A Moment Changes Everything

di Bluemoon Desire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** And every dream is just a dream after all... ***
Capitolo 3: *** Killing Loneliness ***
Capitolo 4: *** Don't Speak ***
Capitolo 5: *** More Than Words ***
Capitolo 6: *** Memories From The Past ***
Capitolo 7: *** In My Veins ***
Capitolo 8: *** Please, don't go ***
Capitolo 9: *** Save You ***
Capitolo 10: *** Killing Me Softly ***
Capitolo 11: *** Always ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 

L'esplosione di un colpo d'arma da fuoco in quanto tale, non è altro che una semplice

questione chimica. La polvere da sparo contenuta nel bossolo localizzato appena dietro il

proiettile, deve riuscire ad esplodere in modo corretto, efficace e quanto mai immediato.

Un secondo prima la pallottola è ferma e immobile nella canna dell'arma ed un istante

dopo è già lì che viaggia alla maggiore velocità possibile, diretta con precisione contro il

bersaglio prefissato.

Un istante, un singolo colpo e tutto può cambiare per sempre.

E' così.

Incredibile ma vero, a volte la vita di un singolo individuo può essere legata a doppio filo

ad una semplice reazione fisico / chimica...

Il rumore sordo e penetrante dello sparo echeggiò tra le pareti del magazzino,

rimbombandogli fastidiosamente nelle orecchie.

Non ebbe neppure il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Pochi istanti e avvertì un lancinante dolore al petto, come se qualcuno gli avesse appena

infilato a forza una mano nel torace per estirpargli il cuore.  

Provò ad urlare qualcosa ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un rantolo confuso e

soffocato. 

- OH MIO DIO...CASTLE! CASTLE! -

Sentì delle urla di terrore. 

Kate. 

Poi altri spari in lontananza.

Il dolore era talmente forte da annebbiargli completamente il cervello.

Non riusciva a pensare, a riflettere.

Non in quelle condizioni.

Fece una lunga serie di espirazioni ed inspirazioni cercando di recuperare un minimo di

lucidità, ma ormai tutto ciò che riusciva ad avvertire erano i battiti del suo cuore. 

Lenti....cadenzati...appena percepibili...

Doveva riuscire a raggiungere i suoi compagni.

Doveva fuggire da quell'inferno prima che fosse troppo tardi. 

Provò ad avanzare di qualche passo per avvicinarsi all'uscita del magazzino ma

immediatamente capì che non ce l'avrebbe mai fatta.

Era troppo debole.

Troppo. 

Sentì le forze abbandonarlo definitivamente e, senza più opporre alcuna resistenza, si

accasciò all'indietro, ricadendo inerme sul pavimento con il suo giubbotto personalizzato

con la scritta "Writer" ancora stretto in una morsa serrata nella mano destra. 

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Capitolo 2
*** And every dream is just a dream after all... ***


Primo Capitolo

                        And every dream is just a dream after all...                      




Cinque giorni prima...
 
 
Nella città di New York, i primi giorni di Dicembre erano sempre i più freddi dell'anno.
 
Quella notte poi, il gelo era particolarmente pungente.
 
Erano le tre del mattino.
 
Roy Montgomery si girò e rigirò nel letto.
 
Non riusciva a chiudere occhio.
 
Guardò sua moglie Evelyn che dormiva beatamente accanto a lui e si lasciò sfuggire un lieve sorriso. 
 
Erano secoli che non passavano più del tempo insieme, da soli, come facevano una volta. 
 
Magari quell'estate avrebbero potuto concedersi finalmente quella famigerata crociera attorno al 

Mediterraneo che sognavano fin da ragazzi...aveva accumulato abbastanza giorni di vacanza da poterci fare

davvero un pensierino...chissà...
 
Kate Beckett era appena crollata sul divano del salotto. 
 
Un paio di sue vecchie compagne dell'accademia di polizia, in città per qualche giorno, l'avevano convinta a

trascorrere con loro la serata e così, tra un bicchierino di tequila e un'occhiata ammiccante di troppo ad uno

sconosciuto, si era fatta mattina.
 
Meno di tre ore di sonno e poi di corsa in ufficio.
 
Rick Castle si alzò dal letto ed uscì dalla stanza il più silenziosamente possibile per non svegliare sua 
 
madre e sua figlia. 
 
Era la quarta notte di fila che faceva quell'orribile incubo. 
 
Spari. Sangue. Alexis in lacrime. 
 
Quelle terrificanti immagini erano impresse a fuoco nella sua mente. 
 
Non riusciva a non pensarci. 
 
Ingerì in fretta una pastiglia di aspirina, poi si avviò nuovamente nella sua stanza.
 
Kevin Ryan si svegliò di soprassalto. 
 
Si stropicciò piano le palpebre e diede un'occhiata alla radiosveglia che teneva sul comodino.
 
Segnava le tre e trenta.
 
Si sfiorò lievemente una guancia con la mano.
 
Doveva ricordarsi di radersi.
 
Si girò sul fianco destro, cercando di riprendere sonno.
 
Javier Esposito era steso sul letto, con le braccia intrecciate dietro la nuca.
 
Stava fissando il soffitto, rischiarato dalle luci dei lampioni e dai fari delle auto di passaggio.
 
Girò la testa da un lato.
 
Il suo sguardo si soffermò sulla ragazza che giaceva distesa al suo fianco.
 
Era bellissima, su questo non c'era alcun dubbio, ma decisamente non era il suo tipo.
 
Guardò l'orologio.
 
Ancora due ore e finalmente le avrebbe detto addio.
 
 
New York Police Department 

12th Distretto Squadra Omicidi

ore 7.15
 
"Non riesco ancora a credere che tu abbia avuto il coraggio di mollare uno schianto come Moira!" esclamò

Ryan, rivolgendo un'occhiata indignata al collega.
 
Esposito si fece una mezza risatina. 
 
"Che vuoi che ti dica, fratello? Non era la donna giusta per me" disse, pendendo all'indietro su due gambe

della sedia "Fortunato tu che hai trovato quella santa ragazza di Jenny che ti sopporta..."
 
"Sì come no, fai lo spiritoso" borbottò Ryan, voltandogli di nuovo le spalle per tornare ad occuparsi del

rapporto sul caso Walker.  
 
Montgomery aveva chiesto a lui e Beckett di terminarlo entro quel fine settimana, così erano alcuni giorni

che ci lavoravano su, senza sosta. 
 
La sera precedente lei avrebbe dovuto consegnargli gli appunti finali dell'incartamento ma inspiegabilmente

non si era fatta viva.
 
Verso le 7 e 30, le porte dell'ascensore si spalancarono e Beckett fece il suo ingresso nel dipartimento. 
 
Pallida, assonnata, ancora in piena crisi post - sbornia e reduce da un'ora di intenso traffico mattutino.
 
Non si presentava esattamente nella sua forma fisica migliore.
 
"Wow gli zombie sono davvero tra di noi!" la accolse Esposito con fare allusivo.
 
Lei abbozzò un sorrisetto di circostanza. 
 
"Esilarante, davvero" replicò, caustica. 
 
Trascinandosi quasi a fatica attraverso la stanza, raggiunse la sua postazione e, dopo aver letteralmente 

lanciato la giacca sullo schienale della poltrona, vi crollò sopra con tutto il peso. 
 
"Se stavi così male potevi prenderti un giorno di malattia" le fece notare Ryan.
 
Kate gli rivolse un'occhiata in tralice. 
 
"Senti da che pulpito viene la predica" replicò con fare polemico" Dimmi un pò, hai dimenticato forse che

Jenny ha dovuto portarti via con la forza l'ultima volta che sei stato male?"
 
"Hai l'influenza" insistette Ryan, ignorando la sua obiezione.
 
"Io non ho l'influenza..." fece lei "...l'ultima volta che sono stata ammalata ero ancora alle scuole 
 
elementari..."
 
"Anche i virus hanno paura di te" sghignazzò Esposito.
 
Beckett lo guardò in cagnesco.
 
"Ci sentiamo particolarmente spiritosi stamattina?!"
 
Il Capitano Montgomery fece capolino dal suo ufficio.

"Riunione di gruppo" annunciò a gran voce "Rintracciate anche Castle..."

Kate aggrottò la fronte.

"Non è ancora arrivato?!" esclamò, sorpresa.

"No"

"Strano, di solito la mattina è sempre il primo a farsi vedere.."

"A quanto pare stamattina siamo un pò tutti fuori dal mondo!" osservò Montgomery alludendo all'aspetto

disastrato di Kate, in modo neanche troppo sottile.

Esposito e Ryan soffocarono una risata.

Nei minuti che seguirono, Beckett provò a rintracciare Castle sia a casa che sul cellulare ma senza alcun successo. 

"E' molto strano...non riesco a mettermi in contatto con lui..." riferì sottovoce a Ryan ed Esposito, evitando di

farsi sentire dal capitano.

"Vedrai che tra poco sarà qui" tagliò corto Esposito.

Entrarono nella stanza delle riunioni e presero posto attorno al tavolo in attesa che Montgomery desse

disposizioni precise sul nuovo caso da seguire. 

"Michael Cooper, quarantacinque anni..." esordì il capitano "...nativo dell'Arizona ma residente da quindici

anni a New York, sposato, con tre figli, stimato primario e chirurgo del Metropolitan Hospital, uno degli

ospedali più famosi dello Stato..." sullo schermo di proiezione apparve la fotografia dell'uomo, capelli

brizzolati, occhi scuri, sguardo altero e magnetico "...la moglie ha denunciato la scomparsa

questa mattina, ma è probabile che sia sparito molto tempo prima..."

"Mi scusi...la scomparsa?" lo interruppe Esposito.

"Sì, la scomparsa..." ripetè Montgomery, impettito" ...stavolta le nostre indagini saranno un pò diverse dal

solito e più avanti vi spiegherò perchè... " 

I tre agenti si scambiarono sguardi confusi ma non avanzarono altre obiezioni.

"A quanto pare, il signor Cooper aveva partecipato ad un convegno sulla Neurochirurgia, tenutosi un paio di

giorni fa ad Orlando, in Florida. La polizia ha interrogato tutti i colleghi che erano con lui e hanno

confermato all'unanimità che Cooper si trovava sull'aereo privato che li ha ricondotti qui a New York, perciò

qualunque cosa gli sia accaduta, è accaduta a New York..."

"Cosa sappiamo di lui?" domandò Ryan.

"Apparentemente ha la fedina penale candida come quella di un neonato" rispose Montgomery.

"E non apparentemente?" incalzò Beckett. 

"Sarà vostro dovere scavare a fondo nella sua vita privata, passata e presente" disse il capitano "Come

l'esperienza ci insegna, anche le persone migliori hanno delle storie sordide che vogliono tenere

nascoste...scopriamo i suoi scheletri nell'armadio e troveremo un modo per rintracciarlo, sperando che non

sia già troppo tardi! Voglio sapere ogni cosa di questo tizio, dal suo numero di scarpe ai nomi delle

sue ragazze del liceo..."

Stava per aggiungere altro, quando la porta della sala si spalancò ed entrò Castle. 

Montgomery proseguì senza interrompersi.

"Esposito e Ryan, fatevi un bel giretto al Metropolitan Hospital, sperando che qualcuno dei colleghi di

Cooper possa raccontarci qualcosa di interessante sul suo conto...Beckett e Castle, per la vostra immensa

gioia, le indagini riguardanti il suo passato sono tutte vostre..." e rivolgendosi direttamente ai due aggiunse"

...più notizie riuscite a raccogliere sul suo conto, meglio è...non dimenticatelo..."

"Signore, non ha risposto alla nostra domanda" soggiunse a quel punto Esposito "Perchè questo caso è stato

affidato a noi? Non c'è nessun omicidio su cui indagare o almeno non ancora..."

"Cooper è un magnate internazionale della Sanità" spiegò Montgomery "Metà delle donazioni benefiche che

ogni anno vengono versate nelle casse di questa città provengono direttamente dalle sue tasche e stiamo

parlando in termini di miliardi di dollari...non so se mi spiego.

Diciamo solo che il sindaco ha voluto affidare le indagini sulla sua scomparsa al team di investigazione più in

gamba della città..." fece un leggero sorriso compiaciuto "Parole sue, non mie..."

Con un chiaro gesto della mano, comunicò che la riunione era conclusa.

Ci fu un rimestìo confuso e rumoroso di sedie poi ad uno ad uno i membri del gruppetto si allontanarono

dalla sala, dissolvendosi per i corridoi. 

Beckett vide Castle imbucarsi furtivamente nella sala relax e lo seguì.

Appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto, rimase ad osservarlo mentre con movenze

fin troppo rallentate e impacciate cercava di preparare un caffè. 

"Notte brava a New York City, stallone?" lo punzecchiò, divertita.

Castle sobbalzò.

Era talmente perso nei suoi pensieri che non si era neppure reso conto che Beckett fosse entrata nella

stanza.

La tazza di ceramica che stringeva nella mano destra cadde rovinosamente sul pavimento, frantumandosi in

mille pezzi.

"Fortuna che era ancora vuota!" commentò Kate, avvicinandosi prontamente per dargli una mano a

raccogliere i cocci. 

"Già" mugugnò vagamente Castle.

Beckett si soffermò a guardarlo in silenzio.

Inginocchiato sul pavimento, lo sguardo vacuo perso nel vuoto e le dita tremanti che sfioravano le

mattonelle alla ricerca di frammenti di ceramica. 

Sembrava a dir poco stravolto.

Neppure i party più sfrenati a cui aveva partecipato durante i tre anni della loro collaborazione professionale

lo avevano mai ridotto in quelle condizioni. 

"Ti senti bene, Castle?" gli domandò quasi in un sussurro.

Lui la guardò momentaneamente negli occhi.

Avrebbe potuto semplicemente confidarsi con lei, erano amici dopotutto,

ma c'era qualcosa che lo tratteneva dal farlo.

Conosceva Beckett.

Se solo le avesse confidato che le sue preoccupazioni e il suo penoso stato d'animo erano legate ad un

sogno, non lo avrebbe mai preso sul serio. 

"Sto bene" rispose, rialzandosi in piedi.

Sentì la mano di Kate sfiorargli appena il braccio.

Lavorando a stretto contatto per così tanto tempo avevano sviluppato un feeling molto profondo, tanto che a

volte l'uno riusciva a percepire i tormenti interiori dell'altra ancor prima che lei stessa se ne capacitasse.

E viceversa. 

Difficile nasconderle la verità.

"Si tratta di un sogno ricorrente che continua a tormentarmi" le confessò infine, pensando che ormai fosse

meglio sputare il rospo.

"Un incubo?"

Castle si limitò ad annuire.

"Dai...raccontami..."

"Non ha una vera e propria continuità..." spiegò Castle " ...sono solo una serie di immagini confuse che mi

passano davanti agli occhi, velocemente...come le città in autostrada...e poi quelle urla di terrore...Alexis che

piange...io...io non riesco mai a focalizzare niente in modo chiaro perchè ogni volta si interrompe nello

stesso punto e io mi sveglio di colpo...tremendamente agitato..."

In un'altra occasione, Beckett si sarebbe divertita un mondo a prenderlo in giro ma non stavolta.

Era seriamente preoccupato, glielo poteva leggere in volto.

"Sai che si tratta solo di uno stupido sogno, vero?" cercò di rassicurarlo con un sorriso "Nel nostro lavoro

capita spesso di vedere delle cose agghiaccianti e spaventose e a volte ci lasciamo condizionare più del

normale...è umano reagire in questo modo, anche per gli scribacchini montati come te,

non c'è nulla di cui vergognarsi..."

Castle scosse la testa.

"Non è vergogna...è paura" precisò. 

"E di cosa avresti paura esattamente? Le immagini che vedi in quel sogno non sono altro che il frutto della

tua fervida e quanto mai folle immaginazione, non sono reali, Castle..."

"Ma lo sembrano.."

"Sì ma non lo sono" 

Castle tirò un lungo sospiro.

"Sai, negli ultimi tempi ho sempre paura che qualcosa possa mettere in pericolo la vita delle persone che

amo, magari è proprio questo il significato nascosto del sogno...si tratta di una specie di segnale

dell'universo, un avvertimento..." 

Beckett roteò gli occhi.

"Oh ti prego, non ricominciare con i segnali dell'universo" commentò, esasperata.

Castle si finse offeso.

"Un giorno ti pentirai di aver voltato le spalle all'universo, detective!" la ammonì con ironica enfasi. 

"Muoviti a bere quel caffè, Messaggero dell'Universo! Abbiamo delle indagini da portare avanti" sghignazzò

lei, avviandosi verso gli ascensori. 

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Capitolo 3
*** Killing Loneliness ***


Capitolo Secondo
                                                                                         
                                        Killing Loneliness

 
                         
Cooper's Ville
Staten Island (NY) ore 9.40

Immobile davanti al vialetto di casa Cooper, la schiena appoggiata contro l’alta muraglia che

delimitava l’entrata della proprietà e lo sguardo che vagava come rapito da un angolo all’altro della

villa, Castle rimase ad aspettare che Beckett parcheggiasse l'automobile e lo raggiungesse.

Aveva viaggiato parecchio in vita sua, seguendo la madre in giro per il mondo o promuovendo i suoi

bestseller in territori internazionali, e uno dei suoi principali vezzi da star, come li chiamava

scherzosamente sua figlia Alexis, era quello di cambiare spesso stanza d’albergo o appartamento,

per il semplice gusto di provare qualsiasi alternativa a disposizione.

Suo malgrado però, doveva ammettere che l’eleganza e la raffinatezza di quella villa tanto maestosa

non aveva eguali.

Era una di quelle costruzioni dall’aria antica e quasi fiabesca che ti rapiscono al primo sguardo.

