Luna di cristallo

di jessica80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una nuova vita ***
Capitolo 3: *** Contatti con l’Underground ***
Capitolo 4: *** Re dei sogni ***
Capitolo 5: *** Labyrinth ***
Capitolo 6: *** Il ritorno ***
Capitolo 7: *** Di tunnel e legami ***
Capitolo 8: *** Ciò che resta del passato ***
Capitolo 9: *** You can't choose your family ***
Capitolo 10: *** I Custodi dell’Underground ***
Capitolo 11: *** Elbereth ***
Capitolo 12: *** Segreti svelati ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 - Dammi la bambina!-
La donna si avvicinava sempre di più al fae che le porgeva una sfera di cristallo, lo sguardo deciso.
Questa volta non c’erano i ruderi della stanza di Escher a fare da contorno, ma la foresta di Greenwood Lake dagli alberi ormai morti da tempo i cui pallidi rami si innalzavano verso il cielo come scheletri di ghiaccio, e il castello stranamente diroccato.
Il lago non era più centro di vita per cigni e anatre, ma solo un cumulo di sassi e fango nauseabondo il cui odore penetrava prepotentemente nelle narici fino a raggiungere il cervello. La ragazza non se ne curava.
- Guarda cosa ti sto offrendo Sarah, i tuoi sogni. Ricordi? Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo. E’ rimasto tutto come allora...-
La fissava implorante, indietreggiando lentamente ad ogni passo di lei senza mai abbassare lo sguardo, non celando la supplica che proveniva dalla sua voce.
- No, è tutto cambiato. Io sono una donna re di Goblin e rivoglio la bambina che tu hai rapito.-
Il sovrano del labirinto allungò una mano verso di lei per bloccare la sua avanzata.
Sapeva che ormai tutto era perduto.
Di fronte a lui non c’era più la stessa ragazzina innocente di quindici anni prima; era tutto cambiato ma avrebbe ugualmente tentato di cedere la vita dell’intero Labirinto affinché tutto tornasse come prima.
Se solo avesse potuto…
- Sarah aspetta… Io non l’ho rapita e tu lo sai molto bene. Se pronuncerai quelle dannate parole cambierai la vita di tutti noi, anche della bambina stessa.-
Le labbra di Sarah si contrassero in un sorriso forzato.
I suoi occhi verdi, che una volta erano ricchi di amore e spensieratezza, erano ora iniettati di odio e vendetta.
Voleva solo la sua distruzione, nient’altro.
Una frase fin troppo conosciuta uscì dalla sua bocca con tanta, forse troppa facilità.
Una lama destinata a tagliare a pezzi uno solo di loro.
- Tu non hai alcun potere su di me!-
La sfera di cristallo, che fino a pochi istanti prima giaceva tra le dita guantate del re di Goblin, esplose improvvisamente in una bolla di sangue.
Qualche goccia del liquido rossastro dall’odore ferruginoso raggiunse il volto della donna ma lei non se ne curò.
Voleva solo godersi il sapore della vittoria e della vendetta.
Le schegge di vetro del globo si conficcarono nella carne del fae come una lama calda nel burro fino a raggiungerne il cuore.
Sarah lo guardava con occhi di ghiaccio, trionfante, mentre il re di Goblin si consumava come una candela senza più cera e spariva per sempre, risucchiato dal cuore del Sottosuolo per lasciare dietro di sé solo odio e distruzione.  

*** *** ***

Sono tornataaaaa...  XD
Ragazze, spero che la storia sia di vostro gradimento.
Questa volta saluto non solo Federica (che mi beta sempre) ma anche Paola! 6 occhi sono meglio di 4.
Bacioni e al prossimo chappy
J.

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Capitolo 2
*** Una nuova vita ***


 Sarah si svegliò all’improvviso, destata dalle gocce di gelida pioggia che entravano dal finestrino del treno e le bagnavano il viso stanco.
Si passò una mano sul volto senza rendersi conto del pallore che l’aveva colpita.
Non è sangue, è solo acqua. Stavo sognando.”
Eppure sembrava tutto così reale, lui era reale…
Guardò fuori dal finestrino attratta dal sole al tramonto. Era quasi arrivata.
Si alzò lentamente passandosi con forza le mani sulla gonna ormai spiegazzata dalla lunga giornata di lavoro.
- Dannazione, ci mancava solo questa…-
Il brillantino incastonato nella fede di matrimonio le si era impigliato nelle calze provocando una vistosa smagliatura.
Jack…
Quanto amava suo marito.
Erano sposati da cinque anni e subito dopo il matrimonio si erano trasferiti a Wakefield, poco distante da Memphis.
Jack era sempre in viaggio per lavoro ed era fondamentale per lui la vicinanza agli aeroporti del Tennessee.
Jack lavorava nel settore dell’import-export, guadagnava molto bene e il suo solo stipendio permetteva alla famiglia di vivere dignitosamente senza far mancare nulla né a lei, né alla loro figlia, ma le sue lunghe trasferte gli impedivano di stare con loro quanto avrebbe voluto.
Dopo la nascita di Rose, Sarah aveva trovato lavoro come educatrice in un centro per disabili a Holly Springs.
Non guadagnava molto, ma il lavoro le piaceva e le permetteva di non sentirsi in debito nei confronti di Jack.
Sarah aveva cominciato ad amare i bambini dopo il suo viaggio nel labirinto, dopo aver rischiato la vita per salvare Toby.
Terminato il college aveva frequentato un corso per diventare assistente sociale e si era diplomata con il massimo dei voti.
Nessun bambino aveva diritto di soffrire e si era ripromessa che nessuna creatura avrebbe più sofferto per causa sua.
Com’era cambiata Sarah da quella notte…
Labyrinth”.
Sorrise al ricordo del suo libro dalla copertina rossa e dalle pagine ingiallite.
Dopo quella fatidica notte non l’aveva più aperto, conservandolo però preziosamente nel cassetto della sua scrivania.
Non l’aveva portato con sé a Wakefield, il libro apparteneva a New York, alla sua casa d’infanzia.
Erano trascorse settimane dall’ultima volta che aveva rivisto i suoi amici di Goblin: Hoggle, Sir Dydimus con il fido Ambrosius e Ludo.
Sì, presto li avrebbe chiamati e avrebbe trascorso una serata con loro.
Aveva proprio voglia di rivederli.
Si infilò il cappotto e prese la borsa che era appoggiata sul sedile di fianco al suo e si preparò a scendere dal treno.
Tra poco sarebbe stata di nuovo a casa.
 
 
Sarah imboccò il viale di casa alla guida della sua auto.
Le luci erano spente, cosa che la parve alquanto strana visto che Margareth, la baby-sitter, avrebbe dovuto essere in casa con Rose.
Dopo aver parcheggiato la macchina ed essere scesa, si incamminò velocemente verso il portone di ingresso.
Mise la chiave nella serratura e si bloccò improvvisamente.
Uno strano senso di panico la raggelò e chiuse gli occhi per calmare il battito cardiaco improvvisamente accelerato. Era forse successo qualcosa a Rose? Margareth non conosceva la storia e non avrebbe mai potuto far rapire la piccola dai goblin...
 
“Dammi la bambina!”
 
- E’ stato solo un sogno, un maledettissimo sogno.-
Sussurrò prima di riaprire gli occhi e spalancare la porta di casa.
- Ragazze sono tornata!- Nessuna risposta.
Avrebbe voluto mettere più convinzione nella voce ma si rese conto che non ne era stata capace, attanagliata da un'improvvisa e irrazionale paura.
Accese la luce dell’ingresso e in quel momento un ciclone di poco più di tre anni la assalì aggrappandosi al suo cappotto.
- Mammaaaaa… Ciaoooo… Sai che ti abbiamo preparato una sorpresa? Abbiamo lavorato tutto il giorno!-
Sarah fece un sospiro di sollievo maledicendosi silenziosamente per quelle stupide fantasie di ragazzina che ancora la perseguitavano.
Abbiamo?
- Amore mio, dov’è Margareth?- Chiese la madre chinandosi ad abbracciare la bambina.
- Le ho lasciato il pomeriggio libero, avevo voglia di stare un po’ da solo con Rose.-
Rispose una voce calda poco distante da lei.
Sarah alzò gli occhi per incontrare il volto di suo marito che, divertito, ricambiava il suo sguardo.
- Jack!-
Gli andò incontro abbracciandolo, non si aspettava di trovarlo a casa così presto, o per lo meno non prima del fine settimana.
- Sei tornato prima del previsto, mi aspettavo di vederti per il week-end!-
Lui la guardò accigliato mentre con un braccio le cingeva la vita e con una mano le accarezzava i capelli.
- Sono riuscito a liberarmi per poter trascorrere un po’ più di tempo con le mie donne. Avevi altri programmi forse?- Chiese sospettoso.
Sarah lo guardò con occhi pieni d’amore.
- No, assolutamente no. È stata una sorpresa magnifica, non potevi farmi regalo più grande.-
- Mamma…-
Sarah abbassò lo sguardo, la piccola Rose le tirava il cappotto.
Si chinò nuovamente verso sua figlia sotto lo sguardo adorante del padre.
- Hai ragione amore mio, non ti ho ancora salutata come si deve. Com’è andata la giornata? Come stai?-
La bambina le si aggrappò al collo stringendola forte.
- Io sto bene. Con il papà ti abbiamo fatto una sorpresa.-
Sarah sorrise alzando lo sguardo verso suo marito.
- Beh, conoscendo tuo padre ho quasi paura a chiedere di cosa si tratta.-
Jack sorrise di rimando e le fece un cenno con la mano dirigendosi verso la cucina.
Sarah si tolse il cappotto e prese Rose per mano.
La bambina era un fiume in piena di parole mentre camminavano verso la sala da pranzo.
Le raccontò di come, con il papà, era andata al supermercato a fare la spesa e poi si erano messi ai fornelli per cucinare.
Quando Sarah entrò nella sala da pranzo rimase senza parole.
La tavola era stata apparecchiata con cura per tre persone.
Jack aveva tirato fuori dalla cristalliera i piatti in porcellana e i calici che solitamente usavano per le grandi occasioni.
Per Rose, invece, aveva acquistato un intero servizio da tavola completo di piatti e bicchiere in plastica rigida dei Muppets.
Il tutto era rifinito da un centro tavola in vetro riempito con qualche centimetro d’acqua dove dentro galleggiavano tre candele colorate e profumate a forma di barchetta. 
- Beh? Cosa fate voi due lì impalate a fissare il tavolo? Andate a lavarvi le mani, la cena è pronta.-
Le rimproverò amorevolmente Jack.
Sarah sorrise felice e non se lo fece ripetere due volte.
Prese Rose in braccio e si avviò verso il bagno.
 
La cena era trascorsa serenamente.
Jack aveva cucinato uno stufato di carne accompagnato da verdure crude e al forno.
Eccezionale”. Sì, era la parola giusta per definire l’intera serata.
Avevano parlato di tutto, del lavoro di Sarah, degli impegni di Jack per i giorni a venire, delle mattine trascorse da Rose all’asilo e dei pomeriggi con Margareth.
- Papà mi ha fatto cucinare la carne!- Disse improvvisamente Rose rivolgendosi a sua madre.
Jack si avvicinò a sua moglie sussurrandole all’orecchio
- Le ho fatto girare lo stufato.-
Poi disse ad alta voce:
- La nostra principessa sta diventando una donna, deve cominciare ad imparare a cucinare.-
La voce di Jack era seria ed impostata.
Non avrebbe mai osato rovinare un momento così importante per sua figlia.
Sarah si morse un labbro trattenendo un sorriso.
- Oh, sei stata davvero brava amore mio e il papà ha ragione, stai diventando grande Rose e tra poco sarai una vera signorina. Sono sicura che imparerai presto a fare tante altre cose.-
Il petto della bambina si gonfiò di soddisfazione e sorrise felice ai due genitori.
Dopo aver mangiato il dolce, Sarah fece per alzarsi e prendere i piatti sporchi quando una mano ferma, seppur gentile, le bloccò il braccio. Si voltò verso Jack che le sorrideva teneramente.
- Sarah, va a lavarti e a cambiarti. Ci penso io a sparecchiare.-
La donna non sapeva cosa dire, suo marito aveva fatto così tanto…
- Jack, io non so…-
Si alzò dal tavolo continuando a guardarla negli occhi, senza lasciarle il braccio.
- Non dire niente. Tu fai questo lavoro per tutta la settimana, lascia che per una volta lo faccia io. E poi…- Il suo sguardo cadde sulla smagliatura della calza. – Credo tu abbia davvero bisogno di cambiarti d’abito e di indossare qualcosa di più comodo.-
Decisamente questa volta non poteva dargli torto.
- Hai ragione, forse è meglio che vada a mettermi il pigiama.-
 
Quando Sarah uscì dal bagno, Jack era nella camera di Rose e le stava cantando una ninna nanna per farla addormentare.
Era tutto così perfetto!
Forse troppo perfetto”.
Questo pensiero si fece improvvisamente strada nella sua mente, come uno scafo che attraversa il mare a tutta velocità.
La sua famiglia, il lavoro, se stessa.  
Guarda cosa ti sto offrendo Sarah, i tuoi sogni.”
Un brivido le attraversò la schiena facendola impallidire.
Si appoggiò al cornicione della porta per non cadere. “Maledetto incubo…”.
- Sarah va tutto bene?-
Jack la guardava preoccupato, avvicinandosi lentamente.
- Sì, credo di essere solo molto stanca.-
Suo marito l’abbracciò mentre lei affondava il viso nella sua camicia.
- Rose si è addormentata quasi subito, era davvero stanca poverina, e credo sia meglio se andiamo a letto anche noi. Domani ci aspetta un lungo viaggio.-
Sarah si scostò da lui, guardandolo accigliata.
- Un lungo viaggio?-
Le baciò la fronte, accarezzandole la schiena.
- Questo pomeriggio ho fatto una telefonata alla tua famiglia. Domani tuo padre, Karen e Toby ci aspettano per pranzo, ma dovremo partire presto se vogliamo mangiare con loro. Ho voluto farti una sorpresa, ci tenevi così tanto a rivedere i tuoi cari. Trascorreremo qualche giorno a New York e un po’ d’aria nuova farà bene anche alla piccola Rose. Non vede i nonni da così tanto tempo…-
Gli occhi di Sarah si illuminarono di gioia.
Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che aveva rivisto la sua casa d’infanzia.
- Jack, non so davvero come ringraziarti, sono senza parole.-
Le sorrise appoggiando le labbra alle sue.
- Forse ho un’idea su come potresti sdebitarti…-
Sarah sentì la bocca di Jack catturare la sua, baciarla con decisione e allo stesso tempo con dolcezza.
La donna gli affondò le mani nei capelli ricambiando il bacio mentre un senso di calore e desiderio le attraversava il corpo.


*** *** ***

Care fanciulle, come sempre devo fare i ringraziamenti di rito a Federica (mia preziosa beta) e Paola (mia preziosa consigliera).
Come avrete potuto notare sono parecchio incasinata con il lavoro e non riesco ad aggiornare nei tempi previsti o comunque in velocità come vorrei. Pazienza... voi mi aspetterete vero? VERO?
Bacio
J.




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Capitolo 3
*** Contatti con l’Underground ***


- Allora ragazzi, questa sarà la vostra stanza.-
Karen aprì la porta di quella che una volta era la camera di Sarah, poi rivolgendosi alla ragazza, continuò con un sorriso.
– Tu la dovresti conoscere molto bene.-
Sarah non rispose, limitandosi ad entrare.
Era rimasto tutto come allora: lo scaffale con i suoi libri, la toletta con le sue boccette di profumo, l’armadio; solo il letto era stato sostituito con uno matrimoniale, mentre il comodino era stato spostato sotto la finestra.
Poi Karen si rivolse a Rose prendendola per mano.
- Tu invece signorina dormirai da questa parte.-
Disse, accompagnandola nella stanza degli ospiti, di fianco a quella dei genitori.
La bambina gridò di gioia quando vide la sua cameretta.
Dalla soffitta erano stati recuperati i giocattoli che una volta appartenevano a Toby e a Sarah: un cavallo a dondolo, le bambole, un carillon dalla dolce melodia  con una ballerina vestita di bianco. Con una mano Sarah sfiorò i peluches che erano stati posti con cura sopra una mensola, soffermandosi su uno in particolare.
- Lancillotto…-
Sospirò immersa nei ricordi.
Jack la guardò per un istante in silenzio, rivolgendo poi l’attenzione a sua figlia.
- Ti piace la tua cameretta amore mio?-
Chiese mentre le accarezzava i capelli.
– Che ne dici di ringraziare i nonni?-
La piccola si voltò verso Karen.
- Grazie nonna.-
Robert si affacciò improvvisamente alla porta.
- Beh? Non vorrete mica rimanere rinchiusi qui dentro per tutta la giornata spero! Ho una fame…-
Sarah si voltò verso Jack sorridendo, era davvero felice di rivedere i suoi cari dopo tanto tempo. Suo padre non era mai stato molto espansivo e spesso le sue poche parole inducevano sua figlia a credere che a quell’uomo non importasse nulla di lei. Era tutto il contrario di sua madre, donna di mondo, di carriera e carismatica.
Linda ormai era sparita da tempo e il suo posto di moglie, di madre e di nonna era stato definitivamente sostituito da Karen.
Alcune voci sostenevano che avesse avuto un figlio da Jeremy ma Sarah non aveva mai avuto né la voglia, né la forza di indagare.
Linda aveva letteralmente tagliato fuori Sarah dalla sua vita.
La ragazza, d’altro canto, aveva dovuto adeguarsi alla situazione serbando però nel cuore un rancore represso di cui lei stessa non si rendeva conto.
- Nonno, ho tanta fame!-
Esclamò Rose saltellando verso Robert.
 
