You'll be Mine

di Sun_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***


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I.

 

 

«Sputa il rospo, bastardo!»

La testa che sbatteva contro il parabrezza dell’auto provocò un rumore sordo, un rumore che fece sorridere il castano.

La grande mano serrata sulla testa del ragazzo, un ghigno malefico disegnato sul volto.

Quello gemette e fu musica per le sue orecchie.

Lo sentiva tremare per la tensione sotto la sua mano, strinse la presa spingendolo ancora di più verso il liscio cofano della Cadillac nera lucente.

«Io…» cercò di dire il ragazzo sentendo il dolore propagarsi per il corpo.

Sentì la pressione, che il ragazzo esercitava sulla sua testa, aumentare. Tossicchiò, sputando del sangue sulla carrozzeria lucida.

«Io… non…» tossì ancora mentre la presa si faceva spasmodica.

«Hobbit, datti una calmata!» lo ammonì una voce che conosceva bene.

Il suono di anfibi che battevano sull’asfalto bagnato inondò il silenzio intaccato solo dai gemiti di dolore del ragazzino spiaccicato sul parabrezza dell’auto.

Chiuse gli occhi sapendo di essere arrivato alla fine.

Voltò appena la testa per notare la figura togliersi dalla bocca la Malboro ormai arrivata al filtro e buttarla per terra.

Con un piede, coperto da un grosso anfibio nero, pestò il mozzicone facendo fumare la cicca.

Percorse silenzioso le sue gambe coperte da un paio di pantaloni di pelle, attillati che si infilavano negli anfibi.

Una cinta gli circondava i fianchi e lasciava in bella vista un teschio con le ossa incrociate.

La t-shirt, attillata, rossa con stampe argento e nere, il collare di pelle nera, i capelli corvini cotonati che incorniciavano il viso.

Duro a crederci, ma quello era uno della Crew, anche uno dei più temibili.

Lo vide fermarsi al suo fianco, si abbassò sulle gambe portando il viso alla sua altezza, lo piegò appena in modo che i suoi occhioni di ambra pura si fissassero nei suoi.

«Ti do un consiglio spassionato, piccolo, parla e potrai ancora mostrare questo bel faccino in giro!» disse calmo, sorridendogli appena.

Un sorriso bellissimo, così dolce da essere il terrore di molti in quella città.

Si tirò in piedi con un’eleganza tale da farlo sembrare etereo.

«Georg, raddrizzalo!» ordinò con voce ferma.

Il ragazzo si sentì tirare su malamente e si sentì bloccare da due braccia forti, immobilizzato e ansate.

Il ragazzo era ancora più alto e inquietante da quella posizione.

Teneva le braccia conserte, il pacchetto di sigarette che si intravedeva nella tasca dei pantaloni, le catene che scendevano scomposte sui fianchi e dal collo, le dita piene di anelli e quell’inquietante ditale che copriva il medio destro.

Tutto in quel ragazzo inquietava.

Dalla sua bellezza disarmante alla sua perfidia.

Gli si avvicinò lentamente «Pensavi davvero di farcela sotto il naso, ragazzino?» sorrise appena, serafico «Pensavi davvero che non ci accorgessimo di una serpe che strisciava tra di noi?»

Alzò una mano e gli tirò un potente schiaffo rovesciato.

La testa del ragazzino si piegò di lato per il contraccolpo, l’odore di sangue che saliva per le narici.

Lo sentì scendere dalla guancia, lento, cupo.

Bagnò le sue labbra.

«Avanti, parla!» esclamò calmo, alzandogli il viso con una mano, tenendolo stretto per il mento.

Il ragazzo lo guardò negli occhi.

Quello sguardo pacifico gli stava decisamente facendo saltare i nervi.

Gli sputò senza pensarci troppo.

Guardò la sua saliva colpire il visino docile del ragazzo.

Fissò la mano posarsi sul suo viso e toglierla rabbiosamente e poi puntare gli occhi, furenti, verso di lui.

«Che peccato, sai? Con quel faccino avresti avuto davvero un sacco di troie da scopare…» commentò asciutto «Ma la scelta è stata tua… Georg, Hans, spaccategli la faccia!».

Osservò compiaciuto lo sguardo colmo di paura del traditore.

Essere il fratello gemello del Boss era una gran cosa.

Si appoggiò alla macchina del fratello  estraendo il pacchetto di Malboro dalla tasca dei pantaloni e ne prese una.

Con la mano a coppa l’accese e se la portò alle labbra.

Tirò appena, socchiudendo gli occhi quando la nicotina colpiva piacevolmente la gola.

Con la coda dell’occhio osservò il massacro che si consumava alle sue spalle e sorrise.

Quella vita gli piaceva.

Da quando suo fratello era diventato il capo della banda tutto aveva preso una piega diversa.

Aveva ottenuto il rispetto di persone che prima lo evitavano, aveva ottenuto il timore, la paura degli altri.

Si sentiva potente.

Ma, in fondo, Bill sapeva che lui e suo fratello sarebbero finiti nella malavita amburghese.

Da quando il padre se ne era andato quando erano nati, a quando la madre aveva iniziato a drogarsi in cucina.

Un gemito del ragazzo lo fece sorridere.

Qualche tempo prima avrebbe odiato quella situazione, la violenza estrema per marcare il territorio, ma quando suo fratello lo aveva trascinato in quel mondo aveva iniziato ad esserne affascinato.

Ed era diventata una droga.

Le corse in moto, il sesso occasionale, le risse, l’alcool, lo spaccio, il potere.

Lui ne aveva molto di più, era l’uomo più vicino al Boss.

L’unico che avesse il permesso di chiamarlo “Tomi” senza ricevere una scarica di botte e insulti irripetibili, l’unico che avesse potere su di lui.

Afferrò il cellulare e scrisse velocemente.

