Glance

di Sakura00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Metà ***
Capitolo 2: *** Ciò che non dico ***
Capitolo 3: *** Ombre ***
Capitolo 4: *** Hai paura? ***
Capitolo 5: *** Pensieri che corrono ***
Capitolo 6: *** Scoperte ***
Capitolo 7: *** The Only Exception ***
Capitolo 8: *** Who scream out loud inside me? ***
Capitolo 9: *** Normalità. Definizione, prego? ***
Capitolo 10: *** Prima del peggio. Prima che ci incontrassimo. ***
Capitolo 11: *** Il tepore del sonno. ***
Capitolo 12: *** Distogli la mia mente. ***
Capitolo 13: *** Fuoco e sangue ***



Capitolo 1
*** Metà ***


Cap.1





Ecco la mia seconda fanfiction! ^^

Questa volta sarà più lunga e, dato che non ho pronti altri capitoli, gli aggiornamenti saranno più lenti rispetto a quelli dell'altra fic, mi scuso quindi per questo U_U

Il testo in corsivo è un mio pensiero sul titolo, se lo vedete troppo lungo e noioso potete saltarlo non influisce sulla trama. Mi piaceva però introdurre così...



Preludio****



Ogni giorno incrociamo lo sguardo di molte persone. Quante volte ci siamo fermati a chiederci perché qualcuno ci sta guardando? Quante volte ci siamo sorpresi nel fissare una persona, solo perché non ci piaceva il suo paio di scarpe?

Sin da quando siamo bambini ci viene insegnato che non bisogna mai fermarsi alla prima impressione. Eppure ognuno di noi lo fa. Con una sola occhiata si decide se una persona è bella o brutta. Con una sola occhiata decifriamo le espressioni. Con una sola occhiata si capiscono le emozioni. Con una sola occhiata riusciamo a prendere decisioni, seppur avventate, ma purtroppo alcune volte necessarie. Con una sola occhiata riusciamo anche a trasmettere i pensieri. Il nostro assenso o la nostra disapprovazione. Inarchi un pochino le sopracciglia. Sgrani leggermente gli occhi. Li rendi sottili come fessure. Storci leggermente la bocca. Abbassiamo la testa insicuri. La teniamo alta con orgoglio. Con una sola occhiata possiamo notare migliaia di espressioni che vogliono dire altrettante cose. Una sola occhiata può bastare a far risultare interessante una persona.

Ma pur sbagliando la maggior parte delle volte, nessuno si può fermare. È un istinto del nostro subconscio. Ogni volta che posiamo per la prima volta lo sguardo su una persona, facciamo considerazioni, senza neanche volerlo. Solo il tempo potrà decidere se cambiarle o meno. Alcune volte rimangono quelle, alcune volte cambiano. Alcune volte portano delusioni, alcune volte sorprese.

Ma l'amore? Non è una scienza, eppure non è neanche una magia. Possiamo innamorarci di una persona per il suo aspetto, per la sua anima, per il suo sguardo e sentirlo eterno in quell'istante. Ma si sa, in amore può finire anche male, un tradimento, una bugia, un litigio o semplicemente perché svanisce la fiamma. E anche in questo uno sguardo può dire tutto. Con una sola occhiata puoi capire se due persone si amano. Ma puoi capire da uno sguardo se una persona ama te? Può uno sguardo accendere l'amore che dura tutta la vita?

E quindi solo ora pongo la fatidica domanda. Esiste l'amore a prima vista?



****Capitolo****



I capelli gli cadevano lunghi sulla schiena.

Erano quattro giorni che stava rannicchiato per terrà, su quel pavimento gelido e lurido. L'odore di nafta invadeva quel posto disgustandolo, una sola finestra illuminava la stanza. Aveva ignorato la branda cigolante buttata in angolo, come ignorava tutto del resto. Da quando lo avevano portato in quella stanza il tempo si era fermato, non sentiva neanche il battere del suo cuore, ma ignorò anche questo. Il suo tempo era fermo.

Occhiaie scure gli ornavano il volto, aveva l'impressione di non aver mai sbattuto le palpebre.

Aveva lo spirito e il corpo distrutti, aspettava di essere pervaso dal dolore da giorni, invano.

Era vuoto, non sentiva alcuna emozione e sensazione.

Era perso, non riusciva a trovare la strada per parlare e muoversi.

Non era morto.

Non era vivo.

Un pensiero occupò la sua mente per una frazione di secondo.

Lui era o non era?

Sentì l'istinto di una risata morirgli nello stomaco nel rievocare l'Amleto, ma non ci mise molto a svuotarsi di nuovo.

Bussarono per la decima volta alla porta e il ragazzo capì che era iniziato il quarto giorno e che erano le 9.30 di mattina. Lasciarono, stavolta in silenzio, un altro vassoio di cibo sull'unico tavolino nella stanza, portando via l'altro, che neanche di uno sguardo era stato degnato. Un sospiro e la porta era chiusa di nuovo. Solo la prima volta, chiamato per nome, si era ridestato e aveva guardato con disgusto il cibo sul vassoio, non perché fosse buono o cattivo, ma perché il solo pensiero di rimettere in moto lo stomaco gli aveva fatto salire la bile in bocca. Non era lui questo, solitamente avrebbe divorato ogni portata senza fare complimenti. Sospirò.

Non si era cambiato mai di vestiti, aveva gli stessi da una settimana, anche se sulla branda avevano buttato qualche indumento nuovo. I suoi bisogni, chiamiamoli intimi e non ignorabili, erano andati scemando per via del digiuno e oramai non si alzava mai dalla sua postazione oscura (così la chiamava).

Solamente quattro giorni fa aveva corso tanto, a perdifiato, senza mai rallentare il ritmo seguendo l'asfalto della strada per uscire il prima possibile da quell'inferno. Aveva sentito bruciare le gambe e i polmoni e aveva stretto i denti per non mollare. Era inciampato e una volta fermo aveva cominciato a tossire convulsamente per l'enorme sforzo. Non aveva sentito il cuore in gola, ma nella testa, al centro della testa, che pulsava e sembrava che avrebbe voluto esplodere. A quattro zampe aveva cercato di riprendere fiato alzando e riabbassando irregolarmente il busto. Con occhi sgranati dalla fatica aveva osservato il sudore mescolato alle lacrime che gocciolava sulla terra brulla. Si era poi guardato intorno e una volta resosi conto di non essere neanche fuori città, aveva urlato, alzato i pugni in cielo come aspettando un segno da quelle coltri di nubi, che sembravano essere state spettatrici dello scempio da cui era fuggito per cercarla. Quando aveva visto che non succedeva, ovviamente, niente, con un ringhio aveva sbattuto i pugni a terra. Aveva aspettato che la rabbia rifluisse per sfogarsi, ma il rumore di un auto lo aveva interrotto. Aveva alzato lo sguardo verso quella e aveva visto scendere gli uomini che lo avrebbero portato lì, dov'era ora. Nella postazione oscura.

A cercarla, ripensò. Già, perché la suddetta ragazza era scappata ben quattro anni prima di lui, per ovviamente altri e futili, secondo lui, motivi. E perché la cercava poi? Già, non l'avrebbe più cercata, non c'erano motivi per cercare quell'incosciente. A parte una stupida promessa, facile da infrangere...

Ma si disse che era inutile mentire a se stessi. Non sapeva quante volte se l'era ripetuto, ma sapeva che l'avrebbe continuata a cercare.

Lui non aveva più niente. Lei era tutto ciò che gli rimaneva. Loro, erano come due metà.

Improvvisamente, come un fulmine nella sua mente, capì. Capì perché non l'avevano più trovata. Ripensò a tutti i pianti della madre, ogni volta che il padre tornava la sera a casa scuotendo senza speranza la testa. Pensò che era ovvio che non l'avevano trovata, conoscendola avrebbero dovuto cercarla nell'altra metà. Certo, è anche probabile che non sarebbero riusciti a trovarla anche se era in questa di metà, Nerima era immenso. Ma lei...Lui la conosceva bene, aveva il suo stesso carattere e se scappare implicava quello che pensava, sarebbe andata non poco lontano.

Non solo lontano, conoscendola, il suo lontano non doveva essere solo in senso fisico...

In quel momento il suo vuoto si riempì. Aveva un scopo. Doveva scappare.

Saettò per la prima volta con lo sguardo per la stanza, sorpreso di esser riuscito a ritrovare quella facoltà motoria così facilmente. Sciolse i muscoli indolenziti delle braccia e delle gambe rialzandosi, la gioia di sentirli pronti a combattere nuovamente lo pervase e sentì che il suo tempo aveva ricominciato a scorrere.

Si raccolse i capelli in una coda nella mano e si corrucciò di non avere un laccio per sistemarli nella sua familiare treccia nera. Cercò di non darci peso, per non pensare a come aveva perso la stringa, e di concentrarsi sul suo obiettivo, lasciandoli cadere come prima, lunghi sulla schiena.

Vagliò velocemente le opzioni praticabili. Di sicuro quelli del S.G. non lo avrebbero lasciato andare così, quindi sarebbe dovuta essere un'operazione di fuga molto ingegnosa...

Si guardò intorno e il suo sguardo finì sulla finestra. Sospirò e si sentì stupido. Anche se quelli non lo avrebbero lasciato andare, era impensabile una sua fuga.

Si diresse a lunghi passi alla finestra per vedere cosa lo aspettava fuori e si rese conto di essere al piano terra. Troppo facile, sbuffò, poi continuò a guardare e intravide l'entrata, sicuramente sorvegliata si disse, e tutto l'intero spiazzo che occupava l'edificio circondato da un muro. A quel punto fece per scavalcare la finestra quando il pensiero gli cadde sul lungo viaggio che lo aspettava e alle energie che gli sarebbero servite, fece spallucce e prima di andare decise che mangiare non avrebbe occupato troppo tempo.

Non appena ebbe dato un morso al pane sentì svegliarsi una fame vorace che gli fece rimpiangere di non aver mangiato la cena che era stata portata via e di doversi accontentare di una colazione.

Finì velocemente di trangugiare l'ultimo sorso di latte con bramosia, non sentendosi per niente soddisfatto, ma piuttosto peggio di prima. Ebbe la tentazione di andarsene dopo il pranzo, ma il suo obiettivo risalì al primo posto delle priorità.

Scavalcò con sicurezza la finestra e con maggior cautela e silenzio possibile si avvicinò alle mura, che superò con sorprendente agilità.

Il suono di un allarme gli penetrò i timpani e gli gelò il sangue nelle vene. Come avevano fatto a scoprire così presto della sua fuga?! Si infilò velocemente dietro uno stipite del muro. Si sporse leggermente e sbirciò verso l'entrata principale e oltre l'enorme viavai di guardie notò un piccolo affare grigio, affisso sul muro. Una telecamera. Imprecò a mente e uscì dal suo nascondiglio correndo, senza temere di essere scoperto, per le vie di quella città sconosciuta.

Sentiva chiaramente i passi dietro di se, scalpitavano sul terreno irregolare peggio di cavalli. Lanciò un'occhiata veloce alle sue spalle, valutando la loro distanza e il loro numero. Non era di questo che aveva paura, era più veloce di loro e, di sicuro, aveva percorso distanze maggiori.

Ciò che temeva era che prima o poi con le automobili lo avrebbero raggiunto.

Timore, paura. Un insulto era per lui, nient'altro. Aggrottò le sopracciglia e strinse i denti. Appena una settimana fa avrebbe preso a pugni chiunque lo avesse accusato di aver paura, ma doveva ammetterlo. Aveva paura.

Paura di non trovarla.

Paura di essere raggiunto.

Aveva paura delle conseguenze. Del futuro.

Una via di fuga lo distrasse da quei pensieri che sembravano volerlo far impazzire. Un uomo, seminascosto dietro un porta di una casa, gli faceva cenno con la mano di raggiungerlo. Agì d'istinto, con uno scatto disumano cercò di seminarli il più possibile per fiondarsi dentro. Il tale lo spinse in una botola per poi seguirlo a sua volta. Finì in uno spazio di massimo un metro quadro con una debolissima lampada ad olio vicino ai piedi che gli illuminava solo quelli. Doveva essere una specie ripostiglio, perché nel momento in cui atterrò sul fondo sentì lo scrocchio di alcune scatole sotto i piedi. Si disse che avrebbe dovuto rimanere il più fermo possibile per non fare rumore. Non capì come si era chiusa tanto velocemente la botola, ma sentì uno «Sh» appena accennato mentre l'uomo di prima gli teneva giù la testa e poco prima del botto di una porta sbattuta contro un muro. Trattenne il fiato mentre sentiva il rumore dei passi sopra di sè.

«Ah! Che volete da me?!» Era la voce di un vecchio.

L'individuo davanti a sé sussurrò con un filo di voce. «Cavolo, è vero. Abito col nonno!»

Ma che diavolo...? Era confuso. Con chi era finito?

«Non prenderci in giro, vecchio. L'abbiamo chiaramente visto entrare qui.» Cominciò a sudare freddo, come colui che aveva appiccicato addosso in quel buco in cui erano nascosti.

«Ma chi?!» Dalla voce del vecchio trapelava non poco panico.

«Ranma Saotome! Stiamo cercando Ranma Saotome! Ti abbiamo detto che abbiamo visto che è entrato qui e DI NON PRENDERCI IN GIRO!» Appena sentì pronunciare il proprio nome il ragazzo cominciò a tremare e gli venne l'istinto di scattare in piedi e scappare, ma, per fortuna pensò, lo spazio angusto in cui si trovava glielo impedì. Tremò perché quel nome lo aveva riportato a ciò che era stato. A ciò che era. Alla voce dei suoi genitori, dei suoi amici. Alla sua vita. O almeno a ciò che era stata una vita.

Fino a quel momento Ranma si era considerato semplicemente una persona, un viandante, con uno scopo tuttavia. Era vuoto tranne per quell'unico obiettivo. Ma il suo nome aveva riportato a galla tutto. Soprattutto la sua identità, quella che aveva ignorato negli ultimi giorni, quella che non aveva più voluto. Cercò un appiglio, per uscire di nuovo dalla sua vita e si distrasse ascoltando i rumori esterni. Sentì diversi tonfi e dei gemiti smorzati, stavano picchiando quello che doveva essere il nonno di chi aveva vicino e si lasciò pervadere dal senso di colpa. Ricominciando a ignorare la sua identità.

Fece per sussurare qualcosa, ma le voci di sopra lo fermarono. «Tsè, è svenuto... Perquisite la casa e poi andiamocene, se non lo trovate... torneremo domani, anche nelle case vicine.»

Risentì diversi passi muoversi rumorosamente per almeno dieci minuti, poi silenzio. Quello davanti a sé parlò a voce normale. «Vieni, usciamo.»

Ranma strizzò un poco gli occhi quando vide la luce del giorno entrare dalla botola aperta, ma poi lo seguì e vide quello che doveva essere il ragazzo di prima. Aveva i capelli castani, chiusi in un piccolo ciuffetto sulla nuca e portava uno strano abito blu. Afferrò uno... spazzolone?... per poi dirigersi con calma verso un vecchio, steso per terra, un po' livido e con la lingua di fuori. Aveva tutti i capelli e la lunga barba bianchi tranne che per l'enorme stempiata. Ranma per un attimo non seppe cosa fare, se chiamare un medico o chiunque altro, ma vide l'altro ragazzo sbuffare e dire: «Alzati nonno, se ne sono andati, mi fai senso lì per terra.»

Il vecchio schiuse un occhio con cui esaminò la stanza, poi balzò in piedi. «Allora? Avete fame?»


Poco dopo erano intorno a un tavolo, Ranma non aveva ancora spiccicato parola, ma stava divorando con ferocia il piatto che aveva aiutato a cucinare.

«Hai fame, eh?» Gli fece notare l'altro ragazzo.

Lui fece solo un assenso col capo senza neanche alzare lo sguardo dal piatto.

Quando tutti ebbero finito. Rimasero in silenzio a tavola, il ragazzo col ciuffetto parlò per primo.

«Allora, come ti chiami?» Ranma per un attimo si chiese se stesse scherzando.

Intervenne il vecchio.«Ah, Shinnosuke! Nipote smemorato! Non hai sentito prima quei brutti ceffi urlare il suo nome?!»

«Ah, è vero. Ti hanno chiamato Ranma Saotome. È questo il tuo nome, Ranma?» È un povero idiota, pensò tristemente l'interpellato, che annuì deciso in risposta. A quanto pare avrebbe dovuto abituarsi a sentir nominare il suo nome, cercò di strapparlo da tutto quello che quella stupida parola si portava dietro. Solo Ranma. Ecco, un nome e basta.

Poi un'espressione confusa si impossessò di Shinnosuke e guardò il nonno. «Ehi, ma scusa, tu chi sei?»

Il vecchio diede un pugno in testa al ragazzo e lui disse di ricordarsi, un po' malamente.

Ranma aprì bocca per fare una domanda, ma non uscì alcun suono dalla sua gola. Si ricordò che non parlava da diversi giorni e dovette fare uno sforzo non poco trascurabile per articolare le parole e il risultato non fu eccellente. «Io...Voi... Perché mi... avete aiutato?»

Aveva la voce gracchiante e debole, che odiò subito, ma sentì che man mano che parlava andava migliorando.

«Beh, non so se te ne sei accorto, ma hai mai visto la ricchezza del centro da cui sei scappato? Hanno le macchine e tutte le loro strane tecnologie, che dovrebbero essere inesistenti qui a Nerima! Di solito tutti quelli dotati di tanti soldi stanno nell'altra metà. Allora perché loro stanno qui? C'è qualcosa che non quadra... E poi perché darsi tanto affanno per cercarti? Cioè, è normale, ma non con questa violenza, considerando i loro scopi ufficiali... Ma che è quella faccia? Non dirmi che non te n'eri accorto!» In realtà Ranma non ci aveva neanche lontanamente pensato, date le condizioni in cui era, ma... se Shinnosuke avesse avuto ragione? E se quel gruppo c'entrava qualcosa con lo sterminio da cui era scappato? Che ci fosse qualcosa di ancora più losco dietro tutte quelle morti lo angustiava. Cos'altro lo aspettava ancora? Sospirò. A quanto pare un “mistero” si era accantonato al suo scopo.

«Beh, comunque ti ho aiutato perché... Diciamo che mi fido del mio istinto...»

Stavolta cercò di chiarirsi la voce tossendo prima di rispondere. «Ah, grazie... Ma comunque hai ragione. È strano, ma...» Fece una pausa alzandosi. «...non mi riguarda. Io ho ben altro da fare. Quindi vi ringrazio dell'ospitalità, ma io mi congedo.»

Shinnosuke lo fermò. «Aspetta, se eri da solo da quelli. Non credo che... insomma, perdona la franchezza, ti rimanga qualcosa...» L'occhiata dell'altro lo astenne dal continuare, così cambio domanda. «Dove dovresti andare?»

Ranma rimase un attimo interdetto, lo squadrò per poi decidere che poteva fidarsi.

«Io devo andare...» Abbassò la voce. «...Nell'altra metà.»

I due lo guardarono sbigottiti.«Cosa?»

«Non ti faranno mai passare! Quelli di Nerima non possono andare là, lo sai bene! Lo sa bene chiunque! Dì un po' ti sei bevuto il cervello?» Aggiunse l'anziano, alzandosi a sua volta.

Ranma prima di rispondere sospirò rumorosamente. «Si, lo so! Ma... dall'altra parte, c'è tutto ciò che mi rimane a questo mondo.»

Il vecchio sbuffò mentre Shinnosuke lo guardò con uno sguardo grave, si alzò infine anche lui e disse: «Vengo con te, a Jusenkyo.»

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Capitolo 2
*** Ciò che non dico ***


Cap. 2






«Vengo con te, a Jusenkyo.» Affermò Shinnosuke con determinazione.

Ranma alzò le sopracciglia incredulo e fece per dire qualcosa, poi sbuffò e si rilassò. «Puoi fare come ti pare.»

In fondo non gli cambiava niente, ma il nonno non sembrava essere altrettanto d'accordo. «SHINNOSUKE!» Sbatté i pugni sul tavolo. «Nipote sciagurato! Cosa ti salta in mente anche a te?! Non farlo!»

Il ragazzo assunse un'espressione severa. «Nonno, tu sai perché voglio andare. Non rendere il tutto più difficile di quanto non lo è già...»

I due cominciarono a discutere e Ranma si sentì un po' escluso così si rimise seduto sulla sedia e sgranocchiò dei biscotti che erano a tavola. Quando sembrò che avessero finito rivolse la sua attenzione di nuovo a loro. L'anziano sospirò rumorosamente, guardò il nipote dapprima con apprensione, ma poi la sua espressione mutò in una maschera di antica tristezza. Ranma pensò che non l'avrebbe mai dimenticata. «Ah, l'amore. Voi giovani siete tutti uguali... Ma va bene, puoi andare, ma fammi almeno il favore di portarti una cosa con te.»

Una volta che il nonno uscì dalla stanza, Shinnosuke tirò un sospiro trionfante. Poi corrugò le sopracciglia e si grattò la nuca. «Ma aspetta. Dove devo andare? A cosa si riferisce?»

Ranma alzò gli occhi al cielo, se Shinnosuke fosse veramente venuto con lui avrebbe dovuto abituarsi a questo suo “piccolo” problema.

Tornò il vecchio nella stanza e lo smemorato sembrò riprendere lucidità, aveva portato con sé due rettangoli di forma irregolare e grandi quanto una mano. Ranma non li riconobbe, ma capì che dovessero essere apparecchi tecnologici, ne diede uno in mano a Shinnosuke. «Tieni, ragazzo. È un cellulare, piuttosto vecchiotto lo ammetto, uno dei primi, ma ci servirà a tenerci in contatto e tra l'altro è a prova d'intercettazione.»

I due giovani sgranarono gli occhi, dei cellulari avevano solo sentito parlare figuriamoci vederne due!

«Me l'ero immaginato diverso...» Farfugliò Ranma squadrando l'oggetto in mano al coetaneo. Avrebbe voluto chiedere come se li era procurati, ma non credeva che glielo avrebbe detto...

«Grazie nonno.» I due sembrarono un po' in imbarazzo, ma poi si abbracciarono. Si volevano bene. Ranma fremette alla scena tanto familiare anche per lui e distolse lo sguardo, perdendosi alla ricerca di una distrazione, seguendo ad esempio la direzione di una crepa sul muro con gli occhi.

«Ok, andiamo Ranma.» Shinnosuke riscosse Ranma dai suoi pensieri che annuì. Poi il primo sembrò ricordarsi qualcosa ed entrò in una camera, svelto ne uscì subito con uno spago in mano.

«Hai i capelli lunghi e ho pensato che ti avrebbe potuto far comodo...» Shinnosuke arrossì un poco, gli era sembrata un'idea meno ridicola pochi attimi prima, ma si dovette ricredere quando vide qualcosa di simile a una luce brillare negli occhi di Ranma.

