Al di là del nostro amore

di MaTiSsE
(/viewuser.php?uid=106943)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


saint just
"...Ora c'è
E parlerò di noi
Come se fossimo
Ancora insieme..."

Canzone Ostinata - Verdena (2011)









15 Fruttidoro
Anno II




C'era la Rivoluzione, al di là del nostro amore.
E' stata più forte di noi?
Non credo.

Ma non riesco a tollerarlo davvero.
Dopo tutto quanto è accaduto, la gente parla ancora di te. Ed accompagna il tuo nome con uno sputo, come se l'unica cosa realmente giusta da fare sia infangare la tua persona.

Come se tu fossi l'essere più rivoltante al mondo.

Dovrei uccidere chiunque osi pronunciare il tuo nome.
Ed invece...taccio. Per buona pace del nostro futuro. Ed anche perché non ne sono capace.


Fino a ieri, i medesimi individui che oggi pensano a te con fare sprezzante, ignoravano persino la tua stessa esistenza.
Oggi sei sulla bocca di tutti. Insieme alla mia vergogna. Sempre se vergogna possa essere definita.

Ma non m'importa: loro non sanno nulla di te.
Non conoscono la tua dolcezza, la gentilezza delle tue carezze, la delicatezza della tua voce quando sussurravi al mio orecchio che ero l'unica, per te.

Nessuno ha idea di quanto il tuo sorriso possa scaldarmi il cuore.
Sono degli stupidi, ovviamente.
E lo sono anch'io.


Perchè ti sento e ti amo come il primo giorno.
E perchè parlo di te - di noi - così scioccamente... come se fossimo ancora insieme.
Come se tu fossi ancora qui. Con me.















Al di là del nostro amore











Parigi, Ottobre 1792







"Un fiore per un vostro sorriso, Monsieur."
"Uhm?"


Louis alzò lentamente il viso.
Quella voce era troppo dolce per starsene indifferenti a contemplare la Senna scura.
Ma lui aveva tanti pensieri, quel giorno. E poca voglia di guardarsi intorno.


Chissà chi aveva avuto tanto coraggio da disturbarlo.
Di solito, quand'era così silenzioso, tutti lo tenevano a debita distanza. Alla gente faceva paura quel suo sguardo accigliato. E la sua aria enigmatica.
Per questo non riusciva a farsi degli amici e neanche ne voleva, in realtà.

Per cui fu grande la sorpresa quando i suoi occhi stanchi incontrarono quelli azzurrissimi di una ragazzina - una semplice ragazzina - dal visetto allegro.
Una popolana vestita di stracci, in realtà e, tuttavia, molto più bella di tante donne di classe che avesse malauguratamente conosciuto nella sua esistenza. Donne di quel genere neanche ci transitavano più nelle vie di Parigi, di quei tempi. Men che meno nelle loro lussuose carrozze ormai andate.


Portava i capelli color dell' ebano sciolti e scomposti. Nel loro disordine erano splendidi: lunghi fino alla vita si stemperavano in morbidi boccoli sul finale.
Louis non aveva mai riscontrato, tra le popolane, altrettanta accuratezza ed ordine nell'aspetto. Era perfetta nella sua povertà la giovane che gli stava di fronte porgendogli, così gentilmente, una camelia rossa.
Ne aveva una cesta pieno che poggiava sul braccio sinistro.


Una fioraia. Ambulante, per giunta. Uno dei lavori più miseri di sempre.
Chi avrebbe mai comprato fiori di quei tempi? Con tutta la povertà che c'era in giro una camelia colorata era l'ultimo acquisto da fare.


A testimonianza della sua condizione, la bella fanciulla appariva molto magra. Le spalle esili, il collo sottile.
L'ennesima creatura che moriva di fame nella Francia della Rivoluzione, ovviamente.



Louis, mosso a compassione, tirò fuori qualche soldo dal taschino della sua giacca color cenere.


"Una moneta per la vostra camelia, cittadina."

"Mi chiamo Constance, Monsieur."
"Non chiamarmi Monsieur."
"E come dovrei?" - Domandò sorridendo.

Bocca di rose. Era bellissima.

"Citoyen non ti va bene?"


Scosse la testa, sempre sorridendo.

Anche a Louis le labbra si piegarono vagamente all'insù. Quella ragazzina sapeva metterlo di buon umore, straordinariamente.
Non sembrava avercela con la Rivoluzione: parlava soltanto come le avevano insegnato, nell'unico modo che avesse appreso sin da bambina.

Bambina. Come se fosse poi chissà quanto adulta.
Quanti anni poteva avere? Quindici, sedici?



"Allora chiamami Louis."
"Louis. D'accordo." - Convenne sedendosi accanto a lui, sul muretto umido.


La guardò imbambolato. Non aveva mai conosciuto, nella sua esistenza, nessuno in grado di sfoggiare altrettanta audacia.


"Allora? La camelia, voglio pagartela..."
"Non voglio soldi, Louis."
"Come no? Non è il tuo lavoro, questo? Vendere fiori?"
"Per quel che ne guadagno..." - Rise - "...Una moneta in più non mi cambierà la giornata. Il pane costa comunque troppo caro per me."

Touché.
Come darle torto?

Era caduto il Re e la gente continuava a morire di fame.
Ma lui avrebbe fatto qualcosa per salvare la povera gente di Parigi. Se soltanto gli avessero concesso un pochino di libertà in più e maggiori mezzi a sua disposizione ....beh, sì. Avrebbe sanato le sorti di quel paese martoriato.


"Allora perchè vuoi darmi questa camelia a tutti i costi?"
"Per vedervi sorridere, Louis. Vi guardavo da lontano prima. Il vostro sguardo mi ha colpita al cuore. Così triste da far piangere. Ma siete bello, giovane e sano. Mi son detta che fosse davvero un peccato lasciarvi così assorto e malinconico. Ed allora ho provato a rianimarvi con l'unico metodo che conosca: il profumo dei miei fiori."
"Quindi la camelia è un regalo per il mio buon umore..."


Annuì.

"Sì, Louis."
"Bene...Ti ringrazio, allora." - Commentò accettandola, infine.

Per qualche istante la guardò in silenzio. Lei sorrise, senza mai arrossire. Non era timida, la piccola fioraia.
E non aveva paura di lui, stranamente.

Questa consapevolezza lo indusse ad un sussulto.
Tutto sommato gli piaceva il suo coraggio.
Ed il suo sguardo sereno.

Era bella.
Aggraziata, nonostante la povertà.
Forse gli piaceva lei e null'altro.
Il resto era contorno, ovviamente.


"Allora io vado. Torno a lavorare." - Mormorò lei d'un tratto.


Di già? Avrebbe voluto chiederle.
Dopo solo pochi istanti insieme Louis aveva già deciso che nessuna compagnia gli fosse mai stata più gradita di quella di Constance, dolce e sfortunata ragazzina.


Aveva il cielo negli occhi, Constance, ed una gioia senza motivo apparente che dimorava sulle sue labbra screpolate, sotto forma di un tenerissimo sorriso. Il suo cuore era buono - chiaramente - e necessitava di tanto, tanto amore.
Lo si leggeva tra le pieghe del suo viso. Tra le ferite ancora sanguinanti sul dorso della mano poichè cominciava a far freddo - soprattutto di sera - e non tutti possedevano caldi guanti per proteggere la pelle delicata dal vento crudele.
Lei non di certo, almeno.

Avrebbe desiderato fermarla e chiederle di restare ancora un po'. Ma non lo fece, dopotutto. Lasciò che si alzasse dal muretto dove si era seduta, accanto a lui. Udì il fruscio della sua gonna logora sul selciato e sospirò, prendendo coscienza dell'imminente separazione.


"Addio Constance, dunque."
"Addio, Louis. Grazie per aver parlato con me, è stato un bel modo per cominciare il nuovo giorno. Io vado...State attento, mi raccomando."
"A cosa?" - Domandò sorpreso.
"Alle spine." - Chiarì indicando, con uno sguardo, la camelia tra le mani di lui.
"Certi fiori non hanno spine." - Commentò Louis eloquente.
"Tutti i fiori ne hanno." - Rispose ancora, ridendo.


Sparì infine velocemente, nella nebbia del mattino che faticava a diradarsi.



"Tutti i fiori meno che uno." - Sussurrò lui, convinto.



Fu allora - in quello strano giorno di Ottobre del 1792 - che Louis Antoine Léon de Saint Just comprese piuttosto chiaramente cosa fosse un colpo di fulmine.

E non si vergognò di ammettere a se stesso che avrebbe desiderato poter incontrare di nuovo il bel viso della piccola Constance.







*







Questa è la seconda storia che scrivo nella sezione Originali.
La prima fatico a portarla avanti però e, al momento, sono molto più attratta da questa :)
La mia è una storia ambientata negli anni che seguono alla presa della Bastiglia ed il protagonista, Louis de Saint Just, è stato davvero un personaggio della Rivoluzione.
Ma ho preferito non inserirla nella sezione storica perchè le vicende della Rivoluzione Francese, per l'appunto, faranno soltanto da sfondo...Il vero protagonista è l'amore tra questi giovani, per cui spero che perdonerete questa mia piccola concessione.

Come avrete potuto leggere la prima data, ad inizio capitolo, è scritta secondo il calendario rivoluzionario piuttosto che seguendo il calendario gregoriano. Questo perchè il calendario rivoluzionario è stato introdotto nel 1793 e quella data, in termini moderni, sta per 1° Settembre 1794. Per cui dovevo, per forza di cose, esprimermi in tal senso. 
Ottobre 1792 invece l'ho riportato normalmente giacché il calendario rivoluzionario, come appena spiegato, è stato introdotto l'anno successivo.
Avrete capito che tutta la storia funzionerà come un flash back. :)

Finora, nei piccoli cenni storici che vi ho dato, sono stata abbastanza fedele.
Giusto è l'uso del "Citoyen" (cittadino) già in voga nell'Ottobre del 1792. Così come il riferimento alla povertà dilagante: la crisi economica francese non migliorò con la prigionia del Re e della Regina ed il prezzo del pane fu altissimo anche durante tutto il 1793.

Per adesso credo di avervi detto tutto. Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento e vi abbia incuriosito.
Grazie
Matisse.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


saintjust2
Al di là del nostro amore








La fortuna si schierò dalla sua parte.
O forse, in quel caso, la dea bendata c'entrava davvero poco: il destino aveva già scelto quella fanciulla per lui. Qualsiasi cosa avesse fatto, in qualsiasi posto si fosse diretto, loro due si sarebbero ritrovati sempre.
Perchè così era stato deciso ed i percorsi della vita raramente possono essere cambiati dall' infima volontà di piccoli e limitati esseri umani.





Louis, quindi, la rivide appena tre giorni dopo, in una stradina adiacente la Tuileries, mentre barattava un intero mazzo di camelie in cambio di una patata bitorzoluta di proprietà di un vecchio e spilorcio bifolco.
La osservò indispettirsi, avvampando, ed infine rinunciare alla sua personale battaglia con uno sguardo a metà tra l'irritazione e la tristezza.


Decise così di raggiungerla in due falcate.

"Constance!"- Urlò il suo nome.


Lei,  inizialmente, non badò troppo a quel richiamo, forse ancora eccessivamente presa dalla discussione avuta con quell'uomo. Poi alzò lo sguardo - anche infastidita - e incontrò gli occhi scuri di Louis.
Le sue labbra si atteggiarono in una "O" di meraviglia e se ne stette in sua contemplazione per qualche secondo prima di realizzare che davvero monsieur Saint Just si trovasse di fronte a lei.


"L - Louis..!"
"Va tutto bene?"
"Très bien..." - Mentì rassegnata.
"Mi dici una bugia...Perchè discutevi con quest' uomo?" - domandò lui sospettoso. L'interessato sbuffò annoiato.

"La mademoiselle qui mi ha scambiato per un nobile, evidentemente!"


L'animo della ragazzina tornò a riaccendersi, in seguito a quele parole, e Saint Just apprezzò con orgoglio la sicurezza con la quale si batteva per la propria dignità di donna e di essere umano.


"Oh no, vi sbagliate monsieur! Vi ho semplicemente chiesto se potevate darmi in cambio anche un piccolo tozzo del vostro pane!" - Indicò un pezzo di focaccia che l'uomo teneva saldamente sotto braccio.
"Ragazzina! Qui si lavora per mangiare!"
"Infatti è quel che sto facendo! Solo che, pur faticando come una schiava, non mangio da due giorni ed ho fame anche io, sapete?"

"Qual è il problema, esattamente?" - Louis decise di interrompere la discussione prima che degenerasse: era certo che di lì a poco Constance avrebbe risposto in maniera davvero poco ortodossa alle provocazioni del suo interlocutore, cosicché tentò di frenarla prima che la situazione prendesse la piega sbagliata.
Dopotutto era solo una fanciulla, non avrebbe dovuta essere coinvolta in certe faccende!

In ogni caso, che fosse mossa dalla fame - e quindi dall'istinto di sopravvivenza - o fosse così agguerrita di carattere, Louis la trovò molto affascinante. Era combattiva e questo gli piaceva.

"Ho barattato un intero mazzo di camelie per un po' di cibo, Louis. Ma non posso mangiare soltanto una patata e il signore qui presente qualche altra cosa da darmi ce l'ha. Valgono così poco i miei fiori? Questo non era il prezzo pattuito!"
"E' già tanto che me li prenda questi fiori, sciocchina! Di questi tempi, a chi vorresti venderli?"
"Mio signore, senza queste camelie che tanto mostrate di disprezzare, con cosa potreste mai onorare la tomba del figlio vostro morto alla Bastiglia, di grazia?"

L'uomo la guardò con occhi colmi di odio e disperazione, al contempo, e Louis, in un attimo solo, comprese quanto devastante e tristissima potesse essere la lotta tra i poveri.

Cosicché afferrò Constance per un braccio, sussurrandole:

"Ti comprerò io del pane, caldo e morbido. Andiamo via, adesso."
"Non dovete sfamare voi il mio stomaco, Louis. Questo è il mio lavoro. Voglio essere ripagata." - Ribatté lei, fermamente.

"Stupida ragazzina..." - Sputò il vecchiaccio, esasperato. Un sussurro che Louis colse abbastanza facilmente.

"Zitto voi, cittadino! Non avete rispetto della povertà altrui, sapete? Dovreste aiutarvi l'un con l'altro anziché farvi la guerra. Ed ora andate...Che non debba vedervi mai più!"
"E chi vuol rivedervi, ancora, per carità! Ma tu guarda quanti pazzi si possono incontrare in giro per Parigi, di questi tempi!"


Entrambi - Louis e Constance - osservarono l'uomo mentre si allontanava spedito, tenendo ben saldo il suo tozzo di pane da un lato ed il mazzo di camelie dall'altro. Evidentemente aveva colto la palla in balzo: era fuggito senza cedere alle richieste della fanciulla.
Aveva vinto.
Meglio scappar via a gambe levate prima che quello strano giovinotto che era accorso in suo aiuto cambiasse idea, naturalmente.


"Perché?" - Constance sospirò, alle spalle di Louis - "Perché gli avete concesso di andar via? Quel pane mi spettava..."
"Lo so, Constance. Ma avresti combattuto inutilmente."
"...Un disperato contro un altro disperato. Giusto?" - Sospirò. - "Siamo davvero pietosi... Maledetta Rivoluzione!"

Saint Just avvampò: proprio lui che della Rivoluzione era uno dei più agguerriti sostenitori!

"Ho detto qualcosa di sbagliato, Louis? Avete fatto una faccia strana!"
"Beh..."
"Ho capito. Siete un rivoluzionario." - Sorrise.
"E tu? Perchè non lo sei?" - Domandò infilando le mani nelle tasche del soprabito ed incamminandosi con la sue dolcissima accompagnatrice in una passeggiata lungo una delle vie più brutte ed umide di Parigi.
"Perchè prima della Rivoluzione, Louis, lavoravo come cameriera per una nobile famiglia di conti. La contessa mia signora è stata uccisa durante un assalto improvviso alla sua carrozza, la notte del ventisette giugno del 1789. Il mio padrone fuggì disperato poco dopo, presso dei parenti inglesi, portando con sé l'unico figlio, un bambino di pochi anni rimasto orfano di madre. Io ho perso il mio lavoro ed ho vissuto in prima persona la disperazione di un'intera famiglia distrutta dal dolore..."

Il giovane s'infiammò.

"Per cui, Constance, ritieni che la tua vita fosse più semplice - anche più bella, magari - quando qualcuno deteneva il massimo potere sulla tua persona soltanto in virtù della propria ricchezza e nobiltà di titolo? Chi ti dice che quelle persone fossero effettivamente migliori di te?" - Esclamò rabbiosamente.

La fanciulla lo guardò con perplessità.

"Non intendevo questo, Louis. Stavo meglio certamente perchè sapevo ogni giorno cosa mangiare ed avevo un letto caldo per dormire. E poi i Conti de La Chapelle erano brave persone: si sono sempre mostrati molto buoni, prima con mia madre e dopo con me. Non dovreste giudicarli in questo modo affrettato soltanto a causa della loro condizione sociale. Non mi hanno mai fatto pesare di essere una semplice cameriera e vi assicuro che non credo affatto che qualcun altro possa essere migliore di me o di voi."


Louis sospirò. Quello di Constance, dopotutto, era un discorso molto sensato.

Lei aveva fame. Prima della Rivoluzione poteva ancora concedersi il lusso di mangiare senza doversi preoccupare di come procacciarsi il cibo ogni santo giorno.
Ora, invece, era costretta a starsene a stomaco vuoto anche per più di quarantotto ore di seguito.
E senza che nessuno si preoccupasse per lei.

Sulla base di quale valida motivazione avrebbe potuto darle torto?


Bisognava lavorare ancora molto sulla stessa Rivoluzione - Louis ne era tristemente cosciente - affinché tutti i cittadini francesi, nessuno escluso, potessero riprendersi ciò che maggiormente spettava loro: la propria dignità di esseri umani.
La fratellanza e l'uguaglianza, oltre che la libertà dall'oppressore, erano stati i capisaldi del movimento, i meravigliosi ideali in nome dei quali giovani di neanche vent'anni avevano accettato di morire.
Perchè risultava ancora così difficile metterli in pratica?

Perchè, paradossalmente, la lotta ora non si svolgeva più tra ricco e povero ma tra poveri?

La fame era dilagante, nonostante tutto, e non si guardava in faccia nessuno pur di aver salva la pelle. Neanche la propria madre.

Homo homini lupus, dicevano i Latini.
Sagge parole!


Louis strinse la mano sinistra in un pugno.
Constance lo squadrò.

"Vi ho fatto arrabbiare..."
"No. Non tu..."

Lei seguitò ad osservarlo ma non rispose. Aveva già compreso che in certe occasioni il carattere schivo di Louis esigeva il silenzio. Avrebbe parlato lui al momento più opportuno. E, difatti, non si fece attendere poi troppo.


"Dove abiti, Constance?"

Sorrise senza alcun timore di fronte a quella domanda così intima, indicando un vicolo buio poco distante da loro.

"In quella strada lì, vedete? C'è casa mia."
"Abiti lì con tua madre?"

Scosse la testa.

"No, Louis. Mia madre è morta di stenti. Son sola al mondo."
"E tuo padre?" - Domandò sconcertato.
"Mai conosciuto. Ha contratto il tifo quand'ero ancora nella pancia di Maman."
"Non hai fratelli, sorelle? Nessuno?"
"Nessuno."

Il cuore gli si strinse in una morsa di dolore.

"Quanti anni hai, Constance?"
"Diciassette, Louis. E voi?"
"Dammi del tu, per favore. Io ne ho venticinque."
"Venticinque...Chissà se io ci arriverò a venticinque anni, di questo passo! Non mangio mai!" - Rise.

Come poteva? Come poteva preservare il suo buonumore in quelle condizioni?
Quanto coraggio si nascondeva nel suo meraviglioso corpo di fanciulla?
Louis la guardò con ammirazione e non gli interessò affatto di cosa pensasse lei della Rivoluzione. Se un uomo - anche un'altra donna, in realtà - gli avesse riferito le medesime considerazioni a riguardo che Constance aveva espresso poco prima l'avrebbe assalito. Forse anche torturato.
Ma lei....lei era così diversa! E speciale...Meritava soltanto sorrisi ed una vita felice.
Soltanto questo.


"Louis, adesso vado. Vedrò di tirare fuori una zuppa decente da questa patata rivoltante!" - Commentò adagiando il tubero tra le camelie.
"Devo ancora comprarti il pane, Constance!" - Osservò lui, rammaricato.
"Non importa, Louis, sul serio. Non è necessario. E' già tanto questo, te l'assicuro. Ora lasciami andare..."

Si alzò in punta di piedi la piccola Constance - Louis era di molto più alto di lei - e gli lasciò un grazioso, delicatissimo bacio sulla guancia destra.
Cosa del tutto inusuale per quel tempo.
Lui non ricambiò ma non di certo per scortesia: troppo sorpreso dal comportamento della fanciulla - e troppo stordito da quel buon profumo di fiori che ne impregnava la pelle - non riuscì a muovere un solo muscolo del corpo od articolare una risposta di senso compiuto.

Proprio lui, il glaciale Saint Just... L'uomo cui niente era in grado di scuotere e sciogliere il cuore!


Sospirò confuso mentre osservava la piccola Constance allontanarsi di corsa verso quel vicoletto sudicio che ospitava la sua povera casa.

La guardò allontanarsi da lui, di nuovo.



Ma stavolta non l'avrebbe lasciata fuggire via.
Desiderava ancora la sua compagnia, desiderava rivedere il suo sorriso, sfiorarne furtivamente la mano deturpata dal freddo, perdersi in quei ridenti occhi color del cielo.


Per cui non si sorprese ancora particolarmente di se stesso quando, un'ora dopo, si ritrovò fuori casa di lei con il suo bel pezzo di pane caldo e profumato sotto braccio.











*








File:Saint Just.jpg



Ho trovato un ritratto di Saint Just.
Ci pensate? All'epoca, senza l'invenzione della fotografia, non era possibile entrare in possesso di immagini fedeli del proprio volto. Bisognava affidarsi al talento dell'artista di turno. E' divertente notare come, di un medesimo personaggio storico, esistano decine di ritratti differenti.
Non sapremo mai se il vero Louis somigliasse davvero a quello che vedete qui...Peccato :)
In ogni caso vi consiglio di non sbirciare la sua biografia per non rovinarvi la sorpresa! ;)


Grazie alle quattro, meravigliose ragazze ( <3 ) che hanno commentato lo scorso capitolo...E' stato bello ritrovarvi anche qui! :)
Più tardi rispondo alle vostre recensioni...
A presto.
Matisse.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


saintjust3
Al di là del nostro amore











"Io disprezzo la polvere di cui sono fatto e che vi parla; si potrà perseguitare e far morire questa polvere, ma sfido a strapparmi la vita indipendente che mi sono dato nei secoli e nei cieli."
(Saint Just - Istituzioni Repubblicane)













"Qualcosa mi suggeriva che foste voi il visitatore ignoto" - Commentò Constance con un sorriso, aprendo la porta di casa. Non aveva atteso neanche che Louis battesse il terzo colpo: si era affrettata immediatamente nel sincerarsi dell'identità del suo ospite misterioso.
Anche se il cuore le aveva rivelato già molto, a riguardo.


"Tu...tu e non voi. Regrediamo, anziché progredire?" - Le sorrise lui, porgendole il pane. - "Ecco, te l'avevo promesso."


Constance ricambiò quel gesto con un sorriso gentile. Poi gli fece cenno di entrare.


"Posso?"
"Certo che sì. Attento a non cadere."


La porta d'ingresso, infatti, dava su quattro gradini di pietra scalfiti ed usurati dal tempo: le possibilità di finir giù in un ruzzolone erano altissime.


Louis non si perse d'animo e raggiunse con evidente disinvoltura la cucina sottostante.

Cucina poi....Che parolone!
Un buco umido ed annerrito dal tempo, piuttosto, rischiarato appena dalla fioca luce di due moccoli. Una tenda, in un angolo, separava il letto dal resto dell'ambiente. Un catino in bella mostra costituiva, da solo, l'intera toiletta della ragazza.


Constance, alle spalle del giovane, rise di gusto.

"E orribile, non è vero? Ma la padrona di casa in cambio non mi chiede altro che di aiutarla nelle faccende domestiche. Non pago l'affitto per cui va bene così..."
"Constance? Mi pare il minimo...A chi altri potrebbe scaricare questa topaia la proprietaria?"
"A qualche altro disperato come me..." - Suggerì, pregandolo a gesti, di accomodarsi su una sedia sbilenca.
"Che non pagherebbe comunque l'affitto perché troppo povero per farlo. Meglio piuttosto che ci sia tu qui dentro, quantomeno sei una persona tranquilla."
"Anche questo è vero." - Confermò.

Lasciò il pane sul tavolo e si affrettò a raggiungere il focolaio.

Louis continuò a guardarla mentre lei gli dava le spalle, intenta com'era a rimestare il contenuto della sua pentolaccia in rame. Evidentemente era riuscita a tirare fuori un qualche tipo strano di minestra da quella repellente patata che s'era guadagnata vendendo le camelie.

"La mia vicina di casa è una donna tanto buona. Mi ha dato un intero pomodoro in regalo prima. Per cui la minestra sarà più saporita adesso che c'è anche il pane. Mangi con me, Louis?"


Louis si trattenne a stento dal gridare per quanto fosse assurda ed insostenibile quella situazione. Se ne stava seduto ad un tavolo tarlato, in una casa buia ed umida, con il, grattare continuo delle tarme alle pareti ed i topi che si divertivano a scorazzare fuori dalla porta e pensava che, dopotutto, non volesse essere in nessun altro posto al di fuori di quello finché lei fosse stata lì a preparare la minestra per entrambi.


E tuttavia...avrebbe dovuto trascinare Constance lontano da quel tugurio stomachevole il prima possibile, ne era tristemente consapevole.
Lei era così bella, così delicata... Stonava terribilmente con tutto l'orrore che la circondava. Non poteva vivere di certo in quel posto sudicio per il resto dei suoi giorni!


La giovane gli mise davanti un piatto fumante di minestra, scuotendolo dal vortice dei suoi pensieri.
Louis la guardò sorpreso.

"Non posso mangiare, Constance."
"Perchè? Non ti piace?"
"Non è questo... Devi mangiare tu, son due giorni che non tocchi cibo."
"Quasi tre, ormai...Ma non è un problema, Louis. Il mio stomaco si è abituato a certi ritmi ormai, e mangio come un uccellino. Inoltre, mi piace pranzare in compagnia. Tu piuttosto? Da quando non mangi qualcosa, a tua volta?" - Rispose accomodandosi al suo posto.

Louis tossicchiò.

"Da.... ieri mattina, credo."
"E come mai?"
"Sono stato molto...impegnato. Non ho avuto tempo per prepararmi nulla."


Constance sorrise, porgendogli un cucchiaio. Louis ricambiò quasi subito, decidendosi infine ad accettare la minestra che la ragazza gli aveva così gentilmente offerto. In realtà lo stomaco brontolava anche a lui ed il pranzo aveva, nonostante la scarsa materia prima utilizzata per la sua preparazione, un ottimo aspetto.


Per qualche istante mangiarono in silenzio. Nella cucina buia si udiva soltanto il rumore del cucchiaio che strideva e raschiava sul fondo della scodella.
Poi, Constance alzò lo sguardo su di lui, curiosa. Come se avesse trattenuto per diversi minuti una domanda che ora premeva assolutamente per venir fuori.


"Che c'è?"
"Non hai una moglie che ti prepari il pranzo? Perché fai da solo?"


Louis ripensò a Thérèse, ai suoi occhi scuri, a quel sorriso dolcissimo che l'aveva ingannato in passato e scrutò Constance alla ricerca, sul suo bel viso,  della medesima, crudele illusione.
Non la trovò e sospirò sollevato.
Aveva imparato a diffidare dalle donne ma con quella piccola, tenera fioraia, ogni suo proposito andava a farsi benedire, inevitabilmente.


"Non ho una moglie, Constance. Sono scapolo."
"Oh....E tua madre?"
"Non abito più con mia madre. Vivo da solo."
"Non  sei parigino, Louis?"
"No, infatti. Provengo da Blérancourt."
"E tua madre è rimasta lì, giusto? Per questo sei qui da solo..."
"Oh, non è l'unico motivo. Vedi Constance, io e mia madre non abbiamo un buon rapporto. Se potesse mi prenderebbe volentieri a schiaffi. Non son stato esattamente il figlio modello..."
"No?"
"No. Una volta mi ha anche denunciato."

Constance si portò una mano alla bocca, sorpresa.

Louise ridacchiò.

"Già...E' stato qualche anno fa. Nel 1786."
"Pourquoi?"
"Avevo rubato dell'argenteria da casa." - Rispose con una smorfietta eloquente ed assolutamente dispettosa.

Constance lo guardò di rimando, sbarrando gli occhi. Poi scoppiò a ridere a sua volta, di gusto.

"Tu... cosa?"

Louis le rivolse un'occhiata assolutamente divertita e, nell'ilarità causata da quel raccontino, la giovane finì viceversa col perdersi nel suo sguardo profondo, in quegli occhi scuri che parlavano di un passato indefinito, come di una sofferenza che Louis non avrebbe mai, mai voluto esternare.


"Non sono un bravo ragazzo, Constance, sai? Forse non avresti dovuto accogliermi così facilmente in casa tua." - La stuzzicò, infine.
"Ah sì?"
"Esatto. Sono un ladro. Potrei anche essere un assassino. Ed ora tu sei qui, da sola, con me.... Potrei farti del male, se volessi."

Si pentì quasi subito di quelle stupide parole.
Perchè stava tentando di spaventarla?
E perché, soprattutto, stava permettendo a quella parte ignobile di sè di venire fuori così facilmente?
Non con Constance...con lei non sarebbe dovuto accadere!

E tuttavia...La giovane lo sorprese e non poco.
Non era certamente una fanciulla facilmente impressionabile. Cosicché non si perse d'animo come, viceversa, aveva stupidamente ipotizzato Louis.


"Non lo faresti. Non mi faresti del male."
"Chi te lo dice?"
"I tuoi occhi. Ti tradiscono."
"Potrebbero tradire te, viceversa."
"...ed il mio cuore me lo suggerisce."
"Forse non dovresti seguirlo."
"Forse l'ho seguito già."


Louis non riuscì a ribattere. Non dopo una risposta del genere, non di fronte a tanta risolutezza e convinzione.

Non riusciva a comprendere a cosa fosse legata quell'istintiva e subitanea attrazione che l'aveva ancorato a Constance sin dal primo momento ma era consapevole del fatto che ogni minuto in più in compagnia di quella giovane supportava  ulteriormente il suo assurdo atteggiamento nei suoi confronti. E, ovviamente, le ultime parole della piccola fioraia non gli erano state d'aiuto in tal senso: Louis era certo, dopo una tale confessione, di non essere più l'unico.
Per una qualche irrazionale motivazione anche Constance desiderava la sua presenza ed il suo sorriso.


Forse il cuore dell'ombroso Louis aveva di nuovo una possibilità?
Forse era giunta, anche per lui, l'occasione propizia per accendersi e scaldarsi di una amore nuovo e puro?


Poiché Constance gli stava offrendo la sua anima innocente. E lui non l'avrebbe rifiutata.
Negli occhi azzurri della giovane aveva ritrovato la volontà, mai realmente sopita, di tornare ad amare. Constance non era Thérèse: a lei l'avrebbe concesso.
Le avrebbe regalato il suo cuore se lei l'avesse desiderato realmente.














Nei giorni che seguirono a quel pranzo insieme Louis e la sua giovane amica non riuscirono ad incontrarsi nuovamente.

Si erano salutati sulla porta di casa di lei con un sorriso, mentre Constance appuntava sulla giacca dell'uomo l'ennesima camelia, tanto per scherzare un po'. E poi le loro mani si erano dapprima sfiorate furtive ed infine intrecciate apertamente allorché Louis le aveva sussurrato dolcemente il suo addio.

Constance aveva risposto agitando la mano tante volte mentre lui si allontanava nel disordine di una città che sapeva di sangue e paura. Ed aveva richiuso la porta alle sue spalle con un sospiro: il cuore le batteva forte. Sapeva che Louis significasse già qualcosa di molto importante per lei e si era chiesta se fosse quello il tanto famigerato colpo di fulmine di cui le aveva parlato un tempo sua madre.
Ma sua madre non c'era più e Constance avrebbe dovuto tenere per lei sola i moti del suo cuore: per quanto dolcissimi o irrazionali questi avessero mai potuto essere avrebbe dovuto dividerli esclusivamente con se stessa.




In realtà, fu Louis a sparire per qualche giorno - con suo grande rammarico, tra l'altro -  dalla vita della giovane fioraia.
Al di fuori del piccolo mondo che egli andava costruendosi con Constance, infatti, incombeva la Rivoluzione.
E fu proprio la Rivoluzione a richiamarlo a sè senza alcun indugio, allorché gli fu esplicitamente richiesto, in quanto deputato alla Convenzione per il dipartimento dell'Aisne, di tenere un pubblico discorso in merito alla possibilità di processare o meno il destituito re Luigi XVI di Francia.
Il giovane, quindi, perse molte notti ed altrettanti giorni nel tentativo di tirare fuori un'arringa quanto più convincente possibile.
Il pensiero di Constance fu sempre vivo nel cuore e nella mente, durante tutto quel tempo, ma Louis era consapevole di avere dei doveri da cittadino e rivoluzionario, in primis, che non potevano attendere alle richieste del suo cuore.


All'alba dell'ottavo giorno di separazione, tuttavia, il giovane Saint Just non si trattenne oltre. Il viso dell'amata riempiva i suoi ricordi ed esigeva le sue attenzioni cosicché non riuscì a frenarsi ulteriormente.

Quel mattino di fine Ottobre del 1792 bussò quindi alla porta della giovane Constance ed attese, senza preoccuparsi dell'orario. Sapeva che non l'avrebbe disturbata.

Voleva chiederle scusa per quell'assenza. E farsi perdonare con una passeggiata sul fiume.

Ma nessuno venne ad aprire.

Allora Louis riprovò, senza perdersi d'animo. Era troppo presto e Constance non poteva già trovarsi a lavoro, in giro per Parigi con le sue camelie. Doveva essere ancora in casa, per forza di cose.

Non gli rispose.

Louis, dunque, riprese a colpire la porta con maggior impeto ed invocare il suo nome finché, dalla finestra di fronte, una donna lo richiamò a gran voce.


"Buon uomo! Fate piano, qui c'è gente che dorme ancora!"
"Cittadina!" - Urlò lui, allora, senza badare a quelle parole - "Sapreste dirmi dove si trova Constance?"
"Constance Moreau? La fioraia?"

Moreau. Oh beh, aveva quindi anche scoperto il suo cognome.


"Esattamente" - Rispose con un cenno del capo.
"Son giorni che non la vedo, la piccola Constance..."
"Quindi non sapreste dirmi se si trovi già a lavoro, adesso?"
"Lavoro, signore? Vi ripeto che son giorni che non la vedo. Non esce di casa da un bel po'..."


A Louis mancò l'aria per qualche istante, come se quella donna gli avesse appena rivelato una verità difficile da accettare e gestire.
D'un tratto ebbe un brutto presentimento.
E fu certo quasi subito che a Constance fosse accaduto qualcosa.


"Signore? Che state facendo?" - Domandò la donna dalla finestra mentre Louis tornava a bussare alla porta, sospingendola con forza sempre crescente.

"Marie? Che succede?" - S'intromise una seconda donna, affacciandosi dal balcone al piano superiore della casa di Constance.
"Diane! Quest'uomo....cerca Constance..."- Rispose la prima indicando Louis.

L'uomo guardò anche lei. Era più giovane della dirimpettaia ma ugualmente trasandata.

"Non mi risponde. Sapete nulla di lei?"
"Ma chi siete voi?" - Rispose lei diffidente.


Oh, al diavolo! Quante domande inutili!


"Un suo amico....ora potreste farmi il piacere di aiutarmi?"

"Non vedo Constance da quattro giorni, signore! Ieri son venuta a chiamarla ma non mi ha risposto e ho pensato che fosse ancora a lavoro...Non so nulla di lei, mi spiace!"


Dunque, non si trattò più di un presentimento ma di una certezza.
Alla piccola Constance doveva davvero esser accaduto qualcosa.

Ed allora Louis non si trattenne oltre e, con tutta la  forza che aveva in corpo, prese a colpire la porta a spallate.

"Che state facendo, signore?!" - Gli urlarono contro le due donne ma lui non se ne curò.


Continuò a colpire,infatti, fino a lacerarsi la giacca. Fino a quando la pesante porta di legno non cedette sotto la sua furia.



Fu allora che la ritrovò: stesa sul freddo pavimento, priva di sensi.
Il viso rivolto verso la porta, chiaramente diafano ed esangue anche nella scarsa luce di quel mattino nebbioso.


Il cuore di Louis perse un battito ma trovò ancora la forza per precipitarsi in casa urlando il nome della fanciulla.



"Constance!" - Ripeté più volte, accogliendo il corpo esile della giovane tra le sue braccia. - "Constance, che ti è accaduto? Constance!"


Biascicò ancora il suo nome ma con una disperazione nuova e sempre crescente.


Cosa le era accaduto?
Stava male?
Era....era morta?
Oh, no!
Constance non poteva averlo abbandonato! Non ora...non così presto.



Continuò ad osservarla mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Ed allora la fanciulla, senza guardarlo, riuscì a lasciarsi sfuggire dalla labbra un gemito flebile ed appena accennato.


Dunque era ancora viva?


A Louis venne da sorridere, inaspettatamente, poiché quel lamento aveva il sapore di un miracolo per lui.


"Constance!" - Gridò ancora mentre sulla porta cominciavano ad accalcarsi troppi vicini curiosi, accorsi prontamente alle urla dell'uomo. - "Sei viva!...Sei viva...Ed io sono qui, adesso! Non preoccuparti Constance...Qualsiasi cosa sia accaduta io...io ti guarirò!" - Promise infine, risoluto, mentre la stringeva in un ultimo abbraccio.














La citazione che vi riporto ad inizio capitolo è stata davvero pronunciata (o, per meglio dire, scritta) da Saint Just. Quello vero. :)
Ve la riporto tanto per farvi capire la differenza enorme che c'è con il mio, di Saint Just. Quello "storico" era un tipo tosto, agguerrito...ma non meno romantico.
Avete presente la Thérèse che ho menzionato più volte? Nella realtà  si chiamava Thérèse Sigrade - Gellé ed era stata la fidanzata del vero Saint Just allorché quest'ultimo abitava ancora a Blérancourt. Tuttavia il padre di lei non acconsentì alle nozze e, successivamente, la giovane sposò un altro uomo. A causa di questo amore sfortunato pare che S.J preferì allontanarsi dalla sua cittadina natale.
Ah! Non ho mentito neppure riguardo al furto dell'argenteria...Il vero Louis fu davvero denunciato da sua madre per questo misfatto! ;)
Spero di non avervi annoiato con questo capitolo...Io lo definisco di transizione.
Grazie alle meravigliose ragazze che mi hanno fatto conoscere il proprio parere riguardo questa storia...Siete adorabili :)
Quest'originale sta andando meglio di quanto io stessa mi aspettassi ed è tutto merito vostro! ;)
Fra poco passo a rispondere alle recensioni :)
Grazie di tutto e a presto
Matisse.




Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


saintjust3
Tu hai avuto il nostro amore.
E la Rivoluzione.
Io ho avuto soltanto te.









Al di là del nostro amore














Quando Constance aprì gli occhi, quel mattino, non ritrovò, di fronte a sé, le familiari pareti ammuffite della sua piccola casa.
Piuttosto, si scoprì in un ambiente straordinariamente luminoso.
Fin troppo.

Nascose il viso tra le mani, accompagnando il gesto con un mugolio di disappunto e rigirandosi nel grande letto in cui aveva riposato sino a quel momento per sfuggire al sole accecante di metà mattina.
Tentò perfino di riprendere a dormire.
Ma si trattò solo di una questione di pochi istanti.

Sobbalzò quando realizzò, definitivamente, di non trovarsi a casa propria, in quel letto scomodo e sgangherato che conosceva così bene.

Si guardò intorno, quindi, ad occhi sgranati, confusa. Incapace di mettere insieme i ricordi, definire il nuovo spazio in cui era finita.
Comprendere come ci fosse arrivata fin lì, soprattutto.


Ma, in fin dei conti, non le servì poi così tanto tempo per comprendere.
Le bastò ruotare il capo ed incrociare gli occhi scuri di Louis che attendeva il suo risveglio sotto la porta d'ingresso della camera, per mettere insieme buona parte dei tasselli che aveva perso per strada. 

Louis le sorrise, di quel suo sorriso che sapeva incatenarla. Constance fu quasi certa di averlo persino sognato nelle sue notti buie.
Ricambiò subito, dunque, senza alcuna esitazione.

"Hai avuto paura?" - Mormorò avvicinandosi a lei.

Nella luce del giorno i suoi capelli lunghi assunsero una sfumatura rossastra. Il contrasto col suoviso pallido fu evidente.
Il risultanto di tale combinazione le tolse il fiato: Louis era bello da star male.

Quando si accomodò ai piedi del letto, Constance gli si fece più vicina.
Voleva toccarli, quei capelli. Voleva sapere che fosse tutto vero, che la presenza del giovane non fosse, semplicemente, la proiezione della sua galoppante fantasia di fanciulla.


"...Non sapevo dove mi trovassi." - Spiegò carezzandogli la chioma. Louis la lasciò fare.
"Adesso hai capito?"

Annuì.

"Ed hai ancora paura?"


Constance scosse la testa.


"Non potrei mai."
"Bene. Benvenuta a casa Saint Just, allora..."


Gli sorrise, ancora. Gli avrebbe sorriso sempre, anche senza un motivo apparente.
Anche solo per rendere omaggio alla sua antica bellezza.


"Louis..." - Domandò tuttavia, perplessa. Non tutto ancora quadrava. - "Perché sono qui? Cos'è accaduto?"


Lo sguardo di Louis quasi la impressionò.
Nel ricordo dei giorni appena trascorsi i suoi occhi assunsero una luce sinistra. Forse Constance l'avrebbe definita disperata, se non avesse temuto di sbagliarsi al riguardo.

Ma gli tese la mano prontamente, perché non sopportava di vederlo in quello stato.


"Louis..."
"Sei stata...male, Constance." - Spiegò con voce incrinata. Strinse con forza il lenzuolo e le nocche della mano, nello sforzo, impallidirono. - "... Molto male. Ho chiamato il medico, son stati giorni difficili. Sei molto deperita, purtroppo."
"Io...io non ricordo nulla di tutto questo..." - Ammise sconcertata.
"Non potresti. La febbre ti ha divorata. Ma da ieri notte sei fresca. E' quasi un miracolo...Ho...temuto per te."

"Louis...."

"Quando ti ho trovata svenuta, a casa tua...Non sapevo cosa pensare...Ma eri viva e solo questo contava. Quando me ne sono reso conto non ho esitato a portarti qui e farti curare. Se fosse accaduto qualcosa di irreparabile..."

Serrò la mascella.

"Louis....Louis, guardami per favore!" - Lo costrinse a rivolgerle lo sguardo con un gesto secco della mano. - "Adesso sono qui. E sto bene. Non devi avere più paura."

Louis annuì.

"Hai capito?"
"Sì...Adesso....Stai bene, davvero bene. Oggi, per la prima volta da giorni, parli e mi sorridi. Non mi sembra neanche vero..."

"Invece è proprio così..."

Lo guardò con una dolcezza tale che Louis, alla fine, dimenticò persino la rabbia ed il dolore per averla quasi vista morire tra le sue braccia.

"Presto tornerò anche a lavoro, quindi stai tranquillo..."
"Che cosa?!"

Scattò come morso da una tarantola.


"No, Constance! Te lo proibisco categoricamente!"


La giovane aggrottò le sopracciglia.


"Me lo...proibisci, Louis?"


Lo stava guardando con aria accigliata.

Forse aveva detto qualcosa di sbagliato. Era stato...eccessivo?
Oh, sciocchezze! Non importava...non contava niente.
Era stato sul punto di perderla...Non le avrebbe permesso quindi di tornare nella strada fredda, col rischio di buscarsi un nuovo malanno. Era troppo debole per sopportarlo, questa volta non sarebbe stata altrettanto fortunata.


"Sì, te lo proibisco." - Ammise con tono perentorio. - "Non posso permetterti una simile sciocchezza. Ne andrebbe della tua salute. Ed anche della mia, francamente."
"Louis..." - Mormorò dunque la giovane, in evidente disappunto. - "...E' da una vita che bado a me stessa. Non puoi chiedermi di rinunciare a ciò che sono. Tu lo faresti?"