 

Il ragazzino non ha parlato…

Non incazzarti, Georg e Hans gli stanno dando il benservito

Ci vediamo al covo appena il bambino ha smesso di sanguinare

Bill

 

Ripose il telefono nella tasca e lasciò uscire dalle sue labbra una nuvoletta di fumo grigiastro.

Era potente, si sentiva scorrere nelle vene la supremazia.

Sankt Georg era il loro quartiere, il loro territorio e andava difeso, anche dai ragazzini spie.

Tom se ne era accorto subito.

Erano bastati tre giorni, fargli credere che non sospettassero di lui, mandargli un messaggio con il cellulare della sorella di Matt facendogli credere di essere il capo, attirarlo dietro la stazione e poi pestarlo.

Era stato così ingenuo da credere che nessuno si sarebbe accorto della catenina che cercava di nascondere sotto le grandi t-shirt.

Se credeva che fossero tutti degli allocchi avrebbe dovuto cambiare idea.

Bill chiuse gli occhi.

A Marcus sarebbe tornato solo un faccino tumefatto e un niente di fatto.

Povero illuso, non sapeva cosa lo aspettava.

 

La Crew di Sankt Georg era una delle più grandi e importarti di Amburgo.

Era iniziata per caso, nel quartiere più malfamato della città e si era estesa fino a prendere sotto la sua ala i quartieri di Sankt Pauli e quello portoghese di Rive dell’Elba.

Le discoteche, il giro di droga, le donne, le strade, i pub, i negozi e tutto quello che risiedeva in quei territori era loro.

Tom era il loro capo.

Teneva sotto la sua protezione persone che dalla vita avevano ricevuto solo schiaffi in faccia, come era successo a lui e al fratello.

Erano figli di nessuno, dei bastardi cresciuti con una mamma alcolizzata e eroinomane.

Avevano vissuto un’infanzia contraddistinta dalla violenza che la madre esercitava su di loro e il degrado sociale ed economico.

Erano piccoli quando per la prima volta provarono la cocaina, ma non c’era nessuno da dirgli di non farlo.

Rubavano i soldi dalla borsetta della madre per comprare alcolici ed erba.

Erano entrati presto nella Crew, o almeno Tom vi era entrato quando aveva poco meno di quindici anni.

Non aveva mai rinnegato quel pezzo della sua vita, quando non ragionava più sotto gli effetti di spinelli, eroina, LSD, e alcool.

Quando si era accorto, guardando un video, di cosa stava diventando, da consumatore aveva iniziato a spacciare portando a casa soldi.

La madre non aveva mai fatto domande.

E gli anni erano passati veloci, degradanti.

Mark, il capo della crew, si era trasferito in Baviera e aveva lasciato il comando a Tom.

Era stato in quel momento che Bill era entrato nella “famiglia”.

Spiccava tra tutti per il suo look dark e androgino.

E i due gemelli erano diventati i ragazzi più temuti di Amburgo.

Cosa che a Bill, picchiato da ragazzino sotto scuola, non dispiaceva affatto.

L’unico a non temere i due gemelli era il capo della Crew di Reeperbahn, Marcus.

Era più piccolo dei gemelli, («Un pivellino del ’92») ma sembrava sovrastarli.

Era grosso, grasso e decisamente imponente.

Nessuno aveva mai avuto il coraggio di affrontarlo o guardarlo negli occhi, cosa che solo Tom riusciva a fare.

Si odiavano e di conseguenza le due Crew erano in competizione.

Ogni colpo era lecito per indebolire le difese del nemico.

Quello che Tom si era prefissato era il più arduo.

Un corpo basso, così basso che al solo pensiero vedeva il fratello andare in brodo di giuggiole.

Nonostante si sapesse poco di Marcus Roth, una cosa gli era arrivata.

Una gemella.

Una gemella che nessuno aveva mai visto.

Per quel che gli era arrivato, Marcus ne era così geloso da impedirgli di uscire e sapeva che quella della sua crew sapessero come fosse.

Ma sembravano non voler parlare.

Poche volte Tom era entrato in scena in quelle faccende da informatore, ma le minacce, i pestaggi e qualsiasi cosa lui provasse, non servivano a niente.

Bastava perseverare.

Tom non si sarebbe fermato davanti a niente.

Lui voleva colpire quel bastardo al cuore, incastrare la cosa che più aveva di prezioso nella sua vita.

Non gli sarebbe importato di portarsi a letto una versione al femminile di Marcus, di fingere di essere innamorato di un cesso, lui sarebbe riuscito a farla passare nelle sue file e avrebbe avuto Marcus nelle mani.

Per la sua “famiglia” avrebbe sacrificato qualcosa.

 

«Domani al Phoenix dovrai affrontare Skip» sorrise Tom buttandosi sul morbido divano del covo.

Il biondino, che sedeva scompostamente su una poltrona con una birra in mano, alzò lo sguardo verso il capo «Ancora?» sospirò esasperato «Sarà la quindicesima volta che quel turco ci prova e lo polverizzo ogni cazzo di volta!»

Tom lo guardò da sotto le lunghe ciglia nere continuando a sorridere «A quei riccastri di Reeperbahn piace vedersi spaccare il culo!»

«Che sfigati!» sbottò il biondino bevendo un po’ di birra.

Tom lo guardò sorridendo e imitandolo.

Matt era una delle sue armi più forti.

Un ragazzo venuto da Detroit, con i contro coglioni, che sapeva rappare da Dio non si incontrava ovunque.

In quei tre anni e mezzo nella Crew aveva scalato i vertici diventando uno dei suoi migliori amici e il campione indiscusso delle battaglie.

«Allora, il ragazzino di Reeperbahn ha parlato o lo stanno prendendo a calci nel culo?» domandò disinteressato.

Tom scosse la testa «La seconda Bro, certi ragazzini si credono Dio solo perché hanno fumato un cazzo di spinello!»

Matt concordò silenzioso, tracannando la birra «E la tipa, la gemella del cesso?»

