Glance di Sakura00 (/viewuser.php?uid=141002)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Metà ***
Capitolo 2: *** Ciò che non dico ***
Capitolo 3: *** Ombre ***
Capitolo 4: *** Hai paura? ***
Capitolo 5: *** Pensieri che corrono ***
Capitolo 6: *** Scoperte ***
Capitolo 7: *** The Only Exception ***
Capitolo 8: *** Who scream out loud inside me? ***
Capitolo 9: *** Normalità. Definizione, prego? ***
Capitolo 10: *** Prima del peggio. Prima che ci incontrassimo. ***
Capitolo 11: *** Il tepore del sonno. ***
Capitolo 12: *** Distogli la mia mente. ***
Capitolo 13: *** Fuoco e sangue ***
Capitolo 1 *** Metà ***
Cap.1
Ecco
la mia seconda fanfiction! ^^
Questa
volta sarà più lunga e, dato che non ho pronti
altri capitoli, gli
aggiornamenti saranno più lenti rispetto a quelli dell'altra
fic, mi
scuso quindi per questo U_U
Il
testo in corsivo è un mio pensiero sul titolo, se lo vedete
troppo
lungo e noioso potete saltarlo non influisce sulla trama. Mi piaceva
però introdurre così...
Preludio****
Ogni
giorno incrociamo lo sguardo di molte persone. Quante volte ci siamo
fermati a chiederci perché qualcuno ci sta guardando? Quante
volte
ci siamo sorpresi nel fissare una persona, solo perché non
ci
piaceva il suo paio di scarpe?
Sin
da quando siamo bambini ci viene insegnato che non bisogna mai
fermarsi alla prima impressione. Eppure ognuno di noi lo fa. Con una
sola occhiata si decide se una persona è bella o brutta. Con
una
sola occhiata decifriamo le espressioni. Con una sola occhiata si
capiscono le emozioni. Con una sola occhiata riusciamo a prendere
decisioni, seppur avventate, ma purtroppo alcune volte necessarie.
Con una sola occhiata riusciamo anche a trasmettere i pensieri. Il
nostro assenso o la nostra disapprovazione. Inarchi un pochino le
sopracciglia. Sgrani leggermente gli occhi. Li rendi sottili come
fessure. Storci leggermente la bocca. Abbassiamo la testa insicuri.
La teniamo alta con orgoglio. Con una sola occhiata possiamo notare
migliaia di espressioni che vogliono dire altrettante cose. Una sola
occhiata può bastare a far risultare interessante una
persona.
Ma
pur sbagliando la maggior parte delle volte, nessuno si può
fermare.
È un istinto del nostro subconscio. Ogni volta che posiamo
per la
prima volta lo sguardo su una persona, facciamo considerazioni, senza
neanche volerlo. Solo il tempo potrà decidere se cambiarle o
meno.
Alcune volte rimangono quelle, alcune volte cambiano. Alcune volte
portano delusioni, alcune volte sorprese.
Ma
l'amore? Non è una scienza, eppure non è neanche
una magia.
Possiamo innamorarci di una persona per il suo aspetto, per la sua
anima, per il suo sguardo e sentirlo eterno in quell'istante. Ma si
sa, in amore può finire anche male, un tradimento, una
bugia, un
litigio o semplicemente perché svanisce la fiamma. E anche
in questo
uno sguardo può dire tutto. Con una sola occhiata puoi
capire se due
persone si amano. Ma puoi capire da uno sguardo se una persona ama
te? Può uno sguardo accendere l'amore che dura tutta la
vita?
E
quindi solo ora pongo la fatidica domanda. Esiste l'amore a prima
vista?
****Capitolo****
I
capelli gli cadevano lunghi sulla schiena.
Erano
quattro giorni che stava rannicchiato per terrà, su quel
pavimento
gelido e lurido. L'odore di nafta invadeva quel posto disgustandolo,
una sola finestra illuminava la stanza. Aveva ignorato la branda
cigolante buttata in angolo, come ignorava tutto del resto. Da quando
lo avevano portato in quella stanza il tempo si era fermato, non
sentiva neanche il battere del suo cuore, ma ignorò anche
questo. Il
suo tempo era fermo.
Occhiaie
scure gli ornavano il volto, aveva l'impressione di non aver mai
sbattuto le palpebre.
Aveva
lo spirito e il corpo distrutti, aspettava di essere pervaso dal
dolore da giorni, invano.
Era
vuoto, non sentiva alcuna emozione e sensazione.
Era
perso, non riusciva a trovare la strada per parlare e muoversi.
Non
era morto.
Non
era vivo.
Un
pensiero occupò la sua mente per una frazione di secondo.
Lui
era o non era?
Sentì
l'istinto di una risata morirgli nello stomaco nel rievocare
l'Amleto, ma non ci mise molto a svuotarsi di nuovo.
Bussarono
per la decima volta alla porta e il ragazzo capì che era
iniziato il
quarto giorno e che erano le 9.30 di mattina. Lasciarono, stavolta in
silenzio, un altro vassoio di cibo sull'unico tavolino nella stanza,
portando via l'altro, che neanche di uno sguardo era stato degnato.
Un sospiro e la porta era chiusa di nuovo. Solo la prima volta,
chiamato per nome, si era ridestato e aveva guardato con disgusto il
cibo sul vassoio, non perché fosse buono o cattivo, ma
perché il
solo pensiero di rimettere in moto lo stomaco gli aveva fatto salire
la bile in bocca. Non era lui questo, solitamente avrebbe divorato
ogni portata senza fare complimenti. Sospirò.
Non
si era cambiato mai di vestiti, aveva gli stessi da una settimana,
anche se sulla branda avevano buttato qualche indumento nuovo. I suoi
bisogni, chiamiamoli intimi e non ignorabili, erano andati scemando
per via del digiuno e oramai non si alzava mai dalla sua postazione
oscura (così la chiamava).
Solamente
quattro giorni fa aveva corso tanto, a perdifiato, senza mai
rallentare il ritmo seguendo l'asfalto della strada per uscire il
prima possibile da quell'inferno. Aveva sentito bruciare le gambe e i
polmoni e aveva stretto i denti per non mollare. Era inciampato e una
volta fermo aveva cominciato a tossire convulsamente per l'enorme
sforzo. Non aveva sentito il cuore in gola, ma nella testa, al centro
della testa, che pulsava e sembrava che avrebbe voluto esplodere. A
quattro zampe aveva cercato di riprendere fiato alzando e
riabbassando irregolarmente il busto. Con occhi sgranati dalla fatica
aveva osservato il sudore mescolato alle lacrime che gocciolava sulla
terra brulla. Si era poi guardato intorno e una volta resosi conto di
non essere neanche fuori città, aveva urlato, alzato i pugni
in
cielo come aspettando un segno da quelle coltri di nubi, che
sembravano essere state spettatrici dello scempio da cui era fuggito
per cercarla. Quando aveva visto che non succedeva, ovviamente,
niente, con un ringhio aveva sbattuto i pugni a terra. Aveva
aspettato che la rabbia rifluisse per sfogarsi, ma il rumore di un
auto lo aveva interrotto. Aveva alzato lo sguardo verso quella e
aveva visto scendere gli uomini che lo avrebbero portato lì,
dov'era
ora. Nella postazione oscura.
A
cercarla, ripensò. Già, perché la
suddetta ragazza era scappata
ben quattro anni prima di lui, per ovviamente altri e futili, secondo
lui, motivi. E perché la cercava poi? Già, non
l'avrebbe più
cercata, non c'erano motivi per cercare quell'incosciente. A parte
una stupida promessa, facile da infrangere...
Ma
si disse che era inutile mentire a se stessi. Non sapeva quante volte
se l'era ripetuto, ma sapeva che l'avrebbe continuata a cercare.
Lui
non aveva più niente. Lei era tutto ciò che gli
rimaneva. Loro,
erano come due metà.
Improvvisamente,
come un fulmine nella sua mente, capì. Capì
perché non l'avevano
più trovata. Ripensò a tutti i pianti della
madre, ogni volta che
il padre tornava la sera a casa scuotendo senza speranza la testa.
Pensò che era ovvio che non l'avevano trovata, conoscendola
avrebbero dovuto cercarla nell'altra metà.
Certo, è anche
probabile che non sarebbero riusciti a trovarla anche se era in
questa di metà, Nerima era immenso. Ma lei...Lui la
conosceva bene,
aveva il suo stesso carattere e se scappare implicava quello che
pensava, sarebbe andata non poco lontano.
Non
solo lontano, conoscendola, il suo lontano non doveva essere solo in
senso fisico...
In
quel momento il suo vuoto si riempì. Aveva un scopo. Doveva
scappare.
Saettò
per la prima volta con lo sguardo per la stanza, sorpreso di esser
riuscito a ritrovare quella facoltà motoria così
facilmente.
Sciolse i muscoli indolenziti delle braccia e delle gambe
rialzandosi, la gioia di sentirli pronti a combattere nuovamente lo
pervase e sentì che il suo tempo aveva ricominciato a
scorrere.
Si
raccolse i capelli in una coda nella mano e si corrucciò di
non
avere un laccio per sistemarli nella sua familiare treccia nera.
Cercò di non darci peso, per non pensare a come aveva
perso
la stringa, e di concentrarsi sul suo obiettivo, lasciandoli cadere
come prima, lunghi sulla schiena.
Vagliò
velocemente le opzioni praticabili. Di sicuro quelli del S.G. non lo
avrebbero lasciato andare così, quindi sarebbe dovuta essere
un'operazione di fuga molto ingegnosa...
Si
guardò intorno e il suo sguardo finì sulla
finestra. Sospirò e si
sentì stupido. Anche se quelli non lo avrebbero lasciato
andare, era
impensabile una sua fuga.
Si
diresse a lunghi passi alla finestra per vedere cosa lo aspettava
fuori e si rese conto di essere al piano terra. Troppo
facile,
sbuffò, poi continuò a guardare e
intravide l'entrata,
sicuramente sorvegliata si disse, e tutto l'intero spiazzo che
occupava l'edificio circondato da un muro. A quel punto fece per
scavalcare la finestra quando il pensiero gli cadde sul lungo viaggio
che lo aspettava e alle energie che gli sarebbero servite, fece
spallucce e prima di andare decise che mangiare non avrebbe occupato
troppo tempo.
Non
appena ebbe dato un morso al pane sentì svegliarsi una fame
vorace
che gli fece rimpiangere di non aver mangiato la cena che era stata
portata via e di doversi accontentare di una colazione.
Finì
velocemente di trangugiare l'ultimo sorso di latte con bramosia, non
sentendosi per niente soddisfatto, ma piuttosto peggio di prima. Ebbe
la tentazione di andarsene dopo il pranzo, ma il suo obiettivo
risalì
al primo posto delle priorità.
Scavalcò
con sicurezza la finestra e con maggior cautela e silenzio possibile
si avvicinò alle mura, che superò con
sorprendente agilità.
Il
suono di un allarme gli penetrò i timpani e gli
gelò il sangue
nelle vene. Come avevano fatto a scoprire così presto della
sua
fuga?! Si infilò velocemente dietro uno stipite del muro. Si
sporse
leggermente e sbirciò verso l'entrata principale e oltre
l'enorme
viavai di guardie notò un piccolo affare grigio, affisso sul
muro.
Una telecamera. Imprecò a mente e uscì dal suo
nascondiglio
correndo, senza temere di essere scoperto, per le vie di quella
città
sconosciuta.
Sentiva
chiaramente i passi dietro di se, scalpitavano sul terreno irregolare
peggio di cavalli. Lanciò un'occhiata veloce alle sue
spalle,
valutando la loro distanza e il loro numero. Non era di questo che
aveva paura, era più veloce di loro e, di sicuro, aveva
percorso
distanze maggiori.
Ciò
che temeva era che prima o poi con le automobili lo avrebbero
raggiunto.
Timore,
paura. Un insulto era per lui, nient'altro. Aggrottò le
sopracciglia
e strinse i denti. Appena una settimana fa avrebbe preso a pugni
chiunque lo avesse accusato di aver paura, ma doveva ammetterlo.
Aveva paura.
Paura
di non trovarla.
Paura
di essere raggiunto.
Aveva
paura delle conseguenze. Del futuro.
Una
via di fuga lo distrasse da quei pensieri che sembravano volerlo far
impazzire. Un uomo, seminascosto dietro un porta di una casa, gli
faceva cenno con la mano di raggiungerlo. Agì d'istinto, con
uno
scatto disumano cercò di seminarli il più
possibile per fiondarsi
dentro. Il tale lo spinse in una botola per poi seguirlo a sua volta.
Finì in uno spazio di massimo un metro quadro con una
debolissima
lampada ad olio vicino ai piedi che gli illuminava solo quelli.
Doveva essere una specie ripostiglio, perché nel momento in
cui
atterrò sul fondo sentì lo scrocchio di alcune
scatole sotto i
piedi. Si disse che avrebbe dovuto rimanere il più fermo
possibile
per non fare rumore. Non capì come si era chiusa tanto
velocemente
la botola, ma sentì uno «Sh» appena
accennato mentre l'uomo di
prima gli teneva giù la testa e poco prima del botto di una
porta
sbattuta contro un muro. Trattenne il fiato mentre sentiva il rumore
dei passi sopra di sè.
«Ah!
Che volete da me?!» Era la voce di un vecchio.
L'individuo
davanti a sé sussurrò con un filo di voce.
«Cavolo, è vero. Abito
col nonno!»
Ma
che diavolo...? Era confuso. Con chi era finito?
«Non
prenderci in giro, vecchio. L'abbiamo chiaramente visto entrare
qui.»
Cominciò a sudare freddo, come colui che aveva appiccicato
addosso
in quel buco in cui erano nascosti.
«Ma
chi?!» Dalla voce del vecchio trapelava non poco panico.
«Ranma
Saotome! Stiamo cercando Ranma Saotome! Ti abbiamo detto che abbiamo
visto che è entrato qui e DI NON PRENDERCI IN
GIRO!» Appena sentì
pronunciare il proprio nome il ragazzo cominciò a tremare e
gli
venne l'istinto di scattare in piedi e scappare, ma, per fortuna
pensò, lo spazio angusto in cui si trovava glielo
impedì. Tremò
perché quel nome lo aveva riportato a ciò che era
stato. A ciò che
era. Alla voce dei suoi genitori, dei suoi amici. Alla sua vita. O
almeno a ciò che era stata una vita.
Fino
a quel momento Ranma si era considerato semplicemente una persona, un
viandante, con uno scopo tuttavia. Era vuoto tranne per quell'unico
obiettivo. Ma il suo nome aveva riportato a galla tutto. Soprattutto
la sua identità, quella che aveva ignorato negli ultimi
giorni,
quella che non aveva più voluto. Cercò un
appiglio, per uscire di
nuovo dalla sua vita e si distrasse ascoltando i rumori esterni.
Sentì diversi tonfi e dei gemiti smorzati, stavano
picchiando quello
che doveva essere il nonno di chi aveva vicino e si lasciò
pervadere
dal senso di colpa. Ricominciando a ignorare la sua
identità.
Fece
per sussurare qualcosa, ma le voci di sopra lo fermarono.
«Tsè, è
svenuto... Perquisite la casa e poi andiamocene, se non lo trovate...
torneremo domani, anche nelle case vicine.»
Risentì
diversi passi muoversi rumorosamente per almeno dieci minuti, poi
silenzio. Quello davanti a sé parlò a voce
normale. «Vieni,
usciamo.»
Ranma
strizzò un poco gli occhi quando vide la luce del giorno
entrare
dalla botola aperta, ma poi lo seguì e vide quello che
doveva essere
il ragazzo di prima. Aveva i capelli castani, chiusi in un piccolo
ciuffetto sulla nuca e portava uno strano abito blu. Afferrò
uno...
spazzolone?... per poi dirigersi con calma verso un vecchio, steso
per terra, un po' livido e con la lingua di fuori. Aveva tutti i
capelli e la lunga barba bianchi tranne che per l'enorme stempiata.
Ranma per un attimo non seppe cosa fare, se chiamare un medico o
chiunque altro, ma vide l'altro ragazzo sbuffare e dire:
«Alzati
nonno, se ne sono andati, mi fai senso lì per
terra.»
Il
vecchio schiuse un occhio con cui esaminò la stanza, poi
balzò in
piedi. «Allora? Avete fame?»
Poco
dopo erano intorno a un tavolo, Ranma non aveva ancora spiccicato
parola, ma stava divorando con ferocia il piatto che aveva aiutato a
cucinare.
«Hai
fame, eh?» Gli fece notare l'altro ragazzo.
Lui
fece solo un assenso col capo senza neanche alzare lo sguardo dal
piatto.
Quando
tutti ebbero finito. Rimasero in silenzio a tavola, il ragazzo col
ciuffetto parlò per primo.
«Allora,
come ti chiami?» Ranma per un attimo si chiese se stesse
scherzando.
Intervenne
il vecchio.«Ah, Shinnosuke! Nipote smemorato! Non hai sentito
prima
quei brutti ceffi urlare il suo nome?!»
«Ah,
è vero. Ti hanno chiamato Ranma Saotome. È questo
il tuo nome,
Ranma?» È un povero idiota, pensò
tristemente
l'interpellato, che annuì deciso in risposta. A quanto pare
avrebbe
dovuto abituarsi a sentir nominare il suo nome, cercò di
strapparlo
da tutto quello che quella stupida parola si portava dietro. Solo
Ranma. Ecco, un nome e basta.
Poi
un'espressione confusa si impossessò di Shinnosuke e
guardò il
nonno. «Ehi, ma scusa, tu chi sei?»
Il
vecchio diede un pugno in testa al ragazzo e lui disse di ricordarsi,
un po' malamente.
Ranma
aprì bocca per fare una domanda, ma non uscì
alcun suono dalla sua
gola. Si ricordò che non parlava da diversi giorni e dovette
fare
uno sforzo non poco trascurabile per articolare le parole e il
risultato non fu eccellente. «Io...Voi... Perché
mi... avete
aiutato?»
Aveva
la voce gracchiante e debole, che odiò subito, ma
sentì che man
mano che parlava andava migliorando.
«Beh,
non so se te ne sei accorto, ma hai mai visto la ricchezza del
centro da cui sei scappato? Hanno le macchine e tutte le loro strane
tecnologie, che dovrebbero essere inesistenti qui a Nerima! Di solito
tutti quelli dotati di tanti soldi stanno nell'altra
metà. Allora
perché loro stanno qui? C'è qualcosa che non
quadra... E poi perché
darsi tanto affanno per cercarti? Cioè, è
normale, ma non con
questa violenza, considerando i loro scopi ufficiali... Ma che
è
quella faccia? Non dirmi che non te n'eri accorto!» In
realtà Ranma
non ci aveva neanche lontanamente pensato, date le condizioni in cui
era, ma... se Shinnosuke avesse avuto ragione? E se quel gruppo
c'entrava qualcosa con lo sterminio da cui era scappato? Che ci fosse
qualcosa di ancora più losco dietro tutte quelle morti lo
angustiava. Cos'altro lo aspettava ancora? Sospirò. A quanto
pare un
“mistero” si era accantonato al suo scopo.
«Beh,
comunque ti ho aiutato perché... Diciamo che mi fido del mio
istinto...»
Stavolta
cercò di chiarirsi la voce tossendo prima di rispondere.
«Ah,
grazie... Ma comunque hai ragione. È strano,
ma...» Fece una pausa
alzandosi. «...non mi riguarda. Io ho ben altro da fare.
Quindi vi
ringrazio dell'ospitalità, ma io mi congedo.»
Shinnosuke
lo fermò. «Aspetta, se eri da solo da quelli. Non
credo che...
insomma, perdona la franchezza, ti rimanga qualcosa...»
L'occhiata
dell'altro lo astenne dal continuare, così cambio domanda.
«Dove
dovresti andare?»
Ranma
rimase un attimo interdetto, lo squadrò per poi decidere che
poteva
fidarsi.
«Io
devo andare...» Abbassò la voce.
«...Nell'altra metà.»
I
due lo guardarono sbigottiti.«Cosa?»
«Non
ti faranno mai passare! Quelli di Nerima non possono andare
là, lo
sai bene! Lo sa bene chiunque! Dì un po' ti sei bevuto il
cervello?»
Aggiunse l'anziano, alzandosi a sua volta.
Ranma
prima di rispondere sospirò rumorosamente. «Si, lo
so! Ma...
dall'altra parte, c'è tutto ciò che mi rimane a
questo mondo.»
Il
vecchio sbuffò mentre Shinnosuke lo guardò con
uno sguardo grave,
si alzò infine anche lui e disse: «Vengo con te, a
Jusenkyo.»
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Capitolo 2 *** Ciò che non dico ***
Cap. 2
«Vengo
con te, a Jusenkyo.» Affermò Shinnosuke con determinazione.
Ranma
alzò le sopracciglia incredulo e fece per dire qualcosa, poi sbuffò
e si rilassò. «Puoi fare come ti pare.»
In
fondo non gli cambiava niente, ma il nonno non sembrava essere
altrettanto d'accordo. «SHINNOSUKE!» Sbatté i pugni sul tavolo.
«Nipote sciagurato! Cosa ti salta in mente anche a te?! Non farlo!»
Il
ragazzo assunse un'espressione severa. «Nonno, tu sai perché voglio
andare. Non rendere il tutto più difficile di quanto non lo è
già...»
I
due cominciarono a discutere e Ranma si sentì un po' escluso così
si rimise seduto sulla sedia e sgranocchiò dei biscotti che erano a
tavola. Quando sembrò che avessero finito rivolse la sua attenzione
di nuovo a loro. L'anziano sospirò rumorosamente, guardò il nipote
dapprima con apprensione, ma poi la sua espressione mutò in una
maschera di antica tristezza. Ranma pensò che non l'avrebbe mai
dimenticata. «Ah, l'amore. Voi giovani siete tutti uguali... Ma va
bene, puoi andare, ma fammi almeno il favore di portarti una cosa con
te.»
Una
volta che il nonno uscì dalla stanza, Shinnosuke tirò un sospiro
trionfante. Poi corrugò le sopracciglia e si grattò la nuca. «Ma
aspetta. Dove devo andare? A cosa si riferisce?»
Ranma
alzò gli occhi al cielo, se Shinnosuke fosse veramente venuto con
lui avrebbe dovuto abituarsi a questo suo “piccolo” problema.
Tornò
il vecchio nella stanza e lo smemorato sembrò riprendere lucidità,
aveva portato con sé due rettangoli di forma irregolare e grandi
quanto una mano. Ranma non li riconobbe, ma capì che dovessero
essere apparecchi tecnologici, ne diede uno in mano a Shinnosuke.
«Tieni, ragazzo. È un cellulare, piuttosto vecchiotto lo ammetto,
uno dei primi, ma ci servirà a tenerci in contatto e tra l'altro è
a prova d'intercettazione.»
I
due giovani sgranarono gli occhi, dei cellulari avevano solo sentito
parlare figuriamoci vederne due!
«Me
l'ero immaginato diverso...» Farfugliò Ranma squadrando l'oggetto
in mano al coetaneo. Avrebbe voluto chiedere come se li era
procurati, ma non credeva che glielo avrebbe detto...
«Grazie
nonno.» I due sembrarono un po' in imbarazzo, ma poi si
abbracciarono. Si volevano bene. Ranma fremette alla scena tanto
familiare anche per lui e distolse lo sguardo, perdendosi alla
ricerca di una distrazione, seguendo ad esempio la direzione di una
crepa sul muro con gli occhi.
«Ok,
andiamo Ranma.» Shinnosuke riscosse Ranma dai suoi pensieri che
annuì. Poi il primo sembrò ricordarsi qualcosa ed entrò in una
camera, svelto ne uscì subito con uno spago in mano.
«Hai
i capelli lunghi e ho pensato che ti avrebbe potuto far comodo...»
