Break the silence

di lelle31
(/viewuser.php?uid=74081)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo incontro ***
Capitolo 3: *** Impressioni ***
Capitolo 4: *** Passo falso ***
Capitolo 5: *** BANG! ***
Capitolo 6: *** Libertà temporanea ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Incubi e chiarimenti ***
Capitolo 9: *** Fuga ***
Capitolo 10: *** Fantasmi del passato ***
Capitolo 11: *** Colpi di scena ***
Capitolo 12: *** Riconoscenza ***
Capitolo 13: *** I nodi vengono al pettine ***
Capitolo 14: *** Presentimenti- prima parte ***
Capitolo 15: *** Presentimenti- seconda parte ***
Capitolo 16: *** Imitatori ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 Los Angeles 20 maggio 2003
 
Era ormai mezzanotte passata quando lo Shinigami Jealous ricomparve nel mondo degli umani. Quel giorno aveva dovuto disobbedire a una regola fondamentale allontanandosi dal proprietario del Death note, ma ne era decisamente valsa la pena. “Sei in ritardo” lo accolse in tono seccato Christopher Miles , l’umano che doveva perseguitare fino alla morte. Quindi non ancora per molto. “Considerando che sto per farti un enorme favore, potresti anche passarci sopra” ribatté lo Shinigami. Gli occhi del ragazzo si illuminarono. “Vuoi dire che ci sei riuscito? Che… lui… ha accettato la mia richiesta?”domandò speranzoso. Che strani gli esseri umani , rifletté Jealous. Ancora non riusciva a credere che quell’ingenuo giovane desiderasse così tanto la propria morte. E per far piacere a qualcuno, poi. “Certo.” rispose infine “Un’anima per un’anima”. Chris sospirò, sollevato e felice. Non era sicuro che il Grande Capo degli Shinigami gli avrebbe concesso quello che voleva. Invece, contro tutti i pronostici, ora poteva andarsene in pace. “Bene”disse, sereno “Ti ringrazio. E porta i miei omaggi al tuo signore”.  Poi appoggiò ai propri piedi il quaderno nero che teneva tra le mani.La causa di tutto, pensò irrigidendosi. Jealous interpretò quella reazione nel modo sbagliato. “Cos’è hai paura adesso?” lo schernì. Sperava che fosse così. Gli esseri umani avevano sempre avuto paura di morire. Lo aveva visto miliardi di volte, osservandoli dal suo mondo spoglio e vuoto. E li aveva visti fare anche molte altre cose. Con una certa ripetitività, oltretutto. Loro si amavano, poi litigavano, facevano scoppiare qualche guerra e alla fine arrivava l’eroe del momento a salvare la situazione. Nel bene o nel male andava inevitabilmente in questo modo. E quello stupido ragazzino-  niente più che un moccioso arrogante e immaturo, reso folle dall’amore- non gli avrebbe fatto cambiare idea. O così credeva. “No, mio caro Jealous” rispose con una calma sconvolgente “Ho fatto abbastanza danni. E’ ora che paghi il mio debito. Procedi quando vuoi”. Chris, che aveva parlato guardando lo splendido spettacolo offerto dall’Oceano Pacifico che si rifrangeva sulla sabbia di notte, immagine che voleva conservare come suo ultimo ricordo mortale, sollevò lo sguardo in tempo, per osservare l’espressione esterrefatta dello Shinigami. “Spiegami perché lo fai” pregò il ragazzo. Era tutto sbagliato. Non riusciva a capire. Era convinto che Chris si sarebbe tirato indietro all’ultimo minuto. Che lo avrebbe supplicato di non ucciderlo (proprio come lo aveva implorato di togliergli la vita qualche giorno prima). Perché gli umani erano volubili. Sopraffatti dalle proprie emozioni e dai conflitti interiori che esse causavano.  Si era forse sbagliato a giudicarli in quel modo? “Perché l’amo” e mentre lo diceva, il suo sguardo si infiammò di passione e determinazione. Ne era convinto. “E perché lei merita di vivere più di quanto abbia fatto io. Ma non mi aspetto che tu capisca”. E infatti non capiva per niente. Ma era ora di arrivare al dunque. “Perciò sei pronto”. Jealous estrasse con deliberata lentezza il quaderno e la penna. Non si era arreso. Attendeva ancora quel momento … “Aspetta” esclamò infatti Chris. Ecco! Ghignò soddisfatto lo Shinigami. Ora l’ordine cosmico si era ristabilito. Ma invece delle suppliche che pregustava, l’umano chiese con preoccupazione: “Non hai intenzione di tradirmi vero? Rispetterai il nostro accordo?”. “Assolutamente” disse Jealous con indignazione “Noi Shinigami manteniamo sempre la parola data”. Confuso e irritato, scrisse quel maledetto nome sul Death Note. Chris chiuse gli occhi, aspettando. Perché non era terrorizzato? “Ne vale davvero la pena? Di sacrificare la vita per amore?” non riuscì a trattenersi dal domandare al ragazzo. Lui si limitò a riaprire gli occhi e fissarlo intensamente. . Non lo aveva detto, ma lo Shinigami  aveva compreso benissimo. Poi crollò a terra, sopraffatto dal dolore dell’arresto cardiaco. Non si lasciò sfuggire nemmeno un verso. In pochi secondi fu tutto finito. Dopo aver raccolto il quaderno dalla sabbia, Jealous si apprestò a tornare nel proprio mondo, profondamente scosso da ciò a cui aveva assistito, sentendo che tutte le proprie convinzioni sugli esseri umani, andavano sgretolandosi.   
^^^^^^^^
Los Angeles, 20 maggio 2003
Mi svegliai di soprassalto. Un suono costante e acuto mi strappò pian piano dagli ultimi residui di incoscienza. Così mi accorsi di non essere nella  mia stanza. E soprattutto mi accorsi di avere uno di quegli appositi aggeggi che si usano per indurre la respirazione artificiale, ficcato in gola. Iniziai a lottare per toglierlo, ma  una mano esperta mi fermò, risparmiandomi lo sforzo inutile. Alzai gli occhi sulla mia salvatrice. Era un’infermiera dall’aria molto, ma molto sorpresa. Anzi, a dire il vero sembrava proprio sotto shock. Mentre notavo quanto mi apparisse strano respirare normalmente, cominciai ad assorbire i particolari che arrivavano a rilento al mio cervello. Innanzitutto, realizzai di avere un fastidiosissimo, pulsante mal di testa, che mi rendeva difficile anche solo pensare fluidamente. In secondo luogo, capii di essere mezza nuda, perché sentivo un certo freddo sulla schiena. Infine, dettaglio non poco importante, constatai di essere legata al letto da un sacco di tubi collegati ad altrettanti …aghi . Fu probabilmente il senso di nausea che provai in quel momento a farmi mettere insieme i pezzi. “Oddio sono in ospedale!”esclamai. Okay, affermazione ovvia, ma in quel momento ero fin troppo spaesata. E spaesata era pure l’espressione della donna che avrebbe dovuto aiutarmi, la quale, invece, mormorò: “E’ un miracolo”. Miracolo? Quale miracolo? Il fatto che fossi finita in ospedale era un miracolo? “Ma che cazzo dici?” le parole uscirono aspramente dalla mia bocca, prima che riuscissi a fermarle. Perlomeno la donna si riscosse. “Tesoro, non ti rendi conto di quanto tu sia stata fortunata. Eri in coma profondo. E’ praticamente impossibile uscirne …. A proposito, devo chiamare il medico!”. E si allontanò, in fretta e furia. Allora chiusi gli occhi. Ero già sfinita. La testa mi doleva in modo assurdo. Però mi sentivo anche sollevata. Insomma, ero viva! Piuttosto confusa e malridotta ma inequivocabilmente viva. Lacrime involontarie mi scivolarono lungo le guance. Non ero del tutto certa del perché stessi piangendo. Forse c’entrava il mio odio per gli ospedali. O la testa che mi stava esplodendo. Oppure l’ansia per la situazione in cui mi trovavo. L’unica cosa di cui ero sicura, era che, come aveva detto l’infermiera, ero davvero molto fortunata. “Grazie” sussurrai, rivolgendomi alla mia buona stella. In un mondo molto diverso e lontano, uno Shinigami ancora sconvolto, rispose ridacchiando: “Prego ragazzina”.    

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Primo incontro ***


 Tokyo, 19 gennaio 2007
 
“Ecco a lei. E tenga pure il resto” dissi all’autista del taxi, in inglese. Lui mi lanciò una strana occhiata, a metà tra lo sbalordito e il sospettoso. L’avevo già vista quell’espressione e sinceramente iniziavo ad averne più che abbastanza. “Senta, lo so che non parlo giapponese, ma non mi sembra il caso di fare quella faccia” mentre parlavo, l’uomo contò i soldi che gli avevo porto. Alla fine si fece scioccato, ma prima che si mettesse a protestare in una lingua a me sconosciuta, scesi dall’auto e gli feci ciao con la mano. Mentre mi incamminavo verso l’università, mi abbandonai a un enorme sospiro. Era possibile che metà dei giapponesi che avevo incontrato parlasse a stento inglese? E come facevano quando erano all’estero? Probabilmente avevano anche loro sviluppato la morale made in Italy alla “non importa se non so una parola delle altre lingue, a gesti ci si capisce sempre!”. Che poi era una scusa bella e buona per non ammettere di non avere voglia di stare sui libri. Sorrisi. Mi mancava tanto l’Italia. Nonostante tutti i problemi e le contraddizioni con cui si conviveva laggiù, era comunque la mia terra natale e nessun luogo era meglio di casa propria. Nemmeno la vitalità e il sole di L.A. erano riusciti a togliermi la nostalgia. Siccome stavo camminando su un terreno spinoso, mi ingiunsi di tornare alla realtà e degnare il mondo circostante della dovuta attenzione. E fu così che mi accorsi dello splendido viale alberato circondato dal curatissimo giardino che avevo di fronte. C’erano centinaia di studenti radunati a gruppetti qua e là, con facce entusiaste ed eccitate. Mentre percorrevo il viale, buttai l’occhio anche in direzione di un certo numero di ragazzi adagiati sull’erba, intenti a leggere, chiacchierare, fumarsi una sigaretta. Sorrisi ancora. Forse non sarebbe stato poi tanto male studiare qui. Infine arrivai in segreteria, dove spiegai scandendo bene le parole, che facevo parte del programma per gli stranieri e che avevo bisogno di orari, elenco dei libri e quant’altro. Con mia deliziata sorpresa, la ragazza mi capì perfettamente e mi consegnò tutto l’occorrente. Aggiunse che stava per tenersi il discorso di benvenuto delle matricole in aula magna e che anche se non ero una di loro, sarebbe stato interessante per me, che ero nuova, parteciparvi. “Sarà un’occasione per conoscere gli altri studenti e iniziare a prendere familiarità con la lingua” concluse con un enorme sorriso, passando allo studente successivo. Avrei voluto dirle che a meno che non ci fossero stati sottotitoli non avrei capito una parola, ma decisi che lagnarmi non sarebbe servito a nulla. Avevo scelto io di venire in questo paese e quindi spettava a me il compito di ambientarmi. Mi raddrizzai e seguendo il consiglio della ragazza, mi diressi verso la famigerata aula magna che, supposi, doveva essere quella verso la quale la gran parte di studenti si stava ammassando. Li raggiunsi mescolandomi alla folla di capelli neri, lineamenti asiatici e discorsi incomprensibili che si stava facendo spazio attraverso l’entrata. Nonostante avessi viaggiato molto nella mia vita, non mi ero mai sentita più fuori posto che in quel momento. Ero sempre stata piuttosto sicura di me e amavo le attenzioni, ma gli sguardi incuriositi e indagatori che sentivo arrivarmi da tutte le parti mentre avanzavo in mezzo alla gente, mi misero solamente in imbarazzo. Nella fretta di togliermi di mezzo, urtai qualcuno davanti a me. Il ragazzo si voltò e mi lanciò una lunga e attenta occhiata. Mentre mi fissava, io feci lo stesso con lui. Capii quasi subito che non era giapponese e la cosa mi fece tirare un sospiro di sollievo interiore perché perlomeno sarei stata in grado di rivolgergli qualche parola di scusa. Ma mentre lo osservavo per bene, le parole mi morirono in gola. Mi trovavo di fronte un tipo davvero particolare. A cominciare dalle scarpe da tennis slacciate, risalendo con i jeans scuri e la maglia larga bianca a maniche lunghe, fino ad arrivare alla zazzera di capelli neri che arrivava quasi a coprirgli gli occhi scuri e penetranti. Il colorito cinereo mi disse che non era un grande amante del sole. Inoltre, potevo scommettere che aveva passato ore e ore chino sui libri, il che sembrava confermato dalla postura leggermente ingobbita e dalle occhiaie. Notai anche che teneva tra le labbra il bastoncino bianco tipico dei Chupa Chups, che gli dava una vaga aria fanciullesca. Nel complesso sembrava un tipo interessante. Uno con cui mi sarebbe piaciuto fare amicizia. Lo guardai negli occhi e mi accorsi che mi fissava ancora con interesse. Mi venne spontaneo sorridergli e lui, quasi subito, sollevò l’angolo della bocca di un millimetro, imitandomi. In qualche modo, mi resi conto che non lo faceva spesso e questo accrebbe l’idea di cucciolo bisognoso di coccole che mi ero fatta su di lui attraverso il mio breve esame. Così il mio sorriso cordiale si trasformò in un sorriso dolce. Rimanemmo così per qualche secondo, a guardarci negli occhi, sorridendoci come due idioti, in mezzo alla fiumana di ragazzi che entrava dalla porta dietro di noi , finché un tizio non mi venne addosso nel tentativo di sorpassarci. “Hey!” gli urlai di getto perché  quella era una reazione adeguata a uno spintone in praticamente tutti i paesi del mondo. Il che riportò la mia attenzione al ragazzo che avevo di fronte, ancora intento a fissarmi con espressione leggermente divertita. Normalmente una persona si sarebbe dovuta sentire a disagio a essere osservata così a lungo da un semi sconosciuto, ma a me quel ragazzo ispirava sensazioni del tutto differenti. Realizzare ciò mi fece venire voglia di sorridergli ancora, ma mi imposi di riprendere il controllo, prima di comportarmi di nuovo come una scema. Scossi la testa e feci quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio, sempre secondo il codice internazionale dei rapporti interpersonali. “ Mi dispiace.” dissi quasi balbettando, non più sicura di sapere parlare nemmeno in inglese “Per prima, intendo. Non volevo venirti addosso.”. E se non capiva la lingua che avevo usato, peggio per lui. “Fa lo stesso” mi rispose invece il ragazzo, che aveva una voce bassa e profonda e sembrava quasi più imbarazzato di me. Inoltre aveva un perfetto accento inglese. “Vieni dall’Inghilterra?” gli chiesi a bruciapelo, senza sapere bene il perché. Avrei voluto mordermi la lingua. Ricevetti un’occhiata molto penetrante, che mi fece venire una gran voglia di scusarmi per la mia invadenza. Ma la risposta anche in questo caso non tardò troppo ad arrivare. “Ci ho vissuto molti anni”. Il tono in cui lo disse mi fece capire che c’erano una quantità di informazioni  sul proprio conto che preferiva non divulgare. Mi ero davvero incuriosita, ma ormai la sala era quasi piena ed era ora di prendere posto. “Beh è un piacere sapere che c’è qualcuno con cui posso comunicare in una lingua conosciuta, qui. Spero di vederti in giro. Ora è meglio sedersi” conclusi, salutandolo con la mano e puntando verso uno dei posti ancora liberi in fondo. Visto che c’era la probabilità che mi addormentassi dalla noia, era meglio non essere troppo in vista. Una volta accomodata, guardai verso il punto dove l’avevo lasciato. Era ancora là e per tutto il tempo avevo sentito i suoi occhi addosso. Infine, si voltò e si diresse con le mani in tasca verso le prime file. Che ragazzo bizzarro. E assolutamente affascinante, pensai anche, sorpresa. Ancora non sapevo che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
 




 
L’angolo dell’autrice
Ed eccoci con il primo capitolo! Sono davvero contenta di pubblicarlo perché questa è la mia prima fan fiction, il che significa che dovrete essere clementi e perdonarmi prima di tutto l’errore nella scrittura del nome di Gelas nel prologo. A mia discolpa dico che non ho mai letto il manga, ma ho visto l’anime e quindi ho tentato di capire come si scriveva dalla pronuncia. A parte questo, spero che piaccia il nuovo personaggio e l’idea in generale. Inizialmente forse la storia sarà un po’ lenta e seguirà un po’ l’evolversi dell’anime, ma presto prometto che ci saranno anche i colpi di scena. Grazie per aver letto questo primo capitolo, posterò presto anche il secondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Impressioni ***


Il discorso durò in totale più di un’ora e chiaramente non ne compresi neanche una sillaba. Tuttavia, mi sentivo molto orgogliosa di me stessa per non essermi addormentata, specialmente visto e considerato quanto mi aveva fatto venire voglia di sbadigliare il primo dei due oratori.

Anche non capendo una singola parola di ciò che diceva, infatti, avevo notato subito l’arroganza e il disprezzo ben celato dietro il tono di voce allo stesso tempo freddo e deciso. In effetti, dovevo fargli i miei complimenti. Se non fossi stata allenata da anni passati a decifrare ciò che c’era dietro le belle facciate e i cortesi sorrisi che i ricchi amici della mia famiglia sfoggiavano ai ricevimenti e alle feste, probabilmente avrebbe abbindolato anche me.

Di certo, a giudicare dai mormorii concitati che sentivo provenire da diversi gruppi (quasi esclusivamente femminili), aveva fatto centro con  il resto della platea. Sbuffai. Sebbene fossi troppo lontana dal palco per vederlo bene, intuivo senza problemi il motivo di tutta quell’eccitazione. Chiaro. L’“Allarme Super Figo a ore 3!”, dopotutto, per una ragazza era comprensibile in qualunque lingua. Peccato però che avessi conosciuto abbastanza tipi del genere da affermare che cotante meraviglie avevano un enorme insopportabile difetto: erano degli stronzi di prima categoria. Meglio starne alla larga, mi avvertiva il buon senso dopo tutte le storie delle superiori finite male.

E proprio quando iniziavo a pensare che la mia linea di riflessioni, mi avrebbe condotto a un triste quanto indesiderato revival del liceo, fui riportata alla realtà dall’inizio del secondo intervento. Infatti, con mia sorpresa, era stato proprio lo strano ragazzo con cui mi ero scontrata poco prima, a prendere la parola.  Dalla mia postazione, a quel punto, avevo allungato il collo il più possibile con l’intenzione di cogliere ogni particolare del suo viso che mi rivelasse qualcosa riguardo alle parole che stava pronunciando, il suo carattere, i suoi evidenti segreti. Ma tutto quello che ero riuscita a carpire da quella distanza era che la situazione non lo metteva affatto a disagio. Appariva rilassato mentre leggeva il proprio discorso di fronte a tutte quelle persone, molte delle quali lo fissavano sussurrando sorprese, contrariate o intimidite dal suo aspetto. Ciò aumentò in ugual misura la mia stima e la mia curiosità nei suoi confronti.

Forse fu quella la ragione che mi spinse a cercarlo fra la marea di studenti seduti, una volta che lui e l’altro ragazzo ebbero ceduto la scena a un uomo di mezz’età, che supposi, essere il preside e che non degnai della minima attenzione. Ero troppo occupata a setacciare con lo sguardo ogni millimetro della sala.  Non sembrava una grande impresa scorgere una massa di capelli neri così disordinata in mezzo alla folla, ma posso garantire che quando l’ottanta per cento delle persone presenti ha lo stesso colore di capelli, è più facile a dirsi che a farsi.

Speravo che qualcuno si alzasse e se ne andasse, in modo da poter prendere il suo posto e passare più avanti, ma rimasero tutti incollati alle sedie fino alla fine e solo dopo un  altro lungo applauso, la massa di persone si avviò  verso l’esterno. Mi sgranchii braccia e gambe, dopodiché li imitai, cercando di convincermi che dopotutto non importava se avevo perso le tracce di quel tipo.

Mentre camminavo, vidi una limousine nera fermarsi nel parcheggio dell’università. Qualche riccastro in arrivo, pensai.  E invece, rimasi di stucco nel constatare che l’auto era lì per il famigerato ragazzo che ormai temevo sarebbe diventato il mio chiodo fisso. Stava parlando con qualcuno fuori dal veicolo, mentre saliva. Prima che lo sportello gli venisse chiuso lanciò un’occhiata al proprio interlocutore. Poi il suo autista salì, mise in moto e partì, sfrecciando tra i gruppetti di studenti sparpagliati nel parcheggio. Mmmh. Il mistero si infittiva.

Tentando di non farmi notare, buttai un’occhiata veloce nella direzione in cui avevo calcolato si trovasse la persona con cui stava parlando. E sorpresa, sorpresa, vi trovai il ragazzo che aveva tenuto il discorso insieme a lui. Quello per cui tutte stravedevano. Nella frazione di secondo in cui lo fissai, mi accorsi che era effettivamente molto carino. E qualcosa dentro di me, mi suggerì anche che era molto pericoloso.

Improvvisamente fui invasa da un’ansia crescente, che mi fece risalire il viale a passo di marcia, con i tacchi degli stivaletti che scandivano la mia folle ritirata, sotto gli occhi di tutti quegli studenti che solo un paio d’ore prima mi avevano messa tanto in imbarazzo. In quel momento non poteva fregarmene di meno di loro. Finalmente oltrepassai i cancelli aperti e inspirai in maniera profonda, cercando di calmarmi. Poi estrassi il cellulare e chiamai l’albergo perché mi mandasse un taxi. Nel giro di mezz’ora varcai la porta della mia stanza, sollevata come non ero mai stata in tutta la mia vita.   
 
 
Nello stesso tempo, quartier generale


 L POV


Quella era stata decisamente una mattinata interessante. Avevo finalmente fatto la conoscenza del figlio del sovrintendente Yagami, Light. Come mi ero aspettato, dopo averlo osservato attraverso le telecamere per giorni, la sua reazione alla rivelazione della mia identità, era stata composta e fredda. Anche troppo controllata. E questo non faceva altro che aumentare i miei sospetti, almeno a pelle. Perché dal punto di vista delle prove, le possibilità che lui fosse Kira erano meno del 5%. Troppo poche per puntare un dito contro di lui e troppe per non mettere in agitazione l’intero quartier generale.

A quel pensiero rivolsi la mia attenzione al pezzo di torta che stavo mangiando. Era davvero deliziosa. Raramente mi capitava di potermi concentrare su qualcosa che non fossero i casi a cui lavoravo, ma a quell’ora ero solo con Watari, quindi nessuno poteva aver nulla da ridire, se mi rilassavo qualche secondo. O se avevo dei modi bizzarri e a volte dicevo o facevo cose che ferivano le persone. Come era successo con il padre di Light. Anche se non era facile per me esternarlo ero molto addolorato per lo stress a cui stavo sottoponendo il sovrintendente Yagami. Ma io dovevo prendere Kira e non potevo indulgere in inutili sentimentalismi.

Mentre ero assorto in queste riflessioni, Watari entrò nella stanza con il tè appena fatto e me lo poggiò davanti. Poi si sedette accanto a me e mi sorrise. Io ricambiai. Consideravo Watari come un padre. Si era sempre preso cura di me, mi aveva accolto nel suo orfanotrofio quando ero ancora piccolo per poi seguirmi per il mondo aiutandomi negli incarichi che a mano a mano avevo accettato. Credo fosse l’unica persona sulla faccia del pianeta di cui mi fidassi davvero e una delle rarissime a cui avessi mai mostrato i miei sentimenti. Le persone a cui sorridevo, infatti, si potevano contare sulle dita di una mano.

E questo mi fece venire in mente che c’era qualcun altro da aggiungere a quell’esigua somma. La ragazza di quella mattina. Sentii una sensazione di calore nel portare la sua immagine alla mente. I capelli castani, gli occhi nocciola. Quegli impressionanti tacchi a spillo, che la facevano apparire molto più alta di quanto fosse in realtà. E quel sorriso così… dolce. Sorrisi di nuovo, involontariamente a quel ricordo.

“Ryuzaki” mi chiamò Watari, utilizzando il mio nome fasullo e riportandomi alla realtà “Posso sapere a cosa stai pensando?" "Sei arrossito e non fai che sorridere oggi”mi fece notare con gentilezza. Alzai lo sguardo, imbarazzato, e lo portai nel suo, notando che aveva una scintilla divertita negli occhi. Probabilmente aveva già capito tutto ma tentai comunque di mentire “A niente”. Il sorriso di Watari si allargò a quella bugia. “Lei com’è?" chiese, complice. Io abbassai lo sguardo. Le guance mi andavano a fuoco per l’imbarazzo e la vergogna. “ Molto carina” sussurrai, infine. “Ma non ho tempo per questo”aggiunsi con voce più decisa. “Tutti contano su di me perché prenda Kira. Quella è la mia priorità, adesso”. 

E così doveva essere. Dovevo farlo per il mondo. Per la squadra investigativa che stava rischiando moltissimo. E per il padre di Light, che stava soffrendo più di tutti, a causa delle mie supposizioni. “ Ryuzaki” sussurrò Watari, appoggiandomi una mano sulla spalla e facendomi alzare gli occhi. Mi stava fissando con una serietà che non vedevo da molto tempo. Ne rimasi notevolmente sorpreso.

“ Tu stai lavorando giorno e notte a questo caso.” continuò solennemente “ Io ne sono testimone. Ti sei privato di sonno, energie e tempo per risolverlo. Non c’è nessuno che si stia impegnando quanto te.” Abbassò un secondo lo sguardo cercando le parole giuste. “Io” disse poi sorridendomi “sono molto orgoglioso della tua scelta di mettere la tua intelligenza a servizio delle forze dell’ordine, ma a volte mi chiedo se tu non ti stia, ecco, perdendo qualcosa. C’è così tanto là fuori.” Sospirò.

Era così strano sentirlo parlare in quel modo che non seppi come replicare. Ma a quanto pareva non aveva ancora finito di stupirmi. “Non sentirti in colpa, se ti prendi una pausa ogni tanto” ora mi sembrava tornato quello di sempre. Il suo tono era di nuovo benevolo e incoraggiante. “Specialmente non se pensi a una ragazza”e mi fece l’occhiolino. Scossi la testa mentre mi versavo il tè nella tazza. Dopodiché riportai la mia attenzione sul caso, archiviando quella piccola divagazione.  
 
 
L’angolo dell’autrice
Questo capitolo è un po’ più lungo degli altri, ma dopo averlo riscritto e modificato due volte, ho deciso di lasciarlo così. Spero che vi sia piaciuto perché partorirlo è stata una vera impresa. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Passo falso ***


 Qualche  ora  dopo, in  un’altra  suite


Quella sera decisi di cenare nel ristorante dell’albergo. Ne avevo piene le scatole di sentirmi sola e incompresa. Era passata una settimana dal mio arrivo e siccome mi sarei trattenuta per un po’, volevo e dovevo fare della vita sociale. O mi sarei ben presto ritrovata a parlare con gli oggetti inanimati. E la prospettiva non mi attirava più di tanto.

Mentre mi infilavo il vestitino blu scuro a maniche corte, ripassai mentalmente il piano per la serata. Dopo cena avrei chiamato Kathrine, la mia migliore amica e sorella adottiva e le avrei raccontato tutto quello che mi era successo durante gli ultimi sette giorni, dei quali quello attualmente in corso era sicuramente stato il più ricco di avvenimenti. Guardai il mio sorriso nello specchio mentre pensavo a cosa avrebbe detto Kate dello strano ragazzo che avevo incontrato solo poche ore prima.

Avrebbe di sicuro attaccato con la solita solfa che non riuscivo a farmi piacere nemmeno un ragazzo che fosse del tutto a posto, poi avrebbe iniziato a elencarmi tutti quelli che lei definiva “spiantati” con cui ero stata, da Dave il cleptomane, a Tray il bisex (che si era infine deciso per l’altra sponda), a Nick il traditore che avevo trovato a letto con la mia ex migliore amica Tara.

Poi c’era stato l’Innominabile, a bordo della cui auto ero stata vittima di un terribile incidente che mi aveva spedito in coma per 4 giorni. Ma quello non l’avrebbe citato nessuna delle due, perché era un argomento troppo delicato, che aveva fatto versare troppe lacrime a troppe persone.

Ancora adesso, dopo che erano passati tre anni, i miei ricordi dei 2 mesi precedenti quella catastrofe, erano sfocati e vaghi. A nulla erano servite le numerose sedute di psicoterapia alle quali mi ero sottoposta, se non ad accettare che un periodo della mia vita sarebbe sempre stato per me un buco nero. Avevo ormai archiviato la faccenda, etichettandola come “cosa che non puoi controllare”. Quando, sporadicamente, facevo dei sogni  riguardanti l’incidente o  avevo dei flash su quel periodo,  non cadevo più nella trappola della speranza come avevo fatto all’inizio, ma semplicemente accettavo di buon grado la novità e andavo avanti. Ecco come ero riuscita a guarire. Ed ero fiera del mio successo.

 Tuttavia, l’espressione che aveva la mia immagine riflessa nello specchio, aveva perso la vivacità di qualche istante prima. Cavolo, che rammollita! Basta pensare alle cose brutte, mi ordinai. Mi concentrai allora sul post telefonata, che prevedeva un bagno nella vasca idromassaggio e la lettura di un libro che avevo acquistato in aeroporto e che sembrava decisamente interessante. Sollevata, mi diedi un’ultima occhiata nello specchio, presi la borsetta e uscii.



^^^^^^
La cena non fu nulla di speciale. Evitai il sushi perché non avevo un gran rapporto con il pesce crudo, scegliendo invece uno dei pochi piatti italiani che venivano serviti: spaghetti allo scoglio. Non male. Tuttavia, contrariamente alle mie aspettative, la percentuale di giovani registrati nell’hotel era tragicamente scarsa, quindi a meno che non volessi bere sakè con quel vecchiaccio che non mi aveva tolto di dosso gli occhi tutta la sera, il mio progetto di farmi degli amici lì dentro era tragicamente colato a picco.

Sbuffando, mi diressi verso la mia suite. Chiaramente presi le scale poiché, punto primo, odiavo gli ascensori e punto secondo, era un ottimo esercizio. Mi ero fatta sistemare al quinto piano quindi riuscii ad arrivare senza fare troppe pause, anche se dovetti fermarmi per riprendere fiato, all’inizio del pianerottolo.

E fu in quel momento che assistetti a una scena davvero particolare. Da una delle camere uscì un gruppetto di uomini in giacca e cravatta. Erano cinque in tutto e dopo aver salutato qualcuno all’interno, puntarono senza perdere tempo all’ascensore. Subito, scesi un paio di gradini per avere la parete come nascondiglio. Qualcosa mi diceva che era meglio non essere beccata a spiare.

Uno degli uomini, uno piuttosto giovane (a giudicare dalla voce, visto che non potevo allungarmi troppo per osservare il suo viso) iniziò a cianciare allegramente in giapponese, ma fu interrotto quasi subito da un altro che aveva i capelli cotonati stile anni settanta. Wow. Fino a quel momento avevo creduto che una pettinatura del genere fosse ancora di moda solo tra gli afroamericani al giorno d’oggi. Questo paese si stava rivelando davvero interessante.

Tuttavia, lasciando le congetture a dopo, stetti bene attenta a non perdermi nemmeno un particolare della scena che avevo davanti, sebbene ne capissi il giusto. I due, infatti, stavano ancora parlottando tra loro e forse non si sarebbero neppure accorti dell’arrivo dell’ascensore  se una voce profonda e decisa, appartenente di sicuro a un uomo più anziano, non li avesse ripresi. A quel punto i cinque entrarono nell’ascensore e le porte si chiusero.

Via libera, pensai, uscendo dal mio nascondiglio. Mentre mi dirigevo con tutta calma verso la porta della mia suite, riflettei su ciò che avevo appena osservato e sul fatto che probabilmente l’intera faccenda avrebbe avuto più senso se solo avessi compreso una parola di quella lingua. In effetti, sarebbe stato anche utile averne imparata qualche espressione, considerato il fatto che qualcuno stava parlando con me in quel momento e che, constatai girandomi per fronteggiarlo, mi stava puntando un’ arma contro.



POV L


Salutai gli uomini del quartier generale un po’ prima del solito quella sera. Non avevo molto da discutere con loro, visto e considerato che avevo tolto la sorveglianza dalle case del direttore e vicedirettore e che non erano pervenute notizie di criminali uccisi. Così avevo deciso che se Kira si prendeva una pausa, se ne meritavano una anche quegli agenti stanchi e preoccupati.

Li avevo accompagnati alla porta, tenendomi alle spalle di Watari per non farmi notare dall’esterno, quando mi ero accorto di alcuni movimenti sospetti vicino alle scale. Dopo che gli uomini si erano avvicinati all’ascensore, avevo fatto segno a Watari di non chiudere completamente il battente e di lasciarmi guardare. Purtroppo, nonostante le scale fossero vicine alla stanza, erano posizionate in modo tale da non permettermi di appurare con sicurezza chi avesse destato la mia attenzione e quali fossero sue intenzioni. Ma qualcuno c’era, questo era indubbio.

“Watari” sussurrai, voltandomi parzialmente nella sua direzione “portami la pistola”. Lui annuì, e senza dire una parola sparì nella stanza accanto. Nel frattempo, udivo le voci di Aizawa e Matsuda impegnate in una discussione sull’imprudenza di quest’ultimo, provenire da in fondo al corridoio.  Matsuda era un soggetto molto particolare per essere un poliziotto. Ma non era questo il momento di pensarci. Qualche secondo dopo, Watari mi mise in mano l’arma e tornai a concentrarmi sullo sconosciuto sulle scale.

Una volta che gli uomini furono scomparsi dietro le porte dell’ascensore, lo sentii emettere un grosso sospiro. Poi vidi la sua ombra spostarsi, fino a permettermi di osservare una scarpa a tacco alto fare capolino da dietro il muro. Dunque si tratta di una donna, constatai con una certa sorpresa. Non riuscivo a spostare gli occhi dalla figura che si era stagliata nel mio campo visivo. La ragazza indossava un corto abito blu e si dirigeva senza fretta verso una suite sulla mia sinistra. Non potevo di certo lasciarla andare così. Era ora di mettere in atto il mio piano.

Aprii quanto bastava la porta e misi fuori il braccio che reggeva la pistola, mentre dicevo con voce calma e fredda: “ Girati e butta a terra qualunque arma tu abbia addosso. Sei sotto tiro”. Lei sussultò leggermente, poi si voltò nella mia direzione, sgranando gli occhi alla vista di ciò che le stavo puntando contro. Questa reazione mi stupì un poco, ma non abbassai la guardia.

La ragazza alzò le mani in segno di resa, rispondendomi (in inglese) tra l’imbarazzato e l’impaurito “Mi dispiace ma non parlo giapponese, quindi non ho idea di cosa tu mi abbia detto. In effetti, non ho nemmeno idea del perché tu ce l’abbia con me, ma ti prego di mettere via la pistola, così possiamo risolverla pacificamente. Non penso che tu voglia dei guai per aver sparato a una sconosciuta sola e disarmata, giusto?”.
La situazione aveva preso una piega inaspettata per svariate ragioni. Non ultima, il fatto che io avessi già sentito quella voce e quell’accento italiano. Per come ero posizionato lei non poteva vedere il mio volto e io non avevo una gran visuale del suo. Se lei fosse stata Kira, ipotesi che non credevo verosimile ma che sarebbe stato incauto scartare a priori, avrebbe avuto comunque bisogno del mio nome per uccidermi. E in ogni caso mi aveva già visto in faccia, quindi se le fosse bastato quello, sarei già stato morto a quell’ora.

Tuttavia, se al contrario lei fosse stata mandata da Kira, che sapevo essere in grado di manipolare le azioni delle persone prima del decesso, avrebbe potuto avere qualcosa con sé, magari senza nemmeno saperlo, che aveva buone possibilità di risultare letale. A quel punto si rivelava necessario perquisirla. E anche interrogarla, per essere prudenti. Ma non potevo farlo nel corridoio, perché non avevo la sicurezza assoluta che Kira non ci stesse osservando e poi era meglio non attirare l’attenzione.

In un qualunque momento, infatti, qualcuno avrebbe potuto uscire dalla propria stanza o dall’ascensore o salire dalle scale e vedere una ragazza terrorizzata a cui veniva puntata una pistola contro. E in quel caso sarei stato nei guai sul serio. Dovevamo spostarci da lì. Trovare un posto tranquillo, dove fare due chiacchiere. La mia suite, che faceva da quartier generale, non era il posto più indicato, anche se era vero che avevo previsto di cambiare albergo molto presto. Forse non avevo altra scelta, a conti fatti.

“Watari” bisbigliai, dopo qualche secondo, “ ho bisogno di farla entrare qui. Dobbiamo verificare che non l’abbia mandata Kira. Vorrei perquisirla prima, ma non mi fido a uscire o a mandare te, perché non possiamo sapere se c’è qualcuno, magari armato, nascosto. Ora le dico di venire dentro. Non appena chiudo la porta, tu immobilizzala e controlla che non abbia nulla di sospetto addosso”.  Watari annuì di nuovo. Bene.

“D’accordo” affermai rivolgendomi nuovamente a lei, in inglese. “Metterò via la pistola, ma voglio che tu venga qui dentro a parlare. La appoggerò per terra non appena avrai varcato la soglia e se tenti di scappare, sparo”. Non erano delle grandi garanzie , ma avevo le mani legate. E cercai di fare in modo che lo stesso valesse per lei.

Espirò lentamente, chiaramente facendosi coraggio, e avanzò verso di me. Quando arrivò di fronte alla porta, io aprii velocemente il battente mentre con un braccio la tiravo dentro. In quel momento i nostri occhi si incontrarono. Era proprio lei. Ed evidentemente, a giudicare dalla sua espressione, anche io ero stato riconosciuto. La passai velocemente a Watari, sbattendo nel frattempo la porta alle nostre spalle.

Udii che cercava di divincolarsi mentre veniva perquisita, così mi avvicinai e la rassicurai: “Tranquilla, non vogliamo farti alcun male. E’ necessario controllare che tu non abbia con te armi o cimici, per sicurezza. “. Nel frattempo, Watari aveva finito. “Tutto a posto” dichiarò, sicuro. Sospirai interiormente, sollevato. “Okay” mi rivolsi nuovamente alla ragazza, che ora mi fissava con odio e sospetto.

Ero più che certo che stesse per colpirmi, visto che Watari l’aveva lasciata libera. Infatti, tentò di farmi cadere a terra con una mossa di judo che mi lasciò sgomento, ma per sua sfortuna non era l’unica a conoscere quella disciplina. Con più sforzo di quanto avessi previsto, la bloccai nuovamente contro il muro, sussurrandole all’orecchio “Non costringermi a legarti. Ho bisogno di farti qualche domanda. Ora andremo nell’altra stanza. Sei disposta a rispondermi?” . Era una domanda retorica.  

