Don't be afraid of God

di mina_s
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Don’t be afraid of God

Parte I

 

“Non dovreste fumare il tabacco in così grande quantità, tenente.”

La persona a cui era indirizzata la frase non si mosse né parlò, insofferente al consiglio ricevuto dall’amico; da quello che era qualcosa in più che un amico, in realtà.

Si tolse la pipa dalla bocca e guardò per qualche istante il fumo che, dalle sue labbra, si mescolava all’aria notturna e si condensava in essa, pensando che anche lui avrebbe voluto, delle volte, volatilizzarsi in quello stesso modo, e volare via, da qualche parte, dove sarebbe stato da solo… O meglio, solo con lui.

Si voltò lentamente, prendendo un’altra boccata.

Aveva l’aria quasi assente, del tutto disinteressata, ma per chi lo conosceva bene, bene come James, quello sguardo significava qualcosa in più.

Era rassegnazione.

“Vorrei che mi spiegaste il motivo per cui mi avete mandato a chiamare qui a quest’ora, signore.” Disse, osservando alcune sciabole sostenute con dei cardini alla parete, non volendosi prendere il disturbo di guardare in faccia il commodoro.

James trasalì. Estrasse l’orologio d’oro che custodiva in una tasca interna della casacca, e sussultò nel vedere che erano all’incirca le tre di notte.

Il tempo passava in fretta, e lui avrebbe voluto rimandare all’infinito quella conversazione e le sue spiegazioni, ma doveva farlo. Doveva parlare a Edward, o non si sarebbe mai tolto quel peso che gli stringeva lo stomaco da ormai troppo tempo.

Intanto l’altro aspettava ancora una risposta e aveva cominciato a battere nervosamente la scarpa sul pavimento, come segno di impazienza.

“Signore,” iniziò, avvicinandosi a passi ponderati verso un muro dove erano appesi dei piccoli quadri di un pittore fiammingo e iniziando ad osservarli “ammetto che l’aria serale giova alquanto al mio spirito, ma vorrei solo informarvi che, visto che ho a disposizione all’incirca cinque ore la notte per dormire, vorrei approfittarne, invece di stare qui a-“

“Edward…”

Il tenente trattenne il fiato e appoggiò il mento su una spalla, come se volesse guardare dietro di sé, cosa che non fece.

Per qualche istante regnò un silenzio a dir poco imbarazzato. Era da molto tempo che i due non si chiamavano per nome, e ora che il commodoro gli si era rivolto con il suo nome di battesimo, a Edward riaffiorarono molti ricordi nella mente.

Ricordi dolorosi, sebbene gli riportassero momenti felici, che lui si era deciso tuttavia a dimenticare, per una ragione che conoscevano entrambi bene.

Socchiuse per un attimo le palpebre, facendo un respiro profondo, poi tornò alla contemplazione dei quadri.

“Che cosa volete da me, commodoro?” chiese, ancora più freddamente del solito, aspirando nervosamente il tabacco dalla pipa, quasi come se fumare avrebbe risolto al più presto tutto quanto, quasi come se il tabacco potesse farlo tranquillizzare.

Il commodoro, vedendolo così, iniziò a contorcersi le mani dietro la schiena. Già sarebbe stato difficile intraprendere quella discussione, e il tenente non gli stava di certo facilitando le cose.

Non si era aspettato, in ogni caso, grande cordialità da Gillette, dopo quello che era successo fra loro.

Era stato un ipocrita, un egoista, aveva messo da parte l’amore-sincero e fedele- della persona che amava per potersi guadagnare un posto in paradiso e la figura di buon marito e padre, e per evitare la forca.

Ma ora tutto questo, di fronte allo stato d’animo del solo per cui avrebbe dato la vita, gli sembrava futile come un pezzo di carta che vaga nel fango.

“Edward…”iniziò, con la voce che gli tremava come non mai.

Tenente.” Lo corresse l’altro.

“Tenente,” si corresse subito Norrington, anche se un po’ deluso dalla freddezza di Gillette “vi ho mandato a chiamare dal momento che ci tenevo a mettere in chiaro alcune questioni alquanto private, e che sono rimaste in sospeso negli ultimi tempi.”

James riprese fiato, attendendo ansioso la reazione dell’altro.

Edward si voltò, con un sorriso sarcastico impresso sulle labbra. Era divertito dalla formalità delle parole del commodoro, delle stesso uomo che un tempo gli scriveva lettere così dolci e armoniose che avrebbero potuto perfino sciogliere il cuore di un bifolco di montagna.

I tempi, però, erano molto cambiati, come le relazioni fra loro due.

“Sentiamo.” Disse, con un tono stranamente sereno, anche se le sue considerazioni su James erano tutt’altro che felici.

Falso, falso e bastardo.

Norrington iniziò a sbattere le labbra, senza riuscire nemmeno a balbettare qualcosa.

Lo sguardo di Gillette, così divertito, e allo stesso tempo così deluso e accusatorio, gli aveva bloccato il respiro, e gli sembrava di essere inchiodato al muro da dei coltelli infilzati attorno le gambe e le braccia, che non gli lasciavano la minima libertà di movimento.

Non sapeva da dove iniziare, poiché erano davvero tante le cose che gli avrebbe voluto dire, e si pentì di averlo chiamato nel suo ufficio.

“Tenente, io…” deglutì, prima di continuare “so di non essere stato per nulla corretto nei vostri confronti. A dirla tutta, la mia condotta è stata da ipocrita, da egoista, ho pensato solo ai miei interessi e non mi sono minimamente curato dei vostri sentimenti, e…”

Non sapendo cos’altro dire al momento, alzò gli occhi verso Edward. Quest’ultimo aveva un angolo della bocca arricciato e le braccia incrociate al petto. La sua espressione, da quando aveva allontanato lo sguardo da lui, era del tutto cambiata, eppure ancora lo spaventava, lo faceva sentire insicuro e in colpa, e gli faceva ricordare quanto aveva fatto soffrire il suo tenente.

Sentendosi tremare le ginocchia, Norrington si disse che quelle stronzate non sarebbero servite a nulla, e che era meglio mettere da parte le formalità.

“Edward, ti prego, perdonami, sono stato davvero un bastardo." Lo supplicò, quasi come un bambino disperato che implora il padre di smetterla con le bastonate.

Gradualmente, quel sorrisetto ricomparve sulle labbra di Gillette, mentre le sue spalle iniziavano a sobbalzare e il tenente scoppiava a ridere.

Norrington corrugò la fronte. Non capiva il motivo di quella risata. Non credeva che le sue parole fossero divertenti.

“Non sei stato corretto nei miei confronti?”disse, canzonando le parole del commodoro. “Porca puttana, James, non mi avevi neanche informato della tua proposta a Elizabeth!”

Edward aveva notevolmente alzato il tono di voce, e a Norrington sembrò quasi che le pareti tremassero a causa di quelle parole rabbiose. Di certo, il suo cuore aveva tremato parecchio.

