposero alle sue, come per spazzare via alcuni accenni facilmente collegabili al bacio. Voleva sapere cosa ne aveva pensato, diamine.
- Non avrei potuto fare a meno di partire. Come ha potuto chiedere, il contrario?-
Evidentemente, non era certo uno schiocco di labbra, che gli interessava. Che brutto, tragico colpo al cuore.
- Avete rischiato di morire. Non vi pare una valida motivazione?-
Ricevette un'altra occhiata, il viso contratto di Ludwig che si rivolgeva solo a lui- ed era simile al loro ultimo incontro, a quella sensazione che Feliciano non aveva potuto placare e che lo incitava a parlare anche peggiorando drasticamente la situazione.
Lo sguardo di quel Re, così inflitto, gli pareva più dolorante ora, che spaventoso.
- Offendete la mia corona, se continuate ad insinuare c'hio non debba assolvere al mio compito. Cosa intende dire, con le sue parole?-
Di nuovo la labbra di Veneziano si schiudono, hanno voglia di parlare e farsi sentire, al diavolo delle convenzioni e regole.
- E' solo...semplice preoccupazione. Vi dà fastidio, il fatto che qualcuno tenga anche a voi, oltre che alla vostra benevolenza?-
Ed ora parve davvero adirato, perchè si alzò a sedere di scatto ma gemendo per il dolore, tenendo il braccio avvolto attorno al ventre e al fianco lacerato; fermò quel suo gesto solo per poco, poi voltandosi, ricominciò. Quell'uomo, se non fosse stato sottoposto a duri allenamenti, non avrebbe certo reagito così. Feliciano non poteva certo guardare ciò- vederlo piegato in due, tutto impegnato a starnazzargli contro quando ancora aveva la febbre e ragionava per metà. Ma davvero Ludwig aveva quelle parole sulla punta della sua lingua? Non stava usando quelle dell'orgoglio e testardaggine?
-E chi è, lei, per dire ciò? Cosa volete insinuare? Credete forse che può davvero permettersi di... Non-..-
Mentre la sua arringa continuava, le bende piano piano si intingevano di rosa; questo colorito si intensificò gradualmente, ed il rosso finalmente prese piede non solo sulla tenda, ma anche sul corpo di Ludwig.
Lo sguardo dell'italiano si immergeva nella tristezza, inesorabile e profonda, non appena tutta quella scena gli si stampò nella mente uccidendo ancora un po' quel povero cuore già mezzo morto.
-Vi..vi prego. Clmatevi.-
Sussurò piano, allungando appena le mani verso di lui, ritirandole immediatamente- perchè si sarebbero bruciate, vicino a quel vulcano di lava bollente.
Ludwig abbassò lo sguardo (no, non il capo, un Re non era certo solito farlo), cercando come poteva di rimettersi a posto, non aprendo più bocca e lasciandolo ad auto-sopprimersi per i troppo rimorsi- lì solo, davanti lui in quella situazione che lo pungeva maligna con tanti, tantissimi spilli.
"Feliciano, arrenditi.
Hai perso tu questa partita."
Quando mai, una semplice pedina poteva lottare alla pari contro il Re? Come poteva solo sperare, di agire indisturbata anche quando sarebbe arrivata una fiera regina- probabilmente quella personcina cristallina sarebbe giunta lì quando il loco sarebbe stato sicuro, per accertarsi delle condizioni del futuro marito.
Ovvio.
Non aveva realizzato ancora l'idea di essere stato mangiato, in quella grande scacchiera, che si voltò verso l'uscita, trattenendo un gigantesco groppo in gola.
-Feliciano?-
Ah, no, non aveva perso- perchè eccola, quella bellissima voce rassicurante, nella quale ci sarebbe annegato volentieri; toccando per la prima volta molto volentieri il fondo delle sue azioni.
Le pedine potevano sopravvivere solo difendendo questo benedetto sovrano, o rimanendo sotto la sua ala protettiva. Ecco, quel'era la soluazione.
- Raccontatemi quello che c'è là fuori.-
Una domanda più strana, non poteva di certo fargliela.
E sicuramente non si sarebbe limitato alle scuse, perchè anche quello, era un gesto che un grande Re - se non costretto, forse- non faceva mai. Quindi Feliciano si avvicina un poco esitante, arraffando uno sgabellino lasciato lì vicino a sedendosi vicino a lui, accarezzando poi con le dita i bordi del letto- oddio, quel giaciglio improvvisato riusciva ad essere tanto morbido?
- ..Come?-
Ludwig aveva voltato il capo là dove l'italiano non poteva vederlo bene, ed iniziava a respirare tranquillo, serrando però la mascella spasmodicamente- almeno, Feliciano riusciva a scorgere i suoi lineamenti a partire dalle basette, l'orecchio ed i contorni marcati del viso.
- Racconta.-
Intimò di nuovo, mandandolo in palla, in totale confusione. Delirio della febbre? Non credeva l'avesse così alta.
Venne però in mente, a Veneziano, ciò che poteva davvero narrare con maestria senza incepparsi, dando persino una buona intonazione al tutto; annedotti che potevano regalare un sorriso.
Ecco che davanti ai suoi occhi comparve Venezia, la Serenissima, città e capitale dell'acqua; bella da mozzare il fiato e dove lui era cresciuto. C'erano così tante cose che poteva dirgli, che pure riguardavano ciò che accadeva nel suo stesso castello - ne aveva però molte di più su di lui. Meglio non fargliene parola.
Si lasciò poi trascinare dal ritmo rassicurante della pioggia, che ticchettava lieve sulle tenda già da pochi minuti; fornendo a Feliciano una nuova sinfonia senza voce, ed aspettava solo di essere riempita di un brusio e soffocate risate!
Pensò di essere un menestrello, che Romano fosse lì con lui a strimpellare il mandolino, mentre i ricordi prendevano con forza vita e forma e colori, per quel Re dannatamente piacevole.
-Siete mai stato, a Venezia?-
Ed iniziò così il prologo di quel suo infinito racconto. Le parole ora danzavano lievi, si intrufolavano nei dettagli più particolari, davano la giusta dose di emozione che l'inizio di una favola poteva avere- così da distrarre, in un certo qual modo, Ludwig.
Feliciano ora spostava placido le coperte preziose, faceva attenzione a non interrompere la sua storia; ma soprattutto a non denudare quel povero sovrano, che s'intuiva completamente nudo. L'italiano ovviamente non potè non farci un piccolo pensierino- perchè Ludwig era lì, stupendamente bellissimo, arrossato dalla febbre, e con quei capelli spettinati; era appunto nudo (aveva giustamente l'idea di come poteva essere, ma l'originale sarebbe stato sicuramente meglio) ed in quella stanza c'erano solo loro due.
Santo cielo.
Appoggiò semplicemente un panno bagnato sul suo fianco, osservando i muscoli che si tendevano per la sorpresa, e quella mano immobile del tedesco che teneva la coperta stretta stretta, altezza bacino.
Dio, gli venne da ridere- ma ancora non poteva; le sue filastrocche continuavano senza sosta, immergendo entrambi in vicende bizzarre e forse non veramente accadute, ma che erano accompagnate da parole così abili...e tutto già era veritiero, come messo su carta e cantato da un poeta.
Si ritrovarono poi da Venezia al regno che guidavano i due fratelli Beilschmidt, e pure in quel momento i concetti abbondarono (nel mentre, Ludwig si era voltato di nuovo, ed ora guardava interessato un Feliciano pronto a morire lì, d'amore e d'infarto), seguirono le vicende che addirittura vedevano nominato Gilbert- qui la bella favola giungeva al culmine, ed una risata comparve persino sul volto stanco di sua Maestà.
Probabilmente, quella fu una delle cose più belle che un pittore potesse dipingere o anche avere l'occasione di vedere. Se Ludwig era già bello di suo, si portava a dietro l'aria imperiosa e regale; quella risata aveva completamente distrutto il mantello e corona, facendo venire allo scoperto un semplice uomo.
"Dio, lo amo."
Poi anche le risate cessarono, e la stanchezza mista alla febbre, zittì di nuovo Ludwig che ancora non aveva tolto il suo sguardo da Feliciano.
Forse l'avrebbe fatto, tempo prima.
Anzi, era per lui abituale non guardare a quel modo la gente- in quel momento però sia l'uno che l'altro si stavano osservando, zitti ed immobili ma simili ad una bomba con una miccia già accesa, pronta ad esplodere. Quella botta di silenzio non era così imbarazzante come tanti avrebbero potuto pensare a riguardo.
Era proprio l'esplosione che l'Amante aspettava.
Stava quasi per rendersi conto della sua stanchezza, accomiatarsi con dolore -si, insomma, avrebbe trovato il modo di rivederlo il giorno dopo, e dopo ancora- quando avverì una presa ferrea e calda sulla nuca, che lentamente, lo trascinava giù nel baratro.
Certo, che aveva paura dell'amore, Feliciano.
Ne era terrorizzato.
Ma se fosse atterrato su Ludwig, forse, poteva anche iniziare a lasciare che il suo cuore si risanasse.
E anche se davvero avesse avuto così tanta paura, non appena il fiato del Re giunse prepotente sulle sue labbra, staccò la spina che collegava cervello e cuore- entrò in catalessi, si ritrovò per la prima volta a scambiare il tremolio del suo organo pompante con quello dell'altro (Oh, si, che sentiva quel ritmo forte ed irregolare; non suo).
Quando le labbra di Ludwig si posarono sulle sue, iniziarono a muoversi ed accarezzarsi fra loro quasi con il ritardo che si ha svegliandosi da un sogno- e quel dannato tedesco lo fece in modo così innaturalmente delicato e lento, finalmente lasciando anche le ultime briciole di soldato che erano in lui.
Il pensiero- quello mancava proprio. Non si stava chiedendo perchè erano arrivati a quel punto e perchè quella volta lo stesse piacevolmente ricambiando, se era colpa delle condizioni mezze disastrose di entrambi, oppure se il sovrano stesse davvero delirando o impazzendo; in questo caso: avrebbe voluto vederlo delirare più spesso.
Accolse di nuovo le sue labbra con un sospiro, sentendole così morbide; potevano benissimo essere nuvole. Però i batuffoli bianchi sparsi nel cielo non erano bollenti come il suo Ludwig, che in quel momento era ancora in preda alla malattia, ma seguiva piano i suoi movimenti, regalandogli delle dolci carezze sempre più invadenti con le sue labbra; ed infine si schiusero, facendogli desiderare di ritornare a quel momento in cui il Cerbero fiutava i suoi pensieri- nemmeno lui sapeva quel magnifico futuro, nemmeno ci sarebbe arrivato.
La lingua di Feliciano decise senza pensarci troppo di amare quella di Ludwig, e le due si intrecciarono languidamente in quella fornace che era la bocca del suo Re, che ora era bollente e scottava; pareva un falò- e nel mentre la mano del biondo andò a giocare con i suoi capelli, solleticando la nuca spoglia, ed il moretto si lasciava fare tutto preso a tracciare i contorni del suo viso caldo: prima gli zigomi, poi la linea del collo, ed infine immerse nel capelli tutti scompigliati e biondissimi.
Non in quel momento, avrebbe chiesto spiegazioni. Ci sarebbe stata l'occasione, in cui sarebbe diventato un vero leone; e lì nel suo campo, nella sua savana, avrebbe chiarito i conti con quel lupo straniero che prima lo tirava, poi mollava- riusciva a trascinarlo in guerra, insultarlo e poi baciarlo scatenando in lui emozioni che nessun altro gli aveva regalato.
Chissà quanto tempo aveva passato in quella tenda, se la pioggia scorreva ancora giù, o se Romano stava sbraitando dietro ad un povero spagnolo dando a suo fratello del disgraziato perchè in guerra c'era stato, e aveva pure salvato chi sarebbe valso la propria vita.
Dovette però fermarsi, dopo poco- i movimenti del Re si fecero più lenti, e tutta quella stanchezza che fino ad allora era stata accucciata al fianco del letto ora gli era praticamente saltata addosso, facendogli chiudere quei bellissimi occhi ed allentare la rassicurante presa sulla nuca; e finalmente si assopì piano, quando ancora Feliciano schioccava per l'ultima volta le labbra sulle sue, sussurrando la buonanotte, ridacchiando euforico, coprendolo e carezzandolo di nuovo (poi rimanere per cinque minuti buoni a fissare il vuoto, sorridendo inebetito).
Forse si era mosso da lì spinto dal senso del dovere, dal fatto che Gilbert avesse tossicchiato più e più volte da fuori- ma ora si sentiva leggero leggero, lui stava praticamente volando fuori dalla tenda. Poi arrivarono anche le lacrime, per la ferita, e la febbre che non si abbassava- i medici davvero lo ritenevano fuori pericolo?

Il suo passato era un disastro.
Ancora i suoi artigli graffiavano contro il cuo petto e la sua volontà, con tutti gli altri mille problemi a dar man forte - c'erano i dubbi, a distogliere la sua scacchiera personale, trasformando le altre pedine in avversari alquanto complessi.
Gli alfieri attaccavano in orizzontale, le torri gli arrivavano dritte in faccia e la regina lo aspettava, sfidandolo da lontano.
Eppure lui ora era al fianco del Re- che aveva alla sinistra la futura regnante, e alla destra il suo (forse? non ancora?) amante.
















Note: Il Cerbero è una creatura demoniaca, che rimane a far guardia alle porte dell'inferno. Secondo la tradizione, possiede tre teste di cane, e corpo dello stesso.
La Regina, negli scacchi, è capace di giocare tutte le mosse delle altre pedine, tranne la tipica "L" del cavallo. (Quest'ultima precisazione, per l'introduzione del capitolo scorso).







Blacket's time:

Oh, non ci speravo più.
Finalmente il capitolo! Ecco--- si, succedono molti fatti degni di nota.
Sottolineo il fatto che Ludwig sia malato, e ancora non si può parlare di amante ufficiale. Volevo da tempo scrivere del passato di Feliciano, e ho iniziato ad introdurlo qui; spero di non aver iniziato sconvolgendovi troppo, e spiegando tutto dando così la possibilità a voi di comprendere meglio.
Se qualcosa non fosse chiaro, ditemi :) --Alcune cose, ovviamente, verranno fuori mentre la trama prosegue! (Es: Perchè Gilbert non è Re, dato che si tratta del primogenito? Lo scopriremo solo vivendo.)
Un grazie immenso a tutti voi che leggete, e mi rendete davvero felicissima! Non mi aspettavo tanto AMMOREH, davvero! ;___;
Grazie infinite a chi legge, poi chi inserisce nelle preferite, seguite e ricordate!
Infine, grazie a quelle magnifiche persone che spendono sempre parole per me, e mi lasciano un commentino:

Adeline_Mad: Vabbè, mi stai recensendo anche tu tutti i capitoli, qui mi commuovi! Il fatto che tu legga pezzetto in anteprima mi dà davvero una grande sicurezza, perchè la tua supervisione mi rassicura (?).
Quindi grazie, bellissima :)
H2o: Il migliore? Davvero? Ecco: spero di averti fatto cambiare idea, e che sia questo il migliore capitolo, perchè è importante anche lui, e si baciano come si deve 8D
Per il resto; grazie di tutto, a te e alle tue belle parole!
Cosmopolita: Oh, non dispiacerti, mi fai falicissima con i commenti che lasci, e non è certo un reato se non recensisci tutti i capitoli- anzi: grazie proprio per le recensioni che mi lasci! :) Grazie infinite! Spero che il capitolo ti piaccia!
s_theinsanequeen: Owh-- ma infinite grazie! Sono contenta che ti piaccia, e che tu legga! Davvero, mi onori! :)
McBlebber: Oh, io ti devo ringraziare non solo per le recensioni su questa Fic, ma anche per le altre! Grazie infinite, davvero! Sei sempre così buona con me ;___;
Aranciata_: Ti è piaciuto? :' Ne sono felice! Ecco, spero solo di non aver deluso nessuno con questo capitolo, e che piaccia almeno quanto l'altro! Grazie, grazie!
Lord_Trancy: Cara, carissima ragazza! Mi porti anche dei lettori! Davvero, faccio prima a costruirti un altare, che ringraziarti.
Perchè mi recensisci magnificamente tutti i capitoli, trovi la pazienza per leggerli e soprattutto per capirli! Le tue recensioni mi onorano davvero, tutte le volte che aggiorno e trovo una recensione sono già tutta soddisfatta.
Grazie infinite anche per le recensioni alle altre storie!! Grazie, grazie grazie!! Spero che il capitolo ti sia paiciuto! :)
_Valchiria_: No, non scusarti :) Per me significa molto che tu legga, e soprattutto che ti piaccia! Ti ringrazio anzi per le recensioni che mi hai lasciato! Spero che anche questo capitolo ti trasmetta qualcosa, ecco :)
ninjagirl: Hahaha :' Grazie per la bella recensione!! Sei stata davvero molto gentile a trovare del tempo per me :)
E guarda, qua si baciano meglio (?) non è magnifico? Grazie ancora!
RuinNo Yuki: Oww- ma grazie a te! Non sai quanto mi fai felice con il tuo commento- sapere che il capitolo è piaciuto, è sempre una gioia. Spero ti piaccia anche questo, e che ti soddisfi! :)
Grazie!

Baci, Blacket.













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Capitolo 9
*** - IX Capitolo - ***


L'A. del Re 9
Capitolo IX
- Vigiglia-










[...] L'arte dell'ammaliare, si lascia sorreggere dalla sicurezza dell'Amante in sè, oltre che alle sue naturali doti.
Far esaltare questo ultimo particolare, è ciò che dovrebbe tornare come primaria necessità; in quanto: non si parla dell'abitudine a certi risultati; ma appare essenziale trattare ogni singolo caso con l'attenzione che merita.
In alcuni casi, un Amante sarà oltremodo costretto a frenare ciò che andrà a crearsi fra due persone, per poi proseguire con il suo gioco di marionette.