“Ho forse scelta?” fu la risposta nel medesimo tono. Mi dispiaceva doverla trattare in quel modo, ma per come si erano sviluppate le circostanze, ero obbligato. Lanciai un’occhiata d’intesa a Watari, che aprì la porta della camera da letto, invitandoci ad entrare.

Lentamente lasciai la presa sulla ragazza, che senza opporre ulteriore resistenza verbale o fisica, fece quello che le era stato chiesto. Io la seguii a ruota, intercettando uno strano sguardo di Watari che non riuscii ad interpretare, mentre avvicinava la porta, dietro di me. Poi diedi inizio all’interrogatorio.







L'angolo dell'autrice

Okay, innanzitutto spero di aver reso abbastanza chiaro dall'inizio che nel primo pezzo il punto di vista è quello della fantomatica protagonista... purtoppo per ora non posso usare il suo nome perché lo rivelerà lei stessa un po' più avanti nel corso della storia, quindi per ora devo fare così:)
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche perché adesso si entra davvero nel clou della vicenda.... Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate.
Un grazie grande a tutti quelli che leggono la mia storia. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** BANG! ***


br />
Mi sedetti sul letto, mentre cercavo di capacitarmi della situazione di merda in cui mi ero ficcata. Un rapido esame di coscienza mi comunicò che la colpa era unicamente mia. Lo sanno tutti che gli spioni finiscono all’inferno. O erano i bugiardi?

Beh, comunque, il risultato era che mi trovavo nei guai fino al collo e non avevo la minima idea di come uscirne. Infatti, anche se l’istinto mi portava a fidarmi delle parole di quello strano ragazzo che, come aveva fatto solo poche ore prima, mi stava fissando attentamente, ciò non mi dava alcuna valida rassicurazione. Ero abbastanza convinta che la maggior parte dei malintenzionati avesse trovato il modo di tranquillizzare le proprie vittime, prima di tirare fuori il machete. Oppure la sega elettrica, se erano fan di Jason.

Ad ogni modo, per il momento era meglio accontentarlo e vedere cosa succedeva. Forse con un po’ di tempo in più sarei riuscita ad architettare qualcosa …. “Bene”, la voce bassa e profonda del mio interlocutore, interruppe i miei ragionamenti “Per cominciare, posso sapere il tuo nome?”.

La prima risposta che mi venne in mente di dargli non fu molto carina, visto che ero ancora stupidamente incavolata e offesa per la maniera in cui ero stata accolta lì dentro. Non ero mica una ricercata! Poi però mi resi conto che questo loro non potevano saperlo e poiché sentivo di essermi invischiata in qualcosa di grosso … era meglio che tenessi a bada i nervi.

“Solo se prima mi dici il tuo”, ribattei quindi il meno scontrosa possibile. Doveva capire che con me aveva trovato pane per i suoi denti. Se credeva di avere a che fare con un tipo docile e arrendevole, aveva decisamente sbagliato i suoi calcoli. Inoltre, ero davvero curiosa di imparare come si chiamava, così finalmente avrei potuto smettere di etichettarlo “quello strano ragazzo”.  

Tornando a concentrarmi sul presente, notai che lui era rimasto leggermente spiazzato dalla mia richiesta (cosa che peraltro non fu facile da interpretare, perché le espressioni facciali sembravano proprio non essere il suo forte), ma infine mi accontentò. “Il mio nome è Ryuzaki” disse semplicemente.

In quel momento entrò l’altro tizio, il vecchio, quello che mi aveva lasciata di sasso per la forza che aveva avuto nel tenermi ferma contro il muro, con un vassoio pieno di dolci e leccornie varie. Contrariamente a quello che adesso sapevo essere Ryuzaki, il suo volto era leggibilissimo, e dopo aver udito quella frase, ciò che vi potei osservare fu enorme stupore. I due si scambiarono un’occhiata che non compresi subito.

Poi mi sovvenne che forse era dovuta al fatto che il ragazzo mi aveva rifilato un nome falso, perché mi appariva evidente che lo fosse, anche considerato che non aveva aggiunto alcun cognome. Non che mi importasse più di tanto, comunque. Io viaggiavo con una falsa identità da quasi tre anni.

Ad ogni modo, il vecchio, dopo aver alzato gli occhi al cielo, si congedò, lasciandoci nuovamente soli. Tra me, che ero seduta sul letto, e lui che era … beh, posizionato in modo che si poteva definire solo bizzarro sulla poltrona di fronte a me, ora c’era il carrello. Poteva essere un buon diversivo per darsela a gambe. Ma dubitavo che sarei riuscita a fuggire, con i super riflessi del vecchietto lì fuori. Sospirai.

Ryuzaki (o qualunque fosse il suo vero nome) era tornato alla sua attività preferita: fissarmi. Ero sicura che prima o poi mi avrebbe perforato l’anima. Quando il silenzio iniziò a farsi pesante, decisi di terminare quelle quanto mai fuori luogo presentazioni una volta per tutte.

“Io sono Selena Clark” ma non gli allungai la mia mano da stringere. E nemmeno lui lo fece. D’accordo. E adesso basta con i convenevoli, pensai. Osservai le reazioni di Ryuzaki per cercare di capire cosa gli passasse per la testa. Sembrava talmente assorto che non ero nemmeno certa che mi avesse sentita. O che si ricordasse della mia presenza. Poi invece lo udii sussurrare tra sé e sé un “Selena”, come se fosse una strana parola di cui non conosceva il significato.

Nell’istante successivo fece qualcosa di inaspettato. Prese un piatto contenente una fetta di torta alle fragole e iniziò a sbafarsela contento, senza abbandonare quell’espressione riflessiva che, ormai me n’ero resa conto, doveva essere una sua caratteristica. Ero più che sicura di avere gli occhi fuori dalle orbite, ma lui non sembrò farci caso.  

Che razza di individuo avevo di fronte? Ero entrata nel circo senza accorgermene? Tuttavia, anche se ero ancora basita, dovevo ammettere che quel suo strano modo di fare gli conferiva una certa innocenza da bambino che mi indusse infine  ad abbassare la guardia. Improvvisamente mi fidai totalmente e incondizionatamente di lui. E anche se il mio buon senso mi urlava di tutto, l’istinto mi assicurava con certezza assoluta che non mi sarebbe successo nulla di male.

Così mi ritrovai a osservarlo leggermente divertita mentre finiva di divorare il dolce con lo sguardo perso nel vuoto. La verità che rifiutavo di accettare era che mi faceva un’assurda tenerezza. Avevo voglia di abbracciarlo, quasi. Okay, ragazza mia, adesso datti una calmata, mi ingiunsi. Aveva ragione Kate, perdevo sempre la testa per gli spiantati. E la cosa non faceva che peggiorare.

Iniziai a scuotere la testa, per cercare di riprendere contatto con la realtà, quando notai che Ryuzaki mi stava porgendo un piattino. Con una fetta di torta. Lo guardai sorpresa e lui per tutta risposta si limitò a dirmi con gli occhioni spalancati “Ho visto che la guardavi e ho pensato ne volessi un pezzo anche tu”. Annuii, prendendo il piattino mentre lui si risistemava con le gambe piegate contro il petto sulla poltrona.

Quando finalmente riacquistai l’uso della parola, biascicando qualcosa di simile a un ringraziamento, lui iniziò con il vero interrogatorio. “Selena” mi chiamò, mentre mangiavo soddisfatta. Alzai gli occhi da quella delizia, concentrandomi sulla sua richiesta: “Vorresti spiegarmi cosa ci facevi sulle scale, appostata in quel modo?”.  Domanda lecita. E che andava dritta al punto. Gli risposi con la massima sincerità, sperando che questo avrebbe potuto scagionarmi definitivamente.

“Io ...” sospirai,  “In effetti stavo solo curiosando. Non sapevo che stesse succedendo qualcosa di … importante”. Abbassai la testa, imbarazzata. “Comunque io non conosco il giapponese, speravo di imparare qualcosa nel tempo che trascorrerò qui. Per questo motivo, non ho la più pallida idea di che cosa stessero dicendo quegli uomini. Qualunque informazione voleste mantenere riservata è rimasta tale. Beh, a meno che non ci siano telecamere nel corridoio, ovviamente”.

In quel caso, qualcuno sarebbe già venuto a bussare alla porta per liberarmi, dunque era improbabile. “Ce n’erano ma ho provveduto a fare in modo che potessimo controllarle da qui” mi assicurò infatti Ryuzaki. Poi si fece più serio, passando all’argomento successivo. “Che cosa sai tu di Kira? Ti ha mandata lui?”

Questo non me l’ero aspettato. Kira … avevo già sentito quel nome da qualche parte, ma non ricordavo dove … “Kira, hai detto” ripetei, cercando di farmi tornare in mente tutto il possibile. “Mi devi scusare, ma non so molto su di lui. Il nome non mi è nuovo, però. E’ qualcuno famoso qui in Giappone?” chiesi speranzosa. Ma Ryuzaki era di nuovo perso nelle proprie riflessioni. Sembrava perplesso.

“Davvero non sai chi è Kira?” mi domandò infine. “No” scossi la testa, per enfatizzare la mia ignoranza.  Lui mi osservò con molta attenzione, poi mi svelò il mistero “Kira è un pericoloso serial killer che uccide criminali  in tutto il mondo, anche se il Giappone è sicuramente la nazione in cui è più attivo. Il che spiega la mia presenza qui”.

Wow. Quindi ero rimasta implicata in un interessante caso di polizia vs omicida psicopatico. O così sembrava. “Perciò, ” cercai di schiarirmi le idee “mi stai dicendo che tu e quegli uomini state dando la caccia a questo … chiamiamolo giustiziere?”. “Sì” confermò lui, addentando una banana.

Mi presi qualche secondo per riflettere su quelle informazioni. In quel periodo tra lo studio e i preparativi per il viaggio, non avevo guardato molta TV e da quando ero arrivata, ero stata sempre in giro. A momenti non avevo nemmeno ancora avuto una vera conversazione con la mia famiglia. Dunque era comprensibile che fossi rimasta un po’ indietro, in quanto a notizie.

Però, al tempo stesso, più rimanevo in quella stanza, più riuscivo a percepire la gravità della faccenda. Ryuzaki mi aveva puntato una pistola addosso, dove potenzialmente le probabilità di essere beccato e finire nei guai erano altissime, solo perché io mi ero comportata in modo un po’ insolito. Mi aveva fatta perquisire come una ladra, costringendomi a rimanere lì con lui. Sentivo che doveva esserci qualcosa di serio sotto per essersi comportato quasi alla pari di un criminale sulla base di … niente.

E poi iniziai a chiedermi cosa c’entrava lui, che doveva avere su per giù la mia età, in questa storia. Non doveva essere effettivamente la polizia ad occuparsene? Forse era nella lista nera di questo Kira. Magari scappava da lui. Ma, se quello che aveva appena affermato era vero, allora anche lui sarebbe dovuto essere un criminale. Mi stava scoppiando la testa.

“Senti” dissi con decisione, rivolgendomi nuovamente a lui “io ti giuro che non ne so nulla. Di questo Kira intendo. Sarei davvero curiosa di conoscere tutti i particolari, ma più sto qui, più le mie possibilità di rimanerne fuori, diminuiscono. Quindi, sono venuta qui, ho risposto con sincerità alle tue domande, ora me ne torno nella mia stanza. Grazie per la torta. Ci vediamo domani all’università”.  

Non avevo fatto neanche due passi che mi sentii tirare indietro. Ryuzaki aveva afferrato la mia mano con presa gentile e ferrea al tempo stesso. Non avrei mai finito di stupirmi di quanto quel ragazzo mingherlino fosse forte.

“Non posso lasciartelo fare” mormorò.


 POV L

“E questo cosa dovrebbe significare, scusa?”ribatté lei, con una certa dose di acidità.

Il calore che avevo visto nel suo sguardo fino a qualche secondo prima, era scomparso nel giro di un istante, rimpiazzato da una miscela di paura, sospetto e indignazione. Non potevo darle torto. Ma al tempo stesso, per sua sfortuna, si sbagliava su un particolare fondamentale.

Selena credeva di non essere ancora nella rosa di persone coinvolte nel caso Kira, quando invece c’era precisamente finita in mezzo. E finché non avessi avuto la certezza assoluta che quello che mi aveva appena detto corrispondeva al vero, ci sarebbe rimasta. Cercai di spiegarglielo.

“Non posso lasciarti andare perché non sono sicuro che tu mi abbia raccontato la verità. Purtroppo per te, il caso che stiamo affrontando è pieno di incertezze e non ci è concesso lasciare nulla al caso se vogliamo risolverlo. Quindi ti consiglio di metterti comoda, perché finché non mi sarò convinto al di là di ogni ragionevole dubbio che non hai nulla a che fare con Kira, rimarrai qui, dove posso tenerti d’occhio”.  

La reazione che le mie parole provocarono fu abbastanza prevedibile. Selena ritrasse la mano dalla mia, lasciandomi un’inspiegabile sensazione di vuoto, e si lasciò cadere nuovamente sul letto. Il suo volto era una maschera di shock, rabbia e incredulità, una versione più intensa dell’espressione che aveva assunto solo qualche momento prima.

“Tu non ne hai alcun diritto!” mi urlò in faccia, appena si fu ripresa. “Io non ho fatto nulla di sbagliato. Non ho infranto nessuna legge. E poi tu non sei un poliziotto ….” Improvvisamente si bloccò “… o forse sì?”mi chiese, insicura.

L’apparente ingenuità che dimostrava mi fece quasi sorridere. Di nuovo. Se l’aveva mandata Kira, era stata di certo una mossa molto furba. Chi avrebbe mai potuto sospettarne? O magari lei era un’ottima attrice. Questa era una delle cose che intendevo scoprire. “No, non lo sono.”risposi, dopo qualche secondo. Non sapevo quanto rivelarle sul mio conto.

D’altronde se fosse rimasta con me qualche giorno, sarebbe comunque venuta a conoscenza di una serie di particolari, quindi perché nasconderglieli?

“In realtà” continuai, prima che potesse riprendere la parola “io sono un detective. Ed è vero che non posso trattenerti qui contro la tua volontà, ma se ti lascio andare, sarò comunque costretto a metterti sotto stretta sorveglianza.  Il che significa che verrai pedinata e che dovrò piazzare delle telecamere nel tuo alloggio, senza escludere i posti dove non vorresti essere ripresa”e le lanciai un’occhiata eloquente.

“A te la scelta” conclusi soddisfatto, aggiungendo un paio di cucchiaini di zucchero al caffè. Mentre lo sorseggiavo, rimasi concentrato sulle sue reazioni. Sembrava stesse riflettendo intensamente sulle mie parole, quasi a trovare una scappatoia. A intervalli regolari, la vedevo fulminarmi di sottecchi, cosa da cui dedussi che si stava rendendo conto che non aveva altra scelta.

Infine, dopo aver fatto un lungo sospiro, disse: “D’accordo. Hai vinto tu. Resterò qui. Però ti avverto, mio padre è un medico legale che lavora da anni con l’FBI. Se mi succede qualcosa, non importa quanti nomi falsi ti inventerai, o dove ti nasconderai, perché loro ti daranno la caccia finché non ti avranno trovato. E a quel punto tremo, al pensiero di quello che capiterà a TE”. Pronunciò quella minaccia in tono freddo e sicuro, gli occhi che mi sfidavano a verificare l’effetto di un mio passo falso. Le credetti senza esitazioni, scoprendomi anche a considerare quanto quella posa così fiera e pericolosa le donasse.

 “Lo terrò a mente” ribattei, dopo qualche secondo, mentre cercavo di riscuotermi. Forse non era poi una grande idea quella di tenerla così vicina. I miei neuroni sembravano non funzionare a dovere con Selena nei paraggi. Erano infatti talmente sconvolti che nemmeno mi accorsi che aveva ripreso il discorso

“… e naturalmente voglio i miei vestiti e le mie cose con me. Se credi che domani uscirò con questo abito, dopo averci dormito una notte intera, allora hai DAVVERO qualche rotella fuori posto! Oddio. Sempre che tu non abbia intenzione di tenermi segregata qui. Ti avverto non è affatto una bella idea. Soffro di claustrofobia, specialmente nei luoghi in cui mi sento a disagio e questa stanza non è poi così grande …”.

“Non preoccuparti” fermai con calma quello sproloquio, “ come ti ho detto voglio tenerti d’occhio, quindi nei prossimi giorni, verrai con me all’università. Per quanto riguarda le tue valigie, invece, ora manderò Watari insieme a te nella tua suite a prelevarle, così che possa verificarne il contenuto. Spero non ti dispiaccia” aggiunsi alla fine, sotto il suo sguardo irritato.

“Ormai non mi sembra abbia più molta importanza ciò che provo io” sbuffò scontenta. Me ne risentii un poco. “Se dici così, mi fai sembrare una persona insensibile” borbottai.

“ Oh ma guarda che strano!” replicò sarcastica. “Ti ricordo che neanche un’ora fa mi stavi puntando contro una pistola, o te ne sei dimenticato? Ti pare forse che le persone gentili e comprensive  si comportino in questo modo con il prossimo?”.

“Ti riferisci a questa?” domandai, sollevando l’arma in questione dal comodino. La vidi rabbrividire sensibilmente al mio gesto. “M- mettila giù” balbettò spaventata. In realtà non c’era nulla da temere. “Guarda che è innocua” la rassicurai, con scarsi risultati.

Decisi allora di dimostrarglielo. Prima che potesse anche solo aprire la bocca per urlare, premetti il grilletto. Un secondo dopo, la stanza fu travolta da una rumorosa esplosione di coriandoli, che andarono in buona parte a finire tra i suoi capelli. Dalla canna della pistola, inoltre, faceva bella mostra di sé un pezzo di stoffa verde acceso, con su scritto uno scarlatto BANG!.

Seguì un attimo di silenzio, durante il quale Selena sembrò rendersi conto a poco a poco della situazione. Infine si alzò in piedi e con il tono più furente che le avessi  sentito usare durante la serata, scandì solo quattro parole : “TU. SEI. UN. IDIOTA!”.

Dopodiché uscì dalla stanza a passo rigido, sbattendo la porta dietro di sé. “Wow” sussurrai , profondamente colpito da quella reazione. Di una cosa ero sicuro, rimasto solo, nel bel mezzo del marasma in cui si era trasformata la camera.

Ed era che quella ragazza stava per sconvolgermi l’esistenza.



L'angolo dell'autrice

Ed ecco pronto anche questo capitolo.
Questa volta ci ho messo un po' di più ad aggiornare e chiedo umilmente perdono, ma questa settimana sono stata a casa pochissimo.
Spero che comunque il capitolo sia stato di vostro gradimento... Fatemi sapere che ne pensate.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Libertà temporanea ***


  POV SELENA

Quella notte non chiusi occhio, nonostante mi trovassi nel letto più comodo, con indosso il mio pigiama preferito. Lo avevo messo per fami coraggio, ma non contò molto.

Continuai, infatti, a rigirarmi tra le morbide coperte offerte dall’albergo (totalmente uguali a quelle della mia suite), con tutti i sensi all’erta, pronta a scattare al minimo rumore. Sfortunatamente, non mi era stato concesso di chiudermi dentro a chiave, quindi se qualcuno fosse entrato con l’intento di approfittare del mio torpore per farmi chissà cosa, solamente io stessa avrei potuto difendermi. Ecco perché resistetti all’impulso di rilassarmi tra quelle invitanti lenzuola, prestando invece tutta la mia attenzione all’ambiente circostante.

Tuttavia, in barba ai miei sforzi, immagino di essermi comunque appisolata verso mattina perché quando Watari (così si era presentato il vecchietto), venne a bussare chiedendomi cosa desiderassi mangiare per colazione, feci praticamente un salto sul letto dalla sorpresa.

Ciò che al contrario non mi colse per nulla impreparata, fu trovare Ryuzaki appollaiato sul divano nella sua solita strana posizione, con un’enorme tazza di caffè in una mano e una pasta alla crema nell’altra.

“Buongiorno” mi salutò educatamente. “Buongiorno” risposi di malavoglia  lanciandogli un’occhiataccia, di fronte alla quale lui non si scompose minimamente.

Quello fu il nostro unico scambio verbale, finché non arrivammo all’università. A quel punto salutammo entrambi Watari (che stavo decisamente prendendo in simpatia), dopodiché, con un gesto che  mi lasciò di stucco, Ryuzaki scese dall’auto e venne ad aprirmi lo sportello. “Ehm … grazie” dissi con poca convinzione, abbandonando momentaneamente il mio atteggiamento scontroso. Ero fin troppo stupita per continuare a impormelo.

Una volta che fui scesa anche io e che Watari si fu allontanato, estrassi dalla borsa il mio orario delle lezioni, constatando che avrei cominciato con psicologia dello sviluppo in aula 5, non prima delle 10e30. Mancava più di un’ora. Sbuffai.

Magari mi sarei potuta unire al gruppo di studenti “in pausa” sotto gli alberi di ciliegio spogli e leggere un po’. Oppure avrei potuto farmi un giretto della gigantesca struttura per tentare di orientarmi meglio. O anche stendermi su una panchina e recuperare un po’ di sonno.  Tutto questo, sempre che la persona accanto a me avesse acconsentito a lasciarmi libera, cosa che ritenevo improbabile perché cozzava con il suo piano di tenermi d’occhio fino a nuovo ordine.

Tale consapevolezza generò in me un moto di rabbia e odio nei confronti di Ryuzaki e della stupida situazione in cui mi ero messa, tanto che non sapevo più se prendermela maggiormente con lui o con me stessa. Mentre ribollivo, il mio sguardo, che vagava senza meta sull’enorme prato gremito di persone, si posò su una capigliatura castana, stranamente familiare.

Ancora prima che il mio cervello potesse identificarla, fui attraversata dalla stessa scarica di adrenalina del giorno precedente. Soverchiata da quell’ansia inspiegabile, strinsi d’impulso il braccio di Ryuzaki, che per tutto quel tempo era rimasto immobile vicino a me, probabilmente perso nelle proprie elucubrazioni.

Anche se i miei occhi rimasero incollati sulla figura alta e avvenente che stava attraversando il viale alberato, apparentemente inconsapevole delle numerose attenzioni che gli venivano rivolte, non mi sfuggì il sussulto del ragazzo al mio fianco, alla mia presa sempre più serrata. Stavo lottando con tutte le mie forze per rimanere ferma sul posto, invece di scappare a gambe levate come l’istinto mi suggeriva.

Un misto di pericolo e malvagità si agitava intorno a quell’individuo e io riuscivo a percepirlo perfino da quella distanza. Chissà cosa avrei sentito se fossi stata più vicina. Il solo pensiero mi fece rabbrividire. E potevo scommettere che la cosa non era sfuggita a Ryuzaki, il cui sguardo pesava su di me con un’intensità quasi insopportabile. Mi auguravo solo che non si fosse accorto della fonte del mio turbamento o mi avrebbe subissato di domande.

Infine, quando iniziai a provare il bisogno impellente di espirare, il ragazzo misterioso varcò la porta d’entrata, liberandomi dalla morsa della sua aura terrificante. Finalmente buttai fuori l’aria trattenuta, per poi riempirmi di una boccata di ossigeno che portò con sé un rassicurante senso di sollievo. Chiusi gli occhi tentando di scacciare l’angoscia residua, mentre sentivo i miei muscoli rilassarsi gradualmente. Attorno a me, tutto sembrava aver ripreso il suo posto.

Udivo le risatine allegre e tranquille di un gruppo di ragazze poco distante, i passi affrettati degli studenti in ritardo e i campanelli delle biciclette che tentavano di farsi largo tra la folla.

Sentivo il vento gelido sferzarmi la pelle del viso e il sole tiepido scaldarmi il capo. Nell’aria c’era odore di neve, che potevo scommettere sarebbe presto caduta. Ero di fronte a una tipica giornata universitaria di Gennaio, insomma. Nulla che potesse creare turbamento.
Va tutto bene, mi dissi, iniziando effettivamente a tranquillizzarmi.

“Lo sai, se mi stringi così, penseranno tutti che stiamo insieme” mi informò all’improvviso  la voce di Ryuzaki in tono lievemente ironico, strappandomi dalle mie auto rassicurazioni. Sussultai a mia volta riaprendo gli occhi e incontrando il suo sguardo incuriosito, versione meno intensa di quelli indiscreti di un certo numero di studenti, che facevano finta di niente intorno a noi. Maledetti impiccioni, pensai, mentre avvertivo il sangue colorarmi  le guance.

Cercando di apparire disinvolta nonostante l’imbarazzo, replicai “Beh, se ti da tanto fastidio, dì loro che sono tua cugina!”, poi ritirai la mano e mi incamminai verso l’edificio a grandi passi. Ero passata nell’arco di due secondi dal terrore paralizzante, all’irritazione pungente. Un bel record anche per una persona emotiva come me.

Grrr, pensai scompostamente. Così impari a non andare a fare il viaggio di studio all’università di Buenos Aires , come ti avevano consigliato tutti!  Avrei voluto prendermi a bastonate in testa. Mentre valutavo l’ipotesi di raccogliere un ramo caduto che avevo notato poco più in là e farlo davvero, qualcuno mi afferrò il polso, facendomi girare nella sua direzione. Cavolo mi ero dimenticata della sua esistenza per un attimo!

“Hai intenzione starmi con  il fiato sul collo tutto il giorno?” sbottai, sfogando la mia rabbia di fronte all’espressione nuovamente impassibile di Ryuzaki. Lui esaminò per qualche secondo il mio cipiglio infuriato, dopodiché rispose tranquillamente: “Non ho intenzione di fare niente di simile”.

Rimasi senza parole. Ciò che avevo pensato di dire per portare avanti il discorso ormai non era più pertinente. Ed era un peccato perché lo sproloquio sui miei diritti e la mia libertà che avevo pronto sarebbe stato avvincente, di sicuro molto più del “Che cosa?” strozzato che mi uscì sul momento. 

“Hai capito bene. Sei libera. Puoi goderti il tuo primo giorno di università fino alle 4, quando Watari tornerà a prenderci. Tranquilla, ho controllato e anche le tue lezioni saranno finite per quell’ora. “ aggiunse, intuendo che stavo per ribattere. Di certo aveva pensato a tutto. “Okay” commentai, cercando di suonare un po’ meno stizzita. Dopotutto mi stava facendo un favore dal suo punto di vista.

“C’è altro?” domandai, impaziente di sentirmi di nuovo padrona della mia vita. “Solo una cosa” replicò, nel suo solito tono calmo e razionale “Per tutti qui sono Hideki Ryuga, quindi finché non saremo in albergo se mi devi comunicare qualcosa usa sempre quel nome”.

Dal suo sguardo serio capii che non scherzava. Io comunque non avevo nulla da ridire. “ Non preoccuparti. Finché posso ti starò il più lontano possibile” lo rassicurai, affilando lo sguardo. Lui puntò il suo, ancora  privo di evidenti emozioni, nel mio e restammo a fissarci per qualche secondo. Infine, Ryuzaki semplicemente si voltò e se ne andò.

Finalmente sola, sospirai di gioia e mi incamminai verso l’edificio, piena di aspettative per quella giornata di temporanea libertà.



L’angolo dell’autrice
Rieccomi con il quinto capitolo! Anche se non ci sono svolte decisive, scriverlo mi è piaciuto molto, perché descrivere lo stato d’animo, le emozioni che si agitano dentro i personaggi è la mia parte preferitaJ… Visto che però probabilmente mi sono lasciata prendere, se trovate dei punti  poco scorrevoli, vi offro le mie umili scuse.
Mi piacerebbe anche ricevere qualche recensione, giusto per capire se incontro effettivamente il vostro gusto o se ci sono degli aggiustamenti da fare. Quindi aspetto qualche vostro commento e ringrazio tutte le persone che mi seguono.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


 POV SELENA
 
La mia prima lezione fu effettivamente interessante. Grazie a Dio, proiettarono la spiegazione del prof tradotta in inglese su un apposito schermo, dunque non ebbi alcun problema a seguire.

Verso le 12e30, misi piede in mensa con una fame che non mi permise di fare la schizzinosa. Ancora adesso non ricordo esattamente cosa mangiai, ma sono sicura di essermi abbuffata alla grande, perché proprio grazie al mio appetito impazzito, riuscii finalmente a stringere qualche amicizia.

Anche se sembra difficile da credere, quando ti fai fuori un pasto comprendente due portate e il dessert in meno di 5 minuti, la gente rimane colpita.  Nel caso poi tu riesca a farlo mantenendo una taglia 40, allora diventi un mito. O così  disse una certa Tomoko, che dopo aver osservato la mia performance, mi invitò a sedermi al proprio tavolo.

Feci così la conoscenza di Margaret, una posata biondina inglese, Thomas, un ben riuscito insieme di altezza e muscoli proveniente da Monaco  e Rossella, che fece sentire i miei geni italiani molto meno soli. “Mia madre è una patita di Via col vento” spiegò, arrotolandosi un riccio bruno intorno a un dito, quando il resto del tavolo alzò un poco le sopracciglia al suono di quel nome così insolito nei loro paesi.

Dal canto mio le rivolsi un sorriso comprensivo: avevano reagito nello stesso modo al mio turno di presentazioni. Solo che io non avevo nessuna storia per giustificare la scelta dei miei genitori. E ad essere sincera fino in fondo, se al contrario di quello  comune che mi era stato affibbiato, “Selena” fosse stato il mio vero nome, non avrei potuto che esserne felice.

Il trillo del cellulare mi distolse all’improvviso dalle mie riflessioni. Estraendolo dalla tasca dei jeans, mi accorsi di aver ricevuto un sms. Era di Kate. Cavolo, con tutto ciò che era successo la sera precedente mi ero completamente dimenticata di chiamarla! E la netta sensazione di essere nei guai che sentivo, fu pienamente confermata dal contenuto del messaggio:


Ciao  cara, ti  ricordi  ancora  di me? Sono  la tua  amata  sorellina, quella  che  hai  lasciato  senza  tue  notizie  per un’intera  settimana. Sarà meglio che tu  ti  faccia  sentire  o  inizierò a pensare che ti sia successo  qualcosa  di brutto  e  prenderò  il  prossimo  aereo  per Tokyo.  Baci, Kate

Diretto, minaccioso e senza scappatoie. Mia sorella doveva essere davvero arrabbiata. Sospirai, tra me e me. Chiamarla in quel momento non era una buona idea. Ci avrebbe impiegato 2 secondi esatti a capire che qualcosa non andava. E in meno di 24 ore sarebbe piombata di fronte alla porta della mia suite con i nostri genitori al seguito.

Pensare a loro mi faceva venire un’atroce nostalgia di casa. Sapevo che la mia famiglia avrebbe preferito avermi più vicina. Dopo l’incidente erano diventati così iperprotettivi nei miei confronti, che anche solo lasciarmi partire per le vacanze insieme a Kate, era stato difficilissimo. E andavamo in Italia, vicino alla mia città natale, luogo che conoscevano benissimo.

Adesso invece ero sola, in una metropoli lontana, dove la metà delle persone non parlava nessuna delle lingue che avevo studiato. Se non mi avevano ancora tampinata di telefonate, era stato solo perché avevo fatto promettere loro di aspettare mie notizie. Appena mi fossi ambientata un poco, sarebbe stato più facile sentirli senza aver voglia di prendere il primo volo per Los Angeles.

L’unica volta, però, in cui mi ero fatta viva era stata la sera della mia registrazione in albergo. Ero proprio una figlia orribile. E una sorella da buttare. Forse non potrò chiamare, pensai, in preda al senso di colpa, ma devo trovare un altro modo per tenermi in contatto. Mi scervellai un poco, mentre i miei nuovi amici chiacchieravano allegramente del più e del meno, ignari del mio turbamento.

Infine, ebbi un’idea. E dal momento che non avevo giustificazioni per aspettare ancora, chiesi a Tomoko, alzandomi “ In biblioteca ci sono dei computer?”. Lei mi guardò, un po’ sorpresa “Sì, certo”. “Okay, grazie. Ci vediamo dopo a lezione” li salutai. “Ti teniamo il posto” mi urlò dietro lei.

Dopo mezz’ora di giri a vuoto e imprecazioni in italiano di fronte alle quali tutte le persone che incrociavo si voltavano dalla mia parte, finalmente raggiunsi la mia meta. La biblioteca occupava la bellezza di 5 enormi stanze, ma per fortuna i computer si trovavano vicino all’ingresso. Se avessi dovuto cercare ancora, mi sarei messa seriamente ad urlare.

Mentre ancora riprendevo fiato, mi sedetti nell’unica postazione libera, selezionai la versione americana di Google e dopo qualche breve manovra entrai nella mia casella di posta elettronica. Affidandomi alle mie abilità letterarie, iniziai a scrivere il messaggio più rassicurante e innocuo possibile:

Ciao  Kate , come  va  in  California?  Qui  fa  un  freddo  cane, sembra  quasi  di  essere  a  Bologna  nel  periodo  natalizio. Ti  ricordi?  Brrr…
Comunque   sta  andando  tutto  bene, Tokyo  è  bellissima  e  l’università  si  sta  rivelando  piena di sorprese. Proprio  ora  ti  scrivo dalla  biblioteca, fra una lezione  e  l’altra.
Mi  dispiace  non  essermi  fatta  sentire,  ma sono  super  occupata  e mi  sto  ancora  abituando  al  fuso orario, quindi  la  sera  non  appena  tocco  il letto  crollo .
Come  stanno  mamma  e  papà?  E Tyler? E’ riuscito a organizzare una  cena di anniversario  decente? 
Mi  mancate  tutti  tantissimo, specialmente  tu ,sorellina. 
Oggi  sono  riuscita  a  farmi  qualche  nuovo  amico, ma non  è  lo stesso  senza  di  te.
Prometto  che  avrete  presto  mie  notizie.  Salutami  mamma  e  papà.
Ti  voglio  bene,
Selena


Ero un po’ titubante nell’usare il mio nome falso, ma se avessi chiuso il messaggio con la mia firma autentica, avrei vanificato gli sforzi che così tanta gente aveva compiuto negli ultimi 3 anni per tenermi al sicuro. Kate lo sapeva. Avrebbe capito. E non sarebbe stata contenta del contenuto insulso della mia mail. Tuttavia, non potevo rischiare di mettere nei guai anche lei, raccontandole la verità. Almeno non finché io stessa ne sapevo praticamente zero.

Così, continuando a sentirmi la peggior sorella del mondo, premetti invio. Che succedesse pure quello che doveva succedere! Il possibile per non fare preoccupare la mia famiglia lo avevo fatto. Mi appoggiai contro lo schienale della sedia, chiudendo gli occhi.

Ero una spregevole bugiarda. Se avessero DAVVERO saputo in che razza di guaio mi ero cacciata, si sarebbero agitati moltissimo. E avrebbero smosso mari e monti pur di liberarmi e riportarmi a casa sana e salva. Niente di più bello. Eppure non ero sicura di voler ritornare nel luogo dal quale ero fuggita. E non intendo la splendida casa, dove vivevo con la mia meravigliosa famiglia adottiva.

Era la gente meschina che si aggirava fuori, a spaventarmi. Ero stanca di vedere le occhiate pietose e falsamente amichevoli di cui ero oggetto da quando ero uscita dal coma. Nemmeno andare all’università, mi aveva aiutata molto. Senz’altro incontrare persone che non conoscevano la mia storia era stato un toccasana.

Ma giorno dopo giorno avevo sentito sempre più il bisogno di cambiare aria. Di scappare lontano, lasciando a L.A. la vecchia me, quella che l’incidente aveva distrutto, per tornare sapendo chi ero adesso e che cosa volevo. Il Giappone mi era sembrato perfetto per realizzare questo progetto.

Ovviamente non avevo messo in conto di trovarmi invischiata nelle indagini sul conto di un serial killer. Ci ero già passata, non mi mancava affatto come esperienza. E invece eccomi qui a prendere in giro la mia famiglia, dicendo che era tutto a posto quando ero tenuta d’occhio come una criminale. Uno scenario perfetto.  

Non so per quanto tempo rimasi ad occhi chiusi, persa nell’abisso delle mie considerazioni, ma improvvisamente fui riportata alla realtà da sussurri concitati accanto a me. Due ragazzi si erano appena seduti nella postazione vicino alla mia e stavano commentando qualcosa che si trovava sullo schermo. Aguzzando lo sguardo, notai che si trattava di una specie di chatroom.

Lo sfondo era nero e gli ideogrammi che apparivano quando qualcuno faceva un nuovo commento bianchi. Piuttosto anonimo. Se non fosse stato per l’enorme scritta all’inizio della pagina. I caratteri erano occidentali. E mi diedero i brividi.

Perché in rosso stampatello faceva bella mostra di sé un nome: KIRA. Ma in effetti non fu nemmeno quello a farmi incuriosire e inorridire al tempo stesso.

Fu lo sguardo fanatico negli occhi di quei due ragazzi che mi impressionò. Non sapevo cosa stessero dicendo, ma intuivo fin troppo bene ciò che pensavano.

E considerando che parlavamo di un presunto assassino, non era nulla di buono.
^^^^^^^^
Qualche minuto dopo raggiunsi l’aula. Non so come feci a trovarla in così poco tempo, poiché il mio cervello si era momentaneamente preso una pausa dal corpo, troppo occupato a porsi domande senza risposta, per concentrarsi su qualunque altra cosa.

“Chi diavolo era Kira?” e “Possibile che la situazione in cui mi sono cacciata sia molto più seria del previsto?”, era tutto ciò che riuscivo a elaborare . Poi qualcuno mi urtò ( nessuno stava mai attento a dove metteva i piedi, là dentro?) e il mio collegamento con il mondo esterno si ristabilì.

Senza perdere altro tempo varcai la porta. Guardandomi in giro alla ricerca di un posto libero, ancora imbarazzata dal mio comportamento da ritardata, notai che qualcuno si sbracciava e chiamava il mio nome. Tomoko. Giusto, aveva detto che mi avrebbe tenuto un posto. Le rivolsi uno smagliante sorriso, salendo le gradinate. Quella ragazza era un angelo.

“Ciao” salutai lei e gli altri che avevo incontrato in mensa, mentre mi sedevo. Loro mi rivolsero un cenno, poi Rossella volle sapere come era andata in biblioteca. “Tutto a posto. Dovevo solo spedire una mail urgentissima” spiegai, in tono leggero. E questo mi fece venire un’idea.

“A proposito” continuai, rivolta a tutti “C’erano due ragazzi seduti al computer vicino a me che mi hanno incuriosita. Erano su un forum, credo … e l’unica parola che sono riuscita a carpire da quello che stavano leggendo è KIRA …  Non è che voi  sapete cosa significa?”.