Tom sospirò «Nada, quel cazzone non ne ha fatto parola, ha detto che preferiva farsi pestare da Georg piuttosto che dirmi come si chiamasse»

Matt sorrise sul collo della bottiglia «E a cosa servono i ragazzini che vanno alla Margarete?»

Tom alzò un sopracciglio «Cosa?».

«Mi hanno detto che si chiama Elise, ma nessuno l’ha mai vista a Reeperbahn, sembra che non vada a scuola»

«È già un passo!» commentò Tom senza colore «Almeno sappiamo che cercarla nella scuola di quei froci non serve a nulla»

«Non sappiamo nemmeno cosa cercare Bro» disse sincero Matt «Dovremmo fare incursione nella…»

«Non lo dire manco per scherzo Bro, non siamo coperti a Reeperbahn, siamo in territorio nemico, se dobbiamo attaccare lo dobbiamo fare almeno nel confine…»

«Al Phoenix allora, ma Marcus non la fa uscire…»

Tom sorrise serafico «E Andreas a cosa serve scusa…»

Matt lo guardò confuso prima di mostrare un sorrisone enorme «La solita tattica del gay per una sera»

Tom annuì «Quell’ossigenato ha un potere enorme»

«Cosa che quei rincoglioniti non avranno mai, omofobi di merda…» ridacchiò Matt.

Il moro sorrise.

Forse non avrebbe incontrato la sua futura “donna” al Phoenix, ma avrebbe avuto più informazioni.

Ora la sua preda aveva un nome: Elise. 


Questa storia l'ho postata interamente sul forum "Tokio Hotel Die Besten" e quindi è terminata. Ho un pò di paura a postare, come prima storia, questa perchè oltre ad essere un'esperimento per me, è anche abbastanza importante, al suo interno vi ho infilato alcune mie esperienze personali che mi hanno segnato.

Spero di ricevere molte recensioni.

Un bacio Sun_

 

 

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Capitolo 2
*** II. ***


II.

 

 

 

 

Si infilò le cuffiette nelle orecchie.

Ogni volta che la corriera si avvicinava alla stazione di Sankt Georg per lei iniziava una missione.

Non voleva che si sapesse chi realmente fosse.

Il viaggio da Reeperbahn a Sankt Georg durava poco più di quindici minuti, ma quando si affacciava al finestrino, sembrava di trovarsi in un altro mondo.

Le piccole villette a schiera che contraddistinguevano il suo quartiere sparivano nel degrado più totale.

Strade infestate da buche, palazzi fatiscenti e colmi di gente, spazzatura buttata agli angoli della strada, edifici bruciati e lasciati a marcire alla portata di tutti.

Macchine arrugginite e sfregiate abbandonate sui marciapiedi.

Finchè era in quella corriera si sentiva al sicuro.

Gli abitanti del quartiere le riservavano sempre un trattamento speciale.

Il posto riservato, quello al centro vicino alla seconda uscita, e la più completa privacy, lasciandola sola.

Quello finchè non arrivava a Sankt Georg per prendere la corriera per Sankt Pauli.

Lì non vigevano più le regole della Crew di suo fratello, ma quelle della Crew di Tom Kaulitz.

Sospirò pensando a quel nome.

Suo fratello usava una sua foto con bersaglio per le freccette e lei aveva sempre sbavato, in segreto, su quella foto.

Per quel motivo, quando aveva origliato una conversazione che suo fratello stava avendo con un ragazzino dal viso tumefatto e aveva scoperto che l’affascinante capo della Crew di Sankt Georg la stava cercando, aveva deciso, con uno stratagemma, di farsi trasferire nel Ginnasio di Sankt Pauli, nel suo territorio.

Marcus non poteva sapere che lei voleva essere trovata.

Non amava la Crew del fratello, misogina e omofoba, così legata alla tradizione della Crew hippoppetara e etero.

Aveva sentito che in quella di Sankt Georg ci fossero dei dark, alcune donne a capo di vari compiti e un gay.

Insomma, era capitata nelle crew sbagliata, anche se non vi era dentro del tutto.

Vedere penzolare, ogni mattina, quella dannata collana con un R incisa le dava sui nervi, faceva crescere in lei una rabbia cieca.

Voleva scovare Tom a fare domande e sorridergli dicendo «Sono io, cosa vuoi fare di me?»

Scese velocemente da quella corriera e corse verso quella per Sankt Pauli.

Vi salì velocemente, reggendosi a una delle ringhiere del bus.

Come sempre era pieno e di sicuro nessuno l’avrebbe fatta sedere.

Si appoggiò a uno di questi beccandosi un’occhiata torva da delle ragazze.

Chissà se le ragazze che Tom aveva, avevano un qualsiasi trattamento di favore?

Chiuse gli occhi cercando di allontanare i continui schiamazzi che i bulletti, quelli che sicuramente erano da poco nella Crew o stavano per entravi, le stava riservando.

Era sempre così, anche se non sapevano chi realmente lei fosse, la emarginavano, maltrattavano.

Portava comunque la “vergogna” di vivere nel quartiere del capo della Crew nemica.

Chissà cosa le avrebbero fatto se avessero scoperto che era la sorella di Marcus?

Non voleva pensarci.

Voleva scoprirsi solo se a vigilare ci fosse quello che dettava legge in quel posto.

«Ehi Reeperbahn, dov’è la limousine oggi?» urlò un ragazzo alla fine del pullman.

Sospirò cercando di non farvi caso, un giorno l’avrebbero pagata.

«Ieri, la festa delle Crew è stata una figata pazzesca, Tom mi ha lasciato la tipa che si era fatto in bagno, una strafica…»

«Non è vero…» bofonchiò un ragazzino incappucciato con i piedi sulla ringhiera del posto centrale.

Jan Linke era una degli “Eletti”, come Tom li aveva soprannominati.

Erano quelle persone che, nella Crew, ricoprivano i ruoli più importanti, quelli che erano a stretto contatto con il Boss in persona.