Anno del Signore 1307 - Dicembre

Non era di certo la brina cristallina, posata sullo sporco terreno -così, da far brillare anche ciò che appariva impuro e rozzo- ad avere un magico dominio sulla sua persona e farlo sorridere; anche quando v'erano le puntute lance ai suoi fianchi, accompagnate dalle abbandonate livree dei condottieri, laciate lì in un angolo per malavoglia o come semplice ammonimento e simbolo: prima o poi -gli annunciavano- anche lui sarebbe ritornato ad imprimere il suo valore nella polvere rossastra, tirando i consunti dadi della Signora* ad ogni clangore dell'acciaio.
Il tranquillo quadro che però gli si srotolava davanti, contribuiva semplicemente a far fluire i pensieri attraverso le sue vene; li sentiva scivolare via lenti, accarezzarlo mentre piano piano andavano a nascondersi dove lui non avrebbe potuto trovarli; ed era un po' come se fossero stati costretti ad alzarsi dalla prima fila e piano della sua visuale, andando poi a cercare posto nel fondo.
E lì comparivano altri pensieri, forse più piacevoli, ma che prima assumevano un luogo secondario- come la pittura. Gli sarebbe piaciuto molto, soffermarsi a cogliere i minuscoli fili d'erba, irti di ghiaccio e chiari e immobili; rappresentare una mattinata che placida abbozzava un fioco sole all'orizzonte, velava il paesaggio di nebbia e buttava sulla terra quello spruzzo di gelo che purificava ricoprendo il tutto e opacizzando- come per far vedere agli altri solo un'impressione del vero paesaggio, tenendo nascosti i dettagli più raccapriccianti ed intriganti.
Ma- Oh! Eccolo, un pensiero che da un po' di tempo se ne stava in un angolo; eppure non se ne voleva andare, era come appiccicato alla sua personale visione. Ciò che forse riusciva a fargli intuire quel particolare più roseo, era il fatto che dopo averci fatto l'abitudine, si aveva la parvenza che il pensiero gli facesse compagnia.
Si trattava di una raccolta di ricordi, di sfondi mai sfocati concentrati sulla sua vicinanza ad una certa persona, e miriade di sensazioni ed osservazioni fin troppo realistiche, per una finzione d'amore.
Quello non era un teatro.
Aveva capito in ritardo, di essere salito sul palco senza maschera; sotto un enorme tendone cosparso delle sue bugie- ma anche rattoppato e rotto; e proprio in quelle fessure riusciva a scorgere il cielo di un azzurro così intenso e profondo, che aveva potuto attingere solo dalla sua fonte di ispirazione. Non aveva poi tenuto conto degli attori e della loro bravitù, delle pericolose comparse e del tragico copione- lui pareva essere l'unico a non aver imparato un solo atto a memoria.
Eppure, in principio, quando ancora si stava preparando per lo spettacolo, credeva di essere l'unico a saperne qualcosa in proposito.
Forse, avrebbe dovuto prepararsi all'imprevedibile a inusuale.
- Allora ragazzotto, raccontami. -
Non volta lo sguardo, ma percepisce la presenza dell'albino vicino a sè- era impossibile non sentirlo avvicinarsi: aveva un passo molto pesante, di solito canticchiava, e si portava addosso un profumo di muschio forse più intenso del dovuto. I ringhi di battaglia di soli cinque giorni prima gli avevano fatto dono di una rara aggiunta alla sua ampia decorazione: un taglio di poca rilevanza, piccolo squarcio inflitto a "distanza" dalla probabile daga di un giovane sventurato che aveva inconsciamente pensato di poterlo attaccare (forse, la cosa più stupida che avesse potuto fare) alle spalle- difatti il clangore dei suoi piedi incastrati nelle giunture metalliche giungeva alle sue orecchie come strascicato e molle; come trattenuto da un qualcosa.
La ferita alla gamba destra, però, non riusciva a costringere quella belva bianca e rossa a riposo.
- Buonsalve a voi! -
Feliciano reclinò affabile il capo, aspettandosi inconsciamente di doversi ritrovare a contrattare per la sue permanenza sul campo, e anche in quel misero mondo.
Non poteva biasimare quell'apocalittico signore, che ancora -secondo le sue rotelline oliate dalla preoccupazione- doveva decidere come usare la carta dell'Amante nel suo solitario; un gioco che non sempre poteva portare alla vittoria, e spesso dirigeva ogni seme a voltare il proprio Re**. E la situazione poteva prevedere per lui il ruolo perenne di perno; così che Gilbert avesse potuto in santa pace voltare tutte le altre carte senza incappare nei sovrani dei danari, coppe e bastoni e spade.
- Cosa volete sapere, da me?-
Si strinse più nel mantello, proteggendosi dagli spiragli del freddo- forse causati dall'umido suo sedere, posato sgraziatamente su uno dei tronchi vicini al fuoco di campo.
Lasciò poi passare gli occhi caldi sui movimenti scanzonati del'albino, mentre si sedeva. Faceva fatica.
- Voglio....sapere..- Qui gemette, ghignando subito in risposta al dolore; come per spaventarlo, e cacciarlo via. -Se chi ti ha ordinato di venire qui, si chiama Roderich.-
"Pum".
Un gigantesco colpo di gong gli aveva trafitto il cuore, facendo vibrare ed espandere sempre più il suo suono neutro; paralizzando pian piano ciò che aveva l'occasione di incontrare- e tutto il sangue fluì crudele alla testa, avvertendolo con uno scossone che quelle parole, non le aveva immaginate. Erano lì, ancora presenti e avvolte dalla nebbia e brina, cercavano risposta senza attendere oltre.
A Feliciano, venne l'enorme magone della fine; lo pervase con incredulità e indicibile spietatezza. Era spacciato.
- Cos...co-come?-
Aveva soffiato a labbra strette, mentre la cassa toracica pareva volerlo opprimere stringendosi sempre di più, ranicchiandosi a riccio contro i polmoni e cuore febbricitanti.
Come aveva potuto, saperlo? Nessun soldato poteva conoscere o semplicemente intuire quello che stava relegato nella sua testa come prigionero; non si era lasciato sfuggire la minima informazione dubbia nemmeno con Ludwig (oh, argomento che forse avrebbe preferito deviare, perchè la stanchezza, in certi casi, uccide).
Che avesse delirato nel sonno, nella tenda condivisa?
- E' un mio sospetto. Sapevo anche prima che ti trovavi qui per ordine di terzi, neh. Sapere il suo nome, non aggraverà ulteriormente la tua situazio...ne.-
Si bloccò, di botto, facendo esplodere un qualsiasi organo di Feliciano, o in alternativa facendolo pompare più forte, facendolo rivoltare, o meglio scomparire.
Gli occhi dell'italiano, svegliati allimprovviso dall'allarme, cercavano ora di studiare la sua reazione; quelle mani che lente passavano sul suo viso a stropicciare gli occhi vermigli ed innaturali, e si tuffavano nei capelli tirando involontariamente alcune ciocche- avevano anche, in quel gesto, disteso il viso martoriato, sregolando ancora di più la sua simmetria già in principio smontata dalla bieca cicatrice- non trovando comunque una riposta che gli impedisse di mettersi a pregare per aver salva la vita.
- Sentimi. Parliamone poi; ma sappi che mi dirai tutto, fino all'ultima parola, volente o no.-
Sospirò di nuovo, riprendeno poi con sè il solito carattere che aveva imparato a conoscere, ed abbandonando quello strano ed inconsueto spirito stranieri assediatosi dentro di lui. 
- Intanto, ragazzo, assicurami di una cosa. Non deluderai il mio fratellino, vero? Sia bene per te, che risponderai affermativamente.-  
E gli ochi suoi stavano ridacchiando amaramente, voltando un macabro rosso verso la sua direzione. Non invogliavano troppo nello sproloquio, ma in compenso si aveva sempre la coscienza di star parlando con una certa persona, di un certo livello.
- Le mie intenzioni sono lievemente cambiate, da quelle precedenti. Ma il deluderlo, non rientra nei miei piani.-
Ed il pensiero scaraventato in ultima fila, comparve davanti a lui come la polvere che goffa si solleva grazie al vento. Gli vennero addosso informazioni a granelli; poi dilatandosi e fermandosi a mezz'aria con tutti quei contorni sfumati, fragili.
Davanti a lui, ora sostava il ricordo di Ludwig (possibile, che solo quello risultasse nitido?).
Un Re risanato, forte anche se appena uscito dalla febbre; e già aveva preso a svolgere in pieno il suo ruolo, la corona sostava pesante sul suo capo mentre girava marciando sul campo- ma ad essere franchi: era riuscito a scorgerlo in frangenti dove il colore dorato si soffermava solo sui suoi capelli, e sul suo timido sorriso davanti al fuoco (Oh, meraviglioso, davvero meraviglioso).
E proprio in uno di quei frangenti, dove a sua maestà lui si presentava più fragile; quando nel lasso di tempo in cui dal titolo prestigioso emergeva un semplice uomo, avvenne un breve scambio di battute, che testimoniò di nuovo gli alti e i bassi oramai -si, l'aveva imparato- tipici dell'amore.
"Feliciano, mi perdoni se qualche giorno fa, l'ho scacciato sì in malo modo." - così aveva iniziato, appena l'aveva trovato solo; con quelle due iridi glaciali ma purtroppo drasticamente tranquille ad aspettarlo.
L'italiano, che già si era preparato uno sproloquio balbettante venne colto in fallo; Ludwig gli aveva appena mozzato le gambe, ed era stata una vera impresa accorgersi che di appigli non ce n'erano, e bisognava arrendersi al fatto di non poter più camminare. Un comlpo improvviso, graffiante.
Solo dopo però era arrivata l'incudine a tenerlo legato a fondo, un pugno secco nello stomaco che gli aveva fatto perdere quel poco di brio in quella landa rossa, praticamente sconosciuta.
"Non dovete scusarvi. Vi ho tenuto compagnia poi."
Parole che avevano fatto fatica a salire, tremolanti come deboli fiammelle, nuove e inaspettate.
Il suo biondo Re, quindi, non si ricordava di avergli sorriso; ma anche regalato un bel momento, di averlo fatto sentire bene dopo aver visto con i suoi occhi il tristo mietitore che dettava legge in guerra, di avergli dato un poco d'affetto, di averlo trascinato lui stesso in un bacio.
Credeva forse che fosse un incubo? Tentava magari di dimenticare una follia pensata nella calda febbricitazione?- di certo, sarebbe vissuto anche senza quella sorpresa.
Così si era ritrovato in un abiocco doloroso, aveva cercato di ricostruire un poco la maschera della sicurezza abbandonata tempo prima, eppure rimaneva immobile a rimirare la sua bocca; quelle due labbra rosee che a tratti si schiudevano, lo informavano distanti che sarebbero andati a caccia in occasione del Natale, e che lui avrebbe sicuramente partecipato (tutti, lo facevano)- e Dio, erano state sue!
Perchè era dovuto rimanere lì, semplicemente a guardarle? Tralasciando poi il fatto che si ritrovò coinvolto in una battuta di caccia reale, sul confine, circondato da omoni che tipi come lui credevano di poterli mangiare a colazione.
Ed infine, lo sguardo cadde sul suo intero viso, sulle sue guance lievemente imporporate ma che un buon osservatore come lui aveva notato fin da subito. E gli mostrò il suo sguardo da lui appena intravisto che ricordava lontanamente quello di un giovane impacciato, poco prima di congedarsi frettolosamente com'era venuto.
Nemmeno si lasciava guardare.
Ludwig, era di una crudeltà senza pari.
- Credo piuttosto, che sarà vostro fratello a rattristarmi.-
Ora il ricordo era volato via, inseguiva il vento, se ne tornava a dimorare vigile nella sua testa. 
Gilbert gli rivolgeva uno sguardo curioso, ad un palmo dal viso e scannerizzandolo con una sola veloce occhiata, un'espressione che era tutto un programma -non poteva davvero immortalarla in una tela, quella?
-Quindi non avete ancora combinato niente? Santo cielo. Mio fratello ha delle patate sugli occhi. Ma anche al posto del cuore, credo.-
Solo l'albino, probabilmente, aveva il diritto di rivolgersi a quel modo al suo Re- cosa che alla fine non portò solo un paragone assai strano, ma anche un sorriso sul viso di Feliciano.Almeno, poteva constatare il fatto che il minore dei due fosse una persona un poco restia, all'amore in generale.
- Oh, ma tranquillo. I tuberi, se li arrostisci per bene, hanno anche un buon sapore.-
E qui, Feliciano dovette trattenere una risata. Non solo perchè aveva appena paragonato Ludwig ad una patata chiedendo a lui di arrostirla, ma per il semplice fatto di aver avuto una parvenza d'aiuto (strano, nevvero?).
Dopotutto, in un mazzo di carte v'erano 4 semi, e 13 di quest'ultime per ognuno. Non poteva certo sapere se la sua figura d'Amante sostava nei cuori, quadri picche o fiori; ma quell'uomo gracchiante davanti a sè, rappresentava in tutto e per tutto un Jolly- un tipo di carta più rara che unica, che ancora non si era prodigata di far distinzioni su chi aiutare o chi rimandare all'inizio del mazzo.
A quel punto, dopo un sommesso brusio grutturale da parte del cavaliere -una risata, doveva essere?- la poppa cambiò verso, dirottandosi verso un viso immobile, statico e duro; andando a cozzare con il sol levante, già rotondo e pieno difronte a loro.
- Non far parola di ciò che ti dico, ragazzo. Limitati ad ascoltare.-
Quello era un ordine.
Non si trattava dei soliti neri ed ironici commenti; nemmeno di un canzonatorio gorgoglio della sua voce- si trattava, di un sibilo carico di un solo è unico peccato: la nobiltà. Doveva solo sostare a raccogliere una storia, invertendo il suo abituale ruolo, e per una volta adattandosi.
Attese l'inusuale suono della sua voce -pareva già usata da qualcun'altro in precedenza, tanto la strascicava, a volte- prima di trattenere il respiro.
- Sai, come mi sono procurato questa?-  passò a pochi centimetri dal volto il pollice a contornare la cicatrice diafana, percorrendone il corso; dalla tempia, sostando sul naso, e attraversando completamente il viso giungendo poi alle labbra. Probabilmente, quell'uomo conosceva ogni singolo screzio di quel piccolissimo fiume bianco; ogni più piccola discrepanza del suo bacino.
- Avevo sedici anni. Non era la prima volta che scendevo in battaglia; ma quella volta mi avevano affidato un compito più importante. Si trattava di una campagna di espansione, dovevo attuare io il comando in nome di futuro Re.-
Il suo corpo cadde in avanti, lasciando piombare forte sulle ginocchia i gomiti piegati, volti in alto per sorreggere eventualmente il volto.
- La zona, è a est di qui, in seguito rinunciammo a conquistarla. Sai chi ci viveva? Il casato Zwingli.-
Lasciò intercorrere lenta una pausa, come per far capire a Feliciano ciò che in realtà stesse iniziando a spiegare- una storia nota, al contempo sconosciuta, evitata di proposito e scavalcata dagli stessi libri del luogo.
Feliciano si fece più attento, confuso, capendo ormai che non era l'unico, lì, intrappolato in avvinghianti situazioni; irte sino a formare cespugli di spine- e queste si aggrappavano forte ai vestiti, avvolgvano polsi e gambe, intrappolavano sino alla fine.
- Lily ha un fratello. Il suo nome è Vash. Non guidava lui il campo quel giorno, ma me lo ritrovai comunque davanti. Un valido combattente, ma anche un bastardo. Mi scaraventò a terra, prima di lasciarmi questo...bel ricordo.-
Sospirò pesantemente, l'aria si condensò davati al suo viso in fitte nuvolette; queste vennero trafitte dai suoi occhi cremisi ed infinitamente profondi, quelli di un drago.
- Credo di aver perso la vista per un po'. Persino il sangue, stava per soffocarmi. Sono giuscito a rimanere cosciente quanto mi bastava per vedere Ludwig puntato da Vash.
Appena mi vide, e capì, gli tranciò di netto la mano destra, con la quale mi aveva sfigurato. Aveva tredici anni, la bestiolina.-
Un capogiro colse Veneziano. Non era ancora pronto, ad immaginarsi un Ludwig sanguinario, così in tenera età; doveva appunto digerire l'idea del fatto che bramasse l'amore di un uomo che di tanto in tanto andava a cercar sangue fra le fila nemiche. Gilbert non poteva fargli così rendere conto, che nonostante tutti i tipi di mostruosità che poteva inventarsi, il Re riusciva ad attirarlo ancora.
Impossibile, che tutta quella valanga d'amore fosse una recita, no?
- Rimasi convalescente per molto tempo. Ovviamente mi ripresi. Il mio malessere, il fatto che avessi fallito la campagna, però, indicavano il fatto che non fossi effettivamente pronto per essere Re. Me lo disse chiaramente mio padre, allora Sovrano, non ricordo chiaramente...quando.-
Una briciola di silenzio, prima di proseguire.
- Fu Ludwig, a trovare una soluzione. Consisteva in un'alleanza, che avrebbe unito il loro partito neutro e il nostro Regno. Non mi ricordo bene i punti per l'approvazione, non starei comunque qui ad elencarteli, ma erano geniali.
L'alleanza, doveva essere sancita da un matrimonio. E il mio fratellino, rimaneva come unico erede con ancora un poco di onore.
Accettò senza battere ciglio.-
Gilbert si voltò, senza però trapassare con lo sguardo Feliciano che si ritrovava talmente preso dalle sua parole, da essersi dimenticato di non aggrottare le sopracciglia e non mordersi le labbra, evitare di avere due grandi occhi stupefatti ed intrisi di semplice dispiacere.
- Un anno fa nostro padre morì, salì al trono Ludwig. Si è scelto una vita orribile, a mio parere. Ci sono...forse cose che non sai, ma sappi che non ti riguardano. Comunque: lui è un secondogenito. Avrebbe potuto passare la vita a spassarsela, restandomi semplicemente al fianco, senza doversi inchinare davanti a Vash, che ancora gli rinfaccia il passato.
Credo l'abbia fatto per me.-
Ora l'aquila ferita aveva ritrovato un moto di aggancio; fiera si era alzata in piedi (trattenendo un mugolio doloroso, tenendosi la gamba tagliuzzata e al contempo esternando tutta la sua solita apparenza), avvolgendo il mantello sempre più stretto attorno alla figura massiccia, al suo fianco.
- Ragazzo, ascoltami. Se davvero ti sta a cuore mio fratello, regalagli qualcosa che non potrà mai avere, e che si merita. Capito?-
Finì di parlare strascicando impietosamente la voce, accompagnando lo sgraziato suono con la cadenza irregolare dei suoi passi. Alzò una mano in segno di saluto, e lanciando addosso a Feliciano una consapevolezza dolcemente straziante; che con calma si avvolgeva dentro di lui, avvertendolo però di dover fare una scelta.
Aveva, nella sua vita, cercato di evitare quel tipo di decisioni drastiche, lottando fino all'ultimo per non arrendersi all'idea di abbandonarsi a due calde braccia e di amarle non come si sarebbe fatto come quelle di tanti uomini e donne di cui nemmeno ricordava il viso- lasciare che si tramutasse in un bersaglio, per poi piazzarsi davanti a Cupido sapendo però che lui non si sarebbe mai permesso di sbagliare mira.
Gli veniva chiesto da uomini grandi e potenti, di scegliere. Non ancora avevano impartito un ordine preciso, lasciavano a lui un campo libero da innaffiare a piacimento- e che si trovasse a veder crescere ciò che stava seminando!
- Ah, dimenticavo! Puntuale per la battuta. Non portare i pennelli, ci penso io, al tuo arco!-


Seguire il proprio cuore, è un consiglio.
Pare il più facile, forse il più ovvio; ma ciò che gli era stato inculcato a forza in testa, era l'esatto contrario. 
Le aveva lì davanti, le sue possibilità.
Uno scacco matto, l'inizio di una nuova partita.
Un jolly fra le sue mani.
La muta richiesta di fare ciò che gli riusciva meglio, e che eppure ancora non aveva avuto l'occasione di conoscere in intimo.