Le reazioni furono le più diverse. Margaret e Thomas scossero la testa, Rossella strabuzzò gli occhi e Tomoko mi rivolse un’occhiata della serie “non posso credere che tu non lo sappia”. Poi si voltò ad osservare le espressioni degli altri e chiese sorpresa” Davvero nessuno di voi lo sa?”.

Questa volta mi unii allo scuotimento generale di teste, mentre Rossella diceva “Io so che la parola  “kiraa” è la traslitterazione giapponese di killer, assassino”. “Appunto” ribatté Tomoko parlando come se avessimo 3 anni e lei ci stesse spiegando come tenere la forchetta a tavola “Kira è il nome che i giornali e la TV hanno dato a una persona misteriosa che fa fuori i criminali. I notiziari non fanno che parlarne. Non posso credere che non ne sapeste niente”.

Thomas alzò le spalle, per nulla turbato dalla propria ignoranza. Margaret e Rossella mi lanciarono uno sguardo che conteneva un grosso punto interrogativo. Lo specchio del mio. Tomoko ci fissò perbene qualche secondo, poi scoppiò in una breve e tesa risata.

“Dai, è impossibile!” esclamò, alla fine “ Insomma, ha creato un tale scompiglio. La polizia non sapeva che pesci prendere, tanto che ormai ha lasciato perdere. Personalmente, credo se la facessero sotto. Dopotutto mettersi contro Kira è  molto pericoloso e poi non si può dire che non faccia un lavoro utile alla comunità” e sottolineò le sue parole con uno sguardo eloquente. Ora ero io quella incredula. Lei era davvero d’accordo con quello che faceva?

“Quindi … tu pensi che Kira sia nel giusto?” chiese Rossella, leggendomi nel pensiero. “Io e la metà della popolazione  giapponese” ribatté lei con ovvietà “La città sta diventando molto più sicura e chi mai potrebbe lamentarsene? Credo che l’unico a cui dia davvero fastidio sia L, ma probabilmente è solo un fatto di orgoglio da detective. Non vuole accettare che catturare Kira è impossibile”.

Negli occhi aveva la stessa scintilla di venerazione che avevo scorto in quei due ragazzi. Mi veniva da vomitare. Ma al tempo stesso, un dettaglio del suo discorso mi aveva enormemente incuriosita.

“Chi è L?” domandammo all’unisono io e Margaret. Okay, quel giorno dovevo essere telepatica, perché la gente continuava a togliermi le parole di bocca. Tomoko, comunque, dopo averci affibbiato l’ennesima occhiata incredula, rispose esasperata “Devo dirvi tutto io? L è colui a cui la polizia di tutto il mondo smolla i casi che non riesce a risolvere. Si dice che sia il miglior detective del secolo. E ora sta conducendo le indagini su Kira. In effetti, riflettendoci bene, è l’unico che può farlo, perché nessuno l’ha mai visto in faccia. E anche il suo vero nome è sconosciuto. Altrimenti sarebbe già morto di arresto cardiaco” aggiunse, con aria noncurante.

In quel momento ebbi una rivelazione. Proprio nell’istante in cui l’attenzione degli astanti fu catturata dall’arrivo del professore – che a prima vista sembrava uno di quei bastardi che all’esame, dopo aver ascoltato la tua brillante esposizione, ti chiedono l’unica cosa che non sai e dalla quale dipenderà il tuo voto -, io ebbi una rivelazione.

E non una qualunque. Bensì, la rivelazione. Oh, Cielo, pensai sconvolta, Oh santo, santissimo Cielo.

Possibile che fra tutte le persone presenti ( o anche fra quelle del mondo intero, per quel che ne sapevo), io fossi l’unica a conoscere il volto del detective L? Sì, c’era una buona probabilità.

Ryuzaki era L? Direi che lo spazio per i dubbi era davvero poco.

Mi stavo prendendo una terribile cantonata in faccia? No, l’istinto mi comunicava che avevo fatto centro. E il mio istinto non si sbagliava mai.

Sospirai. Ora capivo molte cose. E per ognuna di esse, mi sorgeva spontanea un’enorme quantità di interrogativi. Io e Ryuzaki dovevamo parlare. Eccome se dovevamo farlo!

Cercando di cacciare indietro l’improvvisa voglia di scappare dall’aula e andarlo a cercare, mi accorsi di non essere l’unica che appariva a disagio. Rossella, a tre posti di distanza da me, era imbalsamata in una posizione rigida e di tanto in tanto lanciava sguardi di disapprovazione nella direzione di Tomoko.

Mi sentivo esattamente come lei.

Schifata dalla considerazione della vita umana di quella ragazza.

Disgustata dal modo silenzioso ma deciso in cui avevo visto idolatrare un assassino.

Scioccata nel comprendere che metà di quelle persone probabilmente  sarebbe rimasta a guardare un proprio simile morire senza muovere un dito per cambiare la situazione.

Anche se fino a qualche ora prima lo avrei ritenuto impensabile, avevo una voglia matta di tornare in albergo, chiudermi a chiave nella mia stanza e non avere mai più a che fare con il mondo.





 
L’angolo dell’autrice
Dopo ore e ore ho finalmente partorito anche questo capitolo. E’ stato un lunghissimo travaglio, quindi spero che quello che ne è venuto fuori sia almeno passabileJ.

Per qualcuno questo capitolo sarà una vera sorpresa, perché sono sicura che non si aspetta la presenza di un certo personaggio. Poi mi dirà che ne pensa.

Infine vi informo che fino a metà dicembre, a meno di una settimana di distanza non riesco ad aggiornare, perché sto preparando un esame.
Nel frattempo esprimetemi pure il vostro parere, farò tesoro dei vostri consigli.

Mi congedo con un grande grazie a tutti quelli che mi seguono e che mi spronano a continuare.  

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Incubi e chiarimenti ***


 POV SELENA

Quando riaprii gli occhi mi trovai adagiata sul sedile anteriore di un’auto stranamente familiare. Non ricordavo a chi appartenesse o dove l’avessi già vista, sapevo solo che non era la prima volta che ci salivo.

Facendo scorrere lo sguardo all’interno del veicolo nel tentativo di cogliere qualche particolare utile a rinfrescarmi la memoria, notai che non ero sola. Un ragazzo biondo e molto attraente stava infatti guidando a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Ero molto sorpresa di non  essermi accorta subito che la macchina era in movimento, ma mi sentivo talmente intorpidita  che mi sembrava già un miracolo riuscire a pensare più o meno fluidamente. Forse se mi fossi sgranchita un po’, sarebbe apparso tutto più chiaro …

Il mio corpo, però, sembrava faticare enormemente a ricevere i comandi del cervello, dunque ci vollero svariati tentativi per riuscire a muovere anche solo un piede. Era come se improvvisamente pesassi il triplo di quanto avessi fatto prima di addormentarmi. Alla fine rinunciai, sbuffando infastidita. Quel suono destò l’attenzione del mio compagno di viaggio.

“Finalmente ti sei svegliata, amore” mi disse dolcemente. Io conoscevo quella voce. E anche piuttosto bene. “Chris?”, verificai, in tono impastato. Lui per tutta risposta mi strinse la mano. Una stretta gentile e serrata al tempo stesso. Confortevole e rassicurante. Tuttavia, c’era qualcosa che non andava.

In realtà, realizzai, iniziando pian piano a recuperare lucidità, ci sono parecchie cose che non vanno.

Tanto per dirne una, il fatto che non avevo la minima idea di come fossi finita lì con lui. O di dove fossimo diretti, per dirne un’altra.

“ Dove stiamo andando?”, mi informai dunque, abbastanza vigile adesso da notare che era notte fonda e che stavamo percorrendo la statale. Chris si voltò parzialmente verso di me, con gli occhi azzurro ghiaccio che luccicavano nell’oscurità. “Non devi preoccuparti” dichiarò, ostentando una calma che mi spaventò più di qualsiasi altra cosa “Loro non ci troveranno. Questo è l’importante”.

“Loro chi?” indagai, terrorizzata “Chris, cosa stai dicendo? Voglio tornare a casa. E’ tardi e sono stanca” e me la sto facendo sotto dalla paura, avrei voluto aggiungere. Lui scoppiò in una risata fragorosa. Senza controllo. Sembrava un pazzo. Forse si era fatto di qualcosa. Non era proprio il caso che guidasse in quelle condizioni, comunque. “Chris, accosta” gli ordinai, in tono deciso e irremovibile “Non so cosa tu abbia bevuto o ti sia fumato, ma adesso il volante lo prendo io. Si va a casa. Subito”.

“A casa” ripeté, come se fosse una specie di battuta. Sentivo che stava per succedere qualcosa di orribile. Era come se una valanga si fosse messa in moto per travolgermi e io non potessi far altro che stare lì a guardarla. “ No, io a casa non ti ci riporto. Non lo farò mai più!” quasi urlò, accelerando maggiormente. Diedi una rapida occhiata al contachilometri. Eravamo quasi ai duecento. Mi prese il panico.

“Ti prego rallenta, Chris! Così rischiamo di farci male tutti e due” lo supplicai, con le lacrime agli occhi. Ma lui non mi ascoltò. Stava continuando a farfugliare in maniera folle e sconnessa. “Ma non lo capisci?” gridava “Io lo sto facendo per noi due! Loro non vogliono che stiamo insieme. Loro mi odiano” improvvisamente, abbassò la voce. Sembrava che anche lui fosse sul punto di scoppiare a piangere. “ Io ti amo. Non posso stare senza di te. La mia vita non avrebbe più senso se fossi costretto a starti lontano”. Poi mi fissò.

Negli occhi potevo leggergli una preghiera disperata. Voleva che accettassi il suo gesto, che lo capissi. Improvvisamente un flash mi passò per la mente. Fu talmente veloce che non riuscii a decifrarlo. Però sapevo che era qualcosa che lo riguardava, qualcosa di oscuro. Qualcosa che mi aveva fatto sentire minacciata e in trappola. E che nonostante tutto avevo accettato. Perché lo amavo anch’io. Molto più di quanto io stessa desiderassi.

“Chris,” dissi, con un profondo sospiro “ anche io ti amo e voglio stare con te. Ma questo non è il modo giusto per farlo. Non possiamo scappare, sarebbe da egoisti. Ti rendi conto di quanto soffriranno le nostre famiglie, quando scopriranno la nostra fuga?” . La verità sembrò colpirlo con la dovuta forza per la prima volta in quella serata. Lo capii perché tornò a concentrarsi sulla guida, rallentando sensibilmente. Era il suo modo per nascondermi quanto fosse imbarazzato per quella situazione. Lo capivo in un certo senso, ma non avevo ancora finito.

“Dobbiamo tornare indietro, tesoro. Soprattutto tu, devi tornare indietro” a cosa mi riferivo? Nella mia mente c’era come un velo nero, a coprire quelle informazioni. Tuttavia continuai “ Devi tornare ad essere il ragazzo che eri prima. Il vero Chris. Accetta quello che hai fatto. E perdonati. Solo così potremo andare avanti”. Ancora non sapevo di cosa stessi parlando, ma Chris sembrava esserne più che conscio.

“Ciò che ho fatto” sussurrò “E’ imperdonabile. Non c’è speranza per me”.

“Certo che ce n’è!” esclamai, sconvolta “Ascoltami. Non eri in te. Ed è assolutamente comprensibile. Quello che hai fatto sarà anche sbagliato, ma ha salvato moltissime persone. Pensa a questo”. La storia non finiva lì. C’era dell’altro, anche se non riuscivo a ricordarlo. Tuttavia, la cosa importante in quel momento era farlo rinsavire. Così mi concentrai sulle sue reazioni.

Parve riflettere a lungo sulle mie parole, poi disse, infine, con voce sommessa “Non posso. Sono già abbastanza nei guai, ma questa notte ho passato il segno. Ti ho drogata, rapita. Voglio essere molto lontano da qui domani, quando inizieranno a darmi la caccia. E tu verrai con me”.

Un moto di rabbia impotente mi pervase fino alle viscere, superando l’orrore e l’angoscia che mi attanagliavano. Allora era vero. Chris era uno psicopatico. Forse lo era sempre stato. E aveva ucciso delle persone. Molte più di quelle che mi aveva confessato. Ero certa di questo dettaglio, anche se la mia mente si rifiutava di recuperare le prove relative a quella consapevolezza. Ma nonostante tutto io mi ero fidata di lui. Lo avevo amato. Avevo conservato i suoi segreti. Che stupida. Come avevo potuto credere che ci fosse qualcosa di vagamente buono in lui?

In quel momento, aggrappandomi alle crudeli fitte di dolore dovute al fatto che mi sentivo offesa e tradita, per non cedere al panico, afferrai il volante. “Che fai?” gridò Chris, cercando di riprendere il controllo della macchina.

Era una lotta disperata. Io giravo da una parte, per scoraggiarlo e convincerlo a fermarsi e lui dall’altra, contrastandomi con tutte le sue forze. Alla fine la spuntò lui. E io seppi che per me non c’era più speranza. Avvertivo la valanga vicinissima, ormai.

Mentre percorrevamo la curva che costeggiava il bosco di sequoie, un camion sbucò a tutta velocità nella corsia di senso contrario. Ciò non avrebbe comportato problemi, se non avesse improvvisamente invaso la nostra. Chris sterzò violentemente per non andargli addosso, ma anche noi eravamo esageratamente veloci.

“Chris!” urlai, mentre sfondavamo il guardrail, dirigendoci troppo rapidamente contro le sequoie … 
 

Mi svegliai di soprassalto, sudata e con il cuore che mi martellava rumorosamente nel petto. Qualcuno mi stava scuotendo, probabilmente nel tentativo di strapparmi a quell’incubo orribile.

“Svegliati” mi ordinò infatti una voce bassa e tranquilla.

“Ryuzaki?” domandai, in tono molto più fermo di quanto mi aspettassi. Improvvisamente, l’abat-jour sul comodino si accese, illuminando un poco la stanza.

Ora potevo vederlo. In piedi, accanto al mio letto, con i capelli neri se possibile ancora più spettinati del solito e un leggerissimo velo di preoccupazione nello sguardo. Ci fissammo in silenzio per qualche secondo, mentre le mie pulsazioni si stabilizzavano. Rendermi conto di essere tornata alla cara, vecchia, rassicurante realtà, mi tranquillizzò talmente tanto, da far ripartire il mio lato razionale a tempo di record.

“Tu che ci fai qui?” chiesi a Ryuzaki, sospettosa, esternando il primo interrogativo che mi passò per la testa “Perché sei entrato nella mia stanza?”.

“Ti ho sentita urlare” mi spiegò, mantenendo la voce calma e il viso inespressivo “Credevo stessi male”.

Mmmh. Dovevo aver fatto proprio un bel po’ di casino. Speravo almeno di non aver svegliato anche Watari.

“ Mi dispiace di averti tirato giù dal letto” gli comunicai, alzandomi.

“Non stavo dormendo” mi assicurò. Certo. Ora si spiegavano le occhiaie.

“Dove vai?” domandò, seguendomi in salotto.

“ A schiarirmi le idee e a cercare qualcosa che mi faccia riprendere sonno, visto che sono solo le …” e lanciai un’occhiata all’orologio del lettore dvd “… 3 e tra qualche ora ho lezione”. Ero troppo vigile e confusa per riaddormentarmi come nulla fosse. E poi avevo paura di sognare di nuovo dettagli terrificanti del passato che la mia mente aveva accuratamente rimosso.

La notte dell’incidente, che per ironia della sorte era l’unico evento che riuscissi a ricordare chiaramente dei nebulosi mesi precedenti il coma, bastava e avanzava. “Credo che ci siano delle tisane nel mobiletto in basso” mi informò Ryuzaki, indicando l’angolo cottura. Lo ringraziai e dopo qualche minuto trovai una bustina di camomilla. Poi tirai fuori una tazza, mentre l’acqua si scaldava.

Ryuzaki nel frattempo aveva preso posto sulla poltrona e fissava apparentemente il vuoto di fronte a sé. Questo mi fece tornare in mente qualcosa di importante.

“Io e te  dobbiamo parlare” lo avvisai, spegnendo il fuoco.


POV L


“Riguardo a cosa, di preciso?” le chiesi, mentre versava l’acqua bollente nella tazza. In realtà avevo già un’idea di quello che aveva da dirmi, ma feci finta di niente.

Selena, dal canto suo, rimase in silenzio finché non si fu accomodata sul divano. Poi appoggiò la tazza fumante sul tavolino, aspettando che si raffreddasse. Quando mi rivolse la parola, il suo tono era quasi ostile “Perché non mi hai avvertita?”.

La domanda, posta in modo così diretto e senza alcun tipo di preambolo, mi spiazzò un poco, tuttavia rimasi impassibile nel domandare a mia volta “ Di che cosa avrei dovuto avvertirti?”.

Lei spostò il suo sguardo dai miei occhi verso il cielo. “ Del casino in cui mi stavo ficcando … no, anzi,  del casino in cui tu ti ritrovi e in cui io, da brava stupida, ho avuto la bella idea di seguirti!” esclamò, tutto d’un fiato. 

 Poi chiuse gli occhi e si massaggiò la testa. “ Ho passato il pomeriggio su Internet a leggermi tutto quello che riuscivo a trovare su Kira e ti giuro che mi è venuta la nausea. Lo sai quanti fan completamente folli ha quel tizio? E, soprattutto, sai cosa farebbero a te, se riuscissero a metterti le mani addosso, caro il mio detective L?” e mi lanciò un’occhiata in tralice.

Quindi l’aveva scoperto. La cosa non mi sorprendeva più di tanto, le avevo dato tutti gli elementi per arrivarci. Però avrei dovuto fare un bel discorsetto con le mie fonti, che si erano decisamente dimenticate di riferirmi qualche particolare. Io, d’altronde, avevo avuto un pesce più grosso da cercare di far abboccare nel pomeriggio, per prestare tutta la mia attenzione a quella ragazza. Forse, d’ora in avanti avrei dovuto tenerla d’occhio più da vicino. Le mie considerazioni furono, tuttavia, nuovamente interrotte.

Selena infatti, dopo aver sorseggiato un po’ di camomilla, aveva poggiato la tazza e si era rimessa a parlare. “ Quello che fa Kira mi disgusta” dichiarò, senza tanti giri di parole.

Era strano avere a che fare con una persona che diceva esattamente quello che pensava. I criminali di solito non si disturbavano tanto, piuttosto esprimevano i propri sentimenti seminando cadaveri.

“ Cioè,” cercò di chiarirsi “non è che non preferirei un mondo dove non devi guardarti le spalle ad ogni passo che fai e dove le ragazze potrebbero girare da sole anche di notte senza essere costantemente pronte al peggio. E, allo stesso modo, non è che ogni tanto non venga la voglia di dare una bella lezione a certa brutta gente. Ma ciò non significa che sia giusto”.

A quel punto, mi guardò dritto negli occhi. Solo per un secondo ebbi paura che in qualche oscura maniera riuscisse a leggermi dentro, cosa che non avevo mai lasciato fare a nessuno, tranne forse Watari. E per lo spazio di quell’istante, cercai di rendere il mio volto ancora più indecifrabile.

Poi, Selena posò gli occhi sulle proprie mani e io tornai ad ascoltarla, sollevato. “ Adesso so perché hai pensato che io potessi essere lui … o lei, o chiunque sia. E so a che razza di rischio ti esponi ogni giorno. Ti ammiro per questo, in realtà” arrossì un poco, ma continuò il suo discorso

“ Ecco perché resterò qui con te senza fare obiezioni. Così potrai scagionarmi senza che ti rimanga il minimo dubbio e saprai di aver fatto bene il tuo lavoro. Se posso rendermi utile in qualcosa durante la mia permanenza, sappi che sono pronta a farlo. E direi che questo è tutto” sorrise e mi sembrò quasi che si sentisse in colpa.

“ Scusa se ho monopolizzato la conversazione. Lo faccio spesso, anche se so che è irritante. Volevi dire qualcosa anche tu?” mi chiese, in tono lievemente contrito, mentre vuotava la tazza.

“ Non è rimasto molto da discutere, mi sembra. Quanto al renderti utile, per ora la cosa migliore che puoi fare è continuare ad andare all’università e vivere la tua vita come se non mi avessi mai incontrato”.

La vidi alzare le sopracciglia “Non sento di avere tutta questa libertà”.

“In effetti non ce l’hai per ora, ma è probabile che l’avrai presto” la rassicurai, pensando a Light Yagami e ha tutti i sospetti che mi aveva suscitato. Si avvicinava molto di più all’idea che avevo di Kira lui, di quanto Selena non avrebbe mai fatto. Mi era chiaro, anche se non la conoscevo molto.

Eppure, esserne completamente sicuri senza uno straccio di prova, sarebbe stato da imprudenti. E io non mi ritenevo tale.

A questo, andava ad aggiungersi il fatto che l’idea di averla intorno per un po’ non era così terribile. Mi piaceva, in un certo senso. E speravo che non mi procurasse troppi guai. “ D’accordo” rispose lei, infine “Comunque, se andrà sempre come oggi, non credo avremo tanti problemi. Adesso che so che sei davvero dalla parte dei buoni e che non mi farai del male, mi sento molto più tranquilla” e si lasciò andare ad uno splendido sorriso, seguito da un rumoroso sbadiglio.

“Direi che è ora di tornare a letto. Grazie di tutto. Buonanotte”.

“Buonanotte” le augurai a mia volta. Poi mi venne in mente una cosa che avevo udito poco prima. Quando, strappato a un breve sonnellino da grida improvvise, mi ero precipitato nella stanza accanto, per verificare quale fosse il problema. In quel momento l’avevo sentita pronunciare  un nome.

 “Selena, chi è Chris?”. Lei rabbrividì, prima di riuscire a controllarsi. Si arrestò a pochi passi dalla camera da letto.

“ Questa è una storia che ti racconterò un’altra volta, forse” rispose a voce bassa, senza voltarsi.

Dopodiché entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi alle mie riflessioni notturne.  

  
 
 
 
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti, eccomi di ritorno. Dunque, innanzitutto, sono molto felice che il capitolo precedente sia piaciuto e spero sia lo stesso per questo.
In secondo luogo, finora ho seguito abbastanza il corso dell’anime e anche se continuerò a farlo potranno esserci piccole modifiche, per esempio Ryuzaki passerà più tempo all’università.
Da questo capitolo in poi, inoltre, pian piano verrà fuori il passato misterioso di Selena che, capirete presto, non è dove l’ho messa per caso, ma ha un ruolo più che preciso e definito.
Bene, con questo penso di aver finito con le anticipazioniJ.
Ringrazio ancora una volta chi mi segue e mi sprona a scrivere.
Un bacio, lelle31
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Fuga ***


 POV SELENA
“Selena, ci sei?”. La voce composta di Margaret mi raggiunse improvvisamente, strappandomi alle mie riflessioni.

“Ehm, sì” risposi, senza pensarci . I suoi grandi occhi castano scuro mi squadrarono attentamente, alla ricerca di chissà cosa – forse del mio parere in merito all’ignoto argomento di conversazione del momento, oppure, com’era più probabile, di un qualche segno di vita- per poi alzarsi al cielo, mentre mi aggiornava “Tomoko ci stava raccontando dell’appassionante partita di tennis che si è tenuta qui ieri pomeriggio, mentre avevamo lezione di pedagogia”. E mi lanciò uno sguardo eloquente.

Subito, mi premurai di apparire assolutamente partecipe ed interessata “Davvero? Scusa, avevo la testa da un’altra parte. Perché non mi racconti tutto?”.

Per niente seccata dal dover ricominciare il suo resoconto daccapo, Tomoko si fiondò in un’accurata illustrazione dei momenti salienti del match, concentrandosi soprattutto nel descrivermi curriculum, situazione sentimentale e segni particolari, di chi le aveva riportato cosa, così che alla fine avevo un quadro più che completo dei miei nuovi compagni di università.

Ogni tanto, nel corso di quel torrente di informazioni indesiderate, cercavo aiuto in Margaret e Rossella, che, dal canto loro, se la spassavano alle mie spalle, fingendo di essere prese da un intensissimo ed improrogabile studio, e ricambiandomi con occhiate della serie “ se almeno fingevi di essere interessata la prima volta, te la saresti cavata con molto meno”.

E se invece loro avessero saputo che ero persa nei ricordi che mi rimanevano di quel bugiardo assassino del mio primo amore, di sicuro non si sarebbero divertite così tanto. Sbuffai mentalmente. Lo stavo facendo di nuovo, cavolo! Basta rimuginare, mi ingiunsi, cercando di rimanere saldamente attaccata alla realtà.

“ … perché vedi anche se alla fine ha vinto quel figo di Light Yagami,” stava continuando Tomoko, imperterrita “ Kiko mi ha detto che anche quell’altro ragazzo, quello che ha tenuto il discorso di apertura insieme a lui, te lo ricordi? Quel tipo un po’ strano, pallido, con tutti quei capelli scompigliati … beh, non se l’é cavata affatto male …. “.

“Aspetta un attimo” la interruppi, di getto  “ Stai parlando di Ryu … ga?” terminai in tono quasi strozzato. Per poco non mi ero lasciata sfuggire il suo … beh, l’altro nome . Se pensavo a quanto si era raccomandato di usare attenzione, mi sarei presa a schiaffi.

Però, d’altra parte, quando uno ha una diversa identità praticamente per ogni momento della giornata, è ovvio che ci si possa sbagliare! Avrei fatto meglio a non nominarlo più. Anzi, avrei fatto davvero meglio a tenerlo anni luce dalle nostre conversazioni.

Specialmente visto che Tomoko mi fissava (finalmente!) muta, con un’espressione tra lo sbalordito e il sospettoso. Perfino Margaret e Rossella avevano alzato la testa dai libri, attirate dall’improvviso cambio di rotta del discorso. O meglio, dalla trasformazione del monologo in un dialogo.

Sempre che Tomoko avesse ancora intenzione di aprire bocca, cosa che poteva rivelarsi assolutamente disastrosa … “E tu come fai a sapere il suo nome?” chiese, infatti, con mio orrore, circa un istante dopo. Ottima domanda. Come facevo a saperlo?

“ Lo so perché c’ero anche io alla cerimonia d’apertura, quando l’hanno  presentato” risposi in tono ovvio, ringraziando la mia abilità nel raccontare frottole, quando richiesto. Non mi piaceva farlo, sia chiaro.

Ma se avessi dovuto dire la verità, la spiegazione sarebbe stata più o meno questa: Lo so perché vivo con lui a tempo indeterminato, dato che ho avuto la pessima idea di comportarmi come una stupida nel posto sbagliato, al momento sbagliato. In più, devo anche ricordarmi di non far saltare la sua copertura, siccome lui non è altri che il famoso L e se qualcuno lo viene a sapere, magari Kira, lo avrò sulla coscienza, insieme a chissà quante altre persone in balia del pazzo che sta cercando di acciuffare.

E non era certamente qualcosa che potevo urlare ai quattro venti.

Dunque fui più che contenta, quando Rossella, distogliendo per un attimo l’attenzione generale dalla sottoscritta, commentò “Che memoria! Io mi ricordo a malapena la sua faccia. Deve proprio averti colpito, questo Ryuga”.

“Sì, in effetti mi è rimasto impresso. Dopotutto, è un tipo particolare, non è vero Tomoko?” ribattei, sperando di concludere lì il piccolo incidente. “Mmh, mmh” annuì lei, ma non aveva l’aria convinta. Avrei davvero pagato per capire cos’era che non le tornava.                  

 “ Comunque” ci comunicò, riprendendo la parola sullo stesso tono pettegolo di poco prima,  “pare che sia già impegnato. Kiko mi ha detto di averlo visto scendere dalla sua macchina con una ragazza che non sembrava precisamente sua sorella, non so se mi spiego”. Anche se non la conoscevo, Kiko iniziava a darmi seriamente sui nervi. E come se non bastasse, la piega del discorso non mi piaceva affatto.

“Sai, Selena” proseguì Tomoko “ ho sentito che la ragazza che hanno visto in sua compagnia ha i capelli castani, poco più corti delle spalle e non è molto alta. Ti fa venire in mente qualcuno?” e ricevetti il secondo sguardo eloquente della giornata. Ah, le cose stavano così allora.  

Controllandomi il più possibile per sembrare calma e disinteressata, risposi “No, nessuno. Oh” aggiunsi, con una finta sorpresa da Oscar, tastandomi la tasca dei jeans “mi stanno chiamando. Devo proprio rispondere, vi raggiungo dopo in aula”.  

Mentre mi alzavo, notai  lo sguardo colmo di sdegno che Rossella rivolse alla mia interlocutrice, prima di tornare a concentrarsi sul suo libro. Sorrisi, dirigendomi a tutta velocità verso i bagni del piano terra. Potevo scommettere che saremmo diventate ottime amiche. O almeno, ero sicura che non si sarebbe tirata indietro se le avessi proposto di eliminare fisicamente quella stronza di Tomoko.

Non mi era sfuggito, infatti, il tono appena velato di cattiveria con il quale aveva cercato di mettermi in imbarazzo. Cosa sperava di ottenere poi da una mia eventuale confessione? Non eravamo mica alle elementari, dove ti prendono in giro fino alla morte se stai con un ragazzo!

Arrivata alla mia meta, decisi che quello che mi serviva davvero era una bella boccata d’aria, dunque spalancai con forza la porta antipanico e uscii nel cortile. L’aria pungente mi sferzò subito il viso e le mani, visto che quella mattina non avevo avuto la lungimiranza di portarmi una cuffia e dei guanti , oltre alla giacca e alla sciarpa.

Ormai non ero più abituata agli inverni gelidi. Era uno dei vantaggi di vivere in California, specie per una persona che detestava il freddo come me. Normalmente, con la temperatura attuale, sarei rientrata senza pensarci due volte, imprecando contro ghiaccio, neve e clima, ma in quel momento praticamente non me ne accorsi nemmeno. Mi sedetti, invece, su una panchina congelata, cercando di calmarmi.

Ero talmente incazzata che mi sembrò un miracolo riuscire a stare immobile. Ce l’avevo a morte con me stessa per essermela data a gambe così, senza combattere. Se la situazione fosse stata diversa, se fossi stata libera di agire come volevo, avrei infatti rimbeccato Tomoko con una risposta carica di veleno tale, da zittirla una volta per tutte.

Chi si credeva di essere per mettermi alle strette in quel modo? Erano o non erano cavoli miei quello che facevo nella mia vita privata? Mi sembrava di essere tornata all’epoca del liceo, dove tutti sapevano tutto di tutti. E per fortuna che avevo scelto una scuola pubblica a L.A., perché non voglio neanche immaginare come sarebbe stata la vita, circondata da ricchi insoddisfatti e alle prese con le proprie crisi adolescenziali.

Ne avevo avuto un assaggio a quelle stupide grandi feste, organizzate al solo scopo di mostrare agli altri ogni santo motivo per il quale eri migliore di loro. Era lì che avevo imparato cosa significasse “fare buon viso a cattivo gioco”. Ed era da lì che ero scappata.

Sospirai. Il problema stavolta non riguardava unicamente me e i miei sentimenti. Sarebbe stato fin troppo facile se avessi potuto ingaggiare battaglie verbali senza esclusione di colpi, contro chiunque cercasse di ferirmi. Avrei trovato il loro punto debole, come avevo dolorosamente imparato, e li avrei convinti a non riprovarci più. Solo che nel farlo mi sarei esposta , rischiando di mettere nei guai troppe persone.

Ecco perché dovevo tenere a bada reazioni impulsive e orgoglio. Non esattamente una passeggiata, in certi casi. O nei confronti di certe persone.  Il che mi riportava al mio progetto iniziale di strangolare quell’oca di Tomoko nel sonno. Mentre riformulavo i miei propositi omicidi, un tiepido raggio di sole mi sfiorò il capo.

Guardai verso il cielo. Le nuvole si stavano diradando, lasciando il posto a una splendida distesa azzurra. Ciò mi inspirò una certa dose di serenità, che ebbe la meglio sulle brutte sensazioni. Stavo esagerando. Che razza di tragedia per una cosa da nulla ! Probabilmente si era comportata così perché era invidiosa di qualcosa che credeva io avessi e lei no.

Magari  Ryuzaki le interessava. Quasi mi venne da ridere immaginando la sua faccia se Tomoko gli avesse chiesto di uscire. Lo conoscevo solo da tre giorni, ma mi era bastato per capire che non lo si poteva trattare alla stregua di un qualsiasi ventenne.

Per di più, anche nel remoto caso in cui Tomoko fosse riuscita ad attirare la sua attenzione, come avrebbero fatto nel momento in cui lei gli avesse rivelato che era una grande fan di Kira? Ci avrebbero messo una pietra sopra, accettando la piccola divergenza di opinioni? Oppure anche per lui sarebbe iniziato il festival del “fare buon viso a cattivo gioco”? 

Di certo, se anche fosse stato così, lei non lo avrebbe mai capito. Ci sarebbe voluto un dizionario delle espressioni facciali, solo per iniziare a decifrare una qualunque delle sue reazioni, diciamo così, spontanee. Figuriamoci se cercava di nasconderle! Per un attimo mi divertii a immaginarlo arrabbiato, sorpreso, agitato come una persona qualunque. Impensabile. Davvero ai confini della realtà.

Con quell’immagine in testa, mi alzai dalla panchina. Avevo le gambe indolenzite per il freddo e per essere state a lungo ferme nella stessa posizione. Inoltre, ora che ero tranquilla e la mia temperatura interna era tornata a livelli normali, iniziai a battere i denti sul serio. Chissà da quanto ero lì fuori?

La lezione, pensai improvvisamente, battendomi una mano sulla fronte. Dovevo darmi una mossa o sarei arrivata in ritardo! Subito, mi affrettai a raggiungere la porta, ma non appena misi la mano sulla maniglia, mi arrestai. Avevo addosso una sensazione che nessuna ragazza  sola  vorrebbe avere.

La percezione di essere osservata, a lungo e con insistenza. Mi voltai di scatto, nella speranza di cogliere lo spione sul fatto. Ma nel piccolo spiazzo non c’era proprio nessuno. A parte me. Un brivido che non c’entrava nulla con il clima glaciale, mi scese giù per la schiena.

“Chi c’è?” chiesi, a disagio. Ero certa di non essermelo immaginato. Avvertivo con chiarezza  la presenza di un altro essere umano. Non giunse, però, alcuna risposta.

“Vieni fuori” gli intimai, con l’adrenalina di nuovo in circolo “Non mi piacciono questi scherzi”. Facendo appello a tutto il mio coraggio, mi incamminai verso i cespugli che circondavano le panchine. Avrei stanato quel deficiente e se avesse cercato di farmi del male, lo avrei steso. Prima di mandarmi in Giappone, mio padre si era assicurato che seguissi un paio di corsi di arti marziali e che sapessi maneggiare un’arma. Aveva reclutato apposta qualche collega dell’FBI. E dovevo dire che quegli uomini avevano fatto un ottimo lavoro.

Con tutti i sensi all’erta, setacciai ogni angolo del cortile. Niente. Com’era possibile? Diedi un’altra breve occhiata in giro. Ancora nulla.

Forse, dopotutto, mi ero immaginata tutto. Lo stress e la mancanza di sonno a volte giocano brutti scherzi.

Poco convinta, mi avviai nuovamente verso la porta ed entrai. Non appena varcata la soglia, mi sentii più al sicuro. Sospirai, sollevata. Qualunque cosa ci fosse o meno fuori, era rimasta là. Senza perdere altro tempo, imboccai il corridoio che portava alle aule del piano terra.

Dunque, avevo lezione di che cosa esattamente? Mi scervellai, in cerca della risposta. Neurofisiologia? Criminologia? Di nuovo psicologia dello sviluppo? Poi fui distratta da un rumore alle mie spalle.

Qualcuno era appena entrato dalla stessa porta che avevo varcato qualche secondo prima. Lo udii avvicinarla con cura, per evitare che sbattesse. Dopodiché, sentii una serie di passi nella mia direzione.

Questa volta, non mi disturbai a guardarmi intorno. Iniziai a correre. Presi la prima porta che trovai, ritrovandomi ancora una volta all’aperto. Il vento mi scompigliava i capelli mentre fuggivo verso un luogo sconosciuto. Avevo il cuore a mille.

Speravo di trovare un gruppo di ragazzi tra cui confondermi per far perdere le mie tracce, ma a quell’ora il campus appariva desolatamente vuoto. Non si era mai sentito di un’università in cui fossero tutti in classe nello stesso momento. Forse semplicemente erano all’interno dell’edificio. Perché stare al freddo, quando si può prendere uno schifoso caffè della macchinetta, da bere al calduccio con gli amici?

Uscire era stata una cavolata.

I passi veloci del mio inseguitore mi rimbombavano in testa, ma non osavo voltarmi per vedere dove fosse esattamente. Mio Dio! Di tutta la gente che c’era, proprio io dovevo beccarmi il maniaco di turno? Superai i tavoli esterni della mensa, ritrovandomi di fronte all’entrata principale. Non so per quanto ancora ce l’avrei fatta a tenere quel ritmo. Quando ormai iniziavo a disperare sulle mie possibilità di riuscire a salvarmi, vidi due ragazzi al metà del viale.

Uno aveva ribelli capelli neri che avrei riconosciuto ovunque. Mi lanciai in quella direzione, avvertendo la meravigliosa sensazione di essere finalmente al sicuro. Percorsi i metri che ci separavano praticamente volando e appena gli fui abbastanza vicino, mi aggrappai al suo braccio, come un naufrago avrebbe fatto con un salvagente.

Non persi tempo a chiedermi che aspetto dovessi avere per suscitare quasi l’ombra di un’emozione sul suo viso, esclamando, invece “Ryuzaki devi aiutarmi. Qualcuno mi sta seguendo. Mi stava spiando e adesso mi è corso dietro. Ho paura che voglia farmi del male!”.

Lui mi fissò a lungo negli occhi, senza dire una parola. Forse non mi credeva. Forse gli sembravo una pazza con gli occhi lucidi, il fiatone e i capelli da tutte la parti. Stavo per assicurargli che era tutto vero, che non me l’ero immaginato, quando si voltò verso un punto alle nostre spalle. Fu giusto un attimo, poi tornò a guardarmi , dicendo tranquillamente “E così ti sei accorta di Matsuda”.

“Cosa?” domandai incredula, di fronte a tutta quella calma. Non mi ero aspettata di certo che cambiasse completamente atteggiamento rispetto al solito, ma un minimo di preoccupazione mi sembrava d’obbligo. Poi il mio cervello registrò le sue parole e un sospetto si insinuò dentro di me con prepotenza.

“Ryuzaki,” sibilai, sentendo la rabbia che montava di nuovo dentro di me “ dimmi che non è vero. Dimmi che non hai mandato tu quella persona perché controllasse le mie mosse”. Lui non accennò ad alcun tipo di reazione. Il che per me equivalse a un’ammissione di colpa.