«Grazie.»Quest'ultimo raccolse esitante l'oggetto dalla mano dell'amico, guardò il cordoncino per qualche secondo esaminandolo. Era spago, del tipo che sembrava di carta. Ma bastò comunque a stordire la mente del ragazzo. Con gesti meccanici portò le mani dietro la nuca, chiuse gli occhi e lasciò che l'abitudine affiorasse per gustare quel piccolo momento familiare, di routine. Le mani si muovevano sicure sui capelli, senza incontrare troppi nodi. Quando ebbe finito si sentì sollevato, più leggero. Inspirò ed espirò profondamente e rivolse lo sguardo a Shinnosuke. «Andiamo.»


Si congedarono dal vecchio e si avviarono senza attirare troppa attenzione ai confini di quel piccolo villaggio. Non ci volle molto, il sole stava ancora tramontando quando i due si ritrovarono in una vastissima prateria. Shinnosuke lanciò uno sguardo dietro di sé salutando la propria casa, non sapendo se l'avrebbe più vista.

« Nel prossimo villaggio dovremmo procurarci dei cavalli, non possiamo farcela a piedi.» La voce di Ranma lo fece tornare coi piedi per terra. «Hai ragione, ma considerando ciò che mi sono portato, cioè tutto ciò che possedevo, possiamo a malapena comprarci il cibo per un'altra giornata. Dubito che riusciremmo a comprare un cavallo...»

L'altro rispose imprecando. «Dannazione! Non potevi chiedere i soldi a tuo nonno?! Come credi che possiamo sopravvivere?»

Shinnosuke aggrottò le sopracciglia. «Ma cosa credi?! Se avessi tolto quel poco che ha a mio nonno non sarebbe sopravvissuto lui! E di certo non avrei raggiunto la somma per due cavalli!»

Ranma rispose con un grugnito, ma sapeva che aveva ragione. Cos'altro poteva aspettarsi da una famiglia composta da un vecchio e un emerito scemo? Quasi per caso frugò nelle sue tasche, ma erano come se le aspettava. Come tutto il resto. Vuote.


Scese la notte e i due si accamparono sotto uno dei pochi alberi. Dopo vari borbottii e lamentele riuscirono ad accendere un focolare. Shinnosuke si era portato alcuni pasti pronti, li tirò fuori dallo zaino e li mise a scaldare. Ranma stava seduto a gambe incrociate davanti il fuoco e assaporava il tepore che gli trasmetteva, variava a seconda della direzione del vento e quando tirò una folata più forte alle sue spalle rabbrividì.

«Hai freddo?» Si voltò verso Shinnosuke che stava tirando fuori due piccole scodelle entrambe incrinate. Fece cenno di no e scivolò con lo sguardo sul bastone che si era portato l'altro. Era lo spazzolone dello stesso giorno. «Mi spieghi cosa ci fai?»

Il ragazzo si voltò verso dove aveva indicato l'amico e posò le scodelle accanto al fuoco. Scrollò le spalle. «Ci combatto.»

Ranma inarcò ancora di più le sopracciglia chiedendosi se doveva ridere o meno. Ma l'altro aveva già spostato l'attenzione su altro, cominciando a riempire le scodelle con la zuppa che aveva scaldato. «Buon appetito.»

Ranma soffiò piano sull'acqua che emanava il fumo del calore, deviandone per un' attimo la direzione. Cominciò a sorseggiarla piano, percependo il calore che lo pervadeva da dentro. Quando la sentì meno bollente la buttò giù tutta d'un fiato. Posò la scodella di fianco a Shinnosuke, che non aveva ancora finito, e si mise a frugare nello zaino.

Quest'altro finì il pasto e impilò la propria scodella dentro quella di Ranma. Si voltò e si accorse dell'altro. «Che cerchi?»

Non rispose, ma tirò fuori un grande foglio di carta che spianò per terra tra loro. «Dobbiamo un attimo organizzarci. Dove siamo?»

Shinnosuke esaminò la mappa e indicò un nome. « Il mio villaggio è questo, Ryugenzawa. Di conseguenza noi stiamo percorrendo questa landa. La prateria Allan.»

Ranma annuì. « Il prossimo villaggio si chiama Krollor. Mmm, non mi inspira per niente. Ma è la direzione giusta.»

Fissò un poco la cartina e la richiuse subito dopo nello zaino. Aiutò a mettere tutto ciò che avevano tirato fuori a posto, tranne le ciotole che sarebbero dovute essere lavate nel primo fiume che incontravano.

Shinnosuke stese un tappetino a terra e Ranma si appollaiò addosso all'albero e disse: «Se non è troppo indiscreta come domanda, mi dici come mai vieni con me?»

Non rispose subito. Si stese supino guardando il cielo e incrociò le braccia al petto. «C'è una ragazza che amo. Non mi sono ancora dichiarato, ma non l'ho più vista. Abitava nel mio villaggio, ma una volta mi raccontò che voleva scappare e andare a Jusenkyo. Aveva sentito voci straordinarie su quel posto... Io ho cercato di dissuaderla, ma il giorno dopo era già partita, senza dire niente a nessuno.»

L'altro lo guardò di sottecchi. «Tu sai che... insomma, potresti non trovarla... intendo viva...?»

Shinnosuke si strinse nelle spalle, ma il suo viso rivelava ben altre emozioni. «Tu invece? Perché sei partito?»

Ranma si sentì un pugnale nello stomaco. Forse glielo aveva chiesto perché voleva saperne di più. Probabilmente perché non si ricordava ciò che aveva detto a casa sua. Si stese sull'erba un po' secca e un po' verde. «Buonanotte.»




Ecco un altro capitolo! Com'è?

Un grazie a Oceanthree e a LoveAnimeManga89 per i commenti.

Alla prossima



Sakura


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Capitolo 3
*** Ombre ***


Cap.3





Il vento carezzava dolcemente gli steli d'erba della prateria, danzando un movimento fluido e ondeggiante, lento e ipnotico. L'alba illuminava i piccoli spiragli tra le foglie degli sporadici alberi che con le loro chiome volteggiavano con la prateria. In quel luogo incontaminato, che sembrava il dipinto della pace, si levò l'ennesimo urlo, tanto alto da sembrare l'ultimo che si esala prima della morte, rompendo ancora una volta la pace di quel posto disabitato. Non ci mise molto ad arrivare lo sbuffo scocciato di Shinnosuke, accortosi che era già sorto il sole e che lui aveva dormito si e no due ore nel complessivo. Doveva ammettere che quando Ranma aveva cominciato ad agitarsi nel sonno urlando aveva provato pena per lui, un po' la provava anche ora, ma quando aveva capito che non avrebbe smesso molto presto ci aveva messo poco a trasformare quel suo sentimento di pietà in irritazione. Probabilmente era stato così poco paziente perché si era dimenticato il motivo per cui forse neanche Ranma stava avendo un sonno tranquillo. Per tutta la notte ogni volta che quest'ultimo gridava Shinnosuke sussultava per la sorpresa, borbottava parole frustrate e incomprensibili, ma nonostante tutto non lo svegliava. L'urlo si spense in pochi secondi, come quelli durante la notte, dissolvendosi in pochi ultimi gemiti. Shinnosuke sospirò, sentì tirare una folata di vento che gli scompigliò delicatamente i capelli e rabbrividì. Rivolse nuovamente lo sguardo al sole, riducendo gli occhi a una fessura per non irritarli troppo dalla luce forte. Infine li chiuse cercando di attirare sul suo viso tutto il calore che poteva e cadere per almeno un altro po' nel sonno...

Nel frattempo Ranma si era svegliato con quest'ultimo grido. Aveva dormito sul terreno senza niente a pararlo dal freddo e non era sudato quindi. Faceva respiri veloci e corti, fissando un punto indefinito con occhi spalancati e spiritati. Quella notte aveva rivissuto tutto, dal primo all'ultimo fotogramma nella sua mente. Su alcuni particolari il suo subconscio ci aveva addirittura ricamato sopra, rendendo tutto più difficile da cancellare. Per un attimo si risentì le mani bagnate del sangue di suo padre e della sua migliore amica e la spalla inzuppata dalle lacrime della madre.

Rivide i due attimi distinti in cui si spense la luce nello sguardo dell'uomo e della ragazza.

Stava per urlare di nuovo. Deglutì forte per spingere giù il nodo che aveva in gola e cercare di non andare in iperventilazione. Devo trovare mia sorella. Si ripeté il suo obiettivo e fece due respiri molto profondi per calmare la corsa impazzita del suo cuore. Finalmente si sentiva meglio, in quello stato di lucidità realizzò che portava ancora gli stessi vestiti. Con un cupo terrore nello stomaco si stese supino e rivolse uno sguardo attento a Shinnosuke, che gli dava le spalle. Alzava e abbassava il busto lentamente, segno che stava dormendo. Così alzò un braccio e osservò la manica rossa con il risvolto bianco che gli arrivava al gomito. Era quasi sicuro di essersi arrotolato le maniche dopo che era uscito dal suo villaggio e per un motivo ben preciso. Aveva un vago e inquieto sospetto in quel momento su quale potesse essere. Decise di non rimuginarci troppo sopra, certo che altrimenti si sarebbe convinto a non farlo, e si srotolò con decisione la manica. Fissò il tessuto sopra i polsi incrostato e macchiato di rosso molto scuro, che ormai tendeva al marrone, con uno sguardo neutro. Cercò di grattarne un po' via con l'unghia, ma non ebbe molto successo. Allora aggrottò le sopracciglia e sospirò amareggiato, srotolando anche l'altra manica e scoprendola altrettanto sporca. La verità è che aveva una confusione totale nella testa, perché non voleva pensare a ciò che quelle macchie lo riportavano. Cercava di dominare le immagini che quella notte lo avevano tormentato concentrandosi su un pensiero. L'unica maglietta che ho è sporca. Provò con sarcasmo, ma poi capì che non era tanto ironico da pensare. Storse la bocca, si arrotolò di nuovo le maniche a tre quarti e si mise seduto, decidendo che il miglior scaccia-pensieri era fare qualcosa di utile.

Frugò un attimo nello zaino, indeciso sul da farsi. Cominciò a studiarsi la cartina con aria da professionista, ma sapeva anche lui che non faceva altro che scorrere con la mente i nomi di tutte le città che probabilmente avrebbero attraversato. Si sentì stupido e ricaccio la mappa dentro lo zaino di Shinnosuke. Questo lo fece ripensare al ragazzo e si chiese se fosse stato il caso di svegliarlo, ma, dando un'occhiata al sole ancora piuttosto basso tra i profili lontani del terreno, decise di rimandare a qualche ora più tardi. A quel punto gli venne un'idea: si sarebbe allenato. Si, perché lui era un combattente provetto. Si sentiva il migliore nelle arti marziali, da vanitoso e orgoglioso qual'era.

Un po' di ore più tardi Shinnosuke si sentì sul bilico del dormiveglia, ma un suono lo riporto con troppa foga alla realtà. Mugugnò parole incomprensibili e aprì lentamente gli occhi. Li batté per mettere a fuoco la scena e li tenne socchiusi. Sbadigliò stiracchiandosi e mettendosi seduto, ma strozzò a metà azione perché bloccato dal suono di prima. Si girò di scatto e si rilassò quando vide che era semplicemente Ranma che lanciava calci e pugni all'aria di fronte a se.

«Buongiorno.» Disse facendolo sembrare un insulto, ma l'altro ragazzo non sembrò notarlo. Non interruppe nemmeno i suoi movimenti, facendo semplicemente un cenno con la testa verso Shinnosuke.

«Tsk.» Decise di lasciar perdere quest'ultimo.

Si rimisero in marcia poco dopo, il tempo di raccogliere un paio di cose, decidere la direzione giusta ed erano già partiti. Niente colazione. Per tutto il tragitto entrambi si ripetevano in testa quelle parole. Puro masochismo... pensò Ranma, poiché non era stata una grande rinuncia. Può capitare a tutti di saltarla, ma ciò che li tormentava era il fatto che se non fosse cambiata la situazione, avrebbero saltato anche il pranzo. Se non la cena e così via. Quando sarebbero arrivati a Krollor avrebbero comprato solo cibo col denaro che aveva Shinnosuke, i dettagli poi sarebbero stati curati sul momento.

Quando il sole splendeva al centro del cielo raggiunsero il villaggio, che non era niente di speciale. Sulla strada si affacciava qualche portone e locanda, neanche i passanti sembravano particolarmente... particolari. Ma appena questi notarono i due ragazzi cominciarono tutti a bisbigliare indicandoli.

Ranma alzò un sopracciglio e disse: «Ce l'hanno con te?»

Shinnosuke aggrottò le sopracciglia. «No, a me sembra con te piuttosto.»

Purtroppo quest'ultimo aveva ragione. Uscì un uomo nerboruto da quella che sembrava una macelleria, con un lurido grembiule a confermare ciò detto prima.

«Mi sembrava di averti detto di non farti più vedere qui...» Grugnì l'uomo dando uno spintone a Ranma, una volta che gli era arrivato di fronte.

«E a me sembra di non esserci mai stato...» Ribatté il ragazzo spintonandolo a sua volta.

L'uomo lo acchiappò per la collottola. «Ehi, ragazzino. Vedi di abbassare la cresta che altrimenti ci penso io. Tu non hai portato altro che guai l'ultima volta che...» Non finì nemmeno la frase che Ranma gli sputò in un occhio. L'omone dilatò le narici e con occhi pieni furia alzò un pugno, che si stava per andare a schiantare sul naso del ragazzo. Shinnosuke imprecò e prima che potesse intervenire in qualsiasi modo, il macellaio inveì a sua volta cadendo sulle ginocchia per terra. Dietro di lui c'era un individuo che sembrava un ragazzo come loro, cominciò subito a correre lanciando un'occhiata fulminante ed eloquente a Ranma. Quest'ultimo non ci pensò due volte a seguirlo, i mormorii si stavano già allargando a macchia d'olio e trasformando in ingiurie contro di loro. Si chiese quanto ci avrebbero messo ad arrivarne altri quattro come l'uomo di prima. Lanciò uno sguardo a Shinnosuke che se ne stava fermo e incredulo.

«Dai!» Lo incoraggiò a voce alta, dopo aver iniziato a correre. I tre ragazzi svicolarono diverse volte, guidati da quello ancora sconosciuto, prima di non sentire più il vociare dei cittadini. Entrarono in un palazzo a più piani, diroccato e a prima vista abbandonato. Lì trasformarono la loro corsa in una camminata, salendo i gradini per diversi piani col fiatone. Sembrava che la maggior parte dei soffitti fossero crollati. Arrivarono all'ultimo piano, che sembrava essere composto di un pianerottolo con un materasso singolo buttato là e una porta, che probabilmente portava su una balconata.

Ranma guardò il ragazzo sconosciuto. Aveva una bandana gialla a macchie nere e dei vestiti a prima vista coordinati a quella.

«Allora...» Disse quest'ultimo con uno sguardo accusatorio agli altri due. Squadrò con fare sospetto da capo a piedi Shinnosuke, che aggrottò le sopracciglia, e poi fissò l'altro con sguardo penetrante. «...Cosa diavolo ci fai qui, eh?! E quest'altro? Chi sarebbe? Ah! Sei un disastro... Aspetta, che ti porto l'acqua calda...»

«Ehm... Chi saresti tu?» Rispose Ranma interrompendolo, rimarcando il “tu”.

Lui si accigliò. «Come sarebbe? Stai scherzando? Sono Ryoga... ti devo tipo raggiungere a dieci chilometri da qui a sud domani...»

Per tutta risposta Ranma alzò le sopracciglia confuso, ma poi Ryoga sembrò capire sgranando appena gli occhi. Impacciato disse: «Aspetta... Tu s-sei... Cioè tu non sei... Ranko?... Tu sei Ranma?!»



Ehi!!! Scusate immensamente per il ritardo, ma l'ispirazione e il tempo mi mancano! Ma come vedete non mi leverò di torno tanto facilmente. Si comincia a capire qualcosa su questa ingarbugliata storia?

Grazie per le recensioni di Black_Yumi e LoveAnimeManga89. Un grazie anche a tutti quelli che seguono la storia ^^

Alla prossima.

Sakura.


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Capitolo 4
*** Hai paura? ***


Cap.4




Scappiamo Ranma.

No, tu non capisci...

Scappiamo Ranma.

Non possiamo lasciare tutto quello che abbiamo qua per qualcosa che non conosciamo.

Hai paura?

No, io non ho mai paura.

Invece sì. Sei solo un bugiardo.

Cosa ne sai tu di me?

Molto di più di quanto sappia...

La vedo ancora darmi le spalle camminando come se non stesse andando via.

Come se stesse facendo una bella passeggiata.

Con il suo stupido tono strafottente.

Con i suoi stupidi capelli rossi, raccolti in una stupida treccia.

Mi copiava sempre, quell'incosciente.

Ma avevo una consapevolezza.

Nel cuore stava.

Mi ostruiva il passaggio dell'aria nei polmoni e lo scorrere del sangue nelle vene.

Mi riesco ancora a sentire lì fermo a guardarla mentre se ne andava.

Con le gambe che fremevano volendola seguire.

Ma io le tenevo ferme.

Avevo alzato un braccio e aperto la bocca.

Ma ero ritornato subito inerme.

Solo ora so quanto mi sbagliavo.

Quanto anche lei si sbagliava.

Hai paura?


«Ranko...» Era un respiro. Era un battito. Era una pulsazione.

In un mondo diviso in due dalle guerre. Del quale una parte, la più grande, veniva attaccata di continuo, per motivi oscuri a tutti. Dove la morte era un dato di fatto. Dove ti giri intorno e noti che la gente diminuisce. Quante probabilità ci sono di sopravvivere. Quante probabilità ci sono di rincontrare chi dai per disperso. Probabilità...

Le probabilità sono contro chiunque. Ma la speranza le alimenta. Contro ogni prognostico.

Pensai che stavo solo immaginando di sentire l'aria che sfilava sulle mie orecchie, sovrapposta a un ronzio fastidioso, ma la faccia sfocata di Ryoga e l'inclinazione innaturale del pavimento mi fece ricredere. Sentivo anche la voce di quest'ultimo spaventata e ovattata. Debole, mi risuonò nelle orecchie, come un suono distorto. Digrignai i denti e mi rialzai con un ringhio, dando uno schiaffo alla mano del ragazzo tesa in mio aiuto.

Possibile che tu sappia solo scappare, eh sorellina?

Sei tu, stupido, che non sei capace di lasciarti niente alle spalle.

Sei solo una sciocca quindicenne con i soliti complessi delle ragazzine.

Anche tu hai quindici anni, idiota. Siamo gemelli!

Pensa alle tue responsabilità.

Non ce ne sono. Sei un debole. Hai paura.


Sentivo che la mia testa stava per scoppiare. Mi misi le mani tra i capelli e cercai di riordinare il turbinio che cercava di farmi impazzire.

Inspirai.

Espirai.

Vidi i volti confusi di Ryoga e Shinnosuke puntati su di me. Debole, mi risuonò nuovamente in testa, stavolta con la voce di mia sorella. Feci scattare i denti e abbassai le mani tese a pugno lungo i fianchi.

«Ti senti bene? Allora? Ti chiami Ranma, vero?» Mi chiese lentamente Ryoga, come stesse parlando a un inetto. Gli scoccai un'occhiata furente e parlai.

«Si, ma tu come conosci... mia sorella? È incredibile.»

Avevo usato un tono deciso e senza inflessioni, per convincerlo della mia sanità mentale. Mi squadrò con un ultima occhiata perplessa e infine rispose: «Credo proprio di si. Accidenti però, siete completamente identici. Poi sei la copia perfetta della sua versione maschile. Non mi sorprende l'accoglienza che hai ricevuto quando sei entrato al villaggio.»

Aggrottai le sopracciglia confuso ancora più di prima. Non avevano senso le sue parole. Che significava “La copia perfetta della sua versione maschile”? Stavo per chiedergli spiegazioni, ma Shinnosuke mi anticipò.

«Che intendi dire?» Lo guardai di sottecchi, ma rivolsi subito l'attenzione a Ryoga.

«Oh, giusto. Voi non potete sapere niente di questa faccenda... Ma è un po' complicato da spiegare e non credo che mi credereste... Lo vedrete domani... Perché verrete all'incontro con Ranko, vero?» Disse con occhi accesi di entusiasmo improvviso.

Quasi indietreggiai di fronte a quelle parole. Inspirai forte dal naso. Pensavo che la ricerca di Ranko avrebbe preso maggior tempo, invece ecco che mi ritrovo a incontrarla domani. Possibile che fosse stata solo una coincidenza? Non avevo la minima idea di quanto ero lontano dal mio villaggio distrutto. Per un attimo il ricordo di quest'ultimo mi fece sentire l'odore del sangue e dei capelli bruciati, che mi tormentava ogni notte. Cavolo! Come avrei detto tutto ciò che era successo a mia sorella, senza scoppiare a piangere come un bambino o senza tremare come una foglia? Ancora una volta il volto di Ranko mi inondò gli occhi. Dello stesso colore intenso dei suoi. Ce l'avrei fatta a specchiarmici, dopo quattro anni di rancore, raccontandogli di come erano bruciate le nostre radici?


Hai paura, Ranma?




«Ranko, sei sicura dell'affidabilità di questo tizio?» Mi chiese ancora una volta Akane, mangiucchiandosi quel poco che era rimasto delle sue unghie. Guardava nervosa fuori dal nostro nascondiglio, se arrivava Ryoga. L'avevo trovata proprio ieri incappucciata e a piedi scalzi, per le vie del villaggio dove ero andata a rubare le provviste per il prossimo spostamento con il mio amico. Ci eravamo trovate d'accordo in un batter d'occhio. Non amava molto la compagnia, per cause che non mi aveva voluto raccontare. Ma il suo carattere mi piaceva, sarebbe stato bello se fosse rimasta con noi.

Sovrapposi il labbro inferiore a quello superiore e sbuffai spostandomi un ciuffo della frangia dagli occhi.

«Chiediti più che altro quante volte me lo hai chiesto nelle ultime ventiquattr'ore. Ti ho già detto si, accidenti. Smettila di guardare là fuori, ti farai scoprire. Stiamo aspettando un segnale di tipo acustico.» Sinceramente anch'io cominciavo ad innervosirmi, ma in compenso lei rimase in silenzio il resto del tempo che rimanemmo ad aspettare. Cercai di tenere i secondi a mente giusto per tenerla occupata.

Uno.

Due...

Cento.

Centouno...

Novecentonovantotto.

Novecentonovantanove.

Mille.