“Te l’avrei detto…” tentò di difendersi, ma sapeva che quella sarebbe stata una barriera che non l’avrebbe potuto difendere dalle accuse del tenente.

Perché il fatto era che Gillette aveva dannatamente ragione.

“Quando?!” fece l’altro, che nel frattempo aveva iniziato a camminare nervosamente su e giù per la stanza. “Il giorno del vostro matrimonio? O il giorno in cui sarebbe nato il tuo primo figlio? Ma vaffanculo!” ringhiò, facendo un gesto con le braccia, quasi come se volesse far volare in aria i mobili della camera.

Il commodoro iniziò a respirare affannosamente; gli sembrava che Gillette gli facesse mancare l’ossigeno a ogni singola parola.

Il tenente sapeva colpire esattamente nel segno quando voleva, per questo alcuni lo consideravano addirittura sadico, ma questa volta Norrington sapeva di meritarsi tutto, il che era ancora peggio, perché non avrebbe potuto ribattere in nessun modo.

Serrò le labbra e attese, attese che gli venisse in mente qualcosa di adeguato a rispondere, ma la sua mente era concentrata su Edward che imprecava e borbottava per la stanza, impedendogli di ritornare lucido.

“Già, James, hai ragione: sei stato veramente un gran bastardo.”concluse, ritornando alla finestra che dava sulla baia. “Ma la colpa più grande è mia, che continuo ad amare questo figlio di buona donna.”

Norrington percepì qualcosa di diverso nella voce dell’altro. Non era più rabbiosa e piena di rancore, c’era solo tristezza… e pietà.

Sentì il tenente che tirava su col naso. Forse stava piangendo.

Anche a James, in effetti, stavano cominciando a bruciare gli occhi, quasi come se qualcuno ci avesse versato dell’olio bollente sopra, ma si rifiutava di lacrimare.

Non aveva pianto quando, qualche anno prima, era morto suo padre, come non avrebbe pianto adesso, che l’uomo che amava lo stava respingendo.

Disperato, raggiunse da dietro le spalle il tenente e gli mise le mani sulla schiena, tentando di abbracciarlo, tentando di addolcirlo con quella tecnica che una volta usavano entrambi sempre l’uno sull’altro.

“Edward…”

“Non mi toccare.” Lo respinse subito l’altro, allontanandosi da lui, senza smettere di fissarlo negli occhi. I suoi erano gonfi e, così grandi e luminosi, erano più dolci del solito, pensò James.

“Dì un po’,” iniziò l’altro, versandosi dell’altro tabacco nella pipa “è iniziato tutto il giorno della messa, vero?”

Norrington abbassò le palpebre e lo sguardo, ripensando a quel giorno in cui era cambiato tutto.

A loro non capitava spesso di assistere alla messa, non tanto per il fatto che Gillette, essendo irlandese, era cattolico, ma semplicemente perché non ne avevano l’interesse e preferivano una preghiera solitaria, in silenzio, piuttosto che la predica del pastore.

E avevano scelto proprio quel giorno per andare in chiesa assieme agli abitanti di Port Royal.

Quel giorno, in cui il pastore aveva scelto di predicare il sacro dovere della famiglia e il peccato della sodomia, fu come se il cuore di James fosse stato svuotato del suo amore e della felicità e al suo posto si fossero aggiunte paura e vergogna.

Durante la predica, lui e Gillette si erano guardati, non sapendo bene cosa trasmettersi con lo sguardo; l’attimo dopo, quando Norrington ebbe voltato lo sguardo in direzione della schiena dell’uomo che gli sedeva di fronte, l’altro gli aveva preso la mano, di nascosto, fra la sua, come per dirgli che niente doveva cambiare fra di loro, che l’amore, sia fra un uomo e una donna sia fra due uomini, era comunque e sempre sacro.

Lui voleva credere al suo uomo, eppure, tutto a un tratto, ebbe paura di Dio e della sua collera, della forca e dell’inferno.

Gli comparve un’orrenda visione.

Edward che penzolava per il collo sul patibolo, e di fianco stava lui, nella stessa posizione, mentre tutti gli abitanti della cittadina osservavano i loro corpi da sodomiti venire mossi dalla brezza mattutina…

Lo aveva colto il panico ed ebbe l’impulso di vomitare in quell’istante la colazione; tuttavia, anziché ridurre in miseria la casacca dell’uomo di fronte, aveva stretto ancora di più la mano del tenente.

Da quel giorno, la sua coscienza fece si che James si comportasse in modo diverso.

Quando poteva, evitava Edward, e si inventava delle scuse talmente idiote per rimandare i loro incontri che solo il suo uomo, a causa del sentimento forte che provava per lui, avrebbe potuto credergli.

E Gillette gli credeva sempre, e sempre gli rivolgeva un sorriso, attribuendo quello strano di scostamento alla tensione dovuta all’imminente promozione di Norrington.

James, nel frattempo, passava intere notti in bianco, continuando a camminare per la sua stanza, buttandosi a letto, pregando, bevendo, vomitando, facendo incubi orribili…

Amava il suo Edward, eppure le parole del pastore avevano lasciato nel suo spirito un segno troppo profondo perché lo si potesse cancellare.

Non voleva vedere né se stesso né tantomeno il suo tenente al patibolo, come non voleva che finissero agli inferi… però, almeno, sarebbero stati insieme, nella vita come nella morte.

E tuttavia aveva paura.

Poi era giunta l’illuminazione: un matrimonio. Ah, sì, quello avrebbe sistemato tutto. Avrebbe sposato una brava donna che gli avrebbe dato dei bambini, e la sua natura sarebbe rimasta nascosta.

E chi poteva essere una moglie migliore per lui, se non Elizabeth Swann, che conosceva da otto anni e che aveva visto crescere? La sua natura non gli permetteva di amarla come un marito, ma almeno avrebbe avuto una buona compagna al suo fianco.

Si era proposto, lei aveva accettato, eppure James aveva fatto un enorme sbaglio: Gillette.

Se n’era dimenticato. O, meglio, non lo aveva preso in considerazione.

Lo amava, lo amava immensamente, ma c’erano in gioco le loro esistenze.

Aveva creduto, in un momento di pura follia, di fare la cosa più giusta per entrambi, e se n’era pentito amaramente quando Elizabeth aveva accettato la sua proposta quel giorno, sulla Dauntless, quando avevano appena salvato lei e Sparrow dall’isola.

Soltanto in quel momento Gillette era venuto a conoscenza dei fatti, e il suo cuore, in pochi attimi, si era pietrificato.

Era rimasto immobile sulle scale, poco più in alto di Norrington e, da un’espressione esterrefatta e disperata, ne aveva assunta una seria e composta, anche se James era riuscito a leggere la rabbia, la delusione e la gelosia nei suoi occhi.