“Santo Cielo!” sbottai, staccandomi da lui “Non posso credere che tu l’abbia fatto senza dirmi niente! Lo sai che paura mi sono presa? Credevo fosse uno stalker!”. Ormai stavo urlando e la mia voce quasi riecheggiava nel silenzio. Ma in quel momento non me importò un fico secco.

“Non credevo che l’avresti scoperto” fu la sua giustificazione, nel solito tono composto, che mi fece infuriare ancora di più.

“Ah sì?” lo aggredì nuovamente “ E come credi che potrebbe sopravvivere una ragazza sola in una grande città come questa, se non sapesse guardarsi le spalle? Certo che l’avrei scoperto! E se si fosse avvicinato troppo, avrei anche potuto fargli male seriamente. Si può sapere con chi credi di avere a che fare? Miss Ingenuità dell’Anno?”.

Ero fuori di me. Potevo anche accettare le varie restrizioni di libertà, i segreti che dovevo mantenere e tutte le altre stronzate, ma che si invadesse la mia privacy senza avvertirmi, questo non mi andava giù.

Troppo arrabbiata anche solo per guardarlo, levai gli occhi sulla figura accanto a lui.

Oh, no. La solita ansia attanagliante mi invase, non appena lo riconobbi. Capelli e occhi castani, postura fiera e aria da ragazzo della porta accanto che celava un’insospettabile superbia, unita alla giusta dose di disprezzo nei confronti dell’altro da sé. Un profilo che ormai conoscevo a memoria.

Mancava solo un nome da abbinarvi e avrei avuto un quadro completo di quell’individuo tanto attraente, quanto pericoloso. Riuscivo a percepire con estrema chiarezza le vibrazioni negative che riversava nell’ambiente circostante. Era come se su di lui ci fosse un’enorme insegna al neon lampeggiante, con su scritto: STATE ALLA LARGA O VE NE PENTIRETE. Come se l’aura crudele che si portava dietro avesse davvero avuto il potere di uccidere.

Quasi sorrisi di me stessa, mentre gli restituivo l’occhiata penetrante che mi aveva appena rivolto. Stavo esagerando di nuovo, ovviamente.

Tuttavia, quel ragazzo non mi ispirava nemmeno abbastanza fiducia da mostrare le mie debolezze in sua presenza, dunque, facendo appello a tutti gli anni di pratica che avevo alle spalle, mi sforzai di sembrare tranquilla e ragionevole, nonostante dentro ribollissi. Riuscii persino a sorridere cordialmente, nel momento in cui Ryuzaki  prese la parola per presentarci.

“ Selena, questo è Light Yagami” mi informò, senza mostrare alcuna traccia di irritazione per la lite appena avvenuta. Non si scomponeva mai, lui. Invece io faticai alquanto a non lanciargli un’occhiataccia, mentre allungavo una mano per stringere quella che Light mi stava offrendo.  

In considerazione del fatto che me la sarei volentieri tagliata, piuttosto che toccare la sua, pilotai poi la mia attenzione sul mantenere una rassicurante faccia da poker.

“Piacere, Selena” aggiunsi, appellandomi ai principi della buona educazione. “Light” rispose il diretto interessato, in tono amichevole. Nulla di strano accadde. A parte che per una frazione di secondo, potrei giurare di aver udito una risatina che non apparteneva a nessuno degli astanti. Sul momento la archiviai, però, come reazione a tutti gli stress emotivi della mattinata e continuai a gestire la situazione con maestria.

Se pure Light provò un decimo del disagio che provai io, non lo diede a vedere. E la cosa finì lì. A quel punto, terminai la mia opera voltandomi verso il mio presunto inseguitore che  nel frattempo ci aveva raggiunto e si grattava la testa, imbarazzato.

“Mi dispiace” gli dissi, sincera “Non volevo scappare in quel modo. Ho creduto che lei fosse un malintenzionato. D’ora in poi mi comporterò bene, promesso”.

"Non preoccuparti” mi rassicurò lui, ancora imbarazzato. Sembrava così giovane. Non avevo difficoltà a capire come fosse riuscito a mimetizzarsi nel panorama universitario, senza destare sospetti. Gli sorrisi, riconoscente.

“Light, non ti dispiace, vero, se te lo rubo due secondi?” chiesi, indicando Ryuzaki con il pollice. L’interessato mi fece segno di procedere, mentre si avvicinava al mio.. beh, guardiano mi sembrava l’unica espressione utilizzabile. Lasciai i due intenti a conversare amabilmente in giapponese, mentre mi trascinavo dietro niente poco di meno che il detective L. L’idolo di metà delle folle e il nemico dell’altra metà.

Solo che io non avevo intenzione né di ringraziarlo né di maledirlo. E neanche di fargli una sfuriata, nonostante ne avessi una voglia maledetta. Tanto per quello che sarebbe servita avrei benissimo potuto urlare a un muro. No, io avevo bisogno di un piccolo chiarimento. Avevo infatti visto alcuni gruppetti che si incamminavano fuori dall’università, parlottando tra loro e inviandoci  sguardi inequivocabili e ciò mi aveva riportato alla mente una questione irrisolta.

Mi fermai qualche metro più in là, lasciandogli il polso. Lui mi indirizzò un’occhiata che valeva a dire “Che c’è?”.

“ Ho rubato un paio di minuti del tuo prezioso tempo, per comunicarti che avevi ragione” gli spiegai, senza alcun preambolo. Dopo avermi osservata attentamente, Ryuzaki domandò, con tono leggermente incuriosito “In merito a che cosa, di preciso?”.

“In merito al fatto che la gente nota molti particolari ” ribattei immediatamente, perché avevo già esaurito la mia dose di pazienza quotidiana “Per esempio il fatto che viaggiamo con la stessa macchina o che abbiamo spesso qualcosa di cui discutere” e ci indicai con la mano “Sai com’è, loro fanno due più due” sottolineai per chiarire il concetto, in definitiva.

Lui continuò a fissarmi come se non capisse, anche se sapevo che era più che conscio della situazione. Oh basta, dannazione, pensai esasperata.

“ Credono che usciamo insieme!” chiarii. Ryuzaki, lungi dall’essere turbato dalle mie parole, fece fronte alla mia preoccupazione, nell’ultimo modo che avrei creduto possibile.

“ Beh, se ti da così fastidio, dì loro che sei mia cugina” suggerì, scimmiottando la mia reazione del giorno precedente. Ovviamente, utilizzò un tono ironico molto più sottile di quello che avrebbe fatto chiunque altro. Una battuta raffinata. Se si superava lo shock di sentirlo pronunciarne  una, veniva davvero voglia di fargli una linguaccia.

Ma per mantenermi sul suo stesso livello, commentai, sarcastica “Davvero utile”.

“La spiegazione più semplice è la migliore” mi illuminò allora, tornando al vecchio registro serio e composto. Oh, grazie, ora sì che sapevo come comportarmi!

“Aspetta” lo richiamai, visto che stava per andarsene. Per tutta risposta, si voltò parzialmente verso di me.

“ Quindi ti va bene la versione secondo cui stiamo insieme?” domandai, non del tutto convinta. Forse era la cosa più semplice per lui, che di certo non sarebbe stato subissato di domande e insinuazioni. Per me era un altro paio di maniche. Tuttavia, mi sarei attenuta alle istruzioni, evitando di metterci nei guai. Aspettavo solo la sua deliberazione.

Ryuzaki mi fissò intensamente, in un modo strano. Per qualche secondo mi lasciò interdetta, catturando il mio sguardo e tutta la mia attenzione.

“ Non vedo perché dovrei avere problemi” mormorò infine, liberandomi dal magnetismo dei suoi occhi. Poi si voltò, aggiungendo “Ci vediamo in albergo, nel pomeriggio”.

“Okay” dissi, ancora un po’ turbata. Lo osservai incamminarsi in silenzio, le mani in tasca, leggermente ingobbito.

Quel ragazzo ha qualcosa di speciale, realizzai. E la sua intelligenza non c’entrava nulla. Cercai di capire cosa fosse, mentre mi univo alla folla di studenti che si dirigevano verso la porta principale.

Ma la verità era che non si trattava di una particolare caratteristica.

Era come mi faceva sentire, ad essere speciale.
 
 



L’angolo dell’autrice
E voilà un nuovo lunghissimo capitolo.
Dunque, innanzitutto, perdonatemi per l’attesa, ma scriverlo non è stato per nulla facile. Ancora non mi convince del tutto, quindi spero che mi direte cosa ne pensate.
Ringrazio come sempre tutte le persone che mi seguono.
Un bacio, lelle31

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Fantasmi del passato ***


 
12 marzo 2007

POV SELENA
 
Dormivo in santa pace, probabilmente il sonno più profondo e riposante di tutta la mia vita, quando lo sentii.

Un brivido.

No, non un brivido. Non esattamente.

Una sensazione. Improvvisa e tagliente come un soffio d’aria gelida alla base del collo, mi aveva ridestata alla velocità della luce.

Qualche secondo dopo, ero in piedi, tesa e pronta a scattare al minimo segno di pericolo. Ispezionai la stanza con lo sguardo, rammaricandomi di non aver portato con me una mazza da baseball o un qualsivoglia oggetto contundente da usare in casi come quello. Tuttavia, a dispetto delle mie preoccupazioni, nulla si mosse.

Il buio e il silenzio regnavano sovrani nella lussuosa suite dell’hotel a cinque stelle in cui ci eravamo trasferiti, tanto che se non fosse stato per il mio respiro accelerato, avrei stentato a credere che fosse presente una qualunque forma di vita. Lentamente, cercai di riprendere il controllo, convincendomi che Ryuzaki non avrebbe mai permesso a un malintenzionato di avvicinarsi al suo quartier generale. Dopotutto, se nessuno era ancora riuscito a scoprire chi fosse e il luogo in cui si trovava, doveva esserci un motivo!

Ma, nonostante la fiducia che mi ispiravano quelle considerazioni, la mia ansia non accennò a diminuire. Anzi, la stessa sensazione che mi aveva fatto letteralmente saltare giù dal letto qualche istante prima, continuava a martellarmi nella testa come un fastidioso allarme antifurto.

Sembrava volesse dirmi: Allora, cretina, l’hai capito o no che sta succedendo qualcosa? Per quanto tempo ancora pensi di rimanere lì impalata? E più trascorrevano i secondi, più quell’assurdo senso di panico si intensificava. Spinta da una forza che non pareva provenire da dentro di me, attraversai di fretta il salotto, spalancai la portafinestra nascosta dalle tende gialle e mi ritrovai ansimante sul balcone.

Il cuore mi batteva all’impazzata, avevo la nausea e la testa stava per scoppiarmi. Tentai inutilmente di calmarmi, di dare una spiegazione razionale a ciò che stava accadendo, ma sembrava che nulla potesse domare quella marea emotiva. Quando, infine, percepii di essere sul punto di svenire o, in alternativa, di vomitare l’anima, tutta l’angoscia scomparve. Senza alcun preavviso, così com’era venuta.

Dovetti subito aggrapparmi al davanzale, perché le gambe, che tremavano con violenza per il rilascio della tensione, erano momentaneamente fuori uso. Cercavo, fra me e me, tracce di un qualunque sentimento legato alla paura, residuo dell’emozione che stavo sfogando all’esterno. Ma non ebbi fortuna.

Esaminai allora le ragioni che potevano avermi scatenato una tale reazione. Nulla, anche in questo caso.

Niente incubi, niente che mi avesse materialmente spaventata, niente di riconducibile a fatti che potessero agitarmi. Solo l’inquietante certezza che qualcosa di brutto era quasi successo da qualche parte quella notte. Quasi, perché con la stessa sconcertante sicurezza sapevo che c’era stato un lieto fine. Ad un alto prezzo da pagare, però.

La mia sanità mentale, forse? mi chiesi ironicamente, per spezzare il turbamento che sentivo nascere dentro di me. Non ero pronta ad affrontarlo in quel momento. Non dopo il tornado che mi aveva appena scossa. Ma era semplicemente troppo forte da arginare. Dopo averci combattuto per un po’, mi presi la testa fra le mani, preda della confusione.

Avrei dovuto aspettarmelo. Prima o poi era destino che succedesse, anche se avevo sempre sperato che si verificasse più poi che prima. E invece stava accadendo ora.

Stavo impazzendo, in quell’esatto istante, lontana da casa, privata della mia libertà e del tutto impotente. Stavo impazzendo come era impazzito mio padre, il mio vero padre, prima che lo facessero fuori. Il miscuglio di emozioni che provavo, si trasformò in disperazione. Non volevo passare il resto dei miei giorni in un ospedale psichiatrico insieme a gente che urlava tutto il giorno contro persone che non c’erano o che viveva nel proprio mondo, lontano dalla realtà.

Non volevo farlo per moltissime ragioni, ma specialmente a causa di una di esse. La stessa piccola motivazione che aveva evitato anche al mio padre biologico quel triste fato.

Ed era che nessuno dei due si era mai sbagliato. Non una delle nostre “sensazioni” si era mai manifestata a vuoto. Non era solo nella nostra mente. Era qualcosa  di vero che noi percepivamo e quasi tutti gli altri … no.

Ciò mi rassicurava e terrorizzava al tempo stesso. Mi rassicurava perché significava che in fondo non ero pazza. E mi terrorizzava perché ammettere che ero davvero in grado di … beh, sentire quello che alle volte sentivo, voleva dire ammettere che non ero normale. Per questo avevo sempre cercato di negarlo, persino con me stessa.

All’inizio era stato facile, in quanto era raro che capitasse. Ma con l’adolescenza, il fenomeno si era intensificato, fino a raggiungere vette preoccupanti quando avevo compiuto sedici anni. Poi c’era stato l’incidente, che con tutto il dolore e il male che aveva causato, aveva anche avuto il potere di arrestare quella mia insolita dote.

E ora che, dopo tre anni di semi-tranquillità, venivo in Giappone per ricominciare, per ritrovare fiducia in me stessa, per capire che direzione dovesse prendere la mia vita, non facevano che susseguirsi una quantità di stranezze tali da riattivare i miei “sensori” personali. Davvero una bella fregatura. Ancora una volta mi complimentai con me stessa per aver lasciato L.A. Una scelta assolutamente azzeccata.

Improvvisamente decisi che uscire  era stata un’idiozia e sentii il bisogno crescente di sfogare la frustrazione sull’antistress che tenevo sul comodino accanto al letto. Voltandomi con l’intenzione di rientrare e raggiungere a passo di carica la mia stanza, indugiai un momento sul terrazzo buio. E fu così che lo notai.

“ Santo cielo!” urlai per la sorpresa e lo spavento. Nascosto dalle ombre dell’angolo più oscuro del balcone, Ryuzaki mi esaminava con cautela. Era seduto su una sdraio nella sua consueta posizione, apparentemente rilassato, ma pronto allo stesso tempo ad intervenire non appena se ne fosse presentata la necessità.

“Che cosa stai facendo?” domandai  non senza una certa irritazione, per essere stata colta in un momento di debolezza. Speravo ardentemente che non avesse assistito all’intera scena. In quel caso, mi sarei volentieri seppellita.

“Rifletto” rispose in un tono molto più calmo di quanto avessi previsto. Aveva spostato gli occhi scuri sulla luna piena, poco sopra di noi. Eravamo infatti al terzultimo piano di un altissimo grattacielo e sembrava quasi di poter fisicamente toccare le stelle. In quel momento però io mi stavo fissando le ciabatte rosa pelose, colta da un gigantesco imbarazzo.

“Da quanto sei qui?” sussurrai, stentando io stessa a sentirmi. Ero sicura che le mie guance avessero assunto una tonalità ancora più accesa di quella delle pantofole che indossavo.

“Da un po’” ammise lui incurante, continuando a guardare il panorama intorno a noi “Sembrava una notte troppo bella, per passarla al chiuso”. Seguii il suo sguardo, accorgendomi che aveva perfettamente ragione.

Il cielo, terso e luminoso come non lo avevo mai visto, offriva uno spettacolo mozzafiato. Brillava quasi più della città, animata dal traffico e dalle discoteche, molti metri più sotto. E la leggera brezza, senza dubbio fresca ma del tutto sopportabile, rendeva il tutto piacevole e rilassante.

“Sì, sono d’accordo” lo appoggiai, persa nella contemplazione degli astri. “Ti dispiace se mi unisco a te?” aggiunsi, poi, rendendomi conto che non avevo alcuna voglia di tornare a letto.

“Fai pure” concesse tranquillo, prima di sorseggiare quello che supposi essere caffè ultra zuccherato. Altrimenti detto la sua bevanda preferita. E guai se c’erano meno di dodici zollette di zucchero in mezzo! Sorrisi, mentre recuperavo la giacca, una coperta pesante e infine prendevo posto sull’altra sdraio.

Mi stesi il più comodamente possibile, respirando in maniera profonda. Ben presto fui gratificata da un confortante senso di pace e serenità. La tempesta interiore di poco prima sembrava essersi finalmente placata. Tuttavia, c’era qualcosa che mi turbava e non volevo lasciare che quel qualcosa rovinasse un momento così paradisiaco.

Mi girai in direzione di Ryuzaki,  ancora apparentemente concentrato sulle meraviglie del paesaggio notturno.  Emanava un senso di pacata tristezza talmente forte da farmi venire voglia di stringergli forte la mano in segno di supporto.

Invece, senza rendermene conto del tutto, sputai fuori il mio dubbio amletico “Tu pensi che io sia pazza?”.
 
 
POV L


“Tu pensi che io sia pazza?” domandò all’improvviso.

Mi voltai verso di lei, per verificare che non stesse scherzando. Era serissima, e anche se teneva lo sguardo accuratamente alla larga dal mio, capii che la mia opinione le importava davvero.

Valutai attentamente la situazione. Non ero certo che esporle la mia opinione nei suoi riguardi fosse un bene.

In primo luogo perché, per quanto mi apparisse improbabile ormai che lei avesse una qualsiasi collegamento con Kira, non avevo abbastanza prove per scagionarla del tutto. E raccontare a un sospettato l’esatta idea che si ha di lui non era, salvo in casi particolari,  considerata una mossa furba.

In seconda istanza, dovevo purtroppo ammettere che da quando avevo conosciuto Selena, avevo anche  lasciato entrare nella mia vita un’emozione che non amavo per niente, in quanto offuscava i miei ragionamenti: la preoccupazione. Ero preoccupato che lei si lasciasse sfuggire qualcosa sul mio conto con i suoi amici, ero preoccupato che con il suo temperamento riuscisse a mandare all’aria le indagini e, ultimo ma non per importanza, ero preoccupato nei confronti della sua stessa incolumità.

Quando poco prima l’avevo vista precipitarsi in quel modo sul balcone, c’era stato un momento in cui avevo seriamente creduto che si sarebbe buttata. E in quello stesso momento tutto il mio autocontrollo, i miei schemi, le mie provvidenziali facoltà intellettive erano andati a farsi benedire. Ero pronto a trascinarla in salvo, non appena si fosse sporta un po’ più del dovuto. 

Avrei usato qualunque mezzo per impedirle di compiere un gesto così grave e irreversibile. Ed era decisamente meglio non farle sapere che non c’entrava nulla il fatto che lo ritenessi sbagliato per principio. 

Infine, volevo evitare di innescare una scenata delle sue, visto che l’ultima volta mi ero trovato a dover schivare oggetti volanti. Tenendo conto di questi tre punti, selezionai precisamente le mie parole. “Qualche volta ti fai prendere dall’impulsività e agisci in maniera irrazionale” dissi “Ma non penso che tu sia pazza”.

La vidi annuire tra sé e sé, palesemente sollevata. “ Ti ho proprio mostrato il lato peggiore, eh?” aggiunse con un sorriso amaro, gli occhi castano chiaro che scintillavano nell’oscurità.  

Continuai a fissarli finché non spostò lo sguardo. “Mi dispiace” sospirò, contrita “Ti avevo promesso che sarei stata brava. Invece mi sto comportando come una stupida”.

“Capisco che per te possa essere stressante vivere qui” la rassicurai, trangugiando un altro sorso di caffè.

“Come se fosse una giustificazione” commentò secca. Sembrava arrabbiata con se stessa per qualche ragione. Prima che potessi anche solo iniziare a fare qualche supposizione, però, il suo atteggiamento cambiò radicalmente.

Si raddrizzò sulla sdraio e con rinnovata decisione, disse “Facciamo un patto”. Ebbe subito la mia totale attenzione.

“Io la pianto una volta per tutte di fare la bambina viziata e tu smetti di pianificare la mia vita alle mie spalle. Anche io capisco benissimo che non sei abituato a convivere con qualcuno, ma visto che adesso le cose sono cambiate, non puoi continuare a prendere decisioni come se ci fossi solo tu. Non pretendo di avere voce in capitolo quando si tratta delle indagini, perché quelle non sono affari miei. Ma la prossima volta che vuoi farci alloggiare al ventisettesimo piano, potresti almeno informarti se io abbia o meno problemi con gli ascensori” e mi lanciò un’occhiata eloquente.

Sapevo che prima o poi me lo avrebbe rinfacciato dal momento in cui si era resa conto che eravamo davvero troppo in alto perché un essere umano sperasse di salire usando le scale. Dopo quella scoperta, già indignata a causa del fatto che non le avevo comunicato del cambio di albergo, non mi aveva rivolto la parola per quattro giorni e scommetto che avrebbe continuato così, se non avessi commesso il grosso errore di prendere un po’ del suo shampoo.

A quel punto, dire che erano venuti giù i muri, era dire poco. E, per quanto vederla infuriata fosse stata un’esperienza interessante a parecchi livelli, non ero ansioso di ripeterla. Inoltre, ero consapevole che in fondo aveva ragione.

“Ci proverò” promisi, alla fine, stringendo la mano che mi porgeva. “Affare fatto” decretò lei, sorridente.

Poi si stese di nuovo, sistemandosi la coperta. “Ricordati che domani ho in programma una sessione di shopping con le ragazze” mi avvertì, prima di sbadigliare sonoramente.

Ah, già.

Una delle sue amiche era arrivata a chiedere persino a me di partecipare. Selena le aveva rifilato un’occhiataccia da far venire i brividi. Doveva essere la stessa ragazza che le avevo sentito definire “stronza ficcanaso e invasata”, al telefono con sua sorella Kate. La cosa mi aveva incuriosito.

Non l’avevo mai vista direttamente interagire con altre persone che non fossero gli agenti del quartier generale.  Così mi era venuta un’idea che avrebbe quasi di sicuro riacceso i dissapori tra di noi. Forse, in ragione dell’accordo che avevamo appena stretto, avrei dovuto avvertirla.

Tuttavia, quando mi voltai verso di lei, notai che il suo respiro era diventato lento e regolare e che aveva gli chiuso gli occhi. Si era addormentata. La osservai per un po’, cercando di capire come mai il suo sonno fosse di solito così agitato. Appariva   più che rilassata in quel momento.

Talmente tanto che quando fu troppo freddo per restare fuori, la sollevai delicatamente dalla branda e la portai a letto. Mentre mi chiudevo la porta della sua stanza alle spalle, mi parve quasi di sentirla mormorare un “grazie”.

L’istante successivo però era già di nuovo incosciente.
 

^^^^^^^^^
 
 
POV SELENA

“Allora come va con il tuo ragazzo?” mi chiese Tomoko, approfittando del mio primo momento di distrazione.

Quella pazza ci aveva trascinate in giro per ben quattro centri commerciali e visto che alla fine, colta da apparente pietà, ci aveva permesso di fermarci in un bar a far rifornimento di zuccheri, credevo che mi fosse concesso di abbassare la guardia e abbandonarmi alla stanchezza, almeno per un po’. Evidentemente mi ero sbagliata.

“Bene” risposi in tono neutro, reprimendo a stento un’occhiataccia. Ultimamente non facevo che fulminare la gente e avevo paura che se fossi andata avanti così mi sarebbe venuta un’orribile ruga d’espressione sulla fronte o in mezzo agli occhi. Il fatto poi che non riuscissi a dormire più di cinque ore filate per notte, non aiutava di certo.

Quella considerazione mi fece tornare in mente la mia conversazione con Ryuzaki e lo strano modo in cui mi aveva guardata appena prima che uscissi dalla suite. Non ero proprio riuscita ad interpretarla. Sembrava quasi che si sentisse … in colpa.

Per cosa non lo sapevo, ma speravo ardentemente che non mi facesse saltare i nervi un’altra volta, visto che gli avevo promesso di smetterla di comportarmi in maniera infantile.

E lanciargli addosso tutti i prodotti da bagno che ero stata in grado di trovare prima che mi tornasse la ragione, come l’ultima volta in cui mi ero arrabbiata con lui, rientrava esattamente nella categoria delle azioni immature. Anche se era un ottimo modo per sfogare lo stress.

“Stai pensando a lui, non è vero?” continuò Tomoko, sorridendo comprensiva “Siete così carini! Diglielo anche tu, Roxy” aggiunse, voltandosi verso la diretta interessata, che sollevò lo sguardo decisamente poco contenta .

Sapevo che odiava che quel soprannome, ma sopportare Tomoko  significava avere davvero molta pazienza, quindi per il momento non si era mai lamentata. Non in maniera verbale almeno.

Quando notò la mia espressione esasperata, alzò gli occhi al cielo e disse “Ma certo, Tomoko. A proposito, per che ora pensavi di riportarci a casa?”.

“Mmm, non saprei … Voi quando vorreste tornare?” domandò lei, momentaneamente distratta dalla sua morbosa curiosità nei confronti della mia vita amorosa.

“Grazie” sillabai in italiano a Rossella, cercando di infondere in quel sussurro tutta la mia riconoscenza. Lei mi sorrise complice, mentre Margaret dichiarava che aveva ospiti a cena e doveva assolutamente tornare prima delle sette.

“Okay … beh, allora tra una mezz’oretta andiamo” decise Tomoko, cercando le chiavi della Toyota Vitz- meglio conosciuta come Yaris- nella borsetta. Quel pomeriggio aveva annunciato di averle perse già due volte, facendoci prendere due colpi inutili, poiché le era bastato frugarsi un po’ meglio nelle tasche della giacca per ritrovarle.

Da quel momento l’avevamo convinta a tenerle nella borsetta, dove regnava un ordine quasi maniacale. L’esatto contrario della mia.

Appena si fu sincerata che fosse tutto a posto, Tomoko tornò a concentrarsi sulla sottoscritta, con una luce che conoscevo ormai fin troppo bene negli occhi neri. Ti prego, non di nuovo, la scongiurai mentalmente. Ovviamente non servì a un emerito cazzo.

“Selena sei sicura di non volere un passaggio anche tu?” chiese, tornando al solito tono pettegolo “So che hai detto che ti vengono a prendere, ma non c’è affatto bisogno che qualcuno si scomodi, quando posso fare io il giro”.

Avrei voluto accettare. Non tanto perché ci tenessi a dargliela vinta o a sottopormi un’altra volta al supplizio della sua guida folle, ma perché se mi avessero vista salire in macchina con Matsuda, chissà cosa avrebbero pensato.

Normalmente me ne sarei infischiata, ma data la situazione delicata e la tendenza al gossip di Tomoko, sarebbe stato meglio non rischiare. Tuttavia, se l’alternativa fosse stata portarle troppo vicine al quartier generale, allora sapevo di non avere scelta.

“Non preoccuparti” la rassicurai “ Al mio ragazzo o a chi per lui non dispiace affatto portarmi a casa”.

Dopotutto ci avevano visti arrivare con l’autista un sacco di volte, quindi, nonostante sembrasse un’affermazione da sfruttatrice del fidanzato ricco, ciò non toglieva che la storia reggesse. E forse avrebbe anche giustificato la presenza di Matsuda. Certe volte ero proprio geniale.

“ Che dolce” commentò lei, irritandomi ancora di più “ Se si prende così cura di te, vuol dire che è decisamente innamorato …”.

“Devo andare in bagno” la interruppe Margaret “Non è che potresti accompagnarmi, Tomoko?”.

“Ehm …. Sì, certo” rispose lei a malincuore, alzandosi. Quando furono rientrate all’interno del bar, Rossella si lasciò sfuggire un lungo sospiro.

“Sinceramente non so cosa farei senza te e Maggie” le dissi, pensando che ero già stata salvata in corner due volte nel giro di dieci minuti.

“Nessun problema” mi assicurò, sorridendo “Le amiche servono a questo”.

Il fatto che mi considerasse sua amica dopo così poco tempo mi fece molto piacere, perché io tendevo ad affezionarmi in fretta alle persone e non ero mai sicura che loro ricambiassero altrettanto velocemente. D’altra parte, come era saltato fuori nell’ultimo mese, io e Rossella avevamo tanto in comune.

A entrambe piacevano la musica, la letteratura, i viaggi e le lingue straniere, l’astrologia. Ci trovavamo d’accordo nel ritenere squallido infilarsi nel letto di un ragazzo al primo appuntamento, ubriacarsi fino a non riuscire a stare in piedi e comprare al mercato l’intimo per le occasioni speciali. Non sopportavamo, allo stesso modo, la gente troppo puritana, chi era convinto di avere un ruolo preponderante negli affari degli altri e le ragazze che andavano in giro con metà perizoma in vista.

Eravamo fatte per incontrarci, praticamente. E anche se lei era più avventurosa, dedita al dovere e  determinata di me, riuscivamo comunque ad intenderci benissimo. Talmente tanto che quando l’avevo vista comprare un romanzo fitto di incomprensibili ideogrammi, un’idea era sorta spontaneamente nella mia diabolica testolina. Decisi che quello era il momento adatto per esporgliela.

“ Io, insegnarti il giapponese?” domandò allibita, dopo che l’ebbi messa a parte del mio ingegnoso progetto “Non prenderla nel modo sbagliato, non è che non mi piacerebbe farlo, però io ho solo seguito un corso serale. Credo che dovresti rivolgerti a un insegnante madrelingua per avere dei risultati ottimali. Le mie conoscenze sono limitate”.

“Sai quello che basta” protestai immediatamente “Ti ho sentita oggi  mentre chiedevi informazioni alle commesse e quando traducevi per me e  Margaret. Saresti in grado di vivere qui, da sola e senza mai usare l’inglese per farti capire, se volessi. E poi io mi fido di te. So che farai un lavoro spettacolare e se ci dovessimo rendere conto che vogliamo migliorare ancora, frequenteremmo insieme un altro corso, che naturalmente pagherei io” aggiunsi un’implorante faccia da cucciolo alla proposta, sperando che servisse a convincerla.

Rise di fronte a quell’espressione, ma non  sembrò neanche scartare a priori l’offerta. Incrociai le dita.

“Il piano è allettante” ammise infine “ Ma devi promettermi fin da adesso che se dovessi imparare da me qualche pronuncia sbagliata o dei significati non esattamente corretti, io non sarei incolpata di nulla. A questa condizione, penso di poter accettare”.

“SIIII’” strillai di gioia, facendo girare un sacco di persone, che d’altronde non potevano comprendere un accidenti della nostra conversazione in italiano. E’ così che ci si sente a sentirvi parlare, avrei voluto dire a tutti loro, ma ero troppo occupata a festeggiare “Grazie! Grazie! Grazie! Non sai che piacere mi fai” continuai, stritolandola in un abbraccio “ La prossima settimana ti porto a comprare un paio di scarpe costosissime, ti va?”.      

“ Cavolo, non abbiamo ancora cominciato e già cerchi di corrompere la maestra?” scherzò, fintamente inorridita.

“Colpevole, Vostro Onore” scherzai a mia volta  con una certa teatralità, facendole l’occhiolino. Scoppiamo entrambe a ridere fragorosamente, ma fummo interrotte quasi subito dallo squillo del cellulare di Rossella.

“E’ il mio ragazzo” mi comunicò, alzandosi e schiacciando il tasto di risposta .“Amore”  la sentii salutarlo, mentre si allontanava un po’ per sfuggire al chiasso del centro commerciale.

 “… E ne rimase una” mormorai tra me e me. Mi ritrovai a chiedermi dove si fosse appostato Matsuda, perché piuttosto che starmene lì da sola a deprimermi in mezzo alle coppiette sedute ai tavolini o che si tenevano per mano davanti alle vetrine, sarei volentieri andata a fargli un salutino.

D’altra parte, non potevo neanche abbandonare la mia posizione, dal momento che le ragazze avevano pensato bene di abbandonare quanto avevano con sé alle mie responsabili cure, finché non fossero tornate. Cosa che pareva sempre più lontana dal verificarsi ad ogni secondo che passava. Sbuffai, annoiata. Se almeno mi fossi portata lo smalto, avrei potuto farmi le unghie nell’attesa. Per non cadere nella completa inattività, iniziai ad osservare attentamente le borse a cui dovevo badare. Mi serviva, infatti, un’ispirazione per il regalo di compleanno da fare a mia sorella, che era una vera patita degli accessori, dunque ne approfittai.

Tomoko possedeva una piccola Denny Rose rossa della quale andava molto fiera, Rossella invece aveva optato per una classica ma intramontabile Louis Vuitton e infine Margaret si era aggiudicata il pezzo che più mi interessava: una splendida Liu Jo marrone chiaro. Mentre la guardavo, un lato della borsa si illuminò e vibrò.

Evidentemente, tra le ricche reliquie che avevo il compito di sorvegliare, figuravano pure i cellulari. Ma perché non mi avevano lasciato anche una collana di diamanti già che c’erano?

Un po’ indispettita, feci una cosa meschina e poco educata. Sapevo che era sbagliato e che se lo avessero fatto a me, mi sarei incazzata moltissimo, ma la curiosità e la leggera indignazione ebbero la meglio.

Tirai fuori il telefono di Margaret e lessi il messaggio appena ricevuto. Non appena ebbi assorbito le poche parole che recava, mi si gelò il sangue nelle vene. Letteralmente.

Per un intero secondo il mondo intorno a me sembrò arrestarsi. I rumori si annullarono e ovunque posassi gli occhi, tutto appariva come una confusa e indistinta macchia di colori. L’unica cosa che riuscivo a mettere a fuoco, era quella frase.

Poi, un dolore sordo mi attraversò, mozzandomi il respiro e riportandomi alla realtà. Il caos dello shopping del sabato pomeriggio mi giunse alle orecchie con violenza inaudita e i contorni degli oggetti apparvero più definiti del normale.

Le mani tremanti, avevano lasciato cadere il cellulare, ancora nella pagina di posta ricevuta, sul tavolo. Mi asciugai due lunghe e silenziose lacrime, sgorgate prima che potessi fermarle.

A quel punto, chiusi gli occhi, cercando di riprendere il controllo. Forse mi ero sbagliata. Magari avevo semplicemente capito male. Scorsi di nuovo il messaggio. Il testo si stagliava minaccioso e sprezzante, sullo sfondo bianco:

Continua così. Deve pagare per quello che ha fatto a Christopher.

Difficile, quasi impossibile da equivocare.

Improvvisamente fui colmata da una rabbia cieca e feroce. Perché? , mi chiesi, serrando i pugni. Non avevo già sofferto abbastanza? Quella tragedia doveva perseguitarmi per sempre? Dovunque andassi e qualunque cosa facessi?

E se l’sms non si riferisse a te? si domandò la mia parte razionale, rispuntando dal nulla.  Era una possibilità.

Ma c’erano fin troppe coincidenze, perché potessi soffermarmi anche solo un secondo su quella fievole speranza.

No, la verità era che Margaret mi aveva mentito. Mi aveva ingannata. Non era gentile con me perché mi riteneva simpatica. Era gentile con me perché voleva ferirmi. Lei e qualcun altro che non mi era dato di conoscere. Sorrisi, amareggiata. Quel qualcuno, chiunque fosse, non aveva neanche le palle di presentarsi davanti a me di persona, e nonostante questo, credeva di avere il diritto di giudicarmi.  

Non so nemmeno quante volte avevo desiderato nascondermi in un luogo remoto e inaccessibile al genere umano, dopo la morte di Chris. All’improvviso ero passata dall’essere la ragazza miracolosamente sopravvissuta, a quella sgualdrina che aveva rovinato la vita del suo fidanzato, a tal punto da costringerlo a suicidarsi. E non contenta, aveva pure deciso di tornare nel mondo dei vivi, proprio nel momento in cui lui sperava di raggiungerla nella terra dei morti.

Ironico, per molti. Una terribile coincidenza, per altri. La più tremenda e angosciante esperienza mai provata, per me.

Ma a chi diavolo importava quello che sentivo io, quando avevano qualcosa di nuovo su cui speculare per riempire il noioso vuoto nella loro esistenza? Sarei voluta sparire, lo ricordavo bene.

Adesso però era molto diverso. Non tanto per le emozioni che mi attraversavano, che non erano cambiate poi molto. Ma perché lo stesso dolore, l’ira, la confusione, mi avevano resa più forte, dopo avermi schiacciata. Non mi sentivo più come se avessi una colpa da espiare nei confronti della società, nei confronti di Chris.

Al momento, ero consapevole che se qualcuno cercava intenzionalmente di rovinare la mia vita, non dovevo sopportare e basta. Potevo affrontarlo apertamente e costringerlo a lasciarmi in pace. Ecco cosa avrei fatto.

Mi alzai in piedi, sulla spinta di quella rivelazione. Non appena avessi beccato Margaret da sola, la avrei convinta a fermare subito qualunque azione malevola stesse tramando nei miei confronti. Dopotutto, avevo dalla mia parte, oltre alle conoscenze di mio padre, un certo numero di poliziotti e un brillante detective. Non mi sarei lasciata spaventare e ferire di nuovo.

Con quella infusione di potenza e coraggio, iniziai a sentirmi meglio. Tornai allora, a concentrarmi su ciò che mi accadeva intorno,  e fu così che udii una persona alle mie spalle, rivolgersi a me con voce aspra e concitata. Chiaramente non compresi il significato di ciò che stava sbraitando – l’avevo già detto che non vedevo l’ora di cominciare le lezioni di giapponese? - , ma il tono non mi piacque affatto.

Mi voltai con l’intenzione di mandarlo a quel paese, in ogni lingua che conoscevo, finché non mi avesse capita.

E per la seconda volta in meno di due mesi, mi trovai una pistola puntata contro.  
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autrice
 
Prima di tutto, mi scuso moltissimo per il ritardo. Tra le feste e gli esami da preparare, non ho avuto praticamente un secondo libero fino a una settimana fa. Da allora, mi sono impegnata a trasformare la bozza che avevo preparato, in un lunghissimo e (spero) appassionante capitolo.

Ho voluto finalmente iniziare a chiarire perché Selena è così, diciamo, “ricettiva”. Dopotutto l’anime tratta di una storia già di per sé sovrannaturale e per inserire un personaggio senza che venisse messo in ombra dal contesto, mi è sembrato giusto renderlo, o meglio renderla, un po’ più particolare della media.