Louis scattò in piedi, ancora una volta allarmato.

"Non si tratta di questo! Non ti sto chiedendo...Oh, Constance! Sei stata così male...Non posso permettere che accada di nuovo!"

La guardò con aria disperata. Di nuovo.
Se non fosse stato l'ombroso e scostante Louis de Saint Just che tutti conoscevano, forse...avrebbe persino pianto.

Constance l'osservò ancora un po'. Il cuore le si strinse in una morsa e si addolcì quasi subito: dopotutto Louis parlava per il suo bene. Usava metodi discutibili, probabilmente, e doveva essere poco incline alla diplomazia ma non era certo un problema questo. Era convinta che quei tratti così spigolosi del suo carattere avrebbero potuto essere smussati col tempo.
O forse no?
Del resto lei amava Louis così com'era.


Amava?


"D'accordo...D'accordo Louis ma adesso...calmati, per favore. Non ti assicuro nulla...E prima o poi tornerò a lavorare perché non posso farne a meno. Però...Almeno per questo periodo...mi riguarderò. Va bene così?"

Il viso del giovane tornò ad illuminarsi e Constance si meravigliò di quanto fosse facile, con sole poche parole, fargli tornare il buonumore.

"Va bene...ma fra molto tempo. Intesi?" - Le sussurrò scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. Si era chinato su di lei sorridendole ed il cuore di Constance aveva perso un battito.

"Sì...sì, intesi. Ma...."
"Ma?"
"Come mangio nel frattempo, Louis?" - Sbuffò.

Lui rise apertamente.

"Mangi con me?" - Ammiccò.


Constance non comprese.


"Che...significa?"
"Che resti qui, a casa mia. Non ci torni più in quella topaia..."


Constance non sapeva se esser più felice di quelle parole o sconvolta. Non era certa di essere pronta a tutto quel che stava accadendo nella sua vita in maniera tanto rapida. Non riusciva a realizzare, a riorganizzare le idee.


Era forse troppo presto?
O non lo era affato?
Le faccende del cuore non avrebbero dovuto sottostare agli anni ed alle scadenze, del resto.
Oppure sì?


"Io....io devo vivere qui...con te?"
"Sì...Non ti piacerebbe?" - La provocò.
"Ecco...Louis, la gente mormora...Io non so se sia lecito..."
"Di cosa hai paura esattamente? Di quello che diranno gli altri? Constance, non è più tempo per le convenzioni. Noi siamo figli della Rivoluzione, ricordatelo."
"E con quale titolo potrei condividere il tuo stesso tetto?"


Tornò a chinarsi su di lei. La sogguardò con quegli occhi grandi e scuri e Constance, dopotutto, avvampò d'imbarazzo.
Louis sapeva toccare certe corde piuttosto nascoste del suo animo anche con un solo sguardo e lei non sapeva mai spiegarsi come questo fosse possibile.
In così poco tempo, oltretutto.

Forse, per le anime affini, non servivano anni per avvicinarsi e comunicare.
Constance era certa di conoscere Louis meglio di chiunque altro. Sapeva interpretare già i suoi sguardi corrucciati, quei silenzi eloquenti, gli sguardi infinitamente dolci su di lei. Anche quando fingeva di guardare altro.

Eppure....eppure fu così ingenua da non afferrare prontamente le parole che le avrebbe rivolto di lì a poco.
Così ingenua da non comprendere quanto lui fosse già inequivocabilmente innamorato di lei.


"Fidanzata. Col titolo di fidanzata, Constance. Pensa stia correndo un po' troppo o potrebbe condividere il mio stesso, umile pensiero, mademoiselle?"


Il cuore della fanciulla si trasformò in un folle saltimbanco in soli pochi istanti.
Le mancò l'aria, molto più di quanto non fosse accaduto certamente durante i giorni della sua malattia.

E forse ci impiegò molto tempo per rispondere.
Non fu in grado di quantificarlo: erano trascorsi pochi istanti? O, magari,  troppi minuti prima di aprir bocca e dire qualcosa di sensato?

Non riuscì a dare una risposta valida al proprio dubbio ed, ovviamente, neppure le importava poi molto.

Si perse piuttosto nello sguardo divertito di Louis, in quel sorriso magnetico ed un po'  irriverente che amava rivolgerle.

Era vicino al suo volto. Troppo vicino.
Allora, Constance, senza improvvisi imbarazzi o ritrosie, scostò i capelli del giovane che ricadevano lunghi e riccioluti ai lati del viso.
E poi mormorò un dolcissimo "No, non stai correndo troppo, Louis.", prima di posare le sue labbra su quelle morbide di lui.


Del suo fidanzato.






*






Sette giorni.
Soltanto sette giorni per sentirsi a casa propria.

E, probabilmente, Constance aveva impiegato anche meno per considerare familiare il nuovo ambiente dove si era ritrovata a vivere così improvvisamente. Ma le piaceva credere di aver avuto bisogno di un po' più di tempo. In questo modo si sentiva meno colpevole.
Colpevole agli occhi degli altri, ovviamente.

Quegli altri che per Louis non erano altro che estranei.
Neanche li considerava. Erano fuori dal loro mondo.
Constance soffriva ancora dei limiti che la società, sua madre e le buone maniere le avevano imposto sin da bambina. Ed ammirava la capacità che aveva Louis di infischiarsene.

Si chiese se fosse stata capace, un giorno, di infrangere le regole proprio come lui.
O, forse, l'aveva già fatto accettando di vivere sotto il suo stesso tetto?

Del resto, non avrebbe mai potuto rifiutarlo: Louis rappresentava, francamente, tutto ciò di cui avesse bisogno.

In pochi giorni, aveva appreso tanto di lui e delle sue abitudini.
Sapeva,ad esempio, che Louis si svegliava ogni santo giorno alle cinque del mattino. Persino la Domenica. E non tollerava l'idea di essere disturbato durante le sue letture quotidiane benché, per lei, era in grado di rinunciare più che volentieri a qualche minuto del proprio impegno per regalarle un bacio del buongiorno pieno d'amore.
Dormiva con il braccio sinistro sugli occhi, Louis, e respirava così silenziosamente che Constance, nelle lunghe notti in cui preferiva contemplare la sua figura di spalle piuttosto che riposare, temeva sempre che stesse male. Che gli fosse accaduto qualcosa di irreparabile.
Ma quelle erano soltanto le stupide preoccupazioni di un cuore innamorato che aveva paura di perdere troppo facilmente l'oggetto del proprio bene.
Perché, per Constance, quella era una favola fin troppo perfetta. E come tutte le favole avrebbe potuto ingannarla.

Sapeva, anche, quanto Louis amasse i suoi piatti. Perché forse mai nessuno gli aveva preparato nulla di caldo o perché era davvero così ma mangiava sempre di gusto tutto ciò che la sua Constance gli cucinava.
Persino le minestre a base di patate scadenti.

Infine, lo accoglieva ogni sera con un abbraccio tenero perché era certa che fosse l'unico modo per sciogliere il gelo che si portava dietro. E non solo quello causato dal freddo inverno di fuori.


Ormai Constance non riusciva più a pensare a se stessa lontana da Louis.
Ed era sconcertata da questa consapevolezza, per certi versi: l'idea di essere dipendente da qualcuno che non fosse sua madre - in così poco tempo, per giunta - avrebbe dovuto spaventarla. Ed invece sentiva che non ci fosse altro da desiderare, per lei. Era certa che quella dipendenza fosse semplicemente la causa della sua felicità e per questo meritava considerazione e rispetto.

Non poteva esserci nulla di sbagliato in qualcosa che riempiva il cuore di gioia. E Constance aveva sofferto già troppo, in passato, per negarsi anche quella possibilità.



Quel mattino del 12 Novembre del 1792, dunque, Constance vagava felicemente sola per le due stanze che costituivano la modesta ma ordinata casa di Louis.
Considerò facilmente quanto quelle quattro mura rispecchiassero il carattere del giovane: nessuna decorazione in particolare. Le pareti erano spoglie ma pulite. Il mobilio scarno, l'essenziale per vivere, in altre parole. Tuttavia c'era tanta luce e Constance sorrise perché era certa che Louis l'amasse tanto quanto lei.
Fingeva di essere schivo, ombroso, certamente riservato. Ma il suo cuore era puro, nonostante tutto.
Semplicemente non era in grado di dimostrarlo poiché non era stato amato abbastanza. Non nel modo che avrebbe meritato, perlomeno.


Su di uno scaffale, in fila ordinata, Louis teneva una serie di libri dalla rilegatura scura.

Constance ne afferrò uno a caso, sfogliandolo con delicatezza.


Sulla copertina non era impresso il titolo ma la fanciulla lo scoprì poco dopo sulla prima pagina.


"L'Organt" lesse piano, sfiorando con la punta delle dita

Curiosa, si apprestò ad approfondire l'argomento quando "qualcuno", comparso improvvisamente alle sue spalle, le rubò il libro dalle mani.


"Eh no, Constance!... Questo no."


Constance si voltò di scatto, incontrando il ghigno eloquente e divertito di Louis.

"Perché no?"
"Buongiorno anche a te..." - Commentò lui dandole un bacio sulla fronte.


Baci sulla fronte. Sulla punta del naso. E sulla labbra.
Mai nulla più di questo.
Perchè, nonostante quello sguardo da bambino dispettoso e - probabilmente - qualche cruccio alle spalle, Louis era un gentiluomo dopotutto.
Constance ne era ben consapevole.


"Sei tornato presto."
"Ti dispiace?"


Constance scosse la testa ed un po' l'abbracciò, ancora imbarazzata.
Non era ancora così facile essere sempre naturali.


Naturalmente innamorati.


La rapidità del colpo di fulmine era piuttosto deleteria per una fanciulla ancora inesperta dell'amore come Constance.
Ma era tenace la piccola fioraia. Ed appassionata.
Certi ostacoli tendeva a superarli in ogni caso, anche andando contro se stessa.


"Come potrebbe dispiacermi? Soltanto che...pensavo avessi da fare..."
"Il discorso è domani. Oggi voglio stare tranquillo...Perché domani non lo sarò affatto."
"Lo sarai certamente. E andrà tutto alla perfezione...Anche se non mi hai detto ancora di cosa tratta la tua arringa."

Louis sorrise.

"Non te l'ho detto perché non ti piacerebbe...Non sei abbastanza rivoluzionaria!" - La canzonò. Constance rispose con un'occhiata corrucciata. Non poteva sapere che Louis non le confessasse nulla soltanto per non farla preoccupare: aveva la tendenza ad esporsi troppo nelle questioni politiche e l'ultimo dei suoi desideri era trascinarla in faccende complicate dalle quali non sarebbe stato in grado di salvarla.

"D'accordo...Almeno dimmi cos'è quello." - Indicò ancora il volumetto dalla copertina scura.

Louis sospirò. Era testarda quanto un mulo la sua bella fioraia.

"Niente....Una sciocchezza che ho scritto qualche anno fa..."
"Hai scritto..tu? Oh, permettimi di leggerla Louis, per favore! Ne sono capace, sai? Me l'hanno insegnato i miei signori padroni anni addietro!"
"Signori padroni è un appellativo che in casa mia non esiste..." - Rispose Louis acidamente. Poi si pentì, di fronte all'espressione spaesata di Constance.
"Scusami...Son stato brusco."
"Non importa..." - Rispose lei abbassando gli occhi - "....Immagino che per un Rivoluzionario certi termini non siano accettabili."
"No, affatto."
"Dovrò farci l'abitudine..."
"Direi di sì..." - Ironizzò.
"Très bien. Così sarà. Ma adesso mi consenti di leggere il tuo libro, per favore?"
"Piccola, cocciuta Constance..." - Mormorò sfiorandole il mento con l'indice. La giovane quasi avvampò d'imbarazzo - "...Non è una lettura adatta alla tua innocenza. Mi dispiace quindi, ma dovrò negarti quel consenso che tanto ti sta a cuore."


Si allontanò infine da lei di qualche passo, gettando il libro con fare svogliato in un angolo della stanza. Ai piedi quel materasso logoro sul quale aveva scelto di trascorrere le proprie notti pur di lasciar spazio a Constance in un letto comodo. Senza costringerla, obbligatoriamente, alla sua presenza.

Ancora, lei si affrettò a seguirlo.

"Non capisco, Louis..."

Louis le dava le spalle. E non si voltò mentre, ridacchiando, mormorava:

"Sono stato decisamente licenzioso, in quel poema, Constance."
"Licenzioso...?"

Lo costrinse a girarsi, a guardarla negli occhi.
E Louis rise, ancora. Con quell'aria provocatoria che costringeva, ogni volta, il suo stomaco ad un singulto di....desiderio? E di amore, tanto amore. Quell'uomo l'avrebbe fatta impazzire.

L'abbracciò, senza preavviso. E le sfiorò il naso con il proprio, quasi teneramente, in un gesto, tuttavia, così intimo da farla ancora avvampare d'imbarazzo.
Era difficile tener testa ai suoi sbalzi d'umore. Soprattutto se la mente di Constance, a sua volta, non era lucida abbastanza per seguirli.

"E' un po' troppo...esplicito per te, mon amour.  Lascia perdere le mie chiacchiere inutili, a me piace straparlare. Ti puoi accontentare del mio amore sincero, per adesso? Non fare troppe domande e non essere curiosa. Certe cose brutte di me vorrei risparmiartele...Te l'ho detto. Non sono un giovanotto per bene."

Constance sospirò, chiudendo gli occhi.


"D'accordo..." - Riprese a guardarlo intimidita. - "Ma quando mi parlerai di te? Davvero, di te? Non ti conosco abbastanza Louis, mi nascondi così tanto della tua persona che temo...temo tu non riesca ad amarmi davvero quanto dici."
"Oh no, no Constance! Che il tuo cuore non debba mai credere che io t'inganni!"
"Non voglio crederlo, infatti. Io voglio amarti soltanto per quel che sei. Chiunque tu sia. E' irrazionale. Siamo due estranei eppure..."
"...Ci apparteniamo più di quanto tu stessa non creda."
"E dunque? Smetterai di essere sempre così vago?"

"Constance..." - Sussurrò lui, guardandola fermamente negli occhi - "Il vero Louis è l'uomo che ti è accanto ogni giorno. Impara a conoscere questa persona e non curarti di tutte le altre maschere che indosso per vivere nel mondo di fuori. Il nostro tempo è pieno di avvoltoi, io li combatto ogni giorno. Ma tu sei pura ed innocente. Con te non devo mostrarmi come l'uomo crudele e sanguinario che tutti conoscono. Ho rubato alla mia stessa madre e troppe volte ho usato linguaggi inappropriati. Ma queste son faccende che non riguarderanno quel che noi due siamo insieme. Per te sarò sempre il Louis che ti ha comprato del pane caldo un giorno di fine Ottobre. Vuoi?"


Fu così intenso il suo sguardo, così caldo ed amorevole...E le sue parole così sincere...
Come avrebbe potuto Constance negargli il suo consenso?

Louis era tutto ciò che desiderava del resto.



"Lo voglio..." - Mormorò dunque prima di sprofondare nel suo abbraccio.






 



Louis aveva nascosto davvero molto della propria persona, alla piccola Constance.
Le sue ombre preferiva tenerle per se stesso.
Erano troppe e crudeli, oltretutto: Constance non meritava tutto quell'orrore.

Cosicché scelse di tacere sul tema principale del discorso che pronunciò all'indomani - il 13 Novembre del 1792 - presso la Convenzione.
Le nascose, quindi, che, mediamente quella medesima arringa, aveva lavorato per convincere i suoi ascoltatori a condannare definitamente il destituito Re Luigi XVI.


Poiché lo sapeva di per certo: Constance non gli avrebbe perdonato di desiderare tanto intensamente la morte di un altro uomo.

Quello sarebbe stato il comportamento di un essere meschino, non del Louis che apparteneva a lei.
























  • Cos'è L'Organt? Un piccolo poema in 20 canti scritto da Saint Just nel 1789. Storia di un paladino di Carlo Magno che libera la Francia dal regno della Follia. Louis (quello vero) lo pubblicò in forma anonima. Venne proibito e sequestrato poiché ricco di allusioni politiche ed espliciti riferimenti erotici ma nel 1792 riapparve tranquillamente nelle librerie parigine.



  • Il 13 Novembre del 1792, il deputato Saint Just tenne il suo primo discorso alla Convenzione, di cui vi ripropongo uno stralcio finale:


"Popolo...Ricordati che se il re sarà assolto noi non saremo più degni della tua fiducia e tu potrai accusarci di perfidia."


Come avrete capito, Louis "storico" non era molto portato alla sensibilità ed all'umanità...Più volte ha lavorato, nel corso della sua vita, per favorire la condanna a morte dei propri nemici. E, vi assicuro, che il primo nemico per Saint Just è stato proprio il re.A me, francamente, Luigi XVI faceva un pochino pena ed anche tenerezza, così come la sua consorte, Maria Antonietta d'Asburgo - Lorena.
Lo so, il vero Louis potrebbe risultare antipatico...Non ci pensate, in quel caso,badate al mio! xD

Per quanto riguarda la mia storia...Potrebbe suonarvi strana questa convivenza tra Louis e Constance. Però vi assicuro che nel 1700, per quanto la gente si mostrasse particolarmente pudica in apparenza beh...gli scandali erano all'ordine del giorno. Quanto nel nostro tempo, per quel che ho compreso leggendo numerosi libri sull'argomento. E poi questi due si amavo...Sono vittime di un colpo di fulmine di proporzioni stratosferiche, insomma...Non me la son sentita d'impedirglielo. Mi passerete la licenza?

Allora, passo a rispondere alle recensioni. Grazie di cuore per l'attenzione.
:)

Matisse.




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


saintjust5
Al di là del nostro amore










"Quell'individuo..."
"Vi riferite a Saint Just, cittadino Vergniaud?"
"Proprio a lui...Non mi piace. E' un leccapiedi di Robespierre. Ci darà del filo da torcere."


Louis sorrise orgogliosamente, ascoltando le parole dell'avvocato Pierre Vergniaud. Soltanto per puro caso aveva deciso di svoltare per Rue de Saint Honoré: aveva fretta di tornare a casa, non voleva che Constance pranzasse da sola anche quel giorno. Cosicché aveva tagliato per una scorciatoia trovandosi i due rivali a poca distanza. Incuriosito dalla loro fitta conversazione e da quella più o meno continua ripetizione del proprio nome, aveva cominciato infine a seguirli, stando bene attento a non farsi scoprire. E quando i due si erano fermati per discutere più comodamente nei pressi di un porticato, Louis li aveva presi ad esempio. Nascosto dietro un muretto in pietra poco distante aveva assunto uno dei ruoli forse più infimi ed indegni per l'essere umano: quello della spia.
Tuttavia, non era riuscito a pentirsi di quel gesto. Trovava divertente, dopotutto, scoprire l'idea che gli altri si erano fatti di lui. E tanto più comprendeva quanto tale idea fosse spiacevole e negativa più si sentiva soddisfatto.


In fondo, era proprio così che avrebbero dovuto andar le cose.

Non voleva passare per il diplomatico di turno. Per la creatura garbata e comprensiva che non era.
Quel lato di lui era riservato esclusivamente a Constance.

Gli altri avrebbero conosciuto soltanto la sua maschera crudele.
Avrebbero dovuto temerla.

Un giorno il suo nome sarebbe stato scritto a caratteri cubitali negli annali della Rivoluzione.
E se pure fosse stato scritto col sangue ciò non avrebbe contato.

Tutto ciò che importava realmente era sapere che i posteri non avrebbero ignorato la sua esistenza. Che avrebbero conosciuto quel nome - Saint Just - e l'avrebbero venerato e rispettato per l'immenso contributo che aveva fornito alla trasformazione di una terra da troppo tempo oppressa e devastata.
La Rivoluzione albergava dentro di lui e per quella Rivoluzione avrebbe combattuto sino allo stremo delle proprie forze e sino all'ultimo dei suoi giorni.
Finché il cambiamento non fosse stato attuato.



"Non credo sia un leccapiedi."

Un'altra voce, più garbata, richiamò la sua attenzione.



Jacque Pierre Brissot. Il più intelligente ed arguto tra i suoi rivali.
Dopotutto, se non avessero avuto pensieri tanto contrastanti, avrebbe persino potuto tenerlo in simpatia.


"Che andate dicendo, Jacque?"
"Avete sentito bene, Pierre. E' un giovane sveglio e preparato. Ed ha un'intelligenza pronta. Sapete che si è laureato in diritto all'Università di Reims in meno di un anno?"
"Non m'interessano i suoi successi accademici, cittadino!" - Sbraitò l'altro. - "M'interessano i suoi movimenti in campo politico, piuttosto..."
"Anche quelli si commentano da soli. E per quanto io non possa condividere le sue idee, vi dirò che Louis de Saint Just mi ha fatto un'ottima impressione. Avete presente l'arringa del 13? Sapete cosa ne penso..."
"Devo citare i vostri articoli, forse? In questo discorso ci son bagliori, un talento che può onorare la Francia. Così avete detto."
"Esattamente."
"Beh, io sarò ripetitivo ma continuo a dirvi che no...Non mi piace quel giovane!"


"Non devo piacere a voi, cittadino Vergniaud." - Commentò allora il giovane Louis uscendo alla scoperto. Teneva la testa bassa e si muoveva lentamente in direzione dei due uomini.

"Che voi siate maledetto! Stavate spiando la nostra conversazione!" - Sibilò l'interessato in questione, stringendo i pugni. Louis lo guardò ridacchiando, con fare provocatorio. I suoi passi risuonarono chiari e precisi sotto il buio porticato di Rue de Saint Honoré.

"Spiarvi? Non mi darei mai tanta pena, statene pur certo. Non è nelle mie abitudini rivestire di tale importanza le creature vili e codarde come voi."


"Come ....come osate...?"


Vegniaurd, offeso scattò rapidamente nella sua direzione, il pugno già proteso in aria. Jacque lo trattenne in tempo.


"No Pierre, no! Non fate il suo gioco, vi sta volutamente provocando. Lasciatelo perdere!"
"Per tutti i diavoli, cittadino Brissot! Questo sarebbe l'uomo arguto ed intelligente di cui andavate ciarlando prima?!"

Louis ridacchiò ancora e li superò con un'occhiata derisoria prima di proseguire oltre.

"State tranquillo, cittadino Vegniaurd. State tranquillo. Stavo semplicemente tornando a casa mia. Adesso andrò via e voi potrete continuare le vostre chiacchiere con comodo. Au revoir." - Commentò infine con un gesto della mano.



I due uomini continuarono a seguirlo con lo sguardo. La sua figura scura e sottile avanzò con eleganza prima di perdersi tra la folla e l'oscurità del luogo. Persino mentre dava loro le spalle Saint Just sembrava deriderli: con quella sua voce delicata, quel suo passo morbido. E quella disinvolta noncuranza con la quale guardava i propri nemici e poi passava loro oltre. Come se non fossero mai esistiti. Raramente si scomodava nel discutere con qualcuno, mai nessuno l'aveva sentito urlare durante i dibattiti all'Assemblea. Ma era sempre molto convincente nelle sue teorie ed amava smontare le altrui posizioni con poche ma efficaci parole. Sapeva essere cinico, sintetico ma efficiente. Per questo Robespierre doveva tenerlo tanto in considerazione. E non soltanto lui, ovviamente, giacché da qualche giorno il giovane Louis era stato scelto come membro della Commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione prima e come nuovo capo dei Giacobini successivamente. La sua carriera era in ascesa, ovviamente.
Cos'avrebbero dovuto aspettarsi i suoi nemici da tutta quell'improvvisa presa di potere?



Brissot sospirò lasciando finalmente libero il proprio compagno.

"Sapete, Pierre? Credo proprio di non essermi sbagliato. Louis è davvero l'uomo intelligente ed arguto che vi ho descritto io. Lui è....crudelmente geniale. E sapete un'altra cosa? Avevate ragione anche voi. Ci darà del filo da torcere. Fin troppo." - Mormorò infine, stancamente.







*





Quando Louis tornò a casa, di lì a poco, trovò la sua Constance intenta ad apparecchiare la tavola.
Per la casa c'era un buon profumo di stufato.


La giovane l'accolse con un sorriso luminoso appena vide spuntare il suo volto dalla porta d'ingresso, cosicché Louis si tolse subito quel risolino di scherno dalle labbra prima di invitarla tra le proprie braccia.



Via la maschera, Louis. La tua parte è finita, anche oggi.



Lei gli corse incontro, ridendo sinceramente e per poco non lo travolse vista la foga con la quale si avventò su di lui.
Anche Louis rise, prima di chinare il viso tra i capelli profumati di Constance, lasciandovi un dolce bacio.
Sapevano di camelie. Ancora e misteriosamente.

Infine, l'avvolse con il suo cappotto nel tentativo di scaldarla.


"Fa freddo qui..."
"Si sta bene, invece. Bentornato, Louis."
"Merçi. Hai preparato per due?"
"Oui."
"Perché? Non ti avevo detto che sarei tornato per pranzo. Come potevi saperlo?"


Constance alzò il viso verso di lui, raggiante. Era davvero piccola e minuta.


"Avevi proprio la faccia di chi non vedeva l'ora di far ritorno a casa stamattina, quando sei andato via."
"Ah sì?"
"Sì. Penso proprio che non avessi neppure voglia di uscire."
"Uhmm..." - Approvò Louis. - "In effetti sono un po' stanco. Vorrei poter riposare qualche ora in più...E starmene più spesso a casa. Con te!" - Esclamò infine sollevandola in braccio. La risata melodiosa di Constance riempì la stanza ed il cuore del giovane.


Per fortuna che tra tanti impegni e troppi dolori c'era lei.
Almeno lei.


"Mettimi giù Louis, ho paura!" - Urlò Constance, in realtà molto divertita, scalciando l'aria. La sua sottana bianca svolazzò qualche istante in giro per la stanza prima di tornare a sfiorare il pavimento di legno.
"Mai..." - Mormorò dunque l'uomo, in risposta alle sue parole. - "Quando sei tra le mie braccia non dovrai mai avere paura."

Strinse improvvisamente le sue esili spalle con un vigore ed un'intensità tali che per una frazione di secondo a Constance mancò il respiro. Poi realizzò definitivamente quando Louis affondò il volto nell'incavo del suo collo: quella era una promessa.


"Lo so, Louis...Lo so che non devo avere paura di nulla."
"Uhm..."
"Sei la persona più bella che io abbia mai conosciuto, Louis. Sei l'unico in grado di...farmi stare bene. Come non mi accadeva da tempo. Ed io non so...non so come sia possibile ma..."

"Ssssh!" - Louis le impose il silenzio. - "Sssh amore, non dire altro. E non è niente, sta' tranquilla...E' solo il cuore. Succede anche a me."
"E fa male...?" -Domandò ingenuamente.

"No. Mai." - Rispose fermamente convinto."





*





Qualche giorno dopo - era il 10 Dicembre del 1792 - Constance ricevette una visita inaspettata.
Ovviamente anche quel mattino era sola in casa: ormai Louis passava fuori buona parte della sua giornata e negli ultimi giorni, quando infine si decideva a rinchiudersi tra le mura domestiche, dedicava la stragrande maggioranza del proprio tempo all'elaborazione di discorsi convincenti da proporre ai deputati di quella Convenzione di cui anche lui faceva parte.
Per la cronaca, l'unico dettaglio che fosse riuscita a strappargli circa la sua vita "lavorativa", per così dire, riguardava proprio la Convenzione: almeno su questo punto Louis aveva deciso infine di cedere spiegandole, seppur sommariamente, quali fossero gli obiettivi e l'organizzazione interna di quell'assemblea per la quale spendeva buona parte del proprio tempo e della propria vita. Tutto il resto continuava ad esserle oscuro e neppure in una sola occasione Louis si era mai lasciato sfuggire particolari circa le tematiche delle sue efficacissime arringhe.

Constance sapeva che Louis fosse un rivoluzionario. Ma quanto in realtà fosse tale restava un mistero, per lei.

In ogni caso non aveva mai indagato oltre: dopotutto gliel'aveva promesso. Gli aveva giurato che si sarebbe limitata a conoscere il suo Louis, quello che cenava con lei la sera, che le raccontava, ridendo, simpatici aneddoti sulla propria adolescenza, che le baciava delicatamente le labbra e le regalava nastri e collanine per esaltare quella sua naturale bellezza. Lo stesso tra le cui braccia aveva cominciato ad addormentarsi in quelle ultime notti. Non riposava più su di una scomodo materasso, infatti, il giovane Louis: gliel'aveva chiesto lei di tenerle compagnia in quelle lunghe ore di oscurità, così, senza alcuna malizia ma soltanto perché quella distanza, seppur minima, le gelava il cuore. Voleva sentirlo vicino a lei ed, in realtà, Louis non lo era mai abbastanza.


Quel mattino, comunque, dormiva ancora saporitamente quando qualcuno bussò con vigore alla sua porta.
Alla porta di casa Saint Just, in realtà.


Si svegliò di soprassalto, ancora incapace di realizzare anche soltanto quale giorno della settimana fosse e dove si trovasse esattamente.
Quando, tuttavia, riprese sufficiente lucidità si catapultò all'ingresso indossando rapidamente la sua vestaglia da camera.

Non poteva trattarsi di Louis: aveva le chiavi, usciva ed entrava da casa ogni volta senza mai scomodarla. Come se avesse mai potuto recarle fastidio, poi.

Dunque, chi poteva essere a quell'ora del mattino?
Che fosse accaduto qualcosa?

Aprì la porta con tale fretta ed agitazione che per un attimo le mancò il respiro.


Sorpresa, contemplò l'alta figura che si stagliava di fronte a lei: quella di un giovane dall'aria distratta.


"Po - posso esservi utile, Monsieur?" - Domandò titubante, stringendosi nella sua vestaglia.


L'uomo la guardò a sua volta sorpreso.


"Oh, buongiorno cittadina. Perdonatemi...Non sapevo che...Questa...Questa è casa di Louis de Saint Just?"
"Sì, sì...E' casa sua."
"Scusatemi, scusatemi davvero...Non immaginavo avesse..." - Non terminò la frase. Piuttosto ridacchiò e fu certamente più eloquente.

Constance s'irritò enormemente.

"Louis ora non è qui. Non so dove sia, buon uomo. E' uscito di casa mentre ancora dormivo. In realtà stavo dormendo fino a pochi istanti fa..."

Il giovane tossicchiò, imbarazzato.


"Certo, certo. Vi prego di scusarmi. Ero convinto di poterlo ancora trovare, in effetti. Dunque...Potreste farmi una cortesia?"
"Se posso..." -. Rispose appena più dolcemente.
"Potreste dirgli, appena lo vedrete che...sì, che il processo al vecchio monarca è cominciato proprio stamattina? Alla Convenzione c'è grande agitazione e beh...credo fosse suo diritto venire immediatamente a conoscenza di questa grandiosa notizia. Dopotutto, se Luigi Capeto è stato sottoposto a giudizio il merito è anche del cittadino Saint Just. Adesso non ci resta che sperare nella morte del re e dopo...potremo proclamarci finalmente nazione libera! Allora, lo farete cittadina?"


Le belle labbra di Constance si aprirono in una "O" di meraviglia.

Il processo al re era cominciato, dunque.
E se tale processo non fosse andato a buon fine per lui...avrebbe perso la testa sotto le lame taglienti di quella disgustosa macchina di morte che chiamavano ghigliottina.

Al solo pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime.


A lei avevano insegnato che la vita di qualsiasi uomo era sacra agli occhi di Dio.
Che nessuno, nessuno poteva arrogarsi il diritto di sottrarla ad un proprio simile.


Il destituito Re era in primis un uomo.
Un uomo cui avevano sottratto ed imprigionato la cara consorte.
Un uomo che aveva già pianto sul corpicino morto del primogenito e che aveva imparato a piangere di nuovo sulla consapevolezza dell'orribile destino riservato agli altri due piccoli figli.
Un marito che non poteva proteggere sua moglie e preservare la prole, un'anima pia e sempre troppo incapace rinchiusa fra le quattro mura de Le Temple.
Ecco chi era Luigi Capeto.
E volevano anche ucciderlo.


Deglutì a fatica. L'uomo la guardò perplesso.


"Allora cittadina?"
"Uh?" - Rispose a malapena.
"Lo farete? Riporterete a vostro...Insomma, a Saint Just, ciò che vi ho appena comunicato?"

A Constance venne un'insostenibile voglia di metter quell'uomo fuori casa.

"Sì, sì...Lo farò, non datevene pensiero. Ma adesso scusatemi, le faccende domestiche mi chiamano. Buona giornata, Monsieur."


Gli richiuse la porta in faccia senza alcun garbo e vi si accasciò contro con un lungo sospiro carico d'agitazione.



Che c'entra Louis col processo al re?

Che c'entra?

Perché?


Un dubbio s'insinuò crudelmente nella sua testa e scattò dalla propria postazione, correndo verso lo scrittoio di Louis, in camera da letto.


E' vero, ho promesso.
Ho promesso che non farò domande e non sarò curiosa.
Fuori di qui la sua vita non deve interessarmi.
Ma...


Ma il cuore le diceva che vi fosse qualcosa di sbagliato in tutto quel mistero che aleggiava intorno a lui.
E che, forse, avrebbe dovuto scoprirlo per poter considerare veramente il loro rapporto degno della parola fidanzamento.

C'era una voragine scura tra loro due, una voragine nella quale Louis affondava e riemergeva a piacimento mentre lei l'aspettava ignara ed ingenua al di fuori. Erano giorni, ormai, che se lo ripeteva. Dunque...poteva essere arrivato il momento per smettere di far finta che quella voragine non esistesse? Forse avrebbe dovuto scivolarvi anche lei all'interno per poter infine dichiarare che amava sinceramente il suo Louis.


Tutte quelle congetture le diedero infine il coraggio e la spinta necessari - per quanto si sentisse ancora una traditrice - per venir meno a quella promessa ed armeggiare allo scrittorio del giovane.

Ovviamente era inviolabile: Louis portava la chiave per aprirlo appesa alla sua catenina d'argento, assieme a quella di casa.

Ma non si perse d'animo: era troppo agitata per cedere, infine, a quel desiderio ancora vago di oblio. Alla tentazione di dire non importa.
Importava eccome.


Quindi tornò a darsi da fare. Prima, impiegò un po' della sua forza - ne aveva davvero poca, in tutta onestà - per tentare di scassinare (che paroloni) quel benedetto scrittoio che non voleva saperne di cedere.
Tuttavia, comprese ben presto quanto quei tentativi fossero semplicemente inutili e controproducenti: avrebbe semplicemente finito col rovinare uno dei pochi elementi del mobilio già così scarso di quella casa.
Per cui si fece furba e sfilò una forcina dai capelli che teneva raccolti in una crocchia disordinata sulla nuva. Alcune ciocche scure e vaporose sfuggirono quindi all'anomala acconciatura, ricadendole sul viso. Non se ne curò e, piuttosto, tornò ad armeggiare alla toppa dello scrittoio. Del resto, quell'aspetto così caotico si sposava bene con l'agitazione del suo animo quel mattino.


Ci impiegò più del dovuto per far scattare la serratura. Ma le mani le tremavano ed il respiro le si bloccava, di tanto in tanto. Aveva paura che Louis rientrasse a casa d'improvviso - non conosceva i suoi orari, né gli spostamenti: poteva star fuori una giornata intera o andare e venire a piacimento, più volte nel corso della mattinata - e per l'ansia, più volte, la forcina le sfuggì dalle mani.
Quando infine, ormai convinta che ogni suo tentativo si sarebbe rivelato vano, la serratura scattò con un clic!  a Constance, per poco, non prese un colpo.


Lo scrittoio era pieno zeppo di carte. Documenti. Pergamene.
Constance le raccolse in fretta, dandovi un'occhiata veloce. Riconobbe facilmente, per tutte, la medesima calligrafia rapida, appuntita, lineare. La calligrafia di Louis.
Non sapeva bene cosa cercare, tra tutti quei fogli ingialliti, ma sapeva di per certo che tra loro vi fosse la risposta alla sua domanda insistente.


Che c'entra Louis col re?
Perché?


Rovistò ancora un po' alla ricerca di qualcosa di cui non aveva esattamente idea. Lesse di petizioni, di richieste accorate per evitare il trasferimento di un non ben definito mercato di bestiame in una cittadina dal nome sconosciuto - Councy. Ritrovò appunti scritti e poi a malapena cancellati circa il concetto di eguaglianza e la necessità di tassare le genti più ricche. E su quelle parole sorrise perché rientravano nel suo medesimo pensiero.

Certa ormai di essersi sbagliata, certa che nulla avrebbe trovato per provare del nesso tra Louis ed il processo al re, l'occhio cadde infine su di una data - 13 Novembre 1792 - apposta nella parte alta di una lunga pergamena arrotolata e sgualcita.
Ed allora ciò che riuscì a leggere le mozzò il fiato in gola.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, di nuovo.



"...Luigi ha combattuto il suo popolo ed è stato vinto. E' un barbaro, uno straniero prigioniero di guerra..."
"...Quale nemico, quale straniero ci ha fatto più male di lui?..."
"...Deve essere processato rapidamente: lo consigliano la saggezza e la sana politica; egli è una specie di ostaggio che i furfanti ci conservano..."




No. Non era possibile.

Constance scosse la testa.
Non poteva essere. Il suo Louis non poteva desiderare così facilmente la morte di qualcuno. Perché il re sarebbe morto certamente, dopo questo processo.


Non poteva essere.
Non Louis.

Non l'uomo che rideva con lei.
Che le sussurrava una dolce buonanotte stringendosela al petto ogni sera.
Che le lasciava intendere così facilmente di amarla, di appartenerle.

Non lui.



Eppure...Eppure quella firma in calce al discorso parlava chiaro.

Louis Antoine Léon de Richebourg de Saint Just.



Era davvero lui, dunque.
Soltanto inequivocabilmente lui.



Scoppiò a piangere del tutto, senza nemmeno comprenderne il perché.
Cosa si aspettava, del resto? Se Louis si preoccupava sempre così tanto di celarle parte della propria vita un motivo doveva pur esserci, ovviamente.
Solo che...
L'idea che si era fatta di lui in quel mese e mezzo di amore e convivenza cozzava terribilmente con l'immagine che emergeva da quegli scritti. Louis non usava mai certi toni forti con lei. Non alzava la voce, amava parlar piano e pacatamente. Era un uomo convinto di se stesso e del cammino che stava percorrendo, ovviamente, ma Constance non aveva mai riscontrato in lui tanta durezza o la medesima arroganza che veniva fuori da quella fervida invocazione.
Come poteva Louis - lo stesso Louis che conosceva lei - caldeggiare così facilmente la morte di qualcun'altro?

Come poteva trattarsi dello stesso uomo che le aveva, viceverso, permesso di sopravvivere alla fame ed alla miseria?

Singhiozzò ancora, sconvolta. Senza ritegno.
Ed infine, con un gesto secco della mano, gettò tutti quei documenti in terra.


Io non posso...
Io non posso...


Non poteva restar lì ancora a lungo. A far cosa, poi? Aspettarlo piangendo per poi urlargli contro tutta la sua delusione?
Cosa ne avrebbe ricavato se non la sua furia ed il suo disprezzo?
Che poi....non avrebbe mai avuto tanta forza di spirito per attendere il suo ritorno.
Doveva andar via, fuggire da quel luogo improvvisamente opprimente e schiarirsi le idee per decidere sul da farsi.

Lei doveva...piangere da sola le sue stupide lacrime di ragazzina ingenua.


E così non ci impiegò poi molto per sistemarsi.
Sciacquò il viso con acqua gelata più e più volte, sperando di svegliarsi. Sperando di scoprire che si fosse trattato soltanto di un incubo.
Ovviamente, non servì a nulla.
Raccattò la gonna, sciolse i capelli sulle spalle senza cura, passandovi più volte la mano per riordinarli.
Ed allacciò la mantella con mani così tremanti che finì con emettere un urletto isterico prima di riuscire nella sua impresa. Proprio lei che era sempre così calma.


Quando aprì la porta d'ingresso il vento freddo di fuori la investì totalmente.
L'affrontò con un sospiro agitato.
Non avrebbe dovuto piangere ancora.




"...Non è niente, sta' tranquilla...E' solo il cuore."

Ricordò le parole di Louis. Annaspò, alla ricerca d'aria.

"E fa male?"
"No. Mai."


Scosse la testa.


Ti sbagli Louis. Ti sei sbagliato. In realtà, fa malissimo.















Un po' di storia:

Il 17 Giugno del 1789, il terzo stato (ossia quella parte sezione degli Stati Generali convocati da Luigi XVI costituita da genti non nobili né appartenenti al clero), si autoproclamò Assemblea Nazionale con l'intento di costituire un'assemblea non più degli stati ma del popolo, in grado di difenderne i diritti, lavorare alle questioni politiche e legislative, aiutare la gente bisognosa.
Dell'Assemblea facevano parte i seguenti gruppi:
- Giacobini: repubblicani moderati capeggiati da Robespierre, di cui il vero Saint Just divenne il luogotenente.
- Foglianti: ramo distaccato dei Giacobini, capeggiati dal famoso LaFayette. Favorevoli ad una monarchia costituzionale.
- Cordiglieri: costituivano il gruppo di stampo repubblicano più estremista. Erano capeggiati da Danton ed Hébert.


Nella successiva Convenzione (assemblea legislativa ed esecutiva in vigore dal 20 Settembre 1792 al 26 Ottobre 1795)  le fazioni si divisero secondo le seguenti modalità:

- Montagnardi (così definiti perché occupavano i banchi più in alto)  che sostenevano la soluzione repubblicana ed auspicavano la morte del destituito sovrano. In tale sezione, la fazione più estremista era ancora rappresentata dai Giacobini di Robespierre.
- Girondini: l'ala più moderata. Di essi fanno parte il giornalista Jacque Pierre Brissot e l'avvocato Pierre Vergniaud che vi cito ad inizio capitolo.

Ecco...Avrete capito che per scrivere questo capitolo nuovo mi son data prima ad una bella ripetizione della Rivoluzione Francese! xD

Sempre per la cronaca il 10 Dicembre del 1792 davvero ebbe inizio il processo a Luigi XVI. Processo che si concluse con la sua morte, ovviamente. Se avete fatto caso, in questo capitolo, lo chiamo anche Luigi Capeto, in quanto discendente di Ugo Capeto, fondatore della dinastia. Era questo l'appellativo che usavano i rivoluzionari per dissacrarlo e deriderlo.
Ah, quando dico che il re aveva già pianto la morte del primogenito...Ovviamente è un dato storico: il primo figlio di Luigi e Maria Antonietta era malato. Se non erro morì a 7 anni appena, fortunatamente prima che avesse inizio la Rivoluzione.


Tutti gli appunti e gli scritti che Constance legge di Louis son stati realmente scritti da lui.
Il primo era una petizione per Robespierre affinché il mercato di bestiame non fosse spostato dal suo paese d'origine, Blèrancourt, alla vicina Councy. Il successivo è il discorso con cui ha richiesto il processo e la conseguente morte del Re.

Grazie per aver letto sin qui...Vi risponderò al più presto, ragazze!...E nel frattempo non posso far altro che ringraziarvi TUTTE per l'affetto mostrato verso questa storia, sia qui su Efp che su Fb.
Un bacio!
Matisse!


PS: la frase
"...Non è niente, sta' tranquilla...E' solo il cuore..." non è mia. L'ho ripresa da "Un romantico a Milano" dei Baustelle.
:)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


saint just 6
We're tethered to the story we must tell
Siamo legati alla storia che dobbiamo raccontare

-Turning Page - Sleeping at Last










Al di là del nostro amore


















Quando Louis tornò a casa, quel pomeriggio, la scoprì vuota.
E fredda.

Nessuna risata gioiosa l'accolse, scaldandogli il cuore.
Nessuna morbida, delicatissima mano venne ad intrecciarsi alla sua.

Si guardò distrattamente intorno per qualche secondo e non comprese.
Tuttavia non si perse d'animo e chiamò a gran voce il nome dell'amata.

Forse Constance si era addormentata - dopo aver pranzato da sola per l'ennesima volta - e non l'aveva sentito rientrare?
O magari si era sentita male? Possibile che avesse subito una ricaduta? Eppure aveva le guance così tonde e rosee quando l'aveva salutata quel mattino...Scoppiava di salute!