Ok, era diventato noioso e mi stava innervosendo ulteriormente. Battei per un po' col piede sul suolo dissestato e roccioso della grotta. Un fruscio. Incrociai come un fulmine gli occhi lampeggianti di Akane. Annuii. Ci acquattammo, aspettando qualsiasi altro rumore. Ti prego fa che sia Ryoga. Mi continuavo a ripetere a mente, disperata.

«Giuro che dovrebbe essere da queste parti... Avrei dovuto fare da là... oppure da quella parte... vabbè, insomma si aspetta un segnale.» Disse la voce familiare di Ryoga. Lasciai andare tutti i muscoli del corpo come elastici, fece quasi male. Rassicurai Akane toccandole la spalla e ammiccando. La vidi rilassare il suo corpo come me, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.

Comunque non del tutto sicura mi alzai con cautela, guardai fuori e vidi Ryoga di spalle che si grattava il capo, non riuscendo a ricordare dove ci saremmo dovuti incontrare. Mi sarei messa anche a ridere se non fosse stato accompagnato da altri due ragazzi. Uno dei quali molto familiare. Troppo familiare. Quasi straziante. Il cuore mi manco un battito quando arrivò a una consapevolezza che la mia mente non voleva far entrare. Per un attimo pensai a uno specchio, ma non ero trasformata nella mia forma maschile.

Feci un passo malfermo. Poi un altro, uscendo così dalla grotta. Sentii la mano di Akane poggiarsi sulla mia spalla e poi stringere fino a farmi male.

«Shinnosuke è vivo.» Disse con un soffio. Ma a me entrò da un orecchio e uscì dall'altro. Mossi un altro passo incerto e spezzai un ramo sotto il suo peso. Ranma si girò di scattò, leggermente prima degli altri. Quando i suoi occhi blu notte lampeggiarono nei miei, sentii un sorriso involontario distendersi sul mio volto. Senza neanche che avessi comandato il movimento al mio corpo cominciai a correre, buttandomi addosso a lui e abbracciandolo. Quando sentii il tessuto della sua maglietta bagnato mi resi conto di essermi messa a piangere. Risi come una scema e alzai lo sguardo su di lui senza smettere di abbracciarlo. Aveva gli occhi sgranati e ancora non aveva ricambiato l'abbraccio. Fece per dire qualcosa, ma richiuse subito la bocca. Con un sorriso amaro ricambiò lentamente l'abbraccio e in quel momento lessi qualcosa nei suoi occhi che era fuori posto. Mi sarei aspettata gioia, stupore, ma anche tradimento. Non potevo biasimarlo dopo averlo abbandonato. Ma non aveva nulla di ciò e nient'altro. Solo una grande tristezza. Sembrava sul punto di piangere. Sembrava sul punto di urlare. Ma non lo faceva. C'era qualcosa di storto in tutto ciò e lo guardai aggrottando le sopracciglia. Ricambiò l'espressione, ma c'era sempre quella cosa. Proprio lì in sul fondo dei suoi occhi. Avrei voluto chiederti spiegazioni, ma non lo feci. Avevo paura di perderlo di nuovo. Sorrisi.



RINGRAZIO TUTTI QUELLI CHE LEGGONO LA STORIA E LoveAnimeManga89 PER LA RECENSIONE... EVIDENTEMENTE NON PIACE MOLTO QUESTA STORIA : MA IO VOGLIO CONTINUARLA E DEVO DIRE CHE QUEST'ULTIMO CAPITOLO MI è PIACIUTO Più DEGLI ALTRI. MA ADESSO VADO DI FRETTA.


CIAOO


SAKURA.


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Capitolo 5
*** Pensieri che corrono ***


Cap.5





Passò un secondo. Non cambiò nulla. I 5 ragazzi erano ancora tutti lì. Due si abbracciavano. Due si fissavano. A uno, con una strana fascia tra i capelli, si accesero gli occhi quando vide la ragazza con i capelli neri. Nessuno aveva pensieri omogenei in quel momento. Tutti con la mente correvano in direzioni diverse. Ma tutti avevano occhi da guardare. Ognuno era ipnotizzato con lo sguardo di qualcun altro. Le loro occhiate dicevano niente e tutto.

Di lì a poco si sarebbero scambiati anche loro lo sguardo. Due persone. Avrebbero fatto le proprie considerazioni, l'uno dell'altra. Si sarebbero scambiati il nome e avrebbero sentito qualcosa cambiare. Non gli avrebbero dato importanza, ma quella sarebbe stata là e sarebbe cresciuta. Di cosa e chi parlo? Decidetelo voi. A loro però questa cosa avrebbe portato non pochi grattacapi...




Made a wrong turn once or twice

Dug my way out blood and fire

Bad decision

That's alright

Welcome to my silly life.”

[P!nk]





Riuscii a emettere un fiato. «Sei sempre la solita lunatica.»

Ranko era riuscita a cambiare espressione 5 volte in un secondo, era buffa. Quando nascose nuovamente il viso sul mio petto le arruffai i capelli con una mano. In quel momento aveva la solita treccia e notai che erano più corti rispetto l'ultima volta che ci eravamo visti. Non erano molto diversi comunque e proprio per questo mi sorpresi di essermene accorto. A parte questo notai che era cambiata molto e me ne corrucciai. Ormai eravamo entrambi diciannovenni e avrei dovuto dar per scontato il fatto che assomigliasse più a una donna che a una ragazzina. Ma mi dispiacque molto più del dovuto essermi perso quegli anni. Quindi eccomi lì a esaminare ogni piccolo cambiamento che mi ero perso, come gli spigoli non più rotondi del viso o la sua statura. Mi chiesi se anche lei mi vedeva cambiato...

Un rumore gorgogliante interruppe improvvisamente il silenzio che avvolgeva tutti quanti. Arrossii quando alzarono lo sguardo su di me. Accidenti! Era normale se avevo fame. Ieri ce l'eravamo cavata con un misero panino (a quanto pareva anche Ryoga sembrava a corto di risorse e i pochi fondi rimasti di Shinnosuke avevamo deciso di spenderli in un momento più importante). Una giornata con un panino! Mi continuavo a ripetere dentro. Poi ora grazie al gorgoglio dello stomaco, facevo caso all'enorme buco che sentivo al suo posto.

Trascorsero altri secondi di silenzio, perché nessuno sapeva che dire davanti a una cosa tanto ridicola in un momento così teso. Ma poi una risata cristallina proruppe nell'aria. Echeggiava nel vento con le sue scosse. Sulle prime non lo ritenni possibile, pensai di essermelo immaginato.

Mi girai verso quel suono impossibile e fu così che incrociai i suoi occhi per la prima volta. Era una ragazza. Aveva gli occhi color nocciola, un colore comune pensai.

Ma in seguito imparai che niente in lei era comune.

I suoi capelli erano di un nero molto singolare e indescrivibile. Le cadevano fino a metà schiena e ne accarezzavano dolcemente la curva. In quel momento si muovevano a causa della sua scossa d'ilarità e il loro movimento ondeggiante quasi m'ipnotizzò. Aveva i tratti del viso molto dolci, quasi infantili. Eppure trasudava maturità da ogni singolo punto da cui la si guardava. I suoi modi... erano diversi dal solito. Un po' goffi, ma decisi e non casuali.

Dopo lo stupore iniziale mi sentii infastidito. Quella ragazzina stava ridendo di me. Che maleducata!

La inchiodai con uno sguardo che sperai essere truce. «Trovi molto divertente il fatto che io non riesca a mettere nulla di decente sotto i denti, da quasi una settimana?»

Smise lentamente di ridere e si asciugò teatralmente una lacrima all'angolo dell'occhio. Mi continuò a guardare con aria indifferente e io sbuffai dal naso. Ranko si staccò da me e inizio a ridere anche lei. La guardai tradito e poi sentii ridere anche Ryoga. Infine Shinnosuke chiuse il cerchio ridacchiando.

«Fantastico.» Borbottai a denti stretti. Io non trovavo assolutamente nulla di divertente in tutto ciò. Tra l'altro... Dubitavo di ricordare come si rideva.

Inchiodai nuovamente la ragazza di prima con lo sguardo. Aveva le braccia incrociate sul petto, un sopracciglio alzato e fissava un punto indefinito alla sua destra, mentre mi lanciava occhiate di sottecchi. Riuscii a scorgere qualcosa che non riconobbi nei suoi occhi. L'istinto mi fece rabbrividire.

Ranko attirò la mia attenzione tirandomi piano la treccia, come faceva da bambina.

«Dai non te la prendere. Qui non siamo tutti musoni come te.» Per un attimo si morse il labbro inferiore, come pentita di ciò che aveva detto, ma si ricompose subito sorridendomi.

«Sei un mostro.» Le dissi con falsa cattiveria.

Sempre sorridendo saltellò sul posto dicendo: «Bene, dopo quest'ultimo scambio direi col passare alle presentazioni.»

Mi ero dimenticato di come fosse allegra in qualunque momento e di come questo riusciva a tenermi su col morale. Mi diede una pacca sulla spalla. «Questo ragazzo irritante si chiama Ranma. Il mio fratello gemello.»

Vidi la luce strana negli occhi della ragazza sconosciuta diventare più evidente, ma si limitò ad annuire a Ranko e a non far trapelare più nulla dalla sua espressione.

Mia sorella passò a Shinnosuke accanto a me. «Lui invece è... »

Mi guardò in cerca di aiuto , ma quando aprii la bocca per suggerirle il nome intervenne l'altra ragazza.

«Shinnosuke.» Poi vedendo la faccia di mia sorella aggiunse: «È una storia lunga.»

Lanciai un'occhiata eloquente a quest'ultimo, che mi rispose alzando le spalle con uno sguardo eccessivamente indifferente.

Passò a Ryoga, appendendoglisi con le braccia al collo. Lui rispose facendole il solletico sulla pancia. «Lui è Ryoga, il ragazzo che ti dicevo, nonché il mio migliore amico.»

COSA?! Non mi piaceva la confidenza che si prendevano quei due. Lanciai a mia sorella un'occhiata di rimprovero, dimostrandole il mio disappunto. Lei mi rispose facendomi la linguaccia.

Passò infine alla ragazza. «E lei è Akane, ci siamo incontrate oggi.»



Cause I was born to destroy you,
And I am growing by the hour.
I'm getting strong in every way.


[Muse]




«Si... Uh-uhm...» E poi ancora. «Ah...Wow...Davvero?»

Sbirciai cauta dove Ranma stava intavolando una, alle apparenze, seria conversazione con Ranko. Tornai, più per educazione che per serio interesse, a Shinnosuke che mi stava raccontando cos'era successo negli ultimi non-so-quanti anni nel suo villaggio. Eravamo l'uno di fronte all'altra, a gambe incrociate per terra. Ryoga era andato, a detta sua, a fare un giro di ricognizione. Tradotto in parole povere era andato opportunamente a farsi i fatti suoi. Perché Ranma aveva tirato Ranko da una parte per parlare di “cose importanti” (citazione sua) e quindi Shinnosuke si era sentito in dovere di fare altrettanto con me. Solo che io non volevo dirgli ciò che avevo fatto da quando ero ripartita. Ne tanto meno potevo. Così l'avevo distratto chiedendogli del paesino.

Distrattamente cominciai a osservare la mia mano che sfilacciava il prato.

Non mi andava di stare con tutte quelle persone, dovevo prima portare a termine la missione. Potevano essere un ostacolo. Frustrata, strinsi forte un ciuffo d'erba e lo strappai. Quando vivrò finalmente la mia vita? Rievocai involontariamente il momento in cui gli uomini del re portavano via mio padre da casa. Sentii le lacrime raccogliersi nei miei occhi e, prima che fossero abbastanza da uscire, battei nervosamente le palpebre per spazzarle via.

«...capito, Akane?» Mi spiazzò Shinnosuke, all'improvviso. Scuotendomi una spalla.

Trattenni a malapena l'istinto di ritrarmi. Dannazione. «S-si. Continua pure.»

Come ormai d'abitudine mi tastai la gamba, con discrezione, in cerca del coltello nascosto. Quando lo sentii mi rilassai e ricominciai a giocherellare col prato.


Finalmente ci rialzammo da dove eravamo seduti a parlare e mi sgranchii le gambe indolenzite. Senza preavviso Shinnosuke mi abbracciò, sulle prime mi sentii interdetta, ma poi lo abbracciai. Pensai alle parole che mi aveva detto prima che me ne andassi: “Scusa se non te l'ho detto prima, ma... Ti amo, Akane. Spero proprio di rivederti.”

Mi venne da ridere per un attimo. Mi aveva detto già tre volte che mi amava, con tutta probabilità neanche ora se lo ricordava.

Si staccò per guardarmi negli occhi. Era proprio un bel ragazzo, dovevo ammetterlo, ma la situazione era sbagliata. Io ero sbagliata. Dovevo spicciare quel nodo che mi impediva di andare avanti, prima di pensare a cose del genere.

Forzò un sorriso. «Sono proprio contento di averti trovata.»

Ne forzai uno anch'io. «È così anche per me.»

Rimase un altro po' a fissarmi, poi si girò e si mise seduto vicino a Ryoga, che intanto era tornato, e al fuoco, dove ci eravamo accampati per la notte.

Congiunsi le mani dietro la schiena e cominciai a passeggiare, ammirando la luce soffusa del crepuscolo. L'aria era un po' umida, ma comunque abbastanza calda per fine settembre. Sospirai, quando un alito di vento mi mosse i capelli di fronte al viso. Li scostai dietro l'orecchio.

Mi girai lentamente verso dove prima i gemelli discutevano. Mi sorpresi di trovarli abbracciati. Ranko nascondeva il viso con le mani e Ranma la avvolgeva con le braccia. Vedevo chiaramente i singhiozzi che le scuotevano forte l'addome. Lui le accarezzava la schiena e le sussurrava parole incomprensibili da dove stavo io.

A un tratto lei scosse la testa allontanandolo, per poi alzarsi e camminare a passo svelto verso il fuoco da campo. Quando Ryoga provò a parlarle lei lo mise a tacere con un gesto della mano, passò oltre l'accampamento e cominciò a correre. Il ragazzo provò a parlare con l'altro fratello, ma quest'ultimo si era sdraiato a terra con le mani dietro la testa e invece di rispondere si voltò dall'altra parte.

Vai. Questa è la tua occasione per cominciare a lavorare sull'obiettivo. Con passo indeciso mi avvicinai a Ranma, stava ancora sdraiato su un lato e io mi misi seduta sul lato dove mi dava la schiena. Lo sentii sospirare pensante e io cominciai a pensare cosa potevo dirgli. Qualunque cosa fosse successa doveva essere grave, a giudicare dalla reazione della sorella, di conseguenza non avrebbe voluto raccontarmelo. Intanto, vedendo che non ero intenzionata a parlare, lui si rimise supino. Anche lui era un bel ragazzo, ma di una bellezza diversa da quella di Shinnosuke. Oltre gli invidiabili occhi blu notte, il deciso taglio della mascella, gli zigomi sporgenti e i lunghi capelli neri raccolti in una treccia come la sorella, trasmetteva un qualcosa che sarei mai stata capace di spiegare.

Incrociai le gambe, poggiai le mani dietro di me e mirai il cielo che cominciava a punteggiarsi del bianco brillio delle stelle e della luna. «Ogni tanto io osservo il cielo solo per aspettare un miracolo. Una stella cometa, una stella cadente... Cose così.» Una risata amara mi spezzo la frase. «Ma non è mai accaduto nulla. I miracoli me li sono sempre creati da sola.»

Non rispose subito e mi irritò. Insomma, io cercavo “solo” di fare conversazione.

«Cosa vuoi che ti risponda? “Oh, povera ragazza”? Tsk...» Si mise seduto e mi guardò negli occhi. Trasalii vedendo il tormento e la rabbia che contenevano. Sembravano poter dar fuoco ogni cosa che guardavano, nonostante il colore freddo dell'iride.

«Akane, dubito che tu abbia passato la metà delle cose che ho passato io. È inutile cercare di confortarmi dicendomi: “Non ti lamentare che c'è chi sta peggio di te”. Ammettendo che esista questo qualcuno, non mi consolerebbe affatto sapere che se la passa peggio di me...» Detto questo continuò a fissarmi col suo sguardo incandescente. La cosa che mi diede più fastidio non fu tanto il tono che aveva usato, quanto la logica di quelle parole. Erano di certo giuste, ma non di uso comune. Non potevo ingraziarmi un tipo del genere, sarebbe stato più facile conquistare la fiducia della sorella. Lui avrebbe potuto addirittura smascherarmi.

In ogni caso mi sentivo piccata, dovevo ribattere. «Hai finito? Scusa, se ti ho rivolto la parola!» Dissi arrabbiata. Quando lo vidi sbuffare, mi infuriai ancora di più. Balzai in piedi e mi misi le mani sui fianchi. «Sei solo uno stupido ragazzino arrogante!»

Si alzò anche lui, a torreggiarmi. «Io, ragazzino? Ho diciannove anni. Sentiamo quanti anni hai?»

Alzai gli occhi al cielo. «Sarebbe questo il tuo comportamento maturo? Ne ho diciassette, ma questo dimostra solo quanto tu sia piccolo di cervello!»

Accelerò il respiro sempre più arrabbiato, come me. «Come ti permetti di prenderti certe confidenze?! Non ci conosciamo neanche da un giorno!»

«Sei tu quello che si prende troppe confidenze! Non sarai un maniaco?!» Ribattei con una punta di divertimento.

Stavolta divenne rosso come un pomodoro. «Ma quale maniaco? Non ti ho fatto nulla... Poi con quei fianchi larghi, sta tranquilla che i maniaci ti stanno alla larga!»

Rimasi a bocca aperta di fronte alle sue parole offensive. Pensava davvero questo di me?

Feci un grugnito e poi dissi: «Rispondi così a tutti quelli che cercano di parlare gentilmente con te?! Brutto idiota!»

Gli diedi uno schiaffo a pieno palmo sul viso, con tutta la forza che avevo per staccargli la faccia. Rimase per un po' con la bocca aperta e la testa voltata di lato, per la manata che gli aveva anche lasciato l'impronta. Poi quando si voltò, stupito verso di me gli diedi le spalle e me ne andai impettita con le braccia tese lungo i fianchi e i pugni chiusi. La mano con cui lo avevo schiaffeggiato bruciava un po'.


Cause I was born to destroy you...”






Allora, com'è andata stavolta? Sinceramente penso che questo capitolo sia quello che mi è venuto meglio, mi sono anche divertita a scriverlo!

Ringrazio apochan kenshiro, LoveAnimeManga89 e caia per le recensioni al capitolo precedente. A presto col chap. numero 6



Baci


Sakura.

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Capitolo 6
*** Scoperte ***


Cap. 6





Coloro che sono facce della stessa medaglia

Il potere di Jusen possono risvegliare,

Delle lacrime del dittatore che sbaglia

Il loro corpo si dovrà bagnare.

Così la lacrima rossa diversa sarà,

e quando sulla roccia si poserà

il mistero si svelerà...

    - Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -



Remember when we were such fools
And so convinced and just too cool
Oh no
No no
I wish I could touch you again
I wish I could still call you friend
I'd give anything.


[P!nk]

Ancora correvo. Scappavo dal dolore che mi attanagliava il petto. Ma lui non accennava a lasciarmi.

Non c'è più nessuno. Le parole di mio fratello non avevano più smesso di risonarmi nella testa. Il suo viso segnato da una pena profonda continuava ad apparirmi davanti, ogni volta che chiudevo gli occhi.

Era difficile mantenere il ritmo del respiro correndo con i singhiozzi che me lo spezzavano a metà. Rallentai la corsa e piano piano mi fermai. Mentre mi giravo a vedere a che distanza stavo dagli altri, con entrambe le maniche della felpa mi asciugai le lacrime e tirai su col naso. Vedevo ancora il fuoco brillare e distinguevo le figure delle persone, ma senza riconoscerle.

Sospirai forte e mi misi seduta sotto uno dei pini del circondario, mi strinsi le ginocchia al petto e poggiai ad occhi chiusi la testa sul tronco dell'albero.

Ringraziai tutto il buon senso del mondo, quando realizzai che neanche Ryoga aveva tentato di seguirmi.

Sentii il mio labbro inferiore tremare leggermente, mi strappò un singhiozzo e sentii altre lacrime scorrermi sulle guance. Cercai subito di calmare il respiro inspirando ed espirando.

Mi strofinai di nuovo il viso con la manica troppo lunga della felpa.

Provai a ripensare alle parole di mio fratello, con delicatezza, come una mano che si allunga verso qualcosa di sconosciuto, sempre pronta a ritrarsi in caso di dolore.

Avevano massacrato un intero villaggio. Bruciato ogni singolo segno di vita, neanche Ranma si era riuscito spiegare l'enormità di quell'incendio. Non avevano risparmiato, nessuno. Non un uomo, non una donna, non un bambino.

Mi sentivo male anche per il dolore che sicuramente aveva affrontato, da solo. Perché io non c'ero. Strinsi i denti. Li avevo abbandonati.

Ricordai la rabbia bruciante negli occhi di Ranma, raccontando della sua fuga. Per un po' provai anch'io qualcosa di simile al rancore verso di lui per essersi salvato. Perché la mamma? Perché papà? Perché Ukyo e gli altri ragazzi del villaggio? Perché loro sì e lui no?

Mi chiesi se erano le stesse domande che si poneva quando ci pensava.

Ma in fondo non potevo averla a male con lui. Almeno era vivo. Da quello che aveva raccontato rimanere lì avrebbe significato solo morire dietro agli altri e poi...


È impossibile quello che mi sta raccontando non può essere accaduto. Mi sento la testa vuota.

Mi guarda negli occhi, aspettando un mio cenno ad andare avanti, deglutisco e annuisco. «Beh, poi sono corso a casa. Almeno la metà delle abitazioni avevano già preso fuoco.» Deglutisce anche lui, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente persa in qualche orribile ricordo.

«Quando sono arrivato, l'ho trovata ancora incolume casa nostra, ma ai piedi della porta d'ingresso c'era Ukyo riversa per terra. Ho chiamato il suo nome, ma niente. Quando sono arrivato là, l'ho girata a pancia in su, ma... il sang...» Rabbrividisce e incrocia per un istante il mio sguardo, ma lo rivolge di nuovo alle mie spalle. Rabbrividisco anche io per quello che ho visto nei suoi occhi.

«Con lei ancora tra le braccia mi sono fiondato in casa e ho trovato la mamma sopra a papà. Per un attimo mi si è ghiacciato il sangue nelle vene, ma poi ho visto che nostra madre sussultava. Non ho mai provato un sollievo così grande nello scoprire una persona piangere... ma non è durato a lungo. Ho poggiato Ukyo sul divano in salone e sono andato da loro. Papà aveva... » Affonda la faccia tra le mani. Non voglio più sentire il suo racconto dell'orrore. Ma non riesco a muovere un muscolo.

