Amamelide sotto la luna piena. di Amy_ (/viewuser.php?uid=148308)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando la luna non c'é. ***
Capitolo 2: *** Sembra una ninfa della natura. ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni e segreti. ***
Capitolo 4: *** Una domanda inaspettata ***
Capitolo 5: *** Non ti lascerò. ***
Capitolo 6: *** Innamorato della luna. ***
Capitolo 7: *** Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. ***
Capitolo 8: *** Il rituale della luna piena. ***
Capitolo 9: *** Il segreto svelato. ***
Capitolo 10: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Quando la luna non c'é. ***
QUANDO
LA LUNA NON C'E'.
Era
una bellissima notte, una di quelle limpide, senza neanche una nuvola
in cielo,
ma solo un intenso blu: una notte ricolma della luce della luna piena.
Un
ragazzo stava seduto sotto un albero dai fiori gialli, un albero di
amamelide,
contemplava la luna e le parlava.
Molti
avrebbero potuto trovare strano quel suo parlare a qualcosa di
irraggiungibile,
ma lui non aveva nessun altro a cui raccontare la sua giornata, di come
era
andato il lavoro alla fattoria e quanti prodotti aveva venduto. I suoi
genitori
erano morti un anno fa, a causa di una febbre molto alta, e lui era
rimasto
solo. Per fortuna aveva di cosa vivere: i suoi genitori si erano
trasferiti in
questo piccolo paesino e avevano messo su la fattoria che adesso
gestiva lui.
Solo quella sfera bianca e misteriosa era lì, quasi ogni
notte, per fargli
compagnia e ascoltare silenziosamente la sua storia, e lui amava tanto
quella
piccola abitudine che aveva prima di andare a dormire, che in quei tre
giorni
in cui la luna lasciava misteriosamente il cielo lui si sentiva
più solo che
mai.
Quel
giorno il ragazzo aveva lavorato così tanto che si
addormentò mentre raccontava
alla luna del dolce agnellino che aveva fatto nascere, ma poco prima di
cadere
nel mondo di Morfeo intravide in lontananza una candida luce bianca. Il
vento,
facendo muovere delicatamente i fior color del sole, gli
portò una soave voce
che cantava.
Il
mattino dopo quando si risvegliò si convinse di aver fatto
solo un bellissimo
sogno.
I
giorni passavano e ogni notte la luna continuava a decrescere fino a
quando non
arrivarono quei tre giorni in cui non si vedeva alta nel cielo.
La
terza notte il ragazzo prese una candela, la accese e uscì.
Di solito non
usciva mai quando non c’era la luce della luna a risplendere
nella notte, ma
non ce la più a stare solo in quella casa.
Si
recò verso l’albero di amamelide e, mentre stava
per raccogliere un piccolo
ramo di fiori, sentì una voce, una soave voce che cantava
che solleticò un
ricordo nella sua mente: quella…quella era la voce che
apparteneva alla luce
che aveva sognato. Decise di seguirla.
Si
addentrò nella piccola foresta vicino alla radura, fino a
quando capì di
essersi perso.
Tese
l’orecchio, ma purtroppo non sentì più
la voce, la candela stava per spegnersi
e stava per rimanere nel buio più totale.
Il
panico si era impossessato di lui.
I
minuti passavano.
La
candela si spense.
Perché
aveva seguito quella voce? Stava per mettersi a correre alla cieca
quando vide
una luce nel bel mezzo della foresta. Iniziò a camminare
svelto con la speranza
di trovare qualcuno. Più la luce si faceva vicina,
più gli alberi diventavano
fitti. Li superò uno dietro l’altro e quando non
trovò più nessun ostacolo di
fronte a sé si guardo intorno e rimase estasiato da
ciò che vide.
NOTE
DELL’AUTRICE:
ciao!
Ecco il primo capitolo di questa mia storia.
Spero tanto che a qualcuno venga voglia di leggerla e magari lasciare
qualche
commento. Aggiornerò ogni settimana.
Il
prossimo capitolo sarà "Sembra una ninfa
della natura".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Sembra una ninfa della natura. ***
SEMBRA
UNA NINFA DELLA NATURA.
Si trovava sul limitare di una piccola radura perfettamente circolare.
Davanti a lui si stagliava un imponente masso dal quale sgorgava acqua
cristallina che si riversava, tra una zampillo e l’altro, per
formare un
piccolo lago. La luce, proprio quella che lo aveva guidato, proveniva
da una
miriade di lucciole che volavano su e giù per la radura
senza, però, mai
lasciarla. Un profumo di erba appena tagliata aleggiava
nell’aria. Era un luogo
stupendo.
Un attimo…un immenso masso nel mezzo di una radura dal quale
sgorgava
acqua? Questo non era assolutamente naturale.
Non fece in tempo a tormentarsi la testa alla ricerca di una valida
spiegazione che, con la coda dell’occhio, vide una figura
seduta sul masso.
Incuriosito, si nascose subito tra un albero e un cespuglio per poter
osservare
senza essere visto e, ciò che apparve davanti ai suoi occhi,
lo lasciò senza
fiato.
Un’ incantevole
ragazza suonava il flauto con gli occhi persi nel cielo
scuro. Morbidi capelli castani ricadevano sulle sue spalle mossi
leggermente
dal vento e la sua pelle era candida come la luce della luna. Un
vestito
azzurro come l’acqua del mare in primavera le fasciava il
seno, lasciando
scoperta la parte superiore della schiena, per poi appoggiarsi
delicatamente
sui suoi fianchi e scendere fino a coprire le caviglie. Il blu della
notte si
rifletteva là dove il leggiadro vestito formava della pieghe
che variavano a
ogni piccolo movimento della ragazza, e lì dove la stoffa
era più chiara si
poteva intravedere il contorno delle gambe. Una ninfa della natura,
ecco come
il ragazzo definì l’incantevole ragazza.
Dimenticando tutto, il tempo, il luogo in cui si trovava, il suo stesso
nome, stette a guardare quella ragazza che appariva delicata e fragile
e in
quei momenti sentì di poter vivere solo guardandola da
lontano. Rimase, così,
dietro quell’albero, immobile, ad ammirare ogni suo piccolo
movimento ed ogni
singolo sorriso fino a quando aiutato dalla dolce musica del flauto il
sonno
non prese il sopravvento.
Quando si svegliò si guardò attorno assonnato e
confuso. Perché era
nella foresta?
Poi un’ immagine nitida gli balenò alla mente:
l’incantevole fanciulla.
Si alzò di scatto, superò l’albero che
lo aveva nascosto tutta la notte
e… nulla.
Non c’era più nulla! La radura circolare era vuota.
Il masso? Il lago? Si era sognato tutto? No, non era possibile, quella
fanciulla era reale, doveva essere reale.
Nel cielo una nuvola si spostò rivelando il sole alto nel
cielo e un
raggio di luce colpì in piena faccia il ragazzo.
Ma quanto aveva dormito? Doveva sbrigarsi se voleva trovare un posto in
cui sistemarsi al mercato del paese, altrimenti, sarebbe rimasto senza
denaro
per l’intera settimana. A malincuore uscì dalla
radura e si incamminò nella
foresta con la speranza di ritrovare la strada del ritorno facilmente.
Lui, però, quella notte voleva tornarci in quella radura e,
così,
incise una x sulla corteccia di ogni albero che superava: in questo
modo
avrebbe ritrovato la strada.
Senza molta fatica, per fortuna, ritornò alla fattoria,
prese il suo carretto,
lo riempì di latte e formaggio e si diresse verso il paese
che distava circa
cinque-sei chilometri dalla sua fattoria.
Finalmente
arrivò la notte e, con ansia, prese una candela, la accese e
si incamminò nella foresta. Seguì la strada che
aveva tracciato quella mattina,
superò un albero e poi
un altro e infine
anche l’ultimo e… nulla, ancora nulla.
Quella radura circolare era completamente vuota.
Una grande delusione si impossessò di lui:
ci aveva sperato veramente tutto il giorno di
ritrovare l’incantevole fanciulla.
Si diresse al centro della radura, piantò la candela per
terra, si
stese sull’erba e diresse lo sguardo alla luna che stava
cominciando a
ritornare piano piano nel cielo. Le parlò di quella
fanciulla, di come lei
sembrava parte della natura e la natura sembrava riversarsi in lei, di
come la
sua musica lo incantava e di come le era entrata nelle testa senza
più uscirne
per tutto il giorno. La candela stava per spegnersi, così,
diede un ultimo
sguardo alla luna, che quella notte, anche se piccola, sembrava
più luminosa
del solito, e se ne tornò a casa.
I giorni
passavano e il ragazzo ogni notte si recava alla radura, ma
purtroppo della fanciulla nessuna traccia e così si
ritrovava a parlare alla
luna della sua frustrazione.
Arrivò
la luna piena e quella notte nel ragazzo la fiammella della
speranza, che andava affievolendosi, si rianimò un
po’: era la scorsa luna
piena che aveva sentito per la prima volta quella magnifica voce.
Prese
una candela e si diresse verso la foresta, ma quando andò a
cercare la strada di x non la trovò più.
Cercò e ricercò, ma nulla era
scomparsa.
Fece
un bel respiro e si disse:
“Ho
fatto questa strada per
circa due settimane, ormai posso ripercorrerla ad occhi
chiusi”.
Si
incamminò nella foresta e con il cuore che batteva forte si
mosse
tra un albero e l’altro fino ad arrivare in quella parte dove
gli alberi si
facevano più fitti.
Si
rivolse alla luna e disse:
“Per
favore, fa che ci sia!”.
Percorse
gli ultimi metri, ed eccolo lì, l’ultimo albero.
Iniziò a
correre, voleva sapere, doveva sapere se tutte quelle notti aveva
cercato
invano. Si fermò di botto, era arrivato nella radura
e… al suo centro c’era un
albero di amamelide, proprio come quello che si trovava vicino alla sua
fattoria. Un unico raggio di luce lunare si concentrava
sull’albero,
illuminandolo e ogni foglia e ogni fiore sembrava fatto di pietre
scintillanti.
Si avvicinò all’albero, allungò una
mano per toccarlo, ma una figura ricoperta
di luce uscì da dietro l’albero e prima di poterci
capire qualcosa fu colpito
alla testa con un ramo, ma prima di cadere per terra tramortito
sentì una voce
che diceva:
“Torna
quando la luna non c’è, se vuoi!”.
Poi
il buio si impossesso di lui.
Note
dell'autrice:
Spero che questo capitolo abbia più successo del primo e che
qualcuno voglia scoprire
chi è veramente la fanciulla e che cosa centra l'albero di
amamelide!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Rivelazioni e segreti. ***
RIVELAZIONI
E SEGRETI.
Quando si
risvegliò, un terribile mal di testa iniziò a
farsi sentire. Aprì gli occhi e
si mise a sedere lentamente per evitare di aumentare le pulsazioni che
aveva in
testa, si guardò intorno e naturalmente la radura era
completamente vuota e,
del meraviglioso albero, non vi era per niente traccia.
“Torna
quando la luna non c’è, se lo vuoi!”:
gli aveva detto questo la voce prima di
colpirlo…molto forte. Si toccò con la mano il
bernoccolo che gli si era formato
e cavolo se non faceva male.
Sbadigliò
e
si grattò la testa, gli sfuggiva qualcosa.
Giusto!
Nel
pomeriggio doveva aiutare i contadini del villaggio a sistemare il
grano che
loro avevano raccolto nella mattinata. Doveva subito tornare a casa,
così si
alzò e si incamminò verso la fattoria. Prima di
tutto avrebbe fatto una bella
dormita: di certo non sarebbe stato di grande aiuto se non avesse fatto
sparire
il mal di testa. Inoltre, il suo letto, lo avrebbe aiutato a mettere a
tacere i
dubbi che lo attanagliavano: non sapeva proprio se accettare
l’invito della
voce; lui era andato nella radura per cercare la fanciulla e, invece,
si era
imbattuto in una misteriosa voce proveniente da una figura di luce.
Aaah! Che
confusione! Per adesso avrebbe pensato solo a dormire.
L’incantevole
fanciulla lo guardava negli occhi sorridendo per poi
rivolgere lo sguardo alla luna piena che troneggiava nel cielo. Petali
di
amamelide volteggiavano nell’aria diventando sempre
più numerosi fino a
ricoprire completamente la fanciulla. Quando anche l’ultimo
petalo si fu appoggiato
la fanciulla scomparve, tutto divenne buio e nel vuoto riecheggiava la
voce:
“Torna quando la luna non c’è, se lo
vuoi!”.
Si
svegliò
di soprassalto. Era stato un sogno davvero strano, molto strano. Cosa
voleva
dire?
Si alzò e
mise qualcosa sotto i denti: il suo stomaco reclamava cibo. Poi si
preparò e
andò al villaggio: lo aspettava un duro lavoro.
Quella sera
tornò distrutto. Si addormentò immediatamente,
senza trovare neanche il tempo
di sedersi sotto l’albero per parlare alla luna. Ma quel
giorno, almeno, aveva
deciso di accettare l’invito della voce: forse avrebbe potuto
sapere qualcosa
sulla fanciulla, dopo tutto la prima volta che l’aveva vista
era proprio nella
stessa radura dove aveva sentito per la prima volta la voce e, inoltre,
l’appuntamento era proprio in una notte di luna nuova.
I
giorni
passavano e il ragazzo era sempre più impegnato tra il
lavoro in fattoria e
quello in paese. Ogni sera crollava esausto e, sfortunatamente, non
riusciva
più a parlare con la sua amica dalla luce bianca e questo lo
rattristava molto.
Arrivò la
prima notte di luna nuova.
Anche quel
giorno il ragazzo aveva lavorato duramente, ma appena giunta la sera,
prese in
mano una candela e si incamminò nella foresta: non si
sarebbe addormentato per
nulla al mondo, doveva riuscire a sapere qualcosa sulla fanciulla.
Camminò in
silenzio e con una certa fretta.
“Chissà se
la radura sarà vuota questa volta?” si
ritrovò a domandarsi con la voce della
mente, lui un pochino sperava di ritrovare lo splendido lago.
Mancava
poco all’arrivo quando una luce si fece strada tra gli
alberi.
“Sono le
lucciole!” pensò entusiasta.
Speranzoso
il ragazzo arrivò all’ultimo albero al limitare
della radura. Aveva intravisto
un grande masso tra gli alberi, ma ancora non ci credeva. Chiuse gli
occhi e
prese un bel respiro.
Sentì lo
scorrere dell’acqua.
Si affacciò
e aprì gli occhi.
Tutto
era
proprio là, esattamente come lui si ricordava! Adesso doveva
solo trovare la
voce e chiederle se… la sua attenzione fu attirata da una
figura sul limitar del
lago che gli dava le spalle. Con movimenti delicati, questa, si tolse
il
vestito e l’appoggiò ai suoi piedi e poi con
piccoli e regolari passi entrò nel
lago. Le gocce d’acqua brillavano sulla pelle diafana della
sua schiena.
Il ragazzo
stava fissando estasiato la figura che gli sembrava così
familiare quando
quella sollevò le spalle come a prendere un profondo respiro
e si girò.
Il ragazzo
smise di respirare. Era la sua fanciulla e lo stava guardando, dritto
negli
occhi, con uno sguardo pieno di dolcezza e felicità. Lei
iniziò a muoversi
verso di lui e lui…lui era lì, fermo immobile
senza niente che lo proteggeva
dalla vista della fanciulla. Poteva confondersi benissimamente con gli
alberi
per quanto era rigido, peccato non fosse completamente marrone e con i
capelli
verdi.