Shinnosuke arrossì un poco, gli era sembrata un'idea meno ridicola
pochi attimi prima, ma si dovette ricredere quando vide qualcosa di
simile a una luce brillare negli occhi di Ranma.
«Grazie.»Quest'ultimo
raccolse esitante l'oggetto dalla mano dell'amico, guardò il
cordoncino per qualche secondo esaminandolo. Era spago, del tipo che
sembrava di carta. Ma bastò comunque a stordire la mente del
ragazzo. Con gesti meccanici portò le mani dietro la nuca, chiuse
gli occhi e lasciò che l'abitudine affiorasse per gustare quel
piccolo momento familiare, di routine. Le mani si muovevano sicure
sui capelli, senza incontrare troppi nodi. Quando ebbe finito si
sentì sollevato, più leggero. Inspirò ed espirò profondamente e
rivolse lo sguardo a Shinnosuke. «Andiamo.»
Si
congedarono dal vecchio e si avviarono senza attirare troppa
attenzione ai confini di quel piccolo villaggio. Non ci volle molto,
il sole stava ancora tramontando quando i due si ritrovarono in una
vastissima prateria. Shinnosuke lanciò uno sguardo dietro di sé
salutando la propria casa, non sapendo se l'avrebbe più vista.
«
Nel prossimo villaggio dovremmo procurarci dei cavalli, non possiamo
farcela a piedi.» La voce di Ranma lo fece tornare coi piedi per
terra. «Hai ragione, ma considerando ciò che mi sono portato, cioè
tutto ciò che possedevo, possiamo a malapena comprarci il cibo per
un'altra giornata. Dubito che riusciremmo a comprare un cavallo...»
L'altro
rispose imprecando. «Dannazione! Non potevi chiedere i soldi a tuo
nonno?! Come credi che possiamo sopravvivere?»
Shinnosuke
aggrottò le sopracciglia. «Ma cosa credi?! Se avessi tolto quel
poco che ha a mio nonno non sarebbe sopravvissuto lui! E di certo non
avrei raggiunto la somma per due cavalli!»
Ranma
rispose con un grugnito, ma sapeva che aveva ragione. Cos'altro
poteva aspettarsi da una famiglia composta da un vecchio e un emerito
scemo? Quasi per caso frugò nelle sue tasche, ma erano come se le
aspettava. Come tutto il resto. Vuote.
Scese
la notte e i due si accamparono sotto uno dei pochi alberi. Dopo vari
borbottii e lamentele riuscirono ad accendere un focolare. Shinnosuke
si era portato alcuni pasti pronti, li tirò fuori dallo zaino e li
mise a scaldare. Ranma stava seduto a gambe incrociate davanti il
fuoco e assaporava il tepore che gli trasmetteva, variava a seconda
della direzione del vento e quando tirò una folata più forte alle
sue spalle rabbrividì.
«Hai
freddo?» Si voltò verso Shinnosuke che stava tirando fuori due
piccole scodelle entrambe incrinate. Fece cenno di no e scivolò con
lo sguardo sul bastone che si era portato l'altro. Era lo spazzolone
dello stesso giorno. «Mi spieghi cosa ci fai?»
Il
ragazzo si voltò verso dove aveva indicato l'amico e posò le
scodelle accanto al fuoco. Scrollò le spalle. «Ci combatto.»
Ranma
inarcò ancora di più le sopracciglia chiedendosi se doveva ridere o
meno. Ma l'altro aveva già spostato l'attenzione su altro,
cominciando a riempire le scodelle con la zuppa che aveva scaldato.
«Buon appetito.»
Ranma
soffiò piano sull'acqua che emanava il fumo del calore,
deviandone
per un' attimo la direzione. Cominciò a sorseggiarla piano,
percependo il calore che lo pervadeva da dentro. Quando la sentì
meno bollente la buttò giù tutta d'un fiato. Posò
la scodella
di fianco a Shinnosuke, che non aveva ancora finito, e si mise a
frugare nello zaino.
Quest'altro
finì il pasto e impilò la propria scodella dentro quella di Ranma.
Si voltò e si accorse dell'altro. «Che cerchi?»
Non
rispose, ma tirò fuori un grande foglio di carta che spianò per
terra tra loro. «Dobbiamo un attimo organizzarci. Dove
siamo?»
Shinnosuke
esaminò la mappa e indicò un nome. « Il mio villaggio è questo,
Ryugenzawa. Di conseguenza noi stiamo percorrendo questa landa. La
prateria Allan.»
Ranma
annuì. « Il prossimo villaggio si chiama Krollor. Mmm, non mi
inspira per niente. Ma è la direzione giusta.»
Fissò
un poco la cartina e la richiuse subito dopo nello zaino. Aiutò a
mettere tutto ciò che avevano tirato fuori a posto, tranne le
ciotole che sarebbero dovute essere lavate nel primo fiume che
incontravano.
Shinnosuke
stese un tappetino a terra e Ranma si appollaiò addosso all'albero e disse:
«Se non è troppo indiscreta come domanda, mi dici come mai vieni
con me?»
Non
rispose subito. Si stese supino guardando il cielo e incrociò le
braccia al petto. «C'è una ragazza che amo. Non mi sono ancora
dichiarato, ma non l'ho più vista. Abitava nel mio villaggio, ma una
volta mi raccontò che voleva scappare e andare a Jusenkyo. Aveva
sentito voci straordinarie su quel posto... Io ho cercato di
dissuaderla, ma il giorno dopo era già partita, senza dire niente a
nessuno.»
L'altro
lo guardò di sottecchi. «Tu sai che... insomma, potresti non
trovarla... intendo viva...?»
Shinnosuke
si strinse nelle spalle, ma il suo viso rivelava ben altre emozioni.
«Tu invece? Perché sei partito?»
Ranma
si sentì un pugnale nello stomaco. Forse glielo aveva chiesto perché
voleva saperne di più. Probabilmente perché non si ricordava ciò
che aveva detto a casa sua. Si stese sull'erba un po' secca e un po'
verde. «Buonanotte.»
Ecco
un altro capitolo! Com'è?
Un
grazie a Oceanthree e a LoveAnimeManga89 per i commenti.
Alla
prossima
Sakura
|
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Capitolo 3 *** Ombre ***
Cap.3
Il
vento carezzava dolcemente gli steli d'erba della prateria, danzando
un movimento fluido e ondeggiante, lento e ipnotico. L'alba
illuminava i piccoli spiragli tra le foglie degli sporadici alberi
che con le loro chiome volteggiavano con la prateria. In quel luogo
incontaminato, che sembrava il dipinto della pace, si levò
l'ennesimo urlo, tanto alto da sembrare l'ultimo che si esala prima
della morte,
rompendo ancora una volta la pace di quel posto disabitato. Non ci
mise molto ad arrivare lo sbuffo scocciato di Shinnosuke, accortosi
che era già sorto il sole e che lui aveva dormito si e no due ore
nel complessivo. Doveva ammettere che quando Ranma aveva cominciato
ad agitarsi nel sonno urlando aveva provato pena per lui, un po' la
provava anche ora, ma quando aveva capito che non avrebbe smesso
molto presto ci aveva messo poco a trasformare quel suo sentimento di
pietà in irritazione. Probabilmente era stato così poco paziente
perché si era dimenticato il motivo per cui forse neanche Ranma
stava avendo un sonno tranquillo. Per tutta la notte ogni volta che
quest'ultimo gridava Shinnosuke sussultava per la sorpresa,
borbottava parole frustrate e incomprensibili, ma nonostante tutto
non lo svegliava. L'urlo si spense in pochi secondi, come quelli
durante la notte, dissolvendosi in pochi ultimi gemiti. Shinnosuke
sospirò, sentì tirare una folata di vento che gli scompigliò
delicatamente i capelli e rabbrividì. Rivolse nuovamente lo sguardo
al sole, riducendo gli occhi a una fessura per non irritarli troppo
dalla luce forte. Infine li chiuse cercando di attirare sul suo viso
tutto il calore che poteva e cadere per almeno un altro po' nel
sonno...
Nel
frattempo Ranma si era svegliato con quest'ultimo grido. Aveva
dormito sul terreno senza niente a pararlo dal freddo e non era
sudato quindi. Faceva respiri veloci e corti, fissando un punto
indefinito con occhi spalancati e spiritati. Quella notte aveva
rivissuto tutto, dal primo all'ultimo fotogramma nella sua mente. Su
alcuni particolari il suo subconscio ci aveva addirittura ricamato
sopra, rendendo tutto più difficile da cancellare. Per un attimo si
risentì le mani bagnate del sangue di suo padre e della sua migliore
amica e la spalla inzuppata dalle lacrime della madre.
Rivide
i due attimi distinti in cui si spense la luce nello sguardo
dell'uomo
e della ragazza.
Stava
per urlare di nuovo. Deglutì forte per spingere giù il nodo che
aveva in gola e cercare di non andare in iperventilazione. Devo
trovare mia sorella. Si
ripeté il suo obiettivo e fece
due respiri molto profondi per calmare la corsa impazzita del suo
cuore. Finalmente si sentiva meglio, in quello stato di lucidità
realizzò che portava ancora gli stessi vestiti. Con un cupo terrore
nello stomaco si stese supino e rivolse uno sguardo attento a
Shinnosuke, che gli dava le spalle. Alzava e abbassava il busto
lentamente, segno che stava dormendo. Così alzò un braccio e
osservò la manica rossa con il risvolto bianco che gli arrivava al
gomito. Era quasi sicuro di essersi arrotolato le maniche dopo che
era uscito dal suo villaggio e per un motivo ben preciso. Aveva un
vago e inquieto sospetto in quel momento su quale potesse essere.
Decise di non rimuginarci troppo sopra, certo che altrimenti si
sarebbe convinto a non farlo, e si srotolò con decisione la manica.
Fissò il tessuto sopra i polsi incrostato e macchiato di rosso molto
scuro, che ormai tendeva al marrone, con uno sguardo neutro. Cercò
di grattarne un po' via con l'unghia, ma non ebbe molto successo.
Allora aggrottò le sopracciglia e sospirò amareggiato, srotolando
anche l'altra manica e scoprendola altrettanto sporca. La verità è
che aveva una confusione totale nella testa, perché non voleva
pensare a ciò che quelle macchie lo riportavano. Cercava di dominare
le immagini che quella notte lo avevano tormentato concentrandosi su
un pensiero. L'unica
maglietta che ho è sporca. Provò
con sarcasmo, ma poi capì che non era tanto ironico da pensare.
Storse la bocca, si arrotolò di nuovo le maniche a tre quarti e si
mise seduto, decidendo che il miglior scaccia-pensieri era fare
qualcosa di utile.
Frugò
un attimo nello zaino, indeciso sul da farsi. Cominciò a studiarsi
la cartina con aria da professionista, ma sapeva anche lui che non
faceva altro che scorrere con la mente i nomi di tutte le città che
probabilmente avrebbero attraversato. Si sentì stupido e ricaccio la
mappa dentro lo zaino di Shinnosuke. Questo lo fece ripensare al
ragazzo e si chiese se fosse stato il caso di svegliarlo, ma, dando
un'occhiata al sole ancora piuttosto basso tra i profili lontani del
terreno, decise di rimandare a qualche ora più tardi. A quel punto
gli venne un'idea: si sarebbe allenato. Si, perché lui era un
combattente provetto. Si sentiva il migliore nelle arti marziali, da
vanitoso e orgoglioso qual'era.
Un
po' di ore più tardi Shinnosuke si sentì sul bilico del
dormiveglia, ma un suono lo riporto con troppa foga alla realtà.
Mugugnò parole incomprensibili e aprì lentamente gli occhi. Li
batté per mettere a fuoco la scena e li tenne socchiusi. Sbadigliò
stiracchiandosi e mettendosi seduto, ma strozzò a metà azione
perché bloccato dal suono di prima. Si girò di scatto e si rilassò
quando vide che era semplicemente Ranma che lanciava calci e pugni
all'aria di fronte a se.
«Buongiorno.»
Disse facendolo sembrare un insulto, ma l'altro ragazzo non sembrò
notarlo. Non interruppe nemmeno i suoi movimenti, facendo
semplicemente un cenno con la testa verso Shinnosuke.
«Tsk.»
Decise di lasciar perdere quest'ultimo.
Si
rimisero in marcia poco dopo, il tempo di raccogliere un paio di
cose, decidere la direzione giusta ed erano già partiti. Niente
colazione. Per tutto il tragitto entrambi si ripetevano in testa
quelle parole. Puro
masochismo... pensò
Ranma, poiché non era stata una grande rinuncia. Può capitare a
tutti di saltarla, ma ciò che li tormentava era il fatto che se non
fosse cambiata la situazione, avrebbero saltato anche il pranzo. Se
non la cena e così via. Quando sarebbero arrivati a Krollor
avrebbero comprato solo cibo col denaro che aveva Shinnosuke, i
dettagli poi sarebbero stati curati sul momento.
Quando
il sole splendeva al centro del cielo raggiunsero il villaggio, che
non era niente di speciale. Sulla strada si affacciava qualche
portone e locanda, neanche i passanti sembravano particolarmente...
particolari. Ma appena questi notarono i due ragazzi cominciarono
tutti a bisbigliare indicandoli.
Ranma
alzò un sopracciglio e disse: «Ce l'hanno con te?»
Shinnosuke
aggrottò le sopracciglia. «No, a me sembra con te piuttosto.»
Purtroppo
quest'ultimo aveva ragione. Uscì un uomo nerboruto da quella che
sembrava una macelleria, con un lurido grembiule a confermare ciò
detto prima.
«Mi
sembrava di averti detto di non farti più vedere qui...» Grugnì
l'uomo dando uno spintone a Ranma, una volta che gli era arrivato di
fronte.
«E
a me sembra di non esserci mai stato...» Ribatté il ragazzo
spintonandolo a sua volta.
L'uomo
lo acchiappò per la collottola. «Ehi, ragazzino. Vedi di abbassare
la cresta che altrimenti ci penso io. Tu non hai portato altro che
guai l'ultima volta che...» Non finì nemmeno la frase che Ranma gli
sputò in un occhio. L'omone dilatò le narici e con occhi pieni
furia alzò un pugno, che si stava per andare a schiantare sul naso
del ragazzo. Shinnosuke imprecò e prima che potesse intervenire in
qualsiasi modo, il macellaio inveì a sua volta cadendo sulle
ginocchia per terra. Dietro di lui c'era un individuo che sembrava un
ragazzo come loro, cominciò subito a correre lanciando un'occhiata
fulminante ed eloquente a Ranma. Quest'ultimo non ci pensò due volte
a seguirlo, i mormorii si stavano già allargando a macchia d'olio e
trasformando in ingiurie contro di loro. Si chiese quanto ci
avrebbero messo ad arrivarne altri quattro come l'uomo di prima.
Lanciò uno sguardo a Shinnosuke che se ne stava fermo e incredulo.
«Dai!»
Lo incoraggiò a voce alta, dopo aver iniziato a correre. I tre
ragazzi svicolarono diverse volte, guidati da quello ancora
sconosciuto, prima di non sentire più il vociare dei cittadini.
Entrarono in un palazzo a più piani, diroccato e a prima vista
abbandonato. Lì trasformarono la loro corsa in una camminata,
salendo i gradini per diversi piani col fiatone. Sembrava che la
maggior parte dei soffitti fossero crollati. Arrivarono all'ultimo
piano, che sembrava essere composto di un pianerottolo con un
materasso singolo buttato là e una porta, che probabilmente portava
su una balconata.
Ranma
guardò il ragazzo sconosciuto. Aveva una bandana gialla a macchie
nere e dei vestiti a prima vista coordinati a quella.
«Allora...»
Disse quest'ultimo con uno sguardo accusatorio agli altri due.
Squadrò con fare sospetto da capo a piedi Shinnosuke, che aggrottò
le sopracciglia, e poi fissò l'altro con sguardo penetrante.
«...Cosa diavolo ci fai qui, eh?! E quest'altro? Chi sarebbe? Ah!
Sei un disastro... Aspetta, che ti porto l'acqua calda...»
«Ehm...
Chi saresti tu?» Rispose Ranma interrompendolo, rimarcando il “tu”.
Lui
si accigliò. «Come sarebbe? Stai scherzando? Sono Ryoga... ti devo
tipo raggiungere a dieci chilometri da qui a sud domani...»
Per
tutta risposta Ranma alzò le sopracciglia confuso, ma poi Ryoga
sembrò capire sgranando appena gli occhi. Impacciato disse:
«Aspetta... Tu s-sei... Cioè tu non sei... Ranko?... Tu sei
Ranma?!»
Ehi!!!
Scusate immensamente per il ritardo, ma l'ispirazione e il tempo mi
mancano! Ma come vedete non mi leverò di torno tanto facilmente. Si
comincia a capire qualcosa su questa ingarbugliata storia?
Grazie
per le recensioni di Black_Yumi
e LoveAnimeManga89.
Un grazie anche a tutti quelli che seguono la storia ^^
Alla
prossima.
Sakura.
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Capitolo 4 *** Hai paura? ***
Cap.4
Scappiamo
Ranma.
No,
tu non capisci...
Scappiamo
Ranma.
Non
possiamo lasciare tutto quello che abbiamo qua per qualcosa che non
conosciamo.
Hai
paura?
No,
io non ho mai paura.
Invece
sì. Sei solo un bugiardo.
Cosa
ne sai tu di me?
Molto
di più di quanto sappia...
La
vedo ancora darmi le spalle camminando come se non stesse andando
via.
Come
se stesse facendo una bella passeggiata.
Con
il suo stupido tono strafottente.
Con
i suoi stupidi capelli rossi, raccolti in una stupida treccia.
Mi
copiava sempre, quell'incosciente.
Ma
avevo una consapevolezza.
Nel
cuore stava.
Mi
ostruiva il passaggio dell'aria nei polmoni e lo scorrere del sangue
nelle vene.
Mi
riesco ancora a sentire lì fermo a guardarla mentre se ne andava.
Con
le gambe che fremevano volendola seguire.
Ma
io le tenevo ferme.
Avevo
alzato un braccio e aperto la bocca.
Ma
ero ritornato subito inerme.
Solo
ora so quanto mi sbagliavo.
Quanto
anche lei si sbagliava.
Hai
paura?
«Ranko...»
Era un respiro. Era un battito. Era una pulsazione.
In
un mondo diviso in due dalle guerre. Del quale una parte, la più
grande, veniva attaccata di continuo, per motivi oscuri a tutti. Dove
la morte era un dato di fatto. Dove ti giri intorno e noti che la
gente diminuisce. Quante probabilità ci sono di sopravvivere. Quante
probabilità ci sono di rincontrare chi dai per disperso.
Probabilità...
Le
probabilità sono contro chiunque. Ma la speranza le alimenta. Contro
ogni prognostico.
Pensai
che stavo solo immaginando di sentire l'aria che sfilava sulle mie
orecchie, sovrapposta a un ronzio fastidioso, ma la faccia sfocata di
Ryoga e l'inclinazione innaturale del pavimento mi fece ricredere.
Sentivo anche la voce di quest'ultimo spaventata e ovattata. Debole,
mi risuonò nelle orecchie, come un suono distorto. Digrignai i denti
e mi rialzai con un ringhio, dando uno schiaffo alla mano del ragazzo
tesa in mio aiuto.
Possibile
che tu sappia solo scappare, eh sorellina?
Sei
tu, stupido, che non sei capace di lasciarti niente alle spalle.
Sei
solo una sciocca quindicenne con i soliti complessi delle ragazzine.
Anche
tu hai quindici anni, idiota. Siamo gemelli!
Pensa
alle tue responsabilità.
Non
ce ne sono. Sei un debole. Hai paura.
Sentivo
che la mia testa stava per scoppiare. Mi misi le mani tra i capelli e
cercai di riordinare il turbinio che cercava di farmi impazzire.
Inspirai.
Espirai.
Vidi
i volti confusi di Ryoga e Shinnosuke puntati su di me. Debole, mi
risuonò nuovamente in testa, stavolta con la voce di mia sorella.
Feci scattare i denti e abbassai le mani tese a pugno lungo i
fianchi.
«Ti
senti bene? Allora? Ti chiami Ranma, vero?» Mi chiese lentamente
Ryoga, come stesse parlando a un inetto. Gli scoccai un'occhiata
furente e parlai.
«Si,
ma tu come conosci... mia sorella? È incredibile.»
Avevo
usato un tono deciso e senza inflessioni, per convincerlo della mia
sanità mentale. Mi squadrò con un ultima occhiata perplessa e
infine rispose: «Credo proprio di si. Accidenti però, siete
completamente identici. Poi sei la copia perfetta della sua versione
maschile. Non mi sorprende l'accoglienza che hai ricevuto quando sei
entrato al villaggio.»
Aggrottai
le sopracciglia confuso ancora più di prima. Non avevano senso le
sue parole. Che significava “La copia perfetta della sua versione
maschile”? Stavo per chiedergli spiegazioni, ma Shinnosuke mi
anticipò.
«Che
intendi dire?» Lo guardai di sottecchi, ma rivolsi subito
l'attenzione a Ryoga.
«Oh,
giusto. Voi non potete sapere niente di questa faccenda... Ma è un
po' complicato da spiegare e non credo che mi credereste... Lo
vedrete domani... Perché verrete all'incontro con Ranko, vero?»
Disse con occhi accesi di entusiasmo improvviso.
Quasi
indietreggiai di fronte a quelle parole. Inspirai forte dal naso.
Pensavo che la ricerca di Ranko avrebbe preso maggior tempo, invece
ecco che mi ritrovo a incontrarla domani. Possibile che fosse stata
solo una coincidenza? Non avevo la minima idea di quanto ero lontano
dal mio villaggio distrutto. Per un attimo il ricordo di quest'ultimo
mi fece sentire l'odore del sangue e dei capelli bruciati, che mi
tormentava ogni notte. Cavolo! Come avrei detto tutto ciò che era
successo a mia sorella, senza scoppiare a piangere come un bambino o
senza tremare come una foglia? Ancora una volta il volto di Ranko mi
inondò gli occhi. Dello stesso colore intenso dei suoi. Ce l'avrei
fatta a specchiarmici, dopo quattro anni di rancore, raccontandogli
di come erano bruciate le nostre radici?
Hai
paura, Ranma?
…
«Ranko,
sei sicura dell'affidabilità di questo tizio?» Mi chiese ancora una
volta Akane, mangiucchiandosi quel poco che era rimasto delle sue
unghie. Guardava nervosa fuori dal nostro nascondiglio, se arrivava
Ryoga. L'avevo trovata proprio ieri incappucciata e a piedi scalzi,
per le vie del villaggio dove ero andata a rubare le provviste per il
prossimo spostamento con il mio amico. Ci eravamo trovate d'accordo
in un batter d'occhio. Non amava molto la compagnia, per cause che
non mi aveva voluto raccontare. Ma il suo carattere mi piaceva,
sarebbe stato bello se fosse rimasta con noi.
Sovrapposi
il labbro inferiore a quello superiore e sbuffai spostandomi un
ciuffo della frangia dagli occhi.
«Chiediti
più che altro quante volte me lo hai chiesto nelle ultime
ventiquattr'ore. Ti ho già detto si, accidenti. Smettila di guardare
là fuori, ti farai scoprire. Stiamo aspettando un segnale di tipo
acustico.» Sinceramente anch'io cominciavo ad innervosirmi, ma in
compenso lei rimase in silenzio il resto del tempo che rimanemmo ad
aspettare. Cercai di tenere i secondi a mente giusto per tenerla
occupata.
Uno.
Due...
Cento.
Centouno...
Novecentonovantotto.
Novecentonovantanove.
Mille.
Ok,
era diventato noioso e mi stava innervosendo ulteriormente. Battei
per un po' col piede sul suolo dissestato e roccioso della grotta. Un
fruscio. Incrociai come un fulmine gli occhi lampeggianti di Akane.