«Ho cercato di scuoterla, Ranko. Ma lei non voleva lasciare nostro padre.» Il fatto che frammenti così il suo racconto mi confonde ancora di più. Ma non oso chiedergli i particolari che mi sta salvando.

«Neanch'io lo volevo, ma doveva salvarsi almeno lei. Questo è quello che le ripetevo, ma lei continuava a piangere e a non fare nulla.» Rialza la testa, stavolta senza guardarmi e si volta a destra, poggiando il mento sulla mano.

«Questa è stata l'esitazione che ci è costata più di tutte. Sono entrati quegli strani uomini in casa. Hanno cominciato a urlare “Eccolo!!”. Mi hanno tirato via dai nostri genitori, prendendomi per la treccia e ho perso...» Un'altra frase spezzata. Si tocca inconsciamente i capelli.

«In quel momento succede l'impossibile. Mamma con uno scatto repentino si alza e infila una penna nel braccio di quello che mi aveva agguantato, riuscendo a liberarmi. Ero ancora incredulo, con l'uomo dietro di me piegato sul proprio braccio dal dolore. Mamma urla: “Scappa...”. Ma non finisce la frase che un altro uomo le spara. Mi fissava ancora con occhi imploranti quando...» Incrocia i miei occhi e si blocca. Qualcosa nel mio sguardo deve avergli ricordato di non lasciarsi trasportare dal racconto...


Altre lacrime solcarono le mie guance.




Something about you now
That I can't quite figure out
Everything she does is beautiful
Everything she does is right.


[Lifehouse]



Presi il bastone che avevo di fianco e lo usai per muovere i carboni rimasti ardenti del fuoco. Avevamo mangiato poche provviste, ma per come stava il mio stomaco potevo dirmi soddisfatto. Ranko non aveva mangiato, ne scorgevo la figura minuta accanto a un albero non troppo lontano. Probabilmente avrebbe avuto lo stomaco chiuso per un po'.

Sbuffai. Raccontargli quelle cose era stato, probabilmente, la cosa più difficile, dopo l'averle vissute, che avevo fatto in vita mia.

Sbirciai verso l'arrogante figura di Akane dall'altra parte del cerchio che avevamo creato. Lo ammetto in quel momento non manifestava arroganza, ma dopo la discussione di prima non riuscivo a non guardarla con lo sguardo imbronciato. Si accorse della mia occhiata e rispose con un espressione altrettanto corrucciata. Passammo alcuni secondi a fissarci con occhi rabbiosi, ma poi venne distratta da Shinnosuke che chiedeva spiegazioni sul perché ci trovassimo lì, liberandomi da quel magnetismo che solo lei mi provocava e che mi spaventava.

Ricominciai a mantecare i carboni col bastone di prima, osservando le piccole scintille arancioni che scoppiettavano fuori dal focolare.

Fu più forte di me, tornai con lo sguardo ad Akane. Ora stava sorridendo, qualcosa si agitò dentro di me chiudendomi lo stomaco. Il suo magnetismo mi aveva nuovamente catturato lo sguardo, come anche i miei pensieri. Scossi con forza la testa, cercando di liberarmi di quelli che sembravano fili che mi tenevano attaccato a lei.

Mi alzai e m'incamminai verso dove stava Ranko da più di tre ore. Non sapevo che fare. Di certo non aveva le stesse immagini che tormentavano me, ma viveva il mio stesso lutto... Ma in fondo lei non aveva il mio stesso carattere, era più ottimista e pensai che gli anni lontana da casa l'avessero aiutata.

Continuai a camminare verso di lei, fino a non sentire più il basso chiacchiericcio degli altri tre. Mi fermai quando fui davanti a lei e mi dondolai sui talloni non sapendo bene cosa fare. Aveva gli occhi chiusi ed era poggiata ad un albero, le guance rosse e le occhiaie rivelavano le lacrime che dovevano esserci state. Aprì gli occhi a poco più di una fessura, rivelando rossi anche quelli.

Cercai di fare un sorriso e lei sbuffò una risata per la smorfia che doveva essermi uscita.

«Perché?» Mi chiese con voce gracchiante. Non seppi se si riferiva al perché fosse successo quel che era accaduto o al perché io fossi lì.

Le allungai la mano, senza rispondere nulla. La guardò un attimo e dopo un lungo sospiro la afferrò.

La alzai abbracciandola e la sentii scoppiare di nuovo in lacrime.

Odiavo quando le persone piangevano e non solo perché mi faceva sentire triste. Non sapevo che dire in questi momenti. Le diedi qualche pacca impacciata sulla spalla, poco prima di rendermi conto di quanto fosse fuori luogo in un momento simile.

La sentii ridere istericamente contro la mia pancia. Si staccò, tirò su col naso e si strofinò le maniche della felpa sulle guance, per asciugarsi le lacrime. A giudicare di come erano bagnate non era la prima volta che lo faceva.

Fece per aggiustarmi distrattamente il colletto della casacca. «Mi prometti che rimarremo sempre insieme?»

Arrossii un poco per l'intimità della situazione e mi si spezzò il cuore al sentire quelle parole intrise di tristezza. «Sì.»



Poco dopo eravamo tornati insieme all'accampamento. Lei fu accolta da un apprensivo Ryoga, il quale si beccò un'altra mia occhiataccia.

Mi rimisi seduto al posto di prima e non potei fare a meno di notare che Akane non c'era. Bloccai la mia bocca, prima che potesse commettere il passo falso di chiedere dov'era. Cosa poteva importarmi di una come quella?

«Ranma, volevo mostrarti una cosa prima che tu mi raccontassi... quelle cose. Ora, non andare nel pallone, lo so è strano, ma... è normale ormai.» Mi disse mia sorella, con uno sguardo stranamente cauto. Aveva in mano una borraccia e intanto Ryoga era andato a scaldare una piccola teiera d'acqua.

La guardai perplesso mentre lei si versava lentamente il contenuto del recipiente sulla testa. Non staccava lo sguardo dal mio, pensai che stesse scherzando e che all'ultimo minuto avrebbe scostato la borraccia dai capelli e che, per esempio, avrebbe bevuto. Ma invece vidi l'acqua colarle tra i capelli che in un attimo avevano cambiato colore. Erano diventati corvini ed erano più in alto. Mi resi conto che non erano i capelli ad essere ad un altra altezza, ma era Ranko ad essere diventata più alta. I suoi fianchi si erano stretti, non aveva più il seno e aveva le spalle larghe. Mi alzai di scatto quando mi resi conto di non avere davanti a me uno specchio, ma un'esatta copia di me stesso.




Allora com'è andato questo capitolo?

Ringrazio ancora caia e loveAnimeManga89 per i commenti. Alla prossima.


Baci.


Sakura.



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Capitolo 7
*** The Only Exception ***


Cap. 7



Colei dai capelli fiammeggianti

anche l'animo avrà altrettanto lucente

un'inconsapevole immersione basterà

a non essere riconosciuta in città.

    - Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -



When I was younger
I saw my daddy cry
And cursed at the wind
He broke his own heart
And i watched
As he tried to re-assemble it...




Tu.

Tu.

Tu.

Il telefono continuava con il suo fastidioso suono nasale. Mordicchiai le pellicine del pollice in preda al nervosismo. Rispondi, cavolo!

Il mio nascondiglio era stupido e palese, dovevo sbrigarmi. Ero dietro grande masso a un centinaio di metri dall'accampamento e, da quel che sentivo, il chiacchiericcio tranquillo di fine serata era appena diventato una discussione.

Non sapevo bene il perché, ma ero andata a fare la chiamata proprio quando Ranma si era allontanato un momento. Mi inquietava quel suo sguardo strano e indagatore, quasi potesse leggermi dentro e scoprire il vero motivo per cui ero lì con loro. E adesso che sicuramente era tornato al campo -tra le voci diventate più alte e litigiose, mi pareva di scorgere la sua- sentivo il mio respiro accelerare per l'ansia e una strana sensazione all'altezza del diaframma.

Un fruscio proveniente dall'altoparlante del cellulare mi fa provare un misto di inesorabile paura e di sollievo.

«Pronto?» Riconobbi la voce calda di Kuno Tatewaki e ringraziai il cielo che fosse stato lui e non il padre a rispondere.

«Sono Akane Tendo. Ho chiamato per aggiornare.»

Sentii un sospiro dall'altra parte. «Ok, racconta.»

Gli raccontai tutto quello che era successo da quando avevo lasciato la città. Di quando avevo trovato Ranko e poi dell'incontro con Ranma.

«Chiedo istruzioni su come operare da ora.» Finii veloce.

«Oh, dolce Akane Tendo, le tue novità non possono che allietarmi. Ma smettila di congelare così il mio cuore con le tue parole distaccate, prendi confidenza con me. Cambia la tua folle decisio-...»

Lo interruppi. «Smettila Kuno. Sai già qual'è la mia posizione riguardo quello. Ma ti prego, dimmi che devo fare ora? Sbrigati ho paura che mi scoprano.» Cercai di affrettare la conversazione addolcendo il tono. Non era proprio il momento delle sue stupide moine.

Sospirò di nuovo. «Ah, le tue dolci suppliche piegano la mia volontà. Allora così sia, ti dirò cosa fare... Domani, portali... quanto distate dal villaggio di Riuzu?»

Calcolai a mente la distanza. «Mezza giornata a piedi.»

«Ok, allora domani sera li preleveremo. Buonanotte, mio delicato fiore loto.»

Repressi un moto di stizza e attaccai senza rispondere.

Ripensai al villaggio dove avrei dovuto portarli, era praticamente al confine con la civiltà. Sarebbe stato difficile convincerli ad avvicinarvisi.

Mi appiattii contro la parete di roccia e sbirciai verso gli altri. Strabuzzai gli occhi quando vidi due Ranma. Uno di fronte all'altro che discutevano. Deglutii e ricordai che era normale, prima di mandarmi in missione mi avevano raccontato di una possibilità del genere.

Uscii con finta naturalezza dal mio nascondiglio e quando giunsi a una distanza ragionevole dal campo finsi un'espressione di immenso stupore.

Gli sguardi degli altri mi fecero capire di aver esagerato, ma non mi scomposi. «Ran-ma...? Chi...?»

Mi sentivo peggio di una traditrice fingendo in quella maniera. In fondo mi avevano obbligata a fare tutto quello, io non stavo tradendo nessuno. Io...

Uno dei due Ranma, all'apparenza il più calmo, m'interruppe. «Ah, Akane... Io sono Ranko, so che è strano... Accidenti, che casino... Ryoga passami l'acqua.»

Il ragazzo fece cenno a... Ranko di aspettare. Quest'ultima aveva proprio ragione, era un vero casino.

Esaminai la scena che avevo di fronte agli occhi e vidi Shinnosuke stupito almeno quanto avevo finto io. Il pensiero di lui mi fece ripensare al domani sera. Cosa sarebbe successo a lui e Ryoga se non fossi riuscita allontanarli?

Non volli pensarci e spostai lo sguardo su quello che riconobbi come il vero Ranma, con le sopracciglia particolarmente aggrottate. Probabilmente, pensai, lo avrei riconosciuto anche senza sapere tutta la storia, il suo cipiglio era inimitabile.

Mi chiesi se anche lui si sentiva il mio sguardo addosso come succedeva ultimamente a me con il suo.

Come se l'avessi chiamato per nome si volse di scatto verso di me, fece per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca. Mi sorpresi quando mi accorsi che aveva disteso il viso, era serio, ma almeno non arrabbiato.

Nei suoi occhi però c'era sempre quella fiamma. Ribadisco: nonostante li avesse blu come la notte, io li vedevo andare a fuoco. Sentii il mio respiro accelerare.

Non so quanto rimanemmo a fissarci, ma a un tratto “Ranko” mi scosse, attirando la mia attenzione.

Guardai di nuovo quello che poteva essere il clone di Ranma, ma non provai le stesse sensazioni che mi dava l'altro. Nonostante il colore fosse bello, i suoi occhi erano come quelli di chiunque altro e non mi sentivo inchiodata da una morsa allo stomaco. Nel frattempo sentivo ancora lo sguardo di quello vero bruciarmi addosso.

«Ehi, Akane, guarda adesso.» Poi si rivolse a tutti. «Guardate tutti. Questa è acqua calda.»

Ryoga le versò il contenuto del recipiente, a cui si era appena riferita, in testa. Non potei fare a meno di trattenere il respiro per lo stupore mentre tornava normale. Un conto erano le storie che mi raccontavano da bambina e le informazioni che mi avevano dato per la missione, ma viverlo di persona era decisamente unico. Ranko si scosse leggermente i capelli rossi bagnati e si voltò a guardarci uno ad uno, per vedere le nostre reazioni.

Sentii un moto di tristezza assalirmi quando realizzai di avere davanti a me i veri gemelli della profezia. Non mi ero ancora resa conto di aver avuto una speranza, seppur quasi inesistente, di essermi sbagliata e di poter lasciar in pace queste persone. In fondo le foto che avevo con me, di loro due, erano state fatte di sfuggita, non erano precise. Avrei potuto essermi sbagliata...

Sospirai e cercai Ranma con lo sguardo... Il quale naturalmente era di nuovo arrabbiato, ma non con me. Almeno non stavolta.

«Ah. Adesso si spiega... Ad esempio il fatto che ho rischiato di essere ucciso al suo stupido villaggio!» Disse enfatizzando le ultime parole e indicando Ryoga.

Quest'ultimo provò a parlare. «Veramente quello non era...»

«Oh! Tu stai zitto per piacere! Stai certo che non mancherà la volta in cui ti spedirò il naso dritto nel cervello!» Minacciò ancora una volta Ranma stringendo un pugno in direzione dell'altro ragazzo.

Stavolta fu Ranko a prendere parola. «Ranma! Non ti permetto di trattarlo così! E non ti permetto neanche di urlarmi contro a quel modo. Non sei cambiato di una virgola in tutti questi anni, pensi veramente che il mondo giri intorno a te?! Che solo tu te la stia passando male e che gli altri stiano qui a girarsi i pollici come degli scemi? Per favore, dimmi che non sei così dannatamente egocentrico!»

Aveva risposto proprio per le rime la ragazza. A conferma di questo c'era l'espressione furente del gemello, che esitò non poco prima di rispondere. «Io non sono egocentrico! M-ma dimmi tu piuttosto come ti permetti a rispondermi così! Sono tuo fratello non dimenticarlo!»

«Piuttosto tu non dimenticarlo! Non sei mio padre!...» Con queste ultime parole -grandissimo cliché a mio parere- Ranko si lasciò scappare un lacrima. Fuggì in un attimo dentro la foresta un'altra volta.

Ranma si protese in avanti col busto e il braccio. «Ranko... Aspetta!»

Un attimo dopo corse dietro la sorella, strascicando altre parole che non capii.





...And my momma swore
that she would never let herself forget
And that was the day that I promised
I'd never sing of love
If it does not exist...”



Ascoltavo i bassi respiri degli altri che dormivano. Ridacchiai quando sentii il lieve russare di Ranko, ricordavo che anche da piccola aveva questo piccolo problema respiratorio e naturalmente io non mi risparmiavo dal prenderla in giro.

Ripensai a... non sapevo come definirla. La sua trasformazione? Lei aveva negato di saperne nulla della causa, aveva solo detto che un giorno era caduta in questa strana piscina naturale e un attimo dopo, era così...

Probabilmente avevo sbagliato a urlarle contro in quella maniera, ma ero così frustrato! Il bello è che non ne sapevo realmente il motivo... Bah, più ci pensavo, più mi veniva male alla testa. Passai ad altro.

Durante la cena Shinnosuke era stato chiaro sul fatto di voler dormire lontano da me, nonostante tutte le sue dimenticanze si era ricordato con sorprendente lucidità l'ultima notte passata in mia compagnia. Per questo e perché non volevo sognare -di conseguenza fare incubi- non mi ero messo a dormire.

Mi ero arrampicato su un albero e, una volta trovato un ramo grosso e robusto, mi ero messo seduto con una gamba a penzoloni e la schiena poggiata al fusto. Ero arrivato piuttosto in alto, ma attraverso la chioma di foglie non distinguevo bene le stelle, tra i piccoli spazi scorgevo solo qualche scintillio.

Tirò una gelida folata di vento che mosse leggermente il fogliame, rabbrividii.

Ad un tratto sentii un fruscio al di sotto di me, feci per scattare ad affrontare qualsiasi pericolo mi si parasse davanti.

Ma mi rimisi seduto comodo quando mi accorsi di che pericolo si trattava. Comunque non staccai gli occhi dalla figura di Akane che si arrampicava verso di me. Fece un ultimo agile balzo e si mise seduta sul mio ramo, con le gambe sospese e le mani poggiate sul legno.

Aspettai che parlasse, ma invano. Presi l'iniziativa. «Dov'eri oggi, quando sei sparita?»

Domanda sbagliatissima! Ma perché aprivo la bocca e le davo fiato senza pensare? Idiota!

Akane storse il naso e sentii un accenno di nervosismo nella sua voce. «Quando?... Ah, ho capito. Niente ero solo andata a-a... diciamo fare i miei bisogni, ecco. Non si fanno certe domande alle ragazze.»

«Ah.» Risposi a disagio quanto lei.

Non volevo commettere altri passi falsi e lei non sembrava voler affrontare una conversazione. Espirai forte dal naso e poggiai la testa all'albero chiudendo gli occhi.

Sentivo forte la sua presenza, mi prudevano le mani al pensiero di poterla toccare semplicemente allungando il braccio.

Mi sentivo profondamente stupido. Dannazione, l'avevo conosciuta oggi questa ragazzina. Eppure eccomi qui, a pensare se anche lei stesse pensando a me.

Con le ragazze non me l'ero mai cavata in modo eccelso. Insomma, al mio villaggio piacevo a qualcuna, ma le avevo ignorate per la maggior parte. Anche Ukyo provava qualcosa per me, ma eravamo comunque riusciti a rimanere migliori amici. Cercavo di ignorare tutti i segnali che mi lanciava, facendo l'ingenuo, ma i momenti imbarazzanti non mancavano di certo... Mi sembrava quasi di sentire una sua delicata carezza sul viso...

Come un idiota mi ero inoltrato in pensieri, in ricordi che mi ero ripromesso di sotterrare. Come un onda anomala quel maledetto giorno mi travolse di nuovo. Cominciai a sentire il sapore della terra bruciata in bocca e un bruciore in gola. Vidi mia madre. «Scappa...»


«Ranma!? Ranma!» Era la voce di Akane, piuttosto allarmata. Sentivo qualcuno che mi scuoteva il braccio che avevo incrociato con l'altro sul petto. Spalancai gli occhi di scatto.

«Ah!»Scattai all'indietro, ma l'albero mi bloccò. Realizzai di essermi addormentato e di aver soltanto sognato.

Akane mi guardava ancora con occhi spalancati, allungata verso di me con un braccio. Cercai di ridarmi un minimo di contegno rallentando il respiro, rilassando i muscoli. Incrociai nuovamente le braccia al petto e rilassai la testa contro l'albero, stavolta senza chiudere gli occhi. Sentii il ritmo del mio cuore rallentare lentamente. Sospirai.

«Ehi, tutto a posto?» Nella voce di Akane trapelava appena la preoccupazione. Sospirai di nuovo e quando fui certo di aver il controllo della mia voce risposi.

«Sì. È tutto... È tutto ok.» Ribassai lo sguardo su di lei, aveva di nuovo la posa di prima, solo che ora si guardava le gambe dondolare su e giù.

Senza staccare lo sguardo dai piedi mi disse: «Stavi urlando e ti muovevi, rischiavi di cadere di sotto. Mi sono spaventata. Per questo ti ho svegliato.»

«Non c'è bisogno che ti giustifichi, so già la storia del mentre-dormo.» Risposi corrucciato, pensando al discorsetto di Shinnosuke.

Ma Akane fraintese. «Vabbé, ho capito, me ne vado. Ogni volta che cerco di parlarti ti arrabbi.»

La vidi misurare la distanza dal nostro ramo a uno poco più in basso, per spiccare un balzo. Quasi automaticamente la fermai, allungando una mano verso di lei. «No, aspetta! Non ce l'avevo con te, hai capito male.»

Ritrassi il braccio di scatto. Perché l'avevo fermata? Volevo stare solo, no?...

I suoi occhi lampeggiarono nei miei mentre rilassava i muscoli che aveva contratto.

Grazie per avermi svegliato. Avrei voluto dire, ma invece: «Hai fatto bene a svegliarmi. Ero arrabbiato solo per il discorso che ha fatto il tuo amichetto poco fa.»

Pensando a Shinnosuke aggrottai di nuovo le sopracciglia. Si era almeno chiesto il perché, prima di fare il sarcastico?

«Non ti arrabbiare con lui.» Ridacchiò. «Su certe cose sembra un po' tonto, ma ha un cuore d'oro. Sei stato fortunato a incontrarlo.»

Mi sorrise e io avvampai. Guardai le mie mani, che ora avevo intrecciate in grembo. Stavano sudando, erano appena umide.

Continuò. «Sai una volta mi ha anche salvato la vita, mettendo a repentaglio la propria. Ha delle cicatrici orribili sulla schiena.»

Sentii un macigno sui polmoni mentre si vantava di Shinnosuke. Quindi lui le piaceva?... Aspetta, perché questo dovrebbe darmi fastidio? Perché dovrebbe minimamente interessarmi? Nonostante ciò il macigno si appesantiva, non accennava a spostarsi.

Sbuffai e le rivolsi di nuovo lo sguardo. Assunsi un aria di sufficienza. «Tsk. Quanto si vede che sei più piccola di me... Voi ragazzine, appena vedete un uomo che ha un po' di fegato, perdete la testa.»

S'imbronciò e sbuffò dalle narici. «Non è vero! Non chiamarmi ragazzina! E poi non mi piace Shinnosuke!»

Alzai gli occhi al cielo e mi misi a gambe incrociate, in perfetto equilibrio nonostante la grandezza del ramo. «Si, certo. E a me invece piace mangiare pigne!»

«Ah! Non sai in questo momento cosa ti farei con una stupida pigna!»

«Sentila, la ragazza! Come siamo rozze, eh?»

«Smettila! Sei un maleducato! Uno sfrontato!»

«Rozza!»

«Maniaco!»

«Oddio! Ancora con...» Uno scricchiolio interruppe la mia frase a metà. Troppo tardi mi resi conto di essermi inconsapevolmente avvicinato ad Akane, quindi i nostri pesi si concentravano sull'estremità esterna del ramo.

Mentre ci fissavamo spaventati, sentii un forte scrocchio seguito da uno scossone. Prima che potessi anche solo pensare a cosa fare, il ramo crollò sotto di noi.

Agii d'istinto, presi Akane tra le braccia e ripensai velocemente alle tecniche di caduta che mi aveva insegnato mio padre.

Passarono altri tre secondi di paura, prima di toccare il terreno. Assorbii l'impatto sulle punte, strizzai un pochino gli occhi al dolore -seppur lieve- che mi provocò e mi girai verso Akane.