“Se quella
era un battuta faceva pena caro mio!” pensò.
Cavolo la
presenza della fanciulla mandava il suo cervello in cortocircuito.
Il suo
cuore batteva forte come non aveva mai battuto.
La
fanciulla continuava ad avanzare e ad un certo punto, con un lento
movimento
della mano, fece muovere l’acqua: un serpente di quel liquido
cristallino
iniziò a fuoriuscire dal lago, al suo interno
c’era una sostanza che lo rendeva
scuro, doveva essere terra. La fanciulla iniziò a farlo
girare intorno a lei in
modo da coprire la sua pelle nuda e quando ormai l’acqua le
arrivava al livello
delle ginocchia, il serpente le copriva il seno, per poi scendere lungo
il
ventre e girare intorno alla vita. In tutto quel tempo lei non aveva
mai smesso
di guardare negli occhi il ragazzo. Quando il suo piede
toccò la terra le
labbra si curvarono in un delicato sorriso
e a quel punto, ad ogni suo passo, la fanciulla sembrava non toccare
terra.
Il ragazzo
iniziò ad indietreggiare, non sapeva proprio come
comportarsi, non si era mai
trovato in una situazione del genere.
La sua
schiena andò a sbattere sul tronco di un albero.
La
fanciulla lo aveva raggiunto e adesso era ad un passo da lui.
“Buonasera
Alessandro.” disse.
Come faceva
a conoscere il suo nome?
Le gambe
gli cedettero, un po’ per la stanchezza causata dal duro
lavoro, un po’ per la
tensione che lo attanagliava e, così, si ritrovò
con il sedere per terra.
La
fanciulla rise di una risata silenziosa e poi si abbassò
verso di lui,
avvicinando i loro volti.
I suoi
lunghi capelli sfiorarono il viso del ragazzo mentre piccole gocce
d’acqua
cadevano su di lui.
I loro
sguardi non avevano mai smesso di incontrarsi: gli occhi castani della
fanciulla studiavano quelli azzurro del ragazzo.
La
fanciulla si avvicinò sempre di più a lui e lo
baciò.
“E’ come
trovarsi al centro dell’universo circondati da un milione di
stelle” pensò
Alessandro “sa di cielo”.
“Ha un buon
sapore, di erba appena tagliata” pensò la
fanciulla.
“Wow!”
disse Alessandro e subito dopo le sue guance si colorarono di rosso. La
fanciulla rise ancora felice.
“Senti, non
è che potresti girarti. Sai, vorrei cambiarmi: questo
è un po’ scomodo” disse,
più per non imbarazzare Alessandro cambiandosi sotto i suoi
occhi che per
vergogna, indicando il serpente d’acqua.
“Oh!
Cert…certo, certo!” disse, già molto
imbarazzato.
Così la
fanciulla si avvicinò al lago, fece ritornare
l’acqua al suo posto e si rimise
il vestito.
“Fatto!”.
Alessandro
si girò.
“Sai”
iniziò a parlare la fanciulla “sono
così felice che tu sia venuto. Non ci
speravo più, non mi parli più
dall’ultima luna pien... Ops, forse ho detto
troppo”.
Nella mente
di Alessandro un groviglio fatto di confusione si andava espandendo.
“Hai detto
troppo? Io… io sto capendo sempre di meno” disse
lui sconsolato “Per
cominciare sono venuto qua perché una
voce mi ha invitato e io ho accettato solo perché speravo di
avere informazioni
su di…te”.
A quel
punto si rese veramente conto di quello che stava succedendo: aveva
trovato la
fanciulla che stava cercando da quasi due mesi e poi lei…lo
aveva baciato.
“Ehi!”
disse la fanciulla.
Si ridestò
“Co…cosa c’è?”.
“Hai smesso
di parlare all’improvviso! Avevi gli occhi persi nel vuoto! A
cosa stavi
pensando?”
“A niente”
rispose velocemente. Non era vero, stava pensando a lei.
Diventò rosso.
La
fanciulla lo guardò dubbiosa, così Alessandro
riprese a parlare per spostare la
sua attenzione altrove.
“Stavo
dicendo…la voce, giusto! Non è che per
caso hai sentito una voce aggirarsi nei dintorni? Vorrei sapere
perché mi ha
invitato.”
Intanto la
fanciulla si era seduta vicino al lago, aveva messo le gambe
nell’acqua e gli
stava facendo segno di sedersi accanto a lei. Quando Alessandro le si
fu seduto
accanto, iniziò a parlare.
“Devi sapere
che io e la voce siamo la stessa persona e… mi dispiace
averti colpito, ti ha
fatto molto male?” disse con uno sguardo dispiaciuto, ma un
po’ malizioso nel
fondo.
Eh? La
fanciulla che lui aveva visto fragile e delicata l’aveva
colpito e, cavolo, se
non gli aveva fatto male.
“No no, non
ti preoccupare.” mentì “Io, comunque,
non ci capisco niente ugualmente. Quindi
tu e la figura di luce siete la stessa persona. Allora
perché mi hai colpito,
mentre adesso parliamo come vecchi amici?”
Lo guardò
seria “Nessuno deve vedermi quando sono coperta di luce.
Perderei i miei poteri
e l’albero di amamelide morirebbe e stanne certo, non
è una cosa positiva. E
giusto per concludere allegramente morirei anch’io”.
“Perché?”.
Silenzio.
“Va bene.
Ho capito, non me lo puoi dire. Di una cosa sono certo : questo posto
è
magico!” disse fiero di sé.
“Ragazzo
sei un genio!” rise “Stai attento, però,
non è semplice magia. E’ la magia
della natura: è antica e potente”.
Annuì
serio.
“Quindi tu
non sei umana. Cosa sei?”
“Non te lo
posso dire, mi dispiace”.
“Tutti
questi segreti e allora perché mi stai parlando
così tranquillamente, non hai
paura che possa gridarlo al mondo?” disse come un bimbo
capriccioso.
“Non puoi
dirlo”.
“Eh?”.
“Anche se
lo vuoi, non puoi parlare a nessuno di me. C’è un
antica magia che lo impedisce
per proteggermi”.
“Fantastico,
! E io che pensavo ti fidassi, in qualche modo, di me!”.
“Ma io mi
fido di te. So che non verrai con la luna piena per non mettermi in
pericolo”.
“Scusami,
non ci avevo pensato” disse mortificato.
“Almeno
posso sapere il tuo nome? Tu sai il mio e ancora non ho capito
come”.
Si alzò in
piedi e guardandolo dall’alto gli disse: “Il mio
nome è il segreto più grande
di tutti. Alcuni sanno che esisto, pochi chi sono, ma nessuno sa il mio
nome”.
Si
rattristò.
“Scusami,
non volevo essere inopportuno”.
“Smettila
di scusarti. E’ legittimo fare domande. E poi”
continuò con un tono che la
diceva lunga “io ti conosco meglio di quanto credi. Ah, non
posso dirti perché,
se vuoi saperlo scoprilo!”.
Alessandro
sbuffò e si stese sull’erba.
“Suonami il
flauto.” disse all’improvviso “Sei
davvero brava. Lo puoi fare, almeno questo,
per me?”
La faccia
della fanciulla fu immediatamente a un centimetro dalla sua.
“Solo se mi
dai un bacio”.
Il suo
cuore iniziò ad accelerare i battiti ed era sicuro che ormai
la sua faccia era
completamente rossa. Gli mancavano le parole. Cavolo, quella ragazza
era stata
davvero audace, se non dire anche un po’ sfacciata, a
chiedere una cosa del
genere, ma lui in fondo voleva la stessa cosa.
Cavolo, era
davvero imbarazzato, ma si fece coraggio e le diede un leggero bacio
sulle
labbra e, così, sentì quelle della fanciulla
allargarsi in un sorriso.
Poi lei si
mise a sedere e con un gesto della mano fece uscire dal lago una teca
di vetro
che le si appoggiò in grembo. L’aprì,
prese il flauto e iniziò a suonare.
Alessandro
la ascoltava rapito e si beava di quel momento, ma nonostante tutti i
suoi
sforzi la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò
con un pensiero nella
mente: quella fanciulla non gli piaceva e basta, stava proprio
iniziando a
capire che si era innamorato di lei e non ne poteva fare a meno.
L’amore è
proprio qualcosa di bello e irrazionale.
Quando
la
fanciulla si rese conto che il ragazzo si era addormentato smise si
suonare e
si incantò a guardarlo. Era così bello: occhi
azzurri come il cielo di giorno e
capelli corvini come la notte.
Lui non lo
sapeva, ma lei era completamente innamorata di lui. Un colpo di
fulmine, non le
era mai successo. Si, era stata interessata a qualche altro ragazzo e a
volte
aveva creduto di aver trovato l’amore, ma purtroppo nessuno
era quello giusto.
O meglio, per fortuna, perché poi aveva trovato Alessandro e
senza alcun motivo
non riusciva più a toglierselo dalla testa.
L’aveva osservato per un anno: era
un ragazzo dolce, altruista, e anche molto solo, come lei. Poi quella
notte
aveva scoperto che era così impacciato quando si parlava di
sentimenti, le
aveva fatto tenerezza.
Adesso
sperava con tutta l’anima che fosse lui a svelare il suo
segreto e ringraziò
mentalmente il cielo che, sopraffatto dalla stanchezza, si fosse
dimenticato di
chiederle il perché di quell’invito. Certo lo
aveva baciato, e tra parentesi
era stato stupendo, ma le era proibito rivelare i suoi sentimenti per
prima,
doveva farsi avanti lui. Maledette regole della magia, lei voleva
semplicemente
dirgli: “Ti ho invitato perché mi sono innamorata
di te!”. Era una cosa così
difficile da confessare, ma state certi che quanto questo è
proibito ci si
sente scoppiare.
La fanciulla
sospirò senza mai smettere di guardarlo. Gli prese una mano:
era così grande in
confronto alla sua. Aveva desiderato così tanto
l’intimità di quel gesto:
adesso era sua.
Il cuore le
batteva forte: non aveva mai contenuto tanto amore. Una lacrima le
scese lungo
il viso brillando di luce argentea: avrebbe fatto di tutto per quel
ragazzo
dall’animo puro.
Sospirò
ancora.
Si stese
accanto a lui e per tutta la notte non fece altro che guardarlo mentre
dormiva
serenamente.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Ed
eccomi con il terzo capitolo! Finalmente Alessandro
e la fanciulla si parlano!
Io mi sono emozionata
quando ho scritto la parte
finale! La fanciulla è tanto innamorata…e neanche
Alessandro scherza, si sta
innamorando lentamente e dolcemente.
Spero in qualche
recensione, almeno una!!! Secondo voi
chi è la misteriosa fanciulla?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Una domanda inaspettata ***
UNA
DOMANDA INASPETTATA.
Il
mattino dopo Alessandro si risvegliò nella radura.
Il
suo primo pensiero andò alla fanciulla e alla magica serata
che aveva trascorso
con lei. Si perse nel ricordo del suo profumo, delle magiche sensazioni
provate
nel baciarla, del suo sorriso e (le sue guance diventarono rosse) del
suo corpo
sfiorato dall’acqua. Si scoprì a pensare di
desiderarla completamente per sé,
di volerla accanto a lui adesso, di passare la mano tra i suoi morbidi
capelli
per poi perdersi in un lungo bacio con le sue morbide labbra, ma
soprattutto si
scoprì a pensare di volerla amare con tutto
l’amore che la sua anima poteva
dare.
Si
beava in questi dolci pensieri con il cuore che aggiungeva ogni secondo
un
battito, quando un pensiero dimenticato gli balenò alla
mente.
Fu
solo un attimo.
Quell’attimo,
però, bastò
per fargli aprire
immediatamente gli occhi.
Si
mise a sedere velocemente con il respiro corto e le mani sudate.
Che cosa
provava la fanciulla nei suoi confronti?
Cercò
di riorganizzare i pensieri.
Certo
era stata lei a baciarlo, ma se il significato che dava lui a quel
gesto era
diverso da quello della fanciulla? E se non provava gli stessi
sentimenti? No,
non riusciva neanche a prendere in considerazione
quest’ipotesi, non voleva,
non poteva. Il suo cuore si rifiutava, mentre la mente, imperterrita,
non
perdeva occasione per puntualizzarglielo.
Aveva
bisogno di sapere cosa passava per la mente della fanciulla e quella
sera,
glielo avrebbe chiesto. Giusto, glielo avrebbe chiesto. Peccato che non
sapesse
neanche se quella sera l’avrebbe trovata alla radura.
Maledetta stanchezza, non
gli aveva permesso di chiedere alla fanciulla se si sarebbero
incontrati.
Frustrato
dalle incertezze Alessandro si mise in piedi e andò a
lavorare. Almeno,
sperava, avrebbe tenuto la mente occupata. Naturalmente si sbagliava in
pieno.
Sì, si teneva occupato, ma solo il corpo era impegnato a
lavorare. La mente,
invece, non faceva altro che tormentarlo con quei tanti dubbi che
lentamente
insinuavano frammenti di tristezza nel suo animo.
Arrivò
la sera e ciò che regnava nell’animo di Alessandro
era l’inquietudine.
Incamminatosi
verso la radura, aveva in mente solo un obiettivo: avrebbe chiesto alla
fanciulla di chiarire i suoi sentimenti. Camminò veloce, con
lo sguardo che si
spostava deciso dalla fiammella della candela alla strada davanti a
lui, contando
i suoi passi per impedire alla mente di divagare. Superò
deciso gli ultimi
alberi e si guardò intorno.
Un
sospiro di delusione fuoriuscì dalla sua bocca.
Non
c’era nessuno.
Poi,
percepì un leggero tocco dietro la sua spalla. Si
voltò spaventato e… il
tumulto interiore del suo animo si placò velocemente, per
poi disperdersi. La
fanciulla lo guardava sorridendo e lui si perse nei suoi occhi profondi
come il
cielo. Rimase lì, immobile, con un sorriso ebete sulla
faccia, fino a quando il
suo cervello non gli ricordò che doveva ricominciare a
respirare perché aveva
bisogno d’aria.
La
fanciulla lo stava guardando con un espressione un po’
preoccupata.
“E’
successo qualcosa?” le chiese “Ti senti poco
bene?”
“Io?
Più che altro dovrei chiederti se tu stai bene! Hai smesso
di respirare per
circa un minuto!”.
“Cavolo!”
sbottò nella sua mente “non è mica
colpa mia se lei mi guarda in quel modo! Il
cervello mi va in panne!”
“No,
sto bene! Sto bene.” borbottò.
“Meglio
così, allora”.
La
fanciulla lo guardò annuire e desiderò con tutto
il suo cuore che fosse proprio
quel dolce, timido e gentile ragazzo a scoprire il suo segreto: solo in
quel
modo si sarebbero potuti appartenere davvero.
Lei
lo sapeva, sapeva che Alessandro si era innamorato di lei. Conosceva
tutto di
lui e poi, bastava guardarlo: era un libro aperto quel ragazzo ed il
suo cuore
era così puro.
Infatti,
la fanciulla si accorse subito che c’era qualcosa che lo
turbava. Si avvicinò
ad Alessandro, che nel frattempo si era steso a pancia in
giù sull’erba e aveva
nascosto la testa tra le braccia, e gli si sedette accanto. Gli
passò una mano
tra i capelli corvini e sentì che lui rabbrividì
al suo tocco.