Dunque Louis corse sino alla camera da letto senza dimenticare di lanciare un'occhiata alla cucina: ovviamente Constance non era lì. A quanto sembrava, pentole e tegami erano collocati nella loro abituale posizione, come se la giovane non ne avesse fatto alcun uso per quel giorno.
Con un peso sul cuore, l'uomo realizzò infine che Constance non giaceva tra le candide lenzuola, preda di un sonno profondo, come aveva viceversa sperato.
Non si trovava nel letto, non stava rovistando nell'armadio, non stava neppure contemplando il paesaggio di fuori dal balcone. Semplicemente non era lì.


A Louis, per qualche istante, mancò il respiro.

Dov'era finita la sua amata?


Si piegò sulle ginocchia, titubante.


"Calmati, Louis..." - Si disse - "Forse....forse desiderava soltanto fare una passeggiata, prendere una boccata d'aria. Ma certo! E' questo...solo per questo che ora non è qui..."

Sbuffò più e più volte tentando di calmarsi e dopo scattò in piedi, indeciso sul modo in cui spendere il proprio tempo nell'attesa del ritorno di Constance. Era ancora piuttosto agitato e si ripromise che le avrebbe fatto una bella strigliata non appena fosse rientrata: dopo tutti i problemi di salute di cui aveva sofferto negli ultimi tempi, sfidare il freddo inverno parigino senza un valido motivo era davvero una follia!


E dunque accadde allora: voltandosi per tornare in cucina un particolare piuttosto evidente risaltò ai suoi occhi.
Un particolare che gli gelò il sangue nelle vene.


Il suo scrittorio forzato.
E quelle carte, scritte di suo pugno, sparpagliate disordinatamente tra il ripiano della scrivania medesima ed il pavimento sottostante. Come se qualcuno avesse volontariamente gettato in terra i suddetti documenti con un gesto irritato della mano.
Un qualcuno il cui nome aveva un suono dolce e carissimo al suo cuore: Constance.
Ovviamente.


Tentò di fare mente locale, di visualizzare il contenuto di quelle carte che la giovane aveva disprezzato così esplicitamente.
E dunque ricordò della petizione per il mercato di bestiame di Blérancourt, dell'arringa riguardo la difesa della libertà di commercio o dell'incitamento alla salvaguardia dell'uguaglianza di ogni cittadino.
Infine....infine rimembrò quel discorso.
Il più importante, quello che l'aveva consacrato alla Convenzione.
Il discorso dove chiedeva la morte del Re.




Se ha letto....Se ha letto lei non mi perdonerà.




Louis tornò a piegarsi sulle ginocchia ma questa volta il capo sprofondò tra le sue mani in un gesto disperato.


Dunque, Constance aveva infine ceduto.
A cosa, esattamente? Alla curiosità?
La verità era che non si fosse fidata abbastanza di lui altrimenti non avrebbe mai rovistato tra i suoi appunti, tra i dettagli di quella vita che Louis tendeva sempre così sapientemente a nasconderle.


Ed aveva fatto bene dopotutto, ne aveva avuto ragione.



Adesso, Constance sapeva davvero tutto di lui.




La maschera è caduta, Louis. Rassegnati.




Il destino aveva scelto per entrambi, non c'era più alcun mistero.
Constance aveva scoperto che il suo uomo innamorato altri non era che un'infima creatura pronta ad uccidere chiunque si fosse opposto alla Rivoluzione.
La Rivoluzione. La sua ragione di vita.


E come avesse reagito di fronte a tale scoperta era piuttosto evidente.
Era fuggita via.



Louis si ritrovò ad immaginare suoi occhi azzurrissimi sgranati, la smorfia dolorosa che le aveva storpiato le labbra di fronte ad una simile, tragica scoperta.
E quell'espressione disgustata con la quale si era richiusa la porta alle proprie spalle, andando via.



Devo averti proprio fatto paura, Constance.

Eppure dicevi che, per te, io ero speciale. Ed importante.
Dicevi che il tuo cuore ti aveva chiesto di amarmi e che nulla al mondo ti avrebbe fatto cambiare idea.

E invece, hai impiegato così poco tempo per fuggire da me.
Così poco tempo...




"Sapevo che sarebbe andata così..." - Mormorò infine mentre il suo viso riemergeva, a fatica, alla luce dell'improvviso e pallido sole di quel pomeriggio d'inverno.


Certo, sapeva che sarebbe andata così, prima o poi.
Ma, fino all'ultimo istante, aveva anche sperato che quel suo presentimento non trovasse mai realizzazione.
Ovviamente, però, quel Dio in cui lui non credeva aveva voluto punirlo per il suo pubblico disprezzo della vita umana sottraendogli l'unico bene che il destino gli avesse riservato, al di là dei propri ideali.

Più ci pensava e più si convinceva che a quel Dio non avrebbe mai creduto.
Non dopo un simile sgarro.


Tuttavia, Louis era un uomo avezzo al dolore. Alla perdita.
E per quanto la delusione di quel momento gli procurasse un'insanabile ferita su quel cuore finalmente innamorato, non era certamente sua abitudine a darlo a vedere tanto facilmente.



Darlo a vedere a chi, poi? Tanto era solo.
In una casa irrazionalmente grande. E spaventosamente vuota.



In ogni caso, si alzò dal pavimento.
Si recò in cucina. Si disse che avrebbe dovuto prepararsi qualcosa, che non poteva starsene digiuno ancora per molto.
Non dopo una giornata del genere.

Però poi...la mente giocò contro di lui.
E davanti ai suoi occhi, nella solitudine di quella cucina, ritrovò la sua Constance intenta al focolare. Ne incontrò i ridenti occhi azzurri mentre si voltava per salutarlo, lanciandogli le braccia al collo.
Gli parve addirittura di sentirne il calore sulla pelle, la morbidezza di quel corpo che tanto amava adagiato contro il suo.

E quella sua risata adorabile che riempiva l'aria ed il suo cuore.



Il mio cuore. Di nuovo freddo.
Di nuovo di dura pietra.




Si trattò soltanto di un'illusione fugace, ovviamente.
Pochi secondi e Constance non era più lì.
Un'altra volta.


Sospirò, il povero Louis, accasciandosi su di una sedia vicina, il capo tra le mani, ancora e ancora.


Non pianse apertamente, no.
Ma il suo cuore, il suo cuore pianse per lui ed una voragine gli si scavò nel petto.



Constance sarebbe tornata?
Non lo sapeva. Tuttavia, decise di aspettarla. Proprio come la sua anima gli suggeriva di fare.


L'attese inutilmente, comunque, mentre il giorno lasciava posto all'oscurità.
E l'attese nel buio di quella cucina, senza neppure la luce di una candela a rischiarare la sua solitudine.


Constance non tornò. Ovviamente.


E non sarebbe tornata mai più, era quella la verità.
La stessa che la sua ragione gli urlava da ore.










*










Trascorsero diversi giorni ed, inizialmente, Louis lasciò che il destino facesse il suo corso.
Benché la tentazione di avventurarsi per le strade di Parigi alla ricerca di Constance lo divorasse, tentò di dissuadersi volontariamente da tale proposito. E per un'unica, fondamentale ragione che prescindeva dalla rabbia o dalla delusione.
Del resto non ce l'aveva con Constance. Non ce l'aveva mai avuta con lei.

Piuttosto era consapevole - ed assolutamente convinto - del fatto che la fanciulla avrebbe dovuto sentirsi libera di scegliere.
Se avesse desiderato davvero stare con lui sarebbe tornata di sua spontanea volontà. Ed il giorno in cui questo fosse accaduto ciò avrebbe significato che Constance aveva riflettuto sui pregi ed i difetti, soprattutto, di quell'uomo con cui aveva condiviso la propria vita per quasi due mesi, accettandolo infine per ciò che era davvero.

Un rivoluzionario folle. Folle d'ideali e battaglie.
Folle di lei.



Non voleva costringerla né poteva forzarla a cambiare l'idea che si era fatta di lui, per quanto cattiva quest'ultima avesse potuto rivelarsi.
Constance aveva diritto ad una vita speciale. E se la sua presenza avesse finito col rovinarla piuttosto, lui si sarebbe messo da parte senza alcun indugio.



Ovviamente, faticò non poco per mantenere fede a questo proposito.
Ben presto, l'ansia prevalse.

Ipotizzò quindi, anzitutto, che la giovane avesse potuto aver freddo.
Poi fame.

E pensò che avesse probabilmente rimesso mano al suo lavoro di povera fioraia mentre fuori si gelava ed una fitta neve era scesa su Parigi.


Il pensiero di lei, sola e sperduta in quella grande città, vittima di un dolore al cuore che era anche suo, non gli faceva chiudere occhio la notte. Ed alla Convenzione faticava a mantenere alto l'umore e l'attenzione.

Quindi, un giorno, si decise infine ad avviarsi alla sua ricerca.


Sapeva da dove cominciare, del resto: dalla vecchia casa di Constance, quella verso la Tuileries.


Le avrebbe dato appena un'occhiata o, fors,e l'avrebbe spiata di nascosto, anche da lontano, solo per sincerarsi del suo stato di salute ed, infine, sparire dalla sua esistenza.

E così fece.





Tuttavia - Louis non poteva ancora saperlo - quel pomeriggio Constance era già andata via dalla propria casa.








Era lì, effettivamente, che si era rifugiata nei lunghissimi giorni del proprio esilio forzato.
Troppo sconvolta per pensare, aveva cercato riparo nell'unico posto che le fosse risultato familiare, la sua vecchia e decrepita abitazione.

E qui aveva scoperto quanto, in realtà, quel luogo le fosse diventato improvvisamente estraneo e sconosciuto.

Le pareti le erano parse più sporche e più fredde di come le avesse lasciate.

In un angolo, il suo lettino spoglio le era risultato ancora più misero.
E vuoto, terribilmente vuoto.

Non riuscì a chiuderci occhio neppure una volta, in quelle quindici lunghe notti in cui sostò nella casa. Si girava e rigirava senza concludere nulla e soltanto quando la tenue luce solare veniva finalmente a scaldarla, riusciva ad assopirsi quel tanto che bastava per sopportare una nuova giornata.




Non ci sono più le tue braccia a proteggermi, Louis.
Amor mio.




Non tollerava la sua "nuova" solitudine.
Certo, anche a casa Saint Just non era mai in compagnia. Spesso Louis la lasciava da sola anche per molte ore consecutive.
Ma sapeva che sarebbe tornato.
Lui sarebbe sempre tornato se in quella casa ci fosse stata lei.

Mentre adesso era davvero sola. Nessuno avrebbe aperto quella porta.
Non avrebbe gioito per alcun ritorno.


Con tale consapevolezza nel cuore aveva pianto tutte le sue lacrime. E si era detta che poteva bastare, che doveva semplicemente tornare da Louis affinché tutto tornasse come prima.

Invece, non era vero.
Non era così semplice.

Avrebbe dovuto piuttosto concedersi il tempo necessario per comprendere e realizzare. Per accettare e metabolizzare il fatto che Louis le avesse mentito.
O meglio, avesse omesso particolari fondamentali di se stesso e della propria esistenza.

Perché?

Perché aveva paura della sua reazione, forse? In fin dei conti non era servito a nulla.
Era fuggita lo stesso.
Come poteva amarlo completamente se non fosse stata a conoscenza di qualsiasi cosa lo riguardasse?



Tanto non puoi ingannarti ancora per molto, Constance. Lo ami comunque.







Quella mattina - l'ultima - si decise ad uscire, infine, per fare una passeggiata senza pretese.
Tanto per svagarsi e riorganizzare le idee.
E così incontrò Marie, la sua vicina di casa.




"Constance! Costance, tu sia benedetta! Dov'eri finita?"
"Marie!" - Rispose lei ricambiando teneramente l'abbraccio caloroso riservatole dalla donna - "...Son stata...Molto malata."
"Malata come? Oh, Constance! Abbia temuto per la tua sorte...Quell'uomo..."
"Che uomo?" - Domandò scioccamente. Tanto sapeva già a chi alludesse.
"Non so...Quell'uomo giovane, con i lunghi capelli ramati...Ti ha portato via e noi tutti ci siamo spaventati così tanto! Cosa voleva da te? Ti ha fatto del male...ha approfittato di te?"


Constance si portò la mano alla bocca, sconcertata.


"Ma no, Marie! Certo che no! Louis è...un gentiluomo!"

"Un gentiluomo? Ma andiamo Constance, piccola mia! Aveva gli occhi di un diavolo e ti guardava con una tale intensità! Quando mi hanno riferito del fatto che t'avesse portata via da casa senza alcuna concessione son montata su tutte le furie! Non avrebbe mai dovuto toccarti!"



Un...diavolo?
Che va blaterando?



"Marie, adesso basta. Louis non è la cattiva persona che stai dipingendo..."


Marie la guardò teneramente, scostandole i capelli dalla fronte.


E il cuore sussultò al ricordo.
Un lampo nella memoria.


Appena quindici giorni prima. Lo stesso gesto. Una mano differente.
E Louis che la guardava rapito mentre le acconciava i capelli gentilmente.
Represse i singhiozzi a fatica.



"Sei così ingenua, mia piccola Constance. Era così chiaro che avesse cattive intenzioni su di te...Quello stolto..."


Allora pianse apertamente. E si dimostrò incapace di sopportare ancora quelle ingiurie infondate.
Non contro Louis, l'uomo che le aveva salvato la vita.
Non contro l'uomo che l'aveva amata senza chiederle nulla in cambio.


 Per cui scostò Marie in malo modo mentre urlava:


"Devi smetterla! Devi smetteral di parlare così del mio promesso sposo!"



Le parole di Marie, per quanto la donna le volesse bene e parlasse ingenuamente a suo favore, bruciarono troppo.
Constance non poteva tollerare davvero che qualcuno aprisse bocca in quel modo riguardo al suo Louis.
Nessuno lo conosceva quanto lei. Nessuno, quindi, poteva arrogarsi tale diritto.



Non sanno nulla di te.
Nulla.



E così, lasciando la sua vicina con un palmo di naso, Constance scappò via.
Di nuovo.


Ormai fuggiva da tutti.


Era scappata via da Louis per troppo amore e troppa delusione. Ed era scappata lontano da chi parlava male di lui perché nessuno doveva permettersi un lusso del genere.

Ora sapeva. Le era bastato quel piccolo ed appartentemente insignificante episodio per renderla finalmente consapevole ed aiutarla a disporre sul da farsi.

Così aveva deciso: nonostante tutto, nonostante gli errori, le omissione, la delusione lei...desiderava soltanto Louis e nessun altro.
Quelle parole che Marie aveva sputato con rabbia le avevano aperto gli occhi.

La verità era una, per quanto irrazionale potesse apparire.



Lei voleva Louis.

E da lui sarebbe tornata.







Tutto questo mentre il povero Louis, ignorando il destino che stava per compiersi a suo favore, aveva atteso per ore fuori la porta di casa Moreau.
Ma nessuno si era fatto vivo.
Nessuna bella testa nera aveva fatto capolino da quell'ingresso.
Non aveva colto il sorriso di Constance né ritrovato quegli occhi azzurri.




Per quattro ore, quel giorno, Louis pazientò al freddo e quasi pregando, paradossalmente, per rivederla.
Ma non accadde nulla.
Alla fine, demoralizzato, prese il coraggio a quattro mani e, respirando profondamente, si decise a bussare alla porta.

Prima piano, lentamente. Con delicatezza. O forse sarebbe stato più giusto dire imbarazzo.
E paura, tanta. Il timore che Constance, aprendo quella porta, lo cacciasse via, era troppo grande.

Eppure, gli erano bastati pochi minuti per comprendere quanto fosse inutile tutta quell'ansia.
Constance non avrebbe risposto. Nessuno era venuto ad aprire quella porta.


"Non vuol vedermi..." - Constatò alla fine in un soffio, consapevole di aver ormai perso definitivamente la propria amata. Non di certo rassegnato ma profondamente rattristato, si preparò quindi a far ritorno nell'ostile casa che aveva abbandonato quel mattino quando una voce di donna, piuttosto sgarbatamente, richiamò la sua attenzione.


Era Marie che lo sogguardava dall'alto del proprio balcone.



"Se cercate Constance, buon uomo..." - Precisò ostile - "...E' andata via stamattina. Ma non chiedetemi dove sia adesso, non lo so."









*









"...Sei tornata" - Sussurrò appena, rientrando infine dalla porta.

La casa era avvolta nel buio quella sera ma Louis scorse abbastanza facilmente la sagoma longilinea che gli era tanto cara mentre risaltava nitida in prossimità della finestra.
Gli dava le spalle.

I raggi lunari baciavano la sua chioma scura conferendole dei riflessi argentei assolutamente deliziosi.
Sembrava una fatina, una creatura eterea ed evanescente dalla bellezza struggente.

Louis percorse con lo sguardo il suo profilo perfetto, le ciglia ricurve, il naso piccolo e proporzionato, leggermente all'insù. E quelle labbra carnose, appena socchiuse. Ne percepì la morbidezza anche a quella distanza e lo stomaco gli si contorse di piacere dinanzi a quella vista meravigliosa.


"Sono tornata..." - Rispose con voce altrettanto flebile.
"Come...come hai fatto ad entrare?"



Constance si voltò, raggiungendolo a passi piccoli e lenti.
Così lenti da far male, come se non fosse mai stata in grado in raggiungerlo veramente.

Louis non si mosse, dal canto proprio, troppo convinto che persino un suo minimo gesto sarebbe stato in grado di causarne la scomparsa. Come se la presenza di Constance, nel medesimo luogo in cui si trovava lui, potesse rivelarsi null'altro che un sogno traditore.


Ed invece...Invece lei gli sorrise.
Dolce e bellissima, come se la ricordava lui.



"Con questa..." - Gli mostrò una forcina per capelli.
"Sei diventata una specie di scassinatrice o cosa?"


Ridacchiò ed il cuore di Louis si riempì di gioia. Talmente tanto che fu certo fosse sul punto di scoppiargli nel petto.


"E' la stessa che ho usato per...aprire il tuo scrittoio."
"Tienila da parte. Visto che è così efficiente potrebbe tornarci utile."
"Non sei arrabbiato con me?" - Domandò sorpresa.



Alzò lo sguardo verso di lui e Louis si perse in quell'azzurro spaventato. E così terribilmente innocente.


"Dovresti esserlo tu con me, piuttosto. Mi son preoccupato terribilmente per te, Constance. Terribilmente. Non sapevo dove fossi e temevo...Temevo che non t'avrei rivista più. Mai più."



Sull'ultima frase la voce gli s'incrinò pericolosamente. Ma, per una volta, non riuscì a pentirsi di quella sua debolezza.
Aveva quasi pianto davanti ad una donna. La sua donna.
Non c'era ragione di vergognarsene. Davanti a lei nessuna maschera d'eroe aveva ragione d'esistere.


Non adesso, soprattutto, che lei era di nuovo lì, fra le sue braccia.


Constance gli carezzò il viso, gentilmente, e Louis non riuscì a far altro che bearsi di quel tocco delicato.
Gli era mille volte più caro persino dei vecchi gesti affettuosi di sua madre, quand'era bambino.
Lo guardava con occhi carichi di commozione anche lei ed infine pianse.
Troppe emozioni, tutte insieme. Non fu in grado di reggerle: una lacrima le scivolò lungo la guancia seguita da mille altre.
Louis non sopportò oltre la vista della sua amata in quelle condizioni. Si sentiva responsabile.
Lo era.

Constance aveva sofferto troppo.
E lui avrebbe dovuto, viceversa, farle dono di una vita felice. Essere la sua ancora di salvezza, il porto sicuro dove rifugiarsi per riparare dagli orrori e dalle brutture del mondo.
Non avrebbe dovuto rappresentare, di certo, l'ennesimo dolore da cui fuggire.

Le baciò quindi le guance, frenetico. Si sarebbe detto disperato.




"Perdonami. Perdono, perdono, perdono...Amor mio..."
"Louis..."
"Perdonami...Io t'amo, t'amo così tanto! Questi giorni senza di te...Son stati un incubo...Io..."
"Louis..."
"...Io ho cercato di andare avanti...Ma la verità era che mi mancavi tu. Anche ad un disgraziato come me può piangere il cuore, sai? Anche una creatura indegna e bastarda come me può soffrire...per amore. Io t'amo, t'amo Constance e..."
"Louis...?"
"Che...che c'è?"
"Ti amo anche io. Ho capito, adesso so. Ti amo, chiunque tu sia. Ti amo. E ti perdono."



Si bloccò a guardarla per una frazione di secondo che parve durare un'eternità.
Occhi negli occhi.
Il proprio cuore nelle mani dell'altro.

Non gli sembrava vero.
Non poteva essere reale: Constance l'aveva davvero perdonato? Così facilmente, per giunta?


Forse dovrei credere in Dio, in fin dei conti.
E nei suoi miracoli.
Perché questo è un miracolo, ovviamente.



Si buttò alle spalle quei quindici giorni di agonia. Li dimenticò in una frazione di secondo, dopo quelle parole.
Agì come se non fossero mai esistiti e, piuttosto, di dedicò a ciò che era davvero giusto fare dopo tutto quel tempo.



Avvicinò di più il suo volto a quello di Constance e si chinò a baciarla mormorandole un grazie dolcissimo. Quando, infine, lei ricambiò senza esitazione, seppe istantaneamente che ogni barriera, tra loro, era caduta.



Nessuna menzogna.
Non c'era rabbia.
Solo tanto amore.









Sempre con amore le labbra di Louis toccarono ancora per diversi istanti la bocca morbida di Constance e lei non lo respinse certamente perché null'altro sapeva di desiderare al momento oltre lui.
Neppure si scostò quando percepì le sue mani circondarle l'ovale del viso e poi muoversi, improvvisamente frenetiche, prima sul suo collo, poi sulle spalle. Infine sempre più giù sino a cingerle i fianchi.

Constance non provò vergogna per quel tocco audace, nonostante fosse stata, da sempre, un'anima pudica e rigorosa.

Per lei risultava quasi naturale. Dopotutto, Louis le apparteneva e lei apparteneva a Louis.

Ci si può vergognare di se stessi, dunque?
No, certo che no.


Tutto quel che accade poi, ebbe la consistenza di un sogno improvviso, come di qualcosa a lungo desiderato che, finalmente, trovava il suo giusto compimento nella realtà.
Con una delicatezza quasi commovente, il giovane le slacciò i lacci della gonna e la liberò con mani esperte dall'ingombrante bustino che divideva i loro corpi.
Senza pensarci su due volte, senza rimurginare. Senza alcuna esitazione.


Constance fremette sotto quel tocco ardimentoso ma, ancora una volta, non si scostò e lo lasciò fare.
Perché non poteva avere paura di lui - non più, almeno - né di quel sentimento che li univa inspiegabilmente. E così irrazionalmente.
Quando Louis l'afferò in braccio, con impeto, portandola in camera da letto - la loro camera da letto - Constance seppe che quella fosse la cosa più giusta e pura da fare e si aggrappò al suo collo con forza, come a non volersene staccare mai più.


Nel buio di quella notte di Dicembre si amarono a lungo Constance e Louis, molto più di quanto fosse lecito amarsi per il loro tempo e la loro condizione, probabilmente.

Ma tutto ciò non aveva importanza, dopotutto.

Erano fuori dal mondo.

Persino la Rivoluzione si trasformò soltanto un ricordo vago e lontano per Louis mentre percorreva con mille baci il mento della sua signora.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era lì, davanti a lui, negli occhi azzurrissimi della donna che gli stava donando la propria anima. Nelle sue carni bianchissime, in quel corpo che stava per appartenergli.
Che gli apparteneva da sempre, sin dal primo istante.

La sua mano s'intrecciò a quella di Constance mentre si faceva strada in lei ed i loro respiri riempirono l'aria insieme ai battiti del propri cuori.

Louis considerò che mai avesse udito melodia più bella di quella. Della risata appena accennata di Constance mentre si accasciava sulla sua spalla dopo averlo amato con tutta se stessa.


"Non dovremo separarci mai più..."
"Ma più."
"Ti amo."









La luce del giorno li scoprì così: abbracciati, in un letto dalle lenzuola spiegazzate.
La pelle nuda e bianchissima di Constance contro quella altrettanto nuda ed appena più scura di Louis. Il braccio di quest'ultimo intorno alla vita di lei ed il capo minuto della giovane contro la fronte dell'uomo.
Le gambe intrecciate.
La mano dell'uno nel palmo dell'altra.


Ogni parte del loro corpo cercavo l'altro, specchio visibile di ciò che il cuore urlava a gran voce.

E quando Constance aprì gli occhi, piano, ritrovandosi nuda tra le braccia di Louis, non si vergognò.
Non si pentì.

Lo guardò piuttosto sorridendo, con le membra e la mente ancora intorpidite dal sonno.
Assaporò la curva perfetta del suo profilo seminascosto da un ciuffo di capelli ribelli, le labbra carnose, l'espressione rilassata di chi abbia scoperto il gusto della felicità.


Non se ne vergognò, no.
Non avrebbe potuto, del resto. Era proprio dove avrebbe dovuto essere.
Nel posto giusto: tra le braccia del suo amato.























Buongiorno a tutte :)
Come promesso sul mio account di Fb, eccomi qui ad aggiornare. Stavolta non ho nessuna noiosissima nozione storica da aggiungere xD
Questo capitolo, comunque, potrebbe piacere alle più romantiche.

Soltanto qualche precisazione: ho accorpato più avvenimenti in questo capitolo, come avrete notato. La storia non sarà molto lunga e non voglio finire col raccontarvene un pezzetto alla volta, sinceramente. Forse il perdono di Constance mi sembrerà troppo rapido? Non so...Io ci terrei comunque a precisare che Constance è innamorata e molte volte (troppo spesso, direi) il cuore sfugge alla ragione. Quindi vuoi la rabbia, vuoi lo sconcerto, vuoi la delusione ma...quando Constance si è arrabbiata dinanzi a Diane ed alle sue parole spregevoli contro Louis beh...in quel momento le si è accesa la lucina. Se tanto si accanisce ciò vuol dire una sola cosa: che l'ama, ovviamente.
Ma amare non vuol dire necessariamente condividere le stesse idee e Constance affronterà il suo cammino di crescita e di battaglie con Louis prima di poter accettare anche la parte "cattiva" dell'uomo che ama. Per adesso però, godiamoci questo momento di dolcezza.
;)

Per tutto il resto vorrei dirvi GRAZIE, come sempre, per le belle parole che mi avete rivolto nello scorso capitolo, sia alle lettrici nuove che alle prime che mi seguono dal prologo. Sono una lumachina nel rispondere alle recensioni ma, pian piano, arriverò a tutte voi :)

Volevo ricordarvi, visto che ci sono, la pagina Fb dedicata alle storie mie e di Vivien L. ossia la mia mogliA (^^) ed amica carissima oltre che favolosa autrice sia del fandom Twilight che delle originali. Se vi va troverete spoiler, concorsi, immagini e quant'altro riguardante le nostre ff...Nonché una sorpresa, a breve!

Word of Diamond



Detto questo, come sempre, vi ringrazio per l'attenzione. Se non riuscissi a postare prima di Natale, vi auguro Buone Feste.
:)
Un bacio
Matisse.

PS: la foto sopra l'ho rubata a Breaking Dawn...Mi sembrava perfetta per Louis e Constance, a dirla tutta :)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


saint just
In un mondo che sai
non si placherà mai
Amami

Verdena - Lei Disse (Un mondo del tutto differente)









Al di là del nostro amore















File:LouisXVIExecutionBig.jpg
















Louis si chiedeva sempre come fosse possibile guardare semplicemente negli occhi di Constance per ritrovare la serenità.

E forse, serenità era una parola fin troppo riduttiva. Il concetto essenziale era un altro: lui era felice.
Lo era ogni qualvolta tornava a casa dopo una giornata massacrante e trovava ad accoglierlo il suo sorriso luminoso. Era felice anche se aveva discusso alla Convenzione, se qualcuno gli dava del leccapiedi, perfino se aveva fatto a botte con qualche idiota appartenente alla controparte nemica.

Lo era finché Constance se ne stava in quella casa con lui, dividendo con quello sgarbato giovanotto che era le sue chiacchiere deliziose, le sue risatine disarmanti, il profumo di glicine dei capelli neri mentre le ricadevano ai lati del viso se reclinava il capo.


Lo era finché ogni notte Constance tornava ad essere sua e gli sussurrava il suo ti amo mentre facevano l'amore.
Ogni volta come se fosse stata, paradossalmente, l'ultima.







"Dovresti temermi, Constance..." - Le diceva talvolta, mentre si concedevano qualche minuto in più nel loro letto disardorno ma così ricco d'amore.
"E perché?" - Rispondeva lei, scivolandogli dalle braccia. Si sedeva nel letto, la schiena nuda, il seno appena coperto dal lenzuolo bianco. E Louis non poteva far altro che riflettere su quella sua inaudita bellezza. E sull'enorme fortuna che gli era toccata nel riceverla in dono.
"Perché se un giorno volessi andartene...non te lo consentirò."
"No?"
"No. In nessun modo."
"Il mio paladino della libertà!" - Lo canzonava allora ridacchiando. Tornava a chinarsi su di lui, lasciandogli un buffetto sul naso. E sorrideva - "Vedi che non sei poi così tanto rivoluzionario, amor mio..."
"Tu non c'entri con la Rivoluzione. Mi piace fare il despota con te: sei solo mia."


Constance finiva sempre col fargli la linguaccia, in quei casi. Poi Louis, ridendo, la tirava a sé e riprendeva a baciarla.
Da quando lei era nella sua vita era diventato un po' meno ligio al dovere, a dirla tutta.







Era trascorso un mese, ormai, da quando aveva temuto di perderla.
Se ripensava a quei giorni tristi - i giorni della sua assenza - ancora gli prendeva un colpo al cuore. L'idea che Constance avrebbe potuto scegliere di non tornare lo destabilizzava. A volte immaginava il futuro parallelo che l'avrebbe atteso se lei avesse deciso diversamente, se fosse scomparsa tra le fredde vie di Parigi.
Per sempre.

Ed allora se ne stava impalato per ore accanto alla finestra chiusa, guardando qualcosa lì fuori che non esisteva realmente.
Agitato e confuso.
Finché lei non tornava a mettergli una mano sulla spalla, con sguardo comprensivo.



"Sono qui..." - Gli diceva. Ed era tutto ciò che Louis avrebbe voluto sapere.






Per ciò che lo riguardava, comunque, Louis era certo che i problemi non fossero ancora finiti.
Dopotutto la Rivoluzione era sempre in agguato dietro la loro porta e Constance non soltanto la temeva: la rifiutava del tutto.



Inoltre, nonostante la giovane l'avesse difatti perdonato e per quanto avesse deciso di muovere mille passi nella sua direzione, lui era fin troppo consapevole di quanto tutto questo le costasse caro. Ed era profondamento convinto - o almeno questo era quel che percepiva - che, nel buio della loro notte, quando fingeva di dormire, in realtà lei rimuginasse su tutto ciò che Louis era ed a tutto ciò che non avrebbe dovuto essere.





Non avrebbe dovuto essere sanguinario.
Vendicativo.
Crudele.
Assolutamente irrispettoso della vita altrui.



Louis ne era certo: lei così dolce, così tenacemente delicata in quel mondo votato al male, detestava questo genere di cose.
Se avesse potuto avrebbe convertito l'intera umanità alla pace ed all'amore universale ed invece le toccava fare i conti così da vicino con gli aspetti più reconditi ed ignobili dell'essere umano - tollerandoli, oltretutto - soltanto per far cosa gradita a lui.


Come poteva la creatura orribile che era meritarsi tanta devozione?
E come poteva, Constance, sopportare così stoicamente dei difetti tanto ignobili e ripugnanti, soltanto per amore?


Louis era convinto che la sua piccola fioraia si portasse dietro un mucchio di dubbi su di loro.
Di paure e ripensamenti.

Avrebbe potuto biasimarla?
Certo che no.
Eppure continuava a starsene lì, con lui, tra baci e sorrisi, e neanche gli chiedeva più nulla della della sua vita. Della Convenzione, nello specifico. L'accettava e basta.


A dirla tutta, nche questa cosa cominciava a fargli paura.
Se non faceva domande - proprio lei, così curiosa per natura - ciò significava soltanto una cosa: non voleva sapere. E se non voleva sapere era unicamente per continuare ad ignorare il mondo intorno a Louis al di fuori di quella casa. Per fingere che non esistesse e andare avanti esclusivamente in nome di quell'amore che l'univa a lui.





Dovresti maledirlo, piuttosto, questo nostro amore.




Constance si comportava in quel modo irrazionale per assuefarsi alla realtà che la circondava ed accettare con maggior rassegnazione ciò che il destino le aveva riservato in sorte.
Avrebbe meritato una premio tutta quella sua tenacia ma Louis, piuttosto, si chiedeva sempre quanto tutto questo fosse giusto per lei.


Non era certo di fare il suo bene eppure non sapeva comportarsi diversamente.
Ed allora se la stringeva a sé, piuttosto, e nelle lunghe notti della Rivoluzione la riempiva di baci.
Era egoista, lo sapeva...ma come avrebbe potuto vivere ancora senza di lei?







Dovrei lasciarti andare, Constance.
Questo mondo non fa per te.
Tuttavia...tuttavia sono troppo egoista per farlo.

Resterai qui con me ma ti giuro: non cadrai nel mio baratro.
Io non lo permetterò.
Almeno questo non lo permetterò.









*











Il 21 Gennaio del 1793 il destituio Luigi XVI diede l'addio definitivo alla vita.

Quel giorno Louis, piuttosto che pregare per l'anima di un uomo della cui morte era in parte responsabile, pregò il buon Dio che Constance non uscisse di casa. Che nulla scoprisse a riguardo di quella condanna. Stava tentando già da un bel po' di tenerla all'oscuro della questione, quasi impedendole di avere contatti col resto del mondo - in particolare modo con quel loro vicinato ciarliero - e sperava che i suoi sforzi non fossero vanificati proprio all'ultimo momento.


Non immaginava, Louis, come avrebbe preso la notizia la sua giovane fidanzata. A dirla tutta, neppure voleva scoprirlo.
Se fosse finito col giocarsi il suo sorriso mattutino per quella faccenda non se lo sarebbe mai perdonato.
Di conseguenza, avrebbe dovuto tenerla lontana ancora per un po' da qualsiasi possibile fonte in grado di metterla a parte di quell'evento assolutamente sensazionale per la città di Parigi e, forse, per l'assetto delle monarchie in tutto il  vecchio continente.

Poiché il popolo si era svegliato - quel popolo fatto di gente misera, di creature vestite di stracci, affamate, sporche, logore - e le nobili creature che se ne stavano arroccate nel loro potere fittizio ed assolutamente illecito avrebbero dovuto cominciare a tremare.
Nessun'autorità conferita da Dio avrebbe salvato alcun sovrano dalla furia delle proprie genti se queste ultime conoscevano il dolore della fame, della pancia vuota che invocava un tozzo di pane mentre fuori gelava. E non solo in Francia, ovviamente.





Tuttavia la fortuna aveva già deciso di non assisterlo per quel giorno.

Chissà per quale motivo ma Louis aveva avuto sentore sin dal primo istante in cui aveva aperto gli occhi quel mattino che le cose non avrebbero funzionato come desiderava lui. Per questo si era deciso a supplicare Qualcuno, nell'alto dei Cieli per ottenere il miracolo. Un Qualcuno cui, di norma, non dava particolare credito.
Magari stavolta l'avrebbe ascoltato.




Aveva lasciato infine la propria casa agitato e quasi
respirando a fatica
, mentre Constance, dal canto suo, se la dormiva beatamente.


Louis la contemplò ancora un po' prima di sparire dietro la porta d'ingresso. Ne studiò le lunghe ciglia curve, il profilo gentile e quel braccio esile, dalla pelle diafana, che si stendeva placido e noncurante sul bianco ancor più luminoso delle lenzuola pulite. Quella vista avrebbe dovuto rinfrancarlo, quantomeno, ma era troppo grande il senso di colpa che si trascinava dietro, cosicché, a quella che avrebbe dovuto essere la gioia di poter finalmente assistere alla meritata morte dell'oppressore si mischiava, funesta e non desiderata, l'ansia di scoprire la sua Constance, al ritorno, amareggiata e delusa. L'ansia di scoprirla in lacrime per la disastrosa fine dell' essere ignobile che aveva affamato la loro terra e di cui lui aveva così intensamente invocato quella morte infame.



Per un attimo quasi desiderò, paradossalmente, che qualcuno lo salvasse quel disgraziato di Luigi Capeto dalla mano del boia. Almeno lui, dopo, avrebbe potuto guardare ancora Constance negli occhi dignitosamente, senza vergognarsi di nulla.
Ma durò una frazione di secondo: si rimproverò quasi subito per quell'attimo di debolezza.


Lui era un rivoluzionario.
Per queste faccende non avrebbe dovuto mostrare cuore né avrebbe dovuto consentire alla sua parte sentimentale, sbocciata così stranamente e repentinamente in lui, di renderlo vulnerabile e sensibile come una donnina di fronte a certe questioni serissime come la morte di un despota.



Quasi rinfrancato da quell'improvvisa consapevolezza, quindi - benché ancora turbato nel profondo, per quanto non avesse desiderato ammetterlo così facilmente - Louis lasciò casa, pronto ad affrontare una giornata difficile ma di grandi cambiamenti.
E di grandi festeggiamenti, ovviamente.









Constance si risvegliò poco più tardi, lentamente. Si stiracchiò per qualche istante e sorrise alla luce del giorno che inondava, stranamente, la stanza.
Quel 21 Gennaio del 1793 il sole aveva deciso di sorridere al cielo di Parigi.




Constance non poteva ancora saperlo ma, forse, la pioggia avrebbe avuto più senso.
Si sarebbe sposata meglio col senso di angoscia e terrore che quel povero sovrano, stanco e disilluso, avrebbe di certo provato in cuor suo mettendo piede sulle prime scale del patibolo.
Ed invece...Invece il sole aveva deciso di far capolino tra le nubi, in maniera beffarda, amplificando la festa di tutti quei parigini impazienti di assistere allo spettacolo di sangue e morte che avrebbe riempito di lì a poco le strade della loro città.
Una città divorata dalla fame, certamente, ma anche e soprattutto dall'odio. E dal triste desiderio di vendetta.


Neppure il cielo avrebbe pianto Le Loro Maestà, per quel giorno.
Se l'avesse saputo prima, Constance non avrebbe sorriso tanto.






A suo modo, comunque, quel mattino, si sentiva felice.
Anche se aveva dovuto dirsi buongiorno da sola poiché, ancora una volta, Louis non era accanto a lei al risveglio.
Dopotutto cominciava a farci l'abitudine, a distanza di mesi, e nel frattempo trovava sempre qualcos'altro per cui rallegrarsi. Sino al momento in cui avrebbe potuto riabbracciare Louis e sentirsi completa.

Il sole piaceva a Constance, ne adorava il calore e la luminosità. E le piaceva  anche ascoltare il canto degli uccelli mentre passeggiava per strada, quando c'era bel tempo.
Cosicché si preparò alla svelta, decisa ad uscire presto di casa, comprare qualcosa di buono al mercato e preparare un pranzetto con i fiocchi per il suo Louis.

Ma quando raggiunse la strada sottostante, non incontrò la quotidiana folla di massaie dalla faccia arcigna e monelli affamati che di norma riempiva il mercato principale. Piuttosto, Constance si lasciò sfuggire un'esclamazione di meraviglia di fronte allo spettacolo che si palesò dinanzi la sua vista.

Un fiume di persone si articolava nelle strade in maniera confusa e frenetica, simile ad uno sciame di api impazzite che si muovesse senza uno scopo o una direzione.
Molte donne sorridevano, indossando, appuntate sui loro corpetti, coccarde colorate di banco, rosso e blu. Qualcuna, tra loro, le sventolava persino dall'alto dei carretti sui cui veniva trasportata a fatica.
Gli uomini camminavano in gruppo, ridendo ed urlando, e battendosi le mani sulle spalle con gesti complici, da amici di lunga data.
Tanti bambini giocavano a rincorrersi e le loro risate spensierate riempivano l'aria frizzante di quella giornata.


Una follia collettiva pareva essersi diffusa tra quelle brave genti improvvisamente felici e visibilmente eccitate.
Eppure, sino al giorno prima, ognuno di loro piangeva ancora sul pane che mancava, sulle coperte troppo leggere, sul freddo della propria casa.

Ed ora, invece, sembrava fosse il tempo della Candelora.



Constance sorrise: quella gioia comune, inevitabilmente, appariva contagiosa.
Tuttavia, era curiosa di conoscerne il motivo e si affrettò a fermare la prima buona donna che gli capitò a tiro per tentare di comprendere.




"Madame...Perdonatemi ma...Sapreste spiegarmi cosa sta accadendo? La città mi pare vestita a festa!"
"Cittadina..." - La donna la guardò ad occhi sgranati, sconcertata - "Davvero non ne sapete nulla?"
"No, Madame..."
"Allora, sbrigatevi! Non potete perdere questo spettacolo!"
"Che spettacolo? Continuo a non capire..."
"Alle undici, in Place de la Révolution, cittadina! Taglieremo la testa al re!" - Concluse infine, lapidaria, prima di sparire nel marasma di genti intorno a loro.




Il sorriso di Constance si spense all'istante sulle sue labbra e le braccia scivolarono inermi lungo i fianchi. Qualcuno la strattonò, spinto dalla folla. Le chiese scusa.
Lei non comprese e non rispose, vittima di uno stato di trance dal quale, difficilmente, sarebbe riuscita a liberarsi.






Taglieremo la testa al re.



Taglieremo.
Noi.



Noi chi?


Anche Louis?
Dov'era Louis, in quel momento?



Le mancò l'aria per un momento.
Nessuno le aveva detto che il re sarebbe morto.

Lui gliel'aveva tenuto nascosto. Ovviamente.






Alle undici a Place de la Révolution.




La voce della donna, arrogante e fastidiosa, risuonò nella sua mente.




Una campana, in lontananza, batté i rintocchi.
Le dieci ed un quarto. Mancava poco all'esecuzione del re.



Quasi riavendosi a fatica, Constance prese un grosso respiro.

Dopodiché cominciò a correre.




Correva, correva forte. Sapeva dove andare.
Travolse uomini e bambini e non chiese scusa a nessuno. Sbagliò strada, tornò indietro. Ritrovò il vicoletto giusto, quello che le avrebbe permesso di accorciare le distanze, raggiungere prima la meta.
Nella fretta finì anche col strapparsi la sottana della sua gonna buona. Non si perse d'animo: piuttosto, ne raccolse il lembo lacero e continuò a correre.


Giuse nella piazza gremita appena in tempo per scorgere, in lontananza, tra la folla di gente comune e soldati, la carrozza del re che faceva il suo ingresso nel luogo dell'esecuzione.
Rabbrividì mentre la sua vista registrava, a breve distanza, quella costruzione agghiacciante cui avevano dato il nome di ghigliottina: faceva bella mostra di sé dall'alto di un palchetto in legno.

A bocca spalancata Constance ne osservò la lama scintillare diabolicamente sotto i raggi del sole parigino. Consapevole del sangue che, di lì a poco, ne avrebbe imbrattato la superficie, si portò una mano sul ventre, nel vano tentativo di bloccare un singulto di orrore e disgustoso.
Non servì a nulla.

Intorno a lei, centinaia di persone ridevano e cantavano. Qualcuno improvvisava dei balli singolari per festeggiare l'evento imminente, qualcun altro ridacchiava o intonava cori allegri. Constance riconobbe, nell'aria, le note di quell'inno cui avevano dato il titolo di Marsigliese e rabbrividì quando si rese conto che era la vocina di un bambino di pochi anni a cantarlo: per premiarlo, il padre, orgoglioso, gli aveva appena acquistato una manciata di caramelle da un venditore ambulante.



"Sono impazziti...Sono tutti impazziti!" - Gridò riprendendo la sua corsa, preda di un batticuore che neppure la migliore delle notti trascorse con Louis le aveva mai causato.

S'incuneò tra la folla, scalciò e diede gomitate per farsi spazio. Non sapeva neppure lei, esattamente, perché insisteva tanto piuttosto che scappar via a gambe levate da quel luogo di morte e follia.
Avrebbe dovuto, viceversa, fare dietro front in maniera intelligente, tornare a casa sua, chiudercisi a chiave per il resto dei suoi giorni e dimenticare per sempre quello spettacolo orribile.
Eppure era ancora lì.



Perché doveva sapere.
E per sapere avrebbe dovuto trovare Louis.






Si alzò in punta di piedi, molte volte, nel tentativo di afferrare qualcosa. Ma c'era troppa gente e non si vedeva nulla di ciò che stava accadendo in piazza. Figurarsi come avrebbe potuto scovare Louis in quel marasma di persone.
Prese a saltellare ed ancora si fece largo a stento senza ricavarne un ragno dal buco finché una voce maschile non richiamò la sua attenzione:



"Cittadina! Cittadina, venite qui!"