Annuii. Ci acquattammo, aspettando qualsiasi altro rumore. Ti
prego fa che sia Ryoga. Mi continuavo a ripetere a mente,
disperata.
«Giuro
che dovrebbe essere da queste parti... Avrei dovuto fare da là...
oppure da quella parte... vabbè, insomma si aspetta un segnale.»
Disse la voce familiare di Ryoga. Lasciai andare tutti i muscoli del
corpo come elastici, fece quasi male. Rassicurai Akane toccandole la
spalla e ammiccando. La vidi rilassare il suo corpo come me,
lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.
Comunque
non del tutto sicura mi alzai con cautela, guardai fuori e vidi Ryoga
di spalle che si grattava il capo, non riuscendo a ricordare dove ci
saremmo dovuti incontrare. Mi sarei messa anche a ridere se non fosse
stato accompagnato da altri due ragazzi. Uno dei quali molto
familiare. Troppo familiare. Quasi straziante. Il cuore mi manco un
battito quando arrivò a una consapevolezza che la mia mente non
voleva far entrare. Per un attimo pensai a uno specchio, ma non ero
trasformata nella mia forma maschile.
Feci
un passo malfermo. Poi un altro, uscendo così dalla grotta. Sentii
la mano di Akane poggiarsi sulla mia spalla e poi stringere fino a
farmi male.
«Shinnosuke
è vivo.» Disse con un soffio. Ma a me entrò da un orecchio e uscì
dall'altro. Mossi un altro passo incerto e spezzai un ramo sotto il suo
peso. Ranma si girò di scattò, leggermente prima degli altri.
Quando i suoi occhi blu notte lampeggiarono nei miei, sentii un
sorriso involontario distendersi sul mio volto. Senza neanche che
avessi comandato il movimento al mio corpo cominciai a correre,
buttandomi addosso a lui e abbracciandolo. Quando sentii il tessuto
della sua maglietta bagnato mi resi conto di essermi messa a
piangere. Risi come una scema e alzai lo sguardo su di lui senza
smettere di abbracciarlo. Aveva gli occhi sgranati e ancora non aveva
ricambiato l'abbraccio. Fece per dire qualcosa, ma richiuse subito la
bocca. Con un sorriso amaro ricambiò lentamente l'abbraccio e in
quel momento lessi qualcosa nei suoi occhi che era fuori posto. Mi
sarei aspettata gioia, stupore, ma anche tradimento. Non potevo
biasimarlo dopo averlo abbandonato. Ma non aveva nulla di ciò e
nient'altro. Solo una grande tristezza. Sembrava sul punto di
piangere. Sembrava sul punto di urlare. Ma non lo faceva. C'era
qualcosa di storto in tutto ciò e lo guardai aggrottando le
sopracciglia. Ricambiò l'espressione, ma c'era sempre quella cosa.
Proprio lì in sul fondo dei suoi occhi. Avrei voluto chiederti
spiegazioni, ma non lo feci. Avevo paura di perderlo di nuovo.
Sorrisi.
RINGRAZIO
TUTTI QUELLI CHE LEGGONO LA STORIA E LoveAnimeManga89 PER LA
RECENSIONE... EVIDENTEMENTE NON PIACE MOLTO QUESTA STORIA : MA IO
VOGLIO CONTINUARLA E DEVO DIRE CHE QUEST'ULTIMO CAPITOLO MI è
PIACIUTO Più DEGLI ALTRI. MA ADESSO VADO DI FRETTA.
CIAOO
SAKURA.
|
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Capitolo 5 *** Pensieri che corrono ***
Cap.5
Passò
un secondo. Non cambiò nulla. I 5 ragazzi erano ancora tutti lì.
Due si abbracciavano. Due si fissavano. A uno, con una strana fascia
tra i capelli, si accesero gli occhi quando vide la ragazza con i
capelli neri. Nessuno aveva pensieri omogenei in quel momento. Tutti
con la mente correvano in direzioni diverse. Ma tutti avevano occhi
da guardare. Ognuno era ipnotizzato con lo sguardo di qualcun altro.
Le loro occhiate dicevano niente e tutto.
Di
lì a poco si sarebbero scambiati anche loro lo sguardo. Due persone.
Avrebbero fatto le proprie considerazioni, l'uno
dell'altra. Si sarebbero
scambiati il nome e avrebbero sentito qualcosa cambiare. Non gli
avrebbero dato importanza, ma quella sarebbe stata là e sarebbe
cresciuta. Di cosa e chi parlo? Decidetelo voi. A loro però questa
cosa avrebbe portato non pochi grattacapi...
“Made
a wrong turn once or twice
Dug
my way out blood and fire
Bad
decision
That's
alright
Welcome
to my silly life.”
[P!nk]
Riuscii
a emettere un fiato. «Sei sempre la solita lunatica.»
Ranko
era riuscita a cambiare espressione 5 volte in un secondo, era buffa.
Quando nascose nuovamente il viso sul mio petto le arruffai i capelli
con una mano. In quel momento aveva la solita treccia e notai che
erano più corti rispetto l'ultima volta che ci eravamo visti. Non
erano molto diversi comunque e proprio per questo mi sorpresi di
essermene accorto. A parte questo notai che era cambiata molto e me
ne corrucciai. Ormai eravamo entrambi diciannovenni e avrei dovuto
dar per scontato il fatto che assomigliasse più a una donna che a
una ragazzina. Ma mi dispiacque molto più del dovuto essermi perso
quegli anni. Quindi eccomi lì a esaminare ogni piccolo cambiamento
che mi ero perso, come gli spigoli non più rotondi del viso o la sua
statura. Mi chiesi se anche lei mi vedeva cambiato...
Un
rumore gorgogliante interruppe improvvisamente il silenzio che
avvolgeva tutti quanti. Arrossii quando alzarono lo sguardo su di me.
Accidenti! Era normale se avevo fame. Ieri ce l'eravamo cavata con un
misero panino (a quanto pareva anche Ryoga sembrava a corto di
risorse e i pochi fondi rimasti di Shinnosuke avevamo deciso di
spenderli in un momento più importante). Una giornata con un
panino! Mi continuavo a ripetere dentro. Poi ora grazie al
gorgoglio dello stomaco, facevo caso all'enorme buco che sentivo al
suo posto.
Trascorsero
altri secondi di silenzio, perché nessuno sapeva che dire davanti a
una cosa tanto ridicola in un momento così teso. Ma poi una risata
cristallina proruppe nell'aria. Echeggiava nel vento con le sue
scosse. Sulle prime non lo ritenni possibile, pensai di essermelo
immaginato.
Mi
girai verso quel suono impossibile e fu così che incrociai i suoi
occhi per la prima volta. Era una ragazza. Aveva gli occhi color nocciola,
un colore comune pensai.
Ma
in seguito imparai che niente in lei era comune.
I
suoi capelli erano di un nero molto singolare e indescrivibile. Le
cadevano fino a metà schiena e ne accarezzavano dolcemente la curva.
In quel momento si muovevano a causa della sua scossa d'ilarità e il
loro movimento ondeggiante quasi m'ipnotizzò. Aveva i tratti del
viso molto dolci, quasi infantili. Eppure trasudava maturità da ogni
singolo punto da cui la si guardava. I suoi modi... erano diversi dal
solito. Un po' goffi, ma decisi e non casuali.
Dopo
lo stupore iniziale mi sentii infastidito. Quella ragazzina stava
ridendo di me. Che maleducata!
La
inchiodai con uno sguardo che sperai essere truce. «Trovi molto
divertente il fatto che io non riesca a mettere nulla di decente
sotto i denti, da quasi una settimana?»
Smise
lentamente di ridere e si asciugò teatralmente una lacrima
all'angolo dell'occhio. Mi continuò a guardare con aria indifferente
e io sbuffai dal naso. Ranko si staccò da me e inizio a ridere anche
lei. La guardai tradito e poi sentii ridere anche Ryoga. Infine
Shinnosuke chiuse il cerchio ridacchiando.
«Fantastico.»
Borbottai a denti stretti. Io non trovavo assolutamente nulla di
divertente in tutto ciò. Tra l'altro... Dubitavo di ricordare come
si rideva.
Inchiodai
nuovamente la ragazza di prima con lo sguardo. Aveva le braccia
incrociate sul petto, un sopracciglio alzato e fissava un punto
indefinito alla sua destra, mentre mi lanciava occhiate di sottecchi.
Riuscii a scorgere qualcosa che non riconobbi nei suoi occhi.
L'istinto mi fece rabbrividire.
Ranko
attirò la mia attenzione tirandomi piano la treccia, come faceva da
bambina.
«Dai
non te la prendere. Qui non siamo tutti musoni come te.» Per un
attimo si morse il labbro inferiore, come pentita di ciò che aveva
detto, ma si ricompose subito sorridendomi.
«Sei
un mostro.» Le dissi con falsa cattiveria.
Sempre
sorridendo saltellò sul posto dicendo: «Bene, dopo quest'ultimo
scambio direi col passare alle presentazioni.»
Mi
ero dimenticato di come fosse allegra in qualunque momento e di come
questo riusciva a tenermi su col morale. Mi diede una pacca sulla
spalla. «Questo ragazzo irritante si chiama Ranma. Il mio fratello
gemello.»
Vidi
la luce strana negli occhi della ragazza sconosciuta diventare più
evidente, ma si limitò ad annuire a Ranko e a non far trapelare più
nulla dalla sua espressione.
Mia
sorella passò a Shinnosuke accanto a me. «Lui invece è... »
Mi
guardò in cerca di aiuto , ma quando aprii la bocca per suggerirle
il nome intervenne l'altra ragazza.
«Shinnosuke.»
Poi vedendo la faccia di mia sorella aggiunse: «È una storia
lunga.»
Lanciai
un'occhiata eloquente a quest'ultimo, che mi rispose alzando le
spalle con uno sguardo eccessivamente indifferente.
Passò
a Ryoga, appendendoglisi con le braccia al collo. Lui rispose
facendole il solletico sulla pancia. «Lui è Ryoga, il ragazzo che
ti dicevo, nonché il mio migliore amico.»
COSA?!
Non mi piaceva la confidenza che si prendevano quei due. Lanciai a
mia sorella un'occhiata di rimprovero, dimostrandole il mio
disappunto. Lei mi rispose facendomi la linguaccia.
Passò
infine alla ragazza. «E lei è Akane, ci siamo incontrate oggi.»
“Cause
I was born to destroy you,
And
I am growing by the hour.
I'm
getting strong in every way.”
[Muse]
«Si...
Uh-uhm...» E poi ancora. «Ah...Wow...Davvero?»
Sbirciai
cauta dove Ranma stava intavolando una, alle apparenze, seria
conversazione con Ranko. Tornai, più per educazione che per serio
interesse, a Shinnosuke che mi stava raccontando cos'era successo
negli ultimi non-so-quanti anni nel suo villaggio. Eravamo l'uno di
fronte all'altra, a gambe incrociate per terra. Ryoga era andato, a
detta sua, a fare un giro di ricognizione. Tradotto in parole povere
era andato opportunamente a farsi i fatti suoi. Perché Ranma aveva
tirato Ranko da una parte per parlare di “cose importanti”
(citazione sua) e quindi Shinnosuke si era sentito in dovere di fare
altrettanto con me. Solo che io non volevo dirgli ciò che avevo
fatto da quando ero ripartita. Ne tanto meno potevo. Così l'avevo
distratto chiedendogli del paesino.
Distrattamente
cominciai a osservare la mia mano che sfilacciava il prato.
Non
mi andava di stare con tutte quelle persone, dovevo prima portare a
termine la missione. Potevano essere un ostacolo. Frustrata, strinsi
forte un ciuffo d'erba e lo strappai. Quando vivrò finalmente la
mia vita? Rievocai involontariamente il momento in cui gli uomini
del re portavano via mio padre da casa. Sentii le lacrime
raccogliersi nei miei occhi e, prima che fossero abbastanza da
uscire, battei nervosamente le palpebre per spazzarle via.
«...capito,
Akane?» Mi spiazzò Shinnosuke, all'improvviso. Scuotendomi una
spalla.
Trattenni
a malapena l'istinto di ritrarmi. Dannazione. «S-si. Continua pure.»
Come
ormai d'abitudine mi tastai la gamba, con discrezione, in cerca del
coltello nascosto. Quando lo sentii mi rilassai e ricominciai a
giocherellare col prato.
Finalmente
ci rialzammo da dove eravamo seduti a parlare e mi sgranchii le gambe
indolenzite. Senza preavviso Shinnosuke mi abbracciò, sulle prime mi
sentii interdetta, ma poi lo abbracciai. Pensai alle parole che mi
aveva detto prima che me ne andassi: “Scusa se non te l'ho detto
prima, ma... Ti amo, Akane. Spero proprio di rivederti.”
Mi
venne da ridere per un attimo. Mi aveva detto già tre volte che mi
amava, con tutta probabilità neanche ora se lo ricordava.
Si
staccò per guardarmi negli occhi. Era proprio un bel ragazzo, dovevo
ammetterlo, ma la situazione era sbagliata. Io ero sbagliata. Dovevo
spicciare quel nodo che mi impediva di andare avanti, prima di
pensare a cose del genere.
Forzò
un sorriso. «Sono proprio contento di averti trovata.»
Ne
forzai uno anch'io. «È così anche per me.»
Rimase
un altro po' a fissarmi, poi si girò e si mise seduto vicino a
Ryoga, che intanto era tornato, e al fuoco, dove ci eravamo accampati
per la notte.
Congiunsi
le mani dietro la schiena e cominciai a passeggiare, ammirando la
luce soffusa del crepuscolo. L'aria era un po' umida, ma comunque
abbastanza calda per fine settembre. Sospirai, quando un alito di
vento mi mosse i capelli di fronte al viso. Li scostai dietro
l'orecchio.
Mi
girai lentamente verso dove prima i gemelli discutevano. Mi sorpresi
di trovarli abbracciati. Ranko nascondeva il viso con le mani e Ranma
la avvolgeva con le braccia. Vedevo chiaramente i singhiozzi che le
scuotevano forte l'addome. Lui le accarezzava la schiena e le
sussurrava parole incomprensibili da dove stavo io.
A un
tratto lei scosse la testa allontanandolo, per poi alzarsi e
camminare a passo svelto verso il fuoco da campo. Quando Ryoga provò
a parlarle lei lo mise a tacere con un gesto della mano, passò oltre
l'accampamento e cominciò a correre. Il ragazzo provò a parlare con
l'altro fratello, ma quest'ultimo si era sdraiato a terra con le mani
dietro la testa e invece di rispondere si voltò dall'altra parte.
Vai.
Questa è la tua occasione per cominciare a lavorare sull'obiettivo.
Con passo indeciso mi avvicinai a Ranma, stava ancora sdraiato su un
lato e io mi misi seduta sul lato dove mi dava la schiena. Lo sentii
sospirare pensante e io cominciai a pensare cosa potevo dirgli.
Qualunque cosa fosse successa doveva essere grave, a giudicare dalla
reazione della sorella, di conseguenza non avrebbe voluto
raccontarmelo. Intanto, vedendo che non ero intenzionata a parlare,
lui si rimise supino. Anche lui era un bel ragazzo, ma di una
bellezza diversa da quella di Shinnosuke. Oltre gli invidiabili occhi
blu notte, il deciso taglio della mascella, gli zigomi sporgenti e i
lunghi capelli neri raccolti in una treccia come la sorella,
trasmetteva un qualcosa che sarei mai stata capace di spiegare.
Incrociai
le gambe, poggiai le mani dietro di me e mirai il cielo che
cominciava a punteggiarsi del bianco brillio delle stelle e della
luna. «Ogni tanto io osservo il cielo solo per aspettare un
miracolo. Una stella cometa, una stella cadente... Cose così.» Una
risata amara mi spezzo la frase. «Ma non è mai accaduto nulla. I
miracoli me li sono sempre creati da sola.»
Non
rispose subito e mi irritò. Insomma, io cercavo “solo” di fare
conversazione.
«Cosa
vuoi che ti risponda? “Oh, povera ragazza”? Tsk...» Si mise
seduto e mi guardò negli occhi. Trasalii vedendo il tormento e la
rabbia che contenevano. Sembravano poter dar fuoco ogni cosa che
guardavano, nonostante il colore freddo dell'iride.
«Akane,
dubito che tu abbia passato la metà delle cose che ho passato io. È
inutile cercare di confortarmi dicendomi: “Non ti lamentare che c'è
chi sta peggio di te”. Ammettendo che esista questo qualcuno, non
mi consolerebbe affatto sapere che se la passa peggio di me...»
Detto questo continuò a fissarmi col suo sguardo incandescente. La
cosa che mi diede più fastidio non fu tanto il tono che aveva usato,
quanto la logica di quelle parole. Erano di certo giuste, ma non di
uso comune. Non potevo ingraziarmi un tipo del genere, sarebbe stato
più facile conquistare la fiducia della sorella. Lui avrebbe potuto
addirittura smascherarmi.
In
ogni caso mi sentivo piccata, dovevo ribattere. «Hai finito? Scusa,
se ti ho rivolto la parola!» Dissi arrabbiata. Quando lo vidi
sbuffare, mi infuriai ancora di più. Balzai in piedi e mi misi le
mani sui fianchi. «Sei solo uno stupido ragazzino arrogante!»
Si
alzò anche lui, a torreggiarmi. «Io, ragazzino? Ho diciannove anni. Sentiamo quanti
anni hai?»
Alzai
gli occhi al cielo. «Sarebbe questo il tuo comportamento maturo? Ne
ho diciassette, ma questo dimostra solo quanto tu sia piccolo di
cervello!»
Accelerò
il respiro sempre più arrabbiato, come me. «Come ti permetti di
prenderti certe confidenze?! Non ci conosciamo neanche da un giorno!»
«Sei
tu quello che si prende troppe confidenze! Non sarai un maniaco?!»
Ribattei con una punta di divertimento.
Stavolta
divenne rosso come un pomodoro. «Ma quale maniaco? Non ti ho fatto
nulla... Poi con quei fianchi larghi, sta tranquilla che i maniaci ti
stanno alla larga!»
Rimasi
a bocca aperta di fronte alle sue parole offensive. Pensava davvero
questo di me?
Feci
un grugnito e poi dissi: «Rispondi così a tutti quelli che cercano
di parlare gentilmente con te?! Brutto idiota!»
Gli
diedi uno schiaffo a pieno palmo sul viso, con tutta la forza che
avevo per staccargli la faccia. Rimase per un po' con la bocca aperta
e la testa voltata di lato, per la manata che gli aveva anche
lasciato l'impronta. Poi quando si voltò, stupito verso di me gli
diedi le spalle e me ne andai impettita con le braccia tese lungo i
fianchi e i pugni chiusi. La mano con cui lo avevo schiaffeggiato
bruciava un po'.
“Cause
I was born to destroy you...”
Allora,
com'è andata stavolta? Sinceramente penso che questo capitolo sia
quello che mi è venuto meglio, mi sono anche divertita a scriverlo!
Ringrazio
apochan kenshiro, LoveAnimeManga89 e caia per le recensioni al
capitolo precedente. A presto col chap. numero 6
Baci
Sakura.
|
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Capitolo 6 *** Scoperte ***
Cap. 6
Coloro
che sono facce della stessa medaglia
Il
potere di Jusen possono risvegliare,
Delle
lacrime del dittatore che sbaglia
Il
loro corpo si dovrà bagnare.
Così
la lacrima rossa diversa sarà,
e
quando sulla roccia si poserà
il
mistero si svelerà...
-
Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -
“Remember
when we were such fools
And so convinced and just too cool
Oh
no
No no
I wish I could touch you again
I wish I could still
call you friend
I'd give anything.”
[P!nk]
Ancora
correvo. Scappavo dal dolore che mi attanagliava il petto. Ma lui non
accennava a lasciarmi.
Non
c'è più nessuno. Le parole di
mio fratello non avevano più smesso di risonarmi nella testa. Il suo
viso segnato da una pena profonda continuava ad apparirmi davanti,
ogni volta che chiudevo gli occhi.
Era
difficile mantenere il ritmo del respiro correndo con i singhiozzi
che me lo spezzavano a metà. Rallentai la corsa e piano piano mi
fermai. Mentre mi giravo a vedere a che distanza stavo dagli altri,
con entrambe le maniche della felpa mi asciugai le lacrime e tirai su
col naso. Vedevo ancora il fuoco brillare e distinguevo le figure
delle persone, ma senza riconoscerle.
Sospirai
forte e mi misi seduta sotto uno dei pini del circondario, mi strinsi
le ginocchia al petto e poggiai ad occhi chiusi la testa sul tronco
dell'albero.
Ringraziai
tutto il buon senso del mondo, quando realizzai che neanche Ryoga
aveva tentato di seguirmi.
Sentii
il mio labbro inferiore tremare leggermente, mi strappò un
singhiozzo e sentii altre lacrime scorrermi sulle guance. Cercai
subito di calmare il respiro inspirando ed espirando.
Mi
strofinai di nuovo il viso con la manica troppo lunga della felpa.
Provai
a ripensare alle parole di mio fratello, con delicatezza, come una
mano che si allunga verso qualcosa di sconosciuto, sempre pronta a
ritrarsi in caso di dolore.
Avevano
massacrato un intero villaggio. Bruciato ogni singolo segno di vita,
neanche Ranma si era riuscito spiegare l'enormità di quell'incendio.
Non avevano risparmiato, nessuno. Non un uomo, non una donna, non un
bambino.
Mi
sentivo male anche per il dolore che sicuramente aveva affrontato, da
solo. Perché io non c'ero. Strinsi i denti. Li avevo abbandonati.
Ricordai
la rabbia bruciante negli occhi di Ranma, raccontando della sua fuga.
Per un po' provai anch'io qualcosa di simile al rancore verso di lui
per essersi salvato. Perché la mamma? Perché papà? Perché Ukyo e
gli altri ragazzi del villaggio? Perché loro sì e lui no?
Mi
chiesi se erano le stesse domande che si poneva quando ci pensava.
Ma
in fondo non potevo averla a male con lui. Almeno era vivo. Da quello
che aveva raccontato rimanere lì avrebbe significato solo morire
dietro agli altri e poi...
È
impossibile quello che mi sta raccontando non può essere accaduto.
Mi sento la testa vuota.
Mi
guarda negli occhi, aspettando un mio cenno ad andare avanti,
deglutisco e annuisco. «Beh, poi sono corso a casa. Almeno la metà
delle abitazioni avevano già preso fuoco.» Deglutisce anche lui,
con lo sguardo perso nel vuoto e la mente persa in qualche orribile
ricordo.
«Quando
sono arrivato, l'ho trovata ancora incolume casa nostra, ma ai piedi
della porta d'ingresso c'era Ukyo riversa per terra. Ho chiamato il
suo nome, ma niente. Quando sono arrivato là, l'ho girata a pancia
in su, ma... il sang...» Rabbrividisce e incrocia per un istante il
mio sguardo, ma lo rivolge di nuovo alle mie spalle. Rabbrividisco
anche io per quello che ho visto nei suoi occhi.
«Con
lei ancora tra le braccia mi sono fiondato in casa e ho trovato la
mamma sopra a papà. Per un attimo mi si è ghiacciato il sangue
nelle vene, ma poi ho visto che nostra madre sussultava. Non ho mai
provato un sollievo così grande nello scoprire una persona
piangere... ma non è durato a lungo. Ho poggiato Ukyo sul divano in
salone e sono andato da loro. Papà aveva... » Affonda la faccia tra
le mani. Non voglio più sentire il suo racconto dell'orrore. Ma non
riesco a muovere un muscolo.
«Ho
cercato di scuoterla, Ranko. Ma lei non voleva lasciare nostro
padre.» Il fatto che frammenti così il suo racconto mi confonde
ancora di più. Ma non oso chiedergli i particolari che mi sta
salvando.
