Thirteen

di Beatriz Aldaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** [Halloween] - Di Spiriti e Cuori di pietra ***
Capitolo 3: *** [Natale] - Una sciarpa arancione zucca ***
Capitolo 4: *** [Citazione] - Pirata della strada ***
Capitolo 5: *** [Tragica dichiarazione d'amore] - Perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in Inghilterra? ***
Capitolo 6: *** [In un giorno di pioggia] - Fischiettando al cielo ***
Capitolo 7: *** [Citazione] - Esami ***
Capitolo 8: *** [Incontri] - Per favore? ***
Capitolo 9: *** [Compleanno] - Buoni propositi ***
Capitolo 10: *** [Questo caldo mi sta sciogliendo il cervello!] - Acqua fresca ***
Capitolo 11: *** [Citazione] - Confusione ***
Capitolo 12: *** [Citazione] - Se vincerò ***



Capitolo 1
*** Indice ***


-Indice della raccolta-

Buonasera gente!
Siamo qui riuniti oggi per introdurvi questa raccolta -e no, non ve la dovete sposare- che comprenderà, alla fine di ottobre 2012, la bellezza di dodici fanfiction :D
Sarà essa aggiornata una volta al mese, più precisamente ogni giorno 13. Ho scelto il tredici perché porta somma sfiga, ovviamente!

Ah, ma non vi ho ancora detto perché la scrivo. Che vergogna!
Dunque, partecipo a questo fantastico concorso, il '12 mesi di fanfiction contest' di BS.
Ogni mese BS ci darà un tema e noi povere partecipanti, dopo i necessari sbattimenti di cranio sugli armadi in stile Dobby e le invocazioni al cielo, scriveremo la nostra storia.
Bellino, no?

Va bene, penso di aver finito la spiegazione.
Accoglierò a braccia aperte chiunque avrà voglia di seguirmi nell'avventura!

Qui sotto troverete l'indice della raccolta.
Un bacio, Beatrice :3


Tema del mese: Titolo della storia _ Personaggi _ Genere _ Avvertimenti _ Raiting



1) Halloween: Di Spiriti e Cuori di pietra _ Tom Riddle, Nuovo personaggio _ Paura _ One-shot _ Verde

            Questa shot si è classificata prima al contest 'Halloween 10days contest' di Sere_Ilu e °vavvina°

2) Natale: Una sciarpa arancione zucca _ Viktor Krum, Luna Lovegood _ Slice of life _ One-shot _ Verde

3) "Ho visto tante persone che se ne andavano”
“E mai nessuno è tornato indietro?”
:
Pirata della strada _ Ron Weasley _ Missing moment _ One-shot _ Verde

4) Dichiarazione d'amore finita male: Perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in Inghilterra?
Ninfadora/Charlie; Stan Picchetto _ Slice of life _ One-shot _ Verde


5) In un giorno di pioggia: Fischiettando al cielo
Gellert/Ariana, Aberforth, Albus _ Slice of life _ One-shot _ Giallo


6) "Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera" (Neruda):
Esami
Lily/Severus, Lily/James _ Slice of life _ One-shot _ Verde



7) Incontri: Per favore? _ Ninfadora/Charlie_ Slice of life _ One-shot _ Verde


8) Compleanno: Buoni propositi _ Tobias Piton _ Slice of Life _ Flash _ Verde


9) Questo caldo mi sta sciogliendo il cervello!: Acqua fresca _ Fred e George Weasley _ Slice of Life _ One Shot _ Verde


10) "Ho sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi perché mi paiono più svelte a capire il mondo." (Chabon):
Confusione _ Ted/Andromeda, Un po' tutti _ Slice of life _ One-shot _ Verde


11) Non ho voglia di pensare al futuro. Non potremmo semplicemente goderci il presente?:
Se vincerò _ Cho/Cedric _ Drammatico _ Flash _ Verde


12) ??

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Capitolo 2
*** [Halloween] - Di Spiriti e Cuori di pietra ***


di spiriti e cuori di pietra

Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Halloween 




        -Di Spiriti e Cuori di pietra-

Seguiva gli altri a qualche metro di distanza, lontano dal chiarore delle zucche intagliate.
Completamente vestito di nero, magrissimo e aggraziato, sembrava uno Spettro uscito dalle storie di paura che si raccontano la notte di Halloween davanti al fuoco.
«Guarda, nonna: è Jack O'Lantern?»
La nonna si avvicinò alla finestra e, stringendosi lo scialle attorno al corpo, scrutò nella notte.
Nascondendo un sorriso, rispose seria: «No. Jack porterebbe la lanterna donatagli dal Diavolo; non vedi, invece, che lui si nasconde nel buio?»
«E allora chi è?»
La nonna si avvicinò al vetro e, schermando la luce con una mano, osservò meglio i bambini che si avvicinavano, riconoscendoli immediatamente.
«Sono gli orfani, Claire.»
Claire strinse la sua bambola al petto, alzandosi in punta di piedi e schiacciando il nasino sul vetro: li osservò rapita mentre si avvicinavano, chiassosi e felici, con le tasche piene di caramelle.
Un ragazzino suonò il campanello e poi, tutti insieme, i bambini intonarono cantilenando: «Dolcetto o scherzetto?»
Claire si precipitò all'ingresso e si nascose dietro la gonna della nonna, che stava aprendo la porta sorridente.
Abbracciando la bambola, si sporse oltre le sue gambe e spiò la situazione.
Lui era di nuovo leggermente scostato dagli altri: arrampicato sul cancello, si dondolava a peso morto, come annoiato.
Claire era sicura fosse un Emissario del Diavolo, di quelli che vanno in giro durante la notte di Halloween a lasciare Spiriti Maligni in giro per il mondo.
La nonna le diede un sacchettino di caramelle e la spinse fuori, per incitarla a portarle ai bambini: paralizzata dalla paura, Claire si precipitò a consegnare i dolciumi ad una ragazzina col raffreddore e corse dentro, sperando che lo Spettro non la guardasse.
Quando però, una volta al sicuro in casa, alzò timida il capo, vide trasalendo che lui, pallido e la testa inclinata, la osservava con una luce curiosa e maligna negli occhi di carbone.

Tom rimase immobile, appeso al cancello, in silenzio.
Gli altri si stavano già allontanando, cantando filastrocche e dividendosi il sacchettino di caramelle: nessuno si era accorto che non li stava seguendo.
Rimase fermo al buio, non riuscendo a decidere sul da farsi: non voleva continuare a seguire gli altri nelle loro allegre peregrinazioni, ma nemmeno aveva intenzione di tornare prima del tempo all'orfanotrofio.
Scese dal cancello e si chinò a raccogliere un sasso, col quale cominciò a giocherellare: ancora accovacciato per terra, alzò lo sguardo e vide che la bambina di poco prima lo osservava con gli occhi sbarrati dalla finestra.
Continuò a guardarla, ammaliato dalla paura che poteva leggere nei suoi occhi, ma lei scomparve in un turbinio di capelli biondi.
Immediatamente, la porta si spalancò di nuovo e la signora riapparve.
«C'è qualcuno?»
Tom si rialzò, mettendo in tasca il sasso.
«Io.»
«Non sei andato con i tuoi amici?»
Tom storse il naso, sentendo definire gli altri 'suoi amici'.
«Non ne avevo voglia.»
«Vuoi entrare? Fuori fa freddo.»
Tom sentì il lamento di paura e protesta della bambina che, tirando una manica alla nonna, lo guardava terrorizzata.
«Sì» rispose tranquillo, senza staccare gli occhi dalla piccola, elettrizzato dal puro terrore che le incuteva senza nemmeno saperne il motivo.
Entrò in casa e si guardò intorno, mentre la signora chiacchierava allegra a proposito di una tazza di latte caldo e lo spingeva insieme alla nipotina sul divano: i due bambini sedettero uno di fianco all'altra e la signora sparì in cucina.
Immediatamente, Tom si alzò e sedette sul tappeto, lontano dal corpicino tremante della bambina.
Lei lo guardava supplichevole da dietro una brutta bambola di pezza, tutta rattoppata e con la testa arancione come una zucca.
«Sei Jack?» chiese con una vocina fine fine.
«No, mi chiamo Tom.»
«Sei un Diavolo?»
Tom scosse la testa, divertito: finalmente aveva capito perché la bambina aveva paura.
Per un momento, si sentì potente. Avrebbe potuto giocare con lei come all'orfanotrofio i gatti si divertivano coi topi, sarebbe potuto diventare padrone della sua vita, come un burattinaio pazzo si sarebbe divertito a tirare i fili delle marionette sul palco, facendo assumere loro le pose più assurde.
Si leccò le labbra, inclinò la testa.
«Sono uno Spirito.»
Sentì deliziato la bambina trattenere il fiato e la osservò abbracciare la sua brutta bambola di pezza.
«Che cosa fai?» chiese lei in un sussurro.
«Le magie.» rispose lui in maniera teatrale e guardandola di sbieco, con l'espressione più cattiva che riuscì ad assumere.
La bambina boccheggiò e Tom estrasse il sasso dalla tasca, cominciando di nuovo a giocarci per prendere tempo, godendosi la paura che aleggiava nella stanza.
«Cos'è quello?» scandì la bambina con le labbra, la voce che le mancava.
Tom cercò febbrilmente qualcosa da dire, continuando a guardarla.
«È il cuore di un agnellino appena nato. Se vuoi, posso metterlo alla tua bambola e farla vivere.»
La bambina spalancò ancor di più gli occhi e strinse convulsamente fra le braccia la bambolina, scuotendo la testa.
Tom allungò pigramente un braccio, schiuse lentamente il pugno.
«Dammela.»
Con un verso strozzato, la bambina gli posò la bambola sul palmo.
Tom la strinse, se la portò in grembo dolcemente, le sistemò i capelli su quella brutta testa arancione.
Era una bambola vecchia, molle e profumata, che aveva subito l'affetto della bambina per anni.
Era veramente brutta e Tom non aveva idea di come animarla.

All'improvviso, Tom sentì qualcuno che gridava, in strada.
Ruotò di scatto la testa verso la finestra e tese le orecchie, immobilizzandosi: riconobbe subito la voce infuriata della signora Cole.
«Devo andare via subito.» annunciò velocemente, mettendosi in tasca la bambola.
Poi, aggiunse con voce lugubre: «L'ora degli Spiriti è quasi finita. Senti queste urla? Sono le Streghe che ci avvertono: non potrò tornare fino al prossimo Halloween.»
Lei si morse le labbra, impaurita dalla velata minaccia.
Tom si avviò verso l'uscita, sentendo sulla schiena lo sguardo atterrito della bambina e, sull'uscio, si voltò.
Prese il sasso e lo lanciò sul divano: quello volò lentamente attraverso la stanza e planò con dolcezza sul grembo di lei, come per magia.
Poi, Tom scomparve nella notte silenziosamente, salutandola con la mano e una risatina sommessa.

La signora Cole lo accolse con uno scappellotto.
«Dove ti eri cacciato, Tom Riddle?»
Tom alzò le spalle, ficcò le mani in tasca con fare superiore e finse di ascoltare la sgridata della signora Cole fino all'orfanotrofio, il sorriso sulle labbra e, fra le dita, i capelli della bambolina di pezza.



________
Salve gente!
Come ho scritto sopra, questa sarà una raccolta aggiornata mensilmente, poiché partecipa ad un concorso che prevede si posti una fic alla mese *annuisce convinta*
Indovinate la genialata? Si chiama Thirteen perché sarà aggiornata il trecidi (NdCervello: sì Bea, certo. Scusatela, voleva dire 'tredici'. Oggi è fusa.) di ogni mese xD
Va bene, dovrei aver finito di blaterare :) spero vi sia piaciuta!
Ah, tra l'altro la storia ha partecipato al "Halloween 10Days Contest" indetto sa Sere_Ilu e °vavvina°, classificandosi prima e utilizzando come prompt 'bambola di pezza' :D
Vi lascio qui il loro precisissimo giudizio (è quasi più lungo della fic o.O)... si trovassero spesso, giudice così <3
Un bacio, Bea :3




PRIMA CLASSIFICATA
Beatriz Aldaya con Di Spiriti e Cuori di pietra

Grammatica e sintassi: 8.80/10

Grammatica quasi perfetta. Un paio di errori nella punteggiatura, ma nulla di grave. L’unico problema è in una frase un po’ lunga, nella quale hai fatto un po’ di confusione nella concordanza tra soggetto, verbo e complemento oggetto. - Avrebbe potuto giocare con lei come all'orfanotrofio i gatti si divertivano coi topi, sarebbe potuto diventare padrone delle loro vite, come un burattinaio pazzo si sarebbe divertito a tirare i fili delle marionette sul palco, facendo assumere loro le pose più assurde. [Frase un po’ complicata. Nella prima proposizione, avrei messo tra virgole ‘all’orfanatrofio’, per rendere più chiaro il senso. Nella seconda, invece, non è chiaro quale sia il complemento oggetto. Di chi sono le vite? Letta così sembrerebbe dei topi, mentre il senso logico sarebbe della piccola Claire, perciò avresti dovuto mettere ‘della sua vita’. -0.50]
- «Le magie» [Manca un punto fermo a fine frase. -0.15]
-Rispose lui in maniera teatrale e guardandola di sbieco con l'espressione più cattiva che riuscì ad assumere. [Avrei aggiunto una virgola dopo ‘sbieco’, per creare un minimo di pausa. -0.15]
-«Devo andare via subito» [Manca un segno di punteggiatura a fine frase, che sia un punto fermo o un punto esclamativo. -0.15]
- i due bambini sedettero uno di fianco all'altro e la signora sparì in cucina. [Si parla di un maschio e una femmina, perciò o ‘uno’ o ‘altro’ deve andare al femminile. -0.25]
Stile e lessico: 9.20/10
I miei complimenti. Lo stile è azzeccato, chiaro e preciso, con una scelta della parole ponderata e adatta alla situazione, che rispecchia il punto di vista di due bambini. A parte un paio di ripetizioni e una sciocchezza sul discorso diretto, l’unico errore, se così possiamo definirlo, è in una frase troppo lunga, nella quale ti sei un po’ incartata e che ha appesantito per un attimo la lettura.
- Claire si precipitò alla porta e si nascose dietro la gonna della nonna, che stava aprendo la porta sorridente. [Ripetizione di ‘porta’. -0.15]
- Avrebbe potuto giocare con lei come all'orfanotrofio i gatti si divertivano coi topi, sarebbe potuto diventare padrone delle loro vite, come un burattinaio pazzo si sarebbe divertito a tirare i fili delle marionette sul palco, facendo assumere loro le pose più assurde. [La frase è un po’ pesante e non esattamente chiara, a causa di qualche discordanza logica tra i complementi oggetto. -0.25]
- Rimase fermo al buio, non riuscendo a decidersi sul da farsi [Il ‘si’ in due verbi così vicini mi sembra davvero molto pesante. -0.10]
- Era veramente brutta e Tom non aveva idea di come animarla.
All'improvviso, Tom sentì qualcuno che gridava, in strada. [Ripetizione di ‘Tom’ in due frasi contigue. -0.15]
-Attenzione alla forma del discorso diretto. Come con ogni altro segno di punteggiatura, dopo le virgolette è necessario lo spazio. -0.15
Caratterizzazione e IC: 10/10
Perfetto. È Tom. È lui, con il suo lato oscuro che viene fuori già da bambino, con la sua voglia di potere e con il suo desiderio di far soffrire le persone, anche una povera bambina bionda. I miei complimenti, davvero! Buonissima anche la caratterizzazione, molto profonda benché non sia mai semplice farlo, con i bambini. Ammetto di aver comunque amato la tua piccola OC!
Originalità: 10/10
Originale, senza dubbio! Chi ha mai letto di un Tom che nella notte di Halloween è sballottato qua e là dai suoi ‘amici’ dell’orfanotrofio a fare ‘dolcetto o scherzetto’? Io no di certo! Originale anche l’inserimento dell’OC, che aiuta ad entrare nella psiche di Tom bambino, quando ancora non era nessuno, così come l’idea dello Spirito Maligno, in perfetto tema Halloween!
Gradimento personale: 4.75/5
    °vavvina°: 5/5
Mia cara, mia cara ragazza… te mi spiazzi ogni volta! All’ultimo contest sei riuscita a farmi innamorare di Bella, ora sto amando alla follia il piccolo Tom che hai creato! Che vuoi che ti dica? Con le tue parole mi incanti, ho letto la tua storia con un misto di curiosità e di angoscia, ansiosa di scoprire fin dove si sarebbe spinto il tuo Voledemort in erba. Ho adorato la caratterizzazione, e mi è piaciuto moltissimo l’’uso che hai fatto della bambola di pezza. Brava, davvero, non so cosa dirti di più!
    SereILU: 4.5/5
Bella, davvero. Mi ha coinvolto e mi ha fatto quasi immergere in una specie di favola. Non ti do punteggio pieno semplicemente perché, in alcune parti, non mi ha convinto il tuo stile. Ma per il resto mi hai davvero conquistata. E adoro la piccola Claire, potresti scrivere una Long sulla sua storia!
Rispetto delle regole
Assolutamente nulla da dire. Halloween c’è, eccome, e lo stesso vale per la bambola di pezza.