Si voltò quasi subito, incontrando il viso di un giovanotto press'a poco dell'età di Louis. Se ne stava appollaiato sulla base di un'alta colonna in granito, una fra le tante tra quelle che contornavano la piazza. Non era l'unico, ovviamente.



"C'è spazio, se volete vedere lo spettacolo! C'è spazio per tutti, venite! Vi daremo una mano a salire."


Constance lo guardò per qualche istante e senza dire una sola parla, infine, corse nella sua direzione. L'uomo gli tese prontamente la mano e la giovane fioraia arrancò un poco prima di riuscire ad issarsi senza cadere. Quando infine si ritrovò con entrambe le braccia saldamente ancorate intorno alla colonna riuscì persino a ringraziarlo per averla aiutata.
Dopodiché tornò a volgere lo sguardo alla piazza.


Cercava Louis, ancora una volta.
Ma fu ben diverso lo spettacolo che catturò la sua attenzione: quello dell'ormai vecchio e stanco Luigi Capeto che saliva a fatica i gradini del patibolo.


Constance annaspò: non aveva mai visto in faccia il re Luigi. Ricordava soltanto di aver colto di sfuggita la nobile carrozza che ospitava lui e la sua augusta consorte durante la loro prima visita ufficiale a Parigi, l'anno in cui furono incoronati come nuovi sovrani di Francia. Ma era stato molto tempo prima. Scoprirlo adesso ed in vesti tanto misere e disperate, le causò un colpo al cuore.
Per un istante soltanto dimenticò Louis e la sua urgenza di cercarlo. Piuttosto, si concentrò sul vecchio re.
L'osservò mentre, fermo sul patibolo, offriva il suo collo nudo al boia. Quest'ultimo ne recise il codino - triste preludio a ciò che di lì a poco sarebbe accaduto - ed i tamburi cominciarono a rullare.
Nella piazza si udiva soltanto quel battito secco da marcia funebre: la gente sembrava aver perso la lingua, ipnotizzata da quello spettacolo tanto affascinante di morte ed orrore.


Constance stessa a fatica respirava: era troppo incredula per accettare che ciò tutto che stava osservando fosse reale.


Il sovrano, memore di un potere che non aveva più, tentò - con un gesto della mano - di reprimere quella marcia e prendere la parola. Ma i suoi carnefici erano troppo impazienti di vederne la testa mozzata e lo trascinarono con violenza, piuttosto, verso la ghigliottina.
Allora l'uomo - l'uomo e non più il re - in un conclusivo impeto di coraggio, pronunciò a gran voce le sue ultime parole. Risuonarono possenti nel silenzio surreale della piazza mentre Luigi Capeto tentava di discolparsi e di morire da giusto agli occhi di Dio e di un popolo che aveva amato, a dispetto di tutte le evidenze:




"Muoio innocente dei crimini di cui mi si accusa. Perdono coloro che mi uccidono. Che il mio sangue non ricada mai sulla Francia!"






Quel che accadde poi, Constance lo rimosse.

Qualcuno, sul patibolo, afferrò rapidamente il sovrano per le spalle, stanco di sentirlo ciarlare.
Qualcun altro lo sistemò veloce sotto la mannaia.
Non attesero neanche che il collo fosse nella posizione giusta. Il boia, incitato dalla folla, lasciò scorrere rapidamente le lame della ghigliottina.
Constance chiuse gli occhi subito, per non vedere, ma non poté impedire all'orecchio di registrare comunque quel terrificante stridio di lame e carne.




Comprese che la morte fosse infine sopraggiunta soltanto quando la piazza, sino ad allora ancora muta, proruppe in urla di giubilio e canti di festa.

Allora riaprì le palpebre ma senza guardare in direzione del patibolo. Sapeva cosa avrebbe visto, altrimenti: la testa mozza di Luigi Capeto portata come un trofeo di guerra tra le mani insaguinate e sanguinarie di qualche ignobile membro della Guardia Nazionale.



Intorno a lei, comunque, si scatenò l'inferno.

Qualcuno correva, altri urlavano, strappandosi le vesti per la gioia.
Donne scarmigliate e rosse in viso si abbracciavano ridendo ed improvvisando balletti divertenti.

In molti intonarono un sentito "Viva la Repubblica", tra cui diversi padri di famiglia con i loro bambini di pochi mesi al seguito.
Il suo vicino, issato sulla medesima colonna da cui anche lei aveva assistito allo spettacolo, si agitò talmente tanto da ruzzolare giù miseramente. E, nonostante il dolore certo prodotto dalla caduta, continuò a ridere smodatamente.

Quando, a breve distanza, una ragazzina non di molto più grande di lei emerse dalla folla portando in trionfo il suo vestito insanguinato - vestito che, tra l'altro, copriva un pancione anche piuttosto pronunciato - lei non resse più.
Udì le parole della suddetta fanciulla mentre si vantava di aver toccato il sangue del re, e si lasciò ricadere sul selciato senza più energie, come se avesse compiuto uno sforzo immane, sino ad allora, per restare anche soltanto in piedi.


Infine, non riuscì a sopportare oltre le capriole del suo stomaco.
La gente ancora urlava di gioia e lei si accantucciò in un angolo appena più riparato della piazza, quanto più lontano possibile dagli schiamazzi. E qui vomitò anche l'anima.








Perché sono qui?
Perchè mi sono invischiata in quest'orda di pazzi sanguinari?
Perché non sono a casa mia, nella mia cucina che profuma di stufato, nel mio letto dalle lenzuola buone?
Perché non sono sul balcone a baciare Louis mentre fuori c'è il sole?

Perché sono qui a sostenere la morte cruenta di un uomo in mezzo ad un branco di individui che di umano non hanno un bel nulla?
Si credono migliori dell'uomo che hanno mandato a morire?
Che lo sappiano: hanno tutti dimenticato il loro Dio...Tutti!








"Constance!"

Se ne stava ancora accasciata sul selciato sconnesso quando udì una voce fin troppo familiare invocare il suo nome.
Ma non aveva ancora né coraggio né forza per alzare la testa e dire sì, sono io.
Per cui se ne stette accucciata e buona, mentre le gente si muoveva attorno a lei disordinatamente, come formiche impazzite, e continuò così finché quel "qualcuno" non venne a tirarla su di peso.

Faticò a reagire: aveva mente e muscoli intorpiditi.
Ed anche il cuore non voleva saperne di funzionare come avrebbe dovuto. Forse perché faceva troppo male.



"Costance! Che diamine ci fai qui? Constance? Stai male?"


Louis le cinse i polsi. Lei non rispose.
Allora, le tenne le spalle, scuotendola. In ultimo, se l'adagiò sul petto, cullandola come si faceva con i bambini molto piccoli.



"Costance, amore mio...Perché sei venuta in questo posto? Perché?"


Ci impiegò diversi minuti prima di trovare la forza necessaria per alzare il capo verso di lui.
Incontrò gli occhi scuri di Louis - più scuri di quanto lei stessa ricordasse - e le parvero così spauriti e disperati che, nonostante tutto, si dispiacque di avergli recato una tale preoccupazione facendosi beccare in quel posto.


"Louis..."
"Amore...Amore mio, perché?"
"Perché...Volevo vederti...Volevo capire..." - Rispose a fatica.

"Capire cosa?"
"Perché ami tanto questa Rivoluzione. Perché ami tanto l'idea di vedere la gente morire...Louis, tu non sei come loro..." - Indicò la folla psicotica ed agitata. - "Tu non sei come loro...Ti prego, torna in te."


Osservò lo sguardo di Louis farsi più duro e sofferente.



"Altrimenti mi lascerai, non è così?"
"Louis, io..."
"Vuoi andartene. E' per questo che mi parli in tal modo."
"No, no è per questo..."
"E allora non dirmi più nulla, Constance. Te ne prego. Accettami per quel che sono. Ne abbiamo già parlato quando sei tornata e pensavo avessi compreso. Non cercare di cambiarmi...Se ami quel che sono, ami anche il rivoluzionario che c'è in me. E quel rivoluzionario agognava questo giorno come un affamato agogna il pane."




Constance lo guardò per diversi istanti, senza parlare.
In parte perché non aveva più forze per reagire. Non dopo quella mattinata in cui ogni suo motivo di gioia si era tramutato in una sequela di immagini di orrore e morte.
In secondo luogo perché non sapeva neppure cosa rispondergli.
Louis aveva ragione, in fondo. Lei l'amava ed avrebbe dovuto accettarlo per ciò che era. Per ciò che era sempre stata e da molto tempo prima che lei facesse irruzione nella sua vita.

Non poteva aspettarsi che la sua presenza fosse causa di un miracolo.
Le persone non cambiavano per così poco, in fondo.





"Constance...?"

La voce di Louis la richiamò, appena più titubante rispetto a qualche istante prima. Continuava a tenerla tra le braccia, stringendola in maniera tanto forte che i muscoli cominciarono a dolerle.
Intorno a loro c'era ancora una piazza in delirio eppure entrambi continuavano a non curarsene.



"Che c'è, Louis?"
"Dimmi che mi ami."
"Uh?"


Lo guardò perplessa. Louis quasi boccheggiò.



"Dimmi...Dimmi che mi ami. Dimmelo! Ti...supplico."





Louis....
Il mio cuore non cambia idea.
Forse dovrebbe, la ragione me lo impone.

Ma io preferisco la sua voce a quella della mente.

E tu resti la mia ragione di vita, nonostante tutto.









"Ti amo..." - Acconsentì infine.


"Bene..."
"Louis?"
"Sì?"
"Torniamo a casa...Adesso. Ti prego."
"D'accordo." - Rispose lui quindi, sollevandola delicatamente.






















Il 21 Gennaio del 1793, alle ore undici, in Place de la Révolution, Luigi XVI di Borbone venne infine condannato a morte.
Dell'esecuzione fu responsabile il boia Sanson.
L'intero evento si realizzò esattamente come ho descritto in questo capitolo: alle dieci ed un quarto la carrozza del re raggiunse la piazza. Il re si slacciò il colletto della camicia da sola ed offrì il collo al boia affinché gli fosse reciso il codino. Tentò di parlare e discolparsi ma non glielo consentirono. Prima che qualcuno lo afferrasse e ne mettesse la testa sotto la ghigliottina, il re riuscì a pronunciare quelle poche parole che ho riportato sopra.
Una volta eseguita la condanna, la piazza esplose per la gioia. Si dice che qualcuno sia andato addirittura a bere il sangue del re morto.
Lo so, è una cosa disgustosa ma è accaduta.
L'immagine di cui sopra rappresenta proprio il momento dell'avvenuta morte del re.





La frase che vi riporto ad inizio capitolo è tratta da una canzone dei Verdena e, per ciò che mi riguarda, è perfetta per descrivere quantomeno le sensazioni di Louis. Se vi va di ascoltarla, vi lascio il link
Lei disse - Verdena



Grazie per le quattro recensioni al precedente capitolo.
Passo subito a rispondervi :)
Buon Anno a tutte...
Matisse!






Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


saintjust8
"Il mio orgoglio che può aspettare
E anche quando c'è più dolore
Non trovo un rimpianto
Non riesco ad arrendermi
A tutti i miei sbagli
Sei tutti i miei sbagli."


Tutti i miei sbagli - Subsonica














Al di là del nostro amore














Constance ne era consapevole: la sua storia con Louis era cominciata come una favola.
A distanza di mesi si stava trasformando in una trappola.


E non perché non lo amasse o non credesse loro amore.
Constance ci credeva fin troppo, a dir la verità. Ed era questo a spaventarla.

Perché più imparava a conoscere Louis, più lo temeva, più si legava a lui con doppio filo.






Il Louis che lei amava la sfiorava appena perché temeva sempre di farle del male.
Il Louis che lei amava però, era solito anche mandare a morire la gente senza rimpianti. Quasi provandone un sottile piacere.



Il Louis che lei amava la costringeva a mangiare cibi succulenti.
"Per la tua salute..." - Le diceva, carezzandole le guance.

Ed era lo stesso, tuttavia, che poi andava blaterando di regimi vegetariani cui bisognava costringere i fanciulli al di sotto dei quattordici anni. Lo stesso che predicava la necessità di bandire dallo stato francese tutti gli individui privi di amici, di legami affettivi stabili e duraturi.




Il Louis che lei amava era dolce, tenero. A tratti ingenuo.
E tale Louis, però, sapeva anche essere terribilmente spietato con i propri nemici.
Crudele e cruento.  Stratega e diffidente.







Più metteva insieme i tasselli della vita del suo amato - di ciò che lui era tra le quattro mura della loro alcova d'amore e al di fuori della stessa, nel mondo caotico che ruotava intorno alle loro piccole esistenze - e più si sentiva confusa poiché l'immagine di Louis che le rimandava il cuore cozzava poi terribilmente con la consapevolezza della ragione.




Era attratta da Louis.
Ne era spaventata.
Lo amava.






Constance non sapeva più se dar credito al suo cuore o alla parte lucida di sé.
Se lasciava prevalere l'istinto, la mente poi la rimproverava e l'obbligava a vedere quel che di sbagliato c'era in lui.
E se, viceversa, seguiva la ragione...Oh, beh, in quel caso il tentativo durava davvero troppo poco per poter essere considerato veritiero e reale.
L'amore verso Louis era una malattia dalla quale non poteva guarire, questo era un dato di fatto ormai.



A volte se lo immaginava, il Louis "cattivo", come una sorta di scatola nera, una voragine scura attorno alla quale si muovevano a piccoli passi lei ed il Louis "buono", quello che l'amava.
Non che l'altro non l'amasse, per carità, ma in un modo tutto suo che la faceva rabbrividire.


Comunque sia, più tentava di scostarsi da quella voragine - arpionandosi al Louis dolce che conosceva lei - e più ci finiva dentro.
Risucchiata volontariamente, tra l'altro.
Perché era inutile negarlo: per quanto lo detestasse, per quanto l'agitasse, per quanto non riuscisse a comprenderlo...lei amava smodatamente e senza ragione alcuna anche il lato peggiore di lui.
O, forse, cominciava ad essere, paradossalmente, più attratta da quello che dal resto.
Il fascino del pericolo, evidentemente.




A volte, quando facevano l'amore, Louis la guardava con certi occhi scuri, impossibili da descrivere. Le ricordavano le notti buie di Parigi, quelle in cui il silenzio incombeva tetro ed austero sulla città interrotto soltanto, di tanto in tanto, dal latrato di un cane.
In quelle notti la gente si chiudeva in casa. Il male era dietro l'angolo, la forca sempre pronta.

In quelle notti, troppe nobili teste erano già state portate in giro, trionfanti, conficcate su paletti di legno.




Constance ne aveva paura.

Ed aveva paura di Louis in quei momenti. Pensava fosse in grado di ucciderla ed amarla nello stesso istante e con la stessa devozione.
Eppure non poteva fare a meno di esserne incatenata. Come se quel suo sguardo agisse a mo' di pozione magica, con l'intento di stordirla ed ingannarla per renderla sua fino alla fine dei giorni.










"Quando tutto questo sarà finito..." - Considerò un giorno Louis, mentre Constance se ne stava seduta comodamente, intenta al ricamo - "...Ci sposeremo."
"Come?" - Constance annaspò. Incredula. Sgomenta.


Felice. Come mai nella sua vita, nonostante tutto.
Da dove erano saltate fuori quelle parole, così, all'improvviso?

La sua testolina macinò congetture e pensieri gioiosi immediatamente.







Se diventassi sua moglie.
Se diventassi davvero sua moglie...Quante cose potrebbero cambiare?







Il lavoro di cucito le si rovesciò quindi in grembo senza alcuna premura e per un po' guardò il suo Louis con occhi sgranati.
Lui, di rimando, ridacchiò accomodandosi accanto a lei.



"Sorpresa?"
"Non...non me l'aspettavo."
"Perché? E' così difficile pensare che possa desiderarti come compagna di vita?"

"In realtà non pensavo credessi nell'istituzione del matrimonio."
"Ovviamente non ci sposeremo in chiesa, davanti al...tuo Dio. Voglio che tu sia mia moglie esclusivamente dinanzi alla nuova Repubblica Francese."

"Oh..." - Lo sguardo di Constance si fece improvvisamente vacuo. - "Ovviamente, certo."
"Che c'è?"



Lo guardò stancamente. Delusa. Nei suoi occhi, una luce di rimprovero e mestizia.




"Perché consideri sempre quel che piace a te ed a te soltanto? E se io avessi desiderio di sposarti davanti al mio Dio? Sarebbe così assurda e ripugnante l'idea, Louis?"

"Stiamo litigando?" - Domandò lui, serio.
"No. Sto puntualizzando."
"Non fare la bambina capricciosa con me, Constance." - La rimproverò scherzosamente, carezzandole una guancia. Ma Constance era piuttosto risentita e non mancò di farglielo notare.
"Non sono io la più infantile tra noi due. A volte mi chiedo se tu ti renda conto di quello che dici."



Louis ricambiò il suo sguardo con un altro di vistoso disappunto.
Cominciava ad irritarsi: la calma non era la sua migliore virtù, neppure quando l'interlocutrice era Constance.




"Perché hai sempre da ridire? Perché?!"



Si alzò di scatto, improvvisamente e Constance tremò.



"Calmati."
"NO! Ti sto dicendo che voglio sposarti e tu...Tu pensi a Dio, alla Chiesa ed a tutte le altre sciocchezze che ti passano per la testa! Smettila, per favore...Smettila!"



Si lasciò travolgere così tanto dalla rabbia che finì col rovesciare, con un gesto rapidissimo della mano, un piatto dal tavolo sino al pavimento sottostante. Si sbriciolò in mille frammenti minuscoli. Una scheggia colpì la caviglia di Constance, ferendola. La fanciulla incassò il colpo senza fiatare. Louis neanche se ne accorse che la carne della sua bella sanguinava.






"Tu....tu pensi sempre alla Rivoluzione." - Sopportando il dolore con stoica tenacia, la giovane trovò persino il coraggio di ribattere. - "Ogni cosa tu faccia nella tua vita è in sua funzione. Pensi al nostro matrimonio e lo accosti alla Repubblica. E se dovessi pensare ad un futuro figlio cosa ti verrebbe in mente? Di farne un boia per quella ghigliottina che ti piace tanto?!"




Louis sospirò, agitato.




"Sono stanco, Constance. Stanco. Io ti amo e mi fai pentire ogni giorno di questo amore. Possibile che non ti basti nulla di tutti i sacrifici che faccio per te?"

"Se ami non è mai sacrificio, Louis." - Rispose lei dunque, tristemente e calando lo guardo. Non riusciva più a sorreggere l'espressione tirata di Louis e quegli occhi che, per la prima volta, la contemplavano con il risentimento tipico di un nemico.




Louis non rispose comunque. Evidentemente continuò ad osservarla per qualche minuto di troppo finché non sparì dalla sua vista. Constance neppure lo guardò andare via.
Ma quando il tonfo secco della porta risuonò nella loro casa un tempo così ricca di calore, il dolore che Constance si trascinava dietro come un peso insostenibile sul suo petto di giovane ragazza inesperta si sciolse infine in un fiume di lacrime.



Non piangeva in modo tanto convulso dalla notte in cui sua madre era morta.
Dopotutto, anche quella costituiva una perdita: la morte del loro sogno d'amore.






Constance lo sapeva: la realtà stava divorando i loro sentimenti. La Rivoluzione stava ingurgitando pezzi del loro cuore con la stessa voracità con la quale un lupo poteva gustarsi la carcassa di  una pecora morta.
La Rivoluzione stava spazzando via le persone che erano e ciò che di prezioso vi era nella loro unione: la purezza.


E Louis lo stava anche consentendo. Ne era quasi fiero, addirittura.
Lei non poteva farci nulla: ne era consapevole, così come sapeva di amarlo nonostante tutto.







Perché mi hai ridato la vita. E me la sottrai, puntualmente, Louis.
Come se fosse tua.
Tanto sai che t'appartiene.
Ed io, come una stupida, dimentico ogni lacrima quando poi ritorni a sorridermi.
Quanto torni a dirmi che mi ami.


Dimentico le urla ed il sapore di quel sangue che ami.
Sei il mio carnefice e l'unico salvatore che ricerchi il mio cuore.
Sei la mia rovina ed il mio trionfo.

Sei l'amore, Louis, e l'amore fa male.











*











Louis vagò per ore, da solo, nel freddo dell'inverno parigino.
Qualcuno lo riconobbe, chiamò il suo nome, lo salutò.
Finse di non vedere e passò oltre. Non aveva voglia di intrattenersi inutilmente con gente priva di contenuti.
Non era suo costume abitualmente, figurarsi in un momento del genere, col pensiero continuo di Constance che se la piangeva a casa, nella solitudine di una casa improvvisamente fredda.

Perché stava piangendo, ovviamente.
Se la immaginava già, piccola e delicata, avvolta in uno scialle dimesso. Ne immaginava gli occhi gonfi.


Sapeva che la colpa era sua.
Non sapeva come risolvere la faccenda, tuttavia.



Arrabbiato col destino, con se stesso, con il suo caratteraccio - e non più con Constance...come avrebbe potuto, del resto? -  tirò un pugno al muro del porticato sotto il quale stava camminando. Si procurò rapidamente diverse ferite - il dorso prese a sanguinare quasi subito - ma non se ne curò. Continuò piuttosto a colpire, colpire e colpire finché la pelle non finì col rattrappirsi mentre la carne, già rossa e viva, continuava ad essere sbatacchiata contro quel muro grezzo e ruvido.




Louis non sentiva il dolore fisico.
Se lo sentiva non gli importava.
Il dolore del cuore era più forte e contro quello non poteva nulla.








Stai sbagliando tutto, razza d'imbecille!
Tutto!
Constance è un angelo e tu...tu...







"Louis..."




Qualcuno chiamò il suo nome. Non gli diede peso.





Colpisci Louis, continua a colpire.
Perché meriti una punizione.
Colpisci ancora.







"Louis, per tutti i diavoli! Smettila amico, ti stai ammazzando!"








Non ascoltarlo, chiunque sia!
Non fermarti!

Non fermarti...
Non...









"LOUIS!"



Quel qualcuno si avvinghiò alle sue spalle con tutta la propria forza e lo costrinse ad allontanarsi da quel muro contro la sua volontà.
Dunque, si voltò furiosamente per guardarlo, quello stolto invasore. Avrebbe tirato un pugno in faccia anche a lui, ovviamente: come aveva osato disturbare il suo silenzio e la sua rabbia?



Ma ogni proposito di guerra finì col sparire inevitabilmente allorché i suoi occhi incontrarono lo sguardo preoccupato dell' amico più caro.



Maximilien.
L'incorruttibile Maximilien de Robespierre.







Louis ne osservò per qualche istante, confuso, il viso dai tratti regolari e quelle labbra atteggiate in una piega severa.
Poi, come riprendendo consapevolezza di se stesso, il suo sguardo corse fino alle mani quasi maciullate, coperte da sangue e schegge.
E ricordò, nuovamente, il motivo di tanto dolore.




Constance.
E tutta la sofferenza che le stava arrecando.






"Che succede, Louis? Stai male, cosa ti è accaduto?"
"Io...Io non..."




Incapace perfino di proferire parola si maledisse ripetutamente per quella sua vergognosa esibizione: proprio Maximilien non avrebbe mai dovuto scoprirlo in un simile stato.




Di lui, alla Convenzione, avevano tutti un'altra idea.

Louis il crudele.
Louis, l'Arcangelo della Morte. Così l'avevano ribattezzato, i più.



Louis de Saint Just...colui per il quale i più deboli, in quell'assemblea, tremavano soltanto a sentirne pronunciare il nome. Perché quel giovane rabbioso non aveva Dio né rispetto per la vita altrui.
Per lui la vita era una guerra continua al tiranno. E chiunque l'avesse ostacolato, seppur in buona fede, avrebbe meritato di morire.

Louis non aveva paura, non aveva vergogna, non provava imbarazzo.
E non si faceva scrupolo di nulla, del resto.




Ed ora invece, si era fatto così stupidamente scoprire fragile ed insicuro come una bambina di pochi anni, proprio dall'unico uomo per il quale provasse profonda stima e rispetto.



Cosa ne sarebbe stato adesso della sua maschera da eroe?

Maximilien l'avrebbe ancora considerato come il migliore tra i suoi uomini?
Oppure l'avrebbe deriso ed allontanato?






Maximilien, non puoi.

E' per amore...E' solo per amore che mi comporto così.

Perché lei, il mio povero angelo, è a casa da sola a piangere per un farabutto che neanche se lo merita.
E quel farabutto sono io, purtroppo.








"Louis..."
"Maximilien, mi dispiace. Non avresti dovuto assistere a questa scena pietosa."
"Nessuna scena pietosa, amico mio. Siamo uomini, oltre che rivoluzionari."
"E quindi...?"



Lo guardò sorpreso.
Non capiva le sue parole.



"Credi che l'Amore non possa far male anche a due creature apparentemente senz'anima come noi? E' una trappola, se ancora non l'hai compreso ed è senza premura alcuna perché ti colpisce alle spalle quando meno te l'aspetti."
"Cosa...cosa ne sai che sia per questo che adesso..."
"Pensi che io sia così privo di cuore da non aver mai conosciuto certe sensazioni?"
"Non intendevo..."



Maximilien ridacchiò.



"In ogni caso, lo sanno tutti che vivi con una donna, Louis. Anche se sono mesi che cerchi di nasconderlo."
"Vorrei capire come sia possibile!" - Bofonchiò, confuso ed irritato.
Ed anche un tantino imbarazzato, per la prima volta: in fondo, si stava parlando della sua vita privata!



"Il buon Roland capitò a casa tua, il giorno in cui ebbe inizio il processo a Luigi Capeto. Voleva darti la notizia in anteprima. Ma anziché trovare te fece la conoscenza di una graziosa fanciulla dai capelli neri. Ovviamente ha fatto i suoi conti e li ha riportati velocemente fra tutti noi."
"Il buon Roland si ritroverà un naso spaccato a breve, sappilo Maximilien!" - Esclamò risentito.
"Suvvia Louis! Non essere tanto rabbioso...Conosci Roland. Non si comporta di certo in questo modo per cattiveria!"
"Ha la civetteria tipica di una donna, però. Questo non va a suo favore."
"Chi di noi non ha un difetto, Louis? E' un buon amico, in fondo. Ed anche tu lo sei mentre io lo sarò per te, se vuoi. Ti va di...fare un giro, parlarne un po' con me? Tanto per distrarti dai tuoi crucci."





Un giro.
Con Maximilien.
Perché no?





Perché Constance era a casa da sola, dopotutto.
Perché avrebbe pianto una notte intera se lui non fosse tornato.



Forse, tuttavia, avrebbe pianto di più in sua presenza.
Poiché era ancora troppo nervoso per esserle davvero di compagnia.

Sì, era proprio così.




"Louis? Coraggio..." - Continuò Maximilien - "...Davanti ad un buon bicchiere di acquavite si dimenticano molti dolori! Potremmo scaldarci, qui in strada fa molto freddo. E forse potresti trovare anche conforto per il tuo cuore nella buona parola di un amico. Andiamo, ascoltami...Ho qualche anno in più di te, so come funzionano certe cose!"

Maximilien gli rivolse un occhiolino divertito.
Per un attimo, Louis ebbe come l'impressione di parlare con un fratello maggiore.


Ed allora, dopo qualche istante di riluttanza, si decise infine a sorridergli.



"D'accordo." - Mormorò infine, con un tono di voce comunque mesto e disilluso. Maximilien gli sorrise a sua volta, soddisfatto, invitandolo dunque a seguirlo per le buie strade parigine.











*











Constance attese Louis per tutta la notte.
Pianse sulla sua assenza e si disperò, convinta che lui avrebbe potuto fare qualsiasi cosa nello stato in cui aveva lasciato casa.

Qualcosa di terribile, detto per inciso, arso com'era dalla rabbia e dal rimorso.

Sì, anche dal rimorso. Perché tanto lo sapeva che l'amato, nonostante la sfuriata, si sentisse irrimediabilmente in colpa.




Nel frattempo, di quella ferita alla caviglia che continuava a dolerle nonostante le cure apportate, neppure si preoccupò.

Piuttosto, diverse volte, nel corso di quelle ore buie, fu tentata di uscire in strada per cercare Louis nella speranza di ritrovarlo in fretta e pregarlo di scusarla. Di guardare oltre che tanto le loro divergenze avrebbero potuto appianarsi.







Ti sposo Louis.
Ti sposo dove vuoi.
Ma torna, ti prego.








Alla fine, si rese conto che quella tentazione avrebbe potuto convertirsi esclusivamente in un'immane sciocchezza.
Non sapeva dove cercarlo Louis. Non conosceva i posti che frequentava, la gente che faceva parte del suo giro.
Avrebbe potuto essere ovunque. E con chiunque.


Inoltre, la notte parigina era piena di pericoli. E lei, ovviamente, per Louis li avrebbe sfidati ma....il giovane, dopo, le avrebbe mai perdonato di averlo fatto spazientire e preoccupare inutilmente?

Già immaginava la sua espressione burbera mentre le rimproverava di aver corso dei rischi inutili.




Fosse stato per lui, Constance non avrebbe mai dovuto mettere la testa fuori casa, in realtà.






Ancora piangendo quindi, e pregando di vederlo tornare a casa il prima possibile, si sdraiò appena sul letto scivolando, dopo un po', in un sonno senza sogni.
Non le riuscì di impedirlo: le palpebre si appesantirono contro la sua volontà.

O forse, semplicemente, la sua mente invocò quel sonno per sfuggire, anche soltanto qualche ora, dalla sofferenza di saperlo lontano.
Sì, doveva essere proprio così, del resto.


Chiuse gli occhi, quindi, mentre l'ultima lacrima si muoveva ancora silenziosa lungo le sue guance arrossate.










Si risvegliò qualche ora più tardi. Fuori albeggiava.
E si risvegliò perché una mano delicata stava carezzando la sua chioma scura e scarmigliata.


Tra le ciglia aveva ancora intrappolate le sue povere lacrime. Le allontanò con un gesto incerto perché il sonno le aveva intorpidito mente e muscoli.
Ma sapeva cosa stava facendo.

Si sforzò affinché la sua vista focalizzasse l'intorno: c'era qualcuno che l'aspettava e lei doveva vederlo.
Ne agognava il viso già da troppo tempo, del resto.






"Hai pianto. E' colpa mia." - Una voce gentile. Ma turbata.

La sua voce.

Constance vacillò.


"Io...io non..." - Riuscì malapena a mettersi a sedere. Ma durò una frazione di secondo: il tempo di trovare l'equilibrio giusto per gettarsi fra le braccia di Louis.





Louis.
Di nuovo qui.
Di nuovo mio.





"Sei tornato...Sei tornato!" - Impazzì di gioia. Le sembrava  impossibile stringerlo di nuovo tra le braccia. Gli coprì il viso di baci e per ogni bacio le sue lacrime bagnavano la pelle candida di Louis.



Come una benedizione.
O una maledizione.



Folle d'amore non si staccò da lui finché le sue mani non le strinsero i polsi.
Finché non l'allontanarono costringendola a guardarlo bene in faccia.




"Constance...Constance, smettila!" - Quasi la supplicò - "...Smettila, per favore! Non è...non è così che deve andare!"
"Che...che stai dicendo?" - Annaspò, guardandolo negli occhi. Si perse in quello sguardo disperato senza capire, senza una ragione né perché.


Louis stava male, ne era certa. E per colpa sua, ovviamente.





"Se è per quel che è accaduto Louis...Ti prego, non pensarci più! Ci sposiamo dove vuoi, quando vuoi...Io non posso...non posso stare senza di te...Io..."
"Tu. Non. Devi. Chiedermi. Scusa. Sono io la  bestia, Constance. Soltanto io."

"Louis..."

"Lasciami parlare, te ne prego. Quando..." - Prese un grosso respiro. Aveva bisogno di coraggio per imbarcarsi in quel discorso. - "Quando ti ho conosciuta, in quel mattino nebbioso di pochi mesi fa...Ho capito sin da subito che c'era qualcosa di diverso in te. E di speciale. Rispetto al resto del mondo, intendo. Non avevo mai incontrato occhi altrettanto sinceri ed un sorriso luminoso quanto il tuo. Ogni cosa di te mi parlava della sua bontà, della tua innocenza, del tuo disperato bisogno di credere negli altri per amare ed essere riamata.E nonostante la nebbia, quel mattino, io ho visto un raggio di sole. Eri tu. Mi hai scaldato così tanto il cuore che non ho potuto fare più a meno di te, Constance. Ti ho seguita e ti ho costretto a rendermi parte della tua vita con la gioia in più di scoprire che anche tu lo desideravi. Ma non ho fatto nulla di onorevole per te."
"Louis..."
"Lasciami parlare, ti prego..."






No. Ho paura di quel che vorrai dirmi....





"Quando ti ho conosciuta, i tuoi occhi brillavano. Mi parlavano della tua gioia di vivere. Della tua voglia di ridere e di essere felice. Constance, è da quel giorno che sei scappata di casa che ti vedo spenta. Non sei più tu..."
"Non dire sciocchezze, Louis!"
"Non sono sciocchezze!" - Ripetè allarmato - "...Dico la verità! Avevi la spensieratezza dei tuoi diciassette anni, Constance...Io non la vedo più questa spensieratezza, adesso. Sei cresciuta di colpo e nel peggiore dei modi. Hai pianto fin troppo da quando sei con me. Credi che non lo sappia? Constance, non sono in grado di renderti felice...E questa mia incapacità vuol dire solo una cosa: per quanto t'ami, non sono l'uomo giusto accanto a te."




Constance, tremando, osservò Louis mentre mangiucchiava il labbro inferiore, nervosamente, dopo aver pronunciato quelle ultime parole.

Neanche le rivolse una sola occhiata quando terminò infine la sua tiritera.
Era ovvio che non credesse ad una sola parola di ciò che aveva appena detto. Voleva lasciarla per il suo bene ed in realtà sperava che lei non gli desse davvero credito.




Constance, comunque, fu colta da un attacco di panico.

Ed allora comprese la trappola: non era più solo amore. Era dipendenza, ossessione, protezione, vita, morte, lacrime, sorrisi.
Era Louis e non riusciva a trovare più nulla di sbagliato in lui.







Sto impazzendo.
Impazzisco con te. Impazzisco senza di te.
Ma senza di te mi manca anche l'aria.
Non te ne andrai, Louis.
Non lo permetterò.






"NO!" - Urlò quindi. Louis la guardò sconcertato. Non gli diede peso.
"...Adesso..." - Continuò piuttosto, tra le lacrime mentre, all'esterno, il sole cominciava timidamente a spargere i propri raggi sulla città - "....Adesso parlo io. E non mi interromperai. Louis, voglio che tu sappia che...Se potessi mandare indietro il tempo, rifarei tutto quel che ho fatto già. In quel giorno di Ottobre, ti guarderei ancora da lontano con perplessità, chiedendomi il perché di quella tua espressione malinconica. E mi direi che la tua bellezza è troppo grande per essere sprecata in una smorfia di dolore. Dunque mi avvicinerei ancora portandoti in dono la mia camelia e non perderei neppure un istante del tempo che Dio ci ha concessi assieme fino ad ora. Se tornassi indietro non ti cancellerei, Louis. Piuttosto ti vivrei daccapo, senza indugi. Tu dici che per il mio bene dovrei starti lontano. Io dico che il mio bene sei tu. Lasciarti non è possibile, per quanto io possa soffrire o piangere o sorridere e divertirmi...il mio destino è uno solo e porta il tuo nome. Non voglio  mai più ascoltare certi discorsi, da parte tua. E non voglio più piangere. Da oggi in poi cercheremo di venirci incontro, tu con la tua ribellione ed io con il mio buonismo. Siamo una coppia, pensiamo in due, agiamo insieme. Ma non scacciarmi dalla tua vita, ti prego. Non scacciarmi, ne morirei."




Le ultime parole quasi le sussurrò. D'improvviso aveva perso tutta la foga.
L'idea che potesse abbandonarla, alla lunga, l'aveva privata di ogni energia.


Dal canto suo, Louis la guardò a bocca aperta per un tempo infinitamente lungo.

Alla fine pronunciò poche parole, nel vano tentativo di giustificarsi e farle comprendere le sue reali intenzioni:


"Non volevo scacciare te. Volevo scacciare me dalla tua bella vita..." - Spiegò.
"Bella?!" - Constance sbottò, di nuovo. - " E cos'ha di bello la mia vita, Louis, sentiamo?! Vivevo in una catapecchia, da sola, senza una madre, senza un padre...Senza nessuno che mi aspettasse dopo un'intera giornata spesa a gelarmi per le strade di Parigi nel tentativo di guadagnarmi qualcosa da mettere sotto i denti. Credi che avessi ancora tutte queste speranze per la mia esistenza?? L'unica speranza sei tu, con tutti i tuoi pregi ed i tuoi difetti! E quella luce che mi hai letto negli occhi...sappi che si è accesa soltanto quando...ho conosciuto te."

"Constance..."

"Ti prego, quindi...Non aggiungere altro. Torna ad essere il mio Louis. Non voglio nulla in più, soltanto te. Troveremo il nostro equilibrio ma...non lasciarmi la mano, Louis. Non lasciarla proprio adesso che ti amo."




Si accoccolò sul suo petto, affranta e senza attendere risposta.
Voleva piangere ma trattenne le lacrime poiché temeva che Louis avesse potuto fraintendere di nuovo.
Col batticuore attese una sua mossa.



E Louis c'impiegò effettivamente diversi minuti ma alla fine quella risposta arrivò. Nell'esatto istante in cui intrecciò le sue dita con quelle della fanciulla.





"Non lo farò, Constance." - Sospirò - "Se è così che stanno le cose non ti lascerò la mano. Sai che t'amo anche io."




Non era forte abbastanza per abbandonarla, era questa la verità. L'amava e la desiderava troppo per consentire ai suoi buoni propositi di avere la meglio.
O forse era soltanto un egoista perché, dopotutto, non poteva davvero considerare la sua vita senza di lei.
In ogni caso, non ebbe coraggio a sufficienza per dire basta.

O forse non si trattava di coraggio: semplicemente non lo voleva davvero.





Il cuore di Constance, nel mentre, perse un battito di fronte a quelle parole.
Finalmente sospirò, sollevata, e sfiorò il dorso di quella mano con cui Louis la stava stringendo.

Louis, al suo fianco, s'irrigidì quasi subito.
Constance lo guardò perplessa prima di comprendere. Prima di percepire, al tatto, una superficie ruvida e sconnessa. Allora abbassò gli occhi e scoprì le ferite che il giovane si era procurato qualche ora prima, prendendo a botte un muro per non prendere a schiaffi se stesso. Erano appena più pulite, curate. Ma comunque lucide ed evidenti, la carne rigonfia e le macchie del suo sangue stampate sulla pelle arrossata.





"Louis!" - Si allarmò - "Che cosa hai fatto, che è successo?!"



Sorrise.



"E' successo che....sono uno stupido, amor mio."
"Ma che dici? Tu...ti sei fatto male! Che ti è accaduto?!"

"Nulla..."
"Mi dici una bugia."
"Se ti dicessi la verità cosa cambierebbe? In fondo, non ti sto mentendo...Sono davvero uno stupido."
"Che significa, non ti afferro!"
"Sono stupido perché...volevo mostrarmi forte. In realtà senza te...mi risulta difficile. Sono un buono a nulla. Ed ora basta domande, per favore. Dormi piuttosto, dormi e non pensarci. Mi troverai qui  al ritorno..." - Commentò ancora, sorridendo.







Cosa vuoi che me ne importi del dolore e dei tagli, Constance, quando ci sei tu?
Ci sei tu accanto a me, di nuovo.






Lei lo guardò, perplessa e turbata.
Per ciò che la riguardava, avrebbe costretto Louis ad immergere le sue povere mani in una tinozza di acqua fresca e le avrebbe ripulite con le sue erbe mediche finché non avesse colto i primi segni del miglioramento.
Ma Louis la stava stringendo in un abbraccio che non era semplicemente d'amore.
Le stava dicendo "Non pensarci. Non adesso ti prego...Domani e soltanto domani..."


Adesso voglio stare con te.





Ed allora, l'assecondò a malincuore, ancora una volta, tornando a poggiare la testa sul suo petto.
Non si addormentò, comunque. Non subito almeno. Piuttosto fissò il vuoto per un tempo indefinito mentre il respiro finalmente regolare di Louis riempiva il silenzio intorno a loro.

Ma neppure per un istante scostò la sua mano da quella dell'amato: poiché avrebbe dovuto sapere che, anche nel dolore, lei ci sarebbe stata comunque.
Ed avrebbe combattuto per entrambi.










*










Louis non mantenne la promessa poiché al suo risveglio Constance non lo trovò accanto a sé.
Tuttavia, la colpa doveva essere sua certamente: il sole era già alto nel cielo quando riaprì gli occhi. Poteva essere quasi mezzogiorno, o appena prima.



Louis aveva da fare, ovviamente.
L'aveva lasciata a malincuore, ne era certa, per cui non si dispiacque particolarmente.
Appena possibile l'avrebbe riabbracciato. Ed avrebbe curato quelle stupide ferite che si era procurato per causa sua, ovviamente.


Soltanto questo contava.
Il loro amore, la loro unione. Per quanto complicata fosse.



Dunque, rinfrancata da quella consapevolezza, si decise infine ad alzarsi.
Ed allora, nel voltarsi, qualcosa attirò la sua attenzione: un luccichio poco familiare proveniente dal vicino comodino.



Allungò quindi la mano ritrovandosi, tra le dita, un anello sottile e brillante, impreziosito da una pietra scura, dal taglio antico.
Le ricordava certi anelli che aveva visto quand'era più piccola e lavorava per i suoi nobili signori, i Conti de La Chapelle.




Accanto all'anello, ritrovò un biglietto scritto di proprio pugno da Louis:






"Un mio amico (un caro amico...spero di fartelo conoscere, presto o tardi) ieri mi ha fatto ragionare.
Mi ha detto che, almeno in Amore, dovrei smettere di fare il rivoluzionario. Ed essere più romantico.

Temo che Maximilien abbia ragione ma non sono molto capace con certe faccende. Quindi, approfitto
del fatto che tu stia ancora dormendo per lasciarti quest'anello.
Se fossi sveglia non avrei altrettanta presenza di spirito per farti questa dichiarazione.



Mia madre me ne fece dono tempo addietro, quando ancora mi rivolgeva
la parola,  nella speranza che lo regalassi, a mia volta, alla fanciulla che avrei preso in moglie.
Finora, le sue speranze non hanno mai trovato fondamento nella realtà...Ma forse dovrei scriverle che l'ora è giunta.

Che ho trovato la mia sposa.
Anche se l'ho già fatta soffrire molto.
Sono un essere orribile. Pensare che soltanto stanotte ho cercato di dirti addio.
Ovviamente sono uno stupido, sapevi che non ce l'avrei mai fatta veramente...Per fortuna, non mi hai neppure considerato!




Comunque sia...
Tu che ne dici?
Vorresti essere mia moglie, per davvero?

Se mi dirai di sì, dovrai soltanto attendere che
questa guerra finisca. E dopo ci sposeremo. Anche in chiesa, te lo giuro, e non lo dico per compiacerti.
Lo dico perché lo voglio anche io, perché voglio renderti felice.



Buon risveglio, amor mio. E quando torno pretendo di vederti quell'anello al dito, sappilo.
Quindi, pretendo una risposta affermativa.

Ti amo,

Tuo per sempre
Louis."






Constance sgranò gli occhi e battè le palpebre per un po' prima di realizzare il contenuto di quella lettera ed il significato del dono in sé.

Alla fine, riacquistando un minimo di lucidità, infilò l'anello al dito, così come le aveva esplicitamente chiesto Louis.
Non avrebbe certamente deluso le sue aspettative. Una promessa era una promessa e quella pietra scura aspettava null'altro che di brillare sull'anulare della giovane.


Nell'indossare quel prezioso cimelio, ricominciò a piangere.

Sbuffò, emozionata, dandosi della stupida.
E della sentimentale.
E rimproverandosi perché Louis non avrebbe voluto vedere altre lacrime. Piuttosto, desiderava osservarla mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso sincero.


Ed allora accadde anche quel miracolo poiché Constance prese a ridere e sorridere e piangere contemporaneamente.
Era forse impazzita?

Ma no, certo che no.
Piuttosto, si disse che forse, stavolta, anche Louis avrebbe accettato quelle lacrime.
E le avrebbe restituito un abbraccio in dono, piuttosto.



