Alyssa - La nascita

di Querthe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La riunione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Ricordi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Scontro al parco ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Una chiacchierata. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - I morti parlano ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La cuccia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Guerra! ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Un patto segreto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Il riposo dei guerrieri ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Fido e i Magoi ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Tutti nemici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - L'evocazione ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Tutto va storto o quasi. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Cambiamenti ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - La riunione ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Una nuova sfida. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - La riunione ***


La notte era fresca, sapeva di pioggia lontana e di persone impegnate a divertirsi in quel sabato sera di fine agosto. Alyssa strinse un po’ di più le mani sul parapetto del balcone, si sporse impercettibilmente e sorrise a labbra chiuse, inspirando, godendosi il pungente odore della città sotto di lei, sotto l’attico all’ultimo piano di un palazzo nel centro città. Era ebbra di felicità, e non solo di quello. Un uomo, un giovane apparentemente sui trent’anni, biondo e con il fisico muscoloso stava dormendo beatamente nel letto matrimoniale, coperto da sottili e fini lenzuola di raso bianco e rosso, il respiro leggero e costante.
- Domani non si ricorderà nemmeno cosa è successo… - pensò la donna, dai lunghi capelli neri e lisci che le sfioravano le reni, solleticandogliele. Era nuda, il corpo tornito e leggiadro coperto solo dal profumo che utilizzava e da una sottilissima patina di sudore che stava velocemente asciugando nella notte calda senza luna. - Come tutti gli uomini che mi scelgo… - mormorò, voltandosi e tornando nella stanza da letto.
Osservò l’uomo per qualche secondo, quindi gli diede un bacio casto sulla fronte, come una madre lo darebbe a suo figlio, quindi raccolse da terra i suoi vestiti e si rivestì velocemente, controllando nello specchio che aveva trovato all’interno dell’anta di un armadio se tutto era in ordine. Calze nere, scarpe di vernice nera con il tacco a spillo in metallo, un corpetto elasticizzato senza maniche nero come la notte e un bolero di pelle nera sopra una gonna così corta da non nascondere nulla erano tutto ciò che indossava. Passò la mano tra i capelli, sorridendo. La ragazza nello specchio, non più vecchia di venticinque, ventisette anni sorrise con lei.
- Buonanotte, chiunque tu sia… - mormorò diretta all’uomo nel letto, aprendo la porta e uscendo richiudendola. La chiave scattò dall’interno, chiudendola fuori.
Alyssa scese in strada, mescolandosi con la folla di esseri umani che la circondò tranquillamente, inghiottendola in una calca calda e rumorosa, ognuno perso nei suoi pensieri, ognuno non notando se non per caso la donna che si avviò a passo spedito verso un taxi a lato della strada.
- E’ libero? - chiese al guidatore, un uomo sulla cinquantina con un’incipiente calvizie, vestito con un paio di jeans e una maglietta macchiata.
- No, sono in pausa. Cercatene un altro, bella… - le rispose lui senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
- Non più. - esclamò lei in modo autoritario.
- Sono libero. Dove vuole che la porti, signora? - chiese l’uomo, chiudendo la rivista che stava leggendo e accendendo il motore.
- Cimitero maggiore. Grazie. - gli rispose, salendo in macchina e allacciandosi la cintura.
Il tassista non disse una parola per tutto il viaggio, e velocemente la portò a destinazione.
- Grazie. Tenga il resto e buonanotte.
- Buonanotte, mia signora. - rispose l’uomo, ripartendo con sguardo spento, come se fosse drogato o ipnotizzato.
Alyssa sorrise scuotendo la testa. Era troppo facile certe volte. Gli umani erano troppo facili da manipolare. Alzò gli occhi. Davanti a lei si ergeva la porta monumentale del cimitero, un’imponente struttura che ospitava tutti i morti della metropoli. Una città nella città, in qualche modo. I due demoni di pietra piangenti e dalle corna ricurve ai lati del grande cancello di nero ferro battuto stavano fermi da anni in quella posizione, osservando con occhi vuoti le persone che attraversavano quel passaggio, una sorta di varco tra due mondi.
- Quello caotico dei vivi e quello riflessivo dei morti. O uno o l’altro. Ma io… A quale davvero appartengo? Voi sapete la risposte, guardiani? - si zittì per un secondo. - No, non potete saperlo. Voi avete occhi che non vedono, bocche che non parlano, orecchie che non odono. Un po’ come gli umani. Beati loro. Se sapessero davvero…
- Sempre intenta a parlare da sola, Alyssa? Rischi di passare per pazza. - la derise una voce maschile dietro di lei.
- Meglio sembrare pazza che essere sicura di essere stronza come te, Igor. - gli rispose la donna senza nemmeno voltarsi. Sapeva benissimo chi aveva alle spalle, e perché non se ne era accorta. Lo odiava quando faceva così. E lo faceva sempre. - Cosa ci fai qui?
- Credo per lo stesso motivo per cui sei stata chiamata tu, dolce Alyssa.
- Fottiti, Igor. Se mi chiami ancora dolce ti ritroverai a guardare il tuo intestino annodato ai tuoi piedi. - lo minacciò lei, voltandosi e fissandolo con occhi pieni di rabbia.
Igor, un uomo dall’apparente età di quarant’anni, completamente calvo accennò un sorriso. Era vestito con un elegante completo nero, in cui spiccava solo la candida camicia. Solo le scarpe, un capolavoro di artigianato italiano, valevano una fortuna, ed erano il pezzo di minor pregio di quanto indossava.
- Minacce, solo minacce, Alyssa. - rise lui, superandola, dirigendosi al cancello chiuso. Quasi senza sfiorarlo lo aprì, lo scatto della serratura poco più che un insignificante rumore nella notte. - Vogliamo andare?
Alyssa iniziò a camminare, passandogli nuovamente davanti senza degnarlo di uno sguardo, tentando di non innervosirsi ulteriormente all’inchino accennato che Igor fece mentre lei lo superava entrando nel cimitero, rischiarato solo dai lumini elettrici, pallido surrogato del calore e dell’amore che le trasmettevano i ceri e le candele, quando ancora li trovava nei piccoli cimiteri di provincia o nelle chiese, accesi da mani tremanti di vecchie prossime alla morte o di piccoli che ancora non comprendevano la follia della religione, la pazzia di un Dio che governava tutto senza nemmeno guardare ciò che succedeva nel mondo da lui creato.
- Prego, è stato un onore. - disse lui seguendola, mentre il cancello si richiudeva alle sue spalle, scattando nuovamente.
Entrambi si diressero ad una tomba, ad un mausoleo che di giorno era semplicemente uno dei tanti che nessuno visitava, ma che nascondeva uno degli accessi a quel mondo che tanto Alyssa odiava e doveva amare per la natura stessa del suo essere. A volte lo aveva usato per quello che era, una tomba, a volte, come quella sera, per quello che altri avevano deciso fosse, una sala dove riunire le persone più differenti che potessero immaginarsi, ma accomunate da un retaggio più antico del tempo, un retaggio di sangue e di nobiltà che lei non aveva mai voluto ma aveva dovuto accettare, molti anni prima. Troppi anni prima.
- La porta è aperta. Non siamo i primi.
- Ovvio. I membri principali saranno già dentro a discutere delle sorti del mondo, come se a lui potesse fregargliene qualche cosa delle loro decisioni… - disse lei, varcando la soglia del grande edificio. Se fuori dava un’impressione di importanza, con la sua facciata classica, l’architrave triangolare sorretto dalle quattro colonne e il portone in bronzo anticato decorato con scene dell’Apocalisse, dentro l’aria fredda e umida, che sapeva di muffa e di cera consumata da tempo le trasmise l’idea di un grande, possente ma ormai marcio cadavere.
- Come quelli che sto per incontrare… - pensò storcendo il naso.
Una delle lastre di marmo consumato che riempivano il pavimento era stata rimossa, rientrata nella cavità creata appositamente sotto la superficie di piastrelle impolverate, rivelando una scala nera e viscida. In lontananza si potevano udire delle voci, echi lontani portati dalle pareti del corridoio a cui quelle scale ripide portavano.
- Impaurita? Dovresti…
- Igor…
- Va bene, va bene. Stasera, nonostante tu ti sia divertita, non hai un umore migliore del solito.
- Vaffanculo.
Lui le sorrise, per poi iniziare a scendere le scale, perfettamente a suo agio nel buio della cripta. Alyssa lo seguì, i suoi tacchi metallici a battere il tempo, risuonando leggermente nello stretto spazio formato dalle mura di pietra che portavano ad una porta chiusa. Un alto e muscoloso uomo, vestito come se fosse la guardia del corpo di qualche attore americano li osservò per un secondo, grugni una sorta di saluto e aprì loro la porta, portando alle loro orecchie le voci di varie persone, sia uomini che donne intente a discutere animatamente. La stanza in cui entrarono era stata ricavata da una grande cripta, probabilmente risalente a secoli addietro, ma rimodernata, resa accogliente e confortevole come se fosse una vera e propria sala riunioni. Poteva ospitare una quarantina di persone, e circa la metà di quel numero era presente in quel momento. Altri uomini erano in piedi o seduti lungo la balconata posta circa cinque metri sopra il pavimento, e quasi tutti si voltarono all’entrata di Alyssa e di Igor.
- Signori… - disse pacata una voce maschile relativamente anziana, ma che sovrastò tutti gli altri suoni.
Il brusio si azzittì nel giro di un paio di secondi.
- Non mi piace.
- Neanche a me, se fossi al tuo posto… - ghignò l’uomo accanto a lei, mentre prendeva posto su una delle tante sedie, poste lungo la parete circolare della stanza, lasciate libere.
Alyssa si trattenne dall’insultarlo, e sospirò, sedendosi anche lei. Un uomo dell’età di cinquanta, forse sessanta anni camminò con passo calmo e misurato al centro della stanza, vestito con una lunga tunica scura ornata di simboli neri e rossi alle maniche e lungo la scollatura circolare. I capelli erano grigi, lunghi appena sotto le spalle e lisci, una cornice perfetta per un volto scarno e impassibile, con occhi scuri incassati nelle orbite e un profilo che lo faceva somigliare ad un avvoltoio pronto a colpire.
- Grazie per essere venuti questa sera. Da quello che posso vedere tutti gli invitati sono presenti. Possiamo cominciare. – il silenzio che seguì quell’ultima parola era tangibile, quasi quanto il puzzo di chiuso nella stanza. – Come ben sapete, sono secoli che siamo a Milano, sono secoli che il nostro clan controlla questa zona dell’Italia, collaborando con altri clan e lottando contro altri per mantenere un equilibrio che è stabile solo grazie a continue mosse e aggiustamenti. E’ un’operazione chirurgica continua, che impegna noi del Consiglio in maniera totale, assoluta, delegando ad alcuni di voi il compito di essere il braccio come noi siamo la mente.
- Quante volte l’ho sentita questa storia… - pensò la donna, alzando gli occhi al soffitto. Una donna poco più anziana di lei la stava fissando, mollemente appoggiata alla spalla di un uomo sulla quarantina vestito di grigio. Sorrise alla donna, che voltò sdegnata la faccia come se avesse avuto schifo nel vederla. – Puttanella…
- Ma questa sera è accaduto un fatto gravissimo, che ci ha costretti a riunirvi tutti. La nostra preda appena catturata è fuggita.
Un coro di sospiri spaventati, imprecazioni ed esclamazioni di vario genere si levò dagli astanti.
- Sono sicuro che sappiate benissimo quanto questo sia un problema per noi e per i nostri piani, considerando anche l’avvicinarsi della riunione decennale che si terrà proprio in questa città. Tutte i nostri migliori elementi sono impegnati in vari compiti che non starò a ripetervi, per cui siamo costretti a ricorrere ad un elemento che non avremmo mai voluto utilizzare, sperando che avesse ancora anni di crescita prima di dover affrontare un pericolo come questo.
- Attenta bimba, è il mio momento… - sussurrò Igor alla donna, che non lo degnò di uno sguardo.
- Di certo non sono io. Il Consiglio mi odia, e mi avrebbe già eliminato se non fosse per il sangue che porto in me… - pensò Alyssa, chiedendosi allo stesso tempo il motivo della sua presenza alla riunione di quella sera.
- Signori, il Consiglio ha deciso di dare il compito di Cacciatore ad Alyssa Morville…
Improvvisamente si sentì osservata da tutti, ma non si scompose. Era abituata ad essere guardata, ma stranamente non con disprezzo come al solito, ma con stupore, invidia o collera. O puro odio, come lo sguardo che Igor le stava lanciando, i pugni chiusi, le braccia tremanti.
- …e la Preda è Alexandra Nordvirk, detta Misha.
Se Alyssa avesse avuto un cuore che batteva, lo avrebbe sentito scoppiare in petto. Nuvole nere si erano addensate attorno a lei, ma invece che tuoni, nelle sue orecchie risuonava la risata del suo peggior nemico.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Ricordi ***


Alyssa si aggirava per le tombe del cimitero osservando distrattamente le lapidi, i suoi occhi non vedevano i nomi, non vedevano i fiori, ma erano persi nei ricordi, momenti passati da così tanto tempo che si mescolavano uno con l’altro in una nebbia che la donna ringraziava per deformare e attutire i fatti che l’avevano portata ad essere quello che era in quel momento.
- Eppure, nonostante tutto, nonostante siano passati più di duecento anni, quel momento è ancora vivo nella mia mente come se fosse successo ieri. Già… Effettivamente ogni sera, ogni tramonto, tutto quello che mi è successo mi ricade addosso, e continuerà… Almeno finché Misha non mi ucciderà, dandomi la vera morte… - sorrise tristemente, sedendosi su una tomba di marmo grigio, accarezzando la superficie fredda e liscia, sfiorando la cornice di bronzo lavorata che conteneva la foto di un uomo con una barba curata e leggera, magro e dal naso aquilino.
Non era la prima volta che si fermava in quel punto, le piaceva osservare quell’uomo. Era come lui, come suo padre, il padre che le aveva dato la morte dopo averla salvata.
- Quanto tempo è passato? Troppo sicuramente, ma quel giorno di tanti anni fa me lo ricordo ancora adesso. Eravamo tornati, i miei genitori e i miei fratelli, da una gita nei dintorni di Parigi. Era bella quella città, forse sotto alcuni aspetti migliore di quella odierna, e amavo andarci, sentirmi viva, in mezzo a tutta quella gente, a tutti quei nobili che spesso frequentavano anche la corte del re. Noi no, eravamo nobilotti di provincia, i poveri nella categoria dei ricchi, ma comunque rispettati e riveriti nei nostri confini. Avrò avuto sette, forse otto anni quando successe… Già. Alfred aveva una ventina di anni, stava per sposarsi con quella vipera di Caroline, mentre Antoine amava ancora farmi gli scherzi sebbene papà gli avesse detto che era tempo per un quindicenne di comportarsi da persona matura quale era. La carrozza ci aveva portato senza problemi nella nostra villa, posta al centro dei nostri possedimenti. Eravamo dei latifondisti, assurti al rango di nobili grazie a mio nonno, che aveva comprato il titolo da un disgraziato che si era mangiato tutto per il gioco e le donne. O così credevo. Era quasi buio, il tramonto si stava spegnendo all’orizzonte lanciando lunghe ombre scure e rosse sulla terra, ombre che si erano avvicinate troppo al cancello, quella sera. Tartaro e Cerbero, che fantasie per i nomi di cani da guardia, avevano iniziato ad abbaiare come se avessero visto il Diavolo in persona, ma smisero prima che mio padre, che stava leggendo in biblioteca mentre la mamma mi raccontava una favola e i miei fratelli si sfidavano a carte, si alzasse per controllare. Un coniglio, disse, o una volpe in lontananza. O dei lupi armati di lame taglienti, rosse per il sangue delle gole dei cani, sdraiati per un sonno senza risveglio. Loro sono stati i più fortunati. Aspettarono il buio, aspettarono che la casa si addormentasse nel silenzio come facemmo noi. Non so se fu un caso, se forse papà se lo aspettasse, ma rimase sveglio a lungo dopo che fummo andati a letto. Lo sentivo muoversi irrequieto nella stanza sotto la mia. Non mi dava fastidio il suo muoversi tra i libri, tra quei pesanti tomi rilegati che sono stati sempre la mia passione, anche quando non sapevo leggere. L’odore del cuoio lavorato, quella sensazione strana di toccare con le dita qualcosa che protegge il sapere e le facezie, che racconta chi lo ha tenuto tra le mani, chi lo ha riverito e chi lo ha disprezzato è qualcosa che ancora oggi mi rilassa, mi attrae anche in questa epoca di elettronica e di digitale freddo, insensibile. Lo sono già io, voglio il caldo attorno a me. E anche quella sera volevo il caldo abbraccio della coperta, delle profumate lenzuola e del morbido letto, ma qualcosa nell’aria mi impediva di prendere sonno, per cui lo sentii muoversi ed aprire una delle finestre, come se avesse visto qualche cosa che non gli piaceva o che lo aveva spaventato o irritato tanto da prendere con sé la spada lunga e sottile che custodiva nella vetrinetta che cigolava quando la aprivi. Sentii la porta di casa aprirsi e chiudersi, e del trambusto nella stanza di mia madre. Mi ricordo che mi alzai, la lunga camicia da notte bianca come la neve, una di quelle che la mamma aveva smesso e che mi aveva sistemato per le mie misere misure dopo che avevo insistito per giorni, i piedi scalzi sul freddo pavimento di pietra lucida. Mi avvicinai alla porta, ma questa si spalancò di colpo, facendomi urlare e indietreggiare, le lacrime agli occhi. Mia madre era sulla porta, i lunghi capelli biondi che uscivano in ciocche dai lati della cuffia da notte, lei così precisa ed elegante anche nelle situazioni più informali. Stavo per chiederle cosa stava succedendo, ma lei mi prese tra le sue braccia e mi sollevò, stringendomi al suo petto così forte che mi spaventò ancora di più invece che calmarmi. Stava singhiozzando, era terrorizzata, lo potevo sentire nei tremiti dei muscoli, nello sguardo fisso e nelle frasi spezzate. Le chiesi di Antoine e di Alfred, ma lei non rispose, uscendo dalla stanza con me senza nemmeno chiudere la porta. Le ripetei la domanda, ma lei mi mise una mano sulla bocca, pregandomi di non parlare. Mi portò di corsa in una delle stanze degli ospiti, una di quelle che nessuno aveva mai usato perché non era mai stata completata, e ormai era diventata una sorta di ripostiglio per tutto ciò che non serviva, che si era rotto o che stavamo aspettando di buttare. La mamma mi mise giù, chiuse la porta dall’interno e si diresse sicura al camino, ingombro di pezzi di legno, una gamba di un tavolo e un arazzo strappato. Li rimosse velocemente, quindi spinse uno dei mattoni che si trovavano sulla parete di fondo, e l’intero pavimento del camino si abbassò come una botola. Piangendo e chiedendomi continuamente scusa mi calò nel piccolo locale sotto il camino, dicendomi di stare tranquilla e che sarebbe venuta a riprendermi appena tutto fosse finito. Prima che io potessi riprendermi da quello che avevo appena visto la botola sopra di me si richiuse, lasciandomi al buio più totale, e sentii che mi madre aveva riposizionato i legni e il resto sopra la botola. Non so quanto tempo rimasi in quella piccola stanza, le gambe piegate e braccia avvolte attorno alle ginocchia, singhiozzando come una stupida bambina quale ero, ma alla fine sentii nuovamente dei rumori nel locale sopra di me. Mi ricordo che sospirai e bloccai il mio respiro, incerta se mettermi a gridare o se rimanere in perfetto silenzio. Decisi per la seconda ipotesi, ma non potei fare a meno di gridare quando vidi la botola aprirsi e il volto di uno sconosciuto affacciarsi. Non sorrise, quell’uomo sulla cinquantina, il viso affilato, solo dei baffi leggeri e un pizzetto nero che si intonava con i capelli leggermente brizzolati. I suoi occhi erano due buchi neri, non riflettevano la luce, non avevano colore o riflessi. Non sorrise, ma allungò il braccio e mi prese per la vita, sollevandomi con una mano come se fossi un fuscello, posandomi sul pavimento freddo della stanza. Non disse una parola, si girò e si diresse alla porta. Era vestito di nero, velluto nero e camicia bianca all’ultima moda. Si girò e mi fece segno di seguirlo. Gli chiesi chi fosse, e dove fossero i miei genitori e i miei fratelli. Lui sorrise, un sorriso che fu come una pugnalata, e mi rispose che non volevo saperlo, e che dovevo seguirlo se volevo evitare di morire davvero. Gli richiesi dove fosse mia madre, iniziando a piangere, e non mi mossi dalla stanza. Lui aprì la porta e mi chiese se volevo davvero vedere mia madre. Io annuii, gli occhi bagnati dalle lacrime. Lui sorrise di nuovo, e mi disse di seguirlo, che mi avrebbe portato da lei, se insistevo tanto. Mi tese la mano e io la presi, sebbene titubante. I corridoi erano silenziosi, troppo silenziosi, come se qualcosa o qualcuno li avesse coperti con un manto di silenzio. Dietro una curva vidi qualcosa che ancora adesso mi è restata in mente vivida come una fotografia. Il corpo di un uomo, uno degli aggressori, era per terra, la testa fracassata contro il muro del corridoio, una rosa di sangue e di cervella che stava rapprendendo attorno al cranio ridotto come un melone maturo colpito da una mazza. Gridai, ma lui non si scompose, passando davanti al cadavere e costringendomi a camminare, trascinandomi con lui fino al salone di ingresso. La porta principale era aperta, il corpo di un ragazzo, che riconobbi immediatamente come Antoine la teneva aperta, riverso, la faccia verso il pavimento. Gridai e tentai di correre da lui, ma lo sconosciuto mi bloccò semplicemente con uno strattone, senza mai lasciarmi la mano. Mi disse che mia madre era nella biblioteca, vicino a mio padre. Gli dissi che non volevo vederla, che se era morta non volevo vederla per non crederci, ma lui scosse la testa lentamente e mi sollevò solo per il braccio, facendomi male. Mi disse che gli avevo chiesto di vedere mia madre, e ora l’avrei vista. Lo spettacolo fu raccapricciante. Era stata uccisa, dilaniata mentre mio padre era stato inchiodato per le mani ad una parete. Era ancora vivo quando lo sconosciuto è arrivato, lui me lo disse, e lui lo uccise, per farlo soffrire meno. Non avevo più nessuno, mi spiegò, tutta la mia famiglia era stata uccisa solo perché si erano alleati con le persone sbagliate, ma avevo ancora una scelta. Lui poteva uccidermi, o poteva tenermi in vita. Per sempre, per cercare la vendetta, per rifarmi un’esistenza. Mio padre era riuscito a strappargli la promessa di salvarmi dagli assassini, e lui lo aveva fatto, uccidendo gli assalitori, ma quello che mi aveva proposto era oltre il patto tra lui e mio papà. Io non sapevo cosa dire, ero rimasta a fissare il corpo martoriato di mia madre, dimenticando che fine poteva aver fatto Alfred, o perché era successo tutto ciò, o chi era quello sconosciuto. Le lacrime non volevano scendere, erano troppo spaventate anche loro, ma l’uomo mi scosse una spalla, obbligandomi a guardarlo in viso. Mi chiese se volevo morire in quel momento, e io scossi la testa. Lui fece una smorfia, non so ancora oggi se fu contento o se si era rammaricato anche solo per un istante sapendo a cosa andavo incontro, e mi prese tra le sue braccia. Istintivamente mi aggrappai al suo collo cingendoglielo. Notai che era freddo, era senza calore come un cadavere. E non mi ero poi così tanto sbagliata, quella notte. Il mio nuovo Padre si dimostrò gelido come la pietra, ma mi insegnò bene il mestiere, e divenni un’ottima ladra e una discreta assassina, visto che quello era il suo lavoro e stava divenendo anche il mio. Poi un giorno accadde un fatto inaspettato. Io ero rientrata prima del previsto, e mi era venuto in mente di tendergli un tranello, una sorta di scherzo che spesso lui mi aveva giocato. Mi nascosi accuratamente, e lui non si accorse di nulla, quando entrò portando con sé il corpo di un giovane che poteva avere la mia età, circa ventitre anni. Lo adagiò sul suo letto, potevo vedere che respirava tranquillo come se fosse addormentato. Padre lo guardò, quindi sorrise, un sorriso a labbra aperte, il primo dei due che vidi, quindi si avventò sul suo collo come un animale feroce. Il giovane ebbe uno spasmo, quindi mugolò come di piacere, e si rilassò. Dovetti ricorrere a tutte le mie forze per non fare rumore, ma quando alzò la faccia, mostrando le labbra, il mento e parte del naso sporchi di sangue non potei fare a meno di emettere un grido, che subito attrasse la sua attenzione. Come un lampo si diresse al mio nascondiglio e mi scoprì. Non so chi fu più sconvolto, se io o lui, ma quello fu il giorno in cui io scoprii che i mostri, le leggende erano solo una strana realtà, e tre anni dopo ottenni il dono di vivere seppure morta. Ora capisco perché non voleva acconsentire, e della sua frase che mi disse quando mi morse per trasformarmi. E’ proprio vero, a questa morte non si può sfuggire nemmeno uccidendosi. Poi un giorno lui non tornò al nascondiglio, di lui persi le tracce, finché un giorno…
- Alyssa. Ci sei? Terra chiama Vampira. Rispondi Vampira… - ridacchiò una voce femminile alle sue spalle, rompendo il filo dei suoi pensieri.
- Rose? Che diavolo ci fai qui? Lo sai che se ti vedono ti trattano come un antipasto.
- Non ti preoccupare, ho un paio di trucchi nelle maniche. Sei più macabra del solito. Cosa ti è successo? – chiese la donna, una trentenne dai lunghi capelli neri raccolti a treccia, vestita con una tuta comoda nera e con un piccolo zaino in spalla.
- Niente, niente. Tu sei già di ritorno dal lavoro?
- Già. – ridacchiò l’umana, mostrando lo zaino. – Quella signora dovrà rifarsi la collezione, mentre io ho qualche ninnolo in più. Ti va qualcosa da bere? Offro io.
- Spiritosa. Ma comunque è meglio andarcene. Sei in pericolo qui.
- Andiamo da te. Forse riesco a farti tornare il buon umore… - disse maliziosa facendo scendere lentamente la lunga zip della tuta scoprendo la pelle bianca come la luna fino all’inizio dei seni.
- Stupida… - ridacchiò la vampira.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Scontro al parco ***