La vicinanza dei nostri visi mi inchiodò ancor di più dei suoi occhi che mi fissavano. Vidi le sue gote arrossarsi e pensai che probabilmente anche alle mie era successo. Respirai il suo profumo e sentii l'istinto che mi chiedeva di avvicinare il mio viso al suo. Ma non feci nulla, rimasi lì inchiodato, come un imbecille. Abbacinato dal suo sguardo, catturato anch'esso dal mio.

Sentii un rumore proveniente dall'accampamento, ma non me ne curai. Akane invece sì.

Guardò in in quella direzione e poi bisbigliò con voce spezzata dall'imbarazzo: «Potresti a-anche mettermi giù ora.»

Annuii, senza dire nulla e la lascia andare. I suoi occhi però non li mollai.

«B-buonanotte.» Disse arrossendo nuovamente. Io annuii di nuovo e poi la vidi correre e scomparire nel buio della notte.


But darling,
You are the only exception...”


[Song by Paramore]



Ehi ciao! Ecco un altro nuovo capitolo, siamo già al sette e quanti giorni ho raccontato? Tre! Boh eppure non mi sembra così... oddio non ho l'aggettivo, vabbè pazienza. Volevo sottolineare che in questo capitolo ho preso in considerazione solo una canzone perché mi piaceva metterla così e forse non sarà l'ultima volta. In questi giorni ho aggiornato in modo molto più veloce rispetto a prima... Bene. 

Volevo chiedervi, com'è la situazione neve la da voi? Io sono di Roma e fa veramente ridere qui!

Ringrazio LoveAnimeManga89, apochan kenshiro e caia per le recensioni e tutti gli altri che si meritano i miei ringraziamenti XD

Bene a questo punto. Ciao!

Sakura!

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Capitolo 8
*** Who scream out loud inside me? ***


Cap. 9



Colui dai capelli neri

avrà anche l'animo oscurato da una notte infinita,

quando troverà pace alla sua mente

potrà fare il bagno a Jusen utilmente.

    - Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -



If I could find the years that went away
Destroying all the cruelty of fate
I must believe that love could find a way
Tonight”


[Trading Yesterday]




«Mi ricorderesti perché ti stiamo accompagnando a... ?» Boccheggiò Ranma, di nuovo, cercando di ricordare come si chiamava il villaggio dove, a detta sua, li stavo “trascinando”.

«Riuzu.» Lo aiutai sospirando.

«Quello che è...» Borbottò.

Stavamo camminando da più o meno un'ora. Avevo deciso di introdurre il discorso solo la mattina seguente, ma non mi era andata male. Si erano tutti mostrati disponibili ad accompagnarmi là, sovraccaricando tra l'altro il mio senso di colpa. Però naturalmente tutti tranne uno.

Mi spostai nervosamente una ciocca di capelli dal viso dietro l'orecchio, tenevo lo sguardo basso – sempre attenta a non incrociare il suo. Mi infastidiva parecchio questa sua insistenza, sentivo che prima o poi mi sarei tradita da sola. Sentivo già il suo dito accusatorio puntato contro di me, mentre mi giudicava una bugiarda, una traditrice.

Questo pensiero mi fece sentire come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Accusai il colpo sbuffando, sperando che Ranma lasciasse perdere la conversazione.

Ma invano.

Mi voltai leggermente verso di lui e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. Come quella notte sentii tutta l'aria che avevo nei polmoni scappare via.

Al pensiero della sera prima arrossii. Ricordavo molto bene di come mi ero arrischiata a carezzargli la guancia mentre dormiva, avevo pensato che il suo viso nel sonno fosse stranamente tenero.

Ma perché, diamine, era così bello! I suoi occhi mi inchiodavano, solo come quelli di un serpente potevano fare, e non solo per la paura...

«Allora?» Mi incoraggiò con tono di sfida. Aprii bocca per rispondere, ma la richiusi mordendomi il labbro inferiore. Distolsi agitata gli occhi dai suoi, trovando improvvisamente interesse per il bottone del borsone che portavo.

Non potevo rispondergli mentre mi scrutava l'animo a quel modo, avrei sicuramente fatto qualche passo falso.

Tossii. «Beh, l'ho già detto. Devo incontrare dei miei... amici.»

Storsi il naso quando dissi “amici”.

Da come affilò lo sguardo capii che non se l'era fatto sfuggire. «Ma perché noi ti dobbiamo accompagnare? Così vicino a quel confine poi...»

«Perché non mi andava di andare da sola!»

«Ma se mia sorella ti ha trovata che eri sola!?»

Sbuffai impaziente dal naso. «Beh, è... è proprio per questo che mi sono subito unita a lei!»

Grugnì. «Questo non giustifica il fatto che noi dobbiamo venire con te.»

Rallentando leggermente il passo mi voltai allibita verso di lui. «Invece si! Ma cosa c'è che non va in te?» Lo sfidai. «Allora hai paura di avvicinarti a Jusenkyo?»

Ma mentre stava per ribattere, lo vidi scasare appena in tempo il pugno di un rabbioso Ryoga. Ci fermammo tutti e io li guardai confusa.

Ryoga puntò un dito contro Ranma «Come ti permetti di essere così cattivo con la ragazza?! Noi l'accompagneremo. Perché non te ne vai tu?»

Lo guardai esterrefatta, mi stava difendendo? Ryoga doveva essere davvero un ragazzo gentile, avrei voluto molto esserci amica...

Ranma ghignò sarcastico. «No, aspetta. Fammi capire. Quando ho chiesto il tuo parere?»

Ryoga ringhiò di rimando e gli puntò il dito contro. «Tu non sei un vero uomo! Perché solo i vigliacchi non rispettano le donne!»

«A chi hai detto vigliacco?!» Ranma caricò un pugno. Ma, appena prima che arrivasse a segno, vidi la sfocata figura di Ryoga spiccare un impressionante balzo verso l'alto.

«Ah!» Vidi un oggetto scagliato verso Ranma dalla figura di Ryoga prima che questo tornasse a terra.

Era un tiro fatto un po' male, così l'altro scansò di un poco la testa per schivarlo. Ma dopo il fruscio dell'aria, un taglio cominciò a sanguinare sulla guancia di Ranma.

Mi girai e vidi un ombrello rosso ficcato con forza nel terreno, l'oggetto che gli aveva lanciato. Intanto Ranma si portò una mano alla guancia e lo vidi sorpreso di scoprirci un taglio, seppur superficiale.

Alzò un sopracciglio e guardò Ryoga fulminandolo, che ridacchiava sardonico.

«Questo non dovevi farlo.» E si lanciò contro di lui, mentre io mi allontanavo.

Ryoga cercò di anticiparlo alzando un altro pugno, così Ranma schizzò dietro di lui e con la gamba sinistra gli diede una botta molto forte alle ginocchia. L'altro cadde a terra, ma Ranma non fece neanche in tempo ad attaccarlo, che lui gli strinse le gambe al collo, emise un grugnito per lo sforzo e gli sbatté la testa a terra. Mentre Ryoga si rialzava massaggiandosi le gambe vidi Ranma un po' instabile che balzava in piedi. Perse quasi l'equilibrio, ma fece in tempo a scansare malamente un altro suo attacco frontale. Infine Ranma, riavutosi dal capogiro, approfittò di quel momento di stallo per buttarlo a terra e bloccarlo. Lo vidi sorridere maligno mentre caricava il pugno che avrebbe quasi sicuramente rotto il naso all'altro.

Se non lo avessero fermato.

«No! Ranma!»



Tell me what makes her so much better than me
What makes her just everything that I can never be
What makes her your every dream and fantasy
Because I can remember when it was me”


[Paula DeAnda]


Guardai ancora una volta il viso di Ryoga avvampare, dopo aver lanciato uno sguardo languido – o da perfetto idiota, dipende dai punti di vista – ad Akane. Aggrottai le sopracciglia, frustrata.

La gelosia è un sentimento strano. Non è mai come ci si aspetta. Lì per lì è una rabbia lenta e profonda, ti fa fissare il diretto interessato con la voglia di incenerirlo, desiderando non aver fermato tuo fratello dallo spaccargli la faccia. Ma poi arriva la parte brutta, ti avvilisci e diventi malinconica.

Infine, come se non bastasse, lui non si accorge mai di nulla. «Ranko, cos'hai?»

Dimmelo tu. Questo è quello che avrei voluto rispondere, ma mi limitai a una scrollata del capo.

«Dai, si vede che non stai bene. Ti fa male la pancia?» Questa sua affermazione mi fece notare le braccia serrate all'altezza dello stomaco, probabilmente per combattere la nausea che mi agitava dentro.

Mi mise una mano sulla spalla, che mi provocò un fremito lungo la schiena. Per la rabbia, naturalmente. Eravamo abituati a contatti tra noi.

«Lasciami in pace.» Con un'energica scrollata di spalle me lo tolsi di dosso. Allungai il passo per mettermi accanto a Ranma. Questo mi lanciò un occhiata perplessa, scossi leggermente il capo per dirgli di lasciar stare.

Scrollò le spalle e tornò a guardare dritto davanti a sé...

No, non ci credevo. Non aveva lo sguardo semplicemente vago. O comunque di uno impegnato in una camminata. Stava palesemente fissando Akane, che chiacchierava tranquillamente con Shinnosuke. Quando poi lei venne scossa da una risata, Ranma lanciò un'occhiataccia all'altro ed infine come se si fosse ricordato di qualcosa abbassò lo sguardo arrossendo. Ridacchiai tra me e me incredula. A mio fratello piaceva Akane!

«Perché ridi?» Mi girai sorridente verso chi mi aveva rivolto la domanda e mi ritrovai di fronte Ryoga.

Ogni traccia dell'appena ritrovato buon umore sparì da me, mentre voltavo teatralmente la testa dall'altra parte. «Oddio, Ranko. Ma ce l'hai con me? Che ti ho fatto?»

Sospirai, mentre una fitta mi colpiva all'altezza del cuore. Non mi piaceva tenere il muso a Ryoga. Eravamo amici da quando ero scappata di casa e ci eravamo intesi subito. Le scaramucce, ovvio, non mancavano, ma facevamo pace presto. Inoltre non potevo essere arrabbiata con lui senza dirgli... qualcosa – il che era fuori discussione. Forzai un sorriso e lo presi sottobraccio, come eravamo soliti fare.

«No, è tutto ok.» Lo vidi un attimo confuso.

«Allora, perché ridevi?» Valutai velocemente se mi fosse convenuto o meno dirgli di Ranma.

«Perché a mio fratello piace Akane.» Dissi a bassa voce con una mano messa a coppa, per nascondere le mie labbra.



Lonely, finds me
One day you will come
But I'll wait for love's sake
One day to me, love”


[Trading Yesterday]


«Eccoci arrivati.» Non diedi ascolto alla voce di mia sorella che sparava ovvietà, piuttosto esaminai l'ambiente circostante. Aguzzai le orecchie, attento a ogni singolo rumore sospetto. Un colpetto sulla spalla mi fece sobbalzare leggermente, ma non mi scomposi. Avevo riconosciuto subito di chi era il tocco.

«Ranma, sei teso come una corda di violino. Rilassati.» Ma neanche la voce di Akane sembrava rilassata. A dirla tutta, sembrava più agitata di me. Spostava continuamente lo sguardo e aveva il respiro pesante. Forse era stanca, pensai, avevamo camminato tutto il giorno, riposandoci qualche ora a pranzo. Ed ora era il crepuscolo, eravamo tutti stremati, eppure...

«Beh, io direi di fare un giro, per cercare dove sistemarci.» Affermò risoluta Ranko, mentre gli altri esprimevano il proprio consenso.

Mentre esploravamo le piccole vie di quello strano villaggio, mi accorsi di un “piccolo” dettaglio. Dov'erano tutti? Le strade erano deserte.

Notai in una finestra al primo piano un uomo o una donna, non riuscivo a distinguerlo, che ci osservava da dietro un persiana verde. Dopo averne notati altri cinque, mi girai dietro per dire non so cosa a Ranko, che ci stava seguendo accanto a Ryoga. Ma delle schegge di ghiaccio mi si agitarono nello stomaco. Non avevo nessuno dietro di me.

Mi girai nuovamente, ma vidi solo Akane davanti a me. Si mordicchiava le unghie ed era in apprensione era evidente. Dov'era Shinnosuke?

Mentre mi avvicinavo a lei con crescente timore, con voce spezzata disse: «Sta accadendo troppo in fretta.»

Stavo per chiederle a cosa si riferisse, ma con la coda dell'occhio vidi un ombra che si muoveva. Il presentimento si trasformò in certezza quando vidi un uomo armato uscire da dietro un angolo non molto lontano.

Agii, come al solito, d'istinto. «Corri! Non permetterò a nessuno di torcerti un capello!»

Agguantai la mano di Akane e cominciai a correre nella direzione opposta a quello, che si era nascosto di nuovo. Dovevo salvare sia me che lei. La tensione era tanta che non avevo neanche pensato a vergognarmi dei miei pensieri e delle mie parole.

«Aspetta, Ranma...» Protestò Akane, mentre me la trascinavo dietro. Ma cosa stavo facendo? Avevo visto un uomo armato, e allora? Non era così anormale di questi tempi.

Cavolo, probabilmente anormale ero io. Ma come mi veniva in mente di affidarmi a una sensazione. Constatai che non ci stava neanche seguendo. Per sicurezza girai l'angolo, così almeno non ero nel suo campo visivo.

Rallentai il passo fino a fermarmi. Mentre mi giravo verso di lei, per chiederle degli altri, sentii un pizzico sul collo. Vidi Akane che mi fissava con un espressione che trasudava di rimpianto e dispiacere. Mi diedi uno schiaffo sul punto del pizzico pensando a un insetto, ma toccai qualcosa di più grande e metallico di quanto mi aspettassi.

«Ah!» La mia stessa voce arrivò lontana alla mie orecchie. Combattei contro la pesantezza che sentivo avvolgermi, a causa di quello che sembrava un sedativo. Sperai con tutto il cuore che fosse solo quello e non qualche cosa di velenoso.

«Scusa.» Anche la voce di Akane sembrava distorta, come se avessi ovatta nelle orecchie. Una parte di me era già arrivata alla conclusione, ma ogni pensiero che avevo si sfilacciava, perdendo consistenza. Continuai a combattere contro il calmante.

Mossi qualche passo indietro e sentii la lucidità pervadermi di nuovo lentamente. Vidi Akane alzare un braccio verso di me, incerta.

«Com'è possibile?!» Disse un altro ronzio alle mie orecchie, ma prima che potessi rimettere insieme il filo logico dei miei pensieri sentii un altro pizzico. Un altro. E un altro ancora.

Non riuscii neanche a percepire lo scontro che ebbi col terreno quando caddi a terra, lo vidi e basta. Poi anche la vista cominciò a oscurarsi. Continuai a combattere, ma non rispose più nulla al mio cervello.

Solo un fruscio.«Mi dispiace, Ranma.»





Ciao! Come vi è sembrato questo capitolo? Personalmente avrei voluto scriverlo meglio, ma l'ho revisionato fin troppo. Forse è per questo che ora odio come l'ho scritto...

Beh cosa sarà successo?

Ringrazio Apochan Keshiro, LoveAnimeManga89 e caia. Mi scuso con voi per non aver risposto alle vostre recensioni, ma in questi giorni non sto quasi mai al computer, spero che vi basti sapere che prima o poi lo farò XD e che apprezzo tantissimo quello che mi scrivete.

Ringrazio tutti quelli che leggono e che aggiungono la storia al loro account.


A presto


Sakura.

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Capitolo 9
*** Normalità. Definizione, prego? ***


Cap. 9


Quando il sangue mutato

di entrambi i prescelti sarà versato

il segreto rivelato si scioglierà dal suo sigillo

e Il vecchio tornerà arzillo.

    - Diario degli scritti segreti; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -


There I was again tonight
Forcing laughter, faking smiles
Same old tired, lonely place.
Walls of insincerity
Shifting eyes and vacancy
Vanished when I saw your face
All I can say, is that it was enchanting to meet you”

[Tailor Swift]



Sospirai guardando il cortile della scuola dalla finestra. Sembrava un sogno, di quelli irreali. Mi continuavo a ripetere di essere tornata alla vita di sempre, ma a me sembrava tutto il contrario.
Mi guardavo ancora in giro con occhi sospettosi e mi sentivo scoperta senza nemmeno un arma addosso. Per non parlare della scomodissima gonna verde-acqua della divisa scolastica...

La pigra voce del professore che spiegava un metodo di risoluzione per la matematica, mi sembrava totalmente fuori luogo.

Ogni cosa sembrava fuori luogo. Me compresa. Non mi sentivo più appartenere a quel mondo, così diverso da Nerima. Così diverso da lui. Sospirai.

Lo scacciai subito dalla mente, spostando lo sguardo e cercando di seguire la lezione, ma probabilmente sarebbe stato più facile far prendere il volo al banco con la forza della mia frustrazione.

La campanella. Un altro rumore fastidioso e fuori luogo, ma che almeno m'informava che la prima metà della giornata era finita. Mi alzai pigramente dalla sedia, facendola grattare rumorosamente contro il pavimento.

Il tempo sembrava aver perso senso, mi trascinavo avanti per i giorni che passavano. Come se stessi aspettando un svolta, che mi riportasse alla mia normalità...

Ma cosa diavolo trovavo di normale nel vagare per una landa desolata?!

«Ehi, Akane! Torniamo a casa insieme?» Yuka e Sayuri erano lì davanti a me, ammetto che le miei amiche mi erano mancate.

«Certo.»

Sulla strada di casa non fecero altro che parlarmi di tutto ciò che era successo durante il mio “viaggio”. Non che mi importasse molto che ad esempio delle ragazze di primo anno avessero trovato Akira e Kazuho a pomiciare nel ripostiglio delle scope, ma era comunque un argomento piacevole.

«E tu Akane?» Fece Yuka con fare malizioso.

Cercai di evitarla facendo l'ingenua. «E io cosa?»

«Oh, andiamo! Non vorrai dirci che non hai incontrato nessun ragazzo!» Intervenne Sayuri, enfatizzando non poco sulla parola ragazzo.

L'immagine di me in braccio a Ranma mi investì con la stessa forza di tir carico di merci pesanti. Abbassai lo sguardo. «N-no. N-nessuno.»

Sayuri sgranò gli occhi. «Oddio! Ti sei innamorata!»

«Non è vero!» Sbottai con lo stesso tono di una bambina che batte i piedi per terra.

«E invece si! Guardala com'è rossa!»

«Dai! Dicci com'è!»

Guardai i loro occhi carichi di aspettative, mi chiesi cosa c'era di male a parlarne con due amiche. Sospirai.

«È alto più meno così.» Feci un segno con la mano sopra la mia testa. «Ha diciannove anni. Conn i capelli neri, raccolti in una treccia, porta abiti cinesi, ma è giapponese. Poi ha degli occhi...»

Mi resi conto di avere uno stupido tono sognante, arrossii. «Ha gli occhi blu ed è... molto bello e atletico.» Ammisi a malincuore.

«Wow! Che belloo! E come vi siete conosciuti?»

«Beh, noi...» Invece di come ci eravamo conosciuti mi venne in mente a come ci eravamo “lasciati”. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime.

«Scu- scusate, ma oggi dovevo fare la spesa.» Imboccai il primo angolo senza guardarle. «Ciao! A domani!» Continuai a voce alta, mentre mi asciugavo febbrilmente le guance.


Arrivata a casa mi tolsi le scarpe nell'ingresso di casa mia. «Sono tornata!»

Dovevo smettere di mentire a me stessa, ecco la verità. Ranma. Pensavo solo a lui, era estenuante.

Anche perché non ci ricamavo sopra altri pensieri. Solo che ogni tanto, ecco che il suo nome si infilava qua e là per la mia testa, come un flebile sussurro.

Un esempio? Stavo facendo la spesa e controllavo la lista in tutta tranquillità, quando all'improvviso: Ranma. Così improvvisamente che mi tolse il respiro, quella volta avevo anche lasciato cadere il blocco note a terra. Tutte le volte era così.

Poi ripensavo al tempo che ci avevo trascorso, 2 giorni, e mi arrabbiavo prepotentemente con me stessa. A pensarci bene potevano pure non essere state 24 ore intere!

Qualche sera pensando a lui c'era scappata anche qualche lacrima... Ma solo una... Massimo due...


Entrai in sala da pranzo e sentii rialzarsi quella sorta di barriera impenetrabile che si era formata tra me e la mia famiglia. Cioè solo mio padre. Prima abitavamo con mia sorella Kasumi e Nabiki, ma la prima si era sposata e la seconda... Nabiki era scappata via di casa, subito dopo che ebbero prelevato papà e poco prima di quando io ero partita. Quindi naturalmente in presenza di mio padre lei era diventata argomento tabù.

«Bentornata cara.» Disse papà con tono carezzevole, mentre passavo di lì per scappare in camera mia.

«Grazie, papà.» Risposi automaticamente, mentre un malinconico sorriso gli stirava le piccole rughe sul volto. Da quando eravamo così formali tra noi?

No, decisamente non potevo continuare così, mi dissi mentre salivo a due a due le scale per andare in camera mia.



I wonder, how am I supposed to feel when you're not here.
'Cause I burned every bridge I ever built when you were here.
I still try holding onto silly things, I never learn.
Oh why, all the possibilities I'm sure you've heard.

That's what you get when you let your heart win


[Paramore]


Faceva freddo. Era scomodo.

Non riuscivo a estrarre nient'altro dal vortice che avevo in testa in quel momento.

A un tratto percepii un suono, uno strano uggiolio. Ma mi sembrava così lontano che avrebbero potuto semplicemente fischiarmi le orecchie.

Sentivo lentamente tornarmi la consapevolezza di me stesso. Come ad esempio il fatto di avere due braccia, una delle quali schiacciata dal mio corpo. Pensai che si fosse sicuramente addormentata.

Cercai di muovermi, ma sentivo addosso i dolori di quando dormi per troppo, fermo e nella stessa posizione.

Strascicai un gemito mentre cercavo di far passare il braccio desensibilizzato da sotto il busto. Non ebbi molto successo e soffocai un altro gemito girandomi supino. Ascoltai per un po' il fiatone che mi aveva colto per quelle piccole stupide azioni, mentre cercavo di capire se riuscissi a muovere il braccio o no. Appurai che non sentivo solo le dita, nel resto dell'arto già cominciava il familiare formicolio del sangue che rifluiva.

Aprii lentamente gli occhi, ma mi prese un forte capogiro che me li fece subito richiudere. Con l'altra mano cominciai a massaggiarmi quella intorpidita, mentre il mio cervello arrancava in ragionamenti. Cos'era successo? Avevo incontrato mia sorella, si. Poi un'altra ragazza, Akane. Altri due ragazzi, Ryoga e Shinnosuke, dopo essere scappato da...