Da quel giorno non si erano più parlati, se non per dare e ricevere ordini; Edward evitava di incrociare lo sguardo dell’altro, quasi come se James fosse Medusa in persona, e quest’ultimo tentava inutilmente di richiamare la sua attenzione con qualche occhiata. Ma Gillette era rimasto impassibile.

Norrington lo aveva ferito. Sapeva che, probabilmente, prima o poi si sarebbe dovuto sposare, ma non avrebbe mai immaginato che il suo James gli avesse potuto tenere nascosti i suoi veri sentimenti.

Cosa ci faceva lui al suo fianco, se non poteva ascoltarlo, consolarlo, amarlo?

Anche se Elizabeth in seguito lo aveva rifiutato, rompendo le speranze di Norrington e accrescendo l’odio di Gillette nei confronti della ragazza, le cose non erano cambiate, e i due avevano continuato a comportarsi come se non si conoscessero affatto.

Il commodoro deglutì, tornando al presente.

“Beh… sì, se proprio vuoi saperlo. Ho avuto paura.”

Gillette lo guardò con un’espressione così sconvolta che sembrò che James avesse detto chissà quale blasfemia.

“Paura?!” chiese, di nuovo vicino al confine che separa tono civile e incivile. “Paura di cosa? Cosa diavolo ti ha spaventato così tanto da trattarmi come il primo idiota che ti è capitato davanti?”

“Non volevo, Edward!” il commodoro stava quasi piagnucolando come una ragazzina. “Ma quelle parole del pastore… sulla sodomia, sul peccato… sull’inferno… Ho avuto seriamente paura per noi due.” Norrington fece qualche passo verso il tenente, con l’idea di abbracciarlo, ma poi si disse che non avrebbe ricevuto altro che un ulteriore rifiuto, e rimase dov’era, fissando quello che si chiedeva se fosse ancora il suo uomo, negli occhi.

“Se ti facessero del male…io…ne morirei. Volevo solo proteggerti.”

“Ho una notizia fresca per te: non sono una donna, ergo, non ho bisogno di protezione.” Rispose l’altro, freddo e duro come il ferro.

“Ma io ti amo!” replicò il commodoro, a gran voce.

Edward fissò l’altro per qualche istante, incerto su che cosa dire.

Le parole di James, sebbene le avesse dette a lui più di una volta, lo colpirono profondamente

Gli sembrò quasi di capirlo. Ma non poteva perdonarlo.

“Ti amo anch’io.” Disse, con voce assurdamente tranquilla. Per un attimo, sembrava che stesse per fare un sorriso, questa volta sincero, però si volatilizzò tutto con la frase che seguì: “E me ne pento.”

Norrington trattenne il fiato, leggermente ferito da quelle parole, anche se sapeva che l’altro aveva tutte le ragioni del mondo per odiarlo.

Detto ciò, il tenente si avviò verso la porta, con il suo passo deciso.

Il commodoro andò in panico. Non avevano ancora finito, non poteva andarsene.

“E ora dove vai?”chiese, seguendolo con gli occhi.

“Non abbiamo nient’altro da dirci, signore.”

Aveva già una mano appoggiata sulla maniglia quando l’altro, in preda a un’emozione a cui non avrebbe saputo dare un nome, si rivoltò.

“Sì, invece.” Disse, afferrando Gillette per un braccio e facendo voltare il tenente verso la sua direzione.

Il secondo dopo lo aveva già avvinghiato fra le sue braccia, e lo baciava teneramente.

Edward tentò di liberarsi da quella presa convulsa dimenandosi come un animale in una rete ma, dopo un paio di tentativi falliti, si lasciò cullare da quelle labbra, dimenticando tutto il suo rancore.

Quando Norrington staccò la bocca dalla sua, Edward non osò guardarlo in faccia, per paura di poter cedere.

Abbassò gli occhi sulla cravatta dell’altro, deciso a non mollare. Un bacio, per quanto bello, non avrebbe sciolto il suo cuore.

“Gli uomini mi possono anche punire,” iniziò, quasi bisbigliando, con l’aria di chi ne sa molto sull’argomento ”possono impiccarmi, bruciarmi, torturarmi. Ma come può Dio punirmi per quel che sono, se è stato lui a crearmi così?”

Detto ciò, scostò James da parte e tornò a guardare il mare, la sola cosa di cui pensava di potersi fidare.

L’altro, esitando, gli si fece di fianco, avendo paura della sua reazione. Appoggiò le mani tremanti sul parapetto e fissò a lungo e in silenzio Edward, tentando di trovare qualche indizio che gli dimostrasse lo stato d’animo del tenente.

Notò che quest’ultimo si passava la manica della casacca sulla guancia e che tirava su col naso più spesso. Nonostante questo, appariva del tutto tranquillo.

Era la prima volta che lo vedeva piangere. Avrebbe voluto fare qualcosa, consolarlo, prenderlo fra le sue braccia, ma sapeva bene che Gillette non glielo avrebbe permesso.

Quest’ultimo fece un lungo sospiro e alzò la testa in direzione della luna.

“Per una volta,” iniziò, con una voce tremante ma allo stesso tempo controllata e fredda “per una fottuta volta, sii sincero, James.”

Norrington lo guardò preoccupato, non sapendo esattamente cosa volesse il tenente da lui.

“Ammettilo che ti vergogni di me!”

Perdendo completamente il controllo, il commodoro lo afferrò per il risvolto della casacca e avvicinò il suo volto a quello dell’altro. “Come puoi dire una cosa del genere?” sibilò, con gli occhi che mandavano scintille.

Quello, quello non avrebbe dovuto dirlo.

“No,” iniziò l’altro, levando con uno strattone la mano di James dalla casacca “hai ragione, ritiro quello che ho detto. Tu ti vergogni di te stesso.” Disse, serrando le labbra e ricambiando lo sguardo.

Per un attimo, Norrington si sentì mancare e dovette di nuovo appoggiarsi al parapetto. La testa gli girava e la vista gli si era annebbiata. Deglutì, tentando di calmarsi.

“Edward,” iniziò, implorando come prima “mi dispiace, io non sono forte come te.”

Le sue emozioni si impadronirono di lui e iniziò a singhiozzare, liberando finalmente le lacrime dai suoi occhi, maledicendo se stesso per la sua debolezza d’animo.

Sorreggendosi la fronte con una mano, continuò a piangere, mentre i singulti gli impedivano di respirare normalmente.

Non sapeva se stava piangendo per essere quel che è, per il rifiuto di Elizabeth, per la sua dimostrazione di debolezza… o perché aveva tradito la fiducia dell’uomo che amava e ora lo stava perdendo.

Sentì i passi di Gillette; il tenente si stava dirigendo verso la porta. La consapevolezza dell’abbandono definitivo di Edward non fece altro che aumentare la sua disperazione, ma si sentì stranamente sollevato quando percepì il calore delle braccia del tenente attorno al suo corpo.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Don’t be afraid of God

Parte II

Una sera di molti anni prima, quando James aveva diciotto anni e Edward sedici ed erano ambedue ancora allievi, Norrington aveva passato tutto il suo tempo a consolare sottocoperta il suo amico, che aveva trattenuto solennemente il pianto da quell’alba, e ora che nessuno li avrebbe visti, ne avrebbe avuto per molto.