“Fa piuttosto freddo stamattina o la mia temperatura corporea è pericolosamente scesa sotto zero?

soggiunse Beckett, arrivandogli improvvisamente alle spalle.

Castle si riscosse bruscamente dai suoi pensieri.

"Sicura di non avere la febbre?” le domandò con fare sospettoso, appoggiandole il

palmo della mano sulla fronte.

“Sto benissimo” borbottò Beckett con il suo solito modo di fare un po’ scontroso.

“Io non credo proprio…”

“Davvero, sto bene“ ribadì fermamente lei, scostandosi forse troppo rudemente.

Castle rimase per qualche istante con il braccio sollevato a mezz’aria e un’espressione profondamente

imbarazzata stampata in volto.

Magari aveva osato troppo ma, in fondo, non gli sembrava di aver fatto nulla di male.

Evidentemente lei la pensava diversamente.

“Ok scusami” fece sottovoce, senza guardarla negli occhi.

“E’ tutto ok” replicò lei, rivolgendogli un timido sorriso. Il suo tono si era nuovamente addolcito. Non

voleva certamente prendersela con lui per una simile sciocchezza, ma il punto era che odiava l’idea di

sentirsi così vulnerabile. Era la cosa che detestava di più al mondo. Essere malata e dover dipendere

dagli altri ”Da queste parti se la passano proprio bene, eh?" si affrettò ad aggiungere, cercando di

stemperare per quanto possibile quell’insopportabile tensione che si era venuta a creare.

"Già" convenne Castle.

La signora Cooper doveva averli visti arrivare dalla finestra del soggiorno, poiché si fece trovare

sull'uscio, prima ancora che i due mettessero piede sui gradini della scalinata di marmo che

conduceva direttamente al porticato.

Era un’ ultracinquantenne dall'aspetto giovanile, assai gradevole.

I suoi occhi castani, leggermente ambrati, risultavano perfettamente in tinta con i suoi capelli

artificialmente ramati e le conferivano un'aria elegante e molto raffinata.

"Vi sono estremamente grata per essere venuti!" li accolse radiosamente.

"Abbiamo fatto il prima possibile" disse Beckett, ricambiando il sorriso “Io sono il detective Kate Beckett e lui è un

consulente della mia squadra, Rick Castle… “

“E’ un vero piacere conoscervi…”

La donna li fece accomodare entrambi in casa.

Dando un'occhiata in giro, riuscirono a stento a trattenere la loro meraviglia.

La sala da pranzo, grande almeno due volte l’intero distretto di polizia, era stata interamente arredata

con mobili antichi, dell'epoca vittoriana a giudicare dagli splendidi ornamenti, un enorme tavolo di

legno massiccio troneggiava nel bel mezzo della stanza, circondato da non meno di una dozzina di

sedie e, attraverso delle maestose porte scorrevoli di vetro, si accedeva alla balconata esterna, la

quale regalava una panoramica mozzafiato della città di New York.

"E' molto spaziosa, vero?" soggiunse d’un tratto la signora Cooper, seguendo lo sguardo dei due.

"Esageratamente spaziosa, oserei dire" commentò Castle.

"Non potrei essere più d'accordo con lei" affermò la donna, con un velo di tristezza negli occhi "Posso offrirvi qualcosa da

bere, cari? Un caffè? Un thè?" aggiunse poi, più allegra.

"No, grazie" le rispose gentilmente Beckett "Vogliamo solo farle qualche domanda veloce su suo

marito...se la sente di rispondere?"

"Certo, chiedete pure…"

Presero comodamente posto in sala da pranzo.

"Sappiamo che suo marito è originario dell'Arizona, lo è anche lei?" cominciò Beckett.

"No, io sono nata e cresciuta a Chicago" rispose la donna "Io e mio fratello Brian ci siamo trasferiti qui

a New York appena compiuti i vent'anni, per frequentare l'università di Yale, ed è stato proprio

durante il mio secondo anno che ho incontrato Michael..."

"Frequentavate la stessa facoltà?"

"No, lui era uno studente al quarto anno di Medicina, mentre io studiavo Lettere e Filosofia. Ci

conoscemmo durante una di quelle festicciole che si organizzavano tra i membri delle confraternite e

da quella sera diventammo praticamente inseparabili. Non era facile districarsi tra i miei impegni

scolastici e quelli di Michael, eppure malgrado questo, riuscivamo sempre a trovare del tempo da

trascorrere insieme...bastavano anche solo dieci minuti..."

"Cosa può dirci della famiglia di suo marito?” domandò Castle “Siete rimasti in buoni rapporti?"

"I suoi parenti non mi hanno mai veramente accettato nella loro famiglia, anche se a distanza di tanti

anni continuano ancora a fingere di averlo fatto. Non abbiamo mai avuto un rapporto particolarmente

affettuoso con loro, né io, né mio marito...nonostante questo però, li abbiamo sempre portato grande

rispetto, anche quando facevano o dicevano qualcosa che non condividevamo..."

"Che lei sappia, suo marito in passato ha mai ricevuto delle telefonate minatorie o minacce di altro

tipo?” aggiunse Beckett “Ha mai avuto qualche acceso diverbio con un collega, con un paziente o

magari con il parente di un paziente?"

"Assolutamente no, Michael me ne avrebbe parlato" rispose la signora Cooper, abbassando di colpo

lo sguardo.

Castle e Beckett si scambiarono un'occhiata complice.

Quella donna stava decisamente nascondendo qualcosa.


 
Metropolitan Hospital
New York ore 10.00

Il giovane infermiere che si trovava al centralino indirizzò i detective Ryan ed Esposito sino all'ufficio

del vice primario Oswald, temporaneo sostituto del titolare Michael Cooper.

"Parker Oswald, molto piacere" si presentò affabilmente l'uomo.

"Detective Ryan ed Esposito della Squadra Omicidi di New York…" fece Esposito, stringendogli la mano

"Stiamo indagando sulla scomparsa del suo collega Michael Cooper...penso che ne sia già

al corrente..."

"Sì, diciamo che ne ho sentito parlare…da stamattina è diventato il principale argomento di discussione qui

dentro…"

"Bene, allora non le dispiacerà discuterne un po’ anche con noi” disse Ryan “Conosce bene il signor

Cooper?"

"Abbastanza" rispose Oswald "Lavoriamo insieme da sei anni e abbiamo viaggiato molto in giro per il

mondo...sapete...convegni, stage, manifestazioni internazionali e roba del genere..."

"Il suo collega è un chirurgo molto stimato nell'ambiente, dico bene?"

"Sì, direi uno dei migliori in circolazione"

"Pensa che qualcuno tra i suoi colleghi, possa avercela con lui per questo motivo?"

Oswald assunse un'espressione indignata.

"Neanche per sogno" sbottò, contrariato "Se non vi dispiace, preferirei che queste sciocchezze non

venissero diffuse in pubblico. I giornalisti ci sguazzerebbero e, dopo la scomparsa del nostro primario,

non possiamo permetterci altri scandali!"

"L'invidia è uno dei sette peccati capitali, signor Oswald, ma non per questo dobbiamo ignorarne l'esistenza"

commentò Esposito con fare allusivo.

Oswald si pose immediatamente sulla difensiva.

"Posso assicurarle che non ho mai aspirato al posto di Michael" dichiarò con freddezza "Mi trovo più che bene

nel mio piccolo ufficio da vice primario, lontano dagli amministratori di questo ospedale e dalla loro follia …"

"E' a conoscenza di qualche litigio avvenuto tra il personale di questo stabile e il signor Cooper?" proseguì

Ryan, senza commentare in alcun modo le affermazioni dell'uomo.

"No, niente che io sappia"

"E con qualcuno al di fuori dell'ospedale?" domandò Esposito.

Oswald tirò un lungo sospiro.

"Beh, in effetti...ecco...qualcosa c'è stato..."

"Cioè?"

"Circa un paio di mesi fa, Michael ha scoperto per caso che sua moglie Gillian...insomma....aveva una relazione

extraconiugale...si vedeva di nascosto con il loro nuovo vicino di casa, un certo Jordan Myers, un tizio molto più

giovane di lei, di almeno vent'anni..."

"Cooper come ha reagito quando lo ha scoperto?" chiese Esposito.

"Ne è rimasto sconvolto, naturalmente. Si è recato da Myers e gli ha intimato di lasciar perdere sua moglie e da

quel giorno Michael e Gillian hanno fatto di tutto per ristabilire di nuovo l'equilibrio perduto e, prima della

scomparsa di Michael, sembrava proprio che ce l'avessero fatta…”

"Myers si è più fatto vivo da allora?"

"No. Si trasferì in un nuovo quartiere pochi giorni dopo lo scontro con Michael e per quanto ne so non ha più

contattato i Cooper...né Michael, né Gillian..."

"Ha mai notato dei cambiamenti nel comportamento del suo amico?" intervenne Esposito.

"Naturale. Comunque...nonostante ciò che stava accadendo alla sua vita, Michael non ha mai rinunciato

neppure ad un'ora di lavoro. A volte ha avuto delle piccole crisi, certo, ma d'altronde chi poteva biasimarlo? Era

ammirevole il solo fatto che riuscisse a stare in piedi, poveretto. Amava profondamente Gillian, non si aspettava

un simile tradimento da parte sua...in tanti anni di amicizia, non l'avevo mai visto in quelle condizioni. Mi faceva

una pena immensa, credetemi..."
 
 

Cooper's Ville
Staten Island (NY) ore 10.35

Il cellulare di Beckett squillò.

"Beckett" rispose lei, allontanandosi momentaneamente dalla sala da pranzo.

"Sono Esposito...abbiamo scoperto delle cose interessanti circa un tizio con cui la signora Cooper

aveva una relazione, un certo Jordan Myers, un vicino di casa...vi ha raccontato qualcosa a riguardo?"

"Niente di niente"

"Non mi sorprende viste le circostanze. Potete provare a farle capire indirettamente che sapete la

verità circa la sua relazione con Myers, vedete cosa viene fuori..."

"D'accordo, ci proviamo"

Beckett ripose il cellulare nella tasca interna della giacca e ritornò da Castle e dalla signora Cooper.

"Tutto a posto?" le domandò subito Castle.

"Devo parlarti un momento in privato" rispose lei.

Lo afferrò con decisione per un braccio e lo trascinò con sé in un angolo nascosto della casa, lontano

da orecchie indiscrete.

“In altre circostanze, questo gesto così rude ed eccitante allo stesso tempo, mi avrebbe entusiasmato

in modo indescrivibile!” commentò Castle con la sua solita aria beffarda.

Beckett gli scoccò un'occhiataccia.

"Ti sembra questo il momento di scherzare?" lo riprese seccamente “Abbiamo poco tempo, perciò chiudi il

becco e stammi a sentire" e, in pochi minuti, lo mise al corrente della situazione.

Tornati in sala da pranzo, entrambi cercarono di comportarsi con la massima naturalezza.

La signora Cooper non doveva sospettare nulla.

"Allora..." esordì Beckett, dopo aver riconquistato il suo posto sul divano "...ci stava parlando del

rapporto tra suo marito e i suoi figli..."

"Sì, come le ho già detto, Michael è sempre stato un padre poco presente, ma quelle rare volte che si

trovava a casa, ne approfittava per trascorrere del tempo con i ragazzi. Era affettuoso e amava molto

viziarli. Non ho mai visto mio marito così felice come il giorno in cui nostro figlio Johnny ha deciso di

intraprendere la carriera in Medicina...ricordo che pianse come un bambino quando ricevette la

telefonata di Johnny..."

"Suo figlio ha intrapreso la stessa carriera di suo marito?"

"Sì, ma si è specializzato in un diverso ambito. Michael è un neurochirurgo mentre Johnny è un

oncologo. Lavora a Seattle."

Beckett fece un cenno d’intesa a Castle.

Era giunto il momento di affrontare l'argomento "taboo".

"Mi scusi la franchezza..." esordì con cautela "...deve essere stato terribile per lei vivere tutti questi

anni in una casa immensa, tutta sola, senza poter contare sulla presenza e sul sostegno della sua

famiglia..."

"In effetti non è stato facile"

"Non le è mai venuta la voglia di coltivare un interesse che fosse solo suo?" azzardò Castle.

La donna abbassò leggermente lo sguardo.

"Amo ascoltare la musica classica e talvolta mi diletto con il ricamo" disse, dopo una breve pausa di

silenzio "Michael non mi ha mai fatto mancare nulla nella vita, ma se volete la sincera verità, avrei

preferito di gran lunga qualche abito da sera in meno nell'armadio e più ricordi di momenti felici nel

cuore. So che forse è un po’ egoista da parte mia, ma purtroppo questo è ciò che sento..."

Né Castle, né Beckett se la sentirono di replicare.

Era quasi scioccante veder soffrire in tal modo una donna come la signora Cooper.

Aveva avuto praticamente ogni cosa dalla vita: un marito ricco, affascinante, con una brillante

carriera, degli eredi invidiabili, una casa da sogno...eppure non aveva mai ricevuto ciò che realmente

desiderava...un po’ d'amore.

"Volete chiedermi altro o abbiamo finito?"

Beckett esitò.

Era più forte di lei, non ce la faceva a sbattere in faccia la verità a quella poveretta.

Lanciò un'occhiata eloquente a Castle, il quale afferrò al volo la situazione e si fece avanti.

"Un'ultima cosa, signora Cooper“ disse ”Un nostro collega, ha parlato con un

collega di suo marito che gli ha raccontato ciò che è accaduto qualche mese fa tra lei e

Michael...capisce a cosa mi riferisco?"

La donna annuì.

"E' durata solo qualche mese, non c'è stato niente di serio tra noi" mormorò con voce rotta di pianto

"Un pomeriggio ero da sola in casa e stavo guardando una soap opera in televisione, quando sentii

suonare il campanello...immaginate la mia sorpresa...andai ad aprire la porta e mi ritrovai di fronte un

prestante giovanotto sui trent'anni, alto, moro, occhi chiari. Mi disse che si era da poco trasferito nel

quartiere e che stava facendo il giro degli appartamenti per fare conoscenza con i vicini, così lo accolsi

in casa e gli offrì una tazza di caffè. Chiacchierammo per quasi tre ore di fila e quando se ne andò,

provai una strana sensazione, come d'abbandono. Da quel giorno, io e Jordan ci frequentammo

sempre più assiduamente, fino a quando lui mi confessò di provare qualcosa nei miei confronti, un

sentimento più profondo dell'amicizia. La nostra relazione iniziò così...per caso...io mi sentivo sola e

infelice e lui era lì, accanto a me, disposto ad ascoltare i miei sfoghi, a consolarmi, a coccolarmi. Non si

è trattato di una storia di sesso, ma di profondo affetto reciproco. Mio marito non si accorse della

nostra storia, fino a quando qualcuno del quartiere non glielo spifferò e, anche se non ho mai saputo

chi fosse stato, non lo ringrazierò mai abbastanza. Da quel giorno infatti, Michael cambiò totalmente il

suo atteggiamento verso di me. Parlammo per notti intere di ciò che era accaduto, del perchè era

accaduto e, alla fine, lui decise di prendersi una decina di giorni di ferie arretrate per passare del

tempo con me...partimmo per il Canada e trascorremmo insieme una meravigliosa settimana in una

baita in montagna, nel Vermont...come ai vecchi tempi…"

"E del suo amante ebbe più notizie?"

"No"

"Pensa che Jordan Myers possa nutrire ancora del risentimento verso suo marito?"

La donna fece un profondo respiro, cercando di mantenere la calma.

"Io...io non lo so...forse..." bisbigliò, scuotendo il capo "Pensate che Jordan possa essere responsabile della

scomparsa di Michael?"

Castle e Beckett si scambiarono un'occhiata eloquente.

Evidentemente la donna interpretò i loro sguardi come dei cenni d'assenso, perchè scoppiò in un pianto

disperato.




E finalmente anche il secondo capitolo ha visto la luce...spero vi piaccia...aspetto con ansia i vostri pareri!
Il terzo capitolo arriverà a breve...è già sulla via della pubblicazione ;D

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Capitolo 4
*** Don't Speak ***


Capitolo Terzo
                                          Don’t Speak


Casa Castle
Ore 22.00

Le luci basse e soffuse, l’aria impregnata da un leggero odore di whisky e fumo, il dolce

e melodioso jazz del sassofonista John Coltrane che diffondeva a basso volume dallo

stereo, avevano catapultato magicamente l’intera sala in un’atmosfera in pieno stile anni

’50.

Era esattamente ciò di cui avevano bisogno per staccare un po’ la spina dalla solita

routine quotidiana e dall’incredibile stress fisico ed emotivo derivante da essa.

Poker, un drink, qualche chiacchiera.

Una serata tranquilla tra amici, insomma.

Un incredibile boato esplose al tavolo di gioco.

Esposito quasi ululò di gioia, lanciando in aria ad una ad una tutte le fisches che aveva

appena vinto.

“Oh andiamo, non puoi essere sempre così dannatamente fortunato, Javier, mi fai quasi

schifo!” sbottò Ryan contrariato, lanciando le sue carte contro il collega con un gesto di

stizza.

“Dalle mie parti lo chiamiamo “talento”, vecchio mio” sghignazzò Esposito.

“E’ meglio che non ti dica come lo chiama mio padre, allora!” aggiunse Ryan, tirandogli

dietro una delle sue fisches.

“Gioisci, Ryan…” soggiunse Beckett, ammiccandogli” …con tutti i soldi che ha vinto

stasera il tuo fidanzatino, magari riuscirà finalmente a comprarti un anello di

fidanzamento decente!”

Castle e Montgomery soffocarono una risata nei rispettivi bicchieri di whisky.

