M'abituerò a voltarmi e non ci sarai.

di Hailei
(/viewuser.php?uid=155023)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il vero genio è colui che riesce a capire le persone. ***
Capitolo 2: *** Forse ciò che voglio è nascosto negli occhi tuoi. ***



Capitolo 1
*** Il vero genio è colui che riesce a capire le persone. ***


1. Il vero genio è colui che riesce a capire le persone.

«Quello che non riesco assolutamente a capire è come l’amore riesca a trasformare completamente le persone. Come può accadere che una ragazza cambi del tutto, solo incontrando un ragazzo che per lei diventa speciale e unico, e tutte le smancerie dell’universo? Se sei fatta in un certo modo, devi ben rimanere così. Invece no.
Le persone cambiano, anche per un nonnulla, e lo sto scoprendo sulla mia pelle. Colei che consideravo la mia migliore amica, insostituibile e perfetta, è diventata un’altra, oserei dire. Da neanche un anno sta con il suo tipo, ed è cambiata totalmente. Prima proponeva mete sconosciute per andare in vacanza, era attiva, stava sempre con me e le altre nostre amiche, la sentivo ogni secondo della giornata. Ora niente di tutto ciò è rimasto in lei.
Sembra che abbia subito una trasformazione, un incantesimo, che non le permetta di fare e di essere la ragazza di prima. E ci sto male, come una scema, come…»
 