Improvvisamente consapevole del pavimento freddo e umido sul quale ero steso, mi strisciò un velato terrore nello stomaco. Più i ricordi erano recenti, più sembravano opachi e confusi. E se fossero stati tutti un sogno? E se fossi ancora nella postazione oscura?

Aprii di scatto le palpebre e mi sedetti con altrettanta velocità, procurandomi un giramento di testa talmente forte che per poco non ricaddi a terra. Poi come un chiodo in ogni tempia avvertii un feroce mal di testa, ma non volli arrendermi.

Mi posai un attimo la mano sulla fronte, come per cercare di contenere il dolore, e mi guardai attorno. Un misto di sollievo e confusione s'impossessò di me: non ero nella postazione oscura, ma allora dove?

Era una stanza quadrata completamente spoglia tranne che per un gabinetto, al posto di parete c'era una fila di sbarre procurandogli in tutto e per tutto l'aspetto di una prigione. Anzi probabilmente lo era.

Ricominciarono gli uggiolii e stavolta ebbi la certezza che si trattava di qualcuno. Piagnucolava piano, ma con una disperazione tale da farmi salire le lacrime agli occhi.

Sempre con la mano stretta sulla fronte mi alzai, ma non appena fui in piedi il dolore alla testa aumentò ancora di più. Come faceva a non esplodere?

«Ah!» Caddi in ginocchio, stavolta mi strinsi la testa forte con entrambe le mani gridando un imprecazione.

Mi accorsi a malapena che il piagnucolio si era fermato, ma dopo un po' arrivò una voce. Familiare, ma talmente debole e spezzata che feci fatica a capire le parole. «R-ran-ma, sei t-tu?»

Il mal di testa sembrava stesse allentando la presa, così sporsi più che potevo il viso tra le sbarre. «Ranko?»

Avevo la voce piuttosto impastata, ma non me ne curai. Ero piuttosto agitato perché non la vedevo, doveva stare nella cella accanto alla mia. Schiacciai ancora di più il viso contro le sbarre.

«Si.» Singhiozzò.

«Ma che ci facciamo qui? Che succede?»

Ricominciò a piagnucolare. «Io... Io non... E Ryoga...»

La lasciai perdere, cosciente del fatto che in piena crisi di pianto non avrebbe detto nulla di comprensibile.

Mi rimisi seduto per terra e cercai di ricomporre i miei pensieri in un'idea. Del mal di testa era rimasto un debole battere, così sarebbe stato più facile ritrovare lucidità.

L'ultima cosa che ricordavo? Molta confusione. Ok, a parte quello? Una... città. No, il nome non me lo ricordavo assolutamente, ma poi? All'improvviso il viso di Akane mi colpì come uno schiaffo. Aveva un'aria così triste e aveva detto “Mi dispiace, Ranma”. Ci aveva portato lei in quel posto, era una trappola! Ma... Perché? Cosa diavolo stava succedendo?!



Già, cosa starà succedendo?

Ehilà! Scusate tantissimo per l'enorme ritardo, ma è causato da forze maggiori (mancanza di ispirazione).

Ringrazio caia e LoveAnimeManga89 per le recensioni e naturalmente anche tutti gli altri per la lettura.

Vi ricordo che non vi libererete così facilmente di me, se ritardo è sicuramente perché non ho una ceppa da scrivere.


Baci, al prossimo capitolo


Sakura*



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Capitolo 10
*** Prima del peggio. Prima che ci incontrassimo. ***


Cap 10









Salve a tutti! Dopo essermi sperticata in scuse e richieste di perdono per non aver scritto niente da un mese, vi spiego come mai oggi ho pubblicato il mio Angolino della scrittrice prima del capitolo (ebbene sì, io lo chiamo così U_U). Dunque, ultimamente non riuscivo più a scrivere niente per questa storia, ma ho già espresso che non ho assolutamente intenzione di lasciarla stare. Avevo deciso allora di “posare la penna”, perché sarebbe stato inutile scrivere sforzandomi (facendo quindi uscire un orrendo casino) e ho iniziato a leggere altre storie sul sito per poi leggere libri e manga a casa. Ed è con contentezza che vi dico che ora mi sento in grado di scrivere. Ma ora penserete “Ma a me cosa importa?” (per non usare termini scurrili), beh ho usato tutto questo preambolo per dire che di conseguenza a ciò la storia prenderà una sbandata assurda, cioè ho ritrovato l'ispirazione, ma non quella di prima, così la trama che avevo in mente prima (o per meglio dire che non avevo in mente) la mandiamo a farsi friggere, perché cambierà totalmente tipo (infatti ora che ci penso forse cambierò il genere che ho specificato). Per finire mi auguro di riuscire a collegare tutto per il meglio, perché sarà veramente difficile.


Altro punto che volevo affrontare (stavolta più corto, promesso!) è che come avrete notato tutti, non rispondo sempre alle recensioni, anche se mi piacerebbe tanto, ma per mancanza di tempo non lo faccio. Quindi ho deciso di farlo qui, nel mio Angolino della scrittrice ;)


Andiamo con ordine:

-rafxsulfusxsempre: Grazie per aver commentato ^^, eccolo il capitolo, ma mi spiace non credo che si capirà molto presto che sta succedendo ;).

-caia: Ciao! Eh si, Akane ha fatto tutto per il padre, ma c'è anche qualcos'altro sotto questa storia, ma basta spoiler! Ti lascio alla lettura!

-LoveAnimeManga89: Ehilà! Ti ringrazio come sempre, anche a me piacciono molto come coppia loro due ^^

-apochan kenshiro: Ehi! Grazie che mi commenti sempre i capitoli anche se ne sono usciti altri, mi fa molto piacere ^^. Per i cambi di punti di vista penso che sarà così molti altri capitoli da ora, perché come vedrai la situazione cambierà di molto. Per invece Soun... posso dirti che qualcosa da “sviscerare” ci sarà, ma come ho già detto: niente spoiler!


Ora non mi resta che lasciarvi in pace dopo tutte le mie parole inutili.

Bacio.


Sakura*



Tre settimane dopo circa: primo ottobre.


Benvenuto ovunque tu sia, questa è la tua vita, l'hai allontanata. Benvenuto, tu

devi credere che proprio qui adesso tu sei esattamente dove dovresti essere. Benvenuto ovunque tu sia.


Welcome to wherever you are,this is your life, you made it this far. Welcome, you gotta believe that right here right now you're exactly where you're supposed to be. Welcome, to wherever you are.


[Bon Jovi – Welcome To Wherever You Are]




«Kuno! Kuno!» Cercai di fermare il senpai, che dandomi le spalle stava entrando a scuola.

Dopo un'attenta riflessione – composta principalmente da stupide fantasticherie su Ranma, risolini e scatti di rabbia, soprattutto scatti di rabbia – avevo deciso di adottare un approccio più diretto per il problema, di conseguenza sarei dovuta partire dal più vicino alla questione. Tatewaki Kuno, il figlio di Koccho Kuno, uno dei 5 membri del consiglio supremo, il più influente aggiungerei.

Continuai a chiamarlo con voce spazientita, era incredibile come poteva essere appiccicoso solo quando non serviva.

Accelerai il passo, provocando il lieve scricchiolio della terra secca del cortile sotto i piedi mentre lo chiamavo un'ultima volta. L'interpellato si girò verso di me con uno sguardo traboccante di un'improvvisa gioia. «Oh, mia dolce, dolcissima Akane Tendo! Anch'io voglio suggellare la nos...»

Interruppi il suo inutile sproloquiare con un pugno in faccia, era un individuo veramente irritante.

A parte questo sarebbe potuto essere un bel ragazzo, aveva una chioma castana di capelli che finiva in un ordinato ciuffo sulla fronte. Il taglio degli occhi castano scuro era sottile, procurandogli un'aria intrigante che... spariva non appena apriva bocca.

Cercai di tenere il punto. «No. Ascoltami, che fine hanno fatto i gemelli?»

Per tutta risposta lui inclinò il capo confuso.

Avevo passato interi giorni a decidere come avanzare domande di questo tipo e sapevo già quindi che non avrei dovuto essere così diretta, ma avevo esitato troppo lungo. Mi premeva da altrettanto tempo la necessità di sapere, e non m'importava che fossero state ore giorni o settimane. Io dovevo sapere.

Fortunatamente avevo a che fare col senpai Kuno, altrimenti non credo mi sarebbe andata altrettanto liscia, con qualcuno così vicino al consiglio.

Un lampo di comprensione gli attraversò il viso. Parlò con voce mielosa da far ribrezzo. «Ah, ho capito di cosa parli, ma mi spiace, sono vincolato a mio padre. Non ne posso parlare con nessuno.»

Avevo previsto anche questo e così mi preparai a far leva sul debole che lui aveva per me. Pensai che mi sarei odiata per tutta la vita per una cosa del genere, ma...

Presi fiato per parlare quando suonò la campanella, che indicava l'inizio delle lezioni.

«Ah, sarà meglio andare.» Continuò Kuno. «Riguardo questo discorso, come ho già detto non posso rivelarti tutto, ma mio padre ritiene necessario farti alcune delucidazioni. A dopo mio bocciolo di rosa.»

Se ne andò col suo tono enfatico, mentre io rimasi lì un poco inebetita. Non sapevo che significato dare alle sue parole, ma innanzi tutto non avevo fatto alcun passo avanti, pensavo mentre muovevo passi veloci in direzione della mia classe.

Cosa voleva ancora da me suo padre? Ne avevo abbastanza di tutti i Kuno, pensai con falsa ironia, per celare a me stessa la piccola apprensione che minacciava di dilagarmi.

Quando arrivai di fronte la mia aula non ricordavo minimamente come ci ero arrivata, ma espirai di sollievo quando vidi che il professore non era ancora arrivato.

Presi posto accanto a Yuka, salutandola. Ma non facemmo in tempo neanche a cominciare a parlare che entrò il professore, facendo prendere a ognuno il proprio posto.

Ci alzammo quasi all'unisono in piedi per il saluto e ci risedemmo con meno ordine.

Le lezioni corsero veloci, senza che io le seguissi veramente. Sapevo già che mi sarebbe costato più studio a casa, ma proprio non ce la facevo. Scarabocchiavo distrattamente sul quaderno di storia. Disegnavo linee, che poi si curvavano su stesse o si spezzavano, seguendo la canzone che avevo sentito quella mattina alla radio mentre mi vestivo e che ora avevo in testa.

Quando squillò la campanella della pausa pranzo tirai un sospiro di sollievo e presi il bento che avevo portato da casa. Non feci neanche in tempo a prendere le bacchette, che mi si fiondò quasi addosso Sayuri.

«Dai Akane! Il pranzo lo mangi dopo. Vieni, corri.» Mi strattonò per una mano facendomi alzare.

«Che succede?» Dissi fermandomi, ma intanto Yuka da dietro cominciò a spingermi sulla schiena.

«Tu, cammina. Te lo raccontiamo mentre andiamo.»

Ci incamminammo per i corridoi pieni di studenti, come al solito durante l'ora di pranzo. Sayuri si girò verso di me con occhi entusiasti.«Allora, devi sapere che stamattina ho incontrato mia cugina, la senpai Kachiyo...»

«...Quella dell'ultimo anno.» Completò Yuka.

«Mi ha raccontato che oggi in classe sua sarebbe arrivato un nuovo studente...»

«...E che sapeva che è un bellissimo ragazzo.»

Finirono di nuovo completandosi le frasi. Mi misi una mano in fronte. «Oh ragazze. Tutto questo solo per uno nuovo? Ma voi siete pazze.» Dissi ridacchiando con loro.

«E poi che ne sa la senpai che è bellissimo quest-» Yuka mi interruppe quando fummo arrivate davanti a una classe. Sbirciò dentro l'aula con discrezione e poi incitò anche me e Sayuri a farci avanti.

Nella classe non c'era quasi nessuno, a eccezion fatta per Kachiyo, qualche sua amica e tre ragazzi. Al centro dei quali ne spiccava uno. Ma non perché fosse più alto o particolare.

Il mio respiro si bloccò con il resto del mio corpo che si avviava all'interno della stanza con le mie amiche. Egli spostò il suo peso da un piede all'altro, dandomi la sensazione di averlo fatto a mia volta, tanto era forte l'intensità con cui lo fissavo. Mi chiesi se riusciva ad avvertirlo sulla pelle il mio sguardo.

La luce del sole filtrava forte dalle finestre e gli illuminava il profilo sinistro del corpo, in contrapposizione con la luce artificiale delle lampade, delineando l'appena visibile sagoma dei muscoli sotto la divisa scolastica. Sottolineando le pesanti ombre che aveva sugli occhi color notte, che serpeggiavano disinteressati per la classe, passando su di me, ma senza realmente vedermi. Nonostante ciò riuscì a trapassarmi da parte a parte con la sua presenza, perché pressoché impossibile.

Chiusi gli occhi quasi temendo fosse un sogno. Ma quando li riaprii lui era ancora là e stavolta aveva l'attenzione dirottata sui suoi compagni, che gli avevano rivolto una domanda. Pensai che il suo volto era talmente familiare che avrei potuto disegnarlo.

Uno dei suoi amici gli disse qualcosa all'orecchio indicandomi con gli occhi, lui alzò lo sguardo su di me e mi inchiodò lì sul posto.

Nel suo sguardo baluginò un'emozione che non riuscii a riconoscere. Arretrai di un passo, presa da un panico irrazionale e mi accorsi di essermi portata una mano davanti alla bocca solo quando sentii il mio stesso respiro sulla pelle.

I suoi occhi erano ancora là, ma non più incatenati nei miei, erano appena increspati da una risata spensierata.

Quella visione mi scioccò ancora di più. Solo in quel momento mi venne il dubbio che quel ragazzo fosse solo assurdamente simile a Ranma.

Ranma non era spensierato, o almeno non lo era quando lo avevo conosciuto. Questo ragazzo non aveva il suo cipiglio, era rilassato. Non aveva il suo sguardo quasi da folle, dai suoi occhi non trasudava tormento, né tanto meno sembravano in preda alle fiamme.

Solo in quel momento riuscii a tornare a respirare, dovevo essere diventata viola per l'apnea.

Fortunatamente le mie amiche non si erano accorte del mio momentaneo blocco mentale, si erano tranquillamente avvicinate alle senpai per chiacchierare. Mi avvicinai anch'io con passo malfermo, ma con lo sguardo che sperai fosse impassibile.

Nel frattempo i ragazzi si alzarono per uscire dall'aula, sfilandomi accanto uno per uno. Non capivo perché ridevano guardandomi, ma il quesito passò subito al secondo piano perché mi passò accanto anche il ragazzo identico a Ranma.

Il suo odore, così familiare perché rievocato più e più volte, mi colpì con tale intensità da stordirmi.

Non avevo dubbi, era il suo odore. Ricordavo molto bene l'ultima volta che l'avevo sentito così bene, i nostri visi erano talmente vicini che avevo sentito il suo respiro caldo sugli zigomi. L'avevo trovato sia dolce che amaro, sapeva di buono, di terra e di foresta.

Era proprio come allora, il suo profumo non era cambiato.

Era impossibile che quella fosse un'altra persona, ma allo stesso tempo era impossibile che lo fosse.

«Scusate ragazze, ma devo scappare in classe.» Uscii di fretta dall'aula, senza preoccuparmi di un loro cenno.

Dovevo cercare Kuno, non aveva forse detto che aveva da farmi “alcune delucidazioni”?

Mi misi a correre verso la classe del senpai, ignorando le ammonizioni dei professori e dei bidelli.

Lo trovai a metà strada, ringraziando il cielo. «Kuno, cos'era che devi dirmi?»

«Ah, Akane Tendo.» Disse coi suoi occhi lupeschi. Per un attimo temetti che fosse uno dei suoi stupidi trucchetti per abbordare, ma dovetti ricredermi.

«Devo spiegarti, molto sinteticamente cos'è successo in queste settimane. In pratica il gemello maschio deve subire una sorta di cambiamento prima del rituale, affinché esso abbia effetto.

Mia sorella ha predetto le circostanze in cui sarebbe avvenuto. In pratica nel suo stato non era possibile un cambiamento del genere in breve tempo, così abbiamo solo assecondato le sue profezie.

Ci ha descritto le circostanze in cui lo vedeva cambiare nel futuro e noi le abbiamo ricreate, ecco tutto. Quindi non ti spaventare se lo vedi bazzicare qui intorno... Ah, ecco, lo abbiamo indotto in un'amnesia, perciò non si ricorda del suo passato. Non deve avere ricordi di Nerima.»

«Co..sa?» Non riuscii a far uscire nient'altro di più eloquente. Per una volta mi sentii stupida in sua presenza.

Ripresi in un attimo lucidità, ma non prima di essermi lasciata sfuggire un: «Si ricorda di me?»

Stupida! Ovvio che no! Ha detto che non ha alcun ricordo di Nerima, tu e lui non vi siete visti in altri posti. Idiota! La vocina infuriata nella mia testa non accennava a smettere di urlare. Avevo buttato al vento il mio orgoglio, cosa che in queste settimane accadeva fin troppo spesso.

Kuno mi guardò con occhi sospettosi. «Direi di no. L'ultima cosa che ricorda è di essersi svegliato 10 giorni fa in ospedale. Certo, a meno che non vi siate visti durante quei giorni, dubito che ti conosca. Ma che importa? Non siete stati insieme sì e no due giorni prima che lo prendessimo?»

Colpita e affondata. «Si, scusa, non ha importanza.» Sorrisi. «Grazie per... Ehm, ci vediamo!»

Mi girai per andarmene e per una volta non mi seguì.

Mi aveva rivolto le stesse domande che mi ero fatta per giorni interi. Ormai mi suonavano come una qualche stupida domanda retorica, che non aveva bisogno di una risposta.

Già, che importa.

Due settimane prima circa: 22 settembre.



Chi avrebbe pensato che sarebbe finita così? Ma tutto ciò di cui avevamo parlato è andato e l'unica possibilità che abbiamo di ripartire era provare a riprenderlo prima che tutto andasse male. Prima del peggio, prima che ci incontrassimo.


Who would have thought it would end up like this? But everything we talked about is gone and the only chance we have of moving on was trying to take it back before it all went wrong. Before the worst, before we met.


[The script – Before the worst]






In quel posto la mia vita sembrava scandita dall'andamento dei miei pensieri, poiché il tempo non esisteva più. Di nuovo.


La cosa che mi mancava di più?

Probabilmente il vento sul viso.


Non sapevo quanti giorni erano passati da quando mi ero svegliato in quella cella odiosa, ma rischiavo la pazzia già da quando erano passati pochi minuti.


La cosa che mi mancava di più?

Probabilmente la risata di mia sorella.


Era insopportabile sentire i suoi singhiozzi a un metro da me e non poter fare niente. Sporgendo sia il mio che il suo braccio dalle rispettive sbarre, eravamo riusciti a prenderci per mano. Ero arrossito per il gesto, ma il calore del contatto con lei aveva comunque raggiunto il cuore.


La cosa che mi mancava di più?

Probabilmente la luce del sole.


Ogni tanto, energie permettendo, allenavo i muscoli. Poteva sembrare stupido da fare in quel momento, ma avevo il terrore di ammuffire in quel posto. C'era puzza di chiuso, ma talmente tanto da diventare tanfo, le pareti erano tutte grigie e l'aria era fredda, umida e ferma.


La cosa che mi tormentava di più?

La mia confusione.


Non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo. Era frustrante. Era... così, ti lasciava senza parole. Mi rimanevano bloccate in gola perché era angosciante. Metteva paura. Sarei morto là dentro?


Ma per fortuna il tempo torna a scorrere per tutti.

Stavo dormendo, o meglio avevo gli occhi chiusi ed ero sdraiato per terra. La mia attenzione venne attratta da un basso mormorio e rumore di passi. Non poteva essere uno di quelli che ci portavano da mangiare, perché i passi erano troppi.

«Ryoga! Shinnosuke!» La voce squillante di mia sorella mi fece definitivamente aprire gli occhi, mi trascinai a quattro zampe alle sbarre e mi affacciai. Davanti la cella di Ranko c'erano quattro persone. Una di quelle intimò a bassa voce silenzio a mia sorella e disse qualcos'altro.

Ranko uscì dalla prigione e si abbracciò con uno dei quattro, spalancai la bocca per la sorpresa. Il gruppo si avvicinò alla mia cella e io arretrai verso il muro opposto.

«Sta tranquillo, vogliamo liberarvi. Vi spiegheremo tutto una volta fuori di qui.» Disse una ragazza quando alzò gli occhi sui miei. Quello sguardo agitò, non delle farfalle, ma dei chiodi nel mio stomaco. Quegli occhi, lucenti alla luce fioca delle torce che si erano portati dietro, avevano popolato i miei ultimi 3 sogni.

Prima che potessi andare in iperventilazione, mi accorsi dei tratti leggermente più affilati del viso, delle labbra più piccole e dei capelli più chiari e corti.

La ragazza aveva già distolto lo sguardo per armeggiare con la serratura.

Non era decisamente Akane, ma era molto simile a lei. Sussultai.

Con uno schiocco sonoro aprì la cella. Con lei c'erano anche Ryoga, Shinnosuke, un tizio che non conoscevo e Ranko. Mi si strinse il cuore alla vista di mia sorella.

«Ok, lasciamo a quando saremo fuori di qui i convenevoli. Seguitemi.» Si mosse con cautela verso la destra del corridoio, facendoci cenno con la mano di seguirla. Mi sfilarono tutti accanto per seguirla e io chiusi la fila.

Quel posto doveva essere un labirinto, facemmo parecchia strada per raggiungere l'uscita. Traguardo che sfortunatamente, io non conobbi.

Si attivò l'allarme e subito ci circondarono delle abbaglianti luci rosse. La ragazza a capo fila imprecò a voce alta. «Merda... Correte!»

Corremmo a perdi fiato, ma sempre più passi si aggiungevano alle nostre spalle. Mi girai un istante e vidi una decina di uomini alle nostre calcagna. Diritto di fronte a me un'enorme porta che dava su un paesaggio notturno si stava chiudendo. Accelerai la corsa, ma Ranko davanti a me dava i primi cenni di cedimento e rallentava. Non sarei uscito di lì senza di lei, quindi rallentai il passo al suo senza superarla.

La ragazza con gli occhi di Akane riuscì ad uscire. Uscì quello che non conoscevo. Uscì Shinnosuke. Uscì Ryoga. Ranko era accanto a me e la porta era quasi chiusa. Con un ultimo scatto avrei potuto farcela, ma utilizzai quelle energie per salvare mia sorella.

Le sussurrai in un orecchio. «Ti voglio bene.»

Non le diedi il tempo di guardarmi confusa, la afferrai per la vita e con un grande sforzo la lanciai in direzione dello spiazzo aperto. Male che va, pensai, si sarebbe solo schiantata contro la porta chiusa.