Quella notte, prima di imbarcarsi sulla Seahorse, il ragazzo aveva perso sua madre.

Quella notte non sarebbe rimasta sempre speciale per loro perché la loro amicizia, in quelle poche ore, si era rinforzata: no, quel verbo non rendeva appieno l’idea.

Essa si era trasformata in qualcosa di più forte, di più particolare… Ma anche di più pericoloso e di assolutamente proibito.

L’avevano capito entrambi quando Norrington, dopo aver asciugato con il suo stesso fazzoletto gli occhi di Gillette, aveva indugiato con le dita sulle guance di quest’ultimo, con una tenerezza stranamente amorevole.

Non sapeva perché lo stava facendo. Quelle guance rosse e morbide lo avevano semplicemente attratto, e a James era parsa una cosa assolutamente normale, come nel caso di una falena che viene attirata dalla luce per un istinto naturale.

Tutto quello che poi si ricordava erano gli occhi del suo amico, scuri e luminosi, che esprimevano allo stesso tempo esitazione, paura e curiosità, e il leggero tocco delle sue labbra.

Gli sembrò una cosa molto stupida da pensare, ma a Norrington parve che la bocca di Edward sapesse da gelsomino. Non seppe dare un motivo neanche a questo.

O Gillette si nutriva di fiori, cosa alquanto improbabile, oppure era perché il profumo del gelsomino era il preferito di James, e baciare il suo amico stava diventando piacevole quanto odorare per minuti interi il fiore.

L’immagine di alcuni marinai impiccati a Portsmuth per sodomia, alla cui esecuzione avevano assistito entrambi diversi mesi prima, dunque, non era servita a impartire loro la lezione che avrebbe dovuto.

Cambiare la propria natura. E’ davvero questa l’aspirazione dell’uomo?

Quello che ora era diventato il tenente Gillette ripensò a tutto questo, con lo sguardo immerso nel nulla, mentre sfregava teneramente la schiena del commodoro, il quale aveva nascosto il volto tra il collo e la spalla del compagno e singhiozzava.

“Calma, calma, James.” Gli disse, per l’ennesima volta. L’intonazione della sua voce era però parecchio distante dal calore con cui abbracciava Norrington.

A causa del pianto di quest’ultimo Gillette era diventato più solidale, ma era questione di pietà, non di perdono.

Era la prima volta che vedeva il commodoro piangere. Fino ad allora, non l’aveva nemmeno visto versare lacrime. Lui stesso, d’altronde, non piangeva da quando aveva sedici anni… da quella sera.

“Gli uomini non devono vergognarsi di piangere.” Continuò, passando una mano tra i folti capelli castani dell’altro. “Ma bisogna avere anche la forza di smettere.”

Quanto era saggio il suo Eddie, pensò Norrington. Era un peccato che tenesse le sue doti morali nascoste. Certo nessuno, a Port Royal, avrebbe creduto che Gillette fosse una persona così sensibile e intelligente. La maggior parte delle persone lo disprezzava perché era un bastardo francese, e questo bastava per far sì che Gillette si guadagnasse l’antipatia di molte persone.

Del resto, anche Norrington era visto come un essere freddo, impassibile, coraggioso, sì, ma assolutamente privo di interesse per tutto ciò che non concernesse la sua professione.

Ma a loro questo non importava. Loro sapevano chi erano; questa era l’unica cosa che contava.

‘Lasciamo loro credere quello che vogliono.’ Si erano sempre detti. Insieme erano felici, si sentivano completi, appagati. Ma se i pettegolezzi della gente riguardanti il vero rapporto che c’era fra loro due sarebbero arrivati ad un giudice… ci sarebbero state di mezzo le loro vite. Fortunatamente, nessuno sospettava ancora nulla. E il commodoro aveva voluto essere sicuro di non far insospettire nessuno.

Edward capiva le intenzioni di James; in fondo, aveva agito per il bene di entrambi, ma aveva avuto così paura che aveva compiuto azioni del tutto avventate.

Il commodoro, nel frattempo, aveva appoggiato la fronte alla spalla del tenente; il corpo era scosso da singulti, ma lui non piangeva più.

“E’ così…orribile. E… ingiusto.” Disse finalmente.

“Che cosa?” chiese Edward, prendendolo per le spalle e allontanandolo ad un passo da sé, per poterlo guardare bene negli occhi. “Il fatto che siamo quel che siamo?” azzardò, ancora ostile.

“No.” Rispose fermamente Norrington, sorridendo amaramente.

Mi dispiace, Edward. Stavolta non vincerai tu.

Finalmente ho capito. Ho capito tutto.

“Il fatto che gli umani vogliano sempre eliminare ciò che è diverso dalle loro aspettative, anche se è stato creato dal Signore per rimanere tale.”

Gillette ricambiò lo stesso sguardo, ma volse il viso da un’altra parte.

“Riuscirai mai a perdonarmi, Edward?” chiese James, cercando disperatamente gli occhi dell’altro, non senza un fremito nella voce.

Il tenente lo guardò con l’angolo degli occhi, non sapendo veramente più cosa pensare.

Lo amava, oh, se lo amava, quell’uomo!, pensò, rigirandosi la pipa, ormai spenta da tempo, tra le dita.

“Tu hai ancora paura?” chiese, abbassando lo sguardo sulle sue mani e iniziando a camminare verso il tavolo da lavoro, posto in fondo alla stanza.

Norrington lo seguì con gli occhi. Gli sembrava di tirare con una corda il tenente a sé, ma ogni volta l’altro trovava il modo per allentare la presa e sfuggirgli più lontano.

Deglutì, prima di rispondere, deciso a guadagnarsi e a riprendersi quello che voleva.

“Non ho paura dei pettegolezzi della gente.” Iniziò, facendo un passo verso Gillette, che nel frattempo si era seduto sul tavolo (un’abitudine che aveva fin da ragazzino e che James non era riuscito a togliergli) e scrutava il commodoro come se cercasse di capire se stesse dicendo di nuovo bugie oppure la verità.

“Ho paura della forca e della morte.”

Ancora un passo.

“Ma non ho paura di Dio.”

Un altro passo. Si trovò di fronte allo sguardo scettico e corrucciato di Edward, ed era fiero della sua risposta.

Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui la mente di Gillette lavorò freneticamente e in cui James trattenne il fiato, aspettando ansioso una risposta dell’altro, senza però paura di guardarlo dritto negli occhi con una determinazione che era propria sua ma che gli era venuta meno nell’ultima ora.

“Se non hai paura di Dio, allora non dovresti avere paura nemmeno della morte.” Sentenziò l’altro, dicendolo come se fosse una cosa ovvia.