 
«Hailie, vieni subito in camera mia!», gridò mio fratello con la sua solita voce nasale. Sbuffai inutilmente e chiusi il foglio sul quale stavo scrivendo le mie annotazioni personali. Lo nascosi accuratamente sotto il cuscino e mi alzai di malavoglia dal mio letto morbido. Passai la porta di legno che dava l’accesso alla mia stanza, e attraversai strisciando tutto il corridoio del secondo piano. Sbucai con la testa davanti alla porta di quel ventenne scemo che mi ritrovavo come parente. Era sdraiato supino sulle coperte, con parte del busto spinto in avanti e verso il basso, oltre la barra di ferro dorata che rappresentava il limite del letto. Trattenni una risata.
«Che stai facendo?», chiesi con voce calma, che non trapelasse alcun senso di ironia.
«Secondo te? Sto cercando qualcosa che non trovo, cacchio!».
Mi avvicinai a lui con fare furtivo. «ovvero?».
«Qualcosa che probabilmente hai tu, Hay… i cd e tutti i poster dei Taking Back Sunday, dove sono finiti?»
Spinsi l’aria con una mano, rifiutando quella domanda che mi aveva appena posto. «Ho capito che sai che mi piacciono, ma se credi che io sia così meschi….».
Un rumore proveniente dalla porta principale mi distrasse. «…aspetta». Non ebbi manco il tempo di girarmi che delle mani mi abbracciarono da dietro. Mio fratello scosse la testa e continuò a cercare con le braccia ciò che in teoria si doveva nascondere sotto il suo letto.
Intanto delle labbra baciarono la mia guancia destra, stringendo l’abbraccio.
«Stefano, che cos’è tutto questo affetto?», chiesi un poco sorpresa. Stefano era amico di mio fratello, faceva parte della sua compagnia, si conoscevano da una vita, e così anche io, però non c’era niente tra di noi e non avrei mai voluto che succedesse qualcosa di sentimentale, anche perché io e l’amore non andavamo molto d’accordo.
«Oggi mi gira così, posso?». Allentò un poco la presa. «Marco, ma che stai facendo, sempre col culo all’aria?». Rise e si staccò definitivamente dal mio corpo, per andare a sedersi vicino a mio fratello e curiosare cosa stesse facendo. Sorrisi e tornai in camera mia.
Aprii un’ultima volta il mio quaderno privato, per poi richiuderlo subito e nasconderlo nuovamente. Mi era appena venuta una mancanza di ispirazione, non potevo continuare il discorso che stavo facendo.
Non che mi piacesse come scrivevo, assolutamente, ma un minimo di spinta – ovvero sapere già nella mia mente cosa volevo annotare – dovevo averla, sempre.
Mi persi con lo sguardo davanti al piccolo specchio di forma ondulata vicino al mio letto. Preso ovviamente dall’Ikea: una delle tante fisse di mia madre. La parte inferiore dei miei capelli, costantemente diversa dal colore naturale del resto della chioma – un castano scuro – era abbastanza mossa rispetto al resto dell’acconciatura, per cui decisi di usare un po’ la piastra.
La presi dall’armadio, senza fretta e andai in bagno, vicino a camera mia. Era un bel bagno, di quelli bianchi, e molto grossi. Appoggiai lo strumento “lisciatore” sul mobiletto dinnanzi lo specchio, attaccando la spina. Quando fu abbastanza calda, cominciai a passarla tra i capelli; guardavo i miei occhi riflessi nello specchio, senza guardare come piastravo, tanto ero così abituata che potevo farlo ad occhi chiusi.
Quelle iridi di colore castano, che cosa volevano? Cosa desideravano quel momento? Un’amicizia migliore, o un amore nuovo? Voglia di cambiare?
Sbuffai, non riuscendo a capire manco che cosa volessi. Ero messa davvero male.
La porta si aprii di scatto, per fortuna distraendomi da quei pensieri che stavano iniziando a invadere la mia mente, in modo negativo. Stefano si presentò dalla porta. Io continuai a guardare lo specchio, invece di fissare lui.
«da quando in qua non si chiede “permesso” bussando?».
Rise. «da quando sono nato! Senti cara, stasera siete tutti da me, per fare festa a Ka!»
«Ka?», rimasi stupita «che è successo a quel ragazzo?». Carmine, comunemente chiamato Ka, per motivi legati al non piacimento del suo nome (che tra l’altro aveva un significato stupendo), era l’amico di mio fratello col quale avevo più feeling. Era come un altro fratello per me, anche se ultimamente ci eravamo un po’ persi, per via della sua nuova ragazza, gelosa, fin troppo. Oramai le disgrazie nel campo dell’ amicizia, dovuti a motivi amorosi, mi perseguitavano.
«Non te l’ha detto?». Un colpo al cuore. Dannati i miei pensieri vagheggianti.
«No, non l’ho più sentito… dai, dimmi!».
Fece una faccia strana e si sedette sul bordo della vasca. «allora… praticamente i suoi gli hanno regalato la sua prima Gibson, unito a un contratto di lavoro, come musicista in una band importante di queste parti!»
Ci rimasi molto male, inutile sottolinearlo. Al mio migliore amico praticamente stava cambiando la vita, e non mi aveva minimamente avvisata; dovevo saperlo proprio da Stefano? Lo volevo sapere dal diretto interessato, non da fonti secondarie.
«Si, forse ci sarò», dissi senza sembrare interessata.
Secondo di silenzio. Stava pensando, probabilmente. «come mai tutto questo astio?»
«Sapessi… no, meglio non dirlo. Okay, a che ora comunque?». Finii di piastrarmi i capelli, e decisi che sarebbero andati benissimo per quella serata.
«alle 8… credi di potercela fare?». Gli sorrisi.
«si, credo di sì. A dopo». Andai da lui, gli stampai un bacio sulla guancia e tornai in camera mia, per buttarmi sul letto, sfinita da quei pensieri insistenti. “è uno schifo di amico, perché non gli dici di tutto?”, “ma perché ti fai prendere così in giro?”, “ma ti meriti davvero queste situazioni?”. Scrollai la testa, come per scacciare via tutto, e presi il mio cellulare dalla scrivania. Piano – mi avevano comprato da poco un cellulare touch, dovevo abituarmici - scrissi un messaggio a Mara, la sorella di Ka. Lei c’era sempre stata, e ci sarebbe sempre stata. A qualunque ora, per qualunque cosa, per qualunque cazzata mi fosse passata per la testa. Lei c’era. Era questo l’importante.
«Tesoro, ci vediamo stasera, a quanto pare, anche se vorrei ammazzare tuo fratello!».
«Si tata! Perché? Non ne combina una giusta?». La sua risposta fu quasi immediata. Sia io, sia lei avevamo quasi sempre il cellulare attaccato a noi. Probabilmente era la continuazione dei nostri arti superiori.
«Lo so, prima ne combinava tante giuste, ora no…». Mi sfregai gli occhi dall’agitazione.
«Quella montata di Aurora l’ha fatto diventare scemo, lo so. E’ cambiato, si vede da un miglio, ma spero che diventi tutto come prima. Per lui, per noi.»
Quindi non ero l’unica che si era accorta di questo cambiamento improvviso. Potevo ricondurre ciò al discorso che avevo riportato prima in quelle pagine dense dei miei diversi umori.
Perché la gente si comportava così?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Forse ciò che voglio è nascosto negli occhi tuoi. ***


