Virus

di LeftEye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Livello uno: scintilla ***
Capitolo 3: *** Livello due: contagio ***
Capitolo 4: *** Livello tre: isolamento ***
Capitolo 5: *** Livello quattro: buio ***
Capitolo 6: *** Livello cinque: paura ***
Capitolo 7: *** Livello sei: migrazione ***
Capitolo 8: *** Livello sette: immobilità ***
Capitolo 9: *** Livello otto: trattativa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Virus




Prologo




Si svegliò di soprassalto, ansimante.
Piccole e scintillanti gocce di sudore scendevano lungo il petto nudo, seguendo la linea dei suoi muscoli ed evitando le cicatrici che segnavano la pelle, come se fossero infette, pericolose.
Si guardò intorno, quasi per accertarsi di essere ancora nel luogo dove si era addormentato, la sua spaziosa e vuota camera da letto. I suoi occhi erano spalancati e attenti, privi di quella debolezza e l'annebbiamento tipici di quando ci si è appena svegliati: per un guerriero, la linea di confine tra sonno e veglia era sottilissima.
Il cuore gli batteva all’impazzata, sembrava che a momenti gli sfondasse il petto e, stranamente, non gli riuscì facile riprendere il controllo del battito cardiaco.
Il controllo.
Un dono, un’abilità, in qualunque modo lo si volesse definire, lui l’aveva sempre posseduto: su di sé e su tutti gli altri, tranne che su Freezer... ma le cose presto sarebbero cambiate.
Scostò bruscamente le coperte, senza provare il minimo brivido di freddo nonostante fosse quasi completamente nudo, nemmeno quando posò i piedi sul gelido pavimento di marmo.
Freezer aveva fatto costruire quel palazzo e aveva dato il permesso di viverci solo ai suoi uomini migliori, tra le comodità e il lusso più sfrenato, per avere il controllo su di essi, viziarli, impigrirli, ingraziarseli.
Ogni stanza era riccamente arredata con tappezzerie cucite a mano con fili d'oro, mobili finemente intagliati ed inutili orpelli decorativi d'argento e di pietre preziose.
Con Vegeta tuttavia, il gioco non aveva mai funzionato e, nonostante si fosse liberato dal primo istante di ogni oggetto che ritenesse superfluo nella sua stanza, lui trascorreva il suo tempo là dentro solo per dormire, e nemmeno tutte le notti: a volte volava fino a qualche landa desolata del pianeta e trascorreva la notte disteso supino, con le braccia dietro la nuca a fargli da guanciale, a rimirare il cielo e riflettere.
Nonostante fosse di stirpe reale, l’ultimo principe della sua razza, aveva un animo vagabondo, adattato a vivere anche nelle condizioni più misere, nel lerciume, in mezzo al deserto o al ghiacciaio. Del resto, fin da quando era un cucciolo gli era sempre stato ricordato che nulla gli era dovuto e che il suo titolo di principe non gli conferiva, agli occhi di Freezer, un valore maggiore rispetto agli altri Saiyan; al contrario, lui pagava il debito più alto ad un tiranno che aveva potere di vita o di morte su tutta la sua specie.
Vegeta era stato allevato per diventare una macchina mortale, e per questo scopo era stato tenuto lontano dalla sua gente. I Saiyan erano guerrieri letali, incapaci di provare pietà per il nemico, ma erano troppo pigri per uccidere senza un motivo ben preciso e si facevano facilmente corrompere dal cibo e dalle donne.
Freezer aveva preso ciò che di meglio c'era tra quegli scimmioni e l'aveva reso perfetto, seppur fosse ben conscio che Vegeta non si sarebbe mai sottomesso al suo volere. Egli assisteva con diletto alla crescita del giovane principe, attendendo con trepidazione il giorno in cui si sarebbe sentito abbastanza forte da ribellarsi a lui e da proporgli finalmente un divertente diversivo contro la noia.
Il Saiyan cercò di trattenere la rabbia, ricordando a se stesso che l'avrebbe sfogata al momento giusto e che doveva tenere a freno le proprie emozioni ancora per un po'.
Cercò di riportare alla mente cosa avesse visto nel sonno di tanto sconvolgente da farlo svegliare di soprassalto, ma tutto ciò che vedeva ancora del sogno erano degli occhi rossi.
Tanti occhi rossi.
E anche… ora ricordava! Una giovane donna.
Non una Saiyan, ma non avrebbe saputo dire a quale razza appartenesse.
Esile, le braccia e il collo sottili ma il viso ovale e le guance rosee, sembrava fatta di cristallo; le labbra carnose, la pelle bianca come la luna e gli occhi azzurri e limpidi come gli oceani che aveva visto in alcuni pianeti conquistati e che mancavano sul suo. Anche i capelli erano dello stesso colore: era bella.
Nei suoi sporadici incontri con le femmine, Vegeta non si era mai soffermato sulla loro bellezza, anzi, non avrebbe saputo ricordare il volto di nessuna di esse: per lui erano tutte uguali ed una sola era la cosa che cercava in loro.
Ma la donna del sogno aveva qualcosa di mistico ed etereo: avrebbe potuto facilmente scambiarla per un angelo, se solo avesse creduto a quelle sciocchezze.
Indossava una veste bianca, anzi, lucente, emanava una luce fortissima ma non abbagliante, e sorrideva dolcemente.
Prima di allora, aveva visto un’espressione del genere solo sul volto di un’altra persona: su di un pianeta – non ne ricordava il nome – poco prima di attaccarlo e distruggerlo completamente.
Lui e i suoi uomini erano giunti ad un villaggio di contadini indifesi e, accanto ad una delle capanne, aveva intravisto una donna con un cucciolo della stessa razza in braccio: gli sorrideva allo stesso modo della ragazza del sogno e lo cullava cantando qualche nenia sconosciuta.
L'unica differenza era che, la donna dai capelli azzurri, il sorriso l’aveva rivolto proprio a lui.
La sua mente razionale gli diceva che i sogni erano riconducibili a qualche episodio passato, a una persona o una cosa viste da poco, oppure rappresentavano la realizzazione allucinatoria di un qualche desiderio recondito e inappagato durante la vita diurna.
Il Saiyan, difatti, vedeva spesso la propria vittoria e la morte di Freezer, in sogno, ma Vegeta non aveva mai incontrato quella donna, non sentiva il bisogno di possedere una femmina poiché, al contrario degli altri Saiyan, era perfettamente in grado di controllare a lungo i suoi istinti più bassi e, soprattutto, non aveva mai visto nessuno sorridergli in quel modo, tanto che quel particolare lo aveva lasciato in un insolito stato di turbamento.
A cosa poteva essere dovuto quel sogno?
Di incubi ne aveva avuti tanti e non erano gli occhi rossi che aveva visto a turbarlo: era la ragazza sconosciuta.
Non riusciva a trovare una spiegazione logica per lei.
Né, soprattutto, al fatto che l’avesse considerata bella. Il sogno era durato pochissimo, si stupiva perfino che riuscisse a ricordarla in ogni singolo dettaglio e che ne fosse così attratto, ma non sessualmente.
Lei era lì, davanti a lui, sorrideva e stendeva le braccia nel gesto di accoglierlo, e lui si era avvicinato ma, a pochi passi dalla donna, erano comparsi quegli occhi infuocati e si era svegliato.
Si strofinò la faccia, ma poi si diresse verso il bagno per darsi una rinfrescata; passò le mani prima immerse nell’acqua gelida sulla fronte e sul collo, restando chinato sul lavandino, con gli occhi chiusi.
Fu quando si alzò e gettò una breve occhiata allo specchio che la rivide.
Era dietro di lui, sempre candida e sorridente; si girò di scatto, ma alle sue spalle non trovò altro se non la parete color grigio sporco.
Sto impazzendo” pensò, sospirando forte. “Devo darmi una calmata.”
Erano le tre e mezza del mattino, si sarebbe comunque dovuto alzare tra un’ora, dunque tanto valeva vestirsi ed andare nell’arena ad allenarsi.
Si convinse che quell’allucinazione era dovuta a qualcosa di pesante che aveva mangiato la sera precedente e, dopo aver indossato la sua battle suit, uscì dalla stanza sbattendo la porta, disturbando il silenzio che ancora regnava nel resto del palazzo.


Note:
sono tornata e sono lieta di annunciarvi che ho deciso di terminare questa fan fiction! Chiedo umilmente scusa alle persone che hanno atteso questo momento per molto, molto tempo, e soprattutto a coloro che ogni tanto mi chiedevano speranzose quando avrei finito questa storia. Scusa scusa scusa e grazie grazie grazie per l'infinita pazienza!
Ho dovuto cancellare tutti i capitoli poiché le modifiche che vi ho apportato erano tante e la trama è anche in parte cambiata.
Come vedrete, ho modificato i nomi delle due sorelle, cercando di attenermi alla tradizione dei nomi Saiyan, che generalmente prendono spunto da nomi di verdure. Kauli è stato coniato da cauliflower (cavolfiore) e Ginger da zenzero: quest'ultima all'inizio l'avevo ribattezzata Bella, da bell pepper, ma non mi convinceva per niente (soprattutto visto l'ovvia associazione con un'altra Bella XD), quindi potreste per sbaglio incappare in qualche Bella, qua e là nel testo. Chiedo scusa se dovesse succedere ^_^'

Una breve spiegazione riguardo a questa fanfic: da un po’ di tempo mi sono fissata con i film horror che trattano virus, contagi, zombie, la fine del mondo, cose così, e ho applicato il tutto a DB. → questa cosa non è cambiata affatto XD

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Capitolo 2
*** Livello uno: scintilla ***


Livello uno: scintilla



Nello stesso preciso istante, in un’ala riservata del sontuoso edificio, c’era qualcun altro che era stato destato dal proprio sonno, e non da sogni indecifrabili.
«Mio Signore, sono desolato di disturbarvi a quest’ora, ma ci sono giunte voci di una rivolta che un gruppo di Saiyan ribelli sta organizzando.»
Ginger, una spia che si era infiltrata tra un gruppetto di recidivi per conto di Freezer, era appena tornata dalla sua missione per esporre il solito rapporto, ma con tre giorni d’anticipo e ad un’ora certamente inadeguata.
Tuttavia, Lord Freezer apparteneva ad una razza che non necessitava di molte ore di sonno, ancora meno di quelle bestie dei Saiyan, e non si dimostrò abbastanza infastidito perché Ginger dovesse temere di perdere la vita di lì a pochi istanti.
Le notizie che aveva portato interessavano il suo padrone, che se ne stava seduto su una sedia dal taglio barocco, importata da chissà quale pianeta, ora distrutto o abitato da soli schiavi.
Non la guardava in faccia, ma un ghigno gli illuminava il volto scarno e dalla pelle grigiastra, cadaverica.
«Bene, mia cara Ginger, hai fatto bene a venire subito. Questo mi fa pensare che sia giunto il momento di sperimentare il mio nuovo giocattolo.»
Ginger deglutì nervosamente; non sapeva esattamente perché si trovasse lì, a spifferare tutto a quello che era considerato dalla sua razza il nemico più odiato. Sapeva solo che sua sorella minore, Kauli, si trovava in qualche cella sotterranea, o all’interno di qualche botola nascosta, incatenata e sottoposta a terribili torture.
La lasciavano in pace per qualche giorno, addirittura per una settimana, se lei riferiva notizie interessanti ed utili.
Kauli aveva solo sei anni.
Ginger si guardò bene dal domandare quale fosse il “nuovo giocattolo”, ma il tono in cui Freezer pronunciò quella frase la fece rabbrividire e, per una come lei, ce ne voleva per provocarle una reazione del genere.
«Vattene» la congedò bruscamente. «Ah, tua sorella è libera. Può tornare a casa... e nemmeno tu mi servi più.»
La ragazza si sentì mancare il fiato dalla felicità e i suoi occhi brillarono di commozione, ma non disse niente.
Non doveva nulla a Freezer: ringraziarlo sarebbe stato troppo; inoltre, quando uscì dalla stanza, si rese conto che qualcosa non la convinceva.
Perché Freezer aveva liberato sia lei che la sua sorellina senza prima chiederle di fare qualcos'altro? Non era certo il tipo da concedere la grazia pura benevolenza.
Che cosa avrebbe comportato il suo tradimento, per il suo popolo?
Un nodo le strinse la gola quando realizzò che presto sarebbe successo qualcosa di terribile.
Forse avrebbe dovuto avvertire qualcuno, ma non conosceva nessun Saiyan che potesse prendere provvedimenti al riguardo. Il principe Vegeta era il più forte tra loro, ma era praticamente impossibile riuscire ad avvicinarlo.
Ciononostante, quando poté finalmente riabbracciare Kauli, i suoi timori le passarono di mente, e dedicò tutta la sua attenzione alla sorellina.


