Addicted to you

di Blackie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hope(less) ***
Capitolo 2: *** Your Guardian Angel ***
Capitolo 3: *** A Dreamer ***
Capitolo 4: *** An Alien ***



Capitolo 1
*** Hope(less) ***


Disclaimer: Nè Bill Kaulitz, nè tutti gli altri personaggi descritti in questo racconto mi appartengono.
I fatti descritti sono tutti inventati e non corrispondono minimamente alla realtà.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note dell'autrice:Ok...Non so dove trovo il coraggio di postare, l'dea di questa FF girava nella mia (non del tutto sana) testolina da un bel po' di tempo. è ancora in fase di scrittura, quindi potrei non essere sempre molto puntuale con i capitoli...Non so seriamente che altro dire, leggete e capirete da soli.
PS: se ho fatto errori, di qualsiasi genere, non esitate a dirmelo...Qualunque tipo di critica, purchè costruttiva, è ben accetta ^_^

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Corro. Le scale sono ancora umide dal recente temporale, ma non scivolo. Corro. Non posso, non devo fermarmi. Corro. Ormai ho deciso, Se devo lasciare questo mondo andrò io stesso incontro alla morte, non le lascerò la soddisfazione di prendermi alla sprovvista. Corro. Corro e piango. Mi fermo, tutta la mia sicurezza va a puttane quando guardo giù dal tetto del palazzo… ma è troppo tardi per tornare indietro.

 

 

...Addicted to you...
 