2. Forse ciò che voglio è nascosto negli occhi tuoi.

 
 
Cercai di non pensare per le circa due ore nelle quali decisi che mettere quella sera. Volevo qualcosa di elegante, ma allo stesso tempo possibilmente comodo. Rovistando nel mio armadio, che purtroppo non era per niente uguale a quello dei telefilm americani, trovai un vestito nero, semplice, ma scollato. Mi guardai allo specchio, e mi convinsi che andava bene.
Per le scarpe avrei optato per delle ballerine verdi, le uniche che avevo tra l’altro.
Qualche braccialetto di un colore simile ed ero perfetta. La borsa, secondo la legge della coordinazione dei colori, ovviamente era verde.
Vidi mio fratello, vestito sempre con jeans larghi e felpa scolorita e mi misi a ridere.
«hai intenzione di venire così?».
«certo, perché?». Scossi vivacemente la testa sorridendo.
«no, tu non vieni così da Stefano». Gli presi la mani e lo riportai in camera sua, facendolo sedere sul suo letto. «ora stai lì fermo». Cominciai a frugare nel suo armadio, cercando qualcosa di decente da fargli mettere; cavolo, è peggio dei bambini piccoli che vanno vestiti passo per passo. Finalmente sbucò – chissà per quale volere divino – qualcosa di potabile.
Una camicia nera semplice, una cravatta bianca, e un paio di jeans neri eleganti.
«ma non devo andare a un funerale!», disse sbuffando da dietro di me, vedendo che avevo in mano quegli indumenti. Mi girai e glieli buttai addosso.
«mettiteli o non esci di casa!». Gli feci una linguaccia e chiusi la porta, per lasciargli un po’ di privacy, anche se – essendo sua sorella – lo avevo visto nelle situazioni più imbarazzanti.
Aspettai qualche minuto, e poi bussai. La sua voce flebile mi parlò. «si, entra…». Appena lo vidi ebbi una reazione di sorpresa: mio fratello stava benissimo così. «…faccio schifo», disse sconsolato.
«ma che dici!? Ma non vedi che sei proprio un ometto? Dai, andiamo». Lo presi a braccetto, e, immersi tra chiavi, ci ritrovammo nella sua macchina. La velocità gli piaceva, e questa anche a me. Così, ci ritrovavamo più volte coi capelli mossi dal vento, e musica a tutto volume, a cantare ciò che ci piaceva di più.
Probabilmente era una passione genetica, dato che nostro padre era un ottimo bassista, e mia mamma una cantante. Peccato che abbiano abbandonato i loro sogni per darci una vita migliore, una vita sicura. “Per il nostro futuro”, ci avevano detto.
Ed era un sentimento nobile rinunciare a qualcosa che puoi avere per la felicità dei tuoi figli.
Per questo non li ringrazieremo mai abbastanza.
Marco mi diede una spallata, vedendomi assorta nei pensieri. «che hai? Ti vedo strana in questi giorni… di chi è la colpa, che lo picchio?». Eccolo, il mio fratello maggiore.
«di nessuno…», mentii spudoratamente, ma non volevo che litigasse con Carmine.
«ne sei proprio sicura?». Il suo sguardo indagatore mi incuteva terrore, anche perché lui riusciva a capirmi in ogni minima cosa; era come il mio riflesso, il mio specchio, la mia stessa anima.
«si, sicura». Annuii, per fargli cambiare idea, ma notando la sua espressione incerta e quasi scocciata, evidentemente non ci riuscii.
Il silenzio prese parte nella macchina. La permalosità, anche quella, era di famiglia.
Scendemmo dalla macchina nel cortile della villa di Stefano. Vidi già Mara con suo fratello, vicini alla porta. Il mio cuore cominciò a battere in un modo ostentato, a intervalli irregolari, e con vari sbalzi nel petto, che a malapena sembrava contenerlo.
Il mio sguardo e quello del mio migliore amico si incontrarono. Lessi varie emozioni dentro a quelle iridi chiare, che sempre avevo amato. Paura, dispiacere, vergogna… i suoi occhi per me erano cristallini come l’acqua.
Non ebbi il coraggio di mantenere quello sguardo fitto composto da piccole lame taglienti che mi stavano squarciando l’anima, per cui abbassai la testa e cominciai a camminare verso di loro, con al mio fianco Marco.