Quando capitava di vedere Jan in corriera, cosa rarissima, Elise aveva l’istinto di correre da lui e dirgli chi era, di portarla da Tom.

Reprimeva quella voglia solo perché avrebbe coinvolto anche gli altri presenti nella corriera.

E poi era codarda.

Lo era sempre stata.

Fissava spesso quel ragazzino incappucciato e taciturno.

Emanava un certo timore, ghiacciava con i suoi occhioni freddi come la Siberia.

Voltò appena la testa incontrando gli occhi dei ragazzi.

Le braccia incrociate al petto, le cuffie calate sul cappuccio tirato fin sopra la testa che copriva il passamontagna nero.

Gli occhi stralunati e insofferenti.

Forse, quella volta, quei bulletti di infima classe l’avrebbero pagata.

«Jan…» balbettò lo stesso ragazzo.

«Ieri Tom non si è fatto nessuna ragazza… o almeno non in bagno!» si corresse velocemente il ragazzo «Non era nemmeno alla festa, in realtà nessuno di noi era alla festa»

Elise lo immaginò diventare piccolo piccolo sotto lo sguardo del ragazzo incappucciato.

«Solo gli sfigati appena entrati vanno ancora al POD, lo sai vero?» continuò atono Jan, trafiggendolo con quelle semplici parole «Cerca di non sparare più cazzate del genere in mai presenza o sarò costretto a contattare il tuo “grande”» disegnò le virgolette sulla parola grande «Amico Tom»

La mora sorrise mentre quello deglutiva un “si” mortificato e Jan chiudeva gli occhi tornando a sentire la musica.

A quanto ne sapeva lei (le lunghe giornate a origliare il fratello erano servite a qualcosa) Jan era il più giovane degli “Eletti”, aveva diciassette anni e frequentava la sua stessa scuola in un grado inferiore, anche se decideva di mettervi piede due volte al mese.

Essere uno degli “Eletti”, in una scuola nel territorio di Tom Kaulitz, risultava decisamente una manna santa.

In quelle due volte al mese che Jan appariva nella corriera (quando non veniva accompagnato da altri della Crew) poteva assistere a quanto potere avessero i ragazzi vicini a Tom.

Quando lui metteva piede nella stazione calava il silenzio, nessuno riusciva persino a respirare.

Saliva prima lui di qualsiasi altra persona, sceglieva il suo posticino e nessuno chiedeva di dividerlo.

Quando, in casi estremi, arrivava in ritardo, bastava un’occhiata che qualcuno si alzava e lasciava il proprio posto.

Era una forma di rispetto che resentava la paura di essere pestati a sangue.

Jan non avrebbe mai subito quel trattamento che invece davano a lei.

«E smettetela di prendere per il culo una ragazza… è da cacasotto!» borbottò Jan.

Era una cosa che amava della Crew di Tom, gli Eletti riservavano un certo rispetto per qualsiasi ragazza incontrassero.

Persino le sue “sorelle” erano rispettate.

Il silenzio che cadde dopo quelle parole la face sorridere.

«Grazie…» mormorò, timorosa, in direzione del ragazzo.

Quello mosse di poco la testa, aveva parlato fin troppo quel giorno.

 

****

 

C’erano quei giorni in cui, Elise, avrebbe dato la propria anima per restare appiccicata alla maglietta di qualche bamboccio della Crew, fargli credere di esserne innamorata per godere di un po’ di protezione.

Sospirò infilando la mano nella cartella e estraendo il suo borsellino.

Lo svuotò sulla mano di uno dei soliti bulletti, pregando Dio che quella tortura finisse al più presto.

Il rombo di una moto risuonò per il grande cortile.

Con una sgommata spettacolare, una Kawasaki Ninja, completamente, nera si fermò a pochi metri da dove si trovava lei.

Vi erano due persone.

Il guidatore indossava un paio di jeans slavati chiari con degli strappi sulle ginocchia, una giacca di pelle nera con le maniche tirate fino ai gomiti mostravano i guantini senza dita di pelle e borchie. Gli stivali di pelle da biker ben serrati sui pedali della grande moto.

Il casco integrale nero decantava il nome del possessore.

Bill.

La persona più vicina al Boss, il gemello del capo.

Elise si sentì tremare.

Su quel Bill giravano storie tremende.

Era una dark, un incantatore, un perfido demone dal viso d’angelo.

Dietro di lui, con le fine braccia allacciate al suo petto magro, vi era una ragazza.

La leggera canotta bianca svolazzava mostrando un pantaloncino nero di raso che scopriva le lunghe gambe affusolate.

Degli anfibi neri coprivano i piedi e sembravano abbassarla di poco.

Il casco, completamente nero, copriva il suo visino, ma lasciava uscire un po’ dei suoi lunghi capelli biondi.

Non ci voleva un genio per sapere che era Arual Kaulitz, la cugina dei gemelli.

Entrata di fatto nella Crew, era diventata una delle motocicliste più veloci delle scuderie di Tom.

Con il suo inconfondibile stile da bella e dannata, aveva conquistato il cuore di molti, ma sembrava fredda come il ghiaccio a quelle avance spudorate.

Bill bloccò la moto puntando i piedi atterra.

La spense mentre Arual faceva una salto scendendo dal veicolo.

Si tolse il casco, facendo sventolare i lunghi capelli biondi mossi.

Bill la imitò, togliendosi il casco e facendo scendere i lunghi capelli neri liscissimi e curatissimi.

Li sventolò appena, con grazia.

«Quello conosce davvero il capo…» si fece scappare Elise fissandolo.

Come non poteva conoscerlo? Era stato concepito con lui.

I bulletti lo guardarono per un attimo sorridendo divertiti «Il Mini Boss è venuto a trovare gli amici?»

«Ti avevo detto che quando siamo a scuola non voglio le sgommate da pazzo che fai, non voglio fratturarmi una femore circa venti volte come te!» sbottò Arual mettendosi il casco sotto un braccio.