Ma per fortuna la vidi atterrare di pancia sul prato rotolando un poco e girarsi subito dopo verso di me con terrore.

Le porte si chiusero. Mi ci schiantai io contro quelle, ma sentii una costola scricchiolare solo quando si schiantarono addosso a me le guardie che si erano lanciate al nostro inseguimento.

Trattenni un gemito mentre ne sentii una dire. «Bene, ora dicci tutto quello che sai.»




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Capitolo 11
*** Il tepore del sonno. ***


cap. 11






Due ottobre.


Non ricordo il momento che ho cercato di dimenticare. Mi sono perso, si, è meglio che non venga rivelato. Adesso sono più vicino al limite.


I don't remember the moment I tried to forget. I lost myself, yes, it's better not said. Now I'm closer to the edge.”

[Closer to the Edge - 30 Seconds to Mars]


«Mmff...»

Fu tutto ciò che riuscii a esprimere quando suonò la radiosveglia. La misi a tacere con un pugno e il tepore del sonno ricominciò ad avvolgermi.


Dopo cinque minuti ripartì a tutta carica, più alta e penetrante di prima a mio parere.

«Mmm... 'apito. Ho capito» Farfugliai al fastidioso oggetto. Stavolta la presi e aprendo un occhio solo, misi la sveglia su “off”.

Mi trascinai a sedere sul letto e con i piedi ancora caldi saggiai il parquet. Ripoggiai la radiosveglia sul comodino e nascosi il viso tra le mani. Mi strofinai la faccia e aprii gli occhi con lentezza, grattandomi infine il naso. 

Battei i palmi sulle cosce, andai a scostare le tende e aprii la finestra. Inspirai soddisfatto l'aria mattutina, non ancora del tutto sveglio e consapevole di me stesso. Per questo amavo il tepore del risveglio, era come un caldo abbraccio che, finché non ti lasciava, non t'importava di ciò che la giornata prospettava.

Strusciai i piedi fino in bagno e, facendo attenzione a non guardarmi allo specchio, mi preparai per l'impatto con la realtà, non ancora del tutto pronto a farmi lasciare dal tepore del sonno. 

Presi acqua in abbondanza con le mani a coppa dal rubinetto e senza preoccuparmi degli schizzi mi ci immersi col viso. Solo a quel punto azzardai ad alzare lo sguardo sul mio familiare, ma sconosciuto riflesso. 

Familiare perché era l'unica cosa che, una volta aperti gli occhi all'ospedale, sentissi mia e che riconoscessi come me stesso.

Sconosciuto perché c'era qualcosa. Era nei tratti del viso, nella forma del naso e della bocca, nella luce degli occhi, nello sguardo e nelle espressioni. Un particolare che non riuscivo a inquadrare, ma che sentivo che era importante ricordare.

Come ogni mattina cercai di ricollegare qualcosa, qualunque cosa, ma niente. Mi sentivo così vuoto, avevo solo undici giorni di memoria.

Mi concentrai.

Ascoltai le goccioline d'acqua che mi scendevano dal viso infrangersi sul lavandino, il mio respiro lento e profondo e dei rumori estranei provenienti da fuori la finestra.

Mi riapparve il viso della ragazza del giorno prima, con mia sorpresa.

Il fatto strano non era tanto che l'avevo sognata quella notte, quanto piuttosto come l'avevo sognata. Avevo avuto una specie di flash che più che un sogno sembrava un ricordo. In quel “sogno” era molto vicina, in un'angolazione mai vista. E in sottofondo c'era un battito sordo, che cresceva sempre più di intensità. Sembrava un cuore, ma non capivo se era mio o suo. A quel punto mi ero svegliato.

Comunque non riuscivo a estrarre nient'altro da quel garbuglio della mia mente. Ma se quella ragazza avesse avuto a che fare con me? Non ero riuscito ad arrivare a sapere nulla. A parte la signora proprietaria del mio appartamento in affitto, che aveva detto di sapere solo che mi ero trasferito da poco, non avevo conosciuto nessuno che mi conoscesse. Non era strano che nessuno mi cercasse?

Oddio, che casino. Cosa potevo fare? Andare da quella ragazza a dirgli: “senti che per caso mi conosci?”?

Il mio sguardo cadde sull'orologio del cellulare, che avevo in mano, trovando così una distrazione. Dai Ranma, che fai tardi. È scuola, quella la puoi affrontare no?


«No, cazzo!» Imprecai a denti stretti mentre il professore di storia fissava un compito in classe per il giorno dopo.

La campanella suonò e ricevetti uno scappellotto da Daisuke.

«Ehi, Ranma, ma che linguaggio scurrile. Datti un contegno, siamo a scuola!» Fece sarcastico, scatenando le risate di Hiroshi, accanto a lui.

Ghignai. «Ah, certo. Perché tu invece hai studiato in questi giorni, no? Quindi sei prontissimo per domani.»

Alzò un sopracciglio, pensieroso. «Mmm, vediamo... No, non lo sono. Ma non quanto te, Ranma! Perché oggi pomeriggio studierò!»

Risi, insieme a Hiroshi, che disse: «Si, come no! Studierai come hai detto che avresti fatto ieri, l'altro ieri, il giorno prima, il giorno prima ancora-»

Daisuke lo interruppe, agitando le mani in aria in segno di resa. «Va bene, va bene! Avete vinto voi!»

Il professore raccolse le sue cose e uscì dall'aula per godersi anche lui la pausa pranzo. Qualcuno circondò le mie e le spalle di Hiroshi.

«Allora, Ranma, oggi da chi scrocchi il pranzo?» Fece Fukuya con la sua solita aria da scaltro.

Mi scrollai di dosso il suo braccio. «Tsk, da nessuno.»

«Vuoi forse dirmi che oggi è uno degli apocalittici giorni in cui lo porti!?»

Feci una smorfia. «Ah-ha. Sei simpaticissimo.»

Sviai la domanda, per non far capire che in realtà non lo avevo.

Vivevo a casa da solo, perché ero maggiorenne, ma con queste "cose" non me la cavavo, non mi ricordavo neanche di prepararlo, figuriamoci farlo realmente. Di comprarlo poi, non ne parliamo neanche. In casa avevo un po' di soldi, ma a quanto pare mi ero trasferito da talmente poco da non aver trovato neanche un lavoro. Risparmiavo quanto potevo e in più il fatto che dimenticassi accidentalmente di comprare cose come il pranzo, aiutavano nell'intento.

Infilai le mani in tasca.

Daisuke diede gomito a Fukuya. «Ah! Sai che Ranma si è trovato un'altra ammiratrice?»

«Ranma, hai stufato! Chi ci ha provato stavolta?»

Sbuffai. Diciamo che avevo un “discreto” successo tra le ragazze della scuola. Ricevevo bigliettini anonimi nella scarpiera, per i corridoi mi seguivano non pochi risolini e le più temerarie ci avevano provato “apertamente”. Sinceramente, la mia vita sembrava già un casino ora, figurarsi con una ragazza pressoché sconosciuta come fidanzata.

Rispose Hiroshi per me. «Non sai come lo fissava! Praticamente lo mangiava con gli occhi!»

Ridemmo e poi continuò. «Ma il bello è che questa ragazza è Akane Tendo!»

Akane. Qualcosa dentro di me sussultò. Il suo nome sibilava nella mia mente, provocandomi quel leggero mal di testa che avevo avuto quando la avevo vista in classe.

Provavo una sensazione strana riguardo quel sostantivo. Non quella di quando ne ascolti uno nuovo, ma piuttosto di quando te ne ricordi uno che avevi sulla punta della lingua. Una sorta di soddisfazione e certezza.

I miei amici mi riscossero da quelle inquietanti congetture.

«No! Aspetta, parli di quella del quarto anno?»

«Si! Incredibile no? Per quanti ragazzi ha rifiutato cominciavo a pensare fosse lesbica! Ma dopo ieri-»

Hiroshi fu interrotto da un pugno in testa di Fukuya. «Non dire queste cose di Akane-chan in mia presenza!»

«Ah, sei un fesso!» Ribatté l'altro.

«Ma state parlando della ragazza di ieri, quindi?» Li distrassi da quella che poteva diventare una bella zuffa.

«Si! Quanto ti invidio, Ranma!»


La vidi per la seconda volta nella mia vita – a quanto ricordassi – appena fuori da scuola, per andare a casa pensai. Molleggiai un po' sui piedi preso dall'indecisione. Alla fine mi lanciai verso la sua figura con un po' troppo slancio, fermandomi all'ultimo momento e urtandola.

«Ehi, stai più atte-» Le morirono le parole in gola mentre si girava verso di me.

Senza rendermene conto legai il mio sguardo al suo e mi ci persi. Era differente sia dalla sensazione di ieri, sia da quella di stamattina che da quella a pranzo. Per un attimo non sentii più me stesso, o meglio sentii di non essere il foglio bianco che ero da qualche settimana. Sentivo di appartenere a quel luogo che si srotolava immenso nella mia mente, ma talmente lontano e veloce a svanire che ebbi la sensazione di correre. Se non per prenderlo per toccarlo. Ero un passo, sentivo quasi il peso dei ricordi che stavo riacquistando, quando una feroce emicrania mi assalì.

Di riflesso mi toccai la fronte. «Ah...»

Akane Tendo sembrò riprendersi. «Ehi, ti senti bene?»

Con la stessa velocità con cui mi ero fiondato da lei, mi ripresi, con la sensazione di quando metti i piedi per terra dopo un gran volo.

«Si.» Tenni la mano sulla fronte. Il mal di testa era ancora lì, ma almeno c'ero pure io. «Si, sto bene.»

Corrugò le sopracciglia, provocandole un'espressione stranamente tenera e che mi fece arrossire lievemente. «Ok...»

Si girò per andarsene. No! Non le avevo ancora parlato!

«Ehi, aspetta! Senti che per caso mi conosci?» Rimasi sbigottito da solo. Non erano forse le parole di cui avevo riso stamattina? Dio, Ranma. Stai pesantemente male. Rincoglionito.

Si girò verso di me con un'espressione tra il divertito e... lo spaventato?

Fece una risatina nervosa. «Ma cos'è? Un modo per rimorchiare?»

Ma bravo Ranma. Continua pure a fare le tue belle figure.

«N-no! Cioè... no! Cosa dici? Ah, voi donne pensate sempre male!»

Alzò un sopracciglio, irritato. «Sentiamo, allora cosa dovrei pensare di una frase come la tua?»

Mi prese in contropiede.«Beh...Che... Che sia la verità!»

Finii non troppo soddisfatto di me stesso.

«Certo, certo.» Si girò per andarsene. Era malinconia quella che avevo visto?

La raggiunsi e poi rallentai il passo al suo. Mi guardò di sottecchi. «Che stai facendo?»

«Sto andando a casa non posso?»

«Beh, non hai mai fatto la strada con me.»

Già, stavo allungando un bel po', ma non ce la facevo a lasciarla andare così.

Feci spallucce. «Non mi avrai notato.»

Sentivo una sorta di confidenza e cameratismo tra noi che tra due sconosciuti non dovrebbe esserci. Stavo con lei solo perché sembrava nascondermi qualcosa. Solo per quello.

Sospirò rassegnata.

Tornò il silenzio come terzo incomodo tra noi. Mi accorsi che mi piaceva bisticciare con lei. Non riuscivo a non assumere un tono canzonatorio per parlarle.

«Ti chiami Akane Tendo, giusto?»

«Si..» Sospirò pizzicandosi la parte superiore del naso. «...Puoi chiamarmi solo Akane se vuoi.»

Ma perché dal suo tono sembrava una concessione? Stupida, criptica ragazza, perché mi confondi?

«Allora... puoi chiamarmi solo Ranma... se vuoi.»

Già. Solo Ranma. Cos'altro ero? Da troppo tempo mi ripetevo che ero solo un nome e nient'altro. Eppure quando ero vicino a lei sentivo di avere qualcos'altro. Alle spalle. Nascosto lì da qualche parte, che non voleva essere trovato.

Arrivati di fronte casa sua ci salutammo con un cenno della mano e me ne andai subito. Attanagliato dalla fame correvo a casa a raccogliere qualche soldo per comprarmi da mangiare.

Quella sera avrei aspettato come in ogni altra il tepore del sonno avvolgermi. Ma non avrei avuto così paura di lasciarlo, la mattina dopo.





Ehi!! Per perdonarmi del ritardo dell'altro capitolo vi ho scritto questo fresco fresco e tutto alla Ranma! Forse non succede molto, ma è comunque abbastanza carino credo. Volevo solo presentare questo “nuovo” Ranma, che tanto nuovo non è!

Perdonatemi per il linguaggio un po' volgare, ma volevo ricreare l'atmosfera che si ha tra i banchi di scuola e si sa tra amici le imprecazioni scappano veramente spesso, ma comunque il coso è arancione quindi chi legge sa che non si può lamentare su questo! :P

Passiamo a rigraziare:


verycoc: Grazie per la recensione! Sono contenta che ti abbia preso così la storia. Ti prometto altri colpi scena, ma su alcune cose dovrai aspettare non poco per saperle ;) Spero saprai perdonarmi!


Rafxsulfusxsempre: Ehi ciao! Grazie per il commento! Mi spiace, ma è proprio quello che successo, Ranma ha dimenticato tutto come puoi vedere... Perdonami anche tu!! XD


caia: Ehilà! Spero che continuerò ad alimentare la tua curiosità, perché è solo con la curiosità dei lettori che le fic vanno avanti :)


apochankenshiro: Ciao Federica! Spero che ti vada meglio con tutto quel casino del computer e ti ringrazio del tempo che lasci alle mie storie da pazzi XD

Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, per la cosa di Kuno (se ho inteso bene quello che volevi dire) non doveva essere esauriente, al contrario doveva dare meno particolari possibili alla ragazza, ma siccome parla sempre un po' romanzato si è lasciato leggermente andare (non so se mi sono spiegata :S)


Mando un bacio a tutti e a presto!


Sakura*

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Capitolo 12
*** Distogli la mia mente. ***


Cap. 12








22 settembre.


Scomparendo lentamente, sei perso e così spaventato. Dov'è la speranza in un mondo tanto freddo? Cercando una luce distante, qualcuno che possa salvare una vita, vivendo nella paura che nessuno sentirà i tuoi pianti.




Slowly fading away, you're lost and so afraid. Where is the hope in a world so cold? Looking for a distant light, someone who can save a life, living in fear that no one will hear your cries.


[Red - Not Alone]




Il fuoco scoppiettava e mutava forma, inconsapevole della sua bellezza. Bastava un piccolo soffio di vento per farlo contorcere e vorticare su se stesso. Una brezza poco più forte lo spinge piegandolo, spazzando via un poco del suo calore e facendomi rabbrividire.

Strinsi più forte le gambe al petto, incurante dei capelli che mi erano ricaduti sugli occhi. Meglio così, pensai, nascondevano le stupide lacrime che ancora lasciavo scorrere copiose e silenziose. Sei una piagnucolona, distolsi lo sguardo, ormai del tutto oscurato dalla frangia, dal fuoco e nascosi il viso tra le ginocchia.

Si, lui mi avrebbe rimproverata prendendomi in giro, ribadendo qualcosa sul fatto che bisogna essere uomini. Io gli avrei fatto notare il fatto che ero una donna e così avremmo dato via a un bel battibecco. Uno di quelli che si concludono con una linguaccia, oppure con una risata.

Strinsi con forza le dita intorno alle gambe e mi morsi il labbro, per soffocare il sussulto che cercava di sopraffarmi e strapparmi qualche gemito.

Una mano calda, gentile sciolse con dolcezza la morsa sulle mie sulle gambe. Prima una, poi l'altra. Poi con entrambe le sue mani guidò le mie in un abbraccio tiepido. Fu a quel punto che un singhiozzo mi scappò dalle labbra.«Ssh. Tranquilla.»

La sua voce roca sfiorò le mie ferite ancora sanguinanti come acqua ossigenata, le sentii scoperte e pulsanti nel petto. Mi si spezzò il respiro. Boccheggiai in cerca d'aria e cercai di allontanarlo, ma lui mi strinse più forte.

«Sfogati, Ranko. Nessuno ti sta biasimando.» Disse Ryoga con un soffio.

«Ma...» Ma, congiunzione avversativa. La mia intera vita era chiusa in quel monosillabo, era il suo riassunto. Continui ripensamenti. Mai una scelta seguita fino alla fine.

Strinsi i pugni sul suo petto. Stavolta avrei stretto i denti. Per una volta volli sentirmi al livello di mio fratello. Forte come lui.

«Lasciami.» Cercai di allontanarlo facendo forza sui pugni. Ma lui strinse ancora di più la stretta con cui mi ancorava al suo petto.

«Io so perché fai così. Lasciati dire che non ce n'è bisogno e che non ha senso.» Sempre sussurrando.

Ringhiai tra i denti per nascondere la voce spezzata. «Ho. Detto. Lasciami.»

Stava diventando troppo intimo quell'abbraccio. Abbatteva tutti i muri che avevo cercato di erigere in quel preciso istante.

Spostò le mani dalla mia schiena al viso, alzandolo per puntarmi negli occhi. «Fa male trattenersi. Il dolore si accumula e non lo affronti più. Ne abbiamo già parlato e ti ho già promesso che ti avrei sempre rialzato da terra, ricordi?»

Il sorriso che seguì a quelle parole fece cadere altri goccioloni dai miei occhi. Ripensavo a un'adolescente che sentiva che non le mancava quasi nulla, grazie agli stessi occhi e allo stesso sorriso che avevo davanti. Cercai di guardare altrove, ma la presa sul mio viso era ferrea.

«Ranma, lo farebbe. Non mostrerebbe il proprio dolore neppure a se stesso. Lui è forte. Voglio esserlo anch'io.»

Ryoga sbuffo forte dal naso. «Infatti tuo fratello sbaglia. È un vigliacco se rifugge così al dolore. Ma non lo hai visto? È logorato.»

Mi accigliai. Lo fissai un attimo negli occhi, mentre ripensavo alla stessa considerazione che avevo fatto io sul volto sfinito di mio fratello. Era... Logorato? Beh, ma di certo non doveva parlare così di lui. Ranma aveva...

Lo colpii in pieno sullo zigomo destro, così improvvisamente che sembrò immotivato, lasciandogli un'espressione tra l'incredulo e il confuso. Allentò la presa sul mio volto, consentendomi di allontanarmi, ma non lo feci. Passai lo sguardo da lui al pugno chiuso, sentendo un improvviso fervore pervadermi. Un tremito mi prese dalla punta dei capelli fino alle unghie dei piedi. Ora capisco perché fai sempre a botte, Ranma. Chiusi anche l'altra mano.

«Ranko! Che ti prende?!» Fece schivando il secondo colpo.

«Ranma non è un vigliacco! Ha salvato me invece che se stesso!»

Cercai di metterne altri a segno, ma si spostava sempre all'ultimo istante. Cominciai a emettere un ringhio liberatorio a ogni colpo che lanciavo. Sentivo le energie scorrermi forte nelle vene. Le sentivo pulsare e liberarsi. Disperdersi, ma mai finire. Sentivo le lacrime che continuavano scorrere sul mio viso, così strinsi i denti e infusi tutta la forza che avevo per fermarle.

Il volto di Ryoga, ancora sconcertato, prese una sfumatura severa. «Basta così, Ranko. Smettila.»

«No!» Cercai di sembrare autoritaria, ma uscì come un singhiozzo.

Con un ringhio più forte caricai un pugno per colpirlo in faccia di nuovo, ma mi bloccò il polso. Presa dalla rabbia caricai maggiormente l'altro, facendomi bloccare anche quello. Cominciai a tiragli calci sulle gambe.

«Basta, Ranko!» In quel momento mi sentii come una bambina che faceva i capricci. Mi vergognai molto. Smisi di scalciare e rilassai le braccia abbassando lo sguardo.

Passarono dei lunghi istanti e ascoltai il suo respiro, qualche bisbiglio tra gli altri, lo scoppiettio del fuoco, il gracchiare delle foglie. Ryoga mi accompagnò le braccia fino ai fianchi, poi con un dito mi alzò il viso. «Tutto bene?»

Esitai un attimo prima di rispondere. Passando lo sguardo da un occhio all'altro. Sentii il mio labbro inferiore tremare.«No.»

Lo abbracciai e cominciai a piangere forte, lacerandomi i polmoni con i singhiozzi. Ma lasciando l'anima intatta.



27 novembre




Spesso è gentile, e improvvisamente crudele. Può fare come preferisce, non è la stupida di nessuno, ma non può essere condannata, si è guadagnata il suo grado e al massimo getterà ombre su di te, ma per me sarà sempre una donna.




She is frequently kind, and she's suddenly cruel. She can do as she pleases, she's nobody's fool, but she can't be convicted, she's earned her degree and the most she will do is throw shadows at you, but she's always a woman to me.


[Billy Joel – She's always a women]



«Buona idea la bicicletta!» Dal tono della sua voce capii che stava sorridendo.

«Già. Vedi fa parte di un piano diabolico e finemente articolato.» Sorrisi a mia volta.

Col dito affilato mi punzecchiò il fianco. «Stavolta cos'hai in mente?»

Frenai a un incrocio e la treccia alzatasi al vento mi ricadde sulla schiena. «Beh, vedi...»

Ripartii una volta essermi assicurato che non passavano macchine. La prima pedalata, come sempre fu la più dura, ma poi le altre le vennero dietro morbide.

«A causa di questa spesa “imprevista” - la bici - dovrai rinunciare alla ricca colazione che ti pago tutte le mattine, per un po'. È come una dieta, che aiuterà me e la bicicletta. Perché col tuo peso piuma non solo rischi di romperla, ma rischi di rompere pure le mie gamb-ahia!» Aveva trasformato la leggera punzecchiatura di prima in forte pizzicotto appena sopra al fianco, dove la carne era più sensibile. Probabilmente, pensai, mi sarebbe rimasto il segno.

«Ti ricordo, che mi hai offerto tu il passaggio, stupido!»

Alzai gli occhi al cielo. «Sei la solita donna violenta!»

Continuammo a battibeccare così, mentre le braccia di Akane mi avvolgevano il torace e in alcuni momenti poggiava la guancia sulla mia schiena.

Arrivati di fronte casa sua ci salutammo naturali con la mano, come al solito feci tesoro del sorriso che mi riserbò e poi ripresi la strada per casa mia.

Inspirai lentamente l'aria che mi sfilava sul viso e rallentai la pedalata.

Come eravamo arrivati a questo punto? Non lo so. Non sapevo da quanto lei avesse cominciato ad abbracciarmi con calore. Non sapevo da quanto facessimo tutti i giorni la strada e la colazione insieme. Non sapevo da quanto avessi scoperto di saper suonare la chitarra. Non sapevo da quanto tempo sembravo normale. Anzi probabilmente si, lo sapevo, ma non mi capacitavo del poco tempo che era passato.