La giornata era trascorsa in maniera tranquilla e Toby era rientrato da scuola nel tardo pomeriggio felice di rivedere sua sorella.
Per quasi tutta la cena suo fratello aveva parlato con Jack di baseball, il suo sport preferito.
Toby e Jack erano sempre andati molto d’accordo e Sarah non poteva negare che suo marito ci sapeva davvero fare con quel ragazzo.
Karen e Robert avevano raccontato a Jack, per l’ennesima volta, di quanto Sarah amasse la recitazione quand’era ragazzina, dell’amore per i costumi e della gelosia per i suoi balocchi.
Linda Williams, famosa attrice, non veniva mai menzionata in questo genere di discussione e la ragazza era grata per questo.
-Perché hai smesso di recitare?-
Chiese improvvisamente Jack mentre si accomodava sul divano del salotto.
Sarah era seduta su una poltrona di fronte a lui.
In effetti nessuno le aveva mai posto questa domanda.
Cosa avrebbe dovuto rispondere?
Sai, ho desiderato che mio fratello fosse rapito dai goblins...
Magari aggiungere anche un breve racconto sulla sua avventura e di quanto importante fosse stato recitare la parte dell’eroina in quel momento.
No, decisamente non era una soluzione e nessuno le avrebbe mai creduto.
- Sì Sarah.- Intervene Karen. – In effetti un giorno, di punto in bianco, hai deciso di portare costumi e balocchi in soffitta. Davvero un cambiamento repentino…-
Sarah, torna in camera tua, va a giocare con i tuoi balocchi e i tuoi costumi, dimentica il bambino”.
Scosse la testa per ricacciare indietro quel ricordo.
- Mi ero improvvisamente resa conto di essere cresciuta Karen.-
Rispose Sarah in maniera decisa.
Con una mano si scostò una ciocca di capelli dal volto, riportandola dietro l’orecchio e abbassando lo sguardo.
Poi con voce più bassa continuò:
– Avevo un fratello a cui badare nelle sere in cui tu e papà uscivate e dovevo impegnarmi per essere un esempio per lui. Tutto qui.-
Aveva detto la verità, ma non aveva raccontato tutto. Ovviamente non poteva.
Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo”.
Dannazione, sempre quel maledetto ricordo del re dei goblins che le martellava nella mente, non ne poteva più.
E se il labirinto fosse stato in pericolo? Se fosse successo qualcosa ai suoi amici?
Doveva contattarli al più presto.
Si alzò dalla poltrona sotto lo sguardo preoccupato di suo marito.
Jack riusciva sempre a capire quando qualcosa non andava semplicemente guardandola negli occhi.
- Sarah, va tutto bene? Sei strana, non vorrei…-
- Sì Jack sto bene. Abbiamo fatto un lungo viaggio e ora sono semplicemente stanca. Scusate…-
Si voltò verso i suoi familiari e li liquidò con uno sguardo prima di salire le scale e rifugiarsi in camera.
Chiuse la porta della stanza appoggiandosi contro di essa con la schiena.
Chiuse gli occhi e per un istante si pentì del suo atteggiamento.
Aveva reagito ad una semplice domanda come una stupida, come una ragazzina viziata di quindici anni.
Jack non aveva nessuna colpa, lui non sapeva nulla dei suoi ricordi e delle sue scelte.
Tu non hai alcun potere su di me”.
I ricordi, quei ricordi, la irritavano.
Ora aveva lasciato suo marito al piano di sotto con i suoi familiari e con l’incombenza di mettere a letto Rose, mentre lei si comportava così.
D’altro canto, se voleva contattare Hoggle al più presto non aveva altra scelta.
Si avvicinò alla toletta, si sedette e fissò lo specchio di fronte a lei.
- Hoggle, Hoggle mi senti…-
Con una mano sfiorò la sua immagine riflessa mentre, a poco a poco, appariva il volto del nano.
In pochi istanti due occhi azzurri come il cielo la fissarono.
- Certo che ti sento, non sono mica sordo!-
Rispose Hoggle seccato.
– Finalmente ti sei ricordata che esisto pure io. Credevo fossi stata sbranata da un orso o peggio ancora, da quel pivello di tuo marito.-
Sarah gli sorrise.
- Beh, adesso non esagerare. A Memphis non ci sono gli orsi e Jack mi ama! La verità è che chiunque avessi sposato a te non sarebbe andato bene comunque. Tu piuttosto come stai? Va tutto bene?-
Hoggle uscì dallo specchio e si sedette sul bordo della scrivania, le gambe penzoloni. Puntò un dito contro Sarah alzandolo ed abbassandolo mentre parlava.
- Di un po’ signorina, tu come mi vedi, eh? Ti sembra che stia male? Ti sembra che abbia una brutta cera?-
Sarah gli bloccò la mano stringendola con affetto tra le sue, guardandolo teneramente.
- No amico mio, devo riscontrare che stai benissimo. Ho solo fatto un brutto sogno e credevo…- Distolse lo sguardo da quello del nano, ricordare il re le faceva male.
- E credevi?- La incalzò Hoggle. Sarah riportò lo sguardo su di lui
- No niente, non credevo niente. Ludo Ambrosius e Sir Dydimus? Stanno tutti bene?-Il nano divincolò la mano dalla stretta di Sarah, cominciando a gesticolare con le braccia in aria, spazientito.
- Ma certo che stiamo tutti bene, ma ti pare? Se fosse successo qualcosa ti avremmo avvisata e, credimi, saresti stata la prima a saperlo. Ma cosa sono tutte queste domande sulla salute?-
Forse avrebbe potuto raccontare a Hoggle del suo incubo, magari l’avrebbe aiutata ad interpretarlo. O forse erano solamente semplici presentimenti senza senso. Prima però doveva sapere.
- E… lui come sta?-
A questa domanda il nano si puntellò le mani sui fianchi, serio.
- Lui chi?-
Sarah piegò la testa da un lato, il tono incerto.
- Sai perfettamente di chi sto parlando Hoggle, del tuo re.-
Hoggle scese dalla toletta con un balzo e andò a sedersi sul letto.
- Perché vuoi sapere come sta? Non mi hai mai chiesto di lui prima d’ora…-
Sarah andò a sedersi sul letto di fianco a lui.
- Non c’è un motivo preciso, solo curiosità.-
Rispose alzando le spalle in finta indifferenza. Hoggle si grattò una guancia pensieroso.
- Se c’è una cosa in comune tra te e Jareth è proprio il fatto che nessuno di voi due fa mai niente senza un motivo.-
Lei non rispose e si limitò a sorridere.
- Comunque lui sta bene. A causa dei desideri degli umani è sempre un va e vieni tra il sopramondo e il sottosuolo, ma va bene. Tutto nella norma. Ora… - Le disse guardandola dritto negli occhi.- Mi vuoi dire cosa c’è? Che sogno hai fatto?-
Sarah abbassò la testa mentre stringeva le mani l’una nell’altra, nervosamente.
- La verità Hoggle è che la mia vita è troppo perfetta.-
L’amico la guardava attentamente, valutando ogni parola come una perla preziosa. Sarah, dopo un primo momento di esitazione, continuò:
– Jack non mi fa mancare nulla, mi ama e adora sua figlia. Rose è una bambina sana, intelligente, felice. Economicamente stiamo bene, non abbiamo problemi ma mi sembra tutto così surreale, così forzato…-
Hoggle appoggiò una mano rugosa su quelle di lei.
- Volevi forse essere infelice? Da quello che so hai già sofferto abbastanza nella tua vita Sarah. Essere felice non era quello che volevi veramente? Avere una bella famiglia, essere amata, amare…-
Sarah alzò la testa ed incontrò lo sguardo dell’amico.
- Sì Hoggle, avere una famiglia felice era tutto ciò che volevo ma…-
In quel momento Sarah sentì la voce di Jack che salutava i suoi genitori e Rose che dava la buonanotte a tutti.
Molto presto sarebbero saliti.
- Hoggle, sta arrivando mio marito, devi andartene. –
Si alzarono in fretta dal letto e Hoggle ritornò dentro lo specchio.
– Ti prometto che in un altro momento ne parleremo, ok? – Lo rassicurò.
Hoggle non sembrava molto convinto ma, suo malgrado, accettò la situazione.
- Ok, ma sta attenta!.-
E con ciò il nano scomparve.
Stare attenta? E a cosa doveva stare attenta?

*** *** ***

Come sempre grazie a Federica e a Paola per l’aiuto ed il betaggio. ^_^

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Capitolo 4
*** Re dei sogni ***


Jack aveva aiutato Rose a lavarsi i denti e a mettersi il pigiama.
Le aveva abbassato con cura la maglia affinché non prendesse freddo.
- Papi, guardiamo insieme i cartoni?-
Chiese la piccola stropicciandosi un occhio con la manina stretta a pugno.
Suo padre sorrise dandole un delicato bacio sulla fronte.
- Direi di no bambolina, per te si è fatto tardi ed è ora di andare a dormire.-
Rose si distese sul letto appoggiando la testa sul cuscino mentre Jack le porgeva un vecchio peluche che profumava di confetto.
Quell’orsetto non aveva niente di speciale eppure a sua figlia piaceva, era il suo preferito.
Come Lancillotto per Sarah”, pensò.
- Mamma è arrabbiata?-
Chiese improvvisamente la bambina guardando tristemente suo padre.
Jack le rimboccò le coperte.
- No mia principessa, la mamma non è arrabbiata, è solo un po’ stanca.-
La rassicurò, o almeno così credeva.
- E’ stanca di Rose?-
Chiese di nuovo, stringendo a sé l’orsacchiotto.
L’uomo si raggelò all’istante. Che cosa stava succedendo?
Forse Rose stava per rivivere sulla sua pelle i ricordi e le tristezze di sua madre?
No, sua figlia non meritava di soffrire, lo avrebbe impedito ad ogni costo.
- No amore mio.-
Le disse accarezzandole una guancia.
- Non pensare mai una cosa del genere, hai capito? Mamma e papà ti vogliono bene. Ora dormi piccola mia. Buona notte. -
Le diede un buffetto sulla guancia e la vide accoccolarsi sotto le coperte e chiudere gli occhi, rasserenata.
Jack doveva parlare con Sarah e in fretta, capire cosa le stava succedendo. Spense la luce e uscì.
Quando Jack entrò in camera, Sarah indossava un delicato pigiama rosa ed era seduta sul letto.
I lunghi capelli scuri le ricadevano ordinati sulle spalle ed era bellissima, come sempre.
Stava sfogliando un vecchio album con le foto di sua madre.
Quand’era ragazzina ritagliava dai giornali e dalle riviste tutti gli articoli che parlavano di Linda Williams e li custodiva gelosamente.
Sarah aveva considerato sua madre un mito, un esempio da imitare, fino a quando non ritornò dal viaggio nel labirinto.
Solo in quel momento si rese conto di quanto le scelte di Linda avessero fatto soffrire lei e suo padre, scavando dentro alla ragazza una profonda e dolorosa ferita.
Jack si chinò su di lei e, con tutta la delicatezza di cui fu capace, le sfilò l’album dalle mani, richiudendolo.
La donna alzò lo sguardo verso suo marito, gli occhi pieni di rabbia e tristezza.
- Ti dava tanto fastidio il fatto che stessi guardando le mie foto? –
Il tono di Sarah era basso e minaccioso.
Jack poggiò l’album sopra la toletta e con calma si sedette vicino a sua moglie prendendole la testa tra le mani e obbligandola a guardarlo.
- Sarah calmati, dobbiamo parlare.- Era serio.
Sarah non aveva mai capito come quell’uomo potesse essere sempre così calmo, così ponderato e razionale.
Quell’atteggiamento cominciava ad irritarla ma non riusciva ad odiarlo.
Più passava il tempo e più si rendeva conto di esserne attratta come una calamita.
Annuì lentamente e Jack le lasciò il volto, prendendo una mano di sua moglie tra le sue.
- Si tratta di Rose.-
Sarah cominciò ad agitarsi.
Dammi la bambina”.
- Ha qualche problema? Sta male? Vado subito da lei!- Fece per alzarsi ma Jack la trattenne.
- Sarah no, Rose non sta male e si è già addormentata. – Sarah lo guardava accigliata, senza capire. – Semplicemente ha bisogno di sua madre.- Sarah distolse lo sguardo, aveva capito. Dopo qualche istante di silenzio Jack continuò.
- E io ho bisogno di mia moglie.-
In quell’istante dagli occhi della ragazza cominciarono a sgorgare lacrime silenziose e pesanti come macigni.
- Mi dispiace tanto Jack, mi dispiace così tanto!-
Lui la prese tra le braccia e la cullò fino a che non la sentì calmarsi.
Avrebbe fatto qualunque cosa per vederla felice, per non farla mai più piangere, ma sapeva che questa, forse, era una battaglia che Sarah doveva combattere con se stessa e nessuno poteva aiutarla. Jack la aiutò a stendersi sul letto, si spogliò e la raggiunse sotto le coperte, abbracciandola forte. Sarah gli passava delicatamente le dita sul petto ammirandone la bellezza.
- Ti amo.- Sarah non lo diceva spesso ma in quel momento Jack non poteva udire parole migliori. Le sorrise teneramente.
- Perché io?- Le chiese guardandola negli occhi. Sarah ricambiava il suo sguardo senza capire.
- Cosa intendi dire?-
- Perché tra tutti i tuoi amici e compagni del college hai scelto me? Cos’avevo di speciale che gli altri non hanno avuto?-
Suo marito non le aveva mai fatto delle domande simili.
Per l’ennesima volta si ritrovò a constatare che Jack era tutto quello che voleva: bellissimo, biondo, occhi azzurri e…
- Ho scelto te perché ti amo Jack. Mi sai capire, ti sento vicino anche quando sei lontano, sei dolce con me e amorevole con Rose, e hai un cuore generoso.-
Avrebbe voluto aggiungere che le ricordava maledettamente il suo re dei sogni ma ovviamente tenne questo pensiero per sé. Lui non avrebbe mai capito.
In quell’istante un bagliore malizioso comparve negli occhi dell’uomo.
La capovolse sul letto e si portò sopra di lei, sovrastandola.
Le baciò la base del collo, sensuale, e le sussurrò all’orecchio:
- Ho sempre sostenuto di essere un uomo generoso.- Poi la baciò con passione.
 
"Sarah, bada a te. Sono stato generoso fino a questo momento, ma so essere crudele."
"Generoso? Che cosa hai fatto di generoso?"
"Tutto, tutto. Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto che il bambino fosse preso, e io l'ho preso. Tremavi davanti a me, e io mi facevo più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del tempo, e ho messo sottosopra il mondo intero. E tutto questo io l'ho fatto per te. Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti da me. Questo non è generoso?"


Le mancava il respiro, aveva bisogno d’aria. Con una spinta allontanò suo marito da lei, il viso sconvolto.
-Sarah dannazione, che cosa ti prende adesso?-
Jack si era scostato da lei guardandola con preoccupazione.
- Mi dispiace tanto Jack, credo di essere davvero stanca. Forse è meglio che riposi un po’ e…-
L'uomo si distese di nuovo al suo posto e chiuse gli occhi.
- Sì, hai decisamente bisogno di riposare, e non solo tu.-
 
*** *** ***
 
Il barbagianni volava sopra la Foresta delle Querce, ai confini con Etheria, e presto avrebbe visto il castello.
Quando l’alta corte richiamava il re di Goblin al cospetto degli imperatori non significava nulla di buono, anche se questa volta il desiderio della sua presenza era stato espresso da qualcuno di speciale.
Negli ultimi tempi non aveva volato molto e poter concedersi la libertà di muoversi come meglio credeva lo rendeva estremamente felice.
Il maniero di cristallo di Etheria era la costruzione più bella ed imponente dell’intera Underground. Posto sopra la catena montuosa di Talon, dominava tutti i regni della Grande Valle.
E un giorno sarà la sua dimora”.
Ricacciando indietro quel pensiero scomodo virò a sinistra, sapendo che la donna che lo cercava non l’avrebbe trovata al castello.
L’aria intrisa di magia di quel posto incantato gli fendeva le piume, accompagnandolo quasi inconsapevolmente fino alla piccola dimora di Brightmoon.
I giardini di Brightmoon non erano curati come i parchi di Etheria, e risultavano abbastanza trasandati, l’erba non veniva tagliata spesso e raramente ne venivano potate le siepi.
Il barbagianni planò sopra un grosso tronco di un albero e per qualche istante fissò l’elegante donna che riposava sull’erba a poca distanza.
I capelli lunghi e biondi le scendevano dritti fino a toccare il suolo, la veste color avorio di morbida seta era arricchita con orli in oro e filati preziosi.
- So che mi stai guardando figlio, ti diverte così tanto fissare una donna anziana che riposa?-
La donna non aveva aperto gli occhi ma sentiva i peso dello sguardo di suo figlio.
Il re di Goblin mutò la sua forma animale in quella di fae; le zampe divennero gambe che si stendevano elegantemente lungo il ramo dell’albero mentre il busto era appoggiato con indolenza al tronco.
- Siete sempre stata una bellissima donna madre, e piacevole da guardare. Io non ci ho mai trovato nulla di male in questo.-
Era vero e Jareth avrebbe trascorso ore solo a guardarla, ammirare l’unica persona che non l’aveva mai ostacolato nelle sue scelte, a volte anche senza capirle, limitandosi ad amarlo per quello che era veramente.
Titania aprì gli occhi lentamente e si alzò con grazia allungando una mano verso di lui, invitando silenziosamente Jareth a scendere e a raggiungerla.
Lui non si fece attendere, scomparve dal ramo dov’era seduto e si materializzò di fronte la lei.
Le prese la mano con reverenza e ne baciò delicatamente il dorso, sfiorandola appena con le labbra. La donna si avvicinò di più a suo figlio e gli prese il braccio.
Jareth sapeva che quello era un tacito invito a passeggiare.
Rimasero in silenzio a lungo, ascoltando il rumore dei loro passi sul terreno, il canto degli uccelli, il fruscio del vento contro le fronde degli alberi.
Tutta quella tranquillità metteva il re a disagio e non era solo il silenzio a renderlo nervoso.
- Ti vedo inquieto figliolo, ho per caso interrotto qualcosa?-
Non lo guardava, ma non era necessario farlo per capire l’espressione di disagio che Jareth aveva sul volto.
- Beh madre, la verità è che in questo periodo sono molto impegnato.-
Tagliò corto, non aveva senso darle motivo di discussione, altrimenti si sarebbe preoccupata e avrebbe cominciato con le sue solite moine da madre protettiva.
- Gli Unseelie sono alle porte Jareth, te ne rendi conto?-
La voce di Titania era glaciale, seppur composta.
Ecco il motivo della chiamata a corte, e il re avrebbe dovuto saperlo.
La verità era che non si sentiva ancora pronto per risolvere il problema, non poteva entrare in guerra, non doveva rischiare per nessuna ragione.
- Sì madre, me ne rendo perfettamente conto ma non ho nessuna intenzione di rischiare il mio regno e tutto ciò a cui tengo per…-
Sua madre si bloccò all’istante, si voltò verso di lui e gli poggiò le mani sulle spalle stringendo forte, quasi a volergli affondare le dita nella carne.
- Guardati intorno Jareth. Qui le piante non sono potate e curate come ad Etheria, eppure gli alberi crescono ugualmente rigogliosi, i fiori continuano a sbocciare, l’erba continua a crescere. Lascia che le cose facciano il loro corso come devono, lascia che ognuno viva la propria vita come deve e anche se qualche bocciolo di rosa appassisce prima di fiorire, non farne un dramma. Subito dopo ne sbocceranno altre dieci al suo posto e non ti verrà a mancare il loro profumo. Ma se ti ostinerai a potarne l’arbusto, correrai il rischio di reciderne la linfa vitale e di uccidere l’intera pianta. Non farlo Jareth, non farlo.-
Il re distolse lo sguardo da sua madre, incapace di sostenerne il peso.
- E vostro marito, madre? Non mi risulta che sia d’accordo con la vostra teoria.-
Titania annullò il contatto con suo figlio e gli voltò le spalle, allontanandosi da lui di qualche passo.
- Oberon, tuo padre, non sa di questa visita e non deve saperlo. Tu sai cosa ti chiede Jareth e devi scegliere, ora più che mai. Non puoi aspettare oltre, non c’è più tempo.-
La donna scomparve in una leggera nebbia e il re si sarebbe aspettato una frase del tipo “è un tale peccato”, che ovviamente non arrivò. Jareth sorrise di tristezza a quel ricordo e scomparve.  
 