Bill salì in piedi sul muretto e chiuse gli occhi: voleva andarsene per sempre, aveva deluso tutti, sé stesso per primo, e sapeva che non sarebbe mai potuto uscire dal circolo vizioso in cui era rimasto invischiato.
Prese un respiro profondo lasciando che l'aria gelida della notte penetrasse nei suoi polmoni.
Non aveva paura, non più.
Riapri gli occhi e guardò la città sotto di lui. Ancora poche macchine viaggiavano nell'oscurità, ma nessuno sano di mente si muoveva a piedi a quell'ora.
-Addio.- sussurrò, ma poi le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
A chi stava dicendo addio? Chi lo avrebbe mai potuto ascoltare? Chi lo avrebbe rimpianto quando sarebbe morto? La risposta era una e terribile: Nessuno. Lui non valeva nulla, non era nessuno e nessuno avrebbe mai pregato per la sua anima.
-Non valgo nemmeno una lacrima...- sussurrò al silenzio della notte. Poi scrollò le spalle cercando di togliersi di dosso quei pensieri e rimanere indifferente, non voleva dare un motivo in più per divertirsi a quel Dio che gli aveva mandato tutte le sventure della sua miserabile vita. No, non poteva dare la colpa a Dio, la colpa era sua, colpa sua se aveva deciso di entrare nel giro, colpa sua se aveva messo in pericolo le persone che amava e colpa sua se…
Strizzò gi occhi per non piangere e rivolse nuovamente lo sguardo alla strada, ma non vedeva più l'asfalto, bensì gli occhi rossi della morte che lo stavano guardando assetati di anime umane.
"Eccomi, avanti, vieni a prendermi!" pensò. Ma in quel momento, proprio mentre stava per fare l'ultimo passo...
-Hey!-
Qualcosa lo bloccò.
-Fermati!!-
Una voce, possibile che fosse frutto della sua immaginazione. Decise di non voltarsi, ma quando una mano gli afferrò il polso non poté non guardare. Una ragazza, era bellissima, la pelle era chiara e i capelli nerissimi e drittissimi, ma la cosa più meravigliosa di quella figura aggraziata erano i suoi meravigliosi occhi chiari, resi più gradi da un filo di matita nera. Occhi di giada tra l'azzurro e il verde che gli ricordavano in modo impressionante il mare. Bill restò letteralmente a bocca aperta, non gli era mai capitato di restare così colpito da una persona.
-Che cazzo stai facendo??-
La sua voce incollerita lo fece risvegliare dallo stato di trance in cui era caduto ammirandola.
-Voglio morire.- disse semplicemente. La ragazza lo guardò esterrefatta.
-Senti, ora torni giù senza fare storie!!- disse lei decisa. Bill non aveva mai conosciuto una persona così schietta.
-Quello che voglio fare della mia vita sono cazzi miei!- rispose lui a tono, -Quindi, se tu mi facessi il piacere di andartene…-
Lei non lo lasciò finire:
-Vale sempre la pena di vivere…Anche se a volte ci sembra di avere tutto contro non bisogna mai perdere la speranza.-
Bill sorrise amaro: -Facile, parlare di speranza...-
Il suo sguardo si incupì.
-Sono orfano, disoccupato, dipendente dall'Eroina…-
E qui le mostrò i polsi per farle vedere i segni lasciati dalle tante volte in cui una siringa aveva bucato la sua pelle per fargli provare almeno un po' di quella pace illusoria.
-E per questo sono indebitato fino al collo con un tipo che mi vuole ammazzare.-
La mora non disse più nulla, si limitò a passare lo sguardo da Bill alle sue braccia e viceversa, rabbrividendo. Lui sorrise amaro.
-Non c'è nulla tu possa dire per farmi cambiare idea.-
Abbassò lo sguardo.
-Ora vattene.-
Ma lei non si mosse.
-Però...qualcosa posso fare.-
Con pochi passi salì lei stessa sul muretto e guardò Bill con un'aria che sembrava quasi di sfida:
-Se salti tu…io vengo giù con te.-
Il ragazzo rimase a bocca aperta, questa ragazza, mai vista prima, gli stava dicendo che sarebbe morta insieme a lui?! No, non poteva parlare sul serio!
-Stai bluffando!- disse lui, ma la mora non dava segni di indecisione.
-Nessun bluff.- affermò decisa, -Ormai sono dentro a questa storia…Non mi perdonerei mai se tu morissi e io non riuscissi ad impedirlo.-
Gli occhi di Bill si inumidirono, sentiva le lacrime tornare. Possibile che riuscisse a rovinare la vita anche alla gente che nemmeno conosceva?! Ma infondo, che gli importava? L'aveva detto lui stesso prima "Ognuno fa quello che vuole della propria vita"… Eppure non voleva che quella meravigliosa creatura morisse per lui.
-Non farlo…hai ancora tutta la vita davanti!-
Lei scrollò le spalle con un gesto noncurante, che però tradiva un po' di indecisione:
-Anche tu.- disse, poi si sporse pericolosamente, spaventando a morte Bill.
-La tua è una vita vera...- disse lui.
Lei lo guardò con una dolcezza da togliere il fiato e avvicinandosi gli sussurrò accanto all'orecchio: -Ogni vita è vera, tu esisti, cammini, respiri…Sei un essere umano e non meriti di morire solo perché hai perso la tua speranza.-
Bill restò ammaliato dall'inebriante fragranza che emanavano i capelli setosi di lei, ma scosse la testa e disse: -Chi può aiutarmi a ritrovarla?- le chiese, -Non c'è più nessuno al mondo, a cui importi qualcosa di me.- sussurrò cupo.
A sorpresa, però, la ragazza intrecciò le sue dita con quelle di lui.
-Io ci sono.- mormorò. E bastò questo, bastò per far accendere una piccola scintilla in lui: scoppiò a piangere e si rintanò tra le braccia di lei. Si vergognò della sua debolezza maledicendosi milioni di volte, ma non si staccò da quell'abbraccio per lungo tempo, nemmeno quando lei lo fece scendere dal muretto e lo mise a sedere appoggiandosi poi anche lei ad una colonna.
Bill fece qualche respiro profondo e si asciugò il viso, era imbarazzatissimo, si sentiva privo di qualunque difesa e sapeva che per lei sarebbe stato facile, ora, scavargli dentro.