Per chi conosce la cronologia di Death Note, non c’è bisogno di spiegare cosa è accaduto il 12 marzo 2007, e per chi non la conosce, consiglio di non andare a sbirciare, primo perché ovviamente più avanti verrà fuori, e secondo perché rimanere nel dubbio, immaginando tutti gli scenari possibili è il piccolo compito che un buon lettore deve svolgere per permettere all’autore di stupirlo, secondo me. E poi mi piace tenervi in sospeso, lo ammettoJ

Ho fatto passare parecchio tempo nella storia dagli altri capitoli, visto che mi sembrava avanzasse un po’ troppo lentamente. Il bello comincia tra poco e ho deciso che era meglio avvicinarvisi il più possibile.

Non mi sembra ci sia nessun’altra info vitale da comunicare, per cui chiudo la parentesi, ringraziando come sempre tutti i miei lettori vecchi e nuovi e chiedendo a chi ne ha voglia di darmi la propria opinione sulla storia.

Un enorme abbraccio, lelle31
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Colpi di scena ***


 SELENA POV


Grandioso, fu l’unico pensiero imbevuto di sarcasmo che riuscii ad elaborare, immobilizzata tra le braccia di un uomo robusto, con la pistola che premeva sulla mia tempia destra. Deve essere proprio un vizio allora, aggiunsi dentro di me, nello stesso tono, cercando di non perdere la calma.

Un silenzio innaturale era sceso sull’intero centro commerciale, tanto che si poteva distintamente sentire la canzone Unfaithful  di Rihanna trasmessa da un canale musicale nel negozio di elettrodomestici al primo piano.

Tutte le persone, impegnate fino a poco tempo prima a tentare di finire le commissioni nonostante il sovraffollamento, a sovrastare il caos per farsi sentire dal vicino o più semplicemente sedute sul bordo della grande fontana al centro dell’atrio a scrivere con il portatile o a leggere una rivista, tutte loro, si erano bloccate nella posizione in cui si trovavano quando il rapinatore aveva preso una ragazza indifesa come ostaggio contro il contingente di poliziotti che lo inseguivano. E tutte aspettavano con ansia lo sviluppo degli eventi, che sembravano temporaneamente in stasi.

Era il momento giusto per sfoderare una di quelle utilissime tecniche di autodifesa che mi ero tanto impegnata a imparare e lasciare quel bastardo nelle mani degli agenti. Peccato che non riuscissi in nessun modo a muovermi. Provai disperatamente a scrollarmelo di dosso, ma più mi dimenavo, più lui faceva aderire la canna della pistola alla mia testa.

“Datti una calmata, ragazzina!” sussurrò tutto a un tratto al mio orecchio, in un inglese a mala pena comprensibile. Visto che avevo avuto la fortuna di incontrare un delinquente istruito, non mi lamentai, anche se mi ci volle davvero molto sforzo per dare un senso alle parole che seguirono “ Non voglio farti del male. Ho solo bisogno di arrivare alla mia macchina, dopodiché sarai libera come l’aria” promise.

Credergli sembrava folle, ma io sapevo che era sincero. Da quando la sua ex moglie era venuta a trovarlo in prigione, per informarlo che alla loro figlia malata di cancro restava ormai  poco da vivere , non aveva desiderato altro che vederla un’ultima volta. Due notti prima, colto da un terribile presentimento, aveva messo in atto il piano di evasione lungamente progettato,  facendo poi perdere con ammirevole abilità le proprie tracce. Tuttavia, sapeva bene che la polizia non ci avrebbe messo molto a riacciuffarlo, quindi doveva agire il più in fretta possibile.

Gli serviva un travestimento per introdursi nell’ospedale in cui la sua piccola Akemi era ricoverata, ma essendo a corto di denaro, non aveva potuto fare altro che sgraffignare qualche indumento, una cuffia e degli occhiali da sole da un negozio di abbigliamento. E proprio mentre iniziava a sentire che sarebbe riuscito a portare a termine la sua impresa, quel maledetto allarme antitaccheggio si era messo a suonare e in un attimo aveva avuto gli sbirri alle calcagna. Se solo fosse stato più attento, non avrebbe perso tempo prezioso da passare con sua figlia, le cui condizioni peggioravano con il passare delle ore. Non avrebbe potuto sopportare di perdere la sua ultima occasione per dirle che le voleva bene, che gli dispiaceva di essere stato un padre così assente, un orribile modello e che se fosse potuto tornare indietro non avrebbe mai ripetuto le cattive azioni che lo avevano condotto alla rovina.

Il suo unico desiderio era che Akemi lo perdonasse …

Okay, stop! mi ingiunsi, costernata, La gita nei pensieri privati di questo criminale termina qui.

Ero sotto shock. Una cosa del genere non mi capitava dal secondo anno delle superiori, e lì, almeno, avevo potuto auto convincermi che si trattava soltanto di semplici intuizioni dovute al mio spirito di osservazione e alla mia sensibilità nei confronti delle persone. Dopotutto, quando qualcuno prova una forte emozione o pensa ossessivamente a qualcosa, non è raro che si riesca a comprendere le sue sensazioni  e la loro fonte.  Specialmente se quel qualcuno è un tuo compagno di scuola.

Ma  questo caso non era in alcun modo comparabile a quelli precedenti. Io, quell’uomo non l’avevo mai visto prima. Non conoscevo i suoi comportamenti abituali, non avevo idea di quale fosse il suo carattere, non potevo neanche guardarlo negli occhi per capire cosa provasse!

Eppure, ancora una volta, avevo ricevuto informazioni di certezza ineluttabile, in maniere razionalmente inspiegabili. Combattei con quella consapevolezza per qualche istante, prima di ricordarmi che non era il momento di indulgere in riflessioni filosofiche.

Quel particolare problema si sarebbe pazientemente messo in coda, dopo la monumentale questione “ Devo o non devo lasciare che un detenuto mi usi per raggiungere la figlia moribonda senza fare storie, considerando che il suddetto detenuto ha comunque il potere di farmi saltare il cervello?”.

Sospirai. Solo io riuscivo a ficcarmi in quelle situazioni di merda ogni volta che svoltavo l’angolo. E questa volta le chance di sopravvivenza non erano obiettivamente molto alte.

Se solo Ryuzaki fosse qui!, pensai afflitta, mentre lasciavo vagare lo sguardo sull’ambiente circostante, alla ricerca di una via di fuga. Lui avrebbe certamente saputo cosa fare. Era molto più intelligente di me, di quel disperato delinquente che si era rimesso a tuonare ordini che non potevo capire e degli smidollati agenti che stavano infine posando le armi a terra.

Con gli occhi incollati a quella scena terrificante, nessuno si accorse di un ragazzo leggermente ricurvo che cercava di attirare la mia attenzione. Nessuno tranne la sottoscritta, che iniziò a ringraziare ogni entità sovrannaturale che conosceva per aver ascoltato la sua preghiera. Infatti, anche se, a causa di motivi noti solo a lui, aveva deciso di indossare un cappellino da baseball e la felpa della stessa squadra, riconobbi  Ryuzaki  senza esitazioni.

Appena si fu assicurato che lo stessi guardando, mi fece segno di abbassarmi. Non mi feci ripetere le istruzioni due volte. Né mi chiesi alcunché riguardo al suo piano. Di qualunque cosa si trattasse, avrebbe funzionato. La mia unica preoccupazione in quel momento, fu liberarmi dei due ostacoli che mi impedivano di svolgere la piccola mansione a me assegnata. E avevo già un’idea di come fare.

“Mi dispiace, Eisuke, non posso aiutarti” mormorai fredda e un po’ strafottente, in modo che solo l’uomo che mi teneva imprigionata potesse sentire “ Ci sono altri modi per incontrare Akemi”.

Quella frase, zeppa di informazioni che continuavano a scorrergli in testa, ma che io ovviamente non avrei dovuto sapere (come il suo nome per esempio), sortì l’effetto sperato.

“ C- come fai tu a …” cominciò a domandare, turbato, allentando la presa su di me.

Poi, dal nulla, partì uno sparo.

La folla, che sembrava aver trattenuto il respiro fino ad allora, esplose in urla scomposte e si buttò a terra in un unico movimento. Sfruttando il fatto che Eisuke aveva spostato l’arma dal mio corpo, per puntarla verso il punto da cui presumibilmente era stato premuto il grilletto, gli assestai una gomitata nello stomaco che annullò la sua ormai già flebile presa , permettendomi di imitare la saggia decisione della massa.

Nello stesso istante in cui toccai il pavimento liscio e freddo, il boato di un secondo sparo echeggiò tra le mura dell’enorme edificio, seguito dal grido di dolore dell’uomo che fino a un attimo prima avrebbe potuto decidere del mio destino. Qualcosa di nero e duro cadde a pochi centimetri da dove mi trovavo. Anche Eisuke se ne accorse, e, nonostante fosse accasciato su se stesso, con la mano destra infortunata premuta contro lo stomaco, allungò la sinistra verso la propria arma.

Ti piacerebbe!, gli dissi mentalmente, dopodiché, in un impeto di rabbia, scalciai quella stupida pistola lontano, in direzione dei poliziotti. Che se ne occupassero loro, visto che non avevano ancora fatto niente di costruttivo! Quando mi voltai nuovamente verso Eisuke, la sua espressione sorpresa e addolorata, sgonfiò totalmente il risentimento nei suoi confronti. Gli occhi scuri esprimevano una sofferenza talmente profonda, che per poco non contagiò anche me.

Mi chiesi se quella che avevo davanti fosse davvero una persona così cattiva, se l’azione che aveva compiuto fosse realmente da condannare. Non avrei forse anch’io corso qualunque rischio, se fosse stato necessario, per correre al capezzale di una persona che amavo? 

La risposta era sì. Probabilmente non avrei cercato di ammazzare nessuno, però avevo provato sulla mia pelle cosa significasse essere disperati.

“Mi dispiace” gli ripetei, sincera, mentre gli agenti lo accerchiavano “Sul serio. Farò tutto ciò che è in mio potere per farti vedere tua figlia” gli assicurai. Tuttavia, prima che potessi osservare la sua reazione, qualcuno mi sollevò di peso da terra, prendendomi per le spalle.

“Hey” mi lamentai, cercando di opporre resistenza. Ne avevo avuto abbastanza della gente che invadeva il mio spazio personale!

“Calma, Selena, sono io” disse una voce familiare, in tono conciliante.

“Matsuda?!” domandai sorpresa, girandomi verso di lui. Chissà perché mi ero aspettata di trovare qualcun altro al posto suo … 

“Scusa” continuò, contrito,  “Non volevo spaventarti. Come stai?” aggiunse, guardandomi con crescente preoccupazione. Avrei voluto rispondergli che andava tutto bene, ma improvvisamente non riuscivo a parlare. Il groppo che non mi ero accorta di avere in gola, divenne ad un tratto evidente e insopportabile. Senza nemmeno riuscire a descrivere a me stessa come mi sentivo, lo abbracciai. Poi, scoppiai in lacrime.

“Coraggio, Sel. E’ tutto a posto” continuava a ripetere Matsuda, con un certo imbarazzo, dandomi dei colpetti sulla schiena. Purtroppo per lui, però, recuperare il controllo è molto più difficile che perderlo, quindi, sebbene apprezzassi le sue rassicurazioni, per un po’ non potei far altro che assecondare il mio sfogo.

Quando ci comunicarono che dovevamo sgombrare l’area, decisi che era arrivato il momento di tornare in me, ma, visto che probabilmente non ero ancora sembrata abbastanza patetica, iniziai a tremare peggio che se fossi stata nuda in mezzo a una  tormenta, obbligando il povero Matsuda a sorreggermi, mentre ci allontanavamo.

Fortunatamente non ebbi molto tempo per crogiolarmi nella vergogna, perché nel nanosecondo successivo fui travolta e stritolata da sei braccia contemporaneamente.

“Sel, stai bene?”, “Sei ferita?”, “Dio, ci hai fatto prendere uno spavento!”, esclamarono Rossella, Margaret e Tomoko all’unisono, squadrandomi da capo a piedi, come mammine premurose che vogliano accertarsi della salute della figlia. Ovviamente si accorsero che avevo bisogno di aiuto per stare in piedi, dunque, anche se cercai di balbettare che stavo bene, mi strapparono senza tante cerimonie dalle braccia di Matsuda e mi condussero verso uno dei tavolini affinché mi accomodassi.

E proprio in quel momento si levò il primo di una serie di urla agghiaccianti. Sentendo un brivido percorrermi la schiena, mi girai di scatto verso Eisuke. Giaceva nuovamente ai piedi degli agenti, in preda a violenti spasmi che rendevano chiara l’enorme sofferenza fisica che lo stava attanagliando.

Nonostante quella fosse una scena di cui tutti avevano sentito parlare dai notiziari, quando veniva annunciata una nuova vittima di Kira, l’atmosfera risultava densa di tensione e orrore. Ogni persona presente faticava a sollevare lo sguardo dal criminale agonizzante, che, fino a qualche minuto prima, era parso un’enorme minaccia.

L’istante precedente alla sua morte, Eisuke trovò la forza di indirizzarmi uno sguardo pieno di terrore e rabbia impotente. Ne rimasi talmente colpita che non mi accorsi che aveva smesso completamente di muoversi finché Tomoko non si lasciò sfuggire un singhiozzo strozzato, inondandomi la spalla di lacrime.

Quel suono, che rimbombò nel silenzio ricreatosi a seguito della tragedia appena avvenuta, ebbe il potere di scatenare un vero e proprio inferno.

La gente cominciò a strillare, a salire sui tavoli lodando Kira e il suo giudizio divino, a correre di qua e di là senza una meta precisa. Ben presto, in barba ai tentativi della polizia di domare quel macello, la situazione degenerò. Mentre cercavo ancora di capacitarmi di ciò che stava accadendo, il cellulare mi vibrò in tasca.

Affidai Tomoko, in piena crisi emotiva, a Rossella, che per quanto pallida e a disagio, sembrava avere i nervi sotto controllo e lessi l’sms. Dobbiamo andarcene. La stampa sarà qui a momenti, mi comunicava un numero sconosciuto, alias Ryuzaki.

Un grande genio, davvero, pensai, alzando gli occhi al cielo. Non ci sarei mai arrivata da sola!

Scambiai un rapido gesto di intesa con Matsuda, che nel frattempo si era avvicinato e mi preparai alla ritirata strategica.

“Attenta!” gridò Margaret, spostandomi dalla traiettoria di una biondina, sbucata dal nulla e piuttosto ansiosa di andarsene. Quando mi passò vicino, percepii qualcosa di  oscuro e potente in lei, qualcosa di simile a quello che sentivo sempre in presenza di Light Yagami, ma non ebbi il tempo di approfondire la mia strana scoperta, perché Margaret disse in un tono deciso e imperativo che non pensavo le appartenesse “E’ ora di uscire di qui!”.

Ed ecco un altro genio da aggiungere al club. Peccato però che tutti parlassero ma nessuno agisse.  

“Non potrei essere più d’accordo” commentai, prendendo per mano Tomoko e Rossella e facendo strada. Tre minuti dopo, eravamo nel parcheggio, dove, se possibile, la gente stava dando ancora più di matto che all’interno. Da lontano vidi scendere diversi cameraman da un furgoncino bianco.

Oddio. Se c’era un momento giusto per tagliare la corda, era ora o mai più.

“Io devo andare” dissi in fretta alle ragazze “Voi ve la caverete?”.

“Veramente non penso che Tomoko se la senta molto di guidare” mi fece presente Rossella, indicandola. In effetti sembrava che la diretta interessata fosse sul punto di vomitare.

Fantastico. Mi morsi le labbra. Non c’era più tempo.

Guardai Matsuda in cerca di aiuto e lui mi stupì, dichiarando “Ci penso io”.

Poi mi porse le chiavi della sua auto. Ci misi qualche secondo a fare due più due.

“Grazie” esclamai, alla fine, colma di falsa riconoscenza “Sei il miglior autista che abbia mai avuto. Ti meriti proprio un aumento” e aggiunsi un occhiolino, tanto per chiarire che si trattava di una recita.

“Nessun problema, signorina Clark” rispose, guadagnandosi 10 punti in prontezza di spirito. 

“D’accordo, ragazze. Per stasera vi presto il mio autista. Mi dispiace, ma adesso devo assolutamente scappare. Ci vediamo lunedì” e corsi via, prima che chiunque avesse il tempo di replicare.

Per fortuna, Matsuda aveva preso la macchina nera che era solito usare Watari, quindi la riconobbi immediatamente. Mi fiondai dentro alla velocità della luce, facendo sollevare le sopracciglia a un già accigliato Ryuzaki.

“Ce ne avete messo di tempo. Dov’è Matsuda?”.

“Cambio di programma” gli comunicai, in vena di sintesi  “Stasera guidi tu. Dopo ti spiego”.

Non mi sembrò particolarmente contento della novità, però prese le chiavi che gli porgevo senza lamentarsi, si mise al volante e partì. Notai che anche mentre guidava, manteneva le sue pose gobbe e scomposte.

Avrei voluto ridacchiare, ma ero troppo stanca per farlo. Ero troppo stanca anche per ringraziarlo del suo fondamentale contributo, o per rimproverargli di non essersi nemmeno scomodato a venire a vedere come stavo, invece di rintanarsi in macchina, o per chiedergli cosa lo avesse spinto ad unirsi a Matsuda, pedinandomi fino al centro commerciale.

Lui, dal canto suo, rimase nel più totale silenzio, concentrandosi sulla strada.

Alla fine, cullata dalle fusa del motore e dalla consapevolezza di essere finalmente al sicuro, mi addormentai.   



^^^^^^



POV L


“… E così alla fine mi sono offerto di dar loro un passaggio. Era l’unico modo per permettere a Selena di andarsene velocemente di lì e comunque ci siamo inventati una storia plausibile. Le ragazze non hanno fatto domande …” Matsuda stava finendo il suo dettagliato resoconto, ma io non lo stavo ascoltando.

Conoscevo già lo svolgimento dei fatti. Selena si era premurata di mettermene a parte, durante il viaggio in ascensore, tra uno sbadiglio e l’altro.
Lanciai un’occhiata in direzione della sua stanza, smettendo per un attimo di riempire il caffè di zollette di zucchero. Dormiva profondamente, come avevo verificato qualche minuto prima del ritorno di Matsuda. Gli avvenimenti del pomeriggio dovevano averla seriamente provata. Perlomeno si sarebbe riposata un po’, finalmente.

Io invece avevo molto su cui riflettere e un importante lavoro da fare.

“Kira ci ha proprio giocato un bel tiro mancino” commentai, rivolto a nessuno in particolare, prendendo il primo sorso di caffè. Non risultò dolce come avevo sperato, così aggiunsi dell’altro zucchero.

 “Ne vuole un po’ anche lei, Matsuda?” domandai, notando l’intensità con la quale fissava la bevanda.

“No, grazie Ryuzaki” si affrettò subito a rispondere. Alzai le spalle, indifferente, continuando a bere.

“ Oggi ci sono stati altri dieci omicidi di criminali, a parte quello a cui abbiamo assistito” lo informai, atono “Farebbe meglio ad andare a casa a riprendersi. Domani avremo parecchio di cui discutere con gli altri agenti”.

“C- certo” ribatté sconcertato, il giovane poliziotto “ Ci vediamo domani”.

Non appena Matsuda si fu chiuso la porta alle spalle, mi alzai dal divano.  Nella mia testa si faceva strada un’ipotesi che fino ad allora avevo ritenuto decisamente improbabile. Raggiunsi la poltrona situata di fronte alla TV e mi sedetti.

Era la prima volta che sentivo un tale conflitto interiore. Avevo preso parte alla risoluzione di così tanti casi nel corso della mia vita, che ormai sapevo benissimo quanto fosse essenziale far prevalere la ragione sui sentimenti durante le indagini.

Tuttavia, questa volta non era facile come al solito. L’assassinio del delinquente al centro commerciale corrispondeva con le mie ipotesi precedenti riguardo al profilo di Kira.

Si trattava quasi sicuramente di uno studente universitario, legato alla polizia, di intelligenza fine, ma con una personalità leggermente infantile. Non era certamente una persona che amava perdere. E avevo verificato come tutte queste caratteristiche si applicassero a Light Yagami.

Ma alcune di queste non erano forse valide anche per Selena? Lei frequentava l’università,  la sua famiglia aveva parecchie conoscenze all’FBI, era brillante e voleva sempre avere l’ultima parola. Conoscevo la sua storia meglio di quanto lei stessa avrebbe voluto e sapevo che non era la prima volta che finiva in mezzo alle indagini sul conto di un serial killer.

Tutte queste ragioni, costituivano il motivo per cui lei era lì con me, controllata in ogni sua mossa. Eppure non l’avevo mai realmente considerata sospetta. Più il tempo passava, al contrario, più mi convincevo che lei con Kira non aveva nulla a che fare. Era troppo impulsiva ed emotiva per uccidere senza farsi scoprire. A dirla tutta, non credevo semplicemente che potesse fare del male a qualcuno.

Però quel criminale era morto, proprio dopo avere minacciato la sua incolumità. Era un particolare che non potevo sottovalutare, per quanto fossi restio a prenderlo in considerazione.

Dovevo farlo anche se non mi piaceva. Anche se scatenava strane reazioni dentro di me.

Presi un altro sorso di caffè. Dal giorno seguente avrei raddoppiato la sorveglianza su di lei. Avrei cercato di starle più vicino, di osservarla maggiormente. Alcune cose sarebbero cambiate. E lei non sarebbe stata contenta.

Al momento, però, dovevo pensare di nuovo a sottrarla dai guai. Presi il cellulare, dalla tasca posteriore dei jeans. Avevo bisogno di fare un po’ di telefonate. Mi sarebbe anche servito l’aiuto di Watari.

Mentre digitavo il primo numero da chiamare, pensai che, Kira o non Kira, Selena mi stava causando un sacco di problemi. E, nel profondo di me stesso, la cosa non mi dispiaceva poi così tanto.




L’angolo dell’autrice


Buonasera a tutti. Finalmente sono riuscita a finire il capitolo! Questa volta non è stato per niente facile, mi sono lanciata una sfida e non so se ho pienamente conquistato la meta. Tutto ciò che posso dire è che è stato un periodo  difficile per me a livello emotivo e ho davvero fatto del mio meglio. La buona notizia comunque è che mi sto riprendendo e ho già un sacco di fantastiche idee su come andrà avanti la storia.


La prima parte del capitolo- la più difficile- può apparire in certi punti un po’ irrealistica, ma è così che me la sono immaginata, in tutto e per tutto, quindi per chi ama la verosimiglianza, probabilmente non sarà il massimo, ma io ne vado lo stesso fiera e spero che almeno per questa volta me la facciate passare.

Tengo molto alla storia che sto scrivendo e ho tutta l’intenzione di dimostrarlo, d’ora in avantiJ

Grazie a tutti coloro che mi seguono e che leggeranno questo capitolo.

Mi raccomando, ditemi ciò che ne pensate, perché le vostre opinioni sono importanti e utilissime, buone o cattive che siano.


Un grande abbraccio, lelle31

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Riconoscenza ***


 SELENA POV
 
“Vuoi spiegarmi tutta questa improvvisa voglia di tornare all’università?” domandai irritata, guardando male il ragazzo pallido e apparentemente apatico che camminava al mio fianco.

Eravamo ormai quasi a metà marzo, la leggera brezza primaverile si stava lentamente sostituendo alla gelida tormenta invernale che tanto avevo odiato, ma questo non significava che potevo esimermi dall’indossare una giacca di jeans ogni volta che uscivo. E nonostante ciò, la persona che avevo accanto, non aveva abbandonato il suo look valido 4 stagioni su 4, costituito da maglia a maniche lunghe bianca e jeans scoloriti, in nessuna occasione.

Sembrava che il clima, come molti altri fattori ai quali l’umanità era soggetta, non lo sfiorasse minimamente. Io, al contrario, freddolosa di natura, mi stavo stringendo le braccia al petto, irrigidita dall’aria mattutina.

“Devo pur farmi vedere ogni tanto, o la gente si potrebbe insospettire” rispose Ryuzaki senza scomporsi, osservandomi con la coda dell’occhio. Probabilmente voleva vedere la mia reazione alle sue parole. O forse, più semplicemente, stava seguendo uno dei suoi contorti schemi mentali, che prevedeva l’analisi accurata di ogni mio più piccolo sospiro.

Il  che in sé e per sé, non rappresentava una novità, dal momento che lui amava avere tutto ciò che lo riguardava sotto controllo, però quel giorno sembrava essere più paranoico del solito. E non era affatto difficile capire perché.

“ Mi è parso che ieri con gli agenti i toni fossero piuttosto accesi” buttai lì, ben attenta a tenere lo sguardo fisso davanti a me. Percepii comunque tutta la pesantezza della sua occhiata penetrante, sentendomi sollevata per non avergli dato la possibilità di incontrare i miei occhi. Troppo spesso avevo l’impressione che fissandoli, riuscisse a intravedere le parti più segrete e nascoste della mia personalità, quelle che ritenevo deboli e che non sopportavo mostrare.

Ma soprattutto ero sicura che fosse in grado di cogliere i miei pensieri e le mie preoccupazioni più grandi.

E in quel preciso momento c’erano cose che preferivo tenere per me.

“ Qualcuno di  loro si è innervosito un po’, mi dispiace se ti abbiamo disturbata” disse in tono indifferente, scartando un paio di caramelle e mettendosele in bocca.

“Non c’è problema” risposi automaticamente, mentre pensavo che in effetti non mi avevano affatto disturbata. Avevo passato l’intera domenica a letto a rimuginare sui fatti inquietanti e dolorosi del pomeriggio precedente, guadagnandoci in caos mentale e depressione. A un certo punto, proprio quando il pensiero della figlia di quel povero criminale che mi era morto davanti agli occhi era diventato insopportabile, quelle voci alterate erano state capaci di riportare la mia attenzione sul presente.

Il quale, tanto per la cronaca, non si prospettava particolarmente roseo. L’avevo compreso dall’espressione preoccupata che avevo colto sul viso di Watari, quando mi aveva molto gentilmente portato una tazza di the e dei biscotti. Ovviamente non si era lasciato scappare nulla nel quarto d’ora di chiacchiere che ci eravamo scambiati, ma io avevo comunque afferrato cosa stava succedendo. In virtù di ciò, considerai davvero rincuorante il fatto che quello scaltro signore mi stesse simpatico, perché avrei passato ancora parecchio tempo in compagnia sua e di Ryuzaki.

E non certo come libera e volontaria ospite.

Sospirai. Più cercavo di allontanarmi dai problemi, più quelli venivano a cercarmi. Che la chiave per trovare pace, fosse accettare che non avrei mai avuto una vita normale?

“Sembri pensierosa” commentò Ryuzaki, al quale non sfuggiva mai nulla.

“Lo sono” ammisi, visto che tanto negare non avrebbe fatto altro che aumentare la sua curiosità. Meglio essere sinceri e concisi, evitando di dargli appigli per i suoi giochetti mentali. Non avevo proprio voglia di dargli corda in quel momento.

“Qualcosa ti turba” aggiunse poi, di punto in bianco, mantenendo la solita impeccabile imperscrutabilità. Stupita, mi bloccai sul posto e lo guardai. Fu un grosso errore, ma me ne accorsi troppo tardi.

“Beh, sai sto cercando di elaborare la morte di una persona. Non la conoscevo e magari non si era comportata particolarmente bene con me, però penso di essere giustificata se per qualche giorno non mi sentirò felice e contenta” ribattei, in tono scontroso. Non capivo l’utilità di sottolineare ciò che era evidentemente e dolorosamente ovvio. E che peraltro costituiva meno della metà delle mie reali preoccupazioni.

Ma questo Ryuzaki non lo sapeva. O meglio, non lo aveva saputo finché in maniera stupida e ingenua, non ero caduta nel suo tranello. Poiché ora lui mi teneva inchiodata con i suoi occhi neri e profondi, analizzando l’universo di confusione emotiva che la sua precedente affermazione aveva riportato in superficie.

I miei più sinceri complimenti, detective, pensai, Ci sai davvero fare.

“Non mi riferisco solo a  questo” dichiarò, dopo avermi esaminata a fondo “Qualcosa ti agita da molto più tempo. E sospetto che tu stia disperatamente cercando di tenermene all’oscuro”. Nel pronunciare quest’ultima frase il suo atteggiamento cambiò leggermente. Il suo sguardo si accese, la voce lasciò trapelare un briciolo di arroganza.

Sapeva di aver fatto centro. E la mia espressione apertamente allibita, glielo stava confermando in pieno.

Ma come diavolo faceva? Chiusi gli occhi e presi un bel respiro, nel tentativo di ritrovare il controllo.  

“Può darsi” dissi, tra i denti “ Però hai mai pensato all’eventualità che non siano affari tuoi?”. Tornai a guardarlo torva, sentendomi molto soddisfatta della mia risposta. Come intendeva ribattere adesso, eh?

“Potresti avere ragione” ipotizzò, portandosi il pollice alle labbra, in una posa riflessiva che gli avevo visto assumere più volte. “Tuttavia, sarebbe interessante sapere come facevi a conoscere l’identità e la situazione familiare di Eisuke Tanaba”.  

Oh, merda. Questa proprio non me l’ero aspettata.

Deglutii a fatica, consapevole che dovevo trovare qualcosa da dire e alla svelta. Tacere avrebbe significato confermare le sue supposizioni, qualunque esse fossero. Dopotutto devi solo spiegargli che a volte hai delle “intuizioni” fin troppo precise, mi incoraggiai, Quanto può essere difficile? Troppo. E ad essere del tutto onesti, era anche un tantino inverosimile.

“Io … ecco …” cominciai, prendendo un bel respiro e tenendo lo sguardo rigorosamente incollato al suolo. Non mi sarei lasciata fregare una seconda volta, anche se il vuoto assoluto che avevo in testa probabilmente non gli avrebbe fornito chissà che informazione.

In effetti, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era la profonda ingiustizia di dovermi confrontare con un super genio dotato di tutte le capacità mentali e delle risorse pratiche per essere sempre un passo avanti al mondo intero, completamente disarmata.

O forse no. Per la prima volta, fui lieta di registrare l’inquietante presenza che sentivo avvicinarsi …  “Ciao Light” cinguettai, rivolgendo al nuovo arrivato un sorriso smagliante.

“Ciao Selena” disse lui di rimando, lievemente sorpreso. Sì, ammetto che di solito non mi mostravo così entusiasta di vederlo, ma avevo i miei motivi. Motivi che mi portavano a non fidarmi per niente di lui e a mantenere alta la guardia quando era nei paraggi.

“Ryuzaki” lo sentii intanto salutare, in tono un po’ più rigido.

“Light” rispose quest’ultimo, assumendo un’espressione indecifrabile.

Improvvisamente, notai nell’atmosfera un’elettricità che prima era stata assente. Sembrava che due forze potenti e contrarie stessero cozzando l’una con l’altra fino a produrre un gran numero di scintille.

Decisi che quello era il momento perfetto per uscire di scena, anche se sarei stata davvero curiosa di capire cosa stava succedendo.

“Cavolo è tardissimo!” esclamai, dunque, falsamente agitata “ Devo proprio andare a lezione. Ci vediamo dopo ragazzi”. I due mi rivolsero un tranquillo cenno di saluto (Light) e un’occhiata penetrante che pareva significare “ Prova pure, tanto non puoi sfuggirmi” (Ryuzaki).

Me ne andai, percorrendo il cortile a grandi falcate e cercando di non pensare all’implicita minaccia che mi aveva fatto rabbrividire. Una volta all’interno dell’edificio, svoltai in direzione della mensa, la attraversai quasi correndo e spinsi la porta antincendio. Ero di nuovo fuori, ma sul retro dell’università. A quell’ora non c’era praticamente nessuno per fortuna, così mi sedetti ad uno dei tavoli, nel tentativo di calmarmi.

Le cose non si stavano mettendo bene. Proprio per niente.

Avevo preso tempo, e questo, tutto sommato, poteva rivelarsi positivo, tuttavia, prima o poi, avrei dovuto rivelare la verità.

Il problema era che neanche io riuscivo a crederci. Non lo avevo mai voluto fare davvero e ora accettare di avere un … dono? Una maledizione? Un cervello straordinariamente capace in campo percettivo? … era diventata una questione di vitale importanza.

Chiusi gli occhi, sospirando. Nel corso della mia vita mi erano successe molte cose, troppe da elencare, che non sembravano avere a che fare con il mondo logico e scientifico di cui comunemente si ama vantarsi. Persino laddove la mia memoria era rimasta danneggiata, anche in quei mesi bui e oscuri, sapevo che qualcosa di sovrannaturale era intervenuto. Altrimenti non si riusciva a spiegare la mia misteriosa sopravvivenza.

Se in quel momento potevo pensare, respirare, sentire, era unicamente perché qualcuno o qualcosa di potente l’aveva voluto. Ne ero consapevole, a un livello molto più profondo di quello razionale. Ed essere o meno cristiana non c’entrava niente.

Detto ciò, per quale motivo mi risultava così complicato ammettere che potevo realmente fare quello che avevo fatto con Eisuke? Dalla reazione che aveva avuto, ero certa di non essermi sbagliata. Avevo letto con precisione dentro di lui, come anni prima leggevo dentro altre persone, senza nemmeno accarezzare l’idea di dover venire a patti con questa capacità.

Accadeva e basta. I miei genitori lo chiamavano “grande istinto” e per me era una perfetta spiegazione. Loro naturalmente non sapevano che alle volte percepivo molto di più. Non immaginavano che la maggior parte dei miei cattivi presentimenti si avverassero regolarmente o che avvertissi lo svolgimento di eventi a cui non presenziavo in maniera diretta, come due notti prima.  

E ora mi sarei ritrovata a spiegare a Ryuzaki quanto delle sensazioni apparentemente infondate e non sempre collegabili a qualcosa di materiale, fossero spesso la mia personale chiave per conoscere la realtà. Avrei voluto fidarmi io stessa di quel tipo di segnali che ricevevo.

Probabilmente se l’avessi fatto, avrei evitato il salto di trenta centimetri che mi causò la sorpresa di una mano improvvisamente posata sulla spalla. “ Scusa non volevo spaventarti” ridacchiò Rossella, dopo aver ascoltato una coloratissima imprecazione nella nostra lingua natale.

“Scusami tu” risposi, facendole posto sulla panca “Ero leggermente sovrappensiero”.

“Me ne sono accorta” commentò divertita, mentre appoggiava sul tavolo una serie di libri e un paio di riviste. Ne presi una e cominciai a sfogliarla. Era tutta in giapponese.

“Vuoi farmi leggere questa?” domandai nervosa, di fronte a quel vortice di ideogrammi. Quella mattina, siccome la lezione era stata posticipata, ci eravamo messe d’accordo per cominciare a inculcarmi un po’ della lingua locale. Però cominciare così drasticamente, mi ispirava una certa agitazione.

“Solo dopo che avrai preso confidenza con questo grande libro blu” ribatté, aprendolo e mettendomelo sotto il naso. La successiva ora e mezza mi permise di comprendere che dopotutto, l’impresa in cui mi ero imbarcata non era impossibile, ma avrebbe richiesto tempo e pazienza.

“Davvero i giapponesi utilizzano tre alfabeti?” chiesi incredula, a un certo punto. “Eh già” confermò Rossella “Ma consolati. Ti serviranno tutti e tre ”. Ah, beh, ora sì che ero più tranquilla! Poco dopo la mia infelice scoperta, decretammo una pausa.

“Senti posso chiederti una cosa?” se ne uscì la mia nuova insegnante. “Certo” la incoraggiai, scartando una merendina al cioccolato, davvero molto invitante. Probabilmente stavo esagerando con le schifezze, ma avendo uno zuccheri dipendente costantemente vicino, non riuscivo realmente a sentirmi in colpa.

“Non vorrei sembrarti invadente” esordì cauta, mettendomi automaticamente sul chi vive “ Ma … tu stai bene? Voglio dire, dopo quello che è successo al centro commerciale? Perché io non faccio altro che pensarci e ogni volta che chiudo gli occhi rivedo … quell’uomo” pronunciò l’ultima parola in un tono che mi fece capire quanto la faccenda l’avesse sconvolta.

Beh, non era l’unica.

“Ti capisco perfettamente” ammisi, sentendo la massa di emozioni confuse dibattersi di nuovo per uscire “ E no, non sto affatto bene”. Alla mia dichiarazione, seguì un momento di silenzio, durante il quale una nuvola oscurò il sole. Il tempo del mio breve buonumore pareva essere finito.

“Ne vuoi parlare?” si offrì Rossella, dopo un po’. Adesso il suo sguardo si era fatto preoccupato e attento, proprio come quello di una vera amica. Cosa che per me stava diventando, visto che era l’unica persona di cui mi fidassi in quel momento e anche la sola a cui mi sarebbe piaciuto rivelare i miei problemi. Ma naturalmente, come al solito, questo non era possibile.

“ Grazie, ma io …. Ecco credo sia meglio …” mentre parlavo, mi resi conto che ero davvero stanca di mentire. O di subire imposizioni. A che pro poi? Tutto ciò che mi ero guadagnata, consisteva nel sembrare ancora più colpevole di crimini che non avevo commesso.

Qualcosa scattò in me, sull’onda di quel pensiero. Qualcosa che riempì i miei occhi di lacrime e che ruppe tutte le barriere della razionalità. “ … Sì, maledizione, non ce la faccio più a tenermi tutto dentro” singhiozzai, fuori controllo.

“Vieni qui” mormorò Rossella, abbracciandomi “Sfogati”. E mi sfogai. Non dissi tutto ciò che avrei voluto e spesso dovetti adattare la verità. Però bastò a farmi sentire meglio.

“ … sono davvero molto spaventata” confessai, infine” Da quello che è successo sabato pomeriggio, da tutte le attenzioni e le domande da cui verrò subissata non appena qualcuno si accorgerà che io sono la stessa ragazza che è stata tenuta in ostaggio da una vittima di Kira e soprattutto” presi un bel respiro, prima di proseguire” da quello che … Ryuga potrebbe pensare di me”.

Ancora faticavo a ricordare il nome che usava Ryuzaki all’università, però le poche volte che mi capitava di nominarlo direttamente, cercavo di non sbagliarmi. “Aspetta un momento” mi fermò la mia amica, fissandomi con uno strano sguardo “Non capisco la ragione per cui Ryuga dovrebbe pensare qualcosa che tu non vorresti sul tuo conto, ma prima di questo, sei davvero convinta che tutti sappiano cosa è successo al centro commerciale?”.

“Certo” replicai, sbigottita davanti al suo dubbio “Lo avranno visto al telegiornale, no? O su Youtube. Sono sicura che qualche idiota avrà ripreso l’intera scena e si sia sentito in dovere di condividerla. Anzi, è solo strano che da casa non mi abbiano già chiamato per assicurarsi che io stia bene” e tirai fuori il cellulare, constatando per l’ennesima volta che non avevo messaggi o chiamate perse.