*** *** ***

 
Dolci fanciulle, finalmente torna in ballo Jareth!!!
Credo di aver intuito che non abbiate molto apprezzato il fatto che Sarah si sia sposata, dico bene???
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Bacio.
J.

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Capitolo 5
*** Labyrinth ***


Sarah si era svegliava lentamente, disturbata da un senso di gelo che le attraversava la schiena.
Sentiva i piedi ghiacciati ed era davvero difficile rimanere a letto in quella condizione.
Aprì gli occhi allungando un braccio di fianco a lei; il letto era vuoto. Jack si era già svegliato e le lenzuola dove sarebbe dovuto giacere suo marito, erano fredde: significava che l’aveva lasciata sola già da un po’.
Si mise a sedere guardando per l’ennesima volta ogni particolare della sua stanza di ragazzina.
- Che freddo.- Sussurrò abbracciandosi e strofinando le mani sulle braccia.
Si alzò e andò verso la finestra, scostò la tenda e rimase sbalordita dallo spettacolo che si presentava davanti a lei.
Il giardino era completamente ricoperto di neve e i raggi del sole colpivano i piccoli cristalli di ghiaccio che si erano formati sulla finestra facendoli brillare come diamanti.
Il fiato caldo di Sarah colpiva il vetro mentre respirava e creava una leggera condensa.
Era nuovamente immersa nei suoi pensieri, nei suoi ricordi d’infanzia, di quando recitava la parte di una coraggiosa guerriera che doveva uccidere un fantomatico mostro delle nevi e dei pupazzi improvvisati facevano da spettatori.
Ma l’ospite più presente era sempre stato lui, appollaiato sui rami o sugli obelischi del parco.
Non aveva più rivisto il barbagianni dopo quella fatidica sera e lei non aveva più recitato, annegando per sempre i suoi sogni di attrice nella profondità oscura della sua mente.
E tu Sarah, ti diverte il mio labirinto?
I suoi occhi, quei dannati occhi…
Era come se la guardassero, la spiassero e la seguissero in continuazione.
E io sarò lì per te…
Ma dove diavolo sei?” Pensò.
 Un pessimo odore di plastica bruciata la destò improvvisamente dai suoi pensieri.
Indossò la vestaglia e uscì dalla stanza.
Al pian terreno, in cucina, si era già radunata tutta la famiglia per la colazione.
- Sarah tesoro, ti sei svegliata? Hai riposato bene? Ieri sembravi così stanca…-
La salutò Karen mentre era intenta a trafficare con una vecchia macchina del caffè che sprigionava un cattivo odore di bruciato.
- Sì grazie Karen, ho dormito splendidamente. Buon giorno papà, buon giorno Toby.-
Disse Sarah arruffando amorevolmente con una mano i capelli di suo fratello.
Toby la salutò semplicemente alzando un braccio mentre con l’altra mano si portava la scodella di latte alle labbra.
- Buon giorno a te.-
Rispose Robert abbassando il giornale e alzando lo sguardo per un istante verso sua figlia, facendole un chiaro cenno con la testa di guardare in direzione di Karen. Sarah aveva capito.
- Karen, posso aiutarti?- Chiese Sarah avvicinandosi.
- No cara, è una guerra che devo vincere da sola; io contro  questo dannato aggeggio.- Karen stava cercando in tutti i modi di far funzionare la vecchia macchina del caffè. Ne aveva tolto il filtro per pulirlo ma non riusciva più a sistemarlo.
Improvvisamente un pezzo di vetro del bollitore si staccò piombando a terra e riducendosi in tanti pezzi come cristallo.
Una sedia contro un muro di cristallo”.
Toby si alzò con un “hurrà!” di trionfo.
- Evai mamma, sei grande!- Le disse prendendola in giro.
Karen, dal canto suo, era molto dispiaciuta per l’accaduto.
- Guardala dal lato buono Karen.- Le disse pacatamente Robert.
– Almeno ora avrai un motivo in più per acquistarne una nuova.-
Karen si puntellò le mani sui fianchi spazientita mentre Sarah prendeva la scopa e la paletta per raccattare i cocci.
- Questa “dannata macchina”, Robert, era il regalo di nozze della mia povera sorella. Te lo sei forse scordato?-
- No tesoro non me lo sono scordato, è che personalmente non ritengo opportuno vivere solamente di ricordi. Quando le cose non vanno si buttano via e basta.-
Sarah ascoltava il battibecco tra i due in silenzio, impegnata a ripulire il pavimento e a riflettere sul peso di quelle parole.
Quando le cose non vanno si buttano via e basta”.
Sì, anche il rapporto con Linda non aveva funzionato e prontamente era stato buttato via senza pensare alle conseguenze che avrebbero potuto ricadere su Sarah.
Non ritengo opportuno vivere solamente di ricordi”.
In effetti era quello che le stava succedendo nelle ultime settimane.
I ricordi d’infanzia le affioravano prepotentemente alla mente irritandola.
Dopo aver finito con il pavimento, Sarah si rivolse ai suoi familiari.
- Scusate, avete visto Jack stamattina?- Chiese preoccupata.
- Ma certo.- Le rispose Karen. – E’ uscito per andare in centro a fare delle compere. Non ha voluto che andassi io, con tutta questa neve poi… e si è offerto di andare lui. E’ un così bravo ragazzo Sarah, non potevi trovare marito migliore.-
Sarah cominciò a prepararsi al peggio, Karen stava cominciando con le sue solite moine.
Robert aveva ripreso a leggere il giornale.
- E poi è così premuroso con Rose, e ti vuole davvero tanto bene sai? Pensa che non ha voluto nemmeno svegliarti, ieri sera eri così stanca…-
- Sì, è un bravo marito.- Rispose Sarah sperando di chiudere la discussione mentre si accingeva a versare del latte nella sua tazza.
- E dei tuoi suoceri Sarah ci sono notizie? Si sono fatti vivi?-
Ecco che ci risiamo” pensò Sarah seccata.
Ogni occasione era buona per tirare in ballo quell’argomento.
- No Karen, non ci sono novità. E’ sempre la stessa situazione.-
Rispose fredda facendo tintinnare nervosamente il cucchiaio dentro la tazza del latte.
Jack non era mai stato in ottimi rapporti con i suoi genitori, tanto che quando si erano sposati non avevano nemmeno voluto partecipare alla cerimonia di nozze.
Non si erano nemmeno fatti vivi quando era nata Rose e Sarah non li aveva mai conosciuti.
Jack non ne faceva un dramma, malgrado sostenesse di averli avvisati degli eventi, e odiava parlare di loro spiegando a sua moglie che lei e Rose erano la sua famiglia.
Finalmente la voce di Rose le venne in aiuto distogliendo l’attenzione da quegli argomenti scomodi.
La bambina si era svegliata e stava chiamando sua madre.
Senza attendere oltre Sarah si precipitò da lei.
 
 *** *** ***
 
Dopo aver fatto colazione, Sarah aveva approfittato della giornata fredda ma soleggiata per portare Rose a fare una passeggiata.
Aveva voglia di rivedere il parco di Greenwood Lake i cui alberi, per tanto tempo, avevano assistito alle sue performance di attrice.
Sarah affondava gli stivali nella neve stringendo la piccola mano guantata di sua figlia.
- Mamma, dove andiamo?-
Le chiese Rose guardandola accigliata da sotto un berretto rosso di lana.
Sua madre sorrise.
- In un luogo spettacolare, il mio posto preferito.-
Rose ovviamente non aveva capito ma non fece altre domande, incuriosita da ciò che la circondava. Si divincolò dalla stretta di Sarah e cominciò a correre lungo il marciapiede.
“- Dammi la bambina!-”
- Rose, non allontanarti!- La rimproverò severa mentre un senso d’ansia le attanagliava lo stomaco. Forse portare sua figlia in quel luogo non era stata un’ottima idea.
Rose si fermò e si voltò verso di lei.
- Mamma guarda, qua non c’è la neve!- Esclamò la piccola incuriosita.
Era vero.
Mano a mano che si avvicinavano al parco la neve si diradava come se stessero per entrare in un altro mondo, in un altro tempo.
Sarah avvertiva il freddo pungerle il viso e il corpo, come se la sciarpa e il cappotto che indossava per ripararla non servissero a nulla.
Varcarono i cancelli di Greenwood Lake, il parco era completamente sgombero dalla neve, nemmeno un piccolo granello bianco aveva intaccato il colore ambrato delle foglie morte.
L’erba sotto i suoi piedi era secca e gli alberi erano completamente spogli, ma perché sorprendersi? In fin dei conti era inverno.
Eppure qualcosa dentro di lei le diceva di non fidarsi e di tenere gli occhi aperti e vigili su Rose.
Sta attenta!” La voce di Hoggle echeggiava ora nella sua mente.
Non sapeva a cosa dovesse fare attenzione ma certamente non avrebbe sottovalutato il consiglio.
- Eccovi finalmente, sapevo che vi avrei trovate qui!-
Una voce familiare la fece voltare di scatto, allarmata, eppure si trattava solo di Jack.
Sarah era impallidita al suono delle sue parole e la voce di suo marito era simile a…
- Sarah ti senti bene? Sei pallida. Forse sarebbe meglio tornare a casa.- Le disse avvicinandosi.
- Papà, papà…- Rose corse incontro a Jack e lui prontamente non le fece attendere le sue attenzioni. Si chinò su sua figlia e la guardò con dolcezza.
- Eccola qui la mia principessa. Cosa stai facendo di bello?-
Rose gli mostrò una castagna selvatica caduta da un albero.
- Papà, guarda cos’ho trovato!- Il frutto giaceva nella piccola mano che Rose porgeva a suo padre. Jack lo prese con le sue dita guantate e lo porse a Sarah.
- Ma guarda un po’ cosa ci offre nostra figlia.-
Guarda, Sarah, guarda quello che ti sto offrendo: i tuoi sogni.”
- NO!-
Sarah aveva urlato quell’unica parola con tutto il fiato che aveva in gola, colpendo con forza la mano di Jack e facendo volare via la castagna che giaceva tra le sue dita.
Il frutto cadde a terra violentemente rotolando lungo il sentiero erboso del parco sotto gli occhi impauriti della piccola Rose.
Jack sembrava sconvolto quanto sua figlia da quel gesto improvviso e immotivato.
- Mamma…- Un flebile sussurro uscì dalle labbra della piccola che Sarah quasi non aveva avverto.
Senza dire una parola Jack si alzò e si avvicinò a Rose.
Le poggiò delicatamente una mano sopra la testa.
- Amore, io e mamma dobbiamo parlare, ti va di tornare a giocare sotto il castagno?-
La bambina annuì e corse a raccogliere le sue castagne come se nulla fosse successo.
Sarah si voltò verso suo marito che la guardava attentamente, studiandola.
- Mi dispiace Jack, non so cosa mi stia succedendo, è solo che…-
Non riuscì a terminare la frase che lacrime pesanti cominciarono a solcarle il volto.
- Cosa ti sta succedendo Sarah? Dimmi cosa posso fare e io lo farò.-
Un soffio di vento gli scompigliò i capelli biondi mentre una ciocca gli cadeva sulla fronte.
Sarah mise le mani in tasca, sconfiggendo la tentazione di scostagliela dal volto.
Abbassò lo sguardo prima di rispondergli.
- E’ una storia lunga Jack e tu non mi crederesti mai.-
Storia lunga? Dannazione, perché si rifiutava di parlargli! Lui aveva diritto di sapere.
- Io ti credo Sarah, e ti amo qualunque cosa sia successa.-
Sarah rise di una risata isterica voltandosi a guardare sua figlia che giocava poco distante.
Non era il caso di perderla di vista.
- Quand’ero ragazzina amavo recitare Jack, e questo già lo sai.-
Suo marito fece per parlare ma lei lo bloccò alzando un braccio.
- Avevo quindici anni quando venivo in questo parco a recitare la mia storia preferita: Labyrinth.-
Jack sgranò gli occhi, mise una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse un libricino dalla copertina rossa.
- Stai parlando di questo, forse?- Le chiese piano.
Sarah spalancò gli occhi terrorizzata, incapace di parlare.
- Dove… dove l’hai trovato?-
- Era nella tua stanza e l'ho preso per leggerlo. Non credo di aver fatto nulla di male.-
Sarah si avvicinò e cercò di prendere il libro ma Jack lo scostò dalla sua presa.
- Dammi subito quel libro!- Gli disse decisa. – Non l’hai letto, vero?-
Jack le sorrise.
- E’ solo una favola Sarah, niente di più. Non ci trovo nulla di male nell’averlo letto.-
- Dammi quel libro, Jack.-
Non era una richiesta, era un ordine e gli occhi di Sarah si accesero di rabbia mentre la raggiungeva la voce di sua figlia che giocava spensierata sotto gli alberi.
Jack rimise il libro in tasca e si avvicinò a sua moglie. L’abbracciò e la strinse forte al petto affondando con decisione la testa nei capelli scuri di lei.
- E’ solo una favola Sarah e io ti amo. Mi hai sentito?-
Sarah cercò di divincolarsi dalla sua presa ma lui la stringeva sempre di più, bloccandole i movimenti.
- Jack lasciami, mi stai facendo male.-
Suo marito alzò lo sguardo catturando gli occhi di lei con  i suoi.
- Vorrei proprio che i goblin ci portassero via tutti e tre, all’istante!-
La lasciò andare così bruscamente che per poco Sarah non perse l’equilibrio.
La donna si voltò verso il castagno, sua figlia era già sparita.
- Jack che cosa hai fatto?-
Riuscì a sussurrare, prima che il buio li inghiottisse entrambi.
 
*** *** ***
 
Fede e Paola, grazie per l’appoggio sempre gradito!!!
Come sapete sono molto tentata di togliere la storia ma se deciderò di continuarla sappiate che lo farò principalmente per voi ^_^
U bacio grande a tutte le ragazze che seguono.
J.

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Capitolo 6
*** Il ritorno ***


La bambina dormiva tranquilla nel grande letto a baldacchino.
Non si era accorta di nulla e riposava tenendo i pugni stretti vicino al dolce visino angelico.
Il re, con una mano guantata, le scostò dolcemente alcuni riccioli biondi dalla fronte per guardarla meglio, ammirarla.
Era bella Rose, la pelle bianca come alabastro, le guance appena imporporate di placida innocenza e dalle cui labbra appena dischiuse uscì un lieve mugolio di protesta.
Il re di Goblin ritrasse la mano non potendo ignorare la somiglianza della bambina con quella di sua madre.
Gli occhi erano chiusi ma i lineamenti erano marcati, simili a quelli di Sarah.
Sarah”.
Erano trascorsi quindici anni dall’ultima volta, e ora era di nuovo nel suo regno, nel suo castello, al centro del labirinto.
Con questa consapevolezza, il re sparì dalla stanza in una nuvola di glitters.
 
