Amamelide sotto la luna piena.

di Amy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando la luna non c'é. ***
Capitolo 2: *** Sembra una ninfa della natura. ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni e segreti. ***
Capitolo 4: *** Una domanda inaspettata ***
Capitolo 5: *** Non ti lascerò. ***
Capitolo 6: *** Innamorato della luna. ***
Capitolo 7: *** Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. ***
Capitolo 8: *** Il rituale della luna piena. ***
Capitolo 9: *** Il segreto svelato. ***
Capitolo 10: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Quando la luna non c'é. ***


QUANDO LA LUNA NON C'E'.

Era una bellissima notte, una di quelle limpide, senza neanche una nuvola in cielo, ma solo un intenso blu: una notte ricolma della luce della luna piena. Un ragazzo stava seduto sotto un albero dai fiori gialli, un albero di amamelide, contemplava la luna e le parlava.
Molti avrebbero potuto trovare strano quel suo parlare a qualcosa di irraggiungibile, ma lui non aveva nessun altro a cui raccontare la sua giornata, di come era andato il lavoro alla fattoria e quanti prodotti aveva venduto. I suoi genitori erano morti un anno fa, a causa di una febbre molto alta, e lui era rimasto solo. Per fortuna aveva di cosa vivere: i suoi genitori si erano trasferiti in questo piccolo paesino e avevano messo su la fattoria che adesso gestiva lui. Solo quella sfera bianca e misteriosa era lì, quasi ogni notte, per fargli compagnia e ascoltare silenziosamente la sua storia, e lui amava tanto quella piccola abitudine che aveva prima di andare a dormire, che in quei tre giorni in cui la luna lasciava misteriosamente il cielo lui si sentiva più solo che mai.
Quel giorno il ragazzo aveva lavorato così tanto che si addormentò mentre raccontava alla luna del dolce agnellino che aveva fatto nascere, ma poco prima di cadere nel mondo di Morfeo intravide in lontananza una candida luce bianca. Il vento, facendo muovere delicatamente i fior color del sole, gli portò una soave voce che cantava.
Il mattino dopo quando si risvegliò si convinse di aver fatto solo un bellissimo sogno.
I giorni passavano e ogni notte la luna continuava a decrescere fino a quando non arrivarono quei tre giorni in cui non si vedeva alta nel cielo.
La terza notte il ragazzo prese una candela, la accese e uscì. Di solito non usciva mai quando non c’era la luce della luna a risplendere nella notte, ma non ce la più a stare solo in quella casa.
Si recò verso l’albero di amamelide e, mentre stava per raccogliere un piccolo ramo di fiori, sentì una voce, una soave voce che cantava che solleticò un ricordo nella sua mente: quella…quella era la voce che apparteneva alla luce che aveva sognato. Decise di seguirla.
Si addentrò nella piccola foresta vicino alla radura, fino a quando capì di essersi perso.
Tese l’orecchio, ma purtroppo non sentì più la voce, la candela stava per spegnersi e stava per rimanere nel buio più totale.
Il panico si era impossessato di lui.
I minuti passavano.
La candela si spense.
Perché aveva seguito quella voce? Stava per mettersi a correre alla cieca quando vide una luce nel bel mezzo della foresta. Iniziò a camminare svelto con la speranza di trovare qualcuno. Più la luce si faceva vicina, più gli alberi diventavano fitti. Li superò uno dietro l’altro e quando non trovò più nessun ostacolo di fronte a sé si guardo intorno e rimase estasiato da ciò che vide.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
ciao! Ecco il primo capitolo di questa mia storia. Spero tanto che a qualcuno venga voglia di leggerla e magari lasciare qualche commento. Aggiornerò ogni settimana.
Il prossimo capitolo sarà "Sembra una ninfa della natura".

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Capitolo 2
*** Sembra una ninfa della natura. ***


SEMBRA UNA NINFA DELLA NATURA.

 
Si trovava sul limitare di una piccola radura perfettamente circolare.
Davanti a lui si stagliava un imponente masso dal quale sgorgava acqua cristallina che si riversava, tra una zampillo e l’altro, per formare un piccolo lago. La luce, proprio quella che lo aveva guidato, proveniva da una miriade di lucciole che volavano su e giù per la radura senza, però, mai lasciarla. Un profumo di erba appena tagliata aleggiava nell’aria. Era un luogo stupendo.
Un attimo…un immenso masso nel mezzo di una radura dal quale sgorgava acqua? Questo non era assolutamente naturale.
Non fece in tempo a tormentarsi la testa alla ricerca di una valida spiegazione che, con la coda dell’occhio, vide una figura seduta sul masso. Incuriosito, si nascose subito tra un albero e un cespuglio per poter osservare senza essere visto e, ciò che apparve davanti ai suoi occhi, lo lasciò senza fiato.

Un’ incantevole ragazza suonava il flauto con gli occhi persi nel cielo scuro. Morbidi capelli castani ricadevano sulle sue spalle mossi leggermente dal vento e la sua pelle era candida come la luce della luna. Un vestito azzurro come l’acqua del mare in primavera le fasciava il seno, lasciando scoperta la parte superiore della schiena, per poi appoggiarsi delicatamente sui suoi fianchi e scendere fino a coprire le caviglie. Il blu della notte si rifletteva là dove il leggiadro vestito formava della pieghe che variavano a ogni piccolo movimento della ragazza, e lì dove la stoffa era più chiara si poteva intravedere il contorno delle gambe. Una ninfa della natura, ecco come il ragazzo definì l’incantevole ragazza.
Dimenticando tutto, il tempo, il luogo in cui si trovava, il suo stesso nome, stette a guardare quella ragazza che appariva delicata e fragile e in quei momenti sentì di poter vivere solo guardandola da lontano. Rimase, così, dietro quell’albero, immobile, ad ammirare ogni suo piccolo movimento ed ogni singolo sorriso fino a quando aiutato dalla dolce musica del flauto il sonno non prese il sopravvento.
Quando si svegliò si guardò attorno assonnato e confuso. Perché era nella foresta?
Poi un’ immagine nitida gli balenò alla mente: l’incantevole fanciulla.
Si alzò di scatto, superò l’albero che lo aveva nascosto tutta la notte e… nulla.
Non c’era più nulla! La radura circolare era vuota.
Il masso? Il lago? Si era sognato tutto? No, non era possibile, quella fanciulla era reale, doveva essere reale.
Nel cielo una nuvola si spostò rivelando il sole alto nel cielo e un raggio di luce colpì in piena faccia il ragazzo.
Ma quanto aveva dormito? Doveva sbrigarsi se voleva trovare un posto in cui sistemarsi al mercato del paese, altrimenti, sarebbe rimasto senza denaro per l’intera settimana. A malincuore uscì dalla radura e si incamminò nella foresta con la speranza di ritrovare la strada del ritorno facilmente.
Lui, però, quella notte voleva tornarci in quella radura e, così, incise una x sulla corteccia di ogni albero che superava: in questo modo avrebbe ritrovato la strada.
Senza molta fatica, per fortuna, ritornò alla fattoria, prese il suo carretto, lo riempì di latte e formaggio e si diresse verso il paese che distava circa cinque-sei chilometri dalla sua fattoria.

Finalmente arrivò la notte e, con ansia, prese una candela, la accese e si incamminò nella foresta. Seguì la strada che aveva tracciato quella mattina, superò un albero e poi  un altro e infine anche l’ultimo e… nulla, ancora nulla.
Quella radura circolare era completamente vuota.
Una grande delusione si impossessò di lui:  ci aveva sperato veramente tutto il giorno di ritrovare l’incantevole fanciulla.
Si diresse al centro della radura, piantò la candela per terra, si stese sull’erba e diresse lo sguardo alla luna che stava cominciando a ritornare piano piano nel cielo. Le parlò di quella fanciulla, di come lei sembrava parte della natura e la natura sembrava riversarsi in lei, di come la sua musica lo incantava e di come le era entrata nelle testa senza più uscirne per tutto il giorno. La candela stava per spegnersi, così, diede un ultimo sguardo alla luna, che quella notte, anche se piccola, sembrava più luminosa del solito, e se ne tornò a casa.

I giorni passavano e il ragazzo ogni notte si recava alla radura, ma purtroppo della fanciulla nessuna traccia e così si ritrovava a parlare alla luna della sua frustrazione.
Arrivò la luna piena e quella notte nel ragazzo la fiammella della speranza, che andava affievolendosi, si rianimò un po’: era la scorsa luna piena che aveva sentito per la prima volta quella magnifica voce.
Prese una candela e si diresse verso la foresta, ma quando andò a cercare la strada di x non la trovò più. Cercò e ricercò, ma nulla era scomparsa.
Fece un bel respiro e si disse:
“Ho fatto questa strada per circa due settimane, ormai posso ripercorrerla ad occhi chiusi”.
Si incamminò nella foresta e con il cuore che batteva forte si mosse tra un albero e l’altro fino ad arrivare in quella parte dove gli alberi si facevano più fitti.
Si rivolse alla luna e disse:
“Per favore, fa che ci sia!”.
Percorse gli ultimi metri, ed eccolo lì, l’ultimo albero. Iniziò a correre, voleva sapere, doveva sapere se tutte quelle notti aveva cercato invano. Si fermò di botto, era arrivato nella radura e… al suo centro c’era un albero di amamelide, proprio come quello che si trovava vicino alla sua fattoria. Un unico raggio di luce lunare si concentrava sull’albero, illuminandolo e ogni foglia e ogni fiore sembrava fatto di pietre scintillanti. Si avvicinò all’albero, allungò una mano per toccarlo, ma una figura ricoperta di luce uscì da dietro l’albero e prima di poterci capire qualcosa fu colpito alla testa con un ramo, ma prima di cadere per terra tramortito sentì una voce che diceva:
“Torna quando la luna non c’è, se vuoi!”.
Poi il buio si impossesso di lui.

 

Note dell'autrice:
Spero che questo capitolo abbia più successo del primo e che qualcuno voglia scoprire chi è veramente la fanciulla e che cosa centra l'albero di amamelide!!!

 

 

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Capitolo 3
*** Rivelazioni e segreti. ***


RIVELAZIONI E SEGRETI.

 Quando si risvegliò, un terribile mal di testa iniziò a farsi sentire. Aprì gli occhi e si mise a sedere lentamente per evitare di aumentare le pulsazioni che aveva in testa, si guardò intorno e naturalmente la radura era completamente vuota e, del meraviglioso albero, non vi era per niente traccia.
“Torna quando la luna non c’è, se lo vuoi!”: gli aveva detto questo la voce prima di colpirlo…molto forte. Si toccò con la mano il bernoccolo che gli si era formato e cavolo se non faceva male.
Sbadigliò e si grattò la testa, gli sfuggiva qualcosa.
Giusto! Nel pomeriggio doveva aiutare i contadini del villaggio a sistemare il grano che loro avevano raccolto nella mattinata. Doveva subito tornare a casa, così si alzò e si incamminò verso la fattoria. Prima di tutto avrebbe fatto una bella dormita: di certo non sarebbe stato di grande aiuto se non avesse fatto sparire il mal di testa. Inoltre, il suo letto, lo avrebbe aiutato a mettere a tacere i dubbi che lo attanagliavano: non sapeva proprio se accettare l’invito della voce; lui era andato nella radura per cercare la fanciulla e, invece, si era imbattuto in una misteriosa voce proveniente da una figura di luce. Aaah! Che confusione! Per adesso avrebbe pensato solo a dormire.

 L’incantevole fanciulla lo guardava negli occhi sorridendo per poi rivolgere lo sguardo alla luna piena che troneggiava nel cielo. Petali di amamelide volteggiavano nell’aria diventando sempre più numerosi fino a ricoprire completamente la fanciulla. Quando anche l’ultimo petalo si fu appoggiato la fanciulla scomparve, tutto divenne buio e nel vuoto riecheggiava la voce: “Torna quando la luna non c’è, se lo vuoi!”.

Si svegliò di soprassalto. Era stato un sogno davvero strano, molto strano. Cosa voleva dire?
Si alzò e mise qualcosa sotto i denti: il suo stomaco reclamava cibo. Poi si preparò e andò al villaggio: lo aspettava un duro lavoro.
Quella sera tornò distrutto. Si addormentò immediatamente, senza trovare neanche il tempo di sedersi sotto l’albero per parlare alla luna. Ma quel giorno, almeno, aveva deciso di accettare l’invito della voce: forse avrebbe potuto sapere qualcosa sulla fanciulla, dopo tutto la prima volta che l’aveva vista era proprio nella stessa radura dove aveva sentito per la prima volta la voce e, inoltre, l’appuntamento era proprio in una notte di luna nuova.

 I giorni passavano e il ragazzo era sempre più impegnato tra il lavoro in fattoria e quello in paese. Ogni sera crollava esausto e, sfortunatamente, non riusciva più a parlare con la sua amica dalla luce bianca e questo lo rattristava molto.
Arrivò la prima notte di luna nuova.
Anche quel giorno il ragazzo aveva lavorato duramente, ma appena giunta la sera, prese in mano una candela e si incamminò nella foresta: non si sarebbe addormentato per nulla al mondo, doveva riuscire a sapere qualcosa sulla fanciulla.
Camminò in silenzio e con una certa fretta.
“Chissà se la radura sarà vuota questa volta?” si ritrovò a domandarsi con la voce della mente, lui un pochino sperava di ritrovare lo splendido lago.
Mancava poco all’arrivo quando una luce si fece strada tra gli alberi.
“Sono le lucciole!” pensò entusiasta.
Speranzoso il ragazzo arrivò all’ultimo albero al limitare della radura. Aveva intravisto un grande masso tra gli alberi, ma ancora non ci credeva. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro.
Sentì lo scorrere dell’acqua.
Si affacciò e aprì gli occhi.

Tutto era proprio là, esattamente come lui si ricordava! Adesso doveva solo trovare la voce e chiederle se… la sua attenzione fu attirata da una figura sul limitar del lago che gli dava le spalle. Con movimenti delicati, questa, si tolse il vestito e l’appoggiò ai suoi piedi e poi con piccoli e regolari passi entrò nel lago. Le gocce d’acqua brillavano sulla pelle diafana della sua schiena.
Il ragazzo stava fissando estasiato la figura che gli sembrava così familiare quando quella sollevò le spalle come a prendere un profondo respiro e si girò.
Il ragazzo smise di respirare. Era la sua fanciulla e lo stava guardando, dritto negli occhi, con uno sguardo pieno di dolcezza e felicità. Lei iniziò a muoversi verso di lui e lui…lui era lì, fermo immobile senza niente che lo proteggeva dalla vista della fanciulla. Poteva confondersi benissimamente con gli alberi per quanto era rigido, peccato non fosse completamente marrone e con i capelli verdi.
“Se quella era un battuta faceva pena caro mio!” pensò.
Cavolo la presenza della fanciulla mandava il suo cervello in cortocircuito.
Il suo cuore batteva forte come non aveva mai battuto.