“Cosa
c’è che non va?” gli chiese dolcemente.
“Non
ho niente.” La sua risposta arrivò attutita dalla
presenza delle braccia
intorno al suo viso.
“Non
ti ho chiesto se hai qualcosa che non va, ti ho chiesto di dirmi cosa
hai che
non va.” puntualizzò lei.
Improvvisamente
Alessandro si alzò su un gomito e stese l’altro
braccio prendendo la mano della
fanciulla tra la sua. La guardò negli occhi e stupendo sia
se stesso, che non
avrebbe mai creduto che dentro di lui ci fosse il coraggio per fare
questo, sia
la fanciulla, che non si aspettava questa domanda così
presto, Alessandro
chiese:
“Cosa
provi per me?”
Alessandro
sentì la fanciulla irrigidirsi. Cavolo (pensava un
po’ troppe volte cavolo),
forse aveva esagerato, ma lui aveva bisogno di quella risposta. Ci
teneva
davvero alla fanciulla e quello gli aveva fatto superare, almeno in
parte, la
sua timidezza. E poi, da che mondo e mondo, era sempre stata lei quella
sicura
di sé.
La
fanciulla non sapeva che fare.
Lo
sguardo del ragazzo era deciso, voleva una risposta e lei non poteva
dargliela.
Non poteva dirgli che si perdeva nei suoi occhi ogni volta che lo
guardava, che
adorava quel suo fare così gentile e che voleva le loro
labbra a contatto in
quel preciso istante. Le era proibito. Doveva essere lui a dirle, per
primo,
cosa provava. E giusto per rendere le cose più facili, le
era anche proibito
fargli la fatidica domanda “Cosa provi per me?”.
Non
sapeva cosa fare e intanto lui la guardava con quei suoi occhi azzurri
che
risplendevano di speranza.
Alessandro
notò il tormento negli occhi della fanciulla. Fece un
profondo respiro,
sperando che gli fosse rimasto un po’ di coraggio, si sedette
a gambe
incrociate di fronte alla fanciulla e decise che avrebbe parlato lui
per primo.
“Senti,
io non so cosa mi sia preso, non so neanche il tuo nome, ma non riesco
più a
dimenticarti. I tuoi occhi che risplendono come la luce della luna, i
tuoi
lunghi capelli, la tua pelle morbida e candida e la tua
personalità così forte
e decisa. Poi quando ti vedo sorridere è come se tutto il
resto non esistesse.”
Alessandro si mise una mano sul cuore “Tu mi fai sentire un
forte calore proprio
qua e forse ti sembrerà tutto troppo veloce, ma io voglio
stare al tuo fianco e
penso proprio di essermi innamorato di te.”
A
quel punto lui abbassò lo sguardo, la sua parte
più timida stava fuoriuscendo
di nuovo, ma lui era deciso a voler finire quel discorso. Quindi, anche
se
biascicando un po’ le parole, continuò.
“Lo
so…lo so che sei stata tu a baciarmi, ed è stato
fan-fantastico, ma io volevo
sentirtelo dire.”
Rialzò
titubante lo sguardo.
“Cosa
provi tu per me?”
La
fanciulla prese il viso di Alessandro tra le sue mani e con il
più bel sorriso
rispose:
“Io
sono completamente innamorata di te e tu non hai la benché
minima idea da
quanto tempo lo sia!”
Alessandro
prese le mani della fanciulla tra le sue, fece leva sulle ginocchia e
avvicinò
il suo viso a quello di lei. Poteva sentire il respiro della fanciulla
sulla
sua pelle, poi il suo profumo, sapeva di buono, poi avvicinò
le sue labbra a
quelle di lei e la baciò dolcemente. Le sue labbra erano
così morbide, morbide
come nuvole. Sentì la fanciulla rispondere al suo bacio. Poi
anche lei fece
leva sulle ginocchia, mise le mani sulle sue spalle e si ritrovarono,
così,
stesi sull’erba. Poteva sentire il calore del corpo della
fanciulla a contatto
con il suo. In tutto questo non avevano mai interrotto il contatto
delle loro
labbra. Alessandro era completamente in estasi.
Aveva
perso il conto dei minuti quando la fanciulla mise la mano sul suo
cuore, lo
guardò negli occhi e disse:
“Lo
sai, non me lo sarei mai proprio aspettata da te, questa romantica
dichiarazione!”
“Neanche
io, per niente!”
Iniziarono
a ridere, come bambini innocenti che avevano tutto quello che
desideravano
accanto a loro. Poi si distesero sul prato e mano nella mano scrutarono
il
cielo, quel cielo pieno di stelle e senza luna.
“Posso
farti una domanda?” disse Alessandro dopo un po’.
“Si”.
“Quando
sei circondata di luce, hai detto che non ti può vedere
nessuno. No?”.
“Si”.
Si
girò sullo stomaco e la guardò negli occhi.
“Non
hai mai desiderato avere qualcuno accanto con cui tu non ti debba
nascondere?”.
Lo
sguardo della fanciulla si perse nel cielo.
“A
volte ci ho pensato, sarebbe bello. Però, veramente, ci
sarebbe una persona che
potrebbe vedermi.”
“E
chi sarebbe?” chiese accigliandosi.
“Colui
che scoprirà il mio segreto.”
“Quale
segreto?”
Lo
guardò sorridendo.
“Ho
capito. Non posso saperlo.” Sbuffò e poi le
rubò un bacio.
Stettero
un po’ in silenzio, beandosi solo l’uno della
presenza dell’altro.
A
un certo punto la fanciulla si mise a sedere. Voleva fare una domanda
ad
Alessandro, anche se lei conosceva già la risposta. Voleva
vedere ciò che
avrebbe detto lui. Si girò, con una finta espressione
innocente, verso il
ragazzo, che intanto si era seduto e la guardava dubbioso.
“Senti.”
“Mmh.”
“L’altra
sera mi hai chiesto di suonare il flauto.”
“Sì.”
“Mi
stavo chiedendo…”
“Sì.”
“Come
mai sapevi che suono il flauto?”
Gli
occhi del ragazzo si spalancarono per la sorpresa, era stato colto alla
sprovvista da quella domanda. Diventò completamente rosso in
volto e abbassò lo
sguardo. Intanto la fanciulla guardava con tenerezza Alessandro
evidentemente
imbarazzato. Non si aspettava una risposta, quindi rimase sorpresa
quando lui
disse:
“Lo
scorso mese ho visto una figura che si addentrava nel bosco. Ho deciso
di
seguirla perché aveva la stessa voce della figura di luce
che avevo visto due
lune piene fa.”
Fece una
pausa.
“Così
sono giunto alla radura e ti ho visto mentre suonavi il flauto seduta
su quel
masso.” terminò indicando la roccia.
La
fanciulla si avvicinò al ragazzo.
“Lo
sai, non pensavo mi avresti risposto. A dirla tutta pensavo avresti
sorvolato
sull’argomento, invece mi hai detto la verità. Mi
sorprendi sempre di più e mi
piaci sempre di più.”
Sorrise.
“Adesso
te la dico io una cosa. La figura di luce di due lune piene fa ero
sempre io.
Sai, ho cercato di attirare la tua attenzione perché voleva
che tu mi
seguissi.”
Sorrise
ancora. Questa volta, notò Alessandro, era un po’
imbarazzata.
Poi,
improvvisamente, la sua bocca si ritrovò impegnata. E fu un
po’ per questo, un
po’ per la confessione che la fanciulla gli aveva fatto che
archiviò un
particolare che la sua mente aveva colto: la fanciulla sapeva che la
sua
risposta era vera, quindi lei conosceva già la risposta alla
sua domanda. Ci
avrebbe, poi, riflettuto il giorno dopo.
Quella
splendida serata terminò come la precedente. La fanciulla
suonò il flauto,
mentre Alessandro l’ascoltava rapito. Prima si addormentarsi
di nuovo, però,
chiese alla fanciulla:
“Domani
ci incontreremo di nuovo vero?”
“Certo.”
rispose la fanciulla. Poi gli diede un bacio e Alessandro si
addormentò felice.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Ed
ecco il quarto capitolo! Ringrazio tutti coloro che si sono fermati
un attimo a leggere questa storia.
Il quinto capitolo è già scritto. Ecco un
estratto:
“Mancava
poco alla radura, solo pochi passi. Uno, due, tre. Arrivò,
vide la fanciulla
seduta sul masso che rideva mentre le lucciole le volavano intorno e
poi sentì
il vuoto sotto di lui e svenne.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Non ti lascerò. ***
NON TI
LASCERO’.
L’indomani
Alessandro si svegliò di nuovo nella radura ritornata
deserta.
Si
passo una mano tra i capelli corvini.
Aveva
fatto di nuovo lo stesso sogno. Questa volta, però, dopo il sopraggiungere del
buio, non c’era
più la voce che diceva “Torna quando la luna non
c’è, se lo vuoi!”, ma
ricompariva la luna che continuava a crescere e decrescere. Forse la
sua mente
cercava di dirgli qualcosa, qualcosa che a lui sfuggiva! Mah!
Si
rialzò in piedi e tornò alla fattoria pensando
che gli sarebbe piaciuto
svegliarsi con la fanciulla che dormiva al suo fianco.
Arrivò
il pomeriggio. Seduto su un piccolo masso, controllava le pecore che
stavano
pascolando. Sorrise all’agnellino, che aveva fatto nascere
qualche mese fa e
che era diventato ormai grande. Era una femmina e l’aveva
chiamata Luna, al
collo le aveva legato un fiocco giallo come i fiori di amamelide. La
pecora si
avvicinò a lui e belò. Alessandro la
accarezzò sulla testa.
“Luna,
Luna, Luna. Lo sai, sei nata la stessa notte in cui ho intravisto per
la prima
volta la mia fanciulla. Lei è così bella. Ne sono
completamente innamorato.
Poi, mi perdo completamente quando guardo i suoi occhi immensi. Sai, ci
siamo
salvati a vicenda dalla solitudine in cui eravamo sprofondati. Eppure
sento che
non è ancora completamente mia, sento di poterla perdere.
Devo scoprire quel
segreto che si tiene tanto stretta!”.
La
pecora belò ancora, come a volerlo incoraggiare.
“Sai”
disse Alessandro “sei la seconda a cui parlo della fanciulla.
Non l’ho mai
detto a nessuno, solo alla luna”.
A
quel punto rise di gusto. Aveva parlato della fanciulla a una pecora e
alla
luna. Era felice, però, erano entrambe importanti per lui.
Sorrise, veramente,
come non faceva da tempo. Ogni momento con la fanciulla nella sua mente
era un
sorriso.
Si
soffermò sull’ultima sera passata con lei.
Poi
qualcosa scatto nella sua mente.
“…mi
hai
detto la verità…”
Quelle
poche parole si incisero nella sua mente e continuavano a ripetersi
all’infinito. Tutto iniziò ad incastrarsi e gli
ingranaggi della sua mente
cominciarono a muoversi.
Lui
aveva parlato solo alla luna della notte in cui aveva visto la
fanciulla
suonare il flauto, eppure la fanciulla era a conoscenza di questo.
“Cavolo!”
gridò.
Scese
velocemente dal masso spaventando la pecora.
Fu
come se la natura smettesse di respirare, come se si volesse
concentrare su
quel piccolo essere umano per vedere se finalmente qualcuno, dopo tanto
tempo,
avesse capito.
La
mente di Alessandro smise di trarre conclusioni, perché la
giusta conclusione era
proprio tra il suo sguardo e il suo cuore.
“La
fanciulla e la luna… No, non ci posso credere! La fanciulla è la luna!”.
Sembrava
tutto così assurdo, eppure così chiaro.
“Cavolo,
ecco come faceva a sapere tutte quelle cose su di me. Gliele ho dette
io!”.
Era
così felice, finalmente sapeva chi era la fanciulla. Bastava
chiederle conferma
e se fosse stato tutto vero…cavolo, si poteva dire che si
era innamorato della
luna.
Si
lasciò cadere sull’erba, mentre piccole foglie
verdi trasportate del vento gli
sfiorarono il viso.
Fu
come se la natura volesse fargli una carezza, per ringraziarlo di aver
lacerato
un velo di solitudine.
La
sera arrivò e con essa arrivò anche il momento di
andare alla radura. Per tutto
il giorno Alessandro non aveva fatto altro che passare dalla
convinzione che la
fanciulla fosse la luna alla convinzione che, invece, si era inventato
tutto.
Si
incamminò nella foresta a passo svelto, aveva bisogno di
sapere. Si era
tormentato tutto il giorno per trovare le parole adatte con cui porre
la
domanda, ma niente. Tutto quello che gli era venuto in mente gli
sembrava privo
di tatto e così, adesso, non aveva la minima idea di cosa
dire e questo gli
causava non poca ansia.
Camminava,
un passo dopo l’altro.
Quella
sera si sentiva più stanco del solito, la testa pesava. Il
lavoro alla fattoria
lo stancava molto, doveva sbrigarsela completamente da solo.
Mancava
poco alla radura, solo pochi passi.
Uno, due, tre.
Arrivò, vide la fanciulla seduta sul
masso che rideva mentre le lucciole le volavano intorno e poi
sentì il vuoto
sotto di lui.
Svenne.
La
fanciulla volò, letteralmente, giù dal masso,
mentre le lucciole la seguivano
da dietro. Si piegò su Alessandro e iniziò a
chiamarlo mentre gli bagnava il
viso con l’acqua fresca che chiamava dal lago.
“Cavolo,
che è successo?” disse lui con voce bassa mentre
riapriva gli occhi.
“Mi
hai fatto prendere un colpo. Ecco cosa è successo! Sei
svenuto!” disse tutto
d’un fiato. “Per fortuna sei rinvenuto subito, non
deve essere niente di
grave.”
“Cavolo,
deve essere il lavoro alla fattoria. Ultimamente mi stanca
abbastanza.”
Alessandro
si mise a sedere, provò anche ad alzarsi, ma la fanciulla
glielo impedì. Poi si
sedette accanto a lui e gli prese la mano.
“Come ti senti
adesso?”
“Io?!!
Sto bene. E’ stata solo una cosa momentanea”
rispose mentre prestava maggior
attenzione alle loro mani strette insieme. Era… magico.
Un
attimo…magico? A quel punto gli ritornò in mente
quello per cui era andato di
corsa nella radura. Doveva chiederlo subito e senza giri di parole.
“Senti.”
disse stringendo di più la mano della fanciulla.
“Io
penso di aver capito chi sei.” la guardò negli
occhi.
“Tu
sei la luna. Vero?”
La
fanciulla rimase spiazzata da quel cambio così improvviso di
argomento. Lasciò
velocemente la mano di Alessandro che aveva stretto fino a quel momento
e si
allontanò da lui.
L’atmosfera
era improvvisamente cambiata: era come se un velo di leggero astio
mischiato a
paura fosse sceso su di loro.
Le
lucciole si erano ritirate ai margini della radura.
Loro
erano in penombra.
Alessandro
era estraniato, non riusciva a capire la reazione della fanciulla.
“Per
favore, dammi una risposta. Sei tu la luna?” chiese con un
velo di tristezza
che la fanciulla mal interpretò.