-Come va?- gli chiese apprensiva. Lui si limitò ad annuire.
Nessuno dei due parlò più per un tempo che sembrava interminabile… Ma perché non se ne andava? Era riuscita a salvarlo, perché ora non svaniva così come era apparsa?
-G-Grazie...- mormorò ad un certo punto, esitante. Ma si sentiva davvero in dovere di ringraziarla? Oppure lei aveva soltanto rimandato l'inevitabile? Allungato l'agonia prima della morte vera e propria?
Il suo angelico sorriso lo distolse da quei macabri pensieri:
-Comunque…Io sono Alexia.- disse e gli tese la mano.
Lui esitò un attimo, ma poi la strinse:
-Bill.- disse semplicemente.
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-Bill- disse quasi sussurrando. La sua presa era debole e la sua mano fredda. Notò poi che era uscito fuori soltanto con una maglietta addosso.
-Prenderai freddo così...- gli disse Alexia, poi si tolse la felpa e gliela porse.
Lui però scosse la testa: -Non ne ho bisogno.-
Alexia inarcò le sopracciglia e lui capì di non poterla contraddire. Indossò la felpa e ci si strinse dentro. Era molto magro, forse troppo. Si tuffò in quella stoffa calda sentendosi subito meglio.
-L'avresti fatto davvero?- chiese ad un certo punto, -Ti saresti davvero…buttata insieme a me?-
La mora abbassò lo sguardo:
-Sì.- disse arrossendo. Ma contro ogni sua aspettativa il ragazzo la guardò quasi con disprezzo.
-Allora sei davvero una stupida!- esclamò. Lei avvampò d'ira: come si permetteva di parlarle così?
-Un semplice "Grazie" era sufficiente.- disse acida.
Lui ridacchiò senza allegria:
-Mi pare di averlo già fatto.- disse, poi si slacciò la giacca, -Non mi serve, ora me ne torno a casa.-
Alexia riprese la sua felpa con un gesto di stizza:
-E restaci!-
Come poteva essere così maleducato, impertinente…e così dannatamente bello?
Si violentò mentalmente per quest'ultimo pensiero, arrossendo di colpo, fortuna che Bill le aveva già voltato le spalle.
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Fece il percorso contrario, uscendo dalla palazzina. La proprietaria era stata fin troppo gentile a trovargli come dimora quella topaia, con quello che la pagava (quando la pagava); per arrivarci, però, doveva entrare dal retro. Così si addentrò per il piccolo vicolo che lo separava dalla sua casa, non l'avesse mai fatto! Una stretta d'acciaio lo prese al polso, per un attimo pensò ad Alexia, ma non poteva essere lei, la morsa era molto più forte... Ebbe quasi paura di voltarsi, sapeva chi c'era ad attenderlo.
-Girati Kaulitz…dobbiamo solo parlarti.-
Una voce poco rassicurante confermò i suoi sospetti. Si girò lentamente incrociando gli occhi gelidi di Georg, dietro di lui c'erano due dei suoi tirapiedi, uno brandiva un coltellino e l'altro una catena di acciaio… Non ci voleva molta immaginazione per capire che cosa volessero da lui e che cosa gli avrebbero fatto se non l'avessero ottenuto.
-I soldi, Kaulitz!- disse mostrando una mano tesa, ma nel suo viso c'era un ghigno sadico. Sapeva già la risposta e già pregustava il momento in cui si sarebbe potuto divertire.
Bill deglutì a vuoto, ma cercò di mantenere un espressione impassibile.
-Non ce li ho ancora.- disse con tutta la calma possibile.
La mano di Georg si chiuse a pugno è andò a colpire il suo viso. Cadde, il labbro spaccato, ma Georg lo afferrò per la collottola prima che lui finisse a terra.
-Quante possibilità ti abbiamo già dato, eh?- gli chiese Georg.
-Tante.- rispose lui tremante, senza però distogliere lo sguardo.
-Già…troppe!- Gli alitò in faccia.
Lo spinse per terra e fece un cenno ad uno dei suoi. Quello con la catena si avvicinò minacciosamente.
"Perfetto", pensò Bill, "Allora è destino che io debba morire questa notte!" Solo che buttandosi dal tetto magari avrebbe fatto meno male.
Non cercò di proteggersi, non sarebbe servito a nulla; non implorò pietà mentre lo colpivano a sangue, non lo avrebbero ascoltato; non urlò, non pianse, gli avrebbe solo dato più soddisfazione. Georg lo prese per i capelli e gli sorrise malefico. Bill ansimava, ormai vedeva tutto offuscato, eppure sentì il dolore acutissimo quando la lama affilata tagliò la sua carne, sfregiandogli entrambe le guance. Non riuscì a trattenere un gemito, che fece disegnare sul volto di Georg un ghigno di onnipotenza.
-Oh, poverino!- disse il suo aguzzino con falso dispiacere, -Come farai ora senza il tuo bel visino?-
Rise sguaiatamente insieme a tutti gli altri.
-Facile fare il dio...- mormorò Bill con le sue ultime forze, -Tre contro uno, disarmato… complimenti.-
Gli occhi verdi di Georg si accesero di rabbia. Bill, non riuscendo più a sostenere quello sguardo d'odio, chiuse i suoi. Qualcuno gli tirò un calcio nelle costole, sbatté contro al muro sputando sangue, scivolando poi a terra inerte, come un sacco vuoto.
-Fuori un altro.- disse Georg soddisfatto, allontanandosi poi insieme agli altri due.
Credevano, di averlo fatto fuori, e invece no, c'era ancora un alito di vita in lui, ma a cosa sarebbe servito? Non avrebbe mai superato la notte, lo sapeva, ed ora, rimasto finalmente solo, pianse, senza ritegno, nonostante ad ogni singhiozzo i suoi muscoli si contraessero dal dolore. Fra gli spasmi, cercò dentro di lui la speranza perduta, qualcosa che lo spingesse a farcela... niente, la mattina dopo qualcuno avrebbe trovato il suo cadavere sull'asfalto, qualcun altro lo avrebbe catalogato in un obitorio e forse qualche anima pia gli avrebbe dato una sepoltura decente. Era la fine.
Un calore improvviso lo svegliò per un momento dal suo torpore, ma appena un istante dopo, perse totalmente i sensi.