La fanciulla continuava ad avanzare e ad un certo punto, con un lento movimento della mano, fece muovere l’acqua: un serpente di quel liquido cristallino iniziò a fuoriuscire dal lago, al suo interno c’era una sostanza che lo rendeva scuro, doveva essere terra. La fanciulla iniziò a farlo girare intorno a lei in modo da coprire la sua pelle nuda e quando ormai l’acqua le arrivava al livello delle ginocchia, il serpente le copriva il seno, per poi scendere lungo il ventre e girare intorno alla vita. In tutto quel tempo lei non aveva mai smesso di guardare negli occhi il ragazzo. Quando il suo piede toccò la terra  le labbra si curvarono in un delicato sorriso e a quel punto, ad ogni suo passo, la fanciulla sembrava non toccare terra.
Il ragazzo iniziò ad indietreggiare, non sapeva proprio come comportarsi, non si era mai trovato in una situazione del genere.
La sua schiena andò a sbattere sul tronco di un albero.
La fanciulla lo aveva raggiunto e adesso era ad un passo da lui.
“Buonasera Alessandro.” disse.
Come faceva a conoscere il suo nome?
Le gambe gli cedettero, un po’ per la stanchezza causata dal duro lavoro, un po’ per la tensione che lo attanagliava e, così, si ritrovò con il sedere per terra.
La fanciulla rise di una risata silenziosa e poi si abbassò verso di lui, avvicinando i loro volti.
I suoi lunghi capelli sfiorarono il viso del ragazzo mentre piccole gocce d’acqua cadevano su di lui.
I loro sguardi non avevano mai smesso di incontrarsi: gli occhi castani della fanciulla studiavano quelli azzurro del ragazzo.
La fanciulla si avvicinò sempre di più a lui e lo baciò.
“E’ come trovarsi al centro dell’universo circondati da un milione di stelle” pensò Alessandro “sa di cielo”.
“Ha un buon sapore, di erba appena tagliata” pensò la fanciulla.
“Wow!” disse Alessandro e subito dopo le sue guance si colorarono di rosso. La fanciulla rise ancora felice.
“Senti, non è che potresti girarti. Sai, vorrei cambiarmi: questo è un po’ scomodo” disse, più per non imbarazzare Alessandro cambiandosi sotto i suoi occhi che per vergogna, indicando il serpente d’acqua.
“Oh! Cert…certo, certo!” disse, già molto imbarazzato.
Così la fanciulla si avvicinò al lago, fece ritornare l’acqua al suo posto e si rimise il vestito.
“Fatto!”.
Alessandro si girò.
“Sai” iniziò a parlare la fanciulla “sono così felice che tu sia venuto. Non ci speravo più, non mi parli più dall’ultima luna pien... Ops, forse ho detto troppo”.
Nella mente di Alessandro un groviglio fatto di confusione si andava espandendo.
“Hai detto troppo? Io… io sto capendo sempre di meno” disse lui sconsolato  “Per cominciare sono venuto qua perché una voce mi ha invitato e io ho accettato solo perché speravo di avere informazioni su di…te”.
A quel punto si rese veramente conto di quello che stava succedendo: aveva trovato la fanciulla che stava cercando da quasi due mesi e poi lei…lo aveva baciato.
“Ehi!” disse la fanciulla.
Si ridestò “Co…cosa c’è?”.
“Hai smesso di parlare all’improvviso! Avevi gli occhi persi nel vuoto! A cosa stavi pensando?”
“A niente” rispose velocemente. Non era vero, stava pensando a lei. Diventò rosso.
La fanciulla lo guardò dubbiosa, così Alessandro riprese a parlare per spostare la sua attenzione altrove.
“Stavo dicendo…la voce, giusto! Non è che per caso hai sentito una voce aggirarsi nei dintorni? Vorrei sapere perché mi ha invitato.”
Intanto la fanciulla si era seduta vicino al lago, aveva messo le gambe nell’acqua e gli stava facendo segno di sedersi accanto a lei. Quando Alessandro le si fu seduto accanto, iniziò a parlare.
“Devi sapere che io e la voce siamo la stessa persona e… mi dispiace averti colpito, ti ha fatto molto male?” disse con uno sguardo dispiaciuto, ma un po’ malizioso nel fondo.
Eh? La fanciulla che lui aveva visto fragile e delicata l’aveva colpito e, cavolo, se non gli aveva fatto male.
“No no, non ti preoccupare.” mentì “Io, comunque, non ci capisco niente ugualmente. Quindi tu e la figura di luce siete la stessa persona. Allora perché mi hai colpito, mentre adesso parliamo come vecchi amici?”
Lo guardò seria “Nessuno deve vedermi quando sono coperta di luce. Perderei i miei poteri e l’albero di amamelide morirebbe e stanne certo, non è una cosa positiva. E giusto per concludere allegramente morirei anch’io”.
“Perché?”.
Silenzio.
“Va bene. Ho capito, non me lo puoi dire. Di una cosa sono certo : questo posto è magico!” disse fiero di sé.
“Ragazzo sei un genio!” rise “Stai attento, però, non è semplice magia. E’ la magia della natura: è antica e potente”.
Annuì serio.
“Quindi tu non sei umana. Cosa sei?”
“Non te lo posso dire, mi dispiace”.
“Tutti questi segreti e allora perché mi stai parlando così tranquillamente, non hai paura che possa gridarlo al mondo?” disse come un bimbo capriccioso.
“Non puoi dirlo”.
“Eh?”.
“Anche se lo vuoi, non puoi parlare a nessuno di me. C’è un antica magia che lo impedisce per proteggermi”.
“Fantastico, ! E io che pensavo ti fidassi, in qualche modo, di me!”.
“Ma io mi fido di te. So che non verrai con la luna piena per non mettermi in pericolo”.
“Scusami, non ci avevo pensato” disse mortificato.
“Almeno posso sapere il tuo nome? Tu sai il mio e ancora non ho capito come”.
Si alzò in piedi e guardandolo dall’alto gli disse: “Il mio nome è il segreto più grande di tutti. Alcuni sanno che esisto, pochi chi sono, ma nessuno sa il mio nome”.
Si rattristò.
“Scusami, non volevo essere inopportuno”.
“Smettila di scusarti. E’ legittimo fare domande. E poi” continuò con un tono che la diceva lunga “io ti conosco meglio di quanto credi. Ah, non posso dirti perché, se vuoi saperlo scoprilo!”.
Alessandro sbuffò e si stese sull’erba.
“Suonami il flauto.” disse all’improvviso “Sei davvero brava. Lo puoi fare, almeno questo, per me?”
La faccia della fanciulla fu immediatamente a un centimetro dalla sua.
“Solo se mi dai un bacio”.
Il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti ed era sicuro che ormai la sua faccia era completamente rossa. Gli mancavano le parole. Cavolo, quella ragazza era stata davvero audace, se non dire anche un po’ sfacciata, a chiedere una cosa del genere, ma lui in fondo voleva la stessa cosa.
Cavolo, era davvero imbarazzato, ma si fece coraggio e le diede un leggero bacio sulle labbra e, così, sentì quelle della fanciulla allargarsi in un sorriso.
Poi lei si mise a sedere e con un gesto della mano fece uscire dal lago una teca di vetro che le si appoggiò in grembo. L’aprì, prese il flauto e iniziò a suonare.
Alessandro la ascoltava rapito e si beava di quel momento, ma nonostante tutti i suoi sforzi la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò con un pensiero nella mente: quella fanciulla non gli piaceva e basta, stava proprio iniziando a capire che si era innamorato di lei e non ne poteva fare a meno.
L’amore è proprio qualcosa di bello e irrazionale.

Quando la fanciulla si rese conto che il ragazzo si era addormentato smise si suonare e si incantò a guardarlo. Era così bello: occhi azzurri come il cielo di giorno e capelli corvini come la notte.
Lui non lo sapeva, ma lei era completamente innamorata di lui. Un colpo di fulmine, non le era mai successo. Si, era stata interessata a qualche altro ragazzo e a volte aveva creduto di aver trovato l’amore, ma purtroppo nessuno era quello giusto. O meglio, per fortuna, perché poi aveva trovato Alessandro e senza alcun motivo non riusciva più a toglierselo dalla testa. L’aveva osservato per un anno: era un ragazzo dolce, altruista, e anche molto solo, come lei. Poi quella notte aveva scoperto che era così impacciato quando si parlava di sentimenti, le aveva fatto tenerezza.
Adesso sperava con tutta l’anima che fosse lui a svelare il suo segreto e ringraziò mentalmente il cielo che, sopraffatto dalla stanchezza, si fosse dimenticato di chiederle il perché di quell’invito. Certo lo aveva baciato, e tra parentesi era stato stupendo, ma le era proibito rivelare i suoi sentimenti per prima, doveva farsi avanti lui. Maledette regole della magia, lei voleva semplicemente dirgli: “Ti ho invitato perché mi sono innamorata di te!”. Era una cosa così difficile da confessare, ma state certi che quanto questo è proibito ci si sente scoppiare.
La fanciulla sospirò senza mai smettere di guardarlo. Gli prese una mano: era così grande in confronto alla sua. Aveva desiderato così tanto l’intimità di quel gesto: adesso era sua.
Il cuore le batteva forte: non aveva mai contenuto tanto amore. Una lacrima le scese lungo il viso brillando di luce argentea: avrebbe fatto di tutto per quel ragazzo dall’animo puro.
Sospirò ancora.
Si stese accanto a lui e per tutta la notte non fece altro che guardarlo mentre dormiva serenamente.

NOTE DELL’AUTRICE:
Ed eccomi con il terzo capitolo! Finalmente Alessandro e la fanciulla si parlano!
Io mi sono emozionata quando ho scritto la parte finale! La fanciulla è tanto innamorata…e neanche Alessandro scherza, si sta innamorando lentamente e dolcemente.
Spero in qualche recensione, almeno una!!! Secondo voi chi è la misteriosa fanciulla?

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Capitolo 4
*** Una domanda inaspettata ***


UNA DOMANDA INASPETTATA.

 
Il mattino dopo Alessandro si risvegliò nella radura.
Il suo primo pensiero andò alla fanciulla e alla magica serata che aveva trascorso con lei. Si perse nel ricordo del suo profumo, delle magiche sensazioni provate nel baciarla, del suo sorriso e (le sue guance diventarono rosse) del suo corpo sfiorato dall’acqua. Si scoprì a pensare di desiderarla completamente per sé, di volerla accanto a lui adesso, di passare la mano tra i suoi morbidi capelli per poi perdersi in un lungo bacio con le sue morbide labbra, ma soprattutto si scoprì a pensare di volerla amare con tutto l’amore che la sua anima poteva dare.
Si beava in questi dolci pensieri con il cuore che aggiungeva ogni secondo un battito, quando un pensiero dimenticato gli balenò alla mente.
Fu solo un attimo.
Quell’attimo, però,  bastò per fargli aprire immediatamente gli occhi.
Si mise a sedere velocemente con il respiro corto e le mani sudate.

Che cosa provava la fanciulla nei suoi confronti?
Cercò di riorganizzare i pensieri.
Certo era stata lei a baciarlo, ma se il significato che dava lui a quel gesto era diverso da quello della fanciulla? E se non provava gli stessi sentimenti? No, non riusciva neanche a prendere in considerazione quest’ipotesi, non voleva, non poteva. Il suo cuore si rifiutava, mentre la mente, imperterrita, non perdeva occasione per puntualizzarglielo.
Aveva bisogno di sapere cosa passava per la mente della fanciulla e quella sera, glielo avrebbe chiesto. Giusto, glielo avrebbe chiesto. Peccato che non sapesse neanche se quella sera l’avrebbe trovata alla radura. Maledetta stanchezza, non gli aveva permesso di chiedere alla fanciulla se si sarebbero incontrati.
Frustrato dalle incertezze Alessandro si mise in piedi e andò a lavorare. Almeno, sperava, avrebbe tenuto la mente occupata. Naturalmente si sbagliava in pieno. Sì, si teneva occupato, ma solo il corpo era impegnato a lavorare. La mente, invece, non faceva altro che tormentarlo con quei tanti dubbi che lentamente insinuavano frammenti di tristezza nel suo animo.