Ryan ed Esposito erano ancora impegnati a battibeccare come una vecchia coppia di

sposini, quando Beckett si alzò dal tavolo dirigendosi verso la camera da letto, dove gli

ospiti all’entrata avevano depositato i loro cappotti.

Castle non esitò ad approfittarne.

Dopo appena qualche secondo, con la scusa di dover recuperare una cosa dall’armadio,

la raggiunse.

La trovò seduta sull’ampio letto matrimoniale, china sulle ginocchia, con la testa tra le

mani.

Sembrava che non fosse esattamente al massimo della forma.

“Ehi…” esordì sottovoce richiamando la sua attenzione.

Kate si raddrizzò di colpo.

“Ehi…” esclamò di rimando, abbozzando un sorrisetto di circostanza “Devo tornare al

tavolo?”

Castle scosse la testa.

“No sta tranquilla” rispose con un sorriso “I due fidanzatini sono ancora sul piede di

guerra…”

Avanzò di qualche passo eliminando la poca distanza che li separava e prese posto ai

piedi del letto, proprio accanto a lei.

Non aveva ancora trovato il coraggio di ringraziarla per averlo rassicurato riguardo

quegli stupidi incubi che tormentavano da settimane il suo sonno.

Era certo che lo avrebbe preso in giro fino allo sfinimento, invece a sorpresa si era

rivelata molto dolce e comprensiva nei suoi riguardi.

Cosa alquanto strana visto che si parlava di Beckett.  

Cercando di non farsi scoprire a fissarla, le lanciò una frettolosa occhiata in tralice.

Era dannatamente bella anche un po’ malaticcia e debilitata.

Qualsiasi cosa facesse non riusciva a togliersela dalla testa.

Ormai per lui era diventata una specie di ossessione.

Soltanto davanti all’insistenza unica e leggendaria di sua madre era riuscito finalmente

ad ammettere i propri sentimenti per Kate e d’altronde sarebbe stato inutile continuare

a negarlo.

Non si trattava più soltanto di una ricerca sul campo utile ai suoi romanzi, continuava a

girare attorno a Beckett semplicemente perché non riusciva più ad immaginare la sua

vita senza di lei.

Ovviamente Beckett non provava le stesse cose, d’altronde perché mai avrebbe dovuto?

Aveva Josh, il super dottore in motocicletta che girava il mondo aiutando le popolazioni

meno fortunate e curando bambini in fin di vita.

Come diavolo avrebbe fatto lui a competere con un santo sceso in terra?

Per giunta anche irrimediabilmente attraente, almeno a detta di Lanie.

“Castle vuoi dirmi qualcosa?”

La voce di Kate lo riportò bruscamente alla realtà.

“Come? Oh no…” buttò lì, fingendo la massima indifferenza “Stavo solo notando che…

beh…mi sembra che tu sia piuttosto accaldata o sbaglio?”

Beckett appoggiò entrambe le mani sulle guance.

“Mi sa che hai proprio ragione, sai?” mormorò, portandosi una mano alla fronte per

valutarne il grado di riscaldamento “Possibile che debba prendermi l’influenza proprio

adesso? E’ dai tempi della scuola elementare che non mi ammalo… “

“Vieni qui…” fece Castle in un tono che non ammetteva obiezioni.

Si sporse leggermente verso Kate e le sfiorò appena la fronte con le labbra.

Durò un solo istante.

Un istante che parve protrarsi all’infinito.

Era così vicino a lei da potersi perdere nei suoi occhi, annegare nel profumo della sua

pelle, lasciarsi trasportare dal dolce aroma dei suoi capelli.

Staccò lentamente le labbra dalla fronte di Kate e pian piano si allontanò.

“Kate io…”

“Rick io…”

Pronunciarono quelle parole nel medesimo istante, gli sguardi incatenati l’uno all’altro,

legati insieme come nodi indissolubili.

Quello strambo incrocio di pensieri non era certo una novità per loro, ma la

magia creatasi in quel momento contribuì a rendere l’intera situazione eccezionale e

irripetibile.

Castle si sentiva combattuto come non mai, Beckett d’altro canto era stranamente decisa

a non tirarsi indietro, non quella volta.

Lesse negli occhi di Castle la stessa incertezza che negli ultimi anni le aveva impedito di

lasciarsi andare liberamente a quel sentimento.

Non voleva che lui pensasse di doverla forzare, così decise di prendere l’iniziativa.

Allungò una mano verso di lui, sfiorandogli dolcemente il viso.

Una lieve sensazione di solletico le stuzzicò il palmo della mano facendole sfuggire un

leggero sorriso.

Quella barbetta incolta.

Dio, se la faceva impazzire.

“Kate io non voglio che…”

“Vuoi star zitto una buona volta?!” lo zittì lei, chiudendogli la bocca con un bacio.

Non appena le labbra di Kate si schiusero sulle sue, Castle non riuscì più a ragionare

lucidamente.

Per un attimo perse la cognizione del tempo e dello spazio, totalmente e

incommensurabilmente rapito dal desiderio.

Le sue mani si muovevano freneticamente su di lei, ormai lanciate in quell’audace danza

di languide carezze, dove i loro corpi sembravano muoversi in perfetta sincronia.

Un incastro perfetto, come due pezzi dello stesso puzzle finalmente riuniti nell’unica

combinazione possibile.

Improvvisamente, il rumore di una porta che si apriva li fece sobbalzare.

Si staccarono bruscamente, spingendosi alle due opposte estremità del letto, il più

lontano possibile l’uno dall’altra.   

Ryan ed Esposito apparvero insieme sulla soglia.

“Scusate, dobbiamo recuperare i nostri cappotti… “fece Ryan entrando nella stanza” …è

proprio ora di tornare a casa, altrimenti domani neanche le urla di Jenny mi buttano giù

dal letto!”

“Beckett ti serve un passaggio a casa?” domandò Esposito.

Kate scattò prontamente in piedi.

“Sì Javi…è davvero un’ottima idea… “annuì, infilandosi velocemente il cappotto.

Castle non riuscì a nascondere la sua delusione nel vederla reagire in quel modo.

Che sei fosse pentita di averlo baciato?

Conoscendola non era da escludere.

Fingendo la più totale noncuranza, accompagnò i suoi ospiti alla porta salutandoli

tutti calorosamente.

Rimasto solo in casa però non potè fare a meno di pensare a quello che era appena

successo tra lui e Beckett.

Inutile dire che non lo avrebbe rinnegato per nulla al mondo ma forse lei non la pensava

allo stesso modo a giudicare da come aveva reagito.

Si versò un dito di whisky nel bicchiere e si sdraiò sul divano.

Con lo sguardo fisso sul soffitto e una mano appoggiata sulla fronte, ripercorse a ritroso

ciò che era accaduto, istante per istante.

Chiudendo gli occhi poteva quasi sentire i battiti dei loro cuori accelerare di nuovo

simultaneamente, a dismisura.

Incredibile come una donna potesse mandarlo così fuori di testa, non gli era mai capitato

prima d'allora.

Forse era proprio l’eccezionalità di quei sentimenti a renderli così terrificanti ai suoi

occhi.

Non sapeva come gestire quelle emozioni così irruente e folli.

Ogni volta che Kate entrava nella sua orbita, gli sembrava di essere un adolescente in

preda ad una irreprensibile tempesta ormonale.

Era qualcosa che non riusciva proprio a controllare.

La suoneria del suo cellulare lo avvisò dell’arrivo di un sms, interrompendo per un breve

momento quel flusso di pensieri alla deriva.

Allungò un braccio verso il tavolino e afferrò il telefono per leggere il messaggio.

“Nessun rimorso, avevo solo bisogno di riposare. Addormentarmi con il tuo sapore sulle labbra mi aiuterà a dormire sonni tranquilli. Buonanotte. K.”





E stiamo entrando nel vivo della storia...finalmente qualcosa sembra essersi sbloccato tra i nostri due beniamini...chissà come gestiranno la faccenda d'ora in poi! ;D

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Capitolo 5
*** More Than Words ***




Capitolo Quarto

                                          More Than Words
 


New York Police Department 
12th Distretto Squadra Omicidi
ore 10.20 a.m. 
 

Beckett, Esposito e Ryan si trovavano in sala convegni ad analizzare le prove del caso,

quando il Capitano Montgomery apparve d'improvviso sulla soglia, richiamando a gesti la loro attenzione.

Era impegnato al telefono con Philip Sanders, un giovane detective della scientifica con cui avevano già

collaborato in un paio di occasioni. Sanders lo aveva informato del ritrovamento, in una vecchia discarica

abbandonata nel Queens, del taxi a bordo del quale Michael Cooper aveva presumibilmente lasciato

l'Aeroporto J.F. Kennedy.  Montgomery entrò nella sala richiudendosi la porta alle spalle e, dopo aver

appoggiato il cellulare sul tavolo, attivò il vivavoce. 

"Avete trovato qualcosa che potrebbe esserci d'aiuto per le indagini?" domandò al detective della scientifica. 
 
All'altro capo del telefono, Sanders si lasciò andare ad una risatina tutt'altro che divertita.

"Ho ben due notizie da darti, Capitano..." ribattè in un tono che suonò quasi sarcastico" ...una è piuttosto

buona, l'altra è terribile! Quale volete sentire prima?"

Montgomery strizzò forte gli occhi.

"A te la scelta" disse.

"All'interno del veicolo abbiamo rinvenuto il cadavere di un uomo..."

"Michael Cooper?"

"No, il suo tassista. E questa era la notizia positiva"

Esposito e Ryan si scambiarono un'occhiata scettica.

"Se lo dici tu" commentò Montgomery, perplesso.

"La cattiva notizia..." riprese Sanders " ..è che a quanto pare, il tizio che stiamo cercando è un fottuto bastardo

che si diverte ad ammazzare la gente a sangue freddo!"

Beckett scosse la testa.

"Favoloso, mi hai appena illuminato la giornata, detective!" commentò, funerea.

Trovava odiosamente frustrante avere a che fare con i criminali folli e spietati, per esperienza personale, sapeva

che erano i più pericolosi e anche i più difficili da incastrare. Ma c'era anche qualcos'altro che la rendeva

nervosa, qualcosa che non aveva nulla a che fare con il caso che stavano seguendo.

Si trattava di Castle.

Erano già trascorsi due giorni dalla serata poker a casa di Rick, dal loro primo bacio.                      

Due giorni che non lo vedeva e non lo sentiva.

Probabilmente era solo impegnato con l'elaborazione del suo manoscritto ma, c'era una vocina dentro la sua

testa, che continuava a suggerirle un'altra opzione.

L'unica a cui non avrebbe mai voluto pensare.

Possibile che Rick si fosse pentito di averla baciata? 

Montgomery spense il ricevitore.

"Che ne pensate?" fece, rivolto al suo team. 

"Che dire, Capitano" intervenne Esposito "Il tizio che stiamo cercando è uno spietato assassino...un quadretto

davvero rassicurante..."

"Puoi dirlo forte, fratello" gli fece eco Ryan. 

Kate si riempì la tazza di caffè caldo, con la mite speranza che potesse farla sentire un po' meglio, invece il solo

odore di quella bevanda le fece salire una terribile nausea. Sostenendosi la testa con una mano, socchiuse un

momento gli occhi. Quella dannata influenza non sembrava voler mollare la presa, ma lei non era certamente il

tipo che amava starsene a poltrire a letto per ore, a guardare vecchie repliche di telefilm alla tv.

Esposito, seduto di fronte a lei, le scoccò un'occhiata di rimprovero e terminata la riunione, le si avvicinò.  

"Stai male, Beckett, dovresti correre a casa e infilarti sotto le coperte" le disse.

"Non preoccuparti per me, Javi, sto bene" lo rassicurò Kate.

Lui le appoggiò una mano sulla fronte.

"Ci si potrebbe cucinare una bistecca qui sopra, sai?"

"E' solo un po' d'influenza, non farla tragica!"

"Per quanto ne so, anche le influenze mal curate possono causare gravi danni..."

"Javi, dobbiamo portare a termine le indagini, non posso permettermi di oziare a casa"

"Oziare?! Tu stai male!"

"Non se ne parla, non insistere" ribadì Beckett in tono perentorio.

Esposito scosse la testa.

"Come vuoi, Becks" dichiarò infine, rassegnato. 

Stavano ancora parlottando tra loro, quando Castle fece a sorpresa il suo ingresso nella sala, trasportando un

vassoio del bar, colmo di caffè e ciambelle appena sfornate.

"Che mi sono perso in questi giorni, ragazzi?" esclamò allegramente, addentando avidamente una ciambella

glassata. 

Beckett lo fissò con uno sguardo fiammeggiante, gli occhi ridotti a due fessure.                

Si alzò di scatto dalla sedia, spingendola all'indietro sul pavimento.

"Castle...in sala relax....ORA!" lo aggredì, senza troppi complimenti.                   

Lui la guardò con aria sconcertata, senza capire.

"Cosa...?"

"ORA!"

"Ok, ok...arrivo..."

Sotto gli sguardi incuriositi di Ryan ed Esposito, i due se la filarono.                                        

Beckett non rivolse la parola a Castle per tutto il tragitto che separava la sala convegni dalla sala relax.

Raggiunta la meta, gli fece segno di entrare e poi chiuse con un gesto secco la porta della stanza alle loro

spalle. Castle si appollaiò sul bracciolo della poltrona, rimanendo in attesa dell'imminente strigliata che di lì a

poco gli si sarebbe scagliata addosso, come una violenta ondata di grandine.

A giudicare dal comportamento isterico di Beckett, doveva aver combinato qualcosa di grosso, eppure non gli

veniva in mente nulla. 

"Puoi concedermi almeno un'ultima cena prima di flagellarmi pubblicamente?" esordì ironico, osservando la

reazione di lei con la coda dell'occhio. 

Nessuna risposta.

"Guarda che se vuoi giocare con me al gioco del silenzio, ti avverto che io sono campione nazionale...con una

madre come la mia sarebbe strano il contrario e comunque..."

"E comunque sei un emerito idiota" lo interrupe bruscamente Beckett, piazzandosi di fronte a lui con l'indice

accusatore puntato contro il suo petto.

"Io? Che cosa...?"

"Due giorni, Rick...sono due maledetti giorni che aspetto tue notizie..."

Castle abbassò lo sguardo. 

Adesso era tutto chiaro.

"Kate, io non..."

"No, chiudi la bocca, non azzardarti a snocciolare stupide scuse" lo zittì Beckett" Non so come sei abituato con

le altre ragazze, Castle, ma ti assicuro che con me non funzionerebbero! La serata poker a casa tua è stata

fantastica e non mi riferisco solo al fatto di averti spillato ben 200 dollari..."

"180 in realtà..." precisò Castle "...ma...beh, in fondo chi li conta?" 

"Il punto è che pensavo che fosse successo qualcosa di importante quella sera, tra di noi voglio dire..."

"E' così" 

"Ti sei pentito, vero?" lo apostrofò Kate, guardandolo dritto negli occh.

Castle si sollevò in piedi e le si avvicinò.

"Neanche per sogno" le sussurrò a pochi centimetri dalle labbra "Lo rifarei ancora mille volte e ..."

"Oh sta zitto, scribacchino" tagliò corto Beckett, afferrandolo per il colletto della giacca e attirandolo a se in un

bacio avvolgente e intenso.                                                              

In fondo, avevano tutto il tempo del mondo per potersi chiarire. 
 

Appartamento di Jordan Myers
New York 15.30 p.m.
 

Ryan era seduto in auto accanto ad Esposito, che stava guidando.

Sorpassarono un paio di semafori verdi e giunti ad un incrocio piuttossto trafficato, svoltarono a destra in

direzione del Queens. La radio era sintonizzata sulla frequenza FM 91.07 e un giornalista radiofonico aveva

appena annunciato traffico piuttosto intenso sulla statale, a causa di un grave incidente automobilistico. 

"Dannati tir" commentò Esposito, sbuffando.

"Ehi cos'è tutta questa negatività?" lo apostrofò il collega "Problemi in Paradiso, fratello?"

"Cosa?!"

"Lanie!" disse Ryan con fare eloquente.

"Ti ho già detto che ci siamo lasciati di comune accordo, non credo ci sia altro da aggiungere" ribattè

bruscamente Esposito.

"Perciò il fatto che tu sia praticamente nevrotico, non ha niente a che fare con il nuovo ragazzo che Lanie sta

frequentando..." insinuò Ryan, osservando con la coda dell'occhio la reazione dell'amico "...sai, lei e Jenny si

sono incontrate qualche sera fa in un bar e hanno scambiato quattro chiacchiere...Lanie le ha detto che il suo

nuovo ragazzo è, cito testualmente, 'un esemplare unico della sua razza'..."

"Sì, uno scimmione DOC" mugugnò Esposito, visibilmente geloso.

"Se può consolarti, Jenny dice che è un po' bassino di statura" ironizzò Ryan, trattenendo a stento le risa.

L'occhiataccia di Esposito bastò a congelare definitivamente la discussione.                                                  

Una decina di minuti più tardi, giunsero nel quartiere di Jordan Myers, l'ex amante della moglie di Michael

Cooper, nonchè attuale sospettato numero uno dell'indagine in corso.

Diedero un'occhiata all'indirizzo che erano riusciti ad estrapolare dal web e rintracciarono l'abitazione

dell'uomo. Raggiunsero la porta d'ingresso e suonarono il campanello.

Pochi istanti d'attesa e la porta si aprì, rivelando un uomo alto, muscoloso e decisamente di bell'aspetto. 

"Il signor Myers?" soggiunse Ryan, mostrando il suo distintivo.

L'uomo annuì. 