Era
arrivato il momento della verità. La fanciulla si
tormentava. Poteva scappare e
non farsi vedere mai più, ma non era da lei scappare. Poteva
mentirgli, ma non
voleva farlo. Poteva dirgli la verità e questa scelta non
aveva nessun ma.
“Si!”
disse abbandonandosi al suolo. Il vestito ricadde sull’erba
in un cerchio
perfetto.
“Sono
l’eterno spirito della luna.”
Alessandro
non sapeva che dire. Finora tutto era stato solo un enorme punto
interrogativo,
ma adesso era tutto vero: era innamorato dello spirito della luna.
“Come
hai fatto a capirlo così in fretta?”, disse la
fanciulla con il gelo negli
occhi.
“Come
ho fatto a capirlo?” sbottò Alessandro che non
riusciva a capire dove volesse
arrivare la fanciulla con quella richiesta: nella sua mente dovevano
essere
entrambi felicissimi.
“Sei
tu che mi hai dato indizi su chi veramente fossi. Che
c’è? Adesso che l’ho
scoperto non ti va più bene?”
“Non
pensavo che lo scoprissi così in fretta. Io non voglio
separarmi da te!” disse
la fanciulla quasi in lacrime.
“Separarti
da me?” chiese Alessandro socchiudendo gli occhi.
“Si!
Non voglio separarmi da te così presto!”
gridò. “Non dovevi capire chi sono
così in fretta!”
“Non
capisco. Qual è il problema?” le rispose di
rimando sempre più confuso.
“Tutti
quelli che hanno scoperto chi sono, anche se si possono contare sulle
dita di
una mano, sono scappati impauriti da me e dai miei poteri. Non voglio
perdere
anche te, tu per me sei importante come non lo è stato
nessun altro.”
All’improvviso
ad Alessandro fu tutto completamente chiaro.
Si
alzò, andò dalla fanciulla e
l’abbracciò.
La
fanciulla si irrigidì a quel gesto, ma poi trattenendo le
lacrime, si abbandonò
ad esso.
“Io
non voglio lasciarti!” le sussurrò Alessandro in
un orecchio, così
delicatamente che sembrò come se quelle parole perdessero
valore se dette in un
tono più alto.
La
fanciulla respirò il profumo della sua pelle prima di
allontanarsi per
guardarlo negli occhi.
Le
lucciole non osavano avvicinarsi, come se volessero concedere ai due
amanti un
po’ d’intimità.
“Non
ti turba che io sia lo spirito della luna?” chiese la
fanciulla.
“Un
po’ si, non pensavo fosse possibile una cosa del
genere.” disse, ma poi notando
che lei tornava a irrigidirsi, sfiorando le sue gambe, aggiunse:
“Ma tu sei
così bella e forte e poi sei… la luna: il
romantico sogno irraggiungibile di
ogni essere umano. Eppure io ce l’ho fatta e stanne certa,
non ti lascerò! ”
La
fanciulla era così felice di sentire, finalmente, quelle
parole. Le
aspettava da molto tempo, ma adesso non
poteva permettersi di lasciar divagare quella felicità come
un fiume in piena:
doveva essere sicura che Alessandro non sarebbe scappato dopo aver
saputo tutto
ciò che doveva ancora dirgli.
“Non
ti turba che io sia nata all’alba dei tempi?”
“Nooo,
è solo strano pensare che tu ci sia sempre stata
lassù.” disse indicando il
cielo.
“Anzi,
mi stavo chiedendo quando sei venuta qua per la prima volta?”
“Da
quando è nata la Terra ogni mese, nelle notti di luna piena,
scendo sotto forma
di puro spirito per compiere il rituale della luna. E’ il mio
compito.” fece
una pausa “Venivo sulla Terra sotto forma d’aria,
ma poi quando ho visto per la
prima volta un essere umano, ne sono rimasta affascinata. La
quantità d’amore
che può dare e ricevere è incredibile. Nessun
essere umano è pienamente
consapevole di questo! Così adesso ogni volta vengo qua,
sulla Terra, durante
la luna piena, sono lo spirito della luna in un corpo di forma umana.
E’
magnifico!”
“Non
pensavo che mi ammirassi così tanto!”
provò a scherzare Alessandro, per
smorzare un po’ quell’atmosfera così
seria.
Non
ottenne però l’effetto desiderato, la fanciulla lo
guardò come se volesse
ucciderlo!
“Va
bene! Come non detto!”
Silenzio.
“Una
domanda. Mi hai parlato solamente delle notti di luna piena…
e adesso che la
luna non c’è che cosa sta succedendo?”
Non
sperava in una risposta, pensava che ormai la fanciulla non volesse
più
parlare. Invece…
“Ogni
volta che venivo qua, la Terra mi incantava sempre di più,
ma dovevo
accontentarmi di guardarla dal cielo. L’unico giorno in cui
potevo lasciare il
cielo dovevo occuparmi del rituale della luna piena. La magia vedendo
la mia
tristezza decise di aiutarmi: durante i tre giorni di luna nuova,
quando la
luna non è illuminata, posso racchiudere il mio spirito nei
miei occhi ed
essere sulla Terra un essere umano come gli altri, a parte i miei
poteri.”
“Gli
occhi sono lo specchio dell’anima.”
sussurrò Alessandro, senza farsi sentire.
La
guardo negli occhi per un lungo istante e poi, come faceva quando era
imbarazzato, abbassò lo sguardo.
“Senti”
disse “quei ragazzi che…ti hanno…
conosciuto…insomma…”
La
fanciulla lo guardava senza capire cosa volesse dire il ragazzo, ma poi
sorrise.
“Sei
geloso! Nessuno è mai stato geloso di me!” rise.
“No!
Forse solo un pochino. Il fatto è che tutti quei ragazzi che
sono scappati… non
l’hai deciso tu. Forse sono ancora importanti per
te.”
La
fanciulla si scurì in volto.
“Sono
scappati, vuol dire che non mi amavano veramente. Mi ricordo di ognuno
di loro,
non mi piace dimenticare, ma non significano niente per me.”
Alessandro
non disse niente, ma la fanciulla notò che aveva rilassato
le spalle: era
sollevato.
“Lo
sai che ci possiamo vedere solo durante questi tre giorni di luna
nuova?”
“Si…”
“Quindi?”
“Sarà
difficile, ma ti posso sempre parlare quando sei
lassù” disse indicando il
cielo stellato “anche se tu non mi risponderai.”
La
fanciulla gli gettò le braccia al collo, non trovava le
parole per descrivere
quel ragazzo accanto a lei.
“Sento
che non sei completamente mia.” le disse Alessandro.
“Perché?”
“C’è
quel tuo segreto. Sento che per averti devo scoprirlo!”
“E’
vero, ma tu non puoi fare niente per scoprirlo. Se vorrai saperlo, lo
saprai e
basta.”
“Allora
lo saprò, ne sono sicuro!”
“Se
lo scoprirai, però, saremo legati per sempre! Devi esserne
consapevole.”
“Io
so solo che sono consapevole di voler stare con te. Lo sento e so anche
che
questo non è frutto della magia che complica sempre tutto:
siamo solo noi!”
Le
loro mani si sfiorarono, questa volta consapevoli dell’amore
nato tra di loro.
Le
lucciole volarono intorno a loro. I volti dei due amanti splendevano
alla luce
dei piccoli insetti. Si contemplarono lentamente, poi fu solo occhi
marroni
dentro occhi azzurri e infine i loro sguardi si spostarono sulle labbra
altrui.
Si baciarono. Si baciarono con la consapevolezza dei loro sentimenti e
con la
consapevolezza di appartenersi.
Non
ci furono più parole per quella notte, solo le loro mani
unite in una dolce e
ferrea stretta.
Solo
un’altra unica domanda fu posta da Alessandro.
“Quali
sono i tuoi poteri?”
“Non
ne ho ancora la piena consapevolezza. Molti dei miei poteri mi sono
sconosciuti. So che posso far fiorire alcuni fiori, parlare con alcuni
animali,
i gufi sono così dolci e i lupi hanno una mente
spettacolare; ma il più potente
di tutti è il potere di controllare le maree: grazie ad essa
ho imparato a
governare l’acqua. Per esempio posso creare serpenti
d’acqua!”
Sorrisero
entrambi al ricordo del loro primo bacio.
“Non
capisco, perché gli altri sono scappati?”
“Se
mi concentro posso sentire la presenza dell’acqua nel tuo
corpo, posso muoverla
a mio piacimento.”
“E
allora?”
“Diciamo
che ho esagerato…ero arrabbiata con loro e li ho minacciati
di ucciderli con un
solo gesto della mano.”
“Ahahahah!”
“Non
ridere! Mi basterebbe un po’ di esercizio per essere in grado
di farlo
veramente, solo che non voglio farlo!”
brontolò la fanciulla leggermente arrabbiata.
Quelle
furono, davvero, le sue ultime parole per quella notte
perché, poi, le sue
labbra si ritrovarono immediatamente occupate.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Dopo questo capitolo ogni volta che guardo la luna penso ad Alessandro
e alla fanciulla.
Una recensione? Giusto per non farmi pensare che lunedì
inizia la
scuola.
Il prossimo capitolo è quasi finito, poi ne mancheranno
massimo un
alto più l’epilogo.
Estratto:
“Ti
amo.”
Arrivederci!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Innamorato della luna. ***
INNAMORATO
DELLA LUNA.
Si
risvegliò, come al solito, nella radura
completamente vuota.
Aprì
gli occhi.
Poi
li richiuse.
Sbuffò
e si girò pancia in giù.
Non
aveva nessuna voglia di ritornare alla fattoria.
Rimase
lì, steso, per altre due-tre ore fino a quando il suo
stomaco non iniziò a
reclamare cibo. Si alzò e camminò, strascicando i
piedi, fino alla fattoria.
Mangiò. Non aveva nessuna voglia di lavorare. Si
abbandonò sul letto deciso a
rimanervi per tutto il giorno, ma le pecore iniziarono a belare
perché volevano
andare al pascolo. Le ignorò, ma loro non desistevano.
“Va
bene, va bene! Ho capito!” gridò.
Poi
si alzò e contro voglia portò il gregge a
pascolare.
Finalmente
il giorno finì e il sole tramontò, portando con
sé rosa e arancione, per lasciare
il posto al blu della notte.
La
luna in semplice forma di falce, troneggiava in quel cielo pieno di
stelle
governate dalla cetra di Orfeo.
Alessandro
si avvicinò al suo albero di amamelide. Era da un
po’ di tempo che non si
sedeva più sotto i suoi rami, gli era mancato, anche se la
ragione di questa
sua assenza era più che valida. Sfiorò la
corteccia, accarezzò le foglie e
ammirò i fiori. Fin da quando era nato, si era sentito
legato a quell’albero.
Si sedette appoggiando la schiena al tronco e volse gli occhi al cielo.
La
salutò, salutò la luna e la fanciulla allo stesso
tempo. Allungò una mano verso
il cielo come a volerla toccare, a voler sentire ancora il calore della
sua
mano.
“Mi
manchi già!” disse.
Poi
il silenzio. Si fermò a guardarla. Adesso lui sapeva, adesso
lui era
consapevole che anche lei lo stava guardando. La contemplò
per tutta la notte,
fino a quando non si ritirò dentro casa perché il
sonno iniziava a farsi
sentire, la contemplò senza nessuna parola
perché, in quella prima volta che guardò
la luna con la consapevolezza di amarla, era proprio di quello che
aveva
bisogno . Fu in quel silenzio carico di soli pensieri e sentimenti che
Alessandro capì nel profondo di sé stesso di aver
trovato il motivo per il
quale era nato in questo mondo.
I
giorni si susseguivano come le notti e appena la luna compariva nel
cielo
Alessandro si sedeva, a volte sotto l’albero di amamelide, a
volte nella radura
vuota, e poi la salutava. A volte parlava, a volte restava
semplicemente in
silenzio, ma ogni volta fissava dentro la sua mente
l’immagine della luna che
illuminava il blu della notte. Pensava a tutti quei giorni in cui,
ignaro di
tutto, si era sentito un po’ stupido a considerare la luna
come un’amica e
adesso…adesso la sua voce gli risuonava nella mente come una
dolce melodia,
perché lei era reale. Pensando a tutto quello che lei poteva
vedere, dalle
distese di acqua alle enormi montagne, si incantava a guardarla, sia
quando
risplendeva in un cielo limpido, sia quando si vedeva solo la sua luce
attraverso
le grigie nubi che oscuravano il cielo.
“Lo
sai,” disse in una di quelle notti “non avrei mai
pensato di potermi innamorare
così. Eppure eccomi qua, e l’unica cosa che
desidero è averti accanto. E’ così
difficile poterti vedere solo tre volte al mese, ma purtroppo non
possiamo
farci niente.” sospirò, abbassò la
testa e poi ritornando con lo sguardo alla
luna proseguì.
“Non mi importa
però!” disse per tornare a far
sorridere la fanciulla che sicuramente si era intristita ”Mi
basta sapere che
tu ci sarai sempre per me!”
Poi
rise di gusto.
“Cavolo,
non avrei mai pensato di poter dire delle cose tanto…dolci.
Sto diventando
davvero romantico ed è tutta colpa tua!” rise
ancora tra sé e si perse nei suoi
pensieri.
Fino
a qualche mese fa quello che vedeva davanti a sé era solo
una vita di lavoro
tra la fattoria e il villaggio. Certo non aveva mai disdegnato
ciò che lo
attendeva, era un’ottima vita, con una casa e di che
mangiare, gli abitanti del
villaggio dicevano che era molto fortunato, ma a lui quella vita
sembrava
vuota. Tutti erano molto gentili con lui, come d’altronde lo
era lui con loro,
ma nessuno si interessava veramente ad Alessandro. Nessuno voleva
sapere
veramente chi fosse lui, ma soprattutto nessuno si era fidato di lui,
era solo
tutto un saluto e lavoro, niente di più. Così si
era arreso alla via che gli si
presentava davanti. Poi, però, aveva conosciuto lei: lei che
lo aveva ascoltato
in silenzio, lei che si era fidata. Adesso nella via davanti a lui
c’era la
fanciulla, si era seduta lì proprio nel centro e poi gli
aveva sorriso.
“Ti
amo.” gli passarono fulminee nella mente quelle tre parole.
Lasciò
cadere il sasso che aveva tra le mani e con il quale stava
giocherellando. Era
la prima volta che la voce del suo pensiero riecheggiava in quelle
parole. Era
come spaventato, potremmo dire, era stato colto di sorpresa. Poi si
ricordo
della promessa fatta alla fanciulla, pensò a come la sua
vita era cambiata e
accolse quelle parole dentro di sé perché aveva
capito che non erano una
sorpresa, ma solo quello che provava detto nel modo più
bello e semplice
possibile. Doveva dirglielo, doveva farglielo sapere. Mosse le labbra
e… non ne
fece uscire alcun suono. Mancava qualcosa, era come se non fosse ancora
il
momento.
“Fa
niente!” pensò cercando di consolarsi
“quando arriverà il momento sarà
fantastico!”
La
salutò e rientrò in casa.
I
giorni si susseguivano, come le notti e ne mancavano solo tre alla
prima luna
piena da quando Alessandro aveva scoperto chi era la fanciulla.