Poiché, per una volta, le sue erano lacrime di gioia ed anche lui l'avrebbe saputo.
Gliel'avrebbe suggerito il suo cuore.






"Lo voglio Louis...Voglio diventare Madame de Saint Just."
- Mormorò infine a quella stanza silenziosa che sapeva di loro due.

















Capitolo di trambusto.
Le cose non avrebbero potuto andare sempre così lisce, vi pare? E dunque questi due un po' litigano, un po' si amano, un po' immaginano di doversi lasciare...Ed alla fine non ci riescono per davvero.
Sono stravaganti, lo so! Ed anche incasinati...Cambiano idea ogni due minuti...Sono combattuti. E sono innamorati! ;)




Dunque...Piccolo ringraziamento alla canzone dei Subsonica di cui sopra (immagino la conosciate tutte) che si è prestata così gentilmente come musa ispiratrice per il capitolo.
Detto questo, noticina storica:


Nel 1794, tale Michelet, affibbiò a Saint Just (quello vero) il nome di Arcangelo della Morte per tutta una serie di eventi (tra cui la morte di Luigi XVI) che non posso spiegarvi adesso...Verranno più in là. In ogni caso, ho ripreso questo "simpatico nomignolo" prendendomi la licenza di soprannominarvi il mio di Louis con un anno di anticipo (vi ricordo che in questo capitolo ci aggiriamo intono al Febbraio del 1793) tanto per rendervi idea del personaggio con cui avete a che fare.
Doveva essere proprio un bel tipino, Louis...Se fossi stata al posto di Constance anche io ci avrei perso la testa, probabilmente! xD
(in realtà l'ho già persa, altrimenti perché scrivere una storia su di lui? ^^)
Anche la storia sul regime vegetariano e sulla necessità di bandire gli individui senza amici dalla Francia è reale.
Il vero Louis sbalordì la Convenzione più volte anche con altre teorie: per esempio, proclamò il divieto assoluto delle donne vergini di camminare da sole per strada o la necessità di sciogliere i matrimoni che dopo sette anni non avessero prodotto figli.
Lo so, era pazzo. Anche io quando l'ho letto sono rimasta così O__O

Ah, in questo capitolo facciamo anche la conoscenza di Monsieur Robespierre. Ovviamente, anche lui un personaggio realmente esistito della Rivoluzione ma non sto a dirvelo perché tutte saprete qualcosa a suo riguardo...A scuola il suo era il primo nome che s'imparava riguardo la Rivoluzione Francese! :)
Anche il suo soprannome, "L'incorruttibile", è reale. Di norma, viene citato in questo modo nei documenti storici :)




Adesso passo a rispondere alle recensioni...Grazie per il sostegno ragazze, sia qui su Efp che su Fb...
Siete carinissime :)


Un bacio
La vostra Matisse.








Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


louis9
La guardavo nel buio della notte.
La guardavo e sorridevo...

Per un tempo infinitamente lungo.
Infinitamente nostro.
Profondamente felice.

Poi, non l'ho vista più.












Al di là del nostro amore












Aprile 1793




Constance contava i giorni.
O, per meglio dire, ne contava i minuti. Poi le ore, con devozione e minuziosa precisione.
E quando giungeva la sera, sospirando, ringraziava Dio per averle donato la forza necessaria per superare l'ennesima, orribile giornata.
Perché seppur con lentezza esasperante, era finita senza che lei decidesse infine di votarsi al suicidio.



Dunque, non poteva far altro che rassegnarsi, pazientare e pregare, la piccola Constance. E poi dormire e mangiare meccanicamente ed ancora pregare.
Da sola.


Senza la luce di quel sorriso furbetto e delizioso che soltanto lui sapeva rivolgerle.
Senza le sue braccia forti pronte a riscaldarla in ogni momento di quelle lunghe notti primaverili, paradossalmente più buie e terrificanti da quando se n'era andato.
Senza quel bacio del buongiorno che sapeva offrirle, ogni volta, il più dolce dei risvegli.


Senza Louis, in altre parole.




Costance era certa di impazzire.
Se lui non fosse tornato nel più breve tempo possibile, avrebbe dato di matto. Avrebbe preso a piangere in maniera forsennata. Non com'era solita fare nel silenzio della sua casa, in altre parole, bensì urlando e chiamandolo a gran voce finché non avesse fatto di nuovo il suo ingresso da quella maledetta porta.



Stava perdendo la pazienza e la sua proverbiale gentilezza la piccola Constance.
Perché la Rivoluzione s'era portata via Louis un'altra volta e per un tempo più lungo: già da un mese e mezzo si trovava lontano da lei, presso le Armate del Reno, così come stabilito - con fermezza e totale egoismo - dalla Convenzione e questa volta lei non ce l'aveva fatta a digerire in silenzio quel boccone amaro.
A distanza di oltre un mese ancora ricordava la sua reazione di fronte alle parole di Louis.


Quella sera era rientrato più tardi dal lavoro e con aria decisamente affaticata.
Provata.
Inizialmente Constance non aveva compreso quel suo sguardo accigliato e confuso e si era preoccupata, chiedendosi cos'avesse potuto turbare a tal punto il proprio innamorato da costringerne le belle labbra ad una smorfia di dolore.
Proprio lui, sempre così impenetrabile.
Successivamente aveva afferrato: nessun evento catastrofico in generale. Semplicemente, Louis temeva il suo disappunto di fronte a ciò che avrebbe dovuto dirle.




"Constance, devo partire." - Esordì.
"Partire? Per dove?" - E già la  voce della fanciulla appariva incrinata. Aveva avvertito il pericolo, la piccola Constance.


"Raggiungo le Armate del Reno. La Convenzione mi ha designato commissario in carica a rappresentanza del dipartimento dell'Aisne. Pare che ci siano un po' di tumulti ed è necessario ripristinare l'ordine e reclutare nuovi soldati prima che..."



Louis aveva continuato a parlare, spiegandole con estrema professionalità tutti i dettagli  della sua missione. Ma Constance neppure l'aveva ascoltato: la sua attenzione si era fermata ad "Armate del Reno" e dopo l'aveva abbandonata.



Louis avrebbe dovuto fare...cosa, esattamente?




Raggiungere le truppe al fronte?
Qualcuno - forse lo stesso Louis, tempo addietro - le aveva detto che c'era una guerra in atto, che i francesi stavano combattendo contro molti popoli nemici per portare avanti la causa rivoluzionaria.

Ma Louis non era un soldato: di professione era ancora un avvocato, a dirla tutta.
Che diamine c'entrava lui con la guerra?




"Constance, mi stai ascoltando?" - Aveva quindi aggiunto lui, indagando con perplessità lo sguardo vacuo della propria giovane fidanzata. Tanto assente mentre fissava un punto indefinito che chiunque, al posto suo, avrebbe finito col preoccuparsi.
"Tu..." - Aveva ad un certo punto mormorato la giovane, tanto impercettibilmente che Louis, per un attimo, si era convinto che in realtà non avesse mai parlato - "Tu cosa...?"
"...Devo....devo partire." - Confermò.


"Louis...Che...Quando? Perché?! Louis, perché!?" - Aveva preso ad urlare senza neppure rendersene conto e, nella foga del momento, mentre la vista le restituiva tutt'altri paesaggi rispetto a ciò che la circondava, aveva travolto il tavolo della cucina, sbatacchiato porte e sedie.
"Constance, calmati..."





La mani protese di Louis.
Protese verso di lei.
Una trappola. La sua salvezza.




"Non chiedermi di calmarmi! Non chiedermelo!"


Una trappola, in conclusione.
Lo spinse via.




"Che ti salta in mente?! C'è la guerra, è pericoloso!"
"Non importa. E' un ordine maggiore."




Il suo sguardo si era fatto duro.
Constance sapeva che sarebbe andata a finire così.



"Ordine di chi? Di quei quattro pazzi più incoscienti e folli di te?!"



L'aveva detto, infine. Ed era riuscita persino a non pentirsene.
Per i primi cinque minuti, almeno.


"Quei quattro pazzi, come dici tu..." - Aveva sputato lui astiosamente - "...stanno salvando la Francia intera dall'usurpatore, Constance. E se tanto t'importa, io sono il quinto di quei folli incoscienti che tanto disprezzi."




Di fronte a tanta incorruttibilità, Constance gli aveva dato le spalle dunque, e prima che le gambe smettessero di sorreggerla, si era poggiata al legno scuro e massiccio del tavolo cercando riparo. E non avrebbe voluto farlo ma aveva preso a piangere come una bambina, sussultando ad ogni singhiozzo.
Disperata.
Louis aveva atteso qualche istante prima di raggiungerla costringendola a voltarsi contro la sua volontà.
Costringendola a guardarlo in quegli occhi scuri che a volte le facevano paura.



"Perché piangi?"
"Perché te ne andrai...E'...è pericoloso, Louis." - Aveva mormorato ed a Louis il cuore si era stretto in una morsa, dimenticando immediatamente la rabbia di poco prima, perché la piccola Constance sapeva - in certe occasioni - fargli ancora più tenerezza del solito.


Quando lo guardava con quegli occhi lacrimosi, così pieni di una premura che mai neppure sua madre aveva mostrato nei suoi confronti, Louis non riusciva più a riconoscere in lei la giovane fioraia indipendente e sicura che aveva conosciuto in un giorno di nebbia di neppure sei mesi prima, né la fanciulla appassionata che ogni notte gli regalava se stessa ed il proprio cuore.
Neppure gli sembrava di avere a che fare con la stessa donna che cucinava per lui e, ridendo, abbottonava con fare amorevole il suo cappotto affinché non prendesse troppo freddo uscendo di casa.


In quei momenti in cui Constance piangeva  - piangeva per lui - tornava ad essere la bambina che Louis non aveva mai conosciuto. Indifesa ed ingenua, ancora tremava stando tra le sue braccia.
Ed il suo cuore si spezzava di fronte a tanto dolore.


"Non vado a fare io la guerra, amore mio." - L'aveva quindi rassicurata a ben ragione, lasciandole un bacio tra i capelli. - "Dovrò soltanto controllare i soldati e reclutarne di nuovi. Sta' tranquilla."
"Ma..." - Aveva tirato su col naso, un po' comicamente.
"Ma niente...Sarò di ritorno prima che tu stessa possa sentire la mia mancanza." - Le aveva promesso. Sfiorandole l'anello di fidanzamento con un bacio, aveva infine aggiunto:


"Giuro solennemente sul simbolo della nostra unione che non mi accadrà nulla, Constance. Ti prego, abbi fiducia in me. Non facciamoci di nuovo la guerra, sarebbe soltanto un problema in più su quelli che già ci tengono lontani."



Aveva parlato con così tanta convinzione e sincerità che Constance era finita col capitolare fin troppo facilmente.Quelle parole di supplica sapevano di comando e contro un tono tanto risoluto lei non avrebbe potuto nulla.
Addirittura, si era maledetta mille volte per aver pianto così scioccamente, per aver ricominciato con le discussioni ed i perché, proprio lei che aveva pregato Louis di venirsi incontro soltanto poco tempo prima. Proprio lei che gli aveva detto "proviamoci" con una sicurezza che non le apparteneva per davvero.




Ma, col senno di poi, era finita viceversa col darsi della stupida.
Perché, piuttosto, si era colpevolizzata del nulla quando era stato Louis, ancora una volta, a mentirle.



"Tornerò presto", le aveva assicurato.

Eppure, dopo un mese e mezzo, di lui neppure l'ombra.
Solo un biglietto che qualcuno, dalla Convenzione, le aveva inoltrato in busta sigillata e laccata, con tanto di indirizzo e destinatario, un giorno in cui la pioggia aveva sotterrato ancora di più il suo già precario ottimismo:




"Costance, amor mio,
la missione si è protratta a sorpresa per un periodo di tempo maggiore.
Le truppe necessitano di supporto e disciplina

ma l'umore è tornato alto ed ho buoni auspici per il futuro.
Ti chiedo soltanto di portar pazienza ancora per un po' e di stare a cuor leggero: non corro alcun pericolo,
sono completamente al sicuro qui. Gli ufficiali sono molto rispettosi della mia persona e farebbero di tutto per evitare che
possa incappare in qualsiasi tipo di problema.

Nel mentre ti rinnovo il mio sincero amore. Ti amo e nessun'altra persona a questo mondo vale quanto te per il mio cuore.

Spero potrai perdonare la mia assenza. E quel giuramento cui non ho potuto tenere fede, mio malgrado.
Accoglimi con uno dei tuoi splendidi sorrisi quando tornerò, te ne prego.


Con immenso amore,
tuo Louis."






E ancora continuava a prendersela con se stessa Constance, in quella mattinata di fine Aprile del 1793, poiché, se Louis si fosse finalmente deciso a tornare a casa quel giorno, gli avrebbe comunque sorriso per davvero, piuttosto che prenderlo a schiaffi.
Perché, in fin dei conti, tutto ciò che contava era riabbracciarlo.
Guardarlo negli occhi mentre lui le diceva ti amo, ancora una volta.



Forse era questo che le mancava di più: la voce del suo Louis.
Così profonda.
Così melodiosa.
Così maledettamente sua.




Stanca di aspettare, di disperarsi, di contorcersi di dolore per quell'amore che sapeva riempirla e distruggerla al contempo, quel mattino Constance afferrò lo scialle di filo - cominciava decisamente a far più caldo - e, contravvendendo all'ordine imposto da Louis di uscire soltanto se strettamente necessario, si arrischiò tra le strade di Parigi.

E sì, "arrischiarsi" era il termine esatto poiché la sua città, da qualche tempo a quella parte, non era più il posto sicuro, ridente e luminoso, in cui era nata lei. Troppi furti, molte vetrine infrante, qualche omicidio: nel nome del pane. La gente aveva fame, per mangiare avrebbe rinnegato persino i propri figli, mariti, mogli, nipoti.
Le facce arcigne delle massaie parlavano della difficoltà che ogni giorno quelle povere donne incontravano nel doversi inventare un pranzo sufficientemente sostanzioso per sfamare i bambini o il proprio coniuge. Il peggio era quando non c'era proprio nulla su cui ingegnarsi, neppure un misero tubero da cui tirar fuori la minestra calda.

I ragazzini avevano occhiaie profonde e colli troppo sottili: non uno che ridesse, come avrebbe dovuto, alla sua età.

E quanti uomini la stessa Constance aveva visto morire di stenti e malattie? Uomini un tempo vigorosi, che avrebbero dovuto essere nel pieno delle proprie forze e della propria gioventù, ora seppelliti sotto cumuli di terra, in fosse comuni, senza onore e sentimento.

A pensarci - ed a confronto - la sua vita era un Paradiso.



Tuttavia, quel mattino, Costance decise di dimenticare quanto fosse diventata improvvisamente drammatica la situazione.
Piuttosto, il sole rideva sulle acque scure della Senna e nell'aria c'era quel buon profumo di primavera che tanto le era stato caro in passato, quando di professione faceva la fioraia ambulante e l'avvento della nuova stagione le consentiva di vendere maggiori varietà di fiori. Specie alle giovani spose che si apprestavano alla loro nuova e gioiosa vita colma d'amore.

Si aggirò quindi curiosa tra le stradine strette che conosceva così bene ma guardandole, adesso, con l'occhio curioso di chi ritorni alla casa natale dopo un lungo periodo e voglia coglierne le differenze rispetto ai ricordi offerti dalla memoria.
Annusò con più calma gli odori di quel mercato ormai sprovvisto di fin troppi beni di prima necessità e contemplò per un tempo infinitamente lungo le acque calme di quel fiume che trapassava la città finché un moto non ben definito non finì col spingerla verso un posto particolarmente familiare: la sua casetta logora e buia verso la Tuileries.

Tornò a scalpicciare su quel selciato sconnesso che fin troppo bene conosceva e toccò con mano i muri grezzi e ruvidi della abitazioni circostanti. Guardò con un sorriso doloroso alle vecchie signore che impagliavano le sedie all'ingresso delle proprie case ed ai monelli sporchi che giocavano a rincorrersi incuranti di travolgere i passanti ed allora ricordò i suoi giorni tristi quando, ormai orfana di madre, aveva soltanto quelle brave genti a farle compagnia.
All'epoca - soltanto pochi mesi addietro e prima ancora dell'avvento di Louis - costituivano tutta la sua famiglia.



Per questo non arretrò - e sorrise piuttosto - quando una voce gentile chiamò il suo nome.


"Constance? Constance, sei proprio tu?"


Si voltò nel medesimo istante incontrando gli occhi ridenti di Charlotte.
Lotte: la figlia dodicenne di Marie, quella vicina di casa che aveva piantato per strada qualche tempo prima perché aveva osato - a suo dire - infangare il buon nome di Louis senza neppure conoscerlo



"Tesoro..."


Constance era sempre stata particolarmente legata a quella ragazzina: le voleva bene come se si fosse trattato di una sorellina minore e le era dispiaciuto non salutarla al momento in cui aveva lasciato la propria casa per approdare nella dimora di Louis.
Rivederla fu quasi un colpo al cuore: il modo in cui le gettò le braccia al collo la commosse inevitabilmente.


"Come stai Constance? Non ti ho più vista....io..."
"Lo so, lo so sono sparita...Ti chiedo perdono piccola mia, io...ti ho pensato tanto comunque. Lo sai?"


Lotte annuì, convinta.


"Lo so...La lontananza non cancella l'affetto."
"Quanto sei diventata giudiziosa..." - Sussurrò carezzando il viso delicato della fanciulla.
"Sto diventando grande!"
"E' vero..."






La crescita, il cambiamento.
Tutto ciò che le girava attorno stava mutando.
Mentre lei...
Le sembrava soltanto di aver mosso dieci passi in avanti e mille all'indietro.
Era davvero così?








"Constance!"


La voce di Marie le arrivò chiara e precisa.
Faticò non poco prima di sollevare lo sguardo nella sua direzione: si era comportata male con lei. Aveva paura di scoprirla corrucciata ed a ben ragione: dopotutto l'aveva allontanata sgarbatamente senza mai ripresentarsi a chiederle scusa.


"Constance! Non mi guardi neanche più?"

"Marie...io..."

L'abbraccio in cui la donna la strinse a sé dissipò qualsiasi dubbio: non ce l'aveva con lei.
Almeno non più.


"Mi sei mancata, piccola disgraziata! Ho capito che ormai non vivi più qui ma un saluto di tanto in tanto avresti potuto venire pure a farcelo!"
"E' vero...Però..."
"Diane! Rosalie! Accorrete! La nostra piccola Constance è venuta a salutarci!" - Marie non le diede neppure il tempo sufficiente per parlare e spiegarsi: era, piuttosto, così felice di poterla rivedere che prese a chiamare a raccolta l'intero vicinato.

E così, in meno di un minuto, Constance si ritrovò preda felice di mille amorevoli braccia. Le stesse che l'avevano cullata e stretta al cuore nei giorni bui della morte di sua madre. Le stesse che l'avevano serrata al petto mentre la piccola fioraia piangeva e si rifiutava persino di mangiare quel poco che ci si poteva procacciare in giro.
Constance non avrebbe mai dimenticato che era pure merito dell'anima pia di quelle signore se lei ancora respirava, parlava, si muoveva.
Viveva, in altre parole.



"Ma quanto sei bella? Sei ancora più graziosa dell'ultima volta in cui ti ho vista!"
"Che dici Rosalie? Constance è sempre stata bellissima!"
"Marie, non fare la mamma chioccia! Lo so benissimo anche io che è sempre stata uno splendore...Tutta sua madre..." - Commentò Rose carezzandole la chioma scura. - "Ma adesso...Lo è ancora di più."
"E' l'amore che fa bene a questa piccina?" - Domandò Diane con un sorrisino che lasciava intendere molte cose.


Anche Constance sorrise ma tristemente poiché sapeva che il suo amore di comune e prevedibile non aveva proprio un bel nulla. Sprazzi di romanticismo e passionalità intensa quanto distruttiva si accompagnavano ad istanti di delirio e sofferenza, devastazione e solitudine.
La giovane non era ancora propriamente convinta che quel sentimento che l'ancorava Louis le facesse davvero così bene eppure...eppure non poteva farne a meno. Questo punto era sostanzialmente indiscutibile.



"Allora? E' merito dell'amore?" - Incalzò Lotte ridendo. Era sempre stato un tipo romantico, nonostante la giovane età, e certi discorsi le interessavano enormemente.

"Ecco....sì. Diciamo di sì." - Le guance le si colorarono di rosso vermiglio. Qualcuna, tra loro, rise di fronte a quell'evidenza.

"Io lo sapevo!" - Strillò infine Diane, felicemente - "Lo sapevo che quel giovanotto che ti aveva portata via fosse il tuo fidanzato! E come si chiama, trésor?"


"Io..."
"Su! Non essere timida...Raccontaci di lui!"

Prese coraggio.


"Si chiama Louis...Louis de Saint Just."
"Che nome importante! E' forse un nobile?" - Domandarono quasi all'unisono.
"No...Non direi."
"E dunque? Come vi siete conosciuti? Raccontaci tutto!"
"Dove vivi adesso, soprattutto?"


Constance sussultò. Ovviamente non avrebbe potuto raccontare la verità: vivere con un uomo era qualcosa di assolutamente licenzioso per l'epoca. Vergognoso ed illecito. Costrinse, pertanto, la sua testolina a partorire nel più breve tempo possibile una scusa sufficientemente credibile da esporre con voce altrettanto certa e priva di tentennamenti:


"Presso una sua zia vedova. Vivo con lei in attesa del...matrimonio."


Si morse la lingua troppo tardi. Nell'ansia di apparire credibile aveva detto più del dovuto.


"Matrimonio? Oh mio Dio piccola Constance! Ti sposi?!"


Di nuovo mille braccia tornarono a stringerla e troppi baci delicati si persero sulle sue guance rosa. Chiuse gli occhi mentre si lasciava trasportare da tanto irruento amore ed alla fine ridacchiò, incapace di fornire una risposta a tutte le domande che le sue comari affettuose le stavano rivolgendo.


"Quando ti sposi?"
"Ed il vestito?"
"Sarà di broccato d'argento, Constance? Sarà di broccato come quello delle principesse?"

"Oh Lotte...non lo so. Non c'è ancora una data..." - Rispose gentilmente alla bambina carezzandole i capelli. Il suo anello di fidanzamento finì inevitabilmente in bella vista ed altri gridolini di gioia l'accolsero.


"Oh Signore! Constance, figlia mia...quest'anello! Oh....è meraviglioso!"
"E' così elegante...E' ricco il tuo fidanzato, tesoro?"
"Che mestiere svolge?"



Giusto.
Che mestiere svolge, Constance?



"Lui è..."


Laureato in diritto all'università di Reims.
Quindi...



"Avvocato."

"Ooh!" - L'espressione di ammirato stupore con cui quattro paia d'occhi la fissarono la costrinsero a volgere lo sguardo altrove, respirando piano.
"Constance...Che...che fortuna!"
"Tesoro? Ci inviterai al tuo matrimonio, è vero? Oppure ti dimenticherai di noi?




Bastarono quelle poche parole per ferirla dritto lì.
Al suo cuore.
Sussultò nell'ascoltarle e, piuttosto, volse lo sguardo verso Rosalie che aveva appena formulato una domanda tanto stupida quanto agghiacciante.



Davvero pensavano questo di lei?
Che avrebbe potuto cancellarle dai suoi ricordi e dalla propria vita con un semplice colpo di spugna?
Davvero la credevano così ingrata e superficiale?

Constance si chiese in base a quali motivazioni.

Forse perché era scomparsa senza una parola, perché Louis l'aveva risucchiata in un'altra dimensione, fatta di Amore e Rivoluzione, dove lei affogava e riemergeva di propria volontà?

Ma certo, era andata proprio così.

Dunque, la colpa era sua...Ancora una volta.
Com'era sua la colpa di non riuscire a cambiare il proprio amore.
Di non riuscire a rendersi per lui l'unica, la prima nella scala delle priorità e dei valori.



Fu così che, preda dei rimorsi e di troppo, improvviso dolore (maledetta consapevolezza di se stessi!) una lacrima prepotente varcò il limite dei suoi occhi alla ricerca delle sue guance e poi del suo mento.
Fino al collo.




Dimenticarmi di voi?
Del vostro affetto, della vostra confidenza, del vostro buon umore?
Significherebbe dimenticarmi della mia mamma, delle mie origini.

Di questa stradina buia dove il sole non arriva mai, neppure nei giorni più luminosi dell'estate.
Di questa stradina buia dove c'era la mia casa, dove ho perso la mia famiglia, dove ho patito la fame.
Dove ho vissuto i primi momenti della mia storia con Louis.


No. Non potrei mai dimenticarmi di voi.
Mai.



"Sarete le prime a saperlo..." - Rispose ad un certo punto, cercando le parole giuste, tirandole fuori dalla gola come sanguisughe appiccicate alle corde vocali. Voleva essere forte: non vi riuscì: l'emozione la sopraffece. Si commosse, inizialmente. Dopo pochi minuti quelle poche lacrime si tramutarono inevitabilmente in un fiume in piena, senza che neppure lei potesse spiegarne il motivo.
Quantomeno si coprì gli occhi mentre singhiozzava: voleva risparmiarsi la vergogna di mostrare i suoi begli occhi ormai rossi per troppo, accecante dolore.


Le care amiche che la circondavano dapprima non compresero il perché di una simile reazione: erano così felici che Constance avesse finalmente trovato la sua strada, che qualcuno l'avesse infine fatto dono di quell'amore che da troppo tempo le era stato sottratto, che davvero tutte quelle lacrime apparivano effettivamente irragionevoli. Ma erano tanto sentite e così forti quei singhiozzi che pure Lotte prese a piangere sommessamente, senza un motivo.
Forse solo per solidarietà femminile.


Marie fu l'unica in grado di osservare la propria pupilla con uno sguardo di ragionevole consapevolezza. Ancora una volta Constance riconobbe in lei quelli che definiva come i "sintomi della mamma". Marie aveva la medesima capacità di comprendere senza sapere, cui l'aveva abituata sua madre Angelique, anni addietro, quando qualcosa feriva incondizionatamente la sua giovane figlia ma quest'ultima fingeva comunque di star bene, per non farla preoccupare.
In quei momenti Angelique non aveva bisogno che Constance aprisse bocca per spiegare: sapeva già tutto prima che l'interessata si decidesse a parlare.

Dunque, quando Marie, senza alcun preavviso, attirò la fanciulla verso di sé, quasi cullandola, nel medesimo istante la giovane ritrovò in lei la sicurezza della sua mamma. Quella capacità che aveva di consolarla come se conoscesse perfettamente il motivo di tanto dolore, anche se poi, nella realtà dei fatti, lo ignorava.

Ed allora si accasciò sulla spalla della donna, cercando in lei un po' di pace.

Intorno a loro, nessun'altra fiatava, come se quel momento di assoluta irrazionalità necessitasse di un silenzio quasi reverenziale poiché, per quel giorno - e soltanto per qualche ora - una povera orfana aveva ritrovato l'affetto ed il calore di una madre.


"Piangi..." - Mormorò Marie d'improvviso e molto teneramente - "Piangi amore...Che dopo tutto si sistemerà."


Constance annuì, senza rispondere e tirando su col naso.
Per quell'istante non c'era altro che desiderasse fare che credere alla sua bugia.









*








Rientrò che fuori era già buio.
Inorridita all'idea di dover trascorrere l'ennesima notte in solitaria, aveva rimandato il momento del ritorno finché l'ultimo raggio di sole non era scomparso al di là delle aberranti casupole parigine ed allora aveva realizzato quanto effettivamente fosse tardi. Troppo tardi.
Così si era infine decisa a riprendere la via di quella casa improvvisamente ostile senza Louis.

Chiuse la porta alle sue spalle con un sospiro e si riavviò i capelli, temporeggiando nel muoversi lungo lo stretto corridoio, fino alla camera da letto.





Non voglio stare da sola.
Anche stasera.
Non voglio.




I passi risuonarono leggeri lungo le assi di legno del pavimento fino alla cucina. Qui, accese una candela e si decise infine ad arrischiarsi verso la stanza che tanto detestava, negli ultimi tempi, poiché rappresentava l'emblema reale della sua solitudine: non era più così facile condividere ogni notte quel letto solo con se stessa.
Infine varcò la porta con un tremito ed ancora di più tremò quando la trovò rischiarata dalla luce di molte candele, più di quanto avesse mai ricordato di possederne in casa.
Ed allora s'immobilizzò all'ingresso, incapace di proferir parola, di muoversi, gesticolare, urlare, piangere, sorridere e ridere.
Incapace di qualsiasi cosa poiché il sogno di poterlo riabbracciare si era fatto carne e realtà in maniera del tutto inaspettata.


Louis era tornato.
Ed ancora non credeva ai suoi occhi Constance mentre ne osservava il profilo perfetto rischiarato dalla luce arancione di quelle candele, mentre ne studiava le labbra atteggiate in una smorfia severa e così profondamente sua. Mentre ne contemplava le braccia ed il petto soltanto vagamente nascosti da una camicia per metà sbottonata e dalle maniche rimboccate.



"L-Louis..."
"Dove sei stata?"


Avanzò minaccioso verso di lei. O almeno fu questa la sensazione che le comunicò il suo incedere rapido e sicuro.



"A trovare delle amiche. Ti prego, non devi arrabbiarti." - Si giustificò improvvisamente colpevole.


Non le rispose. Il guizzo dei suoi occhi verdi le sfuggì d'improvviso poiché il giovane attraversò, in quell'istante, una parte della stanza in cui la luce delle candele non brillava come avebbe dovuto.


"Louis..."
"Sshh!" -




Le intimò il silenzio, come mai era solito fare.
E così, davanti a quel tono peretorio, gli occhi le si riempirono di lacrime.



Perché?
Perché arrabbiarsi? Perché punirla dopo che per un  mese e mezzo aveva atteso invano il suo ritorno?
Non aveva forse diritto anche lei ad un po' di pace?





Tu lo sai Louis quante notti ho speso ad aspettarti?
Dì, ne hai anche solo una vaga idea?
No!
Ed allora non puoi giudicarmi se nell'unico giorno in cui ho tagliato i ponti con questa casa tu sei tornato...
Io ti ho aspettato...
Ti ho aspettato in ogni singolo istante.






"Io..."
"Constance. Smettila di parlare."




Gli occhi di Louis di nuovo visibili. Il suo sguardo vacuo le fece quasi paura. Alzò le braccia come per difendersi da una minaccia invisibile quando le mani di Louis si arpionarono ai suoi polsi, stringendoli in una morsa di ferro dalla quale era impossibile sottrarsi.
Ed allora accadde.
Nessun rimprovero, nessun urlo.
E nessuna carezza.





Niente di dolce.
Niente di amaro.





Incrociò gli occhi scuri di lui e tremò in un misto di terrore e desiderio quando la baciò.
Un bacio privo di tenezza. Certamente innamorato, niente da eccepire al riguardo, ma di quell'amore che era parte del Louis cattivo, quello da cui lei sfuggiva in continuazione senza riuscirvi poiché, forse, non lo desiderava davvero.
E fu tanto irruento che dopo un istante Constance si ritrovò con le spalle al muro mentre realizzava, ad occhi sgranati, la mano di lui che le alzava la gonna velocemente, risalendo lungo le sue gambe al di sotto della sottana senza neppure guardarla.
Non si era mai comportato in quel modo tanto impudente.




"L-Louis..." - Tentò di sussurrare ancora senza riuscirvi.
"Sssh!" - Le pose una mano sulla bocca, incrociando di nuovo il suo sguardo per un momento solo. - "Non stasera, Constance. Stasera non parlare. Domani...Domani ti dirò tutto. Non stasera."





Non stasera, ti supplico.





Ed allora Constance comprese. Nello sguardo gelido e disperato al contempo di Louis, comprese la necessità che aveva di lei.
E l'urgenza che aveva di renderla sua ancora una volta per esser certo che nulla fosse cambiato, che lei era viva e reale ed apparteneva soltanto a lui.
Per le spiegazioni, i perché e le recriminazioni ci sarebbe stato tempo l'indomani, al sorgere del sole, quando la città tornava a rianimarsi e ci si scontrava con la dura realtà, ancora una volta.

Era ancora notte. E per quella notte avrebbero dovuto esistere soltanto loro due, il calore dei loro corpi intrecciati, la sincronia dei propri respiri.
Ed il contrasto, sul bianco del cuscino, tra la chioma nera di Constance ed i capelli rossicci di Louis mentre tornava ad amarla in quel letto che per troppo tempo gli era mancato.



Comprese, la piccola Constance e dunque non fece più domande.
Piuttosto, tornò ad abbandonarsi alle mani di Louis, ai suoi baci che troppo chiedevano, al tocco di lui sulla sua pelle candida.
Non chiese più nulla e per quella notte gli offrì se stessa incondizionatamente: oltre l'amore, perché quella sera Louis era addolorato e sapeva che il suo ventre ed il suo abbraccio avrebbero costituito l'unico rifugio al crudele mondo di fuori.




E così imparò la prima lezione della sua futura vita di moglie.
Una lezione che si reggeva su di un fondamento imprenscindibile: quello della devozione.








*







Il mattino l'accolse con un raggio di sole.
Constance si rigirò nel letto, ancora intontita dal sonno.
Certa di essere sola - la memoria non le aveva ancora suggerito il suo ritorno - finì col scontrarsi contro il corpo nudo di Louis.


Allora aprì gli occhi, di scatto, ed incrociò il suo sguardo.
Ancora scuro ma decisamente addolcito rispetto alla sera precedente.
Non le diede neppure il tempo di realizzare quel contatto fisico che già l'aveva attirata a sé, circondandole la vita con un braccio. Con quel suo modo meravigliosamente arrogante, tanto per ricordare al mondo intero che fosse soltanto sua.


"Mi dispiace per ...stanotte. Non mi sono comportato come il fidanzato modello che vorresti."
"Non ti comporti quasi mai come il fidanzato modello che vorrei, ad essere onesta..." - Sorrise appena, scostandogli una ciocca di capelli dal viso.

"Sei arrabbiata, lo so..."
"Anche tu lo eri ieri sera...Perché son stata via e non mi hai trovata al ritorno?"


Scosse la testa, socchiudendo le palpebre.


"Non ero arrabbiato con te. Anche se è innegabile che tu m'abbia fatto preoccupare."
"E allora cosa?"
"Avevo bisogno di te."
"E' accaduto qualcosa, Louis?"



Sospirò impercettibilmente, prima di rispondere.



Sì, è accaduto qualcosa.




"Tre giorni fa...E' morto..."
"Chi è morto, Louis?"
"Un caro amico. Un soldato conosciuto al fronte, un bravo ragazzo. Colpito in pieno petto da un colpo di fucile di quei maledetti Austriaci. Aveva moglie e figli qui a Parigi. Oggi tocca a me portar loro la notizia."

"Oh!"


Constance si portò le mani alla bocca, sorpresa. Addolorata, devastata, sconvolta.
Non poteva neanche immaginare quando grande avrebbe potuto essere la sofferenza di quella povera moglie nell'apprendere la notizia della morte del caro consorte.
Cosa ne sarebbe stato della sua vita di sposa?
E come l'avrebbe raccontato poi ai bambini?

Avrebbero compreso che il loro papà non sarebbe più tornato a casa?
In che modo?




"Louis..."
"Avevo bisogno di te, Constance. Avevo bisogno di sentirmi protetto anche io, per una volta, dopo un simile avvenimento. Avevo bisogno di sapere che ciò che conta era qui ad aspettarmi.Che non avrei atteso neanche un istante prima di riabbracciarti e farti mia. Perdona l'irruenza. Ero solamente sconvolto."
"Tu non devi scusarti..."

"Devo, perché ti ho abbandonata. Ma sappi che non è trascorso nemmeno un giorno senza che io non t'abbia pensata. Con tutte le mie forza, di giorno e di notte. Quando non riuscivo a chiudere occhio e quando infine mi addormentavo nella speranza di sognarti. E son stato esaudito, sei stata parte dei miei sogni per tutti questi quaranticinque giorni, ma nessuna immagine che possa rimandarmi la mente è mai bella come te, nella realtà."


Terminò quella confidenza in un sospiro, attendendo la reazione della giovane fidanzata.
Che non tardò ad arrivare.

Poiché ancora una volta, nell'ascoltare quelle parole così evidentemente sincere, Constance si commosse.
E dimenticò.


Dimenticò le ore trascorse in casa, da sola, ad aspettarlo.
Dimenticò i litigi, le lacrime, le recriminazioni.
Dimenticò i dubbi ed i perché.
E le parve di nuovo naturale amare Louis senza alcuna perplessità. Perché quel loro amore, così travolgente, sbagliato, irruento e meraviglioso, aveva il calore di un raggio di sole, la capacità di scaldarle il cuore, la luminosità di una stella e la perfezione del cielo nei pomeriggi d'estate.
Neppure una nuvola in lontanaza: Constance non ne vedeva più.


Tutto era tornato al suo posto, ora che Louis era nuovamente con lei.



"Va tutto bene, Louis..." - Mormorò dunque, carezzandogli di nuovo il volto. Louis socchiuse gli occhi come un gatto e lei sorrise.


"Constance?"
"Che c'è?"
"Grazie."
"Di cosa?"
"Ricordi la mia lettera? Ti avevo scritto di accogliermi col tuo bel sorriso il giorno in cui fossi tornato."



La giovane annuì.


"Sì, me lo ricordo."
"Beh, grazie...Perché lo stai facendo. Mi stai sorridendo proprio adesso e non lo meriterei."














Il 10 Luglio di quell'anno, Louis venne designato membro ufficiale del Comitato di Salute Pubblica, istituzione nata per volere diretto della Convenzione con lo scopo di sedare tutti i focolai di discordia che avrebbero potuto minare la buona pace della Rivoluzione.

Quel giorno il giovane avvocatò varcò la porta di casa con un sorriso enorme.
Constance stava cucinando quando Louis la raggiunse: saggiandone il bel viso dall'espressione sollevata e gioiosa, Constance sorrise a sua volta, felice di vederlo rilassato per una volta.



"Amor mio!"


La sollevò in braccio, costringendola ad una delle sue solite capriole per aria. La risata di Constance rieccheggiò per la casa mentre ancora la sua gonna svolazzava in giro per la cucina.

"Louis!" - Commentò ridendo quando, infine, si decise a rimetterla in terra. La testa le girava e dovette poggiarsi a lui per non cadere. - "Che ti prende? A cosa dobbiamo tanta felicità?"
"Non sei contenta di vedermi sorridere?"



Non sai neanche quanto - avrebbe voluto dirgli.


Constance annuì.

"Certo che sì...Ma adesso pretendo di sapere."
"E lo saprai, dunque. Ho ricevuto un incarito molto importante dalla Convenzione. Tanti illustri colleghi hanno fatto il mio nome affinché mi fosse affidato un simile ruolo e non puoi neanche immaginare quanto questo mi renda orgoglioso e soddisfatto del mio operato! Finalmente ricevo i meriti che mi spettano"



Constance sospirò impercettibilmente, senza farsi sorprendere.
Non voleva causare dispiacere a Louis o smorzare il suo entusiasmo ma era innegabile che l'idea che un tale atteggiamento fosse figlio diretto delle decisioni della Convenzione, ancora una volta, le causasse un enorme fastidio.



"Allora? Non gioisci per me?"
"Ma certo, certo!" - Si affrettò a rispondere, abbracciandolo un po' forzatamente. Sciocca lei che aveva immaginato Louis finalmente felice dopo aver scelto la data ufficiale delle loro nozze! - "Congratulazioni."

"Capisci?" - Domandò ancora lui staccandola da quell'abbraccio e guardandola con attenzione. Gli occhi gli brillavano per l'eccessiva emozione. - "Da oggi in poi lavorerò come membro ufficiale del Comitato di Salute Pubblica. Sono così felice, Constance...Così felice! La Rivoluzione è nelle mie mani, ormai!"



Tornò a riavvolgerla nella sua stretta.
Con tutto l'amore ed il professionale distacco della sua vita di ribelle e rivoluzionario.

Constance, dal suo canto, in quell'abbraccio caloroso finì col rabbrividire.




La Rivoluzione è nelle mie mani, aveva detto Louis.
E Constance viceversa tremò, troppo consapevole e disillusa per non comprendere.




"Ti sbagli Louis..." - Pensò dunque, senza aprir bocca - "Ti sbagli e non sai nemmeno quanto. Non sei tu ad avere in pugno la Rivoluzione. E' lei ad avere in pugno te e da troppo tempo, ormai."


















Buon pomeriggio ragazze :)

Rieccoci qui...Ormai la storia si avvia verso la fine e non vi dico neppure il magone che mi sale al solo pensarci...Ma vabbè, non voglio rattristarvi. Al di là rappresenta anche la prima storia che porterò ufficialmente a termine su questo sito ed ovviamente un po' mi emoziona questa cosa.
:)

Detto questo...qualche accennò storico.

Nel 1793 aspre battaglie si combatterono preso il Reno, al confine tra la Francia e la Germania, tra le truppe rivoluzionarie e quelle controrivoluzionarie, soprattutto viennesi e prussiane. Parte di tali truppe straniere erano già state richiamate durante le Rivoluzione vera e propria dai destituiti sovrani, affinché qualcuno venisse in loro soccorso per sedare le rivolte e ripristinare la monarchia. Ovviamente nons ervì amolto, il re venne comunque processato e condannato a morte, ma, ovviamente, gli Austriaci non potevano permettere che una loro figlia - Maria Antonietta era una principessa della casata d'Aburgo, lo ricorderete - fosse vittima degli ardori rivoluzionari di una terra non sua. Ovviamente, neppure in questo caso si riuscì a far molto: anche Maria Antonietta fu condannata a morte, nel 1794.
Comunque sia, tra il 1° Marzo del 1793 e la fine di Aprile del medeimo anno, molti esponenti della Convenzione furono inviati al confine con l'incarico di controllare le truppe - tra le quali serpeggiava un vistoso malcontento - per ripristinare l'ordine, reclutare nuove leve, scegliere i comandanti più valorosi.
Uno di questi commissari straordinari fu proprio il nostro Louis.

Per quanto riguarda l'elezione a membro del Comitato di Salute Pubblica di Louis anche questo è accaduto nel 1793 ma ho trovato parecchie date discordanti...Alla fine ho scelto quella del 10 Luglio fornita da Wikipedia perché la considero più attendibile! xD
Per inciso, il Comitato fu un organo istituito dalla stessa Convenzione con lo scopodi sedare l'attività controrivoluzionaria. Fu tale Comitato la causa scatenante della successiva fase del Terrore vero e proprio.
:)


Bene, credo di avervi detto tutto. Entro stasera rispondo a tutte le recensioni.
Prima di lasciarvi, tuttavia, vorrei linkarvi il primo capitolo della nuova originale che sto scrivendo:

Blue

Una storia di musica, amore, amicizia...La storia di un sogno e di tutti i sacrifici necessari per realizzarlo.
Mi farebbe piacere se passaste anche di lì lasciandmi un vostro parere, magari! ;)



Ora vi lascio per davvero.
Grazie mille come sempre, per tutto.

Vostra Matisse.





Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X ***


louis 10 "Come lo chiamiamo?"
"Di chi parli?"

"Nostro figlio. Un giorno ne avremo uno, no?...Almeno lo spero."


Il cuore di Constance sussultò.


In un mattino di sole, mentre contemplava la Senna placida. Ancora non si erano decisi nel scegliere il giorno delle nozze e Louis le parlava di un loro ipotetico figlio!


"Ecco, io..."


Louis ridacchiò, cingendole la vita con un braccio.
I suoi capelli ondeggiarono nel vento fresco di un inizio di Settembre in cui ancora, paradossalmente, l'estate indugiava a lasciare il posto all'autunno: qualche ciocca scivolò sul suo viso, e Constance ancora lo vide sorridere mentre allontanava i ciuffi più ribelli, tirandoli dietro alle orecchie in un gesto familiare quanto disarmante.
Era sempre così bello, così tanto da far male. Gli occhi di Constance non erano mai sufficientemente sazi della sua perfezione ma, viceversa, la bramavano ancora ed ancora come l'unica dipendenza dalla quale la giovane non avrebbe mai potuto guarire.
Louis era tutta la sua vita.

Quel giorno, inoltre, appariva così inspiegabilmente rilassato, che la sua persona risplendeva ancora di più di tanta beatitudine: Constance, per un attimo, credette di avere a che fare, piuttosto, con un angelo sceso dal Cielo.

"Mi credi davvero così senza cuore? Voglio davvero un figlio da te. Un figlio tutto nostro." - Continuò.

La strinse di più al suo petto e Constance socchiuse gli occhi, aspirandone il profumo.