Era stata nascosta per quasi tutta la giornata, tentando di far risanare le ferite che le avevano inferto le guardie della prigione prima che le finisse spezzando loro le ossa del cranio o del torace con dei calci ben piazzati, ma l’entità di alcune di esse era così elevata che anche il fatto di essere una Pura non le era servito a molto. Certo poteva concentrarsi e far smettere almeno di sanguinare gli squarci rimasti aperti, ma se solo per un attimo smetteva di pensarci, subito si riaprivano. Il dolore, quello era diverso, quello lo sentiva comunque. Armi argentate, se non di argento puro, per farle un lavoro così.
- Che siate maledetti oltre quello che già siete, maledetti succhiasangue. Speravate forse che una Nordvirk si sarebbe arresa solo per così poco? – pensò la giovane, ansimando seduta su una panchina in un angolo riparato del Parco Indro Montanelli. – Mark di certo si sarà preoccupato, anche se sa che posso cavarmela. Devo trovare comunque un modo di contattarlo. Il problema è che non so come fare. I normali canali sono controllati, o non mi avrebbero beccato come una stupida a Linate. Bel lavoro, fatto da professionisti umani, non ho sentito il loro odore addosso ai miei rapitori. Non ho avuto il tempo di reagire, e il sonnifero usato avrebbe stroncato un elefante. – Sospirò, una fitta al fianco destro, dove la lama di uno dei tre vampiri che aveva ucciso era riuscita a penetrare in profondità. – Bella storia. Devo nutrirmi, ma mi piace poco l’idea di rubare ancora. Uccidere degli umani non se ne parla, sono in territorio neutrale, non posso mettermi a fare casino.
Si alzò, e lentamente, le prime ombre della sera a rendere tutto un po’ più scuro, più cupo, si mise a camminare. Indossava una tuta grigia che aveva rubato ad una bancarella di un mercato rionale e delle scarpe da ginnastica sfondate trovate in un bidone della spazzatura. La sua figura atletica e leggermente muscolosa era nascosta dall’indumento troppo grande per la sua misura, ma anche se vestita in modo trasandato, le poche persone in giro a quell’ora che la osservavano non potevano fare ameno di notare una certa nobiltà, una certa eleganza nel suo portamento, nella fluidità dei movimenti anche ora che erano impediti dalle ferite. Il volto era un insieme di elementi mediorientali e nordici. I lunghi capelli biondi e lisci trattenuti a coda di cavallo da un elastico risaltavano e venivano fatti risaltare dall’incarnato scuro, quasi olivastro del volto, dove due profondi e sottilmente inclinati occhi verdi scrutavano il mondo con attenzione, incuranti della luce sempre più fioca, grazie alle sue innate capacità di visione notturna.
- Già. Mai avuto bisogno di una torcia elettrica. Uno dei vantaggi di essere una gatta mannara. – sorrise.
Sentì un rumore alle sue spalle, e si voltò velocemente. Un guardiano stava iniziando a fare la ronda e a far uscire le persone per l’ora di chiusura. Alexandra controllò che nessuno la stesse vendendo, quindi saltò su uno degli alberi vicini e si nascose quasi in cima, perfettamente invisibile all’uomo, che passò sotto di lei senza accorgersi di nulla. La ragazza, dall’età apparente di venticinque, ventisette anni attese finché non sentì l’ultimo cancello chiudersi, quindi scese dall’albero e si diresse verso un ben preciso punto del parco.
Sapeva che a volte quel punto era ritrovo di alcuni licantropi di Milano. Avrebbe aspettato vicino a quella panchina sperando che qualcuno si facesse vedere, così da iniziare a mettersi in contatto con il suo popolo, e quindi con suo fratello. Venne il buio, ma non si fece vedere nessuno. Alexandra iniziò ad essere irrequieta, oltre ad avere fame. Sapeva che poteva resistere ancora del tempo, ma non molto, o sarebbe stata troppo debole per resistere all’Istinto. Qualcosa nell’aria le diceva di stare all’erta, qualche cosa nell’aria le diceva che non era al sicuro, ma non diede retta a quella vocina, e rimase seduta sulla panchina. Chiuse gli occhi un istante, sopraffatta dalla stanchezza.
- La bella addormentata… - ridacchiò cattiva una voce alle sue spalle.
Prima ancora di guardare, la giovane sapeva già chi aveva dietro, e chi erano, o meglio cosa erano le altre due persone davanti a lei.
- Servitori. Quei maledetti vampiri a metà. Noiosi normalmente, ma nelle mie condizioni potrebbero presentare dei seri problemi. - Aprì gli occhi e fece una smorfia. – Andatevene, vi conviene… - sibilò.
- Grazie per il consiglio, ma che ne dici invece di venire via con noi senza fare tante storie? I nostri capi potrebbero anche prendere in considerazione di non ucciderti subito… - ridacchiò uno dei due davanti a lei. Entrambi erano vestiti da metallari, con giubbotto borchiato di pelle nera e anfibi senza lacci.
- Ma quanto siete gentili. Ve lo dico l’ultima volta. Andatevene con le vostre gambe, finché sono ancora parte integrante del vostro corpo.
Sentì gli scatti di due coltelli a serramanico, e una catena si schiantò a lato della panchina, proveniente dal Servitore alle sue spalle.
- Muoviti, bestia.
- Non si parla così ad una signora… - ringhiò lei. Decise di passare alle maniere forti, e si trasformò.
Tutto il suo corpo si ricoprì di una fine peluria chiara, quasi argentea, mentre il volto si allungava leggermente, le orecchie venivano risucchiate nel cranio mentre quelle nuove, appuntite, comparivano in cima alla testa. Le unghie delle mani e dei piedi si allungarono, arcuandosi e irrigidendosi fino a diventare veri e propri artigli minacciosi. Vibrisse crebbero sul naso, in quel momento nero e leggermente schiacciato, e le punte di denti aguzzi spuntarono dal labbro superiore del muso come una lunga coda cilindrica e sinuosa si creò appena alla fine della schiena, nascosta dalla tuta che ora era della misura giusta per il corpo muscoloso dell’essere.
- Attenti.
- Già. – ringhiò lei. – State attenti, rischiate di rimanere vivi… - li sfidò, un lampo di sicurezza negli occhi gialli e senza pupille.
Uno dei due con il coltello, un biondino dalla barba sfatta, si gettò verso di lei, ma Misha lo evitò agilmente, saltando sulla panchina e quindi dietro le spalle del primo che aveva parlato.
- Preferisco vedervi in faccia.
- Cazzo, non l’ho nemmeno vista muoversi.
- E ringraziate che sono ferita, così potrete vedere il momento in cui vi uccido. Altrimenti non avreste visto nemmeno quello.
- Parole, piccola, parole. Vediamo come te la cavi davvero! – sorrise l’uomo con la catena, facendola roteare e lanciandola come una frusta verso di lei.
La gatta tentò di evitarla, ma un’improvvisa fitta al petto la bloccò a metà del movimento, e la catena la raggiunse in pieno viso, facendola cadere per terra sanguinante.
- Una delle ferite… - pensò stordita dal dolore. La rabbia stava montando nel suo cuore e nel suo cervello. Era indecisa se abbracciarla o rigettarla.
- Primo sangue…
- Vero, ma la battaglia non è ancora finita. – rispose lei alzandosi. La botta e la ferita causate dalla catena si stavano già rimarginando e sparendo. – Se pensano di uccidermi così facciamo Natale, ma possono essere comunque fastidiosi, e il fatto di essere una mannara non vuol dire che mi diverta a farmi prendere a catenate in faccia. – pensò, vedendo se aveva delle possibilità di fuga o se doveva proprio combattere. Non aveva scelta. – E va bene, facciamo sul serio.
Saltò in piedi, rimosse dal cervello tutto il dolore che stava ricevendo dalle ferite e si abbandonò alla furia pura della battaglia, quella marea di lava che le bruciava l’anima trasformandola in una guerriera senza pari anche tra i suoi simili. Si avventò sul più vicino, il biondino con il coltello, bloccandogli il braccio al polso con la sua zampa. Con l’Istinto che le rombava nelle orecchie quasi non si accorse del rumore di ossa rotte mentre glielo spezzava, facendogli cadere l’arma, ma sentì benissimo il caldo del sangue sulla mano destra mentre penetrava nel petto dallo stomaco, entrando come un gancio di un pugile, facendosi strada nella pancia, e poi su nei polmoni, finché non gli agguantò il cuore, tirando verso il basso. Il Servitore si accasciò al suolo sbavando sangue. Misha gettò ai suoi piedi l’organo che aveva tenuto tra gli artigli, sorridendo malvagia verso i due aggressori rimasti, che fecero un passo indietro, mettendosi una mano alla bocca.
- Ma voi non eravate abituati a ben altro? Non siete dei Servitori? Dovreste essere avvezzi al sangue. – li derise. – Ah, già, scusate, voi di solito vedete quello dei vostri nemici, non dei vostri amici… Beh, oggi avete imparato una cosa nuova. Peccato sarà l’ultima.
- E’ peggio di una bestia, Mario. Questa è solo da uccidere e basta.
- Non la vedo comunque facile. Luca è morto senza nemmeno accorgersene.
- Zitto. Noi dobbiamo eseguire degli ordini, e quelli eseguiremo. – lo rimbeccò il tizio con la catena, dai capelli neri e lunghi, ricci ma comunque curati. – Fai come ci è stato ordinato.
- Come vuoi. Il capo e il morto sei tu. – ringhiò l’essere sorridendo malvagia.
- Vai! – gli urlò lui, iniziando a roteare di nuovo la catena per tenere Alexandra lontana. L’aggressore con il coltello iniziò a correre nella direzione opposta a dove lei si trovava, come a fuggire.
- Piano B, ovvero fuga? – ridacchiò lei, ma il suo sorriso si spense vedendo estrarre dal giubbotto un telefonino. – Cazzo, chiamate rinforzi, eh?
L’uomo rispose con un ghigno, e si avventò su di lei con tutte le sue forze. Lo evitò, sebbene a fatica, ormai allo stremo. La vista le si sdoppiò un istante, abbastanza per lui per colpirla nuovamente al volto, e poi varie volte alla schiena, mentre lei era a terra sanguinante.
- Crepa, maledetta, crepa! – gridò l’uomo, ma Misha ebbe la forza di reagire, rotolando via dalla catena e rialzandosi.
Lo sguardo era spento, non vi era traccia di umanità in lei, e solo come un animale ferito può fare la ragazza si avventò a zampe protese sull’aggressore, le fauci spalancate a cercare la gola, che trovò facilmente, dopo aver bloccato con un braccio la catena, che si avvolse sull’arto con uno schianto secco. Dopo alcuni lunghissimi secondi la gatta mannara si staccò dal cadavere dell’uomo, il muso sporco di sangue fresco, e cercò con lo sguardo e con gli altri sensi l’ultimo aggressore. Lo vide poco lontano, e si mise a correre con grandi balzi nella sua direzione. Inciampò, le ferite e la stanchezza a prendere il sopravvento e rotolò nel terreno secco e polveroso del sentiero, finendo schiena a terra ansimante, la vista annebbiata.
- Mmmmghttt… - mormorò, tentando di rialzarsi, ma ottenne solo di sentire una fitta incredibile alla testa. Il dolore fu tale da farla uscire dall’Istinto. – Sono finita. Adesso anche un bimbo potrebbe uccidermi…
Si stava aspettando un colpo secco o una risata, ma vide invece due figure scure e incappucciate avvicinarsi a lei. Le loro voci e il loro aspetto erano indistinte, come ovattate dalla nebbia e lontane. Sapeva che stava per svenire.
- E’ lei? – disse una voce, femminile.
- Tu che ne dici? – rispose l’altra, anche lei appartenente a una giovane donna o a una ragazza.
- Sembra tenera e indifesa…
- Tu sei tutta scema, e io a darti retta. Forza, portiamola via prima che i Fighetti arrivino richiamati dalla telefonata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Una chiacchierata. ***


Alexandra inspirò profondamente, ancora intorpidita dal sonno e dalla stanchezza. Alle sue narici, molto sensibili anche se si trovava in forma umana, arrivarono tre odori che non poteva non riconoscere. Uno le piacque, gli altri due molto meno.
- Cibo, cibo vero e fresco. Peccato la puzza di vampiro e di Servitore… - pensò, tenendo ancora gli occhi chiusi. Decise di evitare di porsi la domanda del perché fosse ancora viva. – Forse mi hanno catturato nuovamente…
- Ehi, sei sveglia? – disse la voce che per ultima aveva sentito prima di svenire nel parco.
- La cosa ti da fastidio? – mormorò senza muoversi.
- Potresti almeno essere un po’ più gentile. Ah, Pulciosi… E io che mi aspettavo qualcosa di più.
- Dai, non fare così. Diciamo che non è stata trattata poi così bene…
- Cosa fai, la proteggi?
- Non la sto proteggendo, Alyssa. Semplicemente è un essere umano come me e te. Comunque sia deve essere trattata civilmente.
- Rose, ti vorrei ricordare che io sono una vampira e lei una mannara. Forse l’unico essere umano presente sei tu, anche se ho i miei dubbi, visto quello che sai fare.
La giovane dai capelli biondi aprì gli occhi, incuriosita e quasi infastidita dal discorso e dal fatto di essere stata ignorata. Si trovava in locale senza finestre, abbastanza spazioso, molto probabilmente un rifugio sotterraneo. Era arredato con stile, semplice ma funzionale, alcuni quadri alle pareti, tutto di gran pregio. Lei era sdraiata su un materasso pulito all’interno di una gabbia. Un leggero rumore metallico le fece capire che la gabbia era elettrificata. Si guardò attorno, non notando nessun meccanismo di apertura.
- Non puoi uscire. Non ci sono porte.
- Come no, Succhiasangue. E come mi ci avete infilata qua dentro?
- Così. Alyssa, puoi…
- Con piacere. – rispose la vampira, schiacciando l’interruttore che tolse la luce alla stanza.
Misha si sforzò di vendere nel buio, ma quello era quasi innaturale, e poté solo distinguere delle ombre muoversi furtive, prendere forma e dissolversi come se fossero animate di vita propria, quindi la luce ritornò, e un piatto di biscotti era appoggiato vicino a lei.
- Santo…
- Non scomodare i santi. Solo un po’ del mio talento… - ridacchiò Rose, pulendosi le mani come se fossero state sporche delle briciole dei biscotti. Sono buoni, li ho fatti io questa mattina. Assaggiali. Alyssa non vuole, dice che le rovinano la linea…
La giovane non poté fare a meno di sorridere della battuta. Non era una Servitrice, non si comportavano così, eppure conosceva i vampiri e i licantropi.
- Perché sono viva?
- Devo ucciderti.
- Ah, questo spiega tutto. – mormorò lei mentre addentava un biscotto. – Dio come è buono… - sospirò chiudendo gli occhi.
- Grazie. Hai ancora delle ferite aperte. Possiamo aiutarti in qualche modo?
- No, grazie, dovrei riprendermi in poco tempo, se ho un po’ da mangiare e del tempo per riposarmi. A proposito, quanto ho dormito?
- E cosa sono io, la tua cameriera?
- Non badarci, le va subito il sangue alla testa. Hai dormito quasi un giorno intero. Del latte?
- Sì, grazie. Vado pazza per il latte…
- Già, e magari anche un bel gomitolone di lana per giocare. Ma dico, Rose, ti pare il momento di essere gentili?
La giovane voltò la schiena alla gatta mannara e si pose proprio di fronte alla vampira, le mani chiuse a pugno sulla vita.
- Il fatto che i Vampiri e i Licantropi si debbano odiare non è un buon motivo per trattare male un ospite. Ti rammento che sei pur sempre a casa mia. E’ chiaro, Alyssa?
- Ma io… - alzò la voce la non-morta, mostrando i lunghi canini appuntiti.
- E’ chiaro? – ripeté dura l’umana.
Seguì un secondo o due di silenzio. Misha sentì i capelli rizzarsi sulla testa.
- Sì. Scusa.
- Perdonata. Ora, se vogliamo essere persone civili, direi che bisognerebbe almeno presentarci. Poi, se vorrete insultarvi o uccidervi, sono affari vostri, ma lo farete fuori da casa mia. – esclamò lei, voltandosi di nuovo verso la gabbia. – Allora, io sono Rose Miridini, lei è Alyssa Morville mentre tu, se non ho capito male, ti chiami Misha.
- Alexandra Nordvirk, per l’esattezza. Comunque alcuni mi chiamano Misha. Lieta.
- Oh, vedi Alyssa, non è poi così difficile essere persone civili… - la prese in giro Rose.
La vampira mormorò qualcosa e incrociò le braccia sul petto.
- A parte uccidermi, perché mi avete salvato? Erano al soldo dei vampiri anche quelli con cui stavo combattendo…
- Già, ma non mi piace che mi rubino la preda da sotto il naso, soprattutto se a rubarmela è un’infame Fighetto.
- Cosa sono, una nuova razza di Vampiri tipica di Milano?
- No. Sono vampiri come me, ma sono di un’altra casata. Loro dicono di essere i più nobili. Bah, tutte storie. Sono solo i più stronzi…
- Effettivamente quell’Igor è davvero una carogna. – confermò Rose annuendo. – Comunque ti abbiamo salvato perché il merito della tua cattura o della tua morte vada alla persona giusta, ovvero lei.
- Che gentili. Allora fatemi fuori e facciamola finita, no?
- Non è così semplice. – disse seria Alyssa sedendosi su una vicina poltrona. – Mi è stato dato un ordine, e io intendo eseguirlo. Ma non mi è stato detto quando, per cui non ho tutta questa fretta di ucciderti. Voglio capire alcune cose prima.
- E cosa ti fa pensare che io ti possa essere d’aiuto? – borbottò con la bocca piena di biscotti Misha.
- Beh, rispondendo ad alcune domande. – rispose Rose, porgendole una bottiglia di latte fresco tra le sbarre, facendo attenzione a non toccarle.
- Grazie. - disse lei prendendo il vetro e svitando il tappo - Ma dubito che possa dirti più di quello che tu già sai, essendo una di quelli che mi ha rapito.
- Errato. So che anche da voi ci sono delle divergenze interne, e che siete divisi in clan. Sono state le alte sfere a rapirti, e a me hanno dato l’ordine di ucciderti se non riuscivo a catturarti.
- Ah, sei un pesce piccolo, quindi?
- Per favore, Alexandra. Il discorso che ho fatto ad Alyssa vale anche per te.
- Quindi vorrei sapere da te perché ti hanno rapito. Io ti conosco di fama, so che sei una guerriera implacabile, e buona parte della tua forza l’hai ereditata dal sangue della tua famiglia, originaria delle tribù licantrope del Nord Europa. Tuo fratello, Mark, è uno dei capi clan, se non mi ricordo male.
- Più o meno. Markus Nordvirk, mio fratello, è il maggiore esponente dei licantropi Ribelli. Non siamo un clan, siamo una sorta di fazione che nega ogni tipo di legame e di vincolo al di fuori delle amicizie e dei patti di sangue. Non vogliamo fregiarci di titoli o di parentele come fanno alcuni dei nostri fratelli. Per loro il solo fatto di avere sangue di uno o dell’altro nelle vene è sinonimo di diritti e di doveri, anche se sono dei perfetti incompetenti…
- Mi ricorda qualcuno… - sorrise ironica Alyssa. – Per cui tuo fratello asserisce che il potere lo deve conquistare chi dimostra di poterlo prendere, e non per diritto acquisito?
- Non solo, ma solo questo basta a metterlo in cattiva luce nel Consiglio degli Anziani. Abbiamo amici ovunque, ma anche nemici.
- Ma Milano non è nelle mani di un clan radicato da tempo in Lombardia?
- Già. Sono una famiglia antica della stirpe dei Cani di Attila. Gente severa e crudele, convinta di essere dei veri guerrieri solo perché uno di loro era al servizio del re degli Unni, secoli, fa. Ma sono comunque molto ascoltati tra la nostra gente, per cui…
- Per cui Mark è qui per una sorta di patto o qualcosa di simile, vero?
Misha annuì lentamente.
- Le cose iniziano ad essermi un po’ più chiare. Quello che non capisco è perché ti hanno catturata? Volevano Mark?
- Probabile.
- O meno semplicemente volevano che scoppiasse una guerra fratricida.
- Cosa stai dicendo, Rose?
- Ragionaci su, Alyssa. Mark è in territorio neutrale, forse nemico, venuto a parlare e parlamentare con una stirpe che se non mi ricordo male da quello che mi hai detto è una delle più sanguinarie. Cosa meglio di un incidente diplomatoc per fomentare gli animi? La sorella di un importante licantropo viene rapita, uccisa, e come minimo alcuni del clan di Mark daranno la colpa ai sanguinari Cani di Attila. Loro negheranno, dicendo che non centrano nulla, ma ormai la rottura è fatta, il patto salta, e i rapporti si tendono. A questo punto basterebbe una scintilla qualsiasi per far scoppiare una polveriera.
- E i vampiri starebbero a guardare, aspettando che il vincitore, ferito e debole, stramazzi di fronte a loro, freschi e riposati. – disse con una smorfia la licantropa.
- Fila tutto. Ma allora perché affidarmi un compito così difficile? Perché non ucciderla e basta?
- Uno lei è fuggita, e due…
- … due hanno un’ottima occasione per farmi fuori, visto che non sono una vera Scrivana, e i Fighetti mi odiano… - ringhiò la vampira, stringendo i pugni fino quasi a ferirsi da sola a causa delle affilate unghie. – L’hanno pensata bene, gli stronzi, ma gliela farò pagare…
- Sembrerebbe che abbiamo un nemico comune. Se mi hanno catturata c’è una talpa nei clan, e ho una vaga idea di dove andare a trovarla…
- E se unissimo gli sforzi?
- Rose, mi stai dicendo di mettermi con una Pulciosa? Mai!
- Io con una Succhiasangue? Piuttosto morta!
- Scommettiamo? – sorrise la donna.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - I morti parlano ***


- Dimmi un po', Alyssa, ma lei è sempre così?
- No. - rispose la donna, mentre la macchina sportiva di Rose sfrecciava nelle vie di Milano in direzione del quartiere della Fiera. L'aria, per quanto sporca delle polveri sottili e dell'odore di gasolio non ben bruciato, portava alle narici di Misha i profumi di una città viva e pulsante anche durante le ore notturne. Molti locali, nonostante fosse passata la mezzanotte, erano non solo ancora aperti, ma anche affollati di gente. - Molte volte è anche peggio...
- Se fai un altro commento del genere su di me ti faccio viaggiare nel bagagliaio. Tanto sei abituata alla bara, per cui...
- Molto spiritosa... - mormorò falsamente arrabbiata la vampira. - Alexandra, come mai sei così certa che questo tizio, Alberto, ti possa dare delle notizie interessanti? Se avete una talpa nel clan, come puoi essere certa che non sia lui?
La bionda sorrise.
- Ha un vincolo di sangue con me. E' una sorta di Servitore, ma non è esattamente qualcuno che si è sottomesso a me. E' piuttosto un'amicizia molto profonda. Ha giurato fedeltà a mio padre, e poi a Markus e a me. Si farebbe uccidere piuttosto che tradirci.
- Gli uomini cambiano...
- No Rose, non lui. Il vincolo è tale che se lui lo rompesse lo saprei immediatamente, sarebbe come se mi avessero sparato direttamente al cuore. Non mi ha tradito.
La macchina giunse a destinazione. La zona era buia, solo la strada illuminata da pochi lampioni che rendevano l'atmosfera vagamente lugubre, il colore giallastro che copriva tutto come un sudario malaticcio si estendeva in ogni direzione fino a svanire nel buio dei vicoli o essere sconfitto dalle forti luci al neon, alcune fisse, altre lampeggianti per la cattiva manutenzione.
- E' quella. Quel ristorante cinese... - disse la giovane indicando un ideogramma blu elettrico appena sopra una porta chiusa, il cartello che indicava gli orari di apertura e chiusura ben visibile al centro del vetro.
- Ci sono venuta un paio di volte. Non si mangia male... - commentò Rose chiudendo l'auto, che lampeggiò indicando l'accensione dell'antifurto.
Le tre si diressero a passo svelto all'entrata, dove Misha bussò alcune volte, stando attenta al ritmo e alla durata delle pause tra un colpo e l'altro. Nessun rumore giunse dall'interno. Il segnale fu ripetuto, ma ancora la stessa mancanza di risposta iniziò ad allarmare la bionda, che provò ad aprire la porta.
- Che diavolo... - borbottò, scoprendo che non era chiusa a chiave.
- Aspetta. - le disse seria l'umana, spostandola. Con destrezza infilò la mano nello spiraglio aperto e afferrò i pendagli metallici che avrebbero suonato allegramente se la porta si fosse aperta oltre, quindi fece entrare le due amiche e richiuse, lasciando con tocco leggero i sottili tubicini metallici argentati, che ritornarono al loro posto senza emettere alcun rumore. - Non si sa mai...
- Hai ragione... - ringhiò sommessamente Misha, che si era trasformata nella forma ibrida con cui l'avevano vista per la prima volta Alyssa e Rose. Il top nero senza maniche a collo alto e i pantaloni elasticizzati dello stesso colore erano tesi sul muscoloso corpo dell'essere, le unghie, seppure ritratte, a grattare leggere sulle piastrelle del pavimento.
- Ferme. Prima di fare passi falsi. Se ci sono dei vampiri in zona siamo nella merda.
- Loro lo sono.
- Lasciala fare Misha. Alyssa sa il fatto suo...
La vampira chiuse gli occhi e respirò a fondo. Non ne aveva bisogno davvero, ma la sequenza che si era imposta decenni prima le permetteva di focalizzare le particolari energie magiche che erano la peculiarità della sua linea di sangue. Con un colpo secco di una delle unghie si fece un piccolo taglio sull'indice sinistro, usandolo come se fosse una penna per tracciare un lucido quanto esotico disegno davanti a lei, che alla fine risultò essere poco più grosso della sua mano. Il taglio al dito si stava rimarginando, e già non esisteva più nell'istante in cui i suoi occhi si posero sul simbolo che aveva creato.
- Mostrami o Arcano del Sapere nemici e amici fin dove il mio potere me lo consente. Ora. - disse con voce ferma.
Stava sussurrando, ma a Misha quelle parole sembrarono pesanti e intrise di potere tanto da rimbombarle nel cervello. Due piccoli fuochi azzurri si accesero attorno a lei e a Rose, spaventandole a morte.
- Che cosa stai facendo? - urlò balzando lontana dalla fiamma, che stava già svanendo.
- Se volevi un effetto sorpresa, Pulciosa, te lo scordi. Comunque siamo solo noi tre nel raggio di una ventina di metri.
- Non mi piace...
- Se per quello nemmeno a me. Il tuo amico deve essere andato a fare un giro.
- Non credo. - disse Rose, che si era affacciata alla porta della cucina. - Alyssa, vieni a vedere. - Le due giovani si mossero contemporaneamente. - Misha, non te lo consiglio.
La gatta mannara inspirò a pieni polmoni.
- Morte. Recente. Più persone. Sento ancora il sangue.
- Un lavoro meno pulito di quello che potrebbe fare un macellaio... - mormorò Alyssa sulla porta. Rose dovette uscire dalla stanza e chiudersi nei bagni, da cui provennero strani ma inequivocabili suoni. - Chiunque abbia fatto un lavoro del genere è un pazzo pervertito.
Misha era immobile, impietrita di fronte alla scena che le si era parata davanti quando aveva varcato la sottile porta in legno chiaro della cucina. Cadde in ginocchio, riprendendo la forma umana, e pianse in silenzio. Non voleva piangere, ma gli occhi avevano deciso altrimenti, e calde strisce di lacrime salate le stavano rigando il volto. Chiuse le palpebre, tentando di intrappolare il suo dolore, inutilmente. Sentì una mano fredda sulla spalla sinistra. Era confortante, in qualche strana maniera. Aprì gli occhi e sollevò la testa, incontrando il volto di Alyssa. Non la stava guardando, i suoi occhi erano fissi sulla scena, come se stesse tentando di avere risposte dai corpi massacrati, sicuramente torturati delle tre persone che erano state sezionate come vitelli. Gambe, braccia, mani e teste erano sparse per la cucina, le macchie di sangue avevano da poco iniziato a coagulare sulle pareti degli armadietti e dei muri piastrellati di bianco. Riverso sul pavimento, la schiena attaccata alle fredde piastrelle, stava il corpo di un uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati, vestito con un completo grigio e una camicia bianca senza cravatta. Un foro provocato da un proiettile era perfettamente visibile in mezzo alla fronte. Alla vampira sembrò quasi che chi avesse compiuto il massacro si fosse preso la briga di disporre le membra squartate attorno all'unico cadavere ancora integro.
- Come è potuto succedere? - si chiese Alexandra, sempre fissando Alyssa.
- E' lui? Alberto intendo.
- Sì.
- Dall'odore direi che lui è stato ucciso solo dopo aver visto gli altri morire. Colpi precisi, avevano armi molto affilate, e sicuramente una grande conoscenza dell'anatomia umana. Ha il dolore negli occhi quest'uomo. Ma anche un grande senso dell'onore. E' morto fiero, questo te lo posso assicurare.
- Grazie. - sorrise debolmente la licantropa, risollevandosi e avvicinandosi al cadavere. Gli chiuse gli occhi e disse alcune parole in tedesco. - Grazie. - concluse.
- Siamo a un punto morto. Se lui era l'unica pista che avevamo, direi che adesso siamo fregati.
- Forse... - mormorò bianca in volto Rose, ricomparendo sulla porta. Una mano era sullo stomaco, il viso mostrava chiaramente che aveva vomitato a più riprese fino agli spasmi. - Forse abbiamo ancora una speranza.
Alyssa ringhiò mostrando per un secondo i lunghi canini.
- Scordatelo. Lo sai che non l'ho mai fatto.
- Ma mi hai detto che puoi farlo.
- Cazzo Rose, sai cosa mi stai chiedendo? Fallo tu se hai tanta voglia.
- E' l'unica cosa da fare per avere delle informazioni.
- Me ne frego delle informazioni. Non lo faccio per i licantropi.
- Fallo per te. Non vuoi sapere perché ti stanno prendendo per il culo? Non vuoi sapere perché il Consiglio ti ha buttato in una missione suicida?
- Certo che lo voglio sapere, ma mi stai chiedendo di... Mi fa schifo solo pensarlo.
- Beh, non è tanto diverso da quello che sei tu adesso. Solo che per lui durerà poco.
- Volete trasformarlo? No, non dovete farlo. Non lo avrebbe mai permesso!
- Non voglio certo avere a che fare con un vampiro che era alleato a dei licantropi. - sbuffò Alyssa, incidendosi nuovamente l'indice. - Rose, questa me la pagherai molto cara. Necromanzia... Avrò il mal di testa per settimane...
- Necromanzia? Non è l'arte di risvegliare i morti?
- Più o meno... - rispose assente la vampira, iniziando a far scorrere le sue dita sul corpo di Alberto con gesti secchi e affilati. - Quello che sto per fare l'ho visto solo una volta, e per fortuna ho buona memoria. Lo riporterò in uno stato di semivita per alcuni minuti per fargli alcune domande, poi il suo corpo si distruggerà per la carica di energia negativa che sto accumulando in lui.
- Non sapevo che voi poteste fare cose del genere... E' orripilante.
- Non dirlo a me. E comunque non tutti i vampiri possono farlo. Diciamo che io sono un po' speciale... - sorrise mentre completava uno strano simbolo che finì proprio al centro della fronte. - Io richiedo, Arcano del Traghettatore di Anime, di invertire il flusso del Fiume della morte e di far tornare quest'anima per i miei scopi.
Un'ombra nera sembrò formarsi sopra il cadavere mentre Alyssa si allontanava di alcuni passi da lui, e con uno spasmo il corpo di Alberto si inarcò, facendolo tornare a respirare, sebbene con un rantolo che metteva i brividi.
- Chi... - gracchiò. - Chi mi ha riportato in vita?
- Le domande le faccio io. - rispose secca la donna. - Chi ti ha ucciso?
- Un sicario. Un bastardo che ha ucciso tutti i miei amici. Voglio tornare da loro, voglio tornare da loro. - sembrava muoversi come se fosse cieco, come se fosse immerso in un'ombra senza fine, girando la testa con movimenti improvvisi e allungando le braccia alla ricerca di un appiglio, ma non osava spostare i piedi.
- E lo farai. Alexandra è stata tradita. Chi è stato?
- Non lo so. Nessuno dei miei ha tradito, o sarebbe morto. I Cani di Attila sono feroci, ma leali. Nessuno ha tradito...
- Alberto...
Alyssa la bloccò con uno sguardo simile a un rasoio.
- No. Io faccio le domande, o spezzerai l'Arcano. - le intimò. - Alberto, qualcuno ha tradito. Il tuo assassino, cosa ti ricordi di lui?
- E' buio, ho freddo, perché ho freddo... - sospirò il cadavere. La sua pelle stava virando con velocità impressionante al nero, come se si stesse imputridendo cento volte più velocemente del normale. Alcuni umori maleodoranti iniziarono a farsi strada dalle crepe che si formavano sull'epidermide, macchiando di giallo e verde la camicia e i pantaloni. - Un serpente, un serpente che brucia... Un... serpente... - iniziò a farfugliare, la sua voce un gorgoglio mentre si disfaceva davanti ai loro occhi. - ...rosso che bruc...ia...
Il cadavere si schiantò al suolo in una viscida pozza di liquami, solo le ossa rimasero, ma già iniziavano ad annerire anche loro.
- Alcuni minuti e di lui non rimarrà che un mucchietto di polvere... - commentò la vampira, tenendosi la testa con le mani. - Per la Tenebra, che dolore... Devo nutrirmi...
- Non ora. Abbiamo un assassino da trovare, Succhiasangue. - ringhiò una bassa voce maschile dietro di loro.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La cuccia ***