Quella
mattina si svegliò dopo aver fatto lo stesso sogno che,
ormai, faceva
dall’ultima volta che aveva incontrato la fanciulla. Era
sempre lo stesso sogno
che aveva fatto da quando aveva visto l’albero di amamelide
al centro della
radura, e, come al solito, il finale cambiava. Questa volta dopo il
buio gli
appariva, nitida, l’immagine di lui e la fanciulla uniti in
un dolce bacio. Non
sapeva proprio perché quel sogno lo perseguitava. Forse il
suo inconscio voleva
aiutarlo a scoprire il segreto della fanciulla, ma lui non riusciva
proprio a capirlo.
Intanto
mancavano solo tre giorni alla notte in cui la fanciulla sarebbe scesa
sulla
Terra e lui non poteva vederla. Cavolo!
Si
buttò sul letto e si coprì la testa con il
cuscino. Un, due, tre minuti e i
pensieri diventarono più confusi. Sentì il sonno
prendere il sopravvento: non
era possibile, si era appena svegliato. Si preoccupò, non
era la prima volta
che gli succedeva. In quelle due ultime settimane, dalla notte in cui
era
svenuto nella radura, era sempre più stanco. Non riusciva
proprio a capire. Un
ultimo pensiero alla fanciulla e poi si addormentò.
Quella
notte nessun saluto fu portato dalla notte alla luce della luna che
risplendeva
quasi piena in un oscuro cielo.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Ecco il
capitolo 6. Non è un capitolo molto lungo, più
che altro è un
capitolo introduttivo al prossimo.
Intanto
sto scrivendo il capitolo prima dell’epilogo.
Ciao!!!=)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. ***
IL CUORE HA
RAGIONI CHE LA RAGIONE NON CONOSCE.
La
luna piena era alta nel cielo.
Un
solo soffio di vento mosse le foglie dell’amamelide. Una
figura dai tratti
umani si formò dall’aria mossa da esso.
Appoggiò la fronte all’albero, era da
tre giorni che nessuno sfiorava quella corteccia. Un gruppo di lucciole
si
strinse, all’apparenza disordinatamente, intorno alla figura.
Un petalo giallo
si stacco dal resto del fiore e fu accolto tra le sue mani. Un lampo di
luce,
le lucciole si allontanarono. Due occhi castani si aprirono di nuovo al
mondo,
due occhi che risplendevano di luce argentea.
La
fanciulla era tornata sulla Terra.
Alessandro.
Guardò
la luna piena, si guardò nel cielo. Era incredibile quanto
poteva fare la
magia. Lei era lì, nell’immensa distesa blu, e
sulla Terra.
Si
ridestò dai suoi pensieri, doveva adempiere il suo compito.
Il rituale della
luna piena doveva essere compiuto nel momento esatto in cui la luna era
completamente piena. Si concentrò sul suo spirito e si
raffigurò nella sua
mente: c’era ancora tempo, la luna non aveva raggiunto il suo
apice.
Alessandro.
Un’altra
volta, non doveva pensarci, doveva rimanere concentrata, ma purtroppo
il suo
pensiero continuava a tornare a lui. Era da tre notti che non si faceva
vedere.
Era preoccupata, molto preoccupata.
Nascosta
dietro l’albero poteva vedere la sua fattoria: nessuna
finestra era illuminata,
la casa era completamente immersa nel buio. Solo un minuto, non un
secondo di
più, aveva bisogno solo di un minuto per guardarci dentro.
Era pericoloso, lo
sapeva: non doveva farsi vedere. Un
passo dopo l’altro, nel silenzio della notte, era
già a metà strada. Ma cosa
stava facendo? Magari Alessandro stava semplicemente dormendo e se lei
fosse
andata a cercarlo l’avrebbe svegliato, lui
l’avrebbe vista e addio natura.
Nessuno poteva vederla nella notte del rituale perché questo
avrebbe portato ad
una natura completamente morta sulla Terra: niente mari, niente
animali, fiori
o piante. Doveva tornare indietro! Assolutamente!
Fece
mezzo giro su sé stessa e avanzò di un passo.
Si
fermò e prese un bel respiro. Aveva bisogno di sapere
perché Alessandro non si
faceva vedere da tre notti.
Tornò
a guardare la fattoria.
Era
pericoloso.
Non
riusciva a decidersi. Chiuse gli occhi e ascoltò il
silenzio, poi ascoltò sé
stessa e proseguì verso la casa. Si fermò ad un
metro di distanza.
Un’idea.
Alzò le mani al cielo, verso la luna, e invocò il
potere della notte, che
facendo vibrare l’oscurità, si riverso su di lei.
La luce della fanciulla fu
offuscata. Ora non poteva essere vista, ma doveva fare attenzione lo
stesso:
offuscare la luce dello spirito della luna richiedeva una magia potente
come
quella della notte e a lei era permesso usarla una volta ogni anno e
solo per
pochi minuti.
Si
affacciò alla finestra: il buio totale. Si
avvicinò alla porta e la spinse: era
aperta. Entrò. Un respiro affannato spezzò il
silenzio. Poi una voce.
“Dove
sei?”.
La
fanciulla si bloccò immediatamente. Era Alessandro. Non
capiva, non poteva
averla vista. Concentrò la magia nei suoi occhi: ora poteva
vedere al buio. Lui
era lì, a un passo da lei, steso sul letto.
Si
avvicinò.
Alessandro
dormiva agitandosi nel sonno e continuando a ripetere: “Dove
sei?”. La
fanciulla si avvicinò un po’ di più e
si inginocchiò accanto al letto. Aveva un
brutto presentimento. Gli toccò la fronte, era sudato
e… aveva la febbre, molto
alta. Appoggiò un orecchio sul petto per sentire il battito
del cuore: era
molto lento. Nel frattempo lui non aveva smesso un secondo di delirare.
Lo
chiamò, al diavolo le precauzioni.
“Alessandro!”
Niente,
non si svegliava.
“Alessandro!”
Continuava
a delirare.
“Alessandro!”
Il
respiro stava rallentando per diventare sempre più debole.
Doveva fare qualcosa
e subito, ma sapeva molto bene che per curare gli umani malati ci
voleva molto
tempo: proprio quello che a lei mancava. Sarebbe ritornata sulla Terra
solo tra
due settimane circa e quella notte, inoltre, non aveva tempo
perché non doveva
far tardare neanche di un minuto il rituale della luna piena.
Sfiorò
il volto di Alessandro, diventava sempre più caldo. Sapeva
che non avrebbe
resistito a lungo se non avesse fatto qualcosa. Gli strinse la mano,
una
lacrima le rigò silenziosamente la guancia.
Improvvisamente
Alessandro smise di delirare. Le forze lo stavano abbandonando. Ma come
aveva
fatto a ridursi così? La fanciulla non riusciva a capire.
Poi le tornarono in
mente tutte le volte che Alessandro gli aveva detto di aver lavorato
tanto, poi
la volta in cui era svenuto nella radura e infine aggiunse i tre giorni
passati
da solo in quella casa e si diede della stupida per non averlo capito
prima.
Una
luce proveniente dalla sua mano la riscosse dai suoi pensieri: la magia
che
l’aveva nascosta stava ritornando alla notte. Doveva
andarsene e subito. Il suo
corpo nudo riluceva ormai completamente. Si alzò
d’istinto per andarsene, ma
l’importanza del ragazzo davanti a lei prevalse
sull’abitudine e sulla ragione.
Senza chiedersi cosa stesse facendo e senza pensare a tutto quello che
avrebbe
comportato decise che non avrebbe permesso a quelle stupide regole di
portarle
via Alessandro. Sperò con tutto il suo cuore che, a causa
della spossatezza,
avrebbe dormito durante tutto il tempo che fosse stato con lei.
Lo
prese in braccio, gli diede un bacio sulla fronte e osservò
per un secondo quel
ragazzo, alto presso a poco quanto lei, inerme tra le sue braccia.
Ringraziò la
forza che l’essere uno spirito le donava e si recò
alla volta della radura.
Strinse
Alessandro a sé, il suo volto caldo a stretto contatto con
il suo petto nudo.
Non l’avrebbe lasciato solo per nessuna ragione al mondo, lo
avrebbe salvato e
non se ne sarebbe mai pentita.
Arrivata
alla radura aveva preso la sua decisione. Avrebbe fatto il rituale di
purificazione. L’aveva praticato qualche volta, in tempi di
guerra, per salvare
segretamente qualche soldato in fin di vita, ma questa volta era
diverso:
c’erano di mezzo i sentimenti e lei stava perdendo la calma e
questo non doveva
succedere.
Appoggiò
delicatamente Alessandro sull’erba e guardò al
centro della radura: l’albero di
amamelide risplendeva di luce dorata. Doveva sbrigarsi. Si
avvicinò all’albero
e si inchinò, fece aderire il suo palmo alla corteccia e
volse il suo sguardo
alla luna. Un unico fiore giallo si staccò
dall’albero per cadere al suolo. La
luce argentea attorno alla fanciulla aumentò
d’intensità e il fiore quando
cadde non toccò l’erba, ma l’acqua del
lago della luna nuova. La fanciulla
tolse la mano dalla corteccia, ma questo non spezzò il
legame che aveva
stabilito con l’albero. Si voltò e, passo dopo
passo, camminando sui sassi che
emergevano dall’acqua, tornò da Alessandro.
Adesso
la aspettava la parte più difficile. Lo spogliò
da tutti i suoi vestiti: per
questo tipo di rituale era necessario il totale contatto con la natura.
Lo
prese di nuovo in braccio per poi adagiarlo vicino al lago immergendolo
nell’acqua dall’ombelico in giù. Chiamo
a sé la teca di vetro con dentro il suo
flauto e con grande velocità e decisione la ruppe: aveva
bisogno di qualcosa di
tagliente. Prese un frammento da terra.
“Scusami”
sussurrò.
Poi
lo avvolse con la sua luce: non sapeva se fosse servito a qualcosa, ma
lei
sperava che, magari, in questo modo avrebbe percepito meno dolore.
Avvicinò la
mano con il frammento di vetro alla spalla di Alessandro. La fanciulla
tremava,
non riusciva a credere di stare davvero per farlo, ma era necessario,
non
sapeva cosa altro fare. Strinse la mano di Alessandro con la sua
rimasta
libera. Lasciò passare un altro solo secondo e premette con
il frammento sulla
spalla. Una goccia rossa fuoriuscì macchiando la pelle cerea
per poi ricadere
sul verde dell’erba. Fece arrivare la sua mano fino al fianco
opposto più
velocemente possibile. Alessandro urlò di dolore, poi un
glaciale silenzio e un
respiro che rallentava sempre di più. Doveva fare in fretta
se non voleva
trasformare il suo intervento in tragedia.
Il
sangue fuoriusciva velocemente dalla ferita e andava a mescolarsi con
l’acqua.
La fanciulla gettò il frammento sull’erba e,
stendendo il braccio, rivolse la
mano verso l’albero con il palmo tendente al cielo.
Dall’aura dorata
dell’albero si allungò un braccio di luce che
muovendosi velocemente sull’acqua
andò a mescolarsi con il sangue e la fanciulla vi immerse la
mano per
aggiungervi la sua essenza argentea. Poi la fece uscire
dall’acqua e l’avvicinò
alla ferita. Acqua, sangue e l’essenza della luna insieme a
quella della natura
si erano unite in un unico fluido e seguivano i movimenti della sua
mano.
Iniziò a percorrere la ferita per tutta la sua lunghezza e
il fluido vi entrò.
Il corpo di Alessandro si irrigidì per
l’intrusione. La fanciulla continuò a
muovere la sua mano, mentre con l’altra stringeva ancora
quella di lui, fino ad
arrivare alla fine della ferita. Alessandro inarcò la
schiena come a voler
respingere il dolore, il respiro accelerò in uno strano
modo: non stava
reagendo bene all’intrusione. La fanciulla
intensificò la luce intorno a lui
pregando la magia presente nell’aria di attutire il dolore di
quel ragazzo. Una
risata allegra condita con un pizzico di vanità
riecheggiò nell’aria. La
richiesta della fanciulla fu esaudita.
Adesso
poteva continuare.
Chiuse
gli occhi e a malincuore lasciò la mano di Alessandro per
poi poggiarla,
insieme all’altra alla fine della ferita. Iniziò a
muoverle sul suo corpo per
far scorrervi il fluido in ogni singola parte. Percepiva il potere
delle due
essenze congiunte agire velocemente per salvare la vita che era stata
riposta
nelle loro mani. Mantenendo la concentrazione continuò a far
muovere il fluido
fino a quando sentì il battito del cuore tornare normale.
L’aveva guarito, ce
l’aveva fatta.
Era
così felice! Riportò con attenzione il fluido in
un unico punto, alla fine
della ferita e poi lo richiamò a sé.
Allontanò le mani da Alessandro e il
fluido seguì i suoi movimenti ritornando ad essere quattro
parti distinte:
l’acqua tornò nel lago, il sangue rimase nel corpo
del ragazzo ormai guarito,
l’essenza di luna tornò alla fanciulla e infine la
luce dorata tornò al suo
albero lasciando solo un po’ di magia per impedire al sangue
di riversarsi dalla
ferita. Poi richiamò anche
la luce che aveva avvolto Alessandro.
Era
tutto finito! Copiose lacrime argentee si riversarono sulle sue guance.
Piangendo riprese Alessandro tra le sue braccia e lo portò
lontano dal lago, al
limitare della radura. Lo stese delicatamente sull’erba
facendo attenzione a
non sfiorare la ferita aperta. Avrebbe voluto tanto portarlo subito a
casa e
fasciargli il petto con delle bende, ma non le era possibile: tra tre
minuti
esatti l’attendeva il rituale della luna piena. Con un
movimento della mano
tolse le gocce d’acqua che gli bagnavano il corpo, non poteva
fare altro.
Si
prese un minuto per osservarlo attentamente, adesso poteva farlo, era
così
bello. Si soffermò sul suo viso, non trovava parole per
descriverlo, esprimeva
una gentilezza immensa. Avvicinò il suo volto a quello di
lui, poi posò una
mano sulla sua guancia e lo baciò.
“Ti
amo” sussurrò. Peccato che lui non potesse
sentirla.
Un
ultimo bacio, un ultimo sguardo. Era ora, il rituale della luna piena
la
attendeva. Alla fine lo avrebbe rivestito e riportato a casa. Per
adesso quello
che poteva fare era lasciarlo steso sull’erba: stare un altro
poco circondato
dalla magia della natura non gli avrebbe fatto male.
Si
fermò ai margini del lago e osservò
l’albero che vi si ergeva al centro. Era
spettacolare! La sua luce dorata si rifletteva sull’acqua
sopra la quale le lucciole
volavano indisturbate. Le radici dell’albero si intravedevano
nel buio della
notte attraverso l’acqua blu. Era tutto così
magico. La fanciulla chiuse gli
occhi e percepì il legame con l’albero. Li
riaprì e il lago era sparito. Era
pronta per il rituale.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Prima di
tutto chiedo immensamente perdono per il grandissimo ritardo.
Spero che il capitolo ripaghi almeno un po’
l’attesa. Ringrazio tutti quelli
che hanno messo la mia storia tra le seguite o le ricordate, chi si
è fermato a
dare uno sguardo e Deilantha che ha recensito ogni capitolo!
Il
titolo di questo capitolo è una frase di Pascal, appena
l’ho vista
ho pensato che fosse perfetta.
Il
prossimo capitolo sarà “Il rituale della luna
piena”, poi ho
aggiunto un altro prima dell’epilogo.
Grazie
e arrivederci. =)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Il rituale della luna piena. ***
IL
RITUALE DELLA LUNA PIENA.