"Ci dispiace molto averla disturbata a quest'ora, ma abbiamo urgente necessità di fare qualche domanda..."

proseguì Ryan.

Myers aggrottò la fronte, con sguardo perplesso.

"Domande riguardo cosa?" chiese in tono brusco.

"Stiamo indagando sulla scomparsa di un certo Michael Cooper" disse Esposito.

A quelle parole, Myers trasalì.

"Sospettate di me?" esclamò con una leggera nota di panico nella voce.

Ryan scosse la testa. 

"Stia tranquillo, non abbiamo ancora raccolto abbastanza prove per poter rivolgere accuse contro qualcuno..."

spiegò gentilmente "...siamo qui solo per chiarire alcune piccole cose, le assicuro che non le ruberemo troppo

tempo!"

Seppur non del tutto convinto, Jordan Myers si fece da parte per lasciarli entrare in casa.

Si accomodarono tutti e tre in salotto, Ryan ed Esposito sul divano e Myers sulla poltrona accanto al caminetto. 

Esposito si schiarì rumorosamente la voce.

"Quando è stata l'ultima volta che ha incontrato il signor Cooper?" gli domandò.

Myers esitò.

"Non saprei, un paio di mesi fa credo"

"In quale occasione?"

Myers fece un sorriso forzato.

"E' inutile continuare a girarci intorno, detective" disse, sarcastico "Non sono un idiota. E' chiaro che siete già a

conoscenza della mia relazione con la moglie di Cooper. E' vero. Io e Gillian abbiamo avuto una storia ma è

finito tutto nel giro di qualche mese...sapete come vanno queste cose, qualche impiccione del quartiere ha

spifferato tutto al marito e lui ovviamente ha dato di matto! Si è presentato a casa mia e ha minacciato di

rovinarmi la vita se non avessi lasciato in pace sua moglie...ho provato a conversare civilmente con lui ma era

totalmente impazzito! Mi ha afferrato per la camicia e mi ha colpito ripetutamente in faccia, poi non ancora

pienamente soddisfatto della sua performance, mi ha sbattuto a terra e mi ha riempito di calci. Due costole

incrinate e una frattura alla clavicola. Se sua moglie non fosse intervenuta per fermarlo, probabilmente mi

avrebbe ammazzato..."

"Prova rancore nei confronti di Michael Cooper?" domandò ancora Esposito.

"Rancore? Ovvio che provo del rancore...cosa dovrei fare secondo lei? Ringraziarlo per avermi massacrato di

botte?! Quel tizio era completamente fuori di testa e se non fosse stato per Gillian, l'avrei anche denunciato alla

polizia..."

"Perciò è stata la sua amante a chiederle di non denunciare il marito?"

Myers scosse la testa.

"Lei non mi ha più rivolto la parola dopo il casino di quella notte" raccontò "Non sono neppure riuscito a

salutarla prima di partire. Suo marito la teneva praticamente prigioniera in casa, pensate che non voleva

neppure che uscisse sul porticato per prendere il giornale!"

"Se non è stata Gillian a chiederle di non sporgere denuncia, allora chi lo ha fatto?" intervenne Ryan.

"Nessuno" rispose Myers con un'alzata di spalle "Ho deciso io stesso di non farlo. Nonostante sapessi che per lei

la nostra relazione non era altro che un'innocente evasione, ho sempre sperato che alla fine si rendesse

finalmente conto che ero io l'uomo con cui doveva stare e non quel maiale ...ma quel giorno non è mai arrivato.

Credetemi, l'amavo con tutto me stesso ed è stato proprio per questo che ho rinunciato alla denuncia...non

volevo che un simile scandalo le causasse altro dolore, aveva già sofferto così tanto per colpa di suo marito,

non volevo gettare altra carne sul fuoco!"

"E' sicuro di non aver più avuto contatti con Michael Cooper?"

"Lo giuro su Dio, detective, non mi sono fatto più vivo nè con lui, nè con Gillian" ribattè Myers" Non sono un

assassino e per quanto detestassi quell'uomo, non gli avrei mai torto un solo capello, dovete credermi..."

"Non vi siete mai incontrati neppure per caso?" insistette Esposito "Magari per la strada o, che ne so, in un

supermercato?"

"No, accidenti!" ruggì Myers, scattando in piedi. 

Ryan gli fece segno di sedersi.

"D'accordo, però adesso si calmi..." lo ammonì.

L'uomo si scusò subito per la sua irruenza. L'interrogatorio proseguì per un'altra decina di minuti ma non

emerse alcun dettaglio interessante. Certamente Myers non era un modello di virtì, ma sembrava sincero

riguardo il suo amore per Gillian Cooper e, per dirla tutta, non corrispondeva al profilo dell'assassino che

avevano delineato. Durante il viaggio di ritorno, Ryan ed Esposito si ritrovarono ad esprimere le rispettive

opinioni a riguardo. 

"Non credo che Myers sia coinvolto nella scomparsa di Cooper" ammise Ryan in tutta sincerità "Mi sembra solo

un povero diavolo a cui hanno strappato via la donna che amava..."

"Lavoro da anni qui alla Omicidi, fratello, ho incontrato bastardi d'ogni razza e genere..." replicò Esposito

"...assassini, rapitori, stupratori, spacciatori, pedofili...ma sai quali persone mi hanno sempre colpito di più?

Quelle che ostentano il loro bel faccino d'angelo mentre nel cuore bruciano come creature infernali! Le ho viste

ingannare intere giurie, eludere magistralmente qualsiasi profilo psicologico recitando perfettamente quel

ruolo che si erano cucini addosso...tipi del genere, si comportano in modo tale da poter trasformare la loro

stessa vita in un alibi perfetto e non mostrano il minimo rimorso per gli orrori che commettono. Non voglio

insinuare che Myers sia uno di loro, ma penso sia meglio indagare più a fondo prima di dichiararne la completa

estraneità ai fatti..."

Ryan volse lo sguardo fuori dal finestrino.

"Già, forse hai ragione tu" mormorò sottovoce. 





E DOPO UN RITARDO OSCENO (CHIEDO UMILMENTE PERDONO, MA PRENDETEVELA CON LA MIA CRISI DA SCRIBACCHINA XD), RIECCOCI CON UN NUOVO CAPITOLO...CONTINUATE A SEGUIRE LA STORIA, IL BELLO DEVE ANCORA VENIRE ;)

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Capitolo 6
*** Memories From The Past ***




Capitolo Quinto 

                                    Memories From The Past
 

Crime Scene Laboratory
New York 17.12 p.m.
 

"Abbiamo appena finito di analizzare il taxi" riferì il detective John Curly, responsabile della Scientifica, a Beckett e Castle "I miei ragazzi l'hanno setacciato palmo a palmo, con torce a fluorescenza, Luminol e quant'altro ma, escludendo il sangue del tassista ucciso, che abbiamo rilevato praticamente ovunque sui sedili anteriori, e numerose impronte e capelli lasciati da Cooper sui sedili posteriosi, non siamo riusciti a raccogliere niente che possa aiutarci ad identificare l'assassino...come ho già detto...le sole tracce biologiche rinvenute appartengono alla vittima e a Cooper..."
"Una cosa piuttosto insolita..." commentò Castle con espressione corrucciata.
"Dire insolito è poco" confermò Curly "Non ci sono impronte, saliva, sangue, capelli...sembra proprio che ad uccidere quel povero diavolo sia stato il fantasmino Casper!"
"Sarà difficile trascinarlo in tribunale!" ironizzò Castle. 
Beckett lo zittì con uno dei suoi soliti sguardi fulminanti.
"Del cadavere cosa puoi dirci?" domandò poi a Curly.
"Si chiamava Arthur Brackner e, così come ha confermato la vostra cara dottoressa Parish, è morto per una ferita d'arma da fuoco alla testa...foro d'entrata sulla tempia destra, niente foro d'uscita. Il proiettile recuperato dal cranio appartiene ad una nove millimetri..."
Così dicendo, mostrò una fotografia del proiettile, con un dettaglio delle striature. 
"Un'ultima cosa prima che ve ne andiate..." aggiunse, porgendoli un mucchio di fogli.
"Di cosa si tratta?" domandò Beckett scrutandoli con interesse.
"Sono i risultati delle analisi che abbiamo eseguito su alcune macchie di sangue che rinvenute sul sedile posteriore del veicolo...appartengono al tizio scomparso, Michael Cooper..."
"Ne siete sicuri?"
Curly annuì.
"Abbiamo confrontato il Dna del sangue, con quello estratto dai capelli di Cooper....un riscontro perfetto!"
"Pensate che anche Cooper sia stato assassinato?" domandò Castle.
Curly ci pensò su un momento, grattandosi il mento con aria pensierosa.
"A dirtela tutta, scribacchino, non ci metterei la mano sul fuoco..." rispose infine "...il sangue di Cooper è presente in quantità esigua, inoltre se davvero fosse stato ucciso dentro questo taxi, sui sedili avremmo trovato molto più che qualche goccia di sangue..."
"Questo non esclude il fatto che l'assassino possa averlo colpito nel taxi, magari per riuscire a trasportarlo fuori senza che opponesse resistenza..." azzardò Castle.
"E che poi lo abbia ucciso altrove" completò Beckett. 
 
New York Police Department 
12th Distretto Squadra Omicidi
ore 19.20 p.m.
 
"Ehi, disturbo?" 
La testa di Castle fece capolino da dietro le sue spalle, strappandole un sorriso.
Dopo aver lasciato il laboratorio della Scientifica, aveva rinunciato alla consueta pausa pranzo in compagnia di Castle, Esposito e Ryan, ed era rientrata in fretta al distretto, per fare delle ricerche su Internet e riguardare in santa pace tutti i fascicoli del caso Cooper, nella speranza di trovare qualche dettaglio che potesse aiutarla a dare una svolta alle indagini. 
"Com'è andato il pranzo?" gli domandò sorridente, sollevando un momento gli occhi dal fascicolo aperto sulla sua scrivania. 
"Bene, anche se Esposito si è mangiato metà della mia insalata di tonno con salsa messicana..." rispose lui, prendendo posto sulla solita poltrona" ...tu che mi dici? E' servito a qualcosa saltare il pranzo o te ne sei pentita?"
"Non ho ottenuto granchè, in effetti" borbottò Beckett, sbuffando.  
"Niente illuminazione magica? La lampadina nel tuo cervellino si è fulminata definitivamente?" ironizzò Castle, ammiccandole beffardamente. 
"Oh grazie, avevo proprio bisogno della tua iniezione di sarcasmo!" replicò Beckett, inarcando il sopracciglio con aria seccata.
"Sempre a disposizione, tesoro" le fece eco Castle, con una rapida alzata di spalle.
La mano di Beckett si materializzò quasi dal nulla sulla sua bocca. 
"Shhh, Castle che ti dice la testa?!" sibilò in tono severo. 
"Cosa?!"
"Non devi urlare certe cose qui dentro, lo sai che anche le pareti hanno orecchie per ascoltare" lo riprese Beckett "Oppure sei già stanco di lavorare qui con noi?" 
Un sorrisetto si fece spazio sulle labbra di Castle.
"E così non vuoi che sappiano di noi due, eh?" la punzecchiò, divertito. 
Beckett gli rivolse un'occhiataccia.
"Non esiste alcun "noi due", se proprio vogliamo essere sinceri..." mugugnò con fare contrariato" ...c'è stato solo un bacio..."
"Veramente io ne avrei contati due"
"E va bene, due baci...ma niente di più"
Ci volle qualche istante prima che Castle riuscisse a capire dove Beckett volesse andare a parare con quel discorso. 
"Oooh oooh ho capito!" esclamò d'un tratto, battendo talmente forte il pugno sulla scrivania, da far rovesciare rumorosamente il portapenne di Beckett. 
"Che vuoi dire?" fece lei, sulla difensiva.
"Tu vuoi un appuntamento ufficiale" le soffiò all'orecchio. 
Beckett avvampò. 
"Ma che diavolo stai dicendo?!" 
L'ottimo tempismo di Esposito e Ryan le evitò una figuraccia epica. 
"Io e Ryan stavamo facendo un breve punto della situazione..." soggiunse Esposito, avvicinandosi rapidamente con il collega "...e ho avuto come l'impressione che ci stesse sfuggendo qualcosa..."
"Abbiamo scavato a fondo nel passato di Cooper, per cercare di ricostruire il quadro generale della situazione e non abbiamo trovato nulla di minimamente sospetto" gli ricordò Ryan.
"Lo so" annuì Esposito "Eppure sento che c'è ancora qualcosa che non sappiamo!"
"E se qualcuno volesse effettivamente nasconderci dei dettagli sorbidi del passato di quest'uomo?" buttò lì Castle, lanciando un'occhiata sospettosa alla lavagna sulla quale era stata delineata dettagliatamente l'intera cronologia del caso "E' vero che abbiamo controllato e ricontrollato la vita di Michael Cooper ma, parliamoci chiaro ragazzi, nessuno a questo mondo è così perfetto, neanche il Dalai Lama! Niente multe, niente note disciplinari scolastiche, accademiche o lavorative...in fondo Cooper è una personalità eccelsa nel suo ambiente, un mondo dove le apparenze contano più della verità che si nasconde dietro...pensateci...se aveste i soldi che ha Cooper e vi trovaste nei guai, che cosa fareste?"
"Risolverei i miei casini e poi farei di tutto per mantenere la faccenda segreta" rispose Ryan, l'unico che sembrava aver realmente agganciato il ragionamento di Castle.  
"Cosa state insinuando voi due?" intervenne Beckett, confusa.
"Semplice" rispose Castle "Credo che qualcuno stia lavorando sodo per mantenere segreto qualche sorbido fattaccio seppellito nel passato di Cooper! E' una sensazione, non so come spiegarlo..."
"E secondo te dovremo basare le nostre indagini sulle tue sensazioni?" commentò Esposito, riservandogli una sonora pacca sulla spalla "Auguri, amico...lo dici tu a Montgomery, allora?"
Beckett si schiarì rumorosamente la voce.
"Potremmo sempre eliminare qualsiasi dubbio interrogando di nuovo Parker Oswald, il vice di Cooper al Saint Mary" propose ai colleghi "Potrebbe saltar fuori qualcosa di utile...in caso contrario, avremmo solo ottenuto un'ennesima conferma..."
 