 
Arrivò la sera e ciò che regnava nell’animo di Alessandro era l’inquietudine.
Incamminatosi verso la radura, aveva in mente solo un obiettivo: avrebbe chiesto alla fanciulla di chiarire i suoi sentimenti. Camminò veloce, con lo sguardo che si spostava deciso dalla fiammella della candela alla strada davanti a lui, contando i suoi passi per impedire alla mente di divagare. Superò deciso gli ultimi alberi e si guardò intorno.
Un sospiro di delusione fuoriuscì dalla sua bocca.
Non c’era nessuno.
Poi, percepì un leggero tocco dietro la sua spalla. Si voltò spaventato e… il tumulto interiore del suo animo si placò velocemente, per poi disperdersi. La fanciulla lo guardava sorridendo e lui si perse nei suoi occhi profondi come il cielo. Rimase lì, immobile, con un sorriso ebete sulla faccia, fino a quando il suo cervello non gli ricordò che doveva ricominciare a respirare perché aveva bisogno d’aria.
La fanciulla lo stava guardando con un espressione un po’ preoccupata.
“E’ successo qualcosa?” le chiese “Ti senti poco bene?”
“Io? Più che altro dovrei chiederti se tu stai bene! Hai smesso di respirare per circa un minuto!”.
“Cavolo!” sbottò nella sua mente “non è mica colpa mia se lei mi guarda in quel modo! Il cervello mi va in panne!”
“No, sto bene! Sto bene.” borbottò.
“Meglio così, allora”.
La fanciulla lo guardò annuire e desiderò con tutto il suo cuore che fosse proprio quel dolce, timido e gentile ragazzo a scoprire il suo segreto: solo in quel modo si sarebbero potuti appartenere davvero.
Lei lo sapeva, sapeva che Alessandro si era innamorato di lei. Conosceva tutto di lui e poi, bastava guardarlo: era un libro aperto quel ragazzo ed il suo cuore era così puro.
Infatti, la fanciulla si accorse subito che c’era qualcosa che lo turbava. Si avvicinò ad Alessandro, che nel frattempo si era steso a pancia in giù sull’erba e aveva nascosto la testa tra le braccia, e gli si sedette accanto. Gli passò una mano tra i capelli corvini e sentì che lui rabbrividì al suo tocco.
“Cosa c’è che non va?” gli chiese dolcemente.
“Non ho niente.” La sua risposta arrivò attutita dalla presenza delle braccia intorno al suo viso.
“Non ti ho chiesto se hai qualcosa che non va, ti ho chiesto di dirmi cosa hai che non va.” puntualizzò lei.
Improvvisamente Alessandro si alzò su un gomito e stese l’altro braccio prendendo la mano della fanciulla tra la sua. La guardò negli occhi e stupendo sia se stesso, che non avrebbe mai creduto che dentro di lui ci fosse il coraggio per fare questo, sia la fanciulla, che non si aspettava questa domanda così presto, Alessandro chiese:
“Cosa provi per me?”
Alessandro sentì la fanciulla irrigidirsi. Cavolo (pensava un po’ troppe volte cavolo), forse aveva esagerato, ma lui aveva bisogno di quella risposta. Ci teneva davvero alla fanciulla e quello gli aveva fatto superare, almeno in parte, la sua timidezza. E poi, da che mondo e mondo, era sempre stata lei quella sicura di sé.
La fanciulla non sapeva che fare.
Lo sguardo del ragazzo era deciso, voleva una risposta e lei non poteva dargliela. Non poteva dirgli che si perdeva nei suoi occhi ogni volta che lo guardava, che adorava quel suo fare così gentile e che voleva le loro labbra a contatto in quel preciso istante. Le era proibito. Doveva essere lui a dirle, per primo, cosa provava. E giusto per rendere le cose più facili, le era anche proibito fargli la fatidica domanda “Cosa provi per me?”.
Non sapeva cosa fare e intanto lui la guardava con quei suoi occhi azzurri che risplendevano di speranza.
Alessandro notò il tormento negli occhi della fanciulla. Fece un profondo respiro, sperando che gli fosse rimasto un po’ di coraggio, si sedette a gambe incrociate di fronte alla fanciulla e decise che avrebbe parlato lui per primo.
“Senti, io non so cosa mi sia preso, non so neanche il tuo nome, ma non riesco più a dimenticarti. I tuoi occhi che risplendono come la luce della luna, i tuoi lunghi capelli, la tua pelle morbida e candida e la tua personalità così forte e decisa. Poi quando ti vedo sorridere è come se tutto il resto non esistesse.” Alessandro si mise una mano sul cuore “Tu mi fai sentire un forte calore proprio qua e forse ti sembrerà tutto troppo veloce, ma io voglio stare al tuo fianco e penso proprio di essermi innamorato di te.”
A quel punto lui abbassò lo sguardo, la sua parte più timida stava fuoriuscendo di nuovo, ma lui era deciso a voler finire quel discorso. Quindi, anche se biascicando un po’ le parole, continuò.
“Lo so…lo so che sei stata tu a baciarmi, ed è stato fan-fantastico, ma io volevo sentirtelo dire.”
Rialzò titubante lo sguardo.
“Cosa provi tu per me?”
La fanciulla prese il viso di Alessandro tra le sue mani e con il più bel sorriso rispose:
“Io sono completamente innamorata di te e tu non hai la benché minima idea da quanto tempo lo sia!”
Alessandro prese le mani della fanciulla tra le sue, fece leva sulle ginocchia e avvicinò il suo viso a quello di lei. Poteva sentire il respiro della fanciulla sulla sua pelle, poi il suo profumo, sapeva di buono, poi avvicinò le sue labbra a quelle di lei e la baciò dolcemente. Le sue labbra erano così morbide, morbide come nuvole. Sentì la fanciulla rispondere al suo bacio. Poi anche lei fece leva sulle ginocchia, mise le mani sulle sue spalle e si ritrovarono, così, stesi sull’erba. Poteva sentire il calore del corpo della fanciulla a contatto con il suo. In tutto questo non avevano mai interrotto il contatto delle loro labbra. Alessandro era completamente in estasi.
Aveva perso il conto dei minuti quando la fanciulla mise la mano sul suo cuore, lo guardò negli occhi e disse:
“Lo sai, non me lo sarei mai proprio aspettata da te, questa romantica dichiarazione!”
“Neanche io, per niente!”
Iniziarono a ridere, come bambini innocenti che avevano tutto quello che desideravano accanto a loro. Poi si distesero sul prato e mano nella mano scrutarono il cielo, quel cielo pieno di stelle e senza luna.
“Posso farti una domanda?” disse Alessandro dopo un po’.
“Si”.
“Quando sei circondata di luce, hai detto che non ti può vedere nessuno. No?”.
“Si”.
Si girò sullo stomaco e la guardò negli occhi.
“Non hai mai desiderato avere qualcuno accanto con cui tu non ti debba nascondere?”.
Lo sguardo della fanciulla si perse nel cielo.
“A volte ci ho pensato, sarebbe bello. Però, veramente, ci sarebbe una persona che potrebbe vedermi.”
“E chi sarebbe?” chiese accigliandosi.
“Colui che scoprirà il mio segreto.”
“Quale segreto?”
Lo guardò sorridendo.
“Ho capito. Non posso saperlo.” Sbuffò e poi le rubò un bacio.
Stettero un po’ in silenzio, beandosi solo l’uno della presenza dell’altro. 
A un certo punto la fanciulla si mise a sedere. Voleva fare una domanda ad Alessandro, anche se lei conosceva già la risposta. Voleva vedere ciò che avrebbe detto lui. Si girò, con una finta espressione innocente, verso il ragazzo, che intanto si era seduto e la guardava dubbioso.
“Senti.”
“Mmh.”
“L’altra sera mi hai chiesto di suonare il flauto.”
“Sì.”
“Mi stavo chiedendo…”
“Sì.”
“Come mai sapevi che suono il flauto?”
Gli occhi del ragazzo si spalancarono per la sorpresa, era stato colto alla sprovvista da quella domanda. Diventò completamente rosso in volto e abbassò lo sguardo. Intanto la fanciulla guardava con tenerezza Alessandro evidentemente imbarazzato. Non si aspettava una risposta, quindi rimase sorpresa quando lui disse:
“Lo scorso mese ho visto una figura che si addentrava nel bosco. Ho deciso di seguirla perché aveva la stessa voce della figura di luce che avevo visto due lune piene fa.”
 Fece una pausa.
“Così sono giunto alla radura e ti ho visto mentre suonavi il flauto seduta su quel masso.” terminò indicando la roccia.
La fanciulla si avvicinò al ragazzo.
“Lo sai, non pensavo mi avresti risposto. A dirla tutta pensavo avresti sorvolato sull’argomento, invece mi hai detto la verità. Mi sorprendi sempre di più e mi piaci sempre di più.”
Sorrise.
“Adesso te la dico io una cosa. La figura di luce di due lune piene fa ero sempre io. Sai, ho cercato di attirare la tua attenzione perché voleva che tu mi seguissi.”
Sorrise ancora. Questa volta, notò Alessandro, era un po’ imbarazzata.
Poi, improvvisamente, la sua bocca si ritrovò impegnata. E fu un po’ per questo, un po’ per la confessione che la fanciulla gli aveva fatto che archiviò un particolare che la sua mente aveva colto: la fanciulla sapeva che la sua risposta era vera, quindi lei conosceva già la risposta alla sua domanda. Ci avrebbe, poi, riflettuto il giorno dopo.
Quella splendida serata terminò come la precedente. La fanciulla suonò il flauto, mentre Alessandro l’ascoltava rapito. Prima si addormentarsi di nuovo, però, chiese alla fanciulla:
“Domani ci incontreremo di nuovo vero?”
“Certo.” rispose la fanciulla. Poi gli diede un bacio e Alessandro si addormentò felice.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ed ecco il quarto capitolo! Ringrazio tutti coloro che si sono fermati un attimo a leggere questa storia.
Il quinto capitolo è già scritto. Ecco un estratto:

“Mancava poco alla radura, solo pochi passi. Uno, due, tre. Arrivò, vide la fanciulla seduta sul masso che rideva mentre le lucciole le volavano intorno e poi sentì il vuoto sotto di lui e svenne.”

 

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Capitolo 5
*** Non ti lascerò. ***



NON TI LASCERO’.

 
L’indomani Alessandro si svegliò di nuovo nella radura ritornata deserta.
Si passo una mano tra i capelli corvini.
Aveva fatto di nuovo lo stesso sogno. Questa volta, però,  dopo il sopraggiungere del buio, non c’era più la voce che diceva “Torna quando la luna non c’è, se lo vuoi!”, ma ricompariva la luna che continuava a crescere e decrescere. Forse la sua mente cercava di dirgli qualcosa, qualcosa che a lui sfuggiva! Mah!
Si rialzò in piedi e tornò alla fattoria pensando che gli sarebbe piaciuto svegliarsi con la fanciulla che dormiva al suo fianco.

 
Arrivò il pomeriggio. Seduto su un piccolo masso, controllava le pecore che stavano pascolando. Sorrise all’agnellino, che aveva fatto nascere qualche mese fa e che era diventato ormai grande. Era una femmina e l’aveva chiamata Luna, al collo le aveva legato un fiocco giallo come i fiori di amamelide. La pecora si avvicinò a lui e belò. Alessandro la accarezzò sulla testa.
“Luna, Luna, Luna. Lo sai, sei nata la stessa notte in cui ho intravisto per la prima volta la mia fanciulla. Lei è così bella. Ne sono completamente innamorato. Poi, mi perdo completamente quando guardo i suoi occhi immensi. Sai, ci siamo salvati a vicenda dalla solitudine in cui eravamo sprofondati. Eppure sento che non è ancora completamente mia, sento di poterla perdere. Devo scoprire quel segreto che si tiene tanto stretta!”.
La pecora belò ancora, come a volerlo incoraggiare.
“Sai” disse Alessandro “sei la seconda a cui parlo della fanciulla. Non l’ho mai detto a nessuno, solo alla luna”.
A quel punto rise di gusto. Aveva parlato della fanciulla a una pecora e alla luna. Era felice, però, erano entrambe importanti per lui. Sorrise, veramente, come non faceva da tempo. Ogni momento con la fanciulla nella sua mente era un sorriso.
Si soffermò sull’ultima sera passata con lei.
Poi qualcosa scatto nella sua mente.

“…mi hai detto la verità…”
Quelle poche parole si incisero nella sua mente e continuavano a ripetersi all’infinito. Tutto iniziò ad incastrarsi e gli ingranaggi della sua mente cominciarono a muoversi.
Lui aveva parlato solo alla luna della notte in cui aveva visto la fanciulla suonare il flauto, eppure la fanciulla era a conoscenza di questo.
“Cavolo!” gridò.
Scese velocemente dal masso spaventando la pecora.
Fu come se la natura smettesse di respirare, come se si volesse concentrare su quel piccolo essere umano per vedere se finalmente qualcuno, dopo tanto tempo, avesse capito.
La mente di Alessandro smise di trarre conclusioni, perché la giusta conclusione era proprio tra il suo sguardo e il suo cuore.
“La fanciulla e la luna… No, non ci posso credere! La fanciulla è la luna!”.
Sembrava tutto così assurdo, eppure così chiaro.
“Cavolo, ecco come faceva a sapere tutte quelle cose su di me. Gliele ho dette io!”.
Era così felice, finalmente sapeva chi era la fanciulla. Bastava chiederle conferma e se fosse stato tutto vero…cavolo, si poteva dire che si era innamorato della luna.
Si lasciò cadere sull’erba, mentre piccole foglie verdi trasportate del vento gli sfiorarono il viso.
Fu come se la natura volesse fargli una carezza, per ringraziarlo di aver lacerato un velo di solitudine.

 
La sera arrivò e con essa arrivò anche il momento di andare alla radura. Per tutto il giorno Alessandro non aveva fatto altro che passare dalla convinzione che la fanciulla fosse la luna alla convinzione che, invece, si era inventato tutto.
Si incamminò nella foresta a passo svelto, aveva bisogno di sapere. Si era tormentato tutto il giorno per trovare le parole adatte con cui porre la domanda, ma niente. Tutto quello che gli era venuto in mente gli sembrava privo di tatto e così, adesso, non aveva la minima idea di cosa dire e questo gli causava non poca ansia.
Camminava, un passo dopo l’altro.
Quella sera si sentiva più stanco del solito, la testa pesava. Il lavoro alla fattoria lo stancava molto, doveva sbrigarsela completamente da solo.
Mancava poco alla radura, solo pochi passi.

Uno, due, tre.
Arrivò, vide la fanciulla seduta sul masso che rideva mentre le lucciole le volavano intorno e poi sentì il vuoto sotto di lui.
Svenne.