TOTALE: 47.85/50

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Capitolo 3
*** [Natale] - Una sciarpa arancione zucca ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Natale



            -Una sciarpa arancione zucca-

Una figurina colorata camminava per i corridoi, passando davanti ai finestroni che mostravano la tempesta di neve che infuriava fuori dal castello.
« Permesso, chiedo scusa... »
Era una bambina non troppo alta e, con i capelli biondo cenere e una sciarpa arancione zucca al collo talmente lunga da toccare terra, cercava di farsi spazio tra un gruppo di ragazze ridacchianti ferme davanti la porta della biblioteca.
« C'è la fila, piccoletta, non cercare di passare avanti! » l'ammonì una di quelle, indicando col pollice il punto più lontano del corridoio.
Gli occhi argentei della bambina si illuminarono e, sorridendo alla ragazza, cominciò a raccontarle concitatamente: « Sul serio? Sai, penso che uno abbia fatto il nido sulla Torre di Corvonero... Le uova si dovrebbero schiudere durante le vacanze, e... »
« Ma di cosa blateri? » rispose quella, guardandola con aria di sufficienza.
« Non state cercando anche voi il libro sul Cannolo Balbuziente? » chiese stupita la bambina, inclinando un poco la testa.
« No » replicò secca la ragazza, per poi tornare a chiacchierare con le sue amiche.
La bambina, però, non parve per nulla intimidita.
« Ah, ma allora non devo mettermi in fila. Voi per cosa la fate? »
« C'è Viktor Krum che consulta un libro sulla storia del Ministero della Magia inglese. È così intelligente... » le rispose la ragazza, sospirando e alzandosi sulle punte per guardare oltre al porta della biblioteca.
« Chissà se c'è scritto che ha al suo servizio un esercito di Eliopodi » rifletté la bambina ad alta voce, alzandosi a sua volta in punta di piedi ma non riuscendo ad arrivare nemmeno oltre il petto delle ragazze più grandi.
« Ma chi, Krum? » domandò brusca la ragazza, persa nella propria fantasia.
« No, il Ministero della Magia! » spiegò la bambina, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
L'altra non le rispose, limitandosi a guardarla dall'alto in basso con aria poco convinta.
« Posso passare, allora? » chiese candidamente la piccola, sorridendo.
« Quanti anni hai? »
« Dodici. »
Solo dopo aver riflettuto e deciso che la bambina era troppo giovane per poter rappresentare una minaccia in campo amoroso, la ragazza fece spallucce e si scostò per lasciarla passare.


La bambina vagava tra gli scaffali, seguita dalla sua sciarpa arancione a mo' di strascico.
La bibliotecaria non aveva saputo dirle nulla sui Cannoli Balbuzienti, ma le aveva consigliato di cercare qualcosa nella sezione dedicata alle Creature Magiche: facendo scorrere l'indice sul dorso dei libri, la bambina ne mormorava i titoli per decidere quale prendere.
All'improvviso, sentì qualcosa tirarle il collo e per poco non soffocò per lo spavento: portò le mani alla gola e allentò la sciarpa, per poi guardarsi in giro per capire cosa avesse provocato lo strattone.
Un ragazzo magro e dai capelli neri sbirciava oltre la libreria, attraverso un buco che aveva creato togliendo qualche libro che teneva ora in mano; sotto i suoi piedi, stava l'estremità della sciarpa della bambina.
Storcendo il naso nel vedere che ormai la bella lana arancione era inzaccherata del nevischio fangoso che si trovava sotto gli alti stivali del ragazzo, lei si avvicinò e richiamò la sua attenzione sfiorandogli un braccio.
Inaspettatamente, il ragazzo trasalì e si girò di scatto con aria colpevole, cercando di rimettere i libri al loro posto senza guardare cosa faceva, ottenendo un risultato disastroso.
Quando vide che a chiamarlo era stata una bambina, però, si calmò.
« Pensafo tu fossi bibliotecaria. Donna sefera... » disse lui sorridendo, vagamente imbarazzato dalla propria reazione esagerata.
« Non importa, scusa se ti ho spaventato. Volevo solo chiederti se... »
Il ragazzo la interruppe, con l'aria di uno che la sa lunga: « Afere tu penna e inchiostro? »
Lei spalancò gli occhi stupita.
« Sì, aspetta un attimo solo » disse, rovistando nella cartella, « eccoli qua. »
Il ragazzo afferrò la piuma d'oca un po' sgualcita e la boccetta che la bambina gli tendeva.
« Dofe? » domandò annoiato.
« Dove cosa? » rispose la bambina, non capendo la domanda.
« Dofe tu folere che io firmi. »
« No, la mia sciarpa... »
« Su sciarpa io non scrifo bene. »
« Ma io volevo... »
« Fa bene, su sciarpa! » esclamò conciliante lui, « quale è tuo nome? »
« Luna. E il tuo? » rispose allegra la bambina, felice di capire finalmente cosa le chiedesse il ragazzo.
Lui la guardò perplesso.
« Tu non sai chi io sono? »
In tutta risposta, la bambina lo guardò sorridente, in attesa.
Il ragazzo borbottò qualcosa e si mise in tasca piuma e inchiostro.
« Grazie per afere prestato qveste cose, mi serfiranno più tardi. Io mi chiamo Viktor. »
Luna si illuminò: « Viktor Krum? Quello che prima leggeva il libro del Ministero? »
« Oh, sì. Ma io non afere capito molto, ero distratto. »
« Beh, non è grave. Tanto sui libri non scriveranno mai la verità su Cornelius Caramell. »
« Qvale verità? »
« Il nostro Ministro avvelena, annega e cucina in crosta i Goblin » spiegò lei, annuendo pensierosa, « ma la maggior parte del popolo magico non ci crede. »
« Già... » commentò lui, guardandola come se fosse pazza e con l'aria di uno che concorda decisamente con la gente che pensa non si possano mangiare Goblin a colazione.
« Beh, io afere da fare. Ci fediamo in giro, Luna » aggiunse poi, tornando a sbirciare tra gli scaffali.
« Finché non molli la mia sciarpa non posso andare da nessuna parte, però. Comunque, cosa stai guar...? »
Ancora una volta il ragazzo ebbe una reazione esagerata e tappò la bocca alla bambina prima che potesse finire la domanda.
« Tu non defi urlare qveste cose, per piacere. »
La bambina gli fece allora cenno di avvicinarsi e, mettendo le mani vicino al suo orecchio, sussurrò: « Cosa stai guardando? »
« Niente. Io non gvardo proprio niente. Tu non afere nulla di interessante da fare? »
« Sì, sto cercando un libro sui Cannoli Balbuzienti. »
Il ragazzo le porse uno dei libri che aveva sottobraccio.
« Ecco, qvi dentro c'è tuo Cannone Belante. Tu ora fa a leggere laggiù. »
« Grazie per il consiglio, controllerò » disse Luna, leggendo poco convinta il titolo dell'opera, 'Pentoloni e Sanguisughe', « ma non è che potresti lasciare la mia sciarpa? »
Proprio mentre Luna formulava per l'ennesima volta la domanda, si sentì il rumore di una sedia spostata dall'altra parte dello scaffale e Krum si nascose dietro un grosso volume polveroso fingendo di leggerlo, mentre una ragazza dai capelli crespi passava loro davanti e si fermava lì vicino a consultare un libro.
Da dietro il suo volume, Viktor sorrise e piegò leggermente la testa, in un inchino accennato, per poi cominciare a borbottare qualcosa.
« Io afere notato te qvi in biblioteca e... -no, non va bene. Forse potrei profare con un...- Ciao, tu afere sentito che c'è Ballo del Ceppo in Figilia di Natale? -ma no, è cosa stupida. Tutti sanno del ballo, anche Fermicoli del Guardiacaccia...- È tuo qvesto folio per terra? -Poi lei dice a me di no, e io rimango lì come merluzzo senza sapere cosa dire- Tu sei bella come giofane fioletta sbocciata al fresco fento... -No, è meglio che io tenga qvesta per Ballo del Ceppo... Come diavolo io posso chiedere a lei...? »
« Ehm... Viktor? » chiese innocentemente Luna, tirandogli una manica.
Lui guardò la bambina e, silenziosamente, mimo con le labbra: « Tu fa, ora. Io defo fare una cosa. »
« E va bene, ora vado! » rispose lei, togliendosi la sciarpa, « questa te la regalo, d'accordo? Buon Natale! »

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Capitolo 4
*** [Citazione] - Pirata della strada ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: "Ho visto tante persone che se ne andavano”
“E mai nessuno è tornato indietro?”



Piiiiccolo antefatto :)
Mi scuso con tutte le compagne di contest, sono letteralmente sparita da Natale in poi. Passerò da voi al più presto!
Seconda cosa: non ce l'ho fatta a scrivere qualcosa di decente questa volta, chiedo venia... Ho preso ispirazione da una frase che Ron dice nell'epilogo della saga.
Spero vi piaccia! Bea :3

Citazione: «In realtà l'ho Confuso» sussurrò Ron a Harry mentre caricavano insieme il baule e il gufo di Albus sul treno.
«Avevo solo dimenticato di guardare nello specchietto retrovisore, e diciamocelo, per quello posso sempre usare un Incanto Super-sensor».


________

        -Pirata della strada-

« Parcheggi davanti il fornaio e l'esame è finito, signor Weasley. »

Frena. Freccia a destra. Guarda che non arrivi nessuno in senso opposto, fai manovra, attento a non beccare il palo, guarda dietro per non ammaccare l'altra macchi...

« E gli specchietti retrovisori a cosa servono, secondo lei, signor Weasley? »

Miseriaccia.

« Ehm... »
« Mi dica, signor Weasley. Perché si è girato, quando avrebbe dovuto solo dare un'occhiata allo specchietto? »
« Girandosi la visuale è più... »
« E se lei avesse avuto il torcicollo, signor Weasley? »

Con una facile magia si risolve tutto, sa?

« Penso che in quel caso... »
« Tutte scuse. Puntando il piede per riuscire a girarsi, avrebbe potuto combinare un disastro, come schiacciare l'acceleratore e andare a sbattere alla macchina davanti!»
« Effettivamente non avevo... »
« E poi, cos'avrebbe fatto? Sarebbe scappato via come un ladro, non è vero? »
« Ma no, cioè, io... »
« Ho visto tante persone che se ne andavano, io, sa? Ma le ho denunciate tutte! »

E mai nessuno è tornato indietro per Cruciarla, no?

« E quindi, non metterò in circolazione un altro pazzo pirata della strada! Lei è bocciato! »

Per le mutande di Merlino!

« Non le sembra di esagerare un po'? Ho solamente dimenticato di guardare lo specchietto! »

Potrei sempre usare un Incanto Super-Sensor, per quello.

« Solamente? Oggi si dimentica questo, domani potrebbe non ricordarsi di frenare e travolgere una felice famigliola che attraversa la strada! »

Questo tipo è fuori di testa come la Cooman.

« E poi, ha chiamato un semaforo 'robo con la lucetta verde', e una delle competenze del Buon Guidatore è... »

Sì, d'accordo. Dov'è la mia bacchetta?

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Capitolo 5
*** [Tragica dichiarazione d'amore] - Perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in Inghilterra? ***


perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in inghilterra?
Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Una dichiarazione d'amore finita male.



        -Perché non ci sono draghi che atterrino sui pub, in Inghilterra?-

«Hei, Stan, ma quella non è la tua bella?»
«Cosa diavolo urli, testa di rapa?»
«Ma sì, è lei. È un po' difficile riconoscerla oggi, con quei capelli banalmente mori.»
Vedendo che l'amico stava spudoratamente indicando col dito la direzione in cui presumibilmente si trovava lei, Stan gli saltò addosso con la chiara intenzione di ucciderlo e i due caddero contro il muro dei Tre Manici di Scopa.
«Dov'è seduta?»
«Proprio nell'angolo, sta scrivendo qualcosa.»
«È da sola?»
«Mi pareva di sì. Non è che mi fai alzare da questo mucchio di neve, che mi sto congelando il...»
Ma Stan era già balzato in piedi e sbirciava oltre i vetri appannati del pub, nervoso.
Quando la vide, si lasciò cadere nello stesso punto da dove era venuto per non farsi vedere, ma andò addosso all'amico, che stava cercando di rialzarsi e rovinò di nuovo nel mucchio di neve.
«È lì dentro!» dichiarò trasognato, guardando verso la finestra.
«Eh, e io sono qua sotto!» comunicò irato Basil, scostando in malo modo l'amico e rialzandosi sbuffando.
«Cosa faccio?»
«Vai dentro e le urli il tuo amore.»
Stan arrossì violentemente.
«Piano B?»
«Vai dentro, ti siedi vicino a lei e fai il carino.»
«Umph. Può andare. E dopo?»
«Ma per chi mi hai scambiato? Cupido? Vai dentro e fai vedere che hai il fegato!»
E dicendo questo, Basil prese per la giacca Stan e lo catapultò dentro ai Tre Manici di Scopa.