Saint Mary's Hospital 
New York ore 20.30

Beckett e Castle giunsero davanti alla porta d'ingresso dell'ufficio di Oswald e bussarono due volte. 
L'uscio si spalancò e Parker Oswald apparve sulla soglia.
Il suo sguardo indagatore scrutò entrambi con aria circospetta.
"Ha cinque minuti per noi?" esordì Beckett, mostrando prontamente il suo distintivo. 
"D'accordo ma facciamo presto, ho un appuntamento importante e sono già in ritardo..."
Si spostò da un lato per lasciarli entrare nello studio.
"Pensavo di avervi già detto tutto quello che volevate sapere" fece Oswald seccato, prendendo posto alla sua scrivania "Che altro volete che vi dica?"
"Siamo convinti che Myers non sia coinvolto nel rapimento del suo amico" disse Castle "Riesce a pensare a qualcun altro che potrebbe avercela con Cooper?"
"Che storie sono queste?!" esclamò Oswald, esterrefatto "Com'è possibile che quel delinquente non sia coinvolto?"
Beckett lo fissò con circospezione.
Sembrava sinceramente incredulo.
Eppure se c'era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni trascorsi alla Omicidi, era che le persone mentono. 
Anche le migliori. 
"Era il nostro indiziato numero uno..." spiegò Beckett "Aveva il movente perfetto, quello passionale...riconquistare la sua amante, Gillian Cooper, togliendo di mezzo definitivamente il marito padrone. Chi meglio di lui avrebbe potuto orchestrare questo teatrino? Poi però le cose hanno preso un'altra piega. Abbiamo verificato l'alibi che Myers ci aveva fornito e abbiamo ottenuto la conferma che stavamo aspettando. Non si trovava negli Stati Uniti il giorno del rapimento di Cooper. Sospettavamo che potesse aver incaricato qualcuno di farlo al posto suo ma non abbiamo rilevato trasferimenti anomali di denaro sul suo conto o prelevamenti sospetti..."
"E tutto questo ci ha suggerito un'unica conclusione..." insinuò Castle.
"Lei ci ha mentito!" completò Beckett. 
"Le prove possono ingannare" ribattè Oswald, visibilmente indispettito.
"Le prove non ingannano mai, al contrario delle persone" precisò Castle.
Oswald inghiottì il vuoto.
Il suo respiro si fece molto affannoso.
"Un momento...voi...voi non penserete sul serio che io c'entri qualcosa?"
"Non la stiamo accusando di niente" rispose Castle con un sorrisetto beffardo" Vogliamo soltanto che ci racconti la verità...la trova una richiesta tanto obsoleta?""
"Ho già raccontato la verità"
"Io non credo proprio" obiettò Beckett "Ho come l'impressione che stia cercando di coprire qualcuno...se stesso o magari il suo amichetto Cooper...cos'è che non ci sta dicendo, signor Oswald?"
L'uomo strizzò forte gli occhi.
"Non ho mai fatto del male a Michael!" sibilò a denti stretti.
"Non crediamo il contrario" fece Castle con un'alzata di spalle.
"Allora che diavolo volete da me?"
"La verità" rispose Beckett, fissandolo dritto negli occhi "Il suo amico si trova nelle mani di chissà quale pazzo, perciò non possiamo permetterci di perdere altro tempo. Lei stamattina ha omesso qualcosa dalla sua testimonianza, qualcosa che potrebbe esserci d'aiuto per ritrovare Michael Cooper. Se è vero che non è coinvolto in alcun modo nel suo rapimento, allora è suo dovere darci una mano a rintracciarlo e a salvargli la vita. Non le chiediamo niente di impegnativo...solo la verità..."
Oswald si morse leggermente il labbro inferiore.
Sembrava profondamente combattuto.
"Allora?" lo esortò Beckett.
Oswald si alzò in piedi di scatto e si avvicinò alla finestra.
"Potrei perdere il mio lavoro se aprissi bocca..."
"Cooper potrebbe perdere la vita, invece!" gli fece notare Castle.
L'uomo si lasciò andare ad una risatina sarcastica.
"E' buffo" disse.
"Cosa?"
"Potrei salvare la vita di un uomo, distruggendo la mia"
Castle e Beckett si scambiarono un'occhiata d'intesa. 
Avevano centrato l'obiettivo, dunque. 
"Alcuni mesi fa, Michael si presentò al lavoro completamente sbronzo" iniziò a raccontare Oswald "Le cose con Gillian non andavano per niente bene e lo stato emotivo di Michael stava peggiorando a vista d'occhio. Io ed un altro paio di colleghi gli preparammo una bella scorta di caffé forte, sperando in questo modo di risolvere la situazione. Con il passare delle ore, avrebbe smaltito totalmente la sbronza e nessuno si sarebbe mai accorto di nulla...ma purtroppo accadde un imprevisto. Il dottor Patterson ci raggiunse in sala relax e ci informò che l'operazione chirurgica della signora Daniels, prevista per l'indomani pomeriggio, era stata anticipata a quella mattina. Michael avrebbe dovuto operarla e io avrei dovuto assisterlo. Poco prima di recarci in sala operatoria, cercai di convincere Michael a rinunciare ma lui mi assicurò che stava bene e che non dovevo preoccuparmi. Preparammo insieme la signora Daniels per l'operazione e iniziammo a lavorare. Tutto sembrava filare liscio, poi...poi accadde la tragedia. Fu un attimo..."
La sua voce si ruppe di colpo. 
"...il braccio di Michael ebbe un lieve cedimento, un tremore quasi impercettibile...e..."
"Cosa ne è stato della paziente?" domandò Castle.
"Morì in sala operatoria" confessò Oswald "Tentai l'impossibile per salvarle la vita ma fu tutto inutile. Si era rivolta a noi per una semplice operazione di routine e invece non n'è uscita viva! Circa un'ora dopo l'accaduto, Michael mi incaricò di informare il marito del decesso...non avrei mai immaginato che potesse reagire in quel modo...per un istante ho creduto che volesse mettermi le mani addosso..."
"Abbiamo letto a fondo il fascicolo di Cooper, non c'è alcun riferimento a questo incidente" osservò Beckett.    
"Michael non avrebbe mai permesso ad un simile "incidente di percorso", come lo ha chiamato lui, di distruggere in mille pezzi la sua brillante carriera!" replicò Oswald in tono quasi disgustato "Costrinse me e i due anestesisti che ci avevano assistito in sala operatoria, a mentire ai nostri superiori e ai parenti della vittima. Dicemmo che quella povera donna era deceduta in seguito all'insorgere di gravi complicazioni durante l'intervento, e che, nonostante gli sforzi effettuati dallo staff per rianimarla, non c'era stato niente da fare. Sapevo bene che le alte sfere avrebbero accettato la nostra versione dei fatti senza batter ciglio, nutrivano una profonda fiducia nelle capacità di Michael...nessuno avrebbe mai scoperto cos'era davvero accaduto a quella donna...nessuno..."
"Perchè accettò il ricatto del suo collega?" lo apostrofò Castle, mosso da curiosità "Avrebbe potuto denunciarlo, avrebbe potuto fare la cosa giusta..."
"Era il mio capo. Aveva minacciato di tagliarmi fuori dai giochi, se solo mi fossi tirato indietro o avessi pensato di tradirlo. Non potevo perdere il mio lavoro. Cercate di capire. Ho una moglie e due bambini piccoli da mantenere..."
"La famiglia Daniels fece causa all'ospedale?"
"Sì ma il il giudice decise di non procedere in alcun modo contro il Saint Mary e lo staff che aveva eseguito l'operazione..."
"Qualcuno dei parenti della vittima minacciò di vendicarsi?" domandò Beckett. 
"Nessun membro della famiglia ci aggredì mai fisicamente o minacciò di farlo" 
dichiarò Oswald "Ma non dimenticherò mai l'espressione di puro odio stampata sul 
volto di Martin Daniels, il marito di quella povera donna..."
"E' più che comprensibile se pensa a quello che avete combinato a sua moglie!" commentò Beckett, caustica.
Oswald annuì con aria colpevole.
"Pensate che quell'uomo possa aver rapito Michael?" mormorò in un soffio.
Nè Castle, nè Beckett risposero. 



E SIAMO ARRIVATI AD UN PUNTO DI SVOLTA...LA RISOLUZIONE E' VICINA! CONTINUATE A LEGGERE ...E GRAZIE MILLE PER TUTTE LE VOSTRE RECENSIONI ;)

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Capitolo 7
*** In My Veins ***


 
 
Capitolo Sesto
                                       In my Veins     
 


Casa Beckett
00.10 p.m.
 

Dopo essersi girata e rigirata più volte nel letto, senza riuscire minimamente a chiudere occhio, Kate provò

l'irrefrenabile desiderio di allontanarsi per un po' da quelle quattro mura che iniziavano ad andarle piuttosto

strette. Le sarebbe bastato anche un giretto del quartiere, niente di troppo impegnativo. Sempre meglio che

rimanere sdraiata lì, in preda ad un'atroce insonnia. Saltò giù dal letto con un leggero balzo e, dopo essersi

concessa una doccia veloce, indossò un paio di jeans neri a vita bassa, una pesante felpa grigia con il

cappuccio ed uscì di casa. La sferzante aria gelida di quella notte di Dicembre la colpì in pieno volto, come un

mucchio di dardi ghiacciati affondati nella carne. Il caso Cooper la stava mettendo decisamente sotto

pressione. Montgomery non le dava un attimo di respiro ma, d'altro canto, non poteva certamente biasimarlo,

tormentato com'era dagli esponenti dei piani alti, interessati alla risoluzione immediata delle indagini.

Michael Cooper era una personalità di spicco nel suo ambiente e il polverone sollevato dalle vicende piuttosto

scomode emerse dalle loro indagini, non avrebbe giovato a nessuno. Men che meno ai capi del suo capo.

Sollevò il cappuccio della felpa sulla testa, per proteggersi da quelle violente raffiche di vento, poi si avviò con

passo spedito in direzione del parcheggio. Le era appena balenata un'idea nella testa. Sperava solo che non

fosse l'ennesima mossa falsa dettata dal suo impaziente istinto. 
 
Alcuni minuti più tardi...
 
Casa Castle
00.20 p.m.
 

Appoggiò delicatamente l'orecchio contro il battente della porta, per rilevare eventuali rumori all'interno

dell'appartamento. 

Regnava il più totale silenzio.                                                             

Sapeva che ultimamente aveva lavorato spesso fino a notte fonda, per poter completare gli ultimi capitoli del

nuovo manoscritto da consegnare al più presto alla casa editrice, ma a dir la verità, non era neppure certa

che si trovasse effettivamente in casa a quell'ora.                                    

Dopo alcuni momenti di esitazione, si fece coraggio e bussò un paio di volte.

Nessuna risposta.

Provò ancora. 

Niente.

Al terzo tentativo, l'uscio si spalancò davanti ai suoi occhi e Castle apparve sulla soglia.

Era a torso nudo, i capelli grondanti acqua e l'asciugamano legato con un debole nodo intorno ai fianchi. 

Chiaramente era appena uscito dalla doccia. 

"Ehi!" la salutò, con un tono di leggera sorpresa. 

"Ehm, ciao" ricambiò Kate, in imbarazzo "Ho come la vaga sensazione di aver sbagliato momento...spero di

non aver svegliato Martha o Alexis..."

Si passò nervosamente una mano tra i capelli, fissando insistentemente la punta dei piedi, per evitare di star lì

ad ammirarlo come una perfetta idiota. 

"In realtà sono qui a casa da solo e ho finito da poco di scrivere al computer..." le disse Castle, con il suo

solito sorriso sornione "...avevo deciso di farmi una doccia veloce e poi ficcarmi tra le coperte, ma se hai

voglia di fare due chiacchiere..." 

Le fece segno di entrare nell'appartamento.

"Oh no..." fece Kate, scuotendo la testa "...sai una cosa? Fai finta che io non sia mai stata qui, d'accordo?

Adesso salgo di nuovo in macchina e me ne ritorno a casa..."

Fece per allontanarsi ma Castle la trattenne debolmente per un braccio.

"Dammi 5 minuti e ti accompagno a fare una passeggiata, ci stai?" le propose con un sorriso.

Per un breve istante, Kate considerò seriamente l'idea di declinare l'invito ma alla fine capitolò. Che diavolo,

pensò, in fondo era stata lei a presentarsi a casa di Rick nel bel mezzo della notte. Inoltre, perché mai una

semplice passeggiata avrebbe dovuto sconvolgerla tanto?

"Ok, 5 minuti..." accettò infine, seguendolo nell'appartamento.
 

Parco Comunale
New York 00.45 p.m.

 
Beckett e Castle trovarono estremamente divertente camminare a piedi nudi attraverso la fitta boscaglia del

parco, un buon espediente per scacciare i cattivi pensieri e ritrovare un po' di sano ottimismo. Lontano dalle

luci accecanti e dai neon intermittenti della città, ogni cosa intorno a loro sembrava essere avvolta da

un'incantevole alone di magia. Qualcosa che, secondo Castle, rasentava quasi l'irrealtà. Era da parecchio che

non trascorrevano così tanto tempo insieme, loro due da soli, probabilmente proprio dal giorno in cui si

erano scambiati il primo bacio. Parlare con Castle non le era mai sembrato difficile o impegnativo, c'era

qualcosa nei suoi modi di fare e nelle sue parole, che l'aveva sempre fatta sentire perfettamente a proprio

agio, senza mai procurarle alcun senso di inadeguatezza o altro. Era una sensazione che raramente le era

capitato di provare in presenza di una persona dell'altro sesso, forse soltanto con i suoi colleghi di lavoro.

Magari era anche per questo che sentiva di essere profondamente legata a lui. 

"Quando ero piccolo, avevamo una baita in montagna nel Vermont..." le confessò Castle d'un tratto "...ricordo

che trascorrevo intere nottate sdraiato sul tetto a fissare le stelle e la loro bellezza mozzafiato..." 

Kate lo guardò.

Stava fissando il cielo con aria quasi malinconica.

"Ti mancano le stelle, Piccolo Principe?" gli sussurrò, con un sorriso divertito.

"Forse" fece lui, annuendo "O forse mi manca sentirmi libero e spensierato come allora..."

Beckett gli puntellò leggermente il fianco con un dito.

"Castle, le persone crescono...evolvono..." gli fece saggiamente notare "...nessuno può rimanere bambino per

sempre..."

"Eccetto Peter Pan"

"Oh certo, ovviamente...peccato che Peter Pan non esista!"

Castle scosse la testa con fare rassegnato.

"Questo lo dici tu, Sexy Grinch!" la rimbeccò, beffardo "Sai, sono più che certo che tu da bambina fossi una

piccola sognatrice proprio come lo sono io..."

"Già, ma con la piccola differenza che io ho smesso di credere alle fate ancora prima di perdere tutti i denti da

latte, mentre tu probabilmente ancora ti aspetti di vedere Babbo Natale cascare giù dal camino con un sacco

colmo di regali, non è così?"

Gli rivolse un'occhiata divertita, scoppiando a ridere di gusto.

Ci volle qualche istante prima che Kate si rendesse conto che lui la stava fissando con espressione seria e

pensierosa. Sembrava quasi che stesse cercando di scavarle dentro con lo sguardo. 

"Sai, Beckett" esordì dopo un lungo silenzio "Io amo la mia vita e se dovesse succedermi qualcosa, beh...mi

dispiacerebbe lasciarla! Ma ciò che rimpiangerei di più è aver tralasciato le cose che amavo fare per inseguire

la strada del successo..."

"A cosa ti riferisci?" domandò lei, inarcando il sopracciglio con fare perplesso.

"Sai, le cose ordinarie...andare in vacanza, trascorrere più tempo con la famiglia e gli amici, visitare gli angoli

nascosti e meravigliosi di questo mondo..."

"Castle, hai ancora tanto tempo a disposizione nella tua vita, farai tutte queste cose e probabilmente anche di

più! Devi solo avere un po' di pazienza..."

"Kate, andiamo" replicò Castle, scuotendo la testa "Sai meglio di me che nessuno su questa terra può essere

assolutamente certo del proprio domani! Insomma, in questo stesso istante potrebbe cadermi un meteorite

sulla testa mettendo fine alla mia vita...il destino è un dannato bastardo quando si tratta di prendersi gioco di

noi..."

Kate rimase senza parole.

Sembrava stesse parlando seriamente.

"E questi discorsi estremamente positivi e allegri sono forse legati a quegli incubi che continuano a

tormentarti?!" azzardò, scrutandolo insospettita.

"Forse" rispose lui vagamente "O semplicemente questa vita perennemente in bilico tra gli orrori della morte e

la triste realtà quotidiana, mi sta lentamente trasformando in uno spudorato realista...chissà, difficile dirlo..." 

"Non perderla, Rick" ribattè Beckett d'impulso.

"Cosa?!" fece lui senza capire.

"Non lasciar andare quella parte di te che ti rende una persona tanto speciale" aggiunse Kate, alzando lo

sguardo "Molte persone quando diventano adulte, perdono completamente la capacità di sognare, di vedere

il lato bello della vita e del mondo...si chiudono in loro stesse e lasciano i propri sogni a morire in fondo ad

un cassetto, rinunciando anche alla più piccola possibilità di poterli realizzare, forse per paura o magari

perché in questo modo sperano di non sentirsi dei falliti! Quello che mi è sempre piaciuto di te è proprio

questo, il fatto che non ti sei mai vergognato di ammettere pubblicamente di essere un sognatore, qualcuno

che ancora crede sinceramente ai lieto fine, alla principessa che troverà il suo principe azzurro, all'ingiustizia

che verrà sconfitta dal buon cuore della gente perbene...forse è proprio questo tuo animo da sognatore che ti

da la capacità di vedere cose che noi comuni mortali semplicemente ignoriamo, o forse semplicemente non

siamo più in grado di vedere..."

"E pensi che sia una cosa buona per me?"

"Lo è, credimi, lo è sempre stata..."

Si guardarono negli occhi per un interminabile istante. 

Kate avvertì un brivido lungo la schiena, sentiva le gambe pesanti come se fossero incastrate in due enormi

blocchi di cemento. Sentiva che stava per accadere qualcosa di imponente tra loro, qualcosa che forse

avrebbe cambiato per sempre il loro rapporto...ma era davvero disposta a fare un passo così rischioso? Cercò

di non pensarci...doveva solo rilassarsi e lasciarsi andare...

Si sollevò sulla punta dei piedi e appoggiò dolcemente i palmi della mani contro il petto di Castle. I loro occhi

si incrociarono un'ultima volta, poi Kate li chiuse e sfiorò con un bacio le labbra di Castle. Quest'ultimo sentì

ancora una volta il proprio cervello annebbiarsi completamente e pian piano cominciò a ricambiare il bacio,

inalando il suo respiro nella propria bocca. Kate gli passò le braccia attorno al collo, stringendosi

maggiormente a lui e rendendo il bacio più profondo e carico di passione. Le loro lingue si cercavano e si

accarezzavano dolcemente, perfettamente in sincronia l'una con l'altra, in una meravigliosa e sensuale danza.

Castle capì improvvisamente che tutto ciò che desiderava in quel momento era che il tempo si fermasse. Lì,

ora. Per sempre. Aveva sognato di stringerla tra le braccia così tante volte, che adesso quasi non riusciva a

credere che stesse succedendo davvero. 

Il delizioso idillio venne però spazzato via bruscamente dall'acuto suono di un cellulare. 

Beckett si staccò di colpo dall'abbraccio, affrettandosi a rispondere.

Era Esposito.

"Ehi Becks, siamo riusciti a localizzare Martin Daniels...Montgomery vuole che risolviamo le cose stanotte, io e

Ryan ci stiamo avviando proprio adesso..."

Kate si passò una mano tra i capelli, emettendo un profondo sospiro.

"Bene allora, mandami l'indirizzo sul cellulare...ci vediamo lì tra qualche minuto!" 

E terminò la comunicazione. 

"Novità su Cooper?" le domandò Castle, notando il repentino cambiamento della sua espressione facciale.

"Già, dobbiamo andare subito a casa del sospettato" gli rispose Kate "Te la senti di venire con me o vuoi che ti

riaccompagni a casa?"

"Non se ne parla, sto con te" replicò Castle in tono perentorio.

 "Ok..." annuì Kate, rivolgendogli un sorriso carico di silente gratitudine "E...ascolta Castle, riguardo quello

che è successo poco fa..." 

Lui sollevò una mano e la zittì all'istante, appoggiandole un dito sulle labbra.

"Non c'è bisogno di analizzare ogni cosa, Kate" le sussurrò, a pochi centimetri dal volto "E' successo perché lo

volevamo entrambi, è inutile negarlo...non sto dicendo che ciò che sta succedendo tra noi debba

necessariamente stravolgere i nostri equilibri, ma di certo qualcosa sta cambiando e, anche se forse questo ti

spaventa, sappi che se me ne darai l'occasione, ti dimostrerò che possiamo tirarne fuori qualcosa di

speciale...in fondo, come hai detto tu, io sono il sognatore..."

