In Confidence

di Sherlock Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Confessions ***
Capitolo 2: *** End? ***



Capitolo 1
*** Confessions ***


 Mycroft si sedette con un tonfo nella poltrona di fronte a me.
Continuò a scrutarmi.
- Allora, che ti porta qui a Baker Street?- gli chiesi- Insomma, non vieni nel mio appartamento da quanto? Sette anni?-
Non parlò.
Con un sospiro, mi alzai, afferrando la teiera dal vassoio.
- Posso offrirti una tazza di tè?-
- No, Sherlock.- disse, con tono spento.
Versai la bevanda e misi due cucchiai di zucchero nella tazzina.
Gliela porsi.
- Ti ho detto che non la voglio, Sherlock…- mi fece notare, calmo.
Rimasi colpito dal fatto che, nonostante mio fratello avesse rifiutato la tazzina, io gliela avessi comunque preparata.
- Non ti ho mai visto distratto. Questa è la prima volta, fratellino.-
Fissai il liquido bruno nella tazzina.
- Come mai?- mi domandò mio fratello.
- Il caso a cui sto lavorando mi sta assorbendo completamente… Tutto qui. E’ solo un po’ di stanchezza.- gli spiegai.
Bevvi dalla tazzina che era stata destinata a Mycroft.
- Sono forse l’unica persona al mondo in grado di riconoscere le tue menzogne, Sherlock. E so che quello che hai appena detto è una bugia.-
- Pensala come vuoi.- ribattei.
Finii il mio tè. Con un tintinnio di porcellana, posai nuovamente la tazza sul vassoio.
Mycroft si schiarì la voce. – Dov’è quel dottore che vive con te… Come si chiama? Watson?-
Feci involontariamente un movimento brusco nel sentir pronunciare quel nome… Quasi provocai la caduta delle porcellane di Mrs. Hudson.
- Lui…- dissi, fingendomi indifferente – Lui si è trasferito. –
Non dormivo da giorni.
La mia insonnia era dovuta non solo al caso che stavo seguendo, ma anche ai pensieri che più volte dedicavo al mio ex-coinquilino… E mio fratello l’aveva intuito.
- Questo Watson è la causa del tuo stato d’animo…-
- No.- dissi, secco.
- Non era una domanda, ma un’affermazione.-
Crollai sulla sedia.
- Ricordi che, quando eravamo piccoli, ci raccontavamo tutto?- mi disse Mycroft, osservandomi.
- Sì, rammento… E allora?-
- Dato che hai bisogno di confidarti… Io ora sono qui.-
Mi alzai nuovamente, iniziando a camminare avanti e indietro, come facevo sempre quando mi arrovellavo su un problema.
- Non c’è niente da confidare, Mycroft!- sbottai.
- Davvero? Le tue reazioni sembrano sostenere tutto il contrario.- mi fece notare. Poi, con un tono più pacato, mi si rivolse nuovamente:- So che vuoi apparire ai miei occhi come un insensibile. Ma tu non sei privo di sentimenti. Andiamo, ti conosco troppo bene… E, in questi anni, non sei cambiato. Lo so.-
Sbuffai, risedendomi. Mi passai le mani sul volto, e poggiai i gomiti sulle ginocchia.
Non volevo rivelargli come mi sentivo. Preferivo tenermi tutto dentro. 
- Allora, Sherlock… Perché Watson ti turba?- mi incalzò.
Respirai a fondo.
Lo sguardo di Mycroft era attento, ma non colpevolizzante. Sapevo che avrebbe ascoltato senza commentare…
Forse… Forse era giunto il momento di sfogarmi.
- D’accordo.- iniziai.- Come hai già intuito, è… è Watson il problema.-
Non proferì parola, aspettando che io continuassi.
- Io… Non volevo che se ne andasse. Desideravo che rimanesse qui, a Baker Street. Io avevo bisogno di lui… Ecco… Ho tuttora bisogno di lui. Delle sue parole, dei suoi gesti, delle sue prediche, dei suoi rimproveri, delle sue lamentele… Della sua amicizia.-
Mi fermai.
Solo in quel preciso attimo compresi pienamente ciò che avevo appena detto. Avevo rivelato qualcosa che non avevo confessato neanche a me stesso: Watson era mio amico. Non solo coinquilino o socio.
Era mio amico.
Scossi la testa per riprendermi.
 
Cos’era quel tepore che sentivo vicino alla spalla sinistra?
 