 

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Capitolo 2
*** Your Guardian Angel ***


Eccomi qui, preda dell'oblio, dove sono? Nel nulla. Nulla ero e nulla rimango, anche qui nella morte…Ma sono davvero morto? O forse sono ancora in quello stadio di soprannaturalità che però non riesce totalmente a distaccarsi dal corpo umano? Se è così, allora mi piace, mi piace la pace e il senso di solitudine emanato da questo luogo.
Perché dovrei andarmene all'Inferno? Mi piace qui.


Fu svegliato da un costante Bip-Bip nelle orecchie, con uno sforzo immane aprì gli occhi, il rumore proveniva da un elettrocardiogramma, era il suo cuore, batteva, era ancora vivo!!
Nonostante tutto non poté fare a meno di rallegrarsi per questo, quando poi riuscì a mettere bene a fuoco la stanza, individuò una figura seduta in una poltroncina accanto a lui, no, non poteva essere…E invece era proprio Alexia
-Buon giorno-Disse lei con un sorriso tirato, aveva profonde occhiaia sotto agli occhi, segno che non aveva dormito quella notte.
-Che ci fai tu qui?- Chiese Bill sorpreso
La ragazza sorrise -Stavo rientrando in casa, quando ho sentito qualcuno gridare in mezzo alla strada; sono corsa a vedere e ho fatto in tempo a sentire i due che parlavano, uno di loro si chiamava Georg o Jorg- Fece una pausa -Appena hanno svoltato l'angolo, sono andata a controllare nel vicolo…e lì ti ho trovato, sanguinante e privo di sensi.- Finì di raccontare, e guardò Bill, il quale sembrava quasi più sorpreso di prima
-Perché?-Chiese il ragazzo in un sussurro, ma lei lo sentì ugualmente e lo guardò stranita
-Perché cosa?-
-Perché mi hai impedito di suicidarmi? Perché, poi, mi hai salvato nuovamente la vita? E perché ora sei qui e non mi lasci solo col mio destino?-
Le domande gli uscirono dalla gola come un fiume in piena, tanto che dovette fermarsi un attimo a riprendere fiato. Alexia gli sorrise
-Non ne ho idea…Forse mi attraggono le situazioni disperate- Disse, riuscendo perfino a strappare un sorriso a Bill.
-Quelli che ti hanno ridotto così…gli dovevi dei soldi vero?-Gli chiese poi.
Il sorriso scomparve dal volto di Bill e annuì tristemente
-Sono in debito con loro di non so quante dosi…In un certo senso hanno ragione- Disse lui alzando le spalle.
-Quanti soldi esattamente?-Gli chiese.
Ma perché diamine non si faceva gli affari suoi?
-Non lo so…A mille euro ho smesso di contarli, mi deprimevo e basta-Sforzò un sorriso ma non gli riuscì molto bene, Alexia annuì
-Non hai mai provato ad andare in un centro di cura o qualcosa del genere? Potrebbero aiutarti e…-
Lo sguardo terrorizzato di Bill troncò il resto della frase.
-NO!- Urlò -Io non ci torno là dentro!!-
Gli tornarono alla mente quei giorni orribili passati tra le mura bianche di quella struttura, ricordò il dolore che provava, le notti insonni e il giorno della sua fuga…se fosse rimasto un attimo di più in quell'inferno sarebbe morto, non che qui le cose andassero molto meglio, ma almeno ogni tanto poteva contare su qualche minuto di pseudo-gioia data dal liquido tossico che gli scorreva nelle vene.
-Non vuoi smettere?!- Esclamò Alexia incredula, Bill scosse la testa
-Mi farebbe solo peggio, e tanto non mi servirebbe praticamente a nulla-
La ragazza lo guardò contrariata
-Non è vero!- Disse -Alcune persone riescono a uscirne...-
Bill fece una risatina amara -Forse quei pochi che hanno appena cominciato... Io sono senza speranze, ormai dovresti averlo capito, giusto?- Disse inarcando il sopracciglio
Alexia aprì la bocca, ma nessun suono uscì da essa
-Se credi di poter riuscire a cambiarmi, fai pure, ma ne resterai delusa- Disse Bill abbassando tristemente lo sguardo
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Alexia scosse la testa amareggiata, era inutile starci a parlare, non capiva e non avrebbe mai capito nulla. Fece per lasciare la stanza, ma Bill la fermò:
-Aspetta!- Le disse, lei si voltò leggermente, il viso ancora corrucciato
-Grazie…Di nuovo-Mormorò lui con gli occhi lucidi.
Subito l'espressione di lei si addolcì e tornò a sedersi accanto a lui, non poteva abbandonarlo proprio adesso. Lo guardò a fondo ispezionando ogni molecola del suo corpo, nonostante il viso fosse stato deturpato da due colpi di coltello, emanava ancora un'aura di angelica bellezza e nei suoi occhi riusciva a vedere la sua innocenza e la sua semplice incapacità di reagire al mondo esterno.
Gli accarezzò dolcemente i capelli fermandosi a massaggiare le ferite sul viso, finché i loro occhi si incrociarono di nuovo e capirono di essere troppo vicini, lui arrossì in viso e lei ritrasse immediatamente la mano, imbarazzatissima.
-Scusami…ma ora me ne devo proprio andare- Gli disse -Cerca di non metterti nei guai!-
Bill sorrise -Impossibile- Disse in un'alzata di spalle, Alexia, però, rispose pronta:
-Allora io sarò lì-
Bill rise, era la prima volta che lei lo vedeva ridere, gli occhi gli si assottigliarono come quelli di un gattino ed era, se possibile, ancora più bello di prima.
-Come farai ad arrivare sempre in tempo?-
Le chiese interrompendo i suoi pensieri, Alexia gli strizzò l'occhio
-Diciamo…che da adesso in poi, io sarò il tuo angelo custode-
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-Diciamo…che da adesso in poi, io sarò il tuo angelo custode-Disse strizzandogli l'occhio, poi aprì la porta ed uscì.
Bill si ritrovò a sorridere, senza un motivo apparente, sfiorò le sue guance con le mani, dove, fino a poco prima, quelle di lei l' avevano accarezzato…Pensandoci bene, un motivo c'era se era così inspiegabilmente contento.
Improvvisamente bussarono alla porta, chi mai poteva essere? Alexia era l'unica a possedere un motivo valido per venirlo a trovare.
-Avanti- Disse curioso, dalla porta fece capolino Georg. Bill impallidì, come aveva fatto a scoprire che si trovava lì? Lui sorrise e questo non fece che incutere ancora più terrore nell'animo del moro.
-Sei molto resistente Kaulitz- Disse.
Bill cercò di calmarsi, non poteva ucciderlo in un ospedale, la gente se ne sarebbe accorta, ma allora che cosa ci faceva lì?
-E anche molto fortunato- Continuò Georg -Una bella ragazza, qua fuori, ha deciso di pagare i tuoi debiti…Hai fatto proprio un bel colpo Kaulitz-
Bill restò a bocca aperta, possibile che Alexia avesse fatto questo per lui? Gli tornò in mente la sera prima, quando diceva che si sarebbe buttata dal tetto per salvarlo…sì, era stata senza dubbio lei. Georg Ridacchiò e poi si avvicinò di più a lui
-Comunque…- Gli sussurrò -Sono venuto qui per portarti il resto della dose-
Estrasse con circospezione la busta di plastica contenente l'eroina
-Ormai sarai a secco giusto?-
Il moro impallidì, non aveva i soldi, e lui lo sapeva, Bill abbassò lo sguardo con espressione sconfitta
-Puoi pagarmi anche a rate- Disse Georg con una espressione di gentilezza palesemente falsa, Bill lo sapeva, era il suo solito trucco per costringerlo ad essere la sua marionetta e lui come al solito avrebbe accettato, che altro poteva fare? Tra poco la morfina che gli davano in ospedale avrebbe smesso di fare effetto e si sarebbe ritrovato vittima di quell'innaturale voglia di oblio, che poteva essere placata solo iniettando quel veleno liquido nelle sue vene assetate. Sospirando prese la busta con due dita tremanti
-Ti pagherò- Disse, non era scontato, lo sapevano entrambi, Georg sorrise soddisfatto e lasciò la stanza. Bill nascose la bustina sotto al cuscino e ci si addormentò sopra sognando, come ogni volta, la sua famiglia...Quei pochi frammenti di bei ricordi che ancora riusciva a tenere nella memoria, ma tra questi volti familiari, quel giorno ne apparve uno nuovo. Una ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi di Acquamarina.
-Alexia-
Sussurrò impercettibilmente nel sonno.
 