"Stavo per dirti esattamente la stessa cosa" ammise Kate con un largo sorriso "E poi abbiamo tutto il tempo

del mondo per parlarne con calma, non credi?" 

Gli sfiorò dolcemente le labbra con un bacio e poi allungò una mano verso di lui. 

"Andiamo a salvare il mondo adesso, d'accordo?" 

Castle le afferrò la mano e la intrecciò con la sua, stringendola forte.

"Andiamo a salvare il mondo" ripetè, sorridendo.  





ANGOLO DELL'AUTORE: E rieccomi qua...ho deciso di scrivere un capitolo più "leggero" rispetto ai precedenti, anche per dare maggiormente spazio al nostro dinamico duo...la fine è vicina e i colpi di scena non mancheranno! STAY TUNED! ;)

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Capitolo 8
*** Please, don't go ***


Capitolo Settimo
                   

                                           Please, don't go



Brooklyn Heights

New York 1.15 a.m.
 

L’automobile di Beckett imboccò il viale principale, parcheggiando a ridosso del marciapiede, proprio dietro l’auto di servizio di Esposito.

L’intero quartiere era praticamente immerso nell’oscurità e nel silenzio.                                  

Nessun lampione, insegna a neon o luce artificiale d’altro genere.                                                            

La pallida e fioca luce della luna si scorgeva a malapena, stagliata in quel cielo plumbeo e carico di nuvoloni grigi, mentre una leggera

coltre di nebbia che aleggiava indisturbata nell’aria.

Sembrava quasi lo scenario di un horror.

A Castle ricordò un po’ l’ambientazione del film “Amityville”.

“Proprio un bel quartierino” osservò sarcastico, scendendo dal veicolo.

Esposito e Ryan si affrettarono subito verso di loro.

“I nostro cervelloni informatici sono risaliti a questo indirizzo grazie al GPS del cellulare di Daniels” spiegò Ryan a Beckett e Castle “Non

sappiamo esattamente dove si trovi, perché il segnale era piuttosto debole … intermittente …”

“Magari si trova in una zona sotterranea, come un garage o un magazzino …” suggerì Castle “… lì il segnale non sempre si mantiene

costante … “gli altri gli rivolsero un’occhiata perplessa” … o almeno così fanno vedere nei film, non è che lo abbia mai constatato di

persona ! ” si affrettò ad aggiungere, con un’alzata di spalle.

“Possibile” confermò Ryan.

“Tu ed Esposito potete controllare i piani della palazzina e vedere se è nascosto da qualche parte” intervenne Beckett, sistemandosi la

pistola sul fianco “Io e Castle pensiamo ad ispezionare i sotterranei …”

Il volto di Castle si illuminò di colpo.

“Finalmente avrò anche io una pistola?” esclamò con tono eccitato.

“Certo come no” ribatté Beckett con un sorrisetto beffardo “Nei tuoi sogni …”

Imbronciato e visibilmente deluso, Castle afferrò al volo dal sedile posteriore il suo fedele giubbotto antiproiettile personalizzato e si

avviò con passo concitato verso il palazzo, seguendo fedelmente la scia della detective. Ryan ed Esposito, invece, come suggerito da

Beckett, si diressero rapidamente verso la scala anti incendio collocata su un lato dell’edificio.

Salirono ad uno ad uno tutti i gradini fino a raggiungere il primo piano della palazzina.

Si spinsero all’interno sfruttando la porta d’emergenza.

C’era talmente tanto silenzio in giro, che nelle loro teste cominciò ad emergere il dubbio che potesse trattarsi di un edificio abbandonato

da tempo.

Dieci minuti più tardi, raggiunsero il terzo piano.

Stavano perlustrando con cautela il corridoio, quando sentirono dei rumori provenire dall’interno di uno degli appartamenti.

Il 16 B.

Esposito si piazzò su un lato dell’uscio.

“POLIZIA, APRA LA PORTA!” urlò.

Nessuna risposta.

Provò ancora.

“APRA LA PORTA O SAREMO COSTRETTI A BUTTARLA GIU’!”

Si concesse qualche secondo d’attesa poi, dopo aver fatto cenno a Ryan di coprirgli le spalle, si piazzò davanti all’uscio e colpì con un

calcio violento la porta di legno, che crollò sul pavimento con un fragore sordo.

Con la massima cautela, entrarono.

Le finestre della sala da pranzo erano completamente spalancate, ma Daniels non poteva essere saltato giù da lì, non da quell’altezza

e non senza scala anti incendio. A meno che, ovviamente, non avesse intenzione di finire all’ospedale con qualche decina di ossa rotte

e un bel trauma cranico.

“Sembra proprio che qualcuno stesse per gustarsi la cena” osservò Ryan, sfiorando un piatto di minestra appoggiato sul tavolo “E’

ancora caldo ...”

“Se è così, non può essere andato lontano” fece Esposito sottovoce.

Stavano ancora ispezionando l’appartamento, quando il cercapersone di Esposito trillò.

Beckett gli aveva appena inviato un messaggio: IL TOPO E’ NELLA FOGNA.

A qualche piano di distanza, giù nel seminterrato della palazzina, Castle e Beckett erano appostati fuori dall’ingresso di un magazzino,

in attesa dei rinforzi per poter intervenire.                                         

Stavano pattugliando i sotterranei, quando Castle aveva sentito un vociare sommesso provenire proprio da quel magazzino.                                                                                          

La porta era socchiusa e si potevano distinguere distintamente due voci maschili.                                   

Una delle due sembrava piuttosto alterata.

Probabilmente fu proprio il tono ad allarmare Beckett.

“Ryan ed Esposito saranno qui a momenti, ormai” sussurrò Beckett a Castle.

Quest’ultimo intuì al volo ciò che le stava passando per la testa.

“No, Kate, non se ne parla … è pericoloso” obiettò con decisione.

“Shh” fece lei, appoggiandogli un dito sulle labbra “Ascolta, devo solo cercare di distrarre Daniels fino al loro arrivo… niente di

complicato …”

“Ma…”

“Castle, andrà tutto bene … tu rimani qui fuori, ok?”

E senza aggiungere altro, Beckett spalancò con una spallata l’uscio del magazzino ed entrò.

La stanza era immersa nell’oscurità.

Cercò con la mano l’interruttore della luce e lo premette.

La luce non si accese.

Avanzò a passo di formica, la pistola ben serrata tra le dita e lo sguardo che scrutava impaziente nel buio.

“Ci siamo, Becks …”

Sentì la voce di Esposito bisbigliare alle sue spalle.

Tirò un sospiro di sollievo e procedette.

Avevano quasi raggiunto il centro della stanza, quando Beckett la vide.

Una massiccia sagoma che si divincolava sul pavimento, a pochi metri dai loro piedi.

Si bloccò di colpo.

“C’è qualcuno laggiù, non riesco a vedere senza un po’ di luce” sussurrò ai colleghi.

Ryan ed Esposito la affiancarono, impugnando entrambi una torcia elettrica.

Mossero qualche passo, cercando di mantenere una minima distanza di sicurezza.

Daniels poteva anche essere potenzialmente innocuo ma aveva comunque abbastanza fegato da uccidere qualcuno.

E l’aveva già ampiamente dimostrato.

“Martin Daniels?” chiese Ryan ad alta voce.

Un gemito soffocato bastò a suggerirgli la risposta.

“Signor Cooper?” fece, avvicinandosi di più.

Con gli occhi ormai quasi del tutto abituati al buio, riuscì ad intravederlo.

Era legato mani e piedi con una corda piuttosto spessa e una striscia di nastro adesivo tirata sulla bocca gli impediva di parlare.

Esposito si protese verso di lui e delicatamente gliela tirò via.

“Tutto bene?” gli domandò.   

L’uomo asserì.

In quel preciso istante, qualcosa attorno a loro provocò uno spostamento d’aria talmente violento da far quasi barcollare Beckett sul

posto. Il repentino rimestìo di passi che seguì, suggerì all’istante una fuga ben congegnata del loro sospettato.

Doveva essere rimasto nascosto lì nel buio, in attesa di potersela svignare in tutta tranquillità.

“Ryan resta con Cooper, Esposito vieni con me! “ esclamò Beckett, precipitandosi fuori dal magazzino per rincorrere Daniels.

Esposito la seguì a ruota.

Castle, che aveva seguito l’intera vicenda nascosto dietro un mucchio di scatole, in un angolo del sotterraneo, riemerse lentamente.

Cercando di rialzarsi in piedi, per poco non inciampò nel suo stesso giubbotto anti – proiettile, appoggiato ai suoi piedi.

Tra pattugliamenti ed inseguimenti vari aveva dimenticato di indossarlo.

Fortuna che Beckett non si trovava nei paraggi, altrimenti glielo avrebbe fatto ingoiare a forza.

Lo afferrò con una mano e lo sollevò dal pavimento.

Si stava preparando ad indossarlo, quando udì un rumore alle sue spalle.

Il click inconfondibile di una pistola che viene caricata prima dello sparo.

“Non sareste dovuti venire qui..”

La voce di Daniels suonò come una specie di sibilo vibrante alle sue orecchie.

Muovendosi il più lentamente possibile, Castle si voltò verso l’uomo.

“Non potevamo permetterle di ucciderlo” disse.

“Lui DEVE morire, è un assassino!” ribattè Daniels, puntandogli la canna della pistola dritto contro il petto.

“Senta capisco quello che sta provando ma…”

“LEI NON CAPISCE NIENTE!” urlò l’uomo, gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia.

Castle cercò di prendere tempo, almeno fino all’arrivo dei compagni.

“Deve essere stato terribile perdere tua moglie” fece, comprensivo “Nessuno di noi può immaginare il dolore che stai provando. Quello

che devi cercare di capire è che niente potrà riportarla indietro, neppure uccidere colui che te l'ha portata via. Lei se n'è andata e anche

se il pensiero di averla persa ti lacera dentro, devi imparare a voltare pagina, ad andare avanti, altrimenti finirai per autodistruggerti e

distruggere la vita di quelli che ti vogliono bene..."

“Claire era l’unica cosa bella della mia vita e quel bastardo me l’ha portata via, perciò non mi importa di trascorrere il resto della mia

esistenza dietro le sbarre…voglio solo che quel mostro abbia ciò che merita!”

“Sarà punito, te lo prometto”

“NON E’ VERO, STAI MENTENDO!”

“La polizia aprirà un’inchiesta, la pagherà…”

“Si fidava di loro e me l’hanno ammazzata come un cane” singhiozzò Daniels.

Alle sue spalle, Ryan sgusciò silenziosamente fuori dal magazzino, con Micheal Cooper al suo seguito.

Fece segno a Castle di continuare a far parlare Daniels, mentre lui cercava un modo per renderlo innocuo.

“LO AMMAZZERO’ E FINIRO’ I MIEI GIORNI IN PRIGIONE” riprese Daniels, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.

La mano che stringeva la pistola tremava sempre più.

D’un tratto, inaspettatamente, Michael Cooper ruppe il suo silenzio.

“Non dovete credergli, è soltanto un pazzo visionario!” esclamò indispettito.

Ryan lo fulminò con lo sguardo, mentre Daniels parve recuperare il vigore iniziale.

“STAI ZITTO, BASTARDO!” gridò, puntandogli la pistola dritto in testa “HAI AMMAZZATO MIA MOGLIE, PROVA A NEGARLO!”

Fece scattare una volta il grilletto a vuoto.

Cooper trattenne bruscamente il fiato.

A quel punto, Castle si frappose tra i due.

“Non dargli ascolto, Martin” fece rivolto a Daniels “Stà solo cercando di farti perdere la pazienza, ignoralo. Se lo lasci andare, ci

penseremo noi a rendere giustizia a te e a tua moglie, te lo prometto..."

"Ho visto come rendete giustizia voi rappresentanti del Governo!"

"Quando tu e la tua famiglia avete denunciato l'ospedale, loro hanno trovato il modo di affossare la verità e tutte le prove che avrebbero

potuto incriminarli. Adesso è tutto diverso. Sappiamo come si sono svolti i fatti e potremo testimoniarlo in aula. Non avranno scampo..."

"Come faccio a sapere che non stai mentendo?"

Castle sollevò entrambe le mani sulla testa, stringendo ancora il suo prezioso giubbotto antiproiettile in una di esse.

“Devi solo fidarti di me, Martin”

La sicurezza di Daniels parve vacillare.

“Ho ucciso un innocente” mormorò con voce rotta di pianto.

“Lo so, non devi preoccuparti di questo … la polizia farà tutto il possibile perché il giudice tenga conto dei fatti …”

L’uomo lo guardò.

"Mia moglie si sarebbe vergognata di me..." singhiozzò disperato "...odiava la violenza, in tutte le sue forme...era un pacifista convinta. La

chiamavo scherzosamente "la mia piccola figlia dei fiori" e lei rideva..."

Un rumore di passi in avvicinamento annunciò l’arrivo di Beckett ed Esposito.

Preso dal panico, Cooper cercò di approfittare di quel momento di distrazione per scappare via da quel posto e mettersi al sicuro.

Niente però andò come aveva programmato.

Daniels si rese conto delle sue intenzioni e, istintivamente, serrò maggiormente la mano attorno alla pistola che teneva ancora puntata

contro Castle.

Un attimo … e il grilletto si piegò inerme sotto il peso delle sue dita.

Il rumore sordo e penetrante dello sparo echeggiò tra le pareti del magazzino, rimbombandoli fastidiosamente nelle orecchie.

Castle non ebbe neppure il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Pochi istanti e avvertì un lancinante dolore al petto, come se qualcuno gli avesse appena

infilato a forza una mano nel torace per estirpargli il cuore.  

Provò ad urlare qualcosa ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un rantolo confuso e

soffocato. 

- OH MIO DIO...CASTLE! CASTLE! -
 
Sentì delle urla di terrore. 

Kate. 

- RYAN CHIAMA UN’AMBULANZA … PRESTO! –
 
Poi altri spari in lontananza.

Il dolore divenne talmente forte da annebbiargli completamente il cervello.

Non riusciva a pensare, a riflettere.

Non in quelle condizioni.

“Castle … Castle mi senti? Rick ti prego, apri gli occhi …”
 
Fece una lunga serie di espirazioni ed inspirazioni cercando di recuperare un minimo di

lucidità, ma ormai tutto ciò che riusciva ad avvertire erano i battiti del suo cuore. 

Lenti....cadenzati...appena percepibili...
 
Sentì le mani di Kate sfiorargli dolcemente il volto.
 
“Rick, apri gli occhi … resta con me, ti prego … resta con me …non mi lasciare, ti prego...”
 
La voce di Kate era sempre più lontana … confusa.

Sentì le forze abbandonarlo definitivamente e, senza più opporre alcuna resistenza, si

accasciò all'indietro, ricadendo inerme sul pavimento con il suo giubbotto personalizzato

con la scritta "Writer" ancora stretto in una morsa serrata nella mano destra. 








ANGOLO DELL'AUTORE: E come promesso siamo giunti quasi al finale di questa storia...ed ecco che ritorna l'incubo anticipato nel prologo! Castle ce la farà a sopravvivere o Beckett dovrà vedersi costretta a vivere senza di lui? Continuate a seguire la storia e lo scoprirete! Un ringraziamento speciale a chi continua a recensire i capitoli! ;)

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Capitolo 9
*** Save You ***


 
Capitolo Ottavo 
                                         
                                          Save You
 

"Ryan non sento più il battito!"
"L'ambulanza sta arrivando, Beckett..."
"Rick, resisti ti prego...resta con me, Castle, resta con me!"
 
Quando Kate riaprì gli occhi, le tempie le pulsavano dolorosamente. 

Si sollevò a sedere sul letto e, dopo aver afferrato il cuscino con una mano, lo scaraventò con rabbia attraverso

la stanza.  

Aveva il respiro affannoso, il cuore sembrava volerle esplodere nel petto e le mani le tremavano in

grembo...esattamente com'era accaduto quella notte. 

Tutte le tisane e i tranquillanti del mondo, non sarebbero mai riusciti a cancellare quei ricordi dalla sua

memoria, ma soprattutto dal suo cuore. 

Le urla di Cooper che rimbombavano tra le pareti del sotterraneo, l'espressione confusa e, allo stesso tempo

piena di rabbia, stampata sul volto di Daniels, le sue dita che si avvicinavano inesorabilmente al grilletto della

pistola e...il rumore sordo di uno sparo. 

Poi tutto diventava confuso. Rarefatto.

A volte, nel bel mezzo di quell'incubo, le sembrava perfino di poter sentire ancora il sangue di Castle scorrerle

caldo tra le dita, mentre cercava di far pressione con forza sulla sua ferita al petto. 

Pochi istanti e attorno a lei si era letteralmente scatenato l'inferno. 

Non riusciva più a ricordare con esattezza cosa fosse accaduto dopo la sparatoria. 

Era tutto molto confuso.

Un momento prima si trovava in piedi davanti alla scrivania di Montgomery e quello seguente era nel suo

appartamento, con Lanie ed Esposito che le parlavano ininterrottamente, senza che lei fosse davvero in grado

di comprendere le loro parole.

Il telefono e il campanello della porta suonavano in continuazione e, ogni volta, Kate saltava sul divano come

se una scossa elettrica l'avesse appena attraversata da capo a piedi. 

Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo di quindici anni. 

Se ne stava seduta lì, in silenzio, con gli occhi rossi di pianto, ad aspettare con il cuore in gola che arrivasse LA

NOTIZIA.

La stessa che tanti anni prima le aveva strappato via sua madre. 