Mi schiarii la voce: - Ora ha un suo studio medico. E’ un dottore affermato. Ha decine e decine di pazienti… E presto avrà una moglie. Non ha più tempo per me.-
Presi la pipa di argilla, la riempii di tabacco e la accesi.
- Mi sento messo da parte, scartato, ignorato… Mi sento abbandonato a me stesso. Alla monotonia della mia vita e ai miei vizi.-
Una voluta di fumo s’innalzò fino al soffitto, deformando i contorni di Mycroft, di fronte a me.
- E poi… Ho già subito un paio di attentati alla mia persona questa settimana. D’accordo, è all’ordine del giorno, dato il lavoro che faccio. Ma… Penso che finirò ucciso molto presto, senza qualcuno che mi copre le spalle.-
Quel ruolo era sempre spettato a Watson… Avevo sempre potuto contare sulla sua presenza… Quanti spietati criminali avevamo affrontato, insieme?
Continuai a fumare, tacendo, al che Mycroft si allungò verso di me:- Se vuoi conoscere il mio parere…
Annuii.
- Bene. Io penso, Sherlock, che dovresti dirglielo.-
- Come?- mormorai, stupito.
- Sì, hai capito! Devi dirgli che lui è molto importante per te, che hai bisogno di lui… Che è il tuo unico amico, cose del genere. Verità che finora erano rimaste inconfessate.-
Gettò un occhio alla pendola.
- Si è fatto tardi, fratellino. Al Diogenes mi aspettano. E’ stata una piacevole chiacchierata.-
Lo vidi alzarsi a fatica dalla poltrona, indossare pastrano e cappello e dirigersi alla porta.
Con la mano sul pomello, si voltò ancora verso di me:- Segui il mio consiglio, Sherlock…
Con un colpo, la porta si chiuse dietro a lui.

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Capitolo 2
*** End? ***


 Afferrai dallo scaffale il taccuino di Watson che, nella fretta del trasloco, si era dimenticato.
Lo sfogliai, osservando la sua scrittura. Mi si formò un nodo in gola.
Chiusi il libretto con un piccolo tonfo e lo gettai sul tavolinetto persiano.
Arricciai il naso.
“Forse dovrei riportarglielo… E’ pur sempre un suo ricordo…”constatai.
Sapevo però, in cuor mio, che il vero motivo della mia visita a Watson sarebbe stato tutt’altro.
 
Osservai la mia cipolla argentea. Mancavano dieci minuti alle sette.
“E’ certamente ancora allo studio medico…”pensai.
Con il taccuino in mano, mi diressi verso Oxford Street. Lì, chiamai una carrozza con un fischio.
Giunsi in poco tempo davanti alla porta del suo studio.
La targhetta dorata sul battente riluceva. Vi si poteva leggere: Dottor J.H.Watson, medico chirurgo.
Sentivo la copertina del libricino tra le mie dita e la sua ruvidezza, non so come, mi fece rabbrividire.
Stavo per bussare, quando, da dietro l’entrata, sentii due uomini parlare.
- Generale, sono contento che stia meglio…-
Era la voce di Watson.
- Già, merito delle sue cure, dottore.- rispose colui che doveva essere il generale.
- E della sua forza d’animo.-
La porta si aprii.
Ne uscì un uomo sulla settantina, con un bastone da passeggio.
- Allora arrivederci!- salutò.
Watson sortì dalla porta e mi si parò davanti.
- Holmes?- disse, con tono sorpreso. Il suo viso faceva trapelare felicità mista a preoccupazione.
Annuii.
Mi schiarii la gola:- Ecco, Watson, deve sapere che oggi stavo esplorando gli scaffali in cerca di un documento per il mio cliente, quando ho trovato questo.- gli spiegai, porgendogli il libretto – E’ la sua scrittura. Ho pensato che, per lei, potesse essere importante riavere gli appunti sulle nostre avventure.-
Lo prese con delicatezza. Lo aprì, voltando poi alcune pagine.
- Grazie.- mormorò.
Mi feci coraggio.
Maledizione, era possibile che fosse facile gettarsi a combattere in un corpo a corpo con un criminale e che fosse così difficile parlare a Watson del mio sentimento d’amicizia nei suoi confronti?
- Watson,- dissi d’un fiato, senza fissarlo – io… ho bisogno di lei.-
I suoi occhi s’illuminarono:- Un nuovo caso da affrontare insieme?- chiese.
Il suo sguardo, poi, però, si fece spento.
- Holmes… Non so come dirglielo. Io presto avrò famiglia, non posso più permettermi di rischiare la vita come un tempo. Inoltre, il mio studio ha preso piede. Sa che ho più pazienti del dottor Stamford? Si rende conto?- disse, con una punta di gaiezza.
Lo osservai.
E capii che era contento.
Alla fine, forse, era quella la cosa più importante: la felicità del mio amico.
Avrei potuto alzare i tacchi ed andarmene…
Il mio egocentrismo, però, mi fece continuare a parlare:- E lei si rende conto che ogni giorno, da solo, rischio la vita? Non c’è più nessuno su cui possa fare totale affidamento, Watson… Non ho nessuno. Alcun… Amico. E… Mi sento perduto.-
Le mie parole colpirono Watson come una pugnalata.
- Sa ciò che mi ha ferito?- Era così semplice infierire quando si era iniziato…- Lei non si è neanche degnato, in questi due mesi, di farmi visita! E pretende addirittura che io le faccia da testimone alle sue nozze…-
Watson fisso il marciapiede.
Senza aggiungere altro, aspettai la risposta del dottore, che non arrivò.
Così, con un’ultima occhiata, me ne andai.
Non presi la carrozza.
Desideravo fare quattro passi.
Mi diressi così nel vicolo accanto allo studio medico ed iniziai a camminare lentamente.
Era stato strano esternare  non solo a Mycroft ma anche a Watson ciò che avevo provato in quelle ultime settimane…
La realtà mi colpì come un pugno nello stomaco.
Io, Sherlock Holmes, la macchina pensante, avevo dei sentimenti.
Vale a dire, distrazioni pericolose.
Rimuginando su tutto ciò, non mi accorsi immediatamente del mio inseguitore.
Solo dopo alcuni metri, osservando il riflesso in una finestra, vidi, alle mie spalle, un energumeno.
Istintivamente, la mia mano si tuffò nella tasca interna della giacca… Ma non trovò alcun revolver.
L’avevo dimenticato.
Come sempre.
Era Watson che si ricordava di prendermelo…
Velocizzai il passo e così fece anche colui che mi stava tallonando.
Svoltai a sinistra.
Vi erano un paio di barili ed una scopa appoggiata su di essi. Afferrai la ramazza, posizionandomi esattamente all’angolo dello studio di Watson, aspettando l’arrivo dell’inseguitore.
In pochi secondi, spuntò dal vicolo.
Rimasi spalle al muro.
Non appena mi scorse, mi avventai su di lui.
Usando il bastone della scopa, lo colpii sulla schiena. L’unico effetto che ottenne il mio attacco fu la rottura della mia arma.
Rimasi con il moncone in mano, sorridendo al mio avversario.
La soluzione più semplice sembrava essere fuggire. L’inseguitore era una vera e propria montagna di muscoli e non sarebbe valso a nulla il combattimento diretto.
Non mossi però neanche un passo.
Infatti, sentii attorno al mio collo un laccio.
Colpii l’uomo alle mie spalle con una gomitata allo stomaco. Fu inutile.
L’energumeno iniziò a stringere vigorosamente il cappio attorno alla mia gola.
Il vicoletto era piuttosto stretto. Decisi così di sfruttare la mia altezza per appoggiare i piedi contro il muro di fronte, in modo da cercare di diminuire la pressione sul mio collo.
Il mio assalitore non fece una piega. Anzi, si mise a ridere sommessamente, spostandosi bruscamente e facendomi così scivolare fino a terra.
Misi le mani sul laccio, tentando senza risultato di allentarlo.
Sentii mancarmi l’aria…
L’uomo strinse ancora più forte la corda.
Boccheggiai.
Le membra divennero pesanti… I sensi si offuscarono…
 