La
luna risplendeva piena e alta in un cielo senza nuvole. Era
l’ora designata,
l’ora del rituale della perfezione, l’ora del
rituale della luna piena.
La
fanciulla , spirito argenteo della luna, era pronta a compiere il suo
secolare
compito, era pronta a far risplendere di luce nuova l’albero
al centro della
radura, simbolo della natura e legame indissolubile con la luna stessa.
Alle
sue spalle Alessandro giaceva addormentato. La fanciulla
spostò, per un ultimo
istante, lo sguardo sopra il ragazzo. Il respiro era tornato normale,
ma il
colorito roseo tardava a riaffiorare sul suo volto pallido. Non era
più
preoccupata, però, perché sapeva che Alessandro
non correva più rischi: lei lo
aveva salvato, lei ce l’aveva fatta davvero!
Sfiorò delicatamente con lo
sguardo ogni singola parte di quel corpo che amava, si
soffermò sulla linea
rossa che attraversava il suo petto, che gli avrebbe fatto veramente
male al
suo risveglio. Si dispiacque per l’impossibilità
della magia di curare le
ferite causate per utilizzare il suo potere.
Riportò
la sua attenzione all’albero di fronte a sé.
Poteva sentire il legame che la
univa a lui, poteva vedere il filo invisibile che come un nodoso ramo
arrivava
fino a lei. Si concentrò su quel legame e allargò
le braccia. Il vento si alzò
muovendo le fronde dell’albero in fiore disperdendo il suo
polline: piccoli
puntini dorati volteggiavano nell’aria. Il vento, come un
essere con una
propria coscienza, attraversò la distanza che lo separava
dalla fanciulla,
portando con sé il polline di amamelide. Sfiorò
lentamente le caviglie dello
spirito della luna che rise felice a quel contatto. Poi, come una
spirale,
avvolse la fanciulla fino ad arrivare ai suoi capelli che danzarono con
lui.
Adesso, tra l’aurea argentea della fanciulla si potevano
distinguere piccoli
puntini dorati. L’odore del mare, poi quello
dell’aria fresca dopo la pioggia,
erba appena tagliata, la terra smossa. Il calore del sole, il
cinguettio degli
uccelli e l’ululare dei lupi, un canto di armonia. Il vento
si placò, il
rituale della luna piena era iniziato.
Il
silenzio della notte riavvolse di nuovo l’aria della radura.
La fanciulla
abbandonò le braccia lungo il suo corpo. Un passo dopo
l’altro si avvicinò
all’albero. Si sedette sotto le sue fronde che, come una
calda mano, le
accarezzarono il viso. La fanciulla assunse la posizione del loto, le
gambe
incrociate e le mani appoggiate sulle ginocchia, e aprì le
porte del suo
spirito collegandosi con l’altra sé sul nel cielo.
Un unico fascio di luce
partì dalla luna piena circondando di luce argentea il
risplendere dorato
dell’albero: l’amamelide era pronto a ricevere il
potere rigenerativo della
luna.
La
fanciulla si alzò in piedi e guardò
ciò che era successo: come succedeva ogni
mese, la luce dorata dell’albero l’aveva accolta
dentro di sé. Allungò il
braccio e osservò la sua mano: poteva vedere la sottile luce
argentea, che
risplendeva a contatto con la sua pelle, ricolma del polline
dell’albero,
poteva osservare la luce dorata dell’albero che la riscaldava
e infine la luce
argentea della luna piena che completava e donava serenità.
I suoi occhi
traboccarono di gioia. Appoggiò la mano sul tronco
dell’albero: un flusso di
energia si ramificò nel suo braccio per poi percorrere il
suo corpo e finire
nei suoi capelli che crebbero fino a sfiorarle le gambe. La sua risata
cristallina si diffuse nell’aria. Adesso lei era pronta a
governare la luce
dell’albero. Le fronde dell’amamelide iniziarono a
muoversi, un solo e forte
ramo si allungò verso di lei: la fanciulla
ringraziò gentilmente e si sedette
su di esso, poi chiuse gli occhi e si lasciò trasportare
all’interno della
chioma dell’albero.
Quando
percepì la quiete intorno a sé, riaprì
gli occhi e fu felice di trovarsi lì.
Nonostante quell’ambiente le fosse ormai familiare, lei
contemplò, come se
fosse la prima volta, la miriade di fiori gialli che aspettavano
silenziosamente un suo gesto; ovunque volgesse lo sguardo era presente
un fiore
di amamelide: allungò il braccio davanti a sé e
accolse, senza raccogliere, un
fiore dentro la sua mano. Poteva sentire lo scorrere il potere della
vita della
natura, ascoltarne l’armonia e la pace. Poteva sentire la
potente antichità
dell’albero, sapere come le sue radici si addentravano nel
terreno e seguire
con gli occhi della mente la linfa della luce dorata che attraverso il
tronco
arrivava ai fiori. Magnifico.
La
fanciulla, sempre seduta sul ramo dell’albero,
allontanò la mano dal fiore che
vi aveva racchiuso. Poi, muovendo anche l’altra,
iniziò a formare nell’aria dei
movimenti circolari, come a voler creare una sfera tra le sue mani.
I
piccoli puntini di polline dorato, fonte generatrice della luce
dell’albero,
iniziarono a muoversi verso la sfera d’aria: uno dopo
l’altro abbandonarono
l’aurea della fanciulla, portandone un frammento argenteo via
con loro.
Quando
anche l’ultimo granello ebbe lasciato l’aurea della
fanciulla, lei spostò lo
sguardo verso lo spazio tra le sue mani dove la sfera d’aria
aveva lasciato il
posto a una sfera dorata, grande quanto due mani strette tra loro, e
punteggiata d’argento. La fanciulla aprì le
braccia lasciando fluttuare la
sfera di fronte a sé.
Spalancò
le porte del suo spirito lasciando scorrere tutto il suo potere insieme
a
quello dell’albero intrecciato con i suoi capelli. Si sentiva
libera e potente.
La luce intorno all’albero, proveniente dalla luna piena,
s’increspò e, in quel
medesimo istante, i frammenti argentei dentro la sfera esplosero
avvolgendo con
la loro luce l’albero e creando un punto fisso e abbagliante
nella notte.
Con
un gesto veloce e deciso la fanciulla spinse la sfera dentro
l’albero, nel
punto in cui iniziavano a diramarsi i rami: l’energia
rigeneratrice entrò in
circolo. Un solo secondo più tardi, la luce argentea che
risplendeva nel buio,
come uno specchio, si ruppe in migliaia di frammenti che volteggiando
nell’aria
assunsero la forma di lacrime cristalline. La luce dorata
dell’albero fece
capolino e libera ormai di risplendere riecheggiò con il suo
potere in ogni
singolo angolo del mondo.
La
fanciulla capì che era arrivato il momento. Saltò
giù dall’albero, elegante
come un lupo, e appena il suo piede toccò terra il vento si
alzò e avvolse
l’albero e… fu come se per un attimo il tempo si
fosse fermato, tutto era
silenzioso e immobile. Poi, all’unisono, i fiori di amamelide
si librarono
nell’aria. Il tempo riprese a scorrere, il vento
imperò portando con sé i fiori
gialli che, come in una danza, si unirono alle gocce argentee e
volteggiarono
per tutta la radura.
La
fanciulla si voltò e guardò l’albero:
La sua luce risplendette, la luce
dell’albero risplendette e la fanciulla sentì
l’energia della luna fluire
nell’albero e arrivare ai rami. Piccoli boccioli di amamelide
iniziarono a
fiorire sui rami per poi sbocciare risplendendo di magia.
La
fanciulla sorrise ai nuovi fiori. Se qualcuno avesse potuto osservare
il
rituale, sarebbe rimasto sicuramente deluso da quella fine che avrebbe
definito
banale dopo tutto ciò che era accaduto prima. Non potevano
commettere errore
più grande. La fanciulla ascoltò estasiata le
risate dei fiori appena nati che
avevano dato forma allo spettacolo più bello e semplice che
l’universo avrebbe
mai potuto contemplare: la vita.
La
fanciulla sfiorò delicatamente l’albero e nella
sua mente riecheggiò una voce
antica che le sussurrò un devoto grazie. Si
inchinò all’albero e chiuse il suo
legame con lui, chiuse le porte del suo spirito.
Il
rituale della luna piena era concluso.
Ora
non le rimaneva che un ultimo compito: danzare con i fiori caduti e le
lacrime
di luna per farle tornare alla natura, perché è
là che tutto inizia e finisce.
Si
preparò, le piaceva molto quella parte finale del suo
compito. Certo, non era
niente a confronto dell’ammirare l’albero di
amamelide risplendere di vita
nuova: questa parte era così… appariscente.
Alzò le spalle: non era mica colpa
sua se alla natura piaceva usare la magia per mostrare la sua bellezza.
Il
vento le vorticò intorno raccogliendo attorno a lei fiori e
gocce. La fanciulla
fece un passo, poi un altro ancora e una giravolta. Iniziò a
danzare. Fece un
passo, poi un altro ancora e… un urlo. La fanciulla si
fermò immediatamente e
il vento, i fiore e le gocce si bloccarono con lei. Si
guardò intorno con
sguardo confuso e preoccupato e quando vide da dove, o meglio da chi,
era
provenuto l’urlo, puro terrore si impossesso di lei.
Incontrò
quelli occhi azzurro che la guardavano senza capire e intanto la natura
iniziava a crollarli intorno.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Ed
ecco il penultimo capitolo!!! Non è arrivato puntuale, ma
per
fortuna prima dell’ultimo capitolo pubblicato!=p
Il prossimo capitolo: “Il segreto svelato.”
“Lo so che tutto questo non è molto, ma
è una delle cose più
importanti che ho. E’ racchiuso molto di me e dei miei sogni
in questa storia e
io gliela dedico per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per noi,
per
tutto quello che ci donato. Grazie, perché siamo diventati
forti grazie a lei.
Una farfalla dalle stupende ali rosse, ecco come la
ricorderò.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Il segreto svelato. ***
IL SEGRETO
SVELATO.
Erano
passati tre giorni da quando la febbre lo aveva costretto al letto e in
quel
tempo non c’era stata neanche l’ombra di un
miglioramento. La temperatura non
accennava a scendere, anzi saliva ogni giorno di più. La
testa gli scoppiava,
non riusciva a stare in piedi. Poi si era aggiunta la fatica nel
respirare e
quel giorno aveva perso, molto spesso, conoscenza. Si alternavano
sprazzi di
breve lucidità dove l’immagine della fanciulla
ricorreva nella sua mente, a
momenti dove non si ricordava più dove fosse. Era riuscito a
sopravvivere fino
ad adesso solo perché, in un momento in cui la febbre aveva
smesso di salire,
era riuscito a portare a letto una brocca piena d’acqua e un
po’ di cibo. Ora,
però, non aveva la minima idea di quanti giorni sarebbe
riuscito a resistere.
Era
completamente buio intorno a lui. La notte era appena scesa. Sentiva il
suo
corpo come in fiamme, era la prima volta che gli succedeva. Era
preoccupato.
Stava seriamente pensando di trascinarsi sotto l’albero di
amamelide per
salutare, forse per un’ultima volta, la sua fanciulla. I suoi
momenti di
lucidità, però, non duravano più di
una manciata di minuti e lui non faceva in
tempo a recuperare un po’ le forze che sprofondava di nuovo
nel sonno.
Doveva
essere notte fonda ormai. Sentiva una voce vicino al suo letto, diceva
“Dove
sei?”. Non capiva da dove provenisse, continuava a sentire
quelle due parole e…
riconobbe la voce: era la sua. Non l’aveva riconosciuta, era
come se lui e il
suo corpo fossero stati due entità separate.
Stava
di nuovo per sprofondare nell’incoscienza. Il suo ultimo
pensiero fu: “Per
favore, non lasciarmi solo”.
Sentì
un tocco fresco sulla sua fronte, poi qualcosa appoggiarsi
delicatamente sul
suo petto. Sentì il suo nome in lontananza, qualcuno lo
stava chiamando con un
tono preoccupato. Il buio prese il sopravvento.
Un
rumore di passi, non era più nel suo letto: qualcuno
l’aveva preso in braccio.
Adesso si sentiva al sicuro.
“Scusami”.
Qualcosa
di freddo si muoveva vicino il suo addome. Era nudo, sentiva il freddo
attanagliargli la pelle, qualcuno lo aveva spogliato e immerso in
qualcosa,
forse acqua. Percepì come una forza avvolgere il suo corpo
che si intorpidì
come per magia. Non capiva, stava sognando?!? Poi una mano strinse la
sua, ed
era così vera. Qualcosa gli pizzicò la spalla,
era fastidioso. Poi il nero
divenne rosso: un dolore atroce si impadronì del suo corpo
senza lasciargli il
tempo di capire cosa stesse succedendo. Urlò e poi svenne.
Si
sentiva meglio. La febbre sembrava sparita. Era ancora nudo, poteva
sentire il
terreno sotto la sua pelle. Una morbido tocco sulla sua guancia e poi
il sapore
delle stelle sulle sue labbra. Voleva vedere, ma era troppo stanco per
aprire
gli occhi.
“Ti…”
Si
addormentò, si sentiva così debole.
L’odore
del mare, poi quello dell’aria fresca dopo la pioggia, erba
appena tagliata,
terra smossa. Il calore del sole, il cinguettio degli uccelli e
l’ululare dei
lupi e un canto di armonia.
Si
svegliò, non riusciva a dormire a causa di un dolore che
pulsava dalla spalla
fino al fianco opposto. A parte quello si sentiva meglio, le forze
stavano
tornando, ma voleva dormire giusto un altro po’. Prima,
però, voleva fare una
cosa che non gli sembrava non facesse da almeno un secolo:
aprì gli occhi.
Sbatte le palpebre un paio di volte per abituarsi e poi
osservò. Quella che
doveva essere una lucciola volò sopra di lui. Era notte: il
cielo scuro era
sopra di lui, rischiarato dalle stelle. Con la coda
dell’occhio destro scorse
una luce, si voltò e vide un albero risplendente di luce
dorata: era l’albero
di amamelide. Stava sicuramente sognando, non poteva trovarsi
lì: era meglio
tornare a dormire, anche se a quanto pareva, lo stava già
facendo.
Alessandro
si riaddormentò tranquillo e, per fortuna, non
notò un ramo che silenziosamente
tornava al sicuro nell’albero.
Un
fresco vento gli provocò un brivido lungo la schiena.
Riaprì gli occhi
svogliatamente: voleva ancora dormire. Lentamente mise a fuoco il
cielo, le
fronde degli alberi e delle strane gocce argentee, che fluttuavano
insieme a
dei fiori gialli: stava sognando, di nuovo.
Stava
per richiudere gli occhi quando fiori e gocce iniziarono a muoversi. Ne
seguì
il percorso ruotando la testa e… colei che apparve davanti
ai suoi occhi era
sicuramente una dea. Era di spalle e il vento, mente giocava con i suoi
lunghi
capelli castani, l’aveva circondata di quei fiori gialli e
gocce argentee. La
sua nuda pelle risplendeva candida alla luce di un’aurea
argentea che
l’avvolgeva. Iniziò a danzare, sicuramente non si
era accorta di lui. Voleva
vedere il suo volto. La splendida dea fece un passo, poi un altro e una
giravolta. Alessandro sgranò gli occhi: il suo subconscio
gli aveva fatto
davvero uno splendido regalo. Che bel sogno! La sua fanciulla era
lì, davanti
ai suoi occhi. Cavolo, quanto gli era mancata! Lo sapeva che lei non
era
veramente lì, ma voleva raggiungerla lo stesso.