Ninfadora Tonks sedeva nell'angolo più lontano dall'ingresso, nascosta dietro un albero di Natale e con l'aspetto più anonimo che avesse mai avuto negli ultimi due anni, avendo abbandonato i capelli dai colori sgargianti o elettrici e optato per un semplice castano scuro.
Tutte le sue amiche l'avevano abbandonata nel momento del bisogno: una si era appena fidanzata con un Corvonero e voleva rimanere sola con lui, un'altra si era messa d'accordo per un super ripassone di Natale a cui lei non aveva nessuna intenzione di partecipare, un'altra stava su un letto d'infermeria a causa di una massiccia dose di Distillato Soporifero e non si sarebbe svegliata prima di tre giorni.
Così, si trovava da sola ai Tre Manici di Scopa, scappata dalla Sala Comune per paura di incontrare Stan Picchetto -che, affetto da un tremendo raffreddore, teoricamente non sarebbe uscito da Hogwarts nemmeno per la tanto attesa gita ad Hogsmeade- seduta ad un tavolo a scrivere una delle lettere più importanti della sua vita, senza nessuna delle sue amiche ad aiutarla.
Fissava la pergamena da almeno un quarto d'ora, la penna d'oca stretta in pugno, nella mente il vuoto più totale, quando sentì la voce della persona che meno avrebbe voluto incontrare quella mattina.
«Hei, Ninfadora!»
Sorrise senza troppo trasporto e, con aria colpevole, nascose la pergamena, sulla quale campeggiavano ben visibili le due uniche parole che era riuscita a vergare, “Caro Charlie”.
«Ciao, Stan. Non eri malato?»
«Madama Chips si è allarmata quando ho cominciato a fare fumo dalle orecchie ogni volta che starnutivo, e ha pensato che forse il mio non fosse un semplice raffreddore, perciò mi ha curato. Che fortuna, eh?»
«Già, che fortuna. Senti, mi sono fatta un giro a Mielandia, finalmente posso restituirti quei dolci che ti avevo mangiato...»
«Ma no, figurati. E poi, se non avessi sgraffignato quegli Scarafaggi a Grappolo, forse non ci saremmo mai parlati.»
Ninfadora mugugnò qualcosa alzando gli occhi verso il soffitto, maledicendo il giorno in cui aveva avuto la malaugurata idea di buttarsi sul primo pacco di dolci della Sala Comune, senza preoccuparsi di chiedere a chi appartenessero, tanto era sicura fossero quelli delle sue amiche.
«Vuoi bere qualcosa?» tornò alla carica Stan, pieno di energie.
«No, grazie, ho già preso.»
«Allora stavi per andartene? Potremmo fare una passeggiata insieme, che dici?»
Ninfadora lo guardò sconsolata, pensando a quella pergamena che si stava sgualcendo nella borsa.
«C'è troppo vento, e poi stavo proprio scrivendo una cosa importante, sai...»
«Oh, ti stavi portando avanti con i temi per le vacanze?»
«Uhm. Sì, più o meno...» rispose lei incrociando le dita e cominciando a dondolare la sedia, imbarazzata dalla mezza bugia sui reali scopi per i quali stava utilizzando piuma e inchiostro.
«Fantastico! Hai una pergamena anche per me, così li facciamo insieme?»
Dora questa volta non tentò nemmeno di nascondere l'occhiata infuriata, ma perse l'equilibrio -fare l'equilibrista su una sedia con una zampa sola non era la sua specialità, assolutamente- e cadde in avanti verso il tavolo, trovandosi pericolosamente vicina ai brufoli di Stan Picchetto.
Di colpò, la situazione precipitò.
Animato da chissà quali folli idee, lui le prese il mento con una mano e, dopo averla guardata un momento negli occhi, la baciò; nello stesso momento in cui Dora sentì le sue labbra sulle proprie, scorse Charlie Weasley avanzare verso il suo tavolo, sorridendo ignaro.
Ritrasse velocemente la testa e si pulì la bocca, senza nemmeno guardare Stan e pregando i folletti che Charlie non l'avesse vista.
Peccato che, proprio mentre il ragazzo passava di fianco il tavolo accennando un saluto -con conseguente capriola del cuore di Dora- Stan cominciò a urlare la mondo quanto fosse bella e quanto la amasse.
Dora sferrò a Stan un calcio da sotto il tavolo, Charlie arrossì e si scusò per averli disturbati, con tanti auguri per un amore duraturo e figli maschi, Stan scambiò il calcio per un eccesso di energia e cercò di riafferrare Dora, che avrebbe semplicemente voluto che un drago atterrasse sul pub e la portasse via.
Ma, quando sentì le proprie dita chiuse in quelle freddissime di Stan, riprese in mano la propria vita.
Si alzò in piedi e urlò a pieni polmoni, sperando fortemente che Charlie la sentisse: «Io no, non ti amo! E non baciarmi mai più!»
Poi, tentò un'uscita dignitosa con gli occhi di tutto il pub piantati addosso, e ovviamente inciampò sul gradino d'ingresso, volando gambe all'aria.
La risata di Stan Picchetto fu la più fragorosa di tutte, e Dora se ne compiacque; ma fu ancor più felice quando vide un sorriso lentigginoso e una testa rosso fuoco chinarsi a porgerle una mano per rialzarsi dal pavimento.

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Capitolo 6
*** [In un giorno di pioggia] - Fischiettando al cielo ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: In un giorno di pioggia.


Introduzione obbligatoria.
Sarò breva e concisa, visto che già leggere tutta la storia potrebbe risultare un po' pesante, visto il malloppo XD
Mi scuso per la lunghezza, erano secoli che la storia mi frullava in testa.
Spero solo di essere riuscita a rendere bene ciò che nella mia testa ormai aveva preso forma e continuava a chiedere di essere scritto.
Alla fin fine, sono stranamente soddisfatta del risultato... spero solo che qualcuno non pensi troppo male di me, verso metà fanfiction; e tenetevi bene in testa che Gellert, secondo i miei calcoli, è più piccolo di Silente... circa sedici anni e mezzo.
Il pair è Gellert/Ariana, e il raiting questa volta è giallo. Spero di averlo azzeccato.
Buona lettura, e mi complimento con tutti quelli che riusciranno ad arrivare alla fine ^^
Un bacio, Bea :3

_________


        -Fischiettando al cielo-


Le maledizioni volano nell'aria ad una velocità impressionante, quasi invisibili.
Lampeggiano nell'imbrunire, saettando da una parte all'altra, a volte sfiorandoti e non uccidendoti per mera fortuna.
I controincantesimi che scagli sono sempre più numerosi, sei sempre più sulla difensiva: non attacchi più, Albus sta avendo la meglio e presto verrai colpito, mortalmente.
E allora, la tua anima lascerà questa terra, e scaricherai su qualcun altro tutto il peso che porti addosso.
Ti ritrovi a pensare che la morte è facile. Semplice abbandonare tutti i rimpianti, il dolore, i ricordi.
Perché in punto di morte dimentichi tutto quello che hai fatto, tutto quello per cui hai lottato e di cui sei orgoglioso come un padre di fronte un figlio appena nato.
Dimentichi i tuoi sogni, rimangono solo gli 'e se'.
E se l'ultima volta che hai duellato con Albus, nulla fosse successo?
E se quella bambina non fosse morta?

La prima volta che Gellert Grindelwald mise piede in casa Silente, scorse dietro le lunghe e immacolate tende una figurina esile e pallida, perfettamente immobile per non lasciarsi notare.
Gellert tirò dritto seguendo l'amico verso la cucina, fingendo di non avere visto la ragazzina; ma una volta lasciatosi cadere scompostamente su una sedia, accennò con la testa verso la sala e mimò con le labbra: «Chi è?»
Albus si sedette con delicatezza, evitando lo sguardo curioso dell'amico.
«Nessuno.»
Il silenzio si protrasse a lungo, sotto lo sguardo scettico di Gellert.
Finalmente, Albus confessò.
«È mia sorella, Ariana.»
«Non mi avevi detto di averne una.»
«È strana.»
Poi, Albus cambiò bruscamente discorso e i due discussero concitatamente tutto il pomeriggio a proposito di cose ben più importanti di una ragazzina bislacca.
Tuttavia, quando Gellert uscì di casa salutando Albus con una pacca sulla spalla, non poté fare a meno di lanciare un'occhiata verso la tenda.
La ragazzina era ancora lì dietro, questa volta seduta a terra.
Aveva i capelli biondi come il sole e gli stessi occhi azzurri di Albus, sfrontatamente puntati su di lui.
Quella sera, per la prima volta da mesi Gellert non si addormentò pensando al progetto per il suo Nuovo Ordine, ma chiedendosi perché mai quella ragazzina si stesse nascondendo dietro ad una tenda come un gattino.

Il giorno dopo, Gellert si presentò di buon'ora in casa Silente.
Venne ad aprirgli alla porta il fratello di Albus, che lo guardò storto e borbottò che l'amico stava ancora dormendo, ma che sarebbe andato immediatamente a buttarlo giù dal letto.
Non appena Aberforth scomparve per le scale urlando, Gellert lasciò cadere casualmente lo sguardo verso le tende, ma non scorse la ragazzina dietro di esse. Si diede dello stupido per aver anche solo pensato che lei potesse essere ancora rannicchiata lì dietro, poi cominciò a girovagare per il salotto, il legno scricchiolante sotto i piedi, fischiettando per dissimulare la delusione.
Ad un tratto sentì un rumore in cucina, perciò si affacciò alla sala, scorgendo la gracile figurina di Ariana seduta al tavolo.
Senza smettere di fischiettare entrò, le mani in tasca e il passo strascicato di chi si annoia.
Si sedette proprio di fronte alla bambina, che inzuppava un biscotto nel latte e lo guardava rapita.
Albus aveva detto che era 'strana', e Gellert non l'aveva ancora sentita parlare.
Con una lunga nota bassa terminò la melodia e tacque, allungando una mano per prendere un biscotto a sua volta, mentre quello di Ariana si scioglieva nel latte poiché lei non dava segni di volerlo mangiare.
La bambina aprì la bocca, ma parlò talmente piano che Gellert intuì solo dal movimento delle labbra cosa gli stesse chiedendo: «Continua».
E allora ricominciò a fischiettare, questa volta in tono più lento e lugubre, ma lei continuava a fissarlo con gli stessi occhi sognanti di poco prima.
Quando anche la seconda melodia finì, fu Gellert a prendere la parola.
«Non è ora che tu tolga quel biscotto, per caso?»
Ma Ariana non diede segni di aver compreso, perciò lui si sporse e le prese il braccio, per spostarlo. Immediatamente, la bambina cominciò a tremare e l'aria sognante dei suoi occhi chiari si trasformò in tempesta. La casa si riempì delle sue grida e, prima che Gellert potesse rendersene conto, Aberforth era arrivato e aveva cominciato a stringere fra le braccia la sorellina, mentre Albus, ancora senza camicia e i pantaloni da chiudere, gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lo aveva condotto fuori, sotto il tiepido solo estivo di Godric's Hollow.

«Ma cosa le è preso?»
«Niente. Te l'ho detto, è strana.»
«Le ho solo toccato un braccio!»
«Non farlo mai più. Anzi, forse sarebbe meglio che d'ora in poi ci vedessimo lontani da casa mia, così non saremo distratti da queste seccature.»
«Sì, forse è meglio.»
«Allora domattina sarò io a casa tua, non venire da me.»
«No, va bene.»
Ma per la seconda sera di fila, Gellert si addormentò pensando a cosa avesse fatto di male per provocare una reazione del genere in quella bambina e, vergognandosi un po', decise che l'indomani sarebbe tornato a chiederle scusa.

La mattina dopo, il cielo era tetro e l'aria pesante.
Gellert non ebbe difficoltà a trovare Ariana: raccoglieva le margherite nel giardino di casa, nascosta dall'alta siepe.
Aprì il cancello con un colpo di bacchetta e proseguì indifferente lungo il vialetto, senza guardarla.
Sentiva i suoi occhi chiari perforargli la schiena e pensò a lei per la seconda volta come ad un gattino, curioso ma schivo.
Si bloccò e cominciò di nuovo a fischiettare. Aveva capito che era una strategia vincente; quando si girò e osò guardarla, infatti, lei aveva smetto di raccogliere i fiori e lo guardava ammaliata come il giorno precedente.
Senza smettere di fischiare, le fece un cenno di saluto con la testa, al quale lei rispose con la mano.
D'un tratto, Gellert sentì una porta sbattere alle sue spalle e la voce di Aberforth, stranamente trattenuto dal parlargli con astio com'era suo solito.
«Cosa ci fai di nuovo qui? Albus mi aveva detto che...»
Gellert lo ignorò, continuando a fischiare ma tramutando la melodia da allegra a martellante.
Come sentendo il cambiamento d'umore, dal cielo cominciarono a piovere grosse gocce, che cadevano sui sassi ticchettando.
Aberforth si avvicinò alla sorella, la prese per mano e cominciò a tirarla dolcemente verso casa; ma la bambina si impuntò e non ne volle sapere di rientrare.
Lui cercò di farla ragionare dolcemente: «Ariana, non senti che piove? Ti prenderai il raffreddore, vieni in casa con me.»
Ma la bambina non aveva occhi che per la melodia, che sembrava prendere forma in magici turbinii visibili a lei soltanto.
Aberforth si girò riluttante verso Gellert.
«Penso le piacciano i tuoi fischi.»
Gellert alzò le spalle, disinteressato a ciò che il ragazzo gli diceva.
Aberforth guardò il cielo e sbuffò.
«Va bene, se proprio vuoi rimanere fuori vado a prendere un ombrello. Aspettami qui e fai la brava, d'accordo? E tu» proseguì cambiando tono e rivolgendosi a Gellert «non ti avvicinare.»

Mentre Aberforth entrava in casa e cercava un ombrello nel trambusto, urlando di tanto in tanto irose invettive contro il fratello, Gellert rimase in giardino, a fischiare.
Ad un tratto, Ariana lasciò cadere le margherite raccolte, si alzò e cominciò a volteggiare in cerchio, muovendo le mani.
Non seguiva il ritmo della melodia, come se danzasse su una personale nella propria testa: fu lui a modificare il fischiettare per seguire la sua danza impacciata.
La osservava attento per adattare la musica, la osservava mentre il temporale le inzuppava i capelli biondi e il leggero vestito, facendolo aderire al corpicino.
La osservava e sentiva qualcosa che lo divorava all'altezza della pancia, la osservava e si faceva schifo da solo perché era solo una bambina.
E allora Gellert chiuse gli occhi e si sforzò di concentrarsi solo sulla melodia, ma il pensiero che erano secoli che non baciava una ragazza continuava a danzargli davanti insieme a lei.

Finalmente, Aberforth uscì di casa con un enorme ombrello.
Si affrettò a riparare la sorellina, le pose sulle spalle uno scialle per non farle prendere più freddo di quello che già si era presa: lei smise di ballare e Gellert di fischiare.
Ariana rimase a guardare la pioggia che cadeva, inzuppò le mani nelle pozzanghere fangose che si erano create nel giardino fino a quando un tuono non la fece sobbalzare.
Aberforth la strinse a sé mentre ancora guardava il cielo con gli occhi sgranati e impauriti.
«Adesso possiamo rientrare, che ne dici?»
Ariana annuì lievemente, ma non si mosse verso casa quando il fratello cominciò a camminare: prese la direzione opposta e afferrò con la manina fangosa quella di Gellert, gli occhi ancora puntati verso il cielo, e cominciò a tirarlo con foga verso casa non appena un secondo tuono rimbombò sopra Godric's Hollow.