Arrivammo, dopo secondi infiniti, da loro. Salutai Mara, chiamata da me Amy o Pippa, soprannome buffo che solo noi potevamo capire, con la mia solita allegria. Poi giunse il momento più difficile, dal quale sapevo di non poter scappare. Presi tutto il coraggio che tenevo dentro e alzai gli occhi per salutarlo. Un’ondata, una folata, un uragano di emozioni mi investirono in pieno volto.
Le mie labbra si bloccarono, come se fossero state serrate da una colla potentissima. Dopo vari tentativi, si staccarono, ma nessuna voce uscii dalla mia cavità orale. Lui sorrise e mi strinse forte al suo petto. Almeno Carmine riuscii a parlare, anzi, a sussurrarmi qualcosa.
«scusa. Mi.. puoi perdonare?». La risposta, da parte mia, non arrivò. Ma nonostante tutto, continuò a stringermi, con fare fraterno.
Mi staccai poco dopo, con occhi lucidi. Volevo dirgli tante, tantissime cose in quel momento, ma rimanevano ferme, nei miei pensieri; no, non volevano proprio uscire da quel corpo maledetto. Quel mio corpo, ritenuto da altri perfetto, mi stava odiando. Si, stava andando contro il volere della mia anima, dei miei sentimenti. Così confusi e frastagliati.
Entro la serata avrei bevuto come minimo un barile di vodka, in modo da dimenticare tutto.
Ne ero sicura, come sempre. Come le altre volte, in cui mio fratello mi portava a casa in braccio, e in cui Carmine… mi stava vicino. Come sempre, si, come sempre.
La serata si svolse nel solito modo, ovvero con risate e scherzi di tutti verso tutti. I soliti deficienti come Stefano e mio fratello erano i protagonisti della serata, e li dovevo ringraziare per avermi donato vari sorrisi. Carmine invece era sempre inseguito da quella succhiasangue della sua ragazza. Aurora, la ragazza perfetta. Perfetta un cazzo. Era l’imperfezione, la bimba per eccellenza. Dava tutto per scontato, pretendeva tutto da Ka, e lo prendeva anche in giro, perché sapevo benissimo che lei si sentiva con un altro, bensì amico di vecchia data.
Quindi avevo una fonte diretta e ben certa di ciò che stava tramando dietro al mio migliore amico. Però, vedendolo contento, non volevo dire niente. Non volevo rovinare la sua felicità superflua. No, perché lui meritava di essere felice, in ogni senso...
Inutile dire che io e Mara stemmo tutta la serata insieme a scherzare. Lei mi tirava su il morale, almeno quando non incontravo gli occhi di suo fratello.
Quegli occhi avevano il potere di farmi stare male… e di fermare il mio battito cardiaco.
Il che, pensandoci, non era un bene. Perché? Perché, beh, voleva dire che provavo qualcosa di davvero forte per lui. E… che cosa precisamente?
Notai che qualche suo amico che non avevo mai visto fissava intensamente la mia scollatura, quindi la coprii velocemente con le mani. Mi ero scocciata di quei bambocci, che guardavano solamente il mio fisico. Mi sedetti sul divano – Amy era andata un attimo da Stefano per chiedergli una cosa – e da dietro sentii delle mani… calde, grosse.
Ebbi un sussulto, di quelli piacevoli però.
«ti vedo… strana», disse semplicemente quella voce così familiare e di tono basso.
«dammi un motivo per cui non dovrei esserla…». Una voce indecisa. Spezzata dalla verità che voleva fuoriuscire.
«non ne ho idea…». Si sedette vicino a me, con la sua mano destra sulla mia. «accetti le mie scuse?». Stavo per aprire bocca, quando la sua ragazza, rossa per la rabbia, lo prese per un braccio. «Carmine, ora ti tengo il muso! Hai capito che ti voglio solo per me, questa serata? Testone patatino!», e se lo portò via.
Il mio migliore amico mi guardò con faccia sconsolata, e sparì tra la gente.
Uscii a prendere un po’ d’aria, e notai che le uniche mie compagne in quel momento erano la luna e le lacrime che stavano solcando il mio viso.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=858437