Lord Freezer aveva avuto, al contrario di quanto si potesse pensare, un buon risveglio. Da tempo aspettava che gli si presentasse un’occasione del genere, un qualsiasi pretesto per sperimentare un nuovo prodotto di laboratorio che gli avrebbe finalmente dato il controllo totale su quelle bestie indomite che erano i Saiyan.
L'idea di avere controllo su tutti i Saiyan, di essere l’unico a detenere il potere di manovrarli come burattini, a suo piacimento, senza rischio di pericolose ritorsioni, gli trasmetteva una piacevolissima sensazione che mai, un essere appartenente alla sua razza dal sangue freddo, avrebbe potuto sperare di sperimentare.
Quelli che erano i guerrieri più forti – e stupidi – delle Galassie attualmente conosciute, erano la fonte di molte sue vittorie, ma quando diventavano turbolenti e arroganti potevano portare disturbo, dunque era giunto il momento di mettere un guinzaglio più stretto attorno al loro collo fiero e nerboruto.
A lungo tempo aveva cercato una soluzione per mettere definitivamente ai suoi piedi quel popolo combattente e testardo in modo facile e sicuro: dal momento che Freezer non aveva intenzione di gestire le persone con le buone, se non con la corruzione, e che tentare di ricattare i Saiyan era praticamente impossibile – tranne per qualche eccezione, come Ginger –, la faccenda si faceva complicata, ma poi uno dei suoi scienziati gli aveva presentato un’idea a dir poco innovativa.
Riteneva che il suo impero non avesse bisogno di progredire nella tecnologia, se non quella delle armi, ma si serviva di medici e ricercatori unicamente per diletto: gli piaceva vedere due esseri di razze diverse unite in una sola, abominevole e terrificante, grazie a qualche trucchetto di genetica, o anche con un semplice taglia e cuci; provava un sadico piacere, poi, nel vederlo combattere con un altro mostro, o con un essere più debole.
Sì, c’erano tante cose che sapevano far divertire Lord Freezer, come anche portarsi in camera da letto un paio di ragazze.
La sua razza non apparteneva alla specie dei mammiferi – sarebbe stato disgustato da se stesso alla sola idea – ma gli interessava il modo in cui quegli sporchi animali si riproducevano, dandosi allo stesso tempo piacere l'un l'altro.
Lui si sedeva in un angolino e guardava, lì sul pavimento, quello spettacolo bestiale che era l’accoppiamento tra un uomo – di solito un Saiyan di basso livello – e una donna – spesso una cosina fragile e piagnucolosa, facile a rompersi, o una volgare sgualdrina affamata, che entrava arrogante e presuntuosa ed usciva a testa china –, o tra due uomini, due donne, tre, quattro, sopra, sotto, dietro, insomma, un po’ di tutto.
Spesso, durante l’amplesso, i poveri malcapitati sentivano una risata provenire dalle labbra di Freezer, che li terrorizzava: non sapevano mai se sarebbero usciti vivi da quella stanza e trovava terrificante quel suo depravato passatempo.
Lo scienziato che aveva convocato entrò nella sala del trono, avvicinandosi timidamente.
«B.» lo interpellò Freezer, chiamandolo con la sola iniziale del nome, come a ricordargli che non aveva identità se non con il suo permesso. «Ricordi quel progetto che ti avevo commissionato qualche mese fa? Quali risultati hai ottenuto?»
«Ho sperimentato il batterio su topi da laboratorio» riferì l’anziano uomo che, non appena si metteva a parlare del suo lavoro, perdeva ogni timore e si rivolgeva a chicchessia con tono neutro, tranquillo. «Ho dovuto sopprimerli tutti tranne uno, erano diventati incontrollabili e c’era il rischio che spaccassero il vetro delle gabbie. Il virus ha avuto su di loro effetti veramente… sconvolgenti.»
«Quali sono i sintomi?»
«Inizialmente, un rigurgito di sangue e bava alla bocca, come i sintomi dell'idrofobia, poi è sopraggiunta una rabbia incontrollata, aggressività e… cannibalismo. Ma, la cosa più interessante, è che quando un topo infetto ne attaccava uno sano, se non riusciva a smembrarlo completamente, questo restava a terra per qualche istante, come morto, ma poi si rialzava e, nonostante le gravi ferite ricevute, si comportava come l’aggressore, senza dare alcun segno di debolezza, e presentando una coagulazione istantanea di tutto il sangue. Ho fatto l’autopsia di uno dei cadaveri e questa coagulazione si ritrova in tutto il circolo sanguigno, cosa assolutamente impossibile, per un essere vivente. Teoricamente, il topo doveva essere morto già da un pezzo. Non riesco a capire di che genere di virus si tratti, dunque non posso nemmeno trovare un vaccino, anche se, dalle ultime analisi fatte, il topo superstite sembra non aver contratto la malattia: probabilmente è un portatore sano.»
«All’antidoto ci penseremo dopo. Voglio che tu sperimenti il virus su di un Saiyan» annunciò secco Freezer, lasciando lo scienziato sbigottito.
«Ma Lord Freezer, è una follia! Se un topolino è riuscito a sfondare una scatola di plexiglas, cosa mai potrà fare un Saiyan infetto? Se solo dovesse graffiare un altro essere, si scatenerebbe un contagio immediato e letale!»
Ricevette un’occhiata gelida e il gattino nero che portava accovacciato sulla spalla miagolò, spaventato. B. gli accarezzò il capo, tirando su una grossa boccata di fumo dalla sigaretta che teneva penzoloni sulle labbra.
«Tu fai quello che ti dico io. Non credo ti sia mai stato permesso di replicare ad un mio ordine, vecchio.»
«Chiedo perdono, Lord Freezer. Farò ciò che mi avete chiesto, Signore. Chi devo usare come cavia?»
«Come cavia, dici? Te ne manderò una oggi stesso.»
Sogghignò, pregustando lo svago che lo aspettava, poiché non aveva alcuna intenzione di usare un Saiyan come cavia, ma come untore.
Avrebbe risparmiato Vegeta, la migliore delle sue creazioni: lo avrebbe tenuto al proprio fianco per osservare da vicino quale sarebbe stata la sua reazione, ovvero se avrebbe assistito in modo freddo e passivo alla trasformazione dei suoi simili in cani da guardia privi di volontà o se avrebbe tirato fuori da un angolo remoto della sua anima nera un piccolo accenno di spirito patriottico e avrebbe anticipato, rischiando un penoso insuccesso, di salvare il suo popolo.
Il ghigno di Freezer si allargò in un sorrisetto divertito e malizioso: sapeva già qual era la risposta.
Vegeta non era tanto stupido da sacrificarsi per un branco di scimmioni semplicemente perché condivideva con essi una parte di DNA, né da lasciarsi sfuggire la sua unica occasione per fronteggiare il suo padrone.
Freezer fremeva di trepidazione, in attesa del giorno in cui il principe non gli sarebbe stato più utile e avrebbe dunque deciso di farlo a pezzi, facendogli provare quel tipo di morte lenta ed estremamente dolorosa che Vegeta stesso aveva inflitto, sotto suo ordine, a centinaia di vittime.

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Capitolo 3
*** Livello due: contagio ***


Livello due: contagio




Che aveva fatto di male per meritare questo?
Si era ricongiunta alla sorellina solo quella mattina, si era accertata che stesse bene, l’aveva consolata per un po’ mentre piangeva, per poi rimproverarla di essere una stupida frignona.
Nell’educazione dei giovani Saiyan era importante inculcare nella loro testa l’obbligo di non auto commiserarsi mai, di non arrendersi, di non mostrare le proprie debolezze al nemico.
Da quando i loro genitori erano morti in combattimento, Ginger ne aveva fatto le veci prendendosi cura della sorella minore. Concluso l’allenamento di preparazione all’accademia che sua madre aveva cominciato quando la bambina aveva appena due anni e mezzo, le stava dando un’infarinatura di cosa si poteva e non si poteva fare con i maschi, almeno fino ad una certa età e, a suo modo, le aveva dato un po’ di quell’affetto che i Saiyan sapevano esternare veramente di rado con la propria progenie.
Aveva anche praticamente smesso di frequentare gli uomini, da quando una sera Kauli era stata svegliata dai forti dolori muscolari provocati dal duro allenamento di quella giornata e, raggiunta la camera della sorella più grande, l’aveva sorpresa in una posa scomposta, nuda e gemente sotto un ammasso di carne e muscoli sudati. Ginger si era alzata spingendo da parte l’uomo, infastidito per l’interruzione, e le aveva dato uno schiaffo così forte che le era rimasto un segno bluastro sulla guancia per quattro giorni.
Ma la piccola non aveva pianto, né si era lamentata: aveva continuato a fissare Ginger in silenzio, con un’espressione indecifrabile, e solo allora la ragazza si era resa conto di quanto si assomigliassero, e che quella piccola sosia davanti a lei era tutto ciò che le rimaneva.
Da quel momento, il rapporto tra di loro si era rasserenato, e i compagni di squadra di Ginger a volte la prendevano in giro per le sdolcinate attenzioni che riservava alla bambina, come pulirle la bocca dopo aver mangiato qualche schifezza, sistemarle un ciuffo di capelli in disordine, o farle delle raccomandazioni quando, alla mattina, si recava all’accademia.
Se solo tardava di qualche minuto, Ginger iniziava ad agitarsi e, quando Kauli arrivava, riceveva una bella sgridata.
Nessun Saiyan si comportava in modo così affettuoso con i propri cuccioli, e tutti erano sicuri che la mocciosa non sarebbe diventata una valida guerriera, non quanto la sorella maggiore.
Non lo avrebbe mai confessato apertamente nemmeno sotto tortura, ma se avesse perso Kauli sarebbe morta di dolore.
Quella tremenda sensazione che aveva provato poco prima, lasciando la stanza di Lord Freezer, stava riaffiorando in lei e l’avvolgeva come un’ombra scura, senza risparmiare la sua sorellina.
Si era ritrovata davanti alla soglia di casa due guardie, le quali erano venute a comunicarle che Freezer voleva incontrala nuovamente.
Non aveva forse detto che era libera, che non gli servivano più i suoi sporchi servigi?
Qualcosa stava per accadere, ma avrebbe impedito con tutte le sue forze che Kauli venisse coinvolta nuovamente: lei doveva diventare una guerriera, l’orgoglio della famiglia, e doveva essere protetta perché era ciò che i genitori le avevano raccomandato.
Il sangue della sua famiglia non doveva essere sparso se non in combattimento, altrimenti sarebbe stato uno spreco.
«Vado ad avvertire mia sorella, aspettate un attimo.»
Camminando lentamente e strascicando pesantemente i piedi, si diresse nella stanza di Kauli, dove la piccola stava riposando, finalmente dopo tante settimane, in un letto caldo e sicuro.
«Ehi, mocciosa» la scosse delicatamente per svegliarla, e lei aprì gli occhietti assonnati.
Teneva un pollice in bocca, cosa che fece arrabbiare Ginger.
«Togli quel dito dalla bocca, non sei una poppante! Apri bene le orecchie: sto andando via, mi hanno chiamato dal palazzo reale. Se non sono di ritorno tra due ore, e se non ti arrivano messaggi da parte mia, prendi tutti i soldi che ci sono sotto l’asse del pavimento, in bagno, e vai via di qua.»
«Ma Ginger…» cercò di protestare la bambina, senza esito.
«Niente “ma”. Ricordi quello che ti ho detto? Devi diventare una brava guerriera, come lo erano tuo padre e tua madre, con o senza il mio aiuto. Hai capito? Due ore. Per sicurezza preparati già una sacca e, quando esci, non farti vedere da nessuno, sono stata chiara? Vai il più lontano possibile, e non dire a nessuno chi sei. Prometti?»
«Sì, però voglio che torni» annuì Kauli.
«Non è una cosa che dipende da me; non so cosa voglia Freezer, ma se vuole farmi del male, poi lo farà anche a te e questo non deve succedere. Quindi, se non torno, fai quello che ti ho detto.»
Per salutarla, la strinse a sé per la prima volta da quando era nata, all’inizio freddamente, ma poi sempre più forte, dimostrandole tutto il suo amore.
Se ne andò col cuore pesante, lasciando sola la bambina.
Quando si trovò al cospetto di Freezer, per la seconda volta quel giorno, non era convinta che lui le volesse affidare una missione.
«So che ti ho detto che non mi servi più, Ginger» iniziò a parlare il viscido despota non appena la vide. «Ma mi serve un altro piccolo favore da te. Non preoccuparti, non consiste in nulla di pericoloso, anzi, sarai la prima a ricevere un nuovo vaccino contro un tipo di malattia molto pericoloso per voi Saiyan. Segui il dottor B., ti condurrà al laboratorio. Vedrai, sarai a casa nel giro di dieci minuti, in tempo per la cena.»
Non credette affatto alle sue parole, ma non aveva altra possibilità se non quella di obbedire.
Venne condotta in una zona del palazzo che nemmeno sapeva esistesse: non che conoscesse bene quel posto, ma si rese conto di essere stata una sciocca a non pensare che Freezer avesse dei sotterranei dove realizzare i suoi loschi piani.
Di sicuro non c’era bisogno di rendere così invalicabile, con password, guardie e riconoscimento vocale, un semplice ambulatorio: evidentemente lì si nascondeva qualcosa.
«Non aver paura» tentò di rassicurarla il vecchio alieno accanto a lei. «Non sentirai nulla.»
«Non ho paura» sbottò, infastidita che i suoi veri sentimenti fossero così cristallini agli occhi di un alieno. Odiava il dottor B., così simile a loro nell'aspetto, ma dal carattere così fragile e fastidiosamente estroverso ed amichevole. «E’ solo un vaccino, no?»
«S-sì sì, solo un vaccino!»
La fece stendere su di un lettino dove, stranamente, le misero anche dei legacci alle mani. Si allarmò.
«Che stai facendo?» strillò, tentando di divincolarsi.
«Niente, è che potrai provare prurito all’inizio, ma non dovrai grattarti. E’ solo una precauzione.»
Quell'uomo non era bravo a mentire.
Ginger alzò gli occhi verso l’alto, con uno sguardo impaurito, e solo in quel momento si accorse di trovarsi all’interno di una specie di gabbia trasparente, forse di un materiale plastico rinforzato e a prova di Saiyan, come i legacci con cui era stata immobilizzata.
Il vecchio uscì dalla gabbia, dopo averle lanciato un'occhiata dispiaciuta, ed entrò un infermiere basso ma forzuto, con una siringa tenuta verso l’alto dalla mano protetta da un guanto bianco.
La ragazza non fece in tempo a proferire parola che l’aveva infilzata con quel maledettissimo ago. Velocemente, l’uomo lasciò la stanzetta e chiuse la porta a tenuta stagna.
Dall’interno non si udivano i rumori esterni, ma arrivò una guardia a chiamare il dottor B., il quale abbandonò il laboratorio.
Nel frattempo, la ragazza aveva iniziato a sentirsi strana, stordita; stava male.
Tutto iniziò a girare e poco a poco il suo respiro accelerò, come la frequenza cardiaca; le faceva male lo stomaco, come se fosse stato trafitto da mille aghi; all’improvviso un forte conato le mozzò il respiro e, non potendo trattenerlo, vomitò un fiotto sangue.
La vista le si annebbiò e non riuscì più a pensare lucidamente, non capiva niente, vedeva tutto sfuocato e voleva solo liberarsi, afferrare qualcosa, stringerlo forte tra le mani e urlare e graffiare e mordere e mangiare.