Alyssa e Rose si voltarono con uno sguardo deciso, sicure di dover affrontare un nemico o comunque un essere che nulla aveva di umano, considerando il tono della voce. Misha fece lo stesso, ma un largo sorriso si formò sul suo volto, mentre gli occhi diventavano lucidi.
- Mark! - gridò lei, lanciandosi contro il poderoso lupo mannaro che stava fermo, leggermente chinato per evitare di battere la testa contro lo stipite, sulla porta. - Come hai fatto a trovarmi?
- Mi è bastato seguire i miagolii... - scherzò lui. - Ammetto che cercavo informazioni da Alberto, ma vedo che...
- Già... E non abbiamo indizi.
- Non direi, sorellina. - sorrise l'essere, alto quasi tre metri e dotato di una folta pelliccia nera come la notte con dei leggeri riflessi blu. Le orecchie, lunghe e appuntite erano ritte e immobili mentre con gli occhi rossi e senza pupille stava scrutando la vampira e la sua amica come per capire cosa doveva farne. Con una mano larga almeno come un badile accarezzò la testa di Alexandra e si rivolse ad Alyssa. - Vampira, tu hai aiutato mia sorella, se non ho capito male. Perché?
- La devo uccidere per ordine del Consiglio, ma voglio capire perché uccidere un essere, per quanto ripugnante come un licantropo.
- Alyssa, credi che non sia poco gentile rivolgersi a lui? Hai visto quanto è grosso? - mormorò la ladra, che con gli occhi aveva già individuato e registrato le possibili vie di fuga tramite le ombre.
- Non devi preoccuparti, Servitrice. Non è mia intenzione dilaniarvi, per ora... - rispose il lupo mannaro, iniziando a trasformarsi in un essere umano. Come nella sua forma ibrid, anche Markus indossava solo un largo gilet di pelle nera e dei pantaloni dello stesso materiale con visibili cuciture in cuoio marrone che permettevano all'indumento di adeguarsi all'aumento di altezza e muscolatura dovuto alla trasformazione.
- Però... Mica male il ragazzo. - borbottò Rose osservando il biondo e muscoloso uomo di fronte a lei, ora non più alto di un metro e ottanta, un metro e ottantacinque.
- Grazie. - si passò la mano tra i capelli, corti e tagliati accuratamente. Non vi era segno visibile di barba sul volto squadrato, tipicamente nordico. Molto poco assomigliava a sua sorella, avendo un incedere regale, una forza interiore che sconfinava forse nell'arroganza a prima vista, al contrario di Misha che pareva fatta di argento vivo e sempre pronta al cambio di umore. - Ma detto da una persona che ha ancora in mano dei pugnali non saprei come prenderlo, se come complimento o meno.
- Ah, questi... - disse lei, mettendoli via. - Non mi ero nemmeno accorta di averli... Beh, ok.
- Quindi hai salvato mia sorella per ucciderla. - sorrise Mark, come incurante della stranezza di Rose. - Un concetto quantomeno strano. Cosa mi dovrebbe fermare nel distruggervi?
- Ho i miei dubbi che tu possa farci qualcosa, lupetto. Ho avuto un compito, e io li ho sempre portati a termine, e questo non sarà certo il primo che mi rovinerà la media. Voglio delle spiegazioni, e per adesso ho solo molte domande invece che risposte.
- Se non sbaglio sei una appartenente al clan degli Scrivani, se mi ricordo i vostri nomi. E' strano che tu cerchi delle spiegazioni, se il compito ti è stato affidato da un membro anziano del tuo clan.
- Sei informato, vedo.
- Non è che potremmo uscire da qui? L'odore del sangue mi da... alla testa, e ho già avuto modo di conoscere intimamente il bagno di questo locale.
- Anche a me da alla testa, ma per altri motivi. Comunque sono d'accordo. Ho paura che fra poco qui sarà una zona molto calda. Un lavoro del genere non rimarrà coperto a lungo, e la Polizia sarebbe più che felice di trovarci qui.
- Dove si va?
- Da un'altra parte, Rose.
- Ho una Cuccia sicura nella zona. Vi ospito volentieri. Anche se dovrei uccidervi subito, vi devo comunque la vita di Misha.
Alyssa sembrò ponderare la proposta per alcuni secondi, quindi si mosse verso l'uscita, attraversando la porta e dirigendosi verso la strada.
- Sia chiaro, non siamo alleati, o amici, o qualsiasi altra cosa. Non farti venire strane idee in testa, Pulcioso.
- Ma brutta...
- Buona gattina. Ha ragione. Mi piace questa donna. Ha un carattere duro come la roccia e affilato come un artiglio. Credo che andremo d'accordo fino a che uno di noi due non ucciderà l'altro.
- Ma sapete solo parlare di morti e sangue voi? Non vi stufate mai? Non sorridete mai?
- Non sei né di una né dell'altra fazione. Non puoi capire. - le disse Misha mentre lasciavano il locale e salivano tutti e quattro sulla macchina di Rose, iniziando a dirigersi al rifugio di Mark.
- Mi sembra solo di fare da autista, oltre ad essere l'unica normale qui dentro... - borbottò tra sé e sé la donna, sperando nella reazione di uno dei presenti, ma senza risultato.
Decise di concentrarsi sulla guida.
- Stavo ripensando a quanto Alberto ha detto a proposito di chi lo ha ucciso. Non ha senso...
- Non è esatto, Markus. Da quello che so, i morti hanno un modo di ragionare tutto loro. Magari per lui quello che ha detto è perfettamente chiaro, potrebbe averci addirittura detto il nome dell'assassino, ma dobbiamo tentare di interpretarlo. - rispose la vampira, seduta accanto a Rose. - Un serpente rosso che brucia. Il cognome di qualcuno che lui conosceva? Un nome in codice?
- Nessuno dei clan che conosco ha quel simbolo o quell'epiteto. E in questi due giorni ho visto tanti di quei clan che nemmeno immaginavo esistessero. La nostra razza si è frammentata, troppo frammentata.
- Detto da uno che nemmeno ha una linea di sangue vera e propria fa quasi sorridere.
- Non puoi capire. Tu sei parte di una sorta di grande famiglia. Gli Scrivani sono i più legati tra di loro, e colpire uno di loro è colpire tutti. Da quel punto di vista la vostra organizzazione è migliore della nostra.
Alyssa sorrise mostrando i canini.
- Non esserne così sicuro. Ci stiamo fossilizzando, stiamo diventando le immagini cristallizzate di quello che eravamo e di quello che vorremmo essere. Non c'è movimento, non c'è cambiamento, nonostante quello che dicono i vecchi. Siamo... sono una struttura troppo rigida per poter resistere allo scossone giusto. Togli una carta e crollerà tutto il castello.
Mark chiuse gli occhi un momento, pensando. Accanto a lui la sorella si era appoggiata alla sua spalla, accarezzandogli il petto nudo e glabro, seguendo con le dita i contorni dei muscoli perfettamente delineati come una gatta che se stesse giocando con un bambolotto.
- Mmmmm... E' strano ciò che dici. Hai parlato dei vampiri come di qualcuno o qualcosa in cui non ti rispecchi totalmente.
- Un po' come te con i licantropi. Io non sono nata nella congrega, sono una Sanguemarcio, come alcuni mi chiamano. Mio Padre, quello che mi ha reso ciò che sono, aveva abbandonato la Congrega per i suoi studi. Amava il suo lavoro, e aveva accettato di diventare un non-morto solo per avere più tempo da dedicare alle sue ricerche. Delle guerre interne, delle lotte di potere a lui non interessava niente. Si era emarginato volontariamente, mi disse una volta.
- Ma è tornato all'ovile, se tu sei nella Congrega.
- Non esattamente. Lui un giorno non è più tornato, e io non sapevo cosa fare. Ho vissuto anni da sola, cercando di non farmi notare, di non avere contatti con altri della mia specie, ma era impossibile per una novizia come me riuscirci, e mi hanno beccato...
- Siamo arrivati. - la interruppe Rose, spegnendo la macchina e iniziando a scendere.
Era rimasta silenziosa tutto il viaggio, attenta alla strada e a ragionare su quanto era successo quella sera.
- Va tutto bene piccola? Sei troppo silenziosa.
- Sì, sì Alyssa. E' solo che non riesco a togliermi dalla mente quelle immagini. Cioè, sapevo che si potevano fare certe oscenità, e so di cosa sei capace quando ti arrabbi, ma non posso ancora credere che qualcuno o qualcosa possa aver ucciso e sezionato quelle persone in quel modo... Non riesco a comprenderlo.
- Né ci riesco io, te lo assicuro. Anche i Macellai, i peggiori tra i Vampiri non possono essere così folli da fare una cosa del genere. Nemmeno il loro capo, il tanto famigerato Dracula sarebbe così folle da ammazzare così degli esseri viventi.
- Lo stesso vale per noi licantropi. E' un lavoro che solo la peggiore bestia di questo pianeta può aver fatto.
- Cosa può comportarsi così?
- Un essere umano. - risposero quasi in coro Alyssa e Misha, serissime.
La donna fu impressionata dai loro sguardi, come se per entrambe vi fosse la certezza di quanto avessero detto. Sapeva qualcosa del passato della sua amante, ma lei si era sempre rifiutata di darle delle spiegazioni su come fosse diventata una vampira o della sua storia passata. Sapeva solo che aveva circa due secoli e che era una delle più potenti vampire con poteri magici esistenti, considerando la sua età.
- Concordo con loro. - disse Markus, appoggiando il palmo della sua mano su un mattone vicino alla porta dell'edificio dove aveva la sua Cuccia. Un rumore elettronico, come un segnale di riconoscimento, partì dal mattone e la serratura della porta si sbloccò, permettendo loro di entrare. - Un piccolo regalo di Alberto. Lo conosciamo solo io e lui. Per tutti è solo uno stabile in disuso, ma se non avessi sbloccato i sistemi di sicurezza con la mia impronta...
- Molto impressionata. - disse gelida Alyssa, sebbene internamente era davvero colpita di come degli esseri che aveva sempre considerato giusto un gradino sotto le bestie fossero capaci di tanto e in una città caposaldo dei vampiri da vari decenni. - Dentro è pulito o devo farmi l'antirabbica?
- Eventualmente puoi sempre darti da fare e fare la donna delle pulizie. - le rispose Misha, quasi sibilando.
- Piccola gatta rognosa.
- Alt signore. Siete in casa mia, e intendo dire tutte siete in casa mia, e il motivo non è certo per vedere chi di voi due ha la lingua più affilata o la battuta più acida. Risparmiate le forze contro il nostro vero nemico.
- Tu sai qualcosa che non vuoi dire, Markus? - gli chiese la vampira, appoggiandosi noncurante sul muro del corridoio appena dopo l'ingresso.
- No. - rispose pacato l'uomo, chiudendo la porta alle sue spalle e reinserendo l'allarme. - Nulla in più di quello che vi ho detto. Ora, vediamo di discutere di fronte a una tazza di latte e a un drink. Sfortunatamente non ho sangue nella mia dispensa.
- Passi per questa volta. - disse con una smorfia la donna seguendo al piano di sopra il padrone di casa. La costruzione era un capannone con annessi uffici, dotato solo della porta da cui erano entrati. Gli uffici si raggiungevano con una corta scala attaccata alla parete, ed erano stati trasformati in un accogliente appartamento arredato in maniera moderna e dotato di tutti i confort. L'ampio spazio una volta dedicato all'attività lavorativa era stato adibito a palestra, con macchine e pesi, oltre che a magazzino per scorte alimentari, benzina e altro necessario al potente fuoristrada giapponese parcheggiato in un angolo, direttamente di fronte al portone scorrevole chiuso da un lucchetto. - Per il resto vedo che non ti manca nulla.
- Grazie. Ma ora torniamo alle cose serie. C'è un assassino da trovare e una spia da ammazzare. Possibilmente con molto dolore e molta gioia per il sottoscritto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Guerra! ***


Era ormai mezz’ora che i quattro si erano seduti attorno al basso tavolino di vetro temperato e avevano iniziato a discutere sui possibili significati delle parole di Alberto. Rose finì di sorseggiare il suo long drink e si rilassò nel comodo divano che condivideva con Alyssa. Chiuse gli occhi e sospirò.
- Non se ne esce… - pensò, abbandonando il suo cervello al flusso incoerente dei pensieri. - Potremmo stare qui fino a domani mattina, ma non credo che a lei piacerebbe. La vedo nervosa, anche se credo che solo io me ne possa accorgere. La conosco da un po’ di anni, e saprei capire di che umore è solo da come cammina. Già. Da quanti anni la conosco, da quanti anni ho scoperto che molte delle storie che mi facevano ridere quando le vedevo alla televisione o al cinema erano in realtà vere? Sei, no, sette anni tra poco. Non saprei se definirmi fortunata o meno. - sorrise debolmente, le voci degli altri tre nella stanza si assopirono, sparendo mentre lei si perdeva nei pensieri, nei ricordi di quella notte di tanti anni prima. - Ero già una brava ladra, la migliore, anche se pecco di vanità nel dirlo. Il mio strano potere mi stava già dando una mano da un paio di anni. Avevo scoperto che potevo muovermi da un’ombra all’altra senza problemi, come se il mio corpo fosse solo un’altra ombra senza forma o spessore. Era comodo per una ladra. Mi bastava entrare in un’ombra fuori da un edificio e camminare in una sorta di limbo fino all’ombra che mi interessava, per poi far uscire una mano o tutta me stessa per rubare ciò che mi ero prefissata. Non mi sono mai chiesta perché solo io avessi tale stranezza. Certo, all’inizio mi sono spaventata, quando una sera mi sono ritrovata inseguita da due ubriachi nelle vie dalle parti di Porta Venezia. Fortuna che la comunità islamica da quelle parti dice di seguire le leggi religiose. Pensa se avessero avuto il permesso di bere, quei due arabi maledetti… Credevo di conoscere la zona bene, ma mi sbagliavo. Mi hanno incastrata in un vicolo cieco, solo alte pareti su tre lati e loro due sull’ultimo. Uno aveva un coltello ricurvo, l’altro una bottiglia di rum vuota che aveva spaccato poco prima giusto per non sentirsi solo e indifeso. Si avvicinarono lentamente, confabulando nella loro strana lingua, e sorrisero osservandomi. Ammetto che il mio vestito da lavoro in lycra nera non lasciava molto all’immaginazione, ma ero ancora una di quelle ragazzine fissate con il cartone animato di Occhi di Gatto. Già, mi credevo intoccabile come una delle tre ragazze. Mi ero anche fatta assumere come cassiera in un bar vicino alla scala, giusto per avere una copertura… Loro facevano un passo avanti, e io ne facevo uno indietro, ma ad un certo punto la mia schiena sudata toccò la parete di mattoni alle mie spalle. Il contatto con quella cosa fredda e ruvida mi fece trasalire e come se avessi dato loro un segnale, i due partirono alla carica, correndo verso di me, solo due figure scure illuminate di spalle da un lontano lampione. Io ebbi paura come mai nella mia vita e mi attaccai alla parete come ad un’ancora di salvezza. Forse la paura, forse l’inconscio, forse l’aiuto di un mio personale e scapestrato angelo custode, ma quando riaprii gli occhi ero nella cantina della casa a cui il muro apparteneva. Solo più tardi scoprii come far funzionare a piacimento il mio potere, sebbene mi lasci sempre abbastanza scossa e stanca, se lo uso a lungo o spostando con me altre persone. O oltrepassando degli Arcani di Protezione. Dio che brutta sensazione quella sera, quando decisi di fare una visita di cortesia in uno degli appartamenti all’ultimo piano di un palazzo abitato solo da ricconi. Fu facile fino al pavimento della sua stanza da letto. Era buia, come il resto della casa. Non poteva andarmi meglio, ma quando iniziai ad uscire dalle ombre sentii come il dito di un cadavere che mi penetrava nell’anima. Durò solo un istante, ma mi fece tremare per alcuni minuti dopo che iniziai a perlustrare la casa. Non trovai nulla di davvero interessante. Aveva qualche soldo, dei gioielli carini, ma non preziosi a tal punto da farmeli rubare. Nessuna foto, avevo notato, e il letto era coperto da una fine polvere, come se fossero stati anni che non ci dormiva. Mi scoprì, o meglio, si fece notare quando mi spostai nella cucina. Accese la luce, sorrise sorniona, le braccia incrociate e mi chiese se preferivo caffè o un succo. Mi fece prendere un colpo. Eppure, per qualche strano motivo, anche se ne aveva tutti i diritti, non mi uccise, non mi minacciò, non mi toccò con un dito. Quella sera. Fortunatamente la incontrai nuovamente, me lo aveva promesso e io a lei, e diventammo buone amiche, quindi qualcosa in più. E’ strano, io sono perfettamente eterosessuale, eppure quello che mi fa ogni volta che si nutre con me è come e meglio di quello che ho provato anche con i più scatenati ragazzi fin da quando iniziai ad uscire durante l’adolescenza. Non mi ha mai trasformato, non mi ha mai passato il suo sangue rendendomi una Servitrice, più forte, più resistente. Mi disse una notte che lei mi voleva lasciare pura. Le ricordavo qualcuno che lei conosceva tanti anni fa, una ragazza che faceva il mio stesso mestiere…
- E’ entrato qualcuno. - disse laconica Alyssa, alzandosi e flettendo le dita delle mani come se volesse testarle.
- Impossibile. L’allarme non è scattato. - rispose Markus, ma sul suo volto e sul suo corpo iniziarono a mostrarsi i primi segni della sua trasformazione in lupo mannaro.
- Allora i casi sono tre. Ci stai tradendo, l’allarme che hai fa schifo o qualcuno ha il codice e ha fatto il furbo.
Misha si era mossa ad uno dei vetri che permetteva di vedere nella stanza sottostante, e dopo aver scrutato per un secondo la sala si era voltata verso Alyssa.
- Ci sono una decina di uomini con il volto scoperto qui sotto. Direi che la terza opzione è quella valida. Ma tu come hai fatto a sentirli? Non riesco nemmeno a fiutarli io con il mio naso.
- Non sono certo un animale come te. Mi fido di voi, e per questo ho messo un Arcano di Protezione sul muro di fronte alla porta, quando mi sono appoggiata. Direi che ho fatto bene, no?
- A dopo le spiegazioni e le congratulazioni. - Borbottò il lupo mannaro, ormai totalmente trasformatosi, aprendo per un istante una delle finestre e inspirando profondamente. - Sono tutti armati, e stanno avvicinandosi. Si sentono sicuri, maledizione, e non hanno tutti i torti. Sento l’odore dell’argento delle loro pallottole fino a qui…
- Sono venuti per te?
- Immagino proprio di sì, Rose. Nessuno sa che Misha è qui, e per voi non userebbero certo l’argento. Non vi fa nulla.
- Eh, già… Io crepo anche solo con il volgare piombo… - borbottò la ladra. - Alyssa, qualche idea?
- La più facile? Filarcela nelle ombre e salutare i due Pulciosi qui. Ma non mi pare giusto. Avrei troppe domande senza risposta. Ho fame. E loro mi sembrano degli ottimi antipasti. Markus, puoi crearmi un diversivo di una decina di secondi?
- Cosa vuoi fare? - chiese lui
- Rose, riesci a portarmi in quell’angolo, giusto dietro di loro?
- Mi vuoi morta, eh? Sì, dovrei farcela, ma non sperare che poi ti riporti via.
- Non ci sono problemi. - sorrise, per poi rivolgersi agli altri due. - Appena noi scompariamo, saltate fuori e datevi da fare per attirarli ovunque tranne che alla porta di ingresso. Se proprio non riuscire a morire, rimanete vivi per una decina di secondi e il gioco è fatto.
- Non mi piace, non mi piace per niente… - mormorò Misha, iniziando a trasformarsi anche lei. Alcune ferite erano ancora visibili, ma erano solo estetiche. - Se mi giochi uno scherzo…
- Non ti preoccupare. - la rincuorò suo fratello. - Mi fido di lei… per adesso.
- D’accordo, andiamo. Rose… - sorrise Alyssa spegnendo le luci della stanza
- Ci sono, ci sono… - esclamò la ragazza, concentrandosi sulla parete davanti a lei e iniziando ad immergerci la mano come se stesse penetrando in una melassa tiepida.
Sentì le onde della Tenebra che si propagavano nel materiale che aveva di fronte e afferrò il braccio della vampira, trascinandola con sé nel muro. Piccole gocce di sudore si formarono sulla sua fronte, lo sforzo per continuare ad avanzare nel buio con un’altra persona era di per sé come una fucilata continua nel cervello, ma sapeva che doveva resistere, o sarebbe stata la fine per entrambe. Nella sua mente vedeva tutto perfettamente, come se stesse camminando nell’aria, ma non percepiva nulla attraverso i sensi propriamente detti. Vedeva che Misha e Markus erano saltati nel capannone prendendo di sorpresa gli assalitori. Non parevano pronti a quello che avevano visto, e stavano indietreggiando, sparando all’impazzata con le pistole che avevano in mano. Fortunatamente solo uno di loro possedeva un mitragliatore, un modello simile a quelli che aveva visto usare dalle milizie arabe nei telegiornali, e pareva che per inesperienza o per casualità si fosse inceppato. Sbucò nell’angolo buio che le aveva indicato Alyssa. Inspirò a fondo, inalando con l’aria fresca anche l’odore della polvere da sparo che iniziava a impregnare la stanza. Ebbe un conato di vomito, ma aveva esaurito tutto al ristorante.
- Riposati. Vattene nelle ombre e restaci. - le disse seria la non-morta, iniziando a gesticolare muovendo le dita e le mani in maniera apparentemente insulsa.
- Non ci riesco. Mai portato gente per… - ebbe un altro spasmo alla bocca dello stomaco. - per tanto tempo.
- Stai qui e non muoverti. Devo nutrirmi per farvi uscire vivi.
Rose aveva visto quello sguardo, quel furore primitivo che aveva appena notato negli occhi di Alyssa solo quando la vampira era quasi allo stremo delle forze. Come una fiera la donna aveva necessità d nutrirsi, o avrebbe perso completamente la ragione, assalita dalla bramosia per il sangue. Una delle ultime volte che successe Rose si offrì volontaria, ma dovette rimanere a letto una settimana per riprendersi dal salasso che l’amica le aveva fatto.
- Ma ora ha sangue in abbondanza… - sorrise, vedendo la vampira muoversi silenziosamente alle spalle di uno degli aggressori, troppo occupato a sparare a Misha, che saltava in avanti lentamente ma inesorabilmente, schivando per un soffio i proiettili, che si piantavano con un rumore sordo nel pavimento di cemento verniciato.
- Cazzo, ti beccherò, fosse l’ultima cosa che faccio… - urlò l’uomo, poco più che quarantenne, la barba sfatta e un completo di jeans sbiadito addosso, mentre anche l’ultimo colpo del caricatore finiva a terra.
Mosse una mano alla cintura, dietro la schiena, per prendere dei nuovi proiettili, ma sentì solo il freddo e soffice fianco di Alyssa.
- Non sarà quella l’ultima cosa che farai. L’ultima sarà essere il mio spuntino. - gli sussurrò nell’orecchio prima di estrarre i lunghi canini e piantarli nel collo, iniziando a suggere mentre la pistola cadeva a terra e le membra dell’umano si rilassavano, i suoi occhi fissi al soffitto con una luce estatica negli occhi.
Tre, quattro secondi al massimo e la vampira abbandonò il cadavere pallido, quasi scheletrico dell’uomo, la sua bocca e il suo mento grondanti di sangue fresco. Una lunga lingua viola, sottile e biforcuta si mosse rapida a ripulire la pelle attorno alle labbra, che aveva assunto un tenue e rosato colorito.
- I dieci secondi sono finiti, vampira! - gridò Markus, spezzando il collo ad un biondino.
Le dita si chiusero sul grilletto con un riflesso condizionato, e la pallottola ricoperta di argento penetrò nel fianco del lupo, facendolo ringhiare di dolore.
- Ora sono pronta. Non potevo finire l’incantesimo prima. - disse la donna, incurante delle persone nelle sue vicinanze, che si voltarono e iniziarono a sparare.
I colpi si fermarono vicino a lei, come infranti su una barriera invisibile, mentre lei continuava a tracciare nell’aria degli strani segni.
- E’ incredibile… - mormorò Misha, vedendo che le strisce di sangue che uscivano dalle dita di Alyssa fluttuavano come se fossero poggiate su una lavagna trasparente. - Sta disegnando una delle sue bizzarre figure…
Un rumore simile ad uno scatto la fece sobbalzare, distogliendola dalle movenze ipnotiche dell’essere notturno. La gatta si voltò, vedendo che contro di lei era puntata la canna del mitragliatore, e che chi lo imbracciava stava sorridendo come divertito.
- Di addio al mondo, mostro…
- Mai dire mostro a mia sorella, potrei offendermi! - esclamò il licantropo, che con un balzo poderoso, incurante del sangue che gli zampillava dalla ferita al fianco, si era portato dietro al nemico e gli aveva afferrato con una zampa la nuca, mentre con l’altra gli era penetrato nelle carni dietro la schiena, spezzando come se fosse un fuscello la spina dorale. Lo sollevò in aria, il mitragliatore a colpire l’aria e il soffitto in un arco di fori disallineati, e allargò le braccia, sfilando la testa e parte della colonna vertebrale dal resto del corpo con uno strappo agghiacciante, che impose di chiudere gli occhi anche alla gatta mannara oltre a Rose.
- Colpite lui! - Gridò uno degli uomini. - E’ lui il nostro obbiettivo. Lasciate perdere gli altri, non siamo noi quelli che li devono uccidere…
- Fate male, il vostro problema sono io, non il cagnolino… - ridacchiò Alyssa, completando il disegno di sangue nell’aria.
Nello stesso istante che la vampira rilassò il braccio al suo fianco l’intera struttura fluttuante si cristallizzò per diventare nera e sbriciolarsi in una fine polvere che sembrò disperdersi nell’aria mossa da un vento inesistente.
- Cosa… - borbottò uno degli assalitori, quindi sbarrò gli occhi come in preda al terrore.
- Arcano dell’Allucinazione maggiore, io ti ho creato grazie al Potere, io ti ho completato senza esitazione e ti ordino, che i loro incubi si riversino sui loro amici. Ora. - declamò con voce profonda, impregnata di magia e di potere. - Ed ora godiamoci la scena comodi… - aggiunse iniziando a camminare tranquillamente verso il locale in cui erano prima della battaglia.
- Ma… - iniziò Rose.
- Non ti preoccupare. Siamo invisibili per loro, o meglio, ci vedono, ma ognuno dei loro compagni e amici ora è ai loro occhi uno dei loro incubi peggiori. Credo che in una decina di secondi l’aria qui si farà pesante di piombo e argento.
Senza farselo ripetere gli altri tre la seguirono su per le scale e osservarono le persone rimaste aggirarsi come pazzi, strabuzzando gli occhi e scappando uno dall’altro, finché partì un colpo. Tutti aprirono il fuoco, colpendosi a vicenda, incuranti delle ferite, i loro volti una maschera di dolore e di pazzia. L’ultimo cadde con la faccia contro il pavimento, gorgogliando sangue dalla bocca spalancata, la mano ancora stretta sulla pistola ormai scarica.
- Sei un mostro… - mormorò Misha, che era ritornata nella sua forma umana come il fratello.
- Detto da te lo prendo come un complimento. Meglio loro che noi, no?
- Concordo, anche se le tue capacità mi fanno credere di aver sempre avuto a che fare con vampiri di bassa lega…
- Possibile. – sorrise la donna. – Mi spiace solo che nessuno di loro sia rimasto vivo per chiedere spiegazioni.
- Puoi sempre rifare quel trucchetto…
- No, troppo dispendioso, e svegliare morti troppe volte potrebbe attirare l’attenzione di esseri che nemmeno voglio immaginare. Ci fu un tempo di una guerra tra noi e loro, e da quello che ho letto non voglio nemmeno pensarci.
- Se siamo fortunati possiamo comunque trovare delle informazioni, magari solo un indirizzo o altro, frugando i corpi. – propose Markus mentre si osservava la ferita al fianco richiudersi lentamente.
- Ottima idea. Andiamo.
Dopo quasi mezz’ora di inutili ricerche, Rose vide un particolare che immediatamente fece notare anche agli altri.
- Guardate questo tatuaggio. – indicò un disegno colorato grosso quanto una moneta sull’interno del polso destro. - Dopo averlo visto su uno dei corpi, ho cercato anche sugli altri, e tutti ce l’hanno.
- Quindi fanno tutti parte di un gruppo. Ma aspetta un attimo, questo disegno non è…
- Esatto Alexandra. E’ un serpente rosso avvolto attorno ad una fiamma gialla.
- Il serpente che brucia! Chi ha ucciso Alberto era uno di questo gruppo. Abbiamo il nostro assassino.
- Non ancora. – la contraddisse suo fratello. – Può essere che quello che lo ha ucciso sia tra questi, ma non credo, saremmo troppo fortunati. E poi dobbiamo ancora capire chi sono. Un tatuaggio non ci dice il loro nome o perché mi volevano morto.
- Se sono una banda qualche informazione potremmo trovarla alla polizia…
- Alyssa, per favore, potresti evitare di nominare quel nome in mia presenza. Lo sai che mi da fastidio… - rabbrividì falsamente schifata la ladra.
- Scusa. – rispose secca, mostrando che non era dell’umore adatto per gli scherzi. – E’ una cosa che ho fatto poche volte, e preferirei evitare di entrare così apertamente, ma è l’unica soluzione, considerando inoltre che per stanotte Rose si è sforzata abbastanza e che fra poche ore sarà giorno.
- Batti la pista finché è calda, eh?
- Più o meno, Markus. – annuì la vampira. - La stazione da cui si può accedere più facilmente è quella della Stazione Centrale, pochi poliziotti, stanchi e influenzabili…
- Andiamo?
- Vado, gattina. Voi seguite Rose. Rose, ci troviamo al rifugio del Risveglio. Ho già le chiavi dell’auto.
- Lo sapevo. E’ il più vicino alla stazione. – confermò la donna mentre l’amica usciva e partiva con un rombo di motore. Lei si voltò verso il lupo mannaro. – Quella quattroruote dagli occhi a mandorla funziona?
L’uomo staccò delle chiavi attaccate a un ciondolo in radica e le lanciò alla ladra.
- Che ne dici di scoprirlo? – sorrise mentre lei le prendeva al volo e lo osservava divertita, annuendo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Un patto segreto. ***