La tarda mattina del 24 dicemre, raccoglieva pesanti nuvole gonfie e bianche, posate sulla sua testa, su un verde smeraldo ed un polmone di radici e foglie.
V'era un rilassante brusio lì al limitare del bosco, formato dai pochi cavalieri montati sul destriero spoglio- quelli erano gli stessi cavalli che aveva visto in battaglia, e che in quel momento calpestavano impazienti l'erba fresca, la terra umida e molle del sottobosco. 
Si respirava l'odore lieve del terreno bagnato, ma anche dei pesanti tronchi avvinghiati dai muschi verdi; immensi sempreverdi far da corona al paesaggio tutto- e v'erano milioni di aghi giallognoli ad indicare il sentiero, posati l'uno sull'altro ed ammassati a serpeggiare per le immaginarie vie della foresta.
Prima ancora che si annunciasse, la Schwarzwald si presentava come una distesa imponente e millenara; e coltivava le leggende più disparate con una tale maestria, da essere nominata da altri come Foresta Nera.
Lì Feliciano poteva iniziare a scorgere i primi pini silvestri, prima radi ed infine sempre più fitti, ammassati l'uno sull'altro; i raggi che a tratti filtravano coraggiosamente dalle fenditure naturali, iluminando tutto quel trionfo smeraldino di foglie e radici. Un vero e proprio labirinto.
Gli avevano detto, poco prima di partire, che non si sarebbero comunque addentrati troppo fra gli alberi, muovendosi a gruppi per non rischiare di perdersi. L'italiano era comunque circondato da cani ben addestrati e cavalieri, si sarebbe risparmiato la figura di perdersi proprio in quel momento, quando, a dire il vero, iniziava a conoscere meglio i componenti delle file amiche- che ad essere franchi, la sua media reputazione se la sarebbe giocata in ogni caso: l'arco che Gilbert gli aveva praticamente scaraventato in mano, non l'avrebbe tenuto solo per bellezza. Ed il fatto che fosse riuscito ad usarlo una sola ed unica volta, mosso dalla paura di perdere il suo amato rompicapo, non lo classificava certo come abile arcere.
- Non perdere di vista Ludwig.-
Gilbert cavalcava al suo fianco, come per assicurarsi che non scappasse, o lo si lasciasse troppo indietro. Sarebbe stato un gesto molto carino, se compiuto dal Re- anche se forse, era proprio il suo grado ad impedirgli di distrarsi dal condurre.
E dire, che quando l'albino gli aveva urlato -facendo pure spaventare qualche piccolo uccelletto nei dintorni- che sarebbe rimasto indietro con lui, il Sovrano aveva lanciato loro un'occhiata forse confusa, oppure corrucciata, comunque annuendo. - Agli ordini.-
Rispise cinguettando, posando di nuovo gli occhi vispi sulla schiena ampia di Ludwig. Come poteva, non sapere dove fosse? Era proprio lui, il suo punto di riferimento in quella marmaglia di mezzi sconosciuti e grandi fusti- il biondo dei suoi capelli, anche in lontananza, emergeva dal resto come una bandiera  d'allarme. Non portava i soliti prezioni abiti, ma anche se si trattava di abbigliamento della miglior fattura, parevano abbastanza semplici, spogli; era bello vederlo così.
Quindi Feliciano spronò di nuovo il cavallo, proprio perchè smaniava interiormente per vederlo un pochino meglio, e magari scambiarci una qualche parola- ed era strano, vedersi incollato a quello strano comportamento; adorava il vizio e piacere di essere desiderato.
Si sentiva pure un poco sbalonzolato, a cavallo; dato che il terreno era a tratti stepposo ed irregolare- ma ovviamente da percorrere, per quanta fatica e scossoni potessero farlo sbandare; e non era nemmeno un abitué della cavalcatura, come il bel Re che si stava mangiando con gli occhi.
Lo vedeva ritto ed attento, entrambe le mani alle briglie, e quel movimento quasi ondeggiante che stava incatenando il suo sguardo al bacino di lui- pareva srguire ogni singolo movimento dell'animale; anzi: ci scivolava sopra.
Sinceramente; era meglio non soffermarsi su certi particolari.
-Sir-...-
Aveva appena aperto bocca, che già si era fermato voltando il cavallo verso sinistra, e facendo cenno di abbassare la voce. Attuò poi un rapido gesto con la mano senza nemmeno voltarsi, che Veneziano non capì appieno; si trattava di una sequenza formata da tre segni- uno di questi diceva di seguirlo, indicava solo ad una persona di farlo, ed infine aveva puntato l'indice ed il medio verso l'alto.
-Fratellino, è tutto tuo.-
Evidentemente, l'arco appostato sulla sua schiena (a tal proposito; solo il peso dell'arma appioppata lì da solo mezz'ora, iniziava a dargli fastidio, figurarsi imbracciarlo e tirare) lo indicava come unico non-arcere nel raggio di kilometri. Ed infine, avrebbe potuto anche aguzzare il cervello ed arrivarci, che il Sovrano pretendeva un tiratore.
In quel momento avrebbe desiderato piantare nello stomaco di Gilbert l'arma biforcuta che aveva in spalle.
Ma ecco che la disperazione e la rabbia si quietano, da bravi cagnolini, sotto lo sguardo sorpreso ed un filino bambinesco di Ludwig- l'aveva sempre visto come un buon addestratore, di quelle bestie; sapeva sopire con la sua sola presenza sia i segugi, sia i sentimenti ringhianti che disturbavano Feliciano.
Erroneamente, l'attenzione di sua Maestà lo tranquillizzava fin troppo, tanto da fargli venire i brividi; oppure lo uccideva pugnalando spietatamente il suo cuore e al contrario, ridandogli nuova vita e vigore.
Lo raggiunse in trance, riuscendo però ad esternare un principio di sorriso sicuro anche quando fu al suo fianco, senza ovviamente parlare. Aveva avuto la tentazione di salutarlo, ma l'ordine che lui aveva impartito prima, anche a distanza di tempo glielo impediva.
Si staccarono piano dal gruppo, in silenzio- accompagnati dallo scalpiccìo delle altre cavalcature appena dietro di loro, che muovevano verso un altro sentiero, li abbandonavano lì nel verde. Probabilmente il Re rimaneva senza scorta, solo perchè nella Foresta Nera, era alquanto improbabile trovarsi difronte ad un nemico; soprattutto sotto una festa così importante.
Ed erano gli sguardi di Ludwig, che più invadenti del solito, attiravano anche la sua attenzione; era evidente che volesse digli qualcosa di...ah, oppure semplicemente avvisarlo, che la loro preda era lì vicino a loro.
Poco distante, e brucare l'erba, v'era una cerva appostata dietro ad alcuni cespugli; persino mentre compiva un'azione abituale come nutrirsi, rimaneva all'erta alzando di tanto in tanto il capo e guardandosi intorno facendo vibrare le orecchie.
Feliciano la trovò davvero bella, aggraziata, con quel suo pelo a macchie, ed in un certo senso pure simile a Ludwig- gli dispiaque, doverla uccidere. Non era esattamente l'uomo giusto per farlo.
Dovevano però procurarsi del cibo, vero?
Vide poco dopo, il tedesco smontare agilmente da cavallo, entrare in uno di quei pochi spiragli di luce e legare una briglia ad un ramo abbastanza alto, dopo aver dato una pacca rassicurante al suo cavallo. Ecco; lì, avvolto dai pochi raggi del tiepido sole di quella giornata, Ludwig pareva davvero uno di quei cavalieri che scorrevano nelle pagine dei libri di fiaba pronti ad uccidere il mostro che da millenni terrorizza una cittadina ignota e salvare la bellissima principessa.
Ecco, magari, prima di compiere quell'efferata impresa, il guerriero avrebbe anche potuto fermarsi da lui.
Decise poi di imitare l'altro però con un poco di fatica, dato l'arco lungo legato alla schiena, ma riuscì a scendere con un piccolo salto, senza fare alcun rumore. Tutto sommato, una discreta figura l'aveva fatta.
Si voltò infine verso l'animale, conscio che sarebbe toccato a lui, entrare in scena -l'aveva pensato più volte, che gli atti ed i copioni non li conosceva per niente; nemmeno era al corrente di una scomparsa.
Sentiva le mani sudargli, l'agitazione attanagliarlo all'interno, dandogli però ancora pochi granelli di tranquillità che bastarono ad afferrare l'arma, e tirare fuori una freccia dalla faretra in cuoio; sotto lo sguardo dell'esaminatore più importante in quella recita.
Non si trattava di salvare una vita, quella volta; le forze venivano meno invece di salire alle stelle spinte dall'adrenalina, persino la mira pareva offuscata dai battiti del suo cuore.
Se le mani non tremavano convulse, era semplicemente perchè si aggrappava con così forza all'arco, da neutralizzare ogni singolo altro movimento- ma un lieve tremolio lo colse mentre si acquattava sugli aghi pungenti, dietro a grumi di verdi cespugli.
In pozisione, non riusciva nemmeno a scorgere Ludwig, che si trovava appena a pochi passi da lui, e probabilmente lo osservava, lo giudicava. Avrebbe preferito non trovarsi in quella situazione; odiava non avere il pieno controllo delle sue azioni in presenza di una sua vittima.
Montò la freccia, tendendo la corda dell'arco e affiancando il capo per prendere la mira sul corpo dell'animale. Tese l'arma più che potè, accusando lo sforzo ed il suo peso, poi scoccando.
La piccola freccia fendette veloce l'aria, tagliandola in due, ma non trafisse la cerva- anzi; si conficcò nell'albero appena dietro di loro, allarmando la bestia già nervosa di proprio.
Santo cielo,non si era trattato di pochi millimetri! Nemmeno un'alito di vento, avrebbe separato il bieco sorriso (e dispiacere) di Feliciano, con la morte della cerva.
"E Ludwig?"
Non voleva soffermarsi a guardarlo, scorgere la delusione ed il suo sguardo freddo; perchè non si trattava di un uomo come tanti, che poteva passar sopra ad uno sbaglio -in questo caso: per l'italiano la finta goffaggine era stata una buona esca, per altre tante persone, ma non per il Re.
Deglutì, abbassando sconsolato le spalle, stupendosi di trovare l'animale ancora nella medesima posizione di prima, dove il suo sguardo l'aveva lasciato.
Sentì poi un fruscio appena impercettibile dietro di sè, e prima che si voltasse avvertì la piacevole presenza di qualcuno in particolare strofinarsi contro la sua schiena, e allungare le mani verso le sue avvolgendolo in un semi-abbraccio; ed il cuore si incrinò di nuovo, perse più battiti come per ricaricarsi ed iniziare solo dopo una sfrenata corsa verso l'ignoto.
Arrivò infine il colpo di grazia; la sua voce ed il suo viso così vicini al suo collo, a sussurrargli piano all'orecchio per non farsi sentire- e quel suo tono così soffuso, il timbro duro, il petto che iniziava a fargli male.
Perchè, quei dannati alti e bassi, lo coglievano sempre impreparato, trafiggendolo malevolmente ed insegnandogli che l'imprevisto era un destino più difficile da percorrere se non voluto.
- Mi ascolti, Feliciano.-
Ed ecco che arriva il primo comando, uno sbuffo appena accennato sulla sua nuca, ed un calore che lo fece sentire molle; se non fosse stato Ludwig ad avvolgere le mani sopra le sue, e fargli stringere forte l'arco (oh, oddio) probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a sollevarlo come prima, di nuovo.
Il Re era estremamente rigido. Eppure emenava un calore sì piacevole, persino le sole sue dita avrebbero potuto iniziare a plasmarlo a piacimento- difatti Veneziano si fece guidare dai suoi gesti, rimettendosi in attacco senza accorgersene.
- Miri al collo. Non lasci andare la sua preda, finchè non è sicuro di poterla prendere.-
Leggeva forse nella sua mente? --gliele aveva suggerite qualcuno, quelle parole, forse. Oppure no, lui era sempre in grado di stupirlo.
Si aspettava anche, da un momento all'altro, di sentire un lieve schioccare delle sue labbra sulla sua pelle tanto lo percepiva vicino; riuscì a cogliere il suo odore- Ludwig profumava di mattino.
Aveva la stessa freschezza ed immutabile scoperta che portava il sole ad est; faceva nascere in lui la stessa sensazione di calma mista all'aroma del verde e del cielo appena velato dalla nebbia.
Il suo cavaliere poi si allontanò, lasciandogli spazio, un'energia nuova in corpo che gli permise di drizzarsi meglio anche senza il suo sospegno, e di scoccare di nuovo con rinnovata sicurezza.
Sentì un mugolio indistinto, un tonfo poco dopo. Sul volto si dipinse un sorriso amaro.
-Presa.-
Alzandosi, riuscì a scorgere quella bella bestia distesa a terra, la sua freccia puntata nel pelo, avvolta da un rivolo di sangue. Almeno, non aveva sofferto troppo; un colpo secco ben affondato.
Guardò infine Ludwig alzarsi, forse afferrare il suo piccolo dispiacere e dagli una distruttiva pacca sulla spalla- allora; il contatto fisico non gli dispiaceva affatto, ma un omone come il tedesco avrebbe potuto spezzarlo a metà con una sola sberla.
- Sire, ora posso dimostrare persino a casa, che sono un vero uomo d'azione. Feliciano, il cacciatore.-
Vide il Sovrano sorride appena -anzi, provare a reprimere quel bellissimo sorriso- prima di chinarsi sul loro futuro pasto; e soffermandosi a guardarlo con una strana pietà negli occhi, un luccichio di sentimento durato appena pochi secondi.
- La freccia che lei ha tirato prima è ancora buona. La prend... ma dove ha mirato?-
Si soffermarono poi entrambi, davanti all'albero sotto accusa, e rimirare la prima freccia che Feliciano aveva tirato- era finita davvero troppo in alto; forse Ludwig, sulle punte, sarebbe riuscito a prenderla. A quel punto però persino un ragazzo senza pudore come l'italiano si scoprì in imbarazzo, di fronte ad un errore che non aveva compiuto volutamente. Oramai, però, aveva fatto l'abitudine a tappezzare ciò che non andava bene; da quando aveva conosciuto il minore dei Beilschmidt, continuava a bucare l'enorme tendone delle sue bugie.
Anche se il soffitto di quella tenda colorata era diventato così alto -come quella freccia- e aveva costantemente bisogno di aiuto prima rimettere tutto a posto.
-Maestà, mi duole dirvelo, ma non credo di poterci arrivare. Eh...emh.-
A quel punto il biondo si avvicinò, tentando di allungarsi ed aggrappandosi al tronco ruvido; ma non aveva tenuto in conto la sua vecchia ferita al fianco, che ogni tanto si faceva sentire pulsando sotto le bende. Fu Feliciano a fermarlo, prima che si mettesse a saltare o altro, testardo com'era, e proporgli...un qualcosa di differente; comunque doveva dissuaderlo dall'andare avanti a tentare di far qualcosa che non sarebbe riuscito a terminare.
- Ve lo chiedo io, potete anche rifiutare. Riuscireste, a sollevarmi?-  
Incontrò poi lo sguardo azzurrino di Ludwig puntato su di lui; l'unico pezzo di cielo visibile nella fitta foresta, contornato da tanti, tantissimi raggi luminosi e biondi- e lo scrutavano con un interesse, un probabile pensiero rivolto a lui, che fece venire i brividi all'Amante; che comunque gli sorrise, ostentando una calma che non aveva.
Sussultò inaspettatamente, mentre il Re si abbassò ("Ripetilo, Feliciano: l'improvviso non porta sempre male!"), portandolo a sè ed avvolgendolo con forza, stringendo un braccio intorno alla vita sottile, ed uno sotto il suo sedere- Feliciano rischiò poi di aggrapparsi a lui in malo modo, dato che lo sollevò poco dopo, con un gemito di sforzo.
Posizione davvero inusuale, forse migliore capovolta in orizzontale; ma in quel momento doveva concentrarsi sulla freccia, null'altro- oh, per esempio le sue gambe; che non volevano starsene a posto e stringevano i fianchi, ed il petto del cavaliere, il viso bellissimo e contrito dell'altro, che intravedeva vicino al suo ventre, e "oh santa pace, Ludwig."
Non si capacitava, di come il suo Re, riuscisse ad imbarazzarsi per due semplici giravolte in un salone, e non per quello- no, anzi no: ora che aveva rivolto lo sguardo oramai incurabilmente malizioso verso di lui, lo vedeva tutto rosso. Magari, per il peso.
Si decise infine ad afferrare quella benedetta freccia, cercando di non rovinarla ulteriormente mentre la tirava per la punta piumata; rivolgendosi, a lavoro terminato, alla sua scala preferita.
-Ho fatto.-
Non gli importò molto, dello sguardo lontano di Ludwig, ma piuttosto del modo in cui cercò di posarlo di nuovo a terra. Scivolò letteralmente fra le sua braccia, che ferme com'erano gli scompigliarono tutti i vestiti- sentiva chiaramente la sua mano destra, ed il cuoio liscio dei guanti fare presa direttamente sulla pelle nuda della schiena, dopo che aveva involontariamente alzato la sua maglietta.
E diamine, quelle gambe non sapeva più dove metterle! Aveva avuto la tentazione di avvolgerle ai suoi fianchi, ma si ricordò poi della sua ferita, e accontentandosi poi di arpionarlo solo con una di queste.
Per tutto quel tempo -meravigliosamente infinito- non si era perso lo spettacolo del suo viso, degli occhi chiari puntati nei suoi; così profondi, sempre velati da una nota di tristezza. Perchè, dopo che si riusciva a rompere il suo scudo, persino i suoi occhi davano una breve visione delle sue emozioni; ed in un cantuccio, sempre lì, v'era un velo lievemente più scuro che l'italiano avrebbe tanto voluto dissipare. Vedere il suo ammazzadraghi finalmente felice, sarebbe stato il massimo.
- Sire! Avete qualcosa nei capelli; non vedo bene però cosa può essere. Un insetto? Lo tolgo subito!-
"Grazie insetto. Grazie."
Aveva temuto di ritrovarsi senza parole semplicemente guardandolo così, rimanendo sempre in braccio a lui- ma ecco che si presenta una variante decisamente più leggera di quella situazione , e Veneziano non può che coglierla al volo, e godersi la sua espressione mutare- accarezzò piano i capelli corti, forse scompigliandoli anche più del dovuto (Aveva il vizio di giocherellare sempre con i capelli dei suoi amanti; perchè non rinnovare il gesto sperando che porti pure fortuna?), trovandoli morbidi sotto le sue dita; e togliendo solo infine una piccola foglia verdognola, insidiatasi sul capo Reale.
- Oh, era solo una fogliolina.-
La portò davanti ai loro visi, facendogliela vedere come se si fosse trattato di un bambino, mentre finalmente toccava terra- no, altro che finalmente, era un dispiacere.
Epure Ludwig reagì sbuffando (divertito?), arrossandosi forse involontariamente, magari per la rabbia, o l'imbarazzo.
-Lo ripeto: siete esasperante.-
Iniziò a camminare, verso il suo destriero per caricare la preda.
- Sono la vostra croce, l'avete detto pure voi.-
Cinguettò Feliciano, non aspettandosi certo una risposta, ma togliendosi comunque un suo sfizio personale- lì nella foresta, nessuno avrebbe potuto sentirli, nemmeno i suoi stessi pensieri.
Lì, nella Schwarzwald, era nascosto dalla realtà, da ciò che l'avrebbe aspettato al campo e nalla radura, fuori da quel trionfo di radici, foglie,fiabe e leggende- immerso in un nuovo inizio, in vecchi conti passati; nel suo oblio preferito ed una futura lettera da mandare a casa, semplicemente per far sapere che la Croce del re era ancora viva.