Questo non era affatto normale. La mia famiglia in teoria a quel punto avrebbe già dovuto cominciare ad andare fuori di testa e a minacciare di venire direttamente qui a recuperarmi. Invece ancora nulla. Possibile che neanche loro avessero guardato la TV il giorno precedente?

“E a meno che non sia tu a dirglielo non lo faranno, tesoro” la voce trionfante di Rossella, interruppe le mie congetture “ La notizia è passata ovviamente, ma non si fa alcun riferimento a te. Ho controllato anche su internet e tutti i video sono stati rimossi. Mi è parso davvero insolito, però se non altro, risolve il tuo problema”.

Dopo un primo attimo di gioia e sgomento, concordai con lei sul fatto che era davvero strano. Il giorno seguente al mio miracoloso risveglio, avevo saputo che mio padre si era dovuto battere molto per non fare finire il mio nome sul giornale, a causa delle indagini della polizia su Chris, l’incidente e il suo misterioso suicidio.

Ma stavolta chi si era preso la briga di intercedere per me? L’istante successivo mi diedi della cretina. C’era un’unica persona che poteva averlo fatto. “E’ stato lui” sussurrai, a voce bassissima.

“Cosa?” chiese Rossella, osservando confusa la mia espressione deliziata e incredula allo stesso tempo.

“Niente” risposi, asciugandomi gli occhi con una mano e alzandomi in piedi “ Ti va di fare un giro? Ho bisogno di svagarmi un po’, dopo tutta questa depressione. E poi c’è un posto qui di fronte dove mi piacerebbe andare”. 

“O… kay” accettò la mia interlocutrice, evidentemente messa alla prova dal mio repentino cambio di stato d’animo. Perplessa, seguì il mio passo veloce e deciso fino all’ingresso.

A quel punto la informai sulla nostra meta. Rossella si mise a ridere e disse “Avrei dovuto immaginarmelo”.

Sorrisi di rimando, consapevole che aveva ragione.


^^^^^^^^^^
 
 
 
POV L
 


“Ho assoluto bisogno di parlare con questa ragazza, la prego” disse un ragazzo alto e biondo in tono persuasivo, alla segretaria di turno all’università.

Ormai erano quasi dieci minuti che provava senza successo a estorcerle le informazioni che gli servivano e, malgrado fosse l’unico campo in cui le mie conoscenze scarseggiavano, sospettavo che la diligente e ordinata quarantenne dietro la scrivania, fosse totalmente immune al suo fascino.

“Per l’ennesima volta, le ripeto che non sono autorizzata a distribuire dati e orario delle lezioni degli studenti agli estranei. E se continuerà con la sua inutile testardaggine, sarò costretta a chiamare la sicurezza” lo avvertì infatti, mantenendo un atteggiamento composto, ma deciso.

“Capisco, però io non sono un estraneo” replicò il ragazzo, con un sorriso rassicurante, stampato in faccia “ Ci conosciamo da una vita io e la signorina Clark”.

“In tal caso, sono certa che potrà rivolgersi direttamente alla sua amica. E ora, se non le dispiace, devo rispondere al telefono. Le auguro una buona giornata” lo congedò la donna, secca e asciutta, continuando a portare avanti i propri compiti come nulla fosse.  

Il biondo rimase a bocca aperta per qualche secondo, ma poi accettò la sconfitta e si appoggiò contro il muro, a qualche metro di distanza.

Avevo osservato i suoi movimenti abbastanza a lungo, da sapere che sotto la facciata incurante, era furioso per non essere riuscito a ottenere ciò che voleva. Non era un tipo che si sentiva spesso dire di no e questa volta supponevo che la posta in gioco fosse particolarmente alta.

Sì, stimavo al 60 % la probabilità, che incontrare Selena fosse per lui una questione di vita o di morte. Oltre a costituire uno sviluppo interessante e potenzialmente problematico della situazione.

“Ehi, Ryuzaki perché continui a fissare quel tipo?” domandò Light a voce bassa, distraendomi all’improvviso dal mio flusso di pensieri. Mi girai a fissarlo negli occhi. Anche dietro la sua postura elegante e i suoi modi gentili, ero convinto si nascondesse una persona diversa, capace di portare avanti un assurdo progetto omicida.

Non importava cosa credessero gli agenti, io continuavo a riporre fiducia nella correttezza della mia ipotesi sull’identità di Kira. Ma per scacciare qualunque dubbio al riguardo, avevo invitato Aizawa e chiunque, alla luce degli avvenimenti del precedente sabato, avesse dei sospetti sul conto di Selena, a pedinarla, come era solito fare Matsuda. E nutrendo io stesso qualche scrupolo mi ero unito al gruppo.

Normalmente preferivo non espormi così tanto, ma quel caso stava prendendo pieghe sempre più inaspettate e mettersi in gioco sembrava l’unica maniera efficace per risolverlo. Così coglievo anche l’occasione per non perdere di vista il mio sospettato numero uno.

“Cos’è indaghi anche su di lui?” chiese sarcastico, quando il silenzio si protrasse troppo a lungo.

“No” ribattei indifferente. Non ancora, aggiunsi dentro di me, con inspiegabile astio.

Qualche secondo dopo, Selena e due delle sue amiche, Rossella e Tomoko,  uscirono dal bagno delle ragazze, accanto alla porta del quale, stavamo parlando io e Light.

“Beh, che fate qui appostati?” borbottò Selena, portandosi le mani sui fianchi.

“Vi aspettavamo per andare insieme a criminologia” risposi, notando quanto il vestito viola che indossava le stesse bene. Contemporaneamente, vidi lo sguardo del ragazzo biondo, ancora appoggiato alla parete, accendersi e fissarsi su di lei, che gli dava le spalle, ignara delle sue attenzioni.

“ Già, dimenticavo che è l’unico corso che abbiamo in comune con legge” stava intanto dicendo Selena, gli occhi rivolti al cielo. “A proposito” aggiunse, con una leggera sfumatura vendicativa “Moko non dovevi dire quella cosa a Light?”.

“Come?” boccheggiò l’interessata, assumendo una sfumatura rosa accesa in volto.

“Ma sì, dai, quella cosa” diede man forte Rossella, visibilmente divertita “Vengo anche io con te”.

“ Buona idea” annuì Selena soddisfatta e le due si diressero verso un confuso Light, allontanandosi con lui. Mi concentrai allora su di lei, curioso di scoprire il fine di tutta la sceneggiata.

“Tieni” disse mentre sventolava un sacchettino bianco che aveva appena tirato fuori dalla borsa. Lo presi e sbirciai all’interno.

Biscotti. Il profumo mi arrivò alle narici, ancora prima che potessi metterli a fuoco. Ne assaggiai uno, gustando il sapore risultante dal connubio di cioccolato, caffè e zucchero a velo.

“Grazie, sono davvero ottimi” commentai, colpito.

“Grazie a te” replicò lei, la riconoscenza che le traboccava nella voce e nei gesti “So che avevi i tuoi motivi per farlo, ma evitare di finire sulla bocca di tutti a causa di un morto, un’altra volta, significa molto per me e per la mia pace interiore. Quindi, in cambio, risponderò alla tua domanda di stamattina e  a tutte quelle che ti verranno in mente. Però ti conviene prepararti perché non sarà un racconto breve”.

Le sue parole avevano destato il mio interesse per diversi motivi, ma mentre la ascoltavo non riuscii a distogliere lo sguardo dal biondo che continuava a fissarla intento e immobile. A un certo punto se ne accorse anche lei.

“Si può sapere cosa stai guardando?” sbottò seccata, voltandosi verso la fonte della mia distrazione. E così lo vide.

I suoi grandi occhi castani si spalancarono per la sorpresa, incontrando quelli azzurro chiaro di lui. “Tyler” sussurrò, facendosi pallida in volto.

Lui le sorrise minacciosamente, lanciò un’occhiata di avvertimento nella mia direzione e se ne andò.

Proprio come supponevo. Il suo scopo era spaventarla. Per questa volta, almeno.

Considerando il modo in cui mi aveva intimato di starne fuori, non sarebbe finita lì.

“Non posso credere che lui sia qui” mormorò Selena, atterrita. Sembrava aver appena ricevuto una scossa elettrica.

“Ha già tentato di farti del male in qualche modo prima d’ora?” domandai, volendo appurare un’altra ipotesi.

“Sì” rispose decisa, girandosi verso di me “E se potrà me ne farà ancora molto”.

“Questo non succederà” dichiarai sicuro “ Non finché rimarrai con me”.

Per qualche secondo, rimase in silenzio, osservandomi. Pareva dibattere con se stessa.

Poi, con mia sorpresa, mi prese per mano e disse semplicemente “ Torniamo in albergo. Ci sono delle cose che devi sapere”.
 
 
 
 
 
 
L’angolo dell’autrice

Ecco un altro capitolo terminato. Devo scusarmi perché vi ho fatto aspettare molto, ma l’università mi ha tenuto molto occupata e purtroppo fino agli appelli di aprile continuerà così.
Parlando del capitolo, ho voluto chiarire un po’ i sentimenti di Selena, perché stanno succedendo molte cose nella sua vita e mi sembrava giusto aiutarvi a comprendere cosa la spinge ad agire in un modo o nell’altro.
Vista l’azione del capitolo precedente, questa volta ho fatto stare tutti relativamente più tranquilli, anche se aggiungere del mistero mi è comunque parso ‘obbligo.
Inizierò a svelare qualcosina, lo prometto, ma capirete quanto intricata sia realmente la storia della mia sventurata protagonista solo andando verso la fine.
Nel frattempo ringrazio chi mi segue, con cui mi scuso a maggior ragione per l’attesa, e chi per la prima volta leggerà la mia storia. Tutte le visite che ho ricevuto per il capitolo precedente mi hanno sinceramente commossaJ

Un grande bacio, lelle31
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I nodi vengono al pettine ***


 POV SELENA
 
Me ne stavo sdraiata sul divano, fissando il soffitto color crema, mentre cercavo di riordinare le idee.

A qualche metro di distanza, abbandonate per terra, facevano bella mostra di sé le scarpe tacco dodici che mi erano state regalate il Natale precedente e che avevo indossato fino a cinque minuti prima. I miei piedi avevano praticamente tirato un sospiro di sollievo, liberi da quelle favolose trappole. Tuttavia, nonostante l’ambiente lanciasse un tacito invito a mettersi comodi, i piedi erano l’unica parte rilassata del mio corpo.

Azzardai uno sguardo teso in direzione di Ryuzaki, che attendeva pazientemente di conoscere il motivo per cui era stato trascinato lì, facendosi fuori, nel frattempo, la dose di dolci che una persona comune avrebbe impiegato un mese per mangiare.  A prima vista, quell’attività sembrava interessarlo molto di più di ciò che una diciannovenne qualsiasi poteva aver voglia di condividere con lui, ma il modo in cui i suoi occhi si fissarono nei miei, mi comunicò che non era così.

E, per l’ennesima volta, mi diede  i brividi. Se di terrore o di piacere,  però, avrei dovuto chiarirlo in un altro momento. 

Adesso dovevo concentrarmi per essere in grado di enunciare di fronte al ritratto della razionalità, ciò che appariva persino a me completamente assurdo.  Ecco perché, dopo aver chiuso gli occhi e inspirato profondamente in cerca del coraggio necessario, esordii con il più lapalissiano dei dati di fatto “Tu vuoi qualcosa da me”.

Ryuzaki sollevò nuovamente lo sguardo sulla sottoscritta, interrompendo temporaneamente la selezione delle caramelle, che stava dividendo in tre gruppi a seconda del colore. Bene, ora ero sicura che mi stesse ascoltando.

“Delle risposte” chiarii, qualche secondo più tardi, intenzionata a scoprire tutte le carte in tavola “Vuoi sapere come facevo a sapere tanto di Eisuke Tanaba, pur non avendolo mai incontrato prima”.

Deglutii. Eravamo arrivati alla parte complicata. Stringendo i pugni, mi preparai psicologicamente agli effetti che la frase che stavo per pronunciare aveva buone probabilità di causare. Poi presi fiato.

“Ebbene” dichiarai, con l’eco di Melinda Gordon* che affermava “Io posso vedere gli spiriti” di fronte all’inconsapevole e incredula vittima della puntata, in testa “Io credo proprio di averglielo letto nella mente”.

Seguì un attimo di assoluto silenzio, durante il quale, osservando l’espressione indecifrabile del mio interlocutore, mi pentii di essere stata così diretta. Dovevo correre ai ripari. “Okay, aspetta solo un secondo” lo pregai, alzandomi senza un apparente motivo e portando le mani avanti in un gesto difensivo “Prima di tacciarmi di essere una bugiarda, di avere problemi mentali, di volerti solo far perdere tempo o chissà che altra cosa, stai a sentire ciò che ho da dire fino in fondo. Per favore. E’ importante”.

Ryuzaki mi guardò un po’ sorpreso, quasi come se quelle tre possibilità, fossero le prime che aveva scartato nella pianificazione della sua prossima mossa. “Non intendo fare niente del genere” mi rassicurò, infatti, con la sua voce fredda e profonda al tempo stesso “Ma penso che dovresti tornare a sederti e calmarti. L’ansia che dimostri è del tutto controproducente alla tua causa”.  

Obbedii, consapevole che aveva ragione.  In quel modo mi stavo soltanto rendendo ridicola. Che cavolo avevo in testa?

La risposta corretta era il casino più totale. Un miscuglio di emozioni confuse unite al desiderio crescente di scappare in camera, seppellirmi nelle coperte e fingere che  tutta quell’imbarazzante situazione non si fosse mai verificata. Purtroppo, però, la vita non sembrava così clemente da accontentare una simile fantasia.  Altrimenti sarebbe stata troppo facile. E le cose troppo facili, si sa, non piacciono a nessuno. A me per prima.

Quindi forza e coraggio,  mi spronai, con rinnovata energia, Levati questo peso dal cuore.  

“D’accordo” ricominciai decisa, guardandolo dritto in faccia “ Cominciamo dal principio.

Sono stata adottata quando avevo quattro anni e fino a circa tre anni fa non sapevo molto sui miei veri genitori, specialmente per quanto riguardava mio padre. Poi c’è stato l’incidente, il coma, l’amnesia … e io mi sentivo così persa e confusa che iniziai ad indagare. Non è stato facile. In generale, la gente pensava che mio padre fosse   pazzo, ma loro conoscevano solo la facciata della verità. Alcuni uomini potenti e senza scrupoli, invece, avevano scavato più a fondo e scoperto ciò che lui in realtà riusciva a fare.

E … Ryuzaki, io non se crederci del tutto, però da quando assunsero mio padre , la rendita delle loro imprese andò alle stelle. Le voci che ho sentito dicono che lui riuscisse immancabilmente a interpretare le intenzioni dei rivali e a trovare i loro punti deboli, favorendo moltissimo  i suoi capi. Ovviamente loro lo pagavano fior di soldi, sebbene questo non lo abbia protetto dalla pallottola che gli trapassò il cranio, uccidendolo”.

Indirizzai un’ occhiata eloquente al detective. Certi giri non si abbandonano come nulla fosse, purtroppo.

“Quando successe, io e mia madre non vivevamo più con lui da tempo ormai” continuai, dopo una corroborante sorsata di tè verde “ Tuttavia, i suoi assassini, sapevano di noi. In particolare erano interessati a me, perché supponevano che avessi lo stesso dono di mio padre. Fu per questo che i Clark, mi presero con sé, portandomi in America. In quanto amici di mia madre, collaborarono con lei, nel tenermi al sicuro. Ma non riuscirono ad impedire il suo omicidio”.

Ricordavo bene la sera in cui li avevo convinti a raccontarmi quella triste storia, il dolore che avevo letto sui loro volti, il forte abbraccio di mia sorella, la quale, a sua volta, non era mai stata messa al corrente dell’intero svolgimento dei fatti. Erano immagini che nemmeno un’altra amnesia avrebbe potuto cancellare. Sarebbero rimaste scolpite dentro di me per il resto della mia vita.

“Li hanno mai presi?” domandò Ryuzaki, che evidentemente non era andato così indietro nelle sue ricerche sul mio conto.

“No” risposi cupa “Sono il genere di persone abbastanza influenti da assoldare sicari scrupolosi nel non lasciare tracce. E comunque è passato troppo tempo. Trovarli sarebbe impossibile. Figuriamoci incriminarli”.

Ryuzaki non replicò, tornando a dedicarsi alla sua torre di dolciumi. Però sapevo cosa stava pensando.

Lui li avrebbe acciuffati e sbattuti in galera in tempo di record. Ed io non ne dubitavo affatto.

Ma avevo questioni più importanti in ballo, al momento.

“La mia famiglia è convinta che quella gente mi stia ancora cercando” gli rivelai, un po’ combattuta “Era uno dei motivi per i quali non volevano che stessi lontano da casa così a lungo. L’FBI ci copre le spalle a Los Angeles.  Però non avevo più voglia di starmene rintanata come un topolino ad aspettare che succedesse qualcosa di brutto. Avevo bisogno di staccarmi da quell’ambiente, di dimenticare le esperienze negative … e così eccomi qui. Naturalmente incontrare Tyler Miles, lo psicopatico fratello del mio ex Chris, non era nei piani”.

Proprio come restare implicata in un caso di omicidi seriali, farmi un’amica che scambiava inquietanti sms ai miei danni con un altrettanto inquietante sconosciuto/a, spendere un’esorbitante quantità di denaro in scarpe … Ah no, questo l’avevo previsto, dimenticavo. Dopotutto come avrei potuto soggiornare in una delle capitali mondiali della moda e non approfittarne?

“Sei sicura che fosse Tyler Miles il ragazzo che è venuto all’università oggi?” chiese all’improvviso Ryuzaki, interrompendo la lotta contro i sensi di colpa per essermi abbandonata alle spese folli.

Lo guardai accigliata, prima di ribattere “ Okay che ho perso una bella fetta di memoria, ma una persona che mi è stata con il fiato sul collo per mesi, minacciandomi più volte di rendere note le mie facoltà speciali, di certo la riesco a riconoscere!”.

Le mie stesse parole mi stupirono. All’epoca non avevo voluto ammettere nemmeno lontanamente la fondatezza di quelle accuse, sebbene nel profondo sapessi che quel bastardo ci aveva visto giusto. Ora invece proclamare la verità era diventato un atto spontaneo. Davvero un ammirevole passo in avanti.   

“Sono curioso” fece il detective, in un tono che avrei definito quasi perplesso, portandosi  il pollice alle labbra “Mi hai parlato di poteri sovrannaturali in cui io francamente non credo, tuttavia vorrei sapere come funzionano”. 

“Non lo so” fu la mia poco illuminante, ma onesta risposta  “Ho passato la mia intera adolescenza ad essere scettica quanto te e a negare a me stessa che questo genere di cose potessero realmente verificarsi.  Tutto ciò che posso dirti è che a volte mi è capitato di intuire cose riguardo alle persone che in teoria non avrei potuto indovinare senza conoscerle abbastanza bene. E non mi riferisco solo a pensieri o sentimenti. Spesso riesco a percepire la loro natura … Se hanno intenzioni buone o malvagie. Ma è più complicato di così. E temo che dovrò scoprirne le regole da sola”. 

In un angolo del mio cervello, ancora mi chiedevo dove avessi trovato il coraggio di parlare di queste cose ad alta voce. Sembrava tutto così surreale. Eppure era vero. Speravo soltanto che le conseguenze non fossero disastrose.

“Quindi” dedusse Ryuzaki, assottigliando lo sguardo “ Se lo volessi, potresti conoscere l’identità delle persone, direttamente dalla loro mente?”.

Ah, ecco. Mi pareva strano che il discorso non prendesse questa piega. Ora il mondo era tornato a girare intorno al proprio asse.

“Probabilmente sì” ribattei, sentendo l’irritazione rispuntare “ Ammesso che io capisca come usare le mie doti a piacimento. E,  sicuramente, se fossi Kira, un’abilità mi farebbe molto comodo. Ma  cerchiamo di essere seri. Ho alle calcagna un gruppo di uomini assetati di potere e senza scrupoli che sanno della mia esistenza e non vedono l’ora di costringermi a lavorare per loro. C’è un idiota mentalmente instabile, venuto qui nella speranza di convincermi a fare chissà cosa per lui . Non credi che, se avessi potuto, avrei già eliminato tutta questa gente, invece di creare così tanti problemi alla mia famiglia e a te?”.

Ryuzaki rimase impassibile. “Magari stai solo aspettando il momento più opportuno” suggerì, in un tono di voce basso e, mio malgrado, sensuale. Wow. Rimani collegata alla realtà, mi ingiunsi con forza.

“Certo” sbuffai sarcastica, rivolta sia a me stessa che a lui. Alzai gli occhi al cielo. Ero esasperata nei confronti di entrambi!

Passati i due secondi necessari a schiarirmi le idee, dissi, senza distogliere i miei occhi dai suoi “ Senti, Ryuzaki, pensa quello che ti pare. Ma sappi questo. Io adesso dovrei essere morta, o quantomeno intubata e completamente dipendente da una macchina . Lo stato in cui l’incidente mi aveva ridotta, prevedeva che non mi risvegliassi mai più. Invece, sono qui, con le mie facoltà intellettive intatte e senza aver riportato danni irreparabili. In pratica, mi è stata donata una seconda possibilità. Non è una cosa che negherei a nessuno, neanche al peggiore dei criminali, credimi”.

Per qualche istante ci limitammo a fissarci in silenzio, riflettendo sulle mie precedenti affermazioni.

Poi Ryuzaki dichiarò, senza alcun preambolo “Tyler Miles è morto”. 

“Cosa?!” strillai sconcertata, sotto il suo sguardo indagatore . Meno male che ero già seduta, perché dopo una notizia del genere, non ero sicura che le gambe mi avrebbero retta.

“Tre mesi fa, in un ospedale psichiatrico. E’ stato ucciso da altri due pazienti” mi informò, tornato al solito contegno freddo e apatico, mentre controllava qualcosa sul pc.

Accidenti, grazie per aver detto anche a me che Tyler era stato spedito nel posto dove meritava di stare, pensai turbata, rivolta a chiunque dei conoscenti che avevamo in comune, O per avermi invitata al funerale.

Il fatto che mi sentissi offesa non aveva alcun senso, ma tale constatazione non bastò a farmi passare la stizza. Uno si faceva un viaggetto e gli altri dimenticavano del tutto la sua esistenza. Che ingiustizia.

Fortunatamente, prima che lo shock potesse far affiorare qualche altra stupidaggine, recuperai abbastanza lucidità da decidere di agire. Di slancio, mi alzai dal divano e mi sistemai alla meglio sul bracciolo della poltrona di Ryuzaki.

“Fammi vedere” ordinai, indicando il computer. Lui per un attimo sembrò davvero contrariato, ma poi aprì un documento, affinché potessi leggerlo.   

Era un verbale della polizia che spiegava per filo e per segno come un certo Alex Collins e un’altra sconosciuta, Rosalie McCole, avessero tagliato la gola a Tyler, utilizzando dei pezzi di vetro di un lampadario che avevano rotto. Ingegnoso.

Scorsi la pagina e per poco non feci cadere il mouse. Mi ero imbattuta nelle foto dei due assassini. Ma non fu questo a lasciarmi senza parole.

“E’ Margaret” sussurrai, portandomi una mano davanti alla bocca. Non c’era alcun dubbio. La ragazza bionda e stralunata che appariva nell’immagine, non poteva essere che lei. L’altro ragazzo, invece, assomigliava in maniera impressionante a Tyler, anche se nella foto aveva i capelli neri. E poteva benissimo essere il tipo che avevo visto quel pomeriggio. Ma che diavolo stava succedendo?

D’un tratto, iniziai a mettere insieme i pezzi. Margaret, o Rosalie, o comunque si chiamasse, non portava avanti la sua crociata contro di me da sola. Qualcuno stava collaborando con lei. Qualcuno che aveva passato un bel po’ di tempo insieme a Tyler, che poteva quasi essere suo fratello gemello …

“Oh, merda” esclamai, sbigottita “Sono nei guai fino al collo!”.

Aggiornai Ryuzaki sulla mia improvvisa illuminazione, condividendo le mie ipotesi riguardo a ciò che quei due stavano tramando alle mie spalle.

Quando ebbi finito, mi sentivo seriamente esausta, ma per niente sollevata.

Lo osservai riflettere, per un po’, poi chiesi stancamente “Che si fa adesso?”.

“Li rimandiamo da dove sono venuti” affermò, con uno strano luccichio negli occhi neri. Evidentemente mi ero persa la parte eccitante della faccenda.

“Non ti pare di avere già abbastanza lavoro da sbrigare?” gli feci presente, sporgendomi un poco in avanti, per enfatizzare il concetto.

“Non ho detto che lo farò io” specificò, avvicinandosi a sua volta “Ci penserà la polizia inglese. Li stanno già cercando, hanno solo bisogno di sapere dove si trovano”. Ovvero dall’altra parte del globo. Ma avrei meditato sulla toccante efficienza del sistema di sicurezza degli ospedali psichiatrici britannici, più tardi.

Ora ero troppo occupata a sostenere lo sguardo di Ryuzaki, in una  sfida “a chi si arrende per primo”. E, nel frattempo, cercavo anche di non fare troppo caso al fatto che eravamo talmente vicini, che potevo sentire il suo respiro sul viso.

Nessuno dei due, però, provò minimamente a cambiare la situazione. Non mi era mai capitato di stare a così pochi centimetri da un ragazzo per più di un minuto, senza che uno dei due  tentasse di infilare la lingua in bocca all’altro. Infatti, perché fregarsene delle consuete distanze di sicurezza, se non si voleva che finisse in quel modo?  

Eppure Ryuzaki rimase totalmente immobile, accontentandosi di guardarmi. Questo scatenò qualcosa. Qualcosa di strano, intenso e sbagliato, del tutto sbagliato, si stava diffondendo dentro di me. Qualcosa che non provavo più da tanto tempo, da quando lui era morto …

“ E’ un piacere vedervi finalmente andare d’accordo” commentò Watari contento, interrompendo d’un tratto il nostro contatto visivo e le mie pericolose considerazioni. Grazie a Dio.

“Non ti ci abituare” gli consigliai divertita, cercando di superare il momento di imbarazzo “E’ solo una tregua temporanea” .

Gli avvenimenti delle successive settimane, provarono, tuttavia, che avevo torto.


^^^^^^^^^^


18 Aprile 2007


SELENA POV


Il sole splendeva caldo e fiero, illuminando un cielo azzurro terso in quella piacevolissima mattinata di piena primavera. Ero talmente felice di aver messo via gli abiti pesanti una volta per tutte, che passai facilmente sopra alla violenza con cui l’allergia stagionale mi aveva colpita e ai dolorosi crampi iniziati poche ore prima.

Per qualche inspiegabile ragione,  il ciclo arrivava sempre quando ti predisponevi a passare un bel momento o ti rilassavi dopo settimane di stress. Mai che venisse in contemporanea con quei giorni in cui piove a dirotto e non ti passa neanche per l’anticamera del cervello di combinare qualcosa di più del guardare un film avvolta nella tua coperta preferita.

No, è proprio destino che tu ce le abbia mentre te la spassi, distesa a prendere il sole con le tue compagne di università preferite, senza una sola preoccupazione in testa. Beh, a dire il vero, qualche piccolo problemino nella mia vita era presente, ma in quel preciso istante stavo ignorando bellamente la cosa.

“Margaret non è più venuta” buttò lì Tomoko, sistemandosi gli occhiali da sole. A proposito dei guai a cui non stavo prestando attenzione.

“Mmh, è vero. Chissà cosa le è successo” azzardai,  falsamente noncurante.

In realtà Margaret era stata catturata dalle forze dell’ordine pochi giorni prima. La sua fuga l’aveva condotta fino in Germania, nelle vicinanze di Berlino. Il suo caro amico, però, non si era trovato con lei. Il che significava che si aggirava ancora da qualche parte, macchinando contro la sottoscritta.

Una fitta alla pancia, amplificata dalla paura, mi fece quasi imprecare.

“Stai bene?” chiese subito Rossella, preoccupata. Probabilmente non avevo un gran bella cera.

“Sì” la rassicurai con un sorriso “Sono solo le mestruazioni che colpiscono di nuovo”.

“Capisco” rispose lei, levando gli occhi al cielo come per dire “ Non possiamo farci niente se ci tocca sorbirci questa piaga”. Ero assolutamente d’accordo.

A quel punto, Tomoko sospirò. E io iniziai ad avere una pessima sensazione, riguardo al mantenimento della tranquillità della giornata.

“Vorrei tanto averle anch’io” si lamentò la pettegola del gruppo, a bassa voce, togliendosi gli occhiali.

Perché? fu la prima incredula domanda che mi attraversò la mente. Poi mi vennero un paio di idee e mi augurai di essere nel torto.

“Che succede?” domandò Rossella a Tomoko in tono prudente.

L’interessata si stava torturando le dita delle mani a disagio.

“ Ecco io … Ho un ritardo” annunciò alla fine, guardandoci  imbarazzata. Oh, cavolo.

“Sarai stressata, tesoro” suggerii immediatamente, perché non volevo nemmeno contemplare altre possibilità. Rossella annuì solidale, ma non mi sembrava convinta.

“Veramente, c’è la seria probabilità che io sia … incinta. Ma non so proprio come dirlo al mio ragazzo” replicò Tomoko, sospirando sconsolata.

Io e Rossella ci scambiammo uno sguardo allibito. Stavamo pensando la stessa cosa.  Da quando Tomoko esce con qualcuno?

Credevo di aver ricevuto già abbastanza shock ultimamente, ma questo li superava tutti.  

“Hai fatto il test?” si informò Rossella, sforzandosi di essere pratica.

“No” Tomoko scosse la testa, sempre più afflitta “ L’ho comprato, però non posso farlo a casa mia. Se i miei genitori mi beccano, è la fine”.

Avevo letto che la società giapponese era ancora piuttosto rigida in merito a certe cose, quindi potevo immaginare la scomoda posizione in cui si era ficcata. Forse. “Perché non lo facciamo adesso e cerchiamo di capire se c’è davvero bisogno di agitarsi?” proposi decisa, alzandomi in piedi.

“Mi sembra un’ottima idea” disse Rossella, tirandosi su, a sua volta. Tomoko esitò, ma alla fine ci raggiunse.

“Promettimi che, qualunque sia il risultato, lo terrai per te” aggiunse, rivolgendosi  a me “ Il padre di Light Yagami conosce il mio e se ti fai sfuggire qualcosa con il tuo ragazzo, di certo la voce gli arriverà”.

Oh, beh, questo non era un problema. A parte il fatto che Light e Ryuzaki non erano esattamente amici, nessuno di loro era il tipo da spargere una simile notizia.

“Sarò muta come una tomba” promisi comunque, per tranquillizzarla.

Matsuda, pregai nel frattempo, se stai assistendo a questa scena, per favore fai altrettanto!  



Venti minuti dopo, nel bagno delle ragazze
 


“Allora? Ancora niente?” domandò un’agitatissima Tomoko, mentre aspettavamo  il risultato.

Guardai Rossella in maniera eloquente e lei le si sedette vicino, cercando di confortarla.

“Devi avere ancora un po’ di pazienza” ripetei un’altra volta, lanciando una serie di insulti mentali alle aziende produttrici di test di gravidanza.

Se mai avessi sospettato di aspettare un bambino, sarei andata dritta dal ginecologo perché non avrei tollerato di passare di nuovo un momento come quello. Men che meno, se mi fossi trovata al posto di Tomoko.

Sbuffai. Avevo un terribile mal di testa, accompagnato da un bruttissimo presentimento, che non aveva a che fare con la situazione presente. Era qualcosa che stava per succedere. E non sarebbe stato positivo.

“ Ci siamo?” chiese Rossella, speranzosa, fraintendendo la mia espressione.

“No” sospirai dispiaciuta “ Questo affare mi sta davvero mettendo alla prova”.

Tomoko si prese la testa tra le mani, vittima della tensione.  Rossella si alzò e fece due passi per ammazzare il tempo. Io mi appoggiai al muro, con gli occhi chiusi. Due secondi dopo, il mio cellulare squillò.

 “Sì?”risposi seccata, portandomelo all’orecchio.

“Ho bisogno che tu e Matsuda torniate subito” disse una voce nota e profonda. Ci mancava solo questa.

“ Sicuro? Sto gestendo una crisi in stile La vita segreta di una teenager americana qui”.

“E si tratta di una cosa urgente?” ribatté il detective, che non aveva capito la mia battuta.

“Abbastanza” replicai “ In effetti, se mi lasci risolvere, poi … Oddio. E’ positivo!” urlai, notando l’improvvisa apparizione di una stanghetta rosa sullo stick.

“Che cosa?”, “Davvero?” e “ Di che parli?” furono le reazioni contemporanee di Tomoko, Rossella e Ryuzaki al mio annuncio.

Uno alla volta, supplicò il mio cervello sovraccaricato dall’emicrania e dalla confusione del momento.

Prima che riuscissi a elaborare una frase coerente, Rossella prese il test dalle mie mani e lo passò a Tomoko. Ottima mossa.

“Non so cosa stia succedendo, ma cercate di fare in fretta” si congedò Ryuzaki, chiudendo la comunicazione. Visto e considerato che una delle mie amiche era in stato di shock, avrei fatto del mio meglio.

“Moko, guardami” le ordinai con fermezza, prendendole il viso tra le mani “Andrà tutto bene, ok? Te lo giuro. Ma tu adesso devi respirare e non cedere al panico. Troveremo una soluzione”.

Quando iniziò ad annuire, leggermente più colorata in volto, mi rivolsi a Rossella.

“ Il mio ragazzo ha voluto provare l’ebbrezza di scaldare una pentola di metallo nel microonde e adesso ha bisogno del mio aiuto per ripulire la cucina” inventai, vergognandomi un poco di quanto ormai  mi venisse naturale “Credi di riuscire a tenere le cose sotto controllo qui da sola?”.

“Nessun problema” mi assicurò lei, senza scomporsi “Ma tieni il tuo ragazzo alla larga dai fornelli” .

“Lo farò” promisi, abbracciando entrambe e andandomene.

Mi sentivo talmente in colpa che per un attimo considerai di ignorare la richiesta di Ryuzaki.

Poi, vidi qualcosa di completamente inaspettato.

“Ciao sorellina” mi salutò Kate, saltata fuori dal nulla “Da quanto tempo”.

E adesso come avrei spiegato a lei la situazione?   
 









* mi riferisco alla protagonista del telefilm Ghost Whisperer, interpretata da Jennifer Love Hewitt. Per chiunque non l’avesse mai visto, parla di una donna che vede i fantasmi, intrappolati sulla Terra perché hanno dei conti in sospeso  e li aiuta a risolvere le loro questioni con i vivi, così che possano “passare oltre”.
 


L’angolo dell’autrice
 
Dopo un ritardo impressionante, finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare! Mi scuso tanto, ma sto studiando moltissimo e per le prossime due settimane circa, dovrò continuare a sgobbare. In questi momenti odio profondamente l’università.

Comunque, tornando a noi, questo è un capitolo di semi - passaggio che mi serviva per chiarire un po’ di tutto il mistero a cui vi ho sottoposto e riallacciarmi alla storia di Death Note. Dal prossimo capitolo, si ritorna sui binari della vicenda principale.

La seconda parte di questo capitolo c’entra poco con la prima, lo so, però, dopo quell’insieme di nuove informazioni, ho ritenuto necessario un “rilassante” episodio di vita quotidiana. Niente paura avrà tutto un suo senso all’interno dell’intreccio.

Bene, vi lascio a domandarvi cosa succederà adesso che la premurosa sorella di Selena, ha deciso di presentarsi di persona. Si accontenterà ancora delle mezze verità o andrà in fondo alla faccenda? E, soprattutto, migliorerà o peggiorerà il casino in cui sono immersi i personaggi?

Questo ed altro nel prossimo capitolo.

Ringrazio come sempre i miei lettori e chi mi ha messo nelle preferite, seguite, ricordate.

Un bacione, lelle31
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Presentimenti- prima parte ***


 Ciao a tutti! Sono in un ritardo talmente immenso che vi risparmio le giustificazioni e le scuse che per quanto vere sono inutili. Al loro posto ho scritto un capitolo lunghissimo diviso in due parti, con cui spero di farmi perdonare la lunga attesa. Dedico questa prima parte a squildina, che mi recensisce sempre e continua a chiedermi un po’ più di passione tra i personaggi. Spero che questo possa iniziare ad accontentarlaJLa seconda parte dovrei pubblicarla tra domani e mercoledì e la dedico a SheBecameBelieber e Angel666, che mi danno il loro parere e il loro sostegno ad ogni capitolo che pubblico. Grazie a tutte e tre , a chi mi segue, a chi mi ha messo nelle preferite e a chi leggerà questo capitolo. Buona lettura.
 
 
 
 
POV SELENA


 
“Tesoro, ciao! Ma che ci fai qui? Non mi aspettavo di vederti” abbracciai mia sorella di slancio, senza lasciarle il tempo di replicare.

Il mio cervello stava lavorando a velocità inaudita, in cerca di un modo plausibile e pieno di tatto per svicolare da quella situazione. Sarei riuscita a sfuggire indenne al sospetto e alla disapprovazione irradiate dalla sua posa rigida?

“Sei sempre la solita” sbuffò Kate dopo un po’, come se mi avesse letto nel pensiero. Mi strinse forte, lasciando trapelare tutto l’affetto e la preoccupazione celate sotto il suo atteggiamento contrariato e io avvertii i miei occhi inumidirsi. Non mi ero resa conto di quanto avessi sentito la sua mancanza fino a quel momento.

Abbandonai il capo sulla sua spalla, felice di sentire la sua mano accarezzarmi lievemente i capelli. Per un attimo dimenticai tutto ciò che era successo in quei tre mesi, le mie paure, le mie speranze, i segreti che dovevo mantenere.

Finalmente mi sentivo a casa. Nient’altro sembrava contare.

Poi mi riscossi, sciogliendo a malincuore la stretta e dando un’occhiata fugace all’orologio. “Devo andare” annunciai, nello stesso momento in cui mia sorella disse “Dobbiamo andare”. Ci scambiammo una lunga occhiata perplessa.

“Senti, Kate” tentai di spiegare  “lo so che sei venuta qui per stare con me e che di sicuro non vedi l’ora di visitare la città, fare shopping e … “ .

“Sì, sì” mi interruppe lei sbrigativa, prendendomi la mano e iniziando a trascinarmi chissà dove “ Quello lo faremo un altro giorno. Adesso abbiamo un appuntamento”.

“Un appuntamento?” ripetei confusa, cercando di stare al suo passo.