«Andiamo!» ridacchiò Bill «Lo so che ti piace, lo sento da come stringi che vorresti andare più forte»

«Non cominciare con queste frasi che ci trovo sempre un cazzo di doppio senso, ok?» lo interruppe lei «Già il fatto che li stai facendo mi manda nel pallone!»

«Sei tale e quale a Tom…» sospirò sconfitto Bill, mettendosi ritto sul sellino «Perché ho solo perenti depravati?»

«Kaulitz 2!»

Jan uscì alle loro spalle sventolando una mano.

Il moro si illuminò di colpo mentre il ragazzo incappucciato si avvicinava a lui.

«Linke» esclamò Bill allungando un pugno e battendolo contro quello del ragazzo.

Elise li fissava sorridere.

Di certo lei, continuando ad arrossire solo al pensiero che la stessero cercando, non avrebbe mai potuto sorridere a uno di loro, anche se lo sperava con tutto il cuore.

«Gli altri impiastri?» domandò Arual guardandosi intorno.

Come una freccia una Lamborghini Revolver si accostò alla moto, nera come la notte.

Elise fissava ammirata le due macchine che seguivano la Lamborghini.

Una Lamborghini Murcielago gialla canarino e una BMW ACS6 super truccata dalla carrozzeria marrone e oro sembrano farle da scorta.

Quel giorno, pensò la mora, gli “Eletti” avevano deciso di uscire in grande stile.

Si fermarono a pochi centimetri dalla moto.

«Alla faccia del non dare nell’occhio!» ironizzò Bill con un sopracciglio alzato «Tanto che c’eravamo potevamo portarci dietro la Cadillac di Tom e guidare a ritmo di In The Club di 50 Cent!»

Jan lo guardò cercando di trattenere una risata «Disse quello con la super moto»

Gli sportelli della Lamborghini nera si alzarono verso l’alto e una ragazza dai lunghi capelli neri e la pelle diafana, coperta solo da una vestitino stile felpa grigia che mostrava le gambe fine e perfette.

Raja.

Afferrò la cartella dall’interno della macchina e velocemente, nelle sue ballerine nere, si avvicinò all’amica.

Le scoccò due baci sulla guancia salutando Bill e Jan con un semplice cenno della mano.

«…io ancora mi chiedo come faccio a stare con te…» esordì una voce dalla Lamborghini.

Un paio di gambe, coperte da una tuta larga grigia stavano uscendo dal lussuoso abitacolo.

Austin.

Uscì mostrando il fisico allenato e le spalle larghe evidenziate dalla canotta bianca e dalla felpa grigia che resentava il suo sedere.

Una collana abbracciava il suo collo robusto.

Austin era una dei ragazzi più belli che Elise avesse mai visto.

Con quel fascino dannato e serio che faceva impazzire ogni ragazza lo incontrasse nella sua strada.

Raja lo guardò incrociando le braccia «Ti ho solo chiesto di portarmi al centro commerciale, mica di buttarti da un ponte!»

Elise notò lo sguardo d’intensa che si scambiarono Arual e Bill.

«Quando si tratta di andare a fare shopping con Raja sarebbe meglio buttarsi da un ponte» ridacchiò un ragazzo dalla Lamborghini gialla.

Teneva un braccio sullo sportello e si sporgeva mostrando il viso squadrato da uomo e il capello blu messo di traverso, in pieno stile hip hop.   

Tyler.

Raja alzò il dito medio sventolando di fronte al ragazza «Sei davvero simpatico Tyler, non lo vedi, sto morendo dalle risate!» lo guardò male «AH!»

«Ty, non prendere in giro Raja perché poi a sopportarla ci stiamo solo io, Nina e Natalia» commentò Arual intrecciando le braccia e beccandosi uno sguardo assassino da parte della mora.

Una risata cristallina risuonò nell’aria accompagnata da uno sportello che sbatteva.

Con i classici pantaloni beggy da hippopper e la pancia ben in vista, Nina sventolò i suoi lunghi capelli castani.

Scoccò un bacio sulle labbra a Tyler avvicinandosi alle amiche «O Bill!»

Il moro ridacchiò da sopra la moto sistemandosi meglio.

«Hai detto In The Club Kaulitz?» esclamò una voce della BMW «Adam attacca!»

«No, Matt, anche qui no!» sbottò Bill sbattendosi una mano sulla faccia.

Dal BMW fece capolino la testolina bionda di un ragazzo dal viso pallidissimo.

La grande felpa grigia e nera che cedeva sui fianchi e sugli immensi pantaloni neri calati sulle nike bianche.

Matt Sterne era presente all’appello.

«Esistono gli sportelli Sterne!» esclamò, con un ringhio, una voce all’interno della macchina notando l’amico sporgersi fin troppo dal finestrino.

«Ho detto di mettere In The Club, cazzo, adoro quando Kaulitz Dark si incazza, fa fottutamente ridere» sorrise quello.

Bill alzò un dito medio sventolandolo davanti al ragazzo che rise di gusto.

«Si, ok, quando Bill si incazza fa schiattare dalle risate, ma questo non toglie il fatto che stai distruggendo la macchina al quel povero cristo di Jasper che, tra l’altro, ti farà un culo talmente grosso che lo useranno come traforo del Monte Bianco ok?» rispose una voce afferrandolo per la maglietta e cercando di tirarlo dentro.

Quello si girò verso l’interno guardandolo freddo «Adam, porca puttana, se non togli la tua cazzo di mano dalla mia felpa, giuro, useranno il tuo culo per il Traforo del Monte Bianco, qualunque cosa sia!»

Adam Logan, non poteva sbagliarsi.

Elise fissò una più che scocciata Natalia uscire dall’auto, bofonchiando un “animali” tra i denti.

La felpa rosa acetata con le strisce laterali neri coprivano il corpo da capogiro.

Natalia era una delle ragazze più belle ed eleganti che Elise avesse mai visto.

La vide mandare un bacino al guidatore che si sporse mostrando il suo bel visino nero e i suoi occhioni densi come il petrolio.