La fanciulla volò, letteralmente, giù dal masso, mentre le lucciole la seguivano da dietro. Si piegò su Alessandro e iniziò a chiamarlo mentre gli bagnava il viso con l’acqua fresca che chiamava dal lago.
“Cavolo, che è successo?” disse lui con voce bassa mentre riapriva gli occhi.
“Mi hai fatto prendere un colpo. Ecco cosa è successo! Sei svenuto!” disse tutto d’un fiato. “Per fortuna sei rinvenuto subito, non deve essere niente di grave.”
“Cavolo, deve essere il lavoro alla fattoria. Ultimamente mi stanca abbastanza.”
Alessandro si mise a sedere, provò anche ad alzarsi, ma la fanciulla glielo impedì. Poi si sedette accanto a lui e gli prese la mano.
“Come ti senti adesso?”
“Io?!! Sto bene. E’ stata solo una cosa momentanea” rispose mentre prestava maggior attenzione alle loro mani strette insieme. Era… magico.
Un attimo…magico? A quel punto gli ritornò in mente quello per cui era andato di corsa nella radura. Doveva chiederlo subito e senza giri di parole.
“Senti.” disse stringendo di più la mano della fanciulla.
“Io penso di aver capito chi sei.” la guardò negli occhi.
“Tu sei la luna. Vero?”
La fanciulla rimase spiazzata da quel cambio così improvviso di argomento. Lasciò velocemente la mano di Alessandro che aveva stretto fino a quel momento e si allontanò da lui.
L’atmosfera era improvvisamente cambiata: era come se un velo di leggero astio mischiato a paura fosse sceso su di loro.
Le lucciole si erano ritirate ai margini della radura.
Loro erano in penombra.
Alessandro era estraniato, non riusciva a capire la reazione della fanciulla.
“Per favore, dammi una risposta. Sei tu la luna?” chiese con un velo di tristezza che la fanciulla mal interpretò.
Era arrivato il momento della verità. La fanciulla si tormentava. Poteva scappare e non farsi vedere mai più, ma non era da lei scappare. Poteva mentirgli, ma non voleva farlo. Poteva dirgli la verità e questa scelta non aveva nessun ma.
“Si!” disse abbandonandosi al suolo. Il vestito ricadde sull’erba in un cerchio perfetto.
“Sono l’eterno spirito della luna.”
Alessandro non sapeva che dire. Finora tutto era stato solo un enorme punto interrogativo, ma adesso era tutto vero: era innamorato dello spirito della luna.
“Come hai fatto a capirlo così in fretta?”, disse la fanciulla con il gelo negli occhi.
“Come ho fatto a capirlo?” sbottò Alessandro che non riusciva a capire dove volesse arrivare la fanciulla con quella richiesta: nella sua mente dovevano essere entrambi felicissimi.
“Sei tu che mi hai dato indizi su chi veramente fossi. Che c’è? Adesso che l’ho scoperto non ti va più bene?”
“Non pensavo che lo scoprissi così in fretta. Io non voglio separarmi da te!” disse la fanciulla quasi in lacrime.
“Separarti da me?” chiese Alessandro socchiudendo gli occhi.
“Si! Non voglio separarmi da te così presto!” gridò. “Non dovevi capire chi sono così in fretta!”
“Non capisco. Qual è il problema?” le rispose di rimando sempre più confuso.
“Tutti quelli che hanno scoperto chi sono, anche se si possono contare sulle dita di una mano, sono scappati impauriti da me e dai miei poteri. Non voglio perdere anche te, tu per me sei importante come non lo è stato nessun altro.”
All’improvviso ad Alessandro fu tutto completamente chiaro.
Si alzò, andò dalla fanciulla e l’abbracciò.
La fanciulla si irrigidì a quel gesto, ma poi trattenendo le lacrime, si abbandonò ad esso.
“Io non voglio lasciarti!” le sussurrò Alessandro in un orecchio, così delicatamente che sembrò come se quelle parole perdessero valore se dette in un tono più alto.
La fanciulla respirò il profumo della sua pelle prima di allontanarsi per guardarlo negli occhi.
Le lucciole non osavano avvicinarsi, come se volessero concedere ai due amanti un po’ d’intimità.
“Non ti turba che io sia lo spirito della luna?” chiese la fanciulla.
“Un po’ si, non pensavo fosse possibile una cosa del genere.” disse, ma poi notando che lei tornava a irrigidirsi, sfiorando le sue gambe, aggiunse: “Ma tu sei così bella e forte e poi sei… la luna: il romantico sogno irraggiungibile di ogni essere umano. Eppure io ce l’ho fatta e stanne certa, non ti lascerò! ”
La fanciulla era così felice di sentire, finalmente, quelle parole.  Le aspettava da molto tempo, ma adesso non poteva permettersi di lasciar divagare quella felicità come un fiume in piena: doveva essere sicura che Alessandro non sarebbe scappato dopo aver saputo tutto ciò che doveva ancora dirgli.
“Non ti turba che io sia nata all’alba dei tempi?”
“Nooo, è solo strano pensare che tu ci sia sempre stata lassù.” disse indicando il cielo.
“Anzi, mi stavo chiedendo quando sei venuta qua per la prima volta?”
“Da quando è nata la Terra ogni mese, nelle notti di luna piena, scendo sotto forma di puro spirito per compiere il rituale della luna. E’ il mio compito.” fece una pausa “Venivo sulla Terra sotto forma d’aria, ma poi quando ho visto per la prima volta un essere umano, ne sono rimasta affascinata. La quantità d’amore che può dare e ricevere è incredibile. Nessun essere umano è pienamente consapevole di questo! Così adesso ogni volta vengo qua, sulla Terra, durante la luna piena, sono lo spirito della luna in un corpo di forma umana. E’ magnifico!”
“Non pensavo che mi ammirassi così tanto!” provò a scherzare Alessandro, per smorzare un po’ quell’atmosfera così seria.
Non ottenne però l’effetto desiderato, la fanciulla lo guardò come se volesse ucciderlo!
“Va bene! Come non detto!”
Silenzio.
“Una domanda. Mi hai parlato solamente delle notti di luna piena… e adesso che la luna non c’è che cosa sta succedendo?”
Non sperava in una risposta, pensava che ormai la fanciulla non volesse più parlare. Invece…
“Ogni volta che venivo qua, la Terra mi incantava sempre di più, ma dovevo accontentarmi di guardarla dal cielo. L’unico giorno in cui potevo lasciare il cielo dovevo occuparmi del rituale della luna piena. La magia vedendo la mia tristezza decise di aiutarmi: durante i tre giorni di luna nuova, quando la luna non è illuminata, posso racchiudere il mio spirito nei miei occhi ed essere sulla Terra un essere umano come gli altri, a parte i miei poteri.”
“Gli occhi sono lo specchio dell’anima.” sussurrò Alessandro, senza farsi sentire.
La guardo negli occhi per un lungo istante e poi, come faceva quando era imbarazzato, abbassò lo sguardo.
“Senti” disse “quei ragazzi che…ti hanno… conosciuto…insomma…”
La fanciulla lo guardava senza capire cosa volesse dire il ragazzo, ma poi sorrise.
“Sei geloso! Nessuno è mai stato geloso di me!” rise.
“No! Forse solo un pochino. Il fatto è che tutti quei ragazzi che sono scappati… non l’hai deciso tu. Forse sono ancora importanti per te.”
La fanciulla si scurì in volto.
“Sono scappati, vuol dire che non mi amavano veramente. Mi ricordo di ognuno di loro, non mi piace dimenticare, ma non significano niente per me.”
Alessandro non disse niente, ma la fanciulla notò che aveva rilassato le spalle: era sollevato.
“Lo sai che ci possiamo vedere solo durante questi tre giorni di luna nuova?”
“Si…”
“Quindi?” 
“Sarà difficile, ma ti posso sempre parlare quando sei lassù” disse indicando il cielo stellato “anche se tu non mi risponderai.”
La fanciulla gli gettò le braccia al collo, non trovava le parole per descrivere quel ragazzo accanto a lei.
“Sento che non sei completamente mia.” le disse Alessandro.
“Perché?”
“C’è quel tuo segreto. Sento che per averti devo scoprirlo!”
“E’ vero, ma tu non puoi fare niente per scoprirlo. Se vorrai saperlo, lo saprai e basta.”
“Allora lo saprò, ne sono sicuro!”
“Se lo scoprirai, però, saremo legati per sempre! Devi esserne consapevole.”
“Io so solo che sono consapevole di voler stare con te. Lo sento e so anche che questo non è frutto della magia che complica sempre tutto: siamo solo noi!”
Le loro mani si sfiorarono, questa volta consapevoli dell’amore nato tra di loro.
Le lucciole volarono intorno a loro. I volti dei due amanti splendevano alla luce dei piccoli insetti. Si contemplarono lentamente, poi fu solo occhi marroni dentro occhi azzurri e infine i loro sguardi si spostarono sulle labbra altrui. Si baciarono. Si baciarono con la consapevolezza dei loro sentimenti e con la consapevolezza di appartenersi.

 
Non ci furono più parole per quella notte, solo le loro mani unite in una dolce e ferrea stretta.
Solo un’altra unica domanda fu posta da Alessandro.
“Quali sono i tuoi poteri?”
“Non ne ho ancora la piena consapevolezza. Molti dei miei poteri mi sono sconosciuti. So che posso far fiorire alcuni fiori, parlare con alcuni animali, i gufi sono così dolci e i lupi hanno una mente spettacolare; ma il più potente di tutti è il potere di controllare le maree: grazie ad essa ho imparato a governare l’acqua. Per esempio posso creare serpenti d’acqua!”
Sorrisero entrambi al ricordo del loro primo bacio.
“Non capisco, perché gli altri sono scappati?”
“Se mi concentro posso sentire la presenza dell’acqua nel tuo corpo, posso muoverla a mio piacimento.”
“E allora?”
“Diciamo che ho esagerato…ero arrabbiata con loro e li ho minacciati di ucciderli con un solo gesto della mano.”
“Ahahahah!”
“Non ridere! Mi basterebbe un po’ di esercizio per essere in grado di farlo veramente, solo che non voglio farlo!”  brontolò la fanciulla leggermente arrabbiata.
Quelle furono, davvero, le sue ultime parole per quella notte perché, poi, le sue labbra si ritrovarono immediatamente occupate.

 

NOTE DELL’AUTRICE:
Dopo questo capitolo ogni volta che guardo la luna penso ad Alessandro e alla fanciulla.
Una recensione? Giusto per non farmi pensare che lunedì inizia la scuola.
Il prossimo capitolo è quasi finito, poi ne mancheranno massimo un alto più l’epilogo.
Estratto:
“Ti amo.”

 
Arrivederci!


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Capitolo 6
*** Innamorato della luna. ***


INNAMORATO DELLA LUNA.

 
Si risvegliò, come al solito, nella radura  completamente vuota.
Aprì gli occhi.
Poi li richiuse.
Sbuffò e si girò pancia in giù.
Non aveva nessuna voglia di ritornare alla fattoria.
Rimase lì, steso, per altre due-tre ore fino a quando il suo stomaco non iniziò a reclamare cibo. Si alzò e camminò, strascicando i piedi, fino alla fattoria. Mangiò. Non aveva nessuna voglia di lavorare. Si abbandonò sul letto deciso a rimanervi per tutto il giorno, ma le pecore iniziarono a belare perché volevano andare al pascolo. Le ignorò, ma loro non desistevano.
“Va bene, va bene! Ho capito!” gridò.
Poi si alzò e contro voglia portò il gregge a pascolare.

 
Finalmente il giorno finì e il sole tramontò, portando con sé rosa e arancione, per lasciare il posto al blu della notte.
La luna in semplice forma di falce, troneggiava in quel cielo pieno di stelle governate dalla cetra di Orfeo.
Alessandro si avvicinò al suo albero di amamelide. Era da un po’ di tempo che non si sedeva più sotto i suoi rami, gli era mancato, anche se la ragione di questa sua assenza era più che valida. Sfiorò la corteccia, accarezzò le foglie e ammirò i fiori. Fin da quando era nato, si era sentito legato a quell’albero. Si sedette appoggiando la schiena al tronco e volse gli occhi al cielo.
La salutò, salutò la luna e la fanciulla allo stesso tempo. Allungò una mano verso il cielo come a volerla toccare, a voler sentire ancora il calore della sua mano.
“Mi manchi già!” disse.
Poi il silenzio. Si fermò a guardarla. Adesso lui sapeva, adesso lui era consapevole che anche lei lo stava guardando. La contemplò per tutta la notte, fino a quando non si ritirò dentro casa perché il sonno iniziava a farsi sentire, la contemplò senza nessuna parola perché, in quella prima volta che guardò la luna con la consapevolezza di amarla, era proprio di quello che aveva bisogno . Fu in quel silenzio carico di soli pensieri e sentimenti che Alessandro capì nel profondo di sé stesso di aver trovato il motivo per il quale era nato in questo mondo.
I giorni si susseguivano come le notti e appena la luna compariva nel cielo Alessandro si sedeva, a volte sotto l’albero di amamelide, a volte nella radura vuota, e poi la salutava. A volte parlava, a volte restava semplicemente in silenzio, ma ogni volta fissava dentro la sua mente l’immagine della luna che illuminava il blu della notte. Pensava a tutti quei giorni in cui, ignaro di tutto, si era sentito un po’ stupido a considerare la luna come un’amica e adesso…adesso la sua voce gli risuonava nella mente come una dolce melodia, perché lei era reale. Pensando a tutto quello che lei poteva vedere, dalle distese di acqua alle enormi montagne, si incantava a guardarla, sia quando risplendeva in un cielo limpido, sia quando si vedeva solo la sua luce attraverso le grigie nubi che oscuravano il cielo.
“Lo sai,” disse in una di quelle notti “non avrei mai pensato di potermi innamorare così. Eppure eccomi qua, e l’unica cosa che desidero è averti accanto. E’ così difficile poterti vedere solo tre volte al mese, ma purtroppo non possiamo farci niente.” sospirò, abbassò la testa e poi ritornando con lo sguardo alla luna proseguì.
“Non mi importa però!” disse per tornare a far sorridere la fanciulla che sicuramente si era intristita ”Mi basta sapere che tu ci sarai sempre per me!”
Poi rise di gusto.
“Cavolo, non avrei mai pensato di poter dire delle cose tanto…dolci. Sto diventando davvero romantico ed è tutta colpa tua!” rise ancora tra sé e si perse nei suoi pensieri.
Fino a qualche mese fa quello che vedeva davanti a sé era solo una vita di lavoro tra la fattoria e il villaggio. Certo non aveva mai disdegnato ciò che lo attendeva, era un’ottima vita, con una casa e di che mangiare, gli abitanti del villaggio dicevano che era molto fortunato, ma a lui quella vita sembrava vuota. Tutti erano molto gentili con lui, come d’altronde lo era lui con loro, ma nessuno si interessava veramente ad Alessandro. Nessuno voleva sapere veramente chi fosse lui, ma soprattutto nessuno si era fidato di lui, era solo tutto un saluto e lavoro, niente di più. Così si era arreso alla via che gli si presentava davanti. Poi, però, aveva conosciuto lei: lei che lo aveva ascoltato in silenzio, lei che si era fidata. Adesso nella via davanti a lui c’era la fanciulla, si era seduta lì proprio nel centro e poi gli aveva sorriso.
“Ti amo.” gli passarono fulminee nella mente quelle tre parole.
Lasciò cadere il sasso che aveva tra le mani e con il quale stava giocherellando. Era la prima volta che la voce del suo pensiero riecheggiava in quelle parole. Era come spaventato, potremmo dire, era stato colto di sorpresa. Poi si ricordo della promessa fatta alla fanciulla, pensò a come la sua vita era cambiata e accolse quelle parole dentro di sé perché aveva capito che non erano una sorpresa, ma solo quello che provava detto nel modo più bello e semplice possibile. Doveva dirglielo, doveva farglielo sapere. Mosse le labbra e… non ne fece uscire alcun suono. Mancava qualcosa, era come se non fosse ancora il momento.
“Fa niente!” pensò cercando di consolarsi “quando arriverà il momento sarà fantastico!”
La salutò e rientrò in casa.