Aberforth entrò in casa pestando i piedi con più foga del dovuto sul tappetino e lanciando occhiate di fuoco a Gellert che, lasciato libero da Ariana, si era accomodato placidamente sul divano, sporcando dappertutto.
«Quanto diavolo ci metti a scendere, si può sapere?» strepitò verso le scale, lanciando l'ombrello in un angolo.
Ariana si affacciò impaurita dalla porta della cucina, ancora zuppa.
«Non parlavo con te, tranquilla. È Albus che è più stupido della mia capra.»
Ariana accennò una risatina e si coprì la bocca con una mano.
Poi, inaspettatamente, sfrecciò attraverso il salotto e cominciò a salire le scale urlando: «Al, sai cos'ha detto Ab?»
Gellert rimase di sasso nel vedere quello scoppio di vitalità, e restò a guardare a bocca aperta Aberforth che riacciuffava la sorella e cominciava a farle il solletico, mentre lei rideva fragorosamente e cercava di divincolarsi.
Aberforth la lasciò scappare e Ariana si rifiondò verso le scale, ma andò a picchiare il naso contro Albus, che scendeva proprio in quel momento.
Ariana gli si appese al braccio e, strattonandolo, gli confidò che Aberforth pensava fosse più stupido di una capra.
Ma Albus non sembrava in vena di giochi, quel giorno: liquidò la sorella in due parole, poi si voltò gelido verso il fratello.
«Si può sapere cos'è tutta questa confusione?»
«Tua sorella che si divertiva, prima che arrivassi tu».
Albus non rispose e, facendo cenno all'amico di seguirlo, lasciò la casa.
Il debole “ciao” di Ariana si ripeté all'infinito nelle orecchie di Gellert, mentre correva sotto la pioggia martellante verso la casa di sua zia.

La pioggia durò tutta la giornata, e, quando Albus decise che era ora di andarsene, era ormai notte inoltrata.
Gellert lo accompagnò alla porta e osservò l'amico compiere un movimento di polso per evitare di infradiciarsi nella via verso casa.
«Ci vediamo domani.»
«Sì. Non fare tardi.»
Albus annuì. Si stava quasi per voltare quando Gellert chiese, con finta noncuranza: «Quanti anni ha tua sorella?»
«Quattordici. Perché?»
«Sembra averne meno.»
Poi Gellert chiuse la porta e si lasciò sprofondare nel divano.
Quattordici anni... lui ne aveva sedici e mezzo.
Fu scosso da un brivido.
Non era nemmeno così tanto piccola, in fondo.

Quando la zia Bathilda lo svegliò la mattina dopo, Gellert si accorse di aver passato tutta la notte sul divano.
«Chissà come sta messo il tuo collo stamattina. Quanto ti sarebbe costato fare un piano di scale e metterti a letto, ieri sera, eh?»
«Sì, zia.»
«Dove vai? Piove a dirotto.»
«Da Albus.»
«Ma non hai fatto colazione!»
«
Accio biscotti. Contenta, adesso? Li mangerò per strada.»
«Non dovresti usare la mia bacchetta, c'è un motivo se ti hanno cacciato da quella scuola... Durm... Dustr...»
«Durmstrang.»
«Fa lo stesso, ridammi la bacchetta.»
«Sì, zia. Te la lascio sul tavolo.»
«Torna a casa presto, c'è da lucidare l'argenteria.»
«Sì, zia. Contaci.»
Cinque minuti più tardi, Gellert camminava in mezzo alle pozzanghere sgranocchiando i biscotti, uno scudo magico sopra la sua testa e la corta bacchetta della zia infilata nella tasca dei pantaloni.

Gellert non era mai arrivato così presto in casa Silente.
Entrò senza far rumore, e come un ladro aprì la serratura con un incantesimo per poi richiudersela delicatamente alle spalle.
Sentì la voce di Ariana dalla cucina, cristallina ed annoiata: chiamava il fratello, trascinando la prima lettera del nome.
«Aaaaab. Aaaaab, ho fame. Aaaaaab, fra quanto scendi?»
«Dammi cinque minuti, Ariana. Adesso vengo a prepararti il latte, non toccare il gas!»
Poi, si sentì un rumore attutito seguito da un lamento.
«Svegliati, Al. Questa mattina ci vai tu incontro al tuo amico, non voglio più che entri in questa casa. Ariana incomincia a fidarsi troppo di quel criminale.»
La voce di Albus era ancora impastata dal sonno, quando rispose.
«Non è un criminale, lui è...»
Ma Gellert non conobbe mai una parola in più di quella lunga apologia che Albus pronunciò nei suoi confronti quella mattina, perché si affrettò verso la cucina e si chiuse delicatamente la porta dietro la schiena.

Ariana gironzolava intorno al tavolo, spiccando di tanto in tanto un balzo per passare da una mattonella all'altra.
Quando si accorse che ad entrare in cucina non era stato il fratello ma Gellert, nei suoi occhi passò per un momento lo smarrimento, poi sorrise.
«Ciao» la salutò il ragazzo, sedendosi su una sedia.
«Ciao» rispose lei, guardandolo con vacua dolcezza e fermandosi esattamente dalla parte opposta del tavolo.
«Mi chiamo Gellert, lo sai?»
«Me l'ha detto Ab» rispose lei annuendo. Poi, arrossendo un po', chiese: «Fischi ancora, per favore?»
«Dimmi che canzone vuoi.»
Ariana, senza nemmeno pensarci su, cominciò a mugolare un motivetto senza ritmo e stonato, che ricordava vagamente una semplice ninna nanna.
Gellert la seguì un po' fischiettando mentre lei lo osservava rapita.
Quando tacque, Ariana disse: «Sei bravo. Mi insegni?»
«Solo se mi dai un bacio.»
Senza farselo ripetere due volte, Ariana si avvicinò e gli diede un tenero bacio sulla guancia.
Gellert sorrise fra sé e sé.
«Non intendevo proprio questo, comunque...»
Poi incominciò senza grandi risultati a spiegarle come tenere la lingua per fischiare.
Alla fine, Ariana si stancò e cominciò a distrarsi, pensando di nuovo al latte: fu allora che Gellert le prese una mano e la baciò a tradimento sulle labbra, sentendo un caldo tepore impadronirsi della pancia.
Nello stesso identico momento, Aberforth Silente entrò in cucina, chiedendo felice: «Ariana, perché la porta era chiusa?»

Il tempo parve fermarsi; l'unica a non comprendere la gravità della situazione fu proprio Ariana, che saltellò tutta felice verso il fratello.
Ma Aberforth, per la prima volta nella sua vita, non la accolse fra le braccia: aveva occhi solo per il ragazzo che sedeva strafottente al tavolo della cucina.
Esplodendo d'ira, gli si precipitò addosso, cercando di afferrargli il collo.
«IO TI AMMAZZO!»
Gellert fu rapidissimo: con un movimento fluido balzò in piedi ed estrasse la bacchetta, puntandola al petto di Aberforth.
Ariana trattenne rumorosamente il fiato mentre Aberforth, ansimando, sputava in faccia a Gellert: «Sei un vigliacco.»
In quel momento, Albus entrò in cucina e chiese garbatamente: «Cosa succede?»
Gellert nascose la bacchetta e Aberforth si tuffò verso un cassetto, per recuperare la propria.
Quando si girò brandendola, Albus disse calmo: «Ab, non fare lo stupido. Mettila via, sei minorenne.»
«ANCHE LUI LO È, EPPURE NE FATE DI PROGETTI INSIEME!»
«Non urlare, Ariana si agita. Qual'è il problema?»
«CHE TU SEI CIECO COME UNA TALPA, HAI LA MENTE INVASA DAI TUOI PROGETTI DI GLORIA E FAMA. TRA DUE SETTIMANE IO DOVRÒ TORNARE AD HOGWARTS, E COSA NE SARÀ ALLORA DI ARIANA?»
«Te l'ho già detto parecchie volte. Tu completerai la tua istruzione, e io starò qui a casa a occuparmi di nostra sorella.»
«SÌ, E COME TE NE OCCUPERAI? ANDANDO IN GIRO PER IL MONDO CON QUESTO CRIMINALE? CON QUESTO PERVERTITO CHE STAVA...?»
Gellert sentì l'euforia crescergli dentro.
«TACI, STUPIDO RAGAZZINO. NON INTRALCIARE I NOSTRI PIANI, NON CAPISCI CHE QUANDO TUTTO SARÀ A POSTO, IL MONDO SARÀ MIGLIORE PER TUTTI?»
Ariana singhiozzava in un angolo, ma nessuno aveva più occhi per lei.
Aberforth puntò un dito verso Gellert.
«AL, NON CAPISCI CHE TI STA INGANNANDO, CHE HA ALTRI SCOPI?»
«BASTA!
CRUCIO!»
Aberforth si accasciò a terra ululando, unendo la sua voce a quella di Ariana.
Gellert sentì la magia fluire dalle proprie mani per infliggere dolore al ragazzo, rannicchiato come un verme ai suoi piedi; provò un calore cento volte maggiore di quando aveva baciato Ariana o qualunque altra ragazza, sentì una gioia perversa trasformargli il viso, il piacere mangiargli le viscere.
Nemmeno si accorse che Albus aveva estratto a sua volta la bacchetta, e, senza sapere come fosse successo, si ritrovò lungo disteso dall'altra parte della stanza.
Per la prima volta, nella voce di Albus si sentì una lieve alterazione.
«Cosa ti ha preso, Gellert?»
«GLI HA PRESO CHE È UN MALEDETTO BASTARDO!»
In un attimo, Gellert era di nuovo in piedi e sparava maledizioni in tutte le direzioni, Aberforth cercava di difendersi maldestramente e Albus si vedeva costretto a rispondere al fuoco per difendere il fratello.
Nel trambusto, tutti si erano dimenticati di Ariana. Urlava col cuore che batteva a mille, e ad ogni oggetto che le esplodeva intorno si agitava sempre più convulsamente, con gli occhi fuori dalle orbite e le gambe che le tremavano.
Quando vide suo fratello sanguinare, non capì più nulla e si buttò nella mischia.

Perché Aberforth era riverso a terra e non si alzava più per stringerla fra le braccia?
Perché Albus aveva la faccia stravolta dall'ira, lui che era sempre così calmo?
Perché Gellert non le fischiava più la ninna nanna?
Vide un lampo verde venirle incontro, come un fuoco d'artificio.
E allora, smise d'urlare e lo accolse a braccia aperte.

Un minuto più tardi, Gellert Grindelwald si lasciava la vita alle spalle e scompariva nel temporale.

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Capitolo 7
*** [Citazione] - Esami ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: "Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera"
-Neruda-




            -Esami-

«Questa non la sai. Distillato di Confusione!»
«Coclearia, Levitisco e Starnutaria; manda in confusione, ma allo stesso tempo provoca eccitazione febbrile.»
La ragazzina sbuffò contrariata, ricominciando a sfogliare il libro.
«Ne troverò una che non conosci? Questa il professor Lumacorno non ce l'ha neppure fatta studiare, ha detto che la faremo al secondo anno...»
«Come se anche tu non sapessi il libro a memoria, Lily.»
La ragazzina tirò fuori la lingua e fece una smorfia all'amico.
«Non so il libro a memoria, mi piacciono solo le pozioni.»
«Anche a me» rispose lui abbassando lo sguardo sull'erba e cominciando a strapparla filo a filo.
Lily continuò a girare le pagine ingiallite del libro, poi si fermò trionfante.
«Sev, con questa ti frego! Pozione Balbettante.»
Lui smise di strappare l'erba e alzò lo sguardo sulla faccia dell'amica, che sorrideva con aria di sfida.
Tirò un sospiro teatrale: «Non c'è nemmeno gusto... Frullobulbo, Geranio Zannuto e Menta Piperita; fa ba... ba... bal... bettare chi la be... ve.»
«Ah-ha, molto simpatico. D'accordo, adesso vediamo se sai così bene anche le Rivolte dei Folletti...»
«No, davanti a Storia della Magia mi arrendo. Spiegamela tu.»

Mentre mandavano a memoria date e impossibili nomi di folletti, Severus continuò incessantemente a diserbare il prato intorno a sé e ridurre in microscopici pezzettini ogni filo che strappava.
Alla fine colse un margherita e, elencando i nomi dei Gloriosi Maghi che erano riusciti a stringere una breve pace tra la seconda e la terza Rivolta, cominciò a staccarle un petalo dietro l'altro.
Ad un tratto, vide gli appunti di Storia della Magia di Lily venire appoggiati per terra, e le mani della bambina entrarono nel suo campo visivo.
Lei gli prese delicatamente di mano la margherita, sottraendola alle sue torture.
«Perché sei così nervoso?»
«Non sono nervoso.»
«In questo prato, una capra avrebbe seminato meno panico di te, Sev» cercò di scherzare Lily. «Cosa ti ha fatto di male questo fiore?»
«È sbocciato.»
Lily rimase in silenzio inarcando le sopracciglia, ma Severus immaginò soltanto la sua aria perplessa, perché non alzò lo sguardo e continuò a fissare per terra.
«Sai, quando sbocciano i fiori, vuol dire che è primavera. E se è primavera, vuol dire che la scuola è quasi finita, e dovremo tornare a casa. Non voglio stare di nuovo là.»
Tra i due calò il silenzio.
«Sai, potrai anche strappare tutti i fiori di Hogwarts -e prendere una 'T' al G.U.F.O. di Erbologia come vendetta del professor Weed-, ma non fermerai la primavera.»
Lily si capovolse a testa in giù per guardare l'amico negli occhi.
«E poi, ci torneremo insieme, no?»
«Sì...» sospirò lui, poi abbozzò un mezzo sorriso nel vederla sottosopra.

***

Severus Piton ripassava gli infiniti appunti di Storia della Magia, sudando nel caldo soffocante di giugno.
Era seduto solo in riva al lago, volutamente nascosto tra i cespugli per non essere visto da nessuno, e cercava di mandare a memoria i maledetti nomi degli Stregoni del Grande Raduno, durato talmente a lungo che la metà dei Venerandi Saggi che vi avevano preso parte avevano tirato le cuoia prima di vederne la fine.
Ad un tratto, sentì dei passi avvicinarsi accompagnati da due inconfondibili voci, e perse inevitabilmente la concentrazione.
Ciao, Lily.
«Ci mettiamo qui?»
«Basta che non ci siano bambinetti del primo anno a rompere le scatole, dobbiamo studiare.»
«Mi pare che non ci sia nessuno.»
«Ottimo. Vieni qua...»
Severus sentì il suono delle divise che sfregavano l'una contro l'altra, dei respiri che si intrecciavano sospirando.
Sentì una fitta al cuore, chiuse gli occhi.
Non farlo, Lily. Fermati.
«James, non hai appena detto che volevi studiare?»
«Mmm...»
«E dài, guarda che non ti lascio mica copiare a Pozioni.»
«Ma so tutto.»
«Sì, certo. Pozione Restringente?»
Troppo facile, Lily. Grinzafico, radici di margherita, bruco, milza di gatto e succo di sanguisuga.
Riduce le dimensioni di oggetti e animali.
«Ma quanto sei cattiva. Questa l'abbiamo fatta l'anno scorso, se ce la chiedono...»
Si sentì un rumore attutito, seguito da uno sbuffo di Lily.
«Studia, James Potter! I M.A.G.O. sono tra una settimana.»
Lo so, Lily.
«Lo so, Lily.»
E dopo non ti vedrò mai più. Vorrei fermare il tempo.
«Lily?»
«Dimmi.»
«Vorresti diventare mia moglie, quando usciremo da qui?»
Il tono di Potter era profondo e allo stesso tempo tremante, Lily non respirava più.
Di' di no, ti prego, Lily.
«Sì, James.»