*** *** ***
 
Sarah aveva avvertito improvvisamente un senso di vuoto dentro e fuori di lei, come se un grande vortice ne avesse risucchiato le membra lasciandola spoglia dei suoi organi, dei suoi abiti, dei suoi sentimenti.
Durante la caduta verso il basso, se così si poteva chiamare, non era stata in grado di percepire alcun rumore, nessuna luce, e non c’era aria.
Attorno a lei c’era il nulla ma quella condizione così innaturale le impediva perfino di provare paura. Sarebbe morta? Difficile dirlo e comunque nessuno l’avrebbe trovata in quel “posto.”
Fu qualche istante che a Sarah sembrarono ore e si ritrovò seduta al centro di un’arena circolare dalle medie dimensioni, in una stanza di pietra.
La sala del trono”.
L’aveva riconosciuta subito, non l’aveva mai dimenticata.
Erano trascorsi quindici anni dall’unica volta che aveva messo piede in quel luogo e si rese conto che nulla era cambiato anche se qualcosa era diverso ai suoi occhi: non era sola.
Questa volta non c’erano Hoggle, Ludo, Sir Dydimus e Ambrosius a farle compagnia, a scortarla, ma una folla esultante di goblin.
Si rese conto che forse il termine più corretto per definire quel gruppo di esseri era “branco”e non folla; quelle creature non avevano sembianza umane, nulla di loro rappresentava la realtà, la sua realtà.
Improvvisamente un folletto la cui testa sembrava il teschio di un camoscio completo di corna e ricoperta di peluria, le si avvicinò tirandole forte i capelli.
- Hai!- Esclamò la ragazza, mentre con una mano si strofinava la parte dolorante della testa.
Tutti i goblin presenti nella stanza cominciarono a ridere e i polli a starnazzare.
Cosa avevano tutti da divertirsi così tanto? Era così divertente torturarla?
Si guardò intorno spaesata, nella speranza di trovare una via di fuga.
Di fronte a lei c’era quello che avrebbe dovuto essere il trono del re.
Poggiava su una pedana formata da quattro gradini di pietra.
Lo scranno era anch’esso in pietra, di forma semi circolare e abbellito da un corno d’avorio che seguiva tutto il perimetro della seduta.
Chissà a quale strano animale apparteneva quel corno?”.
Si chiese Sarah mentre volgeva lo sguardo verso i rumorosi goblin che riempivano la stanza.
Lo sguardo si fermò un istante su un mantello grigio agganciato al manico di una spada appesa al muro, dimenticato, dove ormai i ragni e altri insetti sconosciuti avevano costruito la loro dimora..
Appoggiò una mano sul pavimento freddo e sporco per aiutarsi ad alzarsi.
La testa le girava, ma malgrado ciò riuscì a restare in piedi.
Sulle pareti di roccia erano state costruite delle grandi feritoie che illuminavano a giorno la stanza.
Di fianco a una di queste finestre, appeso al muro, c’era un orologio che segnava tredici ore, ma senza lancette.
Hai solo tredici ore per superare il labirinto…
Ora ricordava. Era al parco con Jack e Rose quando…
- Rose…- Sussurrò con il cuore in gola mentre per un momento le mancò il respiro.
Dov’era finita sua figlia, e suo marito? 
L’orologio era fermo perché Jack aveva espresso il desiderio che tutti e tre fossero rapiti dai goblin, di conseguenza nell’Aboveground non era rimasto nessuno disposto a rischiare di superare il dedalo per la loro salvezza.
- Rose, Jack.- Questa volta i nomi uscirono dalla sua bocca con più forza ma ancora senza convinzione.   
- Rose…- Fece eco un folletto con un imbuto di latta in testa poco distante da lei.
Era un’evidente presa in giro nei suoi confronti e tutti gli altri cominciarono di nuovo a sghignazzare.
Uno di loro si diresse a gran velocità verso una botte posta in un angolo della stanza.
La creatura ne aprì il rubinetto facendo uscire un liquido ambrato e dall’odore nauseabondo che colò sul pavimento.
Un goblin cominciò a leccare i rigagnoli che si insinuavano sulle fessure di pietra mentre tutti gli altri ridevano e tormentavano dei poveri polli.
Sarah riuscì a trattenere a fatica un conato di vomito.
Si strofinò con forza le mani sul cappotto, sforzandosi con tutta se stessa di concentrarsi sulla situazione e non solamente sul luogo in cui si trovava, sperando di fare chiarezza nei suoi pensieri. Ad un tratto i goblin cominciarono ad uscire chiassosamente dalla sala del trono, lasciando sola la ragazza.
Forse qualcosa di strano stava per accadere. Sarah si guardò le mani tremanti, spaesata e impaurita.
Nulla è sempre ciò che sembra in questo posto…”.
- Ma guarda un po’ chi si rivede, dopo tutto questo tempo…-
Una voce melodica la destò dai suoi pensieri costringendola ad alzare lo sguardo. Era lui.
Dopo quindici anni era di nuovo lì, ad affrontare quell’essere fatato dagli occhi spaiati; lei che lo aveva battuto.
Sarah era cambiata, era diventata una donna.
I capelli erano ancora lunghi e scuri ma i lineamenti non erano più quelli di una ragazzina innocente e ingenua.
Lo sguardo, però, era rimasto quello di un tempo.
Occhi crudeli che avrebbero potuto far girare la testa a qualunque uomo e una grande forza d'animo mista a un'immaginazione fervida e una rara fede nella magia per le quali il re di Goblin, anni prima, aveva capovolto sotto sopra il suo mondo.
- Dov’è mia figlia?- La voce della donna era bassa ma decisa mentre lo fissava intensamente.
Non aveva fatto trasparire nemmeno un grammo di tutta la paura che il re le leggeva negli occhi e questo non era solo coraggio, era anche imprudenza.
Con un balzo felino il re entrò nell’arena costringendo Sarah ad indietreggiare fino a sbattere i talloni contro il muro.
Fu costretta a sedersi sul bordo di pietra e ad appoggiare le mani sul pavimento sporco della sala per sorreggersi, mentre Jareth le si era avvicinato minaccioso.
Il re si chinò su di lei senza dire una parola, ponendo le mani guantate su quelle della donna mentre le sue labbra era vicine al volto di Sarah, troppo vicine.
Lo vide sorridere mentre le sussurrava all’orecchio:
- Non mi chiedi nemmeno come sto, Sarah? Dopo tutto questo tempo?-  
La donna deglutì a fatica, il re l’aveva decisamente presa alla sprovvista.
Non si aspettava di certo un comportamento del genere.
- Dov’è mia figlia?-
Riuscì a ripetere con non poca fatica, sforzandosi di sembrare più forte possibile.
Non si sarebbe lasciata intimorire per così poco.
Jareth la lasciò andare bruscamente e per un attimo Sarah aveva creduto di vedere un velo di tristezza nei suoi occhi ferini.
Quella sensazione, però, passò veloce come un lampo mentre il re distoglieva lo sguardo dalla donna per portare l’attenzione sulle sue mani, sistemandosi i guanti con studiata indifferenza.
- La tua marmocchia sta bene, non credo si sia accorta di nulla visto che sta riposando.-
- Voglio vederla!-
Improvvisamente il re alzò lo sguardo verso di lei, l’ira che minacciava di surclassarlo.
Aveva capito bene? Era appena arrivata nel suo regno e già si permetteva di dare ordini?
A lui poi, che da millenni era sovrano di quel luogo!
Abbassò le braccia lungo i fianchi, trattenendosi dalla voglia di lanciarle contro una sfera e rinchiuderla in una segreta.
- Come ti permetti di rivolgerti a me in questo modo, donna?-
Evocò con eleganza un cristallo e lo fece girare sulla punta di un dito guantato, minaccioso.
– Non osare mai più sfidarmi. Sono stato abbastanza chiaro?-
Con forza le lanciò contro la sfera che la colpì in pieno petto.
Sarah rimase improvvisamente senza fiato, più per la paura che per il dolore mentre la sfera si trasformava in una cascata di fiori profumati e dai colori sgargianti.
Quando i fiori toccarono il suolo, cominciarono gradualmente ad appassire fino a sbriciolarsi come se fossero stati bruciati dal fuoco.
Con un soffio di vento la cenere fu spazzata via, lasciando la ragazza sbigottita e senza parole.
Le ci volle qualche istante per capire cosa stava succedendo e quando alzò lo sguardo si accorse che il re la stava fissando con un sorriso divertito stampato sul volto.
Era perfettamente consapevole di incuterle timore e lui se ne beava.
Quando era quindicenne era meno consapevole dei rischi che correva mentre adesso…
Le voltò le spalle saltando fuori dall’arena con un agile balzo e si diresse verso il suo trono, lasciandole il tempo per riprendersi.
Si sedette pesantemente e senza eleganza sul suo scranno, fissandola attentamente.
- Posso… -
Sarah faceva quasi fatica a parlare ma doveva provarci, non poteva rinunciare, non doveva.
– Posso chiedere dov’è mio marito?- Chiese alzando lo sguardo verso il re.
Lui sorrise alla richiesta della donna celando dietro una maschera divertita la sua amarezza.
- Così ci siamo, educata e obbediente.- Le rispose asciutto.
Si piegò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
– Vuoi davvero sapere che fine ha fatto quello stupido mortale?- Le chiese con tono deciso.
Un brivido gelido attraversò la spina dorsale di Sarah, facendole alzare il mento più per terrore che per sfida. Si limitò ad annuire, aspettandosi il peggio.
Il re rise e indicò un punto alle sue spalle.
- Da quella parte, Sarah.-
La donna si voltò lentamente, rimanendo senza fiato per ciò che si presentò davanti ai suoi occhi.
 
*** *** ***
 
Donne, non ho ancora cominciato a scrivere il prossimo chappy e credo si farà attendere un bel po’.
Abbiate pazienza: tengo lavoro e famiglia… :D
Grazie a tutte voi che mi seguite con tanta pazienza e a Fede e Paola per il supporto “tecnico”.
J.

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Capitolo 7
*** Di tunnel e legami ***


Sarah si voltò lentamente e rimase sbalordita dallo spettacolo che aveva davanti.
La sala del trono era sparita e di fronte a lei c’era un corridoio semi buio che sembrava non avere mai fine.
Il tunnel”.
Ricordava di aver già visto quel luogo, durante il suo primo viaggio attraverso il labirinto, quand’era uscita dalla segreta, dopo aver superato i falsi allarmi accompagnata da Hoggle; ma allora non le sembrava così terrificante, desolato, squallido.
Dal soffitto scendevano dei licheni viscidi e verdi che strisciavano lungo le pareti e godevano di vita propria.
Tutti quegli esseri la fissavano, gli occhi erano solo bulbi oculari gialli, itterici, segnati appena da evidenti vene sporgenti rosse come il sangue.
Le pupille erano molto piccole, quasi impercettibili e non c’erano palpebre, solo delle iridi verdi fluorescente che illuminavano appena il corridoio. 
In quei corpi non scorre linfa, ma sangue”.
Si nutrivano forse di esseri viventi? Di insetti o altre creature che sventuratamente si appoggiavano alla parete? E se Jack e Rose fossero stati sbranati da quegli esseri? Questa consapevolezza la fece rabbrividire e decise di ricacciare indietro quei maledetti pensieri, almeno per il momento.
- Mio marito e mia figlia non sono qui sotto, vero? Questa è solo un’illusione…-
Chiese Sarah cercando di convincere se stessa che ciò che vedeva non era realtà.
Non sentendo alcuna risposta alla sua domanda si voltò e vide che il re non c’era più.
Non era sparito solo il sovrano del labirinto ma erano scomparsi anche il suo trono, le mura del castello, i resti dei goblin e dei polli che fino a poco tempo prima starnazzavano intorno a lei.
Tutto era diventato un tunnel e lei era ancora al centro dell’arena che adesso, però, si trovava in mezzo al corridoio.
- AAAHHH!- Sarah emise un grido di rabbia e disperazione.
Teneva i pugni stretti contro le tempie e gli occhi chiusi.
Sentiva che la testa stava per scoppiarle mentre un’angoscia profonda le attanagliava le viscere. Aveva paura.
 
*** *** ***
 
Quando i goblin portarono via Toby non era terrorizzata, o almeno non in questo modo.
Jareth aveva evocato una sfera e guardava l’immagine della donna riflessa nel cristallo.
Non aveva previsto una simile reazione da parte di Sarah.
Era sempre stata forte, coraggiosa, a volte testarda.
Sì, aveva sofferto per l’abbandono da parte di Linda ma non pensava che avesse potuto influenzare la sua esistenza fino a questo punto.
Era davvero così forte il legame che la teneva unita al marito e alla figlia?
- Mamma!- Un grido impaurito lo distrasse dai suoi pensieri.
Rose si era svegliata e cercava sua madre.
Il re chiuse la mano guantata facendo sparire la sfera; si sarebbe occupato della piccola, prima di continuare con Sarah.
A quel richiamo così spaventato, tenero e indifeso decise che sì, quel legame era davvero più forte di ogni cosa.
 
*** *** ***
 
- Che tu sia maledetto re di Goblin! Mi hai sentito? So che mi stai spiando e giuro che te la farò pagare cara!-
- Ooohhh…- I licheni la fissavano sbalorditi, nessuno si era mai permesso di parlare in quel modo al loro re e chi lo faceva non usciva più da quel luogo desolato e dimenticato da Dio.
- Cosa?- Sarah li fissava di rimando. Aveva udito un suono provenire da quelle creature; ne dedusse che fossero in grado di capire cosa diceva e un velo di speranza si insinuò nella sua mente.
Uscì dall’arena con non poca difficoltà, appoggiando le mani sul pavimento umido e freddo mentre il lungo cappotto le intralciava le gambe.
Si avvicinò alle creature rimanendo comunque ad una distanza di sicurezza, incerta sulla reazione che avrebbero potuto avere.
- Voi capite quello che dico, non è vero?- Gli occhi itterici dei licheni si guardarono l’un l’altro spalancando le pupille.
La donna si scostò una ciocca di capelli dal volto e la riportò dietro l’orecchio.
- Sto… sto cercando mio marito e mia figlia e non so dove si trovino. Sapreste aiutarmi?-
Gli esseri piegarono di lato il bulbo oculare che fungeva da testa senza emettere alcun suono.
Le luci delle pupille vibravano come una candela donando all’ambiente un leggero senso di calore. Era l’unico particolare lievemente rassicurante nell’assurdità della situazione.
“- Da quella parte, Sarah. -”
Jareth le aveva indicato la strada ma la donna non si fidava.
Sarah alzò le mani cercando di riordinare i pensieri e di mantenere la calma.
“Fai la domanda giusta”.
- Ok, forse non mi sono spiegata. Sapete se qua sotto, da qualche parte, sono rinchiusi una bambina e un uomo?-
- Ooohhh…- I licheni emisero ancora quel suono mentre le pupille si stringevano leggermente.
Sarah recepì quel comportamento come una risposta affermativa.
- E… da che parte devo andare per raggiungerli? - Chiese di nuovo.
Gli esseri si voltarono verso sinistra, illuminando il sentiero.
Era la direzione indicata dal re... allora non aveva mentito!
Sarah inspirò profondamente e trattenne il respiro mentre si girava verso la profonda oscurità indicata dai licheni.
Si strinse forte il cappotto, colta da un improvviso brivido di freddo ed iniziò a camminare. Mano a mano che avanzava, il pavimento diventata sempre più umido e si ricopriva di una leggera patina di muffa verdastra.
Ad ogni passo, Sarah lasciava la sua impronta, lo stivale affondava leggermente in quella melma sollevando uno strano odore di muschio, di polvere, di pagine ingiallite di vecchi libri e cantine sotterranee, di luoghi abbandonati e oggetti dimenticati.
Il sentiero era vagamente illuminato dagli occhi dei licheni e lei avanzava piano, restando a debita distanza dalle pareti e facendo attenzione a non scivolare sul pavimento viscido.
Sarah camminava verso un’oscurità che sembrava volesse inghiottirla.
Gli unici rumori che riusciva a percepire erano i suoi passi e il forte battito del suo cuore.
Strinse più forte a se il cappotto aumentando il passo. Cosa la aspettava? 
Improvvisamente percepì, non molto distante da lei, il ticchettìo di una goccia che cadeva dal soffitto e si infrangeva contro qualcosa di metallico.
L’oscurità non era più così fitta mentre il rumore della goccia aumentava di intensità mano a mano che avanzava.
Cominciò a correre.
Non si era nemmeno accorta che sotto ai suoi piedi c’era qualche millimetro d’acqua che, ad ogni passo, schizzava e le sporcava di fanghiglia gli stivali e il cappotto.
- Jack!- Chiamò suo marito. Doveva trovarlo, ad ogni costo.
- JACK!- Lo chiamò più forte, sperando che quel richiamo la conducesse da lui.
- Sarah?- 
Si fermò impietrita. Era davvero la sua voce quella che aveva appena udito?
Il suo nome era stato pronunciato con amore e sofferenza, quasi fosse stata una supplica.
- Sarah sono qui!-
Era lui, non si era sbagliata.
- Jack sto arrivando!- Sarah si precipitò verso quella voce fino a quando la sua corsa non fu arrestata da un portone arcuato di legno a due ante.
Sgranò gli occhi, stupita da ciò che vide.
Il portale era chiuso, sigillato da un’effige in bronzo che raffigurava il sovrano del labirinto.
L’immagine era così perfetta che sembrava essere stata fusa direttamente sul volto del re.
I lineamenti marcati, gli occhi chiusi, il lieve sorriso beffardo che gli increspava le labbra, una catena che sorreggeva il medaglione a forma di falcetto che, in questo caso, fungeva da batacchio.
Sarah si avvicinò cauta.
 