-Confermo.-










* Si riferisce alla Morte.
** Il solitario, è un gioco dove si posizionano tutte le carte usate (in questo caso) per la Briscola (vedi: semi di danari, spade, bastoni e coppe) dove bisogna ritrovarsi infine ogni carta in ordine, al proprio posto. Se voltando una carta trovando un Re, è come se si perdesse una "vita".















Blacket's Time:
Allora. Ciao bellissimie voi.
Scusate il ritardo, ma ho dovuto modificare pesantemente questo capitolo e; dato che quello precedente non mi è piaciuto particolarmente, ho cercato di rallentare un poco i tempi per spiegare tutto con calma, pregando che tutti voi, leggendo ed arrivati alla fine, pensiate una cosa del genere "Hey, ma non è stata una perdita di tempo, questa volta!"
Sperando che sia così, lascio a voi i dubbi esistenziali del Natale- perchè il prossimo capitolo sarà incentrato solo sulla festa (anche se siamo all'alba dell'estate, noi siamo alternativi, e leggiamo del Natale), e...diciamo, che accadrà un finalmente che non sarà poi tanto finalmente, ma forse qualcuno di voi aspetterà quel momento.
Non lo so, vedrete voi.
Comunque.
Ringrazio tantissimo tutte le persone che leggono questa Fic, che mi seguono, che trovato il tempo persino per dirmelo - Vi amo. Sposatemi.
Un Enorme grazie a chi inserisce nelle preferite, seguite, ricordate, e la corona d'oro agli angioletti che mi recensiscono, e si fanno sentire :)

Rngraziamenti:
Adeline_Mad: Tutti questi complimenti, sappilo, non me li merito. Sei sempre così gentile a scrivermi delle belle recensioni, sappi che lo apprezzo davvero molto!
H2o: Ah, il tuo parere mi interessava davvero troppo. Dovevo sapere cosa ne pensavi del capitolo, e contro tutte le mie ansie, mi hai pure detto che è il tuo preferito. Un grazie immenso, davvero!
McBlebber: Sono contenta che tu abbia trovato bello il paragone con il Cerbero, e che abbia apprezzato Gilbert. Allora, questo capitolo ti piacerà sicuramente! Grazie ancora, dal cuore!
Aranciata_: Grazie! Le tue recensioni mi reandono sempre molto felice :) Come vedi, ho caratterizzato Feliciano un poco OC, ma sono esigenze di tramaH. Qui si spiega meglio il tutto, spero che il capitolo ti piaccia!
SoulSister: HAHAH Ciao :) Non so bene come mai, ma mi aspettavo al tua recensione, bella donna.
Allora, sono contenta che tu abbia apprezzato il bacio, ed il capitolo in generale, sono ancora più contenta he tu mi abbia invogliato a scriverne uno nuovo.
Oh, dimenticavo. Burro e Bauscha (L)
cake: Grazie per la recensione! Sono contenta che la Fic ti sia piaciuta, spero continuerai a seguirla!
Lord_Trancy: Dimmi come posso, non ringraziarti. Questa è probabilmente la più lunga recensione che abbia mai ricevuto! Oddio, ti devo davero ringraziare tantissimo! Apprezzo davvero il fatto che tu ti sia messa a riscrivere tutto per la Fic, e---e-. Ne sono rimasta un po' commossa, ecco.
Io trovo che tu abbia scritto davvero molto, di particolari che forse non tutti notano, e sappi che già questo mirende davvero molto felice, e realizzata.
Ti ringrazio tanto, e spero che il capitolo piaccia :) Besos!
sara_sakurazuka: Sei davvero adorabile. Due capitoli, mi hai recensito! :) Un grazie davvero enorme per il tuo supporto, si! Spero che il capitolo ti piaccia!!





Baci, Blacket.




















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Capitolo 10
*** - X Capitolo - ***


L' A. del Re 10
Capitolo X
- Natale -










Sia in spaventose vicissitudini che nelle quotidiane tenzoni cavalleresche, vien spontaneo innalzare verso altri e popolani la propria figura di "Cavaliere".
Ciò che i millenari galantuomini hanno difatti in comune con L'Amante, è una semplice abilità quasi innata, ma quanto mai ragguardevole: il destreggiarsi fra più problemi, utilizzando solo il proprio nome- un risultato importante, di singolar attenzione ed importanza.
Non sarà poi necessario specificare, che queste due specie, hanno potuto trovare un fragile punto d'incontro solamente adoperando questa qualità [...]






Anno del Signore 1307 - Dicembre

Erano forse i piccoli occhi predatori e giallastri a catturarlo- non che si trattasse di una patetica congettura mentale, ma ciò che riusciva a distrarlo dalle due corone doveva sicuramente rappresentare un valido avversario per la sua proverbiale concentrazione, quale: spirito d'osservazione.
Riuscì suo malgrado a voltare il capo al gioco voluttuoso dei cirri sparsi in cielo; un eremitico vagare di pompose strisce nere e bianche ammucchiate nel cielo, tutte impastate fra loro, rese un crogiuolo di sentimenti filtrati da furbi raggi pomeridiani- così scaltri e svelti, andavano a bucare persino il gorgolìo lontano degli ammassi grigi di pioggia, che si tenevano però sorprendentemente a distanza, quasi la vicinanza dei candidi veli bianchi sparsi nel cielo li intimorisse. Oppure li irrigidiva il freddo, che saliva e scendeva veloce dai contorni gelidi e netti della foresta Nera, incontrando poco più in là l'accampamento (un insignificante fiato di calore e vita), dove le croci degli alti e Santi, anche se lontane della proprie cattedrali, si innalzavano contro il cielo ed il gelo che le incrostava, fremendo verso la festività; e lì Feliciano aveva evitato di vedere, il tappeto di Crocifissi e le loro punte più o meno decorate sfidare le alte sequoie che li circondavano.
La colpa ricadeva quindi tutta sul rigido piumaggio selvatico del rapace, ricurvo sul piolo di legno- era impegnato a puntarlo come fosse una preda, severo ed immobile; ogni tanto lanciava degli urli strozzati, apriva imperioso le ali mostrando alla plebalia sotto di lui i colori aranciati e caldi delle sue piume, subito contraccambiati dagli irti artigli lunghi e neri, conficcati sul suo appoggio.
Si trattava del Re di quella sua tenda, ciò che lui vedeva come l'ennesima personificazione (questa volta volatile) di Ludwig. Il fatto che riuscisse a vedere quell'uomo ovunque, faceva lentamente ammalare la sua personale coltivazione di decisioni- tutti i piccoli semini stavano rivoltandosi indegnosi nel terreno, non concedendo al povero contadino nemmeno la soddisfazione nel vederli crescere; procurandogli solo dispiacere e noia, altre dure mattinate passate a solcare gli stessi pensieri con il pesante aratro, e buttare di nuovo nella fresca terra tante piccole idee.
Peccato che, fino a quel momento, solo una o due di loro fossero germogliate a dovere- e dire che una di queste, voleva pure estirparla.
Un pensiero drasticamente filosofico, per un povero amante crudelmente agganciato da un prepotente falco ramato, sotto lo sguardo animalesco e severo, già arrabbiato e furioso a prescindere.
Quasi si sentiva in soggezione, ad entrare in quela tenda sciroccata, dove solo alcuni minuti prima aveva intravisto volarci dentro un frizzantissimo Gilbert- vederlo correre e zoppicare assieme, mentre gridava un "Bruder! Bruder, guarda qui!" aveva comportato una serie di meccanizzazioni non troppo elaborate da parte sua, che pian piano lo fecero zampettare verso l'entrata di quel gigantesco cuscino (riusciva a vedere chiaramente da lì, le piume a terra, e svolazzanti per aria).
Ed eccolo fermarsi al lascia passare, giusto perchè non aveva fatto conto della comparsa di quell'insospettata guardia più istintiva che arguta.
Sulla sua testa veleggiavano nuvoloni plumbei, navigavano silenziosi l'uno sull'altro scontrandosi e scostandosi spinti dal placido e gelido vento; esso trasportava ignaro l'inverno, per tingere di tremolii anche il Natale, condensare le parole in fitte nuvolette di vapore, e calpestare il ghiaccio e la brina piacevolmente crocchianti sotto i piedi.
Il contorno della sua visione, si faceva fioco, di una tinta sfumata e colorata con tratti veloci, imprecisi- solo perchè, alla fine, i più bei chiaroscuri si raggrumavano nel perfetto centro dell'ambitacolo; ove scintillavano i marroni, le rapide occhiate dei prestanti battaglieri del cielo, un solo lume che pennellava magicamente d'oro la luce, che vibrava e riluceva sulle gabbie chiuse, sull'ombra di una corona.
Quel prezioso metallo stava iniziando ad ingombrargli la vista, oltre che il cuore.
- Fratellino, presta attenzione. Guardalo, non è bellissimo? La mamma l'ha abbandonato, l'ho trovato dopo la battuta.-
Feliciano riuscì a catturare qualche piccolo movimento goffo delle mani chiuse a coppa dell'albino, come un faticoso muoversi; gli vennero in mente degli arti "convalescenti" e legati tutti assieme, un terribile risveglio ed i polmoni suoi che immedesimandosi si accartocciavano impietosi.
- Eh, magari qui ci troviamo una mamma...Lo sai che mi è venuto subito dietro? Appena mi sono avvicinato ha cominciato a chiamarmi.-
E dire, che Feliciano si aspettava, di doverselo trovare davanti da un momento all'altro, imponente e bello come sempre- l'unico vero e raggiante fascio di luce (per quanto potesse essere serio) compreso in tutto quell'accampamento. Veneziano aveva notato già parecchie volte il portamento semplicemente superiore, di una spontaneità spaventosa che Ludwig pareva non sapere di possedere; anzi, forse era proprio questo il particolare invisibile e al contempo visibilissimo del suo fare.
Oppure erano le sue peculiarità fisiche- precisando: non somigliava troppo al fratello, solo alcuni tratti del viso marcavano una sconosciuta somiglianza, ma in quanto ad originalità, potevano dirsi quasi pari.
Vederlo comunque muovere pochi passi, ritto in piedi come una statua e poggiato lievemente sulla gamba destra; il braccio alzato e piagato ad angolo, forte e robusto dove solamente pochi secondi prima aveva sostato un falcone di una grandezza e aspetto singolari- in confronto, la guardia piazzata all'ingresso era un piccolo e caro fiorellino di campo- era comunque una dolcissima tortura.
Era quasi sicuro di aver intravisto delle striature rosate farsi largo a solcare il dorso dell'animale, ma ogni sua sinapsi era collegata ad un biondissimo (forse?) neofalconiere; per quanto ne sapesse lui.
Aveva uno sguardo così assorto, concentrato; le pieghe del viso rilassate, le labbra semischiuse- e cielo! Quanto, quella beata espressione gli ricordava un caldo strofinarsi di visi, di piacere e pensieri, ed un fruscio lontano di coperte, la pioggia che all'improvviso riesce a risentire dal suo potente ricordo, come la perfetta colonna sonora di un altrettanto perfetto bacio?
"Dannato, lui!"
Mosse pochi ed incerti passi al coperto, verso quell'utopica e non immacolata visione; si ritrovò a sfilare in mezzo a rapaci e volatili- venne brutalmente attaccato da piume, peli e le perfide occhiatacce dei suoi stessi osservatori, quindi tossicchiando e cercando una parvenza di eleganza o la piccola briciola di bella presenza che poteva essergli rimasta, litiga con il piumaggio inanimato ma volante, allontanandolo con una mano.
Si vergogna un poco di quella sua figura, anche se l'unica persona che lo preoccupa lì dentro è Gilbert, che pare troppo preso da una sottospecie di batuffolo tutto dolorante, piumato anch'esso.
- Gilbert, gli altri falchi il pulcino lo mangiano, se non è loro.-
Ludwig chiuse una pesante gabbia, facendo tintinnare i ganci e serrando per bene la porticina di quest'ultima. Incontrò sospirando lo sguardo pensieroso del fratello; pareva volesse architettare un qualcosa, l'espressione volpesca non era frammentata da cedimenti, o atti di pietà.
- Non essere così schietto, la prossima volta. Vuol dire che lo curerò io. E--.. ecco, guarda come ti urla a dietro. Evidentemente, ti ha sentito.-
E dire che il Re si voltò persino verso l'accusato appena nato, tutto pigolante ed evidentemente disperato.
Si ricordò, Feliciano, di quell'unica volta in cui il maggiore dei due si era presentato ringhiante ed insormontabile davanti ad una piccola personcina, che tanto sembrava leggera e delicata; "Di cristallo", come gli piaceva pensare.
Se Lily aveva impercettibilmente tremato innanzi a lui, il povero, minuscolo pennuto gridava dallo spavento: dopotutto, invece che il marrone caldo del nido, aveva puntati su di lui due fari vermigli.
- Dagli da mangiare, invece che aizzarmelo contro.-
Parlò di nuovo il Re; aveva una voce così rilassata e mobile, dalle sua labbra uscivano dei respiri rilassati, parole che forse fino a quel momento non aveva mai sentito sotto quel misterioso tocco melodico- e Feliciano si chiese, per un secondo, come fossero apparsi entrambi i genitori dei due ragazzi (si, perchè alla fine quello erano), in tutta la loro grandezza e fiutabile regalità. Si immaginò il rapporto fra loro, una famiglia che potesse essere definita tale.
I due fratelli, avevano una strana complicità, che abbatteva le file della loro storia e apparente diversità- c'era una palpabile unità nascosta sotto alle loro parole, ad ogni più piccola occhiata o gesto: ecco a lorsignori, i rari momenti i cui entrambi gestivano la maschera di semplici uomini; persino l'italiano sentiva fremere la semplicità ed una semplice fratellanza, non solo pattuata con il sangue e l'onore, ma persino dall'affetto.
Probabilmente tutti i pregi e difetti che dovevano essere a loro attribuiti, erano così prepotenti ed intensi che avevano dovuto scegliere al principio quali qualità e maldicenze accaparrarsi per svilupparla al meglio- risultavano agli occhi estranei un'opposto un poco equilibrato, asimmetrico ed impreciso proprio come il fregio che portava Gilbert in volto. V'erano dei piccoli spazi d'unione, alternati ad un solco sempre più profondo e netto.
Anche il loro modo di salutare rimarcava il concetto: Ludwig si annunciava con un marcato "Buongiorno a lei", e l'albino in risposta gracchiava un "Salve! Feliciano, prendimi un poco di carne cruda dal ripiano qui dietro", seguito da occhiate, un borbottio pronfondo, quella complicità invisibile che si allaciava di nuovo.
Veneziano rispose ad entrambi con un inchino, sorridendo nervoso e stringendo ciò che prima aveva tenuto in mano (una lettera per i cari ed onnipresenti, che aspettavano sue notizie l'uno bestemmiando, l'altro sospirando, ed il terzo tranquillizzando L'imprecatore) - ma la Corona era per lui una distrazione sempre più forte, e appena aveva scorto quel lido così familiare, e pieno di "Ludwig", non aveva fatto in tempo a frenare le sue gambe ,che semplicemente si erano avvicinate all'oggetto del suo desiderio come naturale che fosse.
Voleva restargli vicino come poteva, anche immergendosi nell'umitlà e nella semplicità, inchinandosi al suo cospetto, come non aveva certamente progettato di fare.
- Sire, Gilbert.-
Abbassa il capo, ansioso di giocarsi l'evoluzione di quel piccolo momento. La voglia di scoprire come potesse il Re sorprenderlo di nuovo, ed esaminare infine la sua stessa persona forzata alla sua presenza, sotto il suo incantesimo, lo rinvigorivano con sconquassati sbalzi di vitalità.
Evidentemente, da ciò che aveva capito in precedenza, Ludwig non voleva parlare del loro rapporto, per quanto strano e complicato potesse apparire- perchè diamine, lui era un Re, si poteva permettere di dimenticare le frivolezze e le stupidità, che le avesse intorno o meno. Quel suo atteggiamento chiuso nei confronti di quella bieca intimità che si era andata piano piano a riscaldare lo invogliavano sempre più a scoprirlo definitivamente; continuare in quelle abitudini che tempo prima aveva chiamato "arti", semplicemente utilizzandole per uno scopo sempre più bello, diverso.
Almeno, questo era quello che avrebbe tanto voluto fare.
Il suo vecchio essere si sarebbe destreggiato molto meglio in certe situazioni dove lui dimenticava battute e tempi, dove non sarebbe stato il cuore a rovinarlo proprio all'inizio della sua ardua impresa. Dopotutto, di cavaliere nel loro duetto era Ludwig, e già di miracoli ne aveva fatti parecchi.
Difatti quel momento era testimone delle sue congetture; gli occhi ambrati letteralmente avviluppati al suo viso non avevano voglia di prendere fiato e mescolarsi alle piume levitanti, non si indurivano ma rimanevano limpidi e freschi, accompagnati da un sorriso orribilmente naturale.
Il pensiero che non potesse sapere cosa pensasse lui avendolo vicino, lo pizzicava insistente dappertutto- una sensazione assai sgradita, fastidiosa ma al contempo ispiratrice e profana. Quando avrebbe dato, per poter cogliere un solo suo pensiero?
Probabilmente, sarebbe stato così schematico ed organizzato, da non riuscir a cavar fuori un bocciolo d'allegria.
- Perdonate l'intrusione. Cercavo il messaggero ch'era venuto qui giusto per il Santo Natale. Intendevo spedire una lettera alla mia famiglia, e la sfortuna volle che non potessi trovarlo.
Ho visto il Cavaliere entrare qui, pensavo di domandare a lui. Non credevo di trovare anche voi, Maestà.-
Uscì un pensiero stranamente corretto e fluido, in contrapposizione alla beata espressione rivolta ad un confuso biondo. Notò infatti, gli occhi azzurri così delicatamente illuminati dal lume, battere due volte di più le palpebre appena si era lasciato sfuggire "Cavaliere" dalle labbra- e santo cielo! Era incredulità, confusione, quella che vedeva sul suo volto? I tratti d'improvviso più marcati e le mani corse a tediarsi l'una con l'altra disegnavano con un tratto veloce un nuovo pensiero, sfumato sulla tela grezza; ma già le linee si marcavano sicure senza lasciar spazio agli schizzi e cancellature, una stoffa impregnata di un profumo disdicevole per i reali, un banale caso di infantile dispiacere. Ed ecco formarsi il nuovo aspetto del Sovrano, di gran lunga uno dei più graditi dall'Amante.
- Feliciano, lo so io, dov'è l'uomo che cerchi.-
Gorgoglia la voce di Gilbert, muove i primi passi tossicchiando assieme al piccolo pulcino pigolante fra le sue mani; quest'ultimo si muoveva sempre di meno, quasi si sentisse già a più agio nel nido artificiale creato dalle mani dell'albino, ed aspettasse solo di conoscere meglio la sua nuova mamma. Dopo aver mangiato, si era forse arreso all'evidenza di essere per ora il passatempo preferito da un impavido guerriero, che lanciò poi una veloce occhiata alla situazione, e persino la sua cicatrice parve sogghignare.
- La porto io la lettera. E tu, pulcino, vieni con me.-
Una mano si dimenò alla cieca, rubando letteralmente la carta spiegazzata intestata a Romano Vargas, e Gilbert sgattaiolò via claudicante, accompagnato dal nuovo amico pennuto (ed un sussurro di Ludwig, la spazientita balia che brontolava di non leggerla la lettera, perchè non era sua)-  Feliciano lo intravide come un piccolo botolo giallognolo, ancora deciso a farsi valere strillando come poteva, sbalonzolato ovunque a causa dell'andatura sbilenca della sua carrozza in armatura.
Nella piccola tenda rimase a vagare per pochi secondi l'ombra distante del maggiore dei tedeschi, i gridi strozzati e tentennanti dei falchi rinchiusi nelle gabbiette, il vento che là fuori sfrigolava contro i teloni ed attraverso le belliche armi oramai fredde; lo raggiungeva a spruzzi, puntellando di quando in quando le poche fessure che il mantello grigio lasciava scoperte sulla pelle.
I due rimasti furono avvolti da un silenzio ingombrante, per nulla spiacevole e a stento trattenuto; le parole rimanevano imprigionate fra le loro labbra, si muovevano a scatti come per iniziare a parlare, ma pareva che quei malati brusii fossero l'unica cosa che entrambi trovavano innocui ed adatti, mentre Ludwig voltava lo sguardo verso tutto il corpo della tenda, non dando forse volutamente l'attenzione bramata da Feliciano.
Si trattava di un'enorme macina, straripante di giallo grano così leggero, dal buon odore; ed era pronta a dar vita alla farina, al pane, al semplice trionfo quotidiano dei felici- ma la ruota faticava ad azionarsi, gli ingranaggi opulenti ticchettavano severi il loro impacciato sciopero; eppure avrebbe portato così tente buone cose se avesse iniziato a funzionare.
- Preferiva non vedermi?-
Ecco che il mulino parte con uno schioppo deciso, inaspettato; piano piano i chicchi dorati scendono per far del bene dove devono. 
Veneziano strabuzzò gli occhi davanti a quella domanda, ostentando finta tranquillità e scioltezza: Ludwig non doveva accorgersi che lui stava giustamente morendo dietro al briciolo di interesse mostrato nei suoi confronti; se poi proferito con parola così umile, così umana.
- Sire, perchè dovete... pensarlo? Ve lo dico, è stato un piacere trovarvi qui. Forse prima non mi sono espresso a dovere.-
Qual gioia, riuscire a guardarlo proferendo la verità, senza doversi nascondersi sotto altri costumi, nomi; il Re lo faceva sentire a suo agio, incitandolo sempre più a cavar fuori le sue maschere di carnevale, a buttarle via senza che si fosse ritrovato a tirarle più fuori. Non riusciva, l'italiano, ad impostare i suoi pensieri, le sue azioni in una fila più o meno ordinata- con lui era tutto diverso, naturale, persino incoerente.
Si divertì a cogliere i lievi mutamenti nell'espressione del suo coraggioso eroe, ora tutto ingarbugliato in una tenerissima trappola che si era preparato lui stesso, la sua serietà che annuiva, ed un lieve colorito sulle gote. Perchè era stato tanto ardito dal fargli una domanda simile?
- Maestà. Vi conosco abbastanza... ora, da potervi chiedere se c'è qualcosa che dovete dirmi.-
Soffiò con una certa audacia, cercando infine di addolcire le sue parole cambiando di tono, decorando il tutto sorridendogli e cercando il suo sguardo.
- A cosa si riferisce?-
Forse non era la risposta che tanto aveva aspettato. Rimuginava su un lieve accenno a quello che era accaduto ancora prima di partire, magari una pioggia salata di poche lacrime, la febbre che si alzava ancora nella sua mente, Ludwig che magicamente si spettinava di nuovo e lo guardava confuso, il viso rosso.
Nulla di tutto ciò.
- State...meglio? Dalla vostra convalescenza. -
Reclinò il capo, solo per seguire i passi del tedesco, ora rivolti verso un piccolo tavolino che pareva essere stato usato come ceppo d'allenamento. V'erano profondi tagli, scoprivano il legno più chiaro e nodoso, ricoprendolo come potevano.
Ludwig si girò, guardandolo fisso; gli occhi azzurri questa volta lo accarezzarono soltanto, tranquilli.
- Si. Molto meglio. -
Veneziano si limitò a sorridergli, forse grato di aver ricevuto un'attenzione così lieve ma comunque sentita; mentre divorava i suoi movimenti calmi, sempre toccati da una certa reagalità non soffocata dal vestiario realtivamente semplice che indossava quel giorno, dai particolari che Feliciano iniziava a notare sulla sua persona: la barba bionda, appena visibile che perforza di cose iniziava a crescere, il fatto che avesse una fossetta a lato destro della bocca quando sorrideva (Oh, oddio), il modo in cui si tirava indietro i capelli, plasmando la capigliatura con cui aveva imparato a conoscerlo.
Avrebbe potuto scrivere un libro solo sui particolari del suo viso, ogni sua abitudine espressiva che forse in pochi avevano potuto cogliere dato il suo apparente essere una statua.
Una scultura lavorata ad arte, ricordiamolo.
- Ho fatto uno strano sogno, quel giorno. Sarà stata colpa della febbre.-
Ah, come poteva Feliciano non adorarlo, quando si apriva così con lui. Gli forniva fiducia a gocce, alcune informazioni che filtravano prima da un'accurata scelta personale, sgusciavano poi involontarie dalle sue labbra- era un privilegio, poter ascoltare qualcosa in più riguardo la sua materia preferita, dalla sua voce, da lui.
Lo vide avvicinarsi poi verso l'uscita, posare un paio di guanti pesanti, marroni, adatti al lavoraccio che stava facendo poco prima con suo fratello sul tavolo martoriato, passargli in fianco con i soliti movimenti misurati e precisi; il mantello si muoveva dietro di lui nemmeno gli avesse comandato di vibrare nell'aria e scivolare a quel modo addosso alla sua figura.
- Mi rammarico, devo lasciarla. A presto.-
"Ah, Mi rammarico."
Si congedò velocemente, soffermandosi davanti all'italiano, presentandosi così crudelmente bello davanti a lui, ma come se gli fosse stato messo in bocca una sottospecie di mangianastri rotto, che comunque l'Amante apprezzò- era ancora intento a pensare, a cosa avesse potuto sognare al posto delle loro labbra unite, dei fiati tirati corti fra una marmaglia di bende e coltri.
Avvertì solo infine, quando già si prostrava in un veloce inchino, un rapido tocco caldo vicino al suo viso, fra i suoi capelli; e pochi secondi dopo la mano di Ludwig riemerse dai fili ramati, inchiodando la loro attenzione sul soffice oggetto marroncino incastrato fra le sue dita.
- Piuma.-
Feliciano cinguettò vergognosamente fra sé, sotto la sua espressione quasi incuriosita, ripetendo la mancata devozione verso il regnante anche quando la capigliatura-bandiera (certo, era riconoscibile dovunque, con o senza corona) veleggiava già più lontano, esposta al freddo e a chissà quale pensiero o piano.
Sospirò - un gesto inusuale, strano, stranamente cercato e voluto come semplice e nuovo - venendo poi chiamato a rapporto dall'ultimo starnazzare della guardia, fissa sul piolo e davanti al tramonto.
Persino gli occhi ora fiammeggianti del rapace, raggomitolato e gongolante, attendevano che l'intruso uscisse - forse era ciò che nella piccola testa piumata aveva sperato ancora prima di vederlo; ma arrivate le prime messaggere della notte, brillanti e silenziose (un poco inconsuete, flebili e delicate contro tutti i tendoni preparati a guerra, forse solo in concordia con l'immensa Schwarzwald stesa placida sotto di esse), non poteva che sopirsi per l'ultima volta, così da dare tutte le invisibili benevolenze e regalità che un falco potesse regalare ad un atteso ospite.