“ E’questa la mia fine?”
 
Uno sparo.
E il laccio si sciolse. 
 
L’aria tornò a fluirmi nei polmoni.
Tossii. Più e più volte.
- Holmes!- udii chiaramente.
“Watson?”
Respirai profondamente.
- Sta bene?-
Mi sedetti contro il muro, poggiando la testa sui mattoni rossi.
Annuii.
- Quante volte glielo devo ripetere?- mi chiese.
Inarcai le sopracciglia.
- Il revolver, Holmes, dannazione!-
Gli sorrisi.
Mi porse la pistola dal quale era partito il colpo che aveva ferito il mio aggressore.
- Cerchi di non dimenticarselo.-
Chiusi gli occhi, posandomi una mano sul collo, tastando il solco che il laccio aveva lasciato.
Watson mi fissò:- Ho sentito un rumore nel retro del palazzo e… chi trovo? Lei che sta per farsi uccidere.- Il tono di rimprovero si tramutò in uno più indulgente:- E’ un duro colpo, sa, vedere un amico morente…-
Aprii gli occhi.
Sentimmo i fischietti dei Bobby, accorsi dopo aver udito lo sparo.
Watson mi guardò.
- Fortunatamente, grazie ad un certo investigatore, ho preso l’abitudine di avere sempre in tasca una pistola. D’altronde, Londra è pericolosa.-
Mi offrì la mano. La afferrai, e mi rialzò.
Con voce roca assentii:- Già.
Narrai ai poliziotti di Scotland Yard ciò che era accaduto. Il ferito fu portato in ospedale. L’arresto fu convalidato all’istante.
Watson mi si rivolse:- Domani è in casa, Holmes? Diciamo, dalle 10 in poi?-
Gli sorrisi nuovamente.
- Penso che dovrei esserci.- gli risposi.
- Ottimo, allora vengo a Baker Street.-
Gli diedi le spalle
- Sappia che ho un caso su cui lavorare…-
Watson mi si accostò e, a bassa voce, mi domandò:- Moriarty?
- Sì, esatto. L’aggressione di oggi potrebbe aprire un nuovo capitolo.-
Ero certo che il mandante della mia uccisione fosse il professore.
Feci qualche passo:- Sappia, quindi, che non sarò loquace.-
Watson si strinse nelle spalle:- Come sempre.

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