«Neanch'io
lo volevo, ma doveva salvarsi almeno lei. Questo è quello che le
ripetevo, ma lei continuava a piangere e a non fare nulla.» Rialza
la testa, stavolta senza guardarmi e si volta a destra, poggiando il
mento sulla mano.
«Questa
è stata l'esitazione che ci è costata più di tutte. Sono entrati
quegli strani uomini in casa. Hanno cominciato a urlare “Eccolo!!”.
Mi hanno tirato via dai nostri genitori, prendendomi per la treccia e
ho perso...» Un'altra frase spezzata. Si tocca inconsciamente i
capelli.
«In
quel momento succede l'impossibile. Mamma con uno scatto repentino si
alza e infila una penna nel braccio di quello che mi aveva
agguantato, riuscendo a liberarmi. Ero ancora incredulo, con l'uomo
dietro di me piegato sul proprio braccio dal dolore. Mamma urla:
“Scappa...”. Ma non finisce la frase che un altro uomo le spara.
Mi fissava ancora con occhi imploranti quando...» Incrocia i miei
occhi e si blocca. Qualcosa nel mio sguardo deve avergli ricordato di
non lasciarsi trasportare dal racconto...
Altre
lacrime solcarono le mie guance.
“Something
about you now
That I can't quite
figure out
Everything she does is
beautiful
Everything she does is
right.”
[Lifehouse]
Presi
il bastone che avevo di fianco e lo usai per muovere i carboni
rimasti ardenti del fuoco. Avevamo mangiato poche provviste, ma per
come stava il mio stomaco potevo dirmi soddisfatto. Ranko non aveva
mangiato, ne scorgevo la figura minuta accanto a un albero non troppo
lontano. Probabilmente avrebbe avuto lo stomaco chiuso per un po'.
Sbuffai.
Raccontargli quelle cose era stato, probabilmente, la cosa più
difficile, dopo l'averle vissute, che avevo fatto in vita mia.
Sbirciai
verso l'arrogante figura di Akane dall'altra parte del cerchio che
avevamo creato. Lo ammetto in quel momento non manifestava arroganza,
ma dopo la discussione di prima non riuscivo a non guardarla con lo
sguardo imbronciato. Si accorse della mia occhiata e rispose con un
espressione altrettanto corrucciata. Passammo alcuni secondi a
fissarci con occhi rabbiosi, ma poi venne distratta da Shinnosuke che
chiedeva spiegazioni sul perché ci trovassimo lì, liberandomi da
quel magnetismo che solo lei mi provocava e che mi spaventava.
Ricominciai
a mantecare i carboni col bastone di prima, osservando le piccole
scintille arancioni che scoppiettavano fuori dal focolare.
Fu
più forte di me, tornai con lo sguardo ad Akane. Ora stava
sorridendo, qualcosa si agitò dentro di me chiudendomi lo stomaco.
Il suo magnetismo mi aveva nuovamente catturato lo sguardo, come
anche i miei pensieri. Scossi con forza la testa, cercando di
liberarmi di quelli che sembravano fili che mi tenevano attaccato a
lei.
Mi
alzai e m'incamminai verso dove stava Ranko da più di tre ore. Non
sapevo che fare. Di certo non aveva le stesse immagini che
tormentavano me, ma viveva il mio stesso lutto... Ma in fondo lei non
aveva il mio stesso carattere, era più ottimista e pensai che gli
anni lontana da casa l'avessero aiutata.
Continuai
a camminare verso di lei, fino a non sentire più il basso
chiacchiericcio degli altri tre. Mi fermai quando fui davanti a lei e
mi dondolai sui talloni non sapendo bene cosa fare. Aveva gli occhi
chiusi ed era poggiata ad un albero, le guance rosse e le occhiaie
rivelavano le lacrime che dovevano esserci state. Aprì gli occhi a
poco più di una fessura, rivelando rossi anche quelli.
Cercai
di fare un sorriso e lei sbuffò una risata per la smorfia che doveva
essermi uscita.
«Perché?»
Mi chiese con voce gracchiante. Non seppi se si riferiva al perché
fosse successo quel che era accaduto o al perché io fossi lì.
Le
allungai la mano, senza rispondere nulla. La guardò un attimo e dopo
un lungo sospiro la afferrò.
La
alzai abbracciandola e la sentii scoppiare di nuovo in lacrime.
Odiavo
quando le persone piangevano e non solo perché mi faceva sentire
triste. Non sapevo che dire in questi momenti. Le diedi qualche pacca
impacciata sulla spalla, poco prima di rendermi conto di quanto fosse
fuori luogo in un momento simile.
La
sentii ridere istericamente contro la mia pancia. Si staccò, tirò
su col naso e si strofinò le maniche della felpa sulle guance, per
asciugarsi le lacrime. A giudicare di come erano bagnate non era la
prima volta che lo faceva.
Fece
per aggiustarmi distrattamente il colletto della casacca. «Mi
prometti che rimarremo sempre insieme?»
Arrossii
un poco per l'intimità della situazione e mi si spezzò il cuore al
sentire quelle parole intrise di tristezza. «Sì.»
Poco
dopo eravamo tornati insieme all'accampamento. Lei fu accolta da un
apprensivo Ryoga, il quale si beccò un'altra mia occhiataccia.
Mi
rimisi seduto al posto di prima e non potei fare a meno di notare che
Akane non c'era. Bloccai la mia bocca, prima che potesse commettere
il passo falso di chiedere dov'era. Cosa poteva importarmi di una
come quella?
«Ranma,
volevo mostrarti una cosa prima che tu mi raccontassi... quelle cose.
Ora, non andare nel pallone, lo so è strano, ma... è normale
ormai.» Mi disse mia sorella, con uno sguardo stranamente cauto.
Aveva in mano una borraccia e intanto Ryoga era andato a scaldare una
piccola teiera d'acqua.
La
guardai perplesso mentre lei si versava lentamente il contenuto del
recipiente sulla testa. Non staccava lo sguardo dal mio, pensai che
stesse scherzando e che all'ultimo minuto avrebbe scostato la
borraccia dai capelli e che, per esempio, avrebbe bevuto. Ma invece
vidi l'acqua colarle tra i capelli che in un attimo avevano cambiato
colore. Erano diventati corvini ed erano più in alto. Mi resi conto
che non erano i capelli ad essere ad un altra altezza, ma era Ranko
ad essere diventata più alta. I suoi fianchi si erano stretti, non
aveva più il seno e aveva le spalle larghe. Mi alzai di scatto
quando mi resi conto di non avere davanti a me uno specchio, ma
un'esatta copia di me stesso.
Allora
com'è andato questo capitolo?
Ringrazio
ancora caia e loveAnimeManga89 per i commenti. Alla
prossima.
Baci.
Sakura.
|
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Capitolo 7 *** The Only Exception ***
Cap. 7
Colei
dai capelli fiammeggianti
anche
l'animo avrà altrettanto lucente
un'inconsapevole
immersione basterà
a
non essere riconosciuta in città.
-
Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -
“When
I was younger
I
saw my daddy cry
And
cursed at the wind
He
broke his own heart
And
i watched
As
he tried to re-assemble it...”
Tu.
Tu.
Tu.
Il
telefono continuava con il suo fastidioso suono nasale. Mordicchiai
le pellicine del pollice in preda al nervosismo. Rispondi, cavolo!
Il
mio nascondiglio era stupido e palese, dovevo sbrigarmi. Ero dietro
grande masso a un centinaio di metri dall'accampamento e, da quel che
sentivo, il chiacchiericcio tranquillo di fine serata era appena
diventato una discussione.
Non
sapevo bene il perché, ma ero andata a fare la chiamata proprio
quando Ranma si era allontanato un momento. Mi inquietava quel suo
sguardo strano e indagatore, quasi potesse leggermi dentro e scoprire
il vero motivo per cui ero lì con loro. E adesso che sicuramente era
tornato al campo -tra le voci diventate più alte e litigiose, mi
pareva di scorgere la sua- sentivo il mio respiro accelerare per
l'ansia e una strana sensazione all'altezza del diaframma.
Un
fruscio proveniente dall'altoparlante del cellulare mi fa provare un
misto di inesorabile paura e di sollievo.
«Pronto?»
Riconobbi la voce calda di Kuno Tatewaki e ringraziai il cielo che
fosse stato lui e non il padre a rispondere.
«Sono
Akane Tendo. Ho chiamato per aggiornare.»
Sentii
un sospiro dall'altra parte. «Ok, racconta.»
Gli
raccontai tutto quello che era successo da quando avevo lasciato la
città. Di quando avevo trovato Ranko e poi dell'incontro con Ranma.
«Chiedo
istruzioni su come operare da ora.» Finii veloce.
«Oh,
dolce Akane Tendo, le tue novità non possono che allietarmi. Ma
smettila di congelare così il mio cuore con le tue parole
distaccate, prendi confidenza con me. Cambia la tua folle
decisio-...»
Lo
interruppi. «Smettila Kuno. Sai già qual'è la mia posizione
riguardo quello. Ma ti prego, dimmi che devo fare ora?
Sbrigati ho paura che mi scoprano.» Cercai di affrettare la
conversazione addolcendo il tono. Non era proprio il momento delle
sue stupide moine.
Sospirò
di nuovo. «Ah, le tue dolci suppliche piegano la mia volontà.
Allora così sia, ti dirò cosa fare... Domani, portali... quanto
distate dal villaggio di Riuzu?»
Calcolai
a mente la distanza. «Mezza giornata a piedi.»
«Ok,
allora domani sera li preleveremo. Buonanotte, mio delicato fiore
loto.»
Repressi
un moto di stizza e attaccai senza rispondere.
Ripensai
al villaggio dove avrei dovuto portarli, era praticamente al confine
con la civiltà. Sarebbe stato difficile convincerli ad
avvicinarvisi.
Mi
appiattii contro la parete di roccia e sbirciai verso gli altri.
Strabuzzai gli occhi quando vidi due Ranma. Uno di fronte
all'altro che discutevano. Deglutii e ricordai che era normale, prima
di mandarmi in missione mi avevano raccontato di una possibilità del
genere.
Uscii
con finta naturalezza dal mio nascondiglio e quando giunsi a una
distanza ragionevole dal campo finsi un'espressione di immenso
stupore.
Gli
sguardi degli altri mi fecero capire di aver esagerato, ma non mi
scomposi. «Ran-ma...? Chi...?»
Mi
sentivo peggio di una traditrice fingendo in quella maniera. In fondo
mi avevano obbligata a fare tutto quello, io non stavo tradendo
nessuno. Io...
Uno
dei due Ranma, all'apparenza il più calmo, m'interruppe. «Ah,
Akane... Io sono Ranko, so che è strano... Accidenti, che casino...
Ryoga passami l'acqua.»
Il
ragazzo fece cenno a... Ranko di aspettare. Quest'ultima aveva
proprio ragione, era un vero casino.
Esaminai
la scena che avevo di fronte agli occhi e vidi Shinnosuke stupito
almeno quanto avevo finto io. Il pensiero di lui mi fece ripensare al
domani sera. Cosa sarebbe successo a lui e Ryoga se non fossi
riuscita allontanarli?
Non
volli pensarci e spostai lo sguardo su quello che riconobbi come il
vero Ranma, con le sopracciglia particolarmente aggrottate.
Probabilmente, pensai, lo avrei riconosciuto anche senza sapere tutta
la storia, il suo cipiglio era inimitabile.
Mi
chiesi se anche lui si sentiva il mio sguardo addosso come succedeva
ultimamente a me con il suo.
Come
se l'avessi chiamato per nome si volse di scatto verso di me, fece
per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca. Mi
sorpresi quando mi accorsi che aveva disteso il viso, era serio, ma
almeno non arrabbiato.
Nei
suoi occhi però c'era sempre quella fiamma. Ribadisco: nonostante li
avesse blu come la notte, io li vedevo andare a fuoco. Sentii il mio
respiro accelerare.
Non
so quanto rimanemmo a fissarci, ma a un tratto “Ranko” mi scosse,
attirando la mia attenzione.
Guardai
di nuovo quello che poteva essere il clone di Ranma, ma non provai le
stesse sensazioni che mi dava l'altro. Nonostante il colore fosse
bello, i suoi occhi erano come quelli di chiunque altro e non mi
sentivo inchiodata da una morsa allo stomaco. Nel frattempo sentivo
ancora lo sguardo di quello vero bruciarmi addosso.
«Ehi,
Akane, guarda adesso.» Poi si rivolse a tutti. «Guardate tutti.
Questa è acqua calda.»
Ryoga
le versò il contenuto del recipiente, a cui si era appena riferita,
in testa. Non potei fare a meno di trattenere il respiro per lo
stupore mentre tornava normale. Un conto erano le storie che mi
raccontavano da bambina e le informazioni che mi avevano dato per la
missione, ma viverlo di persona era decisamente unico. Ranko si
scosse leggermente i capelli rossi bagnati e si voltò a guardarci
uno ad uno, per vedere le nostre reazioni.
Sentii
un moto di tristezza assalirmi quando realizzai di avere davanti a me
i veri gemelli della profezia. Non mi ero ancora resa conto di aver
avuto una speranza, seppur quasi inesistente, di essermi sbagliata e
di poter lasciar in pace queste persone. In fondo le foto che avevo
con me, di loro due, erano state fatte di sfuggita, non erano
precise. Avrei potuto essermi sbagliata...
Sospirai
e cercai Ranma con lo sguardo... Il quale naturalmente era di nuovo
arrabbiato, ma non con me. Almeno non stavolta.
«Ah.
Adesso si spiega... Ad esempio il fatto che ho rischiato di essere
ucciso al suo stupido villaggio!» Disse enfatizzando le ultime
parole e indicando Ryoga.
Quest'ultimo
provò a parlare. «Veramente quello non era...»
«Oh!
Tu stai zitto per piacere! Stai certo che non mancherà la volta in
cui ti spedirò il naso dritto nel cervello!» Minacciò ancora una
volta Ranma stringendo un pugno in direzione dell'altro ragazzo.
Stavolta
fu Ranko a prendere parola. «Ranma! Non ti permetto di trattarlo
così! E non ti permetto neanche di urlarmi contro a quel modo. Non
sei cambiato di una virgola in tutti questi anni, pensi veramente che
il mondo giri intorno a te?! Che solo tu te la stia passando male e
che gli altri stiano qui a girarsi i pollici come degli scemi? Per
favore, dimmi che non sei così dannatamente egocentrico!»
Aveva
risposto proprio per le rime la ragazza. A conferma di questo c'era
l'espressione furente del gemello, che esitò non poco prima di
rispondere. «Io non sono egocentrico! M-ma dimmi tu piuttosto come
ti permetti a rispondermi così! Sono tuo fratello non dimenticarlo!»
«Piuttosto
tu non dimenticarlo! Non sei mio padre!...» Con queste ultime parole
-grandissimo cliché a mio parere- Ranko si lasciò scappare un
lacrima. Fuggì in un attimo dentro la foresta un'altra volta.
Ranma
si protese in avanti col busto e il braccio. «Ranko... Aspetta!»
Un
attimo dopo corse dietro la sorella, strascicando altre parole che
non capii.
“...And
my momma swore
that
she would never let herself forget
And
that was the day that I promised
I'd
never sing of love
If
it does not exist...”
Ascoltavo
i bassi respiri degli altri che dormivano. Ridacchiai quando sentii
il lieve russare di Ranko, ricordavo che anche da piccola aveva
questo piccolo problema respiratorio e naturalmente io non mi
risparmiavo dal prenderla in giro.
Ripensai
a... non sapevo come definirla. La sua trasformazione? Lei aveva
negato di saperne nulla della causa, aveva solo detto che un giorno
era caduta in questa strana piscina naturale e un attimo dopo, era
così...
Probabilmente
avevo sbagliato a urlarle contro in quella maniera, ma ero così
frustrato! Il bello è che non ne sapevo realmente il motivo... Bah,
più ci pensavo, più mi veniva male alla testa. Passai ad altro.
Durante
la cena Shinnosuke era stato chiaro sul fatto di voler dormire
lontano da me, nonostante tutte le sue dimenticanze si era ricordato
con sorprendente lucidità l'ultima notte passata in mia compagnia.
Per questo e perché non volevo sognare -di conseguenza fare incubi-
non mi ero messo a dormire.
Mi
ero arrampicato su un albero e, una volta trovato un ramo grosso e
robusto, mi ero messo seduto con una gamba a penzoloni e la schiena
poggiata al fusto. Ero arrivato piuttosto in alto, ma attraverso la
chioma di foglie non distinguevo bene le stelle, tra i piccoli spazi
scorgevo solo qualche scintillio.
Tirò
una gelida folata di vento che mosse leggermente il fogliame,
rabbrividii.
Ad
un tratto sentii un fruscio al di sotto di me, feci per scattare ad
affrontare qualsiasi pericolo mi si parasse davanti.
Ma
mi rimisi seduto comodo quando mi accorsi di che pericolo si
trattava. Comunque non staccai gli occhi dalla figura di Akane che si
arrampicava verso di me. Fece un ultimo agile balzo e si mise seduta
sul mio ramo, con le gambe sospese e le mani poggiate sul legno.
Aspettai
che parlasse, ma invano. Presi l'iniziativa. «Dov'eri oggi, quando
sei sparita?»
Domanda
sbagliatissima! Ma perché aprivo la bocca e le davo fiato senza
pensare? Idiota!
Akane
storse il naso e sentii un accenno di nervosismo nella sua voce.
«Quando?... Ah, ho capito. Niente ero solo andata a-a... diciamo
fare i miei bisogni, ecco. Non si fanno certe domande alle ragazze.»
«Ah.»
Risposi a disagio quanto lei.
Non
volevo commettere altri passi falsi e lei non sembrava voler
affrontare una conversazione. Espirai forte dal naso e poggiai la
testa all'albero chiudendo gli occhi.
Sentivo
forte la sua presenza, mi prudevano le mani al pensiero di poterla
toccare semplicemente allungando il braccio.
Mi
sentivo profondamente stupido. Dannazione, l'avevo conosciuta oggi
questa ragazzina. Eppure eccomi qui, a pensare se anche lei stesse
pensando a me.
Con
le ragazze non me l'ero mai cavata in modo eccelso. Insomma, al mio
villaggio piacevo a qualcuna, ma le avevo ignorate per la maggior
parte. Anche Ukyo provava qualcosa per me, ma eravamo comunque
riusciti a rimanere migliori amici. Cercavo di ignorare tutti i
segnali che mi lanciava, facendo l'ingenuo, ma i momenti imbarazzanti
non mancavano di certo... Mi sembrava quasi di sentire una sua
delicata carezza sul viso...
Come
un idiota mi ero inoltrato in pensieri, in ricordi che mi ero
ripromesso di sotterrare. Come un onda anomala quel maledetto giorno
mi travolse di nuovo. Cominciai a sentire il sapore della terra
bruciata in bocca e un bruciore in gola. Vidi mia madre. «Scappa...»
«Ranma!?
Ranma!» Era la voce di Akane, piuttosto allarmata. Sentivo qualcuno
che mi scuoteva il braccio che avevo incrociato con l'altro sul
petto. Spalancai gli occhi di scatto.
«Ah!»Scattai
all'indietro, ma l'albero mi bloccò. Realizzai di essermi
addormentato e di aver soltanto sognato.
Akane
mi guardava ancora con occhi spalancati, allungata verso di me con un
braccio. Cercai di ridarmi un minimo di contegno rallentando il
respiro, rilassando i muscoli. Incrociai nuovamente le braccia al
petto e rilassai la testa contro l'albero, stavolta senza chiudere
gli occhi. Sentii il ritmo del mio cuore rallentare lentamente.
Sospirai.
«Ehi,
tutto a posto?» Nella voce di Akane trapelava appena la
preoccupazione. Sospirai di nuovo e quando fui certo di aver il
controllo della mia voce risposi.
«Sì.
È tutto... È tutto ok.» Ribassai lo sguardo su di lei, aveva di
nuovo la posa di prima, solo che ora si guardava le gambe dondolare
su e giù.
Senza
staccare lo sguardo dai piedi mi disse: «Stavi urlando e ti muovevi,
rischiavi di cadere di sotto. Mi sono spaventata. Per questo ti ho
svegliato.»
«Non
c'è bisogno che ti giustifichi, so già la storia del mentre-dormo.»
Risposi corrucciato, pensando al discorsetto di Shinnosuke.
Ma
Akane fraintese. «Vabbé, ho capito, me ne vado. Ogni volta che
cerco di parlarti ti arrabbi.»
La
vidi misurare la distanza dal nostro ramo a uno poco più in basso,
per spiccare un balzo. Quasi automaticamente la fermai, allungando
una mano verso di lei. «No, aspetta! Non ce l'avevo con te, hai
capito male.»
Ritrassi
il braccio di scatto. Perché l'avevo fermata? Volevo stare solo,
no?...
I
suoi occhi lampeggiarono nei miei mentre rilassava i muscoli che
aveva contratto.
Grazie
per avermi svegliato. Avrei
voluto dire, ma invece: «Hai fatto bene a svegliarmi. Ero arrabbiato
solo per il discorso che ha fatto il tuo amichetto poco fa.»
Pensando
a Shinnosuke aggrottai di nuovo le sopracciglia. Si era almeno
chiesto il perché, prima di fare il sarcastico?
«Non
ti arrabbiare con lui.» Ridacchiò. «Su certe cose sembra un po'
tonto, ma ha un cuore d'oro. Sei stato fortunato a incontrarlo.»
Mi
sorrise e io avvampai. Guardai le mie mani, che ora avevo intrecciate
in grembo. Stavano sudando, erano appena umide.
Continuò.
«Sai una volta mi ha anche salvato la vita, mettendo a repentaglio
la propria. Ha delle cicatrici orribili sulla schiena.»
Sentii
un macigno sui polmoni mentre si vantava di Shinnosuke. Quindi lui le
piaceva?... Aspetta, perché questo dovrebbe darmi fastidio? Perché
dovrebbe minimamente interessarmi? Nonostante ciò il macigno si
appesantiva, non accennava a spostarsi.
Sbuffai
e le rivolsi di nuovo lo sguardo. Assunsi un aria di sufficienza.
«Tsk. Quanto si vede che sei più piccola di me... Voi ragazzine,
appena vedete un uomo che ha un po' di fegato, perdete la testa.»
S'imbronciò
e sbuffò dalle narici. «Non è vero! Non chiamarmi ragazzina! E poi
non mi piace Shinnosuke!»
Alzai
gli occhi al cielo e mi misi a gambe incrociate, in perfetto
equilibrio nonostante la grandezza del ramo. «Si, certo. E a me
invece piace mangiare pigne!»
«Ah!
Non sai in questo momento cosa ti farei con una stupida pigna!»
«Sentila,
la ragazza! Come siamo rozze, eh?»
«Smettila!
Sei un maleducato! Uno sfrontato!»
«Rozza!»
«Maniaco!»
«Oddio!
Ancora con...» Uno scricchiolio interruppe la mia frase a metà.
Troppo tardi mi resi conto di essermi inconsapevolmente avvicinato ad
Akane, quindi i nostri pesi si concentravano sull'estremità esterna
del ramo.
Mentre
ci fissavamo spaventati, sentii un forte scrocchio seguito da uno
scossone. Prima che potessi anche solo pensare a cosa fare, il ramo
crollò sotto di noi.
Agii
d'istinto, presi Akane tra le braccia e ripensai velocemente alle
tecniche di caduta che mi aveva insegnato mio padre.
Passarono
altri tre secondi di paura, prima di toccare il terreno. Assorbii
l'impatto sulle punte, strizzai un pochino gli occhi al dolore
-seppur lieve- che mi provocò e mi girai verso Akane.