“Esatto” rispose, con chiara esasperazione “ In realtà avremmo dovuto vederci direttamente sul posto, ma dato che tardavi a rientrare, ho detto al tuo amichetto che ti sarei venuta a prendere. Adesso cammina. Non vorrai farli attendere troppo”. A quelle parole, mi bloccai dove mi trovavo, costringendola a fare lo stesso. Si voltò, accigliata, ma non si oppose.

“Chi è che ci sta aspettando?” domandai, anche se avevo la sensazione di saperlo già “Dove mi vuoi portare? Insomma, che sta succedendo?”. Mia sorella sospirò, levando gli occhi al cielo, sotto il mio sguardo irritato.

“ Calmati, innanzitutto” mi ordinò decisa “ Posso assicurarti che non sta accadendo nulla di tragico, nonostante mi sia parso di capire che tu, mia cara, sia in un mare di guai. Per quanto riguarda la nostra destinazione, si tratta di un innocuo bar e i nostri accompagnatori sono il mio fidanzato Gabriel e … beh, scommetto che l’altro lo conosci meglio tu di me, visto che hai vissuto con lui negli ultimi tempi” concluse con un tono leggermente velenoso, accompagnato da un’espressione più che allusiva.

Oh, cavolo. No, non era possibile.

Dopo tutti i sensi di colpa e le bugie che avevo raccontato loro, adesso veniva fuori che … “Voi sapevate la verità” sussurrai, sconvolta.

Me lo sarei dovuta immaginare, a dire il vero. Era troppo strano che si fossero bevuti tutte quelle balle. Ma perché continuare a farmi credere di esserne all’oscuro?

Kate dovette leggere la natura del mio turbamento nei miei occhi, poiché si avvicinò e mi parlò in tono dolce “ Certo, Sel. Ed eravamo incredibilmente preoccupati. Ma papà aveva già lavorato con L e si fida di lui, quindi nel momento in cui ci ha chiesto di starne fuori, lo abbiamo fatto. Le carte sono cambiate, però. Abbiamo bisogno di parlare”. 

Su questo non c’era alcun dubbio.

“D’accordo. Portami da lui ora” dissi, tra i denti.

Così posso strozzarlo, aggiunsi mentalmente. 

Lei rise, complice. “ Con piacere. Sarà proprio un incontro interessante”.


^^^^^^


Dieci minuti dopo eravamo nella zona bar di un hotel in cui non ero mai stata e il mio umore non era cambiato di una virgola. Sperai ardentemente che la nostra presenza in quel luogo non significasse che avevamo cambiato alloggio un’altra volta a mia insaputa, perché a quel punto sarei letteralmente saltata alla gola di Ryuzaki.

“Ciao amore” mia sorella si sedette accanto al suo ragazzo, sfiorando le sue labbra con le proprie. Ancora mi stupivo di quanto quei due stessero bene insieme. Gabriel era un aitante ventisettenne, nato a Parigi  e cresciuto a Phoenix, con madre francese e padre argentino e ormai da tre anni era un agente dell’FBI, dell’ufficio di Los Angeles.

Lui e Kate si erano conosciuti quando lei aveva cominciato a lavorare come assistente di nostro padre e da allora si frequentavano di nascosto. Entrambi i nostri genitori erano infatti d’accordo nel considerarlo troppo vecchio per la figlia di appena ventitre anni, nonostante lei fosse abbastanza matura e intelligente per fare le proprie scelte. Personalmente, avevo un ottimo rapporto con Gabriel e lo consideravo già uno di famiglia. Ma non tutti erano del mio stesso parere.

“ Ciao Gab” lo salutai, a mia volta, prima di prendere posto vicino alla fonte della mia rabbia, come sempre rannicchiato al suo modo sulla sedia. Gli riservai un’occhiataccia gelida, prima di sostituirla con una sorpresa quando mi accorsi che indossava una maschera rappresentante una faccia un po’ grottesca, che gli copriva tutto il volto.

“Hai deciso di festeggiare Halloween in anticipo?” chiesi, sarcastica. Mi infastidiva non vederlo in viso, sembrava quasi che si stesse prendendo gioco di me.

“E’ solo una precauzione” rispose tranquillo, per niente colpito dal mio evidente nervosismo. Questo mi fece infuriare ancora di più.

“Certo. Come sempre” ribattei, in tono forse un po’ troppo duro. Ero veramente di cattivo umore, tanto che potevo quasi sentire il fumo che mi usciva dalle orecchie.

“D’accordo, d’accordo” ridacchiò Gabriel, conciliante “Ritira gli artigli, Sel. Siamo venuti a portarti buone notizie”.

Buone notizie. Era da secoli che non ne sentivo.

Gli feci segno di continuare, ma fu mia sorella a prendere la parola “Innanzitutto, c’è una cosa che io e Gabriel vorremmo che tu sapessi. Speravo di riuscire a parlartene con calma in privato, però non sembra che ciò sia possibile” e mi lanciò un’occhiata eloquente, indicando in modo vago qualcosa, o meglio, qualcuno alla mia sinistra “Quindi  te lo mostro senza tante cerimonie”.

Avvertii la mia mascella praticamente srotolarsi, quando vidi un anello luccicare sul suo anulare sinistro.

“Oh. Mio. Dio” esclamai, senza fiato. Questa sì che era una bomba! A mio padre sarebbe venuto di sicuro un infarto. Santo Cielo.

“Congratulazioni” sentii Ryuzaki dire con distaccata cortesia, mentre ancora cercavo di mettere insieme una frase di senso compiuto. In quanto a buone maniere, se la stava cavando molto meglio di me.

I novelli sposi lo ringraziarono, senza staccare gli occhi dalla sottoscritta. Aspettavano una mia reazione.

“Io …” boccheggiai sconclusionatamente. Io cosa?

“Non c’è affatto bisogno di un discorso filosofico, Sel. Che ti piaccia o no, sei anche la mia sorellina adesso” mi ricordò il cognato che avevo appena acquisito, in un mix fra una battuta e un’orgogliosa affermazione. Sorrisi, nel  rendermi conto di quella verità.

“Oh al diavolo!Benvenuto in famiglia, Gabriel” tagliai corto, allungandomi sopra il tavolo per abbracciarlo. Dentro di me l’ira era completamente scivolata via, lasciando il posto alla felicità. Stritolai Kate, consapevole che le avrei spiegazzato la camicia e che lei si sarebbe incazzata. Come ai vecchi tempi.

“Non sei per nulla convincente, quando provi a fare la burbera” le sussurrai all’orecchio,  non appena cominciò a lamentarsi.

“E tu quando provi a fingere che Ryuzaki non ti piaccia” ritorse, lasciandomi di stucco. Arrossii imbarazzata, mentre protestavo “Non è vero”.

“Avete finito di raccontarvi i segreti ragazze, o è il caso che vi lasciamo da sole?” scherzò Gabriel, con il chiaro intento di riportare la conversazione a un livello pubblico. A giudicare dall’espressione di Kate, sarebbe stato meglio che non avesse aperto bocca, ma io tornai al mio posto, grata del suo intervento. Non ero ancora pronta a sostenere quel tipo di discussione.

“Scusate, ci siamo lasciate trasportare” dissi, di nuovo di buon umore “A proposito di segreti, che faccia hanno fatto mamma e papà quando hanno scoperto che vi siete sposati a tradimento? “.   

Kate e Gabriel, per tutta risposta, si scambiarono uno sguardo vagamente colpevole. “Sei la prima a cui l’abbiamo detto” ammise  dopo un po’ mia sorella, sotto il mio cipiglio sospettoso “Non siamo ancora riusciti a trovare il momento adatto per informarli”.

“Che cosa?” strillai incredula “E quale sarebbe il momento adatto secondo voi? Conoscete Vanessa e Richard! Più aspettate, peggio reagiranno”.  L’unica cosa che i miei genitori odiavano maggiormente delle bugie, erano le omissioni. Specialmente se l’omissione consisteva nel matrimonio di una delle loro figlie.

Ora sì che mi sembrava di essere entrata in un episodio de La vita segreta di una teenager americana.  Quasi avevo paura di vedermi spuntare Amy mano nella mano con Ben*. Sarebbe stato veramente il colmo di quell’assurda giornata.

“ Abbiamo deciso di aspettare la risoluzione del caso a cui stiamo lavorando” aggiunse inaspettatamente Gabriel, strappandomi alle mie incoerenti riflessioni. D’un tratto mi accorsi che indossava un completo blu formale, e che aveva un piccolo rigonfiamento nella giacca, che di certo nascondeva la pistola. Ciò significava che era in servizio.

“Che succede?” domandai basita, con gli occhi che si spostavano frenetici dall’uno all’altra, in cerca di una spiegazione. Non mi persi il cambiamento del clima generale, che da allegro, si fece teso e cupo. Era chiaro che eravamo arrivati al punto, finalmente. Solo che la situazione non pareva poi così rosea come mi era stato assicurato. Probabilmente avevano voluto indorarmi la pillola annunciandomi  le loro nozze, prima di rifilarmi la stoccata letale.

“Perché siete venuti fin qui? Voglio la verità” incalzai, mentre iniziavo a scaldarmi. Cosa mi stavano tenendo nascosto?

Mia sorella prese un bel respiro, poi parlò “Siamo qui per coordinarci con alcuni membri dell’Interpol, che sono sulle tracce di un serial killer psicopatico di nome Alex Collins”.

Ci mancò poco che cadessi dalla sedia. Dopo questa, non mi sarei sorpresa neanche se un meteorite fosse caduto esattamente sulle nostre teste, in quello stesso istante. “ P- Perché l’FBI è coinvolta in questa storia?” balbettai, non appena riuscii a riprendere fiato. Nell’attimo seguente, fui colta da un tremendo sospetto.

“Li hai chiamati tu?” accusai Ryuzaki, voltandomi a guardarlo in faccia. Lui sollevò lo sguardo dal gelato che era intento a divorare, chiaramente stupito che fossi giunta a tali conclusioni.

“Siamo stati noi a chiedere di continuare a seguire le indagini che avevamo cominciato” spiegò Gabriel, con il suo lieve accento francese, per chiudere la questione “ Quel pazzo ha architettato un piano omicida che è già costato la vita di due persone, soltanto negli Stati Uniti e abbiamo la fondata convinzione  che tu possa essere un altro dei suoi bersagli. Mi dispiace, tesoro, ma è giusto che ne sia consapevole” aggiunse, rivolto a Kate, che gli aveva rivolto un’occhiataccia esterrefatta.

Grazie,ma lo immaginavo già, visto che si é preso la briga di venirmi a fare un salutino, avrei voluto ribattere sarcastica, tuttavia, non riuscii ad aprire bocca. Avere la certezza del pericolo era ben diverso dal pensarlo come una semplice probabilità.  Sentivo la paura, rimasta in un costante seppur tenue sottofondo nel corso di quelle settimane, alimentarsi sempre più fino a diventare un assordante caos.

Faticai a seguire il discorso di mia sorella, sebbene fosse pronunciato in tono deciso e rassicurante “Prenderemo quel bastardo, Selena. Te lo prometto. Non si avvicinerà di nuovo a te” e mi strinse le mani con dolcezza.

All’improvviso, una serie di immagini esplosero nella mia mente.

Una donna sulla quarantina cerea e congelata,  sopra un tavolo per le autopsie, accanto a una ragazza poco più grande di me, altrettanto cerea e coperta di ghiaccio. Segni di coltellate al cuore, allo stomaco, alla gola. Due biglietti legati dal killer con dello spago alle loro caviglie: Sylvia Miles; Kelly Porter . Un messaggio scritto con il pennarello rosso: Chi sarà il prossimo della mia lista?

Con un sussulto, ritornai al presente. Il bar e i suoi rumori furono i primi ad apparire nel mio campo percettivo. Poi, aprii gli occhi, che non mi ero accorta di aver serrato, per ritrovarmi a fronteggiare un insieme di diverse sfumature di espressioni attonite.

Prima che chiunque avesse il tempo di dire o fare qualsiasi cosa, ero scattata in piedi, pronta alla fuga. Per mia sfortuna, però, quel movimento così agile e fulmineo, fece cadere a terra la mia borsa, sparpagliandone il contenuto. Ebbi un attimo di esitazione, che Ryuzaki sfruttò per afferrarmi il polso, con una forza tale da impedirmi qualunque movimento. Sbalordita, girai la testa e lo fissai negli occhi neri e profondi, mentre percepivo lo shock della visione attenuarsi sempre di più.

A un certo punto, Ryuzaki dovette scorgere la scintilla della ragione risplendere nuovamente nel mio sguardo, perché lasciò la presa, limitandosi ad osservarmi con cautela. Non potevo esserne sicura, a causa della maschera, ma sembrava la stessa espressione che aveva quella notte di un mese fa in cui ci eravamo incontrati sul balcone. Anche allora mi ero ritrovata ad agire in maniera istintiva e lui mi aveva guardata come se fosse stato intenzionato a fermarmi, appena ce ne fosse stato bisogno. Tuttavia, il massimo che aveva dovuto fare alla fine era stato portarmi a letto, dopo che ero crollata accanto a lui.

Eh sì, me ne ero accorta. E ora che lo conoscevo un po’ di più, sapevo che sotto a quella facciata apatica, si nascondeva un animo davvero dolce e gentile …

“E questo cosa significa?” sbottò mia sorella, da un punto imprecisato dietro la mia schiena. Mi voltai e il test di gravidanza di Tomoko apparve quasi per magia sotto il mio naso. Oh, cazzo.

“Non è mio” scattai in automatico, strappandoglielo dalle mani e lanciandolo nella borsa, che, nel frattempo, era stata così carina da raccogliere. Proprio non lo é, mi ricordò un’inattesa fitta alla pancia. Avrei dovuto mandar giù un altro antidolorifico se volevo sopravvivere  fino a sera, considerata la concomitante persistenza del mio mal di testa. Non me ne stava andando bene una.

“Okay, perché non ci sediamo tutti quanti e cerchiamo di ritrovare la calma?” proposi, pregando mia sorella con lo sguardo. Lei sospirò, lasciandomi intendere che ne avremmo riparlato, ma tornò al suo posto. La imitai, mentre mi chiedevo come avesse fatto quel dannato stick a finire dentro la mia borsa.

Forse ce l’aveva infilato Rossella, partita dal presupposto che visto che lasciavo a lei il duro lavoro di consolare la nostra amica, io potevo almeno disfarmi delle prove. O più probabilmente ce l’aveva fatto cadere inavvertitamente Tomoko stessa, quando mi ero avvicinata. Comunque, ormai la frittata era fatta, quindi arrovellarmi sui quelle ipotesi non avrebbe portato a niente.

Invece, grazie alle mie “capacità speciali”, avevo appreso un dettaglio parecchio interessante. E la mia mente ne stava traendo delle elaborazioni realmente affascinanti.

“Alex si è immedesimato in Tyler” dichiarai, presa dai miei ragionamenti “ Deve aver sviluppato una psicosi determinata dallo spasmodico bisogno di essere qualcun altro, magari qualcuno con una personalità forte e carismatica. Probabilmente è un paziente schizofrenico o bipolare.  Ad ogni modo, sta di fatto che si crede Tyler, il che spiegherebbe perché ha fatto fuori sua madre e la sua ex ragazza”.

L’immagine di quei due cadaveri mi passò di nuovo davanti agli occhi.

Avevo odiato Sylvia Miles e Kelly Porter con tutto il mio cuore.

La prima, poiché aveva lasciato andare i suoi figli alla deriva, senza nemmeno curarsene e la seconda in quanto era una vera vipera, degna in tutto e per tutto del suo ragazzo. Tuttavia, nessuna delle due meritava la fine che aveva fatto.

“Porca puttana!” imprecò mia sorella di botto, strappandomi dal quel turbine di riflessioni. Sollevai immediatamente lo sguardo verso di lei. La mia sorpresa non riguardava tanto il fatto che avesse parlato in italiano. Tra me e nostra madre originaria di Firenze, infatti, per la nostra famiglia era una sorta di seconda lingua. Ciò che mi fece alzare le sopracciglia, per contro, fu sentire mia sorella dire una parolaccia. In pubblico poi.

“Tu …?” aggiunse, talmente sconvolta da non riuscire a terminare la frase. All’improvviso mi resi conto della mia gaffe. Che stupida.

Nessuno aveva parlato del nome delle vittime. E io cosa facevo? Mostravo di sapere vita, morte e miracoli di Alex Collins e i suoi delitti. Kate mi stava ancora fissando. Annuii lentamente, nella speranza che soprassedesse anche a quell’argomento.

Lei sapeva perfettamente cosa ero stata in grado di fare prima dell’incidente. Era la mia confidente numero uno in quel frangente. Ecco perché non si aspettava di venire a sapere del miracoloso ritorno delle mie “stranezze” in quella maniera . Più di ogni altra cosa che le avevo taciuto, notai come quella l’avesse ferita nel profondo.  

Per grazia di non so quale divinità, il cellulare di Gabriel iniziò a squillare. “E’ la base” constatò, facendo un cenno a mia sorella.

Lei si affrettò ad alzarsi e raccogliere le sue cose. Era ancora arrabbiata ma dopotutto doveva essere professionale. “Grazie per avercela fatta incontrare” disse cortesemente a Ryuzaki.

“Ci faremo sentire se ci saranno novità” promise Gabriel, in perfetto stile  da "agente dell’FBI".

“D’accordo” replicò il detective.

“Ci vediamo presto, cara mia” aggiunse Kate mentre mi passava vicino, in tono poco meno che minaccioso. Perfetto.

“Au revoir , ma petite soeur* ” si accomiatò subito dopo Gabriel, con un luccichio divertito negli occhi verde smeraldo.

Almeno qualcuno prendeva sul ridere i guai in famiglia.   
 


^^^^^^^


POV  L



Osservavo Selena da qualche minuto ed ero ormai giunto alla conclusione che fosse in preda a tre stati d’animo differenti.

Era turbata per le rivelazioni scaturite dal breve meeting con la sorella e il neo-cognato, infastidita dalla lentezza dell’ascensore ed esausta a causa di qualche sorta di dolore fisico. Inoltre, se la mia teoria risultava corretta, l’ostilità che aveva dimostrato nei miei confronti, era passata in secondo piano, scalzata dalla tensione del momento.  

“Smettila di guardarmi in quel modo” sbottò, come avevo previsto sarebbe successo in un lasso di tempo compreso tra i 5 e i 10 secondi “Non sono arrabbiata con te. Non più. E’ solo che … sapere che c’è  un pazzo psicopatico che vuole davvero togliermi di mezzo mi rende nervosa. E mi sta letteralmente scoppiando la testa” si portò le mani chiuse a pugno sulla fronte “Questo affare non può andare più veloce?” si lamentò, dando un calcio al pannello di legno che ricopriva la parete di destra del macchinario.

“Diventare violenti di certo non aiuta” commentai, soddisfatto dell’accuratezza delle mie ipotesi.

ù“Lo so” replicò lei cupa “Però fa sentire meglio me”.

Lanciai uno sguardo al piccolo display che indicava mano a mano i piani che risalivamo. Un 14 rosso aveva appena preso il posto del precedente numero cardinale. Selena sospirò.

Secondo i miei calcoli mancavano ancora sei minuti alla fine del viaggio. Un tempo relativamente lungo.

“Di chi è questa canzone?” chiese di punto in bianco la ragazza accanto a me, riferendosi al pezzo che davano alla radio in quel momento. Lo riconobbi immediatamente, anche se non amavo molto la musica pop.

“Di Misa Amane”  risposi, sorpreso che lei stessa non lo sapesse.

“Chi? Deve essere famosa qui in Giappone, perché non ho mai sentito questo nome” affermò, in tono lievemente scioccato per quella mancanza.

Effettivamente era strano che non ne avesse mai sentito parlare. D’altra parte, però, avevo avuto modo di appurare che la sua cultura si concentrava soprattutto su Europa e Stati Uniti. Come la maggior parte degli occidentali.

“E’ anche una modella e attrice internazionale” la informai, fissandola negli occhi ambrati “ Sono un suo grande fan da molto tempo”.

Lei mi squadrò un secondo, poi scoppiò a ridere. “Cioè, fammi capire” disse, non appena riuscì a riprendere fiato “ Ti ho dovuto raccontare le indimenticabili scene di “Dirty Dancing” e “Footloose”, perché mi hai lasciato intendere che erano film troppo frivoli per te e adesso vengo a scoprire che ascolti questa roba?”. Continuai a guardarla ridere, senza capire cosa ci fosse di tanto divertente.

“Ognuno ha i suoi gusti” sentenziai alla fine, vagamente irritato. Mi concentrai sul rilassante movimento dell’ascensore. Eravamo al ventesimo piano.

“Hey, mi dispiace” sussurrò Selena, a un certo punto, posando una mano sul mio braccio. Tornai a focalizzarmi su di lei, leggermente a disagio per quel contatto fisico. Ad esclusione di Watari, non mi era mai piaciuto che la gente mi toccasse. Selena, tuttavia, lo faceva spesso, con spontaneità. E io non ero mai stato in grado né di abituarmi, né di costringerla a lasciar perdere.

“Non volevo offenderti, davvero” continuò, mentre il suo sguardo e i suoi lineamenti si raddolcivano “Qualche volta mi scordo che, dopotutto, sei un normale ragazzo. E’ la componente geniale a renderti unico. Oltre all’impegno, la determinazione e l’audacia che metti nel tuo lavoro, ovviamente”.

Si allontanò di un paio di passi, sfiorandomi con un’occhiata ambigua. “ Confesso che fare parte di tutto questo, dei tuoi piani, è elettrizzante. E, beh, mi garantisce una certa sicurezza”. Alludeva al fatto che grazie alla mia sorveglianza, Collins non poteva torcerle un capello. Però non era qualcosa di cui fosse opportuno disquisire al di fuori del quartier generale, quindi lasciai cadere l’argomento, per rilanciarne uno che decisi essere più innocuo.

“Posso farti una domanda personale?” indagai, con il doppio scopo di tastare il terreno e non risultare maleducato. A certe cose tenevo molto.

“Certo” rispose lei, presa completamente in contropiede.

“Se non sono troppo indiscreto, di chi era il test di gravidanza che tua sorella ha rinvenuto nella tua borsa?” chiesi allora, mio malgrado incuriosito.
Selena impallidì all’improvviso, puntando lo sguardo sulle porte dell’ascensore che con un lieve scampanellio si stavano aprendo.

“Siamo arrivati” cinguettò, nel vano tentativo di nascondere la tensione. Uscì sul pianerottolo quasi di corsa e si diresse verso la nostra stanza a grandi falcate. Un comportamento  evasivo da manuale. Mentre sbloccavo la porta, stette ben attenta a mantenere un sorriso di circostanza e non guardarmi direttamente negli occhi.

“ Al tavolo degli interrogatori, non reggeresti un minuto” la canzonai  leggermente, osservando  il suo colorito passare a una tonalità molto più intensa.

“Apri questa porta, per favore” sibilò rigida. Pizzicata in uno dei suoi punti deboli, entrò con aria impettita, non appena glielo permisi.

Ebbi giusto il tempo di godermi quella facile vittoria, che mi stampò un ceffone in pieno viso.

La guardai interdetto, mentre mi rimproverava “Sei un dannato impiccione, lo sai? Se ti interessa tanto perché non lo chiedi a Matsuda, che da pettegolo qual è, sono certa che non si è perso una sola parola di tutta la scena?! Cavolo, io ti faccio un complimento e tu come reagisci? Mi metti in difficoltà”.  

“Hai detto che avevo il permesso di porti una domanda personale” le ricordai, massaggiandomi la zona infortunata. Quella ragazza picchiava davvero forte.

“Infatti” replicò infervorata “Ma “personale” significa “che riguarda me”. Ciò che mi hai chiesto non riguarda me, come ho già detto a Kate, e dovresti sapere anche da solo che è vero, visto che negli ultimi tre mesi non mi hai tolto di dosso gli occhi un secondo”.  

Alzai di un millimetro un sopracciglio. Il mio intento iniziale era stato distrarla, ma ciò che avevo ottenuto erano soltanto recriminazioni. Peraltro di natura discutibile.

“Mi rincresce davvero molto averti impedito di intrattenere compagnie maschili” dissi, nel tono più neutro che mi riuscii, considerato il leggero ed insolito fastidio che provavo a quell’idea. Selena diventò purpurea. Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò molto lungo.

Alla fine, lei raggiunse il carrellino delle vivande, estrasse il contenitore del ghiaccio e mi si avvicinò. Dopodiché, avvolse in un tovagliolo qualche cubetto e lo appoggiò alla mia guancia gonfia.

“Scusa, non era mia intenzione farti così male” mormorò, mentre la fissavo sorpreso “ Giuro che sei la prima persona che incontro che è capace di mandarmi totalmente in bestia e di farmene pentire in un istante. D’altro canto, sei sempre stato gentile con me, nel bene o nel male, e io non ho alcun diritto di comportarmi male o lamentarmi, cosa che vorrei specificarlo, mi è uscita più per esasperazione che altro. Anche oggi … beh, è stato molto carino da parte tua perdere del tempo per farmi stare un po’ con la mia famiglia. Non avrei dovuto arrabbiarmi dall’inizio, tu stai cercando di fare del tuo meglio e sono più che certa che hai avuto i tuoi buoni motivi per lasciare che io credessi che loro fossero ignari della situazione. Dopotutto, il fatto che adesso riusciamo a convivere in maniera civile, non vuol dire che dobbiamo essere amici”.

La pelle della faccia stava cominciando a congelarsi, ma non le chiesi di spostare l’impacco improvvisato.

Le sue parole stavano avendo un bizzarro effetto su di me. Il cuore mi batteva più forte di quanto avrebbe dovuto e il mio respiro era accelerato come se avessi appena corso per chilometri. Per la prima volta in vita mia, non riuscivo ad articolare alcun suono, né a pensare in modo coerente.

Non aveva alcun senso. Avevo avuto centinaia di conversazioni con lei, spesso anche molto ravvicinate come questa, però non avevo mai sentito il mio corpo reagire in quel modo alla sua voce, al suo profumo, a ciò che diceva.

Secondo lei avevamo possibilità di diventare amici. Una novità assoluta per me. Ma l’amicizia era davvero questo?  

D’un tratto Selena si portò una mano alla testa e barcollò leggermente. Le passai un braccio intorno alla vita per sorreggerla. Notai che era tornata ad essere molto pallida, così la aiutai ad adagiarsi sul divano.

“Dovresti mangiare qualcosa” le consigliai, passandole un paio di fette di torta al cioccolato, mentre mi garantiva che aveva avuto solo un piccolo capogiro.

“Grazie” sospirò, un po’ più rosea, dopo averle ingurgitate sotto il mio sguardo attento “Questo stupido mal di testa mi sta giocando dei brutti scherzi. Ora, se non hai nulla in contrario, vado a stendermi un po’”. Mi alzai per darle una mano, ma mi assicurò ancora una volta che si sentiva meglio.

“ Succederà qualcosa, me lo sento” aggiunse, con uno sguardo quasi allucinato “Tieni gli occhi aperti, Ryuzaki”.

Poi sparì nella sua stanza, lasciandomi a riflettere sul suo avvertimento, sull’amicizia e sull’imminente riunione con gli agenti.  
 





*Arrivederci, sorellina è la traduzione in italiano.
* sono due dei personaggi del telefilm La Vita Segreta di una Teenager Americana. Ero convinta che nel 2007 andasse già in onda, in realtà invece c’è dal 2008, ma spero che mi perdonerete la svista.
 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Presentimenti- seconda parte ***


 Ecco come promesso la seconda parte del capitolo. Volevo solo precisare prima di lasciarvi alla lettura che i dialoghi tra i personaggi e le frasi che non sono di Selena tra i due asterischi sono quelli originali della puntata 11 di “Death Note”. Detto ciò, ci vediamo in fondo al mio solito angoletto dell’autrice.
 



POV SELENA
 


La pace della camera immersa nella completa oscurità, fu rotta improvvisamente dallo spalancarsi della porta.

Watari entrò come una furia e si mise ad armeggiare con i cavi della televisione, a pochi metri dal letto. “Ma che cavolo sta succedendo?” mi scappò, prima che riuscissi a trattenermi.

“Mi dispiace Selena per averti svegliata” fu la risposta sbrigativa, ma pur sempre educata del vecchio “Purtroppo è in corso un’emergenza e Ryuzaki ha bisogno di questa”. Ebbi giusto due secondi di tempo per accorgermi della  TV tra le sue mani, che si era già dileguato.

Mentre mi scrollavo le coperte di dosso, dovetti ammettere con me stessa che i suoi riflessi erano molto più pronti dei miei. Il che non faceva di certo onore ai miei quasi vent’anni. Indirizzai uno sguardo assonnato all’orologio della radiosveglia.

Erano le 18:01.

“Vai sul canale 24* ” ordinò una voce profonda e familiare dal salotto. Un istante più tardi, una serie di urla agitate e non identificabili, mi convinsero ad alzarmi definitivamente. “Torna su Sakura TV” ingiunse  Ryuzaki perentorio, in direzione di Matsuda, nel momento stesso in cui misi piede nella stanza.

Sullo schermo apparve uno sfondo bianco dove le lettere in caratteri gotici K-I-R-A facevano una figura appena poco meno inquietante della voce distorta che parlava in sottofondo.

Ora immagino che non avrete più dubbi sulla mia autenticità …” stava affermando, di fronte alle espressioni basite dei presenti. Il silenzio calò, pesante e insopportabile. Mentre stavo prendendo in seria considerazione di sfruttare quella pausa per urlare un altro Ma che cazzo sta succedendo?!, fui spiazzata dall’appello concitato del detective “Dobbiamo fermare la trasmissione prima che mandino il messaggio”.

Personalmente, non sapevo minimamente a che cosa si stesse riferendo, ma il resto degli agenti si affrettò a comporre un numero di telefono dopo l’altro, parlando troppo velocemente perché potessi seguirli, nonostante la mia comprensione del giapponese fosse ormai discreta. A un certo punto, nel bel mezzo di tutto quel casino, Ukita, l’agente del quartier generale che conoscevo meno, sbraitò qualcosa che non riuscii ad afferrare, corse alla porta e in un nanosecondo se la sbatté alle spalle.

“Vedo che la stiamo prendendo con calma” borbottai sarcastica, accasciandomi sul divano. Nessuno sembrava essersi accorto della mia presenza, nemmeno lo stesso Ryuzaki, che appariva decisamente troppo preso dalla brutta piega presa dagli eventi per curarsi del resto del mondo.

A dire la verità, non lo avevo mai visto così. Si torturava l’unghia del pollice con i denti, in un gesto che esprimeva preoccupazione, collera e frustrazione insieme. Era uno dei rari momenti in cui le sue emozioni si potevano individuare senza troppa difficoltà, come sarei riuscita a fare con un qualunque altro ragazzo. Per un secondo la cosa mi fece sentire strana.

Poi, quel lieve senso di incongruenza tra i miei sentimenti e miei pensieri, fu sostituito da un’ondata di nausea da piegarmi in due. Stava per succedere qualcosa di terribile. Era tutto il giorno che questa consapevolezza mi aleggiava intorno e adesso era arrivato il momento. Quasi mi avesse letto nella mente, la voce di una giornalista proruppe dal televisore che Watari aveva prelevato dalla mia stanza:“Ci scusiamo per l’interruzione. Abbiamo delle immagini in diretta dall’ingresso della sede della Sakura TV!”.

Tutti, compresa la sottoscritta, puntarono gli occhi su quello schermo. E la scena di cui fummo testimoni, mi fece gelare il sangue nelle vene.

Guardate!” ci invitò la stessa trafelata giornalista, come se già non lo stessimo facendo “C’è un uomo a terra! Esattamente di fronte alla sede della Sakura TV!”. Il tono sgomento della donna,  non era neanche lontanamente sufficiente a descrivere in modo adeguato l’orrore dei fatti. Perché l’uomo privo di vita di fronte alla sede della Sakura TV altri non era che Ukita, accorso sul posto, appena da qualche minuto.

Un’involontaria lacrima solcò la mia guancia destra. Il cattivo presentimento era, nel frattempo, scomparso e la testa stava gradualmente smettendo di pulsarmi. Si trattava dunque di questo? L’universo voleva informarmi in anticipo della morte di quello sfortunato agente?

“Maledizione! E’ stato Kira” urlò rabbiosamente Aizawa, inducendomi ad abbandonare le mie terrificanti riflessioni. La sua impulsiva avanzata alla volta della porta, fu però troncata di netto da Ryuzaki.

“Aizawa” disse in uno dei toni più bassi che poteva produrre la sua voce profonda “Dove pensa di andare?”. Nel pronunciare quelle poche parole, non aveva perso un grammo del  mirabile autocontrollo di cui era dotato, ma sospettavo che sotto la superficie, fosse tutto un altro paio di maniche. La sua espressione dura ne era una precisa conferma.

“Vado da Ukita. Mi sembra ovvio, no?” rispose Aizawa cupo, di spalle. D’un tratto, mi parve che la stanza, illuminata solo dalla luce che proveniva dai televisori, fosse ancora più buia. “Non lo faccia” ribatté il detective, mantenendo il tono freddo e piano di poco prima “La prego di calmarsi”. Quel discorso ebbe lo stesso effetto che ha la benzina sul fuoco.

“Dovrei stare qui a guardare la TV senza fare niente?” ringhiò Aizawa, prossimo a perdere le staffe. Mi alzai dal divano, nel caso io e Matsuda fossimo dovuti intervenire per separarli. “Se questa è opera di Kira, farà la stessa fine precipitandosi là” spiegò ragionevolmente Ryuzaki . Aizawa, punto sul vivo, si girò dalla nostra parte, obiettando “Pensavo che Kira avesse bisogno di sapere il nome per uccidere. E allora mi spieghi come è potuto accadere?”. Anche Matsuda protestò, ma non lo ascoltai.

La mia attenzione era completamente focalizzata sul detective. Teneva lo sguardo basso, fisso sui suoi piedi. La sua schiena era ancora più curva del solito e le mani se ne stavano rigidamente arpionate alle ginocchia. Per la seconda volta in un giorno, fui in grado di interpretare i suoi sentimenti, che non erano molto diversi dai miei, ma sicuramente più intensi e intrisi di rabbia e angoscia.

Persa nelle mie scoperte, non mi accorsi subito che si era rimesso a parlare, ma riuscii a cogliere almeno una parte di ciò che stava dicendo “ … Secondo la mia teoria, Kira ha bisogno di un volto e di un nome per uccidere. Ma dopo quanto ho appena visto non me la sento di escludere che gli sia sufficiente conoscere solo il volto ….”.

A volte è sufficiente solo il volto. Sussultai.

Quelle sette parole erano apparse nella mia coscienza per lo spazio di un secondo. Una specie di eco alla delucidazione di Ryuzaki.  Un sussurro del passato, che portava con sé una schiacciante, seppur sbiadita, consapevolezza. Ma era sparito troppo in fretta perché potessi coglierla.

Deve essere uno di quei ricordi, intuii, mentre tornavo a sedermi Qualcosa che è successo in quei maledetti mesi precedenti all’incidente. Qualcosa che risultava disgraziatamente  inaccessibile, per colpa della mia inutile e inspiegabile amnesia. Tuttavia, se mi concentravo, forse sarei riuscita risalire a qualche altro dettaglio.

Dovevo provarci, perlomeno. Sentivo che era importante. Essenziale.

Quindi, mi scollegai dagli stimoli esterni e provai a rievocare quella frase.

A volte è sufficiente solo il volto. Sì. Suonava familiare, in effetti. Però qualcosa stonava. Era come se … mancasse un pezzo.

In origine quell’affermazione era stata più lunga. E pronunciata in maniera saccente. Una cosa del tipo “Ovviamente tu non lo sai, perché queste sono conoscenze riservate a pochi eletti, tuttavia dall’alto della mia saggezza, decido di rivelarti che a volte è sufficiente solo un volto per uccidere”.

Credimi, bastano un volto e un nome per uccidere. E a volte è sufficiente solo il volto. Cavolo. Era successo di nuovo. Avevo fatto bingo! 

Ora dovevo soltanto scoprire da chi avevo avuto il privilegio di essere illuminata. Doveva trattarsi di qualcuno che aveva in qualche modo intenzione di impressionarmi. E considerata l’epoca a cui quel commento risaliva, non mi era difficile immaginare che fosse provenuto da un ragazzo.

Non uno qualsiasi, però. Qualcuno con cui fossi abbastanza in confidenza da poter tirare fuori un argomento del genere. Qualcuno che non giudicavo e da cui non mi sentivo giudicata. Qualcuno con cui avevo condiviso un sentimento speciale … Chris!

L’istante successivo, accadde qualcosa di  indescrivibile.

Stavo guardando un parcheggio asfaltato sul retro di un edificio di mattoni rossi. Il vento fresco del febbraio californiano, mi faceva rizzare i peli sulle braccia, ma ero troppo su di giri per preoccuparmene.

Invece, camminavo a passo di carica, sbraitando “Non posso credere che il signor Dean faccia sul serio! Insomma, dovrebbe soltanto ringraziare che le sue studentesse siano in grado di badare a se stesse. Guarda, sono così incavolata, che mi piacerebbe passargli sopra con la macchina”. Emisi un verso frustrato, che fece ridere la persona accanto a me.

“Non sei il tipo” dichiarò sicuro, il ragazzo biondo dagli occhi azzurri mozzafiato, di cui un tempo ero cotta. E che adesso era morto.

Non  ci stavo più capendo nulla. Possibile che stessi rivivendo in maniera così nitida un evento passato? In quel momento, però, non riuscii a darmi una risposta.

L’unica mia certezza consisteva nel fatto che ero infuriata.

Mi fermai di botto. Chris si voltò, curioso ma non sorpreso. Ci fissammo negli occhi qualche istante, prima che sbottassi “Voi tutti dovreste proprio piantarla di dirmi chi sono o chi non sono. Ne ho piene le scatole, di essere sottovalutata”. Dopodiché mi avvicinai alla macchina, aspettando che lui sbloccasse le portiere.

Avevo avuto una giornata infernale e non vedevo l’ora di spaparanzarmi sul letto con un cd di Avril Lavigne a tutto volume. A dirla tutta, non sarebbe stato male anche un po’ di ghiaccio da mettere sulla mano destra, visto che avevo le nocche ancora doloranti. Osservai la blanda fasciatura che la mia amica Tara mi aveva fatto un paio d’ore prima in bagno. Potevo scorgere, attraverso essa, la pelle arrossata e gonfia. Non riuscivo quasi a muovere le dita.

Accidenti a me e alla mia impulsività! Se solo quell’idiota di Lucas avesse avuto il buonsenso di non provarci con la sottoscritta, altrimenti detta la migliore amica della sua ex fidanzata, non sarei stata costretta a dargli una lezione. E che lezione! Quel deficiente non riusciva a credere che una ragazza che arrivava a malapena al metro e sessanta, lo avesse steso di fronte all’intero corpo studentesco. La sua espressione era stata semplicemente impagabile.