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Capitolo 3
*** A Dreamer ***


Vorrei ringraziare
-Forgotten
-Layla
Per aver commentato la mia storia^^ Per voi il capitolo 
:
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Sono nel parchetto vicino a casa, gioco a palla con mio fratello, su di una panchina i nostri genitori siedono abbracciati, sorridono, ci salutano e io rido e scherzo con il mio adorato Tomi. Mamma è felice, babbo è felice, Tom è felice…e anch'io sono felice, felicissimo! Sembra quasi un sogno…E infatti non è altro che un fottutissimo sogno.


Bill si svegliò, cercando di stropicciarsi gli occhi attraverso quel groviglio di tubicini attaccati al suo corpo, con gioia scoprì di non essere solo, Alexia era tornata e lo guardava sorridendo
-Certo che sei davvero un dormiglione- Disse ridendo
-Ho dovuto aspettare almeno mezzora prima che tu ti svegliassi-
Nonostante cercasse di dare alla voce un tono seccato, si notava benissimo che era stata ben felice di guardarlo dormire, arrossì leggermente, ma Bill era troppo stanco per notarlo
-Che ore sono?- Chiese Bill con la voce ancora impastata dal sonno, Alexia tirò fuori il cellulare e diede un'occhiata al display
-Le due e un quarto- Rispose
-è passata l'infermiera con il pranzo-Lo informò poi indicandogli un piccolo carrello accanto al suo letto, Bill si mise faticosamente a sedere, probabilmente il cibo dell'ospedale non era un granché, ma in quel momento si sentiva così debole che avrebbe potuto mangiare qualunque schifezza.
Mentre ingurgitava un po' di non-si-sa-che-cosa ascoltò Alexia chiacchierare, era davvero molto ciarliera, ma lui avrebbe potuto ascoltare quella voce per ore senza mai stancarsi.
Gli raccontò della sua famiglia, che viveva in un paesino poco lontano, si era trasferita da poco ad Amburgo per seguire la facoltà di psicologia…Piccoli frammenti della comune vita di una studentessa, Bill annuiva, di tanto in tanto sorrideva, ma nella sua mente si aggirava continuamente un cupo pensiero, era consapevole che lui non avrebbe mai potuto vivere così, non aveva un futuro promettente davanti a sé, anzi, in verità non aveva nemmeno un futuro.
-Ti sto annoiando?- Gli domandò ad un certo punto -Scusa, a volte non mi rendo conto di essere così chiacchierona-Ammise, ma Bill scosse la testa
-Non preoccuparti…è bello parlare con qualcuno ogni tanto-
Alexia sorrise
-Avanti…ora dimmi un po' di te
Bill abbassò lo sguardo, era plausibile che lei volesse sapere qualcosa su di lui, ma che cosa poteva raccontarle? La sua vita non era mai stata rosa e fiori, non voleva deprimerla
-Vivo alla giornata-Rispose alzando le spalle, voleva dire tutto e niente
-E…non hai mai pensato di poter cambiare qualcosa?-
Bill inchiodò gli occhi in quelli di lei, poi rise
-Sei proprio una sognatrice-
La ragazza non capì, lui cominciò a giocherellare con una flebo
-Sei quel genere di persona che crede ancora nel bene del mondo- Spiegò in un sospiro
-E sarebbe un male?- Domandò lei confusa, Bill rise di nuovo
-No, ma così ti illudi, e alla fine finisci per farti del male-
Alexia lo guardò scandalizzata:
-Senti, lo so anch'io come va il mondo, ma so anche che le persone non sono tutte uguali e…-
Bill la interruppe con una risata di scherno:
-Sei così innocente e ingenua- Disse
-Cosa…-
Cominciò lei, ma Bill non la lasciò parlare:
-Non si salva nessuno, un giorno devi fare i conti con il mondo là fuori… e scopri che non è come nelle favole, non c'è sempre il lieto fine, e per quelli come me non c'è mai- Disse in tono serio, fissandola con i suoi occi scuri
-Tu non hai la minima idea, di quanto possa essere ingiusta e crudele la vita, di come un giorno vada tutto bene e quello dopo precipiti nell'Inferno…No, tu devi ancora scoprirlo il mondo mia cara-
Volse lo sguardo verso la finestra, segno che voleva troncare lì la discussione. Alexia non rispose.
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Alexia non sapeva proprio che cosa dire. Bill guardava verso la finestra, completamente assorto nei suoi pensieri, avrebbe pagato qualunque cifra per poter entrare nella mente del moro in quel momento.
Sospirò guardandolo, come poteva una persona non credere più in niente? Certo, lei aveva una vita discretamente bella, era intelligente, con una famiglia benestante e alcune amicizie sincere, era il genere di persona che all'apparenza sembra avere tutto, e invece le mancava ancora qualcosa, un piccolo e freddo angolo del suo cuore ancora reclamava qualcuno che riuscisse a scaldarlo.