- Voglio la testa di chi ha fatto questo! Di chi ha fatto questo a me! – urlò Igor, le mani appoggiate, le dita aperte, sulla pesante scrivania in noce del suo studio, ricavato all’ultimo piano di un palazzo del secolo scorso che una compagnia di comodo aveva acquistato e quindi sistemato come lui aveva richiesto, trasformando le stanze nella ricostruzione perfetta dell’interno di un castello inglese dell’epoca vittoriana.
- Al momento non abbiamo… – iniziò titubante il suo segretario, un Servitore sulla cinquantina che lo seguiva nella sua eterna vita fin da quando aveva scoperto chi, o meglio cosa fosse il suo padrone, circa duecento anni prima.
- No. Se tieni alla tua miserevole vita, dammi solo buone notizie, o stai zitto e lasciami. – mormorò a denti stretti l’essere, afferrando una caraffa di cristallo e versando il contenuto, un liquido rosso e denso, ancora vagamente tiepido, in un calice nello stesso fine vetro al piombo.
Sembrò osservare attento, alla luce delle candele che illuminavano la stanza, il colore e le sfumature del sangue attraverso la sfaccettata superficie del bicchiere, ma in realtà era perso nella sua rabbia cieca e si accorse che Alfred aveva lasciato la stanza solo quando sentì il debole scattare della maniglia quando tornò nella sua posizione di riposo.
- Maledizione! – ringhiò incrinando e quindi spezzando il calice, mischiando il suo sangue con quello del giovane che aveva riempito la brocca.
Attese alcuni secondi, il tempo per il suo corpo di espellere i pezzi di vetro facendoli cadere a terra e si pulì la mano destra leccandosela. – E ho anche sprecato dell’ottimo nettare.
- Sembri nervoso, Igor… - sibilò una voce viscida come la pelle di un morto annegato e fredda come il ghiaccio. – Cosa ti turba?
- E’ inutile che sfotti. Ti ricordo che è anche nel tuo interesse che Misha venga ritrovata.
- Direi soprattutto nel mio. Mi serve, così come mi serve quella Sanguemarcio. Ma vive. Entrambe.
- Perché?
- Non angustiare il tuo piccolo cervello non morto con domande difficili che richiedono risposte ancora più difficili. Il nostro patto era chiaro quando lo hai stipulato, tempo fa. E ora è ancora valido. Dammi loro e io ti darò ciò che vuoi. - Igor chiuse gli occhi e si concentrò per capire da dove provenisse la voce, ma subito ricevette una pugnalata al cervello, facendolo barcollare per il dolore. – Piccolo Fighetto senza palle, non tentarci più, o la prossima volta non mi limiterò a un bel mal di testa. E’ chiaro?
Il vampiro annuì tenendosi la testa con le mani.
- E’ chiaro? – ripeté a voce ancora più alta l’entità.
- Sì, sì…
Ci fu come una risata, qualcosa di simile alle unghie su di una lavagna.
- Bravo. Ora torniamo a noi. So che quella Pulciosa è ancora viva, e che ha trovato alleati.
- Come…?
- Zitto. Lo so e questo ti basti. Ha alleati potenti, e si è ricongiunta al suo adorato fratellino.
- Questo è un guaio. Markus è molto forte, quasi impossibile da battere anche per i nostri più potenti Macellai.
- Povere bestie. Solo capaci di ringhiare e di trasformarsi. La forza bruta non è tutto nella vita, mio caro Igor. Ci vuole anche politica, capacità di sfruttare le conoscenze tue ed altrui…
- Lascia perdere le lezioni accademiche. Credi che io sia dove sono solo perché ho avuto fortuna? Sono secoli che sono su questa terra maledetta dal Sole, conosco come va la vita e la morte.
- La morte soprattutto. – ridacchiò la voce.
- Chi sono i suoi alleati?
- Ah. Bella domanda. Sono due, due donne.
- Basteranno un paio di miei Servitori.
- Sbaglio o l’ultimo trio ha avuto un… incidente di percorso?
- Misha non è un incidente di percorso. Le conosco?
- Credo di sì. Una di certo.
- Chi è?
- Non voglio rovinarti la sorpresa. Vai a dare un’occhiata ai tuoi Servitori, o a quello che resta. Credo che ti divertirai. – rise la voce diminuendo di volume fino a sparire, lasciando di nuovo solo il vampiro.
- Bastardo… - pensò, in fondo al gelido cuore temendo che se avesse parlato il misterioso essere lo avrebbe sentito. Si sedette alla sua scrivania, gli occhi fissi al fuoco che bruciava allegro nel camino, le mani incrociate e i gomiti sul piano lucidato dal tempo e dalla cura continua della servitù di cui amava circondarsi. Ripensò a come era finito ad accettare un patto con un essere i cui non conosceva nemmeno il nome o l’aspetto, ma che gli aveva dimostrato che aveva i mezzi e le possibilità per realizzare il suo sogno, e tutto ciò che voleva in cambio era una vampira e una mannara. – Entrambe bastarde, una per razza, una per natura. Non una grave perdita per il mondo. Anzi…
si alzò, diretto a passo deciso alla porta, che oltrepassò e si diresse all’ascensore che lo portò ai garage sotterranei dello stabile, le potenti macchine, alcune berline, alcune fuoristrada, tutte molto costose e ricercate, ad osservarlo con i loro spenti occhi allo xeno. Sfiorò quasi con passione il cofano di una Porche Cayenne nero metallizzato e si diresse ad una piccola porta dipinta di giallo.
- Solo un ripostiglio per chi non sa la verità… - pensò entrando e premendo in un determinato punto la parete alla sua sinistra. La sezione di muro davanti a lui sprofondò nel pavimento e diverse luci al neon si accesero sul soffitto del lungo corridoio che era nascosto dietro la parete, mostrando due Servitori di guardia all’apertura, vestiti come guardie del corpo. – La comodità di avere l’impresa di costruzioni nelle tue mani… - sorrise iniziando ad incamminarsi, seguito dagli umani.
Passarono varie porte, alcune con delle indicazioni di ciò che si svolgeva all’interno, altre anonime ma da cui a volte provenivano orribili urla, che lasciarono indifferente tanto il vampiro che i suoi Servitori.
- “Sala 5”. Sono qui? – chiese davanti ad una porta.
Le guardie del corpo annuirono e una delle due girò la maniglia per far entrare il loro padrone.
All’interno il locale era una perfetta stanza per le autopsie, il pavimento e le pareti coperte di lucide piastrelle bianche, tutto il mobilio in sterile acciaio inossidabile, file di bisturi, seghe manuali o elettriche ed altri strumenti dalle forme bizzarre agli occhi dell’essere.
- Signore! – si stupì un uomo sulla quarantina, vestito come un medico legale, la mascherina penzoloni sul collo e gli occhiali in plastica trasparente sulla fronte. Si stava lavando le mani prima di infilarsi i guanti ed iniziare ad analizzare i tre corpi martoriati dei Servitori che Misha aveva incontrato al parco vicino a Porta Venezia. – E’ un onore per il vostro umile servitore poter avere la fortuna di…
- Taglia corto, non ho l’umore giusto per il momento. – lo zittì lui avvicinandosi al corpo del giovane senza più un cuore. – Hai già iniziato?
- Non ancora. Se me lo permette, li esaminerò in questo istante.
Igor annuì e velocemente si infilò un camice verde chiaro plastificato per proteggersi il vestito firmato che indossava nell’eventualità che qualche umore potesse fuoriuscire dai cadaveri. Solo al debole cenno del capo del Vampiro il medico legale iniziò ad esaminare il cadavere.
- Il soggetto in questione è deceduto per il grave trauma dovuto all’asportazione del cuore tramite il passaggio di una zampa artigliata attraverso lo stomaco, il diaframma e parte dei polmoni.
- Un lavoro degno di un Macellaio, o di un Pulcioso.
- Effettivamente lo stato del cadavere è simile a quello che si può riscontrare solo con vittime di licantropi vicinissimi o in preda alla loro Pazzia.
- Capisco. Un lavoro degno della fama di Misha… - mormorò come soprappensiero Igor, osservando l’uomo procedere con la rimozione della scatola toracica usando una piccola sega elettrica circolare. – Dove si trova adesso il cuore?
- Non saprei dirglielo. Nessun segno è rimasto dell’organo sul luogo dello scontro. Presupponiamo che sia stato mangiato dalla licantropa per scopi non meglio precisati, se escludiamo la semplice fame.
- Ne dubito. Il sangue dei Servitori in qualche modo non risulta essere gradito dai Pulciosi, forse perché contiene tracce del nostro. Mi risulterebbe difficile credere che lei abbia addirittura mangiato della carne di Servitore.
- Chi potrebbe averlo portato via?
- Al momento non è una domanda pressante. Questo cadavere può darci informazioni utili?
- Dubito. Avremo forse più fortuna con il secondo, quello dalla gola squarciata.
- Artigli?
Il medico legale osservò il corpo dell’altro Servitore con una lente di ingrandimento, quindi scosse il capo.
- No. Le mie conoscenze di anatomia comparata non sono eccelse, ma direi che questi sono i segni dei denti di un animale, probabilmente un felino di grandi dimensioni. Questo sarebbe plausibile con la tipologia di mannara che è stata affrontata.
- Già. Quanto può essere resistito?
- Mmmmm. Pochi secondi, una decina al massimo prima di crollare per il trauma e per la mancanza di ossigeno e altro. Una morte veloce, direi.
- Speriamo che non sia così per la Cacciatrice quando la incontrerà… - sorrise lui. – Farà la sua autopsia su questo dopo. Mi dica dell’ultimo. – gli ordinò, scoprendo lui stesso il corpo, che non presentava nessun segno visibile di violenza.
- Oh, nulla di differente dagli altri due. Lui è morto per un grande squarcio al petto. Le costole gli si sono letteralmente aperte.
- Come può una Pulciosa aver fatto una cosa del genere? – chiese mentre osservava la cassa toracica divelta del corpo davanti a lui.
- Mi immagino avendo artigliato il plesso solare e avendo spinto verso l’esterno con gli artigli. Se me lo permette, ora esaminerò meglio il cadavere.
Il vampiro annuì, osservando pensoso per la successiva ora quello che avveniva, la sua mente persa nel ricordare il discorso di poco prima con l’entità con cui aveva stretto un patto. Sembrò risvegliarsi nel momento in cui vide il medico legale scuotere la testa come sconsolato.
- Cosa succede?
- E’ strano mio signore.
- Cosa è strano?
- Quest’uomo è morto per le cause che le ho già detto, ma non ho trovato alcun segno di artigli delle dimensioni pari a quelle riscontrate sull’altro cadavere.
- Intendi dire che non sono stati gli artigli ad ucciderlo?
- No, sicuramente qualche cosa ha aperto la scatola toracica con degli artigli, ma non era la licantropa…
- Un altro essere mannaro?
- Potrebbe essere, ma mi sembrano più le tracce di mani di vampiri. Sono pochi quelli che possono fare una cosa del genere, e nessuna delle casate che conosco ha delle mani così piccole, come quelle di una donna.
Igor sussultò, e una strana idea gli si formò nella mente.
- Puoi controllare se ci sono dei segni sulla pelle del cadavere? Sul petto particolarmente?
- Ci vorrà del tempo, ma credo di sì.
- Non ho fretta. Se è come credo, la cosa non mi piacerà, non mi piacerà per niente… - mormorò lui. – Aspetto i risultati nel mio studio.
- Come desidera. – rispose con un mezzo inchino mentre il vampiro lasciava la stanza e si dirigeva da dove proveniva, abbandonando le guardie all’entrata del corridoio segreto.
Igor attese pazientemente per alcune ore, guardando l’orologio ogni dieci minuti, camminando avanti e indietro per la stanza, occupando il tempo a guardare senza leggere delle carte o ad osservare la danza delle fiamme nel camino, fin quando un lacchè non bussò e appoggiò sulla scrivania i risultati dell’autopsia dell’ultimo cadavere.
- Il cadavere presenta sulla pelle attorno alla ferita iniziale dei deboli e quasi invisibili segni di sangue che è stato assorbito dall’epidermide in maniera del tutto innaturale, come se fosse un tatuaggio. – lesse ad alta voce. – Lo stesso disegno è riscontrabile sui muscoli e nei polmoni come bruciature, sebbene sbiadite. Non è possibile individuarne la causa o la possibile connessione con il decesso. - Il vampiro si sedette sulla poltrona in cuoio sprofondando nella stessa e cullandosi per un paio di secondi nell’odore della pelle antica lavorata ancora al tannino e lucidata dagli anni. Osservò le foto fatte degli strani segni e chiuse gli occhi, sospirando. – E’ un Arcano. Ecco chi mi ha fregato la Preda e ha ucciso il mio servitore. Cacciatrice e Preda si sono alleate, a quanto pare…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Il riposo dei guerrieri ***


Alyssa tornò al suo rifugio quando quasi albeggiava, sottili strisce rosse e violacee avevano già iniziato a spezzare il nero della notte ad oriente, tingendolo di tutte le possibili sfumature dal nero al blu cupo prima di diventare viola e rosso sulle nubi. Alla vampira ricordarono per un attimo macchie di sangue su un vestito da sera.
- Ho ancora sete. Stasera ho usato... o meglio, abusato dei miei poteri speciali. Fortunatamente ho una buona scorta di sangue in cucina, o rose la vedrei come un pollo arrosto succulento, se fossi umana... - si permise un sorriso a labbra chiuse, girando la maniglia della porta.
Era un piccolo appartamento posto al secondo piano di un edificio non vecchio, ma che già presentava il segno degli anni. Sotto di lei si trovava un negozio di articoli per maggiorenni e per amanti del gothic, gente che credeva che vestirsi di nero e fare lo sguardo da cattivo bastasse a renderli dei dannati, o come li sentiva dire, dei Dannati. La luce era accesa nel soggiorno, e intravide la testa di Markus e di Rose sul divano. Le stavano dando le spalle, mentre la sorella del licantropo era addormentata placidamente sulla poltrona di fronte a loro.
- Fai piano... - bisbigliò Markus, spostando delicatamente la ladra e facendole poggiare la testa sulla superficie di cuoio color avorio del divano. - Si sono addormentate un'ora fa. Erano entrambe distrutte. - disse alzandosi e avvicinandosi a lei.
- Immaginavo. Rose si è sforzata moltissimo stasera, e Misha non era certo in ottime condizioni, dopo quello che aveva passato nei giorni scorsi.
Lui annuì e la seguì mentre si dirigeva in cucina, un piccolo stanzino che solo negli ultimi mesi aveva deciso di dotare di un forno a microonde e di un tavolino. Aprì il frigorifero ed estrasse una sacca piena di un liquido rosso.
- Vuoi qualcosa da bere?
- Grazie, mi sono già servito prima. Non sapevo che bevessero birra i vampiri.
- Infatti. - mormorò lei, tagliando con una forbice la plastica e versando il sangue in un grosso bicchiere cilindrico. - Ogni tanto non lo uso solo io, e mica posso far bere sangue agli umani.
- Ad una in particolare, poi, direi di no... - sorrise l'uomo, sedendosi al tavolo con lei. - Hai scoperto qualcosa di interessante?
La giovane inghiottì due o tre sorsate prima di rispondere, appoggiando il bicchiere in quel momento mezzo vuoto davanti a lei.
-Ora va meglio. Non ho trovato molto, ma ho almeno un nome e un indirizzo.
L'uomo sollevò le sopracciglia per indicare la sua curiosità.
- Il tatuaggio che abbiamo visto appartiene a una banda di teppisti ormai quasi sciolta. Si fanno chiamare "le vipere del demonio"...
- Sto già tremando...
Alyssa sorrise mentre beveva un altro sorso, gustandosi il sapore metallico del sangue.
- E' più o meno quello che ho pensato io. Comunque, questo gruppo di teppistelli ha nelle sue fila vari personaggi che per un motivo o per un altro nessuno vuole, vista la loro aggressività e la loro più o meno latente pazzia. Eppure negli ultimi tempi ci sono forti sospetti da parte delle forze dell'ordine che abbiano avuto a che fare con parecchi crimini, dai semplici scippi alle rapine con omicidio annesso...
- Questo spiega perché non si sono spaventati vedendoci... O pazzi o molto sicuri di sé. - mormorò.
- Hanno una sorta di sede, un locale nella zona nord di Milano, quasi zona industriale se vogliamo, dove spesso si ritrovano ad ubriacarsi e a spaccare tutto quello che capita loro a tiro.
- Il club ha anche una sede ufficiale? Scommetto che cantano anche un loro inno.
- No. È un bar, una osteria di quart'ordine, a dire la verità. La classica bettola della malavita, se capisci cosa intendo.
- Perfettamente. Ne ho frequentate parecchie nei secoli scorsi. Cosa hai intenzione di fare?
- Per adesso solo fare una bella dormita per ristorarmi, e consiglierei anche a te di prendere esempio da tua sorella e da Rose. Sarai anche un duro, non discuto, ma sei pur sempre un essere vivente. Devi riposare, anche per far guarire meglio la ferita.
- Quale ferita?
- Non fare lo sciocco con me. Sento l'odore del sangue a vari metri quando è nelle vene, il tuo che tenti di non far uscire dal fianco è come una sirena ululante. Considerando poi che sei un Pulcioso, qualunque vampiro capirebbe che sei ferito.
Markus la guardò per un secondo e annuì silenziosamente.
- Non hai paura che mentre tu dormi noi potremmo...
- No. - gli rispose lei, alzandosi e dirigendosi al divano. Quasi con un leggero sorriso sulle labbra scostò una ciocca di capelli che Rose aveva sul viso, bevendo con gli occhi il volto sereno e l'espressione tranquilla della giovane. - Siamo alleati, come abbiamo già detto. Se vorremo ucciderci, lo faremo in altri modi e altri tempi.
- Mi ricordi qualcuno che conobbi molto tempo fa.
- Un altro vampiro?
- Non credo. Io ero un giovanotto in vena di divertimenti, lui uno strano personaggio che diceva di cercare la verità. Rimasi con lui alcuni giorni, per proteggerlo dal mostro che si aggirava nella foresta della zona.
- Immagino che non si sia fatto vedere. - sorrise lei.
- No. Sono stato un'ottima guardia del corpo.
- Ne ero certa. - Accarezzò nuovamente il volto di Rose. - Te la affido durante il giorno. A questa sera al tramonto.
- A stasera. - ripeté lui, sedendosi accanto all'umana e sistemandosi comodamente per prendere sonno e lasciare che la sua peculiare natura gli permettesse di rigenerare la carne e la pelle colpite dalla pallottola in argento. Chiuse gli occhi un secondo, sospirando e ringraziando di essere un Puro, un Figlio di Selene fin dalla nascita, non un Bastardo come molti, un umano morso da un licantropo e trasformatosi. - Non sarei in grado di guarire. Per me l'argento è un problema, per loro è la morte. - Pensò riaprendo gli occhi.
Alyssa era sparita.
Fu solo nel tardo pomeriggio che Markus fu svegliato da un leggero movimento alla sua destra. Socchiuse gli occhi, inquadrando Rose alzarsi mentre si strofinava gli occhi e sbadigliava. Misha stava ancora dormendo, ma doveva essere caduta dalla poltrona durante la mattina, in quanto era sdraiata sul fianco in posizione fetale, sul morbido tappeto che copriva quella zona del pavimento. Inconsciamente si era trasformata nella sua forma ibrida, la coda a frustare dolcemente la gamba della poltrona. La donna sparì in una porta, chiudendola delicatamente.
- Probabilmente il bagno... - pensò spostando gli occhi nuovamente sulla sorella. - Certe volte mi dimentico che hai trecento anni, cucciola, ma per me rimarrai sempre una bambina. Eppure me lo diceva la mamma, che ormai puoi camminare con le tue zampe. - Si stiracchiò, allargando le braccia, le mani chiuse a pugno, sbadigliò vistosamente e si alzò, cercando un orologio. Misha fece scattare un paio di volte la gamba, mentre sognava tranquilla. Il fratello scosse la testa e la agguantò per la collottola, sollevandola con un braccio solo come se pesasse non più di tre o quattro chili, e la depose sul divano, ridacchiando di gola sentendola fare le fusa. Dalla porta chiusa di fronte a lui iniziò a sentirsi lo scroscio di una doccia. Markus non ci fece quasi caso e si diresse alla cucina, dove l'orologio da parete mosse le lancette sulle cinque e un quarto. - Ecco perché ho fame. Sono quasi due giorni che on mangio seriamente. Vediamo se riesco a trovare qualcosa che sia commestibile anche per Alexandra, o inizierà a pensare a me come a un pollo arrosto con patate quando mi vedrà. - borbottò aprendo il frigorifero, senza però trovarci molto. - Qualche frutto, uno yogurt magro e delle bibite, oltre a qualche birra e le sacche di sangue nella cella sovrarefrigerata. Un vero banchetto, non c'è che dire...
Aprì le altre ante presenti nella cucina, recuperando una scatola di latta danese con dei frollini al cacao con granella di zucchero e un cartone di latte scremato a lunga conservazione. Sospirò.
- Non avrai molta fortuna anche se guardi nei cassetti. - lo derise Rose comparendo sulla porta.
- Vorrà dire che passerò alla tipica alimentazione mannara...
- Sarebbe? - chiese inarcando un sopracciglio, rimanendo appoggiata allo stipite della porta, coperta solo da un accappatoio di spugna color avorio, i piedi in infantili pantofole a forma di coniglio.
- Giovani donne fresche di doccia con buffe pantofole. - grugnì lui tentando di sembrare minaccioso.
- Tremo di paura. - rispose lei. - Però effettivamente ho fame anche io.
- Giorno... - mormorò ancora mezza addormentata la gatta mannara, infilandosi tra la donna e la porta e crollando su una delle sedie mentre tornava normale.
- Buongiorno, o meglio buonasera, visto l'orario.
- Avevamo tutti bisogno di una bel riposo, e direi che voi due avete anche bisogno di una bella doccia.
- Stai scherzando vero? - la guardò sorpresa la bionda, sbarrando gli occhi.
- Assolutamente no. Io vedo di recuperare del cibo vero mentre vi lavate. - sorrise Rose muovendosi verso la stanza da letto. - E vestiti puliti. I vostri sanno di sangue...
- Stava scherzando vero? - ripeté la ragazza al fratello.
- Io dico di no. E francamente credo abbia anche ragione.
- Io il bagno non lo faccio! - sbuffò incrociando le braccia. - Lo sai benissimo che la mia razza con l'acqua non ci va troppo d'accordo. Mi leccherò un po' e tutto sarà a posto.
- Come vuoi. - disse lui alzandosi ed afferrandola per la vita, caricandosela in spalla.
- Ti ho detto che mi lecco!
- Liberissima di farlo, ma lo farai sotto la doccia. Te la faccio io, come quando eri piccola.
- Markus! Non oserai?
Le grida di rabbia della mannara furono attutite dalla porta chiusa quando Rose uscì dall'appartamento ridacchiando e incamminandosi lungo le scale che portavano all'entrata, posta su una traversa di Corso Buenos Aires. Al primo piano si fermò di fronte a una porta murata, di cui rimaneva solo l'intelaiatura. Cercò un particolare punto lungo il profilo di legno e lo schiacciò, facendo rientrare l'intera sezione e mostrandole una piccola nicchia in cui si infilò richiudendo la parete. Controllò dal piccolo spioncino che nessuno fosse presente sull'altro lato della stanza e aprì la porta segreta che formava il fondo di uno stand per impermeabili, trench e giubbotti di morbida pelle.
- Non diminuiscono, sfortunatamente. Fortuna che Martina non ha solo questo come lavoro. - pensò incamminandosi verso la scala che l'avrebbe portata dal primo piano a quello terreno del negozio di articoli gothic e fetish dell'amica e ricettatrice.
Dall'alto controllò che fosse sola, e come spesso accadeva, lo era. Scese la scala a chiocciola in metallo nero provocando deliberatamente rumore per farsi individuare.
- Che? - sospirò quasi spaventata la donna, quindi il suo giovane viso si distese in un ampio sorriso. - Ah Rose, sei tu. Ciao. Non ti ho sentito arrivare. Hai preferito passare dall'uscita di sicurezza, eh? - la salutò la proprietaria alzando gli occhi dalla rivista patinata appoggiata al bancone di vetro che metteva in mostra manette, collari borchiati e altri oggetti dal dubbio utilizzo. - Ti trovo bene, anche se un po' sciupata. Sembri dimagrita. Beata te... Quei jeans ti stanno d'incanto. Dove li hai presi?
- Rubati ad un'amica. - sorrise lei, sapendo che poteva usare i vestiti di Alyssa solo perché lei stava dormendo. Amava quei pantaloni aderenti, così come la T-shirt che mostrava l'ombelico e ornata di lustrini e altri particolari luccicanti che spezzavano la superficie nera. Aveva indossato delle scarpe da ginnastica abbinate, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo fissata con un lungo nastro viola. - Comunque anche tu sei una favola. Sai sempre come farti notare.
La bruna, sui ventisette, trent'anni sorrise compiaciuta e fece una piroetta per mostrare la meglio la sua lunga gonna a pieghe in velluto porpora scuro e il corsetto in lattice viola metallizzato che le copriva a malapena i seni, evidenziandoglieli grazie alla drastica riduzione di taglie della vita. Una piccola cravatta completa di colletto bianco da impiegato, realizzata nello stesso materiale del corpetto, completava quanto indossava
- Sei una pigrona, Rose. Di solito a mezzogiorno sei in pista. - la schernì la ragazza, passandosi una mano nei lunghi capelli lisci, spostando una ciocca ribelle che le era finita sul volto. - Cosa ti è successo? Guai con la tua amica? Alyssa, se non mi ricordo male.
- No, no. Casini vari. Niente di grave, comunque.
- Se hai bisogno di aiuto...
- Grazie, sei un'amica. Effettivamente ho bisogno di un paio di favori.
- Spara.
- Ti devo fregare dei vestiti e ti devo chiedere se puoi prendermi del cibo. Ho degli... ospiti, diciamo.
- Serviti pure. Scalo dalla quota di bottino che ancora ti devo. - sorrise la ragazza, facendo il giro del banco, mostrando gli alti tacchi degli stivali. - Ci metterò dieci minuti. Pane, affettati e del formaggio?
Rose annuì.
- E un paio di bistecche e del latte fresco.
- Affamati come lupi, gli ospiti... - ridacchiò uscendo e chiudendo dentro l'amica.
- Non sai quanto hai ragione.
Un uomo, seduto dentro una macchina appostata all'angolo della via, poco lontano da un grosso negozio di fumetti, sorrise finendo una telefonata e chiudendo il telefonino.
- Le pedine si sono mosse, e altre sono posizionate. Tutto è pronto per il grande spettacolo della morte. - mormorò cattivo Igor, mettendo via il telefonino e abbandonandosi nella poltrona in pelle antica del salotto posto a vari metri sotto il livello del suolo.
- Responsabile, ciò che mi hai riferito è grave, gravissimo. - esclamò in tono duro una figura alle sue spalle, le mani incrociate dietro la schiena, una tunica in velluto porpora ornata in oro a coprire un corpo vecchio che aveva visto le civiltà nascere e morire nei loro stessi escrementi. - Come Maestro, non posso tollerare che la reputazione degli Scrivani sia infangata, da te o da lei. Uno de due dovrà morire definitivamente.
- Sapevo che una Sanguemarcio come lei non...
- Ciò che credi non mi interessa. Solo i fatti sono importanti. E il mosaico ha ancora troppi punti bui, e le tessere sono confuse. - lo zittì in tono autoritario il vampiro, concentrandosi sulle cesellature della cornice di un dipinto.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Fido e i Magoi ***