Anche Adam era di una bellezza da mozzare il fiato.

Parte degli “Eletti” erano da mozzare il fato.

Elise li osservò nella loro tranquillità, mentre ridevano, si prendevano in giro, si mandavano all’inferno.

Quella era una vera famiglia.

Come non poteva non invidiarli?

«Matt, ma sei tu?» esclamò una ragazza alle sue spalle «Sono tre settimane che non ti sei fatto sentire!» la vide sventolare una mano in direzione del biondo, sculettando nella sua mini gonna di jeans chiara.

Vide il biondo sbiancare mentre Bill si esibiva in una risata esagerata e decisamente divertita.

«Ehi Jenny…» balbettò il ragazzo «Cazzo, Adam, parti!» urlò infilandosi dentro.

Adam, che intanto stava posando un bacio sulle labbra di Natalia, venne preso alla provvista.

«Ho detto di partire, maledizione!» tuonò Matt dall’interno.

Elise rise divertita da quella scenetta e, mentre gli eletti se ne andavano lasciando le ragazze alla scuola, si chiese come fosse essere in cima al mondo.

 

 

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Capitolo 3
*** III. ***


III.

 

 

Il Phoenix non era un locale grande.

Era un vecchio deposito trasformato in una discoteca, un grande spazio che comprendeva un piccolo bar, dei divanetti bianchissimi, dei tavoli bassi neri e dei piccoli bagni, quasi sempre occupati da coppiette clandestine.

Non vi era niente di particolare in quel locale eppure era il centro di ritrovo delle Crew, situato al confine tra Reeperbahn e Sankt Georg.

Per le due grandi Crew era zona neutrale, era una piccola Svizzera situata ad Amburgo.

Tom entrò prima di qualsiasi altra persona della sua Crew.

Con il suo passo dinoccolato, le mani nelle tasche dei grandi pantaloni bianchi, la sua classica faccia da stronzo già stampata sul viso, un sorriso sadico che piegava le labbra carnose.

Le luci psichedeliche che illuminavano la pista lo disorientarono appena.

Sbattè gli occhi un paio di volte prima di abituarsi a quelle luci forti.

La pista era già piena di gente che si scatenavano al ritmo di “Dirty Picture” di Taio Cruz e Ke$ha.

Alcune ragazze, sole e sicuramente in cerca di un qualsiasi essere dotato di apparato riproduttivo, stavano ballando scompostamente mostrando i mini vestitini trasparenti.

Altre si strusciavano a ragazzi con negli occhi l’eccitazione.

Quello era il suo mondo.

Il Capo era arrivato!

Prese a camminare sentendo Bill canticchiare alla sue spalle sistemandosi le bretelle di catena.

«Una precauzione» aveva detto sorridendo «Se qualcuno mi attacca sono ben accessoriato no?»

Sorrise di sbiego mentre iniziavano a percorrere quel piccolo tragitto che portava al loro tavolo.

Con la coda dell’occhio il ragazzo osservò il tavolo della Crew di Marcus.

Vuoto.

«Gli stronzi non sono ancora arrivati!» annunciò con un mezzo sorriso stampato sul volto.

Una risata bassa gli fece capire che il messaggio era stato ricevuto.

Muovendo la testa a ritmo si accostò alla pista da ballo afferrando per le braccia due ragazze che stavano ballando vicine.

Una bionda e una mora.

Quelle si illuminarono nel vedere chi le avesse agganciate.

Si arpionarono alle sue braccia e si lasciarono trascinare dal ragazzo verso il suo tavolino.

Un sospiro rassegnato di Bill lo fece ridacchiare.

Strinse entrambe le ragazze e, senza trattenere quel suo classico sorriso superiore, arrivò al suo tavolo.

La coppietta che lo occupava, tranquillamente immersi in una limonata, appena lo videro se ne andarono lasciando il lungo divanetto vuoto.

Tom vi si buttò a peso morto portandosi dietro le due che poco ci misero ad attaccarsi al suo petto.

Voltò la testa verso la mora ispezionando il suo minivestito nero, così aderente che riusciva a vedere il pizzo del reggiseno.

Inchiodò i suoi occhi verdi nei suoi, sorrise malizioso afferrando il suo viso e portando le sue labbra verso le sue, assaggiandole con un semplice morso.

La ragazzo non obbiettò, spingendosi di più verso di lui.

Dischiuse le labbra senza che Tom facesse pressione, il ragazzo fece scivolare la sua lingua nella bocca della ragazza approfondendo il contatto.

Sentì, distrattamente, Gustav sbuffare mentre si sedeva al suo fianco «Hai intenzione di fare così tutta la sera, ho avrò il piacere di scambiare qualche parola con te?»

Tom alzò una mano mentre la mora sembrava non volerlo far respirare.

La bionda si mise in ginocchio sul divanetto, con un colpo secco della testa si spostò i capelli di un lato e si piegò fino ad arrivare al collo del ragazzo.

Arpionò le mani sulla t-shirt immacolata e iniziò a succhiare un lembo della sua pelle chiara. Tom sospirò sulle labbra della mora mentre quella sorrideva.

«Wow, nuovo record!» esordì Sven sedendosi con la birra tra le mani «Non siamo nemmeno arrivati e il Boss già ci da dentro!»

Tom sorrise sulle labbra della mora mentre lasciava un gemito basso quando sentì la lingua della bionda sfiorargli il Pomo d’Adamo.

«Che cazzone che sei, Kaulitz!» sbottò Matt sedendosi al fianco di Sven «Potevi prenderne una per me!»

Tom morse le labbra della mora.

Erano morbide, gli piaceva il sapore ci ciliegia che aveva il suo lucida labbra, voltò appena la testa verso gli amici «Se siete dei poveri sfigati mica è colpa mia!»

Non riuscì ad articolare altre parole che la mano fredda della bionda si serrò intorno alla sua mandibola, costringendolo a girarsi verso di lei.