Probabilmente, però, non era nulla in confronto a quello che stava passando Bill in quel momento, non sapeva praticamente nulla della sua vita, ma di sicuro non era mai statamolto semplice. Continuò a guardare i buchi rossi sui polsi, la sua famiglia gli aveva sempre detto di stare lontano da quel genere di persone, perché l'avrebbero portata su di una cattiva strada…e in effetti, cominciava ad avere qualche dubbio su quello che stava facendo
-Sei ancora qui?-Gli chiese improvvisamente Bill facendola sobbalzare
-Sì…perché dovrei andarmene?- Disse con estrema naturalezza, il ragazzo inarcò un sopracciglio
-Beh, hai già fatto il tuo dovere di "Brava cittadina"- Virgolettò con le dita -Mi chiedo perché tu perda ancora il tuo tempo per uno come me-
Ecco, quando faceva così la mandava letteralmente in bestia…Era normale provare attrazione, odio e pietà nello stesso momento? E per una sola persona?!? Alexia si sentiva così e infatti non riuscì a proferire mezza parola
-Hey, ci sei?-
Chiese Bill schioccandole le dita davanti al viso per cercare di svegliarla
-Sì, sì- Disse, istintivamente Bill sorrise
-Sei strana- Disse, lei lo guardò incollerita
-Io? Ma ti senti quando parli?-
Bill continuò a ridere e questo non fece altro che montare ancora di più la rabbia in lei, con un sospiro nervoso si apprestò a lasciare la stanza, ma Bill la fermò
-Hey scusa-
"Non voltarti, non voltarti" Si ripeté mentalmente Alexia, mentre ogni fibra del suo corpo fremeva per girarsi
-A volte manco completamente di tatto…non volevo offenderti-
Aveva lo steso tono di un bimbo che chiede scusa alla madre per aver combinato un pasticcio, Alexia non poté resistere alla sua dolce voce e con un sospiro si voltò verso di lui, aveva le gambe rannicchiate vicino al petto e la testa appoggiata sopra le ginocchia, Alexia si domandò se non gli facesse male stare in quella posizione dopo le lesioni che aveva subito, ma non ci fece tanto caso.
-Scuse accettate- Disse poi.
Vide Bill sorridere ed anche il suo viso corrucciato si distese in un sorriso.
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Fu una cosa istintiva, le ginocchia si rannicchiarono contro il suo petto e lui vi appoggiò sopra la testa, lo aveva sempre fatto sin da bambino, quando era triste,nervoso o aveva paura. In quel momento, però, non sapeva esattamente perché lo stava facendo.
-Hey, scusa-Disse, mettendo da parte per un attimo il suo orgoglio
-A volte manco completamente di tatto-
"Avanti, voltati ti prego!!Pensò Bill guardandola con già una mano sulla maniglia, poi, per la gioia del ragazzo, si girò e sospirò
-Scuse accettate-
Bill sorrise felice e lei fece lo stesso. Calò il silenzio fra i due, Alexia sembrava molto presa dalle sue scarpe, mentre Bill continuava a torturare il tubo della flebo.
Fortunatamente un infermiera entrò e ruppe quel momento imbarazzante
-Buone notizie…- Diede un occhiata alla cartellina -…Bill, fra due giorni possiamo dimetterti, ti sei ripreso in fretta-
Bill tentò di sforzare un sorriso di circostanza, normalmente la gente è felice di poter lasciare in fretta l'ospedale, ma per lui questo significava tornare alla sua solita ed inutile vita…e non ci sarebbe più stata Alexia ad aiutarlo…Si vergognò tremendamente per quell'ultimo pensiero, ma non fece trapelare alcuna emozione dal suo volto.
L'infermiera lasciò la stanza e lui guardò di nuovo Alexia
-Penso di non averti ancora ringraziato abbastanza- Mormorò, la ragazza sorrise
-Scherzi? Non ho fatto nulla di strano-
Bill scosse la testa
-Dove cavolo hai trovato i soldi da dare a Georg?-
Chiese Bill, lei abbassò lo sguardo
-Beh, mia mamma è avvocato e papà imprenditore…mi mandano dei soldi una volta al mese, da un po' li risparmiavo e così…-
Bill annuì
-Scusa, se ti ho causato dei problemi- Mormorò il moro che ancora non riusciva a comprendere il perché avesse deciso di aiutarlo. Alexia scrollò le spalle con noncuranza
-Non preoccuparti, nessun problema-
Lo sguardo di Bill si fece cupo
-Tu lo sai, che probabilmente non potrò mai restituirteli, vero?-
Disse amaro, lei alzò nuovamente le spalle, Bill invece tornò nella sua posizione "rannicchiata" non osava più guardarla, si vergognava di quello che era, si vergognava di dover ricevere tutto senza poter dare nulla in cambio…Si vergognava di vivere.
-Scusami, ora devo proprio andare- Disse Alexia poco tempo dopo, Bill annuì e la salutò, poi, non avendo altro da fare, decise di addormentarsi.