Dietro al cespuglio, Severus affondò le dita nella terra, stringendo i denti.
Strappò l'erba al ritmo dei baci di James e Lily, tolse i petali ad ogni fiore immaginando che fossero i capelli di Potter.
E, fra le lacrime, gli parve di vedere una piccola Lily sottosopra, che gli diceva che avrebbe potuto strappare tutti i fiori, ma non avrebbe mai fermato la primavera.



________

Buonasera, miei prodi :)
Vorrei far notare che oggi non solo è il 13 (visto che sto postando), ma è venerdì 13. TIÈ!!!
E io sono malata! *sigh* e *sob*
E siccome quando non sto bene vado in depressione e divento mooooolto pessimista, sappiate che una vostra recensione mi tirerebbe su il morale... e poi potrebbe essere l'ultima mia gioia proma di morire, sappiatelo ù.ù
Non me la vorrete mica negare, no??
Un bacio, Bea :3

PS.   Lunga vita alle Lily/Sev! <3
        ...E a Remus Lupin!! <3
                "ma che caxxo c'entra???"

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Capitolo 8
*** [Incontri] - Per favore? ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Incontri.




Niente di impegnativo, per maggio. Mi sono buttata di nuovo su un pair già trattato (), e preso spunto da una frase contenuta nella Pietra Filosofale, a una pagina che adesso non ho voglia di andare a cercare: "Poi c'erano porte che non si aprivano, a meno di non chiederglielo cortesemente o di non fare loro il solletico nel punto giusto, e porte che non erano affatto porte ma facevano finta di esserlo."
Spero di divertirvi almeno un po', per me è stato piacevole scriverla :)
13 maggio: auguri a tutte le mamme!

_______

        -Per favore?-

Ninfadora Tonks non aveva la benché minima idea di dove fosse; o, meglio, sapeva di trovarsi da qualche parte a Hogwarts, come confermato da un'armatura nell'angolo e dal quadro magico di una ballerina che, a giudicare dal modo di muoversi, doveva avere un male terribile ai piedi.
Tuttavia, Ninfadora Tonks aveva un'idea molto precisa del dove si sarebbe dovuta trovare: aula di Storia della Magia, a seguire la prima lezione del professor Rüf con i Grifondoro, e sapeva anche benissimo di essere in terribile ritardo.
La bambina emise un lamento e, con la cartella appesa ad una spalla, continuò sconsolata il proprio vagabondaggio per il castello, ormai rassegnata a saltare la lezione.
Maledicendo le scale traditrici che l'avevano separata dai suoi compagni, facendole perdere completamente quel poco senso di orientamento che aveva, si chinò ad allacciarsi una scarpa mugugnando.
All'improvviso, sentì dei passi trafelati correre verso di lei e, prima che potesse anche solo alzare il viso per vedere chi fosse, venne travolta da una furia coi capelli rossi, che le cadde addosso, mandandola gambe all'aria.
«Ahia!» esclamò, la voce soffocata dal corpo che le era rovinato addosso.
Sentì una mano affondare nella propria pancia e fare leva per alzarsi goffamente, facendole desiderare di non aver mangiato nulla a colazione.
«Vuoi fare qualcos'altro per uccidermi? Non so, una mazzata in testa?» domandò rimanendo stesa sul freddo pavimento di marmo, osservando il bambino paffuto e dai capelli rosso fuoco che le stava davanti.
«Scusami» disse l'altro frettolosamente, cercando qualcosa nel corridoio e senza nemmeno guardarla.
Ninfadora sentì salire la rabbia: anche lei provocava spesso incidenti d'ogni sorta, ma poi si sperticava in scuse, cercando di rimediare al danno.
«Hai visto la mia pergamena, per caso? Mi deve essere caduta...» domandò il bambino, piazzandosi proprio sopra di lei e mostrandole un naso pieno di lentiggini e occhi azzurrissimi.
Senza riuscire a trattenersi, Ninfadora accorciò i capelli e li fece diventare anche troppo fiammanti, poi, imitando la voce del bambino, continuò la frase: «...mentre travolgevo una povera innocente.»
La faccia del bambino si illuminò.
«Come hai fatto?»
Ninfadora bofonchiò qualcosa, irritata.
«Sai dov'è l'aula di Storia della Magia?» aggiunse poi, cercando di trarre qualcosa di buono da quell'incontro -scontro!- disastroso.
«La sto cercando anch'io! Sul foglio che ho perso c'è la mappa da seguire, me l'ha fatta mio fratello, che è al terzo anno...»
Ninfadora balzò in piedi e si mise a cercare col ragazzino, vincendo il proprio astio.
«Ma dove diavolo è andata?» piagnucolò ad un tratto il rosso, smettendo di frugare ovunque.
«Chissà... In questo castello sparisce tutto. Anche le aule, a quanto sembra.»
«Secondo te è tanto grave saltare una lezione proprio il primo giorno di scuola?»
«Uhm. Non saprei... tuo fratello non ti ha mai detto niente sul professore?»
«Sì, dice che non bada mai a cosa gli succede intorno. È un fantasma.»
«Allora forse neanche si accorgerà della nostra assenza.»
«Speriamo.»
Il ragazzino aveva finalmente smesso il tono lamentoso.
«Beh, io sono Ninfadora Tonks, comunque.»
«Piacere, Charlie Weasley» disse lui, stringendole la mano. «Scusami se ti ho fatta cadere. E i tuoi capelli sono proprio forti!»

Esattamente cinque anni più tardi, Ninfadora Tonks usciva sbadigliando dalla Sala Grande, con in mano una fetta di torta di mandorle.
Mentre cercava di estrarre dalla borsa il foglio di pergamena con l'orario settimanale che la professoressa McGranitt le aveva appena consegnato, la cinghia le scivolò dalla spalla sbilanciandola. Mugugnando, si cacciò in bocca tutta la torta per avere le mani libere e riafferrò la borsa, poi controllò la prima lezione: Trasfigurazione con i Corvonero.
Contrariata, passò in rassegna tutto l'orario della giornata; ormai quasi disperata, scorse velocemente tutta la settimana e poco mancò che si mettesse ad imprecare di fronte a Gazza, che spazzava il pavimento poco più avanti. Le lezioni con i Grifondoro, quell'anno, erano pochissime: giusto un paio di ore di Erbologia il mercoledì, la Divinazione il venerdì mattina e Cura delle Creature Magiche il giovedì pomeriggio.
Somma sfortuna, lui non faceva nemmeno Divinazione.
Aveva appena ricacciato arrabbiata l'orario nella borsa e ripreso a masticare l'enorme boccone di torta, quando sentì una voce chiamarla dall'ingresso.
«Dora! Aspettami!»
Il cuore le cominciò a battere impazzito, e per poco non si soffocò con la torta.
Cercando di mascherare il fatto di avere la bocca strapiena, si voltò e saluto con la mano Charlie, che le stava venendo incontro.
«Ciao. Hai anche tu un orario terribile quest'anno?»
Dora annuì, fingendo di asciugarsi una lacrima.
«Qual è la prima lezione, oggi?»
Non potendo più fingere di non essere un'ingorda che si era appena mangiata mezza torta di mandorle in un colpo solo, rispose: «Traffigurafione. Scufami, ftafo 'inendo la colaffione.»
«Tranquilla» la rassicurò Charlie sorridendole. «Comunque ti accompagno, devo chiedere alla  McGranitt una cosa.»
«Cofa?»
«Alla prima ora ho Antiche Rune.»
Dora lo guardò con gli occhi sbarrati.
«Fei matto? Ti fei...» finalmente riuscì ad ingoiare il boccone. «Ti sei iscritto ad Antiche Rune?!»
Charlie rise.
«Dubiti forse delle mie capacità?»
Dora gli riservò un'occhiata scettica.
«Va bene, niente Antiche Rune. È questo il punto: la McGranitt deve essersi confusa.»
Nel frattempo, i due erano arrivati all'aula di Trasfigurazione, ma la trovarono vuota.
Alla lavagna, con la scrittura secca e frettolosa della professoressa, c'erano scritte le coordinate della nuova aula.
«Cavolo!» borbottò Dora guardando l'orologio. «Non arriveremo mai in tempo, e io mi beccherò una punizione proprio il primo giorno.»
«Ah, lo dici tu!» rispose Charlie, per poi aggiungere con fare cospiratorio: «Un mio amico l'anno scorso mi ha raccontato di una scorciatoia che ha preso un giorno per sfuggire a Gazza. Arriveremo puntualissimi.»

Ovviamente, dare ascolto a Charlie non si era rivelata per niente una buona idea.
«Maledizione. Hai il senso dell'orientamento di una mozzarella, Charlie Weasley!» sbraitava dieci minuti dopo Dora, ormai irrecuperabilmente in ritardo per la lezione.
«Ma abbiamo fatto tutto giusto, ne sono sicuro. Qui dovrebbe esserci la porta per il quarto piano, dietro un qualche arazzo o quadro.»
Finalmente, dopo l'ennesimo polverone provocato da tutto quello scostare di tappeti, Charlie trovò la porta.
«Eccola! Ricordati, per la prossima volta, che sta dietro al quadro con la donna baffuta vestita di verde pisello.»
«Non penso che lo userò mai più, sai?» esclamò Dora che, sollevata, afferrò per un braccio Charlie e si buttò a capofitto oltre la porta.
Immediatamente, si accorse però che c'era stato un errore: la stanzetta in cui si trovarono, alla poca luce che filtrava attraverso la porta, apparve subito come un minuscolo ripostiglio delle scope.
«Alt! Fai dietrofront, Charlie!»
Per un attimo i due si trovarono nel buio completo, perché la porta si era richiusa sotto il peso del quadro.
Dora sentì Charlie armeggiare intorno alla maniglia, ma la porta non si aprì.
«Beh?»
«Sembra bloccata.»
Si udì un tonfo, ma la porta non cedette nemmeno sotto le spallate.
«Aspetta, fammi vedere un attimo.»
«Vedere
«Ah-ha, spiritoso. Fammi passare.»
Con grande sforzo, i due si scambiarono di posto nel poco spazio disponibile nel ripostiglio.
«Alohomora» tentò Dora un paio di volte, picchiettando con la bacchetta sulla serratura.
«Non si apre nemmeno con la magia?»
«No. Siamo di fronte ad una porta caparbia. Dici che sarò giustificata con la McGranitt? Un cosa del tipo: 'Prof, la porta non mi ha lasciato passare!'»
«Ci sarà un modo per uscire!»
Ma prima che Dora potesse rispondere, Charlie urtò le scope e un manico cadde dritto dritto in testa a Dora, che urlò più per lo spavento che per il dolore.
«Oh, diavolo! Scusa, ti sei fatta male?»
«Tu che dici?» soffiò Dora, per poi puntargli un dito al petto. «Maledetto il giorno in cui ti ho incontrato, Charlie Weasley. Mi fai sempre combinare guai, ma tu ne esci sempre candido e sei un Prefetto, io invece finisco sempre in punizione!»
«Scusami, Dora, sul serio! Non volevo.» ripeté lui, chiudendole a pugno la mano che ancora lo puntava la petto, e la ragazza ammutolì immediatamente.
«Cavolo, Dora, è il tuo cuore che batte così?!» esclamò dopo un secondo Charlie, afferrandole il polso.
«Prima mi hai spaventata.» mentì lei, liberandosi dalla sua presa.
Purtroppo, essendo chiusa in un minuscolo ripostiglio, non poté scappare e fu costretta a rimanere lì dove si trovava, col cuore impazzito ben udibile da Charlie, che si trovava a due centimentri da lei.
Piano, Charlie le riprese la mano, questa volta con dolcezza.
Dora cominciò a blaterare agitata: «Sai, forse se chiediamo alla porta con gentilezza di aprirsi lo farà.»
«Può darsi» rise Charlie, accondiscendente. Nel frattempo, intrecciò le sue dita a quelle di Dora, e alzò una mano per accarezzarle il viso. «Perché non ci pro...?»
Ma Charlie Weasley non  finì mai la frase, perché la ragazza, senza nessun preavviso, si era alzata in punta dei piedi e, buttandoglisi al collo, l'aveva baciato.
«Rettifico. Benedetto il giorno in cui ti ho incontrato, Charlie Weasley.»

Dopo qualche minuto, quando l'aria cominciò a languire dentro lo sgabuzzino -almeno era questa la scusa che i due fornivano per il fiato che mancava-, Charlie e Dora cominciarono a preoccuparsi attivamente per riuscire ad uscire di lì.
Provarono in ogni modo per un'ora e urlarono senza sosta fino a sgolarsi, ma la porta né cedette ai loro assalti, né venne caritatevolmente aperta da qualcuno.
Alla fine, Dora era stanchissima.
«Porta, ti prego, apriti!» sbuffò, poggiando la fronte al legno.
Inaspettatamente, con un click! la porta si aprì.
Charlie boccheggiò.
«Brutta schifosa di una...»
Ma Dora lo interruppe, strepitando: «Per carità, che se ci sente ci richiude qua dentro fino a quando non potremo uscire senza usare la porta!»
Quando i due arrivarono nell'aula di Trasfigurazione, Dora si tenva la milza e boccheggiava, mentre Charlie era fresco come una rosa.
«Signorina Tonks! Doveva essere qui un'ora e mezza fa.»
Dora non aveva mai visto le labbra della McGranitt più sottili.
«Mi... scu... si... profe... ssore... ssa...» riuscì a bisbigliare affannata, poi si sedette in primo banco, da sola.
«E lei, Weasley?» il tono della professoressa continuava a rimanere secco anche con Charlie, e Dora esultò un minimo dietro le sue spalle.
«Vede, professoressa, penso che ci sia stato un errore...» rispose il ragazzo, sorridendo.
«Faccia vedere» disse brusca la professoressa, ma il tono irato era già scomparso. «Ha ragione, signor Weasley. Devo aver sbagliato...» picchiettò con la bacchetta sulla pergamena. «Eccole il suo orario. Dica al professor Lumacorno che è giustificato, se ha qualcosa da ridire che chieda a me stasera a cena.»
«Grazie professoressa, buona giornata.»
La McGranitt fece un cenno d'assenso, poi tornò a girare per i banchi sgridando una Corvonero perché la sua pianta di fagioli ancora non si era trasformata in un cappello.
Ancora rossa in faccia per la corsa, Dora alzò gli occhi e salutò Charlie con una linguaccia: l'aveva scampata un'altra volta!
Il ragazzo le fece un occhiolino e si chiuse la porta alle spalle.
Se possibile, Dora arrossì ancora di più.

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Capitolo 9
*** [Compleanno] - Buoni propositi ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Compleanno.