"E vorrei chiamarlo Etienne."
"Come?" - Rispose lei destandosi appena.

"Vorrei chiamarlo Etienne. Vedi, per i primi quattro anni della mia vita, per vicissitudini legate a possedimenti ed altre fastidiose questioni familiari, ho vissuto con una balia ed un prozio piuttosto che con i miei genitori. Di quello zio conservo un bellissimo ricordo, mi voleva bene come se fossi stato suo, nonostante fossi una creatura piuttosto ribelle e decisamente capricciosa. Si chiamava Etienne e vorrei omaggiarlo dando un giorno a mio figlio il suo nome..."
"E' un bel nome..." - Acconsentì lasciandosi accarezzare da quel vento fresco.

Tornò a poggiare la testolina scura contro il corpo di lui e sorrise, felicemente.

"E tu? Come vorresti chiamarlo?"


Attese qualche istante, prima di parlare.
Poi, respirò a fondo e rispose sicura:


"Louis. Come l'uomo che più amo al mondo."


Louis sorrise, volgendo lo sguardo al paesaggio placido che si stagliava di fronte a lui: per quel giorno, anche la Rivoluzione sembrava essersi arrestata. Una campana suonava gentile e, in lontananza, giunse sino a loro la risata dolcissima di un bambino. Nessuno schiamazzo, nessun frastuono.

Soltanto tanta pace.


"Louis Etienne de Saint Just..." - Convenne infine. - "E' un bel nome, mi piace...Ma se dovesse essere una bambina?"
"Non lo sarà..." - Rispose Constance dandogli mano. - "Il nostro primogenito sarà un bel maschietto."








Al di là del nostro amore










La Libertà che guida il popolo - Delacroix, 1830.











Autunno/ Inverno 1793 -
Gennaio 1794







Constance pensava di continuo che dentro casa Saint Just le nubi ed il sole si alternassero con capricciosa regolarità.
Tra un bacio ed un'occhiata perplessa, tra una risata e l'improvviso malumore di Louis.

Tutto sommato poteva tollerarlo. Non era così spiacevole anche perché i momenti di felicità superavano in misura ed intensità quelli più bui.


Il problema era fuori.
Fuori pioveva in continuazione. E non solo letteralmente.

Piovevano lacrime tra le famiglie cui la Rivoluzione stava portando via i figli per mandarli a morire al fronte, in una guerra priva di senso contro un nemico sconosciuto.
Perché questi Austriaci, questi Prussiani...che lingua parlavano? Che c'entravano con la Francia e con la sua voglia di riscatto?
Le buone genti parigine, ignoranti ed affamate, questo proprio non lo capivano.



Piovevano, ancora, lacrime sui corpi dei bambini morti di fame e di stenti.



E, infine, piovevano lacrime sulle teste mozzate di decine di vittime del patibolo.
Il boia, in quei tempi, aveva il suo bel daffare e certo si guadagnava il pane onestamente poiché lavorava tutto il santo giorno. Le lame scintillanti della ghigliottina non si erano mai macchiate tanto di sangue come allora.
Lo chiamavano Terrore: era la strategia attuata dagli organi repubblicani per sedare qualsiasi focolaio che potesse minare le solide basi della Rivoluzione.


La sua parola chiave?
Repressione.
Repressione ed oblio, cui seguiva, inevitabilmente, la morte. E le lacrime.

Per Constance, tutto quel teatrino altro non era che un omicidio collettivo legittimato dallo Stato, se Stato era quella confraternita di folli votata all'altrui disperazione.

Ormai, neanche più usciva di casa: le sembrava di percepire ovunque l'odore ferroso del sangue. La folla impazzita la spaventava. E le espressioni scellerate, quasi demoniache, dei suoi concittadini accecati dal desiderio pressante di morte e devastazione, le davano il disgusto.



In ogni caso, le notizie giungevano comunque sino alle sue orecchie, pur senza volerlo.
E così apprese che la destituita sovrana - quella che un tempo era stata la sublime Maria Antonietta di Francia e che, in tempi più recenti, veniva definita semplicemente come la cagna austriaca - aveva seguito il regale consorte nel suo tragico destino il 16 Ottobre del 1793.
Allo stesso modo, scoprì che il 31 Ottobre era toccato ad un rivoluzionario - sì, proprio ad un rivoluzionario! -  rimetterci la pelle sulla ghigliottina. Il malcapitato di turno, tra l'altro, aveva un nome piuttosto familiare: Jacques Pierre Brissot, quel rivale politico di cui, nonostante tutto, Louis non le aveva mai parlato in modo sprezzante. Piuttosto, una sera a cena, le aveva confessato che se l'uomo non avesse mantenuto posizioni tanto discordanti dalle sue, avrebbe persino potuto stimarlo. Dopotutto, Jacques era un gentiluomo, onesto e leale. E teneva in grande considerazione Louis, pensava che avesse una mente pronta, una lingua lunga e grandi doti di stratega.


In ogni caso, il rispetto che Louis provava nei confronti dell'uomo non era bastato a salvargli la vita: la testa di Jacques era rotolata comunque sul patibolo in una fredda giornata di pioggia.




A seguire, anche il cugino del re era stato decapitato. Proprio lui, il buon Luigi Filippo, che aveva votato personalmente a favore della morte di Luigi Capeto nell'insulso quanto ridicolo tentativo di crearsi una facciata rispettabile ed aver salva la pelle.


Ma la morte che aveva destato più scalpore nel cuore di Constance era stata, senza alcun dubbio, quella di Madame Roland, donna di incommensurabile bellezza ed eleganza, uno spirito delicato votato all'amore delle arti e della letteratura. La giovane fioraia l'aveva intravista più volte, nelle occasioni in cui Louis le dava il permesso di portargli il pranzo alla Convenzione, ed era rimasta affascinata dall'idea di quella donna tanto bella e delicata quando coraggiosa e sicura di sè. Era in grado di aggirarsi tra i lupi famelici della Rivoluzione con la stessa disinvoltura che avrebbe mostrato ad un ballo in maschera. Al braccio di quel consorte molto più grande di lei, distribuiva sorrisi e commenti intelligenti e Constance se ne era innamorata immediatamente, considerandola come emblema della donna che avrebbe potuto essere e che non era.


"E' una Girondina." - Aveva tuttavia commentato con astio Louis nell'esatto istante in cui si era reso conto del fascino che Manon Roland esercitava, non voluto, sulla sua giovane fidanzata.
"E con questo?"
"I Girondini meritano soltanto disprezzo e derisione. Non guardarla neppure!"



Così Constance, abbattuta e delusa di fronte a tanta ostilità, aveva chinato il capo, certa, ancora una volta, che la Rivoluzione non fosse cosa sua.
Non ne avrebbe mai capito i meccanismi. Girondini, Giacobini, nobili e plebei: non erano fosse tutti figli di Dio? Perché accanirsi di fronte ad una diversa ideologia, ad un pensiero contrastante? Ognuno aveva diritto a crederla come voleva.



In ogni caso, quel giorno in cui Manon Roland aveva espiato i propri peccati da tiepida rivoluzionaria sulla ghigliottina, Constance aveva pianto sommessamente nel buio della propria stanza, dopo che Louis l'aveva lasciata dicendole di non aspettarlo, che dopo l'esecuzione avrebbe avuto da fare.
E quando, nei giorni a venire, gli aveva chiesto di lei con fare distratto - tanto per non dargli troppo l'impressione che quella donna mai conosciuta direttamente le fosse stata cara, nonostante tutto - Louis le aveva raccontato che Manon Roland, mentre veniva trascinata a morire, aveva pronunciato, dinanzi la statua raffigurante la Libertà, parole intrise di fervore e disperazione:


"Oh Libertà! Quanti delitti si commettono nel tuo nome!"




A Constance, ascoltare quel racconto - seppur per bocca di Louis che ne dava un sunto breve con aria indifferente - aveva causato un brivido  inaspettato.



C'era una tale, dolorosa verità in quale frase sconnessa, che la giovane fioraia si convinse sin da subito che quelle parole sarebbero passate inevitabilmente alla Storia.
Quella vera.






In ogni caso, la ghigliottina sembrava il male minore.
Quantomeno era autorizzata dallo Stato.
Ma Constance sapeva che, oltre gli omicidi legittimizzati, ce ne erano decine di altri molto più anonimi e silenziosi. Quelli che, provocati da canali non ufficiali e dalla pazzia scatenata della folla incontrollata, finivano nel dimenticatoio dopo due ore.


Molte fanciulle di buona famiglia erano state violentate in quelle notti in cui, tentando di abbandonare una città ormai nemica, si nascondevano con le proprie famiglie in carrozze dimesse - nella speranza di sfuggire all'occhio vigile di quelle genti più povere che tanto bramavano il sangue dei nobili - sino a raggiungere l'agognata meta. Quella dove il pericolo era ormai scampato 

Ovviamente l'accortenza raramente serviva allo scopo.



Chi aveva fatto della Rivoluzione un'ossessione, il modo unico per riscattarsi e sfogare anni di fame e soprusi, aveva fiuto ed i nobili sapeva riconoscerli sempre, anche quando si fingevano miseri borghesucci accucciati in carrozze troppo logore per le loro aristocratiche abitudini.
Ed allora, quando si riusciva a scovarli questi nobili, non si poteva degnar loro di una morte semplice. Una morte da pistolettata o coltello nella pancia, tanto per intenderci.
Nossignore, meritavano la fine peggiore. E poiché nessuna donna avrebbe dovuto morire vergine, tutte le fanciulle di età superiore ai quindici anni subivano la medesima tortura prima di spirare dicendo addio ai loro giorni migliori. Dicendo addio al profumo delle rose di Versailles, al ricordo delle sonate di Mozart nel salotto buono di casa, al sorriso della mamma mentre le imprigionava in un bustino dalle stecche di balena perché la bellezza ha un prezzo e per mostrare le forme bisogna soffrire.


E certamente non era migliore la vista di aristocratiche teste mozzate e nobili viscere portate in giro, su picche di legno come macabri trofei, dalla folla festante.

Una sera, una di queste inquietanti processioni era passata persino sotto le finestre di casa Saint Just e Louis aveva dovuto trascinare via di peso una Constance in lacrime. Per tutta la notte a venire aveva dovuto cullarla, sino a quando i singhiozzi non si erano convertiti in un tremito leggero e, dopo, in un respiro affannato. Soltanto un caso fortunato le aveva evitato di sognare quelle atrocità, altrimenti Louis avrebbe avuto il suo bel da fare per tranquillizzarla, per dirle piano che andava tutto perfettamente e non era necessario urlare perché si trattava soltanto di un incubo: in realtà si trovava tra le sue braccia e non avrebbe dovuto temere nulla.


O forse sì?




Dunque, tutto questo era la Rivoluzione.
Pianto e disperazione.
Sangue e violenza.
Una savia follia.

Ed il sorriso di Louis quando rientrava a casa, dopo l'ennesimo atto di guerra, pronto a baciarla.
Con tutto l'amore del mondo.









*









"E in che mese siamo adesso?"

Constance, quel mattino, giocherellava con le dita di Louis. Le spingeva e le piegava, intrecciando poi la propria mano alla sua, con fare distratto.
Louis, sorridendo, la lasciava fare. Piuttosto, steso nel letto su di un fianco, tenendosi il capo con la mano, osservava la sua Constance con occhio amorevole, quasi orgoglioso.
Ne contemplava la figura delicata, le forme morbide e le nudità che sfuggivano alle coperte pesanti e come sempre pensava di essere fin troppo fortunato ad averla accanto, nonostante l'essere immondo che era.



"Allora? Che mese è?" - Constance sollevò gli occhi di cristallo su di lui e Louis le scostò lentamente i capelli neri dalla fronte prima di rispondere.


"Frimaio." - Disse piano.

Constance ridacchiò.



"E' un nome buffo."
"Un po', sì..."
"Perché cambiarlo? Il calendario ufficiale non andava bene?"
"Il calendario ufficiale si chiama calendario gregoriano. Ed è enormemente legato al tema religioso. Tu sai, amor mio, che il cattolicesimo è superstizioso e menzognero. Noi vogliamo un nuovo stato libero da certi sotterfugi."
"...Libero dalla religione, in altre parole."

Louis annuì.

"Esatto, anche da quello."


Constance, titubante, fece per ribattere - dopotutto lei amava Dio, vi credeva fermamente e non comprendeva cosa ci fosse di tanto sbagliato nel pregare nel silenzio di una chiesa -  quando qualcuno bussò alla porta di casa.
Così forte che la giovane finì col trasalire.



"Aspettavi qualcuno, Louis?" - Domandò quasi preoccupata.


Louis aveva lo sguardo sorpreso e vagamente infastidito: tanta irruenza non era gradita neppure a lui.
In ogni caso, scosse la testa.


"No. Resta qui, vado a vedere io di che si tratta."


Lo guardò infilarsi rapidamente la vestaglia da camera, senza indossare la camicia da notte.
Louis detestava quel genere di abbigliamento e, a prescindere. Trovava meno disdicevole presentarsi mezzo nudo all'ospite di turno piuttosto che indossare un indumento del genere.
Quindi, Constance non s'impressionò troppo nel vederlo allontanarsi conciato in quel modo. Piuttosto, trasalì allorché una voce femminile giunse sino alle sue orecchie dall'atrio.




"E' così che accogli i tuoi ospiti?"






Una donna.
In casa mia?






"Che ci fai tu qui?" - Rispose Louis con tono non troppo indifferente. Era evidente che la visita, oltre che inaspettata, fosse anche fastidiosa.


"Buongiorno anche a te. Vedo che la tua proverbiale gentilezza aumenta a dismisura con il passare degli anni."
"Anche la tua proverbiale sfacciataggine, direi."




Proverbiale?
Passare degli anni?


Con chi diavolo stava parlando Louis?



Colta da un improvviso quanto irragionevole moto di gelosia, Constance si tuffò fuori dal letto, avvolgendosi il lenzuolo intorno al corpo.
Di indossare camicia da notte e vestaglia non si curò neppure: dopotutto, era pur sempre una donna quell'impudente che aveva osato entrare in casa sua e rivolgersi in modo tanto sgraziato al suo futuro marito, no? Quindi non si sarebbe particolarmente impressionata nel vederla conciata in modo tanto disdicevole.


Raggiunse a passi svelti l'ingresso, quindi: i piedi poggiavano sul pavimento freddo eppure Constance non riusciva a percepirlo. La gelosia le aveva causato un'inaspettata vampata di calore, a dirla tutta.
Nell'atrio, incontrò dapprima gli occhi funesti di Louis, quelli scurissimi che mostrava di solito quando qualcosa gli causava enormemente fastidio. Ma l'irritazione maggiore la provò Constante nel riscontrare la presenza, accanto al beneamato, di una donna di inaudita bellezza.

Altera ed elegante, avvolta in una mantella di ermellino, la giovane sogguardò Constance con evidente disgusto.
Neppure un ricciolo sfuggiva alla sua pettinatura austera ed accurata. Le sue labbra, carnose e rosse per natura,erano atteggiate in una smorfia disappunto così familiare che Constance, per un attimo, credette di aver già conosciuto quella donna in passato.
I suoi penetranti occhi...





...verdi....
Verde scuro.
Verdi come...



"Constance, ti presento mia sorella. Louise de Richebourg de Saint Just. Sì, abbiamo lo stesso nome. Ed anche nostro padre si chiamava Louis. Avrai compreso che l'originalità non è una delle doti migliori, in famiglia."



Constance guardò l'ospite ad occhi sgranati, incapace di proferir parole e, soprattutto, incapace di comprendere se essere più felice nell'aver appreso che quella donna non fosse un amante di Louis o più dispiaciuta all'idea di essersi fatta scoprire mezza nuda dalla futura cognata.
In ogni caso  Louis,  piuttosto che turbato dalla mise succinta della fidanzata, sembrava infastidito dalla presenza di sua sorella e proprio a lei riservò un'occhiata decisamente astiosa.
Occhiata ricambiata da uno sguardo semplicemente...disgustato.




"Ora tieni in casa anche le sgualdrine? E' raccapricciante. Pensavo di aver sentito di tutto sul tuo conto ed invece riesci sempre a tirarne fuori una nuova!"


"Io..."



Constance avrebbe voluto dire: io non sono una sgualdrina, sto per sposarlo Louis.
Ma non le riuscì di parlare perché, nell'impeto del momento, incespicò nella coda di quel lenzuolo che si trascinava dietro e, piuttostò, lottò per evitare che il medesimo le scivolasse via di dosso, scoprendo definitivamente le sue nudità. Ne aveva già combinate troppe e non era il caso di peggiorare la situazione.
Tuttavia, la sua mano sinistra raggiunse velocemente il bordo del lenzuolo ed il suo anello di fidanzamento brillò alla luce di tenue raggio di sole che faceva capolino timidamente dalla feritoia della cucina, scatenando, in questo modo, l'ira di Louise con ancora maggior foga.



"Perché questa puttana indossa l'anello di mia madre?!" - Gridò allora, indicando la povera fioraia.



Constance ingoiò un groppo di lacrime e saliva. Questa volta neppure tentò di spiegarsi: la vergogna fu troppo grande.
Dopotutto, Louise aveva ragione: chi, vedendola conciata a quel modo, in casa di un uomo con il quale non era ancora sposata per giunta, non avrebbe pensato lo stesso?
In fondo, lei e Louis vivevano nel peccato, davanti a Dio e agli uomini, questo era innegabile.



Ed allora, perché a lei non sembrava mai di essere nel torto?
Se si trattava di amore - ed era amore - cosa c'era di sbagliato?


In ogni caso, di fronte alle parole impudenti di sua sorella, Louis s'inalberò enormemente e prima ancora di guardare gli occhi tristi di Constance. Evitò apertamente di rivolgersi a lei per prima: se avesse incontrato lo sguardo mortificato della fidanzata - ed ovviamente l'avrebbe incontrato - difficilmente avrebbe saputo come tenere a bada il desiderio di uccidere Louise con le sue stesse mani.



"Questa fanciulla, sorella cara..." - Pronunciò le prime parole con gelida fermezza. Aveva quel tono di voce agghiacciante che sempre sapeva tirare fuori quando la rabbia cominciava a montare dentro di lui - "...E' la mia fidanzata. Nessuna sgualdrina da bettola per intenderci. Sei quindi pregata di chiederle immediatamente perdono, a meno che tu non voglia uscire da questa casa a calci. Come meriteresti, tra l'altro. E quell'anello, detto per inciso, è una mia proprietà: nostra madre mi chiese personalmente, anni addietro, di donarlo alla donna che avrei reso mia moglie un giorno. Bene, ce l'hai davanti: Constance, a breve, diventerà l'unica, vera Madame de Saint Just dopo Mamàn. Chiudi la bocca quindi, e porta rispetto a tua cognata."



Constance, a bocca spalancata, alternò lo sguardo tra Louis e sua sorella finché non si soffermò qualche istante di più su quest'ultima, osservandola mentre stringeva furiosamente un lembo della sua mantella. Tanto che le nocche della sua mano finirono con lo sbiancare enormemente.


"E ritieni che questo tuo presunto fidanzamento..." - Rispose tremando, la voce che le vibrava per la rabbia. - "...sia vissuto in modo lecito, Louis? A quanto pare avete già..."
"Basta così, Louise. Questi non sono affari che ti riguardano."
"Sai cosa ne penserebbe nostra madre? Se soltanto lo venisse a sapere!"
"Per quanto mi riguarda puoi anche dirglielo. Io e la mia Constance non abbiamo nulla di cui vergognarci."
"Certo!" - Louise alzò la voce, il tono volutamente sarcastico - "Corro subito a dirglielo, stai tranquillo! Così le faremo venire l'ennesimo colpo! Dì, fratello caro...non ti basta tutto quello che hai già combinato? Non hai già infangato abbastanza il buon nome della nostra famiglia? Prima il furto dell'argenteria, poi quegli ignobili libri che hai messo in circolazione...Credi che non si sappia perfettamente che sono opera tua? E adesso..."

"Ti ho detto basta, Louise, ora mi hai stancato per davvero! Esci di casa mia immediatamente!"



Louis si affrettò a spalancare la porta d'ingresso, strattonando la sorella per un polso.
Constance tentò di fermarlo, di tranquillizzarlo e di spiegarsi a sua volta ma neppure una sillaba fuoriuscì dalle sue labbra. Era troppo sconvolta da quella scena (oltre che evidentemente imbarazzata a prescindere), per potersi comportare lucidamente. Piuttosto, rifletteva che se Dio le avesse fatto dono, a suo tempo, della meravigliosa presenza di un fratello o di una sorella, non l'avrebbe mai trattato così. L'avrebbe amato e rispettato come la creatura più cara al mondo poiché sarebbe stata l'unica degna di condividere con lei le medesime radici, l'alba dei loro giorni assieme, ed il medesimo sangue che scorreva nelle  vene.
Era innegabile che osservare Louis, viceversa, mentre si fronteggiava così aspramente con la sua stessa carne, con una sorella che di lui aveva i medesimi occhi e la stessa piega severa della bocca, faceva male al cuore.





E' colpa mia?
E' colpa mia se stanno litigando così?
Della mia sfrontatezza, della mia impudenza...ma certo!





"Mi stai scacciando, Louis?"

La voce della giovane donna giunse rapidamente alle orecchie di Constance, risvegliandola dai propri pensieri, da quegli orribili sensi di colpa. Era acuta, quasi stridula ad essere onesti.
Era evidente che la reazione del fratello l'avesse sorpresa, oltre che profondamente mortificata.



"Tu che ne dici, sorella cara?"
"Nostro padre si rivolterebbe nella tomba, lo sai?"
"Nostro padre è morto, Louise. E' un mucchietto di ossa sotto terra, adesso, cui tu vai a portare dei fiori molto, molto scioccamente. Quindi sta' tranquilla, non ci sta giudicando. Nessuno ci sta guardando dall'alto ed io posso cacciarti di casa mia a piacimento perché nessuno verra a punirmi per questo nel cuore della notte."


Constance rabbrividì ed anche Louise tremò chiaramente di fronte a tanta vergognosa risolutezza.


"La Rivoluzione ti ha fatto perdere anche il rispetto dei tuoi morti, Louis?"
"Certo. Oltre che l'amore verso la mia famiglia, a dirla tutta. O forse quello non c'è mai stato prima, non saprei dirti. In ogni caso, addio, Louise, è stato bello rivederti." - Commentò con un sorrisetto ironico. Ovviamente, non vedeva l'ora di togliersela di torno.



La donna comprese l'antifona e sollevò le sue pesanti gonne di broccato. Rivolgendo un'ultima occhiata a Louis - un'occhiata così carica di risentimento che a Constance, per un istante, mancò l'aria - si affrettò ad uscire di casa a passo svelto ed aria superba. Sembrava, in un attimo, aver riacquistato tutta la dignità persa nel momento in cui aveva chiesto al fratello se la stava realmente scacciando.



"Addio, allora. Pensare che ero venuta a chiederti come stavi. Ma ormai dovrei averlo compreso che tu non meriti nulla."
"Anziché pensare a me, pensa ai tuoi figli. Povere creature, hanno avuto l'orribile sfortuna di nascere dal tuo ventre! Saranno marchiati a vita."

In risposta a quell'offesa, gli occhi di Louise si ridussero ad una fessura e, anziché proiettarsi sul volto del fratello, finirono con l'inchiodare Constance, costringendola ad annaspare.




"Sì, è proprio così. Accade a tutte le persone che hanno a che fare con i Sant Just, del resto. Quindi, anche tu sarai marchiata a vita, mia cara Constance. Pensaci bene a quel che stai per fare, se davvero vuoi sposare mio fratello. La felicità sarà l'unica cosa che non potrà mai regalarti."




Non aggiunse altro, la sua bella cognata. Anche perché Louis non glielo consentìe: le aveva già chiuso la porta in faccia velocemente, mentre l'eco delle ultime parole pronunciate ancora doveva spegnersi nell'atrio.


A seguito della sfuriata e dopo aver definitivamente scacciato la sorella di casa, Louis s'immobilizzò, letteralmente. E se ne stette quieto, in silenzio, le mani poggiate sul legno della porta.
Mentre prendeva lentamente grossi respiri, dandole la schiena.



Allora Constance comprese istantaneamente quanto quel litigio gli avesse fatto male. Nonostante l'avesse scatenato lui per primo.
Dopotutto, quella donna era sua sorella e Constance non credeva che l'amato la detestasse tanto quanto dava a vedere.

Dunque, raccolse tutte le sue forze e sospirò, prima di aprir bocca.
Voleva dirgli qualcosa di intelligente e molto emozionante. Voleva fargli sapere che avrebbe avuto il suo appoggio e la sua consolazione, che sapeva di per certo che fosse un uomo buono, nonostante tutto, e che quanto era accaduto era ancora risolvibile.
Se lo desiderava realmente, avrebbe potuto parlare lei con Louise e spiegare.
Ed avrebbe anche potuto scusarsi per esseri presentata in vesti tanto indecenti.



"Louis..."

Stese una mano nella sua direzione mentre, con l'altra, ancora si teneva il lenzuolo aggrappato al seno.
In quell'istante, quasi risvegliandosi dal proprio torpore in risposta al richiamo dell'amata, Louis si voltò.


Sorrideva.
Sorrideva tantissimo.


"Amore! Mi dispiace tanto! Noi Saint Just abbiamo davvero un pessimo carattere, te ne sarai accorta. Avrei preferito mille volte che avessi fatto la conoscenza di Françoise, lei è decisamente più docile e mite. Ma Louise! Credo che sia il nome a fare la differenza...ci rende persone orribili." - Concluse staccandosi dalla porta ed avviandosi in cucina.

Passò accanto a Constance con passo certo: sembrava di ritorno da uno spettacolo divertente, piuttosto che da una disputa fraterna.


"Louis! Ma..."

"Che c'è, tesoro?" - Domandò lui voltandosi a guardarla, quasi sorpreso. - "Perché te ne stai lì impalata? Non hai freddo? Dovresti vestirti...E dopo vieni in cucina, mangiamo qualcosa velocemente. Devo uscire il prima possibile, sono molto impegnato oggi."



Constance osservò la figura dell'amato sparire dietro la piccola porta della cucina. Lo sentì armeggiare con pentolacce e focolaio, prima di riprendere coscienza di sé.

Ed allora comprese e si rassegnò.

Louis stava male, di questo era certa.
Poteva fingere quanto voleva, lei ne era a conoscenza comunque.

Tuttavia, le dispiaceva ancor più pensare che la stesse evitando.
Poiché Constance sapeva di per certo che, per quel giorno, Louis non aveva impegni.

Aveva montato l'ennesima bugia per uscire di casa e star da solo con i propri pensieri.
Ancora una volta, quindi, la stava tenendo fuori dal proprio mondo. Qualsiasi fosse la causa, il perché, la stava allontanando.



Sospirò quindi Constance ed un po' si asciugò una lacrima impertinente all'angolo dell'occhio. Infine, guardò alla porta della cucina e passò oltre.



Sarebbe stato più ragionevole andare semplicemente a vestirsi, per  quella mattina.








*







Al risveglio, il giorno seguente, non trovò Louis accanto a lei.
Dopo il litigio con sua sorella, aveva prima ciarlato a vanvera. Infine, chiudendosi in un ostinato mutismo, le aveva lasciato un bacio silenzioso tra i capelli prima di andar via.
Per tutto il giorno non si era più fatto vivo.

Giunta la sera, Constance, ormai rassegnata, si era decisa ad addormentarsi da sola, senza di lui.

Louis aveva fatto ritorno a casa a notte inoltrata: Constance lo sapeva perché il suo sonno leggero aveva risentito di ogni singolo rumore, costringendola a sobbalzare ogni mezz'ora senza mai riposare adeguatamente. Tuttavia, quando Louis si era seduto accanto a lei, aveva finto di dormire come un sasso.

Poiché il sonno era il suo unico alleato, l'unico che avrebbe potuto aiutarla a scoprire i gesti di Louis nei suoi confronti quando la credeva incosciente ed inconsapevole.

Così percepì la mano del suo giovane amore mentre carezzava la sua chioma scura lentamente, stringendola piano a sé per non svegliarla.

Quella sera, tra mille dolci baci lasciati sulle sue guance, Louis seguitò nel sussurrarle più volte il suo "mi dispiace".
E proprio tra quei mille dolci baci, finalmente rilassata, Constance era finita con l'addormentarsi per davvero, con un sorriso sulle labbra, mentre Louis ancora le diceva piano: "sei l'unica, per me".
Chissà se aveva inteso che Constance, in realtà, aveva ascoltato tutto.


In ogni caso, al mattino, la giovane non lo trovò accanto a sé.
Delusa, si girò e rigirò più volte nel letto, stropicciandosi gli occhi. Si era ormai convinta che le braccia di Louis che la stringevano nella notte fossero state soltanto frutto della sua immaginazione quando, accanto a lei, trovò diversi ritagli di stoffa.
Stoffa molto pregiata, tra l'altro, accompagnata da un biglietto scritto da Louis, nella sua calligrafia appuntita e familiare:



"Penso che a breve dovremo fronteggiare l'ira di mia madre, oltre
che l'irruenza di mia sorella (a proposito, scusala: noi Saint Just abbiamo un pessimo carattere).
Credo che la mia famiglia mal sopporterebbe la nostra unione. Sembra che sia vergognoso ed immorale che un uomo ed
una donna vivano assieme prima del matrimonio.
La nostra epoca è ancora così vergognosamente moralista!
E' anche per questo che lotto tanto per la Rivoluzione: penso che potrà scardinare facilmente
certi precetti ormai antiquati, certe basi dell'Ancien Régime e dell'etica comune che io trovo fortemente
sorpassati.
In fondo, mia piccola Constance, cosa c'è di male nel nostro amore? La tua presenza lo rende
qualcosa di così puro e sublime da conferirgli un significato quasi sacro. Talvolta, credo di non meritarlo: sai che ci metto davvero
poco per sporcarlo con i miei atteggiamenti ostili. Ma quando penso al tuo sorriso quando mi guardi, ogni
dubbio si dissipa. Ed allora comprendo bene che tu sia stata la mia più grande fortuna.
Il nostro amore è prezioso e nessuno dovrà rovinarlo.
Ecco perché, per una volta, mi abbasso alle tradizioni ed alla convenzionalità, affinché
nessuno più abbia da ridire al riguardo, e ti chiedo di scegliere
uno tra gli svariati pezzi di stoffa che troverai accanto a te al tuo risveglio.
Quello che gradirai di più
sarà il tessuto con il quale verrà cucito il tuo abito da sposa.




Perdonami se questa notte non son stato accanto a te: avevo bisogno di riflettere.
Che la tua giornata sia meravigliosa, amor mio.

Tuo Louis."






Eccolo, il buongiorno che attendeva.
Ed ecco perché amava Louis: sapeva causarle del male, sapeva ferirla e, con un solo gesto, era successivamente in grado di farla sentire la persona più importante al mondo.
Il loro amore non convenzionale ed assolutamente prevedibile aveva incatenato il suo cuore: come avrebbe potuto mai sottrarsi ad una relazione
tanto inquieta quanto coinvolgente? Era una trappola bellissima e, dopotutto e per quanto potesse piangerne, Constance aveva scelto volontariamente di esserne parte.


Cosicché, sorridendo come una bambina, prese a contemplare le decine di ritagli di stoffa adagiati sul suo letto. Prima l'uno, poi l'altro, poi l'altro ancora, alternandoli velocemente. Guardandoli sempre ad occhi sgranati per la meraviglia: erano splendidi.
Incapace di decidere, felice come poche altre volte nella sua vita (ed i suoi momenti di felicità dipendevano sempre da Louis, ovviamente), saltò giù dal letto in gran fretta. Si lavò velocemente, sciacquò il bel viso più volte, e indossò un vestito pulito di un giallo chiaro e splendente.
Quando fu pronta, si lanciò fuori casa tenendo tra le mani tutti quei pezzi di stoffa, pronta a dirigersi verso il suo vecchio quartiere: Marie, Lotte e tutte le altre buone signore che l'avevano cresciuta, avrebbero dovuta aiutarla nella scelta.
Da sola, non ci sarebbe mai riuscita per davvero: era troppo emozionta per farlo con giudizio.














Nonostante tutte le buone intenzioni di Louis, tuttavia, e nonostante le buone amiche di Constance si fossero messe subito d'impegno per cucire il più bell'abito di sposa che la Francia avesse mai potuto ricordare (a loro dire) il matrimonio tra i due giovani non venne celebrato in tempi ragionevoli.
Mentre il bel vestito di broccato d'argento prendeva forma sotto le mani esperte di Marie, Rose e Diane, infatti, Louis fu costretto a ripartire, nel Gennaio del 1794, per il fronte, presso le Armate del Nord, di nuovo con il ruolo di commissario straordinario, così come deciso per l'ennesima volta dalla Convenzione.


"Ordini superiori", diceva sempre Louis per giustificarsi di quelle partenze improvvise.

Ma se dunque della Convenzione era membro attivo, quasi un capo indiscusso ormai assieme al suo amico Maximilien, perché tendeva sempre a parlarne come se vi fosse sottomesso?
Constance cominciava a pensare che quel suo atteggiamento fosse null'altro che una scusa bella e buona per dedicarsi ad una missione che considerava, in realtà, fondamentale.
Magari si era anche offerto volontario per la partenza, chi poteva dirlo?

E, tuttavia, la giovane non riusciva mai ad arrabbiarsi veramente con lui. Non se, salutandola sulla porta di casa, le regalava  una camelia rossa - le sue camelie! - dicendole: "Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti? Ti ho amato sin da subito. Ti amo molto, molto più di allora."




E neppure al suo ritorno si decise infine a parlare seriamente della loro unione, poiché la Rivoluzione, pur restituendole Louis in carne ed ossa, non faceva altro che allontanarlo da lei con la mente e con il cuore.
Per ogni giorno di lui che le concedeva se ne prendeva altri dieci: Constance non sapeva più come comportarsi ed ormai le era chiaro che Louis fosse totalmente suo soltanto la notte.
Quando si decideva infine a restare in casa con lei.
Per questo sperava sempre che il buio non avesse fine: ormai non lo temeva più. Era diventato il suo amico, l'unico alleato nella lotta sanguinolenta contro quel nemico invisibile che troppe vittime mieteva sulla ghigliottina.
E quando spuntava l'alba, a Constance, veniva puntualmente da piangere.

Poiché, all'alba, tornava a perderlo di nuovo.




Il 10 Febbraio Louis fu eletto presidente della Convenzione.
Corse a casa, da Constance, per darle la notizia.
Era raggiante, la giovane non l'aveva visto mai, mai così felice. Le comprò un dolce, festeggiarono assieme.
La riempì di baci e ridevano entrambi mentre Louis la sospingeva sul letto. Si amarono più e più volte e risero entrambi ancora mentre lui, spogliandola per metà, le solleticava la pelle candida delle gambe ed il suo seno immacolato.

"Sei bella, Constance" - Le diceva - "Ti amo tanto..."

A Constance il cuore scoppiava per la gioia.
Perché Louis stava bene, era fiero di se stesso. Perché, prima o poi, l'avrebbe sposata.
E perché l'amava. A modo suo, ma l'amava davvero.




Il mattino dopo Louis l'abbandonò di nuovo molto presto per tornare al proprio lavoro.
Constance non poteva saperlo, ma lui, in tasca, già conservava la sua prima arringa da presidente della Convenzione.




Tale arringa costituì il primo passo grazie al quale si rese responsabile, unitamente all'amico Robespierre, della morte di due acerrimi nemici: Jacques Danton e Jacques Herbert, entrambi ghigliottinati tra Marzo ed Aprile del 1794.


L'Arcangelo della Morte, bello e spietato come pochi, stava tornando all'opera ufficialmente, con maggior foga e consenso rispetto al passato, mentre Constance riposava beatamente nel suo letto dalle coperte morbide.
Se soltanto l'avesse saputo, avrebbe creduto alle parole di Louise che adesso le suonavano tanto estranee e lontane.
E si sarebbe infine arresa all'evidenza che Louis avrebbe potuto donarle tutto, nella sua vita: la passione travolgente, l'amore sincero, l'assoluta imprevedibilità, anche il tormento.

Ma non la felicità, semplice e pura come una camelia bianca.
La felicità sarebbe stata l'unica cosa che Louis, con quel suo spirito inqueito, non le avrebbe mai regalato.




















Buonsera ragazze :)

Bentrovate, come sempre.
Come vi dicevo già la scorsa volta, Al di là si avvia alla sua fine e non avete idea della fatica che ci sto mettendo per abituarmi all'idea che non avrò mai più nulla a che fare con questi due.
Louis e Constance, per quanto creati da me (oddio, Louis non proprio ma comunque...) mi hanno fatta piangere ed emozionare più di una volta, come se avessi vissuto in prima persona la loro epoca e quei giorni tormentati. Sarà che ho sempre particolarmente amato il finire del 1700, non lo so, ma davvero in questa storia ci sono entrata con tutta me stessa! =)
(sarà colpa di Lady Oscar che guardo sin da piccina ;D)

Qualche noticina storia:

  1. Nel capitolo ho riportato tutte le date originali delle esecuzioni capitali di cui vi ho parlato, partendo da Maria Antonietta (che qui viene definita "la cagna austriaca", così com'erano soliti chiamarla molto maleducatamente, a mio avviso, rivoluzionari e popolani, sino ad arrivare a Manon Roland, ossia la viscontessa Marie - Jeanne Roland de la Platière, donna intelligente ed assennata, animatrice dei più importanti salotti girondini di Parigi. Morì sulla ghigliottina l'8 Novembre del 1793 e, passando accanto ad una statua raffigurante la Libertà, pronunciò proprio quelle parole che vi ho riportato nel capitolo. Mi è piaciuta molto la sua figura...Si vi andasse di leggerne la storia, eccovi qui il link a Wikipedia: Manon Roland
  2. La sorella di Louis si chiamava davvero LouisE de Saint Just, così come il padre, mentre l'altra sorella si chiamava Marie Françoise. Ora, mi è piaciuto ipotizzare che la giovane Saint Just avesse lo stesso caratterino del fratello, visto il nome ;) Non so se fosse sposata o avesse figli, quel che avete letto a riguardo è frutto della mia fantasia. Il padre di Louis morì l'8 Settembre 1777. Ah, dimenticavo: è vero che Louis, per i primi quattro anni della sua vita, sia stato allevato da uno zio e da una balia...Non chiedetemi il perché, non l'ho trovato da nessuna parte, quindi ho inventato anche su questo punto! ;)
  3. Louis fu eletto presidente della Convenzione il 10 Febbraio del 1794 e successivamente si scagliò in maniera vigorosa contro Danton ed Herbert, anch'essi uomini politici e rivoluzionari ma dalle idee contrastanti (Louis accusò Danton di moderazione, di essere un "indulgente" e lo definì "disertore di pericoli"). Morirono entrambi nella primavera del 1794 e Louis si guadagnò l'appellativo di Arcangelo della Morte che, però, vi ho già riportato in qualche capitolo precedente, non ricordo quale.
  4. Il calendario rivoluzionario fu introdotto definitivamente nell'Ottobre del 1794 ed utilizzato ufficialmente fino al 1801. "Frimaio", cui faccio riferimento nel capitolo, è il mese che va dal 21 Novembre al 20 Dicembre. Dal 21 Dicembre al 19 Gennaio, viceversa, cominciava il mese di Nevoso.


Le note storiche sono finite, almeno credo (lo so, state tirando un sospiro di sollievo...Sempre che le abbiate lette tutte! xD)
Il dipinto che vi ho messo ad inizio capitolo è "La Libertà che guida il popolo"...E' del 1830 ma spesso viene associato alla Rivoluzione del 1789...Ed a me piace molto il suo significato, quindi oggi ci fa da copertina! ;)

Passo a rispondere alle recensioni!
Grazie di tutto :)
Matisse


Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


louis 11
"...E anche se tutto
è
scorretto
adora.
Adorami..."

Verdena - Le tue ossa nell'altitudine












Al di là del nostro amore














30 Maggio 1794
(11 Pratile anno II)





"Buon compleanno amor mio..."

Constance alzò gli occhi azzurrissimi su di lui, restituendogli un sorriso forzato.
Non sarebbe stato un buon compleanno, quello.


"Non guardarmi in quel modo, Constance..."
"E' soltanto un caso che il giorno della mia nascita coincida con la vigilia della tua ennesima partenza, amor mio? Non ho molto da festeggiare, a dirla tutta..."


Louis ridacchiò mentre, afferrandola per la vita, la costringeva a sedersi sulle sue ginocchia.


"Abbiamo molto da festeggiare, invece: è un giorno splendido! Quindi, tu ora mangerai il dolce che Madame Ducray ha preparato per te con tanto amore..."
"...Preparato per me con amore? Ma se l'hai pagata! E' il suo lavoro, no?"

Louis alzò gli occhi al cielo mentre seguitava a parlare, infischiandosene delle proteste della sua amata.


"...Ne mangerai due fette, perché è davvero molto, molto buona. Poi, scarterai il tuo regalo e dopo trascorrerai felicemente la tua giornata con me. Perché oggi è il tuo compleanno. Domani è domani e quel che accadrà non ci riguarda."
"Louis...Non parlarne come se fosse un evento lontano. Domani è domani, per l'appunto. Mancano meno di ventiquattrore."


Louis sorrise ancora, con dolcezza, e le lasciò un bacio soffice sulla guancia prima di riprendere a parlare.

"Sai quante cose si possono fare in questo tempo? Così tante da farti scordare i pensieri cattivi..."



Constance mugugnò ma evitò di esprimersi a voce alta.
Avrebbe voluto dirgli che nulla al mondo sarebbe stato in grado di farle dimenticare la sua imminente partenza. Nulla di infinitamente bello l'avrebbe aiutata a non pensarci perché non c'era esattamente niente di meglio del suo sorriso per lei, dei suoi occhi verdi che la guardavano estasiati, di quelle mani così delicate intrecciate alle sue.
Mancava ormai pochissimo, tuttavia, per di perdere di nuovo tutto questo - il suo tesoro inestimabile - a causa dell'ennesima battaglia che non le apparteneva.

Così avrebbe dovuto rinunciare nuovamente e senza alcuna volontà a ciò che le riempiva il cuore e le permetteva di svegliarsi ogni mattina con le belle labbra piegate all'insù.

Perché Louis era la malattia e la medicina, al contempo.
E lei, di guarire, proprio non voleva saperne.


C'era qualcosa di profondamente ingiusto dietro quel destino che seguitava a regalarle e sottrarle il suo amato con regolarità.
Come avrebbe mai potuto abituarsi a quello scherzo crudele? Non era certa di possedere ancora per molto tanta forza o pazienza.


"Constance?"
"Uh?" - Sussultò, sorpresa.

Louis le prese il mento con due dita, la costrinse a guardarlo: quando c'era lui non le era permesso di perdersi nei suoi pensieri disperati, in quegli scenari apocalittici.


"Ti ho detto di non essere triste. E' accaduto altre volte ch'io sia partito. Che hai oggi?"
"Sono sempre triste quando vai via, Louis..." - Ammise.
"Sì, ma mai come adesso. Parlami: è accaduto qualcosa che non so?"


Constance deglutì a fatica e fu tentata di distogliere lo sguardo da lui. Tuttavia, se l'avesse fatto per davvero, Louis avrebbe compreso molte cose e lei sarebbe stata costretta a dire che era proprio così: aveva paura.
Quel giorno più di tutti gli altri in cui Louis era andato via da lei.

Perché un'ombra sul suo cuore di giovane ragazza le suggeriva ormai da un po' di tempo di tenersi pronta per qualsiasi evenienza. Quell'ombra le diceva di temere il destino perché non tutto sarebbe andato sempre così liscio.
Louis non sarebbe stato suo per sempre.

C'impiegò tempo e troppe energie, quindi, per tornare a parlare:



"Non è accaduto nulla ma..."
"Ma?"
"Vorrei sapere...tornerai Louis? Tornerai anche stavolta?"


Louis la guardò per qualche istante esterefatto. Poi, le labbra si aprirono in un sorriso luminoso ed infine in una grossa risata che soffocò sul collo delicato della sua innamorata. I capelli del giovane le solleticarono la pelle e lei socchiuse gli occhi, beandosi di quel tocco: soltanto per un istante le parve qualcosa di così infinitamente reale ed infinitamente suo che riuscì persino a sorridere a propria volta, poggiando la testa sulla chioma rossa di Louis.


"Non ridere di me, furfante..."
"Rido perché sei buffa. Ma certo che tornerò, sciocchina! Quante volte devo dirtelo che non vado a fare io la guerra? Tornerò anche stavolta e dopo non ti libererai più di me..."