Dall’esterno della gabbia, quattro medici e l’infermiere osservavano i primi sintomi affiorare nella cavia.
Dopo il rigurgito di sangue, pareva che la giovane donna avesse perso la ragione, era rabbiosa: sbavava e si agitava, con gli occhi ribaltati all'insù, i pugni stretti e le dita dei piedi contratte.
Un’immagine spaventosa: si agitava sul lettino e dopo vari tentativi i legacci si staccarono, liberandola. Ma i medici non si allarmarono, sapevano che il materiale trasparente li avrebbe protetti, lo avevano rinforzato dopo l’esperimento con i topi e sapevano che era impossibile romperlo, anche per un Saiyan.
Si sbagliavano.
Come invasata la donna, che aveva perso ogni caratteristica comportamentale umana ed era come regredita allo stato bestiale, prese a sbattere contro la parete trasparente, guardando affamata i medici, mordendo, graffiando con le unghie, sbattendo la testa e i pugni, ringhiando e urlando.
L’équipe non si mosse; prendevano appunti, discutevano tranquillamente, fino a quando, all’ennesimo colpo, il vetro iniziò a scheggiarsi e si formarono una serie di scanalature e crepe, allargandosi lentamente a ragnatela.
La donna, accorgendosi del risultato dei suoi colpi, prese la rincorsa e sbatté addosso al vetro con tutta la forza che aveva, spinta dalla fame che la dilaniava.
I medici non ebbero il tempo di preoccuparsi, che la difesa tra loro e l’infetta era stata distrutta, e l’inferno iniziò.
Ginger si avventò sul primo uomo che le venne a tiro, lo buttò per terra gettandosi su di lui, ruggendo, e con le zanne appena spuntate gli squarciò la gola dal mento al petto, succhiando e mordendo senza nemmeno fare caso alle urla e agli spasmi della sua vittima ancora in vita.
Qualcuno le sbatté sulla schiena un oggetto contundente, senza provocarle il minimo fastidio, anzi, ella rispose alzando le braccia e graffiando qualunque cosa si trovasse sulla sua traiettoria, ululando per poi ritornare al suo pasto.
Il medico che aveva tentato di colpirla osservò il taglio che lei gli aveva provocato, e si sentì girare la testa: rigurgitò sangue, cadde per terra e iniziò a ringhiare a sua volta affamato, con gli occhi iniettati di sangue e le pupille nere, gettandosi sui suoi colleghi che cercavano di scappare.
Quando nel laboratorio non ci fu più niente da mangiare se non le ossa dei tre cadaveri, solo la metà di coloro che erano entrati uscì dai sotterranei, invasati, affamati, con la mente vuota e sorda alle suppliche delle loro vittime.
Ben presto il palazzo si riempì di urla disumane; i soldati che tentavano di fermare gli infetti venivano uccisi brutalmente o trasformati a loro volta in belve feroci.
Dall’ala del palazzo in si trovava, Freezer poteva sentire tutto. Se ne stava rinchiuso nel suo ufficio, insieme ad alcune guardie personali e al dottor B., e attendeva.
Aveva ordinato a tutti i suoi uomini di bloccare i tre infetti ma, quando un soldato tornò, ansimante e spaventato, riferì che non erano più tre, ma almeno una trentina e si moltiplicavano ogniqualvolta qualcuno veniva ferito.
Pochi istanti dopo fece irruzione un infetto, che tutti riconobbero essere Dodoria, ma non ci fu verso di farlo ragionare, era come impazzito e sembrava diventato più forte del solito; da quell’ufficio uscirono, dopo aver frantumato la finestra, solo poche persone, compreso Freezer.
Si era reso conto di aver perso il controllo della situazione, prima ancora di mettere in atto il suo piano e non poteva certo risolverla stando lì, in mezzo a tutto quel trambusto.
Si avviarono tutti verso una delle astronavi e, una volta in volo, lanciarono un missile contro gli unici tre hangar del pianeta, distruggendo ogni possibilità di fuga per coloro che avrebbero dovuto affrontare un branco di mostri assetati di sangue e impedendo così a chiunque di portare il virus all’esterno.
Erano tutti intrappolati nel bel mezzo dell’inferno.


***


Note:

ho dimenticato di specificare che, per i dettagli di questa fan fiction, ho preso spunto da diversi film sull’argomento, quali “Io sono Leggenda” (ad esempio la scena di Ginger che sbatte addosso al vetro della gabbia per romperla), “28 giorni dopo”, “28 settimane dopo” (più avanti, chi li ha visti, noterà i dettagli). Forse nei prossimi capitoli mi ispirerò anche a “Resident Evil” o a qualche altro film, comunque ve lo comunicherò.



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Capitolo 4
*** Livello tre: isolamento ***


 Livello tre: isolament o 

 

 

 

Vegeta aveva seguito dall’alto tutta la strage del giorno prima, la morte di un quarto della popolazione della capitale e il contagio della rimanente; se ne era rimasto in disparte, senza andare a combattere, non per paura, ovviamente, ma perché aveva compreso immediatamente come sarebbe andata a finire, e non aveva alcuna intenzione di trasformarsi in una specie di mostro succhia sangue a causa di un semplice graffio.
Aveva semplicemente osservato e non si era sentito in colpa neanche un po’ per non aver dato una mano almeno ai suoi soldati.
Non aveva la più pallida idea di come fosse nato tutto quel casino ma, da ottimo stratega qual era, aveva colto alcuni dettagli di quella che aveva tutta l’aria di essere una malattia contagiosa e orribile.
Per prima cosa, il virus non era trasmissibile per via aerea ma solo per contatto diretto e colpiva tutte le razze viventi; gli infetti si trasformavano dopo circa trenta secondi, e i sintomi erano più che evidenti, oltre al fatto che sembravano diventare molto più forti; la cosa strana era che i Saiyan parevano sensibili alla luce del sole, infatti quella mattina non ne aveva visto nemmeno uno, mentre esseri di altre razze erano lì sotto, a vagare per le strade in cerca di qualche superstite da sbranare.
Ogni tanto ne trovavano uno, e si levavano nell’aria grida pietrificanti, poi ritornava un silenzio di tomba; alcuni di essi erano già usciti dalla città per cercare altre prede, e sapeva che ben presto tutto il pianeta sarebbe stato contagiato.
Non c’era modo di comunicare con le altre città, tale era lo stato di regresso mantenuto dal governo di Freezer.
Altro particolare: i Saiyan contagiati perdevano tutti i peli della coda e la capacità di volare dopo la prima mezz’ora dalla trasformazione; sembravano inoltre non percepire più le aure. Tuttavia, diventavano più veloci e sviluppavano molto i cinque sensi.
Vegeta non aveva dormito quella notte, per ovvie ragioni, e non aveva nemmeno mangiato, così si arrischiò ad uscire dal suo nascondiglio, un grande albero alto almeno trenta metri, ed andò a cercare qualcosa con cui cibarsi, senza curarsi degli esseri che si aggiravano nelle vicinanze.
Entrò in una piccola bottega e vi trovò un vecchio intento a sgranocchiare le ossa scoperte del cadavere di una giovane aliena dai capelli blu; quando si accorse di lui si alzò in piedi, per dedicarsi ad una preda sicuramente più appetitosa.
Sulle labbra del Saiyan spuntò un ghigno: per quanto quel vecchio potesse essere annebbiato dalla follia e la fame, lo riteneva uno stolto se pensava di mettergli le sue grinfie addosso.
Troppo sicuro di sé, gli andò incontro e gli sferrò un pugno al petto, spingendolo contro uno scaffale e facendolo cadere a terra violentemente, ma questi si rialzò quasi subito, apparentemente illeso, e si scagliò su Vegeta, senza però raggiungere il suo scopo. Andarono avanti così per altri due o tre attacchi, finché il Saiyan, ormai stanco di continuare quel ridicolo combattimento, lo colpì alla testa con un’onda di energia, staccandogliela di netto.
Finalmente non si mosse più: sarebbe stato difficile il contrario.
Il gran trambusto però aveva attirato altri infetti che, entrando nel negozio, intrappolarono Vegeta all’interno. Il locale aveva un soffitto veramente basso e, anche se si fosse sollevato, levitando, non sarebbe stato difficile per loro afferrarlo, o comunque sfiorarlo con quei dannati artigli che gli erano cresciuti con l’infezione.
Decise per una soluzione drastica: sferrò un potente ki blast che investì tutti i suoi assalitori, ancora prima che potessero avvicinarsi troppo.
Il fuoco li consumò e altre grida strazianti giunsero alle orecchie del principe, ma stavolta per lui fu un piacere udirle.
Gli infetti caddero tutti al suolo davanti alla porta della piccola bottega, ammassati gli uni sugli altri, neri e puzzolenti, ma immobili.
Quando si sentì abbastanza sicuro, Vegeta si avvicinò ed iniziò a scavalcare i cadaveri per uscire ma, appena fuori, sentì qualcosa graffiargli un polpaccio, strappando il tessuto resistente della tuta da combattimento e facendolo sanguinare.
Allarmato, si voltò e vide che c’era un infetto ancora vivo, che si muoveva a fatica ma era riuscito ad artigliargli la gamba.
«Maledetto!» ringhiò alzandolo di forza e staccandogli la testa con le proprie mani, furente con quella creatura e con se stesso per la propria negligenza.
Si sarebbe trasformato.
Dalla strada si fecero avanti altri infetti e lui, rassegnato a diventare uno di loro ma non a farsi ammazzare, prese a colpirli tutti, uno dopo l’altro, chiunque si facesse avanti per avere la sua carne, maschio o femmina, vecchio o bambino, e li uccise, gridando tutta la sua rabbia, la sua disperazione. Mozzò teste, staccò arti a mani nude, li sterminò uno ad uno.
Quando ne ebbe fatti fuori abbastanza per riuscire a calmarsi, si rese conto che erano trascorsi ben più di trenta secondi, forse anche cinque minuti, e non aveva ancora presentato i sintomi osservati su tutti gli altri.
Si toccò il petto, quasi per accertarsi di essere veramente vivo, di sentirsi bene: non c’era nulla di strano, non era cambiato niente.
E poi rise.
Forte, si sganasciò, si piegò in avanti tanto era il dolore alla pancia, rise, rise, rise, come quello fosse il più bel giorno della sua vita.
Era immune.
Era maledettamente immune al virus o qualunque cosa fosse.
Senza esitare oltre, si portò al riparo da altri attacchi: doveva riflettere.
Tutto era iniziato il pomeriggio precedente, dal palazzo di Freezer, dove lui stesso viveva. Era una fortuna che non si fosse trovato lì al momento dell’accaduto… o forse no? Almeno avrebbe saputo dare una spiegazione a ciò che era successo.
Tutti gli infetti erano usciti proprio dal palazzo, dunque era lì che doveva recarsi. Se si trattava davvero di una malattia, e se era stata scatenata da qualcuno che lavorava per Freezer, doveva pur esserci una cura, un antidoto.
Ma, diamine, non sarebbe stato facile fare le proprie ricerche là dentro, al buio, la tana dei Saiyan infetti.
Inoltre, per quanto quest’ultimi non riuscissero più a sentire le aure, dubitava che fosse così anche per l’unico superstite che aveva percepito già da quella notte.
Lo sentiva perfettamente, era un Saiyan di giovane età, ma pareva non essersi accorto della presenza di Vegeta.
O era ferito, o maledettamente stupido.
Ad ogni modo doveva trovarlo e farsi dare una mano da lui. Si avviò verso il palazzo, ormai noncurante degli attacchi degli infetti; si concentrò per individuare l’unica aura che riusciva a percepire e svoltò per una stradina scura, procedendo verso l’ingresso di un’altra bottega di alimentari… e lì lo trovò.
Gli dava le spalle e si era avventato su qualcosa, sgranocchiandolo con gusto: all’inizio Vegeta temette di aver trovato un altro infetto, invece si accorse che il giovane stava mangiando due carote, contemporaneamente.
Quando lo sentì sopraggiungere, si voltò di scatto, come se lo avessero preso con le mani nel sacco, e sussultò.
«Sei uno di quelli?» domandò con diffidenza, distraendosi dal suo pasto.
«No» rispose Vegeta, con disprezzo. «Hai sentito la mia aura? Perché non mi hai cercato?»
«Ehm… volevo farlo, stamattina, quando mi sono svegliato, ma poi ho avuta molta fame…»
«Vuoi dirmi che stanotte tu hai dormito
«Beh, più o meno. Ho cercato di mettere in salvo qualcuno, ma poi mi è caduta una trave in testa e sono rimasto sepolto dal soffitto di una casa. Quando mi sono ripreso era giorno e c’erano un sacco di cadaveri… è una cosa terribile.»
Parlava come un pappa molle; in chi diavolo si era imbattuto?
«Come ti chiami?»
«Kaarot. E tu sei il principe Vegeta!» esclamò allegramente.
L’altro lo fissò disgustato: tra tutti i guerrieri validi, coraggiosi e forti che potevano sopravvivere, era rimasto solo lui?
«Hai capito quello che è successo stanotte?»
«Veramente… no» rispose Kaarot grattandosi la nuca, imbarazzato.
«Si è diffuso un virus. Devo andare al palazzo e vedere se c’è un antidoto: non posso certo ammazzare tutti gli abitanti del pianeta.»
«Eh, già, non sarebbe molto carino» concordò il suo interlocutore. «Dopo, ti rimarrei solo io da governare. Sai che noia!»
Vegeta alzò gli occhi al cielo, chiedendosi cosa avesse fatto di male per ricevere una maledizione simile.
«Andiamo.»
Uscirono dal negozio e si alzarono in volo, per evitare gli infetti, ma presto scoprirono che essi li seguivano comunque: sarebbero arrivati fino al palazzo e avrebbero intralciato ancora di più la loro ricerca, dunque scesero di nuovo a terra, nascondendosi per un po’ per far perdere le loro tracce.
Nel frattempo, Vegeta spiegò a Kaarot tutti i sintomi di quello strano virus.
«Wow, sei proprio un ottimo osservatore!» si complimentò il ragazzo, mantenendo quel costante sorrisino ebete che infastidiva tanto il principe.
«Muoviti» incalzò con tono laconico. «Hai capito bene quel che ho detto?» si assicurò una volta davanti all’entrata del palazzo.
Dall’interno non proveniva alcun rumore, né luci; sembrava disabitato, ma Vegeta sapeva che era lì che si nascondevano i Saiyan.
Molti avevano già abbandonato la città, troppo affamati per resistere ancora in un luogo senza più prede da catturare, ma altri erano rimasti, chissà per quale motivo.
Il principe aveva una buona vista anche al buio, ma non sapeva quanti fossero gli infetti all’interno e non confidava nelle capacità di Kaarot; era certo che si sarebbe fatto mordere al primo colpo.
Stava escogitando un modo per entrare senza essere intralciati quando, senza che lui se ne accorgesse, il suo unico suddito rimasto si avventurò all’interno dell’edificio.
«Ehi là! C’è nessuno?» gridò con tutto il fiato che aveva in gola, e Vegeta si irrigidì dalla sorpresa, spalancando gli occhi costernato.
Immediatamente si udirono tanti passi veloci raggiungere il piano terra e la porta principale, e il Saiyan fece appena in tempo ad afferrare Kaarot per un braccio e tirarlo verso la luce, che una ventina di infetti si scagliarono sul punto in cui si trovava.
Gettò a terra il guerriero più giovane e gli sferrò un paio di calci nello stomaco, mentre un’orda di belve li osservava dalla zona buia, ringhiando e ululando.
Avevano tutti gli occhi rossi, proprio come nel suo sogno.
«Sei impazzito?! Che cosa ti è saltato in mente di fare?» urlò contro Kaarot.
«Scusa» si difese lui, senza dare segno di provare dolore per i colpi del principe. «Volevo essere certo che non ci fossero dei superstiti, qualcuno che avesse bisogno d’aiuto.»
«Noi abbiamo bisogno d’aiuto!» sbraitò l’altro, infuriato. Non dissero niente per un paio di minuti, nell’aria solo i bassi ruggiti del branco che li attendeva all’interno.
Tutti i soldati che Vegeta conosceva, che aveva allenato, da cui era stato allenato, che combatteva nella sua squadra, che odiava… tutti trasformati in bestie impazzite.
«Potremmo far esplodere l’edificio» propose all’improvviso Kaarot.
«Hai così tanta fifa di venir contagiato che preferisci evitare il rischio?» lo derise il principe. «Sta tranquillo, se ti trasformerai ti ucciderò in fretta!»
«Beh, un po’ di paura ce l’ho: non mi va di andare in giro e bere il sangue della gente! Però ciò che mi era venuto in mente è che gli infetti Saiyan non sopportano la luce, quindi se facciamo crollare il soffitto, non resterà neanche una zona scura all’interno.»
Vegeta spalancò gli occhi, stupito.
Quell’idiota aveva ragione; era la prima cosa intelligente che sentiva uscire dalla sua boccaccia.
Tuttavia, non poteva certo dire che la sua fosse un’idea geniale: andava ritoccata.
«Se facciamo crollare tutto, non troveremo mai i laboratori: meglio aprire solo qualche varco.»
Il palazzo, difatti, non aveva molte finestre, per questo i Saiyan si erano rintanati tutti lì dentro.
«Dai, muoviamoci.»