- Non l'ha presa bene.
- Chi? - chiese la vampira senza spostare gli occhi dalla strada. La tangenziale era ancora abbastanza congestionata da impedire di viaggiare speditamente. - Tua sorella o Rose?
- Rose. - rispose Markus, seduto accanto a lei nella berlina di grossa cilindrata su cui stavano viaggiando. - Perché le hai impedito di venire? Poteva esserci utile.
- E tu perché non hai voluto portare la gattina? A parte che, essendo la Preda, l'avrebbero riconosciuta immediatamente e non è quello che voglio.
Il licantropo sorrise sommesso, una sorta di smorfia triste e un sordo sbuffo dal naso.
- Le vuoi bene? Non come a una sorella, intendo.
Lei annuì gettando l'occhio nello specchietto retrovisore.
- Siamo legate. Non so nemmeno io perché, ma siamo unite da qualche cosa.
- Sa di Servitore, ma non l'hai mai morsa. Non ha quel particolare odore che ho sentito centinaia di volte.
- Mi ricorda... - Si bloccò, come per cercare le parole più adatte. Sospirò. - Mi ricorda che ero umana un tempo.
- Non sei nata vampira?
- Impossibile. Non procreiamo. La Morte ci toglie questa possibilità, al contrario di voi. Ma questo lo sapevi già, vero?
- Beccato. So molte cose, ma mi devo ricredere su alcuni punti.
- Lo stesso vale per me. Anche se ciò che so di voi l'ho letto. Non vi avevo mai incontrati prima.
- Sono lusingato della buona impressione fatta.
- Mai detto questo. - ribatté gelida lei. - Siamo quasi all'uscita. E quella macchina ci sta seguendo.
- Amici tuoi?
- Dubito. Ma ho una mezza idea. Panni sporchi. Come tu sai si lavano in famiglia... Nel sangue.
- E poi le bestie siamo noi. - rise Markus mentre imboccavano una via poco dopo il casello e si gettavano nell'inizio di una marcescente zona industriale che sopravviveva col nero, l'evasione e i denti di alcuni vecchi artigiani troppo stanchi per mollare tutto. - Bel posto. Ci aprirei un villaggio vacanze...
- Se ti piace la tranquillità. Ci siamo solo noi e il nostro angelo custode.
- Non amo i pennuti. Troppe ossa e il sapore delle piume tra i denti mi fa vomitare. Quanto dista? - chiese slacciandosi la cintura e levandosi la maglietta che gettò sul sedile posteriore, appena sopra le due automatiche calibro nove.
- Cosa vuoi fare?
- Una buona impressione. - sorrise l'essere mannaro, mettendo le mani sull'apertura della portiera. Appena dopo una curva in cui la macchina sparì alla vista del misterioso inseguitore, Markus si buttò fuori. - Ci vediamo tra un minuto! - gridò rotolando a terra.
- Che diavolo? - frenò bruscamente Alyssa sterzando.
La macchina fece un testacoda lasciando abbondanti segni sull'asfalto, fermandosi vari metri dal punto in cui l'uomo era caduto e si era trasformato, tendendo allo spasmo le cuciture della particolare ecopelle dei pantaloni che Rose gli aveva dato.
- Non crederà mica di essere in grado di fermare un'automobile... - pensò mentre lo osservava, ma sgranò gli occhi ricredendosi nel momento in cui i fari allo xeno dell'Audi illuminarono la possente figura del lupo mannaro, gli artigli piantati nell'asfalto, le gambe piegate, i muscoli tesi. - Lo crede davvero!
La macchina frenò. Un lampo passò negli occhi inumano di Markus mentre balzava verso l'automobile, sollevandosi a circa sei metri di altezza prima di cadere con una parabola che si schiantò sul cofano, deformando le lamiere e distruggendo il motore. Il contraccolpo riempì l'abitacolo di airbags, mentre la parte posteriore si sollevava quasi in verticale con un muggito simile a quello di un toro ferito.
- Cazzò! - gridò l'autista schiacciato tra il sedile e il volante.
Il mostro scattò indietro con un altro salto, godendosi le scintille del cofano contro l'asfalto. L'ammasso ormai inservibile di metallo completò la sua corsa a pochi centimetri da dove si era accucciato il lupo mannaro. Le ruote posteriori ricaddero al suolo e gli airbags si sgonfiarono.
- Esci tu o vengo a prenderti io? - ringhiò Markus all'uomo all'interno, ferito leggermente alla tempia destra, un sottile filo di sangue a scendergli verso il mento.
- Vaffanculo mostro... - mormorò dall'interno lui allungando la mano destra verso il sedile come in cerca di qualche cosa.
- Ho capito, vengo io.
Un pugno che suonò come una granata sbriciolò il finestrino e aprendosi artigliò la portiera strappandola dalle cerniere con un suono stridulo. La zampa destra prese per il collo il Servitore estraendolo e sollevandolo in modo che il suo volto fosse alla stessa altezza del muso di lupo dell'essere. Una sottile striscia di bava colò dalle fauci parzialmente aperte a mettere in mostra gli acuminati denti.
- Uccidimi. Preferisco morire che vivere con l'onta del fallimento.
- Tranquillo. Vivo non rimani... - ringhiò stringendo il collo, che scricchiolò pericolosamente.
- Fermo. - lo bloccò Alyssa.
Markus alzò lo sguardo verso la vampira, che era scesa dalla macchina e si era avvicinata.
- Provì pietà?
- No. Ma può esserci utile.
- Non ho fame. Quindi è inutile.
- Considera che si possono sapere molte cose anche se non parla. Può dirmi per chi lavora. O darmi una conferma, per meglio dire. Io so già chi si sta divertendo a fare questi giochetti...
Il lupo mannaro mugugnò lasciando l'uomo, che subito allungò la mano nella carcassa della sua auto, avendo individuato la pistola sul pavimento vicino al sedile del passeggero.
- Fermo! - disse in modo stentoreo Alyssa, facendo fremere ogni singolo pelo del mostro, che capì che non era un semplice ordine, ma qualcosa d'altro.
Il Servitore infatti si bloccò come congelato. La vampira sorrise mostrando i canini allungarsi, quindi li infilò nella spalla destra dell'umano, chiudendo gli occhi e suggendo. Cinque secondi dopo staccò la bocca e ritrasse i canini.
- Spuntino serale?
- Più o meno. Ho la conferma. Non ci serve più. Fido, è tutto tuo.
Markus chiuse a pugno la zampa destra e colpì con un manrovescio il Servitore, che si accasciò al suolo con il collo un una posizione innaturale, il sorriso inebetito del Bacio ancora sul suo volto misto al dolore più puro.
- Fido? - ringhiò mentre si dirigevano all'auto.
- Preferivi Briciola?
- Lasciamo perdere. - scosse la testa l'essere tornando normale e risalendo in auto dopo aver preso la sua maglietta. - Devi aver preso un po' dell'umorismo di Rose... - sibilò mostrando la maglietta.
- Tipico.
- Panni sporchi, allora?
- Già. Ma una questione alla volta. Prima le bisce infernali, poi un vermetto fighettino che gioca alla spia. C'è un telefono nel portaoggetti di fronte a te. Chiama Rose e dille di andarsene, se ci hanno seguito sanno dove mi trovavo, e loro con me. Altra cosa da sistemare.
- Sei piena di impegni. - ghignò preoccupato mentre armeggiava con il cellulare e aspettava la comunicazione.
- Allora? - chiese lei dopo un minuto.
- Telefono a vuoto. Ho già fatto tre tentativi... - si bloccò. - E' caduta la linea.
- Riprova! - c'era una vena di paura nella sua voce.
- Niente. Telefono non raggiungibile. Sento puzza di guai.
- Idem, ma ormai siamo dalle vipere. Chiudiamo velocemente, poi caccia al vampiro! - ringhiò lei. - Igor, se la tocchi solo con un dito...
- Misha la proteggerà, ne sono sicuro.
La donna non disse nulla e parcheggiò l'auto. Scese, arraffando le due pistole e infilandole nelle fondine dietro la schiena. Si sistemò due foderi contenenti dei pugnali alla vita e chiuse la macchina. Entrambi si avviarono verso l'entrata del bar, ma a pochi metri dallo stesso la figura della vampira, vestita con dei pantaloni di cuoio nero, anfibi e una canottiera nera tremò, perdendo consistenza, per poi svanire del tutto.
- Ricapitoliamo. Io entro, faccio in modo di darti il tempo di trovare il grande capo, quindi quando sento sparare ti raggiungo facendo il più possibile casino e poi vediamo cosa succede. Giusto?
- Esatto Markus. - rispose Alyssa vicino a lui.
L'uomo aprì la porta ed entrò, sedendosi al bancone. C'erano una decina di persone nel locale, tre delle quali affaccendate ad un biliardo e due a giocare a freccette usando dei piccoli stiletti invece che i dardi solitamente utilizzati. Tutti, a partire dal barista, un uomo massiccio con una barba sfatta molto curata e bicipiti tatuati come un marinaio lo osservarono, fermando quello che stavano facendo.
- Cosa vuoi?
- Una birra, per cominciare. - rispose Markus, individuando subito che sia il barista che almeno un paio dei presenti erano degli affiliati al clan, identificati dal tatuaggio. - E magari qualche informazione.
Una bottiglia di Beck's stappata gli venne piantata davanti, letteralmente sbattuta sul bancone di legno che aveva visto anni migliori.
- La birra. Devila alla svelta. Poi vattene.
- Quanta fretta. Sapevo che i baristi amavano parlare e ascoltare.
- Sono sempre stato la pecora nera della famiglia... - rispose allontanandosi.
- Aspetta... - lo bloccò il licantropo stringendogli il braccio appena sotto il gomito.
- Ti ha detto di muoverti con quella birra, cucciolo. - disse una voce dietro di lui.
Si voltò. Un uomo che superava tranquillamente i due metri di altezza e con una massa di muscoli non indifferente gli era arrivato alle spalle, abbandonando il gioco preferito dagli irlandesi ma non i coltelli.
- Non hai letto tutta la maglietta, direi... - sorrise Markus. - Dietro c'è "...cucciolo!", ma davanti vedi quello che dice? "Non chiamatemi mai..."
- E allora, cucciolo?
- Sai, tendo a incazzarmi.
- Che paura... - mormorò l'uomo crocchiando le dita delle mani e muovendo il collo, che crocchiò anche lui. - Vuoi uscire con le tue gambe o preferisci che escano prima di te dalla finestra?
- Che ne dici invece se non la pianti di sparare cavolate e mi lasci a parlare con il tuo amico? Sono sicuro che abbiamo tante cose da dirci?
- Brutto... - urlò il delinquente facendo partire un pugno deciso con il braccio destro.
L'essere mannaro non dovette nemmeno ricorrere a tutta la sua forza sovrannaturale per bloccare il colpo, intercettandolo a mezza corsa frapponendo il suo avambraccio sinistro. Nello stesso istante l'altro pugno scattò deciso appena sotto la cassa toracica, colpendo la bocca dello stomaco e facendo piegare dal dolore l'attaccante.
- Ora che abbiamo finito di discutere, che ne dici se ti bevi una birra alla mia salute? Offro io. Hai l'aria di uno che ne ha bisogno una... dimmi grazie...
- Gra... grazie... - mormorò a singulti l'uomo, aiutato dagli altri a sedersi poco lontano, gli latri compagni fermati da un gesto del barista.
- Cosa vuoi?
- Un'altra birra, per il mio amico dalle poche parole.
- Davvero, cosa sei venuto qui a fare?
- Mi piace il tuo tatuaggio. Quello col serpente, intendo. Se me ne volessi fare uno anche io?
- Liberissimo di fartelo.
- Uguale uguale? Ho visto che siete un po' di persone a portarlo. Una sorta di gruppo, direi. O un clan. Una banda. Ecco, una banda.
Lo sblocco di varie sicure di pistole e il barista che imbracciava un fucile a canne mozze gli fece capire che erano arrivati a un punto morto della discussione.
- Hai un secondo per dirmi chi cazzo sei prima di morire.
Una serie rapida di colpi provenienti dalla porta su cui era stato scritto con un pennarello indelebile la parola "privato" distrasse un istante gli uomini. Abbastanza per Markus. Si trasformò, strappando la maglietta mentre i muscoli si gonfiavano e si rafforzavano, la pelle si ricopriva di pelo, il volto si trasformava in uno scricchiolio di ossa nel volto affilato di un lupo umanoide e gli arti si allungavano come gli artigli.
- Sono la vostra Morte! - ringhiò saltando addosso al barista che si ritrovò la testa separata dal collo senza nemmeno rendersene conto.
Lo shock fu tale che per riflesso le dita si flessero, e un colpo prese in pieno lo stomaco del licantropo, facendolo ululare di dolore. Si rialzò, gli occhi di tutti, come le pistole, puntate su di lui, le menti degli uomini in preda allo sgomento della visione delle sue budella recedere nella cavità provocata dalla fucilata mentre la carne e gli addominali si ricostruivano come la pelle.
- Sparate! Sparate! Si può ferire, quindi si può uccidere! - gridò uno, mentre iniziava a svuotare il caricatore, imitato dagli altri.
Markus fu più veloce di loro, e si diresse alla porta dove immaginava dietro Alyssa stesse completando l'opera di uccisione. Due o tre pallottole lo raggiunsero, ma non ci fece caso, sapendo che il suo corpo millenario non poteva rimanere troppo danneggiato da delle semplici pallottole di piombo. Corse a quattro zampe lungo un corto corridoio, vedendo la porta aperta all'altro lato, i bagliori degli Spari a fare da illuminazione momentanea dell'ufficio dove la vampira e il suo nemico stavano lottando.
- Non entrare! - gridò lei appena lo vide. - non entrare!
Tentò di frenare, ma lo slancio e il suo stesso peso lo portarono dentro la stanza. Immediatamente notò un intricato disegno fatto con cera, cenere e altro che occupava tutto il pavimento e parte delle pareti, e sentì un conato di vomito.
- Che cosa...
- Merda! E' un Dorian. Vattene, finché sei ancora cosciente.
L'uomo che era con loro nella stanza sorrise e lanciò una sorta di piccolo globo luminoso verso la porta, chiudendola. Markus si accorse che sebbene crivellato dai colpi di Alyssa, l'uomo non pareva affatto debilitato, i fori a richiudersi pochi secondi dopo la loro formazione.
- Due piccioni con una fava. Il mio padrone sarà felice... - ghignò l'essere avanzando.
Il licantropo si accorse che stava tornando alla forma umana, e si sentiva sempre più debole. Anche la vampira sembrava molto pallida, un rivolo di sudore misto a sangue le scivolò dalla fronte lungo la guancia. Si accasciò a terra, ansimando a bocca spalancata, un sapore dolciastro e marcescente in bocca. La testa gli girò. Chiuse gli occhi scuotendo violentemente il capo. Respirò nuovamente a fondo, ma non riuscì a sentire nessun miglioramento.
- Magoi... - la sentì dire prima di perdere i sensi.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Tutti nemici. ***