La giornata seguente passò molto lenta. Alexia non c'era, Bill non ne restò sorpreso più di tanto, ma non poteva nascondere il suo dispiacere. Cercò di far andare avanti le lancette dell'orologio leggendo qualche stupida rivista trovata sul tavolino, sonnecchiando di tanto in tanto o immergendosi nei suoi pensieri, dove, in qualche modo appariva sempre lei, Alexia, la ragazza che gli aveva salvato la vita, la ragazza che, a differenza di tutte le altre persone incontrate nella sua vita, non lo aveva abbandonato quando ne aveva più bisogno…la ragazza di cui sentiva tremendamente la mancanza in quei momenti.
La mattina dopo una piacevole sorpresa lo accolse al suo risveglio. Alexia era tornata.
Bill era senza parole, ma fu lei a riempire quel vuoto
-Scusa ti ho svegliato?-
Bill scosse la testa, lei si avvicinò, fra le mani reggeva un quotidiano e un the caldo
-Questo è per te- Disse e gli porse la tazzina fumante
-Grazie- Sussurrò Bill, poi annusò il liquido, sapeva di menta, sorrise -è il mio preferito- Disse, Alexia rise:
-Neanche a farlo apposta…Sono contenta che ti piaccia-
Mentre lui sorseggiava, la ragazza cominciò a sfogliare il giornale finché non trovò la pagina desiderata e gliela mostrò
-Annunci di lavoro- Disse -Ho evidenziato quelli più interessanti-
Bill quasi si strozzò con il the. Perché continuava a fargli favori? Non aveva bisogno di aiuto…ok, forse ne aveva bisogno, ma era stanco che fosse sempre lei ad aiutarlo, lui non avrebbe mai potuto ricambiargli il favore, sospirando cominciò a guardare gli annunci segnati, quello di un bar lo attirò particolarmente
-Questo può andare- Disse -è praticamente a due passi da dove abito io-
Alexia sorrise
-Ok, ti presto il cellulare-
Un altro favore
-Chiama!- Lo esortò Alexia porgendogli il telefono. Compose il numero e fissò un appuntamento per due giorni dopo, direttamente là al bar, la proprietaria sembrava contenta, probabilmente non aveva ricevuto molte risposte all'annuncio, e questo giocava a suo favore. Si ritrovò inspiegabilmente a sorridere, mentre Alexia ripiegava il giornale, poi, come colpita da qualcosa si portò una mano alla testa
-Oh…Stavo quasi per dimenticarmene!!- Esclamò, poi si sfilò la giacca di pelle che indossava
-Questa è tua-
Bill sentì un groppo alla gola
-Io non…non so davvero che dire- Mormorò con voce spezzata mentre sfiorava la giacca
-Dì semplicemente "grazie"-Disse lei sorridente, Bill scosse la testa
-Non posso accettare…è davvero troppo-
Gliela restituì, ma lei insistette
-Quando l'ho vista in vetrina ho pensato subito a te…per favore prendila!-
Bill la guardò serio
-Non voglio la tua pietà- Mormorò amaro.
Alexia ammutolì, si guardarono per qualche istante poi lei mormorò:
-Se vuoi davvero ricambiarmi il favore, tieniti questa giacca e ricomincia la tua vita-
Bill restò spiazzato da questa risposta, poi però tornò alla carica
-Non basterà una giacca per cambiare la mia esistenza-
Alexia scrollò le spalle
-Probabilmente no…- Gli strinse la mano -Ma per favore, non rifiutare un aiuto-
A malincuore Bill decise di tenersela
-Lo faccio solo per te- Disse imbronciato, ma il suo viso si sciolse in un sorriso quando vide l'espressione serena di Alexia. Restò con lui per un altro po' di tempo, parlando del più e del meno, poi se ne andò salutandolo con un bacio sulla fronte. Si toccò, era appena umido, lì nel punto in cui le sue morbide labbra avevano sfiorato la sua pelle. Arrossì di colpo, nessuno lo aveva più baciato così da... "Da quando la mamma si è ammalata" Scosse la testa come per scrollarsi di dosso quei brutti pensieri e si addormentò.
 




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Capitolo 4
*** An Alien ***


Capitolo 4: An Alien

Un'infermiera aiutò Bill a staccarsi di dosso i vari tubicini mentre cercava di rialzarsi. All'inizio gli girava un po' la testa, ma, contrariamente alle sue aspettative, le gambe riuscirono a reggerlo, anche se zoppicava un po'.
Si infilò la giacca di pelle, profumava ancora di lei nonostante fosse passata tutta la notte, sospirò, in quella giacca aveva anche nascosto la droga qualche minuto prima, e adesso gli sembrava che il lato sinistro del suo corpo pesasse molto di più del solito, cercò di ignorare la suggestione e di concentrarsi, piuttosto, su come mettere un piede davanti all'altro.
Prese l'autobus per tornare a casa, non aveva il biglietto, ma fortunatamente, quel giorno mancava il controllore.
Si perse ad ammirare la città fuori dal finestrino, la vedeva scorrere veloce, così estranea a lui, a dir la verità lui si era sempre sentito estraneo al mondo e alla vita.
La grigia città gli scorreva accanto imperterrita, la gente correva, rideva, piangeva…e lui si sentiva l'ignaro spettatore di un vivace film in bianco e nero sul quale non poteva avere alcun controllo , un film in lingua straniera, senza i sottotitoli, e lui non poteva comprenderlo. Come un alieno si muoveva per le strade di quella fredda mattinata di marzo che sembrava non voler fare arrivare la primavera.
La porta cigolò alla sua apertura, Bill entrò nella sua dimora, non gli era certo mancata nei suoi pochi giorni di convalescenza. Si sedette sul letto e chiuse gli occhi.
Silenzio. Solo un fottutissimo silenzio. Sembrava che in quella casa il tempo si fosse fermato, creando una dimensione alternativa che cominciava e finiva con quelle quattro mura scrostate. Bill annusò l'aria, sentendo il triste odore della solitudine e del silenzio…o forse era solo la muffa.
Scuotendo la testa, si tolse la giacca e andò a prendere in bagno il suo "set" da cucito, prima di morire, sua madre, che di mestiere faceva la sarta, era riuscita ad insegnargli qualcosa su come rammendare e ricamare. Col passare degli anni, parte di questi insegnamenti era svanita dalla mente di Bill, però si ricordava ancora come cucire un paio di tasche interne, cosa piuttosto utile. Data la vita che faceva, doveva avere sempre a portata di mano un coltellino o qualche altra arma, e inoltre, gli serviva un posto dove nascondere la droga. Guardò la sua "opera" ultimata, non nascondendo un po' di soddisfazione personale.
Poco dopo, però, l'occhio gli cadde sulla bustina posata a terra, la raccolse e lentamente l'aprì.
Diluì la droga liofilizzata con un po' d'acqua, poi , con gesti meccanici, ripetuti fin troppe volte, cominciò la preparazione. Prese la siringa e ne sterilizzò la punta, bruciandola leggermente con un accendino, poi chiuse la mano a pugno, per mettere meglio in evidenza le vene e cominciò a tastare il polso in cerca del punto giusto. Una volta trovato raccolse un po' del liquido con la siringa e poi, dopo un paio di respiri profondi, fece penetrare l'ago nella sua pelle, iniettando, con movimenti ritmici, la droga nelle sue vene.
Non fece effetto subito, ci volle un po' perché cominciasse a viaggiare fuori dal mondo, ogni cosa si faceva strana, strana e bella, e finalmente, lasciò perdere il dolore di ogni giorno con un sorriso folle sulle labbra