Si
alzò.
Un
urlo.
Ricadde
per terra, un dolore atroce pulsava da una parte all’altra
del petto. Quello
non era per niente un sogno, il dolore era troppo reale.
Quindi…no, non poteva
essere vero…la fanciulla era…no, non ci
credeva…reale! Guardò di fronte a sé e
incontrò lo sguardo di lei, uno sguardo di puro terrore.
Alzò gli occhi al
cielo: la luna piena trionfava nell’immensa distesa blu. Gli
si ghiacciò il
sangue nelle vene: lui non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo.
La
natura iniziava a crollarli intorno.
Una
sola e infinita scossa attraverso il terreno e il suo rombo si perse
all’orizzonte, mentre un eco di distruzione aleggiava
prepotentemente nel buio
della notte. La fanciulla si abbandonò al suolo, sotto gli
occhi confusi di
Alessandro.
Come
cazzo aveva fatto a ritrovarsi in quel luogo? Era tutto sbagliato! Non doveva essere lì, lui
doveva essere
a casa divorato dalla febbre. Invece si trovava proprio nella radura
senza la
minima traccia di malessere e, si guardò il
petto… con un enorme e doloroso
taglio. La testa gli scoppiava.
Un
freddo gelo serpeggiò tra l’erba che velocemente
marciva sotto le sue mani. Il
cielo inghiottito da un enorme buco nero perdeva tra copiose lacrime
ogni sua
stella. I versi di grande paura degli animali non lasciavano spazio al
silenzio. I colori gocciolavano al suolo in un triste canto di morte.
L’amamelide lentamente iniziò a spaccarsi in due e
ogni secondo era un pianto
di dolore. La fanciulla urlò, un urlo di disperazione, di
vuoto, di fine e di
solitudine. Strinse la testa tra le mani e un pianto ininterrotto si
riversò
dai suoi occhi mentre la luna nel cielo tremava. Dolore, morte,
disperazione.
Il buio scendeva velocemente su tutto, circondava ogni singola
scintilla di
vita, la inghiottiva, la distruggeva e non accennava a fermarsi. La
fanciulla
lo guardò con occhi vuoti, spenti, sbarrati. Il buio stava
raggiungendo anche
lei, le serpeggiava intorno, cercava di rubare la sua luce. Le labbra
della
fanciulla si mossero, ne uscì un unico sussurro:
“Aiutami.”
Alessandro
non se lo fece ripetere, anche se non aveva la minima idea di cosa
fare. Non
riusciva ad alzarsi, così si trascinò fino alla
fanciulla, nonostante il
dolore, nonostante il sangue che iniziava a farsi strada tra le labbra
della
ferita.
La
fanciulla tra i singhiozzi e le lacrime continuava a ripetere:
“E’
tutta colpa mia. Questo disastro è colpa mia!”
Alessandro
non riusciva a capire, si sentiva così impotente: la
guardava piangere
raggomitolata su se stessa ed era come se un enorme masso si fosse
sistemato
sul suo cuore senza volersi più spostare. Le
accarezzò i lunghi capelli e la
fanciulla si strinse a lui, come se fosse la sua unica ancora di
salvezza.
Alessandro l’accolse tra le sue braccia perché
mentre il mondo li crollava
intorno lei era l’unica sua certezza.
“E’
colpa mia! Era una mia responsabilità e ho fallito, ma io
dovevo salvarti
perché sei la cosa più bella che potesse
capitarmi. Non potevo lasciarti morire
sapendo di avere la possibilità di salvarti. Mi scaldi il
cuore, mi fai sentire
felice e viva e il solo pensiero di non vederti più
sorridere mi fa morire
dentro perché… ”
La
fanciulla si bloccò, smise di piangere e, travolta dalla
verità delle sue
stesse parole, guardò Alessandro, nei suoi occhi limpidi
come il cielo e
profondi come il mare, con una nuova luce negli occhi: la luce della
consapevolezza d’amare.
“…perché…perché
io ti amo Alessandro!”
Le
lacrime riaffiorarono nei suoi occhi.
“Perché
io ti amo come non ho mai amato nessun altro e non mi
pentirò mai di quello che
ho fatto.”
Un
ultimo bacio a fior di labbra, un ultimo delicato bacio che si
tramutò in
passione, le loro labbra si muovevano come se fossero una cosa sola
mentre le
lacrime si mescolavano al loro sapore.
“Ti
amo Alessandro.”
“Ti
amo anch’io, Amamelide.”
La
fanciulla spalancò i suoi occhi castani, come se non
credesse veramente a
quello che Alessandro aveva appena
detto. Poi rise di una risata che sapeva di speranza perché
adesso finalmente
era tutto vero.
Lo
baciò e questa volta non era un bacio d’addio,
questo era un nuovo inizio
perché quel magnifico ragazzo davanti a lei era andato oltre
quello che i suoi
occhi vedevano, aveva guardato con l’anima ed era riuscito a
fare una cosa che
nessun’altro era riuscito a fare: aveva trovato
l’anima della luna.
Appena
le loro labbra si sfiorarono la luce della fanciulla risplendette come
non era
mai successo, era rinata e con la sua nuova forza travolse il buio che
attanagliava
il mondo, raggiunse ogni
singolo posto.
Poi quando i corpi dei due amanti aderirono l’un
l’altro un tripudio di colori
nacque dai loro cuori e andò a instillare una scintilla di
vita in tutto ciò
che ormai sembrava perso. L’arrivo di una primavera
improvvisa: questo era
quello che stava succedendo. Verde come l’erba, marrone come
gli alberi,
celeste come l’acqua, arancione, giallo, rosa e rosso come i
fiori e blu come
la notte che riconquistava le sue stelle.
Un canto di vita e di gioia
riecheggiava
mentre la paura abbandonava il cuore di ogni creatura vivente.
I
due amanti erano il centro di quella magia e quando entrambi si
guardarono,
arrivando ad osservare l’anima dell’altro
accettando senza paura l’amore
eterno, una nuova energia, mai esistita prima, si sprigionò
dai loro cuori,
un’energia che risanò le ferite
dell’albero di amamelide donandogli un’energia
di vita eterna.
Il
dolce silenziò della notte ritornò.
“Che
cosa è successo?” chiese Alessandro.
“Mi
hai salvato e insieme abbiamo salvato la natura.” gli rispose
dolcemente la
fanciulla con la luce della felicità negli occhi.
“Come?”
“Ti
amo Alessandro.” disse come se in quelle parole ci fosse la
risposta.
“E
tu?”
Alessandro
non riusciva a capire dove la fanciulla volesse arrivare, ma in
quell’istante,
mentre si guardavano negli occhi, seduti sull’erba uno di
fronte all’altro, con
solo un soffio di vento a separargli, decise semplicemente di
rispondere.
“Certo.
Ti amo anch’io A…Amamelide.”
Il
suo nome, aveva trovato dentro di lui il nome della fanciulla, quello
che
nessuno conosceva, quello che era il grande segreto che da sempre
portava nel
cuore.
“Amamelide.”
“Alessandro.”
Lacrime
di gioia scendevano dagli occhi di lei. Gli tese una mano e lui la
prese.
Adesso nessuno avrebbe più potuto separarli, neanche quello
stupido segreto.
Non
servirono parole, né gesti troppo ampollosi. Semplicemente
le loro mani unite,
perché quella era la notte del loro nuovo inizio, la notte
di Alessandro e
Amamelide.
NOTE DELL’AUTRICE:
Sono in ritardo mostruoso, ma finalmente ieri si è chiuso il
trimestre
a scuola e ce l’ho fatta!!!=)
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo, non ci posso
credere!!! E’ ancora
in fase di scrittura e non ho la minima idea di quando sarà
pronto. Sperò
presto!
Arrivederci!=)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Epilogo. ***
NOTE DELL’AUTRICE:
Semplicemente
grazie. =)
EPILOGO.
Il
vento soffiava leggero tra le foglie degli alberi, danzava libero nella
notte
facendo ondeggiare sotto di lui i verdi fili d’erba. Un
petalo giallo smarrito
dai rami volteggiò al suo passaggio facendosi trasportare
nell’aria. Il vento
accarezzò i lunghi capelli di una fanciulla per poi
addormentarsi tra le fronde
di un amamelide. Il petalo si dissolse in polvere dorata.
Era
passato un anno dalla notte in cui tutto era stato distrutto per poi
rinascere
in nuova forma.
Una
pigra nuvola si spostò lentamente lasciando la luna brillare
nel cielo. La
fanciulla appoggiò la schiena sull’albero al
centro della radura.
“Bentornata.”
la salutò, con una voce profonda, quest’ultimo.
Ormai
l’albero non aveva più bisogno del suo rituale: da
quella notte la sua luce risplendeva
senza mai accennare a spegnersi e lo avrebbe fatto per
l’eternità. Adesso la
fanciulla doveva solo stare attenta che…l’albero
non soffrisse di solitudine.
“Salve.”
lo salutò.
La
fanciulla chiuse gli occhi assaporando il silenzio
dell’attesa.
Una
pressione delicata sulle labbra.
Aprì
gli occhi.
Alessandro
era lì che sorrideva con i suoi begli occhi azzurri, lei
prese il suo volto tra
le mani e lo salutò a sua volta. Sentì le mani di
Alessandro sulla sua pelle,
poi fece scorrere una mano sul suo petto, dove la ferita era ormai
diventata
solo una grande cicatrice.
“Alessandro.”
“Amamelide.”
Assaporò
le lettere del suo nome una ad una. Era passato così tanto
tempo senza che
nessuno dicesse il suo nome che un anno non le era bastato per
abituarsi all’idea.
I
ricordi di quella notte si susseguirono nella sua mente.
Aveva
davvero creduto che fosse la fine, aveva sentito la vita scivolare via
lentamente e inesorabilmente. Poi tutto si era risolto per il meglio e
lo
doveva ad Alessandro, che aveva fatto tutto senza un secondo fine:
aveva
seguito la sua voce interna. Non era da tutti lasciarsi guidare dal
proprio
cuore, era difficile.
Da
quella notte aveva guardato tutto con un occhio diverso, ogni singola
cosa era
speciale, di ogni piccola vita faceva tesoro e ogni giorno era
importante. Da
allora guardava tutto con ammirazione. Sorrise al ricordo
dell’ulteriore
spavento che si era presa quella notte, come se non fosse bastato tutto
quello
che era successo.
Ad
un certo punto Alessandro si era accasciato al suolo tenendosi stretto
il petto
con un braccio, l’erba si era macchiata di rosso, rosso del
sangue che era
fuoriuscito dalla sua ferita. L’aveva preso in braccio
facendo attenzione a non
fargli del male e poi, più in fretta che aveva potuto, lo
aveva riportato a
casa sua. L’aveva steso sul letto ed era andata a cercare
acqua, bende, qualche
candela per fare un po’ di luce. Una volta trovato tutto,
aveva appoggiato le
candele e la bacinella con l’acqua su un piccolo tavolino.
“Perché
siamo a casa mia?” aveva chiesto Alessandro. Era rinvenuto,
l’aveva guardata
confuso.
“Stai
sanguinando. Ti ho portato qui per fasciarti la ferita.”
Aveva
provato a guardarsi il petto, ma aveva rinunciato subito reprimendo un
mugolio
tra le labbra, poi la consapevolezza di quello che era successo gli era
luccicata negli occhi.
“Ancora
non mi è ben chiaro come sono arrivato nella radura e
poi…questa ferita…”si era
coperto gli occhi con una mano “Prima o poi dovrai spiegarmi
tutto…mmm”.
Lei aveva bagnato
un panno e aveva iniziato a
pulire la ferita ed Alessandro non era riuscita a trattenere un verso
di
dolore.
“Mi
dispiace, cercherò di fare più piano.”
Sapeva
di averlo salvato da morte certa, ma si era sentita comunque in colpa
per
avergli procurato quella ferita. Alessandro aveva visto il tormento sul
suo
volto, attraverso lo spazio tra le dita.
“Grazie.”
aveva detto semplicemente.
Lo
aveva guardato senza capire.
“Stavo
morendo, ma adesso sto bene.” aveva detto.
“A parte questa
ferita” aveva aggiunto lei, ma
solo mentalmente.
“Non
so cosa sia successo e prima poi me lo dirai, ma io so che sono salvo
grazie a
te.”
Aveva
parlato con la mano sul volto, per non pensare troppo al pulsare della
ferita.
Poi, gli era venuta un’idea migliore, forse anche un
po’ troppo sdolcinata:
aveva deciso di guardare lei. L’aveva vista annuire, come
risposta silenziosa
alle sue parole, mentre il suo volto si era rilassato.
Dopo
aver finito, si era lavata le mani sporche di sangue e gli aveva
fasciato la
ferita.
Lui
l’aveva osservata stringendo i pugni per contenere il dolore
e poi le aveva
rubato un bacio. Lei l’aveva guardato contrariata per poi
sciogliersi, per
fortuna, in una silenziosa risata.
“Ho
finito!” aveva detto sollevata, rompendo il silenzio.
“No,
mi devi una spiegazione!”
“Non
ora, adesso voglio solo…”aveva lasciato la frase
sospesa a metà.
“Tutto
bene?” aveva chiesto Alessandro, dimenticandosi il suo
desiderio di
spiegazioni.
“Sei
così bello. Ti amo così tanto.”
“Ti
amo…” uno sbadigliò si era fatto largo
rovinando quel momento romantico, rendendolo
un po’ strano, ma in fondo loro due non erano romantici e
strani allo stesso
tempo?!
Si
era seduta sul bordo del letto.
“Adesso
dormi!”
“E
tu? Te ne vai?” le aveva chiesto con occhi imploranti.
“No,
rimango qua. Naturalmente finché non sorgerà il
sole.”
Alessandro
le aveva stretto la mano e si era addormentato. Lei era rimasta tutta
la notte
a guardarlo dormire. Non l’aveva mai fatto con nessuno.
“Ehi…
ehi, Amamelide, a cosa stai pensando?”
“A
quanto sei scemo!” rispose Amamelide, ridendo alla faccia
contrariata di
Alessandro.
“Io
invece pensavo a quanto sono morbide le tue labbra sulle
mie.” disse Alessandro
fingendo un tono seducente.
“Visto,
sei uno scemo!”
Amamelide,
dolcemente, spinse via Alessandro, che si era avvicinato sempre di
più a lei e
si nascose dietro l’albero.
Alessandro
la seguì.
“Ti
ho portato un regalo.” disse tutto ad un fiato “Mi
ha aiutato una signora giù
al villaggio a farlo.”
“Un
regalo?”
“Si…spero
che ti piaccia.” disse accennando un sorriso.
Mise
una mano in tasca e tolse un piccolo pacchetto. Con attenzione
slegò lo spago,
che teneva insieme la carta che lo avvolgeva, e lo liberò.
Un piccolo fermaglio
comparve tra le sue mani. Alessandro vi aveva sistemato sopra un
bellissimo
fiore giallo: un fiore di amamelide.
“L’ho
colto dall’albero vicino la mia casa. Tra i tuoi capelli,
grazie al tuo potere,
questo fiore non seccherà mai.” disse e poi la
guardò negli occhi, con uno
sguardo intenso e profondo, come ad invitarla a comprendere il
significato
nascosto tra le sue parole.