La foresta, i rauchi cinguettii e gli ululati scanditi per la luna, cercavano invano di delineare i contorni degli infiniti pioppi silvestri, là dove il cielo si tingeva di nero, confondendosi con gli stessi confini terreni dell'orizzonte alberato. Pareva che dai loro piedi partisse il fascio celeste, che strisciasse dalle loro risate fino a mischiarsi con il cielo ed allungandosi sempre di più, volgendo loro il sorriso lunare velato da sottili fili nuvolosi- ma quel piccolo sputo di allegria, rappresentato da duecento metri quadrati, si faceva un beffo del pallido satellite portano lì il centro del Mondo.
Per quanto Feliciano iniziasse a sentirsi violato dall'Oro, quella sera non potè che rendergli omaggio per aver compiuto un miracolo; assieme alle dovute teutoniche teste calde.
Non era certo la quantità del prezioso metallo a crear la magia, dato che solamente il Re ed i suoi più cari vassalli potevano permettersi di trascinarsi in guerra pietre luccicanti; il tutto consisteva nel perenne colore del sole, che svettava senza paura ad illuminare la notte in tutti i modi fatalmente possibili: strisciava a terra a creare nuove ombre e giochi di luce, filtrava dalle mille lanterne scivolando nei boccali stracolmi del famoso "oro potabile", riusciva ad accendere dei sorrisi anche nella fatica- la prospettiva di una gioiosa festa, dell'essere ancora vivi davanti al cibo che loro stessi avevano potuto catturare quella mattina, di poter di nuovo aver vicino amici e compagni, una casa piena d'amore ad aspettarli, aveva fatto in modo di permeare il tutto con un'atmosfera a cui bisognava essere solamente grati, magari proprio sorridendo.
Feliciano, nonostante Romano gli mancasse molto, riuscì a pescare un poco di "casa", anche in mezzo a nuove facce sconosciute, ma che insieme avevano attraversato esperienze utili anche nel legare due persone.
V'era un borbottìo rassicurante, i continui brindisi dei commensali appena usciti da una messa improvvisata- l'italiano vedeva anche un'immenso taglio di due fazioni; gli occhi avevano valutato presto gli abiti immensi e decorati di rosso, l'atteggiamento lievemente più contenuto di chi si poteva permettere di parlar di danaro anche difronte ad uno scudo e lancia.
Lì non era la sua fama a dargli l'occasione di incantare con maestria, come aveva sempre fatto- che fosse uomo o donna, la sua vittima o meno- , era molto più confortante cercare di sopire quel disperato bisogno di amore provato negli ultimi giorni dovuto non solo alla lontananza da casa; ed era infine un sorriso, quella che si lasciava scappare in più, scoprendo una risata di nuovo viva e impercettibilmente dissimile da quella che aveva usato poco tempo prima. Si sentiva euforico, già rosso in volto per quelle due dita di birra deglutite a fatica, le parole che uscivano più veloci e dinamiche, con sicurezza.
Forse, proprio perchè si era accidentalmente trovato seduto accanto a Ludwig.
Lì le tavolate erano immense, al coperto, imbandite di ciò di cui avevano più bisogno: un piatto caldo lievemente più abbondante del solito, giusto per saziarsi e ricordare che effettivamente era festa- ma erano anche tutte uguali; poteva presentarsi l'ultimo piccolo soldato sfregiato dall'acciaio, lo zoppo, il Generale e persino il Re- tutti si sarebbero seduti sullo stesso sgabello legnoso, sopra un tavolo consunto e costruito alla meno peggio, davanti ai propri compagni di vita. Una novità, per Veneziano.
Non fosse forse per le livree diverse da quelle dei Beilschmidt, che alternavano diversi colori altrettanto sgargianti ma insolitamente scomposti, che per l'Amante portavano solo un pesante pensiero, cancellabile dalla presenza di Ludwig, ed un goccio della Dama Ambrata. E dire, che Lily e Vash erano solamente a pochi metri da lui, stavano mangiando nel suo stesso piatto, poteva udire ciò che dicevano, con un po' di attenzione.
Appena erano arrivati, aveva dovuto assistere ad i convenievoli di riverenza da parte del suo biondo verso la non-Regina, un baciamano che gli aveva rivoltato lo stomaco. Grazie al cielo, Gilbert si era prodigato di dedicarle un ghigno selvaggio; una vera e propria prova di coraggio, considerata la parvenza fragile della povera ragazzina, che giovane e delicata non poteva certo avere accollate tutte le colpe. Quella sera in particolare, Feliciano aveva dedicato un poco del suo tempo ad osservarla: i capelli questa volta lasciati ricadere sulle spalle magre, stranamente più corti rispetto alla media; parevano sottili fili pregiati, tutti intrecciati sulla nuca, in una non troppo vistosa capigliatura. Le gote si ombreggiavano di un lieve rosa, luccicavano gli occhi innanzi ad un marito che sicuramente vedeva come un futuro sicuro e misterioso, era molto educata, non passava inosservata fasciata dal velluto rosso.
Era bella.
Una giovane che veniva assegnata con fin troppa fortuna al casato reale, trovandosi un vero e proprio dio greco come Re; giovane, intelligente, talentuoso e- ancora da ritrarre, per il momento; probabilmente la reincarnazione di una vecchia favola, e la migliore prospettiva che una sposina di quel tempo potesse sperare di avere.
Si era rivolta al Re solo quando gli veniva d'obbligo, non si era lasciata scappare nemmeno un apprezzamento o chiacchiericcio in più che non comprendesse i soliti convenievoli, forse qualche parola in più spesa per sapere come si sentiva Ludwig in quel momento, dopo che era stato ferito. Stranamente, pareva incredibilmente presa nel non esternare troppo il suo apparente dispiacere; nel frattempo, le brevi e timide occhiate che gli lanciava abbondavano.
Ludwig invece non si faceva tutti questi problemi- vedeva forse il matrimonio come un obbligo, l'unico riguardo che aveva usato con Lily era pura educazione, nulla di più. Certamente Gilbert non l'avrebbe spronato a fare altro, ed il tedesco poteva anche permettersi di non parlarle fino a che non se la sarebbe ritrovata tinta in bianco sull'altare, se non desiderava conoscerla.
Feliciano si scostò malamente sulla sedia scricchiolante, in modo da avere un quadro un poco migliore dell'orrido dipinto balzatogli in mente la prima volta che la leggiadra delicatezza della ragazzina l'aveva colpito come un'incudine; dove Ludwig sfumava i suoi contorni sull'azzurro, tutti gli altri invitati si scurivano successivamente, ed un grumo rossastro si condensava vicino alla persona di Gilbert.
Quella volta era diverso.
Persino il suo Re, poco prima, aveva rubato il fiammeggiante colore della rabbia a suo fratello, distinguendosi per il suo autocontrollo, dei nervi d'acciaio.
Non appena Vash si era presentato al suo cospetto, gli occhi celesti avevano trovato l'occasione per ombreggiarsi intimidatori, il suo volto si arrestò in una semi-smorfia a vedersi paurosa. Non c'era stato evento o luogo, in cui Feliciano aveva sussultato così forte, vedendo il viso così espressivamente contorto del Re. Non si era mosso, i lineamenti parevano immobili e duri come il marmo, ma lo sguardo che si lanciarono a vicenda, aveva fatto mancare un battito anche all'albino, che pareva essersi improvvisato supervisore di uno scontro da evitare.
Guardò poi la carne nel suo piatto, il caldo profumo che si alzava da esso, le briciole di pane impoverito sparse sul tavolo ed in grembo a formare una strana costellazione scomposta. Davanti a sè sostava trepidante il boccale di birra, che a differenza di quello del suo vicino, era ancora mezzo pieno. Avrebbe sicuramente gradito di più dell'acqua con il secondo piatto, ma non se la sentiva di lasciare quel posto a sedere, dove si sentiva così bene.
Il Gilbert starnazzante in opposto gli forniva un'allegra distrazione dagli ospiti, e Ludwig seduto lì vicino, contribuiva più di tutti gli altri a scaldarlo con la sua sola presenza, facendosi aiutare da un ampio mantello setoso, nemico mortale delle fredde notti invernali.
Mangiava tranquillo, con calma, ordinato sino a tavola, senza ignorare maleducatamente il primogenito Zwingli; eppure parlava affabile oliato dalla bevanda ambrata- la famosa fossetta si era fatta vedere parecchie volte quella sera, rendendosi semplicemente un poco più tenera, da mordere.
- Strana abitudine -
Oh, una voce piatta, aliena, quasi stesse elencando semplici vocaboli.
- Mangiare a tavola, seguito dalla plebalia.-
Vash mosse sinistramente il moncherino, attirando gli sguardi sulla sua mancanza; i suoi eleganti vestiti, indossati quasi ad incorniciare lo spazio vuoto sul suo polso coperto, parevano quasi una presa in giro, si marcava molto di più quanto tutto fosse anomalo. Lo sguardo smeraldino cadde casualmente su Feliciano, che forse per abitudine rimaneva seduto compostamente, stampando le sue sinuose movenze del vecchio Amante.
Non sapeva come reagire.
Nè che dire- no, era meglio star zitti.
Pareva si rivolgesse a lui, in prima persona, tanto il suo grugno lo squadrava. L'atmosfera si smorzò un poco, filò tesa come delle silenziose corde di violino, delle lame taglienti e sicuramente inappropriate- sarebbe risultato alquanto difficile, trovare un abile archetto capace di suonarle senza rimanerne leso.
- Lo trovate così strano? Vi disturba? -
La voce di Ludwig saettò veloce e profonda, facendo gongolare piacevolmente i più di 50 soldati semplici tutti quieti e sospesi ad intervallo, per poter ascoltare meglio quel che dicevano. Quella piccola rivincita, lanciata perlopiù da un uomo così  imponente ed adatto, funse da fertilizzante per i piccoli sorrisetti sparsi per la tavola.
L'espressione di Ludwig era invece rilassata, sempre seria, controllata ed uniforme. Erano immersi in una campagna militare, nessuno nemmeno ci aveva pensato, a dove avrebbe potuto mangiare. Forse Feliciano aveva ricevuto una seggiola un po' troppo privilegiata, ma ancora passava per buon pittore per chi già l'aveva scorto a canticchiare per la magione.
Il Re non pareva avere problemi di quel genere. Sembrava persino che non gli dispiacesse troppo, averlo vicino.
- E' inusuale.-
Lily sospirò, voltando il capo verso il fratello, forse supplicamndolo con quei due occhietti da cerbiatta che si ritrovava di non peggiorare troppo la sua situazione.
- Spero si abitui presto a questa novità, finchè starà qui.-
Ludwig era semplicemente adorabile. Tutto serio ed impettito come sempre, era riuscito a ricordare ad una contorta nemesi, chi fosse il Re, chi comandasse, chi portasse del pesante oro sulla testa.
Il biondo era nato, per governare. Per quanto fosse modesto ed essenziale nel suo ruolo, la regalità l'aveva cucita sottopelle.
- Feliciano, continui pure a mangiare.-
Si guardarono di sottecchi, per un breve momento; l'italiano sorrise.
Santo cielo, l'Altissimo aveva progettato per lui chissà quali alti e bassi di sofferenza ed amore- e più nei suoi periodi bui scendeva a fondo, più scalava vette di maggior altezza mentre saliva; ed arrapicandosi su, e su, già sapeva che una volta scivolato il dolore della caduta si sarebbe trasformato in un dolore che andava in crescendo, ma la vetta era ancora lontana, la vedeva brillare lassù in cima, e mentre si aggrappava stretto ai suoi risultati, la vedeva così vicina.
L'imprevisto, non sempre nasconde il nefasto.