        -Buoni propositi-

Tobias Piton si svegliò che il sole stava sorgendo.
Si liberò dolcemente dall'abbraccio della sorellina, che si girò verso il muro scarabocchiato portandosi istintivamente il pollice alla bocca, e si sedette sul bordo del letto che condivideva con lei, cercando i pantaloni e le scarpe sotto il letto.
Facendo attenzione a non svegliare il fratello più grande all'altro lato della stanzetta, sgusciò oltre la porta come un topolino, e con la stessa leggerezza oltrepassò la porta della cucina, dove scorse la madre che impastava il pane sul tavolo di marmo ereditato dalla nonna Elizabeth, pace all'anima sua, che era l'unico pezzo di mobilio decente di tutta la casa.
Una volta uscito di casa, si infilò i pantaloni lisi e le scarpe tagliate sul davanti, per poi correre nell'aia fino al pollaio.
Entrò sbattendo la porta e gettando nel panico tutte le galline.
«Sveglia! È ora di colazione!» strepitò Tobias, in una nuvola di piume e polvere, provocando un chiocciare ancora più impaurito da parte delle galline.
Tobias si mise a spargere il mangime nei secchi e le galline si radunarono beccandosi fra di loro per guadagnarsi un buon posto attorno al mangiare.
Canticchiando, Tobias afferrò un cesto e cominciò a raccogliere le uova fresche, poi ingozzò i pulcini in una gabbietta più piccola, spazzò il pollaio e pure l'aia.
Infine, tornò in casa, sudato e felice, facendo irruzione proprio nel momento in cui la madre infornava il pane.
«Buongiorno, mamma.»
«Ciao Tobias.»
«Le ho raccolto le uova.»
«Bravo, piccolo» lo elogiò la madre. «Siedi e riposati, fino a quando non esce il pane.»
«Volevo fare la crema per il papà. Posso avere un po' di latte e farina?»
«Sì, vai pure a prenderli.»
Tobias non se lo fece ripetere due volte e schizzò nella dispensa, poi si mise ad armeggiare con uova e scodelle, sporcando una quantità spropositata di mestoli e macchiandosi la camicia.
Alla fine, ottenne una misera tazzina di crema, montata male e coi grumi.
Con più farina fra i capelli che nell'impasto, si sedette tutto orgoglioso, aspettando che il padre si svegliasse.
Non dovette aspettare molto: con passo pesante e assonnato, gli scarponi slacciati e la camicia aperta, il padre comparve in cucina esattamente mentre la madre sfornava il pane, come ogni mattina.
Tobias gli corse incontro e gli si attaccò alle gambe, sorridendo.
«Papà, papà! Chiuda gli occhi!»
Il padre lo prese in braccio e chiuse gli occhi, divertito, mentre il piccolo Tobias lo abbracciava stretto e lo riempiva di baci.
«Buon compleanno, papà! Le ho pulito tutto il pollaio e preparato la crema per colazione.»
Sotto l'occhio attento di Tobias, il padre si sedette a tavola e mangiò tutta la crema, pulendo la tazzina col pane. Era la crema più cattiva che avesse mai mangiato, ma ringraziò il figlio e prima di uscire per andare nei campi gli diede un bacio in più.
Tobias lo guardò sparire oltre l'aia, innamorato.
Come tutte le mattine, si disse che un giorno sarebbe diventato un padre buono come lui.

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Capitolo 10
*** [Questo caldo mi sta sciogliendo il cervello!] - Acqua fresca ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Questo caldo mi sta sciogliendo il cervello!


        -Acqua fresca-

Una vecchia strega era entrata barcollando nel negozio, in quel giorno di metà aprile.
Era sudaticcia e, giudicando dalla faccia congestionata e rossa come un peperone, non si sarebbe retta in piedi ancora per molto.
Una giovane signorina in divisa accorse personalmente, facendo arrivare una sedia al momento giusto perché il grasso fondoschiena della signora non si abbattesse al suolo.
«La prego, un bicchier d'acqua!» aveva ansimato la signora, mentre afferrava un volantino da un banchetto e cominciava a sventolarsi energicamente.
La commessa aveva sbirciato fuori dalla finestra di sottecchi e, vedendo il cielo grigio e compatto, aveva represso un brivido, stringendosi nel maglione: eppure la vecchia strega indossava solamente uno scamiciato, e sembrava morire dal caldo.
«Glielo porto subito, signora» la rassicurò con gentilezza. Poi aggiunse, un po' meno professionalmente: «Intanto respiri profondamente e si calmi, sì?».
Non aveva proprio voglia di dover rianimarla, così sudata com'era.

Verity fece capolino nel magazzino con aria allarmata.
«Signori Weasley? C'è una signora che...» incrociò gli occhi e roteò le mani sopra la testa, con un gesto abbastanza eloquente.
Fred e George balzarono giù dal tavolo dei conti, dove in realtà stavano disputando una partita a Gobbiglie. Era un giorno un po' fiacco, al negozio.
Quando videro la vecchia strega, però, assunsero la stessa smorfia, un misto di ilarità e curiosità.
«In cosa possiamo esserle utili, signora?» domandò Fred, mentre George circumnavigava la grassa strega fino a mettersi alle sue spalle e si tappava il naso con una smorfia di disgusto esagerata.
La puzza di sudore stava cominciando ad appestare il negozio.
La strega ansimava ancora, quando parlò.
«Oh, sono venuta qui per... per...» tentennò un secondo, aggrottando le sopracciglia. «Oh, è questo caldo che mi sta sciogliendo il cervello! Non mi ricordo più perché sono qui.» si lamentò, detergendosi la fronte con la mano grassoccia.
Verity si morse le labbra, schifata.
George sussurrò, scrutando fuori dalla finestra: «effettivamente c'è una proibitiva temperatura di 12°, fuori. Manda proprio in pappa il cervello.»
Ma né Verity né Fred risero, quando si accorsero che dalle orecchie della signora usciva del fumo.
George, ancora alle spalle della cliente, passò una mano in mezzo al vapore, ma la ritirò immediatamente, scuotendola come se si fosse ustionato.
«Brucia!» mimò con le labbra, sbarrando gli occhi.
Verity sembrò cambiare stato d'animo e passò dallo schifato al preoccupato. Si azzardò a chiedere: «Signora, sicura che vada tutto bene?»
La vecchia strega le sorrise rassicurante.
«Sì cara, è una Maledizione... nulla di preoccupante. Ma al San Mungo non sanno ancora come curarmi, e io dovevo veramente uscire per comprare un regalo alla mia nipotina...» disse con noncuranza. Poi batté la mano sudaticcia sul tavolino, con un attutito splaf.
«Ecco cosa dovevo comprare!» strillò eccitata. «Un regalo per il compleanno di mia nipote.»

Alla fine, la signora se ne andò allegramente con una Puffola Pigmea in braccio.
Verity si mise a lanciare incantesimi ovunque, alternando ai “Gratta e netta!” borbottii schifati.
«Pensavo che a momenti sarebbe entrata in autocombustione.» commentò Fred, osservando la signora che si allontanava col suo passo barcollante.
«Spero solo che la povera Puffola non si arrostisca strada facendo.» replicò George, divertito.
«Sai, George, la gentile signora mi ha appena dato un'idea per un nuovo scherzo... contro il troppo caldo che scioglie il cervello
George incontrò lo sguardo del gemello, che sogghignava furbescamente.
«Oh sì, mi piace!»



Esattamente un mese dopo, George stava aprendo nuovamente la serranda dei Tiri Vispi Weasley, che si alzò con un cigolio lugubre.
Non aveva mai notato quel rumore infernale, da quando avevano aperto l'attività.
Per la prima volta, si trovò da solo nel negozio e si guardò in giro, perso.
Si strofinò il naso, si schiarì la gola.
Un cattivissimo odore lo colpì, e si chiese da dove potesse provenire... ma il pensiero scivolò via immediatamente. Come al solito.
Accese la luce con un colpo di bacchetta, si avvicinò alla gabbia delle Puffole Pigmee.
Erano morte.
Constatò il fatto con freddezza, osservandole con la testa leggermente inclinata: dovevano essere morte di fame, nessuno entrava nel negozio da quindici giorni.
Provò un piccolo moto di compassione, ma anche quello svanì presto, perdendosi nell'immensità del dolore e della rabbia.
Si allontanò dalle gabbie, avvicinandosi al bancone.
Di nuovo di guardò in giro perso, e di nuovo si strofinò il naso e si schiarì la gola.
Poi scoppiò in pianto.

Ancora asciugandosi gli occhi con la manica del giubbotto, George entrò nel magazzino e si sedette al tavolo dei conti.
Scartabellò un po' tra le scartoffie, guardando i fogli con aria assente.
Era perfettamente cosciente solamente del vuoto all'altro lato del tavolo.
Aprì un cassetto e ripose i documenti con cura quasi maniacale.
Pensò che non era mai stato ordinato in vita sua, mai.
    Non vuoi diventare come Percy, vero, George?
Rivolse un sorriso tremulo al vuoto.
    No, non voglio, Fred.
Un'altra lacrima scese lungo la guancia, e cadde sul bancone. Vi intinse il dito e cominciò a disegnare cerchietti salati sul legno.
Vide qualcosa di gommoso e azzurro, proprio accanto alla propria mano.
Lo raccolse e lo scrutò torvamente: non riusciva a ricordare che dolcetto fosse.
Cercò di chiamare alla memoria gli ultimi giorni al negozio.
Su cosa avevano lavorato?
Non gli veniva in mente, e fu preso dal panico. Per quanto si sforzasse di ricordare, l'immagine degli occhi senza vita di Fred e del suo corpo che veniva deposto in una bara candida gli riempivano la mente, bloccandolo.
Non ricordava più niente della sua vita prima della battaglia.
Non ricordava il viso di Fred vivo e il bene che gli aveva voluto.
Angosciato, ficcò in bocca la caramella.
Sentì immediatamente la testa leggerissima, poi il peso tornò normale, ma subito dopo fu attaccato da una dolorosa fitta gelata, che gli penetrò nel cervello.
Cadde dallo sgabello afferrandosi la testa, urlando di dolore. Credette di morire.
Poi, a poco a poco, il male scemò, lasciandolo un poco intorpidito.
Sentiva un piacevole fresco alla testa, ora. Provò a muoversi, cauto per la paura che il dolore tornasse, ma non accadde.
Al contrario, udì un dolce sciabordio, e rimase interdetto. Scosse ancora la testa, e all'improvviso capì.
Ricordò la strega che, maledetta, aveva sempre caldo, e l'idea di Fred.
Aveva la testa piena di acqua fresca.
Sorrise, incerto.
Come aveva potuto dimenticare cosa fossero quelle caramelle?
Insieme a quel ricordo, erano tornati anche tutti gli altri. Come aveva potuto dimenticare Fred?
Lui era di nuovo lì, vivo nei suoi pensieri.
Doveva perfezionare le caramelle, affinché non congelassero troppo la testa appena ingerite.
Sorrise con più convinzione, questa volta, e aspettò paziente: dopo una mezz'ora, l'acqua cominciò a sgorgargli dalle orecchie, provocandogli un tremendo solletico.
George si trovò accucciato a terra, squassato dalle risate e dai singhiozzi.
Alla fine, sentì la testa svuotata e si trovò raggomitolato in una piccola pozza d'acqua dolce.
Quella salata, invece, ancora non s'arrestava e gli rigava le guance.

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Capitolo 11
*** [Citazione] - Confusione ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: “Ho sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi,
perché mi paiono più svelte a capire il mondo.”
-Chabon-



Salve gente! Ecco, io volevo fare un'introduzione veloce a questa storia. Devo chiedervi scusa, perché vi accingete a leggere un ammasso di parole per lo più senza senso, e soprattutto lunghissimo. Guardate, non chiedetemi cosa diavolo io abbia scritto, fatto sta che l'ho fatto. E soprattutto ho avuto il coraggio di pubblicare XD ormai però è il tredici, e comunque non mi sarebbe mai venuto nulla di meglio, perché la frase di questo mese mi ha mandato nel panico più totale.
Quindi auguri, buona lettura. Vi lascio il mio specchietto orientativo per scrivere la seguente storia:


Anno nascita.......Anno scol...........................Nome............................Casa
......1951*...................7.................................Rita Skeeter...................Corvonero*
......1951.....................7.................................Bellatrix Black...............Serpeverde
......1952*...................6.................................Ted Tonks.....................Tassorosso*
......1953.....................5.................................Andromeda Black...........Serpeverde
......1954.....................4.................................Lucius Malfoy................Serpeverde
......1955.....................3.................................Narcissa Black................Serpeverde
......1956*...................2.................................Bertha Jorkins.................Tassorosso*


(l'asterisco indica mancanza di fonti attendibili o puro lavoro della mia fantasia; ciò vale solo quando le fonti mancano, e comunque ho sempre cercato di rispettare i tempi.)
_______




           -Confusione-

«Hei, Bertha. Vieni qui! Ho grandi notizie» esclamò una ragazza con una gran nuvola di riccioli biondi in testa, afferrando una bambina diretta al tavolo dei Tassorosso.
La ragazzina atterrò di schianto sulla panca e si ritrovò in mano un panino al burro di noccioline, poi la bionda cominciò a parlarle a macchinetta, senza mai tirare il fiato.
«La McGranitt mi ha appena confermato il permesso del giornalino scolastico. Non è fantastico? Certo per il momento ci sono solo io nella redazione, ma tu hai occhio critico, ragazza. Vuoi farmi da consulente? Dove per consulente intendo informatrice, capiscimi: tu hai le mani in pasta. Ogni notizia, ogni chicca di gossip, tu dovrai venirla a riferire a me, e poi tener chiusa la bocca. Al resto ci penserò io. Fornitura di cioccorane per tutto l'anno scolastico in cambio, ci stai?»
«Buono questo burro di noccioline.»
«Bertha! Concentrati! È l'occasione dell'anno, vuoi diventare famosa?» le urlò la bionda a due centimetri dall'orecchio, gesticolando con le mani. Poi concluse, strizzandole l'occhio accattivante: «'JORKINS E SKEETER, NIENTE SFUGGE LORO.' Ti immagini i titoli? Del mio giornale, s'intende.»
«Uhm. Non sembra male. Ci sto.»
Rita saltò in aria, facendo gonfiare la nuvola bionda che aveva in testa e battendo le mani deliziata.
«Fantastico, fantastico. Cominciamo subito! Cos'hai di piccante da riferirmi?»
Bertha mangiò l'ultimo boccone di panino e si leccò le dita.
«Beh, che il burro di noccioline dei Corvonero è più buono di quello dei Tassorosso, questo è sicuro. Per Grifondoro e Serpe...»
Rita si batté teatralmente la mano in fronte e si lasciò cadere di nuovo sulla panca.
«Bertha, tesoro mio, alla gente non gliene frega niente di queste cose, al massimo riderebbero di noi. Dobbiamo metter su una storia di quelle serie. Tu che sei sempre così informata...»
«C'è quella storia vecchia, di Isaac e Gazza...»
«Passata. Non c'è niente di più nuovo? Se troviamo qualcosa andiamo in stampa nel giro di due giorni.»
«Starò con gli occhi aperti, d'accordo?»
«Brava. Mi raccomando, conto su di te.»

Nel frattempo, dall'altra parte della Sala Grande, Andromeda Black cercava di finire il suo saggio di Difesa contro le Arti Oscure in tempo, incastrata tra la spremuta d'arancia di sua sorella e la saliera.
«Bella, ma secondo te, se scrivo...»
«Meda, taci. Ho il mal di testa e non me ne frega niente di aiutarti coi compiti.»
«Cosa ti serve, Meda?»
«Sei troppo piccola, Cissy. Non lo sai.»
Andromeda alzò gli occhi sconsolata e vide che Ted la fissava, seduto al tavolo dei Tassorosso.
Gli sorrise automaticamente e quello girò gli occhi in alto, mandando un bacio al nulla. Il sorriso della ragazza si fece ancora più ampio, scioccamente.
«A chi diavolo sorridi, Meda?» abbaiò Bellatrix, guardandola male.
«A nessuno. Mi è appena venuto in mente cosa scrivere.»