 
I giorni si susseguivano, come le notti e ne mancavano solo tre alla prima luna piena da quando Alessandro aveva scoperto chi era la fanciulla.
Quella mattina si svegliò dopo aver fatto lo stesso sogno che, ormai, faceva dall’ultima volta che aveva incontrato la fanciulla. Era sempre lo stesso sogno che aveva fatto da quando aveva visto l’albero di amamelide al centro della radura, e, come al solito, il finale cambiava. Questa volta dopo il buio gli appariva, nitida, l’immagine di lui e la fanciulla uniti in un dolce bacio. Non sapeva proprio perché quel sogno lo perseguitava. Forse il suo inconscio voleva aiutarlo a scoprire il segreto della fanciulla, ma lui non riusciva proprio a capirlo.
Intanto mancavano solo tre giorni alla notte in cui la fanciulla sarebbe scesa sulla Terra e lui non poteva vederla. Cavolo!
Si buttò sul letto e si coprì la testa con il cuscino. Un, due, tre minuti e i pensieri diventarono più confusi. Sentì il sonno prendere il sopravvento: non era possibile, si era appena svegliato. Si preoccupò, non era la prima volta che gli succedeva. In quelle due ultime settimane, dalla notte in cui era svenuto nella radura, era sempre più stanco. Non riusciva proprio a capire. Un ultimo pensiero alla fanciulla e poi si addormentò.

 
Quella notte nessun saluto fu portato dalla notte alla luce della luna che risplendeva quasi piena in un oscuro cielo.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ecco il capitolo 6. Non è un capitolo molto lungo, più che altro è un capitolo introduttivo al prossimo.
Intanto sto scrivendo il capitolo prima dell’epilogo.
Ciao!!!=)

 

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Capitolo 7
*** Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. ***


IL CUORE HA RAGIONI CHE LA RAGIONE NON CONOSCE.

 
La luna piena era alta nel cielo.
Un solo soffio di vento mosse le foglie dell’amamelide. Una figura dai tratti umani si formò dall’aria mossa da esso. Appoggiò la fronte all’albero, era da tre giorni che nessuno sfiorava quella corteccia. Un gruppo di lucciole si strinse, all’apparenza disordinatamente, intorno alla figura. Un petalo giallo si stacco dal resto del fiore e fu accolto tra le sue mani. Un lampo di luce, le lucciole si allontanarono. Due occhi castani si aprirono di nuovo al mondo, due occhi che risplendevano di luce argentea.
La fanciulla era tornata sulla Terra.

Alessandro.
Guardò la luna piena, si guardò nel cielo. Era incredibile quanto poteva fare la magia. Lei era lì, nell’immensa distesa blu, e sulla Terra.
Si ridestò dai suoi pensieri, doveva adempiere il suo compito. Il rituale della luna piena doveva essere compiuto nel momento esatto in cui la luna era completamente piena. Si concentrò sul suo spirito e si raffigurò nella sua mente: c’era ancora tempo, la luna non aveva raggiunto il suo apice.

Alessandro.
Un’altra volta, non doveva pensarci, doveva rimanere concentrata, ma purtroppo il suo pensiero continuava a tornare a lui. Era da tre notti che non si faceva vedere. Era preoccupata, molto preoccupata.
Nascosta dietro l’albero poteva vedere la sua fattoria: nessuna finestra era illuminata, la casa era completamente immersa nel buio. Solo un minuto, non un secondo di più, aveva bisogno solo di un minuto per guardarci dentro. Era pericoloso, lo sapeva: non doveva farsi vedere.  Un passo dopo l’altro, nel silenzio della notte, era già a metà strada. Ma cosa stava facendo? Magari Alessandro stava semplicemente dormendo e se lei fosse andata a cercarlo l’avrebbe svegliato, lui l’avrebbe vista e addio natura. Nessuno poteva vederla nella notte del rituale perché questo avrebbe portato ad una natura completamente morta sulla Terra: niente mari, niente animali, fiori o piante. Doveva tornare indietro! Assolutamente!
Fece mezzo giro su sé stessa e avanzò di un passo.
Si fermò e prese un bel respiro. Aveva bisogno di sapere perché Alessandro non si faceva vedere da tre notti.
Tornò a guardare la fattoria.
Era pericoloso.
Non riusciva a decidersi. Chiuse gli occhi e ascoltò il silenzio, poi ascoltò sé stessa e proseguì verso la casa. Si fermò ad un metro di distanza.
Un’idea. Alzò le mani al cielo, verso la luna, e invocò il potere della notte, che facendo vibrare l’oscurità, si riverso su di lei. La luce della fanciulla fu offuscata. Ora non poteva essere vista, ma doveva fare attenzione lo stesso: offuscare la luce dello spirito della luna richiedeva una magia potente come quella della notte e a lei era permesso usarla una volta ogni anno e solo per pochi minuti.

 
Si affacciò alla finestra: il buio totale. Si avvicinò alla porta e la spinse: era aperta. Entrò. Un respiro affannato spezzò il silenzio. Poi una voce.
“Dove sei?”.
La fanciulla si bloccò immediatamente. Era Alessandro. Non capiva, non poteva averla vista. Concentrò la magia nei suoi occhi: ora poteva vedere al buio. Lui era lì, a un passo da lei, steso sul letto.
Si avvicinò.
Alessandro dormiva agitandosi nel sonno e continuando a ripetere: “Dove sei?”. La fanciulla si avvicinò un po’ di più e si inginocchiò accanto al letto. Aveva un brutto presentimento. Gli toccò la fronte, era sudato e… aveva la febbre, molto alta. Appoggiò un orecchio sul petto per sentire il battito del cuore: era molto lento. Nel frattempo lui non aveva smesso un secondo di delirare.
Lo chiamò, al diavolo le precauzioni.

“Alessandro!”
Niente, non si svegliava.
“Alessandro!”
Continuava a delirare.
“Alessandro!”
Il respiro stava rallentando per diventare sempre più debole. Doveva fare qualcosa e subito, ma sapeva molto bene che per curare gli umani malati ci voleva molto tempo: proprio quello che a lei mancava. Sarebbe ritornata sulla Terra solo tra due settimane circa e quella notte, inoltre, non aveva tempo perché non doveva far tardare neanche di un minuto il rituale della luna piena.
Sfiorò il volto di Alessandro, diventava sempre più caldo. Sapeva che non avrebbe resistito a lungo se non avesse fatto qualcosa. Gli strinse la mano, una lacrima le rigò silenziosamente la guancia.
Improvvisamente Alessandro smise di delirare. Le forze lo stavano abbandonando. Ma come aveva fatto a ridursi così? La fanciulla non riusciva a capire. Poi le tornarono in mente tutte le volte che Alessandro gli aveva detto di aver lavorato tanto, poi la volta in cui era svenuto nella radura e infine aggiunse i tre giorni passati da solo in quella casa e si diede della stupida per non averlo capito prima.
Una luce proveniente dalla sua mano la riscosse dai suoi pensieri: la magia che l’aveva nascosta stava ritornando alla notte. Doveva andarsene e subito. Il suo corpo nudo riluceva ormai completamente. Si alzò d’istinto per andarsene, ma l’importanza del ragazzo davanti a lei prevalse sull’abitudine e sulla ragione. Senza chiedersi cosa stesse facendo e senza pensare a tutto quello che avrebbe comportato decise che non avrebbe permesso a quelle stupide regole di portarle via Alessandro. Sperò con tutto il suo cuore che, a causa della spossatezza, avrebbe dormito durante tutto il tempo che fosse stato con lei.
Lo prese in braccio, gli diede un bacio sulla fronte e osservò per un secondo quel ragazzo, alto presso a poco quanto lei, inerme tra le sue braccia. Ringraziò la forza che l’essere uno spirito le donava e si recò alla volta della radura.
Strinse Alessandro a sé, il suo volto caldo a stretto contatto con il suo petto nudo. Non l’avrebbe lasciato solo per nessuna ragione al mondo, lo avrebbe salvato e non se ne sarebbe mai pentita.

 
Arrivata alla radura aveva preso la sua decisione. Avrebbe fatto il rituale di purificazione. L’aveva praticato qualche volta, in tempi di guerra, per salvare segretamente qualche soldato in fin di vita, ma questa volta era diverso: c’erano di mezzo i sentimenti e lei stava perdendo la calma e questo non doveva succedere.
Appoggiò delicatamente Alessandro sull’erba e guardò al centro della radura: l’albero di amamelide risplendeva di luce dorata. Doveva sbrigarsi. Si avvicinò all’albero e si inchinò, fece aderire il suo palmo alla corteccia e volse il suo sguardo alla luna. Un unico fiore giallo si staccò dall’albero per cadere al suolo. La luce argentea attorno alla fanciulla aumentò d’intensità e il fiore quando cadde non toccò l’erba, ma l’acqua del lago della luna nuova. La fanciulla tolse la mano dalla corteccia, ma questo non spezzò il legame che aveva stabilito con l’albero. Si voltò e, passo dopo passo, camminando sui sassi che emergevano dall’acqua, tornò da Alessandro.

 
Adesso la aspettava la parte più difficile. Lo spogliò da tutti i suoi vestiti: per questo tipo di rituale era necessario il totale contatto con la natura. Lo prese di nuovo in braccio per poi adagiarlo vicino al lago immergendolo nell’acqua dall’ombelico in giù. Chiamo a sé la teca di vetro con dentro il suo flauto e con grande velocità e decisione la ruppe: aveva bisogno di qualcosa di tagliente. Prese un frammento da terra.
“Scusami” sussurrò.
Poi lo avvolse con la sua luce: non sapeva se fosse servito a qualcosa, ma lei sperava che, magari, in questo modo avrebbe percepito meno dolore. Avvicinò la mano con il frammento di vetro alla spalla di Alessandro. La fanciulla tremava, non riusciva a credere di stare davvero per farlo, ma era necessario, non sapeva cosa altro fare. Strinse la mano di Alessandro con la sua rimasta libera. Lasciò passare un altro solo secondo e premette con il frammento sulla spalla. Una goccia rossa fuoriuscì macchiando la pelle cerea per poi ricadere sul verde dell’erba. Fece arrivare la sua mano fino al fianco opposto più velocemente possibile. Alessandro urlò di dolore, poi un glaciale silenzio e un respiro che rallentava sempre di più. Doveva fare in fretta se non voleva trasformare il suo intervento in tragedia.
Il sangue fuoriusciva velocemente dalla ferita e andava a mescolarsi con l’acqua. La fanciulla gettò il frammento sull’erba e, stendendo il braccio, rivolse la mano verso l’albero con il palmo tendente al cielo. Dall’aura dorata dell’albero si allungò un braccio di luce che muovendosi velocemente sull’acqua andò a mescolarsi con il sangue e la fanciulla vi immerse la mano per aggiungervi la sua essenza argentea. Poi la fece uscire dall’acqua e l’avvicinò alla ferita. Acqua, sangue e l’essenza della luna insieme a quella della natura si erano unite in un unico fluido e seguivano i movimenti della sua mano. Iniziò a percorrere la ferita per tutta la sua lunghezza e il fluido vi entrò. Il corpo di Alessandro si irrigidì per l’intrusione. La fanciulla continuò a muovere la sua mano, mentre con l’altra stringeva ancora quella di lui, fino ad arrivare alla fine della ferita. Alessandro inarcò la schiena come a voler respingere il dolore, il respiro accelerò in uno strano modo: non stava reagendo bene all’intrusione. La fanciulla intensificò la luce intorno a lui pregando la magia presente nell’aria di attutire il dolore di quel ragazzo. Una risata allegra condita con un pizzico di vanità riecheggiò nell’aria. La richiesta della fanciulla fu esaudita.
Adesso poteva continuare.
Chiuse gli occhi e a malincuore lasciò la mano di Alessandro per poi poggiarla, insieme all’altra alla fine della ferita. Iniziò a muoverle sul suo corpo per far scorrervi il fluido in ogni singola parte. Percepiva il potere delle due essenze congiunte agire velocemente per salvare la vita che era stata riposta nelle loro mani. Mantenendo la concentrazione continuò a far muovere il fluido fino a quando sentì il battito del cuore tornare normale. L’aveva guarito, ce l’aveva fatta.
Era così felice! Riportò con attenzione il fluido in un unico punto, alla fine della ferita e poi lo richiamò a sé. Allontanò le mani da Alessandro e il fluido seguì i suoi movimenti ritornando ad essere quattro parti distinte: l’acqua tornò nel lago, il sangue rimase nel corpo del ragazzo ormai guarito, l’essenza di luna tornò alla fanciulla e infine la luce dorata tornò al suo albero lasciando solo un po’ di magia per impedire al sangue di  riversarsi dalla ferita. Poi richiamò anche la luce che aveva avvolto Alessandro.

 
Era tutto finito! Copiose lacrime argentee si riversarono sulle sue guance. Piangendo riprese Alessandro tra le sue braccia e lo portò lontano dal lago, al limitare della radura. Lo stese delicatamente sull’erba facendo attenzione a non sfiorare la ferita aperta. Avrebbe voluto tanto portarlo subito a casa e fasciargli il petto con delle bende, ma non le era possibile: tra tre minuti esatti l’attendeva il rituale della luna piena. Con un movimento della mano tolse le gocce d’acqua che gli bagnavano il corpo, non poteva fare altro.
Si prese un minuto per osservarlo attentamente, adesso poteva farlo, era così bello. Si soffermò sul suo viso, non trovava parole per descriverlo, esprimeva una gentilezza immensa. Avvicinò il suo volto a quello di lui, poi posò una mano sulla sua guancia e lo baciò.
“Ti amo” sussurrò. Peccato che lui non potesse sentirla.
Un ultimo bacio, un ultimo sguardo. Era ora, il rituale della luna piena la attendeva. Alla fine lo avrebbe rivestito e riportato a casa. Per adesso quello che poteva fare era lasciarlo steso sull’erba: stare un altro poco circondato dalla magia della natura non gli avrebbe fatto male.

 
Si fermò ai margini del lago e osservò l’albero che vi si ergeva al centro. Era spettacolare! La sua luce dorata si rifletteva sull’acqua sopra la quale le lucciole volavano indisturbate. Le radici dell’albero si intravedevano nel buio della notte attraverso l’acqua blu. Era tutto così magico. La fanciulla chiuse gli occhi e percepì il legame con l’albero. Li riaprì e il lago era sparito. Era pronta per il rituale.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Prima di tutto chiedo immensamente perdono per il grandissimo ritardo. Spero che il capitolo ripaghi almeno un po’ l’attesa. Ringrazio tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite o le ricordate, chi si è fermato a dare uno sguardo e Deilantha che ha recensito ogni capitolo!
Il titolo di questo capitolo è una frase di Pascal, appena l’ho vista ho pensato che fosse perfetta.
Il prossimo capitolo sarà “Il rituale della luna piena”, poi ho aggiunto un altro prima dell’epilogo.
Grazie e arrivederci. =)

 

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Capitolo 8
*** Il rituale della luna piena. ***


IL RITUALE DELLA LUNA PIENA.