La
vicinanza dei nostri visi mi inchiodò ancor di più dei suoi occhi
che mi fissavano. Vidi le sue gote arrossarsi e pensai che
probabilmente anche alle mie era successo. Respirai il suo profumo e
sentii l'istinto che mi chiedeva di avvicinare il mio viso al suo. Ma
non feci nulla, rimasi lì inchiodato, come un imbecille. Abbacinato
dal suo sguardo, catturato anch'esso dal mio.
Sentii
un rumore proveniente dall'accampamento, ma non me ne curai. Akane
invece sì.
Guardò
in in quella direzione e poi bisbigliò con voce spezzata
dall'imbarazzo: «Potresti a-anche mettermi giù ora.»
Annuii,
senza dire nulla e la lascia andare. I suoi occhi però non li
mollai.
«B-buonanotte.»
Disse arrossendo nuovamente. Io annuii di nuovo e poi la vidi correre
e scomparire nel buio della notte.
“But
darling,
You are the only exception...”
[Song
by Paramore]
Ehi
ciao! Ecco un altro nuovo capitolo, siamo già al sette e quanti
giorni ho raccontato? Tre! Boh eppure non mi sembra così... oddio
non ho l'aggettivo, vabbè pazienza. Volevo sottolineare che in
questo capitolo ho preso in considerazione solo una canzone perché
mi piaceva metterla così e forse non sarà l'ultima volta. In questi
giorni ho aggiornato in modo molto più veloce rispetto a prima...
Bene.
Volevo
chiedervi, com'è la situazione neve la da voi? Io sono di Roma e fa
veramente ridere qui!
Ringrazio
LoveAnimeManga89, apochan kenshiro e caia per le recensioni e tutti
gli altri che si meritano i miei ringraziamenti XD
Bene
a questo punto. Ciao!
Sakura!
|
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Capitolo 8 *** Who scream out loud inside me? ***
Cap. 9
Colui
dai capelli neri
avrà
anche l'animo oscurato da una notte infinita,
quando
troverà pace alla sua mente
potrà
fare il bagno a Jusen utilmente.
-
Diario delle profezie; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -
“If
I could find the years that went away
Destroying all the cruelty
of fate
I must believe that love could find a way
Tonight”
[Trading
Yesterday]
«Mi
ricorderesti perché ti stiamo accompagnando a... ?» Boccheggiò
Ranma, di nuovo, cercando di ricordare come si chiamava il villaggio
dove, a detta sua, li stavo “trascinando”.
«Riuzu.»
Lo aiutai sospirando.
«Quello
che è...» Borbottò.
Stavamo
camminando da più o meno un'ora. Avevo deciso di introdurre il
discorso solo la mattina seguente, ma non mi era andata male. Si
erano tutti mostrati disponibili ad accompagnarmi là,
sovraccaricando tra l'altro il mio senso di colpa. Però naturalmente
tutti tranne uno.
Mi
spostai nervosamente una ciocca di capelli dal viso dietro
l'orecchio, tenevo lo sguardo basso – sempre attenta a non
incrociare il suo. Mi infastidiva parecchio questa sua insistenza,
sentivo che prima o poi mi sarei tradita da sola. Sentivo già il suo
dito accusatorio puntato contro di me, mentre mi giudicava una
bugiarda, una traditrice.
Questo
pensiero mi fece sentire come se avessi ricevuto un pugno nello
stomaco. Accusai il colpo sbuffando, sperando che Ranma lasciasse
perdere la conversazione.
Ma
invano.
Mi
voltai leggermente verso di lui e mi ritrovai a pochi centimetri dal
suo viso. Come quella notte sentii tutta l'aria che avevo nei polmoni
scappare via.
Al
pensiero della sera prima arrossii. Ricordavo molto bene di come mi
ero arrischiata a carezzargli la guancia mentre dormiva, avevo
pensato che il suo viso nel sonno fosse stranamente tenero.
Ma
perché, diamine, era così bello! I suoi occhi mi inchiodavano, solo
come quelli di un serpente potevano fare, e non solo per la paura...
«Allora?»
Mi incoraggiò con tono di sfida. Aprii bocca per rispondere, ma la
richiusi mordendomi il labbro inferiore. Distolsi agitata gli occhi
dai suoi, trovando improvvisamente interesse per il bottone del
borsone che portavo.
Non
potevo rispondergli mentre mi scrutava l'animo a quel modo, avrei
sicuramente fatto qualche passo falso.
Tossii.
«Beh, l'ho già detto. Devo incontrare dei miei... amici.»
Storsi
il naso quando dissi “amici”.
Da
come affilò lo sguardo capii che non se l'era fatto sfuggire. «Ma
perché noi ti dobbiamo accompagnare? Così vicino a quel confine
poi...»
«Perché
non mi andava di andare da sola!»
«Ma
se mia sorella ti ha trovata che eri sola!?»
Sbuffai
impaziente dal naso. «Beh, è... è proprio per questo che mi sono
subito unita a lei!»
Grugnì.
«Questo non giustifica il fatto che noi dobbiamo venire con te.»
Rallentando
leggermente il passo mi voltai allibita verso di lui. «Invece si! Ma
cosa c'è che non va in te?» Lo sfidai. «Allora hai paura di
avvicinarti a Jusenkyo?»
Ma
mentre stava per ribattere, lo vidi scasare appena in tempo il pugno
di un rabbioso Ryoga. Ci fermammo tutti e io li guardai confusa.
Ryoga
puntò un dito contro Ranma «Come ti permetti di essere così
cattivo con la ragazza?! Noi l'accompagneremo. Perché non te ne vai
tu?»
Lo
guardai esterrefatta, mi stava difendendo? Ryoga doveva essere
davvero un ragazzo gentile, avrei voluto molto esserci amica...
Ranma
ghignò sarcastico. «No, aspetta. Fammi capire. Quando ho chiesto il
tuo parere?»
Ryoga
ringhiò di rimando e gli puntò il dito contro. «Tu non sei un vero
uomo! Perché solo i vigliacchi non rispettano le donne!»
«A
chi hai detto vigliacco?!» Ranma caricò un pugno. Ma, appena prima
che arrivasse a segno, vidi la sfocata figura di Ryoga spiccare un
impressionante balzo verso l'alto.
«Ah!»
Vidi un oggetto scagliato verso Ranma dalla figura di Ryoga prima che
questo tornasse a terra.
Era
un tiro fatto un po' male, così l'altro scansò di un poco la testa
per schivarlo. Ma dopo il fruscio dell'aria, un taglio cominciò a
sanguinare sulla guancia di Ranma.
Mi
girai e vidi un ombrello rosso ficcato con forza nel terreno,
l'oggetto che gli aveva lanciato. Intanto Ranma si portò una mano
alla guancia e lo vidi sorpreso di scoprirci un taglio, seppur
superficiale.
Alzò
un sopracciglio e guardò Ryoga fulminandolo, che ridacchiava
sardonico.
«Questo
non dovevi farlo.» E si lanciò contro di lui, mentre io mi
allontanavo.
Ryoga
cercò di anticiparlo alzando un altro pugno, così Ranma schizzò
dietro di lui e con la gamba sinistra gli diede una botta molto forte
alle ginocchia. L'altro cadde a terra, ma Ranma non fece neanche in
tempo ad attaccarlo, che lui gli strinse le gambe al collo, emise un
grugnito per lo sforzo e gli sbatté la testa a terra. Mentre Ryoga
si rialzava massaggiandosi le gambe vidi Ranma un po' instabile che
balzava in piedi. Perse quasi l'equilibrio, ma fece in tempo a
scansare malamente un altro suo attacco frontale. Infine Ranma,
riavutosi dal capogiro, approfittò di quel momento di stallo per
buttarlo a terra e bloccarlo. Lo vidi sorridere maligno mentre
caricava il pugno che avrebbe quasi sicuramente rotto il naso
all'altro.
Se
non lo avessero fermato.
«No!
Ranma!»
“Tell
me what makes her so much better than me
What
makes her just everything that I can never be
What
makes her your every dream and fantasy
Because
I can remember when it was me”
[Paula
DeAnda]
Guardai
ancora una volta il viso di Ryoga avvampare, dopo aver lanciato uno
sguardo languido – o da perfetto idiota, dipende dai punti di vista
– ad Akane. Aggrottai le sopracciglia, frustrata.
La
gelosia è un sentimento strano. Non è mai come ci si aspetta. Lì
per lì è una rabbia lenta e profonda, ti fa fissare il diretto
interessato con la voglia di incenerirlo, desiderando non aver
fermato tuo fratello dallo spaccargli la faccia. Ma poi arriva la
parte brutta, ti avvilisci e diventi malinconica.
Infine,
come se non bastasse, lui non si accorge mai di nulla. «Ranko,
cos'hai?»
Dimmelo
tu. Questo è quello che avrei
voluto rispondere, ma mi limitai a una scrollata del capo.
«Dai,
si vede che non stai bene. Ti fa male la pancia?» Questa sua
affermazione mi fece notare le braccia serrate all'altezza dello
stomaco, probabilmente per combattere la nausea che mi agitava
dentro.
Mi
mise una mano sulla spalla, che mi provocò un fremito lungo la
schiena. Per la rabbia, naturalmente. Eravamo abituati a contatti tra
noi.
«Lasciami
in pace.» Con un'energica scrollata di spalle me lo tolsi di dosso.
Allungai il passo per mettermi accanto a Ranma. Questo mi lanciò un
occhiata perplessa, scossi leggermente il capo per dirgli di lasciar
stare.
Scrollò
le spalle e tornò a guardare dritto davanti a sé...
No,
non ci credevo. Non aveva lo sguardo semplicemente vago. O comunque
di uno impegnato in una camminata. Stava palesemente fissando Akane,
che chiacchierava tranquillamente con Shinnosuke. Quando poi lei
venne scossa da una risata, Ranma lanciò un'occhiataccia all'altro
ed infine come se si fosse ricordato di qualcosa abbassò lo sguardo
arrossendo. Ridacchiai tra me e me incredula. A mio fratello piaceva
Akane!
«Perché
ridi?» Mi girai sorridente verso chi mi aveva rivolto la domanda e
mi ritrovai di fronte Ryoga.
Ogni
traccia dell'appena ritrovato buon umore sparì da me, mentre voltavo
teatralmente la testa dall'altra parte. «Oddio, Ranko. Ma ce l'hai
con me? Che ti ho fatto?»
Sospirai,
mentre una fitta mi colpiva all'altezza del cuore. Non mi piaceva
tenere il muso a Ryoga. Eravamo amici da quando ero scappata di casa
e ci eravamo intesi subito. Le scaramucce, ovvio, non mancavano, ma
facevamo pace presto. Inoltre non potevo essere arrabbiata con lui
senza dirgli... qualcosa – il che era fuori discussione. Forzai un
sorriso e lo presi sottobraccio, come eravamo soliti fare.
«No,
è tutto ok.» Lo vidi un attimo confuso.
«Allora,
perché ridevi?» Valutai velocemente se mi fosse convenuto o meno
dirgli di Ranma.
«Perché
a mio fratello piace Akane.» Dissi a bassa voce con una mano messa a
coppa, per nascondere le mie labbra.
“Lonely,
finds me
One day you will come
But I'll wait for love's
sake
One day to me, love”
[Trading
Yesterday]
«Eccoci
arrivati.» Non diedi ascolto alla voce di mia sorella che sparava
ovvietà, piuttosto esaminai l'ambiente circostante. Aguzzai le
orecchie, attento a ogni singolo rumore sospetto. Un colpetto sulla
spalla mi fece sobbalzare leggermente, ma non mi scomposi. Avevo
riconosciuto subito di chi era il tocco.
«Ranma,
sei teso come una corda di violino. Rilassati.» Ma neanche la voce
di Akane sembrava rilassata. A dirla tutta, sembrava più agitata di
me. Spostava continuamente lo sguardo e aveva il respiro pesante.
Forse era stanca, pensai, avevamo camminato tutto il giorno,
riposandoci qualche ora a pranzo. Ed ora era il crepuscolo, eravamo
tutti stremati, eppure...
«Beh,
io direi di fare un giro, per cercare dove sistemarci.» Affermò
risoluta Ranko, mentre gli altri esprimevano il proprio consenso.
Mentre
esploravamo le piccole vie di quello strano villaggio, mi accorsi di
un “piccolo” dettaglio. Dov'erano tutti? Le strade erano deserte.
Notai
in una finestra al primo piano un uomo o una donna, non riuscivo a
distinguerlo, che ci osservava da dietro un persiana verde. Dopo
averne notati altri cinque, mi girai dietro per dire non so cosa a
Ranko, che ci stava seguendo accanto a Ryoga. Ma delle schegge di
ghiaccio mi si agitarono nello stomaco. Non avevo nessuno dietro di
me.
Mi
girai nuovamente, ma vidi solo Akane davanti a me. Si mordicchiava le
unghie ed era in apprensione era evidente. Dov'era Shinnosuke?
Mentre
mi avvicinavo a lei con crescente timore, con voce spezzata disse:
«Sta accadendo troppo in fretta.»
Stavo
per chiederle a cosa si riferisse, ma con la coda dell'occhio vidi un
ombra che si muoveva. Il presentimento si trasformò in certezza
quando vidi un uomo armato uscire da dietro un angolo non molto
lontano.
Agii,
come al solito, d'istinto. «Corri! Non permetterò a nessuno di
torcerti un capello!»
Agguantai
la mano di Akane e cominciai a correre nella direzione opposta a
quello, che si era nascosto di nuovo. Dovevo salvare sia me che lei.
La tensione era tanta che non avevo neanche pensato a vergognarmi dei
miei pensieri e delle mie parole.
«Aspetta,
Ranma...» Protestò Akane, mentre me la trascinavo dietro. Ma cosa
stavo facendo? Avevo visto un uomo armato, e allora? Non era così
anormale di questi tempi.
Cavolo,
probabilmente anormale ero io. Ma come mi veniva in mente di
affidarmi a una sensazione. Constatai che non ci stava neanche
seguendo. Per sicurezza girai l'angolo, così almeno non ero nel suo
campo visivo.
Rallentai
il passo fino a fermarmi. Mentre mi giravo verso di lei, per
chiederle degli altri, sentii un pizzico sul collo. Vidi Akane che mi
fissava con un espressione che trasudava di rimpianto e dispiacere.
Mi diedi uno schiaffo sul punto del pizzico pensando a un insetto, ma
toccai qualcosa di più grande e metallico di quanto mi aspettassi.
«Ah!»
La mia stessa voce arrivò lontana alla mie orecchie. Combattei
contro la pesantezza che sentivo avvolgermi, a causa di quello che
sembrava un sedativo. Sperai con tutto il cuore che fosse solo quello
e non qualche cosa di velenoso.
«Scusa.»
Anche la voce di Akane sembrava distorta, come se avessi ovatta nelle
orecchie. Una parte di me era già arrivata alla conclusione, ma ogni
pensiero che avevo si sfilacciava, perdendo consistenza. Continuai a
combattere contro il calmante.
Mossi
qualche passo indietro e sentii la lucidità pervadermi di nuovo
lentamente. Vidi Akane alzare un braccio verso di me, incerta.
«Com'è
possibile?!» Disse un altro ronzio alle mie orecchie, ma prima che
potessi rimettere insieme il filo logico dei miei pensieri sentii un
altro pizzico. Un altro. E un altro ancora.
Non
riuscii neanche a percepire lo scontro che ebbi col terreno quando
caddi a terra, lo vidi e basta. Poi anche la vista cominciò a
oscurarsi. Continuai a combattere, ma non rispose più nulla al mio
cervello.
Solo
un fruscio.«Mi dispiace, Ranma.»
Ciao!
Come vi è sembrato questo capitolo? Personalmente avrei voluto
scriverlo meglio, ma l'ho revisionato fin troppo. Forse è per questo
che ora odio come l'ho scritto...
Beh
cosa sarà successo?
Ringrazio
Apochan Keshiro, LoveAnimeManga89 e caia. Mi scuso con voi per non
aver risposto alle vostre recensioni, ma in questi giorni non sto
quasi mai al computer, spero che vi basti sapere che prima o poi lo
farò XD e che apprezzo tantissimo quello che mi scrivete.
Ringrazio
tutti quelli che leggono e che aggiungono la storia al loro account.
A
presto
Sakura.
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Capitolo 9 *** Normalità. Definizione, prego? ***
Cap. 9
Quando
il sangue mutato
di
entrambi i prescelti sarà versato
il
segreto rivelato si scioglierà dal suo sigillo
e
Il vecchio tornerà arzillo.
-
Diario degli scritti segreti; Kodachi Kuno, La Rosa Nera -
“There
I was again tonight
Forcing
laughter, faking smiles
Same
old tired, lonely place.
Walls
of insincerity
Shifting
eyes and vacancy
Vanished
when I saw your face
All
I can say, is that it was enchanting to meet you”
[Tailor
Swift]
Sospirai
guardando il cortile della scuola dalla finestra. Sembrava un sogno,
di quelli irreali. Mi continuavo a ripetere di essere tornata alla
vita di sempre, ma a me sembrava tutto il contrario.
Mi
guardavo ancora in giro con occhi sospettosi e mi sentivo scoperta
senza nemmeno un arma addosso. Per non parlare della scomodissima
gonna verde-acqua della divisa scolastica...
La
pigra voce del professore che spiegava un metodo di risoluzione per
la matematica, mi sembrava totalmente fuori luogo.
Ogni
cosa sembrava fuori luogo. Me compresa. Non mi sentivo più
appartenere a quel mondo, così diverso da Nerima. Così diverso da
lui. Sospirai.
Lo
scacciai subito dalla mente, spostando lo sguardo e cercando di
seguire la lezione, ma probabilmente sarebbe stato più facile far
prendere il volo al banco con la forza della mia frustrazione.
La
campanella. Un altro rumore fastidioso e fuori luogo, ma che almeno
m'informava che la prima metà della giornata era finita. Mi alzai
pigramente dalla sedia, facendola grattare rumorosamente contro il
pavimento.
Il
tempo sembrava aver perso senso, mi trascinavo avanti per i giorni
che passavano. Come se stessi aspettando un svolta, che mi riportasse
alla mia normalità...
Ma
cosa diavolo trovavo di normale nel vagare per una landa desolata?!
«Ehi,
Akane! Torniamo a casa insieme?» Yuka e Sayuri erano lì davanti a
me, ammetto che le miei amiche mi erano mancate.
«Certo.»
Sulla
strada di casa non fecero altro che parlarmi di tutto ciò che era
successo durante il mio “viaggio”. Non che mi importasse molto
che ad esempio delle ragazze di primo anno avessero trovato Akira e
Kazuho a pomiciare nel ripostiglio delle scope, ma era comunque un
argomento piacevole.
«E
tu Akane?» Fece Yuka con fare malizioso.
Cercai
di evitarla facendo l'ingenua. «E io cosa?»
«Oh,
andiamo! Non vorrai dirci che non hai incontrato nessun ragazzo!»
Intervenne Sayuri, enfatizzando non poco sulla parola ragazzo.
L'immagine
di me in braccio a Ranma mi investì con la stessa forza di tir
carico di merci pesanti. Abbassai lo sguardo. «N-no. N-nessuno.»
Sayuri
sgranò gli occhi. «Oddio! Ti sei innamorata!»
«Non
è vero!» Sbottai con lo stesso tono di una bambina che batte i
piedi per terra.
«E
invece si! Guardala com'è rossa!»
«Dai!
Dicci com'è!»
Guardai
i loro occhi carichi di aspettative, mi chiesi cosa c'era di male a
parlarne con due amiche. Sospirai.
«È
alto più meno così.» Feci un segno con la mano sopra la mia testa.
«Ha diciannove anni. Conn i capelli neri, raccolti in una treccia,
porta abiti cinesi, ma è giapponese. Poi ha degli occhi...»
Mi
resi conto di avere uno stupido tono sognante, arrossii. «Ha gli
occhi blu ed è... molto bello e atletico.» Ammisi a malincuore.
«Wow!
Che belloo! E come vi siete conosciuti?»
«Beh,
noi...» Invece di come ci eravamo conosciuti mi venne in mente a
come ci eravamo “lasciati”. Sentii gli occhi riempirsi di
lacrime.
«Scu-
scusate, ma oggi dovevo fare la spesa.» Imboccai il primo angolo
senza guardarle. «Ciao! A domani!» Continuai a voce alta, mentre mi
asciugavo febbrilmente le guance.
Arrivata
a casa mi tolsi le scarpe nell'ingresso di casa mia. «Sono tornata!»
Dovevo
smettere di mentire a me stessa, ecco la verità. Ranma.
Pensavo solo a lui, era estenuante.
Anche
perché non ci ricamavo sopra altri pensieri. Solo che ogni tanto,
ecco che il suo nome si infilava qua e là per la mia testa, come un
flebile sussurro.
Un
esempio? Stavo facendo la spesa e controllavo la lista in tutta
tranquillità, quando all'improvviso: Ranma.
Così improvvisamente che mi tolse il respiro, quella volta avevo
anche lasciato cadere il blocco note a terra. Tutte le volte
era così.
Poi
ripensavo al tempo che ci avevo trascorso, 2 giorni, e mi arrabbiavo
prepotentemente con me stessa. A pensarci bene potevano pure non
essere state 24 ore intere!
Qualche
sera pensando a lui c'era scappata anche qualche lacrima... Ma solo
una... Massimo due...
Entrai
in sala da pranzo e sentii rialzarsi quella sorta di barriera
impenetrabile che si era formata tra me e la mia famiglia. Cioè solo
mio padre. Prima abitavamo con mia sorella Kasumi e Nabiki, ma la
prima si era sposata e la seconda... Nabiki era scappata via di casa,
subito dopo che ebbero prelevato papà e poco prima di quando io ero
partita. Quindi naturalmente in presenza di mio padre lei era
diventata argomento tabù.
«Bentornata
cara.» Disse papà con tono carezzevole, mentre passavo di lì per
scappare in camera mia.
«Grazie,
papà.» Risposi automaticamente, mentre un malinconico sorriso gli
stirava le piccole rughe sul volto. Da quando eravamo così formali
tra noi?
No,
decisamente non potevo continuare così, mi dissi mentre salivo a due
a due le scale per andare in camera mia.
“I
wonder, how am I supposed to feel when you're not here.
'Cause
I burned every bridge I ever built when you were here.
I
still try holding onto silly things, I never learn.
Oh
why, all the possibilities I'm sure you've heard.
That's
what you get when you let your heart win”
[Paramore]
Faceva
freddo. Era scomodo.
Non
riuscivo a estrarre nient'altro dal vortice che avevo in testa in
quel momento.
A un
tratto percepii un suono, uno strano uggiolio. Ma mi sembrava così
lontano che avrebbero potuto semplicemente fischiarmi le orecchie.
Sentivo
lentamente tornarmi la consapevolezza di me stesso. Come ad esempio
il fatto di avere due braccia, una delle quali schiacciata dal mio
corpo. Pensai che si fosse sicuramente addormentata.
Cercai
di muovermi, ma sentivo addosso i dolori di quando dormi per troppo,
fermo e nella stessa posizione.
Strascicai
un gemito mentre cercavo di far passare il braccio desensibilizzato
da sotto il busto. Non ebbi molto successo e soffocai un altro gemito
girandomi supino. Ascoltai per un po' il fiatone che mi aveva colto
per quelle piccole stupide azioni, mentre cercavo di capire se
riuscissi a muovere il braccio o no. Appurai che non sentivo solo le
dita, nel resto dell'arto già cominciava il familiare formicolio del
sangue che rifluiva.
Aprii
lentamente gli occhi, ma mi prese un forte capogiro che me li fece
subito richiudere. Con l'altra mano cominciai a massaggiarmi quella
intorpidita, mentre il mio cervello arrancava in ragionamenti.