Tom si trovò a stretto contatto con degli occhioni nocciola.

La bionda si avventò sulle sue labbra e Tom le dischiuse automaticamente, lasciando che lei prendesse la guida del gioco.

Bill mandò un basso gemito di dissenso.

Riusciva persino a vedere la lingua del fratello scontrarsi con quella della bionda, accarezzarla.

«Mi fa quasi schifo» commentò alzandosi e sistemandosi i pantaloni neri aderenti «Vado a prendermi qualcosa di forte, almeno mi dimentico subito di questa scena da orgia porno, qualcuno viene con me?»

Andreas si rizzò in piedi spolverandosi i pantaloni «Vengo con te, riesco persino a vedere il perizoma di quella mora!» disse schifato.

Tom sorrise allargando una mano e accarezzando il fondoschiena della mora, che intanto guardava verso le sue gambe divaricate, con la mano che scendeva sempre più in basso.

«COSA?!?!» urlarono, all’unisono, Georg e Matt.

Si guardarono in cagnesco tra di loro, puntando le mani sul divanetto bianco.

«Posto mio!» esclamarono entrambi rizzandosi velocemente e buttandosi a pesce sul posto dove poco prima sedeva Andreas-

Una risata generale abbracciò il tavolo.

«Sembra che non l’abbiate mai vista in vita vostra!» rise Jasper mentre si sentiva appoggiare da Gustav, Fabian e Sven.

Adam sorrise «Se fanno a gara a chi ha più porno, cosa potete aspettarvi?»

Fissò gli amici che intanto avevano trovato un accordo («Io» «No, Io» «Tutti e due!») e Georg aveva fatto accomodare Matt sulle sue gambe e entrambi piegarono la testa fischiando ammirati.

«Rosso… wow!» commentò Georg.

«Che culo!» concordò il biondo.

Tom sorrise mentre la bionda iniziava a succhiare il suo labbro inferiore e la mora accarezzava il cavallo dei suoi pantaloni.

«Dimmi Tom» iniziò Jan, pacato «Hai intenzione di morire asfissiato o cosa?»

Il moro si voltò appena verso il ragazzo incappucciato, mandò un gemito quando la mano della mora di strinse sul suo inguine e sorrise «Sarebbe un buon modo di morire!»

Le due ragazze ridacchiarono.

«Poi dicono che quelli di Reeperbahn sono dei porci misogini eh?» commentò Natalia sedendosi al fianco del suo ragazzo «Attento Adam, stai sbavando!»

«Eh?» quello la guardò spaesato, poi sorrise imbarazzato «No no piccola, stavo ammirando le capacità polmonali del Boss!»

«Certo» ironizzò lei tirandogli una sberla sul braccio.

Raja ridacchiò mentre, lenta, si sedeva sulle ginocchia di Austin, che l’accolse in un abbraccio caldo «Piace anche a te lo spettacolino di Tom?»

«Voglio un Oscar!» riuscì a dire lui mentre la bionda lo prendeva per la felpa e lo baciava con violenza.

Raja lo ignorò.

«Mi piacerebbe ripeterlo con te!» mormorò malizioso prendendole il mento e avvicinandolo alle sue labbra.

«Ci servirebbe un’altra Austin!» sbottò Arual facendosi ricadere sul divanetto, di fianco a Matt.

La serata era iniziata male.

Aveva trovato Tobi, il suo ragazzo, a strusciarsi con un'altra.

Quando, in bagno, aveva fatto presente la cosa, lui le aveva detto che lo stava facendo per non destare sospetti.

Era facile avere la scusa sempre buona.

Non le importava se era della Crew avversaria e se i suoi si sarebbero insospettiti.

«Che c’è Aru?»

La voce di Matt la fece sorridere.

Quel ragazzo era la sua vera salvezza.

Girò la testa verso di lui, fissando i suoi occhioni blu «Niente Matt, solo che tutti i maschi sono stronzi!»

«Hai problemi con qualcuno?» chiese lui «Vuoi che lo pesti a dovere?»

Arual sorrise, grata «No, ma grazie!»

«E di cosa piccola Aru? È il minimo che posso fare per te!»

Allargò le braccia e lei si lasciò abbracciare da lui.

Il profumo di Matt le inebriò i polmoni.

Solo quando era tra le braccia del biondo era veramente a casa.

 

 

****

 

Delle mani fredde stava percorrendo il suo addome.

Le mani della bionda si erano insinuate sotto la sua t-shirt e stavano scendendo verso i suoi pantaloni.

La cosa era dannatamente eccitante.

La mora, di cui non ricordava nemmeno il nome, lo afferrò per la mandibola e lo spinse verso di lei.

Lo baciò con violenza, con le labbra aperte, infilando violentemente la lingua nella sua bocca.

Un flash li inondò.

Stava diventando davvero qualcosa di sporco.

Tom prese la sua testa iniziando a dettare legge lui.

Leccò le sue labbra e infilò la lingua tra le sue labbra.

Un altro flash.

La bionda che saliva e tracciava con la lingua un percorso fino al suo orecchio, morse il lobo.

Altro flash.

Da dove era uscita quella macchinetta fotografica?

«Ora faccela tu una foto, mio capo» mormorò sensuale la bionda, nel suo orecchio.

Tom sgranò gli occhi.

Allungò una mano rubando il cellulare che la mora teneva in mano.

Vedersi in foto, mentre baciava quella ragazza, lo fece eccitare di più.

Si mise comodo mentre le due si rizzavano in ginocchio, ai suoi lati.

Si leccò le labbra, pregustando il momento.

Le vide avvicinarsi lentamente, cacciando appena le lingue.

Tom avviò la modalità video, sentendo l’eccitazione salire.

Le due scontrarono le proprie lingue, poi la mora afferrò la testa della bionda e la baciò con violenza.

«Brave…» mormorò osservando la scena dal cellulare.

Presero a baciarsi con piccoli morsi, riusciva ad intravedere le loro lingue.