 
 
***
 
Note:
in questa fanfiction, Goku è in una fase tra il maturo e l’ingenuo poiché, in fondo, è cresciuto tra i Saiyan o, comunque, in mezzo alle persone. XD
Però vi chiedo scusa se lo trovate OOC.

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Capitolo 5
*** Livello quattro: buio ***


Livello quattro: buio





 

 
I due Saiyan si sollevarono in aria e si disposero a lati diversi dell’enorme edificio; quasi contemporaneamente, iniziarono a lanciare ki-blast contro le pareti e le rare finestre, creando delle aperture grazie alle quali la luce diurna riusciva a penetrare all’interno. Iniziarono ad udire grida di dolore provenire dai piani più alti fino al piano terra: con un po’ di fortuna, in questo modo si sarebbero sbarazzati di alcuni infetti.
Vegeta aprì un varco più largo anche in corrispondenza della porta d’entrata, infine decise che era giunto il momento di entrare.
Era troppo sicuro di sé per temere di essere sopraffatto da quelle belve: la sua unica preoccupazione era quella di non perdere troppo tempo.
Nonostante l’indole aggressiva, capiva bene che non poteva certo ammazzare tutti gli abitanti del pianeta, per sbarazzarsi del virus, dunque le sorti del pianeta erano in mano sua.
Evidentemente, il destino aveva deciso di farsi beffe di lui: per la prima volta si sarebbe comportato come il vero sovrano del popolo Saiyan e avrebbe fatto qualcosa di utile per la sua specie, cosa in cui, al contrario, suo padre aveva pienamente fallito.
Infine, avrebbe scovato Freezer, lo avrebbe ammazzato e dato i suoi resti in pasto alle scimmie che lui tanto odiava.
Il suo pensiero fisso era la vendetta e il riscatto del suo orgoglio.
«Sei pronto?» chiese con decisione al suo compagno, che annuì, guardando verso la soglia con un’espressione grave e sicura.
Non sembrava essere spaventato.
Strano, quel tizio: era un perfetto imbecille, ma ogni tanto aveva lampi di genio; aveva dormito mentre tutto attorno a lui la gente veniva smembrata e mangiata viva, ma non aveva paura di entrare nel nido degli infetti più pericolosi.
Varcarono la soglia e si trovarono direttamente in quella che fino al giorno primo era stata la sala principale, dove si svolgevano le cerimonie più importanti quali i festeggiamenti per la conquista di un nuovo pianeta o la promozione di qualche raccomandato leccapiedi di Freezer a governatore di una colonia.
Ora era completamente distrutta: le pareti e il pavimento erano ricoperti di polvere mista a sangue, i sontuosi tendaggi strappati, i candelabri spezzati, e c’erano cadaveri in terra, barbaramente fatti a pezzi, decapitati, senza gli arti, o senza la carne attaccata ad essi… un vero mattatoio.
Non proveniva alcun rumore da nessuna delle diramazioni in corridoi della sala; sicuramente i sopravvissuti si erano nascosti ai piani inferiori e li attendevano, in agguato.
Vegeta fece nuovamente segno a Kaarot di non fiatare, per non correre il rischio che se ne dimenticasse, e lo guidò verso un passaggio interno che portava davanti ad un ascensore e a delle scale: da lì, terminava ogni zona di luce.
Alzarono i piedi da terra, per scendere le scale levitando, in modo da non fare alcun rumore: dovevano scendere di due piani e non potevano prevedere un attacco, se ne sarebbero accorti una volta che si fossero trovati a pochi centimetri dal nemico.
Scesero la prima rampa e si immersero nel buio.
Respiravano pianissimo, a volte trattenevano il fiato per riuscire a percepire ogni singolo rumore, che non si fece attendere troppo: erano già arrivati al primo piano sotto terra quando udirono dei respiri affannosi e gutturali, a una decina di metri da loro.
Pochi tuttavia, e Vegeta capì che gli infetti avevano perso gran parte della loro capacità di pensare perché non si curavano di non fare rumore e non si erano riuniti tutti per attaccarli.
Ciononostante, si accorsero subito della loro presenza e, con un ruggito, si lanciarono all’attacco.
Tre di loro si gettarono su Vegeta e altri tre o quattro su Kaarot, spingendolo lontano dalla sua visuale: il principe iniziò a combattere senza curarsi del suo compagno di sventura, cercando solo di prestare attenzione ai suoi nemici, prevedendone le mosse.
Erano veloci, ma non attaccavano secondo uno schema ragionato e tattico, come veniva insegnato ad ogni Saiyan fin dalla nascita; essi pensavano solo a colpire alla cieca.
Erano decisamente forti e uno di loro riuscì a scaraventare Vegeta contro una parete, stordendolo per un paio di secondi ma, quando l’infetto gli saltò addosso, poté a malapena appoggiare le zanne alla sua gola scoperta che Vegeta gli aveva spezzato l’osso del collo.
Ne uccise un altro paio, senza però essere in grado di distinguerne i volti, poi non venne più attaccato da nessuno e si fermò.
Sentì dei movimenti bruschi a qualche metro di distanza da lui e qualcuno che agonizzava.
Poi, il silenzio.
«Kaarot?» chiamò, già pronto ad un nuovo scontro.
«Ci sono. Tu sei ferito?»
«No» rispose scocciato da quella domanda inutile. «Andiamo avanti; con un po’ di fortuna, raggiungeremo i laboratori senza essere attaccati di nuovo. Là le luci dovrebbero funzionare ancora; basterà alzare il voltaggio per tenere lontani gli infetti.»
Procedettero e Vegeta si chiese come avesse fatto Kaarot ad uscire dallo scontro senza neanche un graffio; forse aveva solo avuto fortuna.
Se fosse stato un guerriero veramente valido, lo avrebbe visto almeno una volta al cospetto di Freezer, o come partecipante ad una missione importante.
Era curioso di vederlo combattere.
Al secondo piano sotto terra trovarono un altro branco di infetti, stavolta più numeroso e per poco Vegeta non ci rimetteva un braccio, tuttavia anche Kaarot restò nuovamente illeso.
Vagarono per i corridoi e trovarono l’entrata ai laboratori: quella che era stata una porta fatta di uno spesso materiale metallico, ora se ne stava addossata ad una parete, piegata come un foglio di carta.
Come previsto, le luci erano ancora accese ed emanavano un gran bagliore: non c’era da stupirsi che nei paraggi non avessero trovato più nessuno.
I due Saiyan si divisero e Vegeta entrò nel primo laboratorio a destra: tutto era in disordine, c’erano strumenti, provette e computer rovesciati per terra e rotti; dietro un grande bancone vide un cadavere, infatti la stanza era sporca di sangue sia sul pavimento che sulle pareti. Si accertò che il morto fosse veramente morto e diede un’occhiata in giro: notò che quella era la zona adibita ad esperimenti su piante e si incuriosì, ma quando iniziò a frugare tra provette e schedari sentì Kaarot chiamarlo.
Lo raggiunse in un’altra stanza e si ritrovò in mezzo ad un mare di sangue: da lì doveva sicuramente essere iniziato tutto.
L'aria era irrespirabile: un forte odore di marcio gli arrivò a naso e il suo volto si deformò in un’espressione di disgusto, ciononostante la sua attenzione venne catturata immediatamente da una sorta di gabbia trasparente, la cui porta era stata frantumata e al cui interno si trovava un semplice lettino da ambulatorio, anch’esso ricoperto di sangue coagulato.
«E’ successo qui» mormorò, e Kaarot annuì silenziosamente. «Cerchiamo il vaccino.»
«Ehm… e com’è fatto?» si sentì domandare.
Vegeta avrebbe tanto voluto mollargli un cazzotto in faccia, ma da svenuto il Saiyan non gli sarebbe stato utile; tuttavia, stava mettendo a dura prova la sua già scarsa pazienza, e trovava strano che non l’avesse colpito per ogni volta che sparava qualche idiozia.
«Cerca una provetta con un qualche liquido dentro, o dei fogli che parlino del virus.»
«E com’è fatta una provetta?»
Questo era troppo.
«La pianti di farmi domande da dementi?!» gli urlò contro il principe dei Saiyan, stringendo i pugni e sentendo pulsare la vena sulla tempia destra, il campanello d’allarme al quale chiunque si sarebbe allontanato il più velocemente possibile da lui.
«S-scusa…» biascicò Kaarot, desolato.
«Lascia perdere. Tu stai fermo davanti all’entrata e guarda se arriva qualcuno.»
Vegeta continuò a rovistare per una buona mezzora, e non trovò nulla che potesse corrispondere a ciò di cui aveva bisogno.
Ma la ricerca non fu del tutto infruttuosa: sotto a un cumulo di fogli, trovò una foto, incorniciata, il cui vetro era scheggiato, ma non gli fu difficile riconoscere la persona rappresentata.
Trattenne il fiato.
A dire la verità, i soggetti erano due: un vecchio che aveva riconosciuto essere uno degli scienziati di Freezer, lo aveva anche visto fuggire, o meglio, venire trascinato via con lui. Non aveva mai intrattenuto rapporti con i ricercatori del palazzo, ma vedeva spesso quel vecchio passeggiare nel cortile, tenendosi sulla spalla un piccolo gatto nero e fumando una sigaretta.
Nella foto era circondato dalle braccia bianche di una giovane ragazza sorridente… la ragazza del suo sogno.
Rimase a fissarla a lungo, cercando di comprendere cosa ciò significasse, e si ritrovò a pensare che fosse tutta opera del destino… no, che sciocchezza!
Ma allora, cos’era? Indubbiamente aveva avuto un sogno premonitore: gli occhi rossi si erano rivelati essere gli infetti Saiyan, e la ragazza… nella sua mente l’aveva vista splendente, felice, mentre faceva il gesto di accoglierlo tra le braccia.
Doveva trovarla.
Se suo padre era uno scienziato, forse lei sapeva qualcosa in merito al suo ultimo progetto, forse poteva aiutarlo.
Iniziò a frugare nei cassetti finché non trovò un’agenda che portava sulla copertina il nome “Dott. Brief”; l’aprì, sfogliando alcune pagine fino alla rubrica e, alla lettera B trovò solo “Bunny” e “Bulma”, ma la prima non recava alcun indirizzo, mentre sotto il nome della seconda c’era scritto il recapito di un altro laboratorio del pianeta, che si trovava a diversi chilometri di distanza dalla capitale. Tutti gli altri numeri e indirizzi sulla rubrica portavano nome e cognome e non corrispondevano a quello del dottor Brief.
Si fidò di quell’indizio, sapendo che, se non avesse trovato la ragazza, almeno avrebbe rintracciato uno scienziato.
Staccò quella pagina e se la mise in tasca, poi, prima di andarsene, strappò un pezzo di stoffa impregnato di sangue, che sarebbe servito per trovare una cura o almeno capire le origini della malattia.
«Andiamocene» disse a Kaarot. «E vedi di non farti mordere proprio adesso.»
Uscirono dal laboratorio e dopo pochi metri vennero nuovamente ingoiati dal buio e da nuove minacce.
La troverò” pensò con determinazione Vegeta.