Cos'era successo? Avevo incontrato mia sorella, si. Poi un'altra
ragazza, Akane. Altri due ragazzi, Ryoga e Shinnosuke, dopo essere
scappato da...
Improvvisamente
consapevole del pavimento freddo e umido sul quale ero steso, mi
strisciò un velato terrore nello stomaco. Più i ricordi erano
recenti, più sembravano opachi e confusi. E se fossero stati tutti
un sogno? E se fossi ancora nella postazione oscura?
Aprii
di scatto le palpebre e mi sedetti con altrettanta velocità,
procurandomi un giramento di testa talmente forte che per poco non
ricaddi a terra. Poi come un chiodo in ogni tempia avvertii un feroce
mal di testa, ma non volli arrendermi.
Mi
posai un attimo la mano sulla fronte, come per cercare di contenere
il dolore, e mi guardai attorno. Un misto di sollievo e confusione
s'impossessò di me: non ero nella postazione oscura, ma allora dove?
Era
una stanza quadrata completamente spoglia tranne che per un
gabinetto, al posto di parete c'era una fila di sbarre procurandogli
in tutto e per tutto l'aspetto di una prigione. Anzi probabilmente lo
era.
Ricominciarono
gli uggiolii e stavolta ebbi la certezza che si trattava di qualcuno.
Piagnucolava piano, ma con una disperazione tale da farmi salire le
lacrime agli occhi.
Sempre
con la mano stretta sulla fronte mi alzai, ma non appena fui in piedi
il dolore alla testa aumentò ancora di più. Come faceva a non
esplodere?
«Ah!»
Caddi in ginocchio, stavolta mi strinsi la testa forte con entrambe
le mani gridando un imprecazione.
Mi
accorsi a malapena che il piagnucolio si era fermato, ma dopo un po'
arrivò una voce. Familiare, ma talmente debole e spezzata che feci
fatica a capire le parole. «R-ran-ma, sei t-tu?»
Il
mal di testa sembrava stesse allentando la presa, così sporsi più
che potevo il viso tra le sbarre. «Ranko?»
Avevo
la voce piuttosto impastata, ma non me ne curai. Ero piuttosto
agitato perché non la vedevo, doveva stare nella cella accanto alla
mia. Schiacciai ancora di più il viso contro le sbarre.
«Si.»
Singhiozzò.
«Ma
che ci facciamo qui? Che succede?»
Ricominciò
a piagnucolare. «Io... Io non... E Ryoga...»
La
lasciai perdere, cosciente del fatto che in piena crisi di pianto non
avrebbe detto nulla di comprensibile.
Mi
rimisi seduto per terra e cercai di ricomporre i miei pensieri in
un'idea. Del mal di testa era rimasto un debole battere, così
sarebbe stato più facile ritrovare lucidità.
L'ultima
cosa che ricordavo? Molta confusione. Ok, a parte quello? Una...
città. No, il nome non me lo ricordavo assolutamente, ma poi?
All'improvviso il viso di Akane mi colpì come uno schiaffo. Aveva
un'aria così triste e aveva detto “Mi dispiace, Ranma”. Ci
aveva portato lei in quel posto, era una trappola! Ma... Perché?
Cosa diavolo stava succedendo?!
Già,
cosa starà succedendo?
Ehilà!
Scusate tantissimo per l'enorme ritardo, ma è causato da forze
maggiori (mancanza di ispirazione).
Ringrazio
caia e LoveAnimeManga89 per le recensioni e
naturalmente anche tutti gli altri per la lettura.
Vi
ricordo che non vi libererete così facilmente di me, se ritardo è
sicuramente perché non ho una ceppa da scrivere.
Baci,
al prossimo capitolo
Sakura*
|
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Capitolo 10 *** Prima del peggio. Prima che ci incontrassimo. ***
Cap 10
Salve
a tutti! Dopo essermi sperticata in scuse e richieste di perdono per
non aver scritto niente da un mese, vi spiego come mai oggi ho
pubblicato il mio Angolino della scrittrice prima del capitolo
(ebbene sì, io lo chiamo così U_U). Dunque, ultimamente non
riuscivo più a scrivere niente per questa storia, ma ho già
espresso che non ho assolutamente intenzione di lasciarla stare.
Avevo deciso allora di “posare la penna”, perché sarebbe stato
inutile scrivere sforzandomi (facendo quindi uscire un orrendo
casino) e ho iniziato a leggere altre storie sul sito per poi leggere
libri e manga a casa. Ed è con contentezza che vi dico che ora mi
sento in grado di scrivere. Ma ora penserete “Ma a me cosa
importa?” (per non usare termini scurrili), beh ho usato tutto
questo preambolo per dire che di conseguenza a ciò la storia
prenderà una sbandata assurda, cioè ho ritrovato l'ispirazione, ma
non quella di prima, così la trama che avevo in mente prima (o per
meglio dire che non avevo in mente) la mandiamo a farsi friggere,
perché cambierà totalmente tipo (infatti ora che ci penso forse
cambierò il genere che ho specificato). Per finire mi auguro di
riuscire a collegare tutto per il meglio, perché sarà veramente
difficile.
Altro
punto che volevo affrontare (stavolta più corto, promesso!) è che
come avrete notato tutti, non rispondo sempre alle recensioni, anche
se mi piacerebbe tanto, ma per mancanza di tempo non lo faccio.
Quindi ho deciso di farlo qui, nel mio Angolino della scrittrice
;)
Andiamo
con ordine:
-rafxsulfusxsempre:
Grazie
per aver commentato ^^, eccolo il capitolo, ma mi spiace non credo
che si capirà molto presto che sta succedendo ;).
-caia:
Ciao! Eh si, Akane ha fatto tutto per il padre, ma c'è anche
qualcos'altro sotto questa storia, ma basta spoiler! Ti lascio alla
lettura!
-LoveAnimeManga89:
Ehilà!
Ti ringrazio come sempre, anche a me piacciono molto come coppia loro
due ^^
-apochan
kenshiro: Ehi!
Grazie che mi commenti sempre i capitoli anche se ne sono usciti
altri, mi fa molto piacere ^^. Per i cambi di punti di vista penso
che sarà così molti altri capitoli da ora, perché come vedrai la
situazione cambierà di molto. Per invece Soun... posso dirti che
qualcosa da “sviscerare” ci sarà, ma come ho già detto: niente
spoiler!
Ora
non mi resta che lasciarvi in pace dopo tutte le mie parole inutili.
Bacio.
Sakura*
Tre
settimane dopo circa: primo ottobre.
“Benvenuto
ovunque tu sia, questa è la tua vita, l'hai allontanata. Benvenuto,
tu
devi
credere che proprio qui adesso tu sei esattamente dove dovresti
essere. Benvenuto ovunque tu sia.”
Welcome
to wherever you are,this is your life, you made it this far. Welcome,
you gotta believe that right here right now you're exactly where
you're supposed to be. Welcome, to wherever you are.
[Bon
Jovi – Welcome To Wherever You Are]
«Kuno!
Kuno!» Cercai di fermare il senpai, che dandomi le spalle stava
entrando a scuola.
Dopo
un'attenta riflessione – composta principalmente da stupide
fantasticherie su Ranma, risolini e scatti di rabbia, soprattutto
scatti di rabbia – avevo deciso di adottare un approccio più
diretto per il problema, di conseguenza sarei dovuta partire dal più
vicino alla questione. Tatewaki Kuno, il figlio di Koccho Kuno, uno
dei 5 membri del consiglio supremo, il più influente aggiungerei.
Continuai
a chiamarlo con voce spazientita, era incredibile come poteva essere
appiccicoso solo quando non serviva.
Accelerai
il passo, provocando il lieve scricchiolio della terra secca del
cortile sotto i piedi mentre lo chiamavo un'ultima volta.
L'interpellato si girò verso di me con uno sguardo traboccante di
un'improvvisa gioia. «Oh, mia dolce, dolcissima Akane Tendo! Anch'io
voglio suggellare la nos...»
Interruppi
il suo inutile sproloquiare con un pugno in faccia, era un individuo
veramente irritante.
A
parte questo sarebbe potuto essere un bel ragazzo, aveva una chioma
castana di capelli che finiva in un ordinato ciuffo sulla fronte. Il
taglio degli occhi castano scuro era sottile, procurandogli un'aria
intrigante che... spariva non appena apriva bocca.
Cercai
di tenere il punto. «No. Ascoltami, che fine hanno fatto i gemelli?»
Per
tutta risposta lui inclinò il capo confuso.
Avevo
passato interi giorni a decidere come avanzare domande di questo tipo
e sapevo già quindi che non avrei dovuto essere così diretta, ma
avevo esitato troppo lungo. Mi premeva da altrettanto tempo la
necessità di sapere, e non m'importava che fossero state ore giorni
o settimane. Io dovevo sapere.
Fortunatamente
avevo a che fare col senpai Kuno, altrimenti non credo mi sarebbe
andata altrettanto liscia, con qualcuno così vicino al consiglio.
Un
lampo di comprensione gli attraversò il viso. Parlò con voce
mielosa da far ribrezzo. «Ah, ho capito di cosa parli, ma mi spiace,
sono vincolato a mio padre. Non ne posso parlare con nessuno.»
Avevo
previsto anche questo e così mi preparai a far leva sul debole che
lui aveva per me. Pensai che mi sarei odiata per tutta la vita per
una cosa del genere, ma...
Presi
fiato per parlare quando suonò la campanella, che indicava l'inizio
delle lezioni.
«Ah,
sarà meglio andare.» Continuò Kuno. «Riguardo questo discorso,
come ho già detto non posso rivelarti tutto, ma mio padre ritiene
necessario farti alcune delucidazioni. A dopo mio bocciolo di rosa.»
Se
ne andò col suo tono enfatico, mentre io rimasi lì un poco
inebetita. Non sapevo che significato dare alle sue parole, ma
innanzi tutto non avevo fatto alcun passo avanti, pensavo mentre
muovevo passi veloci in direzione della mia classe.
Cosa
voleva ancora da me suo padre? Ne avevo abbastanza di tutti i Kuno,
pensai con falsa ironia, per celare a me stessa la piccola
apprensione che minacciava di dilagarmi.
Quando
arrivai di fronte la mia aula non ricordavo minimamente come ci ero
arrivata, ma espirai di sollievo quando vidi che il professore non
era ancora arrivato.
Presi
posto accanto a Yuka, salutandola. Ma non facemmo in tempo neanche a
cominciare a parlare che entrò il professore, facendo prendere a
ognuno il proprio posto.
Ci
alzammo quasi all'unisono in piedi per il saluto e ci risedemmo con
meno ordine.
Le
lezioni corsero veloci, senza che io le seguissi veramente. Sapevo
già che mi sarebbe costato più studio a casa, ma proprio non ce la
facevo. Scarabocchiavo distrattamente sul quaderno di storia.
Disegnavo linee, che poi si curvavano su stesse o si spezzavano,
seguendo la canzone che avevo sentito quella mattina alla radio
mentre mi vestivo e che ora avevo in testa.
Quando
squillò la campanella della pausa pranzo tirai un sospiro di
sollievo e presi il bento che avevo portato da casa. Non feci neanche
in tempo a prendere le bacchette, che mi si fiondò quasi addosso
Sayuri.
«Dai
Akane! Il pranzo lo mangi dopo. Vieni, corri.» Mi strattonò per una
mano facendomi alzare.
«Che
succede?» Dissi fermandomi, ma intanto Yuka da dietro cominciò a
spingermi sulla schiena.
«Tu,
cammina. Te lo raccontiamo mentre andiamo.»
Ci
incamminammo per i corridoi pieni di studenti, come al solito durante
l'ora di pranzo. Sayuri si girò verso di me con occhi
entusiasti.«Allora, devi sapere che stamattina ho incontrato mia
cugina, la senpai Kachiyo...»
«...Quella
dell'ultimo anno.» Completò Yuka.
«Mi
ha raccontato che oggi in classe sua sarebbe arrivato un nuovo
studente...»
«...E
che sapeva che è un bellissimo ragazzo.»
Finirono
di nuovo completandosi le frasi. Mi misi una mano in fronte. «Oh
ragazze. Tutto questo solo per uno nuovo? Ma voi siete pazze.» Dissi
ridacchiando con loro.
«E
poi che ne sa la senpai che è bellissimo quest-» Yuka mi interruppe
quando fummo arrivate davanti a una classe. Sbirciò dentro l'aula
con discrezione e poi incitò anche me e Sayuri a farci avanti.
Nella
classe non c'era quasi nessuno, a eccezion fatta per Kachiyo, qualche
sua amica e tre ragazzi. Al centro dei quali ne spiccava uno. Ma non
perché fosse più alto o particolare.
Il
mio respiro si bloccò con il resto del mio corpo che si avviava
all'interno della stanza con le mie amiche. Egli spostò il suo peso
da un piede all'altro, dandomi la sensazione di averlo fatto a mia
volta, tanto era forte l'intensità con cui lo fissavo. Mi chiesi se
riusciva ad avvertirlo sulla pelle il mio sguardo.
La
luce del sole filtrava forte dalle finestre e gli illuminava il
profilo sinistro del corpo, in contrapposizione con la luce
artificiale delle lampade, delineando l'appena visibile sagoma dei
muscoli sotto la divisa scolastica. Sottolineando le pesanti ombre
che aveva sugli occhi color notte, che serpeggiavano disinteressati
per la classe, passando su di me, ma senza realmente vedermi.
Nonostante ciò riuscì a trapassarmi da parte a parte con la sua
presenza, perché pressoché impossibile.
Chiusi
gli occhi quasi temendo fosse un sogno. Ma quando li riaprii lui era
ancora là e stavolta aveva l'attenzione dirottata sui suoi compagni,
che gli avevano rivolto una domanda. Pensai che il suo volto era
talmente familiare che avrei potuto disegnarlo.
Uno
dei suoi amici gli disse qualcosa all'orecchio indicandomi con gli
occhi, lui alzò lo sguardo su di me e mi inchiodò lì sul posto.
Nel
suo sguardo baluginò un'emozione che non riuscii a riconoscere.
Arretrai di un passo, presa da un panico irrazionale e mi accorsi di
essermi portata una mano davanti alla bocca solo quando sentii il mio
stesso respiro sulla pelle.
I
suoi occhi erano ancora là, ma non più incatenati nei miei, erano
appena increspati da una risata spensierata.
Quella
visione mi scioccò ancora di più. Solo in quel momento mi venne il
dubbio che quel ragazzo fosse solo assurdamente simile a Ranma.
Ranma
non era spensierato, o almeno non lo era quando lo avevo conosciuto.
Questo ragazzo non aveva il suo cipiglio, era rilassato. Non aveva il
suo sguardo quasi da folle, dai suoi occhi non trasudava tormento, né
tanto meno sembravano in preda alle fiamme.
Solo
in quel momento riuscii a tornare a respirare, dovevo essere
diventata viola per l'apnea.
Fortunatamente
le mie amiche non si erano accorte del mio momentaneo blocco mentale,
si erano tranquillamente avvicinate alle senpai per chiacchierare.
Mi avvicinai anch'io con passo malfermo, ma con lo sguardo che sperai
fosse impassibile.
Nel
frattempo i ragazzi si alzarono per uscire dall'aula, sfilandomi
accanto uno per uno. Non capivo perché ridevano guardandomi, ma il
quesito passò subito al secondo piano perché mi passò accanto
anche il ragazzo identico a Ranma.
Il
suo odore, così familiare perché rievocato più e più volte, mi
colpì con tale intensità da stordirmi.
Non
avevo dubbi, era il suo odore. Ricordavo molto bene l'ultima
volta che l'avevo sentito così bene, i nostri visi erano talmente
vicini che avevo sentito il suo respiro caldo sugli zigomi. L'avevo
trovato sia dolce che amaro, sapeva di buono, di terra e di foresta.
Era
proprio come allora, il suo profumo non era cambiato.
Era
impossibile che quella fosse un'altra persona, ma allo stesso tempo
era impossibile che lo fosse.
«Scusate
ragazze, ma devo scappare in classe.» Uscii di fretta dall'aula,
senza preoccuparmi di un loro cenno.
Dovevo
cercare Kuno, non aveva forse detto che aveva da farmi “alcune
delucidazioni”?
Mi
misi a correre verso la classe del senpai, ignorando le ammonizioni
dei professori e dei bidelli.
Lo
trovai a metà strada, ringraziando il cielo. «Kuno, cos'era che
devi dirmi?»
«Ah,
Akane Tendo.» Disse coi suoi occhi lupeschi. Per un attimo temetti
che fosse uno dei suoi stupidi trucchetti per abbordare, ma dovetti
ricredermi.
«Devo
spiegarti, molto sinteticamente cos'è successo in queste settimane.
In pratica il gemello maschio deve subire una sorta di cambiamento
prima del rituale, affinché esso abbia effetto.
Mia
sorella ha predetto le circostanze in cui sarebbe avvenuto. In
pratica nel suo stato non era possibile un cambiamento del genere in
breve tempo, così abbiamo solo assecondato le sue profezie.
Ci
ha descritto le circostanze in cui lo vedeva cambiare nel futuro e
noi le abbiamo ricreate, ecco tutto. Quindi non ti spaventare se lo
vedi bazzicare qui intorno... Ah, ecco, lo abbiamo indotto in
un'amnesia, perciò non si ricorda del suo passato. Non deve avere
ricordi di Nerima.»
«Co..sa?»
Non riuscii a far uscire nient'altro di più eloquente. Per una volta
mi sentii stupida in sua presenza.
Ripresi
in un attimo lucidità, ma non prima di essermi lasciata sfuggire un:
«Si ricorda di me?»
Stupida!
Ovvio che no! Ha detto che non ha alcun ricordo di Nerima, tu e lui
non vi siete visti in altri posti. Idiota!
La vocina infuriata nella mia testa non accennava a smettere di
urlare. Avevo buttato al vento il mio orgoglio, cosa che in queste
settimane accadeva fin troppo spesso.
Kuno
mi guardò con occhi sospettosi. «Direi di no. L'ultima cosa che
ricorda è di essersi svegliato 10 giorni fa in ospedale. Certo, a
meno che non vi siate visti durante quei giorni, dubito che ti
conosca. Ma che importa? Non siete stati insieme sì e no due giorni
prima che lo prendessimo?»
Colpita
e affondata. «Si, scusa, non ha importanza.» Sorrisi. «Grazie
per... Ehm, ci vediamo!»
Mi
girai per andarmene e per una volta non mi seguì.
Mi
aveva rivolto le stesse domande che mi ero fatta per giorni interi.
Ormai mi suonavano come una qualche stupida domanda retorica, che non
aveva bisogno di una risposta.
Già,
che importa.
Due
settimane prima circa: 22 settembre.
“Chi
avrebbe pensato che sarebbe finita così? Ma tutto ciò di cui
avevamo parlato è andato e l'unica possibilità che abbiamo di
ripartire era provare a riprenderlo prima che tutto andasse male.
Prima del peggio, prima che ci
incontrassimo.”
Who
would have thought it would end up like this? But everything we
talked about is gone and the only chance we have of moving on was
trying to take it back before it all went wrong. Before
the worst, before we met.
[The
script – Before the worst]
In
quel posto la mia vita sembrava scandita dall'andamento dei miei
pensieri, poiché il tempo non esisteva più. Di nuovo.
La
cosa che mi mancava di più?
Probabilmente
il vento sul viso.
Non
sapevo quanti giorni erano passati da quando mi ero svegliato in
quella cella odiosa, ma rischiavo la pazzia già da quando erano
passati pochi minuti.
La
cosa che mi mancava di più?
Probabilmente
la risata di mia sorella.
Era
insopportabile sentire i suoi singhiozzi a un metro da me e non poter
fare niente. Sporgendo sia il mio che il suo braccio dalle rispettive
sbarre, eravamo riusciti a prenderci per mano. Ero arrossito per il
gesto, ma il calore del contatto con lei aveva comunque raggiunto il
cuore.
La
cosa che mi mancava di più?
Probabilmente
la luce del sole.
Ogni
tanto, energie permettendo, allenavo i muscoli. Poteva sembrare
stupido da fare in quel momento, ma avevo il terrore di ammuffire in
quel posto. C'era puzza di chiuso, ma talmente tanto da diventare
tanfo, le pareti erano tutte grigie e l'aria era fredda, umida e
ferma.
La
cosa che mi tormentava di più?
La
mia confusione.
Non
avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo. Era frustrante.
Era... così, ti lasciava senza parole. Mi rimanevano bloccate in
gola perché era angosciante. Metteva paura. Sarei morto là dentro?
Ma
per fortuna il tempo torna a scorrere per tutti.
Stavo
dormendo, o meglio avevo gli occhi chiusi ed ero sdraiato per terra.
La mia attenzione venne attratta da un basso mormorio e rumore di
passi. Non poteva essere uno di quelli che ci portavano da mangiare,
perché i passi erano troppi.
«Ryoga!
Shinnosuke!» La voce squillante di mia sorella mi fece
definitivamente aprire gli occhi, mi trascinai a quattro zampe alle
sbarre e mi affacciai. Davanti la cella di Ranko c'erano quattro
persone. Una di quelle intimò a bassa voce silenzio a mia sorella e
disse qualcos'altro.
Ranko
uscì dalla prigione e si abbracciò con uno dei quattro, spalancai
la bocca per la sorpresa. Il gruppo si avvicinò alla mia cella e io
arretrai verso il muro opposto.
«Sta
tranquillo, vogliamo liberarvi. Vi spiegheremo tutto una volta fuori
di qui.» Disse una ragazza quando alzò gli occhi sui miei. Quello
sguardo agitò, non delle farfalle, ma dei chiodi nel mio stomaco.
Quegli occhi, lucenti alla luce fioca delle torce che si erano
portati dietro, avevano popolato i miei ultimi 3 sogni.
Prima
che potessi andare in iperventilazione, mi accorsi dei tratti
leggermente più affilati del viso, delle labbra più piccole e dei
capelli più chiari e corti.
La
ragazza aveva già distolto lo sguardo per armeggiare con la
serratura.
Non
era decisamente Akane, ma era molto simile a lei. Sussultai.
Con
uno schiocco sonoro aprì la cella. Con lei c'erano anche Ryoga,
Shinnosuke, un tizio che non conoscevo e Ranko. Mi si strinse il
cuore alla vista di mia sorella.
«Ok,
lasciamo a quando saremo fuori di qui i convenevoli. Seguitemi.» Si
mosse con cautela verso la destra del corridoio, facendoci cenno con
la mano di seguirla. Mi sfilarono tutti accanto per seguirla e io
chiusi la fila.
Quel
posto doveva essere un labirinto, facemmo parecchia strada per
raggiungere l'uscita. Traguardo che sfortunatamente, io non conobbi.
Si
attivò l'allarme e subito ci circondarono delle abbaglianti luci
rosse. La ragazza a capo fila imprecò a voce alta. «Merda...
Correte!»
Corremmo
a perdi fiato, ma sempre più passi si aggiungevano alle nostre
spalle. Mi girai un istante e vidi una decina di uomini alle nostre
calcagna. Diritto di fronte a me un'enorme porta che dava su un
paesaggio notturno si stava chiudendo. Accelerai la corsa, ma Ranko
davanti a me dava i primi cenni di cedimento e rallentava. Non sarei
uscito di lì senza di lei, quindi rallentai il passo al suo senza
superarla.
La
ragazza con gli occhi di Akane riuscì ad uscire. Uscì quello che
non conoscevo. Uscì Shinnosuke. Uscì Ryoga. Ranko era accanto a me
e la porta era quasi chiusa. Con un ultimo scatto avrei potuto
farcela, ma utilizzai quelle energie per salvare mia sorella.
Le
sussurrai in un orecchio. «Ti voglio bene.»
Non
le diedi il tempo di guardarmi confusa, la afferrai per la vita e con
un grande sforzo la lanciai in direzione dello spiazzo aperto. Male
che va, pensai, si sarebbe solo schiantata contro la porta chiusa.