Credevo che l’ orgoglio maschile ferito lo avrebbe condotto a scavarsi una fossa e scivolarci dentro in silenzio. Ma, al contrario delle mie previsioni, si era recato dal preside a lagnarsi. E questo era il motivo per cui avevo speso quasi un’ora di rimproveri nel suo ufficio. Grrr!

All’improvviso, Chris  strinse premurosamente la mia mano malandata nelle sue. “ Sì, forse hai ragione” disse piano “ Di certo quel patetico imbecille, non aveva capito con chi aveva a che fare. E nemmeno Dean, sembra essersene accorto. Devo supporre, dunque, che tu abbia già pronto un piano per eliminarlo?”. La serietà con cui me lo chiese mi spaventò.

Magari a volte le persone non mi prendevano abbastanza sul serio, ma in quel caso, era stata solo l’ira a farmi dire certe cose. Non avevo mai avuto intenzione di uccidere nessuno. E di sicuro anche il mio ragazzo stava scherzando. Doveva per forza essere così. “ Avrei un paio di idee” ammisi, fintamente pensierosa “ Tuttavia non ho alcuna voglia di finire in prigione per lui. Non se lo merita affatto”. E questo lo pensavo davvero.

Chris sorrise, assumendo un’aria beffarda, che fece tornare la situazione su toni più leggeri. “Perché mai dovresti farti beccare?” domandò, con occhi scintillanti di malizia. Avevo una gran voglia di baciarlo.

“Pronto?” ribattei, mentre mi avvicinavo al suo viso “ Mio padre lavora per l’FBI. Avrebbero le mie impronte nel giro di due secondi. E se anche fossi talmente brava da non lasciarle, troverebbero di certo il modo di incastrarmi. E’ gente che sa fare il proprio lavoro quella”.

Posai le mie labbra sulle sue, in un gesto che decretava la fine del nostro  scambio verbale. Non ero sicura dell’esatta motivazione, ma sentivo che continuare a tenere vivo l’argomento non avrebbe portato a nulla di buono. In più, il mio “sesto senso” si stava attivando. Iniziavo ad avvertire vibrazioni decisamente negative nell’ambiente.

Quasi le avesse percepite anche lui, Chris mise fine al bacio e guardò un punto sulla strada. Suo fratello Tyler, appoggiato alla fedele BMW , stava abbracciando una ragazza bionda che frequentava l’ultimo anno. Una certa Kelly.

“Wow, non sapevo che uscissero insieme” commentai, rispondendo al cenno di Tyler. Kelly era troppo persa a contemplarlo e non si accorse neanche del mio saluto. “Uscire non è esattamente quello che fanno” mi informò Chris, parlando tra i denti. La battuta sarcastica che ero sul punto di fare, mi morì in gola, non appena lo squadrai bene. Era teso, in un modo che avrei definito ostile e non staccava lo sguardo da suo fratello.

Ma che stava succedendo fra quei due?

“Comunque non c’è bisogno di esporsi per forza se si vuole commettere un delitto” aggiunse Chris, tornando bruscamente al discorso lasciato a metà. Mi fissò, come se volesse disperatamente comunicarmi qualcosa attraverso i suoi occhi. “Che vuoi dire?” mormorai, mentre una folata di vento mi sollevava i capelli, ancora lunghi e scuri.

Lui prese una ciocca tra le dita, rimirandola.  Me la mise dietro l’orecchio, prima di rispondere “Credimi bastano solo un volto e un nome per uccidere. E a volte è sufficiente solo il volto”. Indirizzò un’altra lunga occhiata a Tyler, che stava parlottando con la sua ragazza. Inaspettatamente, lei si voltò verso di noi.

La sua espressione si era fatta feroce senza alcun motivo, ma non era l’unica cosa strana. I suoi capelli sembravano più chiari del solito e le ciocche davanti erano raccolte in due codini. Gli abiti che aveva indosso erano diventati gotici: portava un vestito corto nero con le spalline sottili e un paio di stivaletti dello stesso colore.

Ma il particolare più inquietante erano gli occhi. Il consueto verde era scomparso, per lasciare spazio a un rosso sangue che pareva squarciare l’anima. Emettevano un bagliore che coprì ogni altra cosa, le case, la scuola, gli alberi, Chris.

Urlai, accecata da quella luce soffocante, sempre più intensa, finché tutto scomparve.
 

“Non dicevi che eri disposto a rischiare la vita pur di arrestare Kira?”.

Il grido litigioso di Aizawa mi riportò bruscamente alla stanza d’albergo in cui si trovava il mio corpo. Per quelli che realizzai, dovevano essere stati una manciata di secondi, la mia mente aveva vagato da tutt’altra parte.

Fu anche per questo che praticamente mi prese un colpo quando mi accorsi che Aizawa stava strattonando da dietro la maglia bianca di Ryuzaki. Ora se le danno sul serio, pensai agitata. Cosa mi ero persa?  

“Sì è esattamente quello che ho detto” concesse il detective, strabiliandomi ancora una volta per il suo atteggiamento distaccato “Ma arrestare un criminale come Kira non significa farsi uccidere da incosciente”. Wow, questa era pesante.

Infatti, l’agente, dopo essere diventato paonazzo,  urlò “Che cosa hai detto?!?* ”.

Compresi che la situazione stava per degenerare e sinceramente di emozioni forti ne avevo avute abbastanza nel corso della giornata.

“FATELA FINITA VOI DUE!!!” strepitai dunque a pieni polmoni, balzando in piedi. Quattro paia di occhi, più uno nascosto da una  massa di spettinati capelli neri, si fissarono sulla sottoscritta. Potevo star certa che ora  la mia presenza non passava più inosservata. “ Sembra di essere all’asilo nido” rincarai la dose, in tono un po’ meno assordante “ Ma vi sentite? Credete che sia forse d’aiuto rimbeccarvi come due galline bisbetiche? Nessuno di noi è contento della fine che ha fatto Ukita, però lui era un poliziotto e ha agito come riteneva fosse meglio per proteggere il suo Paese. Ora, il meglio che VOI potete fare, è darvi una mossa a risolvere questo casino. Quindi, cercate di tranquillizzarvi e di lavorare insieme senza scannarvi, per piacere”.

Con mio sollievo, le mani di Ryuzaki smisero di tremare. Qualcosa di buono lo avevo fatto.

Tuttavia, Aizawa non pareva aver gradito molto il mio intervento, perciò mi affrettai ad aggiungere “Adesso, me ne vado in cucina, a prepararmi un bel tè bollente e non vi romperò più le scatole. Però, se vi sento di nuovo bisticciare, giuro che torno qui con il contenuto di tutti gli scaffali e faccio un macello”. Sul volto del detective si dipinse qualcosa di simile a un minuscolo sorrisetto. Evidentemente si ricordava di che tipo di “macello” parlassi. E di quanto fossi brava a lanciare gli oggetti.

Sorrisi anche io, mentre uscivo dalla stanza con la massima teatralità possibile.

Avevo esagerato, lo sapevo. Ma quando è troppo, è troppo. Non ero riuscita a tollerare tutta quella tensione auto lesiva, con la confusione lasciata dall’esperienza che avevo appena vissuto, ancora così fresca.

In realtà, ero indecisa se sentirmi felice perché ero riuscita a recuperare una parte del mio vissuto dall’oblio o molto spaventata per la maniera in cui quegli eventi erano tornati alla memoria. 

Poi, naturalmente, c’era il piccolo, ma non meno agghiacciante elemento costituito dalla ragazza con gli occhi rossi. Qual era il suo significato? Mi sembrava un po’ troppo inverosimile che facesse parte del ricordo.

“Eppure ha qualcosa di familiare” riflettei ad alta voce, intenta a sorseggiare la calda bevanda all’aroma di pesca che avevo preparato “Dov’è che l’ho già vista?”. Cercai di rivisualizzarla. La pelle chiara in netto contrasto con l’abito nero, i lineamenti dolci, i capelli biondi e lunghi …

“Ci sono!” esclamai d’un tratto vittoriosa, correndo a tutta velocità verso la mia stanza. Una volta là, puntai direttamente al primo cassetto del comodino accanto al letto e iniziai a frugarci dentro con foga. Niente. Scandagliai allora il secondo cassetto, ma senza risultati utili. Solo libri, soldi, gioielli e cianfrusaglie varie. Tipico segno del mio modo di mettere in ordine.

Sbuffai, mentre mi aggiravo per la camera con l’intenzione di rivoltarla come un calzino. Quella cosa doveva saltare fuori. Ne dipendeva la mia sanità mentale. Se ancora ne possedevo una, ovvio.

Dopo svariati minuti di estenuante ricerca, il mio cellulare si mise a squillare.

“Che diavolo c’è adesso?” inveii nella cornetta contro chiunque avesse avuto la pessima idea di volermi comunicare qualcosa, in quel momento.  

“Stai bene?” ribatté la voce preoccupata di Kate, come se non mi avesse sentita.

“Certo che sì” risposi esasperata, levando lo sguardo al soffitto “Perché non dovrei?”.

“Mmmh, vediamo un po’. Forse perché un furgone ha appena fatto irruzione dentro alla sede della Sakura TV e non sarebbe poi così strano se il tuo amico investigatore, che sta appunto indagando su Kira, fosse stato alla guida? E magari ti avesse anche caricata sul sedile anteriore, tanto per non perderti di vista nemmeno quando fa l’eroe?” il suo tono, un crescendo di sarcasmo e ira, mi fece tornare del tutto al presente.

“Che vorresti dire? In che senso ha fatto irruzione?” domandai, sporgendomi dal vano della porta sull’inesistente corridoio che dava sul soggiorno. Notai che solo uno schermo era ancora in funzione nella stanza e nessuno, a parte Ryuzaki, gli stava prestando una particolare attenzione.  

“Nel senso che qualcuno ha guidato un veicolo all’interno dell’edificio. Vuoi farmi credere che non solo non sei là, ma non hai neanche seguito il notiziario?” replicò mia sorella, stupita e sollevata allo stesso tempo.

“Sì. Cioè, no… Quello che voglio dire, insomma, è che no, non sono là e sì, ho visto il servizio su Sakura TV. Fino a un certo punto, almeno. Ora, grazie per l’interessamento, ma credo che il famoso eroe di cui parlavi sia qui. Ci sentiamo” e chiusi la conversazione.

Watari stava aiutando il signor Yagami, che aveva avuto un infarto di recente, a reggersi in piedi, mentre consegnava al detective quelli che mi parve di capire fossero i nastri  contenenti il discorso di Kira, andato in onda su quell’agghiacciante sfondo bianco. Per colpa dei miei viaggi mentali me ne ero persa la maggior parte, dunque, se non volevo fare la figura dell’ignorante della situazione, avrei dovuto reperirlo su Internet.

“Selena, vorresti aiutarmi a preparare qualcosa di caldo per il signor Yagami?” chiamò Watari, dalla cucina, riscuotendomi dai miei pensieri.


“Arrivo subito” risposi e, nell’istante che mi ci volle per raggiungere il piccolo ambiente, avrei potuto giurare che Ryuzaki mi stesse fissando con sguardo sospettoso.
 
 








L’angolo dell’autrice
D’accordo, sarò anche in ritardo ad aggiornare, ma giuro che mi sono davvero impegnataJ

Ho adorato questa puntata dell’anime, ed è per questo che ho voluto riprenderla e darle lo spazio di un intero capitolo. Spero che lo svolgimento dei fatti sia chiaro anche per chi non l’ha mai vista.


Mi piacerebbe molto avere il vostro parere perché ci tengo parecchioJ

Come avete visto, sono tornata sui binari di Death Note e nello stesso tempo sto facendo sperimentare a  Selena  sempre di più il suo “dono”. In più sto facendo avvicinare lei e Ryuzaki.
In pratica ho messo in tavola una bella macedonia di cose! Spero di non aver esagerato perché mi sono davvero divertita a scrivere questa parte della storia. Da qui in poi, come ho preannunciato, arriva il bello.


Non aggiungo altro, a parte i ringraziamenti a tutti coloro che mi seguono. Il vostro supporto è molto importante per me.

Un abbraccio, lelle31

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Imitatori ***


 19 Aprile 2007 ore 16.30


“Un fenomeno piuttosto diffuso, rilevato in maniera particolare negli omicidi seriali, è quello degli imitatori. Tali individui, spesso ispirati dall’ammirazione  e da un’ identificazione più o meno profonda con gli autori di reati efferati, tendono a ripetere le gesta dei propri idoli, assumendo il loro modus operandi, talvolta in maniera talmente minuziosa da essere ad un primo esame quasi indistinguibili dall’originale.
 Gli scopi di queste imitazioni sono tra i più diversi e possono essere ritrovati soltanto nella psiche di ciascun soggetto, anche se la ricerca di fama per se stessi, il desiderio di farsi notare dal personaggio che tanto stimano, arrivando persino a cercare di superarlo, sono tra le più note motivazioni. Riportiamo qui, ad esemplificazione di quanto descritto, un caso degli anni Cinquanta, che colpì molto il pubblico americano …“

chiusi di scatto il libro di criminologia, sentendo la testa che minacciava pericolosamente di scoppiarmi.

Per quel giorno, avevo raggiunto la massima quota di apprendimento possibile. Sospirai, mentre mi giravo supina sulla sdraio, in modo che anche la mia schiena avesse la sua dose di sole.

Normalmente preferivo abbronzarmi  nel corso di attività più stimolanti, come per esempio lunghe passeggiate anticellulite sul bagno asciuga o qualche passaggio con la palla da beach volley in acqua, ma visto che non avevo la possibilità di mettere in pratica nessuna alternativa del genere e la mia carnagione era diventata quasi cadaverica durante quel freddo inverno, non mi era rimasta che la cosiddetta “terapia d’urto”. Ovvero posizionarmi sul balcone in bikini ogni qualvolta ne avessi l’opportunità, munita di protezione venti, occhiali scuri e lettura più o meno educativa.

E a proposito di letture poco educative, pensai, allungando il braccio verso la pila di riviste di gossip appoggiate sul tavolino. Era proprio ora di tornare al sacrosanto riposo del sabato pomeriggio.

O forse no.

Una specie di brivido mi corse giù per la schiena non appena afferrai il periodico più in alto del gruppo. Confusa e all’erta, mi raddrizzai sul lettino, portandomi agli occhi quella che pareva la versione giapponese di Cosmopolitan di marzo.  Sussultai violentemente.

Era qui allora! , esultò la parte di me che ci teneva a provarmi che non ero folle. E ,in effetti, il dannato giornale che avevo cercato in lungo e in largo la sera prima era proprio sotto ai miei occhi, con la prova che non avevo ancora perso il senno direttamente in copertina.

“La ragazza della visione” mormorai, persa nella contemplazione dei dettagli. Combaciavano tutti, dalla punta nera degli stivaletti, alla sommità bionda del capo. Tracciai i contorni perfetti della sua figura con l’indice. Non mi ero sbagliata. Lei era lì, vera e tangibile, immortalata in una foto che esprimeva quel giusto mix di innocenza e sensualità che supponevo avesse fatto la sua fortuna.

L’unico particolare fuori posto, rispetto all’immagine mentale a cui mi stavo ispirando, era ovviamente il colore degli occhi. Da rosso sangue ad una rassicurante tonalità di castano. Un bel cambiamento, davvero.

“Anche tu fan di Misa Misa?” chiese Matsuda all’improvviso, distogliendomi dalla mia attenta ispezione.

“Cosa?” rantolai, senza fiato per la sorpresa. Ma da dove cavolo era apparso? E, soprattutto, da quanto se ne stava lì? Dovevo proprio piantarla di farmi prendere dalle mie stranezze sul terrazzo. Sembrava esserci sempre qualcuno pronto a cogliermi in fallo, in quei momenti.

“Misa Amane” spiegò Matsuda, mentre decifrava la mia espressione esterrefatta “Oh, sono riuscito di nuovo a spaventarti, mi dispiace” aggiunse imbarazzato, una mano che spettinava tesa i capelli corvini.

“Non preoccuparti” lo rassicurai, con un sorriso un po’ forzato “Piuttosto, che ci fai qui? Non dovresti essere dentro a pianificare la prossima mossa, o qualunque  cosa stiate facendo voialtri ?”.

“Sì, ma Ryuzaki mi ha mandato a chiamarti giusto qualche istante fa” chiarì lui, in tono gentile. Le sue parole mi fecero accigliare. “Ne sei proprio sicuro?” indagai, certa che uno di noi doveva aver capito male. Non c’era altra possibilità. Mi era sempre stato espressamente vietato di presenziare alle loro riunioni e quando, quelle rare volte, comparivo con l’intenzione di rubare un dolcetto a Ryuzaki, mi beccavo immancabilmente una serie di sguardi pieni di disapprovazione.

“Sicurissimo” dichiarò Matsuda, rivolgendomi un sorriso. 

“Arrivo subito, allora” replicai guardinga, mentre indossavo l’accappatoio corto da piscina che usavo di solito per transitare dalla camera alla terrazza, al fine di evitare inutili occhiate imbarazzate. Essere l’unica donna ad aggirarsi per quel mini appartamento poteva essere una bella scocciatura.

“Eccomi” annunciai qualche secondo dopo, seguita da Matsuda “Buon pomeriggio a tutti signori”. Gli agenti fecero un cenno di saluto nella mia direzione, ma io non prestai loro particolare attenzione perché ero troppo intenta a fissare la persona che era in piedi accanto a Ryuzaki, nella penombra della stanza.

“Light” mormorai interrogativa, iniziando a percepire la strana e pericolosa presenza che sembrava pervadere l’aria intorno a lui, dovunque andasse. Era come se si portasse dietro una specie di entità invisibile, potente e decisamente maligna.

“Selena” parlò l’oggetto delle mie riflessioni, con il solito tono gentile, mentre cercavo di reprimere un brivido “Non mi aspettavo proprio di trovarti qui”.

“Neanche io, credimi” ribattei secca, rivolta  in buona parte anche a Ryuzaki . A che razza di gioco stava giocando? Prima mi convocava senza alcuna ragione logica  e poi permetteva di mettere piede nella nostra suite a una delle persone più inquietanti che avessi mai incontrato ( nonostante quest’ultimo, me ne rendo conto, potesse non essere un parere condiviso). Sostenni lo sguardo nero e impenetrabile del detective a lungo, nella vana speranza di trovare una risposta ai miei interrogativi.

L’unica cosa che fui in grado di recepirne fu un silenzioso avvertimento. Non esporre così apertamente quello che pensi! , sembrava volermi dire. Quasi che anche lui percepisse nell’aria le stesse vibrazioni pericolose che mi arrivavano a ondate. Quasi che anche lui non desiderasse che qualcuno scoprisse ciò entrambi  sospettavamo. Quasi che nella sua testa un piano realmente ingarbugliato ma non per questo meno geniale, gli avesse suggerito di tenersi più vicini i nemici degli amici …

“Oh, Santo Cielo” esclamai, fingendo tutto il rammarico che riuscii a mettere insieme “Scusatemi tutti quanti. Mi sono lasciata prendere dalla sorpresa e mi sono comportata da vera maleducata. Sul serio Light, mi dispiace, ma qui dentro vigono regole severissime per quanto riguarda la segretezza e il tenere gli estranei il più lontano possibile  . Quindi per un attimo la tua presenza mi ha davvero disorientata”.

Light mi sorrise comprensivo “Mi sembra una reazione più che naturale date le circostanze. Non preoccuparti”. Sì certo. Avevo una voglia matta di sputargli in faccia, ma, dal momento che avevo deciso di fidarmi di Ryuzaki e delle mie segrete intuizioni, rispolverai la mia facciata amichevole e feci del mio meglio per mantenerla al suo posto.

In quei mesi mi ero decisamente arrugginita nella mia famosa e rinomata faccia da poker. Chissà che il party a casa di Tomoko a cui ero stata sapientemente convinta a partecipare, non potesse aiutarmi a fare un po’ di esercizio.

“Mio figlio si è offerto di aiutarci nelle indagini” aggiunse il Signor Yagami, catturando la mia attenzione. Questa poi. “Cosa?” domandai, presa nuovamente in contropiede.

“E’ così” affermò Ryuzaki, parlando per la prima volta da quando mi trovavo nella stanza “Poco fa gli ho chiesto di esaminare la documentazione relativa al caso Kira e di visionare i nastri che il sovraintendente Yagami ha recuperato dalla sede della Sakura TV”. Notai solo allora che il tavolo al centro del salotto era stipato di raccoglitori, fogli, fotografie e molte altre cose, tra cui le famigerate quattro videocassette. Non capivo ancora, però, perché avessero deciso di darmi tutte quelle informazioni. Io non c’entravo nulla.

“Te la sentiresti di fare lo stesso?” proseguì Ryuzaki, affilando lo sguardo. Lo guardai ad occhi completamente spalancati. Ero talmente sbigottita che non riuscivo nemmeno a mettere insieme una frase di senso compiuto. ” Che cos’è questa storia Ryuzaki?” sbottò Aizawa, che dal giorno precedente pareva essere continuamente sul piede di guerra.

Il detective lanciò una lunga e composta occhiata prima all’una e poi all’altro di noi, per poi rispondere “Ritengo che tu, Selena, sia in possesso di capacità intuitive che, al pari delle abilità deduttive di Light, possono tornare davvero utili a questa squadra”. Capacità intuitive? Possibile che intendesse …

Gli lanciai un’occhiata molto intensa e sospettosa, ma il suo sguardo era tornato ad essere imperscrutabile. In quelle condizioni, era impossibile capire cos’altro stesse tramando.  “Non sapevo che aveste bisogno di aggiunte al team investigativo” mormorai a voce molto bassa, senza spostare i miei occhi dai suoi.

“Di fronte agli eventi dello scorso pomeriggio, sembra che un po’ di aiuto in più non nuocerà” replicò Ryuzaki, sollevando le spalle. La sua affermazione, mi fece spostare l’attenzione sugli agenti. Apparivano sorpresi quanto me di udire quella notizia.

Sbuffai impercettibilmente. Lavorare con Ryuzaki significava affidarsi del tutto a lui e alle sue elucubrazioni mentali, a quanto potevo vedere. Ero pronta a farlo? E, soprattutto, mi andava davvero di farmi coinvolgere maggiormente in quella storia? Riflettei qualche secondo, prima di  sospirare rassegnata “Accetto. Ma ad una condizione”.

Tutti i presenti si girarono verso la sottoscritta, curiosi e attenti. “ Lasciatemi indossare almeno un  paio di jeans!” mi lamentai, indicando tutto ciò che il mini accappatoio non copriva.

Nessuno se la sentì di contraddirmi.



^^^^^^^


“Dunque … ” cominciai, tesa come una corda di violino, circa mezz’ora dopo. 

La situazione era decisamente più complicata di quanto avessi pensato. Kira ci aveva in pugno. E a questo giro non si accontentava come al solito di farsi beffe della legge e delle forze dell’ordine, no. Lui voleva la testa di L. Una volta per tutte.

“ Considerando le informazioni che mi sono state fornite su Kira … trovo il discorso trasmesso ieri su Sakura TV e le registrazioni che avrebbero dovuto andare in onda conseguentemente … discrepanti con tutto ciò che lui o lei ha fatto finora”. Mi azzardai a sollevare lo sguardo.

Dritto di fronte a me, un indifferente Ryuzaki, continuò a sgranocchiare pacificamente la sua barretta al cioccolato alle nocciole, ricambiando l’occhiata. Era fin troppo tranquillo per uno che entro tre giorni sarebbe dovuto apparire in televisione per farsi ammazzare da Kira.

Il contenuto dei nastri provenienti dalla Sakura TV mi era apparso piuttosto chiaro su questo punto.

O la vita di L o quella del Capo di Stato. L’alternativa a tale tragico scenario era quello ancora più tragico di una vera e propria strage di massa.

E noi stavamo qui a farci sottoporre uno per volta a uno stupido test, che aveva senso solo nel cervello della persona che, come accadeva spesso, stava scrutando attentamente dentro di me attraverso i suoi grandi occhi neri. Quell’analisi accurata inaspettatamente fece scattare qualcosa.

All’improvviso, seppi di avere il coraggio necessario per sostenere e ricambiare le occhiate di tutti i presenti e per dire esattamente ciò che pensavo.

“ Insomma” ripresi, forte di nuova determinazione “Perché adesso? Perché dopo tutto questo tempo? Kira ha già una fama consolidata. Se il suo obiettivo fosse sempre stato trattare con la polizia al fine di stabilire una collaborazione, come ha richiesto nel video, lo avrebbe fatto da un bel po’. Ora non ha senso. Sembra quasi che qualcosa lo abbia spaventato a morte … “ scossi la testa, incredula “Il Kira delle registrazioni mi è parso avventato, incoerente con il progetto di liberare il mondo dai criminali che ha tanto decantato e soprattutto impaurito dal confronto con te, Ryuzaki” aggiunsi, fissandolo nuovamente “Qualche tempo fa, gli hai lanciato una pubblica sfida ad ucciderti. Lui ha accettato, muovendosi in maniera cauta e calcolata. E poi, nel bel mezzo del duello che fa? Si arrende a una vittoria non guadagnata, pretendendo davanti al mondo che tu ti arrenda a tua volta o ti faccia ammazzare, altrimenti lui farà fuori chissà quanta altra gente a caso? Dopo averti voluto mostrare in tutti i modi la superiorità del suo potere? No, non mi torna affatto. Non è il suo modo di agire”.


Mi fermai un attimo per riprendere fiato. A eccezione di Light e Ryuzaki che apparivano più impassibili che mai, il resto dei presenti mostrava diverse espressioni di sorpresa e ammirazione. Eh sì, ragazzi, anche io possiedo un cervello. E guardate come so farlo funzionare bene! Pensai.

E, con il sostegno dei miei studi pomeridiani, terminai in bellezza quella lunga arringa. “Quindi, per quanto possa sembrare impossibile, ritengo che il Kira che abbiamo visto in azione tra ieri sera e oggi pomeriggio sia una persona diversa dal Kira a cui avete dato la caccia fin adesso. Forse è un imitatore, forse è qualcuno che ha sempre lavorato con lui. Però la mia opinione non cambia. Ci sono due Kira là fuori”.

Il silenzio riempì la stanza per un attimo. Poi iniziai a scorgere i sorrisi incoraggianti di Light e Matsuda, mentre Ryuzaki posava la sua onnipresente tazza di caffè con un gesto che avrei definito solenne.

“Bene, tu e Light avete esposto separatamente le vostre opinioni e mi avete confermato la correttezza della mia ipotesi riguardante l’esistenza di un secondo Kira” dichiarò con calma “Ora, dal momento che lui o lei sembra desiderare fortemente la mia morte, ho elaborato un piano che vorrei proporvi”.

Dal canto mio, non sapevo se abbandonarmi prima alla soddisfazione per non aver deluso le aspettative del detective, alla sorpresa perché le mie supposizioni parevano avere qualche fondamento valido o al sollievo per aver appurato che Ryuzaki aveva effettivamente un piano che gli avrebbe permesso di scampare alle richieste assurde di quello che a questo punto pareva proprio essere il secondo Kira.

Vedi di far funzionare quello che hai in mente, genio,pensai mentre ascoltavo le sue direttive, Non ho voglia di piangere sulla tomba di un’altra persona a cui tengo.  E senza volerlo il mio sguardo si posò su Light. Lui alzò a sua volta gli occhi su di me.

Se la mia interpretazione del precedente avvertimento di L era giusta, stavo fissando un probabile Kira, proprio in quell’istante …
 


Qualche ora dopo



“Ehi Selena a cosa stai pensando?” domandò Tomoko, sventolandomi una mano davanti agli occhi.

“Ah … Niente” risposi, mentre tornavo a momento e luogo presenti. La musica che pervadeva il vastissimo salone ricevimenti della villa dei genitori di Tomoko, rientrò in tutta la sua potenza nel mio campo uditivo. Osservai la distesa di abiti da sera di vari colori  muoversi a ritmo e finalmente ricordai dove mi trovavo.

Era la festa di compleanno a sorpresa per Kiko, nostra compagna di corso e si era presentato un numero davvero smisurato di gente, tra cui Ian McArthur, un vecchia conoscenza che si era scoperto essere il miglior amico del fidanzato (non più molto) segreto di Tomoko.

“Qualcuno ha esagerato con lo champagne?” continuò quest’ultima, mentre si sedeva accanto a me. In effetti mi sentivo un po’ stordita, ma non avevo praticamente bevuto nulla. Le feci un  piccolo sorriso di scusa.

“Beata te che puoi bere. Io, se non fossi in certe condizioni, mi prenderei una bella sbronza, credimi” sospirò lei, un po’ amareggiata. Mi accigliai. “Lui l’ha presa male?”indagai poi, leggermente indignata . Possibile che gli uomini se la facessero sempre sotto alla prima difficoltà?

“Oh, no” replicò lei immediatamente, comprendendo a chi e che cosa mi riferissi “ Chin Ho è stato un perfetto gentiluomo. Quando gli ho detto che ero, beh, incinta, mi ha subito chiesto di sposarlo. Ti sembrerà strano ma io e lui stiamo insieme da molto tempo e io lo amo davvero” la voce le si era addolcito verso la fine del discorso.

Non l’avevo mai vista così. Lei e Chin Ho, il suo famigerato ragazzo , mi erano parsi una delle coppie più innamorate che avessi mai incontrato.

“Perché dovrebbe essere strano? Si vede che siete pazzi uno dell’altra” la rassicurai “Piuttosto, sei proprio sicura di essere in … come le hai chiamate prima? … Ah, certe condizioni? Lo sai, a volte i test sbagliano” E a volte appaiono nei momenti più disparati, facendoti fare le peggiori figure di merda della storia, aggiunsi sarcastica tra me e me .

“Ne sono certa al cento per cento” ribatté lei cupa, troncando le mie divagazioni “Ieri dopo che te ne sei andata ho chiesto a Rossella di accompagnarmi dalla mia ginecologa. Ero talmente agitata che non mi ricordavo nemmeno quale autobus dovessi prendere … Meno male che c’era lei con me. Ha anche aspettato che finissi la visita per conoscere il risultato … Dovevo proprio sembrare sconvolta visto che la ginecologa ha accettato di ricevermi anche senza appuntamento … Ad ogni modo ha detto che sono di circa sei settimane quindi, se tutto andrà come deve, avrò il bambino verso dicembre” sospirò, con le lacrime agli occhi. Un attimo dopo le sue guance cominciarono a bagnarsi.

“I miei genitori non mi perdoneranno mai, lo sai? Sono così legati alle loro stupide tradizioni. Tu non puoi capire quanto invidio te e Rossella” singhiozzò, lasciandomi a bocca aperta “Non sai quanto avrei voluto nascere in America o in Europa. Da piccola ho viaggiato tanto e sono rimasta affascinata dalla cultura occidentale. Siete talmente libere e indipendenti voi ragazze. Potete uscire con chi volete, innamorarvi di chi volete, vivere come volete. Credo sia questo il motivo per cui mi sono comportata da vera stronza. Vi invidiavo tanto. Troppo. Voi però siete sempre state gentili con me. Non sai quanto sono dispiaciuta”.

A quel punto, dove una qualunque altra ragazza si sarebbe presa la testa tra le mani e si sarebbe lasciata andare alle emozioni, lei strinse i denti e si asciugò il viso. Sorrise e salutò un paio di ragazze che passarono vicino a noi e quando finalmente si voltò verso di me si era quasi del tutto ricomposta.

“Spero vorrai perdonarmi per tutto” disse semplicemente, guardandomi negli occhi. Che dignità. Non pensavo che sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrei ammirato Tomoko, ma ecco che mi trovavo a dovermi ricredere.

“Non preoccuparti” le sussurrai all’orecchio, abbracciandola di slancio “Ti ho detto che sarebbe andato tutto bene ed è così che andrà. Certo che ti perdono. E se ti serve qualcosa, sappi che ci sono”.  La sentii sorridere. “Grazie Sel” mormorò.   

“Selena eri qui allora! Guarda chi ti ho portato” esclamò Rossella, apparendo improvvisamente accanto a noi. Sollevai lo sguardo incuriosita e incontrai un paio di inconfondibili occhi grigi.

“Ian” lo salutai sorpresa. “Selena. Quanto tempo. Permettimi di dire che sei uno schianto stasera” replicò lui, con un sorriso da un orecchio all’altro.

“Grazie. Anche tu sei davvero in forma” ribattei, contagiata dal suo entusiasmo. Era fantastico rivederlo dopo tutto quel tempo.

“Ehi Ian, vacci piano. La ragazza è impegnata” lo avvisò Chin Ho, anche lui apparso dal nulla. Tomoko gli rivolse un sorriso raggiante, mentre Ian ribatteva “Mi avrebbe sorpreso il contrario”. E alzò il calice in segno di apprezzamento. Scossi la testa davanti a tutta quella teatralità. Non era proprio cambiato di una virgola.

“Beh, ragazzi è stato un piacere ma io devo andare” annunciai dopo aver scambiato qualche doverosa chiacchiera di rito. L’orologio d’argento che avevo al polso segnava le 23.45.

“Di già? Non è neanche mezzanotte!” si lamentò Rossella.

“Lo so ma … diciamo solo che c’è qualcuno che mi aspetta a casa” risposi, caricando il mio tono di sottintesi.

“Oh-oh. Roba seria” mi prese in giro Ian, buttando giù un altro bicchiere.

“Buona serata allora, Sel. Grazie per essere venuta. Kiko ne è stata molto contenta. Guarda è al tavolo del buffet, perché non vai a salutarla?” mi suggerì Tomoko. Feci come richiesto, guadagnandomi un abbraccio che sapeva di Vodka alla fragola. E poi dicevano che i giapponesi non amavano il contatto fisico! Sentendomi girare un poco la testa, mi diressi verso la porta principale.

“Non dimentichi qualcosa?” domandò d’un tratto una voce familiare al mio orecchio. Sussultai.

“No Ian, non mi sembra proprio … “ ribattei, irritata per quello spavento improvviso.

“Eppure a me, in quanto responsabile del guardaroba, era parso di aver portato di sopra un giacchetto di pelle nera che credo appartenga a questa incantevole signorina” puntualizzò il mio amico in tono scherzoso, puntando un dito contro di me.

“Ah, già” borbottai. Lui ridacchiò. “Dai vieni, ti faccio strada” si offrì e mi trascinò in un corridoio dalla lunghezza sorprendente, con una dozzina di porte di legno rossiccio, in parte aperte, che si affacciavano su altre enormi stanze.

“Quando guardi la casa da fuori, non immagineresti mai che all’interno sia grande più o meno quanto Hogwarts “ commentai ironica. Ian sorrise, aprendo l’ultima porta a sinistra.

“Stanza degli ospiti” spiegò, mentre accendevo la luce. Un enorme letto dalle lenzuola scure era stato letteralmente stipato di indumenti, tanto che mi stupii di quanto dovesse essere robusto per reggere quell’immenso peso. Mi misi subito all’opera per cercare di trovare la mia giacca sotto a quel marasma. Non c’erano dubbi che ci avesse pensato Ian al guardaroba. Almeno aveva avuto il cuore di non stipare tutto alla rinfusa nella camera da letto di Tomoko. Dopo qualche minuto di imprecazioni a bassa voce, riuscii nella mia impresa.

“Trovata. Ce l’ho fatta!” esultai, mostrandogli il risultato delle mie fatiche.

“ Molto bene Samantha. Non ho mai avuto dubbi riguardo le tue abilità” replicò Ian, in un tono che mi fece correre un brivido lungo tutto il corpo.

“Io … Ho cambiato nome quando ho raggiunto i diciotto anni, lo sai perfettamente” mormorai senza voce, esponendo la verità ufficiale per tutti coloro che mi avevano conosciuta prima che succedesse … ciò che era successo.

“Certo. Forza dell’abitudine, sai” replicò, senza smettere di guardarmi in quel modo fisso e inquietante. Mi accorsi solo allora che aveva chiuso la porta. Un fitta di panico mi esplose dentro.

“Che cosa vuoi Ian?” sibilai, in tono ostile. Lui sbattè le palpebre un paio di volte, apparentemente sorpreso dalla mia reazione. Seguì la mia traiettoria di sguardo fino alla porta dietro di sé e poi comprese. “Ehi tranquilla non voglio farti  niente di male. Ho solo bisogno di parlarti. Non ti spaventavi così facilmente una volta” si giustificò, sulla difensiva.

“Una volta non è adesso” quasi ringhiai “E io non sono sicura di voler parlare con te”.

“Beh dovresti, visto quello che abbiamo fatto insieme” affermò, alzando la voce a sua volta. Non seppi proprio come replicare. Che diavolo stava succedendo? Lo guardai ad occhi spalancati mentre si avvicinava. Il mio cervello mi urlò di scansarmi, ma non riuscii a muovere nemmeno un muscolo.

“Senti” pregò, con voce rassicurante “Io voglio aiutarti. So tutto. Tutto ciò che hai dimenticato …”.

“Cosa abbiamo fatto insieme?” lo interruppi, sotto shock. Non so come, ma ero certa che la risposta a quella domanda fosse essenziale.

“ Qualcosa che potrebbe metterci nei guai. Ma non ha importanza adesso. Ciò che importa in questo momento è … “ si bloccò, nel vedere la mia espressione.

“Che cos’è?” lo incalzai, a dir poco esasperata.

“Il tuo dono. So che l’ amnesia ti impedisce di ricordare come farlo funzionare. Ma possiamo aiutarti. Ne va delle vite di tutti noi” fu la sua sconcertante risposta.

Di tutte le cose incredibili che mi erano successe nel corso della giornata, questa era davvero la più stupefacente.
 








L’Angolo dell’Autrice
Dopo mesi, rieccomi qui. So che vi ho fatto aspettare davvero tantissimo tempo, ma meglio di così tra una cosa e l’altra non sono riuscita a fare. Posso solo dire che ho intenzione di portare a compimento questa storia e lo farò anche se dovessi metterci anni (anche se ovviamente cercherò di essere più veloceJ).
Dunque, in questo capitolo ho deciso di buttarmi e vestire i panni della Piccola Criminologa, sia all’inizio quando Selena legge il suo libro di testo, sia dopo quando le viene chiesto di esprimersi riguardo al secondo Kira. Non so se sono riuscita a farlo capire, ma in teoria i due hanno dovuto condividere le proprie opinioni a turno e a Selena non è stato fatto ascoltare il parere di Light, in modo che non ne venisse influenzata (è questo che significa quel separatamente). Ho scritto varie versioni di questo capitolo e in alcune avevo lasciato l’intera sequenza delle azioni in modo da poter spiegare bene tutti i concetti, solo che poi la narrazione diventava troppo prolissa quindi ho dovuto scegliere un’altra soluzione. Spero in qualche modo vi siate ritrovati e che l’insieme vi sia piaciuto. Grazie a tutti coloro che leggeranno, nonostante il mio immenso ritardo.
Lelle31

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=857625