Vash aveva dei capelli maltagliati, rovinati in alcuni punti, scoloriti di un biondiccio simile al giallo grano della sorella, solo un poco più spenti; evidentemente, non si curava troppo del suo aspetto fisico.
Non era però necessariamente un brutto uomo, l'aspetto sgradevole era di gran lunga una fazione ben lontana da quasi tutti i reali che aveva potuto conoscere fino a quel momento nei territori nordici, sia che si presentassero a lui figure maschili, sia femminili- dopotutto Lily aveva un suo timido fascino, certamente non ammaliatore, ma quella sua vitrea bellezza si rispecchiava necessariamente nel suo stesso sangue tradotto uomo.
Si concentrò sul viso serio, Feliciano, trovando dei raccapriccianti dettagli di movenze simili a quelli di Ludwig, ma mai uguali; v'era sempre una virgola che erroneamente cozzava rispetto a tutta l'apparenza, rendendoli a tratti due opposti. Inutile dire, che il suo sguardo girò a vuoto più volte, prima di incrociare il moncherino ed il proprietario di questo in piedi, lontano dalla tavola, e lì fermarsi. Vedeva il segno del piccolo Re farsi infuocato, irriconoscibile: non lo vedeva proprio, quell'appena adolescente dagli occhi blu, tingersi le mano di rosso, avventarsi così sull'avversario.
Eppure non era il disprezzo o disgusto ad accompagnare quel suo pensiero. Sono un grande dispiacere.
- Siete voi, Feliciano?-
Gli parvero tante piccole campanelle, intonate verso un melodioso "La", un soffio piccolo e fragile in mezzo ad una marmaglia di rozzi brontolanti. Solo l'intonazione della domanda gli faceva arricciare il naso, voltare stupito verso una lieve risata, trattenuta, educata, studiata e perfetta.
Incontrò un opaco verde ad attenderlo, i soliti colori pastello che ben si addicevano alla futura Regina.
- Si, sono io.-
Ora notò meglio le gote truccate di un rosa pesca, la pelle chiarissima ed una gioventù appena sbocciata, forse non ancora matura. 18 anni, aveva.
Gli sorrise, forse imbarazzata, in una dolce smorfia di puro impaccio- prese un poco di tempo come per caricare la molla, e lasciarla poi andare dopo una bella spinta verso l'alto. Prese fiato, strinse impercettibilmente le mani in grembo.
- Mi dispiace, disturbarla.-
Nel mentre la banda delle risate suonava ancora, gioiosa, sostituendo gli strumenti a fiato con timpani e tamburi, incitando il piano a farsi coraggio e suonare per tutta la notte in quell'universo di Oro, in quel sottile filo appeso nel nulla. Feliciano si stava inoltrando in una bolla piccola, con una delega a parte, lontana dal mondo dei Mostri Bevitori.
- Io...so che conoscete bene il Re.-
Pronunciò l'ultima parola sottovoce, quasi fosse un peccato sillabare due semplici lettere, rivolgendosi ad un qualcosa che effettivamente non era ancora suo. Abbassò poi lo sguardo, solo per pochi secondi, dando a Feliciano il tempo per stupirsi d'averla lì accanto, con quelle strane parole sulle labbra- proprio quando erano lì quasi gli unici ancora seduti a tavola.
- Ditemi...che persona è?-
Ah! Eccolo, quel luccichio negli occhi! L'aveva visto più volte quella giornata, in uno sguardo rivolto sempre al mistero del matrimonio; un domani non troppo lontano, con qualcuno che avrebbe avuto accanto per tutta la vita, e la curiosa gioventù non poteva che fantasticare su ciò che l'attendeva, sull'inaspettato marito che aveva potuto vedere appena due volte, ma di cui evidentemnete voleva sapere di più. Lily si era sporta un poco verso di lui, volgendo nella sua risposta forse troppe speranze, tenendo le mani intrecciate in una preghiera, pregando di essere una delle poche fortunate a poter godere di n furturo prospero, non rigato dalle lacrime.
- E'...serio.-
A Feliciano venne spontaneo rispondere a quel modo, non sapendo se rovinarle le aspettative, o invogliarla a farselo piacere veramente. Sorrise, continuò.
- ...Ama l'ordine. E'..leale, sincero. Un buon comandante, preferisce trattare una persona come un suo pari, e non come un sottoposto. Lavora duro, non usa stravaganze, per quanto ne sappia.-
Giunto a quel punto, Feliciano tenta di bloccarsi. Stava scorrendo veloce come un fiume, elargendo informazioni una dopo l'altra, emozionandosi lui stesso della propria vitalità, sbocciata crudelmente non appena aveva preso a parlare di Ludwig, trovando inaspettatamente mille doti da argomentare, pronte da mettere in versi.
- Non sembra, ma in privato non usa sempre quel suo carattere autoritario. Si interessa di molte cose, non adotta comportamenti sconsiderati verso le altre persone senza motivo, è obiettivo.
Un uomo forte. Avrà sicuramente i suoi segreti, purtroppo è molto riservato.
Però quando sor-..-
Si zittisce d'improvviso, ciò che voleva canticchiare assieme al suo discorso si impicca brutalmente per non fuoriuscire, si spevanta di sè stesso, di quella sua perdita di obiettivi, il parlare così fluidamente con l'ultima prsona al mondo che avrebbe voluto trovarsi davanti.
Porta un lieve spavento, la consapevole amarezza che parlare di lui, effettivamente gli piaceva, e non poco. Pareva aver finalmente scoperto qual'era il titolo del suo libro preferito- un tomo di appena vent'anni, di cui riusciva a sfogliare solamente poche pagine, le altre erano tutte fatalmente inchiostrate di nero; ma quelle che già aveva avuto modo di leggere lo avevano stupito tanto, che ancora le rimirava estasiato, contento di poterci trovare particolari sempre nuovi.
Peccato che fosse un tomo così raro e prezioso, incastonato sulle cime degli scaffali e che casualmente gli era caduto addosso.
- Mi perdoni.-
Non era riuscito a fare una meravigliosa impressione su Lily. Il suo accomiatarsi avrebbe dovuto tintinnare come l'annunciarsi di lei, magari farle strabuzzare gli occhi un paio di volte, giusto per ricordarsi chi era, cosa era in grado di fare.
Eppure, non si sentì giudicato, nemmeno quando si alzò, lasciando il velluto rosso ad appiattirsi solo sulla sedia, sotto uno scintillio vergognoso d'occhi che ancora non voleva sparire.