Norrington sospirò, appoggiando le mani sul tavolo, ognuna di fianco a una delle gambe del tenente, piegandosi in avanti. Il suo naso ora era a pochi centimetri da quello di Gillette.

Mentre lo sguardo di quest’ultimo, però, non era mutato da prima, quello di James sembrava quasi che si fosse addolcito.

“Non capisci, Edward?” chiese, con una voce sommessa. “Io voglio vivere ancora, a lungo, vivere ancora insieme a te, provare tutte quelle esperienze e sensazioni che ho provato fino ad ora.”

Norrington sorrise della sua prontezza, mentre Gillette deglutì e schiuse leggermente le labbra; per una volta, non aveva niente da dire.

“Non capisci, mio caro Edward, che la vita è un dono? Sì, so che è una frase banale,” continuò, con un tono che avrebbe potuto benissimo essere quello di un insegnante che istruisce i suoi allievi “ma per quanto io sia sicuro che il Signore tenga in serbo, per coloro che ne sono degni, un’esistenza meravigliosa aldilà di questo mondo, non credo che sia opportuno vivere solo pensando ad essa, dimenticando questa vita.”

La sua mano destra si era mossa e le sue dita avevano cominciato a tracciare dei piccoli arabeschi sulle guancia di Edward, molto delicatamente, come se, se le carezze fossero state più forti, avrebbero rischiato di ferirla.

Gillette, dopo diversi secondi in cui aveva trattenuto il fiato con aria parecchio indecisa e insicura, aveva chiuso serenamente gli occhi, appoggiando la sua stessa mano sul dorso di quella del commodoro, rilassandosi completamente, lasciandosi trasportare da quella marea di emozioni e di piacere.

“Quand’è così…” disse, riprendo gli occhi, con la prima, vera espressione di serenità dipinta sul volto; un sorriso che Norrington aveva desiderato vedere da così tanto tempo.

Edward afferrò velocemente il superiore per la nuca e spinse le labbra contro le sue, scendendo nel frattempo dal tavolo e buttando le braccia al collo dell’uomo che amava.

James cinse la vita di Gillette e lo baciò con impeto, sentendo la stretta di quest’ultimo su di lui aumentare.

Rimasero così a lungo, avvinghiati l’uno all’altro, come se quell’abbraccio significasse che non avrebbero permesso a niente e a nessuno di dividerli più.

Quando, diversi minuti dopo, le loro labbra si staccarono, Norrington appoggiò le sue all’orecchio del tenente, mentre quest’ultimo cercava di tornare ad un respiro regolare.

“Mi eri mancato.” Gli sussurrò, per poi spostarsi sul collo, cercando ogni singolo tratto di pelle che potesse sfiorare sotto la cravatta di Edward.

Quest’ultimo sogghignò, deliziato dalla sensazione che gli faceva provare quella bocca nel venire a contatto con il suo corpo. “Credevo che non l’avremmo fatto più.” Commentò.

A queste parole, Norrington alzò lentamente la testa e appoggiò la fronte a quella di Gillette, strofinando il naso contro il suo. “Devi imparare, caro, carissimo, Edward, che non sempre hai ragione, sebbene la maggior parte delle volte sì.”

“E’ lusingante.”Rise l’altro uomo, mentre James, da dietro di lui, lo prendeva fra le sue braccia e lo costringeva ad appoggiarsi alla sua spalla.

Edward sospirò e chiuse gli occhi, finalmente in pace con l’anima, provando finalmente dell’amore e dell’affetto dopo così tanto tempo.

Il commodoro, nel frattempo, passava le dita fra i morbidi capelli rossi del suo tenente, dandogli un bacio sulla fronte prima di appoggiarci sopra la guancia.

Passarono così molti minuti, uno appoggiato all’altro, ascoltando le onde del mare che andavano a infrangersi dolcemente sugli scogli della baia e i gabbiani eseguire i loro richiami nelle prime luci dell’alba.

“Jamie?” sospirò Gillette, schiudendo gli occhi e strofinandoseli, come se si fosse appena svegliato dopo una lunga dormita.

“Hmm?”

“Suoneresti qualcosa?”

James voltò la testa, incontrando lo sguardo sognante del tenente. Cercò di assumere un’aria seccata e schioccò la lingua, ma Gillette lo vinse con un supplichevole ‘per favore’ che sembrava uscito dalla bocca di un bambino. Come poteva dire di no al suo Eddie?

Andò a cercare lo strumento in un cassettone, fingendo di farlo di malavoglia. “Ah,” sospirò, scuotendo la testa e aprendo la custodia “mai contento, eh?” disse, sorridendo in direzione di Gillette, che nel frattempo si era già posizionato alla finestra e osservava il cielo, ora dipinto di rosa, di arancione e di grigio.

“Stanotte non ho dormito per colpa tua, James.” Così dicendo, il tenente voltò la testa verso il superiore, cercando di addossargli, per scherzo ovviamente, la causa del suo sonno. “Suonarmi qualcosa è il minimo che tu possa fare.” Continuò, facendo quasi l’offeso.

Norrington divenne serio di colpo, ma la serenità non si tolse dai suoi occhi. Quanto era bello il suo Eddie, così seduto alla finestra, con quei capelli corti, ramati, selvaggi, esposti ai giochi del vento, uno splendido sorriso sulle labbra, la felicità nei suoi occhi scuri, alle sue spalle il mare e i colori dell’alba.

Anche se lui in quel momento non lo sapeva, quell’immagine del suo uomo di quella felice mattina gli sarebbe rimasta impressa nella mente per sempre, e sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto prima di spirare, molti anni più tardi, nel suo letto, come ammiraglio.

“Tutto per il mio Edward.” Disse, con una nota di commozione nella voce, prima di appoggiare il mento sul suo violino, che aveva lo stesso colore dei capelli di Gillette; era anche un po’ per questo che, ogni volta che lo suonava, pensava al suo tenente.

Quest’ultimo si voltò di nuovo in direzione della baia, deliziato da quel suono così dolce e armonioso che solo il commodoro, vibrando le corde del suo violino, riusciva a riprodurre, da quella stupenda visione mattutina, da quella brezza leggera che gli rinfrescava il viso e che gli smuoveva leggermente alcune ciocche dei capelli.

Era stanco ed aveva sonno, ma gli sembrava tutto così perfetto allo stesso tempo. Aveva il suo James, e avrebbe dato volentieri le sue ore di riposo se solo avesse potuto passare tutte le mattine così, con Norrington che suonava e lui che si rilassava alla finestra, magari dipingendo quel paesaggio.

A quel punto, Gillette chiuse gli occhi.

Le note del violino gli portarono pace, quiete, lo riportarono indietro di molti anni, gli fecero riavere sua madre e il suo sorriso per pochi istanti, il tenente confuse la musica dello strumento con la voce di quella donna che gli cantava le canzoni alla sera, per farlo addormentare.