Vorrei che fosse proprio così, Louis...





Le mordicchiò il collo, più volte, e per ogni morso seguitava a lasciarle, di rimando, un altro bacio morbido.
Constance alla fin fine si arrese e cominciò a ridere. Poi l'abbracciò: lo strinse a sé così forte che Louis la canzonò, chiedendole se non fosse stata intenzionata, piuttosto, a soffocarlo.

In realtà, voleva soltanto imprimersi meglio nella mente la sensazione del suo corpo tra le proprie braccia.
Voleva racchiuderla in sé e portarsela dietro per il resto dei propri giorni, per sopperire alla mancanza che, di lì a poco, l'avrebbe dilaniata.
Perché Constance, per una volta, si stava affidando alle proprie sensazioni anziché credere alle parole di Louis: quel suo tornerò le sapeva troppo di garbata bugia e le parlava dell'ennesima illusione creata per lei, affinché non soffrisse troppo nel cuore della notte e nella solitudine di quella casa non sua.

Poi ci pensò su: a cosa sarebbe davvero servito stringerlo così forte, dopotutto?
Tanto non sarebbe cambiato nulla: nel momento stesso in cui Louis avesse varcato la porta di casa avrebbe scordato qualsiasi particolare di quella dolcissima sensazione. E le sarebbe parso di non abbracciarlo da anni, in ogni caso.




No, decisamente: quello non sarebbe stato un buon compleanno.
Nonostante tutti gli sforzi di Louis, i sorrisi di Constance quel giorno non sarebbero stati sinceri.




Non riesco più a crederti Louis.
Com'è possibile?
Eppure lo vorrei tanto...
Vorrei pensare che sia tutto tranquillo come suggerisci tu e che questa nostra vita indegna non si prenderà gioco di noi ancora per molto.


Ma tanto lo sappiamo entrambi che non è questa la verità.
E che, anche questa volta, sarà tutta un'illusione la mia stupida idea di averti solo per me.

Perché io sono solo una fragile ragazzina che ti ama e nulla posso contro quest'odiosa Rivoluzione per cui tu vivi e respiri.

Ti porterà via, ancora una volta - lo sento - mentre tutto ciò che vorrei per la mia esistenza null'altro sarebbe che legarti a me con un filo invisibile.
Per non farti scappare mai più.

Perché non me ne importa niente dello Stato francese, Louis, della Repubblica o della guerra fra nobili e plebei.
A me importa soltanto del nostro amore.
E continuerà ad importarmi molto di più quando stanotte la tua mano scivolerà dalla mia e sentirò la porta socchiudersi mentre fingerò di dormire.
Mentre, in realtà, starò soltanto piangendo per l'ennesima volta.


Sarebbe troppo chiederti di restare, vero?
O, quantomeno, di tornare sempre da me.
Prima o poi smetterai di farlo. Prima o poi il tuo passo non risuonerà più fra le mura di questa casa.
Lo so, Louis.
Tu mi ucciderai.

La Rivoluzione ci ucciderà.











Giugno 1794
(Pratile - Messidoro anno II)





"Le truppe francesi hanno vinto a Fleurus!"
"Dite davvero cittadino? Dunque, la guerra è in mano alla Francia, ormai!"
"A quanto pare...Perlomeno, queste sono le ultime notizie giunte alla Convenzione."
"E dunque, le cose vanno bene...Robespierre potrebbe anche darci un taglio con la storia che la Rivoluzione sia minacciata da più fronti."
"Effettivamente, comincia a suonare come un'esagerazione, cittadino! Il buon vecchio Maximilien vede pericoli dove non ci sono..."
"Che voglia crearseli da solo?"
"Che intendete?"
"Quell'uomo non m'ispira più fiducia! A volte ho la sensazione che mandi a morir la gente per il puro gusto di farlo..."
"E' un violento..."
"Lui e tutta la sua cerchia di alleati!"
"E' proprio così! Bisognerebbe cacciare dalla Convenzione lui e tutta la sua cricca di compari!"
"Ben detto, cittadino! Finalmente qualcuno che la pensa come me!"
"Ah, non siete l'unico, statene pur certo...dalle ultime nuove che ho appreso, in molti non credono più nella sua buona fede. Ho come la sensazione che l'era dell'incorruttibile sia giunta al tramonto..."







"Constance? Constance"

"Che c'è!?"

Constance saltò come morsa da una tarantola in risposta al richiamo di Marie e la patata di cui stava soppesando la qualità fino a qualche istante prima le scivolò di mano, rotolando sul selciato sottostante. Il mercante le rivolse un'occhiata truce, prima di aprir bocca:

"Cittadina! State attenta! Quella patata è merce pregiata!"
"Avete ragione, buon uomo...Vogliate scusarmi."


Si chinò prontamente a raccogliere l'ortaggio mentre Marie inceneriva l'uomo con lo sguardo.

"Per tutti i diavoli! Ve lo paghiamo il vostro preziosissimo tubero, che credete? Ecco qua, prendete queste monete e smettetela di crucciarvi! Piuttosto, imparate le buone manierie: Constance è soltanto una ragazzina, non è il caso di rivolgervi a quel modo!"


L'uomo borbottò qualcosa tra sé e sé mentre Marie spingeva la ragazza lontano dalla bancarella.


"Andiamo, ma petite fille...Cammina, cammina! Andiamo lontano da questa gentaccia!"


Constance, come in trance, accolse l'ordine seguitando a mettere un piede davanti all'altro per inerzia e senza badare alla strada, a dove Marie la trascinasse.
Aveva nella mente le parole di quegli uomini in abiti borghesi che, accanto a lei, nel mercato, parlottavano della battaglia di Fleurus ignari di essere ascoltati dalle sue orecchie giovani ed attente.
Il perché di tanto interesse era facile da spiegare: proprio a Fleurus, in Belgio, già da diverso tempo, era stato inviato Louis in veste di commissario speciale del Comitato di Salute Pubblica per visionare l'andamento della battaglia ed il comportamento dei soldati in guerra.

Dunque, se a Fleurus le armate rivoluzionarie avevano avuto la meglio sugli eserciti austriaci ed inglesi della prima coalizione, ciò voleva semplicemente dire che Louis aveva assolto ormai al proprio compito e di lì a poco, dunque, avrebbe potuto far ritorno a Parigi. Ovviamente si trattava di un'ottima notizia, fermo restando che a Constance delle strategie di guerra interessava ben poco. Tutto ciò che le importava risiedeva nella consapevolezza che il suo promesso sposo sarebbe finalmente tornato a casa.

Tuttavia...tuttavia, quelle parole che aveva ascoltato involontariamente al mercato riguardo a Robespierre le avevano inevitabilmente procurato i brividi.

Robespierre era un amico importante per Louis. Era l'uomo di cui si fidava, l'alleato che stimava e rispettava più di tutti.
Constance sapeva di per certo che la vita del suo giovane innamorato fosse legata a doppio filo a quella di Maximilien. E dunque, se quel che l'uomo al mercato aveva raccontato era vero, un certo malumore cominciava ora a serpeggiare tra le brave genti della Rivoluzione nei confronti del capo dei Giacobini. Cosa ne sarebbe stato quindi di Louis se il malcontento per l'attività di Robespierre si fosse esteso fino a lui?




"Constance? Ma mi stai ascoltando benedetta ragazza?"
"Uh?"

Constance si voltò, guardando Marie come se la vedesse per la prima volta.

"Che hai?"

Abbassò lo sguardo, colpita.

"Nulla..."
"Constance? Non mentire! Potresti essere mia figlia...capisco fin troppo bene se qualcosa non va. Puoi parlarne con me, se vuoi..."


Il suo sguardo era così dolce e rassicurante che, per un attimo, la fanciulla s'illuse di poter trovare conforto nelle braccia di quella buona donna.
Ma si trattò davvero di un istante.
Sospirò, dunque, fermandosi nel bel mezzo della strada gremita.


"Ho paura, Marie..." - Fu tutto ciò che riuscì a confessare.
"Di cosa?" - Domandò la donna, affranta.


"Io..."



Io non riuscirò a parlare.
Non riuscirò a confessarti le urla strazianti del mio cuore, Marie.
Non riuscirò a dirti quante lacrime verso ogni sera per Louis, quando lo prego di non lasciarmi.
Quando prego Dio di farlo tornare perché ho dannatamente paura.
Di cosa non so, precisamente. Eppure ho come la certezza che qualcosa lo porterà via da me.
Me lo rivela il buio della notte quando sono sola in quel letto.
Me lo confessa il silenzio di una casa che non sento mia se non c'è lui.
E me lo ricorda la mia coscienza, quando penso alla sua assenza.

A quell' assenza che è più tangibile e reale dell' esistenza stesa di Louis perché dilania e pressa la mia anima come un carnefice senza scrupoli.



Ma a te che mi guardi con quel cruccio di mamma, mia cara Marie...no.
Non dirò nulla.
Perché, per donne come te, come la mia mamma, come ogni fanciulla della mia età, l'amore non è questo.
L'amore non è sofferenza, lacrime, urla, sbalzi d'umore, lontananza, separazione, passione, carezze, sospiri nel buio e di nuovo dolore.

E' uno sguardo ammirato, un fiore donato con garbo,
è una serenata nel silenzio delle strade di Parigi, un bacio delicato sulla guancia.
E' un matrimonio fastoso, una famiglia numerosa, chiassosa e felice, un pranzo domenicale con i bambini che corrono attorno alla tavola.
Ed è la mano di lui stretta alla tua, sempre.

Senza remore, senza indugi. Senza interruzioni.


A te, non racconterò le mie paure: non le capiresti, avresti soltanto più timore per me.

Mentre io ho bisogno solo che tu sia forte anche per me.
Ho bisogno del tuo immenso sostegno, Marie e di nient'altro.






"Ho soltanto paura che...Louis non torni in tempo per fissare la data delle nozze. Ecco." - Mentì, alla fine.
Sconfitta.
Non poteva parlarle per davvero, la sua buona amica non avrebbe compreso.


Marie la guardò per qualche istante, perplessa. Poi, le labbra grossolane e screpolate le si aprirono in un sorriso enorme, mentre strattonava Constance affettuosamente per il polso.

"Constance! Figlia mia! Ed io che già pensavo a chissà quali immani tragedie! Oh, finiscila per favore...Vedrai che il tuo promesso sposo tornerà dalla sua causa prima di quanto tu stessa possa immaginare! Smettila di lagnarti su, bisogna pensare ad organizzare queste benedette nozze, piuttosto!"


Constance sorrise amaramente: per giustificare l'assenza dell'amato aveva inventato un processo riguardo ad un carico di bestiame nella cittadina natale di Louis, Decize, dove lo stesso Louis - a suo dire - era stato richiamato per fornire il proprio contributo giuridico alla controversia.
Dopotutto era una avvocato, no?
Si trattava di una professione decisamente più meritevole da esibire rispetto a quella del rivoluzionario folle e sanguinario.

In ogni caso, Marie sembrava averci creduto e mai come in quell'istante Constance desiderò che la sua bugia potesse tramutarsi in realtà, un giorno.


"Hai ragione, dovrei finire di lagnarmi. Andrà tutto bene..."
"Esatto." - Marie scrollò il capo, in segno di approvazione. Poi, tornò a guardare la propria pupilla con occhi colmi d'amore e materna comprensione.

"Constance, amor mio...vieni qui." - L'attirò a sé, cingendole le spalle con un braccio mentre riprendevano a camminare verso casa della donna, alla Tuileries. - "Un tempo credevo che non avresti mai ricercato l'amore, sai? Dopo la morte della tua buona mamma e dopo i primi comprensibilissimi momenti di sconforto, ho visto nascere in te una voglia di rinascita ed un'indipendenza tale che ero certa non avresti badato a questo sentimento per molto, molto tempo. Ed un po' mi preoccupavo per te..."

Constance sorrise preservando, pur tuttavia, quel familiare velo di tristezza negli occhi.


"Non l'ho cercato, l'amore. L'ho trovato d'improvviso. O forse lui ha trovato me."


Marie annuì, come se avesse compreso qualcosa che, in realtà, neppure poteva sapere.


"Ma questo tuo amore per Louis...E' così..."
"Così"
"Strano. Intenso e devastante. Così tanto che sembra tu non abbia più spazio per altro nel tuo cuore. A volte ho come l'impressione che il suo pensiero ti divori dall'interno, che sia l'unico motivo che ti spinge a vivere e respirare. In pratica non conosco di persona Louis ma conosco te e so che esisti in sua funzione, ormai...Anche se non lo ammetterai mai in mia presenza."


Constance inghiottì un groppo amaro.
Saliva mista a lacrime, le stesse cui aveva vietato severamente di solcare le proprie guance. Perlomeno davanti a Marie.

"E' qualcosa di...sbagliato?" - Domandò ingenuamente.

Marie scosse la testa.

"No, se tu stai bene. Stai bene Constance?"


Impiegò una frazione di secondo prima di rispondere ad una domanda tanto semplice, apparentemente. Le frullarono mille pensieri per la testa, mille immagini di lei e di Louis. Dei loro baci, dei loro abbracci, di quelle discussioni inutili, delle sue lacrime in solitudine.
Dei loro baci.
Ed allora sospirando, rispose:


"Sì, sto bene."


Marie sorrise, approvando.


"Perfetto, dunque. L'Amore non è mai uno sbaglio quando si è felici, mia giovane sposina."


Così concluse il suo discorso Marie, l'aria fiera, l'animo più tranquillo.
Accolse la mano di Constance nella propria e se la trascinò fino a casa.

Anche Constance sorrideva, ma era soltanto una recita la sua.
A diciannove anni aveva già imparato che il "mai " fosse soltanto una bugia ma questo non l'avrebbe certamente confessato alla sua cara, ingenua Marie.







Luglio 1794
(Messidoro - Termidoro, anno II)





"Cittadina Constance, buongiorno."

Anche quel mattino Olympe venne a consegnarle la posta. Constance l'accolse con un sorriso un tantino tirato - quella donnona grande e grossa le incuteva sempre un po' di timore con quella sua voce così autoritaria - e, tuttavia, tentò di mostrarsi cordiale e socievole.
Dopotutto Olympe - moglie di un caro amico di Louis, tale André Mapelle, giacobino convinto nonché membro attivo di molti organi repubblicani - da qualche tempo a quella parte le faceva soltanto un grande favore giacché si adoperava nel consegnarle le lettere personali che il suo giovane innamorato le scriveva usando il filtro della Convenzione. Constance ancora non comprendeva il perché di un simile passaggio di consegne ma Louis insisteva nel dichiarare che era più sicuro evitare che le proprie missive fossero indirizzate alla sua abitazione nei periodi in cui, tecnicamente, nessuno avrebbe dovuto viverci data l'assenza del padrone di casa: un simile accorgimento avrebbe messo al sicuro Constance dagli occhi indiscreti della gente, a suo dire.

Forse, più che dalle malelingue, l'avrebbe protetta dai propri nemici. Ma questo Constance ancora non l'aveva inteso, forse neanche poteva immaginarlo.

In ogni caso, anche quel mattino sospirò sulla busta bianca e laccata che Olympe le porgeva, guardandola titubante.
L'ennesima lettera. Era un segnale: Louis non sarebbe ancora tornato.

Ed era già metà Luglio.


"Grazie come sempre, Olympe..." - Mormorò, la voce leggermente incrinata.

"Di nulla, Constance."


La donna fece per voltarle le spalle ed andar via velocemente - di norma non era particolarmente loquace e disposta al dialogo - ma qualcosa di non ben definito la trattenne. Piantò i suoi occhi scuri in quelli della giovane fioraia e domandò:


"Avete bisogno di qualcosa?"



Constance annaspò per qualche istante, prima di risponderle. Olympe non si era mai preoccupata di chiederle se le cose andassero bene o avesse bisogno di parlare, nonostante assolvesse discretamente al suo compito già da quasi un mese. A Constance era sempre parso che la donna non fosse troppo interessata a diventare sua amica e dopo i primi, maldestri tentativi di socializzare, aveva desistito, considerando che i suoi problemi erano già troppi e pressanti per preoccuparsi anche di Olympe. Quella domanda a bruciapelo, dunque, era riuscita a sconvolgerla enormente e dopo ad intristirla in modo particolare: se le si era rivolta a quel modo, evidentemente, doveva averle fatto pena. Del resto, dopo intere notti passate a disperarsi per Louis, la sua faccia doveva averne risentito e certo quell'espressione di infinita tristezza che, non volendo, portava stampata sul volto ogni giorno certamente risultava essere piuttosto chiara ed eloquente.


"No...no, grazie cittadina Olympe."

Aveva imparato che quell'appellativo, "cittadina", suonava come un obbligo davanti a persone che della Rivoluzione avevano fatto una ragione di vita. Ed Olympe apparteneva a questa categoria.


"Mi sembrate un po' abbattuta..." -  Insistette comunque la donna.


Constance, allora, chinò il capo, sconfitta.
Doveva farle davvero tenerezza, quindi.

In fondo, chi altri era lei se non una povera orfana che aveva lavorato una vita intera pur di sopravvivere?
Una disgraziata per cui - a soli diciannove anni e già da un pezzo, a dirla tutta - la morte non costituiva più un pensiero astratto: ormai neanche la temeva tanto vi era abituata. Ed era anche la medesima disgraziata per cui l' unica fonte di gioia, detto per inciso, era rappresentata da un uomo che le prometteva di sposarla da mesi e le spezzava, viceversa, il cuore ogni giorno.

Avrebbe fatto pena a chiunque. Anzi, a dirla tutta, riusciva ormai a commiserarsi persino da sola: più in fondo di così non avrebbe potuto andare. Tanto valeva parlare, no?



"Niente, Olympe...Soltanto che, stavo pensando..."
"Cosa?"
"Se Louis mi manda una lettera nuova vuol dire che il suo ritorno a casa è ancora lontano e non ne comprendo il motivo, visto che le battaglie al fronte sono terminate da diverso tempo. Mi ha intristito questa consapevolezza...tutto qui."

Olympe le massaggiò improvvisamente la spalla con la sua mano callosa. Constance quasi sussultò a quel contatto ma si tranquillizzò davanti allo sconcertante sorriso della donna: proprio perché non la credeva capace di simili gesti era una gioia per il cuore scoprirla così improvvisamente amorevole.


"Non crucciatevi Constance. Sono tempi difficili, per questo il vostro Louis non può tornare..."
"Tempi difficili?"


Constance non comprese. Non subito almeno.
Olympe annuì.


"E' pericoloso tornare adesso. Per questo, se l'amate, attendete in silenzio ed augurategli soltanto tanta fortuna. Ne ha bisogno. Ne avremo bisogno tutti noi."

Il cuore prese a batterle tanto furiosamente in petto che credette di svenire.
Cosa stava succedendo a sua insaputa, esattamente?

"Che sta accadendo, Olympe? Parlatemene, ho diritto di sapere!"



Aveva necessità di comprendere ma Olympe, piuttosto, non parve propensa ad accontentare la sua richiesta e scosse più volte la testa in segno di diniego.


"Fate ciò che vi ho detto e non preoccupatevi oltre. La vostra curiosità potrebbe spingervi in un vicolo cieco e sono certa che il nostro amico Saint Just non desideri mettervi in pericolo. Adesso devo andare mia buona Constance. Non siate triste, verranno tempi migliori."


La lasciò così, con un palmo di naso e ancor più disperata di come l'aveva trovata, se possibile.
Constance odiava le mezze verità, le davano ansia.


Ancora udiva i suoi passi rumorosi sulle scale mentre, immobilizzata sotto l'ingresso, faticava a rientrare e chiudere la porta alle sue spalle.
Inspirò ed espirò velocemente per qualche minuto quindi, prima di decidersi ad infilarsi nuovamente in casa.
Girò la chiave nella toppa tre volte, con mani tremanti come in preda ad uno spavento incontrollabile.
Le parole di Olympe le avevano causato fin troppo timore.
Incapace di leggere immediatamente quella lettera, quindi, vagò nel corridoio per un'ora, s'infilò in cucina, corse nella camera da letto ed urlò improvvisamente, gettando in terra i suoi vestiti e molti libri di Louis per sfogare il suo nervosismo.
Infine, ormai priva di energie, scivolò sul pavimento e già piangeva quando si decise a strappare la busta immacolata.

Poche parole.
Le causarono più dolore di quanto non ne avesse mai provato durante i suoi litigi con Louis poiché davano voce alle paure che si portava dietro da tempo immemore:


Mia amata.
Perdona la mia assenza: sono ancora lontano da te ed immagino le tue lacrime.
Ma non piangere, ti prego.
Pensa a quanto io ti ami e sorridi.
Mi sono giunte notizie poco rassicuranti da Parigi. Notizie di cui adesso non posso parlarti e che mi trattengono ancora lontano da te.
Tornerò presto, ti prego di credermi: non posso vivere troppo a lungo lontano dal luogo in cui dimora  il mio cuore.
Ti prego soltanto di pazientare ancora un po'. Il cielo, a breve, dovrà tornare sereno.

Ti amo di un amore folle.
Tuo per sempre,
Louis."




Quali erano queste notizie poco rassicuranti?
Riguardavano forse i discorsi su Robespierre e l'improvviso malcontento riguardo il suo operato che aveva origliato al mercato tra quegli uomini ignari di essere spiati?
Anche Louis era in pericolo, quindi?
Il suo sesto senso non le aveva mentito dunque e neppure il suo cuore!


Singhiozzò.
Singhiozzò infine, senza volerlo.
Singhiozzò sulla sua impotenza, sull'idea di Louis lontano. Da Parigi e da lei.
Singhiozzò sulla sua incapacità di trattenerlo e proteggerlo.

Avrebbe venduto l'anima al diavolo per riportarlo tra le sue braccia.
Per ritrovarlo e non lasciarlo mai più.
E, tuttavia, fu a Dio che si rivolse piuttosto per riavere indietro il suo giovane amore.
Fu così che, ancora poggiata contro la parete fredda di una casa non sua, pregò con fervore una notte intera. Pregò affinché Qualcuno, dall'alto dei Cieli, accogliesse la sua supplica. Per troppa devozione o soltanto per pena non faceva differenza: l'importante era che il suo desiderio trovasse semplicemente compimento nella realtà.
Ed infine pregò con ancora maggiore intensità nella speranza che, in quel modo, il suo pensiero avesse potuto superare le distanze ed il tempo e giungere sino a Louis, ovunque egli si fosse trovato.

Soltanto per infondergli coraggio e calore. Per fargli sapere che l'amava, oltre tutti gli sbagli e le insicurezze.
Oltre i loro sogni e tutti i desideri irrealizzati.


Torna Louis, torna qui.
Torna nella nostra casa.
Torna da me.
Ti proteggerò io, cuore mio, combatterò per entrambi.
Il nostro amore sarà la tua salvezza.

Ascoltami, ti prego.
Ovunque tu sia torna da me.






*





Le preghiere di Constance furono esaudite appena qualche giorno dopo.
Era la sera del 26 Luglio del 1794 quando Louis de Saint Just, l'Arcangelo della Morte, fece ritorno a casa.

Tuttavia, ciò che la sua giovane innamorata vide guardandolo negli occhi, non fu di certo un rivoluzionario truce e privo di scrupoli ma soltanto un uomo provato dalla vita e dalle sofferenza.
E nient'altro.

Deglutì più volte stropicciandosi le palpebre in modo sgraziato.
Allo stesso modo, sperò che si trattasse di un sogno molto brutto poiché quella creatura dal viso stanco non poteva essere il suo Louis.
Lo stesso che le sorrideva felicemente ogni mattino, che le rivolgeva il più sicuro degli sguardi anche nel pieno della tempesta. Quello la cui stretta di mano, in un attimo solo, era in grado di far sparire qualsiasi timore.

No, non poteva.


Il suo Louis non aveva mai quell'aria stanca, neanche dopo un'intera giornata di lavoro.
Il suoi occhi non mostravano mai altrettanta sopraffazione.
Il suo Louis era un uomo coraggioso che sapeva patire in silenzio per i propri ideali.

Eppure...



"L - Louis...?"
"Son io, Constance."


La sua voce rieccheggiò nel silenzio della loro stanza in penombra. Una leggera incrinatura nei toni.
Constance rabbrividì prima di realizzare l'idea che sì... Louis era tornato.

Stanco, provato, spaventato ma era tornato.
La sua richiesta era stata esaudita.


Grazie, mio Signore.


Si concesse ancora qualche secondo per riaversi prima di scalciare le lenzuola arrotolate attorno alle sue gambe, gettarsi dal letto, correre sul pavimento a piedi nudi e finire dritta tra le braccia di lui, con una foga tale che per poco non cascarono in terra entrambi.
Ed allora udì la sua risatina sommessa  mentre il suo profumo tornava ad avvolgerla.
Non si trattava più di un'illusione o della sua mente che le proponeva il più sbiadito dei ricordi a riguardo: Louis era lì, con lei.
Era vivo, tangibile, reale.
E la stringeva tra le braccia, proprio come Constance aveva sognato in tutte quelle notti in cui l'ansia le concedeva un po' di tregua, consentendole di scivolare per qualche ora tra le braccia di Morfeo.
Ma i suoi sogni erano menzogneri, non le restituivano mai la reale bellezza del volto di Louis, il calore del suo abbraccio, la morbidezza di quelle mani che scivolavano sulla sua pelle nuda.
Anche tanto stravolto Louis - quello vero-  era sempre perfetto.


"Ti sono mancato...?" - Domandò soffiando tra i suoi capelli. Sembrava quasi che mettesse in dubbio che la sua assenza avesse potuto pesarle per davvero.

Constance - che sino a quel momento aveva nascosto il viso nella sua stretta - alzò lo sguardo su di lui, turbata.

"Che domande son queste? Certo che mi senti mancato, credevo d'impazzire senza di te!"
"Io sono impazzito per davvero..." - Mormorò lui di tutta risposta, attirandola al suo viso e sfiorandole le labbra morbide con le proprie.

Constance percepì le guance andarle a fuoco: aveva dimenticato quanto fossero speciali e travolgenti i baci di Louis.
Anche in una sì totale disperazione sapevano farle tornare il sorriso e battere il cuore, come la prima volta in cui l'aveva visto - solo e spaurito, era innegabile - seduto su di un muretto presso la Senna. Quel giorno in cui aveva deciso che gli avrebbe donato un fiore e lui avrebbe sorriso perché era giusto così. Perché un uomo dal viso tanto angelico avrebbe potuto soltanto sorridere. Per lei.

Si era innamorata di lui dal primo istante.
Perché non gliel'aveva mai detto, in fondo?


"Amore mio..."
"Ssh, sono qui adesso...Non crucciarti più. Sono qui."

Le parole di Louis non servirono a tranquillizzarla.
Invocò il suo nome disperata più volte, infatti, e tempestò il bel viso di baci per molto tempo pungendosi persino con la leggera peluria del suo volto.
Più seguitava a baciarlo, più realizzava che non era un sogno ma un uomo di carne e sangue quello che le stava davanti, più sorrideva. E piangeva. E con le labbra bagnate dalle sue stesse lacrime continuava ad imprimersi sulla pelle di Louis, tenendogli il viso tra le mani.

Il giovane la lasciò fare per un po'. Poi, strinse i polsi sottili e l'obbligò a fermarsi.


"Constance...lasciati guardare. Non mi merito tanto amore, sai?"
"Ti meriti tutto l'amore di questo mondo!"
"Ti ho lasciato sola, ancora una volta..." - Mugugnò.
"Non importa! Ora sei qui!"
"Non importa? Davvero?"

Annuì.

"Saperti accanto a me adesso mi ripaga di tutte le sofferenza, amor mio..."
Louis sorrise, orgoglioso.

"Sei una bambina molto matura, amor mio..." - Rispose più rilassato, baciandole di nuovo i capelli.

"Anche se..."
Anche se?"

"Sono preoccupata..." - Confessò.
"Che intendi?"

La voce del giovane s'incrinò appena.

"Oh, Louis...Credi ch'io sia stupida? Che problemi ci sono, in realtà? Perché ti sei trattenuto così a lungo? Ho immaginato delle disgrazie atroci ma nessuna ha trovato fondamento nella realtà, finché..."
"Finché?" - Domandò ancora lui, più curioso.
"C'entra Robespierre?"

Constance lo guardò lasciarsi andare lungo lo stipite della porta e scivolò con lui, in silenzio, frastornata.
 
Louis allungò le gambe sulla lunga camicia da notte della fanciulla, allargatasi a raggiera sul pavimento, e sfregò più volte la mano sul volto, in un gesto stanco.


"Come sai di Maximilien, Constance?"
"Ho sentito degli uomini parlare al mercato. Dicevano che stava tirando troppo la corda, che fosse un violento e che molte azioni avrebbe dovuto evitarle. Li ho visti scontenti ed ho capito che non fossero gli unici, alla Convenzione. Poi ho letto la tua lettera e..."
"Tutto ti è parso più chiaro."

Annuì.

"Esatto."

Evitò accuratamente di accennare al discorso enigmatico di Olympe: se Louis avesse saputo che la donna le metteva strane pulci nelle orecchie le avrebbe vietato certamente di svolgere quel compito per il quale si era così gentilmente prestata. Ma Constance non poteva permettere che ciò accadesse: se Louis si fosse allontanato nuovamente, quelle lettere consegnatele direttamente a mano avrebbero costituito la sua unica ancora di salvezza, dopotutto.


"La situazione è degenerata, Constance. Ti sono sincero. Sarebbe difficile da spiegarti tutto adesso, così, su due piedi ma...sì, effettivamente in molti stanno lavorando dietro le quinte della Convenzione ed alle spalle di Maximilien."
"Anche contro di te?"
"Potrebbe essere..."
"Perché sei tornato allora? Se sei in pericolo anche tu..."

D'improvviso comprese che, forse, aveva sbagliato ad invocare tanto a lungo il ritorno di Louis.
Soprattutto ora che la situazione le appariva malauguratamente più chiara.
Eppure, le parole che il giovane pronunciò di lì a poco le diedero di nuovo forza per continuare a sperare. E per credere che, in fondo, fosse giusto anche così.
E non soltanto per lei.


"Perché non sono un codardo, Constance." - La fanciulla vide la mascella di Louis serrarsi mentre guardava un punto distante ed indefinito. - "...E Maximilien è stato un caro amico, prima di tutto, oltre che un alleato politico. Lasciarlo adesso nei guai, da solo, avrebbe costituito un marchio d'infamia a vita. Io non sono così, Constance: sono un uomo che ha combattuto una vita intera per quello in cui crede. Come potrei ora mostrarmi tanto ignobile e vigliacco? I miei ideali li porto ancora nel cuore. Non me ne dimentico, così come non dimentico coloro che li hanno condivisi con me: Maximilien è una di queste persone. Ed ora ha bisogno del mio sostegno."


C'era qualcosa di così profondamente giusto, coerente e ragionevole in quel discorso che Constance, per quanta paura potesse provare all'idea dei pericoli in cui Louis avrebbe potuto incappare, non se la sentì di rimproverarlo o dissuarderlo da tale proposito.
Non parlava soltanto in riferimento alla Rivoluzione, ne era certa: nelle sue parole c'era un sottile riferimento alla sua amicizia con Maximilien che doveva avere più peso di quanto egli stesso non volesse dare a vedere.

Per cui, finì con l'annuire ammirata, piuttosto.


"In ogni caso, questo non sarebbe l'unico motivo. E sotto certi punti di vista neanche il più importante."

Lo guardò perplessa, ancora tra le sue braccia.

"Che significa?"

Louis sorrise, scostandole i capelli dal viso. Quel suo visetto da bimba sorpresa gli causava sempre una profonda tenerezza.


"Credi davvero che il mio cuore non sia stato qui a Parigi con te per tutto questo tempo, Constance?"
"Oh!"

La giovane dapprima sorrise e poi, ancora sorridendo ed avvampando, scostò una piccola lacrima impertinente all'angolo dell'occhio.

"Non...io..."
"Sciocchina..." - Le strinse le braccia, con maggiore intensità - "Ti è così difficile capire che ti amo? Lo so, non sono mai stato l'uomo migliore per te. E raramente ti ho dimostrato questo mio sentimento come un qualsiasi altro essere umano. Ma credimi se ti dico che tu sei stata, sei e sarai per sempre l'unica donna per me. L'unica."


Constance singhiozzò e rise al contempo, tornando a nascondere il viso rosso d'imbarazzo nella stretta di Louis.
Ma lui non le concesse di privarlo ancora per troppo tempo delle sue espressioni dolcissime, di quelle iridi così azzurre e limpide, delle sue labbra morbide e vermiglie.
Le alzò il mento con due dita e la costrinse a guardarlo di nuovo.


"Non nasconderti amor mio. Non da me...Mi sei mancata troppo per negarmi il tuo sorriso, ora che sono di nuovo qui."


A Constance bastò guardarlo qualche istante negli occhi per comprendere l'infinita voglia che aveva di lei, sentirsene lusingata e cedervi al contempo.

Louis aveva fame del suo amore: non si sarebbe saziato facilmente, gli era mancato troppo.

Non si sarebbero saziati in due, a dirla tutta.

Per cui quando la baciò, con crescente passione, Constance ricambiò senza remore.
Non aspettava altro se non lui da troppo tempo.



Fu così che, travolta come un fiume in piena dall'emozione delle mani di Louis di nuovo sul suo corpo e sulla sua camiciola da notte che le scivolava improvvisamente su di un lato scoprendole la spalla nuda, dimenticò le lacrime ed il dolore. Perfino le paura ed i presagi tristi, archiviandoli come sciocchezze.

Louis poteva essere stanco ma era un combattente: chiunque lo temeva.
Sapeva cosa fare, sarebbe andato tutto bene.
Lo baciò a sua volta con tutto l'amore che poteva e godette della sensazione meravigliosa delle sue labbra gelide e morbide sul proprio collo esattamente come la prima volta in cui si era concessa a lui.
Quand'era tra le sue braccia, persa nel calore di quel corpo nudo allacciato al suo, poteva sempre illudersi che nulla fosse cambiato dai primi giorni di quel loro amore. E che tutto sarebbe sempre filato liscio come il suo cuore sperava ormai da tempo.





Si amarono molte volte, in quella lunga notte.
Ogni volta con più irruenza, nuova dolcezza, infinito bisogno l'uno dell'altra.
E troppo amore.

Tra quelle braccia Constance si abbandonò infine al sonno mentre il chiarore dell'alba sfumava timidamente tra le loro lenzuola.

Si addormentò la giovane fanciulla, con il sorriso stampato sulle belle labbra.
Perché in quella stretta si sentiva al sicuro, scordava i brutti pensieri e ritrovava se stessa.

Si addormentò che ancora Louis seguitava a baciarle i polpastrelli delle dita, uno ad uno, con devozione infinita.

Finalmente felice, dopo mesi, sentiva che ormai le distanze, tra di loro, erano state annullate.
Sentiva che qualcosa stava cambiando.


Non sapeva, Constance, che quella sarebbe stata, viceversa, la loro ultima notte insieme.









*







Quel mattino del 27 Luglio Constance non si preoccupò troppo di non trovare Louis accantò a sé, al risveglio. La sua assenza, alla luce del sole, era ormai diventata una costante per lei, dopotutto.
Inoltre, sapeva che quel giorno il suo amato fosse particolarmente impegnato: le aveva già rivelato di volersi recare alla Convenzione per pronunciare un discorso a favore di Robespierre.
Voleva, in altre parole, placare gli animi con la diplomazia e Constance si fidò conoscendo le ottime capacità di Louis come oratore.

Per cui, con il cuore più tranquillo dopo quella notte d'amore, aspirò ancora un poco il profumo di lui tra i cuscini e le lenzuola e questo l'aiutò a trovare anche la buona volontà per alzarsi ed affrontare il nuovo giorno.
Sorrise leggendo il messaggio che Louis le aveva lasciato accanto al cuscino, tenero e rapidissimo:


"Ogni volta che trascorro una notte con te penso sia la migliore della mia vita.
Poi ne arriva una nuova e mi sembra ancora più bella della precedente.
Come ci sei finita sul mio cammino, stella meravigliosa? Avresti dovuto solcare
cieli più azzurri...eppure sarò terribilmente egoista nel dirti che è proprio nel mio
cielo che dovevi capitare.
Starò fuori tutto il giorno. Ti penserò ogni singolo istante.

Ti amo,
tuo Louis."



Canticchiando abbandonò le lenzuola, riempì la tinozza e si concesse un bagno rinfrescante perché fuori era davvero molto caldo. Poi, indossò un abito tenue, color lavanda e, specchiandosi, sorrise: si sentiva bene.
Nonostante lo sguardo provato di Louis che aveva conosciuto quella notte e nonostante i brutti scherzi che la sua mente seguitava a farle, quel giorno decise di scacciare i cattivi pensieri ed i presagi tristi.
Quel giorno era sicura di sé e del suo amore: sarebbe andato tutto bene, Louis avrebbe risolto ogni problema.

Si preparò con cura e dopo decise di dedicarsi alla cucina. Pranzò da sola, senza scoraggiarsi: sapeva che lui non sarebbe tornato in tempo per farle compagnia. Ancora, sistemò casa e si preoccupò di rifinire il suo vestito da sposa.
Le sembrava più bello del solito.


Attese, infine, Louis per cena.
Non tornò ma Constance si disse che, dopotutto, andava bene così: avrebbe dovuto aspettarselo.

La situazione era comunque complicata, per quanto avesse potuto comprendere. Era pressocché ovvio che, a quell'ora, non fosse ancora tornato a casa.
Doveva essere molto impegnato.


A mezzanotte si decise quindi ad abbandonarsi al sonno, certa che Louis sarebbe rientrato a notte inoltrata.
Poiché voleva farsi trovare sveglia - per accoglierlo con quel sorriso che lui amava tanto - avrebbe dovuto riposare almeno qualche ora: soltanto in questo modo Louis l'avrebbe trovata al massimo della forma.


Tuttavia, Louis non tornò.
Per l'intera notte.


Cosicché alle sei del mattino strabuzzò gli occhi d'improvviso, il cuore in gola.
Cercò la sua mano, non la trovò e l'ansia tornò a divorarla com'era già accaduto in tutti quei lunghi giorni senza di lui.


L'illusione era svanita.


La pancia le doleva a tal punto che dovette massaggiarla per molto tempo, prima di alzarsi, nella speranza di calmarne almeno un pochino i crampi. Quando si rese conto che non sarebbe servito comunque a nulla, si decise ad abbandonare il letto ed uscire alla svelta da quella casa.

Se Louis non era ancora tornato, sarebbe andata lei a cercarlo, piuttosto.






In ogni caso, immenso fu il suo stupore allorché, varcando il portone d'ingresso della propria abitazione, scoprì un fiume confuso e frenetico di brave persone tra le strada della sua città.

Di nuovo, come già era accaduto in passato.


Donne sorridenti, avvolte nei loro abiti migliori. Uomini dalle espressioni trionfanti e decisamente serene, che si battevano le mani sulle spalle, inneggiavano alla Repubblica, cantavano a squarciagola qualche inno rivoluzionario che Constance non conosceva.
Bambini che si inseguivano tra la folla festante, certi dei confetti e dei dolciumi che avrebbero potuto sbocconcellare in santa pace di lì a poco.


Constance comprese cosa stava accadendo e, nonostante questo, si accodò a quel fiume di persone.
La direzione era unica per tutti, lo sapeva e, per quanto potesse essere spaventata o perplessa, voleva comprendere chi fosse, questa volta, la vittima dell'esecuzione pubblica.

Forse, recandosi verso il patibolo, avrebbe trovato anche Louis.





Qualcuno, in lontananza, gridò frasi sconnesse.
Constance captò un "abbasso il tiranno!" ma non riuscì a comprenderne il senso.
Un uomo che camminava accanto a lei in quell'angosciante processione domandò al proprio vicino da dove provenissero i prigionieri. L'interessanto rispose lapidario "dalla Conciergerie". Dopo, sparirono infilandosi velocemente nella folla attorno a loro.
Constance si sorprese: dunque in molti, quel giorno, avrebbero perso la propria testa sulla ghigliottina.

Tenendosi il vestito con le mani, per non inciampare, velocizzò il passo fino a raggiungere uno spiazzo appena più libero: cominciava a mancarle l'aria.
Le esecuzioni non le erano mai piaciute.

Fu allora che, aggrappandosi al muro in pietra di un'abitazione, intenta a respirare a pieni polmoni, qualcuno chiamò il suo nome.


"Constance? Constance!"

Si voltò incontrando due occhi scuri come la notte. Sgranati per il terrore come mai, mai li aveva visti prima.
Olympe, di norma, era una donna molto più sicura di sé.

"Olympe! Buongiorno!"


Le sorrise istintivamente ma fu costretta a desistere quando la donna, conservando quell'espressione sconvolta, corse verso di lei cingendole i polsi con forza.

"Cosa ci fai qui? Cosa?? Vieni via, subito!"

Non si era mai rivolta a lei in quel modo. Aveva sempre preservato le distanze comportandosi, in ogni caso, con estrema educazione.
Cosa stava accadendo?


"Olympe, che vi prende? E' tutto a posto, respirate! Avete un'orribile cera!"
"Constance! Oh Constance, tu non capisci! Vieni via, ti prego...Ti supplico, non guardare!"


La disperazione con la quale le rivolse quell'accorata richiesta le strinse il cuore.


"Olympe, calmatevi! Volete spiegarmi cosa sta accadendo? Perché siete tanto sconvolta?"
"Io...io non posso..."
"Cosa non potete?"


La donna la guardò per diversi istanti con occhi lucidi, mordendosi un labbro.

"Mia povera, povera figlia! Constance, ascolta le mie parole ti scongiuro! Risparmiati tutto quest'orrore...sarà più facile dimenticare! Vieni via, vieni via con me!"




Risparmiati quest'orrore, Constance.
Va' via...
Corri!

Il tiranno oggi morirà per mano del boia.



Hai capito?
Il tiranno morirà oggi, Constance.





Ho capito.





Allora il cuore, per qualche istante appena, cessò di batterle nel petto.
Poiché un lampo improvviso di genio le aveva concesso di comprendere ciò che non avrebbe mai accettato.


Non lo voleva la sua mente.
Non lo desiderava il suo corpo.


Goccioline di gelido sudore presero ad imperlarle la fronte. Poi ne solcarono le guance, fino al collo.
Le mani tremarono inspiegabilmente, era impossibile tenerle a freno.


Intorno a lei la gente rideva senza ritegno, pronta a festeggiare la morte del tiranno.


La morte di Robespierre.
La morte di...



Olympe continuava a tenerle i polsi, le parlava.
Constance non sentiva niente.
Non vedeva il pezzettino di cielo azzurro sopra i tetti di Parigi, non le rinfrescava le guance quel venticello leggero che spirava nell'aria.

Il mondo attorno a lei si era fermato.

Nel chiasso attorno a lei e nel silenzio del suo cuore comprese il significato di molte parole.
Comprese cosa fosse quell'orrore cui aveva accennato Olympe e tremò, ancora di più, prima di trovare la forza di parlare.


"Dov'è Louis?" - Chiese quindi con voce non sua.

Risuonò così estranea e distante che finì ella stessa con lo spaventarsi per tanta diversità.


"Andiamo Constance, vieni con me..." - Insistette la donna.
"DOV'E' LOUIS?!" - Urlò allora, con quanto fiato aveva in corpo. Qualcuno si voltò a guardarla.
Olympe le impose il silenzio.


"Per amor del Cielo, non gridare! Non farti scoprire!"
"Perché? Chi non deve scoprirmi?? Dov'è Louis, Olympe?!"


La donna non ebbe tempo a sufficienza per riorganizzare le idee e trovare una spiegazione plausibile a quella giovane donna che chiedeva notizie del proprio innamorato. E non ebbe tempo perché fu lo stesso Louis a palesarsi dinanzi a loro, inaspettatamente.
Su di un carrettino in legno, circondato da altre persone di cui Constance ignorava l'identità, con i polsi legati e graffiati da una fune grezza. Il suo volto appariva stanco ma manteneva comunque uno sguardo decisamente fiero.


In ogni caso quell'apparente alterigia scomparve non appena i suoi occhi scuri incontrarono quelli azzurrissimi di Constance, resi ora ancor più chiari dal terrore e dalla disperazione.


Ed allora accadde.
Nei pochi istanti in cui il bel volto di Louis si materializzò a pochi passi da Constance, molte cose finirono col sussurrarsi nel chiasso della folla intorno a loro.