“- Queste porte dove portano?-
- Cosa?-
- E lo chiedi a me? Noi siamo solo i batacchi!-
- E come faccio ad entrare?-
- Bussa, bussa e ti sarà aperto!-”
 
Ricordava molto bene il dialogo che quindici anni prima aveva avuto con i batocchi di bronzo alle porte della foresta. Solo che all’epoca c’era Ludo a tenerle compagnia, ora era sola.
- Bussa e ti sarà aperto… Sto arrivando Jack!- Ripeté Sarah mentre appoggiava una mano sul medaglione del re. In fin dei conti era solo un battente.
 “Nulla è sempre ciò che sembra in questo posto…”.
Sarah fece un improvviso balzo indietro, il cuore che le martellava veloce nel petto da sentirlo rimbombare in gola e nelle orecchie.
L’immagine del re aveva improvvisamente spalancato le palpebre prendendo vita.
Gli occhi spaiati del fae la fissavano intensamente, non celando la scintilla di arroganza e di sfida che non lo abbandonavano mai.
Jareth l’aveva vista indietreggiare, barcollare, impallidire; non si sarebbe stupito se fosse svenuta in quel preciso istante.
E invece la ragazza si fece coraggio, inghiottendo la paura come un boccone amaro, disposta a combattere fino all’ultimo per riprendersi ciò che le apparteneva. Era fiero di lei.
- Nulla è sempre ciò che sembra in questo posto Sarah, dovresti saperlo…- Il suo nome era stato pronunciato come un soffio caldo e avvolgente che usciva dalle labbra del re, ma lei non se ne curò.
- Fammi passare e ridammi ciò che è mio. O me lo prenderò con la forza.-
La voce di Sarah era bassa e lei tremava di rabbia, di paura, di freddo a causa del cappotto ormai umido e sporco. Malgrado ciò riusciva ancora a trovare la forza per combattere.
Jareth emise una risata sguaiata, forte e così insopportabile che Sarah fu costretta a tapparsi le orecchie per attenuare il rumore e il rimbombo che quel suono creava nel suo cervello.
- Smettila, smettila immediatamente!.- Gli ordinò urlando.
Nulla.
La voce del re aumentava sempre più e quella maledetta risata era diventata un intenso frastuono che stava rischiando di romperle i timpani.
Doveva fare qualcosa e al più presto.
Si avvicinò barcollante al portone mentre con una mano si teneva la testa dolorante.
Fu un sussurro ciò che uscì dalle sue labbra.
- Io so tutto re di Goblin, ma tu dimentichi che non hai alcun potere su di me!-
Con decisione afferrò la testa del re e la strattonò con forza staccandola dal portale con un solo colpo. Jareth interruppe la sua risata all’improvviso guardandola negli occhi.
- Sarah, bada a te!-
Ma lei non l’aveva sentito. Alzò in aria la testa del fae e la scaraventò a terra.
L’effige era improvvisamente tornata di bronzo e quando colpì il suolo si frantumò in tante minuscole schegge di cristallo.
Sarah dovette coprirsi il volto con un braccio per evitare che qualche piccolo frammento di vetro la investisse in pieno viso.
Abbassò il braccio notando che i licheni continuavano ad illuminare il sentiero e il portone come se nulla fosse successo, come se non avessero visto ciò che era accaduto al loro sovrano.
Le schegge di vetro erano coperte da qualche millimetro d’acqua e brillavano come stelle, come diamanti. Si abbassò per raccoglierne una.
 
La testa del re non era di cristallo ma di bronzo, eppure…
 
Sarah ritrasse la mano improvvisamente.
Le schegge cominciarono ad unirsi l’una con l’altra per formare una sfera, un perfetto globo trasparente come quello che Jareth aveva sempre cercato di offrirle.
Lo vide roteare a gran velocità nella direzione dalla quale era giunta lei stessa, per poi scomparire, inghiottito dal buio.
Il re di Goblin era ben lungi dall’essere sconfitto.
Con questa certezza si voltò di nuovo verso il portone di legno e lo spalancò con forza.       

 *** *** ***
 
Ragazze, mi scuso con voi per il terribile ritardo di aggiornamento ma, come vi avevo anticipato, sono inguaiata con il lavoro. PERDONATEMI!!! T_T
Un grazie di cuore a Federica e a Paola per il supporto tecnico grazie a Marzia per quello morale!
BUON 2012 A TUTTE
J.


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Capitolo 8
*** Ciò che resta del passato ***


- Jack!- 
L’uomo alzò la testa cercando di sorridere, ma qualunque movimento facesse si trasformava in una smorfia di dolore.
- Sarah…-  Non riuscì a dire altro, la bocca piena di sangue.
La donna gli si avvicinò lentamente con gli occhi sbarrati e appoggiò una mano sulla guancia di suo marito. Il tocco era delicato e Sarah lo sentì fragile e indifeso sotto le sue dita fredde. 
La pelle di Jack era calda e lui chiuse gli occhi alla tenera carezza di sua moglie.
- Cosa ti hanno fatto?-
Chiese Sarah in un sussurro tremante mentre si inginocchiava davanti a lui, non riuscendo a trattenere le lacrime che cominciavano a rigarle il viso.
Jack era inginocchiato sul pavimento di pietra, e qualche millimetro di acqua gelida e sporca gli penetrava nelle ferite aperte e sanguinanti delle gambe.
Era stato legato al muro con catene d’acciaio che gli bloccavano mani e piedi; scalzo, i capelli in disordine e sporchi di sangue raffermo, un labbro spaccato e ancora sanguinante.
Era stato frustato e la camicia era ridotta a brandelli, i graffi e le ferite della schiena e del petto esposti. 
L’aria era viziata e quasi irrespirabile ma Sarah era troppo concentrata sull’uomo davanti a lei per rendersene conto.
Affondò delicatamente le mani nei capelli biondi di Jack, appoggiandogli piano la testa sul suo seno per stringerlo a sé mentre le lacrime continuavano a solcarle il volto.
- Sarah…- 
L’odore di lei, le sue dolci carezze tra i capelli, il delicato profumo della sua pelle.
Jack chiuse gli occhi per immagazzinare dentro di sé ogni minimo particolare della donna che forse non avrebbe più rivisto.
Avrebbe voluto stringerla, baciarla, ricambiare le sue effusioni... se solo non fosse stato legato in quel modo.
- Hai notizie di Rose? Sai dove possa essere?-
Jack aprì gli occhi incrociando lo sguardo preoccupato e stanco di sua moglie, gli occhi ormai arrossati dalle troppe lacrime versate.
- Non l’ho più vista da quando sono piombato qui dentro ma credo stia bene, almeno spero…-
Di quello che diceva non ne era convinto nemmeno lui, ma cosa avrebbe dovuto risponderle?
Non aveva più rivisto Rose, ed era la verità.
- La troverò e ti prometto che vi porterò via di qui Jack, non so ancora come ma ce la farò!-
Decisa e tenace come sempre, non mollava mai.
Jack provò a sorridere ma il labbro inferiore gli faceva male e continuava a sanguinare.
Si strattonò con forza cercando di liberare le mani ma ottenne solamente che gli anelli stringessero ancora di più polsi e caviglie, annebbiandogli la vista.
- Dannate catene…-
Sarah non fece in tempo a replicare che una forza sovrannaturale la scaraventò contro la parete, dall’altra parte della stanza rispetto a dove si trovava Jack.
La schiena era tenuta contro la parete da una forza calamitosa e spesse catene di ferro uscirono dai muri e dal pavimento legandola stretta.
Non riusciva né a muoversi né a parlare, malgrado la sua volontà di chiamare Jack.
Trascorsero solo pochi istanti e una fitta nebbia grigiastra iniziò ad entrare dalla porta di ingresso. Jack cominciò ad agonizzare, gli mancava il fiato e il suono dei suoi rantoli riecheggiava nelle orecchie di Sarah.   
- Jack, JACK…- 
Si sforzava di urlare quel nome che per anni aveva invocato e pronunciato anche nei momenti più intimi, ma ne uscì solo un suono sordo, smorzato dalla tensione e dal panico.
Lo stava perdendo, e non avrebbe mai più dimenticato quel momento, ne era certa.
Una spessa coltre di nebbia invase ben presto tutta la stanza nascondendo, a poco a poco, l’immagine di suo marito.
Sarah sgranò gli occhi, incredula e impotente, senza più nemmeno la forza di piangere.
Che fine aveva fatto Rose?
Suo marito era morto davanti ai suoi occhi e la piccola sembrava sparita nel nulla.
- Come hai detto, Sarah? Credo di non aver capito bene…-
Una voce suadente e maledetta la raggiunse e sapeva perfettamente di chi si trattava anche se non riusciva a vederlo tra la densa foschia.
Sarah non rispose.
Strattonò le mani sperando di poter slegarsi dalle catene che le cingevano i polsi, ma ne ottenne solamente dolore.
Gli anelli si strinsero di più ai suoi polsi e alle sue caviglie, non sentiva nemmeno più il sangue circolare nelle vene.
Dalla nebbia affiorò un volto magico, era il re di Goblin.
Era completamente vestito di grigio come un demone fatato uscito dalla cenere...
Sarah deglutì a fatica e continuò a mantenere il suo sguardo fisso su quello del fae.
Jareth le si avvicinò lentamente e silenziosamente, come una tigre in procinto di attaccare la sua preda.
Si era avvicinato così tanto che poteva sentirne l’odore speziato di magia, di polvere di stelle, di notti selvagge.
Jack”.
Il re aveva lo stesso profumo di suo marito, della sua casa a Wakefield, di Rose.
Perché la stava torturando in quel modo?
Voleva vendicarsi per averlo sconfitto quindici anni prima? Dove aveva sbagliato?
Aveva voluto solo riprendersi Toby, nient’altro…
Abbassò lo sguardo prima che il fae potesse vedere gli occhi verdi della ragazza inumidirsi di lacrime per l’ennesima volta.
Mettersi a piangere non era una soluzione e lui ne avrebbe certamente approfittato per deriderla.
Il re si chinò su di lei e le alzò il mento con le dita guantate, costringendola a guardarlo.
Sorrise, cercando di mettere nella sua espressione beffarda tutta la convinzione di cui era capace.
La verità però era che quello sguardo così triste e rassegnato l’aveva destabilizzato.
Le accarezzò dolcemente le labbra con il pollice facendo sgorgare dai suoi occhi le lacrime che fino a quel momento erano state dolorosamente trattenute.
Jareth avvicinò il volto a quello di Sarah, le labbra a un soffio dalle sue.
- Non ho alcun potere su di te, non è così mia preziosa? Non era Jack che vedevi mentre facevi l’amore con lui. Oseresti negarlo?-
La voce bassa e roca del fae le provocò un’ennesima scossa di terrore lungo la spina dorsale.
Sarah dischiuse le labbra.
- T… ti p… prego…-
Non riuscì a dire altro, la voce rotta dal pianto, dal panico e dall’orrore per tutto ciò che stava accadendo.
Il re le lasciò il volto ed indietreggiò, quasi disgustato dalle sue parole.
Le voltò le spalle e Sarah poté osservare che il mantello del sidhe era damascato, raffigurante strani disegni che rappresentavano draghi, riti magici e altri personaggi o avvenimenti a lei sconosciuti.
- Ti prego cosa, Sarah? Di lasciarti andare? Di continuare a far trascorrere la tua stupida vita nell’Aboveground? Oppure…-
Si voltò nuovamente verso di lei e in quel momento le catene che fino a quel momento la tenevano legata alla parete furono risucchiate dal muro, liberandola.
Gli anelli di ferro erano stati così stretti da aver lasciato il segno sulla pelle degli stivali.
Sarah rimase in piedi quasi senza equilibrio, le gambe le tremavano vistosamente e sarebbe bastato un semplice soffio di vento per farla cadere.
Il re si stringeva il mento con una mano intento a pensare, o meglio, fingendo di pensare.
Sarah sapeva che lui aveva bene in mente cosa farne di lei.
- Ah, sì!-
Con un semplice gesto aggraziato evocò una sfera sorreggendola sulla punta delle dita e gliela porse.
- Tu vuoi questo mia preziosa, non è forse così? I tuoi sogni! Forse vuoi di nuovo la proposta che ti avevo fatto a suo tempo, te la ricordi? Non hai che da temermi, amarmi eccetera, eccetera… Mia cara, è trascorso così tanto tempo che quasi non la ricordo più. Ma questo non è un dono per una ragazza comune, lo vuoi?-
Sarah sentì la voce del re come se provenisse da distante, ovattata e dalle parole incomprensibili. Vide la sfera deformarsi, tutto intorno a lei si stava trasformando, prendendo una leggera colorazione rossastra. Sentì le gambe cedere e, improvvisamente, il buio.
Jareth la vide chiudere gli occhi, perdere l’equilibrio e svenire.
Lasciò cadere la sfera e la sorresse prima che potesse toccare il suolo e farsi davvero male.
Sarah ora giaceva inerme tra le sue braccia.
Le scostò con delicatezza una ciocca di capelli dal viso e la accarezzò piano, quasi per paura di poterla svegliare.
Le passò le dita guantate lungo la tempia e gli occhi chiusi, sfiorandole dolcemente il naso e le labbra leggermente dischiuse. Era morbida contro di lui, indifesa, la pelle bianca come alabastro; sembrava una statua di cera, fragile e bellissima.  
Il re si chinò e appoggiò le labbra su quelle di Sarah prima di sparire nella nebbia.
 
*** *** ***
 
Aeron guardava la spada che brandiva con orgoglio, ammaliato dalla lucentezza della lama così affilata e pronta per colpire.
Avrebbe staccato la testa di quel dannato seelie che aveva osato sfidare le leggi e la gravità dell’Underground. Si sarebbe vendicato della sua arroganza e della sua presunzione nell’avergli strappato di mano il trono di Goblin che spettava a lui.
Lanciò con forza la spada davanti a sé che si schiantò contro il portale di legno, squarciandolo come si fa con un animale selvatico durante una battuta di caccia.
Non riuscì a trattenere una risata sonora e sguaiata che gli deformava le labbra sottili.
Stava già assaporando la sua vittoria.
 
*** *** ***
 
Mi scuso enormemente con voi per il ritardo ma purtroppo vi avevo avvisate che questa storia sarebbe andata a rilento. Spero vivamente di non doverla piantare a metà…
Grazie come sempre a Fede e Paola; un dolce saluto invece a Carlotta ;)
J.

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Capitolo 9
*** You can't choose your family ***


Il re era solo, stremato dopo il lungo viaggio ed era seduto sul suo trono mentre guardava la casa di Wakefield ormai completamente in fiamme riflessa su una sfera di cristallo.
“Bastava così poco…” Pensò sconcertato, socchiudendo gli occhi di rabbia repressa alle immagini.
Il fumo acre e scuro usciva ovunque fino a che i vetri dell’abitazione scoppiarono in un orrendo frastuono, attenuato solamente dalla rotondità del globo, come una mosca irrequieta che è stata rinchiusa in un barattolo di vetro.
Terribili lingue di fuoco fuoriuscivano dalle finestre come draghi furiosi  in cerca di prede e, malgrado l’arrivo dei pompieri, il tetto crollò.
In quel momento Jareth sentì il cuore battere forte, il petto divenuto una cassa di risonanza, come se facesse di tutto per scoppiare, per assomigliare a quella dimora umana.
Paura…
l re di Goblin non aveva mai avuto paura, non così.
Lasciò che la sfera gli cadesse di mano, facendola scivolare lungo le dita sottili e guantate.
Il globo non toccò mai il suolo ma si dissolse nell’aria come cenere bianca, candida come la neve che era caduta a New York.
Si portò la mano tremante davanti al viso, guardando il segno di bruciatura lasciato dal cristallo sul suo guanto.
Quel fuoco era stato più potente di quanto si fosse aspettato e non aveva nulla di umano.
Lui lo sapeva, e non solo lui.
Chiuse la mano a pugno serrando la mascella, mentre una vena gli pulsava sul collo e la rabbia lo devastava dall’interno.
Una fitta di dolore alla tempia lo destò dai suoi pensieri: era un richiamo e sapeva molto bene di chi si trattava. Improvvisamente il re scomparve dalla sala del trono in una nuvola luminescente.

*** *** ***

Sarah giaceva su qualcosa di morbido, forse un letto; l’aria intorno a lei era calda, profumata, accogliente.
Le dolevano i muscoli e si sentiva come se le sue ossa fossero state spezzate, come se fosse stata investita in pieno da un tir. 
- Mamma…- Una voce familiare la raggiunse da lontano, troppo tenera per ignorarla.
Rose.
Sarah cercava di muoversi, di aprire gli occhi, ma ogni tentativo le risultava dolorosamente vano.
Si sentiva paralizzata, come una bambola di pezza gettata in un mucchio di stracci pronti da buttare al macero.
“Sono forse nella discarica, dimenticata?” Pensò.
Una mano grossa e rugosa si appoggiò sopra la sua, stringendola lievemente, mentre una voce conosciuta e bassa le borbottava nelle orecchie.
- Dormi Sarah, dormi. Presto tutto si sistemerà.-
Quel qualcuno aveva intuito che si era svegliata ma non aveva ancora la forza sufficiente per reagire agli stimoli. Hoggle.
E a lei non restò altro che abbandonarsi nuovamente in un sonno profondo senza sogni.