Gli portarono, però, anche qualcosa di decisamente meno piacevole e consolante, nell’attimo in cui i suoi pensieri si concentrarono su Norrington.

Fu una cosa altrettanto rapida quanto decisiva, forse uno scherzo del destino, forse la volontà divina, forse il frutto dei pensieri nella sua mente; in ogni caso, avrebbe cambiato tutto.

Fu solo un pensiero, una considerazione, che da piccola onda innocua si ingrandì, fino a diventare una possente e gigantesca onda oceanica, che lo travolse violentemente e che non gli permise nemmeno di ritornare in superficie, sia dopo molti tentativi.

Edward aprì improvvisamente gli occhi, come svegliato da un incubo, e se James avesse potuto vedere quegli occhi che conosceva così bene, ci avrebbe letto subito la paura.

Se, stando vicino a James e avendo una relazione con lui, non farei altro che accrescer il suo dolore e le sue difficoltà, anziché renderlo felice- oh, perché lo renderei l’uomo più felice della terra!- e far rinascere il suo cuore…

Cosa ci faccio io con lui?

Beh, quando le cose stavano così, quando non avrebbe fatto altro che sacrificare la serenità di James per il loro amore, c’era solo una cosa da fare.

NO!

Deglutì e tentò di calmarsi.

Non poteva, non voleva perdere di nuovo il suo James ora che l’aveva finalmente riavuto, ma cosa ne poteva sapere se le cose sarebbero tornate come una volta?

Norrington aveva scoperto di voler avere una famiglia; lui non gli sarebbe stato altro che d’intralcio, l’avrebbe allontanato dal suo dovere di marito e padre, e non voleva che fosse così.

Anche se ammetteva che non era vero, il commodoro aveva paura degli altri, aveva paura del giudice, e non avrebbero potuto passare tutta la vita nascondendosi, perché tutto, prima o poi, sarebbe venuto a galla, in un modo o nell’altro.

La musica si interruppe bruscamente, ma Gillette non ci diede caso più di tanto.

James corrugò la fronte, preoccupato, poiché Edward sembrava dar segni di malessere. Appoggiò il violino sul tavolo e si diresse verso l’uomo. “Edward? Ti senti bene?”

Ma il tenente non rispose. Sembrava cercare con gli occhi qualcosa, qualcosa di lontano oltre la baia, oltre il mare, ma stava cercando quel qualcosa anche nel profondo di sé stesso.

Allora era così? Non c’era davvero altra soluzione?

“Eddie?”

Cercò ancora, trovando mille scuse, buone a giustificare nulla.

Si erano appena ritrovati, non potevano separarsi, no.

E poi, se avessero tenuto nascosto tutto, se fossero stati prudenti, nessuno li avrebbe scoperti.

In ogni caso, sarebbe bastata una bugia qualsiasi per persuadere un giudice. Ma sì, una scusa dalla bocca del commodoro Norrington, un uomo così onesto e rispettabile, chi non ci avrebbe creduto?

E poi, e poi, e poi…

No, erano solo fantasie.

“Edward? Sei in questo mondo?”

Soltanto il tocco della mano di James sulla sua spalla lo riportò al presente, e il tenente sussultò.

Guardò Norrington, il quale sembrava un po’ preoccupato, un po’ intenerito.

“Cosa c’è che non va, Eddie?” gli chiese, accarezzandogli la guancia.

Gillette aprì la bocca per parlare, ma sembrava che le corde vocali fossero scomparse dalla sua bocca, perché non riuscì a dire nulla.

Non voleva che finisse così; ma ora era il suo turno di pensare al futuro di entrambi, anche se era difficile.

Perdonami, James. Non avrei mai voluto arrivare a tanto. Ma è solo per la tua felicità, credimi. Addio, spero che un giorno potrai perdonarmi.

“James…” iniziò. Ma si era già bloccato nel pronunciare quel nome.

Gesù, Giuseppe e Maria! In che razza di situazione mi trovo?

Il commodoro aspettava ansiosamente delle spiegazioni; al primo momento, gli era sembrato che Gillette si fosse sentito male -stanco com’era, sarebbe potuto benissimo capitare- ma ora aveva capito, non senza preoccupazione, che sotto ci doveva essere qualcos’altro, qualcosa di più grave.

Al tenente stava scoppiando il cuore in petto; lui era rosso in viso e sembrava che facesse fatica a respirare.

“Vedi, James, forse è meglio se…” voltò la testa di lato e si concentrò su un angolo della stanza, deciso ad evitare a tutti i costi gli occhi di Norrington, che sapeva avere su di sé. “Voglio dire, sarebbe meglio per tutti e due se… Se il nostro rapporto finisse qui.”

Deglutì e strinse la presa sul parapetto della finestra con mani sudate, sollevato, in cuor suo, di aver finalmente detto quello che doveva dire. Aveva ancora paura però dell’effetto che avrebbe avuto su Norrington.

Per una manciata di istanti, sembrò che tutto si fosse fermato. I gabbiani non emetteva richiami, le onde non si infrangevano sugli scogli, nessuno fiatava.

Il commodoro immobilizzò gli occhi su Gillette, chiedendosi se aveva davvero capito bene.

“Cosa?” chiese, con voce cupa e ferita.

A Edward si straziò il cuore nel sentire l’intonazione di quella domanda e sbuffò con aria greve, prima di prendere fiato e continuare a parlare.

“Hai sentito, James. Deve finire tutto qui, finire com’è iniziato.” Le sue parole e il suo tono erano ora più fermi ma lui, seppur sicuro nella sua scelta, era lungi dall’essere freddo.

“Oh.” Gemette l’altro, sentendosi mancare. “Oh!”

Si portò una mano alla bocca, dirigendosi verso la sua sedia, dietro il tavolo. Per poco non riuscì nemmeno a spostarla, tanto gli tremavano le mani.

Gillette guardò con l’angolo degli occhi il suo superiore, vergognandosi come un ladro di arrecargli un dolore del genere. Lo vide appoggiare i gomiti sul tavolo e mettersi la testa fra le mani; fu contento di non essere riuscito a cogliere l’espressione dei suoi occhi.

“Perché, Eddie, perché?” chiese l’altro, con un tono stranamente spontaneo e semplice, come se gli stesse chiedendo perché avesse scelto di andare a cavallo invece che in carrozza al mercato. “Perché mi fai questo? Perché mi vuoi lasciare?”

Edward si morse il labbro inferiore, non muovendosi dalla sua posizione. Gli sembrava di sentir piangere un bambino, tanto gli faceva male sentire il suo uomo implorarlo in quella maniera.

“Non capisco davvero.” Continuò Norrington, mettendo finalmente le mani sulla scrivania, rivelando i suoi occhi spenti e colmi di disperazione. “Mi avevi detto tu stesso che non dovevo avere paura di amarti, che non dovevo aver paura di Dio, e proprio ora che ho dimenticato tutto, tu vuoi troncare il nostro rapporto per colpa degli altri?” detto ciò, guardò il suo tenente fisso negli occhi, con l’espressione di un cane bastonato.