***

Note: chiedo scusa se ho improvvisamente interrotto gli aggiornamenti. Purtroppo, tra il lavoro e lo studio, ho deciso di prendermi una pausa dalle long fics in corso; riprenderò dopo la sessione d'esami, verso metà febbraio circa. Intanto mi faccio perdonare con questo capitolo ^^

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Capitolo 6
*** Livello cinque: paura ***


Livello cinque: paura

 

 

 

 
«Che cosa hai detto?!» tuonò Vegeta.
Ormai aveva acquisito una perenne espressione di stupore, da quando Kaarot si era unito a lui.
Era pomeriggio inoltrato quando avevano lasciato la città e stavano per addentrarsi nella foresta. Là dentro faceva molto caldo e l’atmosfera era umida: in aggiunta, le trovate di Kaarot che lo facevano essere perennemente furioso.
Più del solito.
«Devo cercare delle persone. Non te l’ho detto prima perché… non ce n’è stato il tempo. Devo trovare mia moglie e mio figlio. Ieri sera li ho aiutati a scappare dalla città insieme ad un gruppo di persone, e ho promesso loro che li avrei raggiunti al più presto.»
«Tua moglie e tuo figlio?» sbuffò Vegeta. «Loro vengono dopo quello che ti ordino di fare io.»
«No!» ribatté Kaarot, diventando serio. «Non sono mai stato agli ordini di nessuno; se proprio vuoi saperlo, io non sono nemmeno un soldato. Mi dispiace, ma devo assolutamente trovare Chichi e Gohan: ci dovevamo tenere in contatto con una radio trasmittente, ma la mia si è rotta. Si staranno preoccupando da morire! Prima cercherò loro, poi verrò ad aiutarti!»
«Aiutarmi? Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, anzi sai cosa ti dico? Vai dalla tua sgualdrina, io mi arrangio da solo!» esclamò Vegeta, sentendosi ferito nell’orgoglio.
Non aveva certo bisogno di quel patetico Saiyan.
«Però mi dispiace che tu te ne stia da solo…» si scusò Kaarot con un’espressione da angioletto.
Vegeta non ne poteva più di sentirlo parlare e gli sferrò un cazzotto che lo fece indietreggiare di qualche passo, ma non parve risentire molto del colpo.
«Vegeta… sii ragionevole» cercò di evitare lo scontro, ma il principe non era certo una persona pacifica.
«Non ti rivolgere a me in quel modo, io sono il tuo sovrano, non uno dei tuoi compagni di bevute!»
Si azzuffarono nel bel mezzo della foresta, incuranti del caldo e della notte che stava sopraggiungendo, continuarono a darsele di santa ragione ma anche così Kaarot non se ne stava zitto.
«Scusa… Aspetta! Avanti, perché non… ne parliamo…»
«Vuoi chiudere quella boccaccia?!»
Infastidito da quel continuo ronzio, ma soprattutto dalla forza e l’abilità che Kaarot stava dimostrando nella lotta: non riusciva a credere che un Saiyan di infimo livello fosse in grado di sostenere i suoi attacchi.
Finora era riuscito a colpirlo diverse volte, ma l’altro aveva sempre ricambiato.
Combatteva con uno stile diverso da quello degli altri Saiyan, e da lui.
Kaarot si lasciava guidare dall’intuito, Vegeta dalla rabbia; il primo pareva non conoscere molte strategie combattive, mentre l’altro possedeva un vasto repertorio di tecniche.
Due modi differenti di lottare, ma nessuno dei due in grado di sconfiggere l’altro.
Decisero di fermarsi solo quando videro il sole diventare color arancio e scendere a livello dell’orizzonte.
Si distesero entrambi sull’erba umida, boccheggianti e spossati.
«Vai… dove devi andare…» ansimò Vegeta, i pettorali che si alzavano e si abbassavano velocemente al ritmo del suo respiro. «Ma… non ho finito con te…»
«Grazie» sorrise Kaarot. «Prometto che non mi farò uccidere.»
Si alzò.
«E’ stato bello combattere con te, Vegeta. Ci vediamo.»
Il principe non lo guardò nemmeno e non rispose; solo quando se ne fu andato, mormorò:
«Idiota, pensa di potermi battere.»
 


 
 
Kauli aveva paura.
Se sua sorella avesse saputo che era terrorizzata, si sarebbe arrabbiata tantissimo e, per punizione, l’avrebbe fatta allenare fino allo sfinimento, nel cortile dietro casa.
Ma Ginger dov’era?
Le aveva insegnato quanto fosse sbagliato provare sentimenti come la paura, la vergogna e i sentimenti troppo forti per le persone.
Ogni Saiyan, le aveva detto, era come una cometa: un giorno c’era, e quello dopo… chi lo sapeva: poteva tornare a casa sano e salvo come poteva anche rimanere ucciso in combattimento.
Era una cosa normale, a cui doveva abituarsi, per questo i loro genitori non erano mai stati affettuosi con le figlie.
Per questo non doveva piangere per loro.
Per questo non doveva sentirne la mancanza.
Per questo Kauli doveva pensare a sopravvivere invece di aspettare la sorella.
Ma non ce la faceva, ero troppo spaventata per muoversi.
Dopo quello che le aveva detto di fare Ginger, aveva atteso, sperando che le due ore passassero in fretta e che sua sorella tornasse a casa, ma solo dopo tre quarti d’ora aveva sentito un gran trambusto per le strade della città; si era affacciata alla finestra e aveva visto un sacco di persone correre in direzione opposta al centro della città, urlando.
I Saiyan invece erano tutti usciti di casa per andare a vedere cosa fosse successo, e indossavano tutti le tute da combattimento.
Per un po’ la stradine di fronte a casa rimase deserta, poi arrivò altra gente, in massa.
Istintivamente, Kauli spense tutte le luci, ritornò alla finestra e quello che vide fu orribile.
Alcune persone scappavano, ma altre sembravano inseguirle.
Non erano persone normali… c’era qualcosa di spaventoso in loro, avevano gli occhi tutti rossi, parevano impazziti e, proprio davanti alla sua porta, si accorse di cosa avessero di diverso: uno di loro afferrò un’anziana donna per i capelli, la scaraventò contro il muro, proprio a pochi metri dalla bambina e, quando la tirò di nuovo verso di sé, le azzannò il collo.
Kauli si tappò la bocca con le mani per impedirsi di urlare, ma era traumatizzata.
Quell’uomo… la stava mangiando!
Ne vide altri fracassare a pugni e calci le porte di alcune case e così non restò lì a guardare oltre, prese la sua sacca ed uscì dal retro, dove i vicoli stretti le avrebbero permesso di fuggire inosservata.
Le urla aumentarono, e in lontananza sentiva anche il crepitio di un incendio, così si mise a correre, più veloce che poteva, e non si fermò finché non raggiunse la foresta.
Da lì non si udiva più alcun rumore, se non quelli della natura e il suo fiatone; lì era tutto più calmo.
Si sentì come abbracciata da un’entità protettrice, sapeva di essere ormai al sicuro, ma non riusciva a calmarsi.
Che cosa avrebbe fatto, ora?
Sentiva un disperato bisogno di vedere sua sorella, che poco prima le aveva dimostrato il suo affetto in un modo più esplicito del solito, ed era preoccupata per lei.
Calde lacrime iniziarono a scendere lentamente lungo le guance arrossate e paffute; si guardò intorno, come a cercare un aiuto, un consiglio su cosa fare, ma non lo trovò.
Era stanca, e decise di trovare un posto sicuro per riposare e attendere l’arrivo di Ginger.
Era certa che sarebbe tornata: lei era una guerriera forte, coraggiosa e, nelle sue fantasticherie di bambina, era convinta che combattesse accanto ai Saiyan più forti, magari anche il principe in persona.
L’aveva visto una volta, di sfuggita, e da allora, spesso l’aveva sognato mentre arrivava davanti alla porta della loro piccola casa e si complimentava con Ginger per aver sconfitto Freezer; decideva di sposarla, andavano a vivere al palazzo e lei diventava una principessa.
Immaginò che sua sorella, in quel momento, stesse combattendo contro quei mostri e che presto sarebbe venuta a cercarla: con quella speranza, si rannicchiò all’interno di un albero cavo e si addormentò.
Le sembrava di aver dormito solo poche ore quando venne svegliata dalla luce del sole ormai alto.
Non si mosse dal suo nascondiglio, ma rimase raggomitolata e all’erta, attenta ad ogni minimo rumore.
Più volte si disse che doveva alzarsi, sgranchirsi le gambe indolenzite e stirare i muscoli che le facevano malissimo, per la posizione scomoda che aveva mantenuto per tutta la notte, ma non ci riuscì.
Rimase ferma immobile forse per tutto il pomeriggio, respirando piano, finché all’improvviso sentì un rumore di passi e movimenti bruschi, quasi rabbiosi, tra l’erba alta.
Il suo cuore iniziò a battere furiosamente, tanto da farle temere che potesse essere sentita da chi si stava avvicinando.
Avrebbe voluto accendere lo scouter che aveva portato con sé, poiché non era ancora in grado di percepire da sola le auree e l’oggetto le avrebbe detto se si trattava di uno dei mostri o di una persona normale, però nell’accensione avrebbe provocato un fastidiosissimo “bip” e sarebbe immediatamente stata scoperta.
Chiuse gli occhi nascondendo la testa tra le ginocchia, pregando che si trattasse di un semplice animale, di sua sorella, o che si allontanasse il più presto possibile.
Per alcuni secondi non avvertì più alcun rumore, ma nel momento in cui sollevò leggermente la testa sentì una mano afferrarla per i capelli e tirarla brutalmente fuori dal suo nascondiglio, e lanciò un urlo acuto mentre veniva trascinata allo scoperto.
«Zitta!» ringhiò una voce maschile, dura, mentre la stessa mano che l’aveva catturata la strattonava, ma lei continuò a gridare.
«Chiudi quella bocca, o ci sentiranno!»
Kauli trovò il coraggio di aprire finalmente gli occhi, alzò lo sguardo e si trovò davanti il principe dei Saiyan in persona.
Si calmò di colpo.
Che i suoi sogni si fossero avverati?
Il principe la guardava severamente; le faceva soggezione, ma non era spaventata come prima.
«Da dove vieni?» le chiese.
«Dalla capitale.»
«Sei fuggita stanotte?»
«Sì; hai visto la mia…»
«Zitta» impose nuovamente. «Le domande le faccio io. Sei da sola?»
«Sì, ma sto aspettando mia sorella, si chiama Ginger. Era andata al palazzo ieri sera.»
«Allora sarà sicuramente stata infettata o, nella migliore delle ipotesi, morta.»
Kauli sussultò come se lui le avesse appena dato uno schiaffo.
«No!» strillò con fervore. «Mia sorella è viva! Lei è una guerriera fortissima!»
Ma il principe non mutò la sua espressione scettica e infastidita.
«Sono appena stato al palazzo, non c’era nessuno di vivo o sano. In città siamo rimasti solo io ed un altro Saiyan, tutti gli altri sono morti o contagiati. Se, come dici tu, tua sorella è viva, è scappata e si è dimenticata di te.»
Vegeta pronunciò quelle parole con crudeltà intenzionale: quella mocciosa aveva un carattere troppo debole, per i suoi gusti.
Difatti, i suoi occhi neri divennero umidi, ma continuarono a fissarlo con ira.
«Non sai percepire le aure?»
«Non me l’hanno ancora insegnato, all’accademia.»
«Quanti anni hai?»
«Sei, appena compiuti.»
«E che cosa ci fai qui?»
«Aspetto mia sorella.»
«Te l’ho detto, tua sorella non verrà.» La scrutò: era troppo piccola per essere in grado di difendersi da un Saiyan adulto, non aveva ancora iniziato a sviluppare i muscoli, le gambe erano ancora cicciotelle e il viso paffuto, da mocciosa, appunto. I capelli neri erano tagliati corti come ogni giovane matricola dell’accademia, per insegnare che donne e uomini erano uguali ma, che per realizzare ciò, le donne dovevano essere un po’ più uomini. «E’ meglio che tu venga con me, mi potresti essere utile. E smettila di frignare.»
«Non sto frignando!» protestò la bimba pestando un piede per terra e stringendo i pugni. «Io voglio aspettare mia sorella!»
Dannazione!”, pensò Vegeta. “Oggi devo avere a che fare con gli esseri più indisponenti del pianeta!”
«Ascolta mocciosa, forse non ti sei resa conto che ti sto offrendo una via di salvezza, perché se resti qui, morirai non appena il sole sarà tramontato. E, per quanto riguarda tua sorella, se è viva, come dici tu, non credi sarebbe già venuta a prenderti? Bada, non ho ricevuto in dono la pazienza, quindi se non vuoi venire, resta qui, a me non cambia niente.»
Kauli ingoiò la saliva, temendo di aver fatto arrabbiare il principe. Forse non era una cattiva idea andare con lui, l’avrebbe protetta e, magari, anche aiutata a trovare Ginger.
«Va bene, vengo con te.»