Continuava la banda d'oro a cantare, le luci si infiammavano gioiose arrampicandosi sugli alberi neri e svicolando fra i tronchi e felci, raggiungendo sempre nuovi traguardi nel fitto della foresta; accarezzando le cortecce, vibrando sugli aghi dei sempreverdi.
Non si avvertiva più il freddo, anche uscendo dalle tende imbandite- la birra faceva il suo dovere, volando giù per la gola, bruciando la bocca ed i problemi; intontiva come dovuto, sfibrando le linee ed aprendo i nuovi orizzonti di spensieratezza, creando giochi di voci, immagini e pensieri.
Feliciano fece uno strano patto con la bevanda miracolosa, proprio mentre i boccali si scambiavano, susseguendosi fino ad arrivare al terzo- si trattava di un piccolo favore, una supplica persino sussurrata; l'aiuto da parte di quella piccola scienza, di fargli dimenticare un poco i dispiaceri, magari riservargli l'unica dolorosa figura di Ludwig davanti a sè, impegnato a bere sempre più, tentare di non barcollare e tenere i nervi saldi senza scoppiare.
Se l'italiano si rifugiava a scendere a patti, il tedesco sfidava liberamente la birra, come se si trattasse di un'antica avversaria, o come la sua più cara amica.
Lo guardava per bene, l'Amante, muoversi poco sul posto, sorridere un poco di più, addirittura ghignare pensieroso (finalmente, un altro piccolo punto che accomunava i diversi visi dei due fratelli; sotto quella smorfia, parevano identici) dando persino un diversamente-lieve buffetto a Gilbert, che con altrettanto sprint ricambiava, contento forse di vedere il rigido sovrano farsi trasportare dal momento. Ma Feliciano era lì anche per studiare i suoi movimenti, lasciare che l'improvviso intontimento gli desse il via libera per trovare il coraggio di scrutarlo spudoratamente, mangiarselo tutto.
Tutto quello che vedeva, gli piaceva.
Il viso, le spalle ampie, un fisico asciutto e al contempo forse morbido, da toccare e baciare.
Rimase lì per qualche minuto, a crogiolarsi nel dispiacere di essere caduto in più trappole contempooraneamente e non averci cavato nulla di buono, quando la sua grande luce si spostò dondolante, sgusciò fuori al buio, trascinandosi il faro come segnaletica.
Feliciano si alzò, seguendo con il capo la schiena del Re, concedendosi di poter lanciare un'occhiata al suo fondoschiena, di gran lunga il più invitante visto negli ultimi tempi. Non poteva lasciarlo là solo, con tutti quei problemi ronzanti attorno- e santo cielo, l'aveva vista la sua espressione contrita? Chi era, in verità dei due, il più emancipato?
Seguì i suoi passi bisognoso, prendendo schiaffi d'aria gelida in faccia appena mise piede sotto il cielo scuro e poco illuminato, trovando la sua piccola casa a pochi passi: vicino ad un piccolo fuoco da campo, su un rovesciato tronco, stava seduto Ludwig tenendosi il volto fra le mani, dandogli di spalle- un po' come se quella meravogliosa statua, si fosse accartocciata su sè stessa, vedeva il Dio dell'Olimpo, costretto a fuggire e rimanere solo.
Gli si strinse il cuore d'improvviso, si graffiò da solo mentre si avvicinava a lui; era ciò che sentiva di fare, aveva un'occasione di stargli finalmente vicino senza dover essere rimproverato in alcun modo e rendendosi utile, non avrebbe sciupato quella possibilità.
Tenendo gli occhi rivolti solo ai capelli biondi, si sedette lì accanto, fra l'erba ghiacciata; sentì i pantaloni bagnarsi, pizzicarlo mentre riscaldava il piccolo spazio dov'era seduto, aiutato dal fuoco- che così abile artista illuminava Ludwig, che pareva aver inddosso fiamme vive e guizzanti, si tatuavano sulla sua pelle biforcando la punta focosa, scintillavano sul celeste degli occhi stranamente più stanchi. Divenne così un cavaliere di fuoco, tutto aranciato, con una corona fiammeggiantee ringhiante sopra il suo capo; ma il suo sguardo perso e languido, tradiva spudoratamente la figura onnipotente che aveva creato su di sè.
Per quanto le apparenze potessero creare pregiudizi e personaggi di stampo, bisognava ricordare che in quella tragedia teatrale ogni singolo attore poteva disprezzare la sua parte e volutamente rovinarla, poteva odiarsi di trovarsi costretto a recitare seguendo un copione di lacrime- e continuare, in realtà, ad interpretare un ruolo in veste di semplice essere umano.
Il fiato pesante del Re, fungeva da metronomo.
Feliciano poteva rilassarsi ascoltandolo, attendendo che il suo orologio arrivasse alla mezzanotte, oppure che si chetasse continuando a ritmare la notte con tranquillità. Quello scandire doloroso del tempo, era anche un ammonimento verso chiunque: pretendeva di ticchettare in pace, senza che venisse squilibrato da altre sviolinate storte; eppure Ludwig l'aveva certamente notato.
Non lo mandò via.
- Mia madre morì dandomi alla luce.-
Un sussurro sibilante, ma lento e piatto uscì dalle sue labbra- che aprì a fatica, rivolgendo un'espressione stranamente costernata al fuoco. Si lasciò prendere da una terribile sbornia triste, trasformando ogni suo gesto prima incredibilmente regale, ad una specie di raggrinzirsi secco, una marcia funebre non premeditata.
Era uno strazio guardarlo così. Quando gli uomini grandi cadono, fanno certamente più rumore dei fragili popolani; ma se è la persona amata che vacilla, allora cade a terra in un terribile silenzio.
Deglutì, scostò dal bel viso i capelli corti, la mano rimase sulla fronte appoggiandosi poi ai gomiti e nascondendo i due lucidi occhi marini dal fuoco.
- Mio padre mi odiò da lì, in poi.-
La voce era la sua, così profonda e calda, rigata ora da invisibili graffi e tentennamenti, resa rauca e vacillante dalla birra, il suono che un Re dovrebbe poter sentire solo dalle suppliche dei suoi nemici.
- Non mi ha mai considerato suo figlio. Vedeva Gilbert come un buon erede, come l'unico suo discendente. -
Un sospiro, la sua mente che probabilmente nemmeno si accorgeva di star cantilenando quella triste nenia.
- Ho....cercato, fin in tenera età, di eccellere in ogni campo e sfida che mi si presentavano solo per riuscire a compiacerlo.
Quanto avrei voluto, ricevere da lui una gratificazione, anche un minimo di considerazione.
Pareva invece, che più tentassi di migliorarmi per lui, più gli desse fastidio. -
Vedere un grande Sovrano disintegrarsi così di nascosto, in privato, aveva una strana nota un poco più amara data dalla scoperta che si, dietro alle corone v'erano pure gli uomini in carne ed ossa, che soffrivano e pagavano per le loro fortune che lo stesso Dio aveva loro concesso, e sempre a Lui dovevano immolare ciò che diventava più caro e desiderato.
- Quando è venuto a sapere che Gilbert non avrebbe mai potuto succederlo al trono, si ammalò. Per il dolore, credo.
Forse perchè rimanevo io a scorta, ed il solo pensiero lo invogliava ad avvicinarsi alla morte.
Non mi volle al suo capezzale quando morì, mi mandò solo a dire di non sciupare il suo impero e la sua corona.
E' doloroso portarla sempre sul capo.-
Eccolo, il motivo per cui Ludwig non si apriva mai, ecco il motivo per cui insisteva a rimanere duro come una roccia, affinchè la realtà non riuscisse a scalfirlo ancora; ed era stata colpa della sua Dama d'oro, dell'amica che aveva osato sfidare e ripagava a quel modo spregevole non solo lui, ma anche l'italiano rimasto accucciato immobile lì vicino. Si sentiva un po' mancare, il cuore incrinato e pieno di grida furiose; ora era morto il suo pilastro di protezione: Ludwig era sempre stato forte anche per lui- l'aveva buttato a terra ed incoraggiato al tempo stesso; ed ora era scivolato senza alcun preavviso, alimentando lo sguardo triste dell'italiano.
- Non credo di essermi offerto per far dispetto a mio padre. Probabilmente, ho voluto riservare qualcosa di meglio all'unica persona che aveva cara; Gilbert.
Non sono nato per essere Re.
Sono infelice. E tanto stanco.-
Piombò il silenzio a terra, tonfando pesante sul focherello ancora acceso, mosse una lacrima sul viso piegato di Ludwig facendo a pezzi l'anima degll'ormai fatalmente innamorato.
Le ultime perole che il tedesco pronunciò, diedero una parvenza di sfacelo e tristezza; e dire che Veneziano pensava spesso al suo passato malconcio, tutto da rammendare con diverse toppe più o meno grandi- però aveva una base solida, la croce di quel grande aquilone fatto per volare alto era presente, salda ed indistruttibile, anche se sfregiata in più punti.
Ludwig nemmeno aveva quella.
Si era dovuto costruire un trabicolo senza fondamenta, pescando le più belle stoffe non avendo però la possibilità di farle volare, e rimirare agli altri; era assente di due povere assi di legno, incrociate e pronte a servirlo.
Feliciano cercò di proferir parola, e le sillabe non volevano uscire intere, ma si spezzettavano commosse difronte a quell'unica lacrima, versata come uomo avvezzo al dolore, come forte cavaliere. Non avrebbe mai creduto di vederlo ridotto a quel modo.
- N-non dite co-s-... mi dispiace.-
Non riuscì a frenare le sue gambe, si alzò veloce ignorando le umide macchie bagnate sui pantaloni; si fece vicino a lui e davanti al fuoco, poco dietro, riuscì a vedere le loro ombre contrapposte e sbilenche; due figure che non stavano mai ferme, sovrapposte in più punti.
S'insinuò in ginocchio fra le sue gambe aperte, prendendogli il volto fra le mani- e dio, sperò che in futuro non si ricordasse di quelle sue mosse tanto azzardate ed inusuali, che in parte sfogavano delle sue piccole soddisfazioni ed immagini più che private.
Però in quel momento lì c'era Ludwig, non un Re, nè vittima, nè preda, nè sfogo o bel pensiero; nè compagno di una notte, nemmeno un ricordo da lasciar perdere. Solo Ludwig. Ed era disperato, perchè il suo viso fra le mani non reagiva, lo guardava confuso volendo nascondersi e scappare di nuovo da chi aveva una gran voglia di salvarlo per davvero; gli rivolgeva chissà quante mute domande con quelle sue sopracciglia corrucciate in dispiacere, due pozzi celesti in cui si poteva veder di tutto.
- Non dovreste pensare ciò che mi avete detto.
Avete... giustizia, un carattere forte. Voi siete meglio di tanti altri. Siete perfetto, per governare un paese.-
Si morse le labbra, guardando Ludwig, incrinando la voce senza averla così impostata precedentemente; si vide sofferente quanto lui, contorto in un'espressione sofferente. I loro sguardi erano oramai inossidabili ed incollati fra loro; la voglia di Feliciano di poter fare qualcosa per lui andava dissolvendosi in un muto comportarsi naturalmente, come gli gridava il cuore già stanco delle sue indecisioni, ed il suo corpo tremante.
- Non siete solo.-
Lo sussurrò così piano, che forse il Re nemmeno aveva colto tutte le sfumature amorevoli di quella semplice frase- nè chi l'aveva pronunciata aveva una gran voglia di farlo. Aveva davanti agli occhi le piccole nuvolette di fiato, che il freddo da bravo maestro condensava; si specchiava negli occhi di lui, riusciva a sentire palpabile la disperazione di entrambi, e forse davvero sapevano perchè si trovavano lì a quel modo dopo una strana liberazione, e redivivi da sgraditi incontri.
L'italiano contò i respiri, non potendo più far finta ci non volersi allontanare- aspettndo forse una sua reazione, un qualcosa che l'avesse spinto a lasciarlo lì solo, ma arrivò indesiderata solo una fitta allo stomaco- ed invece entrambe le differenti pedine si mossero incontrandosi, strofinando quasi con remore i nasi rossi e freddi, e finalmente congiungendo le labbra, staccandosi e mordendosele nervosi, per poi ricominciare timidi a regalarsi tanti baci lievi e molli- e teneramente ognuno di loro schioccava piano, si perdeva nell'aria e smorzava i suoni facendoli divenir silenziosi, perchè nessuno se non loro doveva avere il piacere i sentire quei piccoli e dolci rumori.
V'era un silenzio piacevole, un congelato rumore lontano delle grida dei soldati, la notte che in realtà non era più notte; la Schwarzwald come unica ed immobile spettatrice, tutta nera e fiammeggiante al tempo stesso. L'immensa carovana di paesaggi, era comunque troppo lontana e distante, Feliciano sentiva caldo anche se le sue mani gelavano ad accarezzare la pelle bianca del Re, aveva in mente le sue labbra che forse nolente gli stava concedendo con le sinfonie tristi e dolci di quei momenti. Si concessero un bacio più sentito, approfondendo, forse entrambi coscienti per la prima volta, la conoscenza che avevano l'uno dell'altro. Era uno strano cominucare, un conoscersi bisognoso ed essenziale- si sentivano sapori differenti (Ludwig era amaro di birra, come previsto), un odore di pace diverso dal solito; il cuore si alleggeriva piano, andava veloce correndo sui loro gesti non molto coordinati che ancora cercavano di capire bene che ci facessero lì, ad incastrarsi assieme. Sentì la sua stessa voglia che animava Ludwig attraverso la sua lingua, che premeva spontanea sul bacio; un lieve mugolio dalla sua gola calda e dei teneri gesti appena accennati e confusi.
Provava, il Re, ad avvicinare le sue mani a lui con l'intento di avvicinarlo; e le dita guantate non lo sfiorarono se non dopo pochi minuti, tenendole lievi appoggiate alla casacca umidiccia. Era forse inesperto o indeciso, ma a Feliciano piaceva tremendamente.
Aveva desiderato tanto, di poter baciare a quel modo spensierato e goffo -forse non così sofferente- quelle labbra che tanto gli piacevano (e non solo, per il fatto che Ludwig evidentemente sapesse come muoversi dopo qualche momento di stallo), e pian piano imparavano a muoversi sulle sue mentre accarezzava i lineamenti marcati, stringeva finalmente sicuro le ciocche bionde di capelli fra le dita.
Le mani scesero, a tastare il suo petto, liberando il capo e lasciandolo libero di scostarsi, se era ciò che desiderava; eppure si venivano incontro sia l'Amante che il Re; anche quando Feliciano appoggiò i palmi sui fianchi asciutti, li tastò sfregando piano il pollice sulla vecchia ferita, ed infine sulle cosce, a contatto con il cuoio lucido dei pantaloni riscaldati dal corpo che trattenevano.
Gli morse più intrepido un labbro, provando un'insana e nuova vergogna, tastandone la morbidezza e facendosi perdonare con l'ennesimo bacio.
Ora sentiva il suo scopo farsi più chiaro, le nubi che prima affollavano il suo cielo si allontanavano piano- e quel cielo, così infnitamente celeste, un colore inimitabile ed unico che ben conosceva, si stava schiarendo, mettendolo davanti all'unica verità che non poteva ignorare: si presentava davanti a lui in tutta la sua grandiosa potenza, illuminando ogni singolo luogo dove avrebbe potuto in futuro rifugiarsi, facendogli così memoria che anche negli spazi più bui, il pensiero dell'incombente verità c'era.
Il fatto di amare Ludwig si era presentato a lui in modo strano, prima girandogli attorno insospettito, poi tentando di assaltarlo più volte, cercare di espugnare le sue idee così stupide riguardo all'amore, urlando anche fuori dalle mura quel'era davvero la vittima fra i due.
Come- come aveva potuto ignorarlo fino a quel momento, come?!
Santo cielo se lo amava! Avrebbe dato cuore, anima e vita, per lui, l'avrebbe cercato in capo al mondo, si era reso umile e sofferente; era pronto a patire il matrimonio, Gilbert, Roderich, suo fratello, ciò che avrebbe fatto e detto lo stesso; si sarebbe reso utile nell'esercito, avrebbe scalato le più alte vette di quel mondo, attraversato i mari più poi e profondi, arrampicandosi sul balcone di un grande castello, gridando il suo nome.
Quanto era stato stupido. Stupido, ed incosciente.
Non pensò ai problemi di poi, ma accolse l'idea come un pugno in volto, mentre ancora era impegnato a morderlo e suggerlo- ed allora si scorstò lento, baciò la sua guancia, scese sulla linea della mscella incontrando il piccolo fastidio della barba ancora corta, sentì la bocca pizzicargli. Gli piacque questo particolare, tentò di abbracciarlo come poteva alzando le braccia ed accarezzando tutto il suo fisico; cercò di strappargli altri mugolii, con l'intento di prolungare quell'istante verso l'infinito.
Ma una mano posata sul suo petto -sul suo cuore, lo fermò, allontanandolo con incertezza da quel paradiso, spezzandolo a metà, lasciandolo così male, che nemmeno riuscì a parlare.
Ebbe l'impressione di essersi svegliato da una lunga apnea, e che una volta aperti gli occhi non vi fosse più il bel spettacolo visto sott'acqua.
Forse Ludwig non aveva fatto suo quel piccolo momento- Feliciano l'aveva sentito così partecipe, l'aveva baciato più volte rimanendo lì con lui, strofinando le labbra con le proprie, per interminabili minuti.
- Non posso.-
Deglutì, Feliciano.
Mai gli era capitato di essere respinto a quel modo- magari non doveva far paragoni con il passato, quella era un'esperienza unica, un'esperienza nuova e diversa, dove anche lui si trovava deltutto inesperto, ma il fatto che effettivamente non volesse continuare, lo annientava.
Non poteva, quindi. Per qualche strano motivo (che alla fine non era poi così strano, o meglio strani, data la quantità di possibili opzioni), non poteva regalargli altro, renderlo felice.
Ora la sofferenza impregnata nei suoi lineamenti, era motivata.
- Ma...che...mi avete fatto.-
Balbettò, strozò la voce impietoso, la strinò sopra ad una grande tavola di grafite, prima di rovinarsi, dar luce alla sua più grande scoperta. L'idea scalpitava per uscire, per farsi sentire, per rendersi concreta con uno squillo di voce.
- Io vi amo.-
Il tempo, si fermò un attimo.
Un breve lasso di tempo, in cui il passato gli si scaraventò del tutto addosso, poi scomparendo, e lasciando posto ad un fresco quanto inutile presente.
Che strane quanto pericolose parole.
Era inusuale sentirle da sè stesso, appartenevano ad un mondo nuovo ed incompleto; un territorio sconosciuto dove pareva esser solo, in quel momento.
Non ebbe il coraggio di guardarlo, nè di toccarlo ancora: le mani scottavano feroci, gli intimavano di scappare veloce, e mai più tornare, ora non aveva l'occasione di stargli al fianco come prima, non voleva una sua risposta qualunque essa sia, e avrebbe preferito trovarsi in guerra, di nuovo. Non sentì una risposta, l'aria intorno a lui si ghiacciò.
Appena iniziò ad amare, apprese anche l'arte del soffrire per amore.
Si alzò di scatto, cominciando ad indietreggiare tossicchiando nervoso; biascicando dei "No, non è successo nulla", ed inciampando nei più vari oggetti iniziò una pietosa camminata al rovescio verso un luogo più fitto, più lontano.
Fu una scena deplorevole per lui, forse disperata e ridicola, incarnò la sua codardaggine ed il timore di ciò che lui stesso provava- ma continuò ad indeitreggiare goffo, il capo basso ed un costante brontolio fra le labbra; sentì il freddo attanagliarlo ed avvolgerlo all'improvviso, lo spavento fargli compagia.
Ed ecco le campane, grandi ovali in lontananza e portatrici di gioia dare i primi dà e ridà della mezzanotte,gridando al miracolo e al Natale, che oramai giunto non portava nell'italiano l'effetto sperato, solo l'impressione di essere invecchiato tutto d'un colpo anche mentre alzò il capo, incontrò la confusione di Ludwig, del suo cavaliere ed amore.
Sentì i rintocchi pervaderlo lenti, il vociare di auguri farsi alto e simile ad un brulichio, intonati in una danza strana, che usciva ed avvinghiava, che gli fece sibilare un "Buon Natale" nella sua direzione anche quando gli auguri rimanevano ovattati- eppure la festa era lì, a chiamarlo.

"E' questo, il dolore che porta l'amore?"














Blacket's Time:
Postilla-- capitolo dedicato a Lucia (Oh, te l'avevo detto, no? :)) e Marta - cara mia, se mai arriverai a leggere fino a qui, sappi che il capitolo è anche per te.

Ciao.
Allora, non picchiatemi.
Ci ho impiegato tantissimo tempo per scriverlo, ed ora eccolo qui. E' abbastanza lungo rispetto agli altri, se solo lo avete letto fino in fondo, sappiate che vi amo.
Siete dei bulli.
Ho probabilmente fatto degli errori; ecco, ricontrollerò poi con calma, ma sono troppo euforica per non pubblicare -el massimo me li farete notare, tirandomi a dietro parole.
Sono pure riuscita a stilare tutta la storia intera -sappiate che sarà molto più lunga ed intricata di quanto si possa pensare, vi scartavetrerò le anime finchè potrò- e... ho trovato alcuni punti dove inserire il raiting rosso.
Premetto di non ritenermi capace di scrivere una cosa simile, ed è forse per questo motivo che fino ad ora non mi sono spinta troppo oltre. Spero di non deludervi, qualcunque cosa decida di fare.
Ringrazio tantissimo tutte le persone che seguono la storia, che mi supportano e donano la voglia di continuare; sia chi mi contatta, chi me lo dice fuori da EFP, ai Grandiosi che mi recensiscono, e mi rendono davvero felice.
Grazie,
Grazie infinite.

Ringraziamenti:
H2o: Grazie, bellissima! :) Mi hai tolto molti dubbi riguardo alla trama, si! Spero che ti piaccia anche questo capitolo!
Soul_Sister: Eccolo, come avevo promesso. Lo aspettavi da tanto? Spero ti sia piaciuto comunque; e davvero grazie grazieissime per il tuo appoggio! Conserverò il grasso della cerva, tranquilla.
E tanta stima per tua sorella che ti guardava male durante il tuo sclero. (L)
s_theinsanequeen: Grazie! :) E' molto che non ti sento, chiedo davvero scusa, ma sono stata impegnatissima per la scuola! Spero di sentirti di nuovo e presto, grazie ancora :)
Adeline_Mad: La patata al posto del cuore. Tutti ne vorrebbero una, dai. Grazie infinite per le sue onnipresenti recensioni, davvero ! Ciao babbuinella.
McBlebber: Oh, che onore! Un'altra tua bella recensione! Grazie infinite anche a te :) Sono contenta che ti piaccia la storia, e grazie per la tua attenzione!
Aranciata_: Grazie, grazie! Non mi merito tutti questi complimenti, sappilo. Non sai quanto mi renda realizzata ricevere tutte queste recensioni da parte tua :)
Lord_Trancy: ...
La tua recensione.
Era. Lunghissima. Mi hai ucciso di commozione, davvero, sono schiattata davanti al Pc tutta lacrimosa, chiedendomi come abbia fatto ad essere così fortunata ad avere una recensitrice attenta e brava come te.
Hai descritto praticamente tutto, ogni singolo dettaglio l'hai colto, mi hai reso più sicura di me, ed invogliata a scrivere ancora. E ti vednerò Gilbert appena posso, si. (?)
Un bacio enorme. Enormissimo. Ps: io ho perso tre pagine di questo capitolo, colpa della connessione. Sarà la maledizione delle recensioni fantasma? Spero non ti capiti più, non tanto per il fatto di ricevere una recensione più lunga, ma per non farti rifare una fatica assurda, ed è già tanto che tu spenda poche righe per me :) Grazie!
NiCkY: Grazie mille! L'hai letta tutta, sei arrivata fino a qui, spero. Ti ringrazio moltissimo per avermi recensito, davvero :) Ho notato anche io degli errori di battitura, grazie per avermelo ricordato ;) Rimedierò al più presto!
ninjagirl: OOH, GRAZIE. Seriamente, le tue recensioni mi fanno sempre molto piacere, è una bella sorpresa ritrovarsele dopo una dura giornata di scuola. (che adesso è finita, vabbè). Grazie ancora, infinitamente!
HopeGiugy: La prode pulzella, si avventura nell'impresa di leggere tutti i capitoli d'un fiato.
Come esprimere, il piacer di una scrittrice di Fic leggendo ciò? Davvero, mi hai dato uno sprint in più per ultimare questo capitolo, grazie, grazie infinitamente!
_G_J_: Oh, si, me l'avevi promesso, ed è stato tenerissimo da parte tua recensire e spendere un poco di tempo per me :) Sono contenta che ti piaccia la fic, spero che il capitolo non ti abbia deluso. E si, forse ci sarà il BTT riunito, prima o poi. Ma non prendere questa informazione come oro colato, ecco.
Grazie ancora! :)

Bavosi Baci, Blacket.






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Capitolo 11
*** - XI Capitolo - ***


L'A. del Re 11
Capitolo Xi
- l'imprevedibile ed il rischio -











[...] Donare sé stessi alla riuscita di un precedente e non nobile obiettivo, comporta nell'individuo stesso una presa a coscienza del vocabolo "rischio".
Esso brillerà più volte per contrattempo e non per sfarzo, verrà catalogato da chi si ritiene l'Amante come un compagno che vien ancor prima della vittima stessa- diverrà un'arma preziosa se usata ad arte, il nemico più invincibile quando sottovalutato.
Il rischiare, non deve però considerarsi come rischio (in eugual antifona) ma piuttosto pari ad una convenzionale occasione; che ogni valido cacciatore deve saper ritenere opportunamente superabile o meno.