Ma
per fortuna la vidi atterrare di pancia sul prato rotolando un poco e
girarsi subito dopo verso di me con terrore.
Le
porte si chiusero. Mi ci schiantai io contro quelle, ma sentii una
costola scricchiolare solo quando si schiantarono addosso a me le
guardie che si erano lanciate al nostro inseguimento.
Trattenni
un gemito mentre ne sentii una dire. «Bene, ora dicci tutto quello
che sai.»
|
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Capitolo 11 *** Il tepore del sonno. ***
cap. 11
Due
ottobre.
Non
ricordo il momento che ho cercato di dimenticare. Mi sono perso, si,
è meglio che non venga rivelato. Adesso sono più vicino al limite.
“I
don't remember the moment I tried to forget. I lost myself, yes, it's
better not said. Now I'm closer to the edge.”
[Closer to the Edge - 30 Seconds to Mars]
«Mmff...»
Fu
tutto ciò che riuscii a esprimere quando suonò la radiosveglia. La
misi a tacere con un pugno e il tepore del sonno ricominciò ad
avvolgermi.
Dopo
cinque minuti ripartì a tutta carica, più alta e penetrante di
prima a mio parere.
«Mmm...
'apito. Ho capito» Farfugliai al fastidioso oggetto. Stavolta la
presi e aprendo un occhio solo, misi la sveglia su “off”.
Mi
trascinai a sedere sul letto e con i piedi ancora caldi saggiai il
parquet. Ripoggiai la radiosveglia sul comodino e nascosi il viso
tra le mani. Mi strofinai la faccia e aprii gli occhi con lentezza,
grattandomi infine il naso.
Battei i palmi sulle cosce, andai a
scostare le tende e aprii la finestra. Inspirai soddisfatto l'aria
mattutina, non ancora del tutto sveglio e consapevole di me stesso.
Per questo amavo il tepore del risveglio, era come un caldo abbraccio
che, finché non ti lasciava, non t'importava di ciò che la giornata
prospettava.
Strusciai
i piedi fino in bagno e, facendo attenzione a non guardarmi allo
specchio, mi preparai per l'impatto con la realtà, non ancora del
tutto pronto a farmi lasciare dal tepore del sonno.
Presi acqua in
abbondanza con le mani a coppa dal rubinetto e senza preoccuparmi
degli schizzi mi ci immersi col viso. Solo
a quel punto azzardai ad alzare lo sguardo sul mio familiare, ma
sconosciuto riflesso.
Familiare perché era l'unica cosa che, una
volta aperti gli occhi all'ospedale, sentissi mia e che riconoscessi
come me stesso.
Sconosciuto
perché c'era qualcosa. Era nei tratti del viso, nella forma del naso
e della bocca, nella luce degli occhi, nello sguardo e nelle
espressioni. Un particolare che non riuscivo a inquadrare, ma che
sentivo che era importante ricordare.
Come
ogni mattina cercai di ricollegare qualcosa, qualunque cosa, ma
niente. Mi sentivo così vuoto, avevo solo undici giorni di memoria.
Mi
concentrai.
Ascoltai
le goccioline d'acqua che mi scendevano dal viso infrangersi sul
lavandino, il mio respiro lento e profondo e dei rumori estranei
provenienti da fuori la finestra.
Mi
riapparve il viso della ragazza del giorno prima, con mia sorpresa.
Il
fatto strano non era tanto che l'avevo sognata quella notte, quanto
piuttosto come l'avevo sognata. Avevo avuto una specie di flash che
più che un sogno sembrava un ricordo. In quel “sogno” era molto
vicina, in un'angolazione mai vista. E in sottofondo c'era un battito
sordo, che cresceva sempre più di intensità. Sembrava un cuore, ma
non capivo se era mio o suo. A quel punto mi ero svegliato.
Comunque
non riuscivo a estrarre nient'altro da quel garbuglio della mia
mente. Ma se quella ragazza avesse avuto a che fare con me? Non ero
riuscito ad arrivare a sapere nulla. A parte la signora proprietaria
del mio appartamento in affitto, che aveva detto di sapere solo che
mi ero trasferito da poco, non avevo conosciuto nessuno che mi
conoscesse. Non era strano che nessuno mi cercasse?
Oddio,
che casino. Cosa potevo fare? Andare da quella ragazza a dirgli:
“senti che per caso mi conosci?”?
Il
mio sguardo cadde sull'orologio del cellulare, che avevo in mano,
trovando così una distrazione. Dai
Ranma, che fai tardi. È scuola, quella la puoi affrontare no?
«No,
cazzo!» Imprecai a denti stretti mentre il professore di storia
fissava un compito in classe per il giorno dopo.
La campanella suonò e ricevetti uno scappellotto da Daisuke.
«Ehi,
Ranma, ma che linguaggio scurrile. Datti un contegno, siamo a
scuola!» Fece sarcastico, scatenando le risate di Hiroshi, accanto a
lui.
Ghignai.
«Ah, certo. Perché tu invece hai studiato in questi giorni, no?
Quindi sei prontissimo per domani.»
Alzò
un sopracciglio, pensieroso. «Mmm, vediamo... No, non lo sono. Ma
non quanto te, Ranma! Perché oggi pomeriggio studierò!»
Risi,
insieme a Hiroshi, che disse: «Si, come no! Studierai come hai detto
che avresti fatto ieri, l'altro ieri, il giorno prima, il giorno
prima ancora-»
Daisuke
lo interruppe, agitando le mani in aria in segno di resa. «Va bene,
va bene! Avete vinto voi!»
Il
professore raccolse le sue cose e uscì dall'aula per godersi anche
lui la pausa pranzo. Qualcuno circondò le mie e le spalle di
Hiroshi.
«Allora,
Ranma, oggi da chi scrocchi il pranzo?» Fece Fukuya con la sua
solita aria da scaltro.
Mi
scrollai di dosso il suo braccio. «Tsk, da nessuno.»
«Vuoi
forse dirmi che oggi è uno degli apocalittici giorni in cui lo
porti!?»
Feci
una smorfia. «Ah-ha. Sei simpaticissimo.»
Sviai
la domanda, per non far capire che in realtà non lo avevo.
Vivevo
a casa da solo, perché ero maggiorenne, ma con queste "cose" non me la
cavavo, non mi ricordavo neanche di prepararlo, figuriamoci farlo
realmente. Di comprarlo poi, non ne parliamo neanche. In casa avevo
un po' di soldi, ma a quanto pare mi ero trasferito da talmente poco
da non aver trovato neanche un lavoro. Risparmiavo quanto potevo e in
più il fatto che dimenticassi accidentalmente di comprare cose come il pranzo,
aiutavano nell'intento.
Infilai
le mani in tasca.
Daisuke
diede gomito a Fukuya. «Ah! Sai che Ranma si è trovato un'altra
ammiratrice?»
«Ranma,
hai stufato! Chi ci ha provato stavolta?»
Sbuffai.
Diciamo che avevo un “discreto” successo tra le ragazze della
scuola. Ricevevo bigliettini anonimi nella scarpiera, per i corridoi
mi seguivano non pochi risolini e le più temerarie ci avevano
provato “apertamente”. Sinceramente, la mia vita sembrava già
un casino ora, figurarsi con una ragazza pressoché sconosciuta come
fidanzata.
Rispose
Hiroshi per me. «Non sai come lo fissava! Praticamente lo mangiava
con gli occhi!»
Ridemmo
e poi continuò. «Ma il bello è che questa ragazza è Akane Tendo!»
Akane.
Qualcosa dentro di me sussultò. Il suo nome sibilava nella mia
mente, provocandomi quel leggero mal di testa che avevo avuto quando
la avevo vista in classe.
Provavo
una sensazione strana riguardo quel sostantivo. Non quella di quando
ne ascolti uno nuovo, ma piuttosto di quando te ne ricordi uno che
avevi sulla punta della lingua. Una sorta di soddisfazione e
certezza.
I
miei amici mi riscossero da quelle inquietanti congetture.
«No!
Aspetta, parli di quella del quarto anno?»
«Si!
Incredibile no? Per quanti ragazzi ha rifiutato cominciavo a pensare
fosse lesbica! Ma dopo ieri-»
Hiroshi
fu interrotto da un pugno in testa di Fukuya. «Non dire queste cose
di Akane-chan in mia presenza!»
«Ah,
sei un fesso!» Ribatté l'altro.
«Ma
state parlando della ragazza di ieri, quindi?» Li distrassi da
quella che poteva diventare una bella zuffa.
«Si!
Quanto ti invidio, Ranma!»
La
vidi per la seconda volta nella mia vita – a quanto ricordassi –
appena fuori da scuola, per andare a casa pensai. Molleggiai un po'
sui piedi preso dall'indecisione. Alla fine mi lanciai verso la sua
figura con un po' troppo slancio, fermandomi all'ultimo momento e
urtandola.
«Ehi,
stai più atte-» Le morirono le parole in gola mentre si girava
verso di me.
Senza
rendermene conto legai il mio sguardo al suo e mi ci persi. Era
differente sia dalla sensazione di ieri, sia da quella di stamattina
che da quella a pranzo. Per un attimo non sentii più me stesso, o
meglio sentii di non essere il foglio bianco che ero da qualche
settimana. Sentivo di appartenere a quel luogo che si srotolava
immenso nella mia mente, ma talmente lontano e veloce a svanire che
ebbi la sensazione di correre. Se non per prenderlo per toccarlo. Ero
un passo, sentivo quasi il peso dei ricordi che stavo riacquistando,
quando una feroce emicrania mi assalì.
Di
riflesso mi toccai la fronte. «Ah...»
Akane
Tendo sembrò riprendersi. «Ehi, ti senti bene?»
Con
la stessa velocità con cui mi ero fiondato da lei, mi ripresi, con la sensazione di quando metti i piedi per terra dopo un gran
volo.
«Si.»
Tenni la mano sulla fronte. Il mal di testa era ancora lì, ma almeno
c'ero pure io. «Si, sto bene.»
Corrugò
le sopracciglia, provocandole un'espressione stranamente tenera e che
mi fece arrossire lievemente. «Ok...»
Si
girò per andarsene. No! Non le avevo ancora parlato!
«Ehi,
aspetta! Senti che per caso mi conosci?» Rimasi sbigottito da solo.
Non erano forse le parole di cui avevo riso stamattina? Dio,
Ranma. Stai pesantemente male. Rincoglionito.
Si
girò verso di me con un'espressione tra il divertito e... lo
spaventato?
Fece
una risatina nervosa. «Ma cos'è? Un modo per rimorchiare?»
Ma
bravo Ranma. Continua pure a fare le tue belle figure.
«N-no!
Cioè... no! Cosa dici? Ah, voi donne pensate sempre male!»
Alzò
un sopracciglio, irritato. «Sentiamo, allora cosa dovrei pensare di
una frase come la tua?»
Mi
prese in contropiede.«Beh...Che... Che sia la verità!»
Finii
non troppo soddisfatto di me stesso.
«Certo,
certo.» Si girò per andarsene. Era malinconia quella che avevo
visto?
La
raggiunsi e poi rallentai il passo al suo. Mi guardò di sottecchi.
«Che stai facendo?»
«Sto
andando a casa non posso?»
«Beh,
non hai mai fatto la strada con me.»
Già,
stavo allungando un bel po', ma non ce la facevo a lasciarla andare
così.
Feci
spallucce. «Non mi avrai notato.»
Sentivo
una sorta di confidenza e cameratismo tra noi che tra due sconosciuti
non dovrebbe esserci. Stavo con lei solo perché sembrava nascondermi
qualcosa. Solo per quello.
Sospirò
rassegnata.
Tornò
il silenzio come terzo incomodo tra noi. Mi accorsi che mi piaceva
bisticciare con lei. Non riuscivo a non assumere un tono canzonatorio
per parlarle.
«Ti
chiami Akane Tendo, giusto?»
«Si..»
Sospirò pizzicandosi la parte superiore del naso. «...Puoi
chiamarmi solo Akane se vuoi.»
Ma
perché dal suo tono sembrava una concessione? Stupida,
criptica ragazza, perché mi confondi?
«Allora...
puoi chiamarmi solo Ranma... se vuoi.»
Già.
Solo Ranma. Cos'altro ero? Da troppo tempo mi ripetevo che ero solo
un nome e nient'altro. Eppure quando ero vicino a lei sentivo di
avere qualcos'altro. Alle spalle. Nascosto lì da qualche parte, che
non voleva essere trovato.
Arrivati
di fronte casa sua ci salutammo con un cenno della mano e me ne andai
subito. Attanagliato dalla fame correvo a casa a raccogliere qualche
soldo per comprarmi da mangiare.
Quella
sera avrei aspettato come in ogni altra il tepore del sonno
avvolgermi. Ma non avrei avuto così paura di lasciarlo, la mattina
dopo.
Ehi!!
Per perdonarmi del ritardo dell'altro capitolo vi ho scritto questo
fresco fresco e tutto alla Ranma! Forse non succede molto, ma è comunque abbastanza carino
credo. Volevo solo presentare questo “nuovo” Ranma, che tanto
nuovo non è!
Perdonatemi
per il linguaggio un po' volgare, ma volevo ricreare l'atmosfera che
si ha tra i banchi di scuola e si sa tra amici le imprecazioni
scappano veramente spesso, ma comunque il coso è arancione quindi
chi legge sa che non si può lamentare su questo! :P
Passiamo
a rigraziare:
verycoc:
Grazie per la recensione! Sono contenta che ti abbia preso così la
storia. Ti prometto altri colpi scena, ma su alcune cose dovrai
aspettare non poco per saperle ;) Spero saprai perdonarmi!
Rafxsulfusxsempre:
Ehi ciao! Grazie per il
commento! Mi spiace, ma è proprio quello che successo, Ranma ha
dimenticato tutto come puoi vedere... Perdonami anche tu!! XD
caia:
Ehilà! Spero che continuerò
ad alimentare la tua curiosità, perché è solo con la curiosità
dei lettori che le fic vanno avanti :)
apochankenshiro:
Ciao Federica! Spero che ti
vada meglio con tutto quel casino del computer e ti ringrazio del
tempo che lasci alle mie storie da pazzi XD
Sono
contenta che ti sia piaciuto il capitolo, per la cosa di Kuno (se ho
inteso bene quello che volevi dire) non doveva essere esauriente, al
contrario doveva dare meno particolari possibili alla ragazza, ma
siccome parla sempre un po' romanzato si è lasciato leggermente
andare (non so se mi sono spiegata :S)
Mando
un bacio a tutti e a presto!
Sakura*
|
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Capitolo 12 *** Distogli la mia mente. ***
Cap. 12
22
settembre.
Scomparendo
lentamente, sei perso e così spaventato.
Dov'è la speranza in un mondo tanto
freddo? Cercando
una luce distante, qualcuno
che possa salvare una vita, vivendo nella paura che nessuno sentirà
i tuoi pianti.
Slowly
fading away, you're lost and so afraid. Where is the hope in a world
so cold? Looking for a distant light, someone who can save a life,
living in fear that no one will hear your cries.
[Red
- Not Alone]
Il
fuoco scoppiettava e mutava forma, inconsapevole della sua bellezza.
Bastava un piccolo soffio di vento per farlo contorcere e vorticare
su se stesso. Una brezza poco più forte lo spinge piegandolo,
spazzando via un poco del suo calore e facendomi rabbrividire.
Strinsi
più forte le gambe al petto, incurante dei capelli che mi erano
ricaduti sugli occhi. Meglio così, pensai, nascondevano le stupide
lacrime che ancora lasciavo scorrere copiose e silenziose. Sei una
piagnucolona, distolsi lo sguardo, ormai del tutto oscurato dalla
frangia, dal fuoco e nascosi il viso tra le ginocchia.
Si,
lui mi avrebbe rimproverata prendendomi in giro, ribadendo qualcosa
sul fatto che bisogna essere uomini. Io gli avrei fatto notare il
fatto che ero una donna e così avremmo dato via a un bel battibecco.
Uno di quelli che si concludono con una linguaccia, oppure con una
risata.
Strinsi
con forza le dita intorno alle gambe e mi morsi il labbro, per
soffocare il sussulto che cercava di sopraffarmi e strapparmi qualche
gemito.
Una
mano calda, gentile sciolse con dolcezza la morsa sulle mie sulle
gambe. Prima una, poi l'altra. Poi con entrambe le sue mani guidò le
mie in un abbraccio tiepido. Fu a quel punto che un singhiozzo mi
scappò dalle labbra.«Ssh. Tranquilla.»
La
sua voce roca sfiorò le mie ferite ancora sanguinanti come acqua
ossigenata, le sentii scoperte e pulsanti nel petto. Mi si spezzò il
respiro. Boccheggiai in cerca d'aria e cercai di allontanarlo, ma lui
mi strinse più forte.
«Sfogati,
Ranko. Nessuno ti sta biasimando.» Disse Ryoga con un soffio.
«Ma...»
Ma, congiunzione avversativa. La mia intera vita era chiusa in
quel monosillabo, era il suo riassunto. Continui ripensamenti. Mai
una scelta seguita fino alla fine.
Strinsi
i pugni sul suo petto. Stavolta avrei stretto i denti. Per una volta
volli sentirmi al livello di mio fratello. Forte come lui.
«Lasciami.»
Cercai di allontanarlo facendo forza sui pugni. Ma lui strinse ancora
di più la stretta con cui mi ancorava al suo petto.
«Io
so perché fai così. Lasciati dire che non ce n'è bisogno e che non
ha senso.» Sempre sussurrando.
Ringhiai
tra i denti per nascondere la voce spezzata. «Ho. Detto. Lasciami.»
Stava
diventando troppo intimo quell'abbraccio. Abbatteva tutti i muri che
avevo cercato di erigere in quel preciso istante.
Spostò
le mani dalla mia schiena al viso, alzandolo per puntarmi negli
occhi. «Fa male trattenersi. Il dolore si accumula e non lo affronti
più. Ne abbiamo già parlato e ti ho già promesso che ti avrei
sempre rialzato da terra, ricordi?»
Il
sorriso che seguì a quelle parole fece cadere altri goccioloni dai
miei occhi. Ripensavo a un'adolescente che sentiva che non le mancava
quasi nulla, grazie agli stessi occhi e allo stesso sorriso che avevo
davanti. Cercai di guardare altrove, ma la presa sul mio viso era
ferrea.
«Ranma,
lo farebbe. Non mostrerebbe il proprio dolore neppure a se stesso.
Lui è forte. Voglio esserlo anch'io.»
Ryoga
sbuffo forte dal naso. «Infatti tuo fratello sbaglia. È un
vigliacco se rifugge così al dolore. Ma non lo hai visto? È
logorato.»
Mi
accigliai. Lo fissai un attimo negli occhi, mentre ripensavo alla
stessa considerazione che avevo fatto io sul volto sfinito di mio
fratello. Era... Logorato? Beh, ma di certo non doveva parlare così
di lui. Ranma aveva...
Lo
colpii in pieno sullo zigomo destro, così improvvisamente che sembrò
immotivato, lasciandogli un'espressione tra l'incredulo e il confuso.
Allentò la presa sul mio volto, consentendomi di allontanarmi, ma
non lo feci. Passai lo sguardo da lui al pugno chiuso, sentendo un
improvviso fervore pervadermi. Un tremito mi prese dalla punta dei
capelli fino alle unghie dei piedi. Ora capisco perché fai sempre
a botte, Ranma. Chiusi anche l'altra mano.
«Ranko!
Che ti prende?!» Fece schivando il secondo colpo.
«Ranma
non è un vigliacco! Ha salvato me invece che se stesso!»
Cercai
di metterne altri a segno, ma si spostava sempre all'ultimo istante.
Cominciai a emettere un ringhio liberatorio a ogni colpo che
lanciavo. Sentivo le energie scorrermi forte nelle vene. Le sentivo
pulsare e liberarsi. Disperdersi, ma mai finire. Sentivo le lacrime
che continuavano scorrere sul mio viso, così strinsi i denti e
infusi tutta la forza che avevo per fermarle.
Il
volto di Ryoga, ancora sconcertato, prese una sfumatura severa.
«Basta così, Ranko. Smettila.»
«No!»
Cercai di sembrare autoritaria, ma uscì come un singhiozzo.
Con
un ringhio più forte caricai un pugno per colpirlo in faccia di
nuovo, ma mi bloccò il polso. Presa dalla rabbia caricai
maggiormente l'altro, facendomi bloccare anche quello. Cominciai a
tiragli calci sulle gambe.
«Basta,
Ranko!» In quel momento mi sentii come una bambina che faceva i
capricci. Mi vergognai molto. Smisi di scalciare e rilassai le
braccia abbassando lo sguardo.
Passarono
dei lunghi istanti e ascoltai il suo respiro, qualche bisbiglio tra
gli altri, lo scoppiettio del fuoco, il gracchiare delle foglie.
Ryoga mi accompagnò le braccia fino ai fianchi, poi con un dito mi
alzò il viso. «Tutto bene?»
Esitai
un attimo prima di rispondere. Passando lo sguardo da un occhio
all'altro. Sentii il mio labbro inferiore tremare.«No.»
Lo
abbracciai e cominciai a piangere forte, lacerandomi i polmoni con i
singhiozzi. Ma lasciando l'anima intatta.
27
novembre
Spesso
è gentile, e improvvisamente crudele. Può fare come preferisce, non
è la stupida di nessuno, ma non può essere condannata, si è
guadagnata il suo grado e al massimo getterà ombre su di te, ma per
me sarà sempre una donna.
She
is frequently kind, and she's suddenly cruel. She can do as she
pleases, she's nobody's fool, but she can't be convicted, she's
earned her degree and the most she will do is throw shadows at you,
but she's always a woman to me.
[Billy
Joel – She's always a women]
«Buona
idea la bicicletta!» Dal tono della sua voce capii che stava
sorridendo.
«Già.
Vedi fa parte di un piano diabolico e finemente articolato.» Sorrisi
a mia volta.
Col
dito affilato mi punzecchiò il fianco. «Stavolta cos'hai in mente?»
Frenai
a un incrocio e la treccia alzatasi al vento mi ricadde sulla
schiena. «Beh, vedi...»
Ripartii
una volta essermi assicurato che non passavano macchine. La prima
pedalata, come sempre fu la più dura, ma poi le altre le vennero
dietro morbide.
«A
causa di questa spesa “imprevista” - la bici - dovrai rinunciare
alla ricca colazione che ti pago tutte le mattine, per un po'. È
come una dieta, che aiuterà me e la bicicletta. Perché col tuo peso
piuma non solo rischi di romperla, ma rischi di rompere pure le mie
gamb-ahia!» Aveva trasformato la leggera punzecchiatura di prima in
forte pizzicotto appena sopra al fianco, dove la carne era più
sensibile. Probabilmente, pensai, mi sarebbe rimasto il segno.
«Ti
ricordo, che mi hai offerto tu il passaggio, stupido!»
Alzai
gli occhi al cielo. «Sei la solita donna violenta!»
Continuammo
a battibeccare così, mentre le braccia di Akane mi avvolgevano il
torace e in alcuni momenti poggiava la guancia sulla mia schiena.
Arrivati
di fronte casa sua ci salutammo naturali con la mano, come al solito
feci tesoro del sorriso che mi riserbò e poi ripresi la strada per
casa mia.
Inspirai
lentamente l'aria che mi sfilava sul viso e rallentai la pedalata.
Come
eravamo arrivati a questo punto? Non lo so. Non sapevo da quanto lei
avesse cominciato ad abbracciarmi con calore. Non sapevo da quanto
facessimo tutti i giorni la strada e la colazione insieme. Non sapevo
da quanto avessi scoperto di saper suonare la chitarra. Non sapevo da
quanto tempo sembravo normale. Anzi probabilmente si, lo sapevo, ma
non mi capacitavo del poco tempo che era passato.