Gillette si voltò di scatto, incontrando il viso del superiore, che non lo intimidì né tantomeno lo fece sentire in colpa. Norrington aveva detto qualcosa che non doveva dire.

A labbra serrate, raggiunse la scrivania e si posizionò davanti all’altro, appoggiando i palmi delle mani sul bordo del tavolo. “Stammi bene a sentire, James.” Iniziò, con una voce che a fatica riusciva a controllare. “Non ho preso questa decisione perché ero io a essere intimorito da qualche fottuto giudice o da una maledettissima predica, ma perché ho visto che eri tu a rimetterci a causa del nostro rapporto.”

Lo sguardo accigliato del commodoro non fece altro che accrescere il nervosismo di Gillette, nonché il tono della sua voce.

“Non eri felice, James, e se non lo sei stato allora non lo sarai nemmeno in futuro. Non voglio far soffrire la persona che amo.” Così dicendo, il tenente si voltò e incrociò le mani dietro la schiena.

“Ah, ma davvero?” rise l’altro, alzandosi dalla sedia. “E cosa avevi avuto intenzione di fare nelle ultime settimane? Costringermi a fare un esame di coscienza?” I suoi occhi non esprimevano più autocommiserazione, ma rabbia. Non capiva, non capiva più niente.

L’uomo che credeva di conoscere meglio al mondo, ora gli voltava le spalle. Il perché, ancora lo doveva intendere precisamente.

Gillette si girò di scatto; aveva di nuovo le labbra serrate, che lo facevano sembrare un vecchio conte indignato.

“Ti tenevo a distanza perché tu mi avevi fatto soffrire, James!” ringhiò.

“Volevo una vita normale!”

Normale? Tu volevi una vita normale?!” Edward spalancò gli occhi e si avviò velocemente verso Norrington, raggiungendolo e ponendosi davanti ai suoi occhi; entrambi gli uomini erano eretti sulle proprie persone e sembravano volersi tener testa a lungo, come due tigri in procinto di affrontarsi

Il tenente scrutò per poco il volto del commodoro, sprezzante. Quest’ultimo non diede segno di essere intimorito.

“E con me che tipo di vita conducevi, dimmi? Sai che sono curioso. Cosa diavolo ti mancava?” sibilò Gillette, con la testa leggermente inclinata da un lato. “Cosa poteva darti quella cagna che non potessi darti io?!” gli gridò sotto gli occhi.

“Dei, figli, tanto per citarne una!” replicò Norrington, con lo stesso tono.

“E poi?, e poi? Và avanti.”

“Una…una famiglia, uno suocero, un matrimonio civile, una casa, una vita vera!”

“E l’amore? Quello, la puttana, sarebbe riuscita a dartelo?!”

“Io… Non lo so!”

“Ah, non lo sai? Beh, James, io lo so: no, no perché se invece fosse stato così, non ti avrebbe usato e poi buttato via come un giocattolo per un altro uomo!”

Norrington fece per replicare, ma non trovando niente da ribattere, abbassò lo sguardo, vergognandosi della sua stupidità. Fu come se con quel gesto avesse ammesso che Gillette aveva ragione.

Quest’ultimo, ansando come un toro rabbioso, fissò per qualche altro istante il commodoro, per poi voltarsi di nuovo e allontanarsi di qualche passo da lui.

“Sei proprio divertente.” Borbottò. “Rifiuti la cosa più importante di un rapporto, che posso darti solo io, per fare buona impressione sulla società, seppur al fianco di una donna –anche se non me la sento di chiamarla così, quella ca..-“

“Smettila di chiamarla così, per l’amor del Cielo!”

“… che non avrebbe potuto mai renderti felice. Tu questa la chiameresti una vita normale?!” chiese Edward, incredulo, non voltandosi a guardare il superiore, ma immaginandosi, soddisfatto, la sua espressione. “Ti invidio, sai?” disse, divertito, accigliandosi. “Io non riuscirei mai a fingere di essere felice. Nemmeno se qualcuno mi costringesse.”

James sospirò, e tornò a guardare torvo la schiena del tenente. Gillette gli aveva inflitto diversi colpi bassi, ma lui voleva mostrarsi superiore. Ne aveva sinceramente abbastanza, di discussioni del genere.

“Ascolta, Edward.” Iniziò, con la sua voce profonda e virile. “Voglio dimenticare tutto quello che ci siamo detti, perché non era a questo punto che volevo arrivare.”

Gillette voltò la testa da un lato, non aspettandosi una risposta del genere.

“Al diavolo quello che pensi te. Io non ti lascerò. Mai. E non ti permetterò di fare lo stesso con me!” James cercò gli occhi dell’altro con i suoi, reclamando più attenzione.

“E chi siete voi, commodoro, per dirmi cosa fare nella mia vita privata?” lo canzonò l’altro, voltandosi per fronteggiarlo.

“La persona che tu ami, e che ama te.” Rispose Norrington, assolutamente tranquillo.

L’altro sospirò e osservò ogni angolo del viso di James, non sapendo esattamente se dovesse replicare qualcosa o no.

In cuor suo, in fondo, forse, era contento dell’affermazione del commodoro.

Quest’ultimo lo prese per le spalle e lo guardò dritto negli occhi, cercando di dirgli chissà cosa. “Edward… sarebbe stato tutto una messa in scena, una farsa. Non avrei amato Elizabeth più di quanto mi avrebbe amato lei. Sei stato sempre tu la persona che ho voluto.” Norrington strinse Gillette ancora più convulsamente, provocando un sibilo di dolore di quest’ultimo.

“James… Ahia! Deficiente, sai che là ho una scottatura!”

“Una volta acquistata una buona reputazione, avrei abbandonato tutto, e sarei scappato con te! Te lo giuro, l’avrei fatto senza pensarci un attimo! Amavo te, Edward, te!” Il tono della voce di James era davvero incontrollato, e i suoi occhi sembravano quelli di un fumatore d’oppio. Gillette lo guardò confuso, perfino un po’ preoccupato, sentendo la morsa sulle spalle diventare più forte.

“Sarebbe stata una follia, ma per te ero disposto a fare di tutto, perfino a buttarmi da una nave in tempesta se tu l’avessi voluto! Ecco, mi butterei giù dalla finestra se tu ora me lo ordinassi, vuoi mettermi alla pr…”

“Ma smettila!” gridò il tenente, dandogli all’improvviso uno schiaffo.

Norrington sentì la guancia iniziare a bruciargli, e rimase nella sua posizione, con lo sguardo intontito e gli occhi persi nel nulla, mollando la presa sulle spalle di Gillette.

Rimasero per qualche istante così, sopraffatti uno dall’improvvisa follia dell’altro, e quest’ultimo dallo schiaffo che aveva appena ricevuto e che l’aveva fatto tornare lucido.