«Hei, Tonks, c'è posto qui vicino a te?»
Ted si voltò di colpo, cadendo dalle nuvole, e riconobbe una seccante ragazzina del secondo anno, pettegola e appiccicosa.
«Hei, ciao...?» esitò.
«Bertha Jorkins.»
«Bertha, giusto. Mi stavo alzando, guarda, ti lascio il posto» le rispose sorridendo e si affrettò ad alzarsi, ma urtò qualcuno. Si voltò di scatto per scusarsi, riuscendo solo a peggiorare la situazione, poiché rifilò anche una gomitata alla malcapitata testa biondo platino che ormai giaceva sedere a terra.
Mortificato, tese la mano per aiutare la vittima della sua goffaggine a rialzarsi.
«Scusami, non l'ho fatto apposta.»
Il ragazzo si alzò sdegnosamente, rifiutando l'aiuto, ripulendosi il fondo della tunica.
Ted gli posò comunque una mano sulla spalla amichevolmente.
«Tutto bene?»
«Togli le tue luride mani da me, Sanguesporco!» gli urlò il ragazzo, scostandosi e tirando fuori dalla tasca la bacchetta.
Da dietro le spalle di Ted, si sentì partire una maledizione che, pur elementare, riuscì a cogliere l'avversario di Ted di sorpresa.
Immediatamente, si materializzò lì di fianco un insegnante.
«Che succede, qui?»
Testa-biondo-platino, ormai imbrattato del sangue che gli colava dal naso, urlò: «Mi ha attaccato!»
Ted protestò: «Non è vero, io l'ho solamente urtato, tutto il resto l'ha fatto da solo!»
Il professore, seccato, esclamò: «Malfoy, sono stanco dei tuo soprusi. Tonks, hai attaccato uno studente di due anni più piccolo di te, non me lo aspettavo. In punizione entrambi, Tonks a pulire l'argenteria, Malfoy oliare tutte le porte del terzo e quarto piano. Dalle otto a mezzanotte, presentatevi nell'ufficio di Gazza.»
Lucius Malfoy se ne andò biascicando qualcosa e Ted si voltò sospirando, mortificato. Bertha Jorkins stava ancora lì ferma impalata, bacchetta in mano.

Bertha sbarrò gli occhi e nascose la bacchetta.
«Scusami, Ted, io volevo solo aiutarti!» lo implorò.
Ted alzò le spalle con aria condiscendente e si allontanò, lanciando una penetrante occhiata al tavolo dei Serpeverde.
Bertha guardò nella stessa direzione, aspettandosi di trovare come oggetto dello sguardo Malfoy, invece vide una delle tre sorelle Black arrotolare di colpo una pergamena e allontanarsi dal tavolo.
Incuriosita, scivolò fuori dalla Sala Grande, seguendola.

Andromeda oltrepassò il portone della Sala Grande a passo svelto e testa alta, infilando nella borsa dei libri il suo compito di Difesa contro le Arti Oscure. Vide Ted infilare le scale per il piano superiore e, non appena scomparve, lo imitò lanciandosi occhiate nervose alle spalle. Nessuno la seguiva.
Non appena svoltò l'angolo, sentì la mano di Ted nella sua.
Lui la attirò a sé e la baciò velocemente, ma si vedeva chiaramente che era arrabbiato per qualcosa.
Andromeda si morse il labbro inferiore. Già inquieta perché chiunque fosse passato avrebbe potuto vederli, s'innervosì ancora di più: era raro che Ted si arrabbiasse.
«Sputa il rospo» lo incalzò, stringendogli la mano.
«Non serve che tu oggi finga di sentirti male. È saltato tutto.»
Andromeda si rabbuiò. Aveva deciso di simulare un lieve malore, in modo da avere una scusa per non andare ad Hogsmeade nel fine settimana e poter passare un pomeriggio con Ted avendo mezza scuola fuori dai piedi, ma evidentemente qualcuno non la pensava come loro.
«Cos'è successo?»
«Il professor Lynwood stasera mi ha messo in punizione e dovrò pulire l'argenteria fino a tardi, oggi pomeriggio ho promesso alla professoressa Sefton che l'avrei aiutata a rinvasare le Mandragole e quindi non riuscirò mai a finire i compiti della McGranitt in tempo. Cinque rotoli di pergamena! E ho solo mezz'ora tra le Mandragole e la punizione.»
«Quindi?»
«...la professoressa McGranitt è già abbastanza arrabbiata con me per quella storia del leone... ricordi?»
Andromeda non riuscì a trattenere una risatina e Ted la guardò storto, reprimendo un sorriso. Continuò, un po' meno arrabbiato ma sconsolato: «mi ha promesso che se non avessi rigato dritto avrei passato il primo fine settimana a Hogsmeade chiuso nel suo ufficio a catalogare non so cosa.»
Andromeda sbuffò, dimentica del momento d'ilarità di poco prima.
«Che schifo. Ted, per Merlino, dovevi proprio cacciarti nei guai?» gli domandò autorevole, fulminandolo con gli occhi. «Sono due mesi che aspettiamo questo fine settimana!»
«Lo so.»
La ragazza borbottò qualcosa sulla stupidità del fidanzato e girò i tacchi per andarsene, poi cambiò idea e si rivolse di nuovo a Ted.
«Facciamo così, porta pergamena e inchiostro durante la punizione. Io ti raggiungo non appena tutti vanno a letto e lucido l'argenteria, tu fai il tema e non prendi la seconda punizione nel giro di ventiquattr'ore. Va bene?»
«Ma veramente...»
«Ted. Tonks. Va bene?» lo fulminò lei, sillabando ogni parola.
«Va benissimo, Meda. Grazie»
«Mmh, risposta più ragionevole.»

Bertha corse giù dalle scale in volata, cercando di non fare rumore. Riuscì a fermare Rita giusto in tempo, mentre usciva dalla Sala Grande.
«Ho grandi novità!» ansimò, e le raccontò tutto ciò che aveva origliato per filo e per segno. Gli occhi della bionda si illuminarono, e alla fine schioccò le dita entusiasta.
«Magnifico, magnifico! Dobbiamo solo buttare un po' di carne al fuoco, Bertha, e faremo l'articolo del secolo. Ora ti dico cosa fare.»

Quando Bellatrix Black uscì dalla Sala Grande, si vide venire giusto incontro una bambinetta con le trecce nere. Alzò il mento e la fulminò con lo sguardo, facendole capire che doveva lasciarle il passo, ma quella le si fermò proprio davanti.
«Levati. Devo passare.»
«Ciao, sono Bertha.»
Bellatrix la incenerì, ma la bambinetta non si mosse. O era molto stupida, o non conosceva la reputazione di Bellatrix.
«Ti ho detto di levarti.»
«Hai sentito quello di cui parlano tutti? Riguarda tua sorella.»
«Piccola lurida, come ti permetti di insinuare una qualsiasi...?»
«Dicono che stasera uscirà dal dormitorio per incontrare qualcuno. Mi sembrava giusto dirtelo, no?»
Bellatrix rimase bloccata per un secondo, incredula, e la bambinetta decise saggiamente a togliersi dal suo raggio d'azione, scomparendo nel corridoio.

Quella sera, a cena, regnava il solito caos di posate, ceramiche e bicchieri.
Bertha Jorkins mangiava velocemente la sua zuppa, lanciando di continuo occhiate a Ted e Rita.
Quest'ultima spiluccava dal suo pasticcio di rognone, troppo eccitata per mangiare, e continuava a incitare Bertha affinché mangiasse più in fretta.
Ted Tonks, invece, non mangiava niente, e scriveva qualcosa su una pergamena, lanciando di tanto in tanto occhiate furtive al tavolo dei Serpeverde. Ad un tratto strizzò pure un occhio nel vuoto, sorridendo.
Dall'altra parte della Sala Grande, Lucius Malfoy era indignatissimo per la punizione ricevuta, e si lamentava a gran voce con i suoi amici.
Poco oltre, Bellatrix Black continuava a lanciare occhiate assassine alle due sorelle, entrambe sedute di fronte a lei, chiedendosi chi delle due fosse il disonore della famiglia: Narcissa mangiò in fretta ed annunciò che sarebbe tornata in biblioteca per finire i compiti, messa a disagio dalle occhiate che sua sorella le riservava; Andromeda invece sembrava tranquilla, e riferì che sarebbe tornata in Sala Comune presto, perché il malore che aveva avuto in giornata l'aveva spossata.

Quella sera, le tre sorelle Black rimasero per ultime in Sala Comune. Erano le dieci meno un quarto quando anche l'ultimo serpeverde se ne andò a letto, lasciando Andromeda stesa in poltrona a riposare e sfogliare pigramente gli appunti di Storia della Magia, Narcissa a fare i compiti e Bellatrix a presidiare la porta con occhio di falco, nascosta dietro il libro di pozioni.
«Bella, da quand'è che studi così tanto per Lynwood?» chiese gentilmente Andromeda.
«Ti ricordo che io ho i M.A.G.O., alla fine dell'anno. E tu, da quand'è che studi per Rüf, invece?» la attaccò Bellatrix, sbattendo di colpo il libro sulle ginocchia e scrutando la sorella, coi nervi a fior di pelle.
«Ti ricordo che io ho i G.U.F.O., alla fine dell'anno.» la scimmiottò la sorella, poi le sorrise dolcemente. «Stai calma, Bella, era solo per fare conversazione. Mi sembri un po' nervosa, stasera.»
Bellatrix borbottò qualcosa e si seppellì di nuovo dietro il libro di Pozioni, e Andromeda sospirò.
«Avevo intenzione di aspettarvi per andare a letto, ma vedo che avete proprio intenzione di fare tardi. Vi auguro una buonanotte, Cissy, Bella.»
Andromeda sparì nel dormitorio, e Bellatrix abbassò di nuovo il libro.
«E tu, Cissy, cosa studi invece?» domandò, sospettosa.
«Non per dire, ma anche il terzo anno è duro, mica esistete solo voi. Vai pure a letto, se sei stanca.»
Bellatrix la scrutò, stringendo gli occhi.
«Sì, è quello che farò» rispose, con sguardo affettato. «Non fare tardi.»
«No, Bella. Buonanotte.»
La ragazza scomparve dietro la porta del dormitorio, ma rimase con l'orecchio teso.
Poco dopo, sentì i passi della sorella, e la porta della Sala Comune aprirsi.
Sbalordita, sbirciò oltre la porta del dormitorio e vide sua sorella Narcissa sgattaiolare fuori, nel buio dei sotterranei.

Narcissa camminava a piccoli passi, strisciando una mano lungo la parete di fredda pietra del corridoio per non inciampare. Si chiese come avrebbe fatto a tornare indietro col suo pacco, ma scacciò il pensiero. Salì piano le scale, e tirò un sospiro di sollievo quando la luce della luna che filtrava dalle finestre le rischiarò la via. Era contenta di essere uscita dai sotterranei.
Passò furtivamente oltre il portone della Sala Grande e infilò un corridoio, svelta.
Arrivata in fondo, si voltò verso un quadro, individuò una pera dipinta e le fece il solletico.
Sospirando, entrò nella cucina. Esultò, mormorando un fiero 'Sì!'. Era riuscita a non farsi scoprire da nessuno.
Saltellò verso uno dei quattro tavoli, che solamente quella mattina aveva visto imbanditi d'ogni bendidio. La torta che aveva ordinato ad uno degli elfi troneggiava al centro della cucina, in penombra. Era enorme.
Un po' preoccupata, Narcissa la sollevò e osservò con sollievo che non pesava poi così tanto. Doveva essere tutta panna.
Felice, uscì dalla cucina di spalle, per spingere la porta con la schiena senza rovinare la torta.
Ma, col cuore in gola, si accorse di essere andata a sbattere contro qualcuno che la afferrò per le spalle, tappandole la bocca per non farla urlare.

Quando Andromeda decise di alzarsi dal letto e sbirciare nella Sala Comune, erano le dieci e un quarto. La trovò completamente deserta, anche se il fuoco scoppiettava ancor allegramente nel camino e i compiti di Cissy erano ancora sul tavolo: forse era andata in bagno. Svelta, uscì nel corridoio e si nascose nel buio dei sotterranei, scappando verso la Sala dei Trofei.

«Cissy? Per Merlino! Perché sei venuta fin quaggiù? E cos'hai in mano?»
Narcissa esalò un sospiro di sollievo misto ad un singhiozzo di paura.
«Bella, sei tu! Mi hai fatto fare un infarto.»
«Perché sei scappata così dalla Sala Comune? Dovevi incontrare qualcuno? Dimmi la verità.»
La voce di Bellatrix trasudava sospetto e rabbia.
«No, sono solo venuta a prendere questa torta per Meda. Domani è il suo compleanno e mi sono dimenticata di farle il regalo! Allora ho pensato di farle preparare una torta dagli elfi della cucina...»
«Tutto qui?»
«Tutto qui.»
Bella quasi emise una risatina di sollievo.
«Quella Bitsy domani me la paga. Non si mettono in giro voci sui Black.»
Le due sorelle si avviarono silenziosamente verso i sotterranei, di nuovo al sicuro.
«Bitsy chi?» mormorò Narcissa.
«Una mocciosetta. Ha detto che una delle mie sorelle stanotte si sarebbe dovuta incontrare con qualcuno... Stupida pettegola.»
Stavano per sbucare davanti il portone della Sala Grande, quando sentirono dei passi rimbombare dai sotterranei. Bellatrix bloccò la sorella e le due si zittirono.
Davanti a loro, videro sfilare Andromeda alla luce della luna.

Rita e Bertha erano nascoste nella Stanza dei Trofei a guardare Ted che lucidava l'argenteria da due ore e mezza.
«Bertha, sei sicura di quello che hai sentito? Qui non arriva proprio nessuno.»
«Non lo so, Rita. Mi pare di sì, li ho sentiti parlare, dicevano che lei lo avrebbe aiutato... e discutevano a proposito dei compiti per la McGranitt e della punizione...»
Proprio in quel momento, sentirono dei passi avvicinarsi, ma con loro gran disappunto, comparve Lucius Malfoy, con una grande bottiglia d'olio in mano.
«Come procede con l'azione di lucidatura, Sanguesporco?»
«Molto bene, grazie, Lucius.» sembrava che nella voce di Ted non vi fosse nemmeno troppo risentimento, e Lucius lo notò.
«Devi essere abituato a faticare, Sanguesporco. Ah, già, sei un babbano, di solito tu la magia non la usi...»
L'offesa aleggiò nell'aria, ma Ted non diede segni di voler cogliere l'offesa.
«E tu, ti diverti ad oliare tutti i cardini del castello?» chiese pacifico, come se parlasse del tempo.
Lucius Malfoy strinse le labbra e stava per ribattere qualcosa, quando una terza persona entrò nella Sala dei Trofei, interrompendolo.
Rita e Bertha si agitarono nell'armadio, esultando.
Se Andromeda era lì, presto sarebbe arrivata anche Bellatrix Black.

Narcissa trattenne la sorella, cercando di difendere debolmente Andromeda, che era appena scomparsa verso il secondo piano.
«Bella, stai calma. Magari anche lei ha una buona ragione per trovarsi fuori dal letto, non trovi?»
«Era di lei, era di lei che parlava quella Bessie!»
«Non avevi detto che si chiamava Bitsy?»
«Ma sì, la marmocchia pettegola. Vieni, dobbiamo seguirla. Molla quella torta da qualche parte e non far rumore.»