 
 
Non appena scese l’oscurità, delle ombre dagli occhi rossi uscirono dalle porte del palazzo di Freezer, lanciando ululati acuti: erano affamati di carne umana e la capitale ne era ormai sprovvista, bisognava muoversi e cercare altrove.
Ma una di quelle ombre bramava anche qualcos’altro: ella era colei che aveva dato inizio a tutto, era il capo branco, e non poteva sopportare che alcuni dei suoi figli fossero stati uccisi, proprio quella mattina.
Li aveva sentiti gridare, ma non era potuta accorrere in loro aiuto: a separarli, una striscia di luce che le sbarrava la via.
Adesso, voleva vendetta. 

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Capitolo 7
*** Livello sei: migrazione ***


Livello sei: migrazione

 

 

 

 
I Saiyan non erano esseri loquaci per natura: la foresta riempiva i silenzi tra Kauli e Vegeta ma, del resto, cosa avrebbero potuto dirsi una bambina spaventata e un cinico guerriero?
Quella notte si erano arrampicati su di un alto albero e c’era stato molto trambusto, sotto di loro: come previsto da Vegeta, gli infetti avevano cominciato a migrare in massa e non si sarebbe stupito di trovare, la mattina seguente, i villaggi lungo il cammino completamente distrutti.
Doveva fare in fretta, prima che il virus si espandesse a tutto il pianeta, ma poteva muoversi solo di giorno e molto spesso solo a piedi, per non attirare a sé tutti i contagiati e rallentare ancora di più il suo tragitto.
Quella notte avevano fatto strage della fauna della giungla, ma sembravano comunque prediligere gli esseri umani. Almeno loro avevano trovato qualcosa da mangiare: lui e la mocciosa, invece, non avevano toccato né cibo né acqua per un giorno e mezzo.
Vegeta camminava davanti, facendosi strada tra le piante alte, e la bambina dietro, trascinando le gambe.
Erano entrambi sporchi, accaldati e stanchi, inoltre dovevano far fronte agli attacchi di animali infetti, quindi, anche se fossero appartenuti alla razza più socievole dell’Universo, non avrebbe parlato.
Quando finalmente uscirono dalla foresta e iniziarono a comparire di fronte a loro i primi campi coltivati, il sole era proprio sopra le loro teste e bruciava come non mai; fortunatamente, presto trovarono un piccolo corso d’acqua dove poterono dissetarsi.
«Dove vai?» chiese Vegeta quando vide la bimba alzarsi in piedi.
«A fare la pipì.»
«Ma se ci sei andata venti minuti fa?»
«Mi scappa!»
Decise di lasciar perdere il discorso, non ne sarebbe valsa la pena. Non era in grado di gestire un marmocchio, soprattutto se femmina.
Avevano appena ripreso il cammino quando scorsero un infetto correre nella loro direzione.
Sul volto di Vegeta apparve un ghigno divertito e attese fino all’ultimo secondo per uccidere l’essere.
Poi si girò verso Kauli che lo guardava sconvolta e le chiese:
«Saresti in grado di farlo?»
Lei scosse la testa in segno di diniego.
«Non devi farti mordere da loro, né graffiare, altrimenti ti contageranno. Per ucciderli, devi staccare loro la testa o spezzargli l’osso del collo. Così» le posò la mano destra dietro la nuca e l’altra sotto il mento. Lei arrossì, era la prima volta che veniva toccata da un adulto che non fosse sua sorella.
«E giri con forza verso la tua sinistra; ma ricorda, non lasciare che ti tocchino. Dovresti essere in grado di cavartela con gli infetti che sono fuori di giorno, ma con i Saiyan no, sono troppo forti per te.»
«Tu però hai dei graffi» osservò lei.
«Io sono immune, ma non pensare che sprechi il mio tempo a proteggerti. Quindi combatti, o morirai.»
Lei annuì con decisione, pronta a dimostrare al suo principe quanto valeva.
Andarono avanti, stavolta volando, lentamente perché Kauli aveva imparato a levitare solo da poco, fino ad un villaggio ormai disabitato e lì atterrarono: alcune case erano andate in fiamme e c’erano molti cadaveri per le strade.
L’orribile spettacolo colpì a tal punto la ragazzina che le ginocchia le vennero meno, cadde a terra e rigettò.
Quando sollevò il viso, gli occhi vitrei e la pelle pallidissima, c’era Vegeta a fissarla con il solito cipiglio infastidito.
«Abituati a questo. Ne vedremo spesso di paesaggi del genere.»
Le diede le spalle e si sollevò leggermente da terra.
Lei prese fiato e trovò la forza di rialzarsi.
Viaggiavano di giorno e si nascondevano di notte, mentre lei cercava di riposare e Vegeta stava di guardia, mangiando quello che trovavano nelle case abbandonate, ma non si fermavano mai per lavarsi o cambiare gli abiti ormai sudici e sgualciti, non c’era tempo; erano già abbastanza rallentati dagli attacchi diurni degli infetti che vagavano affamati per le città.
Non tutti dovevano essere stati contagiati, ma sicuramente si nascondevano e non sarebbero certo usciti fuori, nemmeno alla vista di due sopravvissuti, dei quali una bambina piccola.
La prima volta che Kauli uccise un infetto tentò di non esternare la paura e il disgusto di sé che provò: Vegeta in quei giorni stava tentando di plasmare la sua mentalità affinché diventasse una spietata assassina, come lui, e non si fermasse dinnanzi a nulla.
Quello che le insegnava lui era diverso da ciò che le diceva Ginger.
Non doveva provare alcun sentimento oltre all’odio e la rabbia, ma anche queste emozioni dovevano essere controllate secondo necessità.
Doveva uccidere chiunque le si parasse davanti per contagiarla, che fosse uomo o donna, vecchio o bambino.
Ciò che era più importante era la propria salvezza: solo Vegeta poteva decidere se risparmiare un infetto oppure no.
«Perché non li uccidiamo tutti?» gli chiese il terzo giorno di viaggio.
«Perché altrimenti rimarremmo gli unici esseri sul pianeta. Avrò ancora bisogno di un esercito, una volta finito tutto questo.»
Ecco perché rimanevano nascosti, la notte.
Kauli non si sentiva a proprio agio con il principe, tuttavia lo ammirava moltissimo; avrebbe tanto voluto ritornare a casa e raccontare ai suoi compagni dell’accademia che era stata allenata dal guerriero Saiyan più forte dell’Universo, Vegeta.
Sarebbero morti di invidia… ma forse lo erano già, pensava con tristezza.
Ogni Saiyan era abituato a non temere nessuno, difatti lei non aveva paura degli infetti, ma vedere tutti quei villaggi ridotti in cenere, tutti quei cadaveri, aveva scosso profondamente il suo mondo e le sue convinzioni.
Sapere che un virus, una cosa che non si poteva né vedere né sentire, ma che era riuscito a sconfiggere i guerrieri più forti del pianeta senza che essi nemmeno se ne accorgessero, la spaventava moltissimo.
Non voleva diventare un mostro: voleva crescere, imparare a combattere e diventare forte.
Ma, prima di ogni altra cosa, desiderava tornare a casa e vedere di nuovo sua sorella, farsi abbracciare da lei ed essere rassicurata. Di notte, lasciava sciogliere il nodo alla gola che la torturava di giorno, ma silenziosamente: temeva che, se Vegeta l’avesse vista piangere, l’avrebbe lasciata da sola. Se scambiavano qualche parola, lui non faceva altro che ripetere che sua sorella era morta, che si era trasformata in un mostro, ma lei non voleva accettarlo.
 