“Non lasciarmi.” Mormorò il commodoro, lasciandosi andare fra le braccia di Edward. “Ti prego…” disse, stringendo le maniche della sua casacca.

Gillette all’inizio parve riluttante, ma subito dopo, mandando al diavolo il suo orgoglio, ricambiò l’abbraccio, stringendo forte il suo uomo.

“Edward…”

“James… non faresti altro che soffrire se dovessimo restare insieme. Lo sai anche tu.” Mormorò l’uomo più giovane nell’orecchio dell’altro.

“Io ti amo… come potresti farmi soffrire?” singhiozzò il commodoro, iniziando a piangere per la seconda volta in un’ora e mezza.

“So che tu dalla vita vuoi qualcos’altro che una relazione clandestina.” Rispose rassegnato il tenente, sospirando alla sua stessa affermazione.

Quanto era difficile, quanto, accettare la realtà?

If I
Should stay
I would only be in your way
So I'll go
But I know
I'll think of you every step of
the way

“Ma io sono cambiato, Edward!” sentenziò Norrington, alzando il volto e guardando chi lo stava sorreggendo. “L’unica cosa che voglio sei tu!”

Gillette sorrise e gli accarezzò una guancia. “Sai che non hai bisogno di convincermi che ciò sia vero. Ti credo, ma sappiamo entrambi che non posso darti quello che desideri.”

“Amore?” chiese accigliato Norrington, con il labbro inferiore che tremava. “Sei l’unico che può.”

Edward scosse la testa, senza smettere di sorridere. “Bambini, matrimonio, una convivenza civile. Lo hai detto anche tu.”

James sembrò ferito da quel comportamento. Non aveva mai amato nessuno come il suo tenente, eppure… Aveva forse ragione Edward a dire che non gli poteva dare tutto quello di cui aveva bisogno e che voleva?

Bittersweet
Memories
That is all I'm taking with me
So good-bye
Please don't cry
We both know I'm not what you
You need

“A dirla tutta,” continuò il tenente, visto che Norrington non si decideva a rispondere “anche a me piacerebbe avere tanti bei bambini con i capelli rossi che mi correrebbero per l’intera la casa.”

Risero entrambi, a quella visione.

Era strano, per loro, immaginarsi sposati con una donna, diventare padri, e poi nonni…

E da una parte era triste, perché sapevano che se così fosse stato, i loro matrimoni avrebbero definitivamente troncato la loro relazione.

“Saresti un bravo papà.” Disse James, una volta che ebbero smesso di ridere. Le sue intenzioni erano buone e con quelle parole avrebbe voluto fare un complimento al suo uomo, ma il modo in cui aveva abbassato lo sguardo, in cui aveva sorriso amaramente, il tono poco sicuro della frase… Tutto faceva capire che non avrebbe sopportato l’idea di vederlo con qualcun altro.

Edward ne era conscio, eppure decise che era meglio non dire niente al riguardo. “Anche tu. Saresti anche un ottimo marito.” Rispose semplicemente.

I loro occhi si incontrarono per qualche istante, e si riempirono di lacrime.

Entrambi sapevano a cosa andavano incontro, ma era meglio non mettere il dito nella piaga.

Non volevo separarsi, eppure, allo stesso tempo, avvertivano che era necessario.

No, non era decisamente facile, per due uomini come loro, prendere delle decisioni.

Tutto quello che fecero fu abbracciarsi di nuovo, e lasciar scorrere le lacrime, senza fermarle, giù per le guance, pensando a tutto tranne che alla loro prossima separazione.


I hope
life treats you kind
And I hope
you have all you've dreamed of
And I wish you joy
and happiness
But above all this
I wish you love

“Sai bene chi avrà sempre il mio cuore, vero, James?” chiese Gillette, fra le lacrime, accarezzando la schiena dell’altro.

“Io lo so. E tu sai chi terrà sempre il mio?” replicò il commodoro, riuscendo perfino a sorridere.

“Sì, stai tranquillo.”

“Bene. Starò sereno per il resto della mia vita, sapendo che è in buone mani.”

A quelle parole, Gillette riuscì soltanto a stringere ancora di più l’uomo che amava, e la vista gli si annebbiò, la stanza iniziò a girare, così chiuse gli occhi, sentendosi sicuro nella braccia di James.

“Ti amo. Ti amerò sempre.” Bisbigliò.

Norrington gli baciò la tempia, non avendo la forza per rispondere a parole.

Erano gli ultimi istanti che potevano passare insieme, almeno, in quel modo. Anche se si sarebbero amati sempre, non sarebbe stato più possibile per loro avere un rapporto come quello che avevano avuto fino a quel momento.

Sarebbero stati solo il commodoro e un tenente, forse anche due amici sinceri, ma mai quello che veramente avrebbero voluto essere.

“C’è qualche possibilità di tornare sui nostri passi?” bisbigliò James all’orecchio di Edward, coltivando ancora qualche leggera speranza nel profondo di sé.

“No, James.” Gli rispose semplicemente il tenente, non volendo tornare sull’argomento, mai più.

L’altro sospirò, rassegnandosi ad affrontare la vita che gli si parava davanti, facendo ancora fatica a credere che, in quella vita, non ci sarebbe stato spazio per il suo vero amore.

“Quanto manca per andare a lavoro?” chiese, sperando che quel momento non arrivasse mai, sapendo che sarebbe dovuto arrivare.

“Ancora un po’.” Lo rassicurò l’altro, deglutendo.

“Bene. Ricordi vero che ho deciso di vivere la vita fino all’ultimo?” disse Norrington, passando le labbra sull’orecchio e sulla tempia del suo tenente. Quest’ultimo rise, sapendo a cosa accennava il suo superiore. “Sì, signore.” Rispose, divertito.

“E noi abbiamo ancora un po’ di tempo. Non intendo lasciarvi andare finché non sarà ora di andare, seppiatelo.”

Presto sarebbe arrivato un nuovo giorno, e ci sarebbero stati solo il commodoro Norrington e il tenente Gillette, ma quel momento non era arrivato ancora, e loro erano solo due uomini, due comuni uomini che si amavano, James ed Edward.

And I...
Will always love you.
I Will always love you

I, I will always love you.
Darling I love you
I'll always
I'll always
Love
You.. .

 

***

 

Fine

***

 

La mia prima storia slash è completata^^. Questa fanfiction non c’entra niente con l’altra storia, seppiatelo, l’ho scritta perché Gillette e Norrington mi sono sembrati una bella coppia^^!

Spero davvero che vi sia piaciuta. Vi prego, lasciatemi una recensione, fatemi sapere com’era, ne ho bisogno (sul serio!).

E ora qualche copyright: i personaggi de La Maledizione Della prima Luna appartengono alla Walt Disney, mentre la canzone I Will Always Love You è di proprietà di Whitney Houston o di chi l’ha scritta/composta.

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