*** *** ***

L’ombra del rapace che atterrò al maniero di Etheria si specchiava sul cristallo lucente del portone d’ingresso.
Sentiva il dolore  delle ossa che si allungavano e i muscoli che si gonfiavano mentre la pelle assorbiva le piume come fossero liquide.
La testa dell’uccello si allargò, acquistando forma umana, mentre veniva coperta da lunghi capelli biondi scompigliati dal vento.
Il fulvo manto fu presto sostituito da un mantello nero come la pece e una corazza rigida proteggeva il petto del fae.
Non aveva bisogno di bussare o di farsi anticipare ai sommi imperatori.
Non aveva nemmeno bisogno di paggi o cavalieri che lo scortassero per i corridoi della Grande Dimora.
Lui era il re di Goblin.
Il rumore dei suoi passi, veloci e decisi, riecheggiava tra le mura alte e spoglie del castello.
Il suo volto era tirato, le labbra ridotte ad una fessura sottile, le mani guantate strette a pugno mentre la sua mente era un vortice di idee ed immagini: rivedeva lo sguardo dolce e tenero di Rose mentre chiedeva di sua madre; aveva ancora nelle narici il profumo di Sarah stesa inerme tra le sue braccia; sentiva ancora la preoccupazione nella voce della ragazza mentre chiedeva notizie di sua figlia e di suo marito.
Non avrebbe mai dimenticato le immagini del fuoco che divorava affamato la piccola casa di Wakefield; e poi l’aveva raggiunto quel richiamo che, anche volendo, non avrebbe mai potuto ignorare.
Arrivò nella grande sala del trono con il portone già spalancato. Lo stavano aspettando.
Jareth entrò nella stanza camminando lentamente, ignorando le tante ombre distorte del suo corpo che si specchiava sul pavimento di vetro.
La superficie era liscia, ma sotto il primo strato ce n’era un altro tortuoso ed irregolare; ricordava a chiunque entrasse in quella stanza di stare attenti perché nell’Underground nulla era mai ciò che sembrava.
Per un attimo rivide lo sguardo di Sarah, della sua Sarah.
Lei lo sapeva, l’aveva sperimentato sulla propria pelle, come del resto il re di Goblin.
Mentre avanzava teneva le braccia tese lungo i fianchi, i pugni stretti.
Fissava con sguardo serio e deciso il trono di cristallo vuoto e distante che si ergeva di fronte a lui, aspettandosi che primo o poi lui apparisse. Ma stranamente non accadde.
Era giunto ai piedi della pedana di cristallo continuando a fissare il posto dove avrebbe dovuto essere seduto il più grande dei suoi incubi: Oberon.
Il trono era lucente, maestoso, ricoperto di diamanti e zaffiri che disegnavano sullo schienale lo stemma di famiglia.
Al centro era incastonato un grande rubino, rosso come la passione, l’amore, il sangue.
Jareth conosceva molto bene quell’immagine, tanto da doverla portare al collo in ogni occasione. Gli era proibito separarsene.
Improvvisamente il re di Goblin si trovò sbattuto con forza contro una parete mentre una mano invisibile gli stringeva il collo, bloccandolo.
Jareth sapeva che sarebbe bastato un solo minimo movimento per ritrovarsi con le vertebre cervicali spezzate.
A poco a poco una mano guantata di bianco prese forma, ma Jareth ne poteva sentire solo la consistenza che gli stringeva il collo, incapace di abbassare lo sguardo. Un corpo possente e regale divenne lentamente visibile.
Oberon.
Fissava suo figlio con rabbia e disgusto, non accennando a lasciare la presa su di lui.  
- C... che bell’accoglienza, sire. Non mi aspettavo tanta ospitalità…-
Disse il re di Goblin con apparente difficoltà, accennando un lieve sorriso e ricambiando lo sguardo del padre con lo stesso odio.
Jareth aveva gli occhi spaiati come quelli di Oberon ed era l’unica cosa in comune con suo padre, il resto l’aveva preso dalla madre. Ma tanto bastava per disgustarlo.
Il sovrano di Etheria allentò la presa sul figlio, ma senza lasciarlo andare.
- Avrei dovuto staccarti la testa il giorno in cui quella maledetta mortale ha messo piede nel nostro regno. Ho ascoltato tua madre ed è stato l’errore più grande che io abbia mai potuto fare.-  
Oberon aveva sputato fuori quelle parole come fossero veleno, con un disprezzo tale che Jareth sentì una lieve scossa tracciargli la spina dorsale,.
- Anch’io ho commesso degli errori, maestà.- Replicò il re di Goblin. – Il primo tra tutti è stato quello di…-
-AAAHHH…-
Il sovrano del labirinto non riuscì a terminare la frase che il padre, con un urlo carico di disprezzo, lo scaraventò con forza a terra.
Il re di Etheria sapeva perfettamente cosa stava per dire suo figlio e la sua testardaggine lo irritava più di ogni altra cosa. Ma ciò che era peggio, era che tutta la loro dinastia era in pericolo.
La mortale era la sola e unica causa di tutto.
Il re di Goblin alzò un braccio evocando una sfera tra le dita guantate. Se Oberon voleva la guerra, allora lo avrebbe accontentato.
- Jareth no!-
Titania.
Entrambi gli uomini si voltarono verso di lei. Era sul portone d’ingresso della sala del trono, autorevole e bellissima nelle vesti regali argentate, sembrava una dea. Avanzava verso di loro, lentamente, senza distogliere lo sguardo da suo figlio.
- Madre…- Fu solo un sussurro quello che uscì dalle labbra del sovrano del labirinto.
Lei non lo udì, continuava a camminare.
Si fermò a pochi passi da suo marito, volgendo lo sguardo verso di lui mentre stringeva forte la gonna del lungo abito, affondando le dita nella stoffa.
- Non permetterò a nessuno di voi due di spargere sangue dentro questa dimora. Non lascerò che vi uccidiate a vicenda.- La voce di Titania era bassa ma decisa.
Era sempre stata una donna forte, tenace, a volte testarda, e non si era mai abbassata completamente al volere di suo marito.
Aveva dovuto accettare la sua condizione e diventare la sposa di Oberon; del resto nell’alta corte funzionava così, ma aveva sempre svolto il suo ruolo di moglie con dignità, indossando una corona troppo pesante con amore verso il suo popolo e soprattutto verso suo figlio. Amava Oberon? Lei lo temeva, lo rispettava, faceva quello che le veniva chiesto di fare ma non lo aveva mai amato e suo marito lo sapeva, ma non se ne curava.
Oberon strinse gli occhi a una fessura, sfidandola.
Odiava quando Titania si intrometteva nei suoi affari, soprattutto quando si trattava di Jareth.
- Sei tu la causa di tutto questo, donna!- L’ultima parola fu sputata con un tale disprezzo che Titania fu costretta a sbattere le palpebre più volte per trattenere le lacrime.
- Hai cresciuto nostro figlio come un codardo, facendolo diventare un buffone che ha messo in serio pericolo la dinastia Seelie e tutto il nostro regno, e questo a causa di quello stupido gioco che è il labirinto e di un capriccio. Avrei dovuto schiacciarti la testa dal primo giorno che ti sei ribellata a me. E tu…-Oberon si voltò verso Jareth, guardandolo con lo stesso disprezzo con cui aveva guardato sua moglie. –Hai sovvertito l’ordine del tempo contro ogni regola dell’Underground, avresti dovuto rafforzare il regno di Goblin e farlo diventare un impero, avresti dovuto essere pronto a prendere le redini dell’alta corte Seelie. Invece non hai fatto altro che perdere tempo con mostriciattoli verdi e galline. Avresti dovuto creare un etsai* ed invece ne è uscito uno stupido ed insignificante orso peloso. Aeron ci attaccherà presto e avrà l’appoggio non solo di tutta la dinastia Unseelie, ma anche del Gran Consiglio. Lui è figlio di Finvarra e se noi cediamo sarà lui a prendere il trono dell’Underground. Ora ti resta un solo modo per tenere la tua schifosa testa bionda attaccata al collo.-  Il re di Goblin alzò il mento in segno di sfida mentre Oberon terminava la frase.
- Devi sbarazzarti subito di quella stupida mortale e della sua piccola… bastarda!-
Jareth sgranò gli occhi, basito. Non si aspettava che suo padre potesse arrivare a tanto, a una richiesta simile. Etheria era in pericolo ma…
Volse lo sguardo verso sua madre ma il volto della donna rimase inespressivo.
Si rese subito conto che nessuno lo avrebbe aiutato e questa consapevolezza gli inondò il cuore di rabbia e delusione. Era definitivamente solo.  
Il sovrano del labirinto non rispose, scomparendo dalla sala del trono.

*** *** ***

- Maestà, abbiamo portato a termine la missione. Tutto è stato distrutto.-
Le labbra di Aareon si contorsero in un sorriso mentre con lo sguardo ammirava il panorama di Rohan, giocherellando con un calice di cristallo ormai vuoto tra le dita.
I confini del suo regno non sarebbero finiti lì, presto avrebbe conquistato Goblin e questa certezza lo metteva di buon umore. Si voltò verso i suoi sudditi, le sue due guardie più fidate.
- E la piccola? L’avete presa?-
I due si guardarono preoccupati prima di abbassare lo sguardo in segno di sottomissione e di sconfitta.
- No maestà. La casa era vuota e…-
- E…?-
- E la piccola sembra sia già nell’Underground, a Goblin.-
Jareth era stato astuto, e sicuramente più veloce di lui.
Un forte senso di rabbia si insinuò nelle vene del sovrano di Rohan. Strinse così forte il calice da farlo esplodere tra le mani.
Migliaia di schegge caddero sul pavimento e alcune gli tagliarono la pelle, insinuandosi dentro le carni facendole sanguinare.
Il liquido rosso colava lento lungo le sue dita e il polso prima di cadere a terra ma lui non sentiva dolore. L’unica sofferenza che provava era quella di essersi fatto scappare la bambina.
- La piccola non è sola, vostra maestà.-  
Disse uno dei due alzando lo sguardo verso il sovrano.
- Ah no? E chi c’è con lei?- Chiese con falsa indifferenza mentre si puliva la mano con un pezzo di seta nera.
- La ragazza umana, vostra maestà.-
Il sorriso tornò improvvisamente a solcare il volto del fae mentre lasciava cadere a terra il fazzoletto.
- Due piccioni con una fava, eh? Il nostro Jareth è stato davvero generoso questa volta. E guerra sia.-
Si avviò velocemente verso l’uscita, ignorando i due che lo seguivano con lo sguardo.

*** *** ***

* Donne, accetto qualunque commento sulla questione “etsai”. Intervenite pure anche se non siete d’accordo!

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Capitolo 10
*** I Custodi dell’Underground ***


My my, avete visto che non ho abbandonato la storia? Dopo le penose parentesi umoristiche riprendo a fare la persona seria. :-D
 
Hoggle se ne stava seduto sui gradini esterni del castello di Goblin.
Teneva lo sguardo basso mentre con una mano si sorreggeva la testa, il gomito appoggiato su un ginocchio. Grattava pensieroso un pezzo di coccio di terracotta sul bordo di un gradino, osservando le linee rosse ed irregolari che disegnava sul selciato.
Un senso di vuoto - e di colpa - gli attanagliava le viscere quando una figura familiare e irritante lo adombrò. Il proprietario di quell’improvvisa oscurità attirò la sua attenzione colpendolo alla testa con l’impugnatura di un frustino da equitazione. Hoggle sollevò riluttante lo sguardo verso il re, che nel frattempo si era chinato sopra di lui. Aveva appoggiato un piede vicino a quello minuto del suo suddito, come ennesima dimostrazione di potenza e superiorità.
Sono più alto e più forte di te” diceva quella vicinanza.

- Beh? Che ci fai qui fuori, Higgle? Si è svegliata? Scommetto che non ha fatto altro che insultarti.- Il tono del sovrano del labirinto era glaciale e guardava il nano con un ghigno di scherno, ma del resto perché stupirsi? Jareth non era mai stato gentile e generoso con nessuno (anche se voleva far credere il contrario) e non era mai uscita una parola dolce o di conforto dalle sue labbra, tanto meno per i sudditi.
Hoggle avrebbe voluto scagliargli contro il sasso che teneva in mano; avrebbe voluto picchiarlo fino a sentirlo rantolare ai suoi piedi; avrebbe voluto umiliarlo, costringerlo a scusarsi con lui, con tutti i suoi sudditi e soprattutto con Sarah per tutto il male che le aveva causato; avrebbe voluto… E invece era solo uno stupido nano, debole, vigliacco e impaurito dal suo re.
Abbassò lo sguardo con un sospiro, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi azzurri, e tornò a grattare il pezzo di coccio lungo il bordo del gradino.

- Va a controllate da te se si è svegliata, io ho chiuso con questa faccenda.- Lo stava forse sfidando? Erano lacrime quelle che Jareth aveva visto riflesse nei suoi occhi? Davvero strano, non avrebbe mai creduto che il nano potesse piangere.
Nulla è mai ciò che sembra in questo posto.
Era sempre stata una regola fondamentale per sopravvivere nel suo regno e per la prima volta si rese conto di averla davvero sottovalutata, lui, che era il re. Sentì questa consapevolezza che si faceva strada lungo i muscoli delle gambe, risaliva lenta lungo la spina dorsale fino a raggiungerne la testa per poi stordirlo. Dovette abbassare la gamba, drizzare la schiena e respirare profondamente per non perdere l’equilibrio.
Ci fu un lungo silenzio, disturbato solo dal profondo respirare del re e dallo sfregamento del sasso di Hoggle sul gradino.

- Alcuni Ly Erg* hanno circondato le mura del labirinto e un gruppo numeroso di Lunantisidhe** è in marcia per raggiungerli.- Jareth instillò in ciascuna parola una calma quasi palpabile, inusuale per uno come lui. Hoggle sollevò preoccupato lo sguardo verso il re, lasciando cadere il sasso che cominciò a rotolare lungo la gradinata. Non lo stava rimproverando per la risposta acida che gli aveva dato, non lo stava prendendo in giro per le sue verruche e non lo stava ricattando. Si stava semplicemente confidando con lui, come aveva sempre fatto la sua amica Sarah. Per la prima volta, per quanto quell’atteggiamento potesse risultare obliquo, Jareth lo stava considerando un suo pari. Pareva davvero stanco, le labbra ridotte a una linea sottile che sembrava quasi una cicatrice, gli occhi spaiati che riflettevano una preoccupazione che non aveva nulla di umano.
- I… i Custodi dell’Underground***!- Hoggle si sollevò in piedi senza distogliere lo sguardo dal re. – Aeron e il suo esercito sono già arrivati? Come hanno saputo che Sarah e Rose sono qui? Vogliono loro non è vero? Si stanno preparando alla guerra…- Il re gli voltò le spalle e cominciò a ridere. Il suono che emetteva non era per nulla ironico ma bensì isterico e a Hoggle sembrava il rumore fastidioso e pungente di una lama d’acciaio che graffiava contro una lastra di vetro. Si puntellò le mani sui fianchi, nervoso. Il labirinto stava per essere attaccato e lui rideva?
- Ti fa così ridere l’idea di vedere le preziose teste di Sarah e della piccola Rose infilzate a dei pali mentre le loro carcasse vengono divorate dai Ly Erg? Magari al centro ci potrebbe anche essere la mia di testa, oppure la tua testaccia bionda…- La paura di Hoggle era improvvisamente sparita e il re si voltò a fronteggiare tale insolenza. I suoi occhi riflettevano il fuoco azzurro dell’immortalità****. Si avvicinò al nano con passo lento e deciso, come un ghepardo in procinto di attaccare la sua preda. Avvicinò il viso a quello del suo suddito e i loro nasi quasi si sfiorarono.
- Come osi dubitare della mia potenza, stupida verruca? Nessuno oserà mai alzare un solo dito contro di loro. Sono stato abbastanza chiaro?- Hoggle deglutì a fatica, il fiato caldo del re gli aveva seccato le labbra.
- La… la corte di Etheria ci aiuterà, non è vero?- Osò chiedere il nano. Jareth indietreggiò di qualche passo, studiando attentamente la reazione del suo suddito.
- No Gorgoglio, nessun Seelie ci aiuterà, questa volta dovremo cavarcela da soli.- Hoggle sgranò gli occhi, allibito.
- Come può essere che Oberon abbia rifiutato di aiutarti? Tu sei suo figlio, il suo unico figlio e Rose è… -
- Oberon è stato molto chiaro. Per evitare la guerra e la sua furia dovrò sbarazzarmi di Sarah e della bambina cosa che io, ovviamente, non farò. - Jareth sorrise, schiaffeggiando senza forza il frustino sul selciato e facendo sollevare una nuvoletta di polvere proprio di fronte al povero suddito.- Sto nuovamente e deliberatamente violando un ennesimo ordine del sommo re di Etheria ma non è questo che mi preoccupa.- Il re preoccupato? Era la prima volta che Hoggle lo sentiva ammettere una debolezza, questo significava che la faccenda era davvero molto seria. Il nano tossì e si passò le dita sugli occhi che lacrimarono per un breve istante, prima di mettere le mani in tasca e fingere indifferenza.
- E… se non ti preoccupa la furia di Oberon, cosa ti preoccupa?- 
- La furia di Aeron, oltre che quella di Sarah.- Per un momento Hoggle poté leggere negli occhi del re un principio di paura. Sapeva perfettamente che Jareth non temeva per se stesso ed era sincero, forse per la prima volta nella sua vita. Il nano fissò il suo sovrano dritto negli occhi, sincerità chiamava sincerità.
“Io sono un vigliacco e Jareth mi spaventa”.
“Io ti perdono…”

- E allora affronta la tua preoccupazione, va da lei e dille la verità, e prega gli dei che ti possa perdonare.- 

*** *** ***
 
Tutto intorno a lei era caldo e buio. Si rese conto di avere ancora gli occhi chiusi ma il lungo incubo che quella notte l’aveva accompagnata l’aveva anche impigrita. Si rannicchiò sotto le coperte sorridendo, crogiolandosi nelle lenzuola morbide e profumate che sapevano di casa.