 
Tre giorni dopo la loro partenza dalla capitale, giunsero ad una città più grande rispetto ai villaggi per i quali erano passati precedentemente: anch’essa, quasi completamente distrutta e disabitata.
Quella visione scoraggiò Vegeta, poiché quella era la città dove si trovava la ragazza che stava cercando ed era chiaro che gli infetti si stavano spostando molto velocemente.
Non erano rimasti molti sopravvissuti; da un edificio uscirono alcuni contagiati, correndo verso di loro, ma dopo pochi metri si udirono degli spari ed essi caddero a terra morti, con la testa perforata da un proiettile.
Un cecchino, nascosto chissà dove, aveva risparmiato a Vegeta la fatica di ammazzarli con le sue mani.
«Dobbiamo trovare i laboratori.»
Era pomeriggio e il sole sarebbe tramontato tra poche ore, bisognava fare in fretta.
Parecchi abitanti della città erano stati infettati e riuscivano a scovare molti dei sopravvissuti nascosti; qualche alieno, dalle finestre dei palazzi dentro i quali si erano barricati, gridò loro di togliersi dalla strada e mettersi in salvo, ma Vegeta si difendeva senza difficoltà; la bambina invece poteva affrontare solo un infetto alla volta, dunque, quando vennero attaccati, il principe le ordinò di restare in disparte ed arrampicarsi su di un albero.
Giunti alla periferia nord, si trovarono in un mezzo ad un grande parco, al centro del quale c’era un basso ma ampio edificio, costituito principalmente da grandi vetrate, molte delle quali tuttavia erano andate in frantumi.
Era come una grande scatola trasparente, all’interno della quale nessun Saiyan che avesse contratto il virus non sarebbe mai entrato.
All’interno, Vegeta notò che in passato dovevano esserci state delle tende, a coprire le vetrate, ma ora erano state strappate via e il sole penetrava in tutto il piano terra, rendendo l’ambiente afoso come una serra e la luce accecante.
Nella hall c’era un bancone, con due computer non più funzionanti, un telefono e varie cartelle, delle sedie, dei divanetti bianchi sporchi di sangue e un grande schermo, scheggiato sull’angolo inferiore destro, appeso alla parete di fronte all’entrata.
Un ambiente moderno, decorato da qualche dipinto e delle piante tropicali.
A destra videro delle porte, sempre bianche, che portavano ad uffici, archivi, salette varie.
Non c’era nessuno.
Sulla sinistra, delle scale di ferro portavano ad un piano inferiore e Vegeta andò in quella direzione, sempre seguito da Kauli.
Inaspettatamente, il piano di sotto era notevolmente illuminato e da lì non proveniva alcun rumore… ma Vegeta sentì chiaramente la presenza di un’aura aliena femminile.
Sorrise tra sé e percorse velocemente un corridoio fino ad imbattersi in una stanza, l’interno del quale era visibile grazie ad una finestra: un laboratorio, o quel che ne rimaneva, e l’aura proveniva da lì dentro, tuttavia non vide nessuno.
Si avvicinò ed aprì la porta. 

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Capitolo 8
*** Livello sette: immobilità ***


Livello sette: immobilità

 

 

 

 

Bulma Brief si riteneva una donna affascinante e brillante.
Più che vero: era difficile, in una persona, conciliare intelligenza e bellezza, ma lei ce l’aveva sempre fatta, con successo.
Se andava ad una conferenza sulle nuove tecnologie da introdurre sul mercato, o a ritirare un premio per qualche sua nuova strabiliante scoperta, se ne tornava a casa con tre o quattro inviti a cena e, il giorno dopo, riceveva almeno una decina di mazzi di rose; al lavoro, se aveva bisogno di aiuto, immediatamente accorrevano da lei tutti gli impiegati del suo piano.
Ah, sì, la vita sulla Terra era proprio fantastica!
Peccato che, un giorno, avesse deciso di seguire suo padre in una spericolata avventura nell’Universo e fossero finiti prigionieri di una squadra di Saiyan, i quali li aveva portati sul loro pianeta dove, fortunatamente, si erano salvati la vita dichiarando di essere entrambi scienziati: da allora, erano diventati ricercatori per conto di Lord Freezer che, a quanto pareva, non era un Saiyan ma li governava comunque.
Si trovavano lì da ormai due anni, e nessuno sulla Terra aveva più avuto notizie di loro; la persona che più mancava a Bulma, e sicuramente anche a suo padre, era la madre, Bunny, per cui aveva un grande affetto nonostante avesse un carattere a volte un po’ troppo petulante.
Già, la bella ed intelligente Bulma non aveva tantissimi amici, troppo impegnata com’era con il suo lavoro; usciva con qualche collega di tanto in tanto ma, quando si sentiva triste, quando aveva un problema, non sapeva a chi rivolgersi; intorno a lei vedeva solo gente che voleva accalappiarsi la sua simpatia per ricevere qualche favore o qualche prestito e brillare della sua luce riflessa.
C’era Yamcha, il suo ragazzo, sempre assente, quel fedifrago: sì, era a conoscenza del fatto che la tradiva, lo sapeva eccome, tuttavia non aveva mai trovato la forza per troncare il rapporto, anche se non ne capiva il motivo. Forse perché erano insieme da così tanti anni, ormai, da ancora prima che il suo volto geniale apparisse nelle riviste di moda più di quello di una modella.
Ironia della sorte, si fidava di lui e aveva perfino iniziato a tollerare le sue scappatelle, facendo finta di niente e smettendo pure di soffrirne.
La fiamma dell’amore si era spenta e Bulma vedeva in lui solo un fratello; qualche mese prima della sua partenza avevano smesso di fare l’amore e, quando Yamcha la baciava, non sentiva più quei brividi lungo la schiena, non vedeva più le stelle.
Da quando era stata fatta prigioniera dei Saiyan la sua vita era cambiata radicalmente: certo, non aveva mai subito maltrattamenti, se non verbali; aveva una stanza comoda dove dormire, e addirittura la pagavano, ma la cosa che le dava fastidio era il fatto di non essere più presa in considerazione come lo era sulla Terra.
Insieme a lei lavoravano alcuni degli studiosi e scienziati più intelligenti dell’Universo, dunque l'ultima arrivata era vista semplicemente come uno dei tanti cervelli.
Ma lei era Bulma Brief, dannazione!
Detestava quella situazione e molti dei suoi colleghi la superavano in genialità: era davvero umiliante.
Alla fin fine, tuttavia, si era visto chi fosse il più furbo all’interno di quei laboratori: chi era sopravvissuto?
Lei.
Solo lei.
Era successo due giorni prima: si trovava al lavoro, come al solito, ma era in pausa e così era uscita nel parco per fumare una sigaretta. Era una giornata di sole, una di quelle in cui non ti aspetteresti mai che possa succedere qualcosa di brutto; invece, proprio mentre stava rientrando, aveva visto arrivare correndo un gruppo di persone e la prima impressione che aveva avuto era che sembravano gli zombie di un video musicale che aveva visto da piccola, sulla Terra.
Sgranò gli occhi e si accorse con terrore che erano tutti sporchi di sangue; doveva essere successo qualcosa di molto grave in città: forse un incidente, o un'esplosione.
Ma quelle persone continuavano a correre nella sua direzione, ad una velocità pazzesca e non sembravano… umani.
Tra loro e Bulma si trovava il giardiniere, che stava tagliando l’erba con la falciatrice elettrica: aveva delle cuffie protettive sulle orecchie e non si era accorto del gruppo.
Lei non pensò neanche di allontanarsi, non subito: era troppo curiosa di sapere cosa volessero.
Lo scoprì dopo pochi secondi.
Uno di loro si era gettato sul giardiniere, azzannandogli il collo, un altro incrociò il percorso della falciatrice e gli venne staccato un braccio, ma parve non accorgersene nemmeno; gli altri, avevano proseguito la loro corsa proprio nella direzione di Bulma.
Lei aveva lasciato cadere a terra il mozzicone di sigaretta ed era corsa all’interno dell’edificio.
«Ci stanno attaccando!» aveva gridato nell’entrata. «Sbarrate le porte!»
Alcuni dei presenti si erano voltati a guardarla, stupiti, altri avevano fatto spallucce, prendendola per pazza, ma una delle guardie le aveva dato retta e si era precipitata a chiudere a chiave tutte le entrate, tirando fuori delle armi, in quanto non c'erano Saiyan nell'edificio e nessuno dei presenti avrebbe potuto combattere a mani nude.
Bulma non era rimasta a guardare: era andata al piano inferiore per avvertire i suoi colleghi, cercando di non farsi prendere dal panico, ma era terrorizzata: che diavolo stava succedendo? Chi erano quei mostri?
Tutti i ricercatori e gli assistenti si erano precipitati di sopra per vedere cosa stesse succedendo, ma lei era rimasta giù, tremante, con gli occhi puntati verso le scale; quando aveva sentito dei vetri infrangersi aveva sussultato e si era morsa le labbra per non urlare, ma con il briciolo di lucidità che le era rimasto si era messa a cercare un posto dove nascondersi.
I ripostigli erano un luogo troppo prevedibile, gli armadietti troppo piccoli; si mise a singhiozzare, mentre le urla al piano superiore aumentavano, poi aveva alzato lo sguardo e aveva visto i condotti di aerazione.
Quei cunicoli stretti, sporchi e pieni di insetti le avevano salvato la vita. Ci si era rintanata per un giorno e mezzo finché, spinta dalla fame e dalla sete, aveva deciso di scendere. In ogni caso, sarebbe morta o disidratata o uccisa da uno di quegli zombie, ma fortunatamente, essi se ne erano andati molto presto.
Probabilmente le sostanze chimiche vaporizzate nell’aria li disturbavano, perché all’interno dei laboratori non c’erano segni del loro passaggio, a parte un incredibile disordine e molti oggetti rotti.
Il vero inferno lo avevano fatto di sopra: ci si era avventurata solo il giorno prima, ed era ritornata di sotto immediatamente, presa da un attacco di nausea.
L’intero ingresso era invaso dall’odore di morte e non aveva di come avesse potuto uscire da lì senza svenire alla vista di tutto quel sangue.
Era sopravvissuta durante quei giorni con il cibo disgustoso e le bibite ipercaloriche dei distributori automatici, ma si sentiva sempre affamata, perché cercava di risparmiare le provviste il più possibile.
Il lato positivo era che finalmente sarebbe dimagrita di qualche chilo, quello negativo che, dato che le sue scorte erano composte di burro, sale e cioccolato, le sarebbero venuti la cellulite e i brufoli.
Un altro lato negativo, era che non sapeva cosa fare: era disarmata, completamente indifesa di fronte a quegli zombie e sola.
Aveva sperato che qualcuno venisse a cercarla, ma nel giro di quattro giorni non si era fatto vivo nessuno e lei cominciava a temere che in città non fosse rimasto alcun sopravvissuto.
Con tutta probabilità, quei mostri non erano soli, ce ne dovevano essere degli altri.
Ma possibile che fossero talmente forti da uccidere anche gli abitanti Saiyan?
Dov’erano finiti tutti?
Con quel pensiero fisso nella mente, spesso in quei giorni Bulma non era riuscita a trattenere i singhiozzi e si era abbandonata a pianti disperati, fino a quando, il quarto giorno, si diede una pacca in testa, si alzò in piedi ed esclamò:
«Ma che diavolo sto facendo?! Io sono Bulma Brief, la donna più geniale della Terra! Devo trovare il coraggio di andarmene di qui e cercare dei Saiyan: loro sono di sicuro abbastanza forti da proteggermi!»
Forse un segno del destino volle che proprio quel giorno lei trovasse la sua via di salvezza.
Si trovava in piedi, al centro della stanza dove si era rifugiata, e stampato sul suo volto c’era ancora quell’espressione trionfante, in seguito al suo monologo d’incoraggiamento, ma mentre sghignazzava tra sé e sé, sentì dei rumori al piano di sopra.
Sussultò e istintivamente si acquattò per terra, guardandosi intorno alla ricerca di un oggetto da usare come arma impropria, e lo sguardo si fermò sulla gamba rotta di un tavolo; l’afferrò e scivolò accanto alla porta, rannicchiata il più possibile contro la parete.
Quando sentì dei passi scendere le scale il suo cuore si mise a battere all’impazzata e le sue mani a sudare, ma strinse ancora più forte il paletto di ferro.
Udì i passi farsi sempre più vicini e, quando la porta si aprì, lei chiuse gli occhi e colpì alla cieca, ma a metà del tragitto la sbarra di ferro si bloccò.
«Dannazione!» esclamò una voce maschile.
Bulma aprì gli occhi lentamente, ancora spaventata, e si trovò di fronte ad un Saiyan molto basso rispetto alla media della sua razza, con i capelli sparati in aria e un cipiglio inviperito.
«Dannazione!» esclamò di rimando lei, rendendosi conto di aver cercato di colpire forse l’unico sopravvissuto della città.
Poi, dietro di lui, notò una bambina, era una Saiyan ma, diversamente dall’uomo, sembrava terrorizzata quanto lei.
«Scusa!» esclamò dispiaciuta. «Credevo fossi uno di quei mostri!»