Erano ore che attendeva inerte. Al buio. Nel buio più assoluto, quello che puoi avere solo se le tue palpebre sono state cucite alla pelle della faccia come era stato fatto con lei.
- E' passato almeno un intero giorno, o non avrei tutte e due le braccia. Mi ricordo benissimo che durante lo scontro con il Dorian una mi è stata tranciata di netto all'altezza del gomito da una sua sfera di energia. Il bastardo era forte, molto forte. Ma ora non sono nelle mani di un Masticaformule. Non farebbe mai una cosa del genere. Sono nelle mani di vampiri, e se ho ragione, molti tasselli vanno al posto giusto, e io sono nel posto sbagliato.
Udì una serratura elettrica scattare, e una porta metallica cigolare leggera sui cardini. Un passo, poi un altro. Scarpe con un leggero tacco, maschili.
- Mmmmghttt... - mormorò, le labbra sigillate dai vari giri di filo da pesca che era stato usato anche per le palpebre.
- Non ti lamenterai mica, spero? - chiese ironicamente Igor, chiudendo la porta alle sue spalle e accendendo la luce. - Dovresti ringraziarmi, visto che non ho seguito le procedure che mi erano state suggerite, ovvero strapparti la lingua e cavarti gli occhi. Mi sono limitato a cucirti tutti i punti che potrebbero rivelarsi utili per formulare un incantesimo.
- Non ci sarei mai arrivata... - pensò la vampira rimanendo in ginocchio sul pavimento di lucide piastrelle bianche. - Labbra e occhi bloccati, le dita infilate in sacchetti che sono stati riempiti di cemento. Proprio un bel lavoro...
- Non fare quella faccia, chiunque avrebbe fatto lo stesso, considerando la tua pericolosità. Ho disobbedito al Consiglio, lasciandoti tutta intera.
- Cmmmllloooh? - domandò lei, stupita.
- Esatto, il Consiglio. Sono appena tornato da una bella riunione speciale che il Consiglio ha indetto dopo che io ho portato loro le prove che una Scrivana si era alleata con i Pulciosi, e peggio ancora che proprio la Cacciatrice si era alleata con la Preda. - rise mentre con un coltello estremamente affilato le tagliava il filo che le bloccava le labbra. - All'unanimità, ad eccezione del vecchio Potter, il tuo mentore, hanno votato per la tua morte diurna.
- Bastardo!
- Detto da te, che non sai nemmeno il nome di tuo Padre, direi che è quasi un complimento. - rispose secco sfilandole le stringhe di plastica che danzarono sopra e sotto la sua bocca mentre parlava.
Alyssa emise dei deboli gemiti di dolore. Il sangue uscì per qualche secondo dai fori prima che la sua particolare fisionomia li richiudesse, ricostruendo la pelle e i muscoli.
- Il Consiglio non può aver deciso di farmi fuori. Cosa stai combinando, Fighetto bastardo?
- Vuoi sapere tutto, eh? Ti accontento, così ti farai un'idea di quello che è successo dopo che i miei uomini ti hanno ritrovata praticamente sull'orlo della Seconda Morte. Il bar era distrutto, uno scoppio di gas, sembrerebbe, causato dalla lotta avvenuta all'interno e da una scintilla forse provocata dalle armi da fuoco, forse dai tuoi incantesimi. Tu eri fuori dall'edificio, senza un braccio, la faccia e altre parti del corpo ustionate. Nessuno è sopravvissuto allo scoppio, sembrerebbe.
- E io certamente credo a queste panzane. Ho combattuto contro il tuo amichetto. E' lui che mi ha ridotto come ero. Non sapevo che te la facessi con i Magoi, Igor.
- Farò finta di non aver sentito l'offesa, carissima Alyssa. - sibilò lui
- Vaffanculo.
- Comunque, i miei Servitori ti hanno prelevato e ti hanno portato da me, dove hai ricevuto un po' di sacche di sangue della mia riserva personale. Solo il meglio per te, mia cara.
- Scusa se non mi butto ai tuoi piedi e te li lecco...
- Scuse accettate, potrai farlo dopo, se mi andrà. Ma oltre a te, mi miei Servitori mi hanno portato alcune interessanti foto di un uomo morto a causa di un licantropo, per non parlare dello stato della macchina che ti stava seguendo. Sul cofano ci sono i segni di artigli e abbiamo trovato alcuni peli.
- Ho un cane molto grosso, e allora? - rispose acida, ma nella sua mente iniziava a capire a che gioco era stata utilizzata come pedina fin dall'inizio, e perché il Consiglio aveva decretato la sua morte diurna.
- Decisamente grosso, sì. - sospirò lui. Ma se sommi anche le tracce lasciate da Misha su dei miei Servitori, uno dei quali ucciso però da un incantesimo che solo tu hai il piacere di lanciare, vedi che i tasselli di un puzzle un po' macchinoso iniziano a sistemarsi al posto corretto.
- Già. Corretto per un pazzoide megalomane come te. Chi ti ha convinto a unirti ai Magoi? Che cosa ti hanno promesso per tradire la tua razza?
- Proprio tu mi parli di razza, Sanguemarcio? Tu che sei la figlia bastarda di un vampiro che non ha avuto nemmeno il coraggio di presentarti al tuo Clan, ben sapendo che i legami di sangue per loro sono vitali? - si arrabbiò l'uomo, ponendosi di fronte a lei.
- Ti ho punto sul vivo, eh? Anche tu però, se non sbaglio... - sorrise Alyssa con fare cattivo. - ...hai avuto le tue difficoltà ad arrivare dove sei, visto che non hai un albero genealogico pulitissimo, caro il mio Igor. - si fermò, sfoderando il suo sorriso migliore, quello che solo nelle grandi occasioni utilizzava. Si seccò di non avere gli occhi aperti per poterli rendere dolci e mielosi. - Sai benissimo che sarai sempre considerato meno degli altri, visto che non sei di razza certa. Chi è il vero bastardo ora? - disse in tono angelico, sapendo che la domanda avrebbe fatto andare su tutte le furie il non-morto.
Il vampiro la colpì in faccia con un calcio ben piazzato, facendola finire a terra, riaprendole le ferite alla bocca che ancora non si erano rigenerate completamente.
- Cagna francese, vedremo se riderai ancora quando scoprirai la tua vera fine. Non quella decretata dal Consiglio, ma quella che ti ho riservato. - Urlò. - Tu sarai la chiave di Volta per il mio potere, la colonna portante del mio nuovo regno dove il Consiglio non sarà altro che un lontano ricordo e dove chi deciderà per questa zona di Italia sarò solo io.
- Non te lo permetteranno mai. - tossì lei, succhiando il sangue freddo che le colava in bocca. - Sei meno di una nullità. Anche se sei il più importante Fighetto di Milano, sei meno di nulla ai loro occhi.
- Vedremo. Chi sarà contro di me sarà morto, definitivamente. - sembrò calmarsi Igor. - E dopo che avrò preso il potere, direi che i Pulciosi dovranno emigrare molto, molto lontano. - Alyssa riuscì a capire dal tono che stava sorridendo. - E anche alcune umane. Almeno una, questo è certo. Se sarà ancora viva.
- Che cosa stai...
- Credevi che non mi fossi accorto di nulla? Del tuo... come possiamo definirlo? Affetto. Sì, direi che affetto è la parola giusta. Affetto per una misera umana, per una comunissima ladra chiamata Rose?
- Tu sei pazzo.
- Può anche darsi. Molte volte genio e pazzia sono confusi dalle menti ottuse. Ma al contrario tuo, io so esattamente dove e cosa i miei nemici stanno facendo, e quindi conosco lei, le sue amicizie, dove abita, chi frequenta, e molto altro. Arrivare a lei è avere un'arma contro di te migliore di molte lame affilate. L'unico problema delle umane è che sono molto fragili. Si spezzano per un nonnulla. E lei non fa eccezione.
- Se l'hai anche solo toccata con il pensiero... - ringhiò lei, mostrando i denti e tendendo le catene metalliche che le bloccavano i polsi e i gomiti.
- Non mi minacciare. - le intimò Igor, ma dal rumore si era alzato di scatto facendo cadere qualche cosa, molto probabilmente una sedia. Era spaventato. - Non hai nessun diritto e nessuna possibilità di farlo. - la porta si riaprì. - No, comunque, non l'ho ancora toccata, se questo ti può consolare, ma ho già mandato degli uomini a chiedere informazioni al tuo nascondiglio e ad una amica della tua puttanella. Vedremo se è una masochista come alcuni dei suoi clienti o se dirà tutto quello che sa prima che la ammazzino di botte.
- Sei malato. Sei un pazzo malato! - gli disse lei.
- Può essere, ma per adesso io sono ancora libero. - ridacchiò lui. - Ricucitela. Punti piccoli e dolorosi. - sibilò.
- Igor, uccidimi qui, ora. Non fuggire come ogni volta delegando le cose agli alghhh... - mugugnò mentre un ago iniziò a passarle la carne delle labbra fissandogliele con il filo plastico che ancora le sigillava gli occhi. - Ehhhi nnnn bbbbssthddohhh!
- Come ho già detto, se c'è un bastardo qui dentro, non sono certo io. - mormorò il vampiro, chiudendo la porta e dirigendosi al suo studio, dove entrò pochi minuti dopo.
Si sedette nell'ampia e comoda poltrona di pelle invecchiata dagli ani e allungò una mano, aprendo un portasigari decorato con lamina d'oro ed estraendo un Avana. Con calma lo accese, assaporando ogni passaggio, godendosi il profumo delle foglie di tabacco lavorate a mano, invecchiate e mantenute alla perfetta temperatura ed umidità fino ad arrivare a lui. Lo accese, ben sapendo che quello che cercava era solo un magro e debole sostituto delle sensazioni che gli forniva il sangue.
- Non potendo bere vino o alcolici, non potendo accedere alle meraviglie della cucina mondiale, sono costretto mio malgrado a ricadere sull'unico vizio che ho mantenuto dalla mia vita come diurno. Certo non è paragonabile alle fresche pulsazioni del collo di una ragazza appena maggiorenne, o alla delicatezza delle membra di una bambina appena di ritorno dai giochi. Il loro sangue non ha eguali. Eppure è sempre più raro ottenerlo, è sempre più raro poter godere di tali prelibatezze. Ma quando il mio piano sarà completato, allora credo che potrò togliermi qualche sfizio in più. Nessuna Machera, nessun tentativo di nascondersi agli occhi degli umani. Solo quello che possiamo fare, ovvero tutto. Noi siamo nati padroni, loro sono nati schiavi...
- Sempre perso nei tuoi deliri di onnipotenza, vampiro da operetta?
- E' inutile che mi prendi in giro, e poi certe offese non mi toccano, se dette da una voce viscida e senza volto. Chi è più da operetta? Io o un fantasma sussurrante? - domandò alla voce che si era manifestata nella sua stanza.
- Non hai voglia di scherzare. Fai bene, non è il momento. Cosa ha deciso il Consiglio?
- Quello che immaginavamo. Con le prove che ho raccolto e che ho mostrato a quei cadaveri ambulanti, il Consiglio ha deciso all'unanimità di uccidere Alyssa.
- E lo ha fatto?
- No, ovvio che no. E' stata condannata alla morte diurna, che io avrò il piacere di eseguire.
- E' al sicuro in questo momento?
- Come un pisello nel suo baccello. - Cadde di tono il vampiro per un secondo. - Tra pochi minuti la muoveremo in una macchina dai vetri oscurati, dove i miei Servitori hanno già provveduto a sistemare un membro degli Anarchici. Una giovane ragazza che stavamo pedinando da settimane.
- Le assomiglia?
- Direi di sì. Sicuramente le sue ceneri saranno identiche. Avrà su anche i suoi vestiti.
- Sembra che tu stia facendo un buon lavoro. E le due alleate della Sanguemarcio?
Igor inspirò una lunga boccata dal sigaro mentre gli tremava il labbro superiore.
- Me ne sto occupando. Nessun problema.
- Fai che sia vero. Ora non ho il tempo di occuparmi di due mine vaganti. Se colpiscono, il primo che va a mare sei tu.
- Me lo hai già detto. Sembra che tu voglia convincere più te stesso che me. - si rilassò il vampiro. Una luce lampeggiante sul telefono richiamò la sua attenzione. Sollevò il ricevitore e ascoltò per alcuni secondi. - Benissimo. Sapete cosa dovete fare. Poi riportate ad Alfred. - Mise giù la cornetta e schiacciò uno dei tasti dell'apparecchio. - Alfred. Stanno uscendo. Quando tornano, sai cosa fare.
- Certo signore. Sto preparando in questo momento l'acido. Lasci fare a me. - disse pacato il Servitore prima di chiudere la comunicazione.
- Amo quando tutto fila per il verso giusto.
- Te lo auguro. Per te. - esclamò dura la voce, svanendo come era apparsa.
Il Magos riaprì gli occhi e sorrise, solo nella sua stanza rischiarata solo da poche, strategiche candele che gli permettevano tra le altre cose di potenziare i suoi incantesimi. Aveva la fronte imperlata di sudore, lo sforzo per parlare a distanza con Igor era molto alto, ma era un male necessario per lui.
- Quello schifoso non morto è esattamente quello che avevo bisogno per completare il mio progetto. - pensò alzandosi dal pavimento su cui era seduto, la lunga tunica scura orlata di intricati disegni rossi e dorati seguì i suoi movimenti mentre si spostava nella sala dove aveva già attrezzato il necessario per il rito.
- E' tutto pronto? - chiese l'uomo che aveva combattuto contro Alyssa la notte prima.
- La stanno trasportando ora. Recati al luogo convenuto. Il tuo doppio?
- Sta abbastanza bene, nonostante tutto. Credo di avere ancora una settimana, forse due di vita.
- Bene. Era quello che mi interessava.
Uscito il suo servitore, il Magos ricontrollò che tutto fosse al posto giusto, e soddisfatto si concesse di accarezzare il bacile in piombo che avrebbe contenuto l'ultimo ingrediente per la sua più grande magia. Sorrise, prendendo in mano da un vicino tavolo un teschio deforme, sbiancato di recente, simile all'idea di lupo di un malato di mente.
- Non mi auguri buona fortuna, Markus? - chiese, per poi scoppiare in una risata malsana.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - L'evocazione ***


Una sera Alyssa aveva visto assieme a Rose un film francese su un ex-militare che aveva deciso di guadagnarsi da vivere come trasportatore di carichi e merce losca, finché non trovò nella borsa una ragazza asiatica. La situazione in cui si trovava non la faceva ridere come l’aveva fatta ridere il film.
- forse perché non sono cinese… - pensò mentre viaggiava chiusa in una grossa valigia nel bagagliaio della Cayenne di Igor. Sapeva di non essere sola, dei piedi le colpirono la schiena un paio di volte prima che il motore rombasse e il potente fuoristrada partisse. - Non so se essere rincuorata di non morire di diurna o spaventata per quello che è l’alternativa, ovvero l’essere consegnata nella mani di un pazzo.
Provò a capire almeno vagamente la direzione presa, ma fu sicura solo che stavano viaggiando da un po’, una trentina di minuti, forse poco meno. Sentì il rumore del motore fare eco, una eco sorda, quindi l’auto si fermò. Ripartì quasi immediatamente, lo stridere delle gomme mal si accompagnava alla bassa velocità del mezzo.
- E’ arrivato. - sentì dire poco distintamente da uno dei Servitori.
- Mette i brividi…
- Zitto. Lo sai che potrebbe ascoltarti. Igor mi fa paura, ma questo tizio… Dal nulla è diventato una specie di mezzo boss della mala, riesce a catturare Misha e ora…
- Già. - borbottò l’altro Servitore aprendo il bagagliaio. - Io mi occupo della pollastrella. Continua a scalciare.
- Perché tocca a me trovarmi davanti…
- Preferisci scalare tu la torre dell’orologio? Con la pula lì vicino, nel municipio?
L’uomo grugnì ma non rispose, sollevando la valigia di marca che conteneva Alyssa.
- Questa me la paghi. Ci troviamo fuori.
- Dove?
- Di fronte alla fontana con i cavalli in bronzo. E’ poco distante dal municipio, nella piazza. C’è anche un ottimo caffè, peccato che sia chiuso a quest’ora, se non ti offrivo qualcosa. Sai giusto per ringraziarti del favore della scalata. - disse lui ironico.
- Lo conosco, come conosco la zona. Io ci sono nato in questo paese. - rispose l’uomo allontanandosi con la sacca contenente la vampira che sarebbe morta da lì a poche ore.
L’altro chiuse la macchina e si avvicinò al Dorian. Era vestito informale, dei jeans neri, scarpe in tinta e una giacca scura su una T-shirt bianca. Era seduto sul cofano di una Mercedes sportiva, grigio metallizzato. Sorrise, un lampo bianco sotto occhi cupi come il cielo durante una tempesta, i capelli neri tagliati alla militare.
- Hai la merce?
- E’ qui. - rispose il Servitore indicando la valigia con un cenno della testa, poiché anche con la forza sovrumana della sua condizione era costretto a usare entrambe le mani. - Non ci saranno problemi.
- Non ne dubito. L’ho già sconfitta una volta. L’altro problema?
- Risolto, basterà aspettare l‘alba.
- Un peccato non esserci. Mi piacerebbe vedere una vampira bruciare. Lasciano tracce?
- Qualche osso se sono giovani. La torre accanto al municipio è perfetta. Nessuno la usa, e a quest’ora la piazza è vuota. Appena il sole la colpirà… Una fiammata e via. Il gioco è fatto.
Il Dorian si concesse un sorriso e prese la valigia. Aprì il bagagliaio e gettò con noncuranza la vampira nell’angusto spazio, per poi richiudere.
- Alla prossima. - disse rientrando in aiuto e partendo.
Il Servitore lo vide lasciare il garage sotterraneo e tirò un sospiro di sollievo, incamminandosi verso la piazza Risorgimento. La Mercedes lasciò Melzo, lanciandosi sulla provinciale, virando solitaria verso la sua meta, tanto nascosta poiché sotto gli occhi di tutti. Poco prima di arrivare a destinazione, l’uomo bloccò la struggente canzone degli Evanescence che suonava nelle casse dell’auto e compose un numero al telefonino.
- Sono a due minuti. Ho tutto. - Aspettò, ascoltando una voce maschile. - Esatto. Grazie.
La voce suadente della cantante ricominciò dove era stata interrotta. Il Dorian si concesse di ascoltare la fine prima di uscire dalla vettura e di incamminarsi verso il castello che sorgeva sul lato convesso di un’ansa del fiume Adda. Tutte le porte aperte, le guardie addormentate, gli allarmi spenti gli permisero di entrare senza problemi. Si diresse deciso all’altra torre quadrata, circondata dai resti di ciò che un tempo era un centro nevralgico del potere politico ed economico. Invece che salire le ripide e strette scale che portavano alla cima, il Dorian si mosse deciso verso un gruppo di massi e di pietre intagliate, attraversandole come se fossero nebbia.
- Un’illusione perfetta, devo ammetterlo ogni volta… - sorrise scendendo alcuni gradini ed incamminandosi fino ad una grande stanza che il Magos aveva sistemato a studio e luogo di pratiche magiche.
Alcuni scaffali in legno intarsiato contenevano libri, pergamene, tomi di vario genere, altri ampolle, bottiglie e vasi colmi o in parte riempiti dei più disparati liquidi o polveri. Dei bassi tavolini erano ingombri di quello che l’essere catalogò inconsciamente come ciarpame di poco conto. La porta all’altro lato della stanza era chiusa, ma la maniglia si mosse quasi immediatamente.
- Eccoti. La valigia è…
Lui annuì, posandola a terra e facendola cadere sul fianco con un leggero colpo del piede destro. Un breve mugolio segnalò che la vampira non aveva gradito il trattamento.
- Ottimo. - sorrise il mago come un bambino davanti a un giocattolo a lungo cercato e desiderato. - Liberala e fissala sopra il bacile, al centro della stanza. - Il Dorian si mosse. - Attento. Nemmeno un granello di polvere deve essere spostato dal pittogramma magico, il Sigillo di protezione non sarà efficace.
Stando attento a non sfiorare lo strano disegno ornato dalle parti del corpo di Markus, l’essere aprì la valigia e fissò le caviglie e i polsi della vampira con pesanti catene. Spaccò il cemento sulle sue dita con secchi colpi di energia biancastra e tese il metallo fissando la donna in una posizione orizzontale, gli arti diritti e in tensione, pronti a spezzarsi, il corpo nudo.
- Occhi e bocca, la voglio sentir urlare.
Il Dorian abbozzò un inchino e fece scattare un coltello a serramanico con cui tagliò il filo da pesca, sfilandolo.
- Sei una dura, eh, vampirella? - la derise accarezzandole il volto.
Lei ringhiò aspettando che i danni agli occhi e alle labbra venissero eliminati dalla sua particolare fisiologia.
- Non trattarla male, Micky. Non ha la tua capacità di rigenerarsi…
- Ma almeno non… non morirò tra pochi giorni… bastardo. - mormorò sputando sangue raggrumato, croste ormai inutili sulla pelle ricreata.
- Vero. - annuì il Magos. - Tu invece sei morta decenni fa, sei vissuta come una sanguisuga che si ciba della civiltà umana e stasera morirai. Per davvero, per sempre.
Alyssa aprì gli occhi, adattandoli immediatamente alla soffusa luce della stanza, rischiarata da delle candele. Sotto di lei un grosso bacile in metallo scuro. Attorno a lei un Arcano che non riconosceva, ma alcuni particolari le indicavano un’evocazione molto pericolosa e una protezione tanto efficace quanto fragile.
- Giochiamo con gli spiriti, Masticaformule? - lo punzecchiò mentre analizzava la situazione.
- Ognuno ha i suoi hobby, no? - sorrise lui, ironicamente.
- I tuoi sono ben strani. Cosa vuoi evocare? Odino, per le sue conoscenze magiche? Nirlatotep? No ci sono, Polifemo chiedendogli se può chiudere un occhio per quella piccola storpiatura di Omero nell’Odissea!
Il Dorian la colpì con le nocche di un potente pugno al volto, facendole voltare la faccia, su cui si formò per scomparire immediatamente un largo ematoma.
- Sono contento che tu la prenda sul ridere. Il tuo amico lupastro era serio. Troppo serio…
- Serio da morire. - sghignazzò l’uomo che l’aveva colpita. Anzi, serio da morirne.
Alyssa sbarrò gli occhi riconoscendo lo strano profumo misto al sego delle candele che aleggiava nell’aria.
- Sangue mannaro!
- Puro e semplice. Markus mi è servito anche come catalizzatore per l’incantesimo. Le sue ossa e alcuni organi interni sono perfetti per gli scopi di noi Magoi.
- Il resto… beh, i miei cani hanno gradito. - disse neutro il Dorian uscendo dall’Arcano di protezione e invocazione.
La vampira testò le catene che la bloccavano, ma invano.
- Sapete che appena gli altri Pulciosi lo sapranno vi converrà suicidarvi?
- E chi andrà a raccontarglielo? Tu? Una vampira? Moriresti prima della terza sillaba. E poi tu cesserai di esistere prima dell’alba.
Alyssa individuò in un altro bacile, posto al di fuori dell’Arcano di evocazione la fonte dell’odore di sangue.
- Così tanto possono averlo ottenuto solo con una lunga tortura. Quanto hai sofferto, amico mio? - si ritrovò a pensare mentre una parte di lei continuava a meditare sui motivi reali dell’incantesimo. - Licantropi, maghi, vampiri. Mancano solo… - la risposta non volle nemmeno essere pensata, tanto era orribile.
- Hai capito, eh? - ridacchiò il Magos avvicinandosi alla donna che aveva inconsciamente spalancato gli occhi. - Loro mi potranno dare ciò che voglio. Lui me la potrà dare.
- Bastava una letterina a Babbo Natale se volevi l’ultimo libro sui maghetti…
L’uomo sorrise.
- Mi accontento dell’immortalità. Ma per ottenerla senza problemi ho bisogno di un demone superiore e tributi enormi. Cosa meglio di un Puro, un mannaro figlio di mannari, e del sangue della casta più potente dei vampiri, del sangue poi della figlia di Victor? Ho sudato decenni per trovarti. Ti eri nascosta bene.
- Ne sono lusingata. Nessuno mi aveva mai desiderato tanto. E ora che sono qui alla tua mercé, cosa hai intenzione di fare esattamente?
- Sei curiosa…
- Chiamiamolo interesse professionale. Sono anche io una sorta di maga, no? E poi se ho ben capito tra poco sarò morta definitivamente. Consideralo l’ultimo desiderio di una condannata.
- Una sigaretta non bastava? - bofonchiò il Dorian, le braccia incrociate, le spalle appoggiate alla parete come un bullo di periferia. - Esigente la ragazza.
- Non puoi capire. In parte la apprezzo, fino all’ultimo dedita alla sapienza. Ti accontenterò. Il bacile sotto di te raccoglierà totalmente il tuo sangue mentre invocherò il demone che necessito. Egli richiederà un tributo, e il tuo sangue servirà allo scopo per placarlo. Io chiederò l’immortalità che lui mi concederà in cambio della mia anima.
- Ripetitivi. Non hanno mai brillato per inventiva… - mormorò come annoiata la vampira.
- Vero, ma quindi prevedibili. Gli proporrò uno scambio.
- Il sangue del mannaro. Ma non è un’anima. A meno che non sia stato fatto un incantesimo di incatenamento.
Il Magos sorrise mentre estraeva un lungo e sottile coltello dalla lama incisa con strani caratteri.
- Abbiamo parlato abbastanza. - disse mentre con noncuranza incideva la gola della vampira, praticandole una sorta di tracheotomia, quindi mosse la lama giù, tra i seni e nello stomaco, per fermarsi all’altezza dell’ombelico.
La ferita, benché non rimarginata, non perdeva sangue. Con due rapidi movimenti mentre iniziava una monotona e nauseabonda litania in greco, il Magos incise la pelle in orizzontale dall’ombelico alle reni e dalla gola alle spalle, per poi allontanarsi. Piccoli uncini d’oro legati a fili argentei comparvero nell’aria e si ancorarono ai lembi della ferita.
- Ora cadrà in coma evocativo. Tutti gli incantesimi svaniranno, e io sarò la sua unica difesa. - pensò il Dorian mentre il suo creatore si sedeva nella posizione del loto tra l’Arcano di evocazione e il bacile contenente il sangue di Markus e la sua anima.
La litania crebbe in tono e ritmo, la sequenza interrotta per un secondo ogni tanto mentre il Magos intrecciava con le dita dei mudra proibiti. Fermò le mani in pugni chiusi all’altezza del petto, per poi aprire e distendere le dita sbarrando gli occhi. I fili si tesero, gli uncini grattarono le ossa e stracciarono i muscoli spostandoli, il corpo di Alyssa squarciato a mostrare i polmoni immobili da anni, le budella vuote e i muscoli tesi, intenti come un animale morente a ricongiungersi e rigenerarsi. Il sangue, come spremuto da una forza invisibile iniziò a gocciolare, nero e denso, nel bacile. Una goccia, poi due, fili vischiosi che abbandonavano il corpo della donna come la sua forza vitale. La pozza formata iniziò a ribollire, abbozzi di arti, di corna e di volti assurdi nella loro bestialità si formavano e disfacevano come cera nel fuoco, finché l’ultima goccia colpì la superficie oleosa, che si quietò come la voce del mago.
- Fine delle trasmissioni. - pensò Micky. - E ora?
Il sangue svanì, o sembrò svanire. Una sottile nebbia cupa, vagamente rossastra aleggiò nell’Arcano, testandone i contorni, ritraendosi con un fremito di collera quando le protezioni magiche entravano in azione. La nebbia si coagulò, creando un essere che somigliava vagamente ad un Minotauro. Gambe terminanti in zoccoli incandescenti, ricoperte da una folta pelliccia marrone scuro erano sormontate dal busto ipersviluppato di un essere umano, le possenti mani più simili ad artigli di rapace come la testa al massiccio muso di un bisonte. Negli occhi piccoli e neri brillava una malvagità che fece scorrere un brivido anche nella schiena del Dorian.
- E così tu mi hai evocato, Talos di Antiochia. Pochi furono i folli che ci provarono prima di te, e nessuno sopravvisse. Ma tu hai avuto fortuna, poiché di bravura non è degno l’essere umano. - esclamò l’essere con voce profonda. - Cosa richiedi, misero omino a troppo sfuggito alla morte?
- Di sfuggirvi in eterno.
Il demone rise, costringendo il Dorian a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie da quanto rimbombante e acido fosse il suono.
- Chiedi l’immortalità? Come siete prevedibili. Io posso fornirtela, ma sai cosa richiedo.
- E io ti offro un’anima. Dietro di me risiede nel suo sangue l’anima di un essere mannaro, uno di coloro che è figlio di chi ti combatté e scacciò dalla Terra. Markus Nordvirk.
- Che l’Inferno li vomiti poiché il paradiso li ha cagati urlando di rabbia! Ho l’anima di Matheus, ora avrò anche quella del figlio. Umano mi stupisci ancora. Avrai ciò che chiedi, e perdonerò le protezioni che mi stanno rinchiudendo. - rise l’evocato, facendo comparire appena dentro l’Arcano una boccetta di cristallo nero. - Devila e sarai eterno.
Il Dorian si mosse per prenderla, ma un istante prima che la toccasse un coltello da lancio si conficcò nel dorso della sua mano, e fulminea una figura pelosa e felina si gettò sulla bottiglietta cilindrica fermandosi contro un mobile, che bloccò con un forte rumore la corsa di Misha.
- Non so cosa sia, ma se è importante per voi, non lo avrete! - gridò Rose comparendo sull’entrata, a pochi metri dal Dorian, che incurante della ferita si stava già muovendo inferocito contro di lei.
Il demone sorrise mostrando affilati denti leonini. L’Arcano era rotto, le unghie di Misha avevano scalfito il disegno. Un segno impercettibile, ma sufficiente. Ora era solo un disegno.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Tutto va storto o quasi. ***