- So che ti sei svegliata e ti conviene alzarti, Rose è di là che ti aspetta.- La ragazza si coprì completamente fino alla testa. Affondò il viso nei cuscini mentre un mugolio di protesta usciva da sotto le coperte.
- Dai Jack, è ancora presto e Rose sicuramente starà ancora dormendo.-
Jack”.
Il re di Goblin fu improvvisamente assalito da una rabbia inaudita. Socchiuse gli occhi e strinse forte i pugni lungo i fianchi. Avrebbe dovuto sbarazzarsi del mortale molto prima, prima ancora che Rose nascesse, prima che la ragazza potesse sposarlo. E invece aveva sempre aspettato e sperato inconsciamente che Sarah, la sua Sarah, potesse in qualche modo accorgersi di lui.
La ragazza non aveva mai parlato a Jack del labirinto, lasciando quei ricordi chiusi a chiave nella sua mente, dimenticati. Gli unici contatti che aveva avuto fino ad allora con il Sottosuolo erano stati Hoggle, Ludo e Sir Dydimus ma con il passare degli anni erano diventati sempre meno intensi e sporadici. Per Sarah, lui era solo il malvagio re di Goblin, lo spietato sovrano di un mondo bizzarro, un nemico scomodo da combattere e da sconfiggere. Eppure le avrebbe concesso tutto, i suoi sogni, la felicità, l’immortalità, la perfezione… Ma non tutto era perduto. Jack era morto e lei sarebbe stata la sua regina, anche contro la sua volontà. 
Con questi pensieri, il re di Goblin scomparve dalla stanza.
 
Forse suo marito aveva ragione, non poteva starsene a letto all’infinito e Rose sicuramente doveva essere aiutata a vestirsi. Ma… che giorno era? Le sembrava di aver dormito per settimane, forse mesi e lo stordimento che provava la turbava non poco.
Abbassò le coperte, riluttane, scoprendo la capigliatura corvina ancora in parte sommersa dai cuscini. Aprì gli occhi lentamente mentre il battito del suo cuore accelerava.
Non può essere…
Richiuse gli occhi ermeticamente, sperando di essere ancora immersa nel suo sogno.
Questo è solo un maledetto incubo, ora aprirò gli occhi e tutto sarà come prima…”.
Con uno scatto veloce si tolse le coperte, si mise in posizione seduta e aprì gli occhi.
Il respiro le morì in gola.
Si guardò intorno, spaesata.
L’arredamento era lo stesso della casa di Wakefield, il letto rotondo dove giaceva, la cabina armadio dalle ante scorrevoli, l’originale comò bombato e la specchiera in foglia d’oro e d’argento di stile ‘800 che tanto piacevano a suo marito, i tendaggi in stile country ricchi di fiori e colori accesi. 
Non era però la sua stanza, o comunque non del tutto.
I muri che la circondavano erano costruiti da tanti pezzi di pietra calcarea e nulla avevano a che fare con lo spatolato chiaro di casa sua. Anche il pavimento era diverso. Il legno della casa di Wakefield era più chiaro e dai listoni più piccoli.
Allora non era un sogno e Jack…”.
Non c’era tempo per piangere. Doveva trovare Rose e sperare che stesse bene, per poi scappare da quel luogo al più presto.
Scese dal letto notando che il parquet sotto i suoi piedi era piacevolmente caldo, come se ci fosse il riscaldamento a pavimento. Le gambe le tremavano dall’agitazione e fu davvero un’impresa raggiungere l’armadio. Appoggiò la mano sulla maniglia fredda e fece un respiro profondo. Cosa avrebbe trovato dentro l’armadio? E se fosse un ennesimo trucco del re di Goblin per spaventarla? L’immagine di Rose sanguinante e appesa ai ganci di un attaccapanni la fece impallidire e chiudere gli occhi.
Con tutto il coraggio di cui era capace, fece scorrere piano un’anta e aprì lentamente una palpebra, riluttante.
Riuscì a riprendere un respiro regolare solo quando vide tutti i suoi abiti, i suoi gioielli, i suoi oggetti personali. Tutto era sistemato alla perfezione secondo il suo ordine, non mancava nulla. Ma cosa ci faceva tutta la sua roba a Goblin?
Non c’era tempo per scoprirlo. Si vestì in fretta indossando un paio di jeans e una camicia, e uscì dalla stanza.
Il corridoio era deserto e illuminato da fiaccole appese alle pareti dove il fumo aveva ormai annerito il soffitto. Grosse gocce di cera colavano lente lungo i manici di legno delle torce e cadevano a terra. Quando la cera si raffreddava, creava sul pavimento delle strane figure biancastre, simili alle stalagmiti calcaree che si vedono nelle grotte.
Si strinse le braccia intorno al corpo più per farsi coraggio che per il freddo mente la raggiungeva una risata innocente e familiare.
Per un istante ricordò il pianto di Toby provenire dal castello mentre lei cercava di raggiungerlo e sapeva, in cuor suo, che Jareth la stava osservando, facendola raggiungere dalla voce di Rose per renderla più vulnerabile, farla impazzire, e poi sconfiggerla. Non gli avrebbe ridato la rivincita, non giocando con ciò che aveva di più caro, non così.
Ora tutto questo non aveva nulla a che fare con i suoi desideri egoistici di ragazzina o con suo fratello, e la voce che sentiva era quella di sua figlia, di Rose. Jack credeva che fosse tutto un gioco e aveva pagato cara la sua incredulità.
Si morse le labbra per trattenere le lacrime, doveva concentrarsi per ritrovare la sua bambina.
Da che parte andare? Il corridoio sembrava tutto uguale e non c’erano curve o altre porte, sembrava un…
Labirinto.
Girò a destra e cominciò a correre tenendo una mano contro il muro con la speranza di trovare un accesso che la portasse da qualche altra parte. Quando il suo braccio passava sotto le torce, sentiva le gocce calde di cera che gli cadevano sulla camicia ma lei non se ne curava.
Correva Sarah, correva come se fosse al limite di quelle fatidiche tredici ore che non le erano mai state concesse.
Si fermò esausta, appoggiando le mani alle ginocchia mentre il fiato caldo le usciva dalla bocca e delle folte ciocche di capelli le nascondevano il volto.

- Ti sei già arresa, Sarah?- Chiese il re, comparso improvvisamente poco distante dalla donna. La ragazza alzò lo sguardo di fronte a lei. Aveva gli occhi intrisi di odio mentre un sorriso sbieco le deformava le labbra. Il re, suo malgrado, la trovò più seducente che mai.
- Va a farti fottere!- Il tono di Sarah era basso e minaccioso. Dal suo volto era scomparso ogni segno di paura e il mare verde dei suoi occhi rifletteva tutto il suo coraggio e la voglia di combattere.
Jareth si avvicinò a lei lentamente e Sarah notò che la sua avanzata era pericolosamente silenziosa, come se il re stesse camminando su un pavimento di gommapiuma piuttosto che sulla pietra.
Malgrado il panico, la ragazza non indietreggiò ma rimase ferma e decisa a fronteggiarlo.
Il re si fermò a un soffio dal petto della donna e Sarah sentì il suo profumo così buono, speziato e familiare. Il profumo di Jack. Improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime e dovette sbattere le palpebre più volte per recuperare la vista improvvisamente annebbiata.
Il fae le sollevò il mento con una mano guantata, le labbra a un soffio da quelle della donna, occhi negli occhi.

- Non sfidarmi bambina, o potresti pentirtene.- Le parole del sovrano erano un sussurro minaccioso.
- Voglio solo riprendere Rose. Ridammi mia figlia e ti prometto che sparirò per sempre dal tuo mondo, non contatterò più nessuno dei tuoi sudditi e non sentirai più parlare di me. O ti giuro che…-
- Ssshhh… pensa bene a ciò che dici Sarah, perché le parole qui hanno un grande potere e tu lo sai molto bene.- Il re le aveva appoggiato delicatamente un dito sulle labbra e la donna sentì un forte odore di cuoio entrarle nelle narici.
- Non è un baratto, maestà. Voglio riprendere ciò che mi spetta e andarmene.- Jareth sapeva che era vero. Se le avesse lasciato sua figlia lei se ne sarebbe andata e non l’avrebbe più rivista.
Il re sorrise e lasciò scorrere le sue dita guantate lungo la guancia di Sarah, una carezza lieve lungo la gola per poi proseguire sensuale tra i seni. Un bottone della camicia della ragazza si aprì e in quel momento lei cominciò ad indietreggiare lentamente, fino a colpire la parete.

- Hai paura del principe azzurro mia piccola Sarah? Sei ancora così innocente…- Il re le era ancora vicino, troppo vicino. Le appoggio le mani sui fianchi e la attirò verso di se mentre affondava il viso sul suo collo, respirando il suo profumo.
Sarah cercò di allontanarlo da sè ma le sembrava di spingere contro un muro.

- Non sono più piccola e soprattutto non sono tua.- Lo sentì ridere contro la sua spalla.
- Ah no? Lo vedremo…- Sarah sentì la stretta del re contro la sua schiena e le sembrò che le costole e la spina dorsale si contorcessero come carta stagnola. Le gambe le cedettero e cadde al suolo mentre tutto intorno a lei cambiava colore e l’aria si faceva più calda e più asciutta.
- Mamma…- Sarah alzò improvvisamente lo sguardo.
- Rose!-  

*** *** *** 


- Sire, i Ly Erg hanno circondato il regno di Goblin e molti dei nostri sono già alle postazioni d’attacco. Come faremo a superare le mura del labirinto? Sono magiche e non sarà facile demolirle.- Aeron sorrise, distogliendo gli occhi dalla foto che i suoi sudditi avevano recuperato dal sopramondo, nella casa della mortale.
- Stupido Thauron, non demoliremo le mura della città ma ci faremo aprire le porte come fossimo dei comuni visitatori.- Il suo suddito lo guardava perplesso, senza capire.
- Useremo Elbereth*****, lei ci procurerà un ostaggio molto, molto importante per il re di Goblin, qualcuno che ci potrà rivelare molte cose su Jareth e sul labirinto. Sarà un gioco da ragazzi…- Thauron si inchinò e uscì.
Rohan avrebbe presto allargato i suoi confini e finalmente si sarebbe sbarazzato di Jareth.
Sollevò la foto che teneva ancora tra le mani. Raffigurava una donna dai capelli scuri con un sorriso smagliante e gli occhi ridenti. Di fianco a lei c’era un uomo dai capelli corti, lo sguardo innamorato e rivolto verso la donna e, al centro, una bambina dai lineamenti marcati che sorrideva, mentre piccoli riccioli biondi le cadevano disordinati sulla fronte.
La mortale che aveva superato il labirinto non sembrava poi così male e i suoi occhi riflettevano il potere del labirinto. Forse avrebbe potuto divertirsi un po’ con lei prima di…
Con un colpo secco strappò a metà l’immagine lasciando cadere a terra la figura di Jack e della piccola Rose.
- Sarai mia!-
  
       
 
 
 
* Figure solitarie che non hanno né regno né regnante. La loro presenza è indice di guerra e vengono spesso rappresentati con una mano rossa intrisa del sangue di coloro che hanno ucciso. Sono spesso preludio di morte e in questo contesto li possiamo definire dei “soldati” che appoggiano i Custodi guidati da Aeron.
 
** Sono i guardiani del pruno selvatico ma quello che interessa a noi è che sono calvi, piccoli, brutti e odiano a morte gli esseri umani. In qualità di “guardiani”, e quindi custodi, sono anch’essi sudditi di Aeron.
 
*** i Custodi dell’Underground non esistono nella mitologia celtica ed è una mia pura invenzione.  Anch’essi sono fae come Jareth ma non sono sidhe. Gli unici sidhe come il re di Goblin sono Aeron, figlio di Finvarra, e i Lunantisidhe.
 
**** L’azzurro, per i cinesi, è il colore dell’immortalità e tale concetto si sposa alla perfezione con la mia storia.
 
***** letteralmente significa “regina delle stelle” 
    

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Capitolo 11
*** Elbereth ***


Per evitare la guerra dovrò sbarazzarmi di Sarah e della bambina”.
Hoggle emise un leggero sospiro mentre camminava triste lungo il sentiero che costeggiava le mura perimetrali del labirinto. Le parole del re gli riecheggiavano nella mente provocandogli un orrendo senso di vuoto e di impotenza. Teneva la testa bassa e le mani incrociate dietro la schiena, fissando le piccole nuvole di polvere che si sollevavano da terra ad ogni passo.
Come poteva Oberon essere così crudele? Che diritto aveva, un padre, di far soffrire il proprio figlio? Ma l’Underground non era un mondo umano e il sottosuolo aveva le sue leggi, le sue priorità, le sue esigenze, che nulla avevano a che vedere con i sentimenti a cui Sarah li aveva abituati. Jareth, dopotutto, ne era l’esempio.
- Ciao Hoggle, da quanto tempo…-
Il nano si fermò all’istante alzando lo sguardo davanti a sé. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille altre,  nonostante fossero passati più di quattrocento anni. Tanto tempo era trascorso dall’ultima volta, ma non aveva mai dimenticato.
Si guardò intorno smarrito, alla ricerca della figura da cui proveniva quella voce tanto suadente quanto pericolosa ma non vide nulla. Tuttavia sapeva di non averla solo immaginata.
- Dove sei Elbereth? Hai troppa paura per mostrarti? Jareth avrà sicuramente già scoperto che sei qui e arriverà da un momento all’altro.-
Intorno a lui risuonò una risata sardonica.
- Mio caro, io sono la regina del firmamento. Che cosa sono le stelle se non desideri, sogni, aspettative e… incubi che vagano nella mente degli umani e degli abitanti dell’Underground? Sono nella tua mente mio prezioso Hoggle e nessuno mi può vedere. Eccetto te ovviamente…- Il nano si volse di scatto, sentendo l’improvvisa presenza di elbereth dietro di lui. La fae si guardava le mani con finta innocenza; se non fosse stato che la conosceva fin troppo bene, Hoggle avrebbe giurato che di lui non gliene importasse nulla.
Lo smalto blu notte che ricopriva le lunghe unghie contrastava palesemente con il turchese della veste di taffetà e organza. Elbereth era sempre stata la più potente e la più bella di tutte le fae e nemmeno il re di Goblin era riuscito a resisterle. Ma erano trascorsi così tanti anni…
- Le stelle sono entità positive, sono i sogni degli umani che si rispecchiano nel firmamento. Non hanno nulla di negativo e tu…- Hoggle si era interrotto, incapace di proseguire oltre.
- Coraggio nano, termina pure il tuo pensiero! Non dirmi che hai paura di me…- La fae lo guardava di sottecchi, mentre si toglieva con noncuranza la cintura di raso che le cingeva la vita.
 – O forse hai paura di quello che potrebbe farti il tuo re? Tu gli sei fedele, non è così?- La donna gli si avvicinava con passo lento ma deciso, senza distogliere gli occhi purpurei da quelli cerulei e spaventati del suddito di Goblin mentre sorreggeva la cintura come fosse stata una frusta.
Hoggle non rispose, non riusciva nemmeno a trovare la forza per indietreggiare.
La fae si chinò su di lui, gli occhi ridotti a due fessure. – Malgrado la tua fedeltà, il tuo re ha mentito e ha ucciso parte del tuo stesso cuore, oseresti negarlo?-
- …E tu sei un demone!- La voce di Hoggle era bassa e incerta, gli tremavano le ginocchia e gli era costato uno sforzo immane terminare la frase.
La fae si alzò ridendo in maniera sguaiata e grottesca, tanto che gli angoli delle labbra si erano tirati in un modo così contorto che nulla avevano di umano.
“Ma lei non è umana, non ha niente di Sarah”.
- Cerchi in me qualcosa della tua splendida “amica”?- Il modo in cui Elbereth pronunciò l’ultima parola ricordò a Hoggle il re di Goblin. Il nano sgranò gli occhi dallo stupore, Elbereth si era già insinuata nella sua mente.
- Sì, stupida e insignificante verruca. Leggo nei tuoi pensieri perché è in mio potere introdurmi nelle menti altrui. Altrimenti come credi possa gestire i sogni?- Guardava Hoggle con disprezzo, come se fosse un orrendo insetto da schiacciare, ma il tono della sua voce si fece improvvisamente calmo e seducente, in palese contrasto con il suo sguardo. – Odi Jareth molto più di me e non hai mai avuto il coraggio di gridarlo. Il tuo sovrano è affascinante e potente, e ti ha privato del tuo desiderio più intimo, ti ha portato via ciò a cui tenevi di più.-
Era vero, Jareth era tutto quello che lui non sarebbe mai stato.
Sarah…”. Un amore impossibile, un dolore attenuato solo da una semplice amicizia.
Oh, Sarah gli aveva insegnato che l’amicizia è uno dei sentimenti più importanti della vita e Hoggle si era sempre sentito profondamente amico di Ludo e di Sir Dydimus.
Ma per la donna umana era del tutto diverso, provava un sentimento ben più grande, profondo e pericoloso. Un sentimento che non sarebbe mai stato ricambiato e se ne era reso conto il giorno in cui la ragazza si era sposata, lasciando al suo migliore amico un deludente e definitivo senso di inferiorità e sconfitta. Gli aveva fatto male ma lei, in fin dei conti, non conosceva i suoi sentimenti, e lui si era sempre ben riguardato dal rivelarli.
- Sarah mi vuole bene e non mi farebbe mai del male! Io sono suo amico, non cercare di convincermi del contrario!-
Hoggle sbatté con forza un piede a terra. Stringeva i pugni e si sforzava per mantenere la calma, per non urlare tutta la sua rabbia e la sua disperazione, l’amarezza di essere stato scoperto.
Elbereth sorrise allungando verso il nano il braccio che reggeva la cintura.
La stoffa gli solleticava il naso e Hoggle dovette strofinarsi un dito sotto le narici per impedirsi di starnutire. Con la mano liberà afferrò un lembo della cintura e lo strattonò con forza, sfilandola dalle mani della fae.
Il nano sentì la stoffa divenire viscida, consistente, animata di vita propria. Quando abbassò lo sguardo, si accorse di tenere tra le mani un serpente.
Lo lasciò cadere a terra di scatto, indietreggiando ed inciampando sul terreno sabbioso davanti allo sguardo divertito di Elbereth. Il serpente strisciò velocemente verso la sua padrona, risalendo lungo le gambe per poi aggrovigliarsi attorno alla sua vita e ritornare morbida stoffa.
La fae rise a squarciagola, un suono assordante che sembrava uscire direttamente dalle caverne dell'inferno.
- Hoggle, Hoggle, Hoggle… tu non devi fare del male a Sarah, ma al re. Non è forse lui la causa della tua infelicità? Gli sei sempre stato leale e cos’hai ottenuto? Nulla! Guardati, sei minuto, brutto, insignificante e Jareth non farà mai nulla per te. Il re di Goblin conosce i sentimenti che hai sempre provato per l’umana e per lui sei solo un pericolo. Ti distruggerebbe se potesse.-
Anche questo era vero, Jareth era sempre stato geloso fin dall’inizio, non l'aveva dimenticato.
“- Semmai lei ti baciasse, io ti trasformerò in un principe.-” Gli aveva detto deciso.
“- Davvero?-” Hoggle ci aveva sperato, anche se solo per un istante.
“- Principe di Fetorlandia…-” Jareth continuò a schernirlo mentre lui si preparava a tradire Sarah.
Sarah, sempre e solo Sarah. Quando l’aveva salvata dal golem alle porte della città di Goblin non gli importava se l’avesse perdonato o meno per il suo tradimento, l’importante era saperla viva.
Ora Hoggle si trovata più o meno nella stessa situazione: salvare la ragazza da Aeron ed Elbereth e non aveva importanza se fosse stato perdonato per quel nuovo tradimento. Lei avrebbe continuato a vivere.
- E… se ti aiutassi, cosa avrei in cambio?- Chiese il nano a testa bassa, tenendo le mani dietro la schiena mentre con un piede tracciava incerto delle linee irregolari sul terreno.
La fae gli si avvicinò con passo felpato, si chinò su di lui e gli sollevò il mento con un unghia affilata. Lo sguardo della sidhe era penetrante e deciso. Il nano sentì una scossa di terrore corrergli lungo la spina dorsale.
- Diventerai importante piccolo e stupido gnomo e... sarai rispettato.-
Gli aveva letto nel pensiero ma le mancava ancora un tassello.
- Non mi basta, voglio dell’altro.- La voce gli uscì più sicura e decisa di quanto in realtà sembrasse.
La fae sollevò un angolo delle labbra in un falso ghigno di vittoria. Come si permetteva quell’orrendo insetto di dettare le condizioni? Ma non poteva sbarazzarsi di lui, non subito.
- E… cos’altro vorresti?-
- Voglio Sarah e Rose, vive!-
 