 
La luna risplendeva piena e alta in un cielo senza nuvole. Era l’ora designata, l’ora del rituale della perfezione, l’ora del rituale della luna piena.
La fanciulla , spirito argenteo della luna, era pronta a compiere il suo secolare compito, era pronta a far risplendere di luce nuova l’albero al centro della radura, simbolo della natura e legame indissolubile con la luna stessa.
Alle sue spalle Alessandro giaceva addormentato. La fanciulla spostò, per un ultimo istante, lo sguardo sopra il ragazzo. Il respiro era tornato normale, ma il colorito roseo tardava a riaffiorare sul suo volto pallido. Non era più preoccupata, però, perché sapeva che Alessandro non correva più rischi: lei lo aveva salvato, lei ce l’aveva fatta davvero! Sfiorò delicatamente con lo sguardo ogni singola parte di quel corpo che amava, si soffermò sulla linea rossa che attraversava il suo petto, che gli avrebbe fatto veramente male al suo risveglio. Si dispiacque per l’impossibilità della magia di curare le ferite causate per utilizzare il suo potere.

 
Riportò la sua attenzione all’albero di fronte a sé. Poteva sentire il legame che la univa a lui, poteva vedere il filo invisibile che come un nodoso ramo arrivava fino a lei. Si concentrò su quel legame e allargò le braccia. Il vento si alzò muovendo le fronde dell’albero in fiore disperdendo il suo polline: piccoli puntini dorati volteggiavano nell’aria. Il vento, come un essere con una propria coscienza, attraversò la distanza che lo separava dalla fanciulla, portando con sé il polline di amamelide. Sfiorò lentamente le caviglie dello spirito della luna che rise felice a quel contatto. Poi, come una spirale, avvolse la fanciulla fino ad arrivare ai suoi capelli che danzarono con lui. Adesso, tra l’aurea argentea della fanciulla si potevano distinguere piccoli puntini dorati. L’odore del mare, poi quello dell’aria fresca dopo la pioggia, erba appena tagliata, la terra smossa. Il calore del sole, il cinguettio degli uccelli e l’ululare dei lupi, un canto di armonia. Il vento si placò, il rituale della luna piena era iniziato.

 
Il silenzio della notte riavvolse di nuovo l’aria della radura. La fanciulla abbandonò le braccia lungo il suo corpo. Un passo dopo l’altro si avvicinò all’albero. Si sedette sotto le sue fronde che, come una calda mano, le accarezzarono il viso. La fanciulla assunse la posizione del loto, le gambe incrociate e le mani appoggiate sulle ginocchia, e aprì le porte del suo spirito collegandosi con l’altra sé sul nel cielo. Un unico fascio di luce partì dalla luna piena circondando di luce argentea il risplendere dorato dell’albero: l’amamelide era pronto a ricevere il potere rigenerativo della luna.

 
La fanciulla si alzò in piedi e guardò ciò che era successo: come succedeva ogni mese, la luce dorata dell’albero l’aveva accolta dentro di sé. Allungò il braccio e osservò la sua mano: poteva vedere la sottile luce argentea, che risplendeva a contatto con la sua pelle, ricolma del polline dell’albero, poteva osservare la luce dorata dell’albero che la riscaldava e infine la luce argentea della luna piena che completava e donava serenità. I suoi occhi traboccarono di gioia. Appoggiò la mano sul tronco dell’albero: un flusso di energia si ramificò nel suo braccio per poi percorrere il suo corpo e finire nei suoi capelli che crebbero fino a sfiorarle le gambe. La sua risata cristallina si diffuse nell’aria. Adesso lei era pronta a governare la luce dell’albero. Le fronde dell’amamelide iniziarono a muoversi, un solo e forte ramo si allungò verso di lei: la fanciulla ringraziò gentilmente e si sedette su di esso, poi chiuse gli occhi e si lasciò trasportare all’interno della chioma dell’albero.

 
Quando percepì la quiete intorno a sé, riaprì gli occhi e fu felice di trovarsi lì. Nonostante quell’ambiente le fosse ormai familiare, lei contemplò, come se fosse la prima volta, la miriade di fiori gialli che aspettavano silenziosamente un suo gesto; ovunque volgesse lo sguardo era presente un fiore di amamelide: allungò il braccio davanti a sé e accolse, senza raccogliere, un fiore dentro la sua mano. Poteva sentire lo scorrere il potere della vita della natura, ascoltarne l’armonia e la pace. Poteva sentire la potente antichità dell’albero, sapere come le sue radici si addentravano nel terreno e seguire con gli occhi della mente la linfa della luce dorata che attraverso il tronco arrivava ai fiori. Magnifico.

 
La fanciulla, sempre seduta sul ramo dell’albero, allontanò la mano dal fiore che vi aveva racchiuso. Poi, muovendo anche l’altra, iniziò a formare nell’aria dei movimenti circolari, come a voler creare una sfera tra le sue mani.
I piccoli puntini di polline dorato, fonte generatrice della luce dell’albero, iniziarono a muoversi verso la sfera d’aria: uno dopo l’altro abbandonarono l’aurea della fanciulla, portandone un frammento argenteo via con loro.
Quando anche l’ultimo granello ebbe lasciato l’aurea della fanciulla, lei spostò lo sguardo verso lo spazio tra le sue mani dove la sfera d’aria aveva lasciato il posto a una sfera dorata, grande quanto due mani strette tra loro, e punteggiata d’argento. La fanciulla aprì le braccia lasciando fluttuare la sfera di fronte a sé.

 
Spalancò le porte del suo spirito lasciando scorrere tutto il suo potere insieme a quello dell’albero intrecciato con i suoi capelli. Si sentiva libera e potente. La luce intorno all’albero, proveniente dalla luna piena, s’increspò e, in quel medesimo istante, i frammenti argentei dentro la sfera esplosero avvolgendo con la loro luce l’albero e creando un punto fisso e abbagliante nella notte.
Con un gesto veloce e deciso la fanciulla spinse la sfera dentro l’albero, nel punto in cui iniziavano a diramarsi i rami: l’energia rigeneratrice entrò in circolo. Un solo secondo più tardi, la luce argentea che risplendeva nel buio, come uno specchio, si ruppe in migliaia di frammenti che volteggiando nell’aria assunsero la forma di lacrime cristalline. La luce dorata dell’albero fece capolino e libera ormai di risplendere riecheggiò con il suo potere in ogni singolo angolo del mondo.

 
La fanciulla capì che era arrivato il momento. Saltò giù dall’albero, elegante come un lupo, e appena il suo piede toccò terra il vento si alzò e avvolse l’albero e… fu come se per un attimo il tempo si fosse fermato, tutto era silenzioso e immobile. Poi, all’unisono, i fiori di amamelide si librarono nell’aria. Il tempo riprese a scorrere, il vento imperò portando con sé i fiori gialli che, come in una danza, si unirono alle gocce argentee e volteggiarono per tutta la radura.
La fanciulla si voltò e guardò l’albero: La sua luce risplendette, la luce dell’albero risplendette e la fanciulla sentì l’energia della luna fluire nell’albero e arrivare ai rami. Piccoli boccioli di amamelide iniziarono a fiorire sui rami per poi sbocciare risplendendo di magia.
La fanciulla sorrise ai nuovi fiori. Se qualcuno avesse potuto osservare il rituale, sarebbe rimasto sicuramente deluso da quella fine che avrebbe definito banale dopo tutto ciò che era accaduto prima. Non potevano commettere errore più grande. La fanciulla ascoltò estasiata le risate dei fiori appena nati che avevano dato forma allo spettacolo più bello e semplice che l’universo avrebbe mai potuto contemplare: la vita.
La fanciulla sfiorò delicatamente l’albero e nella sua mente riecheggiò una voce antica che le sussurrò un devoto grazie. Si inchinò all’albero e chiuse il suo legame con lui, chiuse le porte del suo spirito.
Il rituale della luna piena era concluso.

 
Ora non le rimaneva che un ultimo compito: danzare con i fiori caduti e le lacrime di luna per farle tornare alla natura, perché è là che tutto inizia e finisce.
Si preparò, le piaceva molto quella parte finale del suo compito. Certo, non era niente a confronto dell’ammirare l’albero di amamelide risplendere di vita nuova: questa parte era così… appariscente. Alzò le spalle: non era mica colpa sua se alla natura piaceva usare la magia per mostrare la sua bellezza.
Il vento le vorticò intorno raccogliendo attorno a lei fiori e gocce. La fanciulla fece un passo, poi un altro ancora e una giravolta. Iniziò a danzare. Fece un passo, poi un altro ancora e… un urlo. La fanciulla si fermò immediatamente e il vento, i fiore e le gocce si bloccarono con lei. Si guardò intorno con sguardo confuso e preoccupato e quando vide da dove, o meglio da chi, era provenuto l’urlo, puro terrore si impossesso di lei.
Incontrò quelli occhi azzurro che la guardavano senza capire e intanto la natura iniziava a crollarli intorno.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ed ecco il penultimo capitolo!!! Non è arrivato puntuale, ma per fortuna prima dell’ultimo capitolo pubblicato!=p
Il prossimo capitolo: “Il segreto svelato.”

 
“Lo so che tutto questo non è molto, ma è una delle cose più importanti che ho. E’ racchiuso molto di me e dei miei sogni in questa storia e io gliela dedico per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per noi, per tutto quello che ci donato. Grazie, perché siamo diventati forti grazie a lei. Una farfalla dalle stupende ali rosse, ecco come la ricorderò.”

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Capitolo 9
*** Il segreto svelato. ***


IL SEGRETO SVELATO.

 
Erano passati tre giorni da quando la febbre lo aveva costretto al letto e in quel tempo non c’era stata neanche l’ombra di un miglioramento. La temperatura non accennava a scendere, anzi saliva ogni giorno di più. La testa gli scoppiava, non riusciva a stare in piedi. Poi si era aggiunta la fatica nel respirare e quel giorno aveva perso, molto spesso, conoscenza. Si alternavano sprazzi di breve lucidità dove l’immagine della fanciulla ricorreva nella sua mente, a momenti dove non si ricordava più dove fosse. Era riuscito a sopravvivere fino ad adesso solo perché, in un momento in cui la febbre aveva smesso di salire, era riuscito a portare a letto una brocca piena d’acqua e un po’ di cibo. Ora, però, non aveva la minima idea di quanti giorni sarebbe riuscito a resistere.

 
Era completamente buio intorno a lui. La notte era appena scesa. Sentiva il suo corpo come in fiamme, era la prima volta che gli succedeva. Era preoccupato. Stava seriamente pensando di trascinarsi sotto l’albero di amamelide per salutare, forse per un’ultima volta, la sua fanciulla. I suoi momenti di lucidità, però, non duravano più di una manciata di minuti e lui non faceva in tempo a recuperare un po’ le forze che sprofondava di nuovo nel sonno.

 
Doveva essere notte fonda ormai. Sentiva una voce vicino al suo letto, diceva “Dove sei?”. Non capiva da dove provenisse, continuava a sentire quelle due parole e… riconobbe la voce: era la sua. Non l’aveva riconosciuta, era come se lui e il suo corpo fossero stati due entità separate.
Stava di nuovo per sprofondare nell’incoscienza. Il suo ultimo pensiero fu: “Per favore, non lasciarmi solo”.

 
Sentì un tocco fresco sulla sua fronte, poi qualcosa appoggiarsi delicatamente sul suo petto. Sentì il suo nome in lontananza, qualcuno lo stava chiamando con un tono preoccupato. Il buio prese il sopravvento.

 
Un rumore di passi, non era più nel suo letto: qualcuno l’aveva preso in braccio. Adesso si sentiva al sicuro.

 
“Scusami”.
Qualcosa di freddo si muoveva vicino il suo addome. Era nudo, sentiva il freddo attanagliargli la pelle, qualcuno lo aveva spogliato e immerso in qualcosa, forse acqua. Percepì come una forza avvolgere il suo corpo che si intorpidì come per magia. Non capiva, stava sognando?!? Poi una mano strinse la sua, ed era così vera. Qualcosa gli pizzicò la spalla, era fastidioso. Poi il nero divenne rosso: un dolore atroce si impadronì del suo corpo senza lasciargli il tempo di capire cosa stesse succedendo. Urlò e poi svenne.

 
Si sentiva meglio. La febbre sembrava sparita. Era ancora nudo, poteva sentire il terreno sotto la sua pelle. Una morbido tocco sulla sua guancia e poi il sapore delle stelle sulle sue labbra. Voleva vedere, ma era troppo stanco per aprire gli occhi.
“Ti…”
Si addormentò, si sentiva così debole.

 
L’odore del mare, poi quello dell’aria fresca dopo la pioggia, erba appena tagliata, terra smossa. Il calore del sole, il cinguettio degli uccelli e l’ululare dei lupi e un canto di armonia.

 
Si svegliò, non riusciva a dormire a causa di un dolore che pulsava dalla spalla fino al fianco opposto. A parte quello si sentiva meglio, le forze stavano tornando, ma voleva dormire giusto un altro po’. Prima, però, voleva fare una cosa che non gli sembrava non facesse da almeno un secolo: aprì gli occhi. Sbatte le palpebre un paio di volte per abituarsi e poi osservò. Quella che doveva essere una lucciola volò sopra di lui. Era notte: il cielo scuro era sopra di lui, rischiarato dalle stelle. Con la coda dell’occhio destro scorse una luce, si voltò e vide un albero risplendente di luce dorata: era l’albero di amamelide. Stava sicuramente sognando, non poteva trovarsi lì: era meglio tornare a dormire, anche se a quanto pareva, lo stava già facendo.
Alessandro si riaddormentò tranquillo e, per fortuna, non notò un ramo che silenziosamente tornava al sicuro nell’albero.