Parlarono, per esempio, dell'amore sconfinato che li aveva uniti sin dal primo istante, irrazionalmente.
E ricordarono le giornate di sole, i fiori che Constance, ridacchiando, regalava al suo amato e tutte le volte che Louis l'aveva imboccata, costringendola a mangiare perché pesava quanto un uccellino.
Ripensarono alle loro notti d'amore, ai baci appassionati, al vestito da sposa che Louis non avrebbe mai visto perché Constance, credendo che portasse sfortuna, gliel' aveva sempre tenuto nascosto.
Piansero, infine, sui giorni che si sarebbero succeduti.
Piansero entrambi, perché Constance avrebbe dovuto affrontarli da sola.


E quando Louis, scomparendo dalla sua vista dopo solo qualche istante, sillabò piano il suo "va' via, amore" allora, e soltanto allora, Constance comprese che la realtà, a volte, poteva essere molto più brutta e devastante persino del peggiore dei suoi incubi.

Dunque pianse per davvero, involontariamente. E strattonò i polsi dalla presa di Olympe, la costrinse a lasciarla.
Ignorò le sue urla mentre correva a perdifiato dietro quel carretto.


Investì, noncurante, molti passanti: qualcuno le rivolse epiteti poco garbati cui lei non badò. Ancora, si fece spazio a gomitate e si strappò le vesti inciampandovi con le scarpe buone.
Cadde perfino in terra e si maledisse perché quel carrettino, per quanto lentamente potesse muoversi, era sempre troppo lontano da lei.

Quando si rialzò la vide, tra la folla.
Scintillante e perfettamente crudele, la ghigliottina si ergeva sulla piazza, affamata di nuove vittime.

Di una in particolare: il suo Louis ormai lontano.



Urlò Constance o forse no perché lo choc fu talmente grande e devastante da sconvolgerne i pensieri e le azioni, impedirle di capire cosa fosse reale e cosa soltanto immaginato.

Di nuovo una voce familiare richiamò la sua attenzione, di nuovo Olympe le venne dietro, tirandola per le braccia.

"Constance! Constance non urlare, smettila! Non può sentirti! Non può...fare più nulla..."



Stava urlando?
Davvero?
Stava urlando il suo nome?
Lei questo non lo sapeva.
Non capiva.



"Smettila Constance! Vieni via, ti prego..."


Louis....



"Constance, vieni via con me!"


Louis...


"Constance..."
"LOUIS!"


Il suo urlo sgraziato riempì l'aria e molti cuori costrinse a sussultare.
Una nuvola oscurò il sole, per qualche istante.

Qualche uccellino cinguettò in lontananza.


Constance non comprese.
Non andò oltre.

Svenne su quel selciato sconnesso, tra le braccia di una donna che a stento conosceva.









Quando si riebbe, inizialmente, sorrise.
Aveva dimenticato tutto.

La piazza, la folla, Louis che le implorava con gli occhi di andar via.
Le lame scintillanti della ghigliottina.

Tutto.


Poi, si voltò nel suo letto, convinta di incontrare lo sguardo benevolo del proprio amato.
Ma furono diversi gli occhi che incontrò.

Occhi neri, devastati.
Gonfi e rossi di lacrime.


Gli occhi di Olympe.

Allora ricordò e si sporse dal letto quasi subito.
Rigettò la sua stessa anima.


Nel medesimo istante, a poca distanza, delle campane suonarono funeste celebrando la morte altrui.



Venti uomini perirono quel giorno sotto le lame della ghigliottina.
Tra questi anche Louis Antoine Florelle Léon de Saint Just.



Era il 28 Luglio del 1794.












***


Nel Giugno del 1794 le truppe rivoluzionarie francesi comandate dal generale Jourdan vinsero a Fleurus, in Belgio, contro le truppe controrivoluzionarie della prima coalizione, costituite dall'esercito austriaco, olandese ed inglese.
Proprio a Fleurus si trovava, in quel periodo, il vero Saint Just, sempre col medesimo incarico di commissario speciale.

La vittoria che avrebbe dovuto sancire la supremazia di Robespierre come capo indiscusso della Rivoluzione, tuttavia, ne causò il rovinoso declino.
In molti cominciarono a credere che la Rivoluzione non fosse così tanto in pericolo così come Maximilien credeva ed amava far credere ed in molti ammisero che non ci fosse più bisogno di proseguire con la guerra né di continuare a mietere vittime tra gli oppositori girondini. Le misure emanate durante il Terrore cominciarono ad apparire eccessive. Chiunque poteva trasformarsi nella nuova vittima della ghigliottina, a conti fatti: tanto valeva risolvere il problema alla radice ed eliminare il vero fautore del Terrore: Robespierre con tutti i suoi seguaci.
Il 26 Luglio del 1794, dopo 4 settimane di assenza, Robespierre si ripresentò alla Convenzione pronunciando un discorso riguardante delle inesistenti cospirazioni contro la Repubblica. Minacciò di punire coloro che non si erano comportati adeguatamente all'interno della Convenzione ma non fece nomi espliciti: queste velate minacce causarono enorme agitazione convincendo ancora di più gli altri membri ad eliminare definitivamente e fisicamente Robespierre.
Il 27 Luglio il vero Saint Just tenne un discorso a favore dell'amico interrotto da continue proteste. Ormai, il vento non spirava neppure più nella sua direzione.
Maximilien tentò a sua volta di prendere la parola ma senza successo: la sua ora era giunta. Alle cinque del pomeriggio e senza nessuna causa in particolare fu arrestato alla Convenzione assieme ad altri deputati, oltre che a Louis ed a suo fratello, Augustine Robespierre.
Tuttavia, nessuna prigione accettò di accoglierlo cosicché Robespierre ed i suoi alleati finirono col richiedere ospitalità presso l'Hotel de Ville, ossia il Municipio cittadino.
Alla notizia della liberazione di Robespierre, la Convenzione si riunì di nuovo decidendone la morte. Cosicché, il mattino del 28 Luglio 1794, la Guardia Nazionale, fedele alla Convenzione, fece irruzione all'Hotel de Ville ed arrestò Robespierre, Saint Just e tutti coloro che ancora li appoggiavano.
Ora, la fine di Robespierre resta un punto interrogativo: in molti sostengono che sia morto all'atto dell'arresto a causa di un colpo di pistola sfuggito per sbaglio ad un gendarme. Altri, dicono si sia suicidato. Altri ancora che sia finito sulla ghigliottina.
Quel che accadde a Saint Just, invece, ve l'ho raccontato io. Fu spedito alla Conciergerie insieme ad altri venti arrestati, per un formale atto di riconoscimento, ed infine condotto alla ghigliottina.
Improvvisamente.
La sua vita è terminata sotto le lame all'età di 27 anni, quasi in maniera incomprensibile.
Incomprensibile per noi, ovviamente: all'epoca era normale morire in questo modo.



Se avete amato questo personaggio controverso per come ve l'ho presentato, adesso mi starete odiando. Purtroppo, la storia, quella vera, è andata così. E così era nata Al di là nella mia mente. Non volevo regalarle un finale felice, soltanto donare nuova considerazione ad un personaggio storico che ho amato molto, inspiegabilmente.
Gli ho regalato Constance per illudermi che quei 27 anni della sua vita abbiano avuto comunque un senso. Spero di esserci riuscita.
Non vi dico che adesso stia sorridendo. Vi racconterei una bugia.
Sono giorni che prendo a male questo finale eppure è l'unico possibile per me.


Questo che avete letto è stato l'ultimo capitolo di Al di là. Il prossimo sarà l'epilogo e poi la storia finirà per davvero. Nell'epilogo scoprirete molte cose che qui ho taciuto.


Grazie a chi è arrivato fin qui, a chi ha letto Al di là pur sapendo che sarebbe stata una storia triste.
A chi ha recensito, seguito, preferito.
A proposito, risponderò a breve ai vostri commenti, grazie.
:)

Ci sentiamo la settimana prossima, per l'ultimo aggiornamento.

Vi lascio con due immagini.
Christopher Thompson che interpreta Saint Just in una miniserie televisa: l'ho trovato molto simile al mio Saint Just e mi è piaciuto riproporvelo.
La seconda immagine riguarda il Saint Just di LAdy Oscar. Ve lo ripoto perché è grazie a quell'anime che è nato il mio amore per lui.
:)

Vi mando un bacio enorme
Matisse.









Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Epilogo ***


epilogo louis
"Volevo sequestrati anche a Dio
perché tu fossi solamente
mio..."
Alla felicità e ai locali punk - Maria Antonietta (2012)





Al di là del nostro amore






Epilogo










Londra

28 Luglio 1804







Le acque del Tamigi non mi fanno paura.
Sono scure e profonde e quasi certamente non restituiscono mai ciò che sottraggono, eppure non mi spaventano.
Se riesco a pensare alla Senna senza rabbrividire o piangere posso guardare a qualsiasi fiume come se non lo vedessi realmente. Con calma, con la placida consapevolezza che non mi farà nulla.
Sono gli uomini che mi hanno fatto male, non le acque di un fiume che ti ha portato via da me.



E' il 28 Luglio, amore mio.
Lo sappiamo entrambi che significa, no?



Era il 28 Luglio anche quel giorno.
L'ultimo in cui i tuoi occhi hanno incontrato i miei parlandomi del nostro amore. Ma anche di dolore e devastazione, sconcerto, amarezza.
E paura.
Troppa paura.




Era il 28 Luglio di 10 anni fa, il giorno in cui ti ho perso  per sempre.
Il giorno dell'assenza, la tua assenza senza fine e senza soluzione ,che celebro e rimpiango in ogni istante della mia vita con la stessa devozione con la quale mia madre andava in chiesa ad accendere ceri alla Beata Vergine Maria, anni fa.

Se ci penso, io in chiesa non ci vado neppure più come un tempo.




Molte cose sono cambiate da quel 28 Luglio del 1794.
Per esempio, non porto più i capelli sciolti come piacevano a te. Lo so, ti sto raccontando il particolare più inutile ed insignificante Louis ma è così: a te piaceva carezzare la mia chioma scura lasciandovi scivolare la mano mentre mi guardavi amorevolmente. Se non puoi più farlo tu, se non puoi guardarmi ancora così, nessuno deve avere lo stesso diritto. Nessuno, per quanto possa contare per me.

E non vivo più a Parigi.
Ma questo lo sai, non è vero?
Sono dieci anni che mi guardì dall'alto - perché un posticino nel cielo dev'essere stato riservato anche a te, è innegabile - e saprai che Parigi rappresentava ormai una trappola.



A distanza di tempo ricordo ancora distintamente i primi giorni senza di te, in quella città che mi ha dato i natali e mi era così improvvisamente diventata nemica dopo la tua morte.
Però si tratta di immagini confuse, come di un sogno vissuto in maniera febbricitante ed alterata.

Ricordo, per esempio, il pianto di Marie che si univa al mio nelle lunghe notti che si son succedute alla tua scomparsa. Incapace di mostrarsi più forte di me e del mio tormento, imparava a sostenermi condividendo il mio stesso dolore, prendendone a carico una piccola parte nel tentativo di alleggerirmi il cuore. E no, non so chi le abbia detto di te Louis, come ci sia finita in casa mia o con quale cuore abbia accolto la notizia di quella sua figlioccia che viveva nello scandalo, accanto ad un uomo ucciso dalla Repubblica, ma so di per certo che non mi ha mai giudicato né rimproverato. Forse per troppo amore nei miei confronti, forse perché non voleva infierire sul mio stato d'animo o magari perché aveva compreso davvero quanto la mia stessa esistenza fosse tale semplicemente in tua funzione ma è così: non mi ha mai puntato il dito contro.
Ancora la ringrazio per questo.




Ricordo, ancora, l'abbraccio di Diane e quello della mia buona Rosalie che si alternavano a Marie nel tentativo di accudirmi e risollevarmi. Tuttavia, di quell'abbraccio, all'epoca, non percepivo il calore purtroppo: per me non ero altro che una stretta priva di significato. Semplicemente perché non era la tua.

Ricordo, infine, le mani di Olympe - la cara Olympe che non non mi hai mai abbandonata dal giorno della tua morte - quando cercavano di trattenermi e si ancoravano ai miei polsi mentre io le scacciavo nella furia di distruggere la casa, rovesciare sedie ed urlare per la disperazione di non saperti più su questa Terra. Perché il mondo - il mio mondo - era inconcepibile senza la tua presenza, senza il tuo passo svelto fuori dalla camera da letto, senza la tua risata fresca e il rumore dei tuoi stivali lanciati in un angolo con un gesto distratto prima di andare a dormire.

Non avrei più ascoltato la tua voce né toccato le tue mani.
Non avrei visto mai più la tua immagine riflessa nello specchio della nostra camera e osservato la tua espressione compiaciuta mentre assaggiavi il tuo piatto preferito, quello che avevo cucinato per te con amore e dedizione.


Sarebbe stato come se tu non fossi mai esistito.

Era questo il mio pensiero ossessivo, al tempo: la consapevolezza che sino al giorno prima fossi stato una presenza tangibile e reale nella mia vita e l'idea che, il giorno successivo, fossi d'improvviso sparito dal mio intorno. Come una figura evanescente che avesse abitato esclusivamente i miei sogni senza mai palesarsi nella realtà.

Sapevo di averti perso per sempre - l'avevo visto con i miei stessi occhi - ma non riuscivo ad accettarlo perché sapevo anche di averti avuto. Il cuore ed il cervello facevano continuamente a pugni a causa di questo e la voragine che mi portavo nel petto minacciava di divorarmi e distruggermi ad ogni istante che passava.


Credo di non aver mai vissuto giorni altrettanto bui, neppure quando mia madre è morta.
Poiché lei ha sofferto di una malattia terribile per mesi prima di lasciarmi e io mi ero paradossalmente e lentamente abituata all'idea di perderla prima o poi, per quanto dolorosa potesse risultare una tale consapevolezza.

Con te, Louis, è stato diverso: sei sparito da un giorno all'altro ed io neanche riuscivo a crederci.

Il pensiero di te mi consumava dall' interno: per molti giorni dopo la tua dipartita la febbre mi ha divorato e nel delirio da essa provocata pronunciavo frasi sconnesse, ripetendo il tuo nome; raramente mangiavo e quando accadeva finivo puntualmente col rigettare il tutto.
Nei miei sogni c'eri tu, sempre e soltanto tu Louis: apparivi e scomparivi come il fantasma che eri diventato ed io t'inseguivo per strada lunghe e sconosciute, buie ed irte di pericoli prima di perderti definitivamente. Prima di inciampare o rischiare di annegare in un mare di sangue mentre ti allontanavi senza mai voltarti. E quando voci ignote e terrificanti mi sussurravano all'orecchio che l'assassino aveva compiuto il suo dovere mi svegliavo sudata e scarmigliata, urlando con quanto fiato avessi in corpo. Invocavo il tuo nome, a volte quello di mia madre. O semplicemente chiedevo aiuto: più ne ricevevo, più mi sembrava di essere inghiottita da un buco nero.





Poi, un mattino così assolato da accecare, qualcuno ha bussato alla mia porta.
E' stata Olympe quel giorno a preoccuparsi di dare il benvenuto all'ospite ignoto che si apprestava alla soglia di casa: io non ne avrei mai avuto la forza.


"Constance Moreau?"


La voce di quell'uomo è stampata nella mia memoria come se l'avessi ascoltata ieri.
Ancora mi dà i brividi a pensarci.


E' stata quella voce così profonda a spingermi a voltarmi immediatamente in direzione del mio anonimo visitatore, quasi sorprendentemente visto che da giorni non rispondevo più ai richiami di nessuno.
Così, ho scoperto l'identità del mio ospite: un sacerdote.
Guardandolo, ho compreso subito molte cose.



E' curioso come di Padre François, ad oggi, abbia a mente soprattutto il naso grosso e lo sguardo compassionevole. Me lo ricordo bene quello sguardo mentre mi fissava, esplorava e scandagliava il mio dolore nel tentativo di lenirlo. Mi teneva la mano e mi parlava piano mentre il calore del suo palmo saliva più su, sino al polso e poi lungo tutto il braccio.

E con quella voce dolce e bassa Padre François mi ha raccontato di te, delle tue ultime ore.

E' stato proprio lui a confessarmi che, mentre tutti gli altri condannati a morte, una volta messi a parte del proprio destino, si affidavano alle sue preghiere per trovare finalmente la via per giungere a nostro Signore, tu sai stato l'unico a preoccuparsi per chi avevi lasciato piuttosto che per te stesso.
Mi ha raccontato che sei andato spedito a dirgli che della tua anima non t'importava un fico secco. Che era troppo marcia per essere salvata.

Ma sapevi che a casa c'era qualcuno che si struggeva per te e desideravi che quel qualcuno conoscesse la verità. Così l'hai supplicato di raggiungermi appena gli fosse stato possibile, l'hai pregato di trovarmi affinché potesse consegnarmi personalmente la lettera che avevi scritto per me.



Custodisco ancora oggi quella lettera. Anche adesso, anche dopo dieci anni.
E' sgualcita, sbiadita dal tempo e dalle lacrime. I bordi sono consumati così come i punti in cui è stata piegata da mani amorevoli.
Ma è ancora mia e tale resterà fino alla fine dei miei giorni come l'ultima e più dolce testimonianza della tua esistenza.
In realtà, posso recitarla senza bisogno di rileggerla. Sai qual è la verità? L'ho divorata con gli occhi e con la mente così tante volte che adesso la conosco a memoria, Louis.





"Parigi, 27 Luglio 1794.


Eccomi qui, amore mio.
In questa notte senza luna. In questa notte senza di te.
Probabilmente l'ultima della mia vita e la peggiore. Non tanto perché il giorno che verrà mi condurrà quasi certamente alla morte, nossignore: soltanto perché dovrò accettare questa nuova condizione senza poterti salutare.
Non rivedrò i tuoi occhi un'ultima volta prima di chiudere i miei per sempre  ma ne riporterò l'immagine alla memoria con tutte le mie forze e di questo dovrò accontentarmi per sorridere, di quell'ombra sbiadita che pur sempre ti appartiene.

Così, l'idea di doverti dire addio sarà un po' meno penosa.
O almeno credo.
E no, Constance, non me l'ha assicurato nessuno che domattina ci lascerò la pelle sulla ghigliottina e neppure desidero fare il melodrammatico, ma ho idea di come funzioni la Rivoluzione. L'ho visto con decine di rivali ed oppositori politici prima di me e so che domani mi colpirà alle spalle.
Qualcuno che presto prenderà il posto mio o di Maximilien ha già deciso che per noi è finita. Possiamo rifugiarci all'Hotel de Ville ed appellarci a qualsiasi legge o atto liberatorio: lo so, non ci sarà via di fuga per noi. Mi guardo intorno, incontro gli occhi di Robespierre e degli altri amici che sono qui a condividere con noi un sì triste destino, e il terrore che riconosco nel loro sguardo me lo conferma: non uno che sia certo della sua buona stella. Il sole che si alzerà domattina su Parigi porterà molte lacrime.

E se pure domani mi salvassi, cosa ne otterrei? Soltanto l'opportunità di allungare l'agonia poiché certamente la morte verrà comunque a bussare alla mia porta. Al più fra due o tre giorni ma lo farà quindi cerco di essere preparato, semmai fosse possibile.
Comunque sia, se avessi tanta fortuna da salvarmi, getterò questa lettera nella Senna. O nel fuoco.
Oppure potrò fartela leggere e riderne insieme.
Ma chi voglio prendere in giro, amor mio? Lo sai anche tu che non c'è salvezza per me.
Non c'è stata mai.


Per consolarmi, ti sognerò in questa notte Constance.
Sognerò che sia già mattino - un mattino di sole nel nostro letto morbido - e m'illuderò di poterti abbracciare.
Ascolterò la tua voce mentre mi dai il buongiorno e percepirò la freschezza delle tue labbra mentre, sorridendo, mi baci la punta del naso.
Crederò a tutto questo e morirò un po' più felice.


Ho fatto molti errori nella mia vita. Il più grande è proprio questo: l'averti abbandonata.
Ma tu sai che non avrei mai voluto farlo realmente, vero?
E ne sono consapevole, se fossi adesso qui con me mi guarderesti con quell'aria corrucciata e un po' capricciosa che a volte sfoggi e che io amo incondizionatamente, dicendomi che nessuno me l'ha imposto.
Che me la son cercata.
Hai ragione. Più o meno.
Tuttavia, me lo chiedeva la coscienza come atto di coraggio e io non potevo sottrarmi.
Inoltre, me l'ordinava il mio senso del dovere e l'uomo, dentro di me, che ha donato tutto se stesso ad una causa in cui credeva fermamente.
Una causa che mi ha tradito. E che io perdono, nonostante tutto.


Tu, invece, non mi hai mai abbandonato. Anche stanotte - io lo so - sei nella nostra casa,
a torcerti le mani e disperarti per la mia sorte. E starai pregando affinché qualcuno mi tiri fuori da questo impiccio, vero dolcissimo amor mio?

Mi sembra di vederlo il tuo bel visetto, quegli occhioni azzurri sempre troppo pieni di lacrime. Sempre per causa mia, purtroppo.
Se potessi...se potessi correrei da te adesso. Ti riempirei le guance di baci e ti porterei in un campo di fiori. A correre, a ridere e divertirci per una volta, finalmente spensierati e felici come avremmo meritato da sempre.
Pensare che abbiamo speso tanto tempo inutilmente!
Se l'avessi saputo prima che la nostra vita insieme sarebbe stata così breve, mi sarei risparmiato tanti dolori. Ti avrei fatta sorridere di più.

A tornare indietro, ti renderei felice. Non ti dico che ti avrei evitato per il tuo bene, sarebbe una sciocchezza ed io sono un inguaribile egoista.
Ti volevo nella mia vita e ti voglio ancora ora.
Se questo soltanto era il tempo che mi è stato concesso di vivere su questa Terra, sono felice di averlo speso con te e non cambierei nulla del nostro passato.

Tuttavia, cercherei di comportarmi un po' meglio. Davvero, non lo dico soltanto perché ora sono ad un passo dalla morte: ti meritavi un uomo migliore. Ti meritavi un Louis migliore.
Ma tu hai amato anche l'essere imperfetto che sono e dunque mi considero fortunato, nonostante tutto, perché il nostro è stato vero amore, del tipo che accetta anche i difetti dell'altro, li ama comunque. Non a tutti è concesso viverlo.


Avrei voluto scriverti qualcosa di più ragionevole piuttosto che queste quattro righe sconclusionate, sai?
Avrei voluto dirti che avevo in mente di sposarti il 19 Settembre, giorno di Santa Costanza.
Non potrò più farlo ma quando arriverà quella data, te ne prego amor mio, recati in una chiesa - una qualunque, dì una preghiera per la mia povera anima e immagina di avermi sposato per davvero.


Poi, un giorno, innamorati Constance.
Liberati di me e vivi la tua vita.
Sposa l'uomo fortunato che ti rapirà il cuore. Perché, se una parte di te sarà mia per sempre, hai tu diritto ad una vita felice. Hai diritto a qualcuno che ti guardi con occhi stregati, che ti faccia sentire importante, qualcuno che ti renda la madre perfetta che sarai certamente.
Avrai dei figli belli quanto te, ne sono sicuro, e se ci sarà ancora vita per me oltre questa terrena, ti prometto che veglierò su di loro.




Vorrei chiederti perdono, Constance. Per tutte le volte in cui hai pianto per me, per tutte le volte in cui non hai potuto comprendermi perché ho alzato io un muro invalicabile contro di te...Proprio con te, che stupido!
E per tutte le volte in cui avrei voluto essere più dolce ed invece...non l'ho fatto. Perché non ne sono capace, semplicemente.
Ma ti ho amata. Di un amore devastante e a tratti orribile, ne sono consapevole.
Ti ho amata tanto. Ti amo ancora.
E non smetterò di farlo neppure in quell'Eternità che mi aspetta, bella o brutta che sia.
Magari sarà meno brutta se, nelle notti che verranno, mi dirai che sì, mi perdoni.
Anche se non me lo merito.



Ho sempre finto coraggio, Constance. Anche nei momenti peggiori, ero l'uomo impenetrabile.
Se soltanto immaginassi...In realtà ho una paura indescrivibile di morire.
Però, se penso a te, sto meglio.
E spero che questo mio pensiero, stasera, sia così forte da arrivare fino a te, in quel letto dove te ne stai ad occhi spalancati invocando il mio nome.

Hai sempre avuto l'innata capacità di ridarmi il sorriso. Anche il giorno che ci siamo conosciuti, ricordi? Ero abbattuto per certe stupide scaramucce accadute alla Convenzione e tu...tu hai cancellato ogni dolore soltanto guardandomi. E donandomi quella camelia rossa che, detto per inciso, è ancora conservata in un libro, tra gli scaffali della casa. Puoi cercarla se vuoi: quel libro è la Bibbia perché tu sei un angelo è quello è il posto adatto per il tuo fiore.

Ti prego, dunque, di sorridere. Di sorridere ancora, di sorridere sempre e nonostante tutto, nella tua vita.
Io ti guarderò anche dall'altro lato e sorriderò con te perché, ancora una volta, saprai rischiarare le mie giornate.

Adesso devo smettere di scrivere.
Non considerarmi pazzo, leggendo questa lettera sconclusionata. O fallo se vuoi: in fondo, sono pazzo di te.
E non dimenticare mai che l'amore che provo per te è come il vento: non potrai mai vederlo ma potrai sempre sentirlo. Ovunque tu sia*. Pensa a questo ogni qualvolta sentirai la mia mancanza.



Addio, mio dolce amore.

Per sempre tuo,
Louis.







Soltanto io conosco il contenuto di questa lettera. Padre François, Marie, Olympe e tutte le brave persone che mi sono state accanto nei lunghi giorni dell'agonia - i giorni della tua assenza, ancora una volta - tutt'oggi ignorano questo tuo testamento. Sono le tue ultime parole quelle e mi appartengono. Sono le parole su cui ho consumato le mie lacrime e raramente sorriso. E' quella la lettera che ho carezzato per ore soltanto per ritrovare i tuoi segni sulla carta, per sentirli al tatto perché avevi l'abitudine di calcare molto sul foglio quando scrivevi ed io lo sapevo. E' mia e di nessun altro, questa lettera. Almeno per ora.

E' ancora presto perché qualcun altro la conosca, Louis.





*




Le acque del Tamigi continuano a scorrere, placide e gentili.
Oggi è una giornata serena.
Mi chiedo se la Senna sia stata garbata allo stesso modo quando ha portato via ciò che era rimasto del tuo corpo.

E' stato Padre François a rivelarmi questo particolare, un giorno in cui piangevo più del solito perché desideravo ardentemente una tomba su cui portare i fiori. Da allora la tua tomba è diventata ogni fiume di questo mondo. Ecco perché oggi sono qui.



E' curioso come ora riesca a guardare a tutto quel che è accaduto come se si trattasse di una scena lontana, qualcosa che non ho vissuto realmente. Non voglio dirti che l'affronti con distacco Louis, mentirei: l'idea della tua morte ancora mi brucia dentro e la tua mancanza ancora mi toglie il respiro, talvolta. Ma ad oggi posso affermare che la rassegnazione esiste così come esistono i miracoli.
Ed è merito di un miracolo se io vivo e posso sorridere ancora.


Quel miracolo si chiama Etienne e ha dieci anni, ormai.



Etienne è il regalo che mi hai fatto senza neanche saperlo, il motivo che mi spinge ancora oggi a credere che la Rivoluzione non sia stata più forte di noi due.
Etienne è una parte della tua anima che si è fatta carne e sangue dentro di me in quell'ultima notte trascorsa assieme. Come un segno dall'Alto, come se Dio avesse voluto ricordarmi che c'era ancora redenzione, ancora una possibilità, che non sarei stata privata di tutto e che ti avrei rivisto ancora nelle lunghe notti a venire della mia vita.
Sotto altre spoglie, certo, e con un altro nome, ma in quella creatura nata dalle mie stesse viscere avrei nuovamente incontrato i tuoi occhi ed avrei sorriso ancora.

Così è stato Louis.
Nell'esatto istante in cui ho compreso di essere incinta ho smesso di piangere.
Non mi ha turbato l'idea di crescere un figlio da sola, né mi hanno infastidito le nausee, la stanchezza, l'idea che per gli altri avrei rappresentato una svergognata con un bimbo a carico e nessun marito accanto.
Quel che credevano gli altri non era più importante per me e avrei sopportato qualsiasi cosa pur di veder nascere il mio Etienne.

Il giorno in cui è venuto al mondo - il 25 Aprile del 1795 - anche io sono rinata. Me l'ha detto Marie, me l'ha confermato Rosalie. Persino Padre François mi ha confessato, ridendo, quanto questo fosse chiaro mentre, dopo un parto devastante, coccolavo il mio piccino adagiato accanto a me
su quel letto che era stato il nostro e che continuava ad essere tale proprio in virtù di questo figlio.
 
Dopo la sua nascita ho fatto i conti con me stessa, riorganizzato le priorità della mia vita e impedito alla parte debole di me di prendere ancora il sopravvento. Ho accettato senza vergogna le monete che Marie e Padre François avevano raccolto e conservato per me e con quei soldi ho abbandonato la Francia perché mio figlio non avrebbe dovuto mai vivere gli odori e i colori della terra che aveva ucciso suo padre.




Calpestando il suolo inglese per la prima volta - appena qualche tempo dopo - ho compreso molte cose.
Ed in questa nazione che non mi è mai stata estranea o nemica ho cominciato la mia nuova esistenza.
La mia nuova vita assieme ad Etienne.





*




Da quando c'è Etienne ho di nuovo un buon motivo per esistere e non mi stupisce che il nostro rapporto sia così viscerale: non mi muovo mai senza di lui. Ed Etienne non fa un passo senza la sua mamma accanto. Mi guarda anche tra la folla, col suo occhio sempre vigile ma senza disturbare perché è un bimbo di poche parole.
E' nostro figlio, il prolungamento di te su questa Terra, ed è speciale.




"Maman!"

Eccola: l'adorabile voce del mio bambino che non mi permette mai di star troppo sola con i miei pensieri.
Per fortuna, dovei aggiungere.
L'adorabile voce del mio Etienne...



"Etienne! Dov'eri?"
"Con Edward. Mi ha prestato qualche monetina per comprare queste."



Il mio bambino mi mostra il suo tesoro: camelie bianche e rosse.
Ormai anche lui ne ha imparato il significato.
Sorrido accogliendo quei fiori tra le mie mani. E' il nostro rituale, ogni anno da dieci anni a questa parte: lanceremo le camelie nel fiume sotto di noi così che possano arrivare a te, ovunque tu sia.
Tutti i fiumi sfociano nel mare, no? Ed a me piace immaginare che quel mare unico accolga la Senna, accolga le acque del Tamigi ed abbia accolto il tuo corpo, un tempo. Cosicché i nostri fiori giungeranno fino a te in quel mare per ricordarti che ti amiamo e che sei nel nostro cuore. Sempre.


"E' stato gentile Edward, Etienne. L'hai ringraziato?"


Il mio piccolo uomo annuisce prontamente ed i boccoli bruni rimbalzano sulla sua testa un po' comicamente.
E' la tua esatta copia, Louis. Ha i tuoi stessi occhi verdi, il tuo profilo perfetto, lo sguardo lontano, le mani affusolate ed i tuoi stessi silenzi. Tutto ciò che ha ereditato da me è il colore della chioma ma non mi dispiace. Avrei fatto a meno anche di quello, credimi.
A volte lo guardo di sottecchi, mentre è impegnato nei suoi compiti oppure a guardare l'orizzonte, pensieroso. Ed allora scopro un gesto nuovo, l'identico modo che avevi tu di scostarti i capelli dal viso, per esempio, o di aggrottare le sopracciglia se qualcosa disturbava la tua attenzione e sobbalzo. Quei gesti non li ha mai visti, non glieli ho insegnati io, neppure mai menzionati. Eppure sono suoi come un tempo erano stati tuoi semplicemente perché sei suo padre e se li porta nel sangue.
Quando ci penso ancora piango come la ragazzina di diciassette anni che ero un tempo. Ma non farmene una colpa, te ne prego: questo nostro figlio è un regalo troppo grande per recriminare.


"Arriveranno a papà anche quest'anno i nostri fiori, maman?"
"Oui, mon petite trèsor."

Rispondo e mi mordo la lingua. Siamo a Londra, dovrei smetterla di parlare sempre in francese.

"Come fai ad esserne certa?"

Anche in questo ti somiglia. E sempre diffidente, preciso e pignolo. E raramente puoi prenderlo in giro.

"Il mare è unico per tutti."
"Perché mio padre riposa in mare, maman?"

Ci penso su per qualche istante. Me lo chiede spesso ed ogni volta con maggiore serietà.
Le mie risposte non gli bastano mai.

"Perché tuo padre era figlio del cielo e del mare. Era uno spirito libero e per la libertà di un popolo ha sacrificato la sua vita. Riposa nel luogo che gli appartiene e dov'è giusto che egli sia."


Continuo a sbriciolare petali nel Tamigi mentre il vento se li porta via, trascinandoli in punti diversi del fiume. Li guardo arrivare alla superficie prima che le acque li inghiottiscano lentamente. Dopo un po' spariscono nel buio, ne perdo le tracce.
Louis Etienne, al mio fianco, non parla più. Poggiato alla balaustra, fasciato nel suo completo buono, di ottima fattura e dai colori scuri (non ama le tinte chiare, il mio bambino), guarda con infinita serietà al panorama di fronte a lui e lascia andare un ultimo fiore prima di distogliere lo sguardo.

Non mi sembra mai abbia appena dieci anni.


"Etienne?"
"Oui, maman."
"Edward sarebbe molto felice se lo chiamassi papà. Potrebbe valere molto più di cento ringraziamenti. Pensi di poterci provare prima o poi?"
"Non lo so," - risponde serio - "vorrei pensarci ancora un po'. Io ho un papà ce l'ho già."
"Potresti averne un secondo. Edward ti vuole molto bene e saprebbe amarti proprio come ti avrebbe amato Louis."
"Ti farò sapere. Adesso posso andare? Laly e Victoria mi stanno chiamando."


Difatti, in lontananza, scorgo la figura piccola e minuta di due bambine che passeggiano amorevolmente al fianco di un uomo che ben conosco.
Aggraziate e sorridenti, agitano le loro manine nel tentativo di richiamare l'attenzione di Etienne ed Etienne non se lo fa ripetere due volte: ama quelle piccine con tutto se stesso e darebbe la sua vita per il loro bene.
Come non potrebbe essere altrimenti?
Quelle bambine - le gemelle - sono le mie figlie.
Le sue sorelle.
Victoria Justine e Rose Eulaly, le bambine che ho dato alla luce ormai quattro anni fa.

L'uomo che passeggia al loro fianco è bello, con i suoi capelli biondi e ondulati e gli occhi di un verde chiarissimo. Sorride spesso, gentilmente, e non alza mai la voce. Quell'uomo si chiama Edward ed è mio marito.


Mi guarda con preoccupazione. Conosce il significato di quel 28 Luglio per me ed Etienne e lo rispetta con silenzio e profondo amore.
Ma so che teme per me e per il mio cuore e a volte mi chiedo come abbia accettato consapevolmente di essere sempre il secondo.

Gli rivolgo un tenue sorriso, sillabo piano che va tutto bene.
Almeno lui non dovrà preoccuparsi.


"Vai Etienne. E pensaci per davvero."


Annuisce ancora prima di correre lungo la passeggiata sul fiume, fino ad abbracciare le sue sorelline.
Questa volta mi commuovo: Etienne è il regalo più bello che la vita avesse potuto farmi.
Che tu avessi potuto farmi nello specifico, Louis.





Passeggio ancora un po' ed Edward mi viene incontro, un leggerissimo sorriso stampato sulle belle labbra.

Ricambio senza esitazione ed accetto il braccio che mi porge così gentilmente. A guardarci dall'esterno sembriamo davvero una normale famiglia in gita sul Tamigi, con noi due di qualche passo più indietro ed i bambini che si rincorrono felicemente pochi metri avanti a noi.

Mi guarda qualche istante ancora, di sottecchi, mentre quella peste di Laly urla e ride sotto lo sguardo protettivo di Etienne.


"Ho qualcosa fuori posto?" - Commento ridacchiando, sentendomi osservata.
"Affatto. La tua innata bellezza non si scompone mai, mia cara."

Sorrido, guardando con fierezza davanti a me.

C'è una buona ragione per cui cinque anni fa ho accettato di sposare quell' uomo conosciuto appena due mesi prima nella taverna dove servivo da mangiare, nel centro di Londra: non mi ha mai concesso di sottovalutarmi.
Oltre al fatto che ha accettato mio figlio senza indugi, amandolo come se fosse suo. Ad oggi Etienne, oltre al mio porta anche il suo cognome - Lawrence - e per me questo gesto è valso molto più di mille parole o di svariati mazzi di fiori per conquistare il mio cuore.
Per quanto non lo ami come ho amato te, so che è l'unica persona che potrebbe stare al mio fianco: Etienne in lui ha trovato un buon padre, per quanto ancora non desideri mai rivolgersi a lui con tale appellativo, e sono certa che Edward sarà un'ottima guida per lui e per le bambine.


Ma non ti nego che talvolta ancora porto dentro di me il senso di colpa per aver voltato pagina ricominciando con un altro uomo. Talvolta mi chiedo se tu abbia accettato questa mia nuova condizione oppure mi maledica.
Nel dubbio, continuo a chiederti perdono ogni sera sperando che tu sappia che questo mio matrimonio è soltanto secondo al nostro. Perché le tue preghiere io le ho rispettate e il 19 Settembre di dieci anni fa in chiesa per sposarti ci sono entrata davvero.

L'avrai visto? Ne sarai a conoscenza?
Non lo so. Ma ti prego, perdonami lo stesso.



"Come stai?" - La voce di Edward mi riporta alla realtà ma è flebile, quasi un sussurro. Sai, nonostante tu sia morto e nonostante non ti abbia mai conosciuto, credo sia un po' geloso di te. Non ti nomina spesso e quando lo fa il suo viso impallidisce. Ma rispetta il mio dolore e questo mi basta.

"Bene..."
"Etienne?"

Sospiro.

"Etienne fa le solite domande. Com'è giusto che sia."
"Forse dovreste tornare in Francia..."


Ci fermiamo, tra la folla. Io mi fermo.
Lo guardo con perplessità.


"Perché mai, Edward?"
"Perché Etienne ha bisogno di conoscere le sue radici."

Scuoto la testa.

"Etienne avrebbe soltanto bisogno di conoscere suo padre. Ma non è possibile, la vita ha scelto per lui. E tu stai facendo un ottimo lavoro."

Edward sorride, del suo sorriso un po' triste.


"Etienne non la pensa come te."
"E' un bambino complicato, dagli tempo. Credimi, se avessi conosciuto Louis potresti capire meglio le mie parole. Comunque, ti prego di fidarti delle mie supposizioni: conosco i suoi sguardi."


Edward mi guarda attentamente, poi annuisce risoluto: sa che non gli mentirei. Non su Etienne. Non su di te, Louis.


Appena più distante la vocina di Victoria giunge melodiosa sino alle nostre orecchie, accompagnata da uno scroscio di risa così genuino e sincero da far stringere il cuore per l'emozione:

"Louis! Louis guarda quel cavallo bianco! Mi porti sul cavallo?" - Victoria indica febbricitante una carrozza a poca distanza. E' davvero buffa.

"Anche io Louis! Voglio andare sul cavallino!"

Eulaly si associa alla richiesta della gemella, tira Louis Etienne per la manica della giacchina, entrambe gli saltellano intorno e i loro boccoli biondi rimbalzano sulle spalle energicamente: sono piccole e minute ma terribilmente pestifere e chiacchierone. Delle piccole attrici, in pratica.
Il mio bambino ride apertamente, le guarda con l'aria protettiva ed orgogliosa tipica del fratello maggiore e annuisce. La sua voce, già così profonda, mi giunge distinta e meravigliosa:

"Vi porterò sul cavallino come volete ma soltanto se chiedete prima il permesso a Mamàn. E se mi giurate di mangiare per pranzo perché siete piccine piccine come un uccellino e per andare a cavallo, invece, dovete essere grandi e in salute!"




Mangi come un uccellino, Constance...
Coraggio, vieni qui, pranziamo insieme, amore...




La tua voce, la sua voce.
Le stesse parole dopo dieci e più anni, Louis.


Allontano una lacrima impertinente all'angolo dell'occhio, fingo di sorridere: quando Etienne si fa così simile a te trattenere l'emozione è difficile.

Edward mi stringe la mano.

"Stai bene Constance?"


Lo guardo per un po', senza vederlo realmente. Poi sposto nuovamente lo sguardo sui miei bambini e sorrido: è un giorno caldo d'estate e il Tamigi risplende sotto i raggi di un sole libero da nuvole.
Ho molto amato e molto sono stata amata.
Sono moglie oggi e sono madre.
Ho tre bambini meravigliosi: uno è la tua copia.Vederlo mi ricorda che sei esistito realmente, che nulla di te è stato immaginazione o fantasia. Vederlo mi aiuta ad averti sempre davanti ai miei occhi, a non dimenticarti mai. Come se potessi, poi.


Ti ho perso, e non ti ho perso affatto, Louis.
Forse non ti ho avuto mai. Forse ti ho avuto più di quanto io stessa creda.
Ma una parte di te e qui con me e non sono sola.


No, la Rivoluzione non è stata più forte di noi ed io sono una donna fortunata, nonostante tutto.


Tra le mani conservo una camelia rossa: mi sporgo verso la balaustra e la lascio cadere.
Quella camelia è tua Louis, non mi appartiene.


Torno a guardare Edward, stavolta gli sorrido sincera:


"Sto bene. Andiamo a casa?"

"Andiamo a casa." - Annuisce sereno, lasciandomi un bacio tra i capelli.













Grazie per avermi amata Louis.
Se la mia vita ha avuto un senso, quel senso sei ancora tu.

















**
Mettere la parola fine a questa storia mi sta causando una sofferenza indicibile. E okay, sarò melodrammatica, ma è così: ho amato Louis e Constance, e dover dire loro addio mi fa male. C'è qualcuno (la mia Agnes, per intenderci) che lo sa molto bene quanto ho pianto per questa storia e beh....Agnes, vorrei dedicartela. Forse te l'ho già detto ma senza la tua spinta non mi sarei mai cimentata nelle originali. Mi hai dato consigli, supportata e incoraggiata nei momenti peggiori quindi...Grazie per tutto :')
Avrei voluto dirvi tante cose alla fine di questo capitolo e non me ne viene in mente neanche una....Un genio, vero? Al momento, l'unica considerazione che riesco a fare è che si tratta di una lunga confessione, forse la prima che Constance fa a Louis in tutta la storia. E nel medesimo capitolo avete letto anche l'ultima lettera scritta da Louis alla sua amata: qualcuna tra voi (Opunzia ;D) aveva notato che a Louis piaceva lo scambio epistolare: non si è smentito neppure stavolta. Qualcun'altra, invece (Alessia;D) aveva capito che avremmo avuto un erede Saint Just: sono stata così cattiva con Louis, potevo mai privarlo di una simile gioia? Etienne rappresenterà per sempre il collante tra Louis e Constance e a dirla tutta (e se anche a voi fa piacere) avrei in mente di scrivere un seguito per questa storia in cui il protagonista sia proprio il nostro Etienne...Fatemi conoscere il vostro parere a riguardo! :)
Vi prego di non giudicare male Constance per essersi rifatta una vita, se così si può dire. Penso che sia abbastanza chiaro che l'unico amore, il più grande, si chiamerà sempre Louis. E penso anche sia chiara la necessità di poter condividere gioie e dolori della vita con qualcun altro, nonché la necessità di regalare una famiglia vera ai propri figli. A Etienne, nella fattispecie. So che Edward e Constance non suona altrettanto bene come Louis e Constance ma vogliate bene a quest'uomo che ama lei e ne ama il figlio come se fosse il suo :)

Il banner per questa storia è una mia creazione e anche qui c'è la genialità: inserirlo nell'ultimo capitolo! -.-
Va bene, basta sciocchezze: grazie a TUTTE VOI che avete seguito, preferito, ricordato, recensito e anche soltanto letto Al di là del nostro amore. E' una storia in cui lascio un pezzetto del mio cuore e spero di essere stata in grado di comunicare anche solo una piccola parte di tutto il vortice di emozioni che mi si agitava dentro ad ogni capitolo pubblicato. Grazie davvero per il supporto, le belle parole, per l'esserci state sempre.
Smetto di sproloquiare e vi lascio con un bacio immenso e la canzone che apre il capitolo.

A presto
Matisse.









*
"E non dimenticare mai che l'amore che provo per te è come il vento: non potrai mai vederlo ma potrai sempre sentirlo. Ovunque tu sia": frase tratta dal libro di Sergio Bambarén "Lettera a mio figlio sulla felicità"

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=865077