Cercando di scacciare dalla mente quei ricordi cupi e dolorosi, schizzò fuori dal letto e si diresse in cucina per

prendere un bicchiere d'acqua, magari lasciandoci annegare dentro una bella pastiglia di aspirina. 

Quella martellante emicrania la stava torturando. 

Mancavano soltanto un paio d'ore al suono della sveglia, sarebbe stato inutile tornarsene a letto. 

In quelle condizioni, il solo pensiero di potersi riaddormentare era pura utopia. 

 
QUALCHE ORA PIU' TARDI...
 
New York Police Department 
12th Distretto Squadra Omicidi
ore 8.00 a.m.
 
Dopo tutto ciò che le era accaduto nelle ultime settimane, rimettere piede in quel posto, si rivelò tutt'altro che

facile e indolore. I corridoi non le erano mai sembrati così stretti, infiniti ed opprimenti. Camminava a testa

china, con passo spedito, sperando di non incrociare nessuno di familiare lungo il breve tragitto che la

separava dalla sua postazione. Non aveva granché voglia di parlare, non ancora, e quando finalmente riuscì a

riprendere possesso della sua scrivania, non potè evitare di tirare un sospiro di sollievo. 

"Ehi Beckett, non eri in malattia fino a domenica?"

La voce di Esposito la fece sobbalzare.

"In realtà sì, però mi sento meglio e così...eccomi qua..." 

Accennò un sorriso forzato che non avrebbe ingannato neppure un cieco, ma 

Esposito fu abbastanza sveglio da lasciar correre la cosa, senza fargliela pesare.  

"Ryan ne sarà felice" aggiunse imperterrito, fingendo massima indifferenza "Sono giorni che si lamenta del

fatto che il peso di lavoro sia triplicato...sembra una casalinga disperata, povero Latte e Miele!"

Kate si lasciò sfuggire un timido sorriso. 

"Ti ho già detto di smetterla di chiamarmi in quel modo!" brontolò Ryan contrariato, raggiungendoli alla

scrivania "Sono felice di rivederti, Beckett, ci mancavano due occhi e un cervello in più, anche perché su quelli

di Javier non si può sempre contare al cento per cento! E dimmi hai notizie di..."

Ma non fece in tempo a terminare la frase, perchè Esposito gli sferrò a tradimento una gomitata nello stomaco,

mozzandogli il fiato. 

Beckett si sforzò di mantenere un'espressione impassibile, ignorando la domanda appena accennata da Ryan.

Non voleva liberare di nuovo il drago dal vaso di Pandora. Meglio tenerlo sigillato, ora e sempre.

Ormai era andata così e non c'era nulla che potesse o volesse fare per cambiare ciò che era successo. 

L'unica cosa che non aveva considerato era che il destino ha sempre un modo tutto 

suo per cambiare le carte in tavola e rimettere tutto in gioco...

"Parlando del caso Cooper, come si è risolta la faccenda in tribunale? Tutto bene con le vostre deposizioni?"

domandò, cambiando repentinamente argomento "Lanie mi aveva accennato al telefono che i legali di Cooper

le avevano dato del filo da torcere durante la sua deposizione in aula..."

"Oh sì, puoi dirlo forte" annuì Esposito "Credo di non averla mai vista così in difficoltà..."

"Già ma alla fine ce la siamo cavata benone!" gli fece eco Ryan, ancora intento a massaggiarsi lo stomaco

dolorante.

"Cooper è stato accusato di omicidio colposo e, con un po' di fortuna, riuscirà a scontare almeno metà della

pena dietro le sbarre" aggiunse Esposito, con una smorfia "Se non fosse così schifosamente ricco, marcirebbe

lì dentro fino alla morte...pidocchio spocchioso..."

"Mi dispiace solo che anche Daniels sia stato condannato" aggiunse Ryan, amareggiato"In fondo però, la giuria

non poteva decidere altrimenti...aveva rapito Cooper, aveva sparato ad una persona e ..."

"Due persone, Ryan, ha sparato a due persone" lo interruppe bruscamente Beckett.

Esposito e Ryan si scambiarono un'occhiata complice.

"Noi andiamo a prendere un caffè, ne vuoi una tazza?" esordì Esposito.

L'espressione di Beckett si rasserenò di nuovo.

"No, grazie...magari più tardi..." 

Incredibile, il solo pensiero di lui le faceva salire il sangue alla testa. 

Più tentava di non pensarci e più si materializzava dal nulla nella sua mente e in ogni singolo aspetto della sua

stramaledetta vita. Sembrava quasi che l'Universo si stesse prendendo gioco di lei e questa sensazione la

faceva impazzire. Si alzò dalla poltrona con l'intenzione di uscire sulla terrazza a prendere un po' d'aria, ma

non appena si voltò, si ritrovò faccia a faccia con l'ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare in quel

posto. 

"Castle?" esclamò quasi senza fiato. 

"Oh quindi ti ricordi ancora il mio nome, detective, sono lusingato!" ribatté lui, rivolgendole uno dei suoi

meravigliosi sorrisi beffardi. 

Kate cercò per quanto possibile di mantenere il controllo della situazione, nonostante il battito del suo cuore

fosse pericolosamente aumentato, a tal punto da farle quasi rimbombare il sangue nelle orecchie. 

"Che...che cosa ci fai qui?" balbettò infine, rivolgendogli un'occhiata sfuggente.

"Sai come si dice, se Maometto non va alla montagna..." 

"Parlo sul serio, Castle" il tono di Beckett si fece inflessibile e severo "Pensavo di essere stata sufficientemente

chiara con te l'ultima volta..."

Con una mano appoggiata sulla scrivania e l'altra che stringeva saldamente il bastone, Castle mosse qualche

passo verso di lei. 

"L'ultima volta che ci siamo parlati, ero ancora sotto l'effetto degli antidolorifici, perciò probabilmente il 90% di

ciò che credo tu abbia detto, me lo sono solo immaginato..."

"Ne dubito!" esclamò Beckett, indispettita.

Castle tirò un sospiro.

"Ascolta, credo di aver capito perché ti sei tirata indietro in quel modo...ma...beh, non ti sembra di aver

esagerato?! Insomma...guardami..." spalancò entrambe le braccia " ...sono ancora vivo e vegeto...beh sì, vado in

giro con il bastone, ma la riabilitazione finirà tra qualche settimana e poi, a dirti la verità, non mi dispiace

affatto perché mi da un'aria alla "Dr House" che piace tantissimo alle donne..."

Beckett fece scattare uno dei suoi famigerati sguardi omicidi verso di lui.

"Tu pensi che io abbia esagerato, Castle?! Non hai la benché minima idea di quello che ho passato quel

maledettissimo giorno, mi hai capito?" ruggì, incurante degli sguardi dei colleghi fissi su di loro "Stavi

morendo tra le mie braccia in quel dannato sotterraneo e tutto quello che riuscivo a fare era stare lì in

ginocchio accanto a te, a fissare le mie mani ricoperte del tuo sangue...IL TUO SANGUE SCORREVA SULLE MIE

MANI, MALEDIZIONE...come diavolo pensi che mi sia sentita, eh?!"

Batté un colpo violento contro la scrivania, facendo rovesciare rumorosamente il portapenne. 

"Kate, mi dispiace...io non..."

Castle si protese in avanti per abbracciarla ma lei lo scostò bruscamente.

"Non posso farlo, Castle, non posso perdere altre persone" gli disse con tono freddo e distaccato, evitando

accuratamente di guardarlo in faccia "Ho perso mia madre e, ancora oggi, dopo tanti anni, devo capire come

superare la cosa...non posso permettermi di perdere nessun altro, non lo sopporterei...adesso devo

proteggere prima di tutto me stessa, non posso pensare anche a te, non più..."

"E così vuoi cancellarmi definitivamente dalla tua vita?" replicò Castle con una nota d'astio nella voce "Ti rendi

conto di quello che dici?! E' una follia! Vuoi isolarti dal mondo solo perché hai paura di soffrire ancora? E che

cosa vorresti fare? Tagliare i ponti con tutte le persone che ami? Comincerai con me, e poi a chi toccherà? A

tuo padre? A Lanie? A Ryan ed Esposito?"

Kate inghiottì il vuoto, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

"Ti ho già detto come la penso e non torno indietro" dichiarò in un tono che non ammetteva repliche "Ora se

non ti dispiace avrei da lavorare e, visto che non sei più un nostro consulente, dovresti proprio andare via..."

Castle aprì la bocca per replicare, ma qualcosa lo fece desistere. 

Si era presentato lì quella mattina, perchè sperava di riuscire a convincerla a superare insieme quella

situazione, a non mandare all'aria ciò che avevano costruito con tanta fatica, ma non aveva fatto i conti con la

sua insopportabile intransigenza. Aveva deciso di proteggerlo a tutti i costi, ma per portare a termine il suo

piano, aveva preso in considerazione l'opzione peggiore, e cioè, quella di allontanarlo per sempre da lei.

Lontano dalla polizia, lontano dal pericolo. Un ragionamento di testa, perfettamente razionale...ma il cuore? Di

certo quello non lo aveva interpellato prima di prendere la sua decisione. Kate Beckett non era una persona

semplice da frequentare, questo lo aveva sempre saputo. Eppure, con il passare del tempo, si era convinto di

poterla aiutare a lasciarsi andare, a riprendere un minimo contatto con quella parte di se che aveva deciso di

abbandonare dopo la morte di sua madre. Le cose sembravano procedere alla grande tra loro e poi...poi era

arrivato il giorno della sparatoria e tutto era svanito davanti ai suoi occhi, come neve al sole. 

"Se questa è la tua decisione, immagino di non avere più niente da dirti..." mormorò a mezzavoce,

guardandola a malapena negli occhi "Buona fortuna, Beckett, per tutto quanto..."

E picchiettando con il suo bastone sul pavimento, si allontanò lungo il corridoio diretto agli ascensori. 

Malediceva ogni singolo giorno delle ultime due settimane. 

Si era risvegliato in quel maledetto letto d'ospedale e niente era più come prima. 

Kate aveva deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita, Alexis gli rivolgeva a malapena la parola e aveva perso il suo

ruolo di consulente presso il distretto. 

Buffo come una semplice pallottola avesse potuto sconvolgergli così tanto la vita!







ANGOLO DELL'AUTORE: Ok, non è il capitolo più allegro del mondo, ma una risoluzione con l'happy ending scontato non è nel mio stile...perciò...ho deciso di aggiungere un po' di pepe! Nel prossimo capitolo ci saranno dei flashbacks che chiariranno meglio ciò che è accaduto dopo la sparatoria, come e perchè Beckett abbia deciso di rinunciare a lui e tante altre belle cosine che scoprirete solo continuando a leggere la storia ^^  

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Capitolo 10
*** Killing Me Softly ***


 
Capitolo Nono
 
                                  Killing Me Softly

 
 
"Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo, Kate?" esclamò Castle in un tono glaciale che non gli apparteneva "E' una cosa assurda...priva di senso..."                                                                                                                          
L'espressione stampata sul suo volto era quella di un uomo profondamente ferito.                
Sembrava perfino più pallido di quanto non fosse stato in quel letto d'ospedale.                    
"So che adesso non riesci a capirlo..." replicò Beckett, voltandogli prontamente le spalle "...ma credimi,  è meglio così..."                                                                                                                                          
L'ultima cosa che voleva, era che lui la vedesse piangere.          
Castle però non demorse.                                                                                                                                
La raggiunse e le circondò le spalle con le braccia.                                                                                              
"Non può finire così..." le soffiò dolcemente all'orecchio, appoggiando la fronte contro la nuca di lei.                                                                                                                                                       Il calore di quel contatto le infiammò il cuore.                                                                                          
Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà, per riuscire a mantenere il controllo della situazione, senza lasciarsi andare.                                                                                                           Eppure avrebbe tanto voluto farlo...oh Dio, se avrebbe desiderato farlo.                                      
Aveva rischiato di perderlo per sempre e, nonostante gli sforzi, non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che fosse stata colpa sua.                                                                                    
Dopotutto, era lei che se lo scarrozzava in giro da quattro anni.                                                                                                                                               Castle era sotto la sua supervisione, proteggerlo era il suo compito.                                                            
E invece aveva fallito.                                                                                                                                                        
Vederlo accasciarsi davanti a lei, leggere il terrore nei suoi occhi, stringere il suo corpo sanguinante tra le bracci, pregando silenziosamente Dio di non portarglielo via...ormai non riusciva più a pensare ad altro. Continuava a rivivere quei momenti in ogni istante della giornata. Chiudeva gli occhi e tutto le tornava in mente, più vivo e nitido che mai.                        
No, doveva assolutamente mettere fine a tutto quanto, prima che fosse troppo tardi.                                
Non avrebbe mai potuto sopportare un'altra perdita...                                                                            
"E' finita, Rick..." sussurrò con un fil di voce "...non tornare mai più al distretto, non cercarmi più...ti prego..."                                                                                                                                                     Pronunciare quelle parole fu la cosa più difficile del mondo per lei, ma era certa che fosse la decisione migliore.
Per entrambi.

 

Casa Castle 
 
09.30 p.m.
 
 
"Maledizione all'ispirazione...che vada al diavolo!"

Afferrò lo schermo del notebook e lo chiuse violentemente, con un colpo secco. 

"RICHARD!" 

La voce acuta di sua madre lo fece sobbalzare sulla poltrona.

"Mamma, scusami, non sapevo che fossi in casa..." si giustificò in tono colpevole.

"A dire il vero sono rientrata proprio adesso" rispose Martha, affiancandolo vicino alla 

scrivania "Sei sicuro di stare bene, Richard?" gli rivolse un lungo e 

profondo sguardo indagatore, quasi come se volesse leggergli dentro "Mi sembri un po' giù 

di tono in questi ultimi giorni..."

"Sarà colpa della riabilitazione, è stata piuttosto dura e ora che è finita devo imparare 

a riprendere il tram tram quotidiano!" rispose lui vagamente. 

"Non mi riferisco a quel genere di stanchezza, tesoro" lo rimbeccò sua madre. 

"Mamma, sto bene" ribadì fermamente Castle.

"Me lo diresti se ci fosse qualcosa che ti tormenta, vero?" insistette imperterrita Martha, 

decisa a non mollare la presa. 

"Sto bene" fece Castle, perentorio. 

"Oh certo, stai benissimo..." replicò sua madre, in tono volutamente sarcastico "...è un 

favoloso venerdì sera e invece di andare a divertirti da qualche parte con i tuoi amici o 

con una bella ragazza, te ne stai chiuso tra queste quattro mura ad inveire contro un pezzo 

di metallo senz'anima..."

Castle trasse un profondo respiro. 

Quando Martha Rodgers s'intestardiva con qualcosa, diventava veramente insostenibile.

"Sono un artista, mamma, sono un lunatico per definizione!" provò a liquidarla, con 

un'alzata di spalle. 

"Richard, sono più vecchia di te e decisamente più saggia..." ribattè sua madre, per nulla 

rifrancata da quel suo modo di fare al limite della strafottenza" ...so bene che hai qualcosa 

che non va, cosa credi che non mi sia accorta di nulla? Non vai al distretto da giorni, non 

parli più di Beckett e dei tuoi amici del 12esimo, sembra che non ti importi neanche più 

della tua carriera di scrittore..."

Castle saltò in piedi, con fare stizzito. 

"Mamma, sei totalmente fuori strada, io non..."

"Oh no, caro, temo che sia tu quello totalmente fuori strada!" lo interruppe bruscamente 

Martha "Non scrivi una riga del tuo romanzo da settimane ormai, brontoli in continuazione 

e sei sempre di pessimo umore. Ho capito che è successo qualcosa di brutto tra te e Kate, 

ma comportarti come un ragazzino capriccioso, non risolverà certo le cose, servirà solo a 

peggiorarle! Se non vuoi parlarne con me, mi va bene, non ti costringo a farlo...ma almeno 

non prendermi in giro raccontandomi bugie inutili..."

E dopo avergli voltato le spalle, Martha fece per allontanarsi, ma Castle la afferrò per un 

braccio, trattenendola.

"Ha deciso di chiudere con me, per sempre" mormorò a bassa voce.

"Kate?" domandò lei. 

Lui si limitò ad annuire. 

"E' successo qualcosa?"

Castle scosse la testa, gettandosi nuovamente di peso contro lo schienale della poltrona.

"No, credo sia stato per colpa della sparatoria" disse poi "Avevo capito che c'era 

qualcosa che non andava, ma non pensavo che volesse arrivare a tanto, capisci? 

Insomma, andava tutto così bene tra noi prima di quella maledetta notte e 

improvvisamente...PUFF...tutto svanito..."

"Hai provato a parlarle?"

"Certo, sono andato a trovarla qualche giorno fa al distretto ma non è servito a 

niente...lei aveva già deciso e, la conosci, quando si mette in testa qualcosa è peggio di un 

mulo..."

Martha gli circondò affettuosamente le spalle con un braccio.

"Tesoro mio, per quanto tu possa volerlo, non puoi insegnare agli altri a reagire a 

determinate situazioni" gli fece notare saggiamente "Ognuno di noi ha i propri tempi per 

assimilare emozioni e sensazioni e, se c'è una cosa che ho imparato nella mia vita, è che fare 

i conti con certe decisioni non è mai facile, soprattutto quando si ha che fare con il cuore!

Hai mai pensato a quanto deve essere stato duro per Kate, vederti ridotto in quelle 

condizioni e temere che potessi fare la stessa fine di sua madre? Un'altra persona amata che 

sfuggiva via, senza che lei potesse fare niente per impedirlo..."

"Lo so che ha deciso di allontanarsi da me perché ha paura di soffrire ancora, mamma!" 

sbottò Castle, infiammandosi di colpo "Il punto è che non si può sfuggire alla vita per paura 

del dolore...sarebbe innaturale!"