Una
sola lacrima rigò il volto di Amamelide, non un pianto
liberatorio mescolato a
rassegnazione e rabbia, ma una sola lacrima di tristezza e affetto
verso
Alessandro e i ricordi che aveva e che avrebbe avuto insieme a lui. Una
sola
lacrima perché aveva capito: quel fermaglio sarebbe rimasto
sempre con lei
anche quando lui non avrebbe più potuto farlo. Alessandro
aveva cercato più
volte di parlargli della sua… di quello, ma lei si era
sempre rifiutata di
starlo a sentire, ma lui si era fatto ascoltare lo stesso. Ed eccolo
lì, con il
suo regalo in mano e le chiedeva di accettarlo e lei, prendendolo,
avrebbe
accettato fino in fondo il suo essere umano. Amamelide
osservò con attenzione
quel fermaglio: era davvero stupendo, accettarlo avrebbe significato
accettare
fino in fondo la sua futura morte. Non voleva farlo, ma Alessandro era
un
essere umano e quella era una parte di lui: questa volta non gli
avrebbe
risposto con un rifiuto. Lo guardò e semplicemente
“grazie ” gli disse e quel
grazie non era solo per il suo regalo così importante, ma
era anche un grazie
per averla trovata, per aver accettato quel suo bacio così
improbabile, per non
essere scappato, per averle dato la possibilità di vederlo
dormire, per averla
salvata, per aver scoperto il suo nome e per essere sempre
lì a stringere la
sua mano.
Alessandro
si avvicinò e le accarezzò i morbidi capelli,
rimasti lunghi da quella notte.
L’albero non si era più riappropriato
dell’energia che Amamelide aveva avuto
nel suo corpo per il rituale, gliel’aveva donata.
Amamelide
si soffermò a guardare i tratti familiari del viso di
Alessandro, per lei era
un modo per sentirsi a casa. Arrivò ai suoi occhi, anche lui
la stava
osservando. Incatenarono i loro sguardi, i caldi occhi castani color
della
terra di lei, con i profondi occhi color del cielo di lui: ognuno dei
due
amanti aveva in sé il colore che apparteneva alla casa
dell’altro. Adesso,
però, l’uno era la casa dell’altro.
Il vento soffiò tra
i loro volti così vicini,
una ciocca di capelli ricadde sul viso di Amamelide che, subito, mosse
la mano
per riportarla dietro l’orecchio. Alessandro,
però, la fermò stringendo la mano
nella sua, prese quella ciocca di capelli e la fermò tra la
chioma di Amamelide
con il piccolo fiore giallo sistemato accuratamente sul fermaglio color
dell’oro. Poi le diede un dolce bacio sulla guancia.
Amamelide sentì il suo
cuore accelerare i battiti. Portò la mano a sfiorare i
petali di quel fiore che
non sarebbe mai appassito. Sorrise tra sé: Alessandro aveva
colto quel fiore
dall’albero vicino a casa sua, che non era un albero
qualunque, ma proprio
un’amamelide e…ed era come se
quell’albero fosse cresciuto proprio lì per
predire il loro incontro. Alessandro la guardava, come aveva fatto
così tante
di quelle volte, ma ogni volta era come se il tempo e lo spazio si
annullassero: era così bella persa nei suoi pensieri.
Poi,
quella notte, accadde qualcosa di magicamente incredibile.
Il
vento soffiò leggero tra le fronde dell’albero
portando con sé numerosi petali
gialli. Un piccolo ramo si mosse avvicinandosi al viso di Amamelide
che, come
chiamata da quel piccolo fiore sbocciato sul ramo, allungò
una mano per
toccarlo. Non appena le sue dita arrivarono a quei petali, Amamelide
sentì
stabilirsi un legame, attraverso di lei, tra il grande albero della
natura e il
piccolo fiore che aveva tra i capelli.
I
suoi occhi si aprirono sul vuoto.
Tese
una mano verso Alessandro che, anche non capendo il significato di
quell’invito, la afferrò senza esitare.
Una
serie d’immagini apparve davanti ai loro occhi che, ormai,
non vedevano più la
piccola radura.
“La
natura…” disse Amamelide “Ci vuole
parlare!”
Doveva
essere qualcosa di molto importante, era molto raro che la natura
comunicasse
attraverso le immagini.
Alessandro
e Amamelide furono catapultati con la mente in un viaggio attraverso il
tempo.
Videro
l’immagine della radura, ma non la loro: erano scene di un
tempo passato e
l’albero di amamelide non si ergeva ancora al centro del loro
piccolo spazio
verde. Un’altra immagine subentrò a quella.
Amamelide,
insieme ad Alessandro, rivide la se stessa del passato, rivide lo
spirito della
luna che prendeva, da un piccolo pacchetto fatto con una foglia
ricoperta di
polvere di stelle, un piccolo seme: il seme che, poi, sarebbe diventato
l’albero custode. Avvertirono il vento soffiare, in quel
tempo passato, e poi
videro l’immagine stringersi su quella foglia brillante di
stelle: lì erano
custoditi, non uno, ma più semi di amamelide. Intrappolato
dal soffio del
vento, uno di quei semi, abbandonò la sua sicura dimora per
volare via da lì:
videro il percorso che, in quell’antica notte, il seme fece
per poi fermarsi,
poco più in là della foresta, in una seconda
radura che aveva qualcosa di
familiare. Le immagini si susseguivano: da quel seme nacque un albero
che crebbe
e attraversò il tempo sottoposto alle stagioni. Sentirono
che l’albero
aspettava qualcuno. La visuale si allargò e videro una casa
costruita da poco
proprio a pochi passi dall’albero. Alessandro
sussultò: quella era la sua casa.
Una serie d’immagini si susseguì velocemente:
Alessandro che si prendeva cura
dell’albero, che gli parlava, che passava il tempo seduto
sotto le sue fronde.
Poi l’attimo in cui il nome dello spirito della luna era
stato rivelato e,
infine, due ultime immagini: un tenue scintillio verde
all’interno dell’albero
e lo stesso scintillio all’interno di Alessandro.
La
connessione si spezzò e ritornarono con la mente al presente.
Alessandro
ripensò a tutto quello che aveva visto: la natura voleva
dirgli qualcosa,
proprio a lui, ma la sua conoscenza di quel mondo, che aveva scoperto
da poco
più di un anno, non gli permetteva di comprendere a pieno
quelle immagini;
Amamelide, sicuramente lei aveva compreso tutto.
Le
loro mani erano ancora strette l’una nell’altra,
così, Alessandro tirò Amamelide
a sé. Scrutò nei suoi occhi per cercare di capire
quali sentimenti avevano
suscitato in lei le immagini: non vi trovò né
gioia né tristezza, solo
incredulità.
“Che
cosa è successo? Che cosa vuol dire tutto quello che abbiamo
visto?”
“Il
fiore…”
“Il
fiore?”
“Il
fiore che mi hai regalato ha creato una connessione con
l’albero.” disse
indicando l’amamelide alle sue spalle.
“Come
ha fatto?”
“Lo
hai appena visto anche tu… quella notte di secoli fa, quando
sono scesa sulla
Terra per piantare il custode della natura, un seme mi è
stato portato via dal
vento. Avevo scelto personalmente i semi, di amamelide, e vi avevo
sparso sopra
la mia magia.”
Alessandro
finalmente iniziava a capirci qualcosa.
“La
mia casa…quel seme che è volato via è
l’albero vicino la mia casa!” disse “Ed
ha una connessione con il custode della natura?!!!”
“Esatto!”
rispose Amamelide “E’ una cosa stupenda!”
e sui suoi occhi si affacciò la gioia
trattenuta.
Alessandro,
però, non aveva ancora finito con le sue domande.
“E
tutte le altre immagini? Perché c’ero
anch’io?”
Amamelide
iniziò a camminare per la radura, faceva sempre
così quando doveva raccogliere
i pensieri.
“Hai
sentito che l’albero aspettava qualcuno?”
“Si!”
rispose con il fiato sospeso.
“Quel
qualcuno sei tu!” rivelò Amamelide con dolcezza.
Alessandro
sgranò gli occhi.
“Ti
sei preso cura di lui come nessuno aveva mai fatto, hai stabilito un
legame con
lui. Aveva cercato a lungo la persona giusta e poi sei arrivato tu e
tutto
questo è stato reso possibile dalla tua umanità
autentica!” gli spiegò
Amamelide con un enorme sorriso sul viso, ormai non riusciva
più a contenersi.
“La
mia umanità autentica? ”gli veniva da ridere al
pensiero di quelle parole,
erano proprio da ‘mondo della magia’. Era vero,
però, lui aveva sempre sentito
un legame con l’albero.
“Penso”
continuò Amamelide distogliendolo dai suoi pensieri
“che il destino si sia
divertito ad intrecciare così le nostre strade!”
“Perché?”
“Perché
tu sei innamorato di me e io di te e non è una cosa
passeggera. Tu hai scoperto
il mio nome e, così, ti si sono aperte le porte di questo
mondo. Questo ha
fatto si che il tuo legame con l’albero risvegliasse in lui
la mia magia
assopita.”
Alessandro
non riusciva a trovare parole per esprimere cosa provava dopo aver
saputo tutto
questo. Si sedette per terra. Certo che si era divertito il fato! Era
come se
avesse ricamato nel tempo, intorno alla loro storia d’amore,
per farli arrivare
fino a quel punto, ma qual era il suo scopo?
“Cos’erano
quelle luci verdi? Ce n’era una dentro di me?!”
Amamelide
smise di camminare e inclinò la testa su un lato.
“Questo
non lo so neanche io. Questa è una cosa che riguarda te, ma
forse posso
aiutarti: il custode vuole stabilire un contatto con te, me
l’ha detto!”
Un
contatto? Con il custode? Alessandro non aveva mai neanche sfiorato
quell’amamelide. Fu spiazzato da quella richiesta: non ne
capiva il senso,
un’altra volta… quel mondo a volte lo faceva
sentire così deficiente, un po’
fuoriposto. Amamelide gli tese la mano, per fortuna c’era lei
che metteva tutto
in ordine.
“Vieni
con me!”
Si
avvicinarono all’albero, Amamelide vi poggiò sopra
la mano di Alessandro e poi
la coprì con la sua.
“Adesso
chiudi gli occhi e concentrati sulla luce verde dentro di te.”
Un
soffio di vento, un lampo sullo sfondo del cielo preannunciava un
temporale in
lontananza.
Mentre
Alessandro, ad occhi chiusi, si concentrava su se stesso, Amamelide si
guardava
intorno: sapeva di dover attendere qualcosa. Percepì un
flusso di energia
dall’albero ad Alessandro: era quella la scintilla che
mancava per dare il via
a tutto.
Accadde
tutto in silenzio.
Strano,
alla natura piaceva tutto l’opposto.
Stava
accadendo qualcosa di unico e raro.
Vide
una luce verde in lontananza, ma non con gli occhi: ne
percepì, più che altro,
la presenza. Era stata assopita per lungo tempo e adesso, quella luce,
si stava
risvegliando: apparteneva all’albero gemello del custode. Un
piccolo filo
scintillante di luce verde smeraldo si affacciò da quella
sfera di luce e
attraversò il bosco: era diretto alla radura.
Amamelide
osservava tutto in silenzio, stava iniziando a capirci qualcosa e
stentava a
credere alle sue stesse intuizioni.
Il
filo fece capolino nella radura, brillava come le prime foglie di
primavera.
Muovendosi nell’aria si avvicinò ad Alessandro, si
fermò per un secondo come ad
assicurarsi che fosse veramente lui e, dopo aver riconosciuto
l’altra luce
verde che completava quella da cui proveniva, si legò al
polso del ragazzo
assumendo la forma di un sottile bracciale.
Come
tutto era iniziato nel silenzio, tutto era finito nel silenzio e tutto
era
tornato alla normalità.
Alessandro
sentì Amamelide spostare la mano da sopra la sua,
così riaprì gli occhi.
L’espressione che vide sul volto di Amamelide era
indescrivibile.
“Cos’è
successo? Niente?”
Amamelide
gli prese il braccio e glielo portò davanti agli occhi
ponendolo alla sua
attenzione.
“Cos’è
questo? E’ verde… è stato il mio albero
a donarmelo?”
Amamelide
annuì con la testa, poi allungò a sua volta il
braccio dove, intorno al suo
polso, era comparso un bracciale identico a quello di Alessandro, ma
argentato.
“Ne
hai uno anche tu?!?!!! Cosa vuol dire tutto questo?”
Amamelide
prese un bel respiro e si decise a parlare.
“Questo
bracciale mi è stato donato, alla mia nascita, dalla luna.
Io sono una parte di
lei, sono nata da lei e questo bracciale mi ha reso il suo
spirito.”
Il
filo argentato risplendette come un diamante, poi Amamelide lo
celò agli occhi
del mondo. Il bracciale era sempre lì, solo in questo modo
era sicuro e
protetto.
“Puoi
farlo anche tu.” disse.
Alessandro,
però, non rispose: il suo corpo non reagiva, mentre la sua
mente elaborava le
informazioni.
Amamelide
con quel bracciale era diventata lo spirito della luna quindi lui
adesso era…
“Sono
lo spirito della Terra!” disse a fior di labbra.
Cercò
la conferma negli occhi dello spirito della luna e quando
l’ebbe trovata,
strinse Amamelide tra le sue braccia e cercò le sue labbra.
Si guardarono l’un
l’altro per poi perdersi nella sensazione di quel caldo e
umido bacio, il
respiro affannato, con la consapevolezza del loro nuovo ed eterno
futuro.
Ed
ecco scoperto lo scopo del destino: voleva donarli la
possibilità di non
dividersi mai più e, quel dono ben nascosto, era stato
scoperto e accettato
volentieri. Alessandro era stato messo alla prova dal
’suo’ albero e si era
dimostrato degno della sua fiducia e del ruolo.
Adesso
erano lo spirito della luna e della Terra ed Amamelide fu
così contenta di aver
scelto i fiori di amamelide quel giorno in cui le chiesero di decidere
il suo
nome, di decidere quale seme piantare per far nascere il custode della
natura
perché il significato di quei fiori è incantesimo
e incantesimo era quello che era
adesso la sua vita insieme ad Alessandro.
Notte e
giorno, luna nuova e luna piena, niente più condizionava
ormai il loro tempo
insieme.
Uno
apparteneva alla Terra, l’altra alla luna, ma adesso vi era
un luogo che
apparteneva ad entrambi a metà strada tra le due
realtà. Fili argentati e verde
smeraldo risplendevano, in quel luogo creato dalle loro anime,
intrecciati tra
i fiori di amamelide.
A volte,
nelle notti di luna nuova, quando il mondo dormiva, ritornavano in
quella
radura dove si erano incontrati la prima volta. Il lago di acqua
cristallina
era lì, come sempre, con le sue lucciole e la sua magia.
Alessandro aveva imparato
a usufruire del potere della sua fiamma verde sempre meglio. Lei
manipolava l’acqua, lui l’aria, così
insieme danzavano volteggiando nell’aria su sassi
d’acqua, sospesi sul lago, con le lucciole che illuminavano i
loro passi.
Amamelide
e Alessandro non furono più divisi e mai lo saranno e anche
oggi danzano tra la
luna e la Terra.
FINE
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=855779
|