Anno del Signore 1307 - Dicembre

Si era appena accorto di aver perso l'ispirazione.
Nel silenzio del faticoso annunciarsi dell'alba, Feliciano constatò amaramente -e guardando i fumi della notte stuzzicarlo in fini volute astratte, fino a trovarseli atrocemente davanti- di non aver più con sé il sentimento di scoperta e fulcore che accompagnava prima le sue estasiate pupille nere ad inghiottire quadri e schizzi dipinti per aria; un fuoco delicato e fresco scoppiargli impietoso nello stomaco; scintille di faville di fuoco sulle sue tele e pennelli in modo così sagace ed imperioso, tale da lasciar attonita la mente tormentata.
Gli era stata strappata di dosso la sua arte, il suo status d'Amante- quelle movenze decise capaci d'ammaliare, il fatto che si portasse addosso il profumo del vespro notturno e tutta la sua cascata di stelle; e che diventassero comete e costellazioni di bruma anche solo per un'offuscata notte. Perse anche maschere che aveva scoperto inutili, un'intero decoro di un bieco carnevale cucito con aghi e fili fintamente preziosi e sottili, rivelandosi fatali quando le puntute cime dorate di una corona avevano iniziato a bucare il suo lavoro, cogliendolo di sorpresa senza dargli tempo di rattoppare per bene, lasciando macabre pezze sporche a penzolare inutilmente.
Innanzi a lui, sostavano inquiete le fronde tintinnanti di ghiaccio della Schwarzwald, si scostavano l'un l'altra sfregando le poche foglie raggrinzite dal freddo; facevano perno sopra ad enormi stalattiti quasi conficcate a forza nel terreno, dove forse in un'altro tempo vi avrebbe riconisciuto la grezza corteccia ed il muschio cisposo dei tronchi.
Vedeva le querce farsi immense in lontananza, accavallare le forti radici fra pietre ed altri busti legnosi, esalavano forti il loro respiro verde, percepibile lì al limitare con vari sbuffi di fiere- un gorgogliare animalesco e naturale che raschiava il fondo della foresta, graffiava il sottobosco non riuscendo a liberarsi dalle pesanti catene di rami secchi.
Quell'aritmico pulsare di vita, si srotolava sotto i suoi occhi fino a toccare l'orizzonte con una linea sregolata di ramificazioni nere e bislunghe; pareva si muovessero nella sua direzione, per parlargli e contorcersi sotto la guida di una strana magia secolare, così potente da imprimere nella Foresta Nera la stessa atmosfera che avevano carpito le sventurate fanciulle delle fiabe mentre chiedevano asilo sotto le fronde fitte ed oscure, quell'eroe vagante in cerca del suo drago da uccidere e della principessa precedentemente passata lì per sfuggire da un qualcosa di più devastante di una lucertola sputafuoco.
Il cavaliere, per quanto fosse perfetto ed invincibile, non avrebbe saputo risolversi con la principessa prima di averla salvata- non avrebbe intuito il suo vero dolore, se non avesse tentato di liberarla dalla foresta; calpestando foglie secche ed aggirando i sinistri pioppi, tenendosi per mano fino a trovare l'uscita del labirinto smeraldino: un piccolo sentiero scavato dal nulla, coperto d'aghi e d'infide diavolerie.
Eppure il cavaliere e la principessa sarebbero sbucati al sole di nuovo, perchè le loro mani erano sempre state intrecciate l'una con l'altra, e se il primo si schiariva gli occhi con il bagliore della libertà, anche la seconda riusciva a farlo di conseguenza.
Feliciano invece, aspettava ancora il suo Ammazzadraghi.
Aveva appena saputo che nell'oscura foresta aveva fatto irruzione una cavalcatura che scivolava sull'oro, montata dal più bel paladino che potesse desiderare. Egli non avrebbe avuto timore delle avversità, portava al trotto la giustizia fusa assieme all'acciaio della sua lama e della sua armatura brillante; la foresta andava dicendo che era bello come il sole, coraggioso come un leone, leale come il più buono dei giusti- e già vedeva quelle voci prendere vita, mentre riconosceva nelle pozzanghere azzurre del cielo i suoi occhi.
Aspettava nella sua radura curata e spoglia, era certo che non ci fosse più una belva infuocata da cui star lontani, e voleva che il suo cuore palpitasse per la forza della sua voce ed il calore che gli avrebbe regalato con un bacio.
Ma per quanto fremesse, non aveva ancora tracciato le linee del suo volto, nè sorriso al suono della voce che immaginava profonda e nemmeno saggiato il morbido delle sue labbra.
Nulla.
L'italiano aveva accolto con un rammarico stridente la freccia che Cupido gli aveva conficcato nel cuore; prima inseguendolo e minacciandolo più volte, nascondendosi dietro alle grandi pieghe che avevano mosso le sue congetture, non trovando nessun traguardo a cui appellarsi; finchè specchiandosi in una risata derisoria di Eros non si era accorto che il pennino piumato del crudele dardo aveva già bucato i suoi sentimenti. 
Li vedeva ora impalati dentro ad una estenuante solitudine, la stessa sorda profondità che pian piano l'aveva tirato giù a fondo poco prima di accorgersi che effettivamente, la scala per risalire quella sua ascesa non era poi tanto lontana ed irraggiungibile. Peccato che appena non avesse scoperto come mettere mani e piedi sui pioli arrugginiti dall'inesperienza e dal tempo il suo stesso desiderio gli si era rivoltato contro, buttandolo giù con una semplice spinta.
Una mano sul cuore, e quel poco che bastava per vedersi a soffrire di nuovo di vertigini- perchè più in cima ci si arrischia a cadere, più la montagna si fa dura e rocciosa ad aspettarti al suolo.
Che poteva poi importare al Dio Alato se la punta argentea del suo strumento si bagnava di fiotti vermigli; un'emorragia causata da pesanti parole sussurrate nella condensa mortifica dell'aria- un "Non posso" che era stato capace di dar vita a bacini marci e vitrei, arati dello stesso dispiacere che premeva forte dallo stomaco.
Avrebbe in un certo qual modo voluto, che quel rantolo animalesco vibrante nel sottosuolo, fendesse finalmente l'erba cristallina ed immobile a formare una distesa di chiodi verdognoli, e che lo venisse a prendere.
-Ragazzo! Ci siamo! L'hai tenuto il pennuto, vero?-
Ascoltare Gilbert senza voce era come permettersi di assistere ad un concerto di rovinate lamiere di rame e pietre biforcute: vedeva queste ultime strinare il metallo tantando di farlo liscio, raspavano su un tintinnio sporco e scoordinato; chiudevano la gola tonante dell'albino e la preparavano ad un doloroso sputar fiamme e maldicenze.
Le avrebbe forse rivolte al compagno di sangue, nel suo accennarsi d'una barbara eleganza, se avesse scoperto qual destino si erano scelti entrambi marciando indomiti sui propri sbagli; senza esser sicuri d'avere sotto i piedi il fresco ciottolato piuttosto che l'intera e nera montagna.
-Venghino, che voglio riprenderlo in mano.-
S'accovacciò, ne tasta le poche piume morbide, compresse il giallognolo fra le fauci di ferro dell'armatura, e par strano non strilli per paura d'esser mangiato. Non avrebbe certo dato merito all'abitudine, perchè in soli due giorni, la piccola stazza dell'orfanello non avrebbe potuto soffrire il ruggito della mamma; potrebbe immaginarlo a voltarsi, evitando uno sguardo che scottava d'antico, tinto del rosso pompeiano della brillante e forte Roma, d'un impero e tradizioni, ora rivolto ad un falco ancora privo d'onore.
Non avrebbe dato atto cambiamenti, solo un graduale portarsi ad accettarne il volto tranto fascinoso e gramo, che in quel momento ancor profumava di selvaggina e lascivi sorrisi.
Ora abbassa quindi il capo, che il tuo dolore annicchilisca dentro- e nel caso si facesse grande lo vedresti accartocciarsi per aderire alle pareti, nell'intento di farti scoppiare.
-Vi aspettavo.-
E dissero, non molto tempo prima, che una maschera una volta rotta ha poca probabilità di farsi buona a ricongiungersi. Si dia colpa alla porcellana, che tanto pregiata si righerebbe di cicatrici e frantumerebbe il proprio delicato volto; alla persa abitudine di porlarla, par che graffi e sfugga dal viso, che sia scomposta e pur maligna nella sua cupidigia.
Con un minimo d'attenzione persino quel drago malcomposto avrebbe trovato atto nell'insolito umor pesante, d'un uomo che stupidamente s'è fatto catturare da uno sguardo più limpido ma non sereno, il cui fondo ha tralci di rovi avvelenati, simili se non uguali a quelli che tiran corda ai suoi.
Eppure Ludwig non aveva dato nè possibilità nè gioia nello scrutar dentro al suo pozzo celeste; tu come uomo, ancor ridotto mortale, avresti dovuto far conto della beccata corona in capo, ed il tuo inchino avrebbe oscurato la vista, per poi riportarti innanzi ad un Sovrano, con il quale non avresti potuto condivider nulla se non l'aria che a fatica ansimi.
-Tu, vien qui. L'hai notato, quel brusio da basso?-
Il giovane accenna a girarsi, con poca ed arresa convinzione, giù per il placido colle d'aghi smeraldini ora stinti e calpestati  dal cumulo di soldati intenti a trascinare le cotte del vestiario di metallo, ne osserva le movenze che ben poco han di calibrato, e se prima l'occhio aveva puntato distratto i tendoni in un secondo momento fa propria l'agitazione degli uomini; in lontananza dan l'impressione d'esser un flusso sparpagliato di sangue e ritaglio di macelleria della più rara specie: non ne avrebbe distinto uno, a volerlo.
Gli occhi caldi si fan grandi e mobili, prima di puntarsi aperti verso la criniera or più seria dell'albino, lo sguardo a trafigger impietoso l'orizzonte, il gelido abbraccio del gelo che a sue movenze prende fuoco.
Quel bisbiglio titubante nell'aria, aveva fatto solo da grama previsione, e che fosse pronto o meno, aveva da far fronte al coraggio rintanato e nascosto abbandonato giusto la notte prima, e forse lasciato a sostare assieme al ricordo dell'acciaio sibilante, ed il gozzo di Babilonia che aveva potuto veder poco prima che Ludwig venisse ferito.
Si stavano preparando per una diavoleria che avrebbe visto vincita o sconfitta- e già provati, già aizzati dai rinforzi non avrebbero avuto modo di rimandare oltre: si sarebbe il capo e supremo comandante dell'una ed altra sponda, sino a vederlo inginocchiato nel fango, sporcandosi i polsi della ruggine delle catene.
- E non..Gilbert?-
Si voltò, in un pigolo preoccupato, l'eterea sofferenza che mano a mano se ne dipartiva e fa posto l'armata provvigione della sopravvivenza. Se avesse dovuto combattere, partecipando alla carica, forse davvero avrebbe dovuto pentirsi e rammentarsi del fratello che gridando l'aveva voluto a casa- eppur a cavallo aveva preso la strada dell'esercito, solo per poter conoscere di tremende emozioni.
Non sapeva combattere, in ogni caso, e nemmeno rendersi utile a quei grandi omoni armati dell'inventato diritto di poter porre fine ad altrui esistenza, senza che si fermassero a compiangerla, a versare una piccola croce.
- Stanno arrivando, gabbiotto. Preparati.-
Lo sguardo si oscurò, marciarono sui prati nuove file di destrieri, uscirono di botto coloro che accompagnavano il Re dalle schiere di sempreverdi vibranti; e calpestarono le poche sicurezze che lo sfioravano, già flebili e malmesse fuggono spaventate. Seppur essendo un uomo da mille svariati volti, mai si era visto a sferragliare e stringere denti e sospirare quando le lame raggrinzite falciavano l'aria tanto forte che ti pareva di sentirtele addosso.
Apre false e tristi speranze sulla linea del confine, sopra alla cornice scura ed alberata che tace e si fa pietra; ed è immobile spettatrice, si ragguaglia ed apre gli occhi neri.
Si tratta di un felino raro e poco mansueto, soffia e stride, mira ad allontanare il foresiero incauto, eppur Feliciano correrebbe incontro ad esso, si farebbe avvolgere dalla folta coda sinuosa, e dalle umide radici e foglie e spine- avrebbe sfiorato l'umido sottobosco, al posto di mettersi nella posizione d'un assassino.
E si voltò, scostato dalla scorta armata e vigile che avanza nel panico, giusto per vedere la chioma bionda del Re, e tutto il sole gioioso che mancava quel giorno, parea addensato sul capo fermo di lui. L'espressione trafelata, e quelle ciocche che si scostavano libere sotto la forza del vento, a coprire in parte un grugno arcigno ed inarcato a guerra- non avrebbe potuto scorgere altro che divino nel fisico smorzato al trotto, e quella tollerabile protezione e sicurezza che dava la sua sola presenza; sicura, forte ed imponente come le fondamenta e colonnati di pietra, dalle queli si cerca riparo nel pericolo, festa dopo la vincita.
Ne osservò le pieghe della maschera di ferro, cerca il volto arrossato e furente di rabbia e decisione; quanto poteva piacergli, quel giovane uomo! Che fosse un Re pronto alla guerra, o fra le più umili genti, o ragguardevole come un lupo ringhiante qual'era, perchè si stagliavano spire di lance al cielo, e fanti e arceri, ed ogni singolo loro movimento sottostava a suo cenno e potere: l'abilità d'un combattente si mischia al giudizio del sommo capo, una marionetta senza fili a cui deve la vita alla fedeltà ed intuito.
Ludwig avanzò, bardato ed impaziente, s'impegnava a stilettare dall'alto il resto dell'accampamento, e nulla sfuggiva alle lame glaciali del suo sguardo, che mai si muove e solo respinge e colpisce, non assorbe. Trottò sorpassando le altre cavalcature, in un sommesso avanzare di lui e suo vestiario; prese fiato, il capo eretto ed alto, apre bocca, e ruggisce.
Piombò secco il tuono della sua voce, e lì innanzi, così vicino, l'italiano s'irrigidì d'un tremolio stupido ed insano- e ne aveva viste le fauci, dannazione, e tanto era potente la sua voce che si fermarono le guardie, rimasero in attesa trattenendo il respiro affinchè non lo infastidisse.
L'ordine di preparare gli schieramenti, lanciato dalle sue labbra schiuse, rosse per il freddo.
Non era momento di perdersi a disgregarsi.

Feliciano si voltò, scortando la pista e cunicoli e spazi liberi; lo fece persino annusando l'aria pregna di paura, gocciolante della terribile ansia- ed unta l'aveva sul corpo fine, tremante d'un'adrenalina viscida ed inattesa, avrebbe potuto portarlo a girarsi, sentire uno sguardo amaro puntato sulle schiena e voto a distruggerne le vesti sino a bruciar sulla pelle viva.
Sospirò, prende atto della scialba egemonia delle abitudini di genti, fermandosi socchiude gli occhi, attende di trovarsi nella balia del suo più grande sbaglio, amar lo sbagliato.
-Feliciano, via da qui.-
Lo sciolse tempo addietro, il tono pronto e profondo; l'avrebbe forse portato in basso, non gli sarebbe dispiaciuto. Forse avrebbe potuto tentare di capirsi, a tentar di rimediare a quella mancata conoscenza sull'amore- e se non corrisposto, quanto inutile e stretto male, nel non poter impedire di trovarsi placidamente a piacere ciò che ancora non poteva avere.
Pose gli occhi stralunati in quelli del Re, ne legge i contorni, sposando i gesti sicuri con i quali teneva stretto a sè il destriero ed era fiero e maledettamente uomo in quel momento- qual sorpresa, di vederne l'animo di chi si è lasciato alle spalle una difesa salda e fin troppo impenetrabile. 
Lo sguardo non ebbe voglia di scorgere gli uomini che fiumavano a valle, ed il verde che piano andò a far cornice florida al viso tirato, eppure tanto disposto ed attento alla sua figura. Temeva, e non a torto, che dopo la tragica allegria nataliza non avrebbe sprecato parola se non per congedarlo.
Era quindi semplice dovere, una cortesia che velava quegli occhi stanchi? E fosse stata tale, l'avrebbe accolta comunque, che gli giungesse quell'attenzione particolarmente sua, magari qualche ricordo che coincidesse con un timido schioccar d'opinioni e menti, una coesione di pochi minuti, andata ad ingabbiarsi nell'infinito di una memoria.
- Non ditemelo perchè dovete.-
Questo, aveva fatto di lui Ludwig; l'uomo fragile e supponente, investito dalla preoccupazione di non poter vivere l'amore come vorrebbe la giovinezza ed il cuore, facendo dell'arte solo l'opposizione a sè- oppur morta, strozzata com'era quella poca briciola di magia che ancora gli avviluppava nelle vene, ed era malata ed informe, un nero catrame capace sol di disegnare i tratti dell'uomo a cui Amore lo indirizzò.
Attese quindi risposta, sotto lo starnazzare coordinato dei fiati di ferro, imponendosi di non studiarne l'espressione, in quanto sarebbe stato inutile e stranamente masochista.
- Si tratta di un mio ordine. Eseguilo.-
E diamine, che guardasse quel viso italiano rovinato ed accartocciato! Come non vedeva, quanto bramasse il più crudo affiatamento arrabbiato, che la diffidenza di quel dannato gigante d'acciaio; e frantumava, disgregava i legami avendone paura, temendo che mai più sarebbe riuscito a separarsene quando quei fili rossi avrebbe accennato a rottura,"e Ludwig, questo tu lo chiami vivere?"
Sibilò nell'aria fredda, e che oramai osasse, si era spinto tanto in fondo con azzardi inconsueti a reali, che un morso o ferita in più non l'avrebbero scalfito.
-Vuoi forse mandarmi via, Ludwig?-
I piedi che si piantarono saldi a terra, sotto il cielo che diveniva scuro e plumbeo di cirri dispettosi, uno sontro di volute e flebili uragani; e si specchiavano tanto bene, negli occhi del sovrano, che chiari rammentavano alla pioggia, e continuavano a spingerlo a timore.
La voce tremula ed inferma lo indispettì, lo fece rivoltare triste, corrucciare nel profondo.
Chiuse poi la bocca, serrandola, ed osando non si giunge sempre a riva, sebbene sia noto il contrario, ci si può trovare nei turbini dei naufragi, annaspando e trovando come aiuto di nuovo l'acqua cisposa. Solo pregando, congiungendo il tuo volere a quello dei potenti, troverai un appiglio pronto ad afferrarti saldo- e stupiscilo, prova e tenta se è in tuo volere, ma fidati del tuo fiuto fino e corteggia la fortuna; non si viola e cede, difficilmente sarà tua.
E d'improvviso quel crudele cavaliere lo prese fra le mani e strinse le spalle pesanti e gobbe, tirandolo in un brusco e non voluto avvicinarsi; non avrebbe avuto cuore di ribellarsi dalla presa forte, in un contorto senso anche rude, ma non dispiaceva, ancora non faceva male.
Avvertì il calore dovuto al forzato chinarsi di lui, un fruscio lento sulla sua fronte; e l'armatura scricchiolò, lo fecero anche le voci del soldati oramai pronti e volti verso la schiera della nemesi. Uno schiocco sulla fronte di una briciola di tempo, tanto leggero e casto, puro e bianco sullo sfondo della lama sguainata al fianco, delle grida ed attesa, sotto i tamburi che rullano.
E vorrebbe vederne il volto rosso, quel gesto incapibile che l'ha fatto un poco più buono ai suoi occhi, eppur cambia pagina rapidamente, Ludwig volta e inizia capitolo, sale veloce a cavallo e prende ad ululare i suoi comandi- la spada in mano scivola dalla guaina, volta al cielo che antipatico borbotta, e quel momento muore, va dritto sulla marcia a calibro dell'orizzonte animato da nere formiche in ferro.
Si tesero i nervi sull'incapacità di parlare, lo fanno i soldati frementi, il gesto si ripete nel ghigno dei nemici, s'alzò la polvere piana, bieca nel suo turbinar- infine egli, quel frastornato preso dall'amore, nel mezzo.


Ed il fischio rauco d'ottone gridò.
















- Parlandone.
Ragazzi, scimmie mie, sono terribilmente sconvolta da ritardo con il quale posto.
Ho avuto svariati problemi con il pc, il tempo per scrivere che si riduce, e i progetti che s'ammassano e tirano verso nuove storie e pairing- ci dedico un filo di tempo, passa l'opportunità di seguire con la storia.
Innanzitutto, questo è mezzo capitolo.
Sono particolarmente presa da deficit mentali in questo periodo, e pur di dirmi viva con "L'Amante del Re" posto metà di quello che dovrei, forse perchè preferisco tagliare qui che in altri momenti.

Ringrazio di cuore i vostri incoraggiamenti e la voglia di leggere quel che scrivo- inaspettata, direi! Al prossimo arrivederci, inserirò i dovuti e smielati grazie, nome per nome, punto per punto.
E ditemi che potrei migliorare (seppur il capitolo in sè non sia troppo curato e faccia schifo in buona proporzione), se è bene che continui o metta nel cassetto questi due ometti.

Grazie per l'attenzione, vi ano.



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