Il sospiro della bionda, attutito dalla labbra della mora, lo fece sentire quasi male.

La mora aveva iniziato a massaggiare il seno della bionda.

Quando le due si staccarono, lasciandolo inebetito a guardarle, si allontanarono velocemente.

Nel mentre Tom stoppava il video il suo sguardo cadde sul tavolo della Crew di Reeperbahn.

Quello che vide lo fece rabbrividire.

Marcus era seduto con una ragazza, una ragazza che non aveva mai visto.

La osservò mentre si toglieva una ciocca di capelli scuri dagli occhi e sorrideva con un paio di labbra da mozzare il fiato.

Tutto in quella ragazza era da mozzare il fiato.

Dal corpo curvilineo coperto solo da un top nero con tanto di bollerino, alle gambe lunghe e perfette, che si intravedevano dalla mini gonna bianca sfilacciata retta da una cinta borchiata.

Come poteva una ragazza come quella parlare con Marcus?

Tom li osservò interessato, puntando i gomiti sulle ginocchia.

Lei rideva di qualcosa che lui aveva detto, lo guardava con uno strano affetto.

Lo colpì leggermente a una spalla e sorrise nel vedere la sua faccia prendere una finta espressione offesa.

Quando il moro allargò le braccia quella si rifugiò, con piacere, in quel caldo abbraccio.

Qualcuno, poi, lo chiamò.

Marcus si rizzò annuendo al vuoto e, con un sorriso mortificato, baciò la fronte della ragazza.

Sparì, subito dopo, nella folla.

Lo sguardo spaesato di lei lo fece intenerire.

Afferrò la borsetta e ne estrasse un pacchetto di Camel, ne prese una accendendola e portandosela alle labbra.

Tom si leccò il piercing, immaginandosi di essere quell’oggetto.

«Gus, chi è quella?» domandò, all’improvviso, all’amico.

Gustav, preso alla sprovvista mentre beveva una birra, si girò verso la direzione indicata dal capo «Chi?»

«Quella seduta al divanetto degli sfigati, l’hai mai vista?»

Gustav la guardò e poi scosse la testa «No»

Tom la guardò ancora.

La vide afferrare la collanina che aveva al collo e giocarci, distrattamente.

«Credo sia la ragazza di quel rincoglionito» annunciò «Li ho visti insieme»

Gustav lo guardò scuotendo la testa «Forse lo usa, è l’unica spiegazione possibile!»

Il capo, però, scosse la testa «No, lo guardava con troppo affetto» scansò le ragazza con gentilezza, indirizzandole verso Matt, e puntò lo sguardo verso la ragazza che stava fissando le sue scarpe con interesse «Poco male…» disse «Rovinerò un po’ le cose»

 

Elise sospirò.

Odiava quelle feste, specialmente quando suo fratello spariva.

C’era un motivo se lei evitava sempre di frequentare quei posti.

Odiava la puzza di alcool e marijuana che saturava l’aria di quei posti colmi di gente.

Odiava l’odore del sesso facile.

Odiava l’ipocrisia della gente che le sorrideva solo perché era la sorella del capo.

E poi… aveva visto Tom, impegnato con due ragazze.

Come avrebbe potuto lei, vestita con dei semplici straccetti, riuscire ad attirare l’attenzione di quel ragazzo?

Si fece cadere verso lo schienale del divanetto sospirando.

Era troppo timida per mettersi addosso quei vestiti trasparenti che lasciavano intravedere tutta la “mercanzia”.

«Ehi…»

La voce sensuale che aveva detto quelle parole la fece sobbalzare.

Era ancora uno di quei deficienti della Crew che volevano conoscerla meglio?

Voltò la testa e quasi si strozzò con la sua stessa saliva.

Tom era davanti a lei, vestito completamente di bianco.

Il visino dolce scoperto, i cornrows neri tirati indietro, il piercing che luccicava sulle sue labbra.

Sembrava un angelo caduto dal cielo.

Sentì il cuore perdere un battito.

«C…ciao!» balbettò, sentendosi patetica.

Tom le sorrise, cordiale «Sei sola?»

«A quanto pare!» rispose lei, sempre più in agitazione.

«Ti dispiace se mi siedo?» le domandò ancora.

Elise scosse la testa afferrando la borsa che occupava il posto di fianco al suo.

Le tremavano le mani, le sentiva scivolose e sperò che la borsa non scivolasse via dalle sue mani.

La posò dall’altro lato e sentì il divanetto cedere appena.

Tom si era seduto.

Sentiva il suo calore al contatto con il suo corpo.

Lui sorrise «Sono Tom, piacere!» allungò una mano.

Elise la fissò con reverenza, era grande, forse tre volte la sua.

L’allungò sperando che non si accorgesse di quando tremava «Elise, piacere mio!»

Sentì i suoi occhi posarsi su di lei.

Arrossì visibilmente.

Notò la sua mano avvicinarsi al suo collo.

Afferrò il suo ciondolo d’appartenenza, guardandolo fisso.

«Sei della Crew di Marcus per caso?» domandò senza far trapelare dalla sua voce il disgusto.

Elise si pietrificò.

Piegò le mani per fare arrivare dietro il suo collo.

La sganciò sentendosi come libera, facendola ricadere nelle mani di Tom.

Quello chiuse il ciondolo a pugno, alzando gli occhi ambrati verso di lei.

«No!» disse secca, facendolo sorride.

Quel sorriso rischiava seriamente di farla sentire male.

Dal vivo era ancora più bello.

«No?» disse lui «Bene, allora non ci sarà nessun problema se ci conosciamo meglio, vero?»

Puntò gli occhi verso i suoi.

Notò la sua mano fare una proiezione all’indietro e buttare alle sue spalle il ciondolo.

Tradimento.

Ma cosa poteva farci lei?

Ignorò quella vocina che, insistente, le diceva di rifiutare.

«Nessun problema».  

 

 

 

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