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Quando è nato non pensavi avrebbe dovuto avere sulle spalle un carico del
genere – ti sbagliavi.
Quando lo guardi non vedi più tuo figlio – vedi i suoi
occhi grigi spenti, e i suoi capelli biondi quasi scoloriti, e pensi che quello
non è più tuo figlio.
E pensi che non puoi lasciarlo imbarcare in
un’impresa come questa, perché se anche lui si sentisse pronto, non è vero.
È solo un’illusione, ma in fondo sai qual è la
verità.
Lui è tuo figlio, e anche se lui può fare a meno
di te, tu non puoi fare a meno di lui.
Lei non ha mai capito – non ha mai capito
l’importanza di quello che stavano facendo.
Era come se cercasse di allontanarsi dal quel
mondo: un mondo al quale apparteneva.
Probabilmente era colpa di Andromeda.
Narcissa aveva sempre trovato Andromeda più
rassicurante, l’aveva sempre considerata più sorella.
Bellatrix non aveva avuto il tempo.
Ma dopo il tradimento di Ada, le cose erano
cambiate – e Narcissa, da quel momento, era addirittura arrivata a dubitare il
giudizio del Signore Oscuro.
Draco doveva essere più che felice ad
intraprendere quella missione, contro Babbani e traditori del sangue – ma
Narcissa non l’ha mai capito.
A/N – Questo non è esattamente un
drabble, quasi una ficlet: un drabblet?
Grazie a tutti quelli che hanno lasciato
un commento – siete stati gentilissimi.
Drabbles from Sixth Year
Proposal
Quando lei lo guardava, il mondo intero andava
in secondo piano – tutto quello che li circondava veniva annullato dalla sua
bellezza.
Niente era più importante di lei, niente era più
splendente, e delicata di lei.
E se fuori lei era una regina, dentro era ancora
più grande, e splendente: solo lui sembrava vedere la bellezza che c’era dentro
di lei.
Amava tutto di lei: la sua premura nei suoi confronti, il
suo corpo, il suo viso, il suo senso dell’umorismo, il suo modo di esprimere
affetto, la sua voce ed il suo accento…
Si conoscevano da poco, ma adesso era importante
trascorrere quanto più tempo possibile insieme – uno di loro poteva benissimo
morire l’indomani, la paura era attorno a loro, ma quando era con lei, tutto
sembrava svanire in una bolla di sapone.
Guardandola, vedeva tutte le possibilità di un
futuro insieme.
E così, seduti in un bistrot del mondo magico
parigino, lui si era avvicinato al suo orecchio, e le aveva sussurrato la
domanda, così che la gente attorno a loro non sentisse.
“Forza, tira
giù quella Pluffa, Ginny!” esclamò Ron, incitando la sua compagna di squadra a
puntare verso la porta avversaria, delimitata da due alberi di mele, dove
sostava Hermione.
“Attenta
Hermione!” gridò Harry ridendo, mentre Ginny si avvicinava alla porta
sorridendo.
Ginny non
segnò – grazie anche ad una “miracolosa” presa di Hermione – e si riportò in
aria, mentre Harry provava a sottrarre la Pluffa e segnare nella porta di Ron.
“Harry, Harry,
Harry,” disse con un finto tono saccente Ginny mentre gli toglieva la palla.
“Non puoi competere con una Cacciatrice esperta come me…”
Ginny provò a
tirare di nuovo verso Hermione, ma probabilmente tirò troppo forte, perché il
colpo la lasciò instabile sulla scopa – e Harry, in un impeto di premura, la
strinse in una specie di mezzo abbraccio.
“Sempre un
gentiluomo, eh, Harry?” chiese lei ridendo, mentre Hermione borbottava
scandalizzata di sotto.
“Sempre,”
rispose lui. “Ma sai, Ginny, non puoi competere con i riflessi di un
Cercatore…”
Fu un momento:
i loro sguardi s’incontrarono, mentre ancora sorridevano.
Harry poteva
vedere la ricca, calda tonalità degli occhi di lei, Ginny poteva vedere il suo
riflesso negli occhi limpidi e verdi di lui.
“Ehi, voi due!”
urlò Ron, evidentemente ansioso di riprendere il gioco.
Hermione aveva
lanciato loro la Pluffa, che adesso stava docilmente galleggiando a mezz’aria
in attesa che uno dei due riprendesse a giocare.
“Oh…ehm,”
riprese Harry, distogliendo lo sguardo.
“Fai pure tu,”
disse lei, facendogli segno di colpire la Pluffa per primo.
Leggermente
disorientato, Harry battè la palla, e la partita riprese.
Erano cresciute in una perfetta famiglia
normale, avevano vissuto in un quartiere alto borghese e normale, erano andate
in scuole normali e avevano frequentato scuole normali.
Perché era successo tutto quello?
Perché lei aveva dovuto rovinare tutto?
E anche da morta, era riuscita a rovinare la sua
vita, in altri modi, lasciandole un bambino avuto da quell’odioso scapestrato
con capelli terribili, quel poco di buono.
Per sedici anni era stata costretta a guardarla
negli occhi, e a guardarlo in viso.
Non era giusto, non era giusto che anche da
morta fosse riuscita a rovinare la sua serenità.
Ma era andata così e – era forse polvere,
quella?!
“Ci rivediamo, Karkaroff,” disse la voce di quell’essere
che non era più un uomo: gli occhi erano rossi, le pupille solo fessure, i
lineamenti solo meri ricordi di quelli che furono. “Dubitavi forse che non ci
saremmo più visti?”
L’uomo chiamato Karkaroff rimase in silenzio.
“Mi hai deluso,” disse a bassa voce l’altro.
“Ritirarti così dalle mie schiere, senza nemmeno una lettera di commiato…”
Alcune risate si levarono dal circolo di persone
incappucciate che li circondavano, ma si spensero quasi immediatamente.
“Sai cosa ti sta per succedere, vero, Igor?”
Karkaroff rimase in silenzio mentre cadeva in
ginocchio, come una bambola di pezza.
Nella sala era calato il silenzio, rotto
all’improvviso da un singhiozzo dell’uomo inginocchiato. Evidentemente stava
piangendo.
“Su, su, non fare così,” disse l’Essere
guardandolo senza pietà.
“Perdono, mio Signore, chiedo il vostro
perdono,” mormorò Karkaroff, che adesso si era come rimpicciolito sul
pavimento. “Perdonatemi…”
“Oh, Igor, lo sai che ho sempre avuto un
problema con il perdono…” disse l’Essere con tono freddo e compiaciuto.
“Alzati. Sii un uomo.”
Lentamente, come se avesse sulle spalle un
enorme peso, Karkaroff si rialzò, ancora singhiozzando.
L’Essere puntò quindi la bacchetta verso di lui.
“Avada Kedavra,” mormorò l’Essere, e
dalla punta della bacchetta partì una raggio di luce verde, che colpì in pieno
petto l’uomo davanti a lui.