 
Un fresco vento gli provocò un brivido lungo la schiena. Riaprì gli occhi svogliatamente: voleva ancora dormire. Lentamente mise a fuoco il cielo, le fronde degli alberi e delle strane gocce argentee, che fluttuavano insieme a dei fiori gialli: stava sognando, di nuovo.
Stava per richiudere gli occhi quando fiori e gocce iniziarono a muoversi. Ne seguì il percorso ruotando la testa e… colei che apparve davanti ai suoi occhi era sicuramente una dea. Era di spalle e il vento, mente giocava con i suoi lunghi capelli castani, l’aveva circondata di quei fiori gialli e gocce argentee. La sua nuda pelle risplendeva candida alla luce di un’aurea argentea che l’avvolgeva. Iniziò a danzare, sicuramente non si era accorta di lui. Voleva vedere il suo volto. La splendida dea fece un passo, poi un altro e una giravolta. Alessandro sgranò gli occhi: il suo subconscio gli aveva fatto davvero uno splendido regalo. Che bel sogno! La sua fanciulla era lì, davanti ai suoi occhi. Cavolo, quanto gli era mancata! Lo sapeva che lei non era veramente lì, ma voleva raggiungerla lo stesso.
Si alzò.
Un urlo.
Ricadde per terra, un dolore atroce pulsava da una parte all’altra del petto. Quello non era per niente un sogno, il dolore era troppo reale. Quindi…no, non poteva essere vero…la fanciulla era…no, non ci credeva…reale! Guardò di fronte a sé e incontrò lo sguardo di lei, uno sguardo di puro terrore. Alzò gli occhi al cielo: la luna piena trionfava nell’immensa distesa blu. Gli si ghiacciò il sangue nelle vene: lui non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo.
La natura iniziava a crollarli intorno.

 
Una sola e infinita scossa attraverso il terreno e il suo rombo si perse all’orizzonte, mentre un eco di distruzione aleggiava prepotentemente nel buio della notte. La fanciulla si abbandonò al suolo, sotto gli occhi confusi di Alessandro.
Come cazzo aveva fatto a ritrovarsi in quel luogo? Era tutto sbagliato! Non doveva essere lì, lui doveva essere a casa divorato dalla febbre. Invece si trovava proprio nella radura senza la minima traccia di malessere e, si guardò il petto… con un enorme e doloroso taglio. La testa gli scoppiava.
Un freddo gelo serpeggiò tra l’erba che velocemente marciva sotto le sue mani. Il cielo inghiottito da un enorme buco nero perdeva tra copiose lacrime ogni sua stella. I versi di grande paura degli animali non lasciavano spazio al silenzio. I colori gocciolavano al suolo in un triste canto di morte. L’amamelide lentamente iniziò a spaccarsi in due e ogni secondo era un pianto di dolore. La fanciulla urlò, un urlo di disperazione, di vuoto, di fine e di solitudine. Strinse la testa tra le mani e un pianto ininterrotto si riversò dai suoi occhi mentre la luna nel cielo tremava. Dolore, morte, disperazione. Il buio scendeva velocemente su tutto, circondava ogni singola scintilla di vita, la inghiottiva, la distruggeva e non accennava a fermarsi. La fanciulla lo guardò con occhi vuoti, spenti, sbarrati. Il buio stava raggiungendo anche lei, le serpeggiava intorno, cercava di rubare la sua luce. Le labbra della fanciulla si mossero, ne uscì un unico sussurro:
“Aiutami.”
Alessandro non se lo fece ripetere, anche se non aveva la minima idea di cosa fare. Non riusciva ad alzarsi, così si trascinò fino alla fanciulla, nonostante il dolore, nonostante il sangue che iniziava a farsi strada tra le labbra della ferita.
La fanciulla tra i singhiozzi e le lacrime continuava a ripetere:
“E’ tutta colpa mia. Questo disastro è colpa mia!”
Alessandro non riusciva a capire, si sentiva così impotente: la guardava piangere raggomitolata su se stessa ed era come se un enorme masso si fosse sistemato sul suo cuore senza volersi più spostare. Le accarezzò i lunghi capelli e la fanciulla si strinse a lui, come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Alessandro l’accolse tra le sue braccia perché mentre il mondo li crollava intorno lei era l’unica sua certezza.

 
“E’ colpa mia! Era una mia responsabilità e ho fallito, ma io dovevo salvarti perché sei la cosa più bella che potesse capitarmi. Non potevo lasciarti morire sapendo di avere la possibilità di salvarti. Mi scaldi il cuore, mi fai sentire felice e viva e il solo pensiero di non vederti più sorridere mi fa morire dentro perché… ”
La fanciulla si bloccò, smise di piangere e, travolta dalla verità delle sue stesse parole, guardò Alessandro, nei suoi occhi limpidi come il cielo e profondi come il mare, con una nuova luce negli occhi: la luce della consapevolezza d’amare.
“…perché…perché io ti amo Alessandro!”
Le lacrime riaffiorarono nei suoi occhi.
“Perché io ti amo come non ho mai amato nessun altro e non mi pentirò mai di quello che ho fatto.”
Un ultimo bacio a fior di labbra, un ultimo delicato bacio che si tramutò in passione, le loro labbra si muovevano come se fossero una cosa sola mentre le lacrime si mescolavano al loro sapore.
“Ti amo Alessandro.”
“Ti amo anch’io, Amamelide.”
La fanciulla spalancò i suoi occhi castani, come se non credesse veramente a quello che Alessandro aveva  appena detto. Poi rise di una risata che sapeva di speranza perché adesso finalmente era tutto vero.
Lo baciò e questa volta non era un bacio d’addio, questo era un nuovo inizio perché quel magnifico ragazzo davanti a lei era andato oltre quello che i suoi occhi vedevano, aveva guardato con l’anima ed era riuscito a fare una cosa che nessun’altro era riuscito a fare: aveva trovato l’anima della luna.
Appena le loro labbra si sfiorarono la luce della fanciulla risplendette come non era mai successo, era rinata e con la sua nuova forza travolse il buio che attanagliava il mondo, raggiunse  ogni singolo posto. Poi quando i corpi dei due amanti aderirono l’un l’altro un tripudio di colori nacque dai loro cuori e andò a instillare una scintilla di vita in tutto ciò che ormai sembrava perso. L’arrivo di una primavera improvvisa: questo era quello che stava succedendo. Verde come l’erba, marrone come gli alberi, celeste come l’acqua, arancione, giallo, rosa e rosso come i fiori e blu come la notte che riconquistava le sue stelle.
Un canto di vita e di gioia riecheggiava mentre la paura abbandonava il cuore di ogni creatura vivente.
I due amanti erano il centro di quella magia e quando entrambi si guardarono, arrivando ad osservare l’anima dell’altro accettando senza paura l’amore eterno, una nuova energia, mai esistita prima, si sprigionò dai loro cuori, un’energia che risanò le ferite dell’albero di amamelide donandogli un’energia di vita eterna.

 
Il dolce silenziò della notte ritornò.
“Che cosa è successo?” chiese Alessandro.
“Mi hai salvato e insieme abbiamo salvato la natura.” gli rispose dolcemente la fanciulla con la luce della felicità negli occhi.
“Come?”
“Ti amo Alessandro.” disse come se in quelle parole ci fosse la risposta.
“E tu?”
Alessandro non riusciva a capire dove la fanciulla volesse arrivare, ma in quell’istante, mentre si guardavano negli occhi, seduti sull’erba uno di fronte all’altro, con solo un soffio di vento a separargli, decise semplicemente di rispondere.
“Certo. Ti amo anch’io A…Amamelide.”
Il suo nome, aveva trovato dentro di lui il nome della fanciulla, quello che nessuno conosceva, quello che era il grande segreto che da sempre portava nel cuore.
“Amamelide.”
“Alessandro.”
Lacrime di gioia scendevano dagli occhi di lei. Gli tese una mano e lui la prese. Adesso nessuno avrebbe più potuto separarli, neanche quello stupido segreto.
Non servirono parole, né gesti troppo ampollosi. Semplicemente le loro mani unite, perché quella era la notte del loro nuovo inizio, la notte di Alessandro e Amamelide.
 

NOTE DELL’AUTRICE:
Sono in ritardo mostruoso, ma finalmente ieri si è chiuso il trimestre a scuola e ce l’ho fatta!!!=)
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo, non ci posso credere!!! E’ ancora in fase di scrittura e non ho la minima idea di quando sarà pronto. Sperò presto!
Arrivederci!=) 

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Capitolo 10
*** Epilogo. ***


NOTE DELL’AUTRICE:
Semplicemente grazie. =)

 
EPILOGO.

 
Il vento soffiava leggero tra le foglie degli alberi, danzava libero nella notte facendo ondeggiare sotto di lui i verdi fili d’erba. Un petalo giallo smarrito dai rami volteggiò al suo passaggio facendosi trasportare nell’aria. Il vento accarezzò i lunghi capelli di una fanciulla per poi addormentarsi tra le fronde di un amamelide. Il petalo si dissolse in polvere dorata.

 
Era passato un anno dalla notte in cui tutto era stato distrutto per poi rinascere in nuova forma.
Una pigra nuvola si spostò lentamente lasciando la luna brillare nel cielo. La fanciulla appoggiò la schiena sull’albero al centro della radura.
“Bentornata.” la salutò, con una voce profonda, quest’ultimo.
Ormai l’albero non aveva più bisogno del suo rituale: da quella notte la sua luce risplendeva senza mai accennare a spegnersi e lo avrebbe fatto per l’eternità. Adesso la fanciulla doveva solo stare attenta che…l’albero non soffrisse di solitudine.
“Salve.” lo salutò.
La fanciulla chiuse gli occhi assaporando il silenzio dell’attesa.
Una pressione delicata sulle labbra.
Aprì gli occhi.
Alessandro era lì che sorrideva con i suoi begli occhi azzurri, lei prese il suo volto tra le mani e lo salutò a sua volta. Sentì le mani di Alessandro sulla sua pelle, poi fece scorrere una mano sul suo petto, dove la ferita era ormai diventata solo una grande cicatrice.
“Alessandro.”
“Amamelide.”
Assaporò le lettere del suo nome una ad una. Era passato così tanto tempo senza che nessuno dicesse il suo nome che un anno non le era bastato per abituarsi all’idea.

 
I ricordi di quella notte si susseguirono nella sua mente.
Aveva davvero creduto che fosse la fine, aveva sentito la vita scivolare via lentamente e inesorabilmente. Poi tutto si era risolto per il meglio e lo doveva ad Alessandro, che aveva fatto tutto senza un secondo fine: aveva seguito la sua voce interna. Non era da tutti lasciarsi guidare dal proprio cuore, era difficile.
Da quella notte aveva guardato tutto con un occhio diverso, ogni singola cosa era speciale, di ogni piccola vita faceva tesoro e ogni giorno era importante. Da allora guardava tutto con ammirazione. Sorrise al ricordo dell’ulteriore spavento che si era presa quella notte, come se non fosse bastato tutto quello che era successo.
Ad un certo punto Alessandro si era accasciato al suolo tenendosi stretto il petto con un braccio, l’erba si era macchiata di rosso, rosso del sangue che era fuoriuscito dalla sua ferita. L’aveva preso in braccio facendo attenzione a non fargli del male e poi, più in fretta che aveva potuto, lo aveva riportato a casa sua. L’aveva steso sul letto ed era andata a cercare acqua, bende, qualche candela per fare un po’ di luce. Una volta trovato tutto, aveva appoggiato le candele e la bacinella con l’acqua su un piccolo tavolino.
“Perché siamo a casa mia?” aveva chiesto Alessandro. Era rinvenuto, l’aveva guardata confuso.
“Stai sanguinando. Ti ho portato qui per fasciarti la ferita.”
Aveva provato a guardarsi il petto, ma aveva rinunciato subito reprimendo un mugolio tra le labbra, poi la consapevolezza di quello che era successo gli era luccicata negli occhi.
“Ancora non mi è ben chiaro come sono arrivato nella radura e poi…questa ferita…”si era coperto gli occhi con una mano “Prima o poi dovrai spiegarmi tutto…mmm”.
Lei  aveva bagnato un panno e aveva iniziato a pulire la ferita ed Alessandro non era riuscita a trattenere un verso di dolore.
“Mi dispiace, cercherò di fare più piano.”
Sapeva di averlo salvato da morte certa, ma si era sentita comunque in colpa per avergli procurato quella ferita. Alessandro aveva visto il tormento sul suo volto, attraverso lo spazio tra le dita.
“Grazie.” aveva detto semplicemente.
Lo aveva guardato senza capire.
“Stavo morendo, ma adesso sto bene.” aveva detto.
“A parte questa ferita” aveva aggiunto lei, ma solo mentalmente.
“Non so cosa sia successo e prima poi me lo dirai, ma io so che sono salvo grazie a te.”
Aveva parlato con la mano sul volto, per non pensare troppo al pulsare della ferita. Poi, gli era venuta un’idea migliore, forse anche un po’ troppo sdolcinata: aveva deciso di guardare lei. L’aveva vista annuire, come risposta silenziosa alle sue parole, mentre il suo volto si era rilassato.
Dopo aver finito, si era lavata le mani sporche di sangue e gli aveva fasciato la ferita.
Lui l’aveva osservata stringendo i pugni per contenere il dolore e poi le aveva rubato un bacio. Lei l’aveva guardato contrariata per poi sciogliersi, per fortuna, in una silenziosa risata.
“Ho finito!” aveva detto sollevata, rompendo il silenzio.
“No, mi devi una spiegazione!”
“Non ora, adesso voglio solo…”aveva lasciato la frase sospesa a metà.
“Tutto bene?” aveva chiesto Alessandro, dimenticandosi il suo desiderio di spiegazioni.
“Sei così bello. Ti amo così tanto.”
“Ti amo…” uno sbadigliò si era fatto largo rovinando quel momento romantico, rendendolo un po’ strano, ma in fondo loro due non erano romantici e strani allo stesso tempo?!
Si era seduta sul bordo del letto.
“Adesso dormi!”
“E tu? Te ne vai?” le aveva chiesto con occhi imploranti.
“No, rimango qua. Naturalmente finché non sorgerà il sole.”
Alessandro le aveva stretto la mano e si era addormentato. Lei era rimasta tutta la notte a guardarlo dormire. Non l’aveva mai fatto con nessuno.