"Richard, Richard... " sospirò Martha, con fare rassegnato " Sei uno dei migliori scrittori di 

gialli che io conosca, riesci a descrivere omicidi, scene del crimine e procedure investigative 

meglio di chiunque altro, ma quando si tratta di emozioni, tesoro mio, devi lasciar fare a chi 

ha le giuste competenze..."

E con un largo sorriso, additò se stessa.

"Kate Beckett è la donna più forte e determinata che io abbia mai incontrato" riprese poi 

"Ma è anche una ragazza estremamente fragile ed emotivamente compromessa da

una dolorosa ferita del passato, che purtroppo non potrà mai rimarginarsi completamente. 

Tu non hai mai perso nessuno, Richard, non sai quanto l'assenza di una persona amata 

possa mutare il tuo punto di vista rispetto agli avvenimenti della vita! Perdi ogni certezza, la 

paura annebbia la tua mente e ti impedisce di vivere con tranquillità le gioie e le 

opportunità che ti si presentano e alla fine, ti ritrovi ad analizzare dettagliatamente ogni 

minima cosa, prevedendo sempre il peggio...evitare il dolore, per quanto possibile, diviene 

un passo necessario per proteggere te stesso..."

"Che cosa dovrei fare, allora?" le domandò Castle, visibilmente confuso. 

"Concedile del tempo per riflettere" gli suggerì Martha "Devi solo concederle un po' di 

tempo in più per poter gestire la situazione a modo suo e, vedrai che quando comincerà a 

sentire la tua mancanza, sarà lei a tornare da te..."

Castle tirò un profondo sospiro. 

Forse sua madre aveva ragione, forse per l'ennesima volta il suo super radar empatico aveva 

fatto centro. Eppure il pensiero che Beckett potesse non cambiare mai idea sul loro conto, 

continuava a ronzargli fastidiosamente in testa. 

Inutile illudersi, non sarebbe mai riuscito a stare lontano da Beckett...non così. 

Aspettò che sua madre si ritirasse in sala da pranzo, poi chiuse a chiave la porta dello studio, 

per evitare ulteriori intrusioni a sorpresa, e afferrò il cordless appoggiato sulla sua scrivania.

Doveva parlarle assolutamente. 

Avevano bisogno di chiarirsi.  

Stava per digitare il numero di Beckett sulla tastiera del telefono, quando il cellulare squillò.

Era Esposito.

Che fosse successo qualcosa di grave?

"Pronto?" fece Castle rispondendo.

"Ehi Bro, tutto bene?" disse l'amico all'altro capo dell'apparecchio.

"Me la cavo, invece voi?" rispose Castle, leggermente in ansia.

"I soliti alti e bassi, niente di importante" tagliò corto Esposito "Ascolta, stavo pensando, 

visto che sono alcuni giorni che non ci vediamo, che ne dici di raggiungermi al solito Pub 

degli sbirri tra una mezz'oretta? Siamo io e un altro paio di amici, li hai già incontrati..."

"Non so, sono un po' stanco" tergiversò Castle.

"Oh andiamo, fratello..." lo incalzò Esposito "...una birretta fresca, buona musica, belle 

ragazze da rimorchiare...roba nel tuo stile, niente di impegnativo! Facciamo così...noi siamo 

qua, se hai voglia di raggiungerci, ci vediamo più tardi, altrimenti...sarà per la prossima 

volta!"

E, senza aggiungere altro, terminò la chiamata. 

Castle rimase immobile per qualche secondo, a fissare in silenzio lo schermo del cellulare. 

Spostò alternativamente lo sguardo dal cellulare al cordless, indeciso sul da farsi. 

Chissà, magari uscire un po' con Esposito e qualche amico lo avrebbe aiutato a non pensare 

a Beckett e ai loro problemi. 

Un modo come un altro per distrarsi. 

"Al diavolo....e pub sia!" 

Afferrò al volo le chiavi della macchina dal tavolo e schizzò via di casa, a gran velocità, sotto 

gli occhi sconvolti di sua madre. 

Non poteva neanche lontanamente immaginare, che a soli 20 minuti di distanza, Beckett 

stava piangendo lacrime amare tra le braccia della sua migliore amica Lanie, convinta di aver 

perso per sempre l'unico uomo che avesse mai amato veramente. 







ANGOLO DELL'AUTORE: Ed eccoci qua, con il penultimo capitolo di questa fanfiction...la parte iniziale, ovviamente, è un rapido flashback del momento in cui Beckett ha deciso di chiudere i contatti con Castle, dopo la sparatoria in cui era rimasto ferito. E nel finale? Lei si strugge di rimpianti mentre lui si diletta con birra e donne? Mmh...vedremo come andrà a finire. Ci vediamo al prossimo capitolo...la resa dei conti! ;)

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Capitolo 11
*** Always ***


 
Capitolo Decimo
 
                                       Always
 


Casa Beckett
 
Friday 01.30 a.m.
 

Avvolta nel vecchio, morbido maglione color porpora di sua madre, se ne stava accoccolata sul divano della

sala da pranzo,
con una tazza di tè ormai tiepida tra le mani, a sfogliare controvoglia le pagine di quel

romanzo inglese che Lanie le aveva 
caldamente raccomandato.

Era ormai notte fonda e fuori dalla finestra infuriavano vento e grandine. 

Kate sentiva le palpebre pesanti come due saracinesche di ferro, ma sapeva che, nonostante la stanchezza,

non sarebbe mai
riuscita a chiudere occhio. 

Erano giorni che trascorreva le nottate in bianco, a fissare il soffitto, con quell'unico, martellante pensiero

fisso nella testa, che
le impediva di rilassarsi e, peggio ancora, di concentrarsi sul lavoro, come avrebbe

dovuto.

Chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolino, afferrò il telecomando e accese la tv.

Basta, doveva assolutamente darci un taglio. 

Non poteva e non voleva continuare a pensare a lui.

Aveva preso una decisione...una decisione logica e ben ponderata...

Lo aveva estromesso dalla sua vita per un motivo preciso, una ragione importante, sulla quale aveva

riflettuto con attenzione, per giorni. 

E lui l'aveva accettato, aveva capito.

Allora perchè continuava a domandarsi se fosse stata davvero la scelta giusta?     

Perchè non poteva semplicemente andare avanti...dimenticare?

La risposta la conosceva benissimo e forse era proprio quello a spaventarla più di ogni altra 

cosa. 

Non riusciva a rinunciare a lui.

Non era mai stata un tipo particolarmente facile da trattare, ma Castle era riuscito a scalfire 

man mano la dura corazza di ghiaccio nella quale per lungo tempo si era nascosta, e, 

superando l'ostacolo apparentemente invalicabile del suo carattere così introverso e poco 

socievole, era riuscito a raggiungere il suo cuore. 

Ripensando agli anni trascorsi al suo fianco, Kate si rese conto di non riuscire a ricordare un solo sorriso

che non fosse in qualche modo legato a lui...una battuta divertente...una 
smorfia buffa...un suo gesto

inaspettato...

Dopo la morte di sua madre, lui era stato il primo, e probabilmente l'unico, a restituirle il sorriso e la gioia

di vivere. 

Montgomery aveva ragione. 

Era sempre stata una poliziotta in gamba, anche prima dell'arrivo di Castle nella squadra, ma 

prima di lui, non era mai riuscita davvero a guardare il lato divertente della vita. 

Forse perché, semplicemente, aveva smesso di credere nella sua esistenza.

Sopravviveva e basta. 

L'ennesimo spot pubblicitario, sparato a volume inaudito dalla tv, la distolse bruscamente 

dai suoi pensieri.

Afferrò il telecomando e premette il tasto di spegnimento. 

Stringendo al petto uno dei cuscini, si alzò dal divano e si diresse verso la camera da letto. 

Se non altro, aveva bisogno di riposare un po' gli occhi.

Aveva appena oltrepassato la soglia, quando sentì qualcuno bussare alla porta.

Due...tre...quattro colpi.

"Ma che diavolo...?!"

Con cautela, si avvicinò in punta di piedi, e gettò un'occhiata attraverso lo 

spioncino.  

"Castle, che ci fai qui a quest'ora?" esclamò poi, spalancando di colpo l'uscio.

Rick era appoggiato con la spalla contro lo stipite della porta. 

Grondava acqua dai capelli e dagli abiti...sembrava quasi che stesse dormendo in piedi. 

Quando sentì la voce di Kate, alzò lentamente lo sguardo. 

Non sembrava particolarmente lucido.

"Sei ubriaco, Rick?" lo apostrofò severamente Beckett.

"Non direi, no" fece lui, scuotendo la testa.

"Sei fradicio, adesso ti chiamo un taxi e ti faccio riaccompagnare dritto a casa!" aggiunse Beckett,

allontanandosi dall'uscio per raggiungere il telefono.

Castle però fu più rapido e, dopo averla raggiunta con una falcata, le si piazzò davanti 

sbarrandole la strada.  

"Castle, per favore..." lo pregò debolmente Beckett.

Non riusciva neppure a guardarlo negli occhi. 

Sapeva che se lo avesse fatto, anche solo per un istante, tutta la sua forza di volontà 

sarebbe miseramente crollata in mille pezzi.

Per tutta risposta, Castle afferrò il cordless e lo lanciò lontano, sul divano. 

"Sai perché stanotte sono venuto qui da te, Kate?" le domandò poi "Ho pensato a lungo a 

quello che mi avevi detto, al fatto di voler chiudere i rapporti e il resto e volevo chiamarti 

per parlare un po', per chiarirci...proprio quando stavo digitando il tuo numero 

sulla tastiera del telefono, mi è squillato il cellulare. Esposito voleva invitarmi in 

un locale...birra, ragazze, musica..."

Kate avvertì qualcosa di pesante, come un macigno, crollarle nello stomaco. 

 "Ho deciso di andarci per svagarmi e all'inizio è stato tutto grandioso! Abbiamo chiacchierato, abbiamo

bevuto e per un po' sono riuscito perfino a divertirmi e a non 
pensare a te e ai nostri casini...poi due ragazze

si sono avvicinate al nostro tavolo e 
hanno cominciato a parlare con noi, a fare un po' le civette, e l'unica

cosa a cui riuscivo a 
pensare era... "ma che diavolo ci faccio qui?..."

"Non vedo cosa c'entri questo con me" obiettò Kate.

"C'entra eccome" ribattè prontamente Castle "Prima di te, mi ero convinto di aver chiuso 

con le storie serie...Gina, Meredith...sentivo di non essere il tipo giusto per un rapporto 

duraturo e pensavo seriamente di aver chiuso per sempre con certe cose! Poi sei arrivata tu 

e tutto è diventato confuso...incomprensibile! Tu mi confondi, Kate, lo hai sempre fatto! 

Stasera quelle ragazze erano pronte a divertirsi e a fare follie, mentre io..."

Beckett fece un gesto d'impazienza. 

"Avresti potuto raccontarmi le tue goliardie notturne anche domani mattina..." iniziò a dire, 

chiaramente infastidita dalla piega che stava prendendo quella conversazione, ma Castle 

non le permise di andare oltre.

Le afferrò con fermezza il polso, trattenendola. 

"No, devi ascoltarmi!" la zittì con tono deciso "Avevo accettato l'invito di Esposito, perché speravo di

distrarmi e di non pensare a te, e invece sono solo riuscito a 
tirarmi indietro, come un verginello intimidito,

davanti a delle belle ragazze che avevano 
mostrato interesse per me..."

"Castle, io..."

"No, devi lasciarmi finire di parlare stavolta, altrimenti non riuscirò più a dirti queste cose ed 

è giusto che tu le sappia! Capisco perché hai deciso di allontanarmi da te, vuoi proteggermi e vuoi

proteggere te stessa dalla sofferenza. Lo capisco, davvero, ma non lo 
trovo giusto! Hai perso tua madre,

Kate, ed è un dolore che io posso a stento immaginare e 
comprendere, ma voglio chiederti una cosa: pensi

che lei avrebbe desiderato questo per te? 
Una vita senza amore? Una vita colma di rimpianti e cose mai

vissute? Non pensi che 
avrebbe desiderato vederti felice? E' vero, a volte la felicità può essere anche  

accompagnata dal dolore, ma io penso che per certe cose valga la pena soffrire un po'...il 

dolore rende tutto reale, Kate! Questo non è il mondo delle favole e noi non siamo i 

protagonisti di una storia con un lieto fine già scritto e stampato! Ogni giorno la nostra vita 

si crea e si distrugge attorno a noi e tutto ciò che possiamo fare, è cercare di affrontare gli 

eventi così come si presentano, traendone il meglio possibile quando non possiamo 

cambiarli e migliorandoli quando ce ne viene data l'occasione. Il punto è ...nessuno può 

sapere che cosa accadrà domani o dopodomani o tra un mese o un anno...quello che 

possiamo fare è godere di ogni istante in più che ci viene concesso, accanto alle persone che 

amiamo e con le quali vogliamo condividere le piccole gioie quotidiane e, perchè no, anche 

le sofferenze! Ciò che conta davvero è riuscire a costruire qualcosa di importante 

sfruttando il tempo che ci viene concesso, imparare a creare, giorno dopo giorno, dei nuovi 

ricordi da aggiungere a quelli passati! Io voglio davvero stare con te, Kate, è la cosa che 

desidero di più al mondo... " ripensò alle parole di sua madre e continuò "... però so che in 

amore non si può costringere qualcuno a fare ciò che non desidera, anche se il dolore 

sembra strapparti via il cuore dal petto...e se tu hai deciso di allontanarti, io non posso fare 

altro che accettarlo...e farmi da parte..."

Fece una breve pausa, guardandola intensamente negli occhi.

"So che probabilmente questo mio inutile e infinito monologo non servirà a farti cambiare 

idea su noi due..." aggiunse ancora, in tono più dolce " ...ma avevo davvero bisogno di dirti 

queste cose, perché ...non so...forse, voglio poter essere sicuro di aver fatto tutto ciò che 

era in mio potere per tenerti con me e, se umiliare me stesso presentandomi a casa tua nel 

bel mezzo della notte, rientra nella categoria...bene, vorrà dire che accetterò 

l'umiliazione..."

"Io non credo che ..." iniziò a dire Beckett. 

"Non pretendo niente" la interruppe Castle, sfiorandole delicatamente la guancia 

con il dorso della mano "Volevo solo che sapessi la verità, tutto qui..." 

Si staccò da lei, indietreggiando di alcuni passi. 

"Sarà meglio che me ne torni a casa adesso..." aggiunse infine, con la voce un po' roca e 

tremante di freddo. 

Kate scrollò la testa, scoccandogli un'occhiata intenerita.

Se ne stava lì in piedi davanti a lei, bagnato fradicio, con quell'aria irresistibile da cucciolo

intirizzito, stampata in faccia.

Accidenti a lui, come diavolo faceva ad essere sempre così maledettamente adorabile?

"Castle..." 

Chiamò il suo nome ad alta voce, dolcemente, come se fosse la cosa più naturale del 

mondo. Dimenticò di colpo la logica, i suoi ragionamenti razionali e, per la prima volta in vita sua, decise di

affidarsi al suo cuore. 

Si avvicinò a lui, abbastanza da riuscire a sfiorargli il petto con la punta delle dita. 

"...non voglio che tu te ne vada...resta..." 

Quelle parole fluirono dalla sua bocca senza alcun freno, come un irrefrenabile fiume in 

piena, e improvvisamente, niente di tutto ciò che aveva costruito nella sua mente ebbe più 

senso. Avvertì le braccia di Castle attorno ai suoi fianchi e un'ondata di calore la investì in 

pieno, annebbiandole ogni pensiero. 

La semplice vicinanza dei loro corpi la faceva impazzire...

ll suo respiro caldo sul collo...quelle mani grandi e forti che le accarezzavano piano la schiena...

Sollevò il viso, incatenando il suo sguardo a quello di Castle.

Fece per parlare, ma lui la zittì con un bacio. 
 
"Ti prego, non dirmi che hai già cambiato idea" le sussurrò a fior di labbra, fissandola intensamente negli

occhi.

Lei si limitò ad annuire.

"Stavo per dire...sarà meglio togliere questi vestiti bagnati se non vuoi rischiare una polmonite..."

E così dicendo, fece scivolare le mani verso il petto di Castle, cominciando lentamente a 

sbottonargli la camicia.
 
"Qualcosa in contrario, scribacchino?" lo apostrofò scherzosamente, mordendosi il labbro 

inferiore con fare malizioso.  

"Niente in contrario, detective" ribattè Castle con aria sorniona, sfiorandole appena il collo 

con la punta del naso "Adoro il fatto che ti preoccupi in questo modo per la mia 

incolumità..."

Le baciò ripetutamente il collo, appena sotto l'orecchio sinistro, procurandole un brivido 

d'eccitazione lungo la schiena. 

"Rick... " gemette Kate, con la voce strozzata dal piacere. 

"Mmh?" fece lui, scostandosi quel poco che gli permise di guardarla negli occhi.

Beckett sentì il cuore impazzirle nel petto e capì che quello era il momento giusto.

Ora o mai più.

"Io...io ti amo..." disse in un sussurro.

Castle le sorrise dolcemente. 

Le sistemò con un mano un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, poi si chinò leggermente in 

avanti e le sussurrò sottovoce "Ti amo anch'io...sempre..."

"E per sempre" completò Beckett.





ANGOLO DELL'AUTORE: Ooook. Via al lancio della frutta marcia XD Aahahaahah scherzo...spero che il capitolo finale sia stato di vostro gradimento ...e un grazie speciale a tutti quelli che hanno seguito la mia storia, recensendo i capitoli! Alla prossima :)

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