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Capitolo 9
*** Livello otto: trattativa ***


Livello otto: trattativa

 

 

 

 

Vegeta si era visto arrivare una sbarra di ferro in faccia ma era riuscito a bloccarla con facilità, tuttavia l’attacco l’aveva colto di sorpresa.
«Dannazione!» si lasciò sfuggire un’imprecazione di fastidio perché era stato talmente concentrato su quell’aura debole che non aveva previsto quel colpo.
«Dannazione!» esclamò a sua volta la ragazza dai capelli azzurri che si trovava di fronte al Saiyan, tremante come una foglia.
La osservò: era diversa da come gli era apparsa in sogno, aveva perduto quell’aura eterea ed angelica – se mai l'aveva avuta realmente –, aveva i capelli sporchi e scarmigliati, il volto arrossato e abiti semplici, quasi maschili, ma c’era in lei un che di esotico ed affascinante.
Forse erano gli occhi, così chiari e brillanti come pietre preziose, o la corporatura esile nonostante il seno generoso, o l’audacia con cui aveva deciso di colpirlo invece di nascondersi.
«Scusa!» esclamò dispiaciuta. «Credevo fossi uno di quei mostri!»
Tacque per qualche istante; si avvicinò a Vegeta e inaspettatamente lo abbracciò, poi scoppiò a piangere e a ridere allo stesso tempo, allontanandosi, portandosi le mani alla bocca e guardandoli come se non avesse mai visto un essere vivente.
Si sedette per terra continuando a singhiozzare, lasciando Vegeta e la bambina completamente spiazzati.
«Credevo… di essere rimasta da sola!» disse Bulma tra le lacrime.
«Come hai fatto a sopravvivere?» le chiese il Saiyan, restando impassibile davanti allo sfogo emotivo della ragazza.
«Mi sono nascosta nel condotto dell’aria, qui sopra.»
«E gli infetti non ti hanno sentita?» Vegeta parve stupito: come avevano fatto a non sentire il suo odore? «Hanno un olfatto molto sviluppato.»
«Credo siano i composti chimici che aleggiano nei laboratori a disturbarli. Sono anche molto sensibili alle luci dei neon, infatti non sono rimasti quaggiù per molto tempo. Allora la mia intuizione era giusta, è proprio un virus?» chiese la donna, asciugandosi le lacrime con la manica della maglia e riprendendosi subito.
Il Saiyan annuì.
«Come avete fatto a trovarmi?» chiese la donna, ma Vegeta rispose con un'altra domanda:
«Sei la figlia del dottor Brief?»
«Sì, perché?»
«E’ stato lui a creare il virus» le rivelò, non del tutto certo della sua affermazione, ma non poteva certo dirle che la stava cercando per via di un sogno!
«Che cosa?!» esclamò la giovane donna, sconvolta, mentre nuove lacrime rendevano lucidi i suoi occhi. «No, non è possibile, lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere!»
«Quando si è sotto gli ordini di Freezer, si fa qualunque cosa» ribatté gelidamente Vegeta, ricordando terrificanti avvenimenti del suo passato.
«E perché Lord Freezer avrebbe dovuto contagiare tutti i Saiyan con un virus del genere?»
«Non lo so. Probabilmente i suoi piani erano diversi e qualcosa è andato storto; lui è scappato dal pianeta la notte del contagio, e si è portato dietro il tuo vecchio.»
Lei si portò una mano alla bocca, trattenendo un singhiozzo; si chiese se suo padre fosse ancora vivo e se lo avrebbe mai rivisto.
«Dove sono finiti tutti gli altri abitanti della città?»
«C’è qualche sopravvissuto nascosto, ma tutti gli altri sono morti, o sono stati infettati.»
«Stai dicendo che… diecimila persone, nel corso di nemmeno quattro giorni, si sono trasformate in zombie?»
«Zombie?» ripeté Vegeta, confuso. Non aveva mai sentito quella parola.
«Sì, zombie… ah, è vero, voi Saiyan non avete la televisione. Ma tu sembri sapere molto su di loro.»
«Li ho osservati, invece di restarmene nascosto come un topo di fogna» sbottò Vegeta.
«Scusa tanto se non sono forte abbastanza da difendermi da sola!» abbaiò la ragazza, poi il suo sguardo si posò sulla bambina, addolcendosi.
«Ehi, piccolina, come ti chiami?»
Lei si ritrasse, guardandola torva.
Come si permetteva, quella vecchiaccia, di chiamarla piccolina?!
Non ricevendo risposta, Bulma si rivolse all’uomo, che fece spallucce, scuotendo la testa scocciato.
«Non sai come si chiama?» si stupì lei. «Ma da quanto vi conoscete?»
«Qualche giorno.»
«Povera piccola, deve essere spaventata a morte» sospirò Bulma, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla bambina. «Devi anche essere affamata: la vuoi una merendina?»
Le tese la mano, sorridendo dolcemente e, dopo un attimo di esitazione, Kauli la prese e si fece condurre in un’altra stanza.
Vegeta, lasciato solo, sbottò risentito:
«Ehi, anch’io ho fame!»
Le raggiunse in una saletta dove si trovavano un paio di distributori automatici con la vetrina frontale frantumata e una macchinetta del caffè.
«E’ tutto il cibo che hai?» s’informò il Saiyan, rimasto deluso dalla misera quantità di vivande presenti.
«Purtroppo sì» rispose tristemente Bulma, porgendo alla bimba un sacchetto di patatine e lasciando che Vegeta si servisse da solo.
Si sedette su una sedia lì accanto, appoggiando il mento sulle mani e queste sulle ginocchia, pensierosa, poi all’improvviso esclamò:
«Ah! Ma non mi hai ancora detto il tuo nome!»
«Vegeta» bofonchiò l’uomo.
«Oh» fece lei, sorpresa. «Quel Vegeta?»
«Perché, quanti ne conosci?»
«U-uno. Il principe dei Saiyan» balbettò la ragazza. «Ti facevo più vecchio. E perché sei venuto in questa città?»
«Cercavo te» lo disse con un tono talmente profondo che, se Bulma fosse stata in piedi, le sarebbero mancate le ginocchia.
«P-perché?»
«Sei figlia di uno scienziato e, se ti trovi qui, lo sei anche tu. Devi trovare la cura per il virus.»
«Devo?! Ma io mi occupo di tutt’altro campo della scienza, non so quasi nulla di medicina! Sono specializzata in microtecnologia, i composti che hai visto nel laboratorio sono tutto fuorché organici!»
Vegeta iniziò ad alterarsi e balzò in piedi:
«Se pensi che sia venuto fin qui per niente ti sbagli di grosso! Tu creerai il vaccino per quel dannato virus o mi condurrai da qualcuno che lo possa fare!»
Com’era possibile che lei non fosse in grado di aiutarlo? A che cosa era servito quel sogno, a cosa era servito quel lungo viaggio?
Lei lo guardò intimorita.
«Ok, ok, calmati. Forse ho parlato a vanvera. In fondo, io sono un genio» affermò con orgoglio. «Penso che in qualche modo si possa fare, mi basterà informarmi da qualche manuale e potrei provarci. Ma questo non è il posto adatto, dobbiamo spostarci in un laboratorio attrezzato, e mi serve il sangue di un infetto. Possiamo anche partire subito.»
«No, sta calando la notte» rispose Vegeta. «Con il buio escono i Saiyan infetti e sono i più pericolosi. Dobbiamo attendere l’alba e muoverci con cautela. Io sono immune al virus e…»
«Sei immune?» ripeté Bulma, illuminandosi. «Ma è meraviglioso, perché non l'hai detto prima? Questo faciliterà sicuramente le mie ricerche! Dovrò prelevare anche un po’ del tuo sangue.»
«Va bene. Tu però dovrai stare attenta. Se anche solo vieni graffiata, ti trasformerai e allora ogni speranza sarà perduta.»
Si voltò a guardarla come se fosse un oggetto prezioso, da custodire con cautela e gelosia, e lei arrossì.
«Dobbiamo andare a nord, là ci sono altri laboratori adibiti alla ricerca medica, dovrebbe esserci l’essenziale. Per stanotte, allora, non possiamo far altro che riposarci. Sarete esausti! In fondo al corridoio c’è un bagno con una vasca: io ho dovuto usare l’altro che ha solo un lavandino, perché ho perso le chiavi di questo, ma per te non dovrebbe essere un problema sfondare la porta…» si portò una mano ai capelli arruffati, arrossendo, «e poi, avevo troppa paura di essere attaccata mentre mi lavavo. Non mi sono praticamente mai spostata dal laboratorio principale, era il posto che mi sembrava più sicuro.»
Si rivolse nuovamente alla bambina, che era rimasta sempre in silenzio.
«Allora, non mi vuoi dire come ti chiami?»
Visto che il principe l’aveva fatto, poteva farlo anche lei.
«Kauli» rispose piano, riluttante più che intimidita.
«Lieta di conoscerti, Kauli. Ti accompagno in bagno, ok?»
Le tese la mano, che la bambina stavolta non prese, ancora sotto l’influsso intimidatorio di Vegeta, ma seguì la donna in fondo al lungo corridoio.
Il Saiyan aprì la porta con un calcio e le due poterono entrare in una piccola stanza immacolata, con il pavimento e le pareti ricoperte di piastrelle bianche, un water, un lavandino e una vasca.
«Purtroppo non ho abiti di ricambio da darti» si scusò la donna. «Ma c’è tutto quello che ti serve per lavarti. Vuoi che ti lasci da sola?»
La bambina fece per dire qualcosa ma poi esitò ed abbassò lo sguardo, stringendo forte i lembi inferiori della sua maglia.
«C’è qualche problema?» le domandò Bulma, posando le mani sulle ginocchia per abbassarsi alla sua altezza.
«Io… di solito è mia sorella che mi aiuta a lavarmi. Mi va sempre il sapone negli occhi e mi brucia.»
«Oh… beh, in questo caso, che ne dici se se ci laviamo contemporaneamente? Così facciamo anche prima e Vegeta non si infastidisce; non sembra un tipo molto paziente. Dimmi, quante volte ti ha fatta arrabbiare in questi giorni?!»
«M-mai» balbettò lei.
«Nah, non ci credo! Non dirmi che riesci a sopportarlo! “Io sono il grande guerriero Vegeta, io non mi nascondo”!» Bulma prese a scimmiottare il Saiyan, riuscendo a strappare a Kauli una risatina.
La donna aprì il getto dell’acqua, attese che diventasse calda e riempì la vasca, poi iniziò a spogliarsi, imitata dalla bambina, che la osservò di sottecchi, con curiosità.
Fino ad ora l’unico corpo di femmina che aveva visto era stato quello di sua sorella, che aveva diciassette anni ed aveva un fisico molto diverso da quello di Bulma.
Ginger era fatta solo di ossa e muscoli: aveva degli addominali molto sviluppati, buoni bicipiti, ma le ossa le sporgevano dalle anche e, quando si piegava in avanti, Kauli poteva vedere tutte le ossa della colonna vertebrale. Mangiava tanto, aveva ereditato l’enorme appetito di ogni Saiyan in buona salute, ma era magrissima. Aveva il viso appuntito e pochissimo seno, soprattutto pettorali. Se avesse avuto i capelli corti, la si sarebbe facilmente scambiata per un maschio di tredici anni.
Quella Bulma invece, era tutto l’opposto: aveva i fianchi più larghi rispetto al busto, braccia sottili e… quelle enormi protuberanze sul petto.
Continuò a guardarla incuriosita anche quando si immersero nell’acqua calda e rilassante della vasca.
Bulma era molto diversa dalle donne Saiyan… sembrava così debole, eppure Kauli provò per alcuni istanti un sentimento di invidia: neppure Ginger era così bella.
«Anche io avrò quelle… cose, da grande?» chiese dopo un po’, indicando il petto di Bulma.
Lei sorrise, leggermente imbarazzata.
«Beh… le donne Saiyan si allenano molto, il tuo fisico crescerà in modo diverso dal mio: tu diventerai sicuramente più magra e muscolosa!»
«Sì, ma anch’io avrò quelle?» insistette la piccola.
«Direi di sì. Magari non così grandi, anzi lo spero per te: certe volte sono davvero ingombranti! Quando andavo a scuola e facevamo ginnastica, correndo saltavano di qua e di là e i ragazzi ridevano… era terribilmente imbarazzante!»
«E perché hai i fianchi così larghi?»
La donna spalancò la bocca a “o” in un muto grido di protesta.
«Non sono troppo larghi! Hanno la misura giusta e tutte le donne li hanno così, anche alcune Saiyan. Vedi, a una certa età una bambina, come te, inizia a crescere, per trasformarsi in una donna, e questo si nota appunto dalla crescita del seno, l’allargarsi del bacino, e l’arrivo delle mestruazioni.»
«E perché?»
Bulma alzò gli occhi al cielo: amava i bambini, ma non nella loro fase dei “perché”.
«Perché in questo modo la donna si prepara ad avere dei figli: il bacino deve essere spazioso per ospitare un bimbo, il seno servirà a produrre latte per nutrirlo, e le mestruazioni… per rimanere incinta.»
«E come si rimane incinta?!»
No, questo era troppo!
«Il compito di spiegartelo lo lascio alla tua mamma, quando sarai diventata più grande.»
«Mia madre è morta. E anche mio padre» ribatté astiosamente Kauli.
«Oh, mi dispiace» si scusò Bulma, mortificata. «Ti mancano molto?»
«No» rispose la bambina guardandola negli occhi come con aria di sfida, ma Bulma vi lesse qualcos’altro, qualcosa che la piccola voleva tenere nascosto, come evidentemente le era stato insegnato.
«Chi ti è rimasto, allora?»
«Mia sorella, Ginger. Viviamo insieme nella casa dei nostri genitori, nella capitale.»
Non osò chiederle dove fosse in quel momento sua sorella, era piuttosto chiaro, ma la bambina pareva non essere della stessa opinione:
«Presto verrà a prendermi e combatterà i mostri insieme al principe Vegeta. Lei farebbe di tutto per proteggermi.»
«Certo, deve volerti un gran bene. E ti prometto che, da parte mia, farò di tutto per riuscire a trovare un vaccino.»
Sentirono bussare alla porta, già mezza scassata, in modo talmente violento da farla tremare.
«Allora, vi muovete voi due?!»

 

***

 

Note: è un po' strano che sul pianeta dei Saiyan non ci sia la televisione ma ci siano dei distributori di merendine e di caffè, ma questa è una fan fiction e tutto è possibile! Ho deciso di attenermi all'atmosfera comica e surreale di Toriyama XD

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