 
“Ehi… ehi, Amamelide, a cosa stai pensando?”
“A quanto sei scemo!” rispose Amamelide, ridendo alla faccia contrariata di Alessandro.
“Io invece pensavo a quanto sono morbide le tue labbra sulle mie.” disse Alessandro fingendo un tono seducente.
“Visto, sei uno scemo!”
Amamelide, dolcemente, spinse via Alessandro, che si era avvicinato sempre di più a lei e si nascose dietro l’albero.
Alessandro la seguì.
“Ti ho portato un regalo.” disse tutto ad un fiato “Mi ha aiutato una signora giù al villaggio a farlo.”
“Un regalo?”
“Si…spero che ti piaccia.” disse accennando un sorriso.
Mise una mano in tasca e tolse un piccolo pacchetto. Con attenzione slegò lo spago, che teneva insieme la carta che lo avvolgeva, e lo liberò. Un piccolo fermaglio comparve tra le sue mani. Alessandro vi aveva sistemato sopra un bellissimo fiore giallo: un fiore di amamelide.
“L’ho colto dall’albero vicino la mia casa. Tra i tuoi capelli, grazie al tuo potere, questo fiore non seccherà mai.” disse e poi la guardò negli occhi, con uno sguardo intenso e profondo, come ad invitarla a comprendere il significato nascosto tra le sue parole.
Una sola lacrima rigò il volto di Amamelide, non un pianto liberatorio mescolato a rassegnazione e rabbia, ma una sola lacrima di tristezza e affetto verso Alessandro e i ricordi che aveva e che avrebbe avuto insieme a lui. Una sola lacrima perché aveva capito: quel fermaglio sarebbe rimasto sempre con lei anche quando lui non avrebbe più potuto farlo. Alessandro aveva cercato più volte di parlargli della sua… di quello, ma lei si era sempre rifiutata di starlo a sentire, ma lui si era fatto ascoltare lo stesso. Ed eccolo lì, con il suo regalo in mano e le chiedeva di accettarlo e lei, prendendolo, avrebbe accettato fino in fondo il suo essere umano. Amamelide osservò con attenzione quel fermaglio: era davvero stupendo, accettarlo avrebbe significato accettare fino in fondo la sua futura morte. Non voleva farlo, ma Alessandro era un essere umano e quella era una parte di lui: questa volta non gli avrebbe risposto con un rifiuto. Lo guardò e semplicemente “grazie ” gli disse e quel grazie non era solo per il suo regalo così importante, ma era anche un grazie per averla trovata, per aver accettato quel suo bacio così improbabile, per non essere scappato, per averle dato la possibilità di vederlo dormire, per averla salvata, per aver scoperto il suo nome e per essere sempre lì a stringere la sua mano.

 
Alessandro si avvicinò e le accarezzò i morbidi capelli, rimasti lunghi da quella notte. L’albero non si era più riappropriato dell’energia che Amamelide aveva avuto nel suo corpo per il rituale, gliel’aveva donata.
Amamelide si soffermò a guardare i tratti familiari del viso di Alessandro, per lei era un modo per sentirsi a casa. Arrivò ai suoi occhi, anche lui la stava osservando. Incatenarono i loro sguardi, i caldi occhi castani color della terra di lei, con i profondi occhi color del cielo di lui: ognuno dei due amanti aveva in sé il colore che apparteneva alla casa dell’altro. Adesso, però, l’uno era la casa dell’altro.
Il vento soffiò tra i loro volti così vicini, una ciocca di capelli ricadde sul viso di Amamelide che, subito, mosse la mano per riportarla dietro l’orecchio. Alessandro, però, la fermò stringendo la mano nella sua, prese quella ciocca di capelli e la fermò tra la chioma di Amamelide con il piccolo fiore giallo sistemato accuratamente sul fermaglio color dell’oro. Poi le diede un dolce bacio sulla guancia. Amamelide sentì il suo cuore accelerare i battiti. Portò la mano a sfiorare i petali di quel fiore che non sarebbe mai appassito. Sorrise tra sé: Alessandro aveva colto quel fiore dall’albero vicino a casa sua, che non era un albero qualunque, ma proprio un’amamelide e…ed era come se quell’albero fosse cresciuto proprio lì per predire il loro incontro. Alessandro la guardava, come aveva fatto così tante di quelle volte, ma ogni volta era come se il tempo e lo spazio si annullassero: era così bella persa nei suoi pensieri.

 
Poi, quella notte, accadde qualcosa di magicamente incredibile.
Il vento soffiò leggero tra le fronde dell’albero portando con sé numerosi petali gialli. Un piccolo ramo si mosse avvicinandosi al viso di Amamelide che, come chiamata da quel piccolo fiore sbocciato sul ramo, allungò una mano per toccarlo. Non appena le sue dita arrivarono a quei petali, Amamelide sentì stabilirsi un legame, attraverso di lei, tra il grande albero della natura e il piccolo fiore che aveva tra i capelli.
I suoi occhi si aprirono sul vuoto.
Tese una mano verso Alessandro che, anche non capendo il significato di quell’invito, la afferrò senza esitare.
Una serie d’immagini apparve davanti ai loro occhi che, ormai, non vedevano più la piccola radura.
“La natura…” disse Amamelide “Ci vuole parlare!”
Doveva essere qualcosa di molto importante, era molto raro che la natura comunicasse attraverso le immagini.
Alessandro e Amamelide furono catapultati con la mente in un viaggio attraverso il tempo.
Videro l’immagine della radura, ma non la loro: erano scene di un tempo passato e l’albero di amamelide non si ergeva ancora al centro del loro piccolo spazio verde. Un’altra immagine subentrò a quella.
Amamelide, insieme ad Alessandro, rivide la se stessa del passato, rivide lo spirito della luna che prendeva, da un piccolo pacchetto fatto con una foglia ricoperta di polvere di stelle, un piccolo seme: il seme che, poi, sarebbe diventato l’albero custode. Avvertirono il vento soffiare, in quel tempo passato, e poi videro l’immagine stringersi su quella foglia brillante di stelle: lì erano custoditi, non uno, ma più semi di amamelide. Intrappolato dal soffio del vento, uno di quei semi, abbandonò la sua sicura dimora per volare via da lì: videro il percorso che, in quell’antica notte, il seme fece per poi fermarsi, poco più in là della foresta, in una seconda radura che aveva qualcosa di familiare. Le immagini si susseguivano: da quel seme nacque un albero che crebbe e attraversò il tempo sottoposto alle stagioni. Sentirono che l’albero aspettava qualcuno. La visuale si allargò e videro una casa costruita da poco proprio a pochi passi dall’albero. Alessandro sussultò: quella era la sua casa. Una serie d’immagini si susseguì velocemente: Alessandro che si prendeva cura dell’albero, che gli parlava, che passava il tempo seduto sotto le sue fronde. Poi l’attimo in cui il nome dello spirito della luna era stato rivelato e, infine, due ultime immagini: un tenue scintillio verde all’interno dell’albero e lo stesso scintillio all’interno di Alessandro.
La connessione si spezzò e ritornarono con la mente al presente.
Alessandro ripensò a tutto quello che aveva visto: la natura voleva dirgli qualcosa, proprio a lui, ma la sua conoscenza di quel mondo, che aveva scoperto da poco più di un anno, non gli permetteva di comprendere a pieno quelle immagini; Amamelide, sicuramente lei aveva compreso tutto.
Le loro mani erano ancora strette l’una nell’altra, così, Alessandro tirò Amamelide a sé. Scrutò nei suoi occhi per cercare di capire quali sentimenti avevano suscitato in lei le immagini: non vi trovò né gioia né tristezza, solo incredulità.
“Che cosa è successo? Che cosa vuol dire tutto quello che abbiamo visto?”
“Il fiore…”
“Il fiore?”
“Il fiore che mi hai regalato ha creato una connessione con l’albero.” disse indicando l’amamelide alle sue spalle.
“Come ha fatto?”
“Lo hai appena visto anche tu… quella notte di secoli fa, quando sono scesa sulla Terra per piantare il custode della natura, un seme mi è stato portato via dal vento. Avevo scelto personalmente i semi, di amamelide, e vi avevo sparso sopra la mia magia.”
Alessandro finalmente iniziava a capirci qualcosa.
“La mia casa…quel seme che è volato via è l’albero vicino la mia casa!” disse “Ed ha una connessione con il custode della natura?!!!”
“Esatto!” rispose Amamelide “E’ una cosa stupenda!” e sui suoi occhi si affacciò la gioia trattenuta.
Alessandro, però, non aveva ancora finito con le sue domande.
“E tutte le altre immagini? Perché c’ero anch’io?”
Amamelide iniziò a camminare per la radura, faceva sempre così quando doveva raccogliere i pensieri.
“Hai sentito che l’albero aspettava qualcuno?”
“Si!” rispose con il fiato sospeso.
“Quel qualcuno sei tu!” rivelò Amamelide con dolcezza.
Alessandro sgranò gli occhi.
“Ti sei preso cura di lui come nessuno aveva mai fatto, hai stabilito un legame con lui. Aveva cercato a lungo la persona giusta e poi sei arrivato tu e tutto questo è stato reso possibile dalla tua umanità autentica!” gli spiegò Amamelide con un enorme sorriso sul viso, ormai non riusciva più a contenersi.
“La mia umanità autentica? ”gli veniva da ridere al pensiero di quelle parole, erano proprio da ‘mondo della magia’. Era vero, però, lui aveva sempre sentito un legame con l’albero.
“Penso” continuò Amamelide distogliendolo dai suoi pensieri “che il destino si sia divertito ad intrecciare così le nostre strade!”
“Perché?”
“Perché tu sei innamorato di me e io di te e non è una cosa passeggera. Tu hai scoperto il mio nome e, così, ti si sono aperte le porte di questo mondo. Questo ha fatto si che il tuo legame con l’albero risvegliasse in lui la mia magia assopita.”
Alessandro non riusciva a trovare parole per esprimere cosa provava dopo aver saputo tutto questo. Si sedette per terra. Certo che si era divertito il fato! Era come se avesse ricamato nel tempo, intorno alla loro storia d’amore, per farli arrivare fino a quel punto, ma qual era il suo scopo?
“Cos’erano quelle luci verdi? Ce n’era una dentro di me?!”
Amamelide smise di camminare e inclinò la testa su un lato.
“Questo non lo so neanche io. Questa è una cosa che riguarda te, ma forse posso aiutarti: il custode vuole stabilire un contatto con te, me l’ha detto!”
Un contatto? Con il custode? Alessandro non aveva mai neanche sfiorato quell’amamelide. Fu spiazzato da quella richiesta: non ne capiva il senso, un’altra volta… quel mondo a volte lo faceva sentire così deficiente, un po’ fuoriposto. Amamelide gli tese la mano, per fortuna c’era lei che metteva tutto in ordine.
“Vieni con me!”
Si avvicinarono all’albero, Amamelide vi poggiò sopra la mano di Alessandro e poi la coprì con la sua.
“Adesso chiudi gli occhi e concentrati sulla luce verde dentro di te.”

 
Un soffio di vento, un lampo sullo sfondo del cielo preannunciava un temporale in lontananza.
Mentre Alessandro, ad occhi chiusi, si concentrava su se stesso, Amamelide si guardava intorno: sapeva di dover attendere qualcosa. Percepì un flusso di energia dall’albero ad Alessandro: era quella la scintilla che mancava per dare il via a tutto.
Accadde tutto in silenzio.
Strano, alla natura piaceva tutto l’opposto.
Stava accadendo qualcosa di unico e raro.
Vide una luce verde in lontananza, ma non con gli occhi: ne percepì, più che altro, la presenza. Era stata assopita per lungo tempo e adesso, quella luce, si stava risvegliando: apparteneva all’albero gemello del custode. Un piccolo filo scintillante di luce verde smeraldo si affacciò da quella sfera di luce e attraversò il bosco: era diretto alla radura.
Amamelide osservava tutto in silenzio, stava iniziando a capirci qualcosa e stentava a credere alle sue stesse intuizioni.
Il filo fece capolino nella radura, brillava come le prime foglie di primavera. Muovendosi nell’aria si avvicinò ad Alessandro, si fermò per un secondo come ad assicurarsi che fosse veramente lui e, dopo aver riconosciuto l’altra luce verde che completava quella da cui proveniva, si legò al polso del ragazzo assumendo la forma di un sottile bracciale.
Come tutto era iniziato nel silenzio, tutto era finito nel silenzio e tutto era tornato alla normalità.

 
Alessandro sentì Amamelide spostare la mano da sopra la sua, così riaprì gli occhi. L’espressione che vide sul volto di Amamelide era indescrivibile.
“Cos’è successo? Niente?”
Amamelide gli prese il braccio e glielo portò davanti agli occhi ponendolo alla sua attenzione.
“Cos’è questo? E’ verde… è stato il mio albero a donarmelo?”
Amamelide annuì con la testa, poi allungò a sua volta il braccio dove, intorno al suo polso, era comparso un bracciale identico a quello di Alessandro, ma argentato.
“Ne hai uno anche tu?!?!!! Cosa vuol dire tutto questo?”
Amamelide prese un bel respiro e si decise a parlare.
“Questo bracciale mi è stato donato, alla mia nascita, dalla luna. Io sono una parte di lei, sono nata da lei e questo bracciale mi ha reso il suo spirito.”
Il filo argentato risplendette come un diamante, poi Amamelide lo celò agli occhi del mondo. Il bracciale era sempre lì, solo in questo modo era sicuro e protetto.
“Puoi farlo anche tu.” disse.
Alessandro, però, non rispose: il suo corpo non reagiva, mentre la sua mente elaborava le informazioni.
Amamelide con quel bracciale era diventata lo spirito della luna quindi lui adesso era…
“Sono lo spirito della Terra!” disse a fior di labbra.
Cercò la conferma negli occhi dello spirito della luna e quando l’ebbe trovata, strinse Amamelide tra le sue braccia e cercò le sue labbra. Si guardarono l’un l’altro per poi perdersi nella sensazione di quel caldo e umido bacio, il respiro affannato, con la consapevolezza del loro nuovo ed eterno futuro.
Ed ecco scoperto lo scopo del destino: voleva donarli la possibilità di non dividersi mai più e, quel dono ben nascosto, era stato scoperto e accettato volentieri. Alessandro era stato messo alla prova dal ’suo’ albero e si era dimostrato degno della sua fiducia e del ruolo.

 
Adesso erano lo spirito della luna e della Terra ed Amamelide fu così contenta di aver scelto i fiori di amamelide quel giorno in cui le chiesero di decidere il suo nome, di decidere quale seme piantare per far nascere il custode della natura perché il significato di quei fiori è incantesimo e incantesimo era quello che era adesso la sua vita insieme ad Alessandro.

 
Notte e giorno, luna nuova e luna piena, niente più condizionava ormai il loro tempo insieme.
Uno apparteneva alla Terra, l’altra alla luna, ma adesso vi era un luogo che apparteneva ad entrambi a metà strada tra le due realtà. Fili argentati e verde smeraldo risplendevano, in quel luogo creato dalle loro anime, intrecciati tra i fiori di amamelide.
A volte, nelle notti di luna nuova, quando il mondo dormiva, ritornavano in quella radura dove si erano incontrati la prima volta. Il lago di acqua cristallina era lì, come sempre, con le sue lucciole e la sua magia. Alessandro aveva imparato a usufruire del potere della sua fiamma verde sempre meglio. Lei manipolava l’acqua, lui l’aria, così insieme danzavano volteggiando nell’aria su sassi d’acqua, sospesi sul lago, con le lucciole che illuminavano i loro passi.
Amamelide e Alessandro non furono più divisi e mai lo saranno e anche oggi danzano tra la luna e la Terra.

 
FINE

 

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