Il Magos si alzò con sguardo furioso, osservando sia il demone che la gatta mannara.
- Sapevo di voi, avevo avvertito quell’inetto vampiro. Qualcosa in più da aggiungere alla lista di motivi per ucciderlo. Dammi quella boccetta, gattina, e forse morirai velocemente.
- Fottiti! L’unico che si darà male sarai tu. - ringhiò lei infilando il contenitore di cristallo tra i seni e il body nero che indossava. La coda frustava l’aria sibilando. - E il tuo amichetto.
- Non credo…
- Alexandra! - gridò rose un istante prima di scaricare mezzo caricatore di una nove millimetri sulla faccia del Dorian.
L’essere si fermò. Con movimenti fermi e decisi estrasse il coltello dalla mano destra, quindi i due conficcati nel petto a sinistra e l’ultimo, che aveva creato una profonda ferita alla gola. Le lame caddero a terra assieme ai proiettili mentre il corpo e il volto si ricreavano istantaneamente.
- Il mio corpo umano ha perso un altro giorno. Questo mi da molto fastidio, patetica ragazzina… - mormorò mentre tendeva le mani, dirette al collo della ladra.
- Cosa vuoi fare? - ghignò il mago, senza però perdere di vista il demone. Sapeva che il patto non era ancora completato, e lui era in pericolo. - Se ti può aiutare, lui è quello che ha ucciso tuo fratello.
- Ucciso?
Il Magos mostrò a Misha un involto peloso gentilmente piegato e riposto in un angolo della stanza.
- Una pelle di licantropo non conciata. Decisamente rara…
La gatta mannara scattò verso il Dorian, afferrandogli con i potenti artigli gli avambracci, staccando con relativa facilità le mani dell’essere dalla gola di Rose. Un movimento secco come il rumore dei gomiti spezzati, e il Dorian si ritrovò sollevato in aria, il fianco destra straziato dagli artigli. Misha urlò mentre lo lanciava con tutta la sua forza verso il miro opposto, ma il corpo si scontrò con le catene che sostenevano le buio Alyssa. L’urto fu tale da far cadere i bulloni ad espansione piantati nelle secolari mura, e il Dorian crollò fuori dall’Arcano assieme alla vampira.
- Alyssa… - mormorò l’umana vedendo lo stato dell’amica.
Delle lacrime si bloccarono negli occhi alla vista del corpo squarciato eppure ancora animato dalla perversa magia che lo rendeva un corpo non morto. Le costole spezzate della vampira sussultarono tentando di richiudersi sui polmoni ormai secchi e neri.
- Cristo…
- Lui non c’entra, mannara. Hanno fatto tutto loro… - ridacchiò il demone indicando con il ricurvo artiglio il mago e l’essere che si stava rialzando mentre le sue braccia tornavano normali. - O meglio, direi che ha fatto tutto Talos. L’altro è solo un potente incantesimo. Se ti consola, oltre alla pelle c’è altro del lupo. Qui vedo una costola, ecco quello che sembra un rene… Ah, senza dimenticare il cervello. Grosso per una bestia, bisogna ammetterlo. - la derise additando i resti che erano stati utilizzati nell’Arcano.
- Markus! - ululò la gatta, prolungando in maniera sinistra l’ultima vocale.
Misha cadde in ginocchio, le mani a terra. Il suo corpo mutò leggermente, divenendo più muscoloso, gli artigli si ispessirono e incurvarono così come le orecchie assunsero un taglio più slanciato. Il muso si deformò leggermente apparendo ancora più animale. Aprì gli occhi, due rossi globi che riassumevano nel loro brillio tutto ciò che l’Istinto aveva lasciato alla mannara. Un odio immenso, oltre il concepibile da una sola mente senza impazzire.
- Micky! - Urlò il mago avvicinandosi al bacile pieno di sangue, cercando riparo alla furia di Misha.
Il Dorian si frappose tra il suo padrone e la gatta mannara appena in tempo, assorbendo l’impatto provocato dal massiccio corpo e dalla velocità sovrumana. Due sfere di energia bluastra penetrarono dalle mani dell’essere nel torace di Misha, provocando profondi fori. Lei saltò indietro, le ferite a rimarginarsi totalmente nel giro di un secondo. Fischiò, incurvando le dita e gettandosi di nuovo all’attacco. Micky deviò il suo affondo, aggrappandosi al body che indossava per deviare la traiettoria lontano dal Magos. Ottenne quanto voleva, ma il tessuto non resistette, lacerandosi.
- L’immortalità! - gridò l’uomo, vedendo la boccetta cadere a terra poco lontano, non più bloccata dall’unico indumento della gatta mannara, che si era rialzata dopo aver violentemente urtato una parete occupata da degli scaffali.
I mobili si erano frantumati, lasciando cadere i libri e le pergamene che erano stati posizionati mesi addietro. Misha scrollò la testa, mostrando i lunghi canini superiori che la facevano assomigliare vagamente ad una tigre preistorica, e si lanciò nuovamente versoi il Dorian, incurante dei proiettili magici che la stavano colpendo.
-Devo approfittare di questo momento e chiudere il patto. - pensò Talos, muovendosi a gattoni, come a nascondersi, verso la boccetta, versoi l frutto di tutte le sue fatiche.
Rose non osava intervenire nella lotta di Misha con lo strano essere, e aveva approfittato della confusione per raggiungere la vampira. La sua bravura con le serrature le venne in aiuto facendo scattare velocemente i meccanismi che bloccavano le manette cilindriche ai polsi e alle caviglie di Alyssa. Con un clangore che si perse nel rumore dello scontro poco lontano la ladra gettò via le catene.
- Mi senti Alyssa? - chiese preoccupata. - Mi senti?
Lei annuì, in uno spasmo di muscoli del collo. La laringe si stava richiudendo lentamente, vincendo l’incantesimo che la lama dell’evocatore aveva lasciato sui lembi aperti delle ferite.
- Hai bisogno di sangue per guarire. Me lo avevi detto una volta. Bevi quanto vuoi. - le disse togliendosi il leggero guanto di cuoio nero e mostrando il polso.
La vampira vide quelle vene così vicine, quel ritmico accelerato battito che pulsava appena sotto la sottile pelle dell’umana. Era stremata, attaccata alla sua non vita per orgoglio, per rabbia ed orgoglio.
- Deciderò io quando morire… - si ritrovò a pensare mentre sentiva il caldo e acre odore della paura in Rose, il sentore speziato dell’adrenalina misto al metallico sapore del sangue che spesso aveva assaporato in quegli anni. Aprì la bocca con uno sforzo che le annebbiò la vista, i lunghi canini umettati del blando sedativo e afrodisiaco che aveva dato al morso dei vampiri il soprannome di Bacio di sangue. Il tempo si dilatò mentre chiudeva i denti attorno al polso dell’amica. - No! - mormorò riaprendo la bocca, la pelle di Rose intatta.
- Alyssa! Morirai se non lo fai! Bevi! - la supplicò la donna.
- Troppa fame. Non… - respirò, un rantolo mentre l’aria gonfiava brandelli di polmone come fossero palloncini appena rotti. - Non potrei fermarmi. La Furia…
Un movimento vicino al barile attirò i sensi ipersviluppati della mon morta, che vide la boccetta nella mano del Magos. Stappata.
- Fermalo. Ora.
- Come?
- Mano nel muro. Usa la…
Rose capì, e prima che l’amica finisse la frase si era già concentrata, immergendo la mano destra nell’ombra danzante che il suo corpo creava contro il muro alla debole luce delle candele. Chiuse gli occhi visualizzando quanto voleva fare, e la sua mano comparve dalla parete accanto al Magos. Strinse le dita attorno al polso dell’uomo, che per lo spavento lasciò inconsciamente la presa.
- No! - gridò tentando di afferrarla con l’altra mano, ma riuscì solo a deviarne la traiettoria verso il vicino bacile.
Il vetro rimbalzò sul bordo metallico, fece un giro su se stesso e con un soffice rumore cadde assieme al suo contenuto nel sangue di Markus. Il demone rise. Tutto andava come aveva sperato.
- Doveva essere una semplice invocazione, mentre ora… Un patto non rispettato, l’anima di un Magos e il suo corpo. Le possibilità sono infinite. - sorrise aspettando di vedere cosa sarebbe successo, portando la sua attenzione sullo scontro tra la licantropa e il Dorian.
Entrambi continuavano a colpirsi ripetutamente, apparentemente incuranti di quanto stava loro succedendo. L’uomo utilizzò una grossa sfera di energia nerastra per colpire il volto di Misha. La cosa la rese temporaneamente cieca, e nella sua furia animale la ragazza si lanciò verso il centro della stanza, evitata in modo agevole dal suo avversario che non approfittò comunque della situazione, ansimando vistosamente. Misha concluse la sua corsa contro il bacile che aveva contenuto il sangue di Alyssa, deformandolo leggermente e facendolo cadere a terra.
- Bastardo… - mormorò scrollando la testa e rialzandosi. La vista sdoppiata faticò un secondo a mettere a fuoco l’avversario, e sul petto ricevette altri due potenti colpo, seguiti da un calcio rotato al volto, che la sbatté di nuovo a terra.
- Sei finita gattina. Spero solo che i miei cani gradiscano filetto di licantropa.
La coda di Alexandra sferzò l’aria colpendo le gambe del Dorian.questi perse l’equilibrio, cadendo pesantemente sulla schiena. La gatta mannara ne approfittò per saltargli addosso, tentando di arrivare alla sua gola con le fauci, ma l’essere si dimostrò forte quanto lei, bloccandole la testa tra le mani e girando con lei con un colpo di reni, mettendo la licantropa con la schiena sul freddo pavimento. Rimasero in quella posizione statica per un paio di secondi, mentre Misha ringhiava furente artigliando la pietra con le zampe anteriori. Riuscì a fare presa, si diede lo slancio e scaraventò il Dorian in aria premendo i piedi sul suo stomaco. Un altro colpo dei potenti muscoli addominali e fu di nuovo in piedi, ma il suo avversario stava lentamente svanendo, come se fosse stato neve al sole. Il volo lo aveva portato ad urtare il demone, che lo aveva afferrato per la testa con la sua mano sinistra, sollevandolo dal suolo. Micky sgranò gli occhi e aprì la bocca in un ritratto di puro terrore, ma il suo volto come il resto stava disgregandosi, un sottile vapore scuro che fluiva nelle narici taurine dell’evocato.
- Vita distillata. Molto saporita, anche se rovinata dall’abuso del corpo originario. - commentò come se avesse assaggiato un liquore pregiato o un vino da collezione. - Avrebbe comunque perso contro di te, mannara. Gli ho solo evitato una figuraccia.
Il demone osservò al faccia spaventata del Magos. Gli sorrise e fece un passo verso di lui, avvicinandosi al bordo dell’Arcano. Fece un altro passo, parte del suo zoccolo sopra il disegno.
- O Signore…
- Lascialo fuori dalla faccenda. Hai evocato me, non lui. Avevi pensato a tutto, è vero, ma ora non avrai più nulla. La mia parte del patto l’ho rispettata, l’immortalità era nelle tue mani, ma te la sei fatta scappare.
- Vattene… - sussurrò Alyssa a Rose.
- Io non ti lascio.
- Salvati. Io non ho speranze. Se rimani nemmeno tu.
Rose non si mosse, fissando il demone. Misha ringhiò saltando verso quello che considerava un nemico che le aveva rubato una preda. La sua fu una mossa velocissima, quasi invisibile all’occhio della ladra, ma il demone la bloccò afferrandola per la gola, il lungo braccio teso mentre i muscoli si gonfiavano a serrare le dita sul collo della gatta mannara, sollevata da terra di quasi una spanna.
- Buona, gattina. Ora devi solo riposare. - esclamò lanciandola contro il muro alla sua sinistra.
La licantropa si accasciò al suolo priva di sensi, il suo corpo ferito dallo schianto con la parete di pietra riprese le sembianze umane iniziando a rigenerarsi lentamente.
- Se vuoi delle anime, prendi le loro. Lasciami in vita. - piagnucolò Talos, muovendosi lentamente verso l’uscita, la schiena attaccata alla parete.
Il demone rise uscendo dall’Arcano e dirigendosi verso Alyssa e Rose.
- Stai lontano! - gridò lei. - Stai lontano o…
- Sto tremando. - sghignazzò luridamente il mostro. .- Cosa mi faresti? Mi picchieresti? Hai potenzialità, manipolatrice della Tenebra, ma devono ancora svilupparsi, e io attenderò quel giorno per prenderti. - Si voltò verso il mago. - Talos, tu mi devi un’anima. Il sangue che mi avevi offerto è corrotto, la vampira non ha ciò che chiedo e la ragazza l’avrò comunque.
- La mannara. E’ la sorella di Markus! Prendi lei! Prendi lei! - urlò il Magos ormai vicino all’uscita.
Il demone mosse un artiglio e la porta si chiuse.
- Non voglio un’anima così facilmente, se è l’anima di una nemica come una Nordvirk. La tua invece… E’ nera e carica come un bel piatto speziato, e ora la tua paura… E’ perfetta. E il tuo corpo anche.
- Io ti ho evocato. Non puoi! Te lo proibisco. - urlò isterico.
- Tu? Vuoi fare cosa?
Il corpo del demone svanì, ed un istante dopo quello del mago ebbe uno spasmo, le braccia allargate ad agitarsi nell’aria. L’uomo sembrò riprendersi, si sistemò le vesti e guardò Rose e la vampira. I suoi occhi erano rossi e oscenamente lucenti.
- Spero di rivederti, Manipolatrice. - esclamò, per poi svanire in un cerchio di nebbia nera.
Rose rimase immobile per quasi un minuto, le candele a consumarsi lentamente. Singhiozzò. Una. Due volte, quindi scoppiò in un pianto dirotto, sopraffatta dalla paura e dall’orrore a cui aveva assistito.
- Non può essere vero… non può esserlo.
Una mano strinse debolmente la sua. La fredda mano della vampira in quel momento le parve un’ancora di normalità, costringendola ad aprire gli occhi e a riprendere il controllo sulle sue emozioni. Si alzò, attraversando la stanza verso il corpo di Misha. Non aveva segni visibili di ferite, il respiro era regolare. Rose la scosse un paio di volte finché lei non si svegliò sbadigliando.
- Cosa… Chi? - bofonchiò.
- Siamo rimaste sole. Ho bisogno del tuo aiuto.
- Il mago… mio fratello… - sospirò triste.
- Alexandra. Markus è morto. Il suo assassino ha subito una condanna peggiore della morte, ma ora dobbiamo sbrigarci. Alyssa sta per morire, e ho solo una possibilità.
- Cosa vuoi fare? - chiese asettica la bionda.
- Il bacile con il sangue. Lei è ferita. Ha bisogno di sangue. Troppo. Quello è quanto le serve…
- Ma è quello di mio fratello! Non posso pensare di darlo ad una vampira…
- Ora come ora è inutile. Aiutami, ti prego. Lei è tutto ciò che ho…
Misha la guardò. Aveva lo sguardo che ebbe lei quando i sui morirono. Sapeva cosa volesse dire perdere una persona amata, perderla davanti ai propri occhi.
- Cosa devo fare? - ripeté, alzandosi.
- Solleviamo Alyssa e mettiamola nel bacile. E preghiamo.
- Dubito ascolteranno le nostre richieste. Siamo un po’ lontani dalla comune idea di fedeli. - tentò di scherzare, senza alcun risultato, la bionda sollevando lo straziato corpo della non morta e adagiandolo lentamente nella tonda vasca.
Il sangue sembrò ribollire per un istante, piccoli movimenti sulla superficie e sotto di essa. Gli occhi della vampira si spalancarono, rossi e iniettati di sangue. I suoi canini si allungarono mentre le costole, con rumori secchi e disgustosi si richiudevano, ricostituendo il plesso solare, riagganciandosi alla pleura mentre i polmoni si gonfiavano e riprendevano un aspetto vitale.
- Sta funzionando… - rise con le lacrime agli occhi la ladra, cadendo a terra e scoppiando in un pianto isterico quanto la sua risata, che riecheggiò nella fredda e umida aria dei sotterranei del castello di Trezzo, illuminato dalle prime luci dell’alba.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Cambiamenti ***


Non sapeva quanto era rimasta priva di sensi. Si ricordava come in un incubo sfocato di essere stata sollevata e messa nel calderone pieno del sangue di Markus. Si ricordava l’euforia del suo corpo mentre assorbiva il liquido denso ancora vagamente caldo nonostante il tempo passato da quando aveva abbandonato il licantropo. E sentiva che col sangue qualcosa in lei era cambiato. Aprì gli occhi. Era ancora nel bacile ormai vuoto. Accanto a lei, seduta e addormentata, la forma umana di Misha riposava con un’espressione serena che provocò un moto di tenerezza in Alyssa.
- Cosa diavolo vado a pensare? - mormorò, scivolando fuori dal contenitore metallico. - Deve essere ancora notte. Mi sento spossata. Forse poco prima dell’alba…
Sentì dei rumori provenire dalla porta aperta che dava ad un buio corridoio. Alexandra si rigirò assumendo una posizione fetale. La vampira si mosse, nascondendosi dietro la porta, i muscoli in tensione. Sapeva di essere troppo stanca per ricorrere alla magia. I passi di quattro persone superarono la porta per fermarsi immediatamente.
- Alyssa! - gridò Rose. - Alyssa dove sei?
- Qui rose. - rispose muovendosi di fronte all’amica. Con lei c’erano due uomini sulla trentina, vestiti con ampi pantaloni jeans e magliette dai motivi hip-hop, e la ricettatrice di Rose, Martina. Quest’ultima mostrava evidenti segni della pesante aggressione da parte dei Servitori di Igor. L’occhio nero e semichiuso, tumefatto, alcuni lividi sul volto e sul braccio sinistro assieme alle escoriazioni e al grosso gesso che le bloccava il polso e il gomito destro non l’avevano fermata dall’indossare una camicia senza maniche viola e una lunga gonna nera entrambe in vinile che la facevano somigliare a una bambolina per adulti lucida ed ammiccante, anche se un po’ malridotta. Notò che la stava osservando come sguardo critico, sorridendo debolmente.
- Capisco la tua scelta, Rose… - ridacchiò.
Alyssa si rese conto che non solo Misha era nuda, e si coprì istintivamente il cavallo e i seni, provocando un’altra sincera risata dalla donna.
- Loro chi sono?
- Le potrei definire le mie guardie del corpo. - rispose Martina. - L’amica di rose, quella che sta beatamente dormendo là in fondo, me li ha mandati per proteggermi. Aveva ragione,. All’uscita del San Raffaele, stanotte, ho rischiato un altro brutto incontro, ma Luca e Paolo mi hanno salvato.
- I Servitori di Igor. Quel bastardo non è contento se non esagera. Ma appena tramonterà il sole avrà una bella sorpresa.
Rose tossì come se le fosse andato qualcosa di traverso.
- Credo che ti dovrò dire una cosa.
- Più di una. Dove siamo?
- In un’area abbandonata del castello di Trezzo sull’Adda, ad una trentina di chilometri e oltre da Milano. - rispose Luca.
L’altro si era avvicinato ad Alexandra e si era tolto lo zaino dalle spalle, iniziando ad estrarre dei vestiti puliti.
- Che ore sono?
- Le undici e un quarto circa.
- Martina, giusto?
Lei annuì.
- Martina, credo che tu ti stia sbagliando, non possono essere le undici di sera.
- Mai detto che lo fossero. Manca meno di un’ora a mezzogiorno.
- Ecco, Alyssa, questa è una delle cose che volevo dirti. Credo che stanotte sia successo qualcosa al tuo… al tuo corpo.
La vampira analizzò velocemente quanto si ricordava, frammenti al rallentatore dell’evocazione, la boccetta caduta, lei che si risvegliava nel bacile vuoto. Comprese in parte e sgranò gli occhi.
- Cosa hai fatto, Rose? - chiese stupita.
Il licantropo accanto a lei le passò dei vestiti neri e lasciò degli stivali al polpaccio in similpelle vicino.
- Vestiti. Questo posto puzza di morte, Succhiasangue. Prima usciamo, meglio è. Dobbiamo mischiarci ai turisti.
Alyssa fece come le era stato detto, e velocemente sia lei che Alexandra, che era stata svegliata dal Cane di Attila, si incamminarono verso l’uscita.. Misha indossava come Rose una comoda tuta con delle scarpe da ginnastica in tinta, blu per la bionda e lilla per la ladra, una maglietta bianca con il gagliardetto di un’università americana in vista sotto la giacca aperta. Alyssa aveva un completo nero composto da minigonna e maglia aderente a maniche lunghe senza spalle. Martina le consegnò un paio di occhiali da sole rettangolari molto piccoli, simili a degli occhiali da lettura per presbiti.
- Nel caso ti dia fastidio. Rose mi ha detto che il sole non ti piace.
- Né io a lui. In genere mi ammazza.
- Non me ne parlare. Anche io mi scotto ma non mi abbronzo. - sorrise la ragazza, prendendola vistosamente in giro.
I due licantropi diedero il via libera, e il gruppetto senza difficoltà si accodò ad una visita guidata di turisti eterogenei. Quando fu il momento di uscire dalla torre, la vampira ebbe un’esitazione, il passo le si bloccò nel vedere la forte luce diurna.
- Rose, io morirò. Questa cosa dentro di me mi ha cambiato, ma il sole? Non posso…
- Alyssa, ho accettato nulle cose per te. Ora ti chiedo di fare lo stesso. Non ti succederà nulla, ne sono sicura. Prova con una mano. Mi hai detto che male che vada la puoi rigenerare.
- Sì ma…
- Muovetevi! - sibilò uno dei licantropi. - Attireremo l’attenzione se non ci sbrighiamo.
La vampira allungò la mano, sicura del dolore e delle dita ridotte a fumanti ossa annerite, ma quanto provò fu oltre ogni sua immaginazione.
- E’ caldo! - rise ritirando la mano, indenne.
- Ora muoviamoci. Ci sono due macchine qui fuori. Misha verrà con voi, io mi tengo le guardie del corpo. Ah, rose, il nascondiglio è saltato, ve lo hanno distrutto. Prendi queste, sono le chiavi dell’appartamento che ho dalle parti del Politecnico. E’ intestato ad una società di comodo. Lo uso per gente… calda…che deve stare nascosta un po’. L’indirizzo è sul portachiavi.
- Igor e gli altri del Consiglio ormai sanno che sei implicata con me. Non potrai nasconderti.
- Alyssa, ti ringrazio, ma so badare a me stessa. La mia attività è tutto per me, e se ho contro una sorta di mafia cadaverica, beh, anche io ho una famiglia a proteggermi, ora. - sorrise Martina, mentre i suoi occhi cambiarono in bulbi versi dalla pupilla verticale gialla.
Rose si stupì, ma represse l’urlo per evitare di attirare l’attenzione. Solo fuori dalla costruzione, nel parcheggio, si avvicinò all’amica.
- Non mi avevi detto che anche tu…
- Non sono una di loro. Ma quando ho visto Luca e Paolo uccidere con tanta facilità quelle stesse persone che mi avevano conciato così, ho chiesto loro un paio di cose. E sai come posso essere convincente se mi ci metto.
- Immagino… - mormorò lei. - Ma allora?
- Morso vincolante. Sono una sorta di Servitrice. La prossima volta che ci proveranno si troveranno contro l’intera comunità dei Cani. Ricordati. - Le sorrise. - Se sarai in difficoltà vieni a trovarmi.
- Grazie. - la abbracciò rose, sorridendo. Spero solo di poterci rivedere in occasioni migliori. Grazie di tutto.
La ladra salì in macchina. Misha era rimasta taciturna come Alyssa, e nemmeno lungo la strada le tre aprirono bocca, ognuna persa nei propri pensieri. Arrivate allo stabile aprirono il portone ed entrarono guardandosi in giro per controllare eventuali inseguitori, salirono le scale fino al terzo piano e si chiusero dentro. La licantropa si gettò a terra in posizione fetale e chiuse gli occhi. Rose accese la luce in cucina, senza sollevare la tapparella, controllò il frigorifero vuoto e si versò sconsolata un bicchiere di acqua del rubinetto e si sedette ad osservarlo. Alyssa la raggiunse e si sedette accanto a lei. Non parlarono per alcuni minuti, solo il costante, lento e irritante rumore delle gocce che cadevano nel lavello dal rubinetto chiuso male. La vampira si alzò e lo chiuse, sobbalzando nel sentire le calde braccia di Rose sui fianchi e il suo petto sulla schiena. Riusciva ad assaporare il suo odore nell’aria immobile della stanza.
- Come stai? - le chiese con un sospiro.
- Non lo so. - rispose lei, lasciando la maniglia del miscelatore. - E’ come se qualcosa non andasse, e allo stesso tempo tutto fosse meglio di prima. Vedo le cose in maniera diversa. Anche te.
- In che senso?
- Non lo so. A volte mi pare di vedere un alone rossastro attorno alle cose, a volte nero, e la testa mi gira per un istante.
La ladra la lasciò voltare, osservandola. Aveva gli occhi bassi, semichiusi. Le lenti fumé le davano un aspetto da intellettuale retrò che la fecero sorridere involontariamente.
- Forse un effetto passeggero del sangue che hai… assorbito.
- Probabile. Eppure anche il resto… Ma ci penserò dopo. Ora ho una cosa più importante da risolvere. Igor.
- Quello che non capisco è perché? Intendo dire, se voleva eliminarti perché allearsi con quel… come lo hai chiamato?
- Sono conosciuti come Magoi. Nell’antichità erano stregoni, vati, poi maghi, alchimisti, evocatori. Ora non lo so. Quello che abbiamo incontrato era un evocatore. Anche abbastanza bravo, direi.
- E l’altro tizio?
- Il Dorian. Credo che effettivamente sia chiamato “Servo vincolato a scambio di effetti.”
- Ovvero?
- Ti ricordi il libro “Il ritratto di Dorian Gray?”
- Quello in cui l’uomo rimaneva bello e il ritratto era orribile? Sì.
- Ecco, l’incantesimo permette di creare un doppione asservito al mago e dotato di buona parte dei poteri dell’evocatore. Tutti i danni che fai al doppione ricadono sul cadavere, nascosto da qualche parte nell’Arcano di Incatenamento. Hai due possibilità di far fuori il Dorian. Distruggi il suo cadavere o lo colpisci così tanto che i danni sono troppo elevati e l’incantesimo si sovraccarica.
- Dio, è una cosa orribile.
- E’ magia nera. Io la conosco, era la specialità del mio Padre, ma non amo usarla. Parte del potere lo trae dai piani infernali, e usarla vuol dire attirare l’attenzione.
- Quindi Igor si era alleato con un mago che ha evocato un demone che ora possiede il suo corpo. Ma così ha tradito la vostra razza.
Alyssa si spostò in salotto, gettandosi su una poltrona.
- Potere, Rose. Igor, come tutti i Fighetti brama il potere come, se non di più, del sangue stesso. Lui più degli altri. Non ha una linea di discendenza pura, cosa fondamentale per il suo gruppo, e per avere più potere di quanto ne ha doveva per forza giocare sporco.
- Ma gli altri vampiri come la prenderanno, quando lo verranno a sapere?
- Come minimo si incazzerranno da morire. Ma chi glielo può dire? Non posso certo andare davanti al Consiglio.
Rose la guardò sorridendo.
- No?
- Cosa hai in mente? Anche ammettendo di arrivare davanti al vecchio Asmodeo, cosa gli direi? Hanno firmato la mia condanna a morte diurna ieri notte.
- Digli la verità. Che poi decidano loro. Dovranno pur fare qualche cosa, no?
- Tu sei matta.
- Stando con te è il minimo che mi potesse succedere. Sai dove si trova Asmodeo?
- Dorme al cimitero, ma anche se è giorno, ci saranno i suoi servi.
- Non si stufano a curarlo tutto il giorno?
- Sono morti riportati in vita. Vivono per e grazie a lui. Non sarà facile evitarli. Ma si può fare. - Sorrise. - La tua pazzia è contagiosa.
- Lei cosa fa? Rimane qui? - chiese la ladra indicando Alexandra.
- Lasciamole un biglietto. E’ più al sicuro qui che con noi, quello è certo. Se andiamo non si torna indietro. E Potremmo non tornare del tutto, Rose.
- Io dico di no.
Le due donne montarono in macchina e parcheggiarono poco lontano dal Cimitero maggiore. A passo sicuro si diressero al mausoleo che fungeva da entrata al mondo sotterraneo e umido del Consiglio. Come previsto nessuno era presente nel locale coperto, il sarcofago di pietra a nascondere la scala normalmente utilizzata dai vampiri per accedere alla sala riunioni.
- E ora?
- Spero di avere ragione. - mormorò Alyssa scorrendo le dita lungo i fregi ricercando la piccola imprecisione che segnalava il meccanismo di apertura. La trovò, ma esitò a premerla. - Rose, forse non succederà nulla, ma forse, come credo, i ghouls correranno a vedere ciò che ha aperto la tomba. Te la senti di spostarci nell’ombra oltre di loro? Saranno una decina di metri. Al resto ci penso io.
La ragazza si legò un elastico ricoperto di spugna rosa ai capelli creando una coda di cavallo e sfiorò la parete buia accanto a lei, l’ombra creata dalla porta semiaperta.
- Quando vuoi. - le sorrise a labbra chiuse.
Alyssa premette il fregio, facendo ruotare la tomba. Immediatamente si sentì il rumore di passi pesanti avvicinarsi. La vampira strinse la mano della ladra e si immerse nell’ombra. Sentì di scendere, quindi un alito di aria umida la costrinse a riaprire gli occhi. Era nel corridoio.
- Sono appena passati. - le disse l’umana, il respiro mozzato come dopo una corsa.
- Via allora. Ce la fai?
Lei annuì mentre entrambe corsero fino ad arrivare alla porta che dava alla sala riunioni. Alyssa sfiorò con le dita i battenti, tracciando una sorta di chiave dalla forma antica. La serratura risplendette di un verde malsano per un secondo, per poi scattare. Entrarono.
- Non ci seguiranno?
- No, Rose. Hanno l’ordine mentale di non entrare. Siamo al sicuro. Devo solo evitare le trappole mistiche, ma Amedeo non è uno Scrivano, è un burocrate. Avrà semplicemente un blocco sulla sua bara…
- E’ pericoloso?
- Solo se vuoi aprirla. Noi aspetteremo e basta.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - La riunione ***