Chiusi
la bicicletta di seconda mano nella cantina del condominio, infilai
le mani in tasca e salii su casa. Appena varcai la soglia mi resi
conto che non sapevo neanche da quanto non facessi il bucato. Storsi
la bocca e sospirai.
Scavalcai
una sottospecie di fusione tra una maglietta e una canottiera e
ignorai gli altri mucchi abbandonati sul pavimento. In camera buttai
lo zaino sul letto, mi chinai e da sotto di quello tirai fuori lo
strumento.
Lo
tenni un attimo in grembo osservandolo, assaporando le sensazioni che
mi trasmetteva. L'odore penetrante del legno mi rilassava e mi faceva
vivere un'atmosfera familiare.
Alzai
con lentezza calcolata la mano, per farle sfiorare con delicatezza le
corde che aspettavano di essere tirate al punto giusto.
Non
ero bravo a suonare, mi limitavo a fare accordi. Ma mentre li
lasciavo echeggiare per la stanza, sentivo di star parlando con
qualcuno. Il cuore si perdeva nei battiti. E io volavo.
Quel
giorno in cui ero capitato di fronte il negozio di musica e mi ero
incollato di fronte alla vetrina, fissando la chitarra dietro di
essa, non ero stato io a muovere i miei piedi. Fatto sta che ne ero
uscito con quella in mano – e a dirla tutta, anche col portafoglio
tristemente leggero.
Soddisfatto
degli accordi e della accordatura cominciai a canticchiare suonando
la melodia che avevo in testa.
Probabilmente
era l'unico pezzo di memoria che mi era rimasto.
La
amavo perché mi faceva sentire non anonimo.
Rimisi
con cura lo strumento sotto al letto e buttai uno sguardo
all'orologio.
«Oh!
No. No, no, no, no, no...» Tardi! Tardi! Accidenti se lo era!
Se arrivavo oltre l'orario di inizio del mio turno anche quel giorno
a lavoro, mi avrebbero licenziato. Tra l'altro mi ero prefissato di
dormire un po', perché anche ieri avevo avuto un orario notturno, ma
non avevo neanche il tempo di farmi una doccia. Oggi sarei crollato.
Acchiappai
la felpa, mi assicurai che avessi in tasca le chiavi, il cellulare e
il portafogli e mi fiondai all'ingresso per infilarmi le scarpe.
Ho
già detto che mi sembrava di vivere una vita normale?
È
tardi!
Sii
mio amico. Stringimi, avvolgimi, coprimi. Sono piccola, ho bisogno di
aiuto. Scaldami e respirami.
Be
my friend. Hold me, wrap me up, unfold me. I am small, I'm needy.
Warm me up and breathe me.
[Sia
– Breathe Me]
«Papà!
Stasera esco!»
Nessun
rumore. «Dove vai?»
Come
se ti importasse. Presi
il mascara e lo passai sulle ciglia, stando ben attenta a non
ficcarmelo nell'occhio – come era successo quella mattina stessa.
Concentrata
totalmente sul trucco risposi senza pensare. «Da Ranma, al pub.»
Sussultai,
rendendomi conto della mia stupidità e sbattendo sull'occhio con lo
spazzolino.
«Cazzo...»
Mormorai, sia per l'errore, che per l'occhio che ora strizzavo dal
dolore.
Chiusi
freneticamente il tubetto. «N-no, cioè...»
Scesi
le scale a due a due fiondandomi nella sala da pranzo. Mio padre era
là, proprio come lo immaginavo. L'espressione sbigottita e incredula
in contrasto con la sua posa calma. «Dove vorresti andare tu?»
Lo
sapevo. Era per questo che mi inventavo scuse ogni volta che volevo
fare un'uscita con le amiche la sera. Praticamente gli avevo detto
Vado a scopare con Ranma, a
bere e a drogarmi.
«Beh,
non è proprio un pub. È... un ristorante, si, è più simile a un
ristorante. Ranma lavora lì, stasera ha un turno e ci vado con le
amiche. Torneremmo presto.» Detta così sembrava decisamente più
innocente. Beh, era tutta verità, a parte “il ristorante”... e
il “torneremo presto”.
Rilassò
lo sguardo e per un attimo pensai di averla avuta vinta. Solo per un
attimo. «No, resti a casa.»
Strinsi
con forza la porta scorrevole, azzardando un passo indietro. «No.»
Dilatò
le narici al mio tono deciso, ma non si scompose. «Ti ho detto. Che
resti. A casa.»
Mi
vennero i brividi al solo pensiero di rinunciare alla serata per
stare con mio padre, il silenzio imbarazzante e la televisione.
Lasciai
la mano e mi girai, dirigendomi verso la porta. Mi sentii afferrare
le spalle con forza e mio padre mi girò verso di se. «Come ti
permetti di comportarti così con tuo padre!»
Lo
guardai storto, mi scrollai le sue mani dalle spalle e alzai la voce.
«Tu non puoi proprio parlarmi di modo e di comportamento... e sai a
cosa mi riferisco!»
Vidi
uno strano luccichio nei suoi e poi sentii solo il mio volto girarsi
di lato e il mio peso sbilanciarsi nella stessa direzione. I miei
neuroni combatterono per non trasmettere la sensazione di bruciore
sulla guancia e dell'impatto col pavimento. Le mie orecchie si erano
sforzate di non registrare lo schiocco che mi riecheggiava nella
testa. I miei occhi avrebbero voluto chiudersi prima che la mano
calasse sul mio viso.
Ma
arrivò, tutto insieme, sovrapponendosi e scioccandomi.
Non
mi alzai e rimasi seduta per terra. Con una mano mi carezzai la pelle
del viso dolorante, cercando di darle sollievo e consolarla. Non
alzai gli occhi a lui.
La
sua voce tremava. «M-mi dispiace, Akane. Ti giuro che non volevo,
i-io-»
Allungò
una mano verso di me. Gli rifuggii alzandomi di scatto, sempre
attenta a non incrociare i suoi occhi. «Non aspettarmi alzato.»
Mi
voltai e uscii.
«Certo
che sei proprio maldestra, Akane.» Disse Yuka passandomi il fondo
tinta che aveva nella borsetta.
Lo
afferrai. «Già.»
«Infatti.
Voglio dire, chi è così scemo da non vedere lo stipite della porta
e prenderlo in pieno?» Intervenne Hikaru, mentre io coprivo col
trucco il livido fresco che avevo sulla guancia.
Sentii
lo stomaco agitarsi e finsi una risata, che sembrò più un lamento.
Le mie amiche mi guardarono sospettose.
Chiusi
il cosmetico con uno scatto. «Sul serio, ragazze. Non è nulla,
domani sarà già andato via. Tieni, grazie.»
Battei
le mani, cambiando argomento. «Allora, chi manca?»
Fortunatamente
non colsero il volontario dirottamento, rispose Sayuri. «Mmm...
Penso solo noi quattro. Mi hanno chiamato i ragazzi, hanno detto di
essere già a un tavolo addirittura!»
Ci
incamminammo. Yuka si sporse verso l'altra. «Ah, gli hai detto di
tenerci il posto?»
«Si,
certo. A proposito, non sai chi c'è stasera!...»
Abbassai
lo sguardo sulle mani, lasciandole al loro discorso, mi bastava
sapere che ci fosse Ranma.
Mi
sentivo ancora male per l'accaduto di poco prima. Sentivo le budella
contorcersi al pensiero della voce rotta di papà. In fondo, era così
solo, io non avevo fatto altro che rimarcare il concetto.
Strinsi
i pugni. Ma la rabbia che saliva in gola per la stupida violenza
subita, non accennava a calmarsi. Ero stanca del suo atteggiamento a
tratti cinico, distante e severo. Cosa si aspetta da me!? Già,
sembrava sempre in attesa di qualcosa. Dietro ogni domanda che mi
rivolgeva, sembrava che ce ne fosse un'altra... Io-
«Ah,
ma stasera Akane ha già il suo cavaliere.» Mi riportò alla realtà
Sayuri.
Alzai
un sopracciglio. Hikaru parlò con tono sognante. «Ah, che carini
che siete tu e Ranma! Quando bisticciate in quel modo così... Uh!
Verrei lì a dire “bacio, bacio, bacio...”!»
Risi
immaginando la mia amica con gli occhi a cuoricino e le mani
intrecciate sotto il mento. «Ma non è come pensate, io e Ranma
siamo-»
Continuò
Yuka. «“-solo buoni amici”, lo ripeti talmente tanto che sei
ridicola. Tanto si sono accorti tutti di quello che passa tra voi
due.»
Risero
tutte insieme.
Qualcosa
di simile al panico mi attanagliò lo stomaco. Mi sentivo così in
colpa quando stavo con lui. Avevo la sensazione di mentirgli tutto il
tempo. Ma non potevo fare a meno dei momenti che passavamo insieme.
Era
come il sole, con lui sentivo le energie scorrermi nelle vene. Mi
scaldava con il suo strano calore.
Però
ero un'egoista. Mi nascondevo dietro scuse come “ma tu non ci puoi
fare niente”. Il che purtroppo era vero, ma ogni volta che mi
lanciava quegli strani sguardi, quasi consapevoli andavo in apnea.
«Siamo
arrivate!»
Alzai
lo sguardo e vidi l'insegna luminosa del “Chinese
Cat's eyes”. Fuori dal locale c'era appesa la solita
locandina col menù e la porta a vetri appannati lasciava uscire una
luce molto bassa.
Yuka
si fece avanti e la aprì rivelando la musica, tenuta ad un volume da
ambiente, e le luci non molto più forti di come sembravano fuori.
L'odore di cibo colpiva appena, non essendo troppo forte.
Ci
venne incontro un ragazzo occhialuto e dai capelli lunghi, che
riconobbi subito. «Ciao, Mousse!»
«Buonasera,
Akane.» Mi saluta sorridendo appena. Non era la prima volta che
andavo là, ci ero stata altre volte con le mie amiche, e con Ranma
di pomeriggio. Era la prima volta che andavo di sera con lui, mentre
lavorava.
Mousse
si rivolse anche alle altre. «Buonasera a tutte e benvenute. I
vostri amici sono già al tavolo, vi prego di seguirmi.»
Mentre
ci dirigevamo tra i tavoli pensai che fosse un ragazzo molto gentile
e che l'unica sua rovina è la ragazza a cui va dietro.
«Ehilà,
ecco le signore!» Ci salutò Asui dal tavolo. Quella sera c'erano
altri tre ragazzi insieme a noi: Asui, Daisuke e Hiroshi. Dopo che io
e Ranma avevamo “familiarizzato” si era formato una sorta di
gruppo tra le mie amiche e i suoi amici, formavamo una bella
comitiva. In quel momento mancava qualcuno, infatti era difficile che
riuscissimo ad uscire proprio tutti quanti insieme.
Ci
accomodammo al tavolo occupato dai ragazzi e cominciammo a
chiacchierare. Notai con tristezza che il locale era piuttosto
affollato. Sarebbe stato difficile incontrare Ranma in santa pace,
anche se per fortuna eravamo vicini al bancone. Aguzzai la vista.
«Se
allunghi un altro po' il collo rischi che ti si stacchi.»
Non
avevo dubbi su di chi fosse quella voce, ma mi girai comunque di
scatto per trovare il sollievo dei suoi occhi.
Arrossii
e feci una smorfia. «Ah ah. Mi sto spanciando dalle risate.»
«No,
ma comunque ciao, Ranma! Scusa se ti distolgo dalla tua Akane per un
attimo!» Scherzò Daisuke.
Ridemmo
tutti quando arrossì, stavolta era toccato a lui sentirsi in
imbarazzo.
«Vabbè,
dai ragazzi, stasera non mi posso fermare a chiacchierare, c'è
troppa gente. Ditemi che vi prendete.» Tirò fuori il taccuino, in
un modo che mi affascinò molto e cominciò ad annotare quello che
gli dicevano gli altri.
Infine
mi guardò. «Per me una birra piccola, grazie.»
Annuì
e ripeté le nostre ordinazioni, ricevendo assenso. Reinserì in
tasca il blocchetto di carta. «Ok, torno subito.»
Lo
seguii con lo sguardo fin dietro il bancone. Lui se ne accorse e mi
fece l'occhiolino prima di cominciare ad armeggiare lì intorno. La
mia attenzione fu subito attirata da una figura che gli si avvicinò
fino a far combaciare il corpo con il suo, poggiando le mani sulla
sua spalla. Avrei riconosciuto ovunque quei lunghissimi capelli
viola, raccolti in parte con due chignon sulla testa. Ma la conferma
arrivò dal suo fare da gatta morta addosso a Ranma, che cercava di
allontanarla con una mano e una scarsa convinzione.
Digrignai
i denti distogliendo lo sguardo. «Shampoo...»
Wow!
Questo è uno dei capitoli più lunghi che abbia scritto! Tra l'altro
avevo altro da scrivere, ma avrei dovuto cambiare punto di vista,
così ho troncato lì.
Ok,
lo ammetto il “Chinese Cat's eyes” (Occhi di gatto cinese) è un
po' banale e... stupido, ma volevo fare un esplicito riferimento al
“Neko Hanten” il ristorante cinese di Obaba e Shampoo.
Ah,
e come avete notato non mi sono dimenticata di Ryoga e il resto della
combriccola, che comunque non sappiamo ancora quello che stia
facendo...
Mi
auguro che il capitolo piaccia ^^
Ed
ora passiamo a voi:
verycoc:
Ehi, sono contenta che ti sia
piaciuto l'altro capitolo! Comunque Akane si comportava in quel modo
proprio perché non sapeva se far avvicinare il ragazzo.
Rafxsulfusxsempre:
Ciao! Ti consiglio di non
concentrarti sul fatto che Ranma recuperi la memoria, perché come
hai visto la faccenda è complicata. Comunque grazie per il commento
^^
caia:
Ehilà! Come ho già detto la
faccenda dei ricordi è complicata, ma comunque... mmm mi sto
mettendo a spoilerareee. Vedrai, vedrai.
Sono
contenta che ti sia piaciuto il capitolo e spero che ti piaccia anche
questo.
Un
bacio a tutti.
Sakura*
|
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Capitolo 13 *** Fuoco e sangue ***
Cap. 13
Cercheranno
di spacciare droghe, mantenendoci tutti ad un livello più
basso e
sperando che noi non vedremo mai la verità.
They'll
try to push drugs, keep us all dumbed down and hope that we will
never see the truth around.
[Muse
- Uprising]
«Dai,
Ranma... Vieni a casa mia dopo il lavoro?» Ripeté
con tono lascivo
Shampoo. Mi si strusciò ancora addosso. Arrossii.
«N-non
insistere, ho da fare stasera.» Non mi piaceva Shampoo. Va
bene. Lo
ammetto, era una ragazza piuttosto carina, col suo accento cinese e
aveva un sacco di quelle cose che, normalmente, ti fanno perdere la
testa. Il punto è che l'avevo già perduta.
Sentii
una sua mano scendere pericolosamente in basso. Sussultai e feci
cadere un bicchiere, scatenando le sue risate leggere.
«O-oh,
guarda, ho rotto un bicchiere, sarà meglio prendere una
scopa!»
Riuscii così a districarmi dall'avviluppamento delle sue
braccia (ma
quante diavolo ne aveva?!).
Passai
di fronte al tavolo di Akane e accennai un sorriso. In risposta
ricevetti un'occhiata tanto gelida che dovetti trattenere un brivido.
Fantastico!
L'avevo fatta arrabbiare di nuovo! Ma perché poi se la deve
sempre
prendere con me? Non è che Shampoo per allontanarla possa
prenderla
a pugni, è pur sempre una donna.
Sospirai
innervosito. Presi la scopa nello sgabuzzino e mi diressi dietro al
bancone per pulire.
Decisi
di avere bisogno di una pausa, così mi rivolsi a Mousse, che
stava
con me lì dietro. «Ehi, puoi portare tu queste
ordinazioni? Io mi
prendo 10 minuti appena ho pulito.»
Mi
rivolse uno sguardo stanco dietro le spesse lenti che portava sul
naso. «I tuoi non sono mai 10 minuti.»
«Ti
prego! È un favore da amico che ti chiedo.» Come
al solito, lo vidi
sciogliersi alla parola amico. Alzò gli occhi al cielo e mi
fece
segno con la mano riluttante di andare.
Non
me lo feci ripetere due volte. Ammucchiai i vetri in un angolo,
decidendo di buttarli dopo.
Più
per abitudine che per altro strofinai le mani fra loro, come a
pulirle, e mi diressi verso l'uscita sul retro. Questa, non dava
sulla stessa via della principale, ma su una sua traversa. Da alcune
settimane c'era un lampione difettoso che lampeggiava a
intermittenza, ma dopo le prime volte ci avevo fatto l'abitudine e
non mi dava più fastidio.
Mi
sentii quasi colpevole mentre facevo scivolare la mano nella tasca
sul retro dei pantaloni per prendere il pacchetto delle sigarette e
l'accendino. Sentivo che non fumavo prima dell'amnesia, e a
dimostrazione c'era il fastidio che avevo provato le prime volte, ma
erano molto utili a scaricare il nervosismo.
La
accesi e poi osservai il primo sbuffo di fumo che si dissolveva
contorcendosi sempre più in alto, fino a sparire.
Ogni
notte facevo sogni su sogni, che sentivo, anzi ne ero certo,
riguardassero il mio passato, ma quando mi svegliavo diventavano come
il fumo della sigaretta. Sfumavano, via via affilandosi e
scomparivano, lasciando solo il loro sapore nella mia bocca.
Presi
un'altra boccata.
Mi
sentivo così vicino a loro da farmi impazzire, era come
vederli
attraverso un vetro oscurato. Sapevo che c'erano, li sentivo
picchiettare sul vetro, ma non li vedevo. E questo mi frustrava
oltremodo.
A
quel punto sentii la porta del locale cigolare. Sospirai e feci
cadere un po' di cenere dalla sigaretta. «Tranquillo, Mousse.
È
quasi finita, rientro subito.»
Sentii
una mano troppo delicata per essere quella di un uomo sfiorarmi la
spalla, mi girai sorpreso e trovai Akane.
Non
ci costringeranno, finiranno di degradarci. Non avranno più
controllo su di noi, ne usciremo vittoriosi.
They
will not force us, they will stop degrading us. They will not control
us, we will be victorious.
[Muse
- Uprising]
«Akane.»
Il mio nome passato tra le sue labbra scatenò un brivido
represso
in me. Mi ritrovai a fissarle un po' sperduta, analizzando le pieghe
che le espressioni provocavano sul suo viso.
La
mia mano lascio un po' riluttante la sua spalla, per tornare
rilassata al mio fianco.
«Già.»
Fu un tale sussurro che non seppi mai se mi avesse sentito.
Distolsi
per poco lo sguardo per poggiarmi al muro accanto a lui. Lo riposai
sulla sigaretta consumata a metà tra il suo indice e il
medio.
«Non
sapevo che fumassi.» Non era una domanda. Una semplice
constatazione. Con appena una punta di veleno nel tono.
Da
come si accigliò capii che l'aveva colta. «Non
è come pensi. Lo
faccio solo qui mentre lavoro.»
Soffiò
altro fumo. In effetti, considerai, non puzzava mai di fumo. Anzi,
trovavo il suo odore molto buono.
Lo
guardai stavolta confusa. «Perché?»
Soffiò
ancora fumo, poi buttò a terra la sigaretta ormai
completamente
consumata per pestarla col piede. Scrollò le spalle. Non
rispose.
Tirava
una strana tensione tra noi. Probabilmente il mio cattivo umore,
aggravato da quella pu... da Shampoo, influiva terribilmente, ma si
vedeva che non era a senso unico.
Ranma
intercettò la domanda che stavo per porre con un'altra.
«Come
sapevi che ero qui?»
Un
lampione sfarfallò velocemente, tirando una luce strana
sulla
strada. «Me lo ha detto Mousse. Gliel'ho chiesto quando ho
visto che
non eri tu a portarci da bere.»
Evitai
di completare la verità dicendo che me lo aspettavo sul
retro
avvinghiato a Shampoo, in atti discutibili o peggio, osceni.
«Ah.»
Seguì
altro teso silenzio, rotto solamente dai nostri respiri. Posi la
domanda che aveva soppresso. «Che hai?»
Si
girò verso di me, inchiodandomi nei suoi occhi blu. Oceani
in
tempesta. Notti senza luna.
Lo
amo, fu il mio pensiero follemente istantaneo in quel momento. La
morsa della colpa intrappolò nuovamente il mio cuore,
graffiandolo,
spezzettandolo, bruciandolo. Era un dolore fisico.
Non
avrei dovuto...
Non
potevo...
Io...
«Io-»
Non sapevo cosa stavo per rivelargli, quali parole stavo per
vomitare. Ma non lo avrei mai saputo.
Si
chinò su me, poggiando dolcemente le labbra sulle mie.
Aspettò
immobile una qualunque mia risposta, che non tardò ad
arrivare.
In
uno slancio di disperazione, dettato dai sensi di colpa e dal piacere
del bacio, allacciai le braccia al suo collo. Lui posò le
mani sui
miei fianchi, possessive, e iniziò a muovere lentamente la
bocca
sulla mia.
Dischiusi
le labbra per lasciar uscire lingua e passarla sul suo labbro
inferiore. Fremette e dischiuse le labbra a sua volta per far danzare
la sua lingua con la mia.
Ridacchiai
leggermente quando morse delicatamente il mio labbro.
La
gioia si scontrava violentemente con la confusione nel mio stomaco,
facendogli fare le capriole.
Si
staccò con riluttanza e poggiò la fronte sulla
mia. Il suo respiro
mi solleticava la pelle del viso accaldata.
Inchiodò
di nuovo i suoi occhi nei miei. Spazio infinito. Fondali marini.
Articolò
una frase che ci sarebbe costata parecchio.
«Ti
amo.»
Lo
so. È corto, frettoloso e insensato. Ma non ci posso fare
niente!
Questa sarà l'ultima fic in questo fandom perché
ora mi stanno
prendendo altre fisse. Tranquilli questa la finisco, odio lasciare a
metà e non sarò da meno con questa fic!
La
scena del bacio avrei voluto farla più spinta (colpa di
tutte le
lemon yaoi che ho letto XD), ma non lo so, Ranma e Akane non li vedo
per niente in quel senso! >\\\<
Comunque, la canzone apparentemente non
centra nula, infatti è un'anticipazione al prossimo capitolo.
E
ora le risposte:
verycoc:
Ehi
ciao! Eh sì, Akane non si sta comportando tanto bene, ma in
fondo
cosa potrebbe fare? Io troverei troppo difficile dirgli la
verità.
Vedrai nel prossimo capitolo come si evolverà tutta la
situation!
Prevedo scintille e non solo in senso positivo.
Ranma
e Ryoga invece io ce li vedo! (come sempre colpa dello yaoi di cui mi
sto “drogando”) Grazie per tutti i complimenti che
mi hai fatto,
spero la storia continui a piacerti. Bacii
caia:
Il
rapporto tra Akane e Ranma, dopo questo bacio, ti anticipo che
prenderà un risvolto... diverso nel prossimo capitolo, poi
capirai
perché. Anche il fattore
“verità” non è assolutamente
da
trascurare, nel prossimo capitolo centrerà anche quello.
Ecco ho
spoilerato. Vabbè tu dimentica ciò che hai letto
xD.
Le
sorelle di Akane avevo scritto che Kasumi si è sposata e
Nabiki era
scappata. Nabiki è il capo di quelli che hanno salvato
Ranko! Mi
pare di averlo scritto, vabbè se non è
così ho rispoilerato! Baci.
Vabbè
ora vi lascio, tra un po' pubblico il secondo capitolo della
raccolta.
Alla
prossima.
Sakura*
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