Non appartengo a questo mondo, è inutile che provi a conviverci… Quando viaggio sto bene, quando viaggio non soffro più, lasciatemi qui, lasciatemi andare alla deriva nell'infinito mare dell'oscuro universo, lasciatemi bruciare tra le stelle, non sono umano e non lo sarò mai più…
Ora sono un Alieno.


Non pensava alle conseguenze di quel gesto, o almeno, non voleva pensarci. Certo, sapeva che probabilmente non sarebbe andato avanti a lungo così facendo, ma non gli importava, era inutile provare a cambiarsi, ormai si era totalmente abbandonato al suo destino, la vita aveva vinto su di lui e non poteva farci più niente.
Rimase lì per tutta la notte, steso sul pavimento, respirando affannosamente e svegliandosi ripetutamente, finché, alle sei di mattina, dopo il vano tentativo di addormentarsi un'altra volta decise di alzarsi.
Le ossa gli dolevano a causa della nottata passata sulle dure assi di legno, in qualche modo finiva sempre per terra ogni volta che si faceva una dose, ma la cosa non lo toccava più di tanto. Dato che quel giorno sarebbe stata la sua unica possibilità di trovare lavoro, decise di sistemarsi un minimo, la prima impressione è quella che conta di più.
Si spogliò, notando con orrore, i lividi violacei lungo tutto il corpo, sospirò.
Con le dita arrivò fino al suo collo, dove erano appese due piccole catenine, con i piccoli ciondoli dorati, uno a forma di "B" e l'altro di "T", glieli avevano regalati al a nascita, a lui e a suo fratello, ma adesso Bill li portava entrambi.
Nonostante non fossero molto grandi, erano comunque d'oro, Probabilmente poteva ricavarci qualcosa, ma avrebbe preferito vendersi l'anima, piuttosto che separarsi da quegli ultimi ricordi.

Jorg allacciò le catenine attorno all'esile collo dei due neonati
-Ecco fatto- Disse con un sorriso soddisfatto -Così non avremo problemi a distinguerli-
-Parla per te!- Esclamò Simone -Io riesco a riconoscerli perfettamente, li ho partoriti io-
Incrociò le braccia, fingendosi offesa, Jorg rise:
-Ti amo anche se sei permalosa, Cara!-
La donna inarcò il sopracciglio -Non cercare di ammorbidirmi-
Non riuscì, però, a mantenere il broncio, quando le labbra di lui si dischiusero per un dolce bacio da innamorati.



-Merda!- Esclamò colpendo lo specchio con il palmo della mano, non sopportava quando quei ricordi gli tornavano alla mente, colpendolo come una lama affilata, che gli ricordava quanto andasse bene la sua vita prima. Forse era proprio per questo, forse la sua vita era andata fin troppo bene e ad un certo punto il mondo ha voluto indietro tutto ciò che gli aveva dato
-Che merda!- Esclamò scuotendo la testa rassegnato.
Cominciò a lavarsi sotto alla doccia, dalla quale usciva soltanto acqua fredda, ma tanto, ormai ci aveva fatto l'abitudine.
Dopo essersi asciugato si pettinò i capelli all'indietro e indossò una maglietta nera e un paio di vecchi jeans sopra alle sue solite scarpe. Studiò il suo riflesso allo specchio e si giudicò abbastanza passabile, indugiò soprattutto sul viso e si maledisse di non avere del fondotinta per mascherare le due cicatrici, quei due segni sul viso gli ricordavano la sua condanna, così come i buchi della siringa sui polsi e qualche altro segno che aveva sparso lungo il corpo.
Oltre al fondotinta lui era solito truccarsi gli occhi di nero, ma da un po' non aveva più matita e ombretto, la cosa non gli importava più di tanto, quel giorno, però, avrebbe davvero voluto truccarsi.
Scrollò le spalle con noncuranza, poi guardò l'orologio. Erano appena le sette, avrebbe dovuto aspettare un'ora prima di partire, guardò la siringa che si trovava ancora a terra ed ebbe quasi la tentazione di farsi un altro viaggio, ma poi constatò che avrebbe potuto non svegliarsi in tempo, e di quel lavoro ne aveva bisogno.
Le lancette dell'orologio scorsero lente, ma finalmente Bill si alzò dal letto, dove era rimasto a guardare il soffitto. Prima di uscire fasciò entrambe le braccia con due polsini di spugna neri, in modo da coprire perfettamente i segni sui polsi, poi indossò la giacca che gli aveva regalato Alexia ed uscì.

 

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