Chiusi la bicicletta di seconda mano nella cantina del condominio, infilai le mani in tasca e salii su casa. Appena varcai la soglia mi resi conto che non sapevo neanche da quanto non facessi il bucato. Storsi la bocca e sospirai.

Scavalcai una sottospecie di fusione tra una maglietta e una canottiera e ignorai gli altri mucchi abbandonati sul pavimento. In camera buttai lo zaino sul letto, mi chinai e da sotto di quello tirai fuori lo strumento.

Lo tenni un attimo in grembo osservandolo, assaporando le sensazioni che mi trasmetteva. L'odore penetrante del legno mi rilassava e mi faceva vivere un'atmosfera familiare.

Alzai con lentezza calcolata la mano, per farle sfiorare con delicatezza le corde che aspettavano di essere tirate al punto giusto.

Non ero bravo a suonare, mi limitavo a fare accordi. Ma mentre li lasciavo echeggiare per la stanza, sentivo di star parlando con qualcuno. Il cuore si perdeva nei battiti. E io volavo.

Quel giorno in cui ero capitato di fronte il negozio di musica e mi ero incollato di fronte alla vetrina, fissando la chitarra dietro di essa, non ero stato io a muovere i miei piedi. Fatto sta che ne ero uscito con quella in mano – e a dirla tutta, anche col portafoglio tristemente leggero.

Soddisfatto degli accordi e della accordatura cominciai a canticchiare suonando la melodia che avevo in testa.

Probabilmente era l'unico pezzo di memoria che mi era rimasto.

La amavo perché mi faceva sentire non anonimo.


Rimisi con cura lo strumento sotto al letto e buttai uno sguardo all'orologio.

«Oh! No. No, no, no, no, no...» Tardi! Tardi! Accidenti se lo era! Se arrivavo oltre l'orario di inizio del mio turno anche quel giorno a lavoro, mi avrebbero licenziato. Tra l'altro mi ero prefissato di dormire un po', perché anche ieri avevo avuto un orario notturno, ma non avevo neanche il tempo di farmi una doccia. Oggi sarei crollato.

Acchiappai la felpa, mi assicurai che avessi in tasca le chiavi, il cellulare e il portafogli e mi fiondai all'ingresso per infilarmi le scarpe.


Ho già detto che mi sembrava di vivere una vita normale?

È tardi!




Sii mio amico. Stringimi, avvolgimi, coprimi. Sono piccola, ho bisogno di aiuto. Scaldami e respirami.



Be my friend. Hold me, wrap me up, unfold me. I am small, I'm needy. Warm me up and breathe me.


[Sia – Breathe Me]



«Papà! Stasera esco!»

Nessun rumore. «Dove vai?»

Come se ti importasse. Presi il mascara e lo passai sulle ciglia, stando ben attenta a non ficcarmelo nell'occhio – come era successo quella mattina stessa.

Concentrata totalmente sul trucco risposi senza pensare. «Da Ranma, al pub.»

Sussultai, rendendomi conto della mia stupidità e sbattendo sull'occhio con lo spazzolino.

«Cazzo...» Mormorai, sia per l'errore, che per l'occhio che ora strizzavo dal dolore.

Chiusi freneticamente il tubetto. «N-no, cioè...»

Scesi le scale a due a due fiondandomi nella sala da pranzo. Mio padre era là, proprio come lo immaginavo. L'espressione sbigottita e incredula in contrasto con la sua posa calma. «Dove vorresti andare tu?»

Lo sapevo. Era per questo che mi inventavo scuse ogni volta che volevo fare un'uscita con le amiche la sera. Praticamente gli avevo detto Vado a scopare con Ranma, a bere e a drogarmi.

«Beh, non è proprio un pub. È... un ristorante, si, è più simile a un ristorante. Ranma lavora lì, stasera ha un turno e ci vado con le amiche. Torneremmo presto.» Detta così sembrava decisamente più innocente. Beh, era tutta verità, a parte “il ristorante”... e il “torneremo presto”.

Rilassò lo sguardo e per un attimo pensai di averla avuta vinta. Solo per un attimo. «No, resti a casa.»

Strinsi con forza la porta scorrevole, azzardando un passo indietro. «No.»

Dilatò le narici al mio tono deciso, ma non si scompose. «Ti ho detto. Che resti. A casa.»

Mi vennero i brividi al solo pensiero di rinunciare alla serata per stare con mio padre, il silenzio imbarazzante e la televisione.

Lasciai la mano e mi girai, dirigendomi verso la porta. Mi sentii afferrare le spalle con forza e mio padre mi girò verso di se. «Come ti permetti di comportarti così con tuo padre!»

Lo guardai storto, mi scrollai le sue mani dalle spalle e alzai la voce. «Tu non puoi proprio parlarmi di modo e di comportamento... e sai a cosa mi riferisco!»

Vidi uno strano luccichio nei suoi e poi sentii solo il mio volto girarsi di lato e il mio peso sbilanciarsi nella stessa direzione. I miei neuroni combatterono per non trasmettere la sensazione di bruciore sulla guancia e dell'impatto col pavimento. Le mie orecchie si erano sforzate di non registrare lo schiocco che mi riecheggiava nella testa. I miei occhi avrebbero voluto chiudersi prima che la mano calasse sul mio viso.

Ma arrivò, tutto insieme, sovrapponendosi e scioccandomi.

Non mi alzai e rimasi seduta per terra. Con una mano mi carezzai la pelle del viso dolorante, cercando di darle sollievo e consolarla. Non alzai gli occhi a lui.

La sua voce tremava. «M-mi dispiace, Akane. Ti giuro che non volevo, i-io-»

Allungò una mano verso di me. Gli rifuggii alzandomi di scatto, sempre attenta a non incrociare i suoi occhi. «Non aspettarmi alzato.»

Mi voltai e uscii.


«Certo che sei proprio maldestra, Akane.» Disse Yuka passandomi il fondo tinta che aveva nella borsetta.

Lo afferrai. «Già.»

«Infatti. Voglio dire, chi è così scemo da non vedere lo stipite della porta e prenderlo in pieno?» Intervenne Hikaru, mentre io coprivo col trucco il livido fresco che avevo sulla guancia.

Sentii lo stomaco agitarsi e finsi una risata, che sembrò più un lamento. Le mie amiche mi guardarono sospettose.

Chiusi il cosmetico con uno scatto. «Sul serio, ragazze. Non è nulla, domani sarà già andato via. Tieni, grazie.»

Battei le mani, cambiando argomento. «Allora, chi manca?»

Fortunatamente non colsero il volontario dirottamento, rispose Sayuri. «Mmm... Penso solo noi quattro. Mi hanno chiamato i ragazzi, hanno detto di essere già a un tavolo addirittura!»

Ci incamminammo. Yuka si sporse verso l'altra. «Ah, gli hai detto di tenerci il posto?»

«Si, certo. A proposito, non sai chi c'è stasera!...»

Abbassai lo sguardo sulle mani, lasciandole al loro discorso, mi bastava sapere che ci fosse Ranma.

Mi sentivo ancora male per l'accaduto di poco prima. Sentivo le budella contorcersi al pensiero della voce rotta di papà. In fondo, era così solo, io non avevo fatto altro che rimarcare il concetto.

Strinsi i pugni. Ma la rabbia che saliva in gola per la stupida violenza subita, non accennava a calmarsi. Ero stanca del suo atteggiamento a tratti cinico, distante e severo. Cosa si aspetta da me!? Già, sembrava sempre in attesa di qualcosa. Dietro ogni domanda che mi rivolgeva, sembrava che ce ne fosse un'altra... Io-

«Ah, ma stasera Akane ha già il suo cavaliere.» Mi riportò alla realtà Sayuri.

Alzai un sopracciglio. Hikaru parlò con tono sognante. «Ah, che carini che siete tu e Ranma! Quando bisticciate in quel modo così... Uh! Verrei lì a dire “bacio, bacio, bacio...”!»

Risi immaginando la mia amica con gli occhi a cuoricino e le mani intrecciate sotto il mento. «Ma non è come pensate, io e Ranma siamo-»

Continuò Yuka. «“-solo buoni amici”, lo ripeti talmente tanto che sei ridicola. Tanto si sono accorti tutti di quello che passa tra voi due.»

Risero tutte insieme.

Qualcosa di simile al panico mi attanagliò lo stomaco. Mi sentivo così in colpa quando stavo con lui. Avevo la sensazione di mentirgli tutto il tempo. Ma non potevo fare a meno dei momenti che passavamo insieme.

Era come il sole, con lui sentivo le energie scorrermi nelle vene. Mi scaldava con il suo strano calore.

Però ero un'egoista. Mi nascondevo dietro scuse come “ma tu non ci puoi fare niente”. Il che purtroppo era vero, ma ogni volta che mi lanciava quegli strani sguardi, quasi consapevoli andavo in apnea.

«Siamo arrivate!»

Alzai lo sguardo e vidi l'insegna luminosa del “Chinese Cat's eyes”. Fuori dal locale c'era appesa la solita locandina col menù e la porta a vetri appannati lasciava uscire una luce molto bassa.

Yuka si fece avanti e la aprì rivelando la musica, tenuta ad un volume da ambiente, e le luci non molto più forti di come sembravano fuori. L'odore di cibo colpiva appena, non essendo troppo forte.

Ci venne incontro un ragazzo occhialuto e dai capelli lunghi, che riconobbi subito. «Ciao, Mousse!»

«Buonasera, Akane.» Mi saluta sorridendo appena. Non era la prima volta che andavo là, ci ero stata altre volte con le mie amiche, e con Ranma di pomeriggio. Era la prima volta che andavo di sera con lui, mentre lavorava.

Mousse si rivolse anche alle altre. «Buonasera a tutte e benvenute. I vostri amici sono già al tavolo, vi prego di seguirmi.»

Mentre ci dirigevamo tra i tavoli pensai che fosse un ragazzo molto gentile e che l'unica sua rovina è la ragazza a cui va dietro.

«Ehilà, ecco le signore!» Ci salutò Asui dal tavolo. Quella sera c'erano altri tre ragazzi insieme a noi: Asui, Daisuke e Hiroshi. Dopo che io e Ranma avevamo “familiarizzato” si era formato una sorta di gruppo tra le mie amiche e i suoi amici, formavamo una bella comitiva. In quel momento mancava qualcuno, infatti era difficile che riuscissimo ad uscire proprio tutti quanti insieme.

Ci accomodammo al tavolo occupato dai ragazzi e cominciammo a chiacchierare. Notai con tristezza che il locale era piuttosto affollato. Sarebbe stato difficile incontrare Ranma in santa pace, anche se per fortuna eravamo vicini al bancone. Aguzzai la vista.

«Se allunghi un altro po' il collo rischi che ti si stacchi.»

Non avevo dubbi su di chi fosse quella voce, ma mi girai comunque di scatto per trovare il sollievo dei suoi occhi.

Arrossii e feci una smorfia. «Ah ah. Mi sto spanciando dalle risate.»

«No, ma comunque ciao, Ranma! Scusa se ti distolgo dalla tua Akane per un attimo!» Scherzò Daisuke.

Ridemmo tutti quando arrossì, stavolta era toccato a lui sentirsi in imbarazzo.

«Vabbè, dai ragazzi, stasera non mi posso fermare a chiacchierare, c'è troppa gente. Ditemi che vi prendete.» Tirò fuori il taccuino, in un modo che mi affascinò molto e cominciò ad annotare quello che gli dicevano gli altri.

Infine mi guardò. «Per me una birra piccola, grazie.»

Annuì e ripeté le nostre ordinazioni, ricevendo assenso. Reinserì in tasca il blocchetto di carta. «Ok, torno subito.»

Lo seguii con lo sguardo fin dietro il bancone. Lui se ne accorse e mi fece l'occhiolino prima di cominciare ad armeggiare lì intorno. La mia attenzione fu subito attirata da una figura che gli si avvicinò fino a far combaciare il corpo con il suo, poggiando le mani sulla sua spalla. Avrei riconosciuto ovunque quei lunghissimi capelli viola, raccolti in parte con due chignon sulla testa. Ma la conferma arrivò dal suo fare da gatta morta addosso a Ranma, che cercava di allontanarla con una mano e una scarsa convinzione.

Digrignai i denti distogliendo lo sguardo. «Shampoo...»






Wow! Questo è uno dei capitoli più lunghi che abbia scritto! Tra l'altro avevo altro da scrivere, ma avrei dovuto cambiare punto di vista, così ho troncato lì.

Ok, lo ammetto il “Chinese Cat's eyes” (Occhi di gatto cinese) è un po' banale e... stupido, ma volevo fare un esplicito riferimento al “Neko Hanten” il ristorante cinese di Obaba e Shampoo.

Ah, e come avete notato non mi sono dimenticata di Ryoga e il resto della combriccola, che comunque non sappiamo ancora quello che stia facendo...

Mi auguro che il capitolo piaccia ^^

Ed ora passiamo a voi:


verycoc: Ehi, sono contenta che ti sia piaciuto l'altro capitolo! Comunque Akane si comportava in quel modo proprio perché non sapeva se far avvicinare il ragazzo.


Rafxsulfusxsempre: Ciao! Ti consiglio di non concentrarti sul fatto che Ranma recuperi la memoria, perché come hai visto la faccenda è complicata. Comunque grazie per il commento ^^


caia: Ehilà! Come ho già detto la faccenda dei ricordi è complicata, ma comunque... mmm mi sto mettendo a spoilerareee. Vedrai, vedrai.

Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e spero che ti piaccia anche questo.


Un bacio a tutti.


Sakura*

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Capitolo 13
*** Fuoco e sangue ***


Cap. 13








Cercheranno di spacciare droghe, mantenendoci tutti ad un livello più basso e sperando che noi non vedremo mai la verità.



They'll try to push drugs, keep us all dumbed down and hope that we will never see the truth around.


[Muse - Uprising]



«Dai, Ranma... Vieni a casa mia dopo il lavoro?» Ripeté con tono lascivo Shampoo. Mi si strusciò ancora addosso. Arrossii.

«N-non insistere, ho da fare stasera.» Non mi piaceva Shampoo. Va bene. Lo ammetto, era una ragazza piuttosto carina, col suo accento cinese e aveva un sacco di quelle cose che, normalmente, ti fanno perdere la testa. Il punto è che l'avevo già perduta.

Sentii una sua mano scendere pericolosamente in basso. Sussultai e feci cadere un bicchiere, scatenando le sue risate leggere.

«O-oh, guarda, ho rotto un bicchiere, sarà meglio prendere una scopa!» Riuscii così a districarmi dall'avviluppamento delle sue braccia (ma quante diavolo ne aveva?!).

Passai di fronte al tavolo di Akane e accennai un sorriso. In risposta ricevetti un'occhiata tanto gelida che dovetti trattenere un brivido.

Fantastico! L'avevo fatta arrabbiare di nuovo! Ma perché poi se la deve sempre prendere con me? Non è che Shampoo per allontanarla possa prenderla a pugni, è pur sempre una donna.

Sospirai innervosito. Presi la scopa nello sgabuzzino e mi diressi dietro al bancone per pulire.

Decisi di avere bisogno di una pausa, così mi rivolsi a Mousse, che stava con me lì dietro. «Ehi, puoi portare tu queste ordinazioni? Io mi prendo 10 minuti appena ho pulito.»

Mi rivolse uno sguardo stanco dietro le spesse lenti che portava sul naso. «I tuoi non sono mai 10 minuti.»

«Ti prego! È un favore da amico che ti chiedo.» Come al solito, lo vidi sciogliersi alla parola amico. Alzò gli occhi al cielo e mi fece segno con la mano riluttante di andare.

Non me lo feci ripetere due volte. Ammucchiai i vetri in un angolo, decidendo di buttarli dopo.

Più per abitudine che per altro strofinai le mani fra loro, come a pulirle, e mi diressi verso l'uscita sul retro. Questa, non dava sulla stessa via della principale, ma su una sua traversa. Da alcune settimane c'era un lampione difettoso che lampeggiava a intermittenza, ma dopo le prime volte ci avevo fatto l'abitudine e non mi dava più fastidio.

Mi sentii quasi colpevole mentre facevo scivolare la mano nella tasca sul retro dei pantaloni per prendere il pacchetto delle sigarette e l'accendino. Sentivo che non fumavo prima dell'amnesia, e a dimostrazione c'era il fastidio che avevo provato le prime volte, ma erano molto utili a scaricare il nervosismo.

La accesi e poi osservai il primo sbuffo di fumo che si dissolveva contorcendosi sempre più in alto, fino a sparire.

Ogni notte facevo sogni su sogni, che sentivo, anzi ne ero certo, riguardassero il mio passato, ma quando mi svegliavo diventavano come il fumo della sigaretta. Sfumavano, via via affilandosi e scomparivano, lasciando solo il loro sapore nella mia bocca.

Presi un'altra boccata.

Mi sentivo così vicino a loro da farmi impazzire, era come vederli attraverso un vetro oscurato. Sapevo che c'erano, li sentivo picchiettare sul vetro, ma non li vedevo. E questo mi frustrava oltremodo.

A quel punto sentii la porta del locale cigolare. Sospirai e feci cadere un po' di cenere dalla sigaretta. «Tranquillo, Mousse. È quasi finita, rientro subito.»

Sentii una mano troppo delicata per essere quella di un uomo sfiorarmi la spalla, mi girai sorpreso e trovai Akane.




Non ci costringeranno, finiranno di degradarci. Non avranno più controllo su di noi, ne usciremo vittoriosi.


They will not force us, they will stop degrading us. They will not control us, we will be victorious.


[Muse - Uprising]



«Akane.» Il mio nome passato tra le sue labbra scatenò un brivido represso in me. Mi ritrovai a fissarle un po' sperduta, analizzando le pieghe che le espressioni provocavano sul suo viso.

La mia mano lascio un po' riluttante la sua spalla, per tornare rilassata al mio fianco.

«Già.» Fu un tale sussurro che non seppi mai se mi avesse sentito.

Distolsi per poco lo sguardo per poggiarmi al muro accanto a lui. Lo riposai sulla sigaretta consumata a metà tra il suo indice e il medio.

«Non sapevo che fumassi.» Non era una domanda. Una semplice constatazione. Con appena una punta di veleno nel tono.

Da come si accigliò capii che l'aveva colta. «Non è come pensi. Lo faccio solo qui mentre lavoro.»

Soffiò altro fumo. In effetti, considerai, non puzzava mai di fumo. Anzi, trovavo il suo odore molto buono.

Lo guardai stavolta confusa. «Perché?»

Soffiò ancora fumo, poi buttò a terra la sigaretta ormai completamente consumata per pestarla col piede. Scrollò le spalle. Non rispose.

Tirava una strana tensione tra noi. Probabilmente il mio cattivo umore, aggravato da quella pu... da Shampoo, influiva terribilmente, ma si vedeva che non era a senso unico.

Ranma intercettò la domanda che stavo per porre con un'altra. «Come sapevi che ero qui?»

Un lampione sfarfallò velocemente, tirando una luce strana sulla strada. «Me lo ha detto Mousse. Gliel'ho chiesto quando ho visto che non eri tu a portarci da bere.»

Evitai di completare la verità dicendo che me lo aspettavo sul retro avvinghiato a Shampoo, in atti discutibili o peggio, osceni.

«Ah.»

Seguì altro teso silenzio, rotto solamente dai nostri respiri. Posi la domanda che aveva soppresso. «Che hai?»

Si girò verso di me, inchiodandomi nei suoi occhi blu. Oceani in tempesta. Notti senza luna.

Lo amo, fu il mio pensiero follemente istantaneo in quel momento. La morsa della colpa intrappolò nuovamente il mio cuore, graffiandolo, spezzettandolo, bruciandolo. Era un dolore fisico.

Non avrei dovuto...

Non potevo...

Io...

«Io-» Non sapevo cosa stavo per rivelargli, quali parole stavo per vomitare. Ma non lo avrei mai saputo.

Si chinò su me, poggiando dolcemente le labbra sulle mie. Aspettò immobile una qualunque mia risposta, che non tardò ad arrivare.

In uno slancio di disperazione, dettato dai sensi di colpa e dal piacere del bacio, allacciai le braccia al suo collo. Lui posò le mani sui miei fianchi, possessive, e iniziò a muovere lentamente la bocca sulla mia.

Dischiusi le labbra per lasciar uscire lingua e passarla sul suo labbro inferiore. Fremette e dischiuse le labbra a sua volta per far danzare la sua lingua con la mia.

Ridacchiai leggermente quando morse delicatamente il mio labbro.

La gioia si scontrava violentemente con la confusione nel mio stomaco, facendogli fare le capriole.

Si staccò con riluttanza e poggiò la fronte sulla mia. Il suo respiro mi solleticava la pelle del viso accaldata.

Inchiodò di nuovo i suoi occhi nei miei. Spazio infinito. Fondali marini.

Articolò una frase che ci sarebbe costata parecchio.

«Ti amo.»



Lo so. È corto, frettoloso e insensato. Ma non ci posso fare niente! Questa sarà l'ultima fic in questo fandom perché ora mi stanno prendendo altre fisse. Tranquilli questa la finisco, odio lasciare a metà e non sarò da meno con questa fic!

La scena del bacio avrei voluto farla più spinta (colpa di tutte le lemon yaoi che ho letto XD), ma non lo so, Ranma e Akane non li vedo per niente in quel senso! >\\\<

Comunque, la canzone apparentemente non centra nula, infatti è un'anticipazione al prossimo capitolo.

E ora le risposte:

verycoc: Ehi ciao! Eh sì, Akane non si sta comportando tanto bene, ma in fondo cosa potrebbe fare? Io troverei troppo difficile dirgli la verità. Vedrai nel prossimo capitolo come si evolverà tutta la situation! Prevedo scintille e non solo in senso positivo.

Ranma e Ryoga invece io ce li vedo! (come sempre colpa dello yaoi di cui mi sto “drogando”) Grazie per tutti i complimenti che mi hai fatto, spero la storia continui a piacerti. Bacii

caia: Il rapporto tra Akane e Ranma, dopo questo bacio, ti anticipo che prenderà un risvolto... diverso nel prossimo capitolo, poi capirai perché. Anche il fattore “verità” non è assolutamente da trascurare, nel prossimo capitolo centrerà anche quello. Ecco ho spoilerato. Vabbè tu dimentica ciò che hai letto xD.

Le sorelle di Akane avevo scritto che Kasumi si è sposata e Nabiki era scappata. Nabiki è il capo di quelli che hanno salvato Ranko! Mi pare di averlo scritto, vabbè se non è così ho rispoilerato! Baci.

Vabbè ora vi lascio, tra un po' pubblico il secondo capitolo della raccolta.

Alla prossima.

Sakura*


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