I corridoi si inseguivano apparentemente infiniti al di sotto del grande cimitero, collegando il mausoleo con ogni estremo della zona, e le due donne impiegarono molto tempo per trovare la nicchia giusta, una piccola statua in pietra bianca di un uomo in toga con in mano un libro e nell’altra una piuma d’oca.
- E’ lui?
Alyssa annuì. Ruotò la statua finché non mostrò loro la schiena e un’intera sezione accanto alla nicchia scese nel pavimento, mostrando una stanza buia e angusta, quasi interamente occupata da una bara in legno scuro e pregiato con particolari in ottone lucidato a specchio.
- Ora aspettiamo. Mettiti comoda. - disse la vampira, sedendosi a gambe incrociate e chiudendo gli occhi come se volesse meditare.
Rose si sedette con le spalle al muro. Sapeva che la sua amica stava rilassandosi per recuperare le forze che lei usava per le magie. Si guardò in giro, gli occhi che si abituavano lentamente al buio dopo che la parete movibile, risalendo, aveva sigillato nuovamente la stanza. Facendo ricorso ad una minima frazione del suo potere la ladra poté vedere come se ci fosse una luce, seppure debole. Silenziosamente si mosse verso la bara, osservandone con gli occhi e con le dita la forma semplice e i particolari. Fu incuriosita da un sottile gioco di intarsi nel metallo. Iniziò ad esaminarlo con i polpastrelli, ma arrivata ad aver sfiorato un intero lato lungo dell’abbozzato prisma, un improvviso sonno la costrinse a chiudere gli occhi.
- Solo un secondo… - si disse, mentre scivolava in un torpore innaturale.
Quando tornò in sé si costrinse a sollevare le palpebre, ritrovandosi in una stanza molto grande, illuminata da potenti luci al neon. Riconobbe quasi immediatamente la sala riunioni collegata con il tunnel dove sostavano i morti risvegliati.
- Ma cosa…
- Ti sei svegliata finalmente. - Le sorrise a labbra chiuse un uomo anziano con una lunga tunica porpora con passamaneria in vero filo d’oro. - Iniziavamo a preoccuparci.
Rose scattò in piedi, accorgendosi che non era sola. Molte persone, maschi e femmine, giovani e meno giovani affollavano la stanza e le balconate. Poco lontano, seduta su una sedia accanto ad un anziano dall’aria autorevole, Alyssa era coperta da una tunica simile nella foggia a quella dell’uomo che le aveva parlato, ma di colore nero e senza passamanerie se non un piccolo ricamo rosso cupo alle maniche.
- Dove… - balbettò, la testa ancora confusa come dopo un lungo sonno seguente una sbornia. - Cosa…
- Sei stata colpita da un meccanismo di protezione della bara di Asmodeo. Ti ho portato qui mentre Alyssa si cambiava e spiegava le sue ragioni. Avete fatto davvero qualcosa di strano, che mai il Consiglio aveva visto. Credo che sia per questo che stiamo ancora discutendo se farvi vivere o morire.
- Bella prospettiva. A non state discutendo.
- Il direttorio degli Aristocratici sta decidendo. - le spiegò, ma vide dal suo volto che non aveva capito nulla. Le si avvicinò. - I capi dei Fighetti stanno parlando tra di loro. - le sussurrò all’orecchio. L’alito era freddo e spesso, vagamente profumato di vino rosso speziato.
Una porta si aprì. Tre vampiri in lugubri vesti aristocratiche, gli occhi infossati e maligni si fecero avanti, fermandosi al centro della sala. Asmodeo, accanto ad Alyssa, si alzò le li raggiunse. Annuì, si voltò, alzando le mani in aria. Immediatamente il già debole brusio nel locale si spense lasciando un silenzio innaturale. Rose poté sentire come un rimbombo il suo cuore battere e i polmoni gonfiarsi. Gli unici nella stanza.
- Giudizio favorevole. - proclamò.
Il vampiro accanto alla ladra sorrise, mostrando i lunghi canini.
- Andiamo. Dovete nascondervi. Tra meno di mezz’ora Igor sarà chiamato a testimoniare la morte di Alyssa. Vedremo cosa succederà.
- Ma per tutto il resto?
- Siamo vive. E’ già un fatto straordinario. Ora lasciamo che lo stronzo si costruisca il patibolo con le sue parole. - le rispose Alyssa, sorridendo.
I tre si spostarono in una piccola stanza e aspettarono in silenzio, un silenzio tangibile, pesante.
- E’ arrivato. - disse ad un certo punto il vampiro, senza riaprire gli occhi che aveva chiuso poco dopo aver chiuso la porta. - Sta presentandosi.
- Come fa a sentirlo? - sussurrò Rose.
- Arcano Spia. Un gioco che solo alcuni sanno rea… - si bloccò. - Ecco come è stato tradito Markus. Il Magos aveva un Arcano Spia… Cretina, cretina a non averci pensato prima!
- Ecco, ha mostrato i resti della vampira. Dice che sono i tuoi. Ti sta chiamando Sanguemarcio, sta urlando contro i Pulciosi e contro Markus. - Si bloccò, sgranando gli occhi. - Impossibile. E’ impazzito.
- Cosa sta succedendo?
- Sta sfidando il Consiglio. E’ pazzo!
- Li sta sfidando?
- Sì Alyssa. Ha lanciato una sorta di scommessa. Si sta elogiando, citando la sua accortezza nell’aver fatto pedinare la Cacciatrice, nel non crederle, nell’averla scoperta mentre tentava un tradimento che lui ha sventato.
- Che coraggio…
- Chiede di avere un posto nel Circolo Interno, di diventare uno dei Dieci degli Aristocratici. Stanno obbiettando che il suo sangue non è puro a dovere. Sta rinfacciando loro che potrebbe anche essere vero, ma che lui ha dimostrato intelligenza, controllo e iniziativa. Pone delle condizioni.
- Sempre più temerario. Deve aver capito che il suo alleato lo avrebbe fatto fuori alla prima occasione, se ancora fosse vivo. - borbottò la vampira
- La testa di Marcus per il posto.
- Cosa sta tramando? - chiese Rose. - Ha aiutato un membro di una casta a voi nemica, sta tradendo la sua razza e chiede anche di essere ringraziato. Ha molto coraggio e una faccia tosta senza pari.
- Vuole potere, e questa è l’occasione giusta. Sa che, con un po’ di fatica magari, riuscirà a recuperare il cranio di Markus quando non servirà più al Magos. Quello che non sa che il suo alleato lo ha abbandonato, in tutti i sensi. Lui è ancora preoccupato per i possibili tentativi del Magos di eliminarlo, e allora vuole la protezione dei suoi stessi compagni. Essere nel Circolo Interno equivale a decuplicare il suo potere attuale.
- Molto di più - la corresse il vampiro. - Un posto del Circolo Interno vuol dire avere un Dominio ed entrare in lotta per altro. Il tutto vicino al raduno che si terrà tra qualche giorno, tanto che alcuni membri sono già arrivati. Se i suoi piani fossero stati attuati, sarebbe stato il vampiro più in luce di tutta l’Europa, e lo sarebbe stato per vari anni a venire. Solo ora inizio a capire la brama di potere che spinge i Fighetti nel loro perdurare nel mondo.
- Ma anche noi ci metteremo in luce, no? Intendo, aver sconfitto un vostro nemico e aver sventato un complotto…
- Può essere. A me interessa mettere Igor in luce. Quella del Sole. Ora poi che posso anche guardarlo morire…
- Cosa intendi, Alyssa?
- Non vi ho raccontato esattamente tutto, Maestro. - rispose lei evasiva. - Ma certe spiegazioni possono attendere. Cosa sta succedendo di là?
- La scommessa è stata presa in considerazione. Igor sta gongolando. Gli offrono una coppa di sangue fresca. La sta trangugiando. E’ il tuo momento. Esci.
La vampira sorrise maligna e si diresse alla porta. Prima di aprirla si voltò e osservo l’umana.
- Victor. Devi farmi una promessa.
Lui annuì serio.
- Non ti preoccupare. Uscirà viva da qui. Ne rispondo direttamente.
- Grazie. - sembrò rassicurata lei, aprendo la porta.
Si diresse con passo deciso nella grande sala, puntando direttamente al centro della stessa.
- Per essere morta non mi sento poi così a pezzi. - esclamò ad alta voce, per essere sicura che tutti nella stanza la potessero udire.
Igor trasalì nel sentire la sua voce, iniziando a tossire mentre il sangue gli andava di traverso e la coppa di metallo cadeva a terra, una macchia di liquido rosso ad allargarsi lenta e densa sul pavimento. Si voltò a guardarla e indietreggiò di un passo.
- Tu? Come puoi…
- Come posso essere fuggita dal tuo amico Masticaformule? Ho fortuna. Molta di più di quanta ne hai tu, sembrerebbe…
- Sei riuscita a plagiare i miei Servitori! Hai convinto il consiglio ad ascoltarti, ma la tua follia non durerà a lungo. - sbottò il vampiro riprendendo il controllo di sé. - Ho ancora le prove della tua alleanza con i Pulciosi. Di come hai ucciso uno dei miei Servitori. Sei una traditrice.
Alyssa rise. Tutti i presenti erano immobili, statue di carne fredda, sfuggita alla morte. Il silenzio attorno ai due avversari costruiva una sorta di arena invisibile in cui stavano combattendo.
- Non nego di aver stretto un patto con la mia Preda, ma non citerò gli esempi passati vergati negli Annali Cupi riguardo accordi tra le nostre razze. Le motivazioni sono chiare a tutti.
- E’ la seconda volta che nomini i Magoi, Sanguemarcio. Cosa ti spinge a difenderti utilizzando i nostri passati ed ormai estinti nemici?
- Estinti? Mi sembrava parecchio in carne quello a cui mi hai venduta per un tozzo di potere. Sfortunatamente per te sono stata più dura da uccidere rispetto a Markus Nordvirk. Il cranio che tu hai promesso al Consiglio dovrebbe al momento riposare tranquillo nella tana dei Cani di Attila, come dovrebbe fare qualsiasi cadavere di un grande guerriero caduto in battaglia. Riposare tra amici.
Igor accusò bene il colpo, aggrottando solo un istante le sopracciglia, intuendo che il Magos non era più in una posizione per nuocergli, ma sfortunatamente nemmeno per aiutarlo.
- Un Pulcioso elogiato da un vampiro in questa sede? Quale oltraggio! - sbraitò il vampiro, voltandosi verso Asmodeo e i tre Aristocratici presenti. - Le nostre orecchie dovranno ascoltare ancora a lungo tali cose? Avete le prove per considerarla una traditrice. Concedetemi l’onore di eseguire la sua condanna. Qui. Ora.
- No. - risposero all’unisono i tre Aristocratici. - Abbiamo preso in esame quello che tu ci hai portato, e quello che questa Studiosa ci ha raccontato, chiedendoci di fare dei controlli per appurare chi avesse detto la verità.
- Controlli?
Asmodeo annuì, facendo cenno a un vampiro che si trovava in una posizione defilata di aprire la porta accanto a lui. Due personaggi intabarrati in lunghi stelli neri e pesanti si fece avanti, fermandosi silenziosi di fronte a lui. Si inchinarono, ripetendo poi il gesto in direzione dei tre vampiri.
- Degli Scrutatori? - chiese leggermente ansioso Igor.
- Questa è bella. Con loro sono in una botte di ferro. - ridacchiò Alyssa, sapendo che gli Scrutatori erano speciali vampiri della sua casta che avevano dedicato, o erano stati costretti a dedicare, la loro non vita allo studio di una disciplina ben specifica, la psicometria, sacrificando la vista e buona parte della loro già debole umanità allo scopo. - Quanto sono andati indietro nel tempo?
- Quasi un mese. Oltre non hanno potuto spingersi a causa dei residui di magia presenti. - rispose Asmodeo ad occhi chiusi, come intento ad ascoltare contemporaneamente un’altra conversazione. Aggrottò le ciglia, un sottile rivolo di sudore sanguinolento gli rigò il volto mentre i due Scrutatori gli riferivano telepaticamente tutto quello da loro appreso.
- Non deve essere un’esperienza piacevole, direi. Pochi sarebbero in grado di resistere senza impazzire a quello che sta facendo Asmodeo. Ha tutte le ragioni di essere il Burocrate principale di questa zona d’Europa. - pensò la vampira, osservando come l’essere mascherava il dolore del passaggio di informazioni.
Finalmente aprì gli occhi e congedò con un gesto pacato della mano i due non morti, che si allontanarono.
- Le cose sono ora chiare come il Sole che mai potremo rivedere. - disse.
Igor indietreggiò lentamente, cercando disperatamente con gli occhi la più vicina uscita.
- Chi dovrà vivere? - chiesero i tre Aristocratici senza nessun sentimento nella voce. Per loro entrambi non erano della loro razza, per cui non avevano nessun rimorso o pentimento. - Chi ha detto la verità a questo Consiglio?
- Fatemi passare! - gridò Igor, correndo come un pazzo verso l’uscita.
I vampiri presenti si fecero da parte come se fosse un appestato, guardandolo con aria schifata.
- Fermatelo! - disse Asmodeo.
Immediatamente i ghoul che si trovavano all’esterno della porta la aprirono e vi si piantarono davanti, bloccando il vampiro sebbene dotato di una forza non indifferente anche per la sua razza. Alyssa sorrise.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Una nuova sfida. ***


Alcuni giorni erano passati dal Consiglio, e lo stesso poteva dirsi del giorno in cui, prima tra i vampiri, Alyssa aveva potuto godersi dal vivo e non tramite il racconto o nei tempi recenti il filmato della morte Diurna di Igor.
Fu forse questo, se non tutto il resto della strana avventura in cui era capitata, a spingere il Consiglio a chiamarla come ospite durante la riunione dei capi vampiro che si sarebbe tenuta da li a poche ore.
- Sei preoccupata?
- No. - rispose alla ladra la donna, tormentandosi le mani come se volesse rompersele. Il suo respiro era veloce e nervoso. - Non sono preoccupata.
Rose la osservò sorridendo maliziosamente.
- Non si direbbe.
- Vorrei vedere te al mio posto. Da Sanguemarcio a ospite di una riunione di quel calibro. Avrei preferito affrontare un branco di Pulciosi. - Sospirò. - E' vero. Sono un po' nervosa. Ma solo un po'. Va bene? - alzò la voce senza accorgersene.
- In piazza Duomo non ti hanno sentito bene. - ironizzò Alexandra, aprendo la porta del bagno e dirigendosi nella camera da letto per vestisi. - Chiedono se puoi ripetere.
- Ma vaf...
- Calmati. Lo sai che si diverte a stuzzicarti. Lo fa con tutti, ma con te ha un gusto particolare. - le consigliò l'umana. - E' già importante che abbia accettato la morte di Markus nel modo giusto. O almeno così spero.
- Già. Rispetto al primo giorno ha fatto miracoli. E poi ho come l'impressione che mi reputi responsabile di quanto è successo.
- Non credo, Alyssa. Il responsabile è il Magos e quello stronzo succhiasangue che a momenti ti ammazzava. Sono stata felice di vederlo morire tra atroci dolori, non lasciando altro che qualche ossicino annerito.
Alyssa era rimasta a bocca aperta per il tono e la cattiveria che trasparivano dalla voce della sua amica.
- Non ti facevo così. Sei sempre stata la dolce delle due.
- E credo che continuerò ad esserlo, ma quando mi toccano ciò che amo...
La vampira la abbracciò sorridendo.
- Grazie. Vuol dire molto, lo sai?
- Non diventarmi gentile. Ricordati che sei un mostro assetato di sangue. - la prese in giro lei.
- Non ne sarei così sicura, ora. In questi giorni ho subito così tanti cambiamenti che non saprei nemmeno se considerarmi ancora vampira.
- Per quello che mi riguarda puzzi ancora di morto come prima, anche se hai ricominciato a respirare e a far battere il cuore. - borbottò la gatta mannara uscendo dalla stanza con una maglietta bianca troppo grande per lei, a coprirle le gambe fino a metà coscia. - Come se la cosa ti rendesse meno morta di quello che sei.
- Comunque buon giorno anche a te. Il latte è nel frigo come al solito. - rispose Alyssa con il miglior sorriso che trovò. - Anche oggi in giro a far niente.
- Magari... - gridò dalla cucina l'altra, aprendo il frigo e arraffando il cartone di latte intero che sarebbe diventato la sua colazione insieme a una decina di biscotti al cioccolato. - Devo passare dai Cani di Attila. Ora che... insomma che...
Le due la raggiunsero in cucina.
- Ora sei tu il loro punto di riferimento, giusto?
- Già. - sorrise triste lei. - Bella fortuna, eh?
- Non ti invidio...
- E tu, quando vai a trovare le altre mummiette rinsecchite che ti assomigliano?
- Stasera. Devo essere al cimitero alle otto. Non vi chiedo di accompagnarmi, ma mi sarebbe piaciuto.
- Entrambe? Tu che dici che io ti sarei stata di aiuto morale? - borbottò con la bocca piena di biscotti la licantropa.
- Ecco una di quelle cose che odio. Da quando è finito il rito di quel pazzo furioso di Talos ho un inconscio istinto di dire e pensare cose assurde.
- Tipo? - la stuzzicò Misha. - dire che sei intelligente o pensare cose intelligenti?
- No. Mi verrebbe voglia di... ah, lascia perdere, è troppo scema come cosa.
- Provenendo da te, mi immagino.
- Un giorno o l'altro riuscirò a farti un gavettone gigante, palla di pelo. E' una promessa. - rispose falsamente dura la vampira, spostandosi nel salotto. Sapeva che se fosse rimasta ancora qualche minuto con lei avrebbe ceduto all'istinto di abbracciarla e coccolarla. - Già. Manco fosse la mia sorellina... - pensò divertita.
Chiuse gli occhi un secondo, tentando di trovare una certa calma nelle sensazioni che provava. - Mi sento triste quando vedo Misha piangere di nascosto pensando a Markus, ho dei momenti di euforia pazzeschi quando riesco a sentire il sangue correre nelle vene delle persone che incrocio durante il girono, ma due secondi dopo trovo la cosa ripugnante. E cosa ancora più strana sono tre giorni che non mi cibo, ma non sto risentendone, ne avverto la frenesia che normalmente mi coglie quando digiuno così a lungo. E poi. Beh, poi c'è il fatto che riesco a stare sotto il sole senza problemi. Non mi lamento, ma se prima alcuni membri dei vampiri mi guardavano con sufficienza ora lo fanno con disprezzo. E non so se dar loro torto.
- Un centesimo per i tuoi pensieri, Alyssa.
- Mi hai quasi spaventata, Rose. Da quando ti muovi così in silenzio? Non ho sentito nemmeno il tuo odore...
La ragazza inarcò un sopracciglio.
- Guarda che mi sono lavata. Non mi sembra di puzzare...
- Non intendevo quello. Il tuo odore naturale. Come quello di Misha o quello dei vampiri che sanno di morte, un odore dolciastro come una torta andata a male.
- Parli come Alexandra.
- Cosa fai, offendi? - borbottò imbronciata lei, nascondendo la sua paura per un'ipotesi che non voleva nemmeno prendere in considerazione. - Usciamo?
- Dove vuoi andare?
- Ovunque, ma non qui. Mi sembra di essere in gabbia. Che ne dici se facciamo un giro in centro? Ho voglia di vedere vetrine e di comperare qualcosa.
- Una vampira che fa shopping. Questa è proprio da vedere. Fino ad adesso i vestiti te li sceglievo io. Se era per te uscivi nuda.
- Non esagerare...
Rose corse alla porta, le chiavi della macchina in mano a dondolare.
- L'ultima che arriva paga per tutte e due! - rise lanciandosi fuori dall'appartamento.
Alyssa scosse la testa sorridendo.
- Misha, ti possiamo lasciare? I nostri numeri comunque li hai.
- Vai tranquilla. Se vi mettete nei guai però non chiamatemi, ok? Sarò di sicuro impegnata. - disse mentre finiva di trangugiare il latte direttamente dal cartone.
- Va bene. A dopo, litet. - disse lei mentre usciva chiudendo la porta.
Alexandra quasi si strozzò riconoscendo nell'ultima parola l'equivalente svedese di "piccola", che solo Markus utilizzava con lei. Corse alla finestra, e pochi secondi dopo vide saltare in macchina le due e l'automobile correre via nel traffico scorrevole della zona del Politecnico.
- Sembra che tu ti stia abituando al sole. Magari inizi anche ad abbronzarti.
- Mai fatto in vita mia. Quando ero viva essere scuri equivaleva ad essere una persona di basso rango. E io non lo ero. Comunque effettivamente mi mancava. - sorrise aggiustandosi gli occhialini fumè che aveva tenuto fin dal giorno dell'evocazione. - Non ne ho bisogno. - disse riferendosi alle lenti rettangolari. - Ma mi danno un tocco da intellettuale. Mi piacciono.
Rise, la prima risata serena che rose si ricordasse aver sentito dall'amica. Si rese conto di come in pochi giorni le loro vite erano state stravolte, il loro piccolo mondo che si erano create distrutto da esseri che credeva non esistessero, aveva accettato con riluttanza l'esistenza di una guerra che durava da anni, da secoli, per alcuni da prima che l'umanità iniziasse a scendere dai rami degli alberi come scimmie troppo cresciute. Aveva accettato di essersi innamorata del cadavere di una ragazza, di una assassina di duecento anni di vita che era in grado di utilizzare la magia. Così come aveva accettato come una sorta di dono dal Cielo il suo strano potere, anche se da quando quel demone le aveva parlato, un piccolo e doloroso tarlo le rodeva la mente, come una piccola macchia che non voleva venire via per quanto lei si lavasse la coscienza.
- La mia anima è già sua, ha detto. - pensò mentre parcheggiava e iniziava ad incamminarsi lungo Via Torino, nuotando nella marea umana che abitava costantemente una delle arterie collegate al pulsante cuore della Piazza del Duomo. - Come può esserne così sicuro? Per ciò che ho fatto? No, certo che no. Ha parlato dei miei poteri, mi ha chiamato Manipolatrice. Manipolatrice...
- Cosa hai detto? - chiese curiosa la vampira, rimasta accanto a lei e in quel momento ferma come Rose di fronte alla vetrina di un negozio di borse. - Che parola hai mormorato?
La ladra avvertì una nota di timore nella voce, accorgendosi inoltre di aver pensato a voce alta.
- Non ci badare, sono solo sciocche...
- Rose, chi ti ha detto "Manipolatrice"? Perché hai mormorato quella parola?
- Il... il demone mi ha chiamato in quel modo. Lui ha detto che... che io non gli interessavo...
- Avrà comunque la tua anima, se ha detto il vero. Cazzo. - disse stizzita la vampira. - Questo è un guaio...
- Di cosa stai parlando? Cosa vuol dire che sarò comunque sua? - alzò la voce la donna, incurante degli sguardi di alcuni passanti.
- Vieni. Dobbiamo parlare al sicuro. Niente eventuali demoni in giro. - le afferrò la mano trascinandola dall'altra parte della strada, dove poco lontano sorgeva una piccola chiesa. - Entra.
- Alyssa, tu...
- Sopravviverò. Ora entra... per favore.
Rose varcò la soglia della costruzione, accolta dal sottile odore di incenso, di chiuso e di candele che stavano bruciando lanciando mute ma luminose preghiere a Dio. La vampira sospirò e oltrepassò anche lei la porta, investita dal dolore che i simboli e i luoghi sacri le procuravano. Nulla di impossibile da sopportare, ma decisamente fastidioso e debilitante. Si mise una mano alla bocca come per bloccare un conato di vomito mentre il suo stomaco si ribaltava come se stesse ballando un rock acrobatico.
- Stai bene? Dobbiamo uscire?
- No. - mormorò in un sospiro lei. - Va tutto bene, per adesso. Qui non possono entrare. Se per me è doloroso, per loro è mortale. Siamo al sicuro. Se il demone ha detto il vero e tu sei una Manipolatrice, allora questo vuol dire una bella e una cattiva notizia.
- Cioè?
- I Manipolatori sono particolari quanto rarissimi Magoi che non utilizzano incantesimi, formule o altro, ma hanno il potere in loro, consumando le loro energie attivate con un semplice pensiero, esattamente come fai tu.
- Quindi tu sapevi che ero una di quelle cose.
- No. Immaginavo che tu provenissi da una famiglia che aveva almeno avuto un Manipolatore come antenato, e speravo con tutto il mio cuore che tu avessi ereditato solo un briciolo di potere, solo una capacità. Questo non ti avrebbe mai dato problemi.
- E invece, se avessi molto potere?
- Allora, se tu fossi una Manipolatrice della Tenebra come a questo punto credo, tu stai usando solo una piccolissima parte di quanto potresti fare. Avresti enormi spazi di crescita di potenzialità.
- Non vedo però cosa centri questo con avere l'anima condannata...
- Da dove credi di ottenere il tuo potere? O meglio, da dove credi che il tuo corpo immagazzini energie. Deve esserci una fonte, no?
- Non vorrai dirmi che...
Lei annuì.
- Il fatto stesso che tu abbia usato i tuoi poteri anche solo una volta come Manipolatrice ti ha portato a stringere un patto con i demoni e gli Inferi interi.
- Rinunciare ai poteri non servirebbe, no?
- No.
- E allora cosa posso fare?
Alyssa non rispose, abbassando gli occhi.
- Mi dispiace.
Rimasero in quella chiesa ancora qualche minuto, quindi uscirono meste e con il morale a terra tanto che tornarono sui loro passi e quindi a casa.
- Io vado a fare un salto alla nostra biblioteca. Forse trovo qualche cosa che ci possa essere d'aiuto. Ci vediamo domani mattina. Credo che rimarrò là fino alla riunione.
- Come vuoi.
La vampira si mosse per uscire.
- Alyssa?
- Sì, Rose? - disse voltandosi quando era già sulla porta.
- Grazie.
Lei fece un sorriso sghembo.
- Non ringraziarmi finché non ho fatto qualcosa per te. E su con il morale, ce la caveremo come sempre. Sei riuscita a far fare un bagno a Misha, cosa può spaventarti ora? - la prese bonariamente in giro mentre chiudeva la porta.
Quando la riaprì era quasi l'alba. Si sentiva stanca, come se avesse corso per chilometri con un peso sulla schiena, ma in realtà il peso l'aveva sul cuore, un peso che difficilmente avrebbe potuto portare da sola, e l'unico modo che aveva per resistere era mettere in pericolo le vite delle due persone che, per un motivo o per un altro, aveva in quel momentop più a cuore.
- Come è andata? - chiese Rose, mostrandosi sulla porta della camera da letto, il suo corpo coperto solo da un piumone leggero avvolto attorno a lei come il mantello di un vampiro dei fumetti. - ti vedo stanca.
- Bene. Direi che è andata bene.
- Cosa intendi? Ti conosco abbastanza per sapere che è successo qualche cosa.
- Misha è con te?
- Sì, sta dormendo nel letto accanto a me. Avevo bisogno di sentire vicino qualcuno.
- Ti capisco. Credo che dovremo svegliarla...
- L'avete già fatto. - mormorò la gatta mannara sgusciando tra l'umana e lo stipite della porta. - Allora, sembra che tu sia ancora viva. Anzi, scusa, non morta.
Alyssa si sedette sulla poltrona, appoggiando la testa all'indietro come a rilassare il collo.
- Allora?
- Mi hanno non solo risparmiata, ma dopo una lunga discussione hanno stabilito che avevo il diritto di rimanere nella comunità di vampiri e che a tutti gli effetti ero una nuova tipologia. Quindi ora sono una Fondatrice.
- Cosa vorrebbe dire? - chiese la ladra.
- Hai di fronte la prima e per ora unica rappresentante dei Luminosi. Così è stato deciso che si chiamerà la nuova tipologia di vampiro che può resistere al sole.
- Questa credo che si possa considerare una buona notizia. Allora perché quella faccia.
- Ho fatto delle ricerche su di te, Rose, o meglio sulle tue potenzialità.
- I Manipolatori?
- Esatto. Ho scoperto che esiste una possibilità di sfuggire al tuo destino. Devi uccidere il demone che ti fornisce i poteri.
- Scusate, ma di che diavolo state parlando?
- Te lo spiegherò dopo Alexandra. Rose, ascoltami bene. Ogni Manipolatore ha un demone che gli fornisce l'energia necessaria ai suoi poteri. Tale demone, quando muori, ottiene automaticamente la tua anima e la utilizza per i suoi scopi, trasformandola ad esempio in una sua pedina per i perversi piani degli Inferi. Se il Manipolatore scopre chi gli da la forza, può tentare di ucciderlo, perdendo completamente i suoi poteri ma almeno salvandosi l'anima.
- Sembra facile...
- Considera che i demoni sono migliaia.
- Un ago in un pagliaio.
- Direi più un granello di sabbia nera in un deserto di sale. Ma possibile, se si sa come e dove cercare.
- Tu hai in mente qualche cosa, vampira.
- Più o meno. Ho una proposta da farti, Misha. Possiamo trovare il demone che ha spinto il Magoi ad uccidere Markus.
- Dimmi dov'è.
- All'inferno. Lì si trova il suo corpo mortale. Il suo spirito si è impossessato di Talos, e cosa può fare non lo voglio nemmeno immaginare.
- Ma sai cosa vuole fare, vero? - chiese apprensiva Rose.
La non morta annuì lentamente.
- Vuole riaprire il Cancello Rovente, il portale che collega il nostro mondo con gli Inferi. Il fatto che lui sia libero ha rotto i sigilli eterni. Lentamente si riaprirà, e Ximumu, quell'essere demoniaco, farà di tutto per sveltire il processo. Se ci riesce scoppierà una nuova guerra su scala planetaria come quella combattuta secoli fa dalle nostre due razze. - mormorò indicando con la testa la licantropa.
- E noi dobbiamo trovare la chiave per chiudere questo cancello schifoso?
- Già. Hai studiato, gattina. Dobbiamo ricostruire la Clavicola Caini. E' custodita in vari luoghi sparsi sulla Terra. Il Consiglio mi ha dato l'indicazione del luogo in cui è custodito il primo pezzo.
- Dove?
- Qui, a Milano. Ma dove esattamente non lo so.
- Sono con te. - dissero all'unisono Rose e Misha.
Alyssa sorrise triste. Temeva quella risposta quanto ci sperava.

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