Con orrore, Ted vide Andromeda apparire sulla porta, sorridente.
Fortunatamente, gli occhi della ragazza guizzarono su Lucius prima che questi si accorgesse di lei e il suo sorriso si trasformò nella sua solita smorfia gelida e altera.
La vide continuare a camminare lentamente, ma senza l'andatura fiera che la caratterizzava: si teneva la pancia, un po' ingobbita.
Spaventato, Ted andò verso Andromeda, con aria interrogativa e con la coppa che stava lucidando ancora stretta fra le mani. Senza potersi trattenere, le chiese: «Tutto bene?»
Immediatamente, si pentì di aver parlato.
Bellatrix Black stava entrando nella Sala come una furia, urlando frasi sconnesse sul disonore e la feccia babbana, seguita a ruota dalla sorellina minore, che sembrava un po' spaventata.
Ted non ebbe nemmeno il tempo di riflettere sul da farsi, foss'anche solo il sentirsi offeso dalle ingiurie della sorella di Andromeda, perché la sua fidanzata cadde in avanti verso di lui, svenuta.
Bellatrix si zittì sbalordita e Narcissa strillò brevemente.
Ted mollò la pesante coppa, che gli cadde su un piede, e prese al volo Narcissa, giusto in tempo perché non crollasse per terra.
Quando la afferò, Narcissa gli soffiò in un orecchio, inudibile: «Reggimi il gioco.»
Lui la strinse, trattenendo le lacrime per il dolore al piede.
Tre paia di occhi lo fissarono, con la Black fra le braccia: Lucius sbalordito, Narcissa preoccupata, Bellatrix furiosa.
E in quel momento di assurda calma, si sentì l'anta di un armadio cigolare, e una voce fastidiosa dire: «Ma tu guarda! Magnifico, magnifico!»

Rita Skeeter scivolò fuori dall'armadio poco elegantemente, ma si ricompose in fretta. Deliziata, tirò fuori dalla tasca una pergamena e una piuma prendiappunti comprata a Hogsmeade.
Cominciò a trillare velocemente: «Mi pare di essere proprio incappata in un dramma familiare. Una Black che scappa dal dormitorio per incontrare il giovanotto qui presente, e le sorelle cercano di contrastarla! Sarà la notizia del giorno, domani. I Black non sono forse la più antica casata purosangue? E voi tre sorelle non siete forse già promesse spose per stringere alleanze tra famiglie?»
Tutti la fissarono sbalorditi, presi alla sprovvista.
Bellatrix Black, alla fine, ringhiò oltraggiata: «Cosa?»
«Oh, ma che delizia, la signorina Black vuole rilasciare un'intervista! Dunque, mi dica, come ha scoperto quest'amore clandestino che ha infiammato il sangue di sua sorella?»
Bellatrix la fulminò con uno dei suoi sguardi peggiori, lanciandole il chiaro messaggio 'autoeliminati-o-ti-elimino-io'.
Rita però non si fece intimidire e dichiarò, entusiasta: «Ho sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi, mi sembrano più svelte a capire il mondo. E lei è di sicuro una di queste, signorina Black! Forza, ha già di sicuro capito tutto, mi dica le sue impressione a caldo di questo scandalo rosa che...»
Ma Rita fu interrotta da Bertha, che saltò fuori dall'armadio dicendo, sinceramente preoccupata: «Non è che Andromeda si è sentita male? Già oggi in classe non stava bene, mi è parso di sentire... Sembra svenuta!»
Ted posò a terra la ragazza e Narcissa si fiondò al capezzale della sorella.
Bellatrix invece mise a fuoco Bertha e strillò: «Bessie, mocciosa, me la devi pagare. Sei tu che metti in giro questi pettegolezzi.»
«Si chiama Bitsy...» la corresse Narcissa.
«No, veramente mi chiamo Bertha.»
Bellatrix guardò furente anche lei, e Bertha mostrò più buonsenso di Rita, nascondendosi dietro Lucius prima che la Black le potesse saltare al collo.
Rita perse la pazienza e prese Bellatrix per un braccio: «Ma insomma, la mia intervis...!»
E per la seconda volta, fu interrotta da qualcuno che, con voce incredula e secca, chiese: «Cosa sta succedendo, qui?»

Minerva McGranitt stava pattugliando i corridoi quando aveva sentito diverse persone urlare al piano superiore. Col cuore in gola, aveva salito le scale per poi dirigersi senza dubbio alcuno verso la Sala dei Trofei, dove sembrava essersi scatenato il putiferio.
Davanti ai suoi occhi, trovò lo spettacolo più strano che avesse mai visto.
Il signor Malfoy reggeva fra le braccia una bottiglia più grande di lui, e fungeva da scudo umano per la minuta signorina Jorkins, che con le sue trecce nere e lo sguardo spaventato lo aveva afferrato per le spalle e lo frapponeva tra sé e la signorina Black. La suddetta, in vestaglia e tutta scarmigliata, sembrava infuriata con la piccola, e la signorina Skeeter le teneva un braccio urlando più forte di tutti.
Una coppa rotolava per la sala, e il signor Tonks si teneva un piede con la faccia sfigurata dal dolore. Una delle tre signorine Black giaceva stesa per terra, pallidissima, mentre la minore le stava inginocchiata di fianco singhiozzando e, sotto lo sguardo allibito della McGranitt, la schiaffeggiò decisamente sulle guance. Lei sembrò riprendere conoscenza con un sussulto.
Incredula, la professoressa gridò: «Cosa sta succedendo, qui? C'è una festa?»

Tutti si girarono contemporaneamente e sulla Sala scese il silenzio. L'unico suono rimasero i singhiozzi di Narcissa e il grattare di una penna sulla pergamena, che Rita nascose in fretta in una tasca della tunica.
«Allora?» domandò la McGranitt, furente. Aveva smesso di urlare, ma sembrava ancora più minacciosa.
Lucius Malfoy, ancor più pallido del solito, rispose vigliacco: «Io non c'entro niente, professoressa. Il professor Lynwood mi ha messo in punizione stamattina, e stavo oliando i cardini di questa Sala quando sono arrivate le Black. Poi Andromeda è svenuta e quelle due sono spuntate da un armadio.»
«E in tutto questo, lei cosa c'entra, signor Tonks?»
«Ero in punizione con Malfoy, lucidavo l'argenteria. Confermo la sua versione, aggiungendo che per non far cadere la signorina Black mi sono sfracellato un piede con la coppa che pulivo.»
«Signorine Black?»
Bellatrix fece per prendere parola, ma Andromeda, tirandosi su a sedere, la precedette: «Oggi durante le lezioni mi sono sentita male, professoressa, e stanotte, dopo essere tornata a letto, è successo di nuovo. Mi sono quindi alzata per andare in infermeria, ma evidentemente le mie sorelle si sono svegliate e mi hanno seguita, preoccupate. Arrivata qui nella Sala sono svenuta.»
«Sì, professoressa.» confermò Narcissa. «Ho visto mia sorella uscire dalla Sala Comune e sono andata a svegliare Bellatrix per farmi aiutare. Ma Andromeda ha camminato in fretta, e poi una scala ci ha fatto perdere le sue tracce, siamo riuscite a raggiungerla solo qui nella Sala dei Trofei.»
«Confermi, signorina Black?» chiese la McGranitt a Bellatrix, che annuì.
«Eravamo molto preoccupate per Meda, professoressa.» singhiozzò Narcissa, tirando su col naso. Sembrava che stessa per scoppiare in lacrime di nuovo da un momento all'altro.
La McGranitt parve intenerirsi.
«Va bene. Portate vostra sorella in infermeria, allora. Ha una brutta cera, ma state tranquille, non può essere nulla di grave. Forse un po' di stress. Via, andate.»
Le Black non indugiarono e uscirono tutte e tre alla svelta, Andromeda retta ai lati dalle altre due.
«Bene. Signor Tonks, fra poco porterò in infermeria anche lei, non mi sembra il caso che cammini, con quel piede. Signor Malfoy, lei può pure tornare alla sua punizione.»
Lucius Malfoy si scrollò dalla schiena Bertha e si volatilizzò con la sua grande bottiglia d'olio.
«D'accordo. E ora mancate voi due: signorina Skeeter, signorina Jorkins. A quanto ho capito,  eravate nascoste qui dentro, in un armadio.»
«Sì, ma...»
«Ma? Avete da dire qualcosa a vostra discolpa?» chiese minacciosa la McGranitt.
«Nulla è andato come è stato raccontato!»
«Consegnami quella pergamena che hai nascosto in tasca, allora, signorina Skeeter.»
Rita, riluttante, allungò una mano e la consegnò alla McGranitt.
Lei la lesse, divenendo sempre più pallida e stringendo sempre più le labbra. Alla fine, era così tesa ed esangue a forza di trattenere il fiato che Ted cominciò a preoccuparsi.
«Profess...»
«COME AVETE OSATO? NON HO MAI LETTO TANTE STUPIDAGGINI IN UN SOLO FOGLIO! È QUESTO CHE VOLETE PUBBLICARE SU QUEL GIORNALE?» tuonò la McGranitt, furiosa.
«Un giornale di... pettegolezzi, raccolti incastrando la gente e infrangendo le regole della scuola? Signorina Skeeter, revoco il permesso di pubblicazione. È in punizione per i prossimi tre fine settimana, nel mio ufficio. Signorina Jorkins, in punizione domani sera con Gazza: non so cosa c'entri lei, ma di sicuro ha scelto cattive compagnie. Non vi voglio mai più fuori dai vostri letti la notte! E ora, tutte e due nei rispettivi dormitori.»
Bertha e Rita scomparvero e, mentre la McGranitt ancora borbottava a mezza voce, oltraggiata, fece comparire una barella e trasportò Ted in infermeria.

Madama Chips, l'infermiera, era una giovane donna con un carattere un po' brusco ma, sotto sotto, era premurosa.
Diede una pozione fumante ad Andromeda, dicendo che era evidentemente esaurita dallo stress degli esami, povera stella. Un po' di ricostituente e un fine settimana nella tranquillità dell'infermeria le avrebbero fatto passare proprio tutto, e che dormisse, perché era stanca.
Per Ted, invece, diagnosticò una frattura multipla al piede e parecchi ematomi. Conscia del fatto che fosse lo studente più sbadato che avesse mai avuto la sfortuna di avere in cura a Hogwarts, testimoni le parecchie notti in infermeria che aveva passato per incidenti di vario genere, decise di tenerlo a riposo tutto il fine settimana, per aspettare che le fratture si risaldassero per bene, perché il piede è un punto molto delicato, tutto ossicini piccoli piccoli, scapestrato che non sei altro.
Si addolcì un poco quando seppe che si era fracassato il piede nel tentativo di salvare la povera stella nel letto di fianco, perciò gli fece trangugiare mezzo litro di una pozione nauseante avendo il buoncuore di fare una faccia un po' mortificata e lo aiutò a mettersi a letto.
Infine gli augurò la buonanotte sottovoce, spense le luci e se ne andò.

«Meda? Sei sveglia?»
«Certo.»
«Non è andata proprio secondo i piani.»
«...non hai fatto i compiti per la McGranitt.»
«Madama Chips tiene qui anche me fino a domenica sera, la nostra giornata è salva.»
«Sai che roba, la passeremo relegati qui a letto, con Madama-occhio-di-falco addosso.»
«Potremo parlare.»
«Romantico.»
Risero piano tutti e due.
Lui allungò un braccio, e lei gli diede la mano, chiudendo gli occhi.
«Ted, ma tu hai capito che cosa diavolo è successo, stasera?»
«Non ne ho la minima idea, Meda.»

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Capitolo 12
*** [Citazione] - Se vincerò ***


Questa raccolta partecipa al "12 mesi di fanfiction contest", di BS.
Tema del mese: Non ho voglia di pensare al futuro.
Non potremmo semplicemente goderci il presente?



        -Se vincerò-

La ragazza ormai sapeva dove l'avrebbe potuto trovare: senza nemmeno perder tempo a cercare in Sala Grande, si diresse a passo svelto verso la biblioteca, un po' curva per il peso della cartella.
Non appena entrò, Madama Pince le fece un cenno a metà tra il saluto e l'ammonimento e tornò a spolverare a colpi di bacchetta i suoi preziosi libroni di magia, mentre la ragazza individuava tra gli scaffali una figura quasi nascosta dalla pila di libri che aveva accatastato davanti a sé.
Si avvicinò piano, sorridendo.
«Buonasera.»
Il ragazzo sorrise stancamente e, quando aprì bocca per ricambiare il saluto, si ritrovò le labbra spiacevolmente incollate, dopo ore passate senza mai proferir parola.
Lei gli posò di fronte qualcosa infagottato in un tovagliolo, e sbirciò in direnzione di Madama Pince.
«Non farti vedere da Mrs. Avvoltoio, ma ti ho portato qualcosa per cena.»
«Grazie, muoio di fame.» la ringraziò lui, riconoscente, afferrando dal malconcio cartoccio una fetta di pane.
«Si vede, Ced.»

Parechie ore più tardi, la ragazza alzò la testa dall'affascinante tomo sulla cura dei Vermicoli sul quale si era assopita, sbadigliando.
«Bentornata fra di noi» scherzò il ragazzo, prendendole una mano e accarezzandole il dorso con il pollice.
«Sì, ero troppo assorta nello studio» rincarò lei, stringendo la stretta a sua volta.
Guardando fuori dalla finestra, lei ebbe un sussulto.
«Ma quanto ho dormito?» chiese a sé stessa, incredula.
In risposta ottenne una risata stanca.
La ragazza si alzò stiracchiandosi e, dopo aver fatto il giro del tavolo, abbracciò il ragazzo da dietro, poggiandogli il mento su una spalla.
«Non è ora che tu smetta di spulciare questo libro, Ced?»
Lui le diede un bacio su una guancia.
«Mi mancano solo due incantesimi da padroneggiare, non ci metterò più di due ore.»
«Due ore!» si indignò lei. «Pensi davvero che ti salveranno la vita nel Labirinto, questi due incantesimi?»
Il ragazzo si irrigidì tra le sue braccia.
«Scusa, non volevo. Sono sicura che andrà tutto benissimo, lì dentro» cercò di rimediare lei, nervosa.
Lui mugugnò qualcosa e ricominciò a leggere le righe fitte e sbiadite.
Lei gli strofinò il naso sulla spalla.
«Dài, Cho. Lasciami finire, sono esausto.»
«Appunto. Lascia perdere e andiamo via.»
«Ma domani...»
«Non ho voglia di pensare al futuro. Non potremmo semplicemente goderci il presente?»
Cedric sospirò.
«No. Il mio futuro potrebbe giocarsi domani, in quel Labirinto. Se vincerò, la mia vita cambierà, e poi ci sarà un sacco di presente, per stare insieme.»


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Va bene, per questo mese va così, ragazze XD sono molto consapevole dell'insignificanza di questo capitolo, fa proprio schifo, ma il prompt questo mese non mi ispirava proprio .-. e sono già in ritardo di due giorni con la mia pubblicazione....
Già che ci sono dedico questo capitolo alla mia sorellina (wow, che onore XD), visto che oggi è il suo compleanno... <3
Se leggesse questa storia però mi picchierebbe per quanto schifo fa, quindi acqua in bocca :P

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