*** *** ***
 
- MAMMAAAA!-
- Rose, amore mio…-
La bambina le corse incontro abbracciandola forte. Sarah strinse a sé la figlia ringraziando il cielo di trovarla ancora viva e, a quanto sembrava, in ottima salute.
La scostò delicatamente per guardarla in volto. Non aveva alcun segno di tortura e sembrava stranamente spensierata come se quello strano posto non la turbasse.
Tutto sommato è  meglio così”.
Sarah si guardò intorno cercando di capire dove fossero. Si trovavano in una stanza molto spaziosa e lussuosa. I mobili erano gli stessi che arredavano la stanza di Rose nella loro casa di Wakefield. Non erano una copia, erano proprio quelli e la donna se ne rese conto quando il suo sguardo si soffermò sul segno rosso di pennarello indelebile che attraversava un cassetto del fasciatoio.
Sarah aveva duramente rimproverato Rose, ma alla fine Jack aveva preso le sue difese, giustificandola e promettendo che, non appena possibile, avrebbe provveduto a riparare il danno della figlia. Purtroppo non ne avrebbe mai più avuto la possibilità… 
Ma cosa ci facevano i mobili, i giochi e i vestiti di Rose nell’Underground? Chi aveva spostato al castello di Goblin tutta quella roba? A prima vista sembrava non mancasse nulla.
C’era tutto, dal cavallino a dondolo al grande orso polare sopra il letto, dal poster di Sailor Moon all’appendi abiti a forma di albero i cui rami sorreggevano la piccola giacca rossa di Rose. Tutto era rigorosamente ordinato e pulito e Sarah si sarebbe quasi sentita a casa, nel Tenessee, se non fosse stato per i muri che la circondavano.
Le pareti della stanza erano di roccia, fredde e sconosciute.
- Rose, dobbiamo andarcene da qui al più presto. Non posso spiegarti adesso il perché ma dobbiamo andarcene, ok?-
Rose scosse la testa, i codini biondi le frustarono la faccia in modo buffo.
- Nooooooo, io resto qua, aspetto il mio papà! Devo farti vedere una bella cosa, vieni!-
La donna avrebbe voluto dirle che il suo papà non sarebbe mai più tornato, che nulla sarebbe tornato come prima... ma Rose non avrebbe capito. Non era ancora il momento giusto.
Sarah si alzò incerta trattenendo a stento le lacrime mentre la bambina le teneva la mano e le faceva strada. Raggiunsero una parete apparentemente spoglia, insignificante, ma non appena Rose sfiorò la roccia con la mano comparve una porta. La bimba la aprì con la manina libera mentre con l’altra stringeva ancora la mano della madre, e solo in quel momento Sarah si accorse che stava trattenendo il respiro.
- Rose, Rose fermati un momento. Come facevi a sapere che qui c’era una porta?-
La bimba la guardò per un breve istante perplessa, poi scosse le spalle.
- Perchè sì!-
Che razza di risposta era? Ma la piccola non aveva ancora quattro anni e che altro poteva aspettarsi?
- Rose ascoltami, non possiamo entrare lì dentro, potrebbe essere pericoloso!-
Ma lei non l’ascoltò, lasciò la mano della madre ed entrò.
- Rose fermati…-
Quando Sarah varcò la soglia per inseguire la figlia rimase senza fiato. Si trattava di una grotta completamente illuminata a giorno da piccole sfere di cristallo. Una parete era arredata da una cucina in legno di abete bianco profumato, al centro c’erano un tavolino con quattro sedie e dall’altra parte un lettino dove giaceva una bambola, il tutto a misura di bambino.
Gli elettrodomestici e le posate che giacevano sul piano della piccola cucina erano tutti rigorosamente in legno e dagli spigoli smussati. Rose non avrebbe potuto farsi male nemmeno se avesse voluto. Quel luogo era decisamente un paradiso per una bambina.
Sarah era stata quasi sicura che il re di Goblin avesse fatto del male alla bambina ma si era sbagliata. Qual’era allora l’obiettivo del sovrano? Qual’era il motivo del suo odio nei confronti di Jack e della generosità nei confronti della bambina? Nemmeno lei aveva subito violenza, o comunque non fisica. La piccola la destò dai suoi pensieri.
- Mamma, hai visto che bella casa? Me l’ha regalata papà!-
Cosa? Aveva sentito bene?
Sarah volse lo sguardo verso la figlia, sempre più allarmata.
- Cos’hai detto? Quando hai visto papà?-
- Prima! Abbiamo addormentato Margareth che piangeva sempre.- Disse indicando con un ditino la bambola che giaceva nel piccolo letto.
Sarah si chinò di fianco alla figlia mentre con una mano le scostava una ciocca di capelli biondi uscita dai codini e la riportava dietro l’orecchio. Si umettò le labbra sentendo la bocca improvvisamente secca mentre strane idee le invadevano la mente.
- Piccola mia ascolta, papà è dovuto partire per un lungo viaggio di lavoro e… voglio dire… Sei davvero sicura che si trattasse di papà?-
Sarah attese qualche istante una risposta che non arrivò mai. All’improvviso il pavimento cominciò a tremare e piccoli pezzi di roccia si staccarono dal soffitto. Rose era terrorizzata e cominciò a piangere.
- Mamma ho paura…-
- Rose dobbiamo uscire di qui, sbrighiamoci.-
Sarah prese in braccio la bambina ed uscì di corsa da quel buco pericolante maledicendosi per essersi fidata, anche solo per un momento, della magnanimità del re nei confronti di Rose.  
Non appena uscirono dalla grotta per ritrovarsi nella stanza della piccola, la porta di ingresso si spalancò con violenza.
La bambina si liberò dalle braccia della madre per precipitarsi con decisione verso le braccia della figura sconosciuta che entrava dalla porta.
- Papààààà…-
 
*** *** ***

 
Finalmente, dopo 1000 peripezie, sono tornata!!! ^_^ attendo i vostri comments ^_^
  

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Capitolo 12
*** Segreti svelati ***


Il nano aveva ceduto, aprendo le porte del dedalo e rimanendo bloccato dalla vista che gli si era presentata davanti*.
Un numeroso esercito costituito da Ly Erg e Lunantisidhe attendeva gli ordini del loro re, Aeron, ordinatamente e pericolosamente schierati.
Solo in quel momento si rese conto del terribile errore commesso.

*** *** ***

Il sovrano del labirinto era seduto sul suo trono, ignorando la confusione dei suoi sudditi. Avrebbe desiderato restare solo, scagliare qualche pollo o qualche goblin fuori dalla finestra come di consueto ma sarebbe stato pericoloso.
Nessuno doveva uscire dal castello per nessuna ragione.
Aveva evocato una sfera e per la prima volta non guardava il riflesso di Rose, o Sarah, o qualche altro suddito o luogo del suo regno, ma osservava il riflesso di se stesso.
Osservava i suoi occhi spaiati, i lineamenti marcati del suo volto così simile a quello umano e ricordava…
… la sua mano sfiorargli delicatamente gli occhi chiusi ed era così vicina che ne sentiva il dolce respiro sul viso. L’aveva sentita chinasi, appoggiare le labbra sulle sue mentre scorreva le dita tra i suoi corti capelli biondi. Non voleva aprire gli occhi per paura di infrangere quel sogno ma sapeva che lei era lì, tra le sue braccia e lo desiderava.
I sentimenti e i sogni dei fae non sono poi così diversi da quelli degli umani…
- I tuoi occhi…-
Un brivido gli aveva attraversato la schiena.
- Cos’hanno i miei occhi?- Le aveva chiesto mentre li apriva, sforzandosi di non far trapelare il panico che provava.   
- Non so… Mi ricordano qualcuno...-
L’aveva stesa sul letto capovolgendo la situazione. Ora era lui che incombeva sopra di lei e le accarezzava una guancia.
- Un tuo ex forse?-
La vide sorridere mentre le si illuminavano gli occhi.
- No, non era un mio ex. Quando avevo quindici anni desiderai che Toby fosse rapito da… No, non ha importanza, solo stupidi sogni di una ragazzina. Lascia perdere.-
- Tutto ciò che ti riguarda per me ha importanza.-
Ed era la verità.
Si chinò a baciarle il collo per poi scendere delicatamente lungo il petto, respirando i suoi sussulti di piacere, facendole dimenticare quei pensieri pericolosi.
- Jack!-
Si fermò all’istante. Solo gli dei sapevano quanto odiasse quel nome ma si costrinse ad alzare lo sguardo su quello di lei. La ragazza aveva gli occhi lucidi e tratteneva le lacrime, ma non era triste.
- Ti amo.-
In quel momento non era stato in grado di dirle che anche lui l’amava, che lei era tutto quello che avesse mai desiderato. Nulla aveva più importanza, solo lei.
Si chinò a baciarla mentre le sue braccia gli cingevano il collo per poi perdersi nuovamente l’uno nell’altra.


Ricordi. I fae avevano il potere di ricordare ogni istante della loro lunga vita, anche i momenti più tristi, come quando gli era stato imposto di…
… Non sposerai mai un’umana! Gli umani sono esseri inferiori, è la carne con la quale alcuni di noi si alimentano, i loro sogni sono l’essenza di tutta l’Underground e quindi hanno il valore di schiavi. Non ti unirai ad una schiava o farò in modo di distruggerla. Sono stato chiaro?-
Oberon sputò quelle parole con una crudeltà che nemmeno il re di Goblin era mai stato in grado di avere. Titania era alla sua destra, silenziosa e triste, eppure rispettosa di ogni decisione del marito.
Aeron, figlio del fratello Seguin e sovrano del regno di Rohan, stava alla sua sinistra e fissava il re di Goblin con un sorriso divertito sul volto. Jareth sapeva che se avesse infranto le regole dell’Underground suo padre gli avrebbe scagliato contro la sua furia e il suo esercito guidato dal cugino, mettendo così in pericolo non solo la sua vita ma anche quella di Sarah.
Seguin e Oberon erano fratelli, seelie l’uno e unseelie l’altro. Avevano creato due corti per potersi spartire i regni e cessare così le guerre. La pace durava da parecchi secoli sebbene con qualche piccolo screzio, e Jareth ed Aeron crebbero insieme come fratelli seppure cugini. Conoscevano l’uno i segreti dell’altro e quando lo vide sorridere alle parole di Oberon si rese conto che il cugino sarebbe stato la sua rovina
.”

- Maestà?-
Un goblin l’aveva destato dai suoi pensieri.
- Che diavolo vuoi, Cyanide?-
- Il mio nome è Cyril, sire.-
- Qualunque sia il tuo nome, non attenua la tossicità della tua presenza qui in questo momento. Ora dimmi, cosa vuoi?-
- Abbiamo cercato il nano ovunque maestà, ma non lo troviamo. Sembra scomparso.-
Perché Hoggle si era allontanato dal castello? Così distante da Rose e…
… - Così alla fine hai deciso di sposarla!-
Non era una domanda e dalla voce del nano trapelava tutta la rabbia e la tristezza che provava. Aveva convocato i migliori amici della ragazza, i suoi sudditi più fidati che lo avevano sostenuto per tutto il tempo sperando che almeno loro potessero capire.
- Re sposa Sawah…-
- Ordunque maestà, il grande sovrano ha concesso la sua permissione…-
- No Dydimus, da mio padre non ho ricevuto nessuna permissione ma non ha importanza.-
- Il vostro coraggio vi rende onore, maestà.-
- No, non è coraggio, è stupidità!-
Hoggle aveva sbattuto un pugno sul tavolo, tenendo gli occhi bassi e incapace di incrociare lo sguardo del re. Forse in fondo restava sempre il codardo che era.
- E… perché secondo te il mio agire è stupido, di grazia?-
Lo vide alzare lo sguardo e per la prima volta affrontarlo come fosse un suo pari.
- Conosci molto bene il motivo. Se la sposerai metterai in pericolo non solo lei ma l’intero regno e… -
- E?-
- …e stai tradendo la sua fiducia, come lo stiamo facendo tutti noi!-


Il fae strinse con forza il cristallo che si frantumò tra le sue dita guantate per poi dissolversi in una cascata di scintille.
Non era mai stato in grado di dirle la verità per paura di perderla.

Quella sera rientrò a casa prima del previsto, deciso a dirle tutta la verità. Lei era spensierata, felice come non mai. La sua Sarah era sempre stata una ragazza solare e quello sarebbe stato comunque il più bel giorno della sua vita. La raggiunse stringendola forte a sé.
- Sarah, devo parlarti… è importante.-
- Anch’io devo parlarti e anche quello che ti devo dire io è molto importante.-
La scostò per guardarla negli occhi, non l’aveva mai vista così raggiante e nulla era mai stato più bello.
- Allora ti ascolterò con attenzione.-
- Beh… Aspettiamo un bambino!-


Il pavimento cominciò improvvisamente a tremare spaventando i goblin presenti nella sala del trono.
L’equilibrio del labirinto era stato alterato. Qualcosa o qualcuno aveva aperto le porte del dedalo senza il permesso del sovrano mettendo in pericolo tutte le creature.
- Cyril, da ordine alle guardie di schierarsi lungo le mura della città di Goblin. Nessuno deve uscire né entrare. Poi raduna tutte le creature non in grado di difendersi e portale nei sotterranei del castello. Presto!-
- Ai vostri ordini sire. Ma voi dove andrete?-
- Devo trovare Ludo e Dydimus, ho una questione importante da risolvere. Dopo di che mi occuperò personalmente di Aeron e di mio padre.-

*** *** ***

- Papàààààààà…-
Sarah impallidì all’istante, incapace di trattenere la figlia.
L’uomo si era chinato per abbracciare la bambina, scostandole con dolcezza una ciocca di capelli biondi dalla fronte. Mani guantate sfioravano la pelle bianca e morbida di Rose, occhi spaiati la scrutavano con tenerezza, una voce calma e dannatamente familiare giunse alle orecchie di Sarah.
- Mia piccola principessa, stai bene?-
- Sì sì, ma ho avuto tanta paura. Tremava tutto… Anche mamma ha avuto tanta paura!-
Rose si volse verso Sarah puntandole contro un dito.
Il re di Goblin la ignorava deliberatamente, concentrando tutta la sua attenzione sulla figlia.
- Tesoro, devi andare nei sotterranei con Ludo e Dydimus. Io ho delle cose importanti da fare ma appena possibile vi raggiungerò, siamo intesi?-
- E cosa devi fare?- Era così tenera quando metteva il broncio.
- Cose da grandi piccola mia, cose che ti spiegherò quando anche tu sarai più grande.-
- Ma io sono già grande…-
- Ed è proprio perché sei grande che ti chiedo di obbedire al tuo papà. Prometti che farai tutto ciò che Ludo e Dydimus ti diranno?-
La piccola scosse la testa in modo buffo.
- Sì, sì, promesso! E mamma?-
Per la prima volta da quando era entrato nella stanza il re guardò Sarah per un breve istante.
La ragazza fissava la scena come paralizzata, pallida e con lo sguardo pieno di orrore.
- Mamma resterà con te nei sotterranei ma prima devo parlare con lei da solo, va bene?-
- Va bene...-
Il re si alzò e rimase a guardare la bambina mentre con una mano prendeva la grande zampa di Ludo e con l’altra si aggrappava alla pelliccia di Ambrosius per poi uscire dalla stanza.
Quando la porta si chiuse, il fae si volse incrociando lo sguardo colmo di disprezzo della sua ignara regina.


* Nel film Hoggle è colui che ha il potere di aprire e richiudere le porte del labirinto, anche senza toccarle. Una sorta di guardiano…


Finalmente sono tornata!!! Che altro